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1 VOCE per la COMUNITA ´ UNITA’ P ASTORALE “S. ARCANGELO TADINI PARROC CHIE DI BOTTICINO strumento di informazione e formazione pastorale PASQUA 2012

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Notiziario pastorale delle parrocchie di Botticino. Pasqua 2012

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Page 1: Voce per la Comunità

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VOCE p e r l a COMUN I TA ´

UNITA’ PASTORALE “S.ARCANGELO TADINI“PARROCCHIE DI BOTTICINO

strumento di informazione e formazione pastorale PASQUA 2012

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RECAPITO DEI SACERDOTI E ISTITUTILicini don Raffaele, parroco

cell. 3283108944 e-mail parrocchia:[email protected]

[email protected] fax segreteria: 0302193343Segreteria tel. 0302692094

Mussinelli don Fausto tel. 3287322176e-mail : [email protected]

Zini don Giovanni tel. 3355379014 Loda don Bruno tel. 0302199768

Pietro Oprandi, diacono tel 0302199881Scuola don Orione tel. 0302691141

sito web : www.parrocchiebotticino.itSuore Operaie abit. villaggio 0302693689Suore Operaie Casa Madre tel. 0302691138

BATTESIMI BOTTICINO SERADomenica 15 aprile ore 9,30

Domenica 27 maggio ore 11,00Domenica 1 luglio ore 18,45

BATTESIMI BOTTICINO MATTINA Domenica 15 aprile ore 11,00

Sabato 26 e Domenica 27 maggio ore 17,30Domenica 1 luglio

BATTESIMI SAN GALLODomenica 22 aprile ore 10,00

I genitori che intendono chiedere il Battesimo per i figli sono invitati a contattare, per tempo, per accor-darsi sulla preparazione e sulla data della celebrazio-

ne, il parroco personalmente o tel.3283108944

Presentazione In occasione della Pasqua il No-tiziario per le famiglie delle tre Parroc-chie di Botticino. E’ un notiziario-documento per-chè non si limita a dare notizie, ma presenta pagine di formazione nei vari ambiti della pastorale. Abbondanti le pagine di pasto-rale: il programma della conclusione dell’anno giubilare e la festa dell’Unità Pastorale; in cammino verso il Sinodo diocesano, l’orizzonte vita di Chiesa, il decreto vescovile sulle feste in parroc-chia e la presentazione della nuova edi-zione del Rito delle Esequie. Alcune pagine sono dedicate alla riscoperta e attualizzazione dei segni della fede: il ‘accogliere la Parola’ e ‘starein piedi, camminare’, ripresi an-che nella parte dedicata alle famiglie per la valorizzazione nella quotidianità familiare. Non mancano temi di formazio-ne socio-politica, lo scritto di Isidoro con le pagine dedicate alla sua ordinazione Diaconale e il progetto di solidarietà per i bambini di Dilla;pagine di pastorale familiare, il Conve-gno diocesano Caritas a Botticino, l’ora-torio, la scuola don Orione, le Acli a Bot-ticino e altre iniziative in programma. Dopo la presentazione dei con-suntivi 2011, la proposta del pellegri-naggio mariano, il viaggio in Francia e il calendario per le Celebrazioni Pasquali.

la busta per l’offerta in occasione della Pasqua

Anche in occasione della Pasqua, viene ricordato ad ogni famiglia l’invito a contribuire ai bisogni della parrocchia mediante un offerta strordinaria. Anche questo è un modo per esprimere la propria appartenenza alla comunità parrocchiale.I Sacerdoti e i Consigli Parrocchiali delle tre parrocchie colgono l’occasione per ringrazia-re anticipatamente quanti vorranno cogliere questo appello e per esprimere l’augurio per le prossime festività.

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Rimani con noi perche’

si fa sera NelgirodiunasettimanaaGerusa-lemmeècapitatoditutto.Gesùèstatoac-coltoinmanieratrionfale,acclamatocomeunre;hatrasmessoilcomandamentodell’amo-re;durantelacenaperlapasquaharivelatoilvaloredelservizioconlalavandadeipiedi,hagarantitolasuapresenzarealespezzandounpaneeversandodelvino;èstatoarresta-to;hasopportatotradimentierinnegamenti;èstatoarrestato,processato,condannatoamorte,trafittosuunacroce,sepolto…Eba-sta.Tuttoèfinito.

Nel giro di una settimana sono sfumatiprogetti,speranzeeillusionitessutipazien-temente intreannidisequelafedeleeat-tenta.Tuttelecosecheabbiamocostruito,perlequalicisiamospesi,perlequaliabbia-mosudato,lottatoepianto,perlequaliab-biamoancherischiato,cisiamoesposti,sonodefinitivamente sigillate e oscurate dietroquellagrandepietrarotolatacontrol’entratadiquelsepolcronuovo,scavatonellaroccia.Sembradisentirli:“…chedelusione…echisel’aspettava…lasciamoperdere,andiamovia…Basta,torniamoadEmmaus!”.

Sonoidiscorsididuepersoneche,dopoavervissutounaesperienzaaffascinanteedesaltanteconGesù,siritrovanosoli,abban-donati,sconfittiedecidonodiabbandonareil“cuore”diquestavicendaperdirigersiver-soildefinitivoritornoallarealtàdiprima,alquotidianodiognigiorno.

A questo punto, se non conoscessimol’esitodellavicendaesedovessimocomple-tare la storia con i nostri sistemi, è facileintuirelereazioni:“…efatecomevolete…pa-zienza…peggiopervoi…sietegrandievacci-nati...arrangiatevi…”.

C’èqualcunochenonlapensacosì.“…Gesùinpersonasiaccostòecamminavaconloro”enonperchéglipiacemettersiinmostraeaffermarelasuasupremazia,tant’èche“…iloroocchieranoincapacidiriconoscerlo”.E’luicheprendel’iniziativaesoprattuttocam-minaallorofianco,sifacompagnodiquellastrada, di quella determinata fase del lorocammino.

Certamenteillorodiscutereediscorre-

re era visibilmente animato, tanto che è facile per lo sconosciuto permettersi di domandare loro: “Ma di che cosa state parlando così calo-rosamente?”.

Anche qui, con il nostro stile poco aper-to al dialogo, verrebbe voglia di sostituirci alla risposta dei due discepoli: “Ma cosa vuoi? Fat-ti i fatti tuoi!”. E forse, dopo che essi rispon-dono: “Di quanto è capitato a Gerusalemme in questi giorni” ed egli incalza: “E che cosa è successo?”, non verrebbe voglia di rispondere: “Ma scusa, dove vivi? Dove hai la testa?”

Invece è talmente forte la ferita che sentono dentro, la sensazione di essere stati ingannati, che essi sentono il bisogno di sfo-garsi. D’altronde chiunque avrebbe convenuto con loro sull’assurdità della vicenda, quindi non esitano a raccontare e esprimere tutta la loro delusione. “Fu profeta grande… speravamo fosse lui a liberare Israele… “

I discepoli avevano i loro progetti e le loro speranze; certamente ritenevano che la libe-razione dovesse esprimersi con atti militari e tendere alla ricerca della prosperità econo-mica e del benessere materiale. Invece Gesù non solo è condannato a morte, ma alla morte in croce, infamante, riservata ai malfattori. Questo non rientra nei loro progetti.

Anche noi abbiamo desideri, progetti, spe-ranze cui ci aggrappiamo con tanta passione, senza considerare che alcuni accadimenti pos-sono rivelarci che esiste un progetto di Dio, diverso dal nostro, che naturalmente non pos-siamo prevedere o preventivare, più grande dei nostri pensieri. Per questo non riusciamo a pensare che possa essere più bello, più utile,

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momento e in quella specifica situazione, un significato nuovo.

E’ per questa ragione che i due, a loro volta, lo ascoltano e lo lasciano parlare: per-ché si tratta di parole che aprono, spiegano, illustrano, indicano, fanno vedere gli eventi della vita, anche i più oscuri, in un modo nuovo e pieno di speranza.

Ed è proprio l’Eucaristia la chiave di svol-ta di questi due uomini. Quando due persone si amano si parlano anche solo con uno sguar-do, basta un segno, la comunicazione è imme-diata.

Di colpo balzarono in piedi, lasciano la cena a metà e corrono verso Gerusalemme. Quel Gesù che fu profeta, che speravano li-berasse Israele, che è stato ucciso in croce era apparso loro, aveva camminato con loro e aveva spezzato per loro il pane.

Ecco l’insegnamento per noi oggi: balzare in piedi, lasciare la mensa, correre nel buio per gridare a tutti: “Il Signore è veramente risorto! Noi l’abbiamo visto”.

Gesù ha acceso il loro cuore ed essi non riescono più a contenere l’ardore: sentono il bisogno di comunicarlo agli altri. E’ fonte di commozione e di responsabilità sapere che Gesù chiede la nostra collaborazione per raggiungere gli altri uomini.

