scienza · e riflessioni sul rapporto tra complessità biologica e semioti-ca. molto interesse...

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S C I E N Z A 76 Kéiron LE DIMENSIONI DELLA COMPLESSITÀ BIOLOGICA L’esame di alcuni punti critici del dibattito filosofico sulla comples- sità biologica precede la presentazione delle componenti, quantita- tiva e qualitativa, della complessità biologica. L’illustrazione delle varie manifestazioni della complessità degli organismi è fatta ricor- rendo alle tre nozioni chiave di organizzazione, individualità e relazionalità. Il saggio contiene anche un’analisi del rapporto tra biocomplessità e selezione naturale, e riassume in pochi punti salienti l’ipotesi ricostruttiva dell’incremento di complessità lungo l’organizzazione gerarchizzata dei viventi. La riflessione finale è dedicata agli effetti della storia sulla complessità biologica. “Complessità” è una tra le parole più ricorrenti e uno dei concetti più trasversali delle scienze fisico-matematiche e naturali. Esaminando gli scritti che trattano della complessità biologica si nota subito che la nozione di complessità ha carattere multidimensionale e che la relativa discussione sull’argomento presenta molteplici aspetti. Senz’altro c’è l’ir- risolta questione della definizione, c’è l’interrogativo se complessi siano gli oggetti biologici o i modelli e le teorie, ci sono posizioni antagoniste sulle eventuali differenze qua- litative tra complessità dei sistemi fisici e dei biosistemi, tro- viamo il dibattito sulla misurazione della complessità, ricer- che sul rapporto tra complessità e ordine e tra complessità e informazione, saggi sugli aspetti semantici della complessità e riflessioni sul rapporto tra complessità biologica e semioti- ca. Molto interesse suscitano anche gli interrogativi sull’ipo- tetico incremento di complessità dei sistemi viventi e sulle eventuali tendenze progressive della complessità nell’evolu- zione organica. Sebbene da un punto di vista scientifico l’instabilità seman- tica della nozione di complessità biologica rappresenti ovviamente una limitazione, tuttavia questa nozione conser- va dei contenuti euristicamente utili e spendibili anche sul piano teorico. Perciò tenteremo qui di seguito una sorta di fenomenologia della complessità dei sistemi viventi. Natural- mente sarà una fenomenologia in formato ridotto: un’illu- strazione corredata da alcune riflessione su certi fatti biolo- gici, e su problemi e metodi dove entra in scena la com- plessità. Sappiamo che i sistemi viventi della biosfera vengono di norma ordinati in una gerarchia di entità secondo un criterio di complessità crescente. L’organismo unicellulare, quello plu- ricellulare, la popolazione di organismi, e la biocenosi rap- presentano quattro distinti livelli di organizzazione della mate- ria vivente (Eldredge e Salthe, 1984). Ma diciamo subito che non c’è accordo sul numero dei livelli gerarchici della com- plessità strutturale, sulla quantità delle scatole cinesi in cui è Saverio Forestiero La complessità biologica come problema epistemologico

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Kéiron

LE DIMENSIONI DELLA COMPLESSITÀ BIOLOGICA

L’esame di alcuni punti critici del dibattito filosofico sulla comples-sità biologica precede la presentazione delle componenti, quantita-tiva e qualitativa, della complessità biologica. L’illustrazione dellevarie manifestazioni della complessità degli organismi è fatta ricor-rendo alle tre nozioni chiave di organizzazione, individualità erelazionalità. Il saggio contiene anche un’analisi del rapporto trabiocomplessità e selezione naturale, e riassume in pochi puntisalienti l’ipotesi ricostruttiva dell’incremento di complessità lungol’organizzazione gerarchizzata dei viventi. La riflessione finale èdedicata agli effetti della storia sulla complessità biologica.

“Complessità” è una tra le parole più ricorrenti e uno deiconcetti più trasversali delle scienze fisico-matematiche enaturali. Esaminando gli scritti che trattano della complessitàbiologica si nota subito che la nozione di complessità hacarattere multidimensionale e che la relativa discussionesull’argomento presenta molteplici aspetti. Senz’altro c’è l’ir-risolta questione della definizione, c’è l’interrogativo secomplessi siano gli oggetti biologici o i modelli e le teorie,ci sono posizioni antagoniste sulle eventuali differenze qua-litative tra complessità dei sistemi fisici e dei biosistemi, tro-viamo il dibattito sulla misurazione della complessità, ricer-che sul rapporto tra complessità e ordine e tra complessità einformazione, saggi sugli aspetti semantici della complessitàe riflessioni sul rapporto tra complessità biologica e semioti-ca. Molto interesse suscitano anche gli interrogativi sull’ipo-tetico incremento di complessità dei sistemi viventi e sulleeventuali tendenze progressive della complessità nell’evolu-zione organica.Sebbene da un punto di vista scientifico l’instabilità seman-tica della nozione di complessità biologica rappresentiovviamente una limitazione, tuttavia questa nozione conser-va dei contenuti euristicamente utili e spendibili anche sulpiano teorico. Perciò tenteremo qui di seguito una sorta difenomenologia della complessità dei sistemi viventi. Natural-mente sarà una fenomenologia in formato ridotto: un’illu-strazione corredata da alcune riflessione su certi fatti biolo-gici, e su problemi e metodi dove entra in scena la com-plessità.

Sappiamo che i sistemi viventi della biosfera vengono dinorma ordinati in una gerarchia di entità secondo un criteriodi complessità crescente. L’organismo unicellulare, quello plu-ricellulare, la popolazione di organismi, e la biocenosi rap-presentano quattro distinti livelli di organizzazione della mate-ria vivente (Eldredge e Salthe, 1984). Ma diciamo subito chenon c’è accordo sul numero dei livelli gerarchici della com-plessità strutturale, sulla quantità delle scatole cinesi in cui è

Saverio Forestiero

La complessità biologicacome problema epistemologico

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organizzata la materia viven-te. McShea (1991), ad esem-pio, riferisce che LedyardStebbins individua non quat-tro ma otto differenti gradi diorganizzazione: i sistemiorganici capaci di autoripro-duzione, i procarioti, glieucarioti monocellulari, glieucarioti pluricellulari sem-plici, gli organismi provvistidi tessuti e organi differen-ziati, gli organismi con artiben sviluppati e dotati disistema nervoso, gli organi-smi omeotermi, l’uomo. Sia come sia, tale comples-sità è stata giudicata comeun fatto tanto ovvio, da nonsuscitare nessuna particola-re attenzione teorica. Fino atempi recenti, questa accet-tazione acritica della com-plessità biologica non haprodotto ricerche mirate achiarirne i vari aspetti; pre-requisito viceversa indispen-sabile per una definizione.Come dire: i viventi sonocomplessi, non c’è bisognodi dimostrarlo e tanto menoè necessario definire in cosaconsista tale complessità.Ora, dietro questo atteggiamento trapela una precisa posi-zione filosofica, una scelta realista che dà per scontata lacomplessità e non si dà pena di discutere un’altra possibilità,l’alternativa, nominalista, che la complessità sia non un attri-buto dei viventi quanto piuttosto delle rappresentazionicostruite dalla scienza. In questo secondo caso, intrinseca-mente complessi sarebbero semmai i modelli della cono-scenza biologica e non gli oggetti del mondo biologico, checerto potranno essere più o meno complicati ma non com-plessi. Chiedersi perciò se i sistemi viventi siano oggetti “dav-vero” complessi può essere una domanda filosoficamenteinteressante ma non scientificamente produttiva, perchéquel “davvero” complica anziché semplificare la strada versol’osservazione e la sperimentazione. Noi avvieremo il nostrodiscorso assumendo invece, come artifizio operativamenteutile, che i sistemi viventi possiedano un qualche tipo dicomplessità (della quale a priori non vogliamo decidere seabbia natura reale o nominale) e che essa sia una proprietàinteressante che noi vogliamo caratterizzare. Agiremo perciò

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Il passaggio critico nella gerarchia della

complessità corrisponde all’incremento

di complessità dei sistemi viventi, parti-

colarmente intenso durante le transizio-

ni evolutive più importanti (procario-

ti/eucarioti, unicellulari/pluricellulari).

Charles Darwin,

“Illustrazione italiana”, a.VII, n.6, 1880.

come se la complessità dei viventi fosse reale, e ne ricerche-remo le manifestazioni visto che siamo interessati a esplorar-ne la fenomenologia e non a dimostrarne fondata o infonda-ta l’ontologia.

In campo scientifico, il termine complessità viene impiegatoin due differenti accezioni (Lepschy, 2000). Chi ha familiaritàcon l’informatica e con l’analisi numerica sa che la comples-sità corrisponde a una caratteristica quantitativa di un algo-ritmo di calcolo che ne determina la possibilità di impiegoper la soluzione pratica di un problema. Nell’ambito dei siste-mi dinamici, invece, la complessità è di solito consideratauna caratteristica qualitativa di un sistema. Prima di abboz-zare un identikit della complessità dei sistemi viventi visticome sistemi dinamici, consideriamo brevemente la com-plessità biologica di tipo algoritmico.

Sappiamo che nei sistemi viventi l’informazione è conservatae trattata negli acidi nucleici che specificano in maniera nonlineare i vari fenotipi; i quali, a loro volta, manifestano com-plessità gerarchizzata. Nel decennio successivo al 1953,dopo che Watson e Crick ebbero scoperto la struttura a dop-pia elica del DNA, altri ricercatori concorsero tra il 1962 e il1966 a decifrare il cosiddetto codice genetico grazie al qualeuna sequenza di nucleotidi di un gene viene tradotta nellasequenza di amminoacidi di una proteina (Corbellini, 1999).Probabilmente anche la prossimità temporale tra la scopertadell’esistenza di tale codice e l’elaborazione teorica dellanozione di informazione a opera di E. Shannon e W. Weaver(1949), concorse a suggerire l’accostamento tra l’informazionebiologica e l’informazione della teoria omonima. Più precisa-mente vennero cercate correlazioni e analogie in ordine allamisura del contenuto di informazione di sequenze (normali emutanti per una o più variazioni) e alla misura dell’entropiadi informazione. Nell’approccio algoritmico, le sequenze nucleotidiche vengo-no considerate sequenze di simboli dell’alfabeto a quattro let-tere proprio degli acidi nucleici. La formazione di una datasequenza Ik di lunghezza n avviene allora con probabilitàpk = 4-n, e il contenuto di informazione, espresso in bit, dellasequenza è Ik = 2n. Tutto questo vale indipendentementedalla particolare sequenza considerata. Infatti l’informazionedi Shannon considera solo la componente statistica del-l’informazione senza riferimento al suo contenuto, dunque alsignificato, che è invece estremamente importante per i siste-mi viventi dato che è il significato del messaggio a determi-nare le conseguenze dell’informazione erogata. Approccisuccessivi dovuti a A. N. Kolmogorov e a G. J. Chaitin (rispet-tivamente nel 1968 e nel 1969) considerarono la strutturainterna delle sequenze. Nella teoria algoritmica dell’informa-zione il contenuto informativo di un messaggio è pari allalunghezza del più piccolo programma di computer che, unavolta eseguito, è in grado di produrre l’oggetto. Ne deriva

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Una distinzione fondamentale

Complessità algoritmica:il contenuto informativodei sistemi viventi

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che messaggi periodici omolto ridondanti possiedonobasso rapporto di informa-zione algoritmica/comples-sità, mentre sequenze casua-li hanno un alto rapporto dii n f o r m a z i o n ealgoritmica/complessità, nonpotendo essere create attra-verso un programma che siapiù breve delle sequenzestesse. Tuttavia, come ognibiologo sa, il fatto che unasequenza casuale sia dotatadi alta complessità (nelsenso algoritmico-informati-co sopra specificato) con-traddice la realtà biologicanella quale i sistemi viventigiudicati altamente comples-si non hanno strutture ecomportamenti governati dalcaso ma possiedono inveceun elevato livello di organiz-zazione interna. Neanche lanozione di complessità algo-ritmica, essendo interessataalla struttura interna delmessaggio consente diaffrontare il problema cru-ciale della significatività del-l’informazione. Quanto siaimportante questo punto è immediatamente chiaro conside-rando per esempio che i geni strutturali dell’uomo e delloscimpanzé sono identici al novantanove per cento (comedimostrarono King e Wilson nel 1975, le differenze ammi-noacidiche del loro corredo preoteico non superano l’unoper cento) e che basta solo una frazione piccola, ma alta-mente significativa, di geni diversi per determinare differen-ze biologiche di grande rilievo. La distanza genetica mediatra le due specie, stimata su circa cinquanta geni strutturali,è risultata essere addirittura inferiore a quella tra speciesorelle (sibling species) del moscerino di Drosophila, chesono per definizione morfologicamente indistinguibili. Èperaltro noto che tali piccole differenze di sequenza, capaciperò di generare differenze organizzative tra le due specie,vanno quasi certamente ricondotte a cambiamenti prodottida pochi geni regolatori. Il passaggio critico nella gerarchia della complessità corri-sponde ovviamente all’incremento di complessità dei sistemiviventi, particolarmente intenso durante le transizioni evolu-tive più importanti: per esempio il passaggio da cellula pro-

Frontespizio della prima edizione in

opuscolo de L’uomo e le scimmie, 1864.

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cariotica a cellula eucariotica, quello da sistema unicellularea sistema pluricellulare oppure quello da individuo a colonia(Maynard Smith e Szathmary, 1995). Ancora manca una teo-ria generale dell’incremento di complessità, ma questo feno-meno ha iniziato ad avere una sua spiegazione quando l’a-nalisi è stata circoscritta a sistemi molto semplici come i virus.Alla fine degli anni Settanta, Manfred Eigen e Peter Schusterhanno proposto un modello teorico, detto dell’iperciclo, dinotevole interesse euristico, in cui sono specificate le condi-zioni minime che permettono di conservare e di accumulareinformazione biologica: un passo indispensabile per l’au-mento di complessità di un sistema (Eigen e Schuster, 1979).

Sistemi complessi se ne trovano già nel mondo non vivente.Sono tali i ben noti sistemi a molte componenti interagenti ecaratterizzati da dinamiche dissipative: le turbolenze nei fluididi una turbina o di una camera di scoppio di un motore acombustione, le nuvole, i profili delle coste, gli alberi, danno

Complessità qualitativa

L’evoluzione dell’uomo secondo un’in-

cisione del periodico satirico inglese

“Punch” (6 dicembre 1881).

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luogo a strutture complesse accomunate dalla nascita di unaspontanea autosomiglianza interna e da invarianza di scala(Mandelbrot, 1983). Si tratta di strutture dotate della cosiddet-ta “auto-organizzazione”, una proprietà che rappresenta tral’altro un ottimo esempio di proprietà emergente di un siste-ma.I fenomeni di auto-organizzazione sono diffusamente pre-senti anche nei sistemi biologici, basti pensare alla comples-sità organizzativa delle reti metaboliche intracellulari. Secon-do alcuni, anzi essi potrebbero spiegare molti comportamen-ti dei sistemi viventi intrattabili con i tradizionali utensiliesplicativi della biologia evoluzionistica. Stuart Kauffmann,ad esempio, ha ipotizzato che l’ordine biologico si sviluppispontaneamente, che esso sia prodotto dall’interno dei siste-mi viventi grazie agli stessi principi di auto-organizzazione(leggi della complessità), agenti nei sistemi fisici (Kauffmann,1995). All’origine delle configurazioni ordinate dei sistemicomplessi vi sarebbero sistemi in equilibrio dotati di bassaenergia e strutture dissipative. Ora noi osserviamo che men-tre l’idea che l’auto-organizzazione possa concorrere allavariabilità dei sistemi è un’ipotesi plausibile, è invece giàdimostrato che soltanto l’interazione con l’ambiente esternodetermina selettivamente quali stati del sistema saranno man-tenuti e quali no. Per dirla con Antoine Danchin (1998): laselezione non è sensibile alla struttura ma all’organizzazione;insomma, l’ambiente non giudica direttamente le strutture male loro organizzazioni attraverso i loro funzionamenti. L’auto-organizzazione potrà spiegare il panorama di forme poten-ziali, l’insieme delle strutture consentite dalle leggi della com-plessità, ma non ci sono indicazioni che tali leggi riescano aspiegare né tantomeno a prevedere (come invece Kauffmannsembra sostenere) le strutture, le forme che effettivamentesono o saranno prodotte e riprodotte. Anche per il cosid-detto problema dell’ “universalità”. Infatti, se i sistemi fisicidotati di auto-organizzazione sembrano essere caratterizzatida una “ridotta universalità”, è chiaro che quelli biologici losono in misura ancora maggiore (Pietronero, 1998).