L’Eucaristia, alimento della comunitàL’adesione a Gesù si esprime nell’adesione

alla comunità cristiana e si alimenta nell’Eu-caristia, senza della quale non esiste comu-nità. I due discepoli di Emmaus, dopo aver incontrato il Signore e dopo averlo ricono-sciuto nel segno del pane, ritornano a quel-la comunità che avevano abbandonato con il cuore pieno di tristezza. La vita comunitaria deve offrire il clima di fede e di carità, che sostiene la testimonianza insieme alla pre-ghiera.

Chiedo a Gesù che lui stesso accompagni ciascuno di noi, come ha accompagnato i due discepoli di Emmaus, così anche noi, al ter-mine del cammino, possiamo ripetere la loro preghiera: “Resta con noi perché si fa sera”.

don Raffaele

Il dipinto della copertina,delle pagine 3, 4 e dello sfon-do dell’ultima pagina rffigurano l’incontro di Gesù Ri-sorto con i due discepoli di Emmaus. Sono opera di Barbara Goshu e sono collocati sul presbiterio della chiesa della missione cattolica di Zway in Etiopia.

più entusiasmante per noi e più capace di fare fiato e speranza.

Certo, non è facile aprirsi e abbandonarsi al progetto di Dio e al mistero che lo accom-pagna. Ma per cosa pensate che Gesù “…si ac-costa e cammina con noi”? Non certo per una sterile comprensione affettiva o per assecon-dare delusioni o incomprensioni. Egli è la via, la verità e la vita. Per questo cammina con noi: per condurci sulla via; per questo ci spiega le scritture: per portarci alla verità; per questo spezza il pane: per donarci la vita.Gesù, novità sempre nuova

Mentre i discepoli parlano Gesù li ascolta e li fa parlare. Ascolta e fa in modo che l’altro possa esprimere le proprie ansie e possa spie-garsi bene.

L’iniziativa dell’incontro, è presa da Gesù. I discepoli non solo non fanno nulla perché l’incontro possa accadere, ma quasi accetta-no il viandante con indifferenza, a malincuore e frappongono l’ostacolo della delusione, della rinuncia a credere e a sperare. Gesù però dà rilievo alla libertà dei discepoli, che dapprima scoraggiata e rinunciataria, viene via via rige-nerata e aperta alla speranza, alla fiducia nel disegno di Dio sulla storia dell’uomo.

Gesù fa questo senza dire cose nuove. Ma sono cose che avevano bisogno di sentirsi ri-dire e che assumevano, in quel determinato

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UN INCONTRO APPASSIONATO:

LA MADDALENA E IL RISORTO

“ Quando il Signore prende posto e spazio nel cuore del-le persone, la vita diventa fascino, passione e missione”. Mi piace condividere con i lettori e soprattutto le lettrici di:”Voce per la comunità” alcune riflessioni sul Vangelo di Giovanni (20,1-18): Un racconto che mi ha sempre preso il cuore e mi ha fatto innamorare di Gesù e del suo amore per una nuova umanità

Maria Maddalena piangeva, quando si era alzata presto per correre nel buio, dopo il mattino di sabato per unge-re con aromi il corpo dell’amato Maestro. Fuori di sé ella grida:” Hanno portato via il mio Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”. Perché parla al plurale, quando ella era sola? Agli occhi dell’evangelista, questa donna rappresenta l’immagine della comunità nuova, la comunità sposa.

La Maddalena si mette in cammino quando ancora non erano fugate le tenebre. Buio fuori e anche dentro? Difficile distinguere le due situazioni. Infatti vede e non comprende il perché la pietra del sepolcro è stata ribaltata e interpreta il fatto come una violazione del sepolcro! E’ in preda all’angoscia…e grida la sua disperazione.

Quali sentimenti o reazioni proviamo quando barcolliamo nel buio interore e non sappiamo a chi e dove aggrap-parci per sollevarci e riprendere il cammino dell’incontro con QUALCUNO? Comincia il cammino della fede per ritrovare sicurezza e correre nella speranza.

La Maddalena non si stacca dal sepolcro: piange e non vuole conforto neppure dagli Angeli che custodivano il se-polcro. Lei è troppo “terrena” e non è interessata agli angeli, ma al corpo del suo Signore. Ella cerca Gesù morto. Vedo in questo la dimensione umana del lutto ed è la persona inna-morata che cerca l’Amato, finchè non lo trova. E’ non a caso che l’incontro avviene nel giardino come ci ricorda il Cantico dei Cantici :” Dov’è andato il tuo amato tu che sei bellissima tra le donne? Dove ha diretto i suoi passi il tuo amato, per-ché lo cerchiamo con te? L’amato mio è sceso nel suo giar-dino a pascolare nei giardini e a cogliere gigli…”(Cdc.6,1-2).

Le allusioni al giardino sono molte: il giardino dell’Eden dove Dio ha iniziato la storia d’amore con l’umanità; il giardi-no dove Gesù viene tradito e arrestato e in un giardino Gesù venne sepolto…

Povera donna, non riesce a staccare lo sguardo da quella tomba, dove Lui non c’è più, finchè Gesù non la chiama per nome: Maria. Fuori dal lutto e dal pianto, fuori dal cercare il Vivente tra i morti: Il tuo Maestro è vivo, non piangerlo mor-to…Allora il giardino del lutto diventa il giardino della gioia, il luogo della morte diventa il luogo dell’incontro con Gesù vivo perchè Gesù è al di là di ogni delusione...

La Maddalena diventa allora l’apostola degli apostoli, perché Gesà le affida una missione. “Va dai miei fratelli…” Maria Maddalena ha visto il Signore e va ad annunciarlo, di-ventando così la prima missionaria della risurrezione del Si-gnore. Ecco cosa significa incontrare il Signore: portarlo nella libertà, nella gioia della Pasqua cristiana a tutti i fratelli della comunità, forse ancora nelle tenebre del lutto e della ricerca per una risurrezione.

Auguri a tutti di buona Pasqua nell’incontro del Risorto.sr Maria Regina e suore

Ulie e ParadisCon tanc ram de ulia e parat la via, Gesù el gà fat l’ingréss a Gerusalem

a caàl de l' asinel.

Tanc óm én sinuciù i sa prostaa e i l' acclamaa.

Ma dopo quach de tanc mia isè i la pensaa, perché bè el predicaa:

la pace e l'amur, e a ogne óm el sies perdonat él sò pecat e dulur.

El vulia che a tòc ga mancaes miaén tócchèl de pà e i sies tratac con

dignità.

Da chi ghira én prima fila a acclamall'è stat tradit e con la crus su le spale

al Calvario l'è stat spedit.

Col sò sanc e sudur per él be de noter él ga patit.

Ma con la Pasqua de ressuresiù el ga dit: Chi farà én me nóm del be el sarà sicur

de esser én paradis' con mè

Pietro Stefana

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Giubileo per le fami-glie

basilica s.maria assunta santuario s.arcangelo tadinianno giubilare

20 maggio 2011 / 21 maggio 2012

LA TUNICA DI GESU’ TUTTA D’UN PEZZO, SENZA CUCITURE, divisa sul Calvario è il simbolo di ogni divisione causata dal potere delle tenebre. Le comunità parrocchiali di Botticino sono un pezzo di questa tunica. A conclusione di questo Anno Giubilare, siamo invitati a ricomporre questa Tunica, se-gno della identità cristiana battesimale che si ritrova nella COMUNIONE, nell’UNITA’. Ogni comunità parrocchiale confrontandosi sulla Parola di Dio (il lunedì prima della presenza dell’urna in parrocchia) è invitata a trovare i motivi di questa comunione e a compiere cammini in questa direzione che cul-minerà nella processione e Celebrazione Eucaristica di LUNEDI’ 21 MAGGIO.

L’URNA CON IL CORPO DI S.ARCANGELO TADINI A SAN GALLO- lunedì 23 aprile centri di ascolto componendo la parte di Tunica di Gesù- sabato 28 aprile ore 18 ACCOGLIENZA DELL’URNA presso CASE NUOVE RUINE,PROCESSIONE ALLA CHIESA e S.MESSA- domenica 29 aprile L’Urna rimane in chiesa per la preghiera personale, familiare e a gruppi- lunedì 30 aprile ore 20,00 processione con L’Urna dalla Chiesa alla Trinità, preghiera e benedizione finale.

L’URNA CON IL CORPO DI S.ARCANGELO TADINI A BOTTICINO MATTINA- lunedì 30 aprile centri di ascolto componendo la parte di Tunica di Gesù- sabato 5 maggio ore 17,00 ACCOGLIENZA DELL’URNA presso MADONNA DEL CAVATORE, PROCESSIONE ALLA CHIESA e S.MESSA- domenica 6 maggio L’Urna rimane in chiesa per la preghiera personale, familiare e a gruppi- lunedì 7maggio ore 20,00 processione con L’Urna dalla Chiesa al piazzale in via Marconi, inizio Bott. Mattina ,preghiera e benedizione finale.L’URNA CON IL CORPO DI S.ARCANGELO TADINI A BOTTICINO SERA

- lunedì 7 maggio centri di ascolto componendo la parte di Tunica di Gesù- domenica 13 maggio. Celebrazioni e preghiera personale, familiare e a gruppi

LUNEDI’ 21 MAGGIO CONCLUSIONE ANNO GIUBILARE

PER LE TRE PARROCCHIE DI BOTTICINO

ore 20,00 l’Urna accompagnata dai Sacerdoti e dalle Suo-re parte dalla Basilica-Santuario all’incrocio con via Pano-ramica/via Valverde accoglienza della Parrocchia di San Gallo con il pezzo di Tunica di Gesu’, si prosegue per via Valverde; all’incrocio con via Carini accoglienza della Par-rocchia di Botticino Mattina con la seconda parte della Tu-nica di Gesù, si prosegue verso la chiesa e all’incrocio con via Franzoni accoglienza della parrocchia di Botticino Sera con la terza parte della Tunica di Gesù . Arrivo in Basilica Santuario e Celebrazione Eucaristica di conclusione Anno Giubilare.

CONCLUSIONE ANNO GIUBILARE e FESTA UNITA’ PASTORALE PARROCCHIE DI BOTTICINO

Incontri e celebrazioni diocesane: 9 aprile : Giubileo delle Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth.18 aprile ANIMATORI VOCAZIONALI28 aprile CONVEGNO DIOCESANO CARITAS1 maggio SEMINARIO DIOCESANO4 maggio VEGLIA DIOCESANA VOCAZIONI con il Vescovosabato 16 giugno SANTIFICAZIONE DEL CLERO con il VescovoIncontri e celebrazioni parr. di Botticino: - ogni MARTEDÌ sera ore 17,30 S.Messa, segue esposizione e Adorazione Eucaristica fino alle ore 22,00 (dalle ore 20,30 alle ore 21,00 preghiera guidata)- primo martedì del mese in preghiera con il gruppo famiglie Tadini- terzo martedì del mese in preghiera “cammino sentieri di stelle”- ultimo martedì del mese particolare preghiera di intercessione alle ore 20,30

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Giubileo per le fami-glie

DOMENICA 20 MAGGIO

FESTA UNITA’ PASTORALEparrocchie botticino

TADINIFEST

100 per tutti

CONCORSO DI POESIA21 maggio: gior-nata del patrono dell’unità pasto-rale e del comu-ne di Botticino S. Arcangelo Tadini per tale occasione, nel centenario della morte di Tadini, la parrocchia indice un con-corso di poesia avente per tema la figura di que-sto sacerdote santo possono partecipare tutti gli alunni delle scuole locali:secondo ciclo della scuola primaria scuola secon-daria di primo grado tutti coloro che desiderano scrivere in versi le opere potranno essere scritte in lingua italiana o in dialetto non dovranno supera-re 20 versi dovranno essere consegnate in duplice copia( dattiloscritte) senza nome entro e non oltre il 2 maggio 2012 presso la segreteria della scuola Don Orione.Sarà nominata una commissione di esperti che va-luterà le opere e decreterà tre vincitori( primo , se-condo terzo) nell’ambito dialettale e tre nell’ambito opere in lingua italiana.le poesie saranno lette in occasione deI FESTEG-GIAMENTI del 21 maggio p.v.

MANIFESTAZIONIIN PROGRAMMAsabato 5 maggio ore 20,30

“FESTA GRANDA AL CAMPOSANT” presso teatro Centro Lucia

••••••••• sabato 12 maggio ore 20,00

INAUGURAZIONE MOSTRA OPERE ARTISTICHE

su S.ARCANGELO TADINI in Sala Tadini

segue CONCERTO DELLA BANDA “G.FORTI” DI BOTTICINO

presso Basilica-Santuario- altre manifestazioni e occasioni di incontro che verranno comunicate nel programma definitivo.

Sabato 19 - ore 20,30 Spettacolo in piazzaDomenica 20- ore 11,00- 12,00 incontro per le famiglie presso Sala Tadini con don Giorgio Comini- ore 12,30 Pranzo in piazza e ...canti accom-pagnati dalle chitarre- ore 15,00 Festa e giochi per le famiglie- ore 18,30 : CELEBRAZIONE EUCARISTICA

GIUBILARE PER LE FAMIGLIE INIZIAZIONE CRISTIANA

presieduta dal Vescovo Mons. Luciano Monari il quale impartirà la Benedizione Papale.

Giubileo per le famig

lie

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VOCI NELL’AGORÀUna consultazione ampia e coinvolgenteCi sono argomenti che meritano di essere discussi.Il Sinodo diocesano vuole essere un ‘esperienza particolaredi discernimento spirituale comunitario,in vista della definizione di alcuni orientamentiper una migliore realizzazione della missione ecclesiale.Sotto il profilo pastorale, infatti, “per arrivare ad unadecisione saggia, bisogna prendere in esame tutti i datirilevanti del problema, poi immaginare tutti i possibili corsidi azione che rispondono a questi dati e infine scegliereun corso concreto di azione abbandonando gli altri.Ebbene, questo complesso itinerariopuò essere compiuto nel modo migliore propriocon la partecipazione di tutti”,dal momento che “tutti i battezzati sono portatoridella sapienza del Vangeloe sono mossi dallo Spinto Santo”.Di conseguenza, se “le decisioni appartengonoal Vescovo, il processo che conduce alle decisionideve coinvolgere tutta la comunità “.È questo il senso della consultazione diocesana in vistadel Sinodo sulle unità pastorali, per la quale sono stateelaborate nove schede per nove temi in discussione.Oltre alla consultazione in gruppo e quella individualel’itinerario di Voci nell’Agorà intende promuovere,con l’obiettivo di dare spazio a più voci(giornalisti, ospiti, pubblico), nove incontri sul territoriodiocesano sui temi del Sinodo per far emergerenon ciò che preferiamo, ma cosa ciascuno,ponendosi sotto lo sguardo di Dio,ritenga più giusto per la Chiesa bresciana.MONS. CESARE POLVARA PROVICARIO GENERALE

Ogni martedì dal 13 marzo alle ore 13 su Radio Voce (fm 88.3-88.5) “Brescia in diretta speciale Sinodo” con i commenti degli ascoltatori sugli appuntamenti di “Voci nell’agorà” tel. 030.3774592 sms 338.9722994 www.facebook.com/radiovoce

I miei vicini e i miei lontaniUnità pastorali e segni dei tempiPalazzolo s/O 19 marzo 2012Sala della comunità Aurora Ore 20.30

La mia e la tua unità pastoraleLa fisionomia delle unità pastoraliBienno 26 marzo 2012 Sala della comunità Ore 20.30

Il mio catechismo,la mia messa e i miei poveriAnnuncio, liturgia e carità nelle unità pastoraliOdolo 16 aprile 2012 SaLa della comunità Ore 20.30

Le mie riunionie il mio consiglio pastoraleOrganismi di comunione e unità pastorali Orzinuovi 23 aprile 2012 Oratorio Ore 20.30

II mio parroco,la mia suora e i miei laiciI ministeri nelle unità pastoraliVilla Carcina 26 aprile 2012 Auditorium scuole medie

Il mio oratorio e i miei giovaniPastorale giovanile e oratorio nelle unità pastoraliCalcinato7 maggio 2012Auditorium Berlini Ore 20.30

I miei gruppi e le mie associazioniAggregazioni e unità pastoraliMaderno 14 maggio 2012 oratorio Ore 20.30

“OGNI SITUAZIONE CHE VIVIAMO E PER NOIUNA DOMANDA ALLA QUALE DOBBIAMO CERCAREDI RISPONDERE ALLA LUCE DEL VANGELO”.MONS. LUCIANO MONARI, VESCOVO DI BRESCIA

COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI”

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LA QUARTA SCHEDAParola,liturgia e

caritàLa proposta del Convegno di Verona di riflettere su . quelli che vengono da allo-ra definiti “i cinque ambi-ti” (vita affettiva, lavoro e festa, fragilità, tradizione, cittadinanza), ha genera-to una discussione, fecon-da, su come armonizzare questa nuova proposta di schematizzazione con quella classica, costitui-ta appunto dal trinomio “Parola-Liturgia-Carità”. Questo trinomio ha dato origine nelle nostre parroc-chie anche a tre “gruppi” (catechistico, liturgico, ca-ritativo), che hanno il com-pito non di realizzare, ma di stimolare la comunità a vivere questi aspetti fonda-mentali della vita cristiana.La prospettiva delle unità pastorali esige perciò di ripensare in forma nuova non solo le relazioni tra gli ambiti di Verona egli aspetti strutturali della vita ecclesiale ma anche l’organizzazione stessa dei gruppi di animazione del-la Parola/ catechesi, della liturgia e della carità. Nel-la prospettiva delle unità pastorali il servizio della catechesi, della liturgia e della carità coi rispettivi gruppi deve rimanere pre-rogativa propria di ogni parròcchia oppure si può ipotizzare una dimensio-ne sovraparrocchiale? Come? Per questa triade che cosa dovrebbe essere tipico della parrocchia e che cosa dell’unità pasto-rale? Come si potrebbe organizzare il cammino dell’iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi nelle unità pastorali? In che modo l’unità pastora-le potrebbe favorire una più efficace pastorale del-la famiglia, del lavoro, dei malati, della vita sociale e politica?