L’organizzazione, l’individualità e la relazionalità non sonosoltanto tre caratteristiche comuni a tutti i sistemi viventi masono anche tre diverse manifestazioni della complessità bio-logica (Forestiero, 2000, 2001). Vediamole singolarmente piùda vicino.

Proprietà fondamentale di tutti i viventi è quella di esseresistemi organizzati (Mayr, 1982). Possedere un’organizzazio-ne significa presentare un certo insieme di relazioni noncasuali che assicurano la coerenza interna del sistema. Que-ste relazioni sono responsabili dell’unitarietà di ogni sistemavivente e della sua tenuta. L’organizzazione dei viventimostra di avere una natura gerarchica per cui i sistemi deivari livelli si presentano come entità fenomeniche caratteriz-

Un primo identikit dellacomplessità biologica

L’organizzazione

zate da configurazioni strutturali e da dinamiche processua-li differenti a ciascun livello, e dotate di proprietà né imme-diatamente deducibili né prevedibili. Oltre che gerarchica,tale organizzazione è anche chiusa, grazie all’innesco di cir-colarità in meccanismi altrimenti lineari di causa ed effetto.La logica circolare (perfettamente esemplificata dal rapportocausale: gameti-zigote-gameti) percorre tutti i livelli dellagerarchia, dalla cellula all’ecosistema.

L’individualità dei sistemi viventi risulta dal fatto che essi nonsono ripetitivi: l’eterogeneità è la norma (Ageno, 1986). Dinorma ogni vivente possiede una propria individualità (un’u-nicità originariamente dovuta alle proprietà stocastiche dellasorgente di variazione) che viene codificata nei geni, vienecostruita epigeneticamente e viene trasmessa alla posterità.L’unicità degli individui è una caratteristica essenziale per l’a-dattamento della popolazione a un ambiente perennementemutevole. L’individualità dei sistemi biologici ha duplice natu-ra: essa è con-causa ed effetto dell’evoluzione. La più appari-scente conseguenza dell’individualità è la diversità biologica obiodiversità. Globalmente, la biodiversità è costituita dall’in-sieme delle differenze osservabili tra i viventi. Tali differenzepossono essere descritte in termini di quantità, di variazionee di variabilità degli organismi; nonché, semplificando, in rap-porto ai geni, alle specie e agli ecosistemi (Heywood, 1995).

A differenza di quanto accade nei sistemi fisici dove le rela-zioni tra le parti sono mantenute dall’azione di forze, la coe-sione tra le componenti della materia vivente è affidata innan-zitutto ai segnali. Per esempio è mediante segnali che le cel-lule di una coltura batterica o le componenti di un sistemapluricellulare trasferiscono informazione dall’una all’altra,oppure coordinano i processi interni con quanto accade all’e-sterno di ciascuna di esse. A livello degli organismi pluricel-lulari, il sistema costituito dal segnale e dal suo recettore nonsolo assicura l’integrazione tra le varie cellule, per esempiodurante i processi di sviluppo (Bonner, 1984), ma negli ani-mali può anche consentire l’integrazione sociale degli indivi-dui vuoi attraverso l’azione ormonale, vuoi attraverso quelladei neurotrasmettitori. In tutti i gruppi di organismi si assistea una diversificazione della coppia segnale-recettore (Bonner,1984, 1988). Tale diversificazione evolutiva produce sia unacomplicazione del sistema sia la sua compartimentalizzazione,con la localizzazione, in alcune regioni del corpo, delle cellu-le contenenti i differenti recettori. Inoltre, se da una parte l’e-voluzione filogenetica della coppia segnale-recettore rendepiù efficiente e affidabile l’integrazione tra gli individui (conciò aumentando la diversità interna, intrasistemica, dei sistemiviventi), dall’altra essa serve a mantenere isolati sistemi traloro incompatibili e in competizione (favorendo così la diver-sità esterna, intersistemica). I segnali coinvolti nel comporta-mento riproduttivo e responsabili della produzione delle bar-riere interspecifiche di isolamento pre-copula, esemplificano

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L’individualità e le sue conseguenze: la biodiversità

La relazionalità

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puntualmente la funzione dimantenimento e di incre-mento della diversità intersi-stemica. Negli animali dotatidi un sistema nervoso e di uncervello sufficientementecomplesso, il sistema segna-le-recettore è ancora all’ope-ra nel consentire l’apprendi-mento e dunque, ricorsiva-mente, nel permettere lagenerazione di più sofisticatimeccanismi di produzione didiversità e di complessità. Sepoi guardiamo a un altroambito fenomenologico, èsempre la capacità relaziona-le dei sistemi viventi cheviene chiamata in causa nell’elaborazione epigenetica del-l’informazione genomica,come pure nei processi diriconoscimento immunitario,nella morfogenesi, nell’onto-genesi del comportamento.Rientra in una più ampiaaccezione di relazionalità,infine, anche la capacità deisistemi viventi di mantenersiin rapporto con l’esterno siaattraverso l’adattamentogenetico che quello ecologi-co.

Il consueto ordinamento di complessità crescente: cellula pro-cariotica, cellula eucariotica, organismo pluricellulare, popola-zione, comunità, ecosistema, di solito si accompagna all’ideache nella storia della vita sul pianeta sia riconoscibile una ten-denza storica verso la crescita di complessità dei sistemi viven-ti. Niente di più inesatto. Si tratta di una convinzione errataperché se da una parte è indiscutibile che le forme organizza-tive più semplici hanno preceduto di norma quelle più com-plesse, tuttavia la coesistenza temporale di forme poco com-plesse accanto a forme molto complesse testimonia non dellasostituzione di sistemi relativamente semplici con sistemi com-plessi, ma della coesistenza di sistemi a vario grado di com-plessità. Inoltre, è anche noto che spesso nell’evoluzione isistemi viventi sono andati incontro a processi di drastica sem-plificazione di alcune subunità, dunque a una riduzione dellaloro complessità generale (ad es. anoftalmia degli animali tro-globi). Si può invece sostenere con buone argomentazioni chenel corso dell’evoluzione vi sia stata una sorta di processo di

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Progresso?

Incisione su rame acquerellata nel-

l’Historie naturelle di George-Louis

Leclerc Conte di Buffon (1785 - 91).

Questa raffigurazione di scimpanzè,

volutamente rappresentato in atteggia-

mento umanizzato, suscitò scandalo.

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diffusione della complessità biologica, nel senso che sembraessere aumentata la capacità dei sistemi viventi di adattarsi aun ambiente che pone richieste tra loro contrastanti (Omodeo,1987).

Selezione naturale, complessità gerarchica e complessità biologica come effetto storico

In larga misura la storia dei viventi è storia dei passaggi da unlivello di complessità all’altro, cioè da un’unità di selezioneall’altra. Secondo una ricostruzione ampiamente accettata,l’avvio del processo evolutivo coincise con l’originarsi dimolecole capaci di autoreplica; queste furono poi incorpora-te in unità cellulari assai ben delimitate, capaci successiva-mente di integrare al loro interno i genomi di organelli dotatidi autoreplicabilità, e poi diventate capaci di sfruttare con lasessualità l’enorme vantaggio della ricombinazione genetica.A questo punto del processo evolutivo, con la comparsa delsesso e della specie la selezione naturale assunse la forma cheè più familiare ai biologi, quella di riproduzione differenzialedi genotipi. Negli anni Sessanta, dopo il lavoro di Hamilton (1964), la que-stione dell’esistenza di multipli livelli di azione della selezionenaturale (livelli sia sopra che sottoindividuali) diventò un argo-mento molto scottante. La questione in sé è della massima rile-vanza e si presenta in modo assai articolato. Qui di seguitoillustriamo i punti salienti della ipotetica logica processualecon cui si può salire da un livello di complessità a quello suc-cessivo.Il quadro generale che sta dietro all’idea di molteplici unità diselezione è che al nascere di un nuovo livello organizzativodella materia vivente si verifichi un cambiamento nel bersa-glio e nella forma della selezione. Mentre fino a quel momen-to la selezione viene esercitata soltanto dall’ambiente esterno,con la nascita del nuovo livello strutturale (a condizione cheesso però contenga fisicamente il livello strutturale più antico)l’ambiente esterno agisce solo sull’unità di questo nuovo livel-lo (l’unità neoformata) e la selezione sull’unità gerarchica-mente inferiore non è più esercitata dallo stesso ambiente diprima (quello che precedentemente era esterno) ma dall’unitàneoformata, che pertanto funzionerà come ambiente per l’u-nità più vecchia e gerarchicamente inferiore. Questa conce-zione prevede un controllo verticale, dall’alto, dell’unità mag-giore sull’ambito delle possibili variazioni dell’unità minore. Eanche se, in effetti, i cambiamenti dell’unità di livello inferio-re possono arrivare a influenzare la replica dell’unità del livel-lo immediatamente superiore, tale azione dal basso è consen-tita nella misura in cui questi cambiamenti non sono svantag-giosi per l’unità maggiore che è quella che interagisce conl’ambiente esterno. In questa visione, all’incremento di com-plessità è associato lo slittamento della selezione dal vecchioal nuovo livello di organizzazione, che quindi perde gradi dilibertà trasformandosi in vincolo interno al sistema.

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Uno degli aspetti più ricchi di conseguenze teoriche dei siste-mi viventi è quello di essere sistemi non universalmentenecessitati nel senso che le loro strutture e i loro comporta-menti non sono descrivibili con leggi universali bensì daenunciati validi caso per caso, o tutto al più validi per unacasistica assai limitata. Da cosa derivi questa caratteristica èfacilmente comprensibile considerando un esempio che illu-stra un altro peculiare aspetto dei sistemi viventi: l’enormediscrepanza tra quanto è teoricamente possibile su base com-binatoria e quanto invece si è storicamente realizzato.Preso il caso del polimorfismo genetico, cerchiamo di rap-presentarci quello che Lewontin (1974) ha chiamato “lo spa-zio dei genotipi”. Partendo da seimila geni strutturali (nume-ro medio stimato per Drosophila) e ammettendo verosimil-mente che la metà sia polimorfica, avremo tremila geni. Assu-mendo, quindi, una media di due alleli per locus elettrofore-tico, avremo tre possibili combinazioni alleliche per ciascunlocus; che per tutti i loci fa un numero totale di combinazio-ni alleliche pari a 33.000 (63.000 nel caso diploide). Come sivede, l’insieme potenziale di tutti i genotipi così calcolato, ècostituito da una quantità strabiliante, non solo assolutamen-te superiore al totale dei genotipi aploidi già prodotti e pro-ducibili in futuro, ma addirittura di gran lunga superioreanche al numero stimato di tutte le particelle elementari delnucleo atomico presenti nell’universo (circa 1079). La massadi questi genotipi, se tutti fossero prodotti, supererebbe lamassa dei nucleoni.In conclusione, il fatto, invece, che di tutte le possibili com-binazioni genotipiche solo alcune effettivamente si siano rea-lizzate e solo alcune altre si potranno realizzare in futuro, rap-presenta una chiara evidenza della natura relativa e contin-gente dei sistemi biologici. È questa contingenza a fondare lanatura storica dei viventi: la complessità osservabile deriva davincoli strutturali e funzionali pre-esistenti che a loro voltadeterminano la dinamica futura dei sistemi. Non tutti i cam-mini evolutivi sono dunque possibili ma solo quelli compati-bili con il regime di vincoli esterni e interni al sistema. I siste-mi viventi sono dunque entità storicamente determinate e labiologia assume anche essa carattere storico ogni volta che sipone problemi che vanno oltre il comportamento delle mole-cole.La natura dei vincoli che determinano le condizioni di possi-bilità dei sistemi viventi è esplicitabile solo in termini evoluti-vi. Si tratta dei vincoli adattativi, sincronici, che strutturano ilcollegamento con l’ambiente, e dei vincoli di sviluppo chespecificano diacronicamente il modo d’essere di ciascun indi-viduo e di ciascuna specie. La natura di questi vincoli legitti-ma, inoltre, gli interrogativi teleonomici sui perché di certemanifestazioni dei viventi (Mayr, 1982, 1997). Le domande suiperché non sembrano riducibili a domande sul come. Piutto-sto si hanno spiegazioni di due ordini distinti: una funziona-le, finalizzata all’esplicitazione delle cause prossime, dei mec-canismi in gioco; l’altra tesa a elaborare una spiegazione cheè storia delle vicende responsabili del fenomeno osservato.

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Identità dell’ecologiaPoche scienze sono allo stesso tempo tanto popolari e così mal co-nosciute e fraintese come l’ecologia. Anche se in modo ovviamenteassai meno vistoso di quanto non accada presso il pubblico, pure tragli addetti ai lavori si possono trovare punti di vista diversi e spessodiscordanti sull’identità e la natura dell’ecologia. Gli storici dellascienza si dividono sulla sua origine e la sua storia, gli ecologi netratteggiano differenti profili a seconda della loro formazione acca-demica e del loro specifico oggetto di studio: piante, animali, ceno-si (specie viventi) terrestri, lacustri, fluviali, marine, benthos, planc-ton, foreste, paesaggio ecc., arrivando a differenti conclusioni anchea seconda della scala di osservazione e misura a cui si svolgono le lo-ro ricerche. Potrà stupire ma non tutti gli ecologi concordano sulleproprietà di base delle biocenosi e degli ecosistemi. La natura com-posita descrittiva e meccanicistica, quantitativa e olistica dell’ecolo-gia si è manifestata sin dalle origini ottocentesche della disciplina at-traverso i contributi della geobotanica, della fisiologia vegetale, in-teressata al rapporto tra piante, clima e suolo, dello studio della di-namica della vegetazione nel tempo. Tale natura polimorfica dell’e-cologia in parte è frutto della sua storia e delle diverse tradizioni diricerca, in parte deriva dall’oggetto stesso della disciplina: le rela-zioni tra organismi e ambiente. Più che in altre discipline biologicheè importante in ecologia il posizionamento teorico del ricercatore, ilsuo punto di vista, la sua epistemologia. Diversamente dalla geneti-ca o dalla biologia molecolare in ecologia non si fanno delle im-provvise scoperte: è una scienza giovane e il suo oggetto di studio èestremamente complesso, spazialmente eterogeneo e temporalmen-te variabile, sensibile agli effetti di scala. Gli avanzamenti sono rap-presentati piuttosto da progressi nell’accuratezza delle misure, nel-la ricostruzione dei meccanismi, nell’attendibilità delle rappresen-tazioni dei fenomeni, dalla scoperta di regolarità piuttosto che dileggi. La tensione e il contrasto teorico tra descrizioni ai diversi li-velli organizzativi dei sistemi ecologici sono al momento alquanto

forti: gli aspetti microscopici e quelli macroscopici restano abba-stanza separati. La teoria dei flussi energetici nell’ecosistema non èconnessa con l’ecologia di popolazione né l’ecologia di comunitàsembra facilmente riducibile a quella di popolazione, la quale a suavolta si interfaccia malamente con la genetica di popolazione; l’eco-logia del paesaggio si connette a fatica con l’ecologia popolazioni-stica e ancora meno con l’ecologia fisiologica e con quella compor-tamentale dal momento che manca in sostanza una teoria integratae generale dell’ecologia: quello che vale per gli ecosistemi non è tra-sferibile ai livelli organizzativi più bassi. Decisiva nella ricerca ecologica è l’attività di identificazione e rile-vamento dei parametri ambientali, importantissime sono la descri-zione demografica delle popolazioni, problematica è quasi semprela delimitazione spaziale delle cenosi e degli ecosistemi, l’analisi delfunzionamento dei medesimi, la descrizione dei grandi cicli biogeo-chimici della biosfera. L’indagine sul campo è molto sviluppata (for-se più di quella sperimentale di laboratorio) e richiede molto di-spendio di tempo e il contributo di molti specialisti che operano incondizioni concrete spesso logisticamente difficili, quando non osti-li, e mai pienamente controllabili. Si conosce l’autoecologia di po-chissime specie, altrettanto poco si sa della loro sinecologia; ancorameno della variabilità adattativa delle diverse popolazioni di una

Veduta panoramica di ShangaiNegli ultimi anni, lo sviluppoindustriale in Cina e India,accompagnato da un eccessivoincremento nel consumo deicombustibili, rischia di renderevani gli sforzi a tuteladell’ambiente portati avantidagli altri Paesi.

L’ecologia: aspetti scientifici eproblemi di conservazione di Saverio Forestiero

L’idea che percorre tutta la storia dell’ecologia è la necessaria interdipendenzadei viventi: nella biosfera tutto si tiene in equilibrio. L’ecologia studia strutture eprocessi sincronicamente e diacronicamente, a varie scale spaziali e temporali; siconcentra sulle relazioni intra e interspecifiche, ne indaga la natura economica,conflittuale o cooperativa, ne misura l’intensità; ricorre descrittivamente alconcetto di ecosistema. Il vocabolario dell’ecologia è spesso antropocentrico; laconoscenza degli ecosistemi e degli ambienti di vita delle altre specie èseveramente condizionata dai limiti percettivi degli ecologi. L’ecologia delsecondo Novecento ha dovuto concentrarsi su problemi applicativi di enormecomplessità: boom demografico, inquinamento, crisi climatiche e delladisponibilità d’acqua, erosione della biodiversità di specie di interesseagronomico o ittico, alterazione degli ecosistemi, insorgenza di nuove patologiemediche e veterinarie, estinzione. Oggi molti dei problemi affrontatidall’ecologia scientifica intercettano questioni economiche e politiche.

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���Ottocento, Storia: Le trasformazionidell’ambiente fisico

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stessa specie. Tenendo conto che le specie note alla scienza si aggi-rano come minimo attorno ai 2 milioni, si deduce che lo spazio tas-sonomico e quello ambientale indagato dall’ecologia sono estrema-mente lacunosi. Ambienti come quelli delle profondità oceaniche,delle alte quote, dei grandi fiumi tropicali, della volta forestale, del-le grotte, sono di difficile accesso e si conosce pochissimo dei lorohabitat e delle specie che li popolano. L’analisi statistica dei datiecologici può essere molto sofisticata e così pure sono i modelli disimulazione di fenomeni intrattabili sperimentalmente e i modellimatematici, deterministici o probabilistici, a carattere predittivo. Ilsostegno dell’informatica è indispensabile; lo stesso vale per l’uso distrumenti e tecnologie che vanno dai semplici termometri ai satelli-ti da telerilevamento ai correntometri ai batiscafi, ecc. La fase de-scrittiva dell’ecologia è lontana dall’essere compiuta.

Parole, concetti, teorieSebbene il termine sia stato coniato in tedesco (Ökologie) dal bio-logo Ernst Haeckel (1834-1919) nel 1866, molto prima che l’ecolo-gia si rendesse autonoma dalla botanica e dalla zoologia, la maggiorparte dei teorici ha parlato e parla angloamericano. Attraverso mol-ti autori, da Haeckel che cita la darwiniana economia della natura,agli ecologi sperimentali di popolazione come Thomas Park (1908-1968), al limnologo e teorico George E. Hutchinson (1903-1991),l’influenza di Darwin – soprattutto relativamente al concetto di se-lezione naturale – sul pensiero ecologico è assolutamente pervasivaa livello organismico, popolazionale e biocenotico, meno sentita, in-vece, a livello ecosistemico. Mancando, quindi, una specifica teoriagenerale dell’ecologia, l’unica teoria generale disponibile rimanequella della selezione naturale, anche se poi questo non implica al-cuna integrazione automatica delle conoscenze ecologiche conquelle genetiche. Tipicamente, l’ecologia studia i rapporti tra gli organismi e il loroambiente; sotto alcuni aspetti essa è l’erede moderna della più anti-ca storia naturale degli organismi; moderna perché affianca allo stu-dio qualitativo degli ottocenteschi “costumi” di animali e piante ladescrizione quantitativa e l’analisi causale dei fenomeni studiati.Una sua caratteristica, rivelata dalla radice comune ai due terminieconomia-ecologia, è l’interesse per la dimensione economica dellanatura: attenzione manifestata attraverso l’elaborazione di stimequantitative dell’efficienza ecologica. Stimare il rapporto tra lequantità di materia vivente prodotta e i costi di produzione è unasfida per gli ecologi. Quando, per esempio, dopo molti decenni dilavoro si riesce a dimostrare che gli ecosistemi più efficienti ai tro-

pici sono le foreste pluviali mentre nei climi temperati sono i laghie gli stagni, tutti gli studiosi di ecologia hanno la forte consapevo-lezza di avere compiuto un progresso importante. Storicamente unodei contributi paradigmatici della nascente ecologia è l’idea deter-ministica e finalistica di Frederich Edward Clements (1874-1945)secondo cui le cenosi si comportano analogamente a superorgani-smi, di cui le popolazioni sono loro organi. Per Clements (1916),botanico del Nebraska, le cenosi, al pari degli organismi, sono do-tate di omeostasi e, come quelli, si sviluppano nel tempo maturan-do attraverso la successione ordinata di stadi culminanti nel climax(la cenosi terminale della serie in equilibrio con l’habitat). All’op-posto, nel 1926, Henri A. Gleason (1882-1975) dell’Università del-l’Illinois concepisce probabilisticamente le cenosi come associazio-ni opportunistiche, casuali e temporanee, di popolazioni di specie;Gleason è contro l’approccio olistico alle cenosi: sono individuipiuttosto che classi. Negli stessi anni in Inghilterra Arthur G. Tansley (1871-1955), fon-datore del “New Phytologist” (1902), della British Ecological So-ciety (1913) e del “Journal of Ecology” (1917) è favorevole a unaconcezione quasi organismica delle cenosi e degli ecosistemi, ed èconvinto che le successioni ecologiche possano essere progressivequanto regressive, quindi non destinate all’equilibrio. Nel 1925 conElements of physical biology, dell’americano Alfred James Lotka (1880-1949), che tratta di demografia, cicli di nutrienti e flussi dienergia, nasce il primo libro di ecologia teorica. L’anno dopo, Ray-mond Pearl (1879-1940) fonda la rivista “The Quarterly review ofBiology”, inaugurando il primo numero con un articolo, poi diven-tato celeberrimo, di rassegna della crescita demografica di popola-zioni di lievito, drosofile e uomo. Di solito si fa coincidere con quel-la data la “riscoperta” dell’equazione logistica del matematico bel-

Un esempio di degrado ambientale,Sardegna

� �La biocenosi

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La biocenosi è un insieme di popolazioni vegetalie animali che vivono in una medesima area. Si trattainsomma della parte vivente di un ecosistema. Le spe-cie che costituiscono la biocenosi sono legate le unealle altre da complesse relazioni trofiche, cioè ali-mentari: di solito infatti in una biocenosi si trovano or-ganismi produttori di sostanze organiche, organismiconsumatori e organismi decompositori. I primi sonoi vegetali che grazie alla clorofilla sintetizzano gluci-di ricchi di energia e altre sostanze. I consumatori diprimo ordine sono gli animali erbivori, i consumatoridi ordine superiore sono i carnivori e i parassiti. De-compositori sono i microrganismi che, nutrendosi de-gli organismi morti, scindono le sostanze organiche li-berando sostanze inorganiche. Attraverso questo cicloi singoli elementi e composti chimici circolano nel

mondo vivente per poi tornare nel mondo inorganico.L’organizzazione di una biocenosi, dunque, potrebbeessere paragonata a quella di un enorme organismo,in cui tutte le attività metaboliche interagiscono inmodo ordinato.

Al pari di un organismo, poi, una particolare bio-cenosi acquisisce infatti caratteristiche proprie chevanno al di là delle caratteristiche dei singoli individuie delle popolazioni che la compongono, ma dipen-dono piuttosto dall’interazione fra le diverse speciepresenti. Questo concetto è fondamentale per l’ecolo-gia applicata e fornisce linee guida per la gestione del-le popolazioni: secondo questa visione, il controllo diuna certa popolazione, animale o vegetale che sia,non va attuato agendo solo su quella popolazione masull’intera comunità.

Scienza e tecnologia � “Conosci te stesso”: l’organismo e l’ambiente, la salute e la malattia

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ga Pierre-François Verhulst (1804-1849) risalente al 1838 (ispirata-gli a sua volta dal suo maestro Adolphe Quetelet (1796-1874) e l’i-naugurazione di un nuovo campo di ricerche. Anni prima, nel 1908,il fisiologo e biochimico australiano Thorburn Brailsford Robertson(1884-1930) aveva però già pubblicato articoli in cui venivano ri-portati i dati di Quetelet e veniva introdotta la curva logistica, cheRobertson chiama autocatalitica; Pearl conosceva questi articoli e liaveva anche molto criticati. L’idea universale e astorica della curva logistica è che qualsiasi po-polazione – a qualsiasi specie appartenga, non importa se di batteriprotisti funghi vegetali animali – nelle prime fasi della propria cre-scita aumenta di numero seguendo una legge matematica descrivi-bile mediante una curva di cui è nota la funzione. Nella logistica c’èpoi l’idea che il massimo numero di individui della popolazione chepuò mantenere un equilibrio nell’ambiente non dipende dalle ca-ratteristiche della popolazione, ma solo dal contesto ambientale,cioè dalla sua capacità di sostenere la popolazione: è la nozione dicapacità portante dell’ambiente. Tutta l’ecologia dei rapporti tra lespecie – dalle equazioni di competizione, a quelle sulla predazione,al principio di esclusione competitiva di Volterra-Gause – è statasviluppata a partire dall’equazione di Pearl-Verhulst.Nel 1927 in Inghilterra Charles Elton (1900-1991) pubblica Animalecology dove, oltre a sostenere l’autoregolazione demografica, si oc-cupa del rapporto tra livelli trofici dell’ecosistema, cioè tra tuttiquegli organismi che nella catena alimentare si nutrono della stessatipologia di cibo (piante, erbivori, carnivori, sostanze inorganiche),e distribuzione delle biomasse, cioè delle masse di organismi pro-dotte da un ecosistema in un dato periodo, tra i livelli. Altrove ven-gono affrontate altre differenti questioni ecologiche: nello stesso an-no lo svizzero Josias Braun-Blanquet (1884-1980) pubblica Pflan-zensoziologie il trattato di riferimento della scuola fitosociologica diZurigo-Montpellier. Intanto nel 1926 il fondatore della biogeochi-mica, il russo Vladimir I. Vernadskij (1863-1945) elabora una con-cezione globalistica e panecologica del nostro pianeta, conia la pa-rola biosfera, riconosce che tra i processi più importanti della bio-sfera c’è la produzione di materia vivente, reputa fondamentale –anche per ragioni applicative – riuscire a stimare l’ammontare dellerisorse organiche del pianeta. Vernadskij conosce i lavori di Lotka eli cita; Lotka citerà i suoi; entrambi concordano su una visione del-l’ecologia che solo anni dopo verrà chiamata sistemica. Al loro pun-to di vista si rifarà, mezzo secolo dopo, il rumeno Nicholas George-

scu-Roegen (1906-1994) pioniere dell’economia ecologica, olisticaed ecocentrica. Da metà degli anni Venti alla fine degli anni Trentamatura l’ecologia teorica; oltre a Lotka tra i principali contributoritroviamo il matematico italiano Vito Volterra (1860-1940), il mate-matico Vladimir A. Kostitzin (1882-1950), e il microbiologo GiorgiF. Gause (1910-1986), entrambi russi, e gli australiani AlexanderJohn Nicholson (1865-1969) e Victor Albert Bailey (1895-1964). Il più importante concetto dell’ecologia scientifica è quello di eco-sistema; il termine venne coniato dall’ecologo vegetale ingleseArthur Tansley nel 1935 e sette anni più tardi implementato quan-titativamente dal limnologo americano Raymond Lindeman (1915-1942). È su questo concetto, portato al successo nel 1953 dal più fa-moso dei trattati di ecologia, Fondamenti di ecologia di Eugene P.Odum (1913-2002), che si fonda l’autonomia dell’ecologia comescienza. Tutta l’ecologia è impregnata di pensiero sistemico, moltoessa deve alla teoria dei sistemi di Ludwig von Bertalanffy (1901-1972), alla cibernetica di Norbert Wiener (1894-1964) degli anniCinquanta e Sessanta e, più di recente, alla teoria del caos e dellacomplessità. I pattern (campioni) e i processi derivanti dall’interazio-ne tra individui, popolazioni, specie e comunità all’interno di paesag-gi sono al centro degli studi attuali dell’ecologia. Queste interazioni

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L’ecologia: aspetti scientifici e problemi di conservazione

Operazioni di smaltimento di rifiutiradioattivi

���Ottocento, Scienza etecnologia: Charles Darwin,Il secolo dell’evoluzione

� �Nicchia ecologica

� �

Il termine nicchia (niche in inglese) viene intro-dotto la prima volta nel 1910 dall’americano Ro-swell Hill Johnson in un lavoro dedicato alla colora-zione delle coccinelle. La seconda volta la parolaviene impiegata nel 1914 da Joseph Grinnell (1877-1939) in uno studio sui mammiferi e gli uccelli delbasso corso del fiume Colorado. Il termine, che nonha ancora connotazioni tecniche, presenta il generi-co riferimento spaziale al luogo dove si può trovareun animale. Il processo di tecnicizzazione prose-guirà in successivi lavori di Grinnell ove è chiaro chei referenti della nicchia diventano le relazioni di or-dine funzionale (quello che la specie fa nella comu-nità, il suo ruolo) piuttosto che le variabili di tipospaziale (dove la si può trovare, il suo posto fisico).Il riferimento alla componente biocenotica (le rela-zioni con le altre specie) è esplicita nei lavori diCharles Elton. Con la teoria della nicchia elaborata

in più riprese da G.E. Hutchinson – un ecologo diorigine britannica ma radicato a Yale e maestro diuna schiera di illustri studiosi tra cui i fratelli EugeneP. e Howard T. Odum (1924-2002), Raymond Linde-man, Rachel Carson, Robert MacArthur (1930-1972), Lawrence Slobodkin (1923-) – si precisa fi-nalmente l’idea che la nicchia ecologica, in quanto“spazio occupato da una specie”, rimanda allo spa-zio astratto delle rappresentazioni matematiche enon di certo a una porzione dell’ordinario spazio fi-sico-empirico dell’habitat. Nel 1957 durante i Con-cluding Remarks del simposio di biologia quantitati-va di Cold Spring Harbor, Hutchinson formalizzeràla nozione di nicchia servendosi del principio diesclusione competitiva: “nicchia è l’espressione del-la risposta di una popolazione in un iperspazio a n-dimensioni, descritto dall’insieme di tutte le Xn va-riabili, fisiche e biologiche”.

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Scienza e tecnologia � “Conosci te stesso”: l’organismo e l’ambiente, la salute e la malattia

formano complesse reti (la nozione di rete è centrale in molte scienzedi fine Novecento), oggetto di intensa ricerca nell’ambito della teoriadella complessità, dell’informatica e della meccanica statistica. Oltread avere stabilito rapporti con le scienze dure di tipo fisico-matema-tico, per il suo approccio sistemico e globalistico, l’ecologia conservaintatti i legami con le altre scienze naturali e con la biologia e manife-sta più di un’apertura verso le scienze umane attraverso l’economia,l’antropologia, la geografia. Un’esame ravvicinato merita la nozionedi nicchia ecologica.

Ecologia e società: uno studio del secondo NovecentoNel secondo Novecento l’interesse per le modificazioni ambientali,il rapido degrado, l’esplosione demografica della nostra specie equindi per i correlati problemi alimentari e di inquinamento, ha in-fluito pesantemente sugli sviluppi dell’ecologia promuovendo certitemi con forte impatto sociale, spesso a scapito di altri forse anchepiù interessanti sotto il profilo schiettamente scientifico. Nei Paesioccidentali economicamente più ricchi, gli ecologi sono stati prestochiamati a consigliare i politici in molte occasioni in cui erano inballo questioni ambientali. La nascita dell’ambientalismo pos-tbellico può essere fatta risalire al 1962, quando con la pubblicazio-ne Silent Spring Rachel Carson (1907-1964) denuncia i nefasti effet-ti ambientali del DDT e di altri pesticidi, criticando anche l’idea diprogresso tecnico-scientifico. Da allora l’interesse del pubblico ver-so le conoscenze dell’ecologia scientifica si è andato restringendo afavore del richiamo dell’ecologia applicata orientata a studiare gliimpatti dell’inquinamento e di altri stress sulla struttura e il funzio-namento degli ecosistemi. Naturalmente, si potrebbero fare moltissimi esempi di impatto am-bientale, ma una lista delle principali macrocategorie può bastare arendere l’idea: inquinamento dell’aria, contaminazione da elementitossici, acidificazione, inquinamento da petrolio, eutrofizzazionedelle acque, presenza di pesticidi, deforestazione, perdita di biodi-versità, effetti ecologici delle guerre. L’azione antropica ha una taleinfluenza sull’ambiente che oramai esistono protocolli standard diriferimento e un apposito settore dell’ecologia applicata specializ-zato nella previsione degli effetti derivanti da interventi come l’a-pertura di un’autostrada, l’edificazione di un complesso industria-le, la costruzione di una diga foranea, la posa sul fondo marino dicondutture e cavi. La finalità della Valutazione a priori dell’Impat-

to Ambientale (VIA) di un intervento antropico è quella di offrireeventuali alternative per l’ottimizzazione del progetto rispetto agliinevitabili danni arrecati all’ambiente. Nel 1969 gli Stati Uniti sonostati il primo Paese a legiferare adottando l’obbligo di una proce-dura di VIA; in Italia le prime norme sulla VIA risalgono al 1986.Visto che dipendiamo dagli ecosistemi per l’aria, l’acqua, le materieprime, il cibo, le medicine e altri beni e servizi, quello che è danno-so per la biodiversità è quasi sempre dannoso per la nostra specie.Se l’uomo comune difficilmente si rende conto di questa dipenden-za, invece essa è chiarissima agli esperti di conservazione. L’ecolo-gia, o meglio la biologia della conservazione combina molte compe-tenze settoriali per fronteggiare la crisi della biodiversità e più in ge-nerale quella ambientale. Questo obiettivo viene perseguito sia va-lutando gli effetti dell’attività antropica su specie, biocenosi ed eco-sistemi, sia elaborando procedure capaci di prevenire l’estinzionedelle specie. Dato che la causa principale della crisi ecologica deri-va dall’impatto umano, è diventato indispensabile modificare cul-turalmente i comportamenti delle persone nei confronti della natu-ra. Solo in casi eccezionali è possibile ricorrere a degli strumenticoercitivi come leggi restrittive delle libertà personali e particolar-mente punitive. Nella maggioranza dei casi la società ricorre allamobilitazione di conoscenze antropologiche, sociologiche, econo-miche e geografiche per veicolare la cultura ecologica e program-mare azioni di sensibilizzazione e di educazione alla difesa e allaconservazione delle specie e degli ecosistemi. Come gran parte del-l’ecologia applicata, anche la biologia della conservazione si pre-senta come una disciplina dell’emergenza, visto che è assai ricor-rente che qualche Paese del mondo debba decidere su temi criticidi conservazione con pressante urgenza e disponendo di solito diinformazioni largamente insufficienti.