Nel leggere la quarta scheda “Annuncio, liturgia e carità nelle unità pasto-rali” ho colto un sorta di imbarazzo soprattutto per la seconda parte della provocazione: “... al tempo stesso, nella pastorale della Chiesa non può

mancare l’attenzione alle situazioni della vita umana, sulle quali ha richiamato l’attenzione il Convegno ecclesiale di Verona (vita affettiva, lavoro e festa, tra-dizione, cittadinanza). In che misura l’attenzione alle situazioni umane richiede un ripensamento delle strutture pastorali?”. Verrebbe da dire che più che ri-pensamento è necessario una vera e propria pensata. È chiaro che i contenuti espressi nel Convegno ecclesiale sono stati oggetto di riflessione e approfon-dimento nell’immediato dopo-convegno, ma poi, non si sono diffusi, non sono divenuti patrimonio della quotidianità pastorale. Io credo che uno dei motivi per cui non si intravedono azioni o reazioni a questo tipo di richieste, sia per-ché essere richiedono un impegno particolare, più complesso e da costruire. In questo mi sembra ci sia qualche difficoltà. Chiedere ai presbiteri di strutturare dei percorsi che aiutino i fedeli (e anche i non fedeli) laici ad “abitare” da cristia-ni questi ambiti, che non sono altro che la no-stra quotidianità, non è facile. E su questo punto l’unità pastorale penso possa essere una risorsa. Sicuramente in termini di confronto, perché si va oltre l’appartenenza al proprio territorio e il legame alla propria parrocchia. E anche in ter-mini formativi. Come non essere stimolati da un percorso formativo che metta al centro il senso e il significato della “festa” piuttosto che il mio essere “buon cittadino”? Non c’è dubbio che la forza di un percorso proposto, pensato e organizzato da una unità pastorale sia molto maggiore di quello di una parrocchia E penso anche alla attenzione progettuale necessaria per non perdere di vista i bisogni e le neces-sità che emergono dal quotidiano, capillarmente nelle parrocchie, ma condivisi ed elaborati a un livello più ampio come quello delle unità pastorali. Rispetto alla liturgia credo che una possibile lettura dei segni dei tempi sia da dedicare alla partecipazione alla Messa domenicale. Ogni parrocchia ha strutturato e pensato degli orari e delle modalità a seconda delle fasce di età a cui si rivolge: bambini, adulti e giovani. Cito una frase tratta da un saggio sulla progettazione educativa che condivido: “L’educazione passa attraverso il metodo, non passa attraverso le cose che si fanno, o meglio le cose che si fanno cambiano molto a seconda del metodo con cui le facciamo, non è soltanto un problema di tec-niche, non è soltanto riempire un menù di attività, dobbiamo domandarci ogni volta questa attività, con quale stile, con quali modalità la realizziamo”. Io credo che sia un principio valido anche per la celebrazione eucaristica, soprattutto rivolta ai giovani. In questo l’unità pastorale non può essere che una risorsa, un luogo per riflettere, valutare, cambiare.

COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI”

Spunti di riflessione sulla quarta scheda di consultazione

Metterci la testaCome abitare da cristiani? L’unità pastorale è una risorsa,

un luogo per riflettere, per valutare e cambiare

La forza di un percorso proposto, pensato e organizzato da una unità pastorale è molto maggiore di quella di una parrocchia

L’educazione passa attraverso il metodo, non attraverso le cose che si fanno, o meglio le cose che si fanno cambiano a seconda del metodo con cui le facciamo, non è solo un problema di tecniche. Convegno ecclesiale di Verona 2006

COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI”

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Nel 2010, a tappe successive, si sono rinnovati nella nostra diocesi i consigli pastorali parrocchiali, quelli degli affari economici, i consigli pastorali zonali e, infine, il consiglio pastorale diocesano. Già la faticosa modalità

con cui tutto ciò è avvenuto ha messo in rilievo più di una criticità. La casistica di come si è giunti alla composizio-ne di questi organismi di comunione è stata la più varia: dalla cooptazione di gran parte dei componenti, perché non si trovavano persone disponibili, alla riproposizione tout-court degli stessi membri dei cpp ormai scaduti. Al di là di tali “patologie”, è evidente che si tratta di segnali che ci dicono come sia urgente una riflessione su quesitì

organismi nati negli anni successivi al Concilio (Brescia è stata una delle prime diocesi ad attivarsi in proposito grazie all’impulso del vescovo Morstabilini). La prospettiva delle unità pastorali, che prevede la nascita dei consigli dell’unità pastorale, può forse essere l’occasione per un ripensamento. Si pongono a mio parere condizioni di senso e di metodo. Di senso, anzitutto. Il tema della comu-nione e della corresponsabilità si colloca sullo sfondo della coscienza ecclesiologica conciliare. Per que-

sto non è secondario il tema della preparazione e della formazione dei consiglieri: è prioritario lo sforzo di far crescere laici adulti nella fede e maturi nel sapersi assumere concrete responsabilità ecclesiali. Non secondarie sono anche le questioni di metodo. È indubbio che la scarsa incisività che interessa alcune esperienze di cpp debba essere fatta risalire alla poca attenzione prestata alle dinamiche di gestione di questi organismi, alle metodologie capaci di favorire una migliore qualità del lavoro pastorale. Non si tratta di un mero aspetto tecnico-organizzativo: il discorso investe la fisionomia e lo stile ecclesiale che deve animare questi organismi, chiamati a essere luoghi effettivi di discernimento e di corresponsabilità. Un consiglio chiamato a discu-tere solo di aspetti secondari o a ratificare scelte senza invece esse-re provocato e aiutato a discernere quello che il Signore chiede oggi alla comunità cristiana, è svuotato al proprio interno. Con la nascita dei Consigli dell’unità pastorale, forse, alla luce della creazione delle équipe ministeriali e considerando l’obbligatorietà del consiglio degli affari economici in ogni parrocchia, il consiglio pastorale parrocchiale rischia di divenire eccessivo. Valorizzerei invece il consiglio pastora-le zonale come organismo di coordinamento a livello più ampio e di effettivo aiuto al consiglio pastorale diocesano, In ogni caso, qualsiasi decisione venga presa, ritengo che questi cambiamenti possano es-

sere l’occasione da cogliere da parte di . tutti per puntare sulle (poche) cose essenziali per la comunità cristiana senza la-sciarsi travolgere dall’ansia del “fare”.

QUINTA SCHEDANon siano un peso

burocraticoPer realizzare la sua missione la Chiesa ha bisogno di tutti i battezzati che godono di “una vera uguaglianza riguardo alla dignità” (Lumen Gentium 32) e alla co-mune responsabilità . per l’edificazione della Chiesa. Si tratta di una responsabi-lità “originaria”, connessa al Battesimo e alla Confermazione (Lumen Gentium 33). I pastori “sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumersi da soli la missione di salvezza”, ma di essere chia-mati a “pascere i fedeli e a riconoscere i loro servizi e i loro carismi, in modo che tutti concordemente cooperino, nella loro misura, all’opera comune” (Lumen Gentium 30). Oggi la diminuzione dei clero può diventare un’opportunità per realizzare quanto il Vaticano 11 ci ha inse-gnato facendo più spazio alla correspon-sabilità di tutti i battezzati. La coscienza della corresponsabilità e complementa-rità dei battezzati ha già dato origine, a livello locale, ai seguenti “organismi di comunione”: il consiglio pastorale par-rocchiale, il consiglio parrocchiale per gli affari economici; il consiglio pasto-rale zonale. La revisione della struttura diocesana secondo la prospettiva delle unità pastorali non può non indurre a un ripensamento su questi organismi di comunione in modo che non perdano il loro significato ecclesiale (discernere insieme i segni dei tempi), ma neppure diventino, nella nuova situazione, un inu-tile peso burocratico.

“Non è secondario il tema della preparazione e della formazione dei consiglieri: è prioritario lo sforzo di far crescere laici adulti nella fede”.