La cultura della conservazioneSono decine di anni che nei Paesi occidentali c’è la consapevolezzadi dover conservare la diversità biologica e gli ecosistemi. Natural-mente questa consapevolezza non è una prerogativa né dell’Occi-dente né dell’approccio scientifico alla natura in quanto in tutto ilmondo si trovano credenze religiose e filosofiche i cui precetti det-tano la protezione della natura. Negli Stati Uniti, in particolare, lacultura del rispetto della natura e della sua conservazione è molto an-tica e si può dire che sia nata ben prima che fosse elaborata dall’eco-logia scientifica. Pensatori e profeti del pensiero ecologico e dell’a-zione ecologista come Ralph Waldo Emerson (1803-1882) poeta e fi-losofo di una visione romantica della natura con finalità moralistichee utopistiche, Henry David Thoreau (1817-1862) sostenitore di unavisione arcadica e sensuale ove la natura è animata e governata dauna forza vitale, John Muir (1838-1914) fondatore nel 1892 della pri-ma organizzazione conservazionista, il Sierra Club, e quindi ritenutoil padre del movimento ecologista, Aldo Leopold (1887-1948) cheper primo elaborò l’idea di risorsa ambientale, applicandola alla sel-vaggina, e stabilì i fondamenti scientifici della gestione razionale del-le fauna selvatica, sono altrettanti precursori del moderno pensieroconservazionista. Una prospettiva tardo novecentesca (1979) è of-ferto dall’idea del biofisico James Lovelock (1919) e della biologaLynn Margulis (1938), conosciuta come ipotesi Gaia secondo cui laTerra con tutto l’insieme dei suoi ecosistemi abbia le proprietà di unsuperorganismo e che, in quanto tale, sia capace di interagire e di re-golare lo stato dell’atmosfera e del clima. Già agli albori della tradi-zione conservazionista coesistono perciò posizioni di intransigenzanei riguardi dell’ambiente con posizioni che, con un occhio all’eco-nomia, hanno come obiettivo la gestione razionale degli ecosistemi

Gli effetti delle piogge acide sugli alberidi una forestaLe specie forestali coinvolte nel problema delle piogge acidesono numerose e alcune di esserivestono una grandeimportanza produttiva epaesaggistica. Tra queste sitrovano l’abete bianco, l’abeterosso, il pino silvestre, il faggio e molte specie di conifere e latifoglie.

���Novecento*, Storia:Ambiente e ambientalismo,La demografia

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naturali. Da queste posizioni gestionali deriva il moderno concettodi sviluppo sostenibile, risalente al 1987, definito come quella formadi sviluppo che soddisfa i bisogni primari del presente, senza com-promettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propribisogni. Questa idea (espressa dal rapporto Brundtland della Com-missione mondiale dell’ONU per l’ambiente e lo sviluppo) si basasull’assunto che possa esistere un modello economico capace di sod-disfare contemporaneamente tre requisiti: i bisogni della popolazio-ne globale in crescita, l’incremento del tenore di vita dei Paesi delTerzo Mondo, la riduzione delle interazioni tra sistema produttivo eambiente in maniera compatibile con i cicli della biosfera. Attual-mente l’entusiasmo che aveva accompagnato la nascita del concettodi sviluppo sostenibile si è molto attenuato e sono in aumento le cri-tiche alla sua inconsistenza teorica, e alla debolezza di alcune pre-messe come l’inesauribilità delle risorse naturali. Voci critiche si le-vano contro l’idea stessa che l’ambiente sia una risorsa, qualcosa dapotere sfruttare e non piuttosto un bene da tutelare.

EstinzioniLa ricerca ha dimostrato che l’estinzione non avviene a caso ma col-pisce certe specie più di altre. L’identikit delle specie maggiormen-te minacciate contempla l’appartenenza a livelli trofici alti, la bassadensità di popolazione, un lungo periodo di gestazione nei mammi-feri e una piccola area di distribuzione geografica. Purtroppo oggile specie di animali che possiedono queste caratteristiche sono nu-merosissime. La perdita di biodiversità di specie fa danni maggioriquanto più filogeneticamente isolate sono le specie che si estinguo-no. Specie, come per esempio il panda gigante, che appartengono abranche evolutive poco ramificate dell’albero della vita, sono più inpericolo di altre e la loro estinzione implica la perdita di interi bra-ni di storia evolutiva. La distruzione degli habitat per scopi agricolio di sviluppo economico, lo sfruttamento di specie per la pesca e lacaccia, l’introduzione volontaria o involontaria di specie esoticherappresentano altrettante cause di modificazioni ambientali nociveagli equilibri degli ecosistemi. Naturalmente, le condizioni geogra-fiche di alcuni territori espongono le specie che li abitano a un mag-giore rischio di estinzione. La teoria dell’equilibrio insulare di Ro-bert MacArthur (1930-1972) ed Edward O. Wilson (1929-) elabo-rata negli anni Sessanta afferma che su di un’isola il numero di spe-cie rimane pressoché stabile, è in equilibrio, quando il tasso di spe-cie immigranti sull’isola eguaglia il tasso di specie che vi si estin-guono. Più piccole sono le isole maggiore è la velocità di estinzione,più lontane esse sono dal continente (o da isole maggiori) minore èla velocità di immigrazione. La teoria prevede che le faune di isolepiccole e lontane dal continente siano caratterizzate da un equili-brio alquanto precario. Questo modello è stato confermato in mol-tissime occasioni, per molte isole e per molti gruppi di organismi.

La teoria sembra purtroppo convalidata anche da dati storici: la co-lonizzazione umana delle isole del Pacifico ha provocato l’estinzio-ne di circa 2 mila specie di uccelli terrestri. L’induzione antropicadell’estinzione è continuata nel Novecento. Similmente alle faune ealle flore delle isole geografiche, anche le specie relegate in ambien-ti ecologicamente isolati, come le parti più elevate delle montagne oi laghi, sono più a rischio di estinzione. Ci sono poi dei gruppi co-me gli anfibi che per specialissime caratteristiche biologiche sonomolto sensibili all’inquinamento e per questo corrono rischi più eprima degli altri. Delle 5.743 specie di anfibi, 1856 (32 percento) so-no già minacciate e altre 1.300 stanno per esserlo (per confronto: ditutte le specie di uccelli ne sono a rischio il 12 percento, dei mam-miferi il 23 percento). Dato che la pelle di rane, rospi e salamandreè altamente permeabile essa è molto sensibile ai cambiamenti deiparametri ecologici dell’habitat incluse le modificazioni nella qua-lità dell’acqua e dell’aria. Questi animali sono stati perciò scelti co-me indicatori privilegiati dello stato dell’ambiente. L’IUCN, che hapromosso insieme ad altre agenzie e società il monitoraggio dellafauna mondiale di anfibi, ha accertato che nelle Americhe e in Au-stralia la scomparsa degli anfibi è dovuta a infezioni fungine con-tratte a seguito dell’inaridimento climatico, mentre in Europa, Asiae Africa ne sono responsabili la distruzione degli habitat, l’inquina-mento e anche la domanda di mercato a scopo alimentare. L’allar-me è a scala mondiale anche se, ovviamente, alcune aree sono piùtoccate di altre; come era prevedibile gli anfibi delle isole tropicalisono i più minacciati, addirittura il 92 percento della fauna di Hai-ti è in pericolo di estinzione. La drammatica situazione degli anfibisuona come un campanello di allarme segnalando che la situazioneambientale è critica a livello mondiale.

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L’ecologia: aspetti scientifici e problemi di conservazione

���Novecento*, Scienza e tecnologia: Chimica eambiente, La cibernetica e le scienze dell’artificiale, La biodiversità,L’evoluzionedell’evoluzionismo

Vista aerea di un impianto per iltrattamento dei reflui in FloridaLe acque, purificate con unfiltraggio su sabbia, vengono poiutilizzate per l’irrigazione.

� �Teorie del caos e della complessità

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All’inizio degli anni Sessanta, il meteorologo EdwardNorton Lorenz asserì che, per sbagliare completamen-te nel prevedere che tempo farà a Boston, è sufficientetrascurare il battito d’ali di una farfalla a migliaia dichilometri di distanza. Insomma il caos (spesso chia-mato “caos deterministico”) e l’impossibilità di azzar-dare previsioni nel lungo termine non sono caratteri-stiche tipiche solo dei sistemi più complessi, ma anchedi sistemi composti da pochi corpi (ad esempio, ancheil newtoniano sistema Terra-Sole). Il comportamentopiù comune in natura segue infatti dinamiche non li-

neari. Si può immaginare cosa questo significhi quan-do, ad esempio, da sistemi tutto sommato semplici sipassa a considerare oggetti ben più complessi, come ilcervello umano. Oltre che con la complessità dinami-ca, che mette in gioco la possibilità di prevedere il fu-turo, è inoltre inevitabile fare i conti con la complessitàcosiddetta strutturale, che comporta l’impossibilità didescrivere esaurientemente sistemi complessi riducen-doli a un’estrapolazione di poche proprietà dei lorocomponenti: a ogni livello di complessità, infatti,emergono nuove proprietà e comportamenti diversi.

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La nascita dell’etologiaL’etologia moderna nasce nel Novecento, ma il termine etologia, alpari di ecologia, è tuttavia più antico della disciplina stessa e vieneimpiegato la prima volta in ambiente francese da Étienne GeoffroySaint-Hilaire (1772-1844) e da suo figlio Isidore (1805-1861) cheper primo lo intende modernamente come studio naturalistico del-le abitudini e degli istinti. Nel 1902 la parola compare in inglese inun saggio dello studioso americano di formiche William MortonWheleer (1865-1937).Guardando alla storia degli studi sul comportamento si possonoschematicamente rintracciare tre grandi filoni di ricerca, diversi perla visione d’insieme, per le domande formulate, per le specie ani-mali utilizzate, le tecniche e i metodi impiegati. Due di essi, la psi-cologia comparata e l’analisi neurofisiologica, derivano da una stes-sa radice filosofica: il meccanicismo riduzionista cartesiano. La ter-za, cioè l’etologia naturalistica, è un’applicazione del metodo com-parativo allo studio naturalistico del comportamento, interpretatoin termini evoluzionistici. Va subito detto però che questi tre ap-procci non sono in effetti mai del tutto completamente separati; lapsicologia comparata dell’Ottocento per esempio è spesso sensibilealla teoria darwiniana e nella moderna etologia si fa ricerca sui mec-canismi nervosi che stanno alla base dei comportamenti stereotipa-ti. Molti studiosi dell’Ottocento, dalle provenienze più diverse, siinteressano in termini puramente speculativi o attraverso l’osserva-zione e la sperimentazione della psicologia e del comportamentoumani, e molti di loro anche di quelli animali. Le riflessioni di filo-sofi come John Stuart Mill (1806-1873), Herbert Spencer (1820-1903), e le osservazioni e le conclusioni di psicologi come Alexan-dre Bain (1818-1903), di biologi come Charles Darwin (1809-1882),Thomas Huxley (1825-1895), George Romanes (1848-1894) condi-vidono l’idea sostanziale di continuità evolutiva tra l’uomo e gli al-tri animali. Grande sostenitore dell’etologia è il naturalista franceseAlfred Giard (1846-1908), evoluzionista lamarckiano, anche se nonmancano in Francia e nello stesso periodo antievoluzionisti comeJean-Henri Fabre (1823-1915) che pure è un grande precursore del-l’etologia di campagna. I suoi metodi di osservazione sono estrema-mente efficaci sia per la straordinaria acutezza osservativa sia per lacapacità di estrarre l’essenziale da comportamenti complessi (rico-nosce per primo l’esistenza dei comportamenti stereotipati), anchese la sua posizione rimane decisamente antievoluzionista. Nell’ulti-ma parte dell’Ottocento e nel primo ventennio del Novecento, in uneterogeneo intreccio di figure, problemi ed esperienze, si accumu-

lano nuove conoscenze sul comportamento e maturano le condizio-ni culturali che negli anni Trenta e Quaranta daranno origine allaetologia moderna come la si intende comunemente: l’etologia diKonrad Lorenz (1903-1989) e di Nikolaas Tinbergen (1907-1988).Tra questi studiosi che contribuiscono a preparare la nascita dell’e-tologia vanno ricordati Douglas Spalding (1840-1877) geniale auto-didatta che indaga sperimentalmente sugli istinti; lo psicologoConwy Lloyd Morgan (1852-1936) specialmente attivo nella psico-logia comparata; il fisiologo della riproduzione Francis Hugh AdamMarshall (1878-1949), eccellenti etologi dilettanti conoscitori delcomportamento degli uccelli come Edmund Selous (1858-1934);zoologi professionisti come Julian Huxley (1887-1975), Charles O.Whitman (1842-1910), Jacques Loeb (1859-1924) che elabora l’i-dea dei tropismi; Wallace Craig (1876-1954) analista del comporta-mento appetitivo, William M. Wheeler che scopre la trofallassi (loscambio di cibo liquido) negli insetti sociali; Oskar Heinroth (1871-1945) che impiega gli schemi comportamentali come caratteri omo-logici nella ricostruzione delle parentele tra specie di uccelli; Jakobvon Uexküll (1864-1944) che è anche tra i principali fondatori del-la fisiologia degli invertebrati e infine Karl von Frisch (1886-1982)grande studioso della comunicazione nell’ape da miele. Nel 1973von Frisch, Lorenz e Tinbergen ricevono il Nobel per la fisiologia ela medicina.

Lorenz e TinbergenLe ricerche di Lorenz si basano principalmente sull’osservazione di-retta di uccelli. L’etologo austriaco infatti vivendo insieme ad ana-

L’etologia di Saverio Forestiero

Il comportamento è la proprietà degli organismi animali che collega la lorofisiologia alla loro ecologia, e rappresenta grazie a precisi movimenti coordinatila forma con cui si esprime il legame tra il sistema nervoso e l’ambiente.L’etologia, la scienza che studia il comportamento, investigando sulle suecomponenti innate o apprese, sulla sua ontogenesi individuale e sui vincolifilogenetici, mette direttamente a tema e senza pregiudizi il dibattito natura-cultura. Lo fa su base osservativa e sperimentale sia sul campo sia in laboratorio;i suoi risultati contribuiscono a una conoscenza più precisa e attendibile dellanatura degli animali e dell’uomo.

Konrad LorenzKonrad Lorenz (1903-1989),zoologo austriaco, premioNobel per la medicina nel 1973. Lorenz è considerato ilfondatore della modernaetologia scientifica, definitacome ricerca comparata sulcomportamento.

���Ottocento, Scienza etecnologia: Charles Darwin,Il secolo dell’evoluzione

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���Novecento*, Scienza etecnologia: La biochimica,La psichiatria, Lasociobiologia, L’ecologia:aspetti scientifici e problemidi conservazione,L’evoluzionedell’evoluzionismo

tre, oche e taccole, libere di muoversi e di interagire con altri indi-vidui – Lorenz compreso – dentro e fuori casa, è facilitato nell’os-servazione dello sviluppo, giorno dopo giorno, di moduli compor-tamentali che si esprimono spontaneamente senza alcun apprendi-mento. Questa spontaneità è garantita dall’isolamento dei pulcinirispetto agli adulti della specie. L’oggetto delle prime ricerche diLorenz è perciò lo schema motorio innato di cui egli riconosce la na-tura spontanea; diversamente da quanto sostenuto nella teoria clas-sica del riflesso, secondo la quale uno schema motorio fisso si ma-nifesta come risposta a uno stimolo. Altre sue ricerche riguardanola natura degli stimoli chiave (ad esempio la colorazione rossa ven-trale dei maschi dello spinarello, una specie territoriale, che scatenanel maschio un comportamento aggressivo), stimoli che induconorisposte nell’individuo indipendentemente dall’effettivo vantaggioche offrono nella concreta situazione reale (lo spinarello reagisceanche contro sagome di varia forma purché con la parte inferiore-ventrale colorata di rosso). La scoperta per cui Lorenz è diventatofamoso è quella dell’imprinting (Prägung, in tedesco). Altri autoriprima di lui (Spalding sui pulcini del pollo domestico ed Heinrothsui piccoli dell’oca, per esempio) avevano osservato l’esistenza diapprendimento nelle primissime fasi di vita degli animali, ma fu Lo-renz nel 1935 a caratterizzarne le modalità, a osservarne la genesi inmolte specie di uccelli e a dimostrarne il valore evolutivo. L’imprin-ting si può realizzare solo durante una finestra temporale limitata eprecoce (dalle prime ore dopo la schiusa ai primissimi giorni di vi-ta), ed è un apprendimento irreversibile. Gli esperimenti hanno di-mostrato che negli uccelli questo attaccamento allo stimolo si mani-

festa tipicamente come reazione dei piccoli a seguire (imprinting fi-liale). L’innesco può essere fornito da molti stimoli diversi: zimbellidi adulti della propria specie e di specie simili, esseri umani, ogget-ti vistosi, suoni determinati. Lo studio dell’imprinting ne ha messoin risalto ulteriori caratteristiche: in primo luogo l’apprendimento sirealizza anche laddove non vi sia premio; l’influenza dello stadio ge-nerale di sviluppo individuale e delle esperienze postschiusa; gli ef-fetti nell’adulto sulle preferenze sessuali in quanto facilita l’appren-dimento di tratti sopraindividuali che sono specie-specifici, il fattoche l’imprinting può essere relativo al cibo, al canto, all’habitat. Lo-renz dimostra sperimentalmente, e i lavori di altri dopo di lui lo con-fermano, che lo sviluppo ontogenetico di un modulo comporta-mentale si realizza attraverso un processo la cui efficacia miglioragradualmente: in certi momenti mediante l’apprendimento, in altrigrazie alla maturazione della componente istintiva. Quest’ultimo fe-nomeno, in particolare, dimostra in molti casi la problematicità diuna netta opposizione tra natura e cultura: infatti molti comporta-menti innati, a forte determinazione genetica, se sono complessi,hanno bisogno per esprimersi compiutamente del contributo diinformazione proveniente dall’ambiente. Una sequenza comporta-mentale come la costruzione di un nido, per esempio, consiste nel-l’integrazione della componente innata con quella acquisita.Niko Tinbergen è invece un etologo spiccatamente sperimentale,famoso per la sua grande capacità di progettare eleganti esperimen-ti in natura. Sebbene sia olandese di nascita e di formazione, lavoraper la maggior parte del tempo in Inghilterra dopo un periodo tra-scorso in Austria, ad Altenberg, presso Lorenz. Tinbergen affrontalo studio degli stimoli scatenanti utilizzando l’osservazione dei gab-biani; in seguito si rivolge agli imenotteri, (negli stessi anni in cuivon Frisch lavora al linguaggio della danza delle api). Tinbergenadotta un approccio evoluzionistico ai segnali e alla loro ritualizza-zione; getta poi le basi della cosiddetta ecologia comportamentaleinaugurando gli studi sui meccanismi che guidano il comportamen-to degli uccelli predatori. I suoi studi dimostrano che esiste un pro-cesso di prova ed errore che sfocia in un adattamento ecoetologicodel predatore e che tale adattamento retroattivamente ne modificail comportamento esplorativo; essi indicano, inoltre, l’esistenza diuna scelta attiva della preda del tutto indipendente dalla sua sem-plice abbondanza nell’ambiente.

Psicologi ed etologiaNel Novecento gli studi neurofisiologici del comportamento sonocaratterizzati in particolare dalla riflessologia fondata e sviluppatada Vladimir Bechterev (1857-1927) e da Ivan Petrovic Pavlov (1849-1936) che tende a ridurre il comportamento a un complessogioco (catena) di riflessi condizionati e non. E mentre alcuni psico-logi animali, come il vitalista olandese Johan A. Bierens de Haan

Un etologo osserva un esemplare dipappagallo grigio africano (Psittacuserithacus) Il pappagallo gioca con uncomputer nell’ambito di unaricerca condotta presso ilMassachusetts Institute ofTechnology (MIT), aCambridge. Il pappagallo èstato addestrato a interagire conle immagini sullo schermo e amanipolare una leva dicomando installata sul trespolo.

� �Il tropismo

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Il termine tropismo indica il movimento di unacellula o di un organismo provocato e guidato in unaparticolare direzione da uno stimolo esterno. È positi-vo se il movimento si compie verso lo stimolo, nega-tivo se si compie nel senso opposto. Si tratta di rea-zioni non necessariamente costanti anche all’internodi una data specie, ma che possono variare con l’etàdell’individuo e il suo stato fisiologico (per esempioall’epoca della riproduzione).

Il tropismo può essere provocato da diversi fattori,

che vanno dalla luce alla presenza di un campo elet-trico. Molti insetti e pesci, ad esempio, mostrano unfototropismo positivo, cioè si dirigono verso la sor-gente luminosa; i lombrichi, i millepiedi, i centopiedi,gli scarafaggi hanno invece un fototropismo negativoe fuggono la luce. I parameci hanno un galvanotropi-smo negativo e si dirigono verso il catodo, se vengo-no posti in un campo elettrico. Il reotropismo è il mo-vimento guidato dalla corrente: i pesci che risalgono ifiumi, dunque, dimostrano un reotropismo negativo.

Scienza e tecnologia � “Conosci te stesso”: l’organismo e l’ambiente, la salute e la malattia

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(1883-1958), arrivano a giudicare il comportamento animale nonanalizzabile in termini meccanicistici, oppure pensano come Wil-liam McDougall (1871-1938), che l’animale sia motivato da un in-sieme di attese largamente inspiegabili se non in termini di tenden-ze innate e di pulsioni istintuali ce ne sono altri, come l’associazio-nista Edward Lee Thorndike (1874-1949), inventore del labirintosperimentale, che vedono il comportamento come qualcosa di so-stanzialmente appreso. Thorndike ritiene che l’apprendimento siaguidato da due soli principi: la scelta di atti che danno soddisfazio-ne e il miglioramento attraverso ripetizione delle prove (principi ri-spettivamente noti come legge dell’effetto e legge dell’esercizio).Per il behaviorismo il modello epistemologico di riferimento è for-nito dalle scienze naturali e il comportamento, giudicato dal suofondatore John B. Watson (1878-1958) come l’unica entità osserva-bile teoricamente, viene collegato alla coppia stimolo-risposta. Sulpiano fenomenologico stimolo e risposta corrispondono anche agliunici enti osservabili e quindi sono al centro dell’analisi sperimen-tale; quello che eventualmente intercorre tra lo stimolo e la risposta,in quanto non osservabile, per Watson e i comportamentisti non èdegno di interesse. Le ricerche di Watson danno molto risalto ai fat-tori esterni, al condizionamento ambientale e negano che nel com-portamento si possa conoscere il ruolo dell’istinto, in quanto nonosservabile. Queste posizioni vengono poi adottate e sviluppate inuna solida cornice teorica da Burrhius F. Skinner (1904-1990) chedistingue tra risposta di un organismo a uno stimolo specifico e os-servabile e risposta apparentemente spontanea a uno stimolo nonidentificabile. La risposta di secondo tipo (condizionamento ope-rante) introduce stimoli nell’ambiente i quali con retroazione posi-tiva rinforzano la tendenza alla ripetizione di quel comportamentodi risposta. L’interpretazione di Skinner è che il rinforzo rappresen-tato dalla ricompensa produce a sua volta un condizionamento chetende circolarmente a ottenere la ricompensa; questo significa chel’apprendimento è migliorabile. Diversamente dagli psicologi comportamentisti, gli etologi comeLorenz e Tinbergen respingono il concetto di scatola nera collegatoalla coppia stimolo-risposta e fedeli alla tradizione darwiniana rico-noscono nell’istinto e nell’apprendimento le due componenti co-presenti nella produzione del comportamento. I due approcci mo-strano una differenza sostanziale: il rapporto fra innato e appresoviene ricercato dagli psicologi in laboratorio, mentre l’etologia, inquanto scienza naturale, cerca di mettere a punto un metodo alta-mente rigoroso di descrizione del comportamento. Naturalmente lascelta di studiare il comportamento in natura è perfettamente giu-stificata da un forte interesse negli studiosi darwiniani ed evoluzio-nisti per la funzione biologica del comportamento, più precisamen-te per la valutazione del suo contributo all’adattamento biologico eall’evoluzione delle specie. Lo studio naturalistico, infatti, concepi-sce il comportamento come un qualunque altro carattere biologico(biochimico, morfologico, ecologico): lo descrive, lo sottopone adanalisi comparativa, lo classifica, ne traccia la storia evolutiva. È daquesto approccio che deriva l’idea di applicare il concetto di omo-logia trasferendolo dal campo morfo-anatomico a quello etologico.Riconoscere omologie di comportamento significa osservare lo stes-so modulo fisso di attività (tipicamente presente nella fase finale diun comportamento istintuale) in distinte specie e quindi dedurne,attraverso la conservazione della identità, la parentela. In questomodo l’etologia partecipa alla ricostruzione macroevolutiva dell’al-bero filogenetico della vita animale. Oggi, lo studio filogenetico del

comportamento si concentra sui quattro principali obiettivi indica-ti da Tinbergen. I primi due riguardano le domande sui meccanismicausali e sul come: che cosa determina il comportamento e come sisviluppa nell’individuo. Gli altri due riguardano le domande sullastoria evolutiva e sul perché: qual è stata l’evoluzione filogeneticadel comportamento, qual è il suo contributo alla fitness per cui es-so si è conservato. Le risposte alle domande di Tinbergen non pos-sono che provenire da approcci diversi tra loro. Le risposte sullecause prossime si basano su di un approccio neurofisiologico inte-grato dall’analisi genetica, dalla genetica dello sviluppo e dall’epi-genetica; le risposte sulle cause remote vanno trovate all’internodella teoria dell’adattamento indagando gli aspetti funzionali edecoetologici, e, su base comparativa, indagando le storie evolutivedei taxa.Dopo gli anni Cinquanta lo studio biologico del comportamentoha affrontato la descrizione e l’analisi causale del comportamentosociale negli insetti e nei vertebrati aprendo nuovi spazi di ricercada cui sono scaturite la scoperta di strategie evolutive complesse edei nuovi problemi etologici di cui si occupa la sociobiologia.

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L’etologia

� �La trofallassi

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Il termine trofallassi (dalla parola greca che si-gnifica nutrimento) è usato per indicare un reci-proco scambio di cibo e secrezioni che avviene trai componenti della società di insetti, o tra questi ei loro simbionti. La trofallassi è diffusa, ad esem-pio, tra le formiche e i bombi; le larve di insetto ri-cevono il cibo dalle nutrici e ricambiano fornendola secrezione di un liquido salivare.

Un ittiologo effettua un esperimento di imprinting sui salmoni

���Novecento*, Filosofia: Dal comportamentismo al neocognitivismo

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Teoria dell’evoluzione di Charles DarwinAl Museo di storia naturale diManhattan viene illustrata lateoria evoluzionista di Darwinattraverso l’evoluzione delcranio. Secondo la teoriadell'evoluzione, le specie nonsono immutabili, ma in continuatrasformazione; le specie oggiviventi sono il risultato dellemodificazioni subite da quellevissute in altri tempi e, soggettea cambiamenti di piccola entità,ma numerosi e vari, darannoorigine alle specie del futuro.

L’affermazione della teoria dell’evoluzionismoSe nelle scienze della vita l’Ottocento può essere visto a ragione co-me il secolo dell’evoluzionismo, solo a partire dagli anni Cinquantadel Novecento l’evoluzionismo di derivazione darwiniana si affer-merà come teoria unitaria della biologia, in molti casi divenendo unparadigma esplicativo utile anche in altri campi del sapere: dalla psi-cologia all’economia, dalla sociologia alla medicina, dall’antropolo-gia all’epistemologia. Nel Novecento si adotterà l’approccio evolu-zionistico per spiegare, con un principio causale maggiore, molti fe-nomeni comuni sia ai viventi sia a quei sistemi culturali che dei vi-venti sono un prodotto dinamico. Il principio causale evocato èquello di selezione naturale, la riproduzione differenziale di genoti-pi: un meccanismo anonimo capace di spiegare fenomeni che altri-menti richiederebbero un atto di fede nel soprannaturale, il ricorsoa ipotesi finalistiche. La forza dell’evoluzionismo, come di qualun-que solida teoria scientifica, sta nella sua capacità di misurarsi con idati empirici offrendo riscontri verificabili delle spiegazioni propo-ste. Consapevoli dell’enorme complessità dei sistemi viventi, glievoluzionisti, da Darwin sino ai contemporanei, non hanno maiavanzato pretese di perfezione teorica; al contrario il senso di prov-visorietà e di relativa incompletezza hanno sempre caratterizzato lateoria darwiniana e quella sintetica dell’evoluzione. Questa relati-vità della teoria, tuttavia, e tutte le regolazioni importanti e gli ag-giustamenti che si sono succeduti per includervi le conseguenze discoperte completamente nuove, come quelle collegate agli sviluppi

della biologia molecolare, non ne hanno mai intaccato il cuore. Nelprocesso di evoluzione dell’evoluzionismo rimangono perfettamen-te riconoscibili l’idea darwiniana di discendenza con modificazionee l’identità della teoria della selezione naturale elaborata da CharlesDarwin (1809-1882) e da Alfred Russel Wallace (1823-1913), chesono ancora oggi il cuore e il baricentro della teoria dell’evoluzione.Il principio di selezione continua ad avere lo stesso potere esplica-tivo che aveva per Darwin: selezione naturale è in effetti il nome delmeccanismo che in presenza di variazione (genetica e ambientale)produce l’ordine biologico e giustificandolo ne fonda il significato.Tuttavia va osservato che l’evoluzionismo attuale, in quanto model-

“Conosci te stesso”: l’organismo e l’ambiente,la salute e la malattia

L’evoluzione dell’evoluzionismo di Saverio Forestiero

Nella prima metà del Novecento si elabora nella cosiddetta teoria sinteticadell’evoluzione l’integrazione del darwinismo naturalistico con il mendelismosperimentale di laboratorio. Nella seconda metà del secolo, le conoscenze suimeccanismi genetico-molecolari hanno permesso enormi progressi nell’analisi dellamicroevoluzione, mentre nuove interpretazioni dalla paleontologia e soprattuttonuovi dati dalla genetica dello sviluppo degli anni Novanta stanno spingendol’evoluzionismo a ripensare i nessi tra micro e macroevoluzione. L’evoluzionismocontinua a cambiare e sembra probabile che nel XXI secolo il suo rinnovamentosarà affidato a una nuova, più ampia teoria postsintetica dell’evoluzione.

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L’evoluzione dell’evoluzionismo

lo di spiegazione di dati empirici del mondo vivente, non si riducea selezionismo giacché la moderna teoria dell’evoluzione (in perfet-ta coerenza con quanto sostenuto da Darwin) affianca alla selezio-ne sia altri fattori responsabili dell’evoluzione (mutazione, derivagenetica, migrazione-flusso genico, ecc.), sia nuove nozioni succes-sive a Darwin e ai neodarwiniani. Questo per dire che l’attuale evo-luzionismo non è identico a quello di Darwin e dei suoi seguaci ot-tocenteschi, ma è il frutto di quasi mezzo secolo di ricerca sfociatanella teoria sintetica dell’evoluzione.