Organismi di comunione - Spunti di riflessione sulla quinta scheda di consultazione

Valutare senso e metodoIl tema della comunione e della corresponsabilità

si colloca sullo sfondo della coscienza ecclesiologica conciliare

COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI”

Un consiglio chiamato a discutere solo di aspetti secondari senza essere

provocato e aiutato a discernere quello cheil Signore chiede alla comunità cristiana

è svuotato al proprio interno

di Michele Busi

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COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI”

Il Concilio Vaticano II ha indicato chiaramente per i laici il compito di “ri-condurre il mondo a Cristo”. Una cor-responsabilità che condividono con i ministri ordinati. Una vera rivoluzione che il Concilio ha sottolineato, ma che stenta ancora a trovare le sue strade. C’è chi dice che il calo delle vocazioni sia, in questo senso, quasi una grazia perché spingerebbe, finalmente, a dare spa-zio a tutto il popolo di Dio, laici inclusi. Catechisti, animatori, responsabili di “gruppi di ascolto” nelle case, visitato-ri delle famiglie, a c c o m -pagnatori delle giovani coppie non avrebbero così soltanto un ruolo mar-ginale o occasionale, non sarebbero soltanto collaboratori dei ministri or-dinati, ma appunto corresponsabili all’interno della Chiesa. Rileggere oggi l’Apostolicam Actuositatem ci pone di fronte al tema di quanto siano stati ef-fettivamente coinvolti i laici nell’adem-pimento della missione della Chiesa e nell’opera di evangelizzazione e santi-ficazione dell’umanità intera Non solo ci ricorda anche una ..’ “particolare forma di ministerialità laicale” che è quella esercitata - ed - espressamente riconosciuta dal Concilio - dall’Azione cattolica. Le unità pastorali possono, in questo, essere una straordinaria oc-casione sia per valorizzare i ministeri già esistenti, in particolare il lettorato e l’accolitato, sia per “esplorare” nuove strade e capire se esistono - e quali siano.- altri, doni da valorizzare. Con l’avver-tenza di rispettare la laicità, il calo di vocazioni non può trasformare i laici in “qua-si preti”. Un certo rischio di clericalizzazione è sempre in agguato, soprattutto lad-dove non si riesce a lavorare in équipe. Un gruppo stabi-le, infatti, sembrerebbe più adatto a valorizzare nelle differenze il ruolo di ciascu-

no. I laici, in particolare, potrebbero es-sere chiamati a un maggiore impegno sul territorio. Le unità pastorali, infatti, richiedono un lavoro (più o meno com-plesso a seconda della situazione di partenza) per costituire una comunità coesa, che non sia solo la somma delle parrocchie che le compongono. Orga-nizzazione di momenti aggregativi, vi-sita delle famiglie, ascolto delle esigen-ze del territorio sono solo alcuni dei compiti che attendono i laici. Chiamati

forse anche a un ministero nuovo, quello della ricerca di senso. Esse-re compagni di strada, colmare i vuoti, andare incontro alla gente, fa parte di quella missionarietà che oggi coinvolge i laici più che i preti. Stando attenti però a lavo-

rare insieme. Dividere chiaramente i compiti dei sacerdoti da quelli dei laici non è possibile e forse neanche auspi-cabile. C’è sicuramente una sfera che spetta ai soli ministri ordinati e campi che spettano ai soli laici, ma gli uni e gli altri non agiscono separatamente. Su molti terreni l’azione è comune e sarebbe probabilmente un errore pen-sare a sacerdoti tutti dediti al proprio ministero che lasciano i laici andare per proprio conto, con una divisione che è tutto il contra-rio della c o r r e -sponsa-bilità.

SESTA SCHEDAI ministeri

La missioneparticolare

La diminuzione del clero rende impossibile assicurare un pre-te a tutte le parrocchie. D’altro canto negli ultimi 30 anni è cre-sciuta la consapevolezza mini-steriale nei battezzati e nei laici, non solo impegnati nella pasto-rale, ma anche formati alla let-tura della Bibbia. Inoltre oggi si sottolinea che il isacramento del matrimonio, Insieme con l’or-dine, fa parte dei “sacramenti del servizio della comunione”, per cui ambedue - afferma il Catechismo della Chiesa cattoli-ca - ”conferiscono una missione particolare nella Chiesa e servo-no all’edificazione del popolo di Dio” (n. 1534). Non va poi di-menticata l’importanza attuale della forma associativa della te-stimonianza cristiana, che vede come “esemplare”, per lo stret-to rapporto con la parrocchia e la diocesi, l’Azione cattolica. In tale situazione le unità pastorali possono essere una risposta a un fenomeno che si profila coi tratti della crisi ma che sollecita e favorisce in forma più eviden-te quel mutuo riconoscimento fra clero e laici, richiesto e avvia-to con il Concilio Vaticano II. Le unità pastorali possono favorire la nascita di nuovi ministeri lai-cali? Quali? Quali problemi po-trebbero sorgere nel rapporto fra sacerdoti e laici all’interno delle unità pastorale? Come è possibile conservare la specifici-tà di entrambi?Vista la recipro-cità vocazionale tra i sacramenti dell’Ordine e del matrimonio in ordine alla missione della Chie-sa, quali vie nuove potrebbero aprirsi nelle unità pastorali per la complementarità tra ministe-ro sponsale e ministero presbi-terale?

Ministeri nelle unità pastorali .Spunti di riflessione sulla sesta scheda di consultazione

Opportunità per i laiciEssere compagni di strada, colmare i vuoti, andare incontro alla gente, fa farte della missionarietà

COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI”

“Possono essere una straordinaria occasione sia per valorizzare i ministeri già esistenti sia per esplorare nuove strade”

II rischio di clericalizzazione è in agguato, laddove non si riesce a lavorare in équipe. Un gruppo stabile sembrerebbe più adatto a valorizzare nelle differenze il ruolo di ciascuno

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COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI”

L’oratorio è ancora un luogo significativo? La risposta non può es-sere formulata semplicemente attra-verso un sì o un no. C’è da domandarsi quali sono le condizioni affinchè un luogo come l’oratorio possa dirsi signi-ficativo per questi ragazzi, adolescenti e giovani, il problema dell’organizza-zione degli spazi o il tema del coor-dinamento tra le strutture dell’unità pastorale passa in secondo piano e rischia di diventare fuorviante se non si risponde con lucidità e schiettezza alla precedente domanda Così anche la preoccupazione di cosa possa.suc-cedere con il venire meno del numero

dei cura-li e delle energie che que-sti sono in grado di dedi-care al presidio

dello spazio oratoriano, magari disto-glie l’attenzione dalle domande cru-ciali che ogni comunità deve porsi cir-ca la propria capacità di orientamento reale alle sortì della pastorale giovanile nei propri tenitori. E cosa significa fare pastorale giovanile? Mi sento di poter individuare almeno due elementi che possono diventare altrettante piste di lavoro. L’oratorio è uno strumento della pastorale e non il suo obiettivo. Esso rappresenta l’offerta che la co-munità cristiana fa ai giovani di uno spazio e un tempo di partecipazione che permetta loro di radicarsi nell’am-biente sociale ed ecclesiale. In questa prospettiva esso è a tutti gli effetti un lab-oratorio di vita che permetta ai giovani (in modo corrispondente alle esigenze delle diverse età) di ricono-scere e dare senso alle azioni della propria vita quotidiana e di maturare una propria identità dentro la cultu-ra del proprio ambiente, del proprio territorio. L’oratorio è allora uno spa-zio aperto, in continua relazione con i mondi abitati dai giovani e in continuo dialogo e confronto con tutti i soggetti

(pubblici e privati) che operano per e con i giovani. All’oratorio oggi è richie-sto di entrare in rete non soltanto con le altre strutture oratoriane, ma con le politiche giovanili e con le diverse esperienze di volontariato che ani-mano i paesi. L’oratorio è un luogo di incontro tra i giovani ed è l’offerta di uno spazio da animare, da costruire nello scambio generazionale. Se vo-gliamo dare nuova linfa all’esperienza oratoriana non possiamo non accet-

tare la sfida di una progettazione che contempli la possibilità di proposte c r i s t i a n e (ahimè solo per pochi) e l’offerta di aggregazio-ne per tanti giovani oggi scarsamen-te impegnati e interroga-ti dalla fede. Non si tratta di affidarsi soltanto alla ricerca di figure educa-tive “nuove”, quanto piuttosto di fare lo sforzo di reinterpretare il progetto educativo dell’oratorio dedicando energie e competenze anche all’in-dividuazione di percorsi formativi e di impegno per i giovani che non ri-guardino soltanto ruoli educativi, ma che accompagnino la strutturazione dell’identità di ciascuno attraverso un orientamento (vocazionale) alle

diverse forme attraverso le quali una persona può realizzarsi nella propria dimensione sociale e cristiana.

Oratorio e pastorale giovanile.Spunti di riflessione sulla settima scheda di consultazione

L’ oratorio forma ancora?Non si tratta di affidarsi solo alla ricerca di figure educative nuove, quanto piuttosto di reinterpretare il pro-getto educativo dedicando energie e competenze anche all’individuazione di percorsi formativi e di impegno

Se vogliamo dare nuova linfa all'esperienza

oratoriana non possiamo non accettare la sfida di

una progettazione che contempli la possibilità di proposte veramente

cristiane

SETTIMA SCHEDA Pastorale giovanile

Volto e passione educativa

Nella nostra diocesi l’oratorio rap-presenta un luogo ancora signi-ficativo per tanti fanciulli, ragazzi e adolescenti, che in esso trova-no un ambiente adatto per la distensione, il dialogo, l’ascolto della Parola di Dio, la catechesi, la preghiera e un primo discerni-mento vocazionale. “L’oratorio accompagna nella crescita umana e spirituale le nuove generazioni e rende i laici protagonisti, affidan-do loro responsabilità educative. Adattandosi ai diversi contesti, l’oratorio esprime il volto e la pas-sione educativa della comunità, che impegna animatori, catechisti e genitori in un progetto volto a condurre il ragazzo a una sintesi armoniosa tra fede e vita. I suoi

strumenti e il suo linguaggio sono quelli dell’esperienza quotidia-na dei più giovani: aggregazione, sport, musica, teatro, gioco, stu-dio” (Cei, “Educare alla vita buo-na del Vangelo”, Roma 2010, n. 42). Di contro a questa autorevole illustrazione dell’attività pastora-le negli oratori si osserva la crisi di alcuni oratori vuoti o scarsamen-te frequentati forse perché non possono contare sulla presenza costante del prete. In ogni caso, in vista della riorganizzazione della diocesi nella forma delle unità pa-storali un ripensamento si impone anche nei confronti della pastorale giovanile e oratoriana. Quale co-ordinamento può assicurare una reale progettualità educativa agli oratori dell’unità pastorale? Quali azioni educative possono essere condotte insieme? Con quali stru-menti e con quale rappresentanza dei singoli oratori?