Una parola, molte teorieContrapposto al fissismo ancora vivo nel Settecento, sostenitoredell’immutabilità e della costanza delle specie fin dalla loro creazio-ne, l’evoluzionismo concepisce, la modificabilità delle specie e lacomparsa di specie nuove. La sua origine moderna è nell’Ottocen-to e Jean-Baptiste Lamarck (1744-1829), il primo naturalista capa-ce di dimostrare scientificamente l’esistenza dell’evoluzione dellespecie, ne viene riconosciuto come l’autore. Sono però Darwin eWallace a individuare nel principio di selezione il meccanismo espli-cativo dell’evoluzione, dato che Lamarck dell’evoluzione adattativadelle specie aveva fornito una spiegazione errata, basata sull’eredi-tarietà dei caratteri acquisiti. Darwin in particolare elaborò una teo-ria complessa e rifinita dell’evoluzione biologica. Dai tempi diDarwin le scienze della vita sono progredite enormemente e la teo-ria dell’evoluzione è cambiata molto e in molti modi diversi, sicchési sono succeduti o hanno convissuto l’uno accanto all’altro nume-rosi e differenti evoluzionismi. Un primo gruppo di teorie evoluzio-nistiche è quello delle teorie autogenetiche accomunate dall’idea diuna tendenza intrinseca nei viventi al progresso, al loro perfeziona-mento. L’idea di progresso, già presente in Lamarck, si ritrova in molti bio-logi dell’Ottocento e del primo Novecento. Per esempio, verso la fi-ne dell’Ottocento a seguito della scoperta delle cosiddette “serie fi-letiche” di fossili prese piede in America una teoria autogenetica co-nosciuta come ortogenesi; era questo il nome del principio di perfe-zionamento che fu adottato e diffuso nel tardo Ottocento da Theo-dor Eimer (1843-1898), uno zoologo di Tubinga. Tale principio sibasa sull’idea di un’evoluzione lineare delle specie (esemplificatadall’evoluzione sequenziale dell’arto negli antenati del cavallo mo-derno) sostenuta da una forza non fisica, ma da una causa interna,che guida il mondo vivente verso una sempre maggiore perfezione.La visione di un’evoluzione orientata deriva dal lamarckismo, giac-ché la linearità viene interpretata come il risultato operato sui ca-ratteri da modificazioni ambientali, le quali, una volta acquisite ven-gono poi trasmesse alla progenie. Negli stessi anni di nascita del-l’ortogenesi, due studiosi americani, il paleontologo Henry FairfieldOsborn (1857-1935) e lo psicologo James Mark Baldwin (1861-1934), e lo zoologo e psicologo inglese Conwy Lloyd Morgan (1852-1936), elaborano indipendentemente uno dall’altro la teoria dellaselezione organica. Nell’effetto Baldwin (la selezione organica è an-che conosciuta con questo nome) gli individui messi di fronte a unproblema ambientale scelgono la risposta più idonea, compatibil-mente con le loro capacità reattive. Una volta acquisita, la nuovaabitudine (il ruolo del comportamento è centrale nell’effettoBaldwin) modifica il soma. Questo meccanismo non prevede l’ere-ditarietà dei caratteri acquisiti (sebbene Osborne fosse incline a ve-dere nella selezione organica un meccanismo ponte tra la spiegazio-ne lamarckiana e quella darwiniana dell’evoluzione); anzi la teoriaaffida all’eventuale insorgenza di mutazioni e all’azione selettiva lapossibilità di rendere ereditabili caratteri adattativi. Nell’effetto

Baldwin, tuttalpiù, c’è l’idea che l’adattabilità eco-etologica all’am-biente possa stimolare una futura azione della selezione naturale inpresenza di variazione genetica ereditabile, quando questa sarà di-sponibile.Paleontologi come Osborn e il francese Pierre Teilhard de Chardin, (1881-1955) hanno elaborato varianti di evoluzionismo ortogeneti-co rispettivamente noti come aristogenesi e principio omega. La teo-ria del gesuita francese rientra nel suo tentativo di accordare la teo-ria scientifica dell’evoluzione biologica con la dottrina cristiano-cat-tolica; la scienza con la fede. L’evoluzionismo ortogenetico delineal’immagine di una discendenza con modificazione (il cosiddetto “al-bero della vita”) dall’aspetto assai poco arborescente, al contrariodell’evoluzionismo darwiniano, ove la struttura ad albero dell’evo-luzione dei grandi gruppi di organismi manifesta continue ramifi-cazioni (dovute alla nascita di nuove specie) come esito di cambia-menti evolutivi imprevedibili e in qualche modo collegati ai muta-menti dell’ambiente. Coeva e opposta all’ortogenesi è l’ologenesi,un’altra teoria autogenetica, quindi anche essa non darwiniana, na-ta in Italia e accolta favorevolmente in Francia. Il suo autore, lo zoo-logo piemontese Daniele Rosa (1857-1944), assume che ogni speciesi sviluppi “nella sua interezza”. Per Rosa e gli ologenisti la formadell’albero della vita è rigidamente dicotomica e il suo andamentoordinato è dovuto agli effetti delle continue scissioni evolutive at-traverso cui una linea filetica evolve, originando un “ramo precoce”e un “ramo tardivo”. Analogamente a quanto avviene alla cellulache si divide continuamente in due fino ad avere esaurito le sue po-tenzialità, la variante ologenista dell’evoluzionismo ritiene vi sia al-l’interno della specie una causa materiale che ineluttabilmente laobbliga ad evolvere: un’evoluzione che termina con l’esaurirsi dellavitalità della specie. Tutto ciò indipendentemente dal contesto am-bientale. Né Rosa né gli altri sostenitori di teorie evoluzionisticheper cause interne, riescono tuttavia a dimostrare l’esistenza di mec-canismi evolutivi autogenetici. All’inizio del Novecento l’evoluzionismo darwiniano muove già incattive acque e quando vengono riscoperte le leggi di Mendel le suecondizioni di salute peggiorano. I genetisti sperimentali del primoNovecento, infatti, sostengono l’idea che il nucleo della teoria evo-

Rappresentazione grafica della primalegge di MendelLa prima legge di Mendel, detta“della segregazione”, riguarda la trasmissione dei caratteriereditari. Le profondeconoscenze di fisica e dimatematica di Gregor Mendel(1822-1884) gli permisero diconcepire un metodo diindagine sperimentale basatosull'interpretazione dei datinumerici risultantidall'ibridazione, che fu la chiaveattraverso la quale scaturì il verosignificato del meccanismodell'ereditarietà.

Prima legge di Mendel

Genitori

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Scienza e tecnologia � “Conosci te stesso”: l’organismo e l’ambiente, la salute e la malattia

lutiva debba essere rappresentato dalla variazione genetica e nondalla selezione naturale; inoltre siccome la variazione dei caratteristudiati si manifesta attraverso discontinuità ne deducono che, ana-logamente, l’evoluzione stessa non possa che essere nel complessodiscontinua. La mutazione diventava perciò il meccanismo dell’e-voluzione: ed ecco il mutazionismo. Negando il ruolo della selezio-ne naturale e la dinamica gradualista dell’evoluzione, mendelismo emutazionismo sono teorie evoluzionistiche antidarwiniane. Granparte dei biologi sperimentali degli anni Venti e Trenta spiegherà laproduzione di nuove specie e l’adattamento ricorrendo alle muta-zioni del patrimonio ereditario. Inoltre, visto che un punto qualifi-cante dell’evoluzionismo lamarckiano considera le mutazioni di persé adattative, non stupisce che la maggioranza dei genetisti fosse la-marckiana: l’adattamento procede senza bisogno della selezione.Sono antiselezionisti sia genetisti mendeliani e antigradualisti comeWilliam Bateson sia saltazionisti puri come Hugo de Vries: è loroconvinzione che le variazioni di tipo continuo siano troppo piccoleper produrre pressioni selettive significative e che quindi la sorgen-te di variazione per l’evoluzione debbano essere solo le macromu-tazioni. Al contrario, Thomas Hunt Morgan (1866-1945), dopo ave-

re sostenuto per oltre un ventennio posizioni antigradualiste e anti-selezioniste, si converte al gradualismo una volta che constata suDrosophila molti esempi degli effetti evolutivi collegati a mutazionidi piccola entità.

Mendeliani contro biometrici: la nascita della geneticadi popolazioneCon la riscoperta delle leggi di Mendel, i genetisti del primo Nove-cento con una concezione particellare, mendeliania, dell’eredità siconcentrano nell’analisi della variazione genetica che presto indica-no come principale causa del cambiamento evolutivo. A questa po-sizione subito si oppongono i biologi non genetisti di formazionenaturalistica o statistica, non a caso legati a una concezione conti-nuista e adattazionista della variazione e dell’evoluzione. In effetti,mentre i mendeliani possono facilmente osservare nei loro labora-tori la produzione di singole cospicue mutazioni, ai naturalisti mol-to raramente capita altrettanto sul campo. Dunque, mentre i men-deliani danno grande rilievo alla variazione e in particolar modo aquella discontinua assai vistosa, i biometrici giudicano del tuttoininfluente il mendelismo per la teoria dell’evoluzione. I mendelia-ni sostengono che l’evoluzione sia eminentemente discontinua e so-stanziata dalla mutazione; i biometrici, pur sostenendo corretta-mente l’importanza del gradualismo nell’evoluzione, ancora credo-no, erroneamente, che l’eredità avvenga per mescolanza. Il contra-sto appare inconciliabile e specialmente in Gran Bretagna è moltoacceso quando, negli anni Venti, in Inghilterra e negli Stati Unitimatura a opera di Ronald A. Fisher (1890-1962), di John B. S. Hal-dane (1892-1964) e di Sewall Wright (1889-1988) un approccio teo-rico all’evoluzione nato dal dibattito sulla continuità dell’evoluzio-ne (gradualismo) e sull’efficacia della selezione naturale (selezioni-smo). I lavori di Fisher sulla dominanza, il polimorfismo bilanciatoe sul rapporto tra varianza genetica ed evoluzione; quelli di Wrightsugli effetti dell’incrocio, sull’importanza della deriva genetica nel-le piccole popolazioni, sul coefficiente di parentela e sull’interazio-ne tra loci genici; i modelli di Haldane sulla selezione a carico di ge-ni autosomici: tutti questi studi furono alla base della genetica ma-tematica di popolazione, ovviamente insieme al principio di Hardy-Weinberg risalente al 1908. In tre anni consecutivi Fisher (1930),Wright (1931) e Haldane (1932) pubblicano i loro scritti più im-portanti fondando la genetica teorica di popolazione. Il loro lavororiesce a superare i contrasti tra mendeliani e biometrici dimostran-do l’assenza di conflitto tra eredità discreta (posizione mendeliana)e variazione continua (gradualismo) e l’efficacia della selezione na-turale su piccole mutazioni (darwinismo). Ognuno di questi tre au-tori produce un proprio modello matematico che coglie e teorizzasolo alcuni aspetti del processo evolutivo; in qualche caso i modelliproposti possono confliggere e tuttavia la sintesi tra mendelismo edarwinismo viene realizzata a livello teorico dalla genetica. Tuttavia,perché maturi la possibilità di una sintesi tra teoria e prassi e affin-ché essa sia più ampia e transdisciplinare, è necessario, come vedre-mo fra poco, che le previsioni dei singoli modelli di genetica di po-polazione vengano provate sperimentalmente e che le acquisizionidella genetica siano articolate con quelle della sistematica e della pa-leontologia, discipline che a due diverse scale di indagine si occu-pano dei risultati dei cambiamenti evolutivi.

La teoria sintetica dell’evoluzione: l’origine dellabiologia evoluzionistaLa formula “teoria sintetica dell’evoluzione” è coniata dallo zoolo-go inglese Julian Huxley (1887-1975) e compare nella seconda edi-

Rappresentazione grafica della secondalegge di MendelLa seconda legge di Mendelriguarda la trasmissione deicaratteri indipendenti. Inseguito alla scoperta del lavorodi Mendel agli inizi del XXsecolo la genetica ha conosciutoun rapido sviluppo, segno delgrande carattere innovativodelle sue ricerche.

� �Speciazione geografica

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La speciazione geografica è la nascita di unanuova specie come risultato dell’isolamento geo-grafico di un gruppo di individui: esso deve rima-nere separato dal resto della popolazione per unperiodo abbastanza lungo da far sì che la sua co-stituzione genica si differenzi da quella del gruppoparentale al punto di creare difficoltà nell’interfe-condazione. L’isolamento avviene di solito per mo-tivi casuali: alcuni migranti possono raggiungereun’isola senza che vi siano successive migrazioninel periodo successivo, oppure una parte di uncontinente può restare separata dal resto a causa diun innalzamento del livello del mare. Se però nelperiodo critico della differenziazione nella costitu-zione genica avvengono nuove migrazioni, il pro-cesso di speciazione molto probabilmente non sicompleterà.

Seconda legge di Mendel

Genitori

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zione del libro (1963) che egli dedica proprio alla sintesi modernadell’evoluzione, Evolution, the modern synthesis (la prima edizioneè del 1942). Come è risaputo, gli artefici principali della teoria sin-tetica sono: Theodosius Dobzhansky (1900-1975), Ernst Mayr (1904-2005), Julian Huxley (1887-1975), George Gaylord Simpson (1902-1984), Bernhard Rensch (1900-1990), George Ledyard Steb-bins (1906-2000). Lungo un arco di anni che va dal 1937 al 1946,con un’appendice che lo prolungherà fino al 1950, riescono ad arti-colare una serie di acquisizioni disciplinari locali, di genetica, biosi-stematica e paleontologia, in un corpo teorico globale: una teoriaunitaria dell’evoluzione biologica finalmente capace di spiegareun’enorme ed eterogenea quantità di osservazioni e dati sperimen-tali fino a quel momento teoricamente scorniciati. Tra i caratteriprincipali di questa teoria integrata troviamo il gradualismo sia nel-l’adattamento che nella speciazione; l’idea che la variazione è orga-nizzata in un fondo o pool genetico di proprietà della popolazione;il riconoscimento che soggetto dell’evoluzione è la popolazione; laconvinzione dimostrata dai fatti che la selezione è uno dei principa-li fattori di evoluzione nonché l’unica causa dell’adattamento. L’ela-borazione della teoria sintetica inizia nel 1937 con la pubblicazionedi Genetics and origin of the species, un libro dello zoologo e gene-tista russo-americano Dobzhansky dedicato al rapporto tra geneti-ca e origine delle specie, nel quale l’autore discute sul metodo piùidoneo per riunire in un unico quadro teorico dati informazioni econoscenze sull’evoluzione. Dobzhansky stesso è un esempio per-fetto di sintesi ben riuscita tra la visione naturalistica e popolazio-nale della scuola russa e il metodo di ricerca sperimentale della ci-togenetica americana di Morgan di cui, una volta emigrato in Ame-rica, era il 1927, è stato allievo. Nel suo studio, Dobzhansky rico-nosce come fatto di primaria importanza l’esistenza di discontinuitàtra le specie e la necessità di studiarne la genetica della variazione edei meccanismi di isolamento. Il problema della specie nel suo com-plesso, con la dimostrazione che le specie sono entità biologicheconcrete e non enti nominali; l’introduzione del pensiero popola-zionale in biosistematica, lo studio della variazione geografica di-scontinua e di quella continua, l’importanza della distribuzionegeografica allopatrica e di quella simpatrica e finalmente l’indivi-duazione dei meccanismi di speciazione geografica, rappresentano

i contributi di Mayr e di Huxley. Il contributo dello zoologo tede-sco-americano Mayr, in particolare, riguarda soprattutto il proble-ma della specie: statuto ontologico, definizione, origine. Elaboran-do in Systematics and the origin of the species (1942) il concetto bio-logico di specie, Mayr dimostra che la specie è biologicamente rea-le, politipica e pluridimensionale, composta di popolazioni (al limi-te una sola) e che l’appartenenza di una popolazione (l’entità biolo-gica evolvibile) a una o a un’altra specie è stabilita da una relazionedi natura riproduttiva. La grande novità è che tale appartenenzanon costituisce più una proprietà essenziale, immutabile, inerentel’ontologia della popolazione, ma diventa, invece, una proprietà re-lazionale e modificabile nel tempo. La probabilità di successo ri-produttivo varia al passare delle generazioni ed è circolarmenteconnessa al grado di parentela genetica (opportunamente definita)tra le popolazioni. Oltre ad essere stato uno dei grandi protagonistidella teoria sintetica, Mayr si dedicherà anche all’aggiornamento edalla sistematizzazione storico-critica delle conoscenze sull’evoluzio-ne accumulatesi nei decenni successivi. All’epoca della Sintesi, i pa-leontologi sono contrari al darwinismo; tra loro figurano studiosievoluzionisti, neolamarckiani e antilamarckiani, saltazionisti e orto-genisti, ma nessuno di essi accetta il gradualismo selezionista deibiologi. Un’interpretazione diretta della macroevoluzione in termi-ni di analisi genetica è a quest’epoca impossibile, ed anche il pa-leontologo americano Simpson giudica opportuno mantenere di-stinte la teoria della microevoluzione da quella macroevolutiva. Tut-tavia, visto che gli interessa dimostrare la consistenza dell’evoluzio-ne paleontologica con le inferenze della genetica, tenta un’analisicausale della macroevoluzione, non gli basta raccontarla. Nel suoTempo and mode in evolution (1944), opera veramente innovativa,Simpson modellizza dati e informazioni sui fossili ispirandosi allademografia e alla genetica di popolazione, elabora la nozione di zo-na adattativa e ipotizza l’esistenza di una evoluzione quantica, a sal-ti. Nel 1949 compare Factors of evolution: the theory of stabilizingselection, l’importante contributo dello zoologo ucraino Ivan I. Sch-malhausen (1884-1963) e nel 1950 il botanico americano Stebbinscon Variation and evolution in plants estende la teoria sintetica allabotanica chiarendo il peso della poliploidia (ossia della presenza diun numero di cromosomi superiore è diploide, cioè comprende due

Ernst Mayr, 2003Ernst Mayr (1904-2005),ornitologo, biologo e genetistatedesco, professore emerito dizoologia alla HarvardUniversity, fotografato alMuseum of ComparativeZoology. Mayr è considerato ilmassimo studioso delNovecento di microevoluzioneanimale, avendo dedicato granparte della sua ricerca allostudio dei meccanismi chepresiedono alla “speciazione”,cioè alla differenziazione di duespecie da una specie genitrice.

L’evoluzione dell’evoluzionismo

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Scienza e tecnologia � “Conosci te stesso”: l’organismo e l’ambiente, la salute e la malattia

cromosomi per ogni tipo, con la stessa forma e dimensione) e dellaibridogenesi nella speciazione delle piante. Il libro dello zoologo te-desco Rensch sull’evoluzione transpecifica giunge per ultimo, nel1954; sarà tradotto in inglese come Evolution above the species level,nel centenario dell’Origine della specie. Con il passare del tempo lateoria sintetica viene modificata, ma intanto ne cresce la diffusione.Un effetto non voluto ma facilitato da una certa formulazione sche-matica e rigida con cui la teoria circola fuori dal mondo della ricer-ca, una semplificazione che però ne ha favorito la grande diffusioneè costituito dal concetto di adattamentismo, secondo cui ogni ca-rattere costituisce un adattamento. L’adattamentismo è una formadistorta e ipersemplificata della teoria dell’adattamento in cui la se-lezione naturale viene acriticamente assunta come causa di qualun-que fenomeno anche solo apparentemente adattativo. Va ricordatoche prima della nascita della teoria sintetica non esisteva ancora unadisciplina unitaria dell’evoluzione. Qua e là spuntavano spiegazioniper lo più di stampo ottocentesco, darwiniane o neodarwiniane,specialmente quando vi entrava in gioco l’adattamento, ma senza ri-levanti conseguenze teoriche generali. Con la fine degli anni Cin-quanta l’evoluzionismo si arricchisce di una disciplina nuova dedi-cata allo studio dell’evoluzione biologica: è la biologia evoluzioni-stica, un settore di studi che emerge come il prodotto più significa-tivo e duraturo della teoria sintetica dell’evoluzione.

Ai margini della teoria sintetica: fenotipi, sviluppo edevoluzioneNell’arco di tempo che grosso modo va dalla fine dell’Ottocento al-la fine degli anni Cinquanta si succedono una serie di contributi teo-rici ed empirici di grande interesse per la storia dell’evoluzionismo.Queste ricerche sono spesso collegate tra loro e possono essere vi-ste oggi quasi come un tentativo precoce e intempestivo di elabora-re una teoria evoluzionistica a partire dalla morfologia, dalla biolo-gia dello sviluppo, quindi una teoria incentrata sulla macroevolu-zione dei fenotipi individuali piuttosto che sulla microevoluzionedelle popolazioni. Tali ricerche davano anche grande spazio allostudio sperimentale dell’adattamento, soprattutto però a quello po-stgenetico, fisiologico e regolativo, espresso come plasticità indivi-duale sia a livello dell’adulto che dell’embrione in sviluppo. Permolte ragioni tra cui le insufficienti conoscenze dei meccanismi ge-netici e molecolari dello sviluppo (l’embriologia era ancora nella sua

fase descrittiva e la genetica molecolare neanche era nata), gli auto-ri di queste ricerche non giungono a una propria teoria evoluzioni-stica, e sebbene sia loro chiarissimo che la produzione del materia-le fenotipico necessario alla selezione è dovuto ai geni e alla loro ca-pacità di regolare lo sviluppo, l’embriologia praticamente non par-teciperà all’elaborazione della teoria sintetica dell’evoluzione. Gliinterrogativi posti da quegli autori erano (e sono ancora) di grandeinteresse scientifico; ad essi la biologia ha cominciato a risponderesolo nell’ultimo ventennio del Novecento. Nelle ricerche sulle mo-dificazioni dei genotipi e dei fenotipi durante l’evoluzione si po-trebbero distinguere due fasi successive al decennio in cui fu risco-perto Mendel e nacque la genetica, quando il genetista daneseWilhelm Ludvig Johannsen (1857-1927) elabora le nozioni di geno-tipo e di fenotipo e lo zoologo tedesco Richard Woltereck (1877-1944) il concetto di norma di reazione: quello che viene ereditato èla predisposizione a reagire, durante lo sviluppo, in modo specificoa un insieme di situazioni ambientali. Molti biologi degli anni Ven-ti e Trenta dubitavano fortemente che l’origine delle novità morfo-logiche che rendono differenti le varie classi di animali e di piantepotesse essere spiegata attraverso gli effetti cumulativi di mutazionee selezione. Proprio questa è la posizione del genetista tedesco-ame-ricano Richard Goldschmidt (1878-1958) autore di una teoria espli-cativa della macroevoluzione che si colloca al di fuori della teoriasintetica, e del morfologo ed embriologo Schmalhausen il cui lavo-ro verrà invece accolto nell’ultima fase della teoria sintetica. Questostudioso è un po’ una figura ponte tra la grande tradizione di ricer-ca popolazionale che condurrà alla teoria sintetica dell’evoluzione(a cui contribuirà, anche se tardi e indirettamente) e quella di em-briologi, anatomisti, morfologi, ma anche di genetisti come Gold-schmidt che non vi partecipano. Il contributo di Schmalhausen èestremamente ricco e diversificato: distingue tra fattori interni e fat-tori esterni del cambiamento evolutivo ed è convinto che entrambele categorie contino nel vincolare e canalizzare l’evoluzione dei fe-notipi; pur dedicando un’approfondita analisi all’evoluzione darwi-niana delle popolazioni in rapporto alla variazione ambientale, fon-da le sue ricerche su di un approccio organismico; percependo lanatura gerarchica dei sistemi viventi, cerca di illustrare i rapporti trale proprietà organismiche, quelle del genoma e quelle della popola-zione. Inoltre si dedica allo studio del rapporto tra genotipo e am-biente e sviluppa il concetto di norma di reazione di Woltereckavanzando l’idea di una selezione stabilizzante sulla norma di rea-zione; illustra i possibili meccanismi sottostanti la plasticità fenoti-pica, e infine individua nel rapporto tra selezione e processi di svi-luppo uno dei grandi temi futuri della teoria dell’evoluzione. Il suolibro più importante, Factors of evolution. The theory of stabilizingselection, sarà pubblicato in inglese nel 1949. In una fase successiva,ma in parte anche sovrapposta alla precedente, spiccano l’embrio-logo e genetista inglese Conrad Hal Waddington (1905-1975) e i trebotanici Jens Christen Clausen (1891-1969), David D. Keck (1903-1995) e William M. Hiesey (1903-) che per un ventennio (tra il 1940e il 1960) lavorano in California sulla plasticità fenotipica delle pian-te (i loro studi su Potentilla proseguono le analoghe ricerche dellosvedese Gunnar Turesson (1922) sugli ecotipi delle piante). Wad-dington dopo avere condotto molte ricerche di embriologia speri-mentale sulla natura chimica dell’organizzatore e sul fenomeno del-l’induzione, si interessa nel dopoguerra al ruolo dei geni nello svi-luppo e riconosce l’importanza dei meccanismi epigenetici (il ter-mine epigenetica è suo) nel ridurre il numero di geni necessari allaproduzione di strutture morfologiche anche molto complesse. Si-milmente e quasi contemporaneamente a Schmalhausen, Wadding-

Julian Huxley, 1930Julian Huxley (1887-1975),zoologo e umanista inglese, conJacqueline lo scimpanzé. Vieneprincipalmente ricordato per isuoi studi finalizzati allarifondazione della teoriagenetica all’interno della teoriadarwiniana della selezionenaturale.

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ton propone un meccanismo che chiama assimilazione genetica, at-traverso cui la plasticità fenotipica potrebbe funzionare come tappaintermedia durante il processo di “evoluzione fenotipica”. In prati-ca modificazioni fenotipiche acquisite in certe condizioni ambien-tali verrebbero progressivamente trasformate in ereditarie, non la-marckianamente ma piuttosto attraverso la selezione di alleli (ossiadelle forme alternative di gene responsabili della particolare moda-lità con cui si manifesta un carattere ereditario) con effetti fenotipi-ci simili a quelli osservabili durante i processi di sviluppo. Anche al-tri ricercatori tentano verifiche sperimentali di certe idee avanzateda Schmalhausen nel suo programma di ricerca, e, come abbiamovisto, già congetturate a fine Ottocento da Baldwin e altri studiosi:e cioè che la plasticità del fenotipo, la reattività individuale a condi-zioni ambientali mutevoli, l’adattamento individuale raggiunto ne-gli animali anche grazie al comportamento appreso, possono surro-gare efficacemente l’adattamento ottenuto per via selettiva con l’e-voluzione genetica della popolazione. I programmi di ricerca diSchmalhausen e di Waddington sottolineano anche l’importanzadecisiva dell’adattamento ecologico e il peso, se non proprio la cen-tralità, dell’individuo nei processi evolutivi.

Le nuove scoperteL’attuale evoluzionismo non solo non è identico a quello di Darwin,ma ha iniziato anche un processo di trasformazione interno alla teo-ria sintetica. La relativa fluidità dell’odierna teoria evoluzionistica èdovuta alle scoperte dell’ultimo quarto di secolo che richiedono unariconfigurazione della teoria sintetica. Tra queste novità in via di in-tegrazione in una teoria allargata (la teoria di un evoluzionismo diterza generazione, dopo quello di Darwin e quello della Sintesi),possiamo trovare le risposte ad alcuni degli interrogativi e dei pro-blemi sollevati da Darwin nell’Origine delle specie (1859) e nell’O-rigine dell’uomo (1871). Di alcune di queste scoperte diamo qui unresoconto sommario.Nel 1972 due paleontologi americani, Niels Eldredge e Stephen JayGould (1942-2002) hanno proposto la teoria degli equilibri punteg-giati, o intermittenti, secondo la quale, contrariamente alle attesedarwiniane e della teoria sintetica, le specie fossili non mostrano va-riazioni apprezzabili nel tempo e i cambiamenti morfologici al loro in-terno sono piccoli e non orientati. L’idea è che una specie si manten-ga stabile per milioni e milioni di anni per essere poi bruscamente so-stituita negli strati fossili da una nuova specie, generata in occasionedi intensi momenti di speciazione (stasi evolutiva punteggiata da im-

pulsi di speciazione). La teoria degli equilibri punteggiati è stata con-fermata dallo studio dei molluschi fossili del Cenozoico del lagoTurkana, in Kenia, in cui la morfologia della conchiglia rivela un pe-riodo di stabilità di circa 3-5 milioni di anni, intervallati da periodi as-sai brevi (circa 50 mila anni) di trasformazioni e fenomeni di rapidaspeciazione. In effetti i neontologi hanno dimostrato che ci sono cir-costanze in cui la speciazione può essere molto rapida anche per cer-te specie attuali. Il punto più importante ed innovativo della teoriadegli equilibri punteggiati, è quello secondo cui la macroevoluzionesarebbe un fenomeno distinto dalla microevoluzione. La diversifica-zione di organismi a livello di generi, di famiglie, ordini e classi sa-rebbe cioè ottenuta in un modo improvviso e imprevedibile, grazie alsuccesso di particolari mutanti, a imponenti trasformazioni nella re-golazione genetica a livello di singoli individui piuttosto che al gra-duale rimaneggiamento del patrimonio ereditario della popolazione.Un’altra acquisizione mette in evidenza il meccanismo dell’estinzionedi massa, la subitanea scomparsa di molte specie di habitat anche mol-to diversi in tempi geologicamente molto brevi, è un fenomeno de-scritto da molto tempo che presenta caratteristiche differenti da quel-le con cui si presenta la normale estinzione di fondo. I paleontologiriconoscono oggi cinque principali estinzioni di massa (fine Ordovi-ciano, tardo Devoniano, fine Permiano, fine Triassico, fine Cretaceo-Terziario) più una ventina di episodi minori. L’aspetto innovativo stanella valutazione del loro ruolo nell’evoluzione. In sostanza si è rico-

� �Eucarioti e procarioti

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I procarioti sono organismi unicellulari le cui di-mensioni sono dell’ordine di grandezza del micron,caratterizzati da un’organizzazione interna della cellu-la semplificata (soprattutto sul piano della trasmissionedei segnali cellulari): manca infatti una compartimen-tazione dello spazio interno, per cui non sono mai pre-senti organelli circondati da una propria membrana(come mitocondri, plastidi e lisosomi). In particolare,manca un nucleo delimitato da una propria membra-na: a questa caratteristica fa appunto riferimento il no-me stesso dei procarioti, che originariamente eranostati chiamati protocarioti (dal gr. proto- = primitivo ekáryon = nucleo).

Gli eucarioti, al contrario, sono raggruppamenti diorganismi unicellulari o pluricellulari caratterizzati dauna organizzazione della cellula molto diversa: in parti-

colare, è presente nella cellula un certo numero di or-ganelli differenti ognuno avvolto da una propria mem-brana e dotato di funzioni particolari. Un’altra diversitàmorfologica riguarda la grandezza dei ribosomi, orga-nuli citoplasmatici ai quali è affidata la sintesi proteica,che negli eucarioti sono di dimensioni maggiori di quel-li dei procarioti. Differenze fondamentali tra i due tipi diorganismi riguardano poi il metabolismo, il modo di di-visione, la replicazione e conservazione del patrimoniogenetico, i meccanismi riproduttivi, le modalità di mo-vimento. Una forma di organizzazione cellulare inter-media fra eucarioti e procarioti è il gruppo degli archea-batteri o archea, capaci di adattarsi ad alte concentra-zioni saline, a bassissimi valori di pH o ad altissime tem-perature: per questo si pensa che siano stati tra le primeforme di vita a colonizzare la Terra.