C’è da domandarsi non se l’oratorio è

un luogo significativo, ma quali sono le condizioni

affinchè questo luogo possa dirsi

significativo

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COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI”

Parlare di unità pastorali significa riprendere tutto a partire dallo scopo: testimoniare e mostrare una Chiesa viva e presente nella storia concreta degli uomini.

In questo compito i movimenti e le aggregazioni sono una risorsa

Quando si parla delle unità pasto-rali, viene I evidenziato che non si tratta di semplice strategia dovuta alla mancanza di clero, ma di, una opportunità per ripen-sare l'evangelizzazione e l'incidenza del cristianesimo nell'attuale contesto socia-

le. Si tratta cioè di riprendere tutto a partire dallo sco-po: testimoniare e mostrare una Chiesa viva e pre-sente nella storia concreta degli uo-mini.

Questa nuovo impulso missiona-rio ha una conseguenza: allarga i confini della parrocchia. La parrocchia non coin-cide più con le sue "istituzioni", ma si svi-luppa con il movimento di fede e di vita dei suoi fedeli. Certamente rimane come un punto "territorialmente" significati-vo, ma con uno sguardo e una passione che vanno oltre. Resta "Chiesa locale", ma con una coscienza più consapevole della "cattolicità" e dell'"universalità". Da questo punto di vista i "movimenti" e le "nuove aggregazioni" non costituisco-no un problema, ma una risorsa. E saranno tanto più una risorsa quanto più si metteranno concretamen-te al servizio dell'unica missione per cui un prete è un prete e un laico è un laico. Certamente esiste anche un problema di giuste relazioni. E la voce del Magistero si è già più volte espressa su que-sta questione. Come semplice contributo a me preme ricorda-re che quando si usa la parola movimento più ancora che una realtà sociologi-camente identi-ficata si descrive quel dinamismo globale in base al quale la Chie-sa continua-mente si edifica: è il movimento

dell'Amore del Dio-Trinità che viene in-contro all'uomo; è il movimento dell'uo-mo che va incontro al Figlio di Dio che viene; è il movimento dell'uomo che, guidato dallo Spirito Santo, aderisce alla convocazione ecclesiale entrando in comunione con i suoi fratelli di fede; è il movimento della comunità cristiana verso il mondo che ancora non conosce il Signore della vita; è il movimento del credente che, aiutato dalla grazia, pene-tra nelle misteriose profondità della re-altà tutta, di cui Cristo stesso è il centro; è il movimento del fedele che scende sempre più addentro alle misteriose pro-fondità del proprio cuore dove Dio abita. In nessun caso può essere giustificato un conflitto tra unità pastorali e movimenti. Ci possono essere momenti di fatica, di incomprensione o di peccato. L'incomu-nicabilità totale, se c'è, è perché nell'una o nell'altro sono all'opera germi di setta-rismo.

La parrocchia non coincide più con le sue “istituzioni”, ma si sviluppa con il movimento di fede e di vita dei suoi fedeli

I movimenti e le nuove aggregazioni non costituiscono un problema, ma una risorsa.Saranno tanto più una risorsa

quanto più si metteranno al servizio dell'unica missione

Aggregazioni e unità pastorali - Spunti di riflessione sull’ ottava scheda di consultazione

Per l’unica missioneOTTAVA SCHEDA

Verso la pastorale integrata

Le aggregazioni eccle-siali vanno al di là dei confini parrocchiali e per questo pos-sono favorire una maggiore apertura missionaria, come sot-tolineano i Vescovi proponendo ai movimenti e alle nuove realtà ecclesiali di incontrare nell'otti-ca della missione, la parrocchia, rispetto alla quale non devono essere alternativi: L'attuale si-tuazione chiede di andare ver-so una "pastorale integrata", intesa come stile della parroc-chia missionaria. Ciò significa realizzare gesti di visibile con-vergenza, all'interno di percorsi costruiti insieme fra le diverse parrocchie. In questo l'Azione Cattolica ha una rilevanza par-ticolare, a motivo della sua de-dizione stabile alla Chiesa dio-cesana e per la sua collocazione all'interno della parrocchia. Non essendo un'aggregazione tra le altre, dovrebbe essere attivamente promossa in ogni parrocchia o unità pastorale. Da essa è lecito attendersi che continui ad essere quella scuola dì santità laicale che ha sempre garantito presenze qualificate di laici per il mondo e per la Chie-sa. Nella prospettiva delle unità pastorali, due punti appaiono particolarmente critici: la "com-petenza" del presbitero coordi-natore a presiedere una realtà così complessa nella valorizza-zione delle diversità all'interno di un progetto comune; II matu-ro senso ecclesiale di movimenti e associazioni, nel sapersi far ca-rico delle esigenze del territorio, dei bisogni della missione e della edificazione della Chiesa, rifug-gendo da logiche di visibilità e di contrapposizione.

COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI”

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II caporedattore della redazione bresciana del “Corriere della Sera” racconta come gestire al meglio i mezzi di comunicazione del territorio che possono facilitare

il cammino verso l’unità pastorale delle parrocchie

La Chiesa è sempre stata ma-estra di comunicazione. Per secoli dai pulpiti, dalle pagine intrise d’inchiostro e persino dalle pareti dipinte delle chie-sa ha svolto il suo compito - l’annuncio - secondo modalità aggiornate, colte o

popolari, emo-zionali o raffina-te a seconda del pubblico. Nep-pure la società di massa ha spiaz-zato la Chiesa che nella temperie del Secolo breve ha forgiato me-dia (radio, gior-nali, riviste, case

editrici) di assoluta modernità. Le cose sono cambiate negli ultimi tré-quattro decenni, quando la società di massa è andata trasformandosi in civiltà dei me-dia dominata dall’immagine.

In concomitanza i media cattolici sono stati messi all’angolo, relegati al rango di strumenti specialistici o di nic-chia L’immagine che meglio rispecchia questa situazione è la disposizione dei libri nella grandi librerie generaliste: i libri cattolici, quasi fossero destinati a una setta di lettori, sono affogati in mez-zo a testi di culture orientali e voga, nel-la sezione “religioni” che di solito viene dopo rispetto a “Viaggi” e “cucina”.

Un singolare destino attribuisce compiti specialistici e ruoli marginali ai media cattolici, lasciandoli esposti alle occasionali, bislacche reprimende alla Celentano.

Ora, non saranno certo gli strumen-ti di cui dispongono le parrocchie (e le unità pastorali) a ribaltare una situa-zione che ha radici vaste e profonde. E tuttavia è giu-sto che tenga conto di que-sto contesto chi si occupa dei media delle comunità cristiane locali. Media che godono spesso di buona tradizione e rispettabile re-putazione, entrano in case che serrano la porta a ogni altro giornale, raggiungono un pubblico selettivo, susci-

tano interesse per la prossimità assolu-ta a lettori e temi toccati. Come gestire al meglio questi rispettati mezzi di co-municazione?

Guardando con la stessa cura agli strumenti e ai contenuti. Lo strumen-to essenziale è una redazione. Perché questi media non si sottraggono al de-stino dei loro confratelli “laici”: sono imprese collettive in cui è importante si trovino persone che hanno il dono, la vocazione, la grazia della comunica-zione nelle forme più diverse: grafica .e fotografia, inchiesta e articolo di fondo, intervista e infografica, stampa e diffu-sione. Mettere in circolo ed esaltare le qualità di un gruppo di persone simili è necessità primaria. C’è poi il contenuto, non meno essenziale. Meglio sarebbe parlare di “anima” che questi media de-vono avere. Essa sarà tanto più spicca-ta, personale, forte, quanto più ci sarà fedeltà all’ispirazione di fondo e adesio-ne ed empatia con la comunità a cui ci si rivolge. Solo così questi strumenti (gior-nale, radio, sito internet) eviteranno di essere stanca riproduzione di materiali confezionati altrove e diventeranno lie-vito, sguardo critico, fermento, indagi-ne, agorà locale.

Nella fase fondativa di tante unità pastorali, questi mezzi potranno risulta-re essenziali per mettere in comunica-zione esperienze, problemi, soluzioni. Purché ci siano una redazione viva e un’”anima” autentica a plasmarli.

I Giornali della comunità godono di buona tradizione e rispettabile reputazione, entrano in case che serrano la porta agli altri giornali

Nella fase fondativa di tante unità pastorali, questi mezzi potranno risultare essenziali

per mettere in comunicazione esperienze, problemi, soluzioni

Cultura e comunicazione- Spunti di riflessione sull’ nona scheda di consultazione

L’anima vitale dei media

NONA SCHEDACrescere nel senso di appartenenza

Anche la comunità cristiana, come qualsiasi corpo sociale, trova nella qualità della comu-nicazione una delle forme ne-cessarie per la crescita del senso di appartenenza, dello “spirito di comunione”. Più la qualità della comunicazione è buona, più le relazioni tra le persone sono autentiche, più cresce la percezione della bellezza del cammino comune. La pastorale della cultura e della comunica-zione si deve ‘muovere entro la progettualità della comunità cristiana. La progettualità im-mette la comunità cristiana nel tessuto vivo della società, dan-do spessore alla missione. Essa si rivolge all’interno della comu-nità e all’esterno, nel territorio. Dentro la comunità cristiana occorre richiamare l’attenzione sui cambiamenti del mondo e sulla cultura che in generale co-stituiscono opportunità pasto-rali e motivo di crescita pertutti. Dentro il territorio, le comunità cristiane devono stabilire rela-zioni costruttive con le realtà culturali, sociali, amministrative e associative, senza sudditanze e sottomissioni. Si ritiene neces-sario che in ogni unità pastorale ci sia un numero di animatori della comunicazione e della cul-tura che potrebbero farsi carico di una progettazione comune a livello di unità pastorale? Come prepararli? Quali strumenti di comunicazione (giornale della comunità, sito internet, sala del-la comunità...) potrebbero fa-vorire il cammino e la vita stessa delle unità pastorali? Quali stru-menti dovrebbero restare a ser-vizio della singola parrocchia e quali a livello di unità pastorale?

COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI”

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Ecco le nostre impressioni sulla catechesi che stiamo svolgendo insieme agli altri genitoriLa nostra testimonianza sulle riunioni per i genitori che partecipano al percorso della nuova iniziazione cristiana, è sicuramente positiva.Pensavamo non fosse facile riuscire ad interagire ottimamente su alcune tematiche, di ap-proccio delicato e importante, invece c’è sempre un rapporto di quasi totale collaborazione, ricco di spunti personali,religiosi ed emotivi.Risulta piacevole il dibattito, anche perchè il terreno era fertile già l’anno scorso nella scorre-volezza del dialogo, quest’ anno c’ è stata una fluidità ancora maggiore che ci ha permesso

di riflettere e approfondire alcuni aspetti presenti nella vita di ognuno di noi.Tutto ciò rappresenta, grazie ai nostri figli, un’ altra bella opportunità di umiltà e di crescita.

Giancarlo e Maria Rosa, Botticino Mattina

Egregio don Raffaele e comunita’ tutta,abbiamo iniziato questo cammino sei anni fa con il catechismo di nostra figlia in preparazione alla cresima e comunione, che tuttora continua. Una domenica al mese noi genitori ci riuniamo presso l’oratorio di Botticino Sera e parliamo della nuova cate-chesi. A presiedere per noi genitori c’è il signor Cesare Ca-sali, persona molto erudita, possiamo dire una vita per la Chiesa.Durante il periodo dell’avvento dello scarso anno ci è stato chiesto se volevamo ospitare il centro d’ascolto presso la nostra abitazione e noi con piacere abbiamo accolto que-sta richiesta. Tutto ciò ci aiuta molto nel nostro cammino di fede, ad ogni incontro si impara qualcosa di nuovo e il nostro bagaglio di fede si arrichisce di più, quindi si e’ sti-molati ad un impegno maggiore in tutto.Avendo tre figli piccoli, lavorando entrambi e non avendo nessun parente qui, abbiamo poco tempo a disposizione, ma siamo felici di fare questa bellissima esperienza.Auguriamo a tutti una buona Pasqua e invitiamo tutti a partecipare ai centri d’ascolto. Parlare di Dio fa solo bene all’anima.

Famiglia Di Maio

Anche i Centri di Ascolto di questa Quaresima 2012 sono una bella ed utile esperienza. La nostra fede, ben fer-ma e inamovibile sulle sue basi (fede, speranza e carità) ha però bisogno dell’orientamento necessario per affrontare le nuove circostanze di vita sopravvenute negli ultimi anni. La nostra mentalità, fossilizzata negli antichi schemi di vita, stenta ad aprirsi verso quella novità che è l’unità pa-storale, che pur dovrà entrare a far parte del nostro modo di vita.I nostri animatori sono per fortuna molto ben preparati per guidarci in tal senso. La nostra animatrice, cui siamo affezionati, ascolta simpaticamente i nostri brontolamen-ti, le nostre reazioni a volte impulsive, dandoci poi sempre delle risposte equilibrate quando non illuminanti.Non manca comunque la buona volontà di tutti per an-dare avanti.Sarebbe un bene che i partecipanti fossero più numerosi. Bisognerebbe saper promuovere questa partecipazione. Inoltre il distacco tra Pasqua e Natale è notevole. Non si potrebbe colmarlo? Che la divina Provvidenza ci assi-sta e ci benedica!

Giovanni Pescimoro

Voci fuori coro,voci nella comunità, voci ...

COMUNITA’ IN CAMMINO - SINODO SIOCESANO SULLE “UNITÀ PASTORALI”

Parole, parole, parole (verifica in un centro di ascolto)

L’interrogativo più ricorrente : come essere collaborativi prima e corresponsabili poi in una realtà dove esistono sì molteplici occasioni per incontrarci e confrontarci, che pun-tualmente però vengono disattese . Non ci si conosce più, si fa fatica a trovare il tempo per parlarci, soprattutto per i giovani mancano punti di riferimento, adulti significativi che si occupino di loro e con loro costruiscano progetti fat-tibili.Il nostro essere comunità deve partire dalla condivisione del progetto cristiano, che Gesù ha pensato per noi, Cristo non è un’utopia, è una persona che ci ha indicato chiara-mente un percorso, sta a noi condividerlo e incamminarci su questa strada tracciata, senza fingere di non sapere più dove andare in questa selva che la società attuale costrui-sce intorno a noi.E’ problema la mancanza di visibilità del nostro essere co-munità, ancora imperfetta, ma in itinere ;dobbiamo cerca-re ciò che unisce , nel rispetto delle differenze, evitando il pericolo dell’omologazione.Sarebbe opportuno formalizzare momenti che permettano di incontrarci al di là della messa domenicale, essere “con-vincenti” e “concorrenziali” con la molteplicità di proposte apparentemente più allettanti e comode.Basta leggere i numeri di chi partecipa alle varie iniziati-ve proposte dalla parrocchia, è proprio così vero che sono troppo impegnative, oppure facciamo sempre e soltanto scelte di comodo? A chi interessa la formazione, la musica, la poesia, la cultura, la fede? O ci siamo proprio imbar-bariti o le nostre proposte non sono appetibili, ma non vogliamo il consenso a tutti i costi……Allora? …. bisogna avere ben chiaro dove siamo e dove vogliamo andare , con pazienza tessere una rete di rela-zioni positive ed essere testimoni di uno stile di vita sobrio, aperto al dialogo, uno stile di ricerca del bene comune, sen-za lasciarsi scoraggiare da una realtà sociale e politica che apparentemente sembra ignorarlo o boicottarlo. Contiamo sulle nostre forze e convinzioni che devono di-ventare sempre più salde e sull’impegno presbiteriale ca-pace di dialogo, di sintesi, di confronto, di coordinamento , di discernimento e stimolo.

Page 16: Voce per la Comunità

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Tempo e cuore per l’altro La Chiesa senza relazioni è una comunità senza anima. L’incontro e l’ascolto reciproco alimen-tano la persona e la fanno crescere. Le parole appassionate di un parroco raccontano la vita del prete, la sua sete di relazioni umane, la consapevolezza dei suoi limiti, la coscienza della missione che gli è affidata. Chiamando in causa anche il laicato a cui spetta sostenere e condividere, ma pure scuotere e spronare.

“Prete, sacerdote, reve-rendo, padre, don ...». Non ha importanza come viene chiamato.

Non ha neppure importanza se è vecchio o giovane. Se è al passo con i tempi oppure in ritardo con il tem-po, se è coraggioso o timido, brillan-te o impacciato, capace o incapace. È sempre una persona chiamata a seguire più da vicino il suo Maestro per poi essere ributtata in mezzo agli uomini del suo tempo. È un prete che corre. Corre da Dio per parlargli della sua gente. Corre dalla sua gente per parlarle di Dio. Que-sta sua missione la fa, a volte bene e a volte male. In modo convincente o in modo abitudinario. Un prete si sente sempre inadeguato di fronte al mistero di questa chiamata gratu-ita.

Un prete si sente sempre in ritar-do di fronte al mistero di una missio-ne mai terminata.

Un prete si sente sempre distante di fronte al mistero di tutti i misteri di cui è ministro.

Il prete è chiamato e mandato, e vive la sua esistenza fatta di debolez-ze, di slanci, di eroismo, di entusia-smo...

Preti giovani e preti vecchi. Preti pieni di difetti, peccatori, deboli, fra-gili. Ma preti.

Preti che tirano come dei muli e preti che fanno il meno possibile. Preti che abbandonano. Preti che stentano. Preti che resistono. Preti peccatori e preti santi.

È difficile aver a che fare con i pre-ti. Ma non è impossibile.