L’evoluzione dell’evoluzionismo

Pianta di tabacco in fiore (Nicotianatabacum)

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renti stretti più di quanto non faccia con quelli lontani. Hamilton di-mostra in modo inconfutabile come si sia potuta affermare nel corsodell’evoluzione la socialità di imenotteri come le api dove le operaieformano una casta di femmine tutte sterili.Le indagini dei biologi cellulari e molecolari sull’origine della cellu-la eucariotica a partire da quella procariotica hanno fatto ipotizzareun antichissimo episodio di endosimbiosi. Questo evento, accadutotra i 2 e gli 1,5 miliardi di anni fa, fu decisivo per il futuro destinodella vita sulla Terra. Furono le nuove straordinarie proprietà asso-ciate all’evoluzione della cellula eucariotica (tra tutte, la capacità dimitosi, di meiosi e la sessualità), di cui è fatto il corpo di tutti i pro-tisti e di qualsiasi organismo pluricellulare della biosfera, a permet-tere infatti l’immenso incremento della diversità di geni, organismied ecosistemi. La teoria endosimbiotica dell’origine della cellula eu-cariotica si basa principalmente sull’ipotesi (oramai quasi una cer-tezza) di un incontro fatale tra una grande cellula batterica e i mito-condri o i cloroplasti – all’epoca anch’essi semplici batteri liberi –che furono incorporati per sempre nella cellula ospite. Ma le cose,come quasi sempre avviene in biologia, forse furono più complica-te di così dato che, sulla base della diversa natura dei geni nuclearie citoplasmatici delle moderne cellule eucariotiche, molti sospetta-no che la primitiva cellula procariotica fosse essa stessa il risultatodi una pregressa più antica fusione: quella di un eubatterio fornito-re del citoplasma con un archeobatterio che funzionò forse comedonatore dell’apparato genetico. Sicché la cellula eucariotica sareb-be il risultato di almeno due incontri fatali: il primo tra un eu- e unarcheobatterio e quello successivo tra questo batterio-chimera e unaltro batterio libero di tipo aerobico (mitocondrio) o di tipo ciano-batterio (cloroplasto). Lynn Margulis (1938-), la prima autrice dellateoria endosimbiotica dell’origine degli eucarioti, ritiene che unavolta entrate nella cellula ospite, mitocondri e cloroplasti continua-no a funzionare e a replicarsi; con la scissione della cellula ospite, icorpuscoli al suo interno si distribuiscono all’interno delle celluleneoformate. Il possesso di una doppia membrana di rivestimento,di un DNA circolare, la divisione per scissione binaria e la sensibi-lità di mitocondri e cloroplasti agli antibatterici confermano l’ipo-tesi endosimbiotica. Ci sono tuttavia altre caratteristiche eucarioti-che che non sono spiegabili con quest’ipotesi: l’esistenza di orga-nelli citoplasmatici con una sola membrana di rivestimento, il reti-colo endoplasmatico, l’origine del nucleo. Una delle scoperte piùtravolgenti per l’assetto della teoria sintetica dell’evoluzione è stataquella dei cosiddetti geni omeotici (geni HOX). Questa è una fami-

glia di geni regolatori preposti all’accensione controllata di batteriedi altri geni. Specificamente, i geni HOX codificano per fattori ditrascrizione (proteine del nucleo legate al DNA) che hanno un ruo-lo molto importante nell’organizzazione spaziale dell’embrione.Una loro caratteristica speciale è di essere colineari con i segmenticorporei. In Drosophila per esempio, il complesso genico chiamatobithorax (BX-C) è contiguo al complesso chiamato Antennapedia(ANT-C) e insieme occupano una ristretta regione di DNA. Muta-zioni a carico di BX-C (il complesso è composto da tre geni) com-portano trasformazioni a carico del metatorace (T3) che diventaomologo al mesotorace (T2) per cui si ottiene un moscerino mutan-te con quattro ali e quindi con due toraci (il torace degli Insetti è ditre segmenti: il protorace T1 non porta ali, T2 porta il 1° paio, T3porta il 2° paio; in Drosophila e negli altri Ditteri T3 non porta maiali bensì strutture a clava dette bilancieri). La colinearità implicache l’allineamento di questi geni BX-C lungo il cromosoma non siacasuale: quelli più anteriori controllano la costruzione delle regionipiù anteriori del corpo di Drosophila, quelli più posteriori control-lano le regioni più posteriori. Abbastanza analogamente si compor-tano i cinque geni del complesso ANT-C coinvolti nel controllo del-lo sviluppo della testa e del protorace. Esiste una gerarchia genica:alcuni geni sono più importanti di altri, e i ricercatori concordanosul fatto che i geni omeotici occupano una posizione elevata in que-sta gerarchia; inoltre proprio studiando la struttura molecolare del-le proteine codificate dagli otto geni di BX-C e ANT-C, hanno sco-perto che tali proteine presentano una regione identica (chiamataomeodominio): il tratto di DNA che codifica per questo elementostrutturale conservato è noto come omeobox e viene identificato perla prima volta a Basilea da Walter Gehring nel 1984. La caccia agliomeogeni (geni con l’omeobox) è iniziata da vent’anni. In pocotempo omeogeni sono stati scoperti anche in moltissimi altri tipi diorganismi, dal lievito alle piante verdi, dagli artropodi ai vertebrati.Studiando gli omeogeni del topo e dell’uomo (una quarantina intutto) si è constatato non solo una reciproca somiglianza ma ancheun analogo compattamento nella stessa regione di DNA; essi inol-tre specificano l’identità delle varie regioni del corpo situate lungol’asse antero-posteriore dell’organismo in sviluppo. Proprio comeavveniva per Drosophila. Ma la vera sorpresa si deve al confronto fragli omeogeni del moscerino dell’aceto e quelli dell’uomo dal qualerisulta che alcuni di loro erano geni omologhi. Da un punto di vista

Stephen Jay Gould, 1981Stephen Jay Gould (1941-2002),paleontologo statunitense, è considerato uno deidivulgatori scientifici più prolifici e influenti della sua generazione.

Micrografia elettronica a scansione di un moscerino della frutta(Drosophila melanogaster)I moscerini della frutta vengonoutilizzati soprattutto perstudiare le mutazioni genetiche.

L’evoluzione dell’evoluzionismo

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Scienza e tecnologia � “Conosci te stesso”: l’organismo e l’ambiente, la salute e la malattia

evoluzionistico questo significa che almeno quattro-cinque degliomeogeni comuni al moscerino e all’uomo sono gli stessi possedutidall’antenato comune vissuto prima della divergenza evolutiva traInsetti e Vertebrati. Una magnifica testimonianza di parentela cherisale a molte centinaia di milioni di anni. In sostanza la famiglia deigeni HOX è antichissima e sembra essere anche altamente conser-vata; questo vuol dire che i modelli di sviluppo che dipendono dalloro controllo sono soggetti a vincoli e quindi non possono più evol-vere. Un secondo aspetto assai promettente per l’evoluzionismo è laneonata biologia evoluzionistica dello sviluppo (evolutionary deve-lopmental biology), nota come evo-devo che si spera possa diventa-re la cornice teorica ed empirica in cui integrare i modelli microe-volutivi popolazionali con le conoscenze sullo sviluppo genetico edepigenetico in vista del loro impiego nella comprensione della ma-croevoluzione. I primi risultati delle indagini di evo-devo stanno ri-velando una novità: la centralità dell’ontogenesi nei processi evolu-tivi, che si manifesta da una parte come vincoli di sviluppo che nonsolo limitano la produzione di variazione e dunque la possibilità diselezione, ma che in alcuni casi possono bastare da soli per spiega-re alcuni pattern morfologici (per esempio il numero dei segmenticorporei di un verme metamerico) senza bisogno di ricorrere a unaspiegazione selezionistica ad hoc che chiami in causa automatica-mente l’adattamento e la selezione naturale. Va detto che la costru-zione di una evo-devo capace di integrare micro e macroevoluzionenon sarà un’impresa facile; vi si oppongono alcune dicotomie al-l’apparenza insuperabili che per questo rappresentano al momentoaltrettanti punti fermi teorici: la distinzione tra genotipo e fenotipo;l’idea weismanniana, confermata nel dogma centrale della biologia,della separazione tra linea somatica e linea germinale; la distinzionetra cause prossime (meccaniciste e funzionali) e cause ultime (stori-co-evenemenziali); le diverse implicazioni del pensiero popolazio-nale rispetto a quello organismico tipologico e strutturalistico dellabiologia dello sviluppo.A partire dagli anni postsintesi modelli teorici e studi sperimentalioltre a confermare l’idea (risalente a Joannsen, Bateson, Woltereck,Schmalhausen e altri) che la funzione di mappa genotipo-fenotiponon è lineare (visto che esistono interazioni gene-gene e interazionigenotipo-ambiente), hanno anche sottolineato l’importanza dellaplasticità del fenotipo nell’evoluzione. Questo in quanto la plasticità(che rappresenta una misura della norma di reazione di un organi-smo) determina il possibile insieme di habitat per un genotipo. Datala loro sedentarietà le piante sono in media molto più capaci di pla-

sticità degli animali (tra gli animali le specie sessili, tipo spugne e co-ralli, lo sono rispetto a quelle dotate di locomozione) e dunque lamaggior parte degli studi riguarda proprio le specie vegetali.Anthony D. Bradshaw, professore di botanica all’Università di Li-verpool, nel 1965 sistema il campo delle ricerche sulla plasticità fe-notipica conferendogli l’aspetto attuale. Le due idee centrali sonoche la plasticità del fenotipo abbia una base genetica e dunque pos-sa evolvere come qualunque altro carattere, e che lo stesso genotiposia più o meno plastico a seconda dell’ambiente in cui si trova e deicaratteri (biochimici, fisiologici, anatomici, morfologici) considerati.Anni dopo, nel 1974, Richard Lewontin (1929-) chiarisce il rappor-to tra analisi statistica della varianza impiegata dagli sperimentatorie norma di reazione suggerendo che il grado di ereditarietà di un ca-rattere può cambiare con l’ambiente. Negli anni Novanta altri auto-ri come Carl D. Schlichting e Massimo Pigliucci negli Stati Uniti ePaul Martin Brakefield in Europa intraprendono studi sperimentalirispettivamente su piante e su farfalle per chiarire il funzionamentodei meccanismi genetico-molecolari che presiedono alla plasticità fe-notipica. Con la teoria sintetica venivano definitivamente abbando-nati i tentativi di una interpretazione lamarckiana dell’evoluzione.Tuttavia in anni recenti, grazie alla rinascita dell’interesse per i feno-meni dello sviluppo, all’interno della biologia evoluzionistica si assi-ste a una nuova attenzione per un punto di vista che potremmo con-tinuare a chiamare lamarckiano che si manifesta negli studi sull’ere-dità epigenetica. Essa è costituita dall’insieme dei processi che mo-dulano l’espressione dei geni degli eucarioti multicellulari innanzi-tutto durante lo sviluppo attraverso l’interazione tra i geni e l’intera-zione tra i geni e i loro prodotti. L’epigenetica comprende l’insiemedelle modificazioni canalizzate durante lo sviluppo (assimilazionegenetica di Waddington) nel passaggio da genotipo a fenotipo adul-to. Waddington, che coniò il termine epigenetica, e altri genetisti do-po di lui hanno osservato che non tutta l’informazione per la produ-zione di fenotipi è conservata nel DNA: per esempio la differenza traapi operaie e ape regina non è genetica (i loro genomi sono identici)ma epigenetica (dipende solo dalla dieta larvale). Praticamente tuttala variazione fenotipica non correlata a una sottostante variazione ge-notipica diventa un prodotto dell’eredità epigenetica. Esempi di fe-nomeni epigenetici sono l’inattivazione del cromosoma X nelle fem-mine dei mammiferi, l’imprinting genomico (per cui l’espressione diun gene dipende dalla provenienza ereditaria, paterna o materna),imprinting da metilazione del DNA (il cui grado di metilazione variadurante l’ontogenesi individuale). Se è piuttosto chiaro che i cam-

� �Cloroplasti

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Insieme ai vacuoli, i cloroplasti sono i più grandi ecaratteristici organelli delle cellule delle piante. Pos-sono anzi essere considerati i motori della cellula ve-getale, perché attraverso la fotosintesi catturano l’e-nergia della luce e la trasformano in energia chimica,producendo ossigeno e carboidrati (per esempio ami-do) a partire da anidride carbonica e acqua. Sebbenedi dimensioni maggiori, i cloroplasti possiedono unastruttura simile ai mitocondri: sono anch’essi circon-dati da una doppia membrana. Quella interna è, a suavolta, collegata a un sistema di vescicole che forma unfitto sistema di ripiegamenti, chiamato membrana tila-coide. Essa si organizza in strutture discoidali, appiat-tite e impilate una sull’altra, dette grana, che fanno dasupporto alla clorofilla e agli enzimi fotosintetici. Igrana sono collegati tra loro da membrane tilacoidinon fotosintetiche. Lo spazio compreso tra i tilacoidi

e la membrana interna viene chiamato stroma: qui sitrovano DNA, RNA, i ribosomi e gli enzimi che cata-lizzano la fissazione dell’anidride carbonica e la sin-tesi dell’amido. Sulla superficie del grano tilacoidaleavvengono l’assorbimento della luce da parte dellaclorofilla, la sintesi di ATP e la formazione dei gra-dienti elettrochimici fondamentali per la fotosintesi eper gli scambi interni al cloroplasto.

Come i mitocondri, i cloroplasti possono inoltrevariare in numero, forma e dimensioni nelle diversecellule; come accade per i mitocondri, ogni cloropla-sto prende origine da un altro cloroplasto. Per questosi pensa che anche i cloroplasti si siano evoluti da unprimitivo procariote parassita, dotato di attività foto-sintetica, inglobato per endocitosi da un altro proca-riote dando origine alle attuali cellule eucariote conattività fotosintetiche.

���Ottocento, Scienza etecnologia: Charles Darwin,Il secolo dell’evoluzione,Jean-Baptiste Lamarck

���Novecento*, Scienza e tecnologia:Dall’antropologia fisicaall’antropologia genetica: il dibattito sull’evoluzioneumana, La biochimica, La biodiversità, La biologiacellulare, La biologiamolecolare, La genetica, La sociobiologia, L’etologia

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biamenti nell’attività genica indotti dall’esterno sul DNA (e interna-mente mediati dalla cromatina) vengono diffusi nell’organismo gra-zie alla replicazione del DNA durante la normale moltiplicazionecellulare, ci sono ancora molti punti da chiarire nei meccanismi mo-lecolari che durante la meiosi sembrano permettere il trasferimentoda una generazione alla successiva dell’informazione fenotipica pre-sente nelle cellule.

Conflitti (e alleanze) tra culturaNel Novecento l’evoluzionismo diventa materia di conflitto con ilcreazionismo, specialmente negli Stati Uniti. Il contrasto tra crea-zionismo ed evoluzionismo non è però una novità; già Darwin e ipaladini della teoria dell’evoluzione avevano dovuto lottare controgli attacchi del clero e dei benpensanti. D’altronde, anche se negliultimi anni del Novecento la Chiesa ha ammesso l’evidente esisten-za dell’evoluzione dei viventi, uomo compreso, tuttavia essa conti-nua a non accettarne la spiegazione scientifica naturalistica. La re-crudescenza del creazionismo e la sua recente penetrazione e diffu-sione in Europa, Italia compresa, è forse un fenomeno sociologica-mente interessante, ma non lo è sotto il profilo scientifico delle teo-rie biologiche. Il creazionismo infatti non è, né puo essere una teo-ria scientifica, nonostante vestendo i panni del cosiddetto Intelli-gent Design si stia rendendo popolare e forse anche accettabile pres-so i non addetti ai lavori. Data la sua natura fideistica, il creazioni-smo non può pretendere di spiegare su base empirica e razionale ifenomeni della natura e infatti per i suoi scopi si serve di un’accor-ta mescolanza di dati scientifici e di superstizione. Sempre in temadi conflitto mediatico tra evoluzionismo e creazionismo, è partico-larmente istruttivo osservare come i creazionisti abbiano riportato ilgrande dibattito pubblico tra scienziati sulle modalità dell’evolu-zione, conosciuto come: “puntuazionisti contro gradualisti”, “criti-ca all’adattamentismo”, “critica al riduzionismo panselezionista”,

ecc., dibattito che ha avuto tra i suoi più accesi protagonisti anchericercatori di grande prestigio come i già citati Richard Lewontin,Stephen Jay Gould, Niels Eldredge e ancora Elisabeth Vrba, pro-fessoressa di geologia e Geofisica alla Yale University, RichardDawkins (1941-), il famoso teorico dell’evoluzione del gene egoista,e John Maynard Smith (1920-2004), George Christopher Williams(1926-), Edward Osborne Wilson (1929-). Nata negli anni Ottantain ambienti accademici americani e inglesi e subito sconfinata sullastampa e sui mass media, questa discussione a più voci tra sosteni-tori di un evoluzionismo darwiniano elastico e sostenitori di un evo-luzionismo darwiniano rigido si è subito caratterizzata per la cresci-ta esponenziale del disaccordo tra i partecipanti. A tal punto chel’accentuazione mediatica degli elementi di contrasto, l’enfasi spes-so caricaturale di dati e di interpretazioni, hanno ostacolato nell’os-servatore estraneo al problema la vista del comune fondamento teo-rico di partenza: l’evoluzionismo darwiniano, rimasto sempre con-diviso dalle parti in causa. Ebbene, nelle loro argomentazioni i so-stenitori del creazionismo hanno mistificato il dibattito tra puntua-zionisti e gradualisti presentandolo come prova dell’esistenza di unainsanabile frattura originaria, intrinseca all’evoluzionismo. L’acca-nimento con cui la spiegazione darwiniana dell’evoluzione viene at-taccata da ambienti ostili alla razionalità laica della scienza appareinvece come ulteriore segno della sua vitalità di paradigma cultura-le. Quanto l’approccio evoluzionistico sia importante non solo nel-la conoscenza accademica, ma per la vita quotidiana di tutti noi è in-discutibilmente dimostrato dal fatto che ai suoi principi, a partiredalla nozione di selezione naturale, sempre più si ricorre in sede ap-plicativa, dalle biotecnologie alla progettazione di farmaci, dall’i-dentificazione dei patogeni alla conservazione della natura. Per nondire dell’informatica e dell’IA, campi dove da anni si sviluppasoftware avanzato ricorrendo, come nel caso degli algoritmi geneti-ci, a principi evoluzionistici di programmazione.

Ala fossile di RhamphorhynchusÈ stata rinvenuta in unsedimento calcareo dellaBavaria. Questo genere dipterosauro è il primo vertebratoin grado di volare ed èconsiderato un animaleeterotermo. Recentiritrovamenti fossili hannopermesso, invece, di ipotizzareche sia stato un animale asangue caldo.

L’evoluzione dell’evoluzionismo

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