E voi, laici, come potete prender-vi cura di un prete?

Il servizio dell’affetto

II prete ha bisogno di affetto. Di sentirsi amato, stimato, capito. Se nessuno ha diritto di giudicare gli altri a maggior ragione lo deve fare sull’uomo sulle cui spalle Cristo ha gettato il suo mantello, come Elia ha fatto con Eliseo.

Affetto. Aiuto ad essere piena-mente ed autenticamente uomo. Amate il prete così com’è, senza pretendere che diventi una perso-na come la gente vorrebbe. Amateli tutti, i preti, simpatici o no, in gam-ba o no. Anche se fossero incostanti. Anche se fossero burberi. Anche se fossero in crisi di identità.

Il vostro sguardo sia sempre uno sguardo b u o n o . La lingua usi sem-pre pa-role be-nevoli. Il cuore sia s e m p r e gentile.

O c -c o r r e e s s e r e affettuo-si verso i preti c o m e

lo sono i nonni. Indulgenti come lo sono le mamme. Concreti come lo sono i papà. Focosi come lo sono gli innamorati. Con il cuore in mano come lo sono gli adolescenti. Sem-plici e affettuosi come lo sono i bam-bini. Se è difficile amarli per la loro «carrozzeria», amateli per quello che sono.

Il servizio della disponibilità

Una disponibilità, prima di tutto, intcriore. Aiutateli a portare le croci. Sovente il prete ha la sensazione di non essere capito, di essere travisa-to. La croce nasce per la distanza che si instaura tra l’ansia del prete e la calma e la cautela della gente.

Nasce così lo scoraggiamento cui si aggiunge il pettegolezzo, la critica, la mormorazione. E il prete cerca di far capire, di spiegare che le cose do-vrebbero andare invece in un altro modo.

Una disponibilità che si traduce, per voi laici, in gesti concreti. Non tanto nel fare questo o quello, ma nel fargli capire che si condividono le scelte che fa.

Qualcuno che condivida le sue proposte. Qualcuno che condivida il peso stressante e continuo di un la-voro che, tutto sommato, è sempre al servizio della comunità cristiana

Una disponibilità che si trasforma in condivisione. Almeno sulle cose essenziali. Disponibilità nell’aiuto, nell’ascolto. Ascoltate i loro sfoghi. Ma anche disponibilità a scuoterli un po’, qualche volta.

Il servizio del servireFategli capire che è utile ma non

indispensabile. Servite senza giudi-care. Servite mandando giù, a volte, un boccone amaro. Mettendo da parte un proprio progetto. Servite con delicatezza, senza far pesare.

VITA ECCLESIALEug

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Ecco il servizio della sostituzione.Pregate per i preti. Perché si con-

vertano. Perché siano fedeli. Perché siano contenti. Perché siano corag-giosi. Ecco il servizio della preghiera.Siate amici dei preti. Un’amicizia semplice, essenziale, di poche pa-role. Un’amicizia che vi permette di offrire la vostra spalla, la vostra casa, la vostra tavola. Gli amici veri ascoltano, correggono, sopportano, camminano insieme. Ecco il servizio dell’amicizia.

Ed io, prete, cosa posso fare per un mio confratello?

Il servizio dell’ascoltoOggi tutti sentiamo il bisogno

che ci sia qualcuno che ci ascolti. In famiglia, nel mondo del lavoro. Tra gli amici. A maggior ragione per chi è chiamato ad essere «uomo dell’ascolto».

Perdere un po’ del mio tempo per un prete come me, tutto sommato non è una perdita di tempo. Tempo in qualsiasi momento. In qualsiasi ora. Trovare un po’ di tempo e non liquidarlo con due parole fredde e scortesi. Un tempo che non si può programmare. Ma va accolto quan-do arriva. Ascoltarlo come uomo e come prete: nei suoi desideri, nei

suoi progetti, nella sue gioie, nelle sue diffi-coltà, nelle sue mancanze, nel-le sue vittorie, nelle sue scon-fitte, nelle sue delusioni, nelle sue amarezze, nelle sue aspi-razioni.

Quando una casa parroc-chiale non ha le poltrone e le sedie logo-re, è una casa

parrocchiale senza anima. Significa che in quella casa si va sempre di corsa. Non c’è tempo per fermarsi. Non c’è tempo da dedicare all’altro. Qualunque esso sia. Qualunque sia il suo problema. Fosse anche un pre-te. Un tempo per dare speranza. Un tempo, forse senza dire niente, ma passato solamente ad ascoltare. Un tempo prezioso. Un tempo che met-te al centro la persona.

Il servizio della fraternitàEssere «compagno di viaggio»

come è successo in quella prima Pasqua cristiana sulla strada per Emmaus. La fraternità mi porta a su-perare l’individualismo che è in me e nell’altro. Un individualismo che rischia di essere una seconda pelle dalla corteccia molto dura.

Una fraternità sullo stile della Be-tania del Vangelo:

• luogo di serenità e di pace che Gesù trovava nell’amicizia con Mar-ta, Maria e Lazzaro;

• luogo del pianto di Gesù, della morte dell’amico e della vita che fio-risce dalla tomba al risuonare della voce del Figlio dell’uomo; ma anche luogo del pianto di Gesù per l’ostilità delle autorità nei confronti della sua

parola;•luogo del con-

fronto schietto e sin-cero, un confronto che porta all’ascolto reciproco per essere sempre più fedeli a Dio e all’uomo;

•luogo dell’acco-glienza che si trasfor-ma in servizio e in disponibilità ad ac-cogliere la parola del Maestro;

• luogo in cui azio-ne e contemplazione si intrecciano in una perfetta armonia.

Una fraternità che trova la sua concretez-

za nel presbiterio diocesano. Siamo preti per l’ordinazione sacerdotale. Siamo ordinati preti ed inseriti in un presbiterio. Aiutare un mio confra-tello a non vivere isolato (anche se lo vorrebbe), ma a sentirsi accolto e rispettato. Una fraternità semplice, delicata. Una fraternità che mette al primo posto innanzitutto la per-sona, senza dimenticare i lati deboli della vita sacerdotale.

Una fraternità fatta di piccole cose: un pranzo insieme, una gita fuori porta, un pellegrinaggio, un viaggio... Tutto serve per testimo-niare agli occhi del mondo la nostra gioia di essere preti. Prima si è testi-moni e poi si è preti.

Il servizio del perdonoÈ la strada del disgelo. È liberan-

te! È la grande parola di speranza che il Padre pronuncia su una perso-na. Anche su di un prete. Tutti sen-tiamo il bisogno di questo amore. A maggior ragione un prete. Credo che il prete, quando ascolta e poi assolve, può con tutta sincerità dire: «Anch’io».

Prima di trasmettere il perdono di Dio: «Va in pace; la tua fede ti ha salvato», questa parola è anche per chi la pronuncia. Per il prete stesso. Egli non può dare l’assoluzione sen-za prima sentirla indirizzata verso di sé.

La misericordia di un prete ha il suo segreto: egli sa di essere pecca-tore più di quelli che confessa. Per questo motivo, la misericordia non è merito nostro ma dono di Dio per tutti. In primo luogo per il prete che deve donare questo amore. Un pre-te che riceve il perdono di Dio da un altro prete è il segno più bello e più eloquente del filo conduttore che lo unisce a Dio e nello stesso tem-po lo riaggancia ai suoi fratelli. Quel segno di croce tracciato e fatto sul-la mia persona dice tutto l’affetto e l’amore che Dio ha per me e per il mio confratello.

Il perdono è accoglienza e non esclusione. Il perdono è compassio-ne e non giudizio. Il perdono è ab-braccio e non dito puntato contro qualcuno. Il perdono è avere cuore per le miserie altrui, di qualsiasi ge-nere (quelle miserie che, prima di tutto, trovo dentro di me).

La misericordia e il perdono sono innanzitutto un atteggiamento, un modo di sentire e di vedere. La mi-sericordia mi ricorda che devo «ve-dere con il cuore».

Prima viene il perdono e la mise-ricordia e poi vengono le opere di misericordia.

Relazioni fraterne tra ministri ordinati

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Papa Benedetto XVI, nel suo viaggio apo-stolico in Germania, ha avuto modo di ribadire alcuni concetti che a molti sembreranno “rivo-luzionari” e ad altri semplicemente aderenti al Vangelo.

Altri ancora riconosceranno il fatto che è proprio il Vangelo ad essere “rivoluzionario” e portatore di “scandalo”, cioè di quello “sanda-lo primario della Croce”, ricordato proprio dal papa nel suo discorso al Konzerthaus di Fribur-go. Così, nella stampa del giorno dopo, il somma-rio pressoché unanime che sviluppava le titola-zioni recitava “per compiere la sua missione, la Chiesa prenderà continuamente le distanze dal suo ambiente, deve, per così dire, essere de-mondanizzata”.

E proprio quest’ultima parola ha scatenato interpretazioni di segno opposto.

Chi ha visto un nuovo richiamo a rinserrarsi nelle sacrestie per non essere contaminati dal mondo; e chi si è messo in attesa di una ripuli-tura da segni di potere che assimilano al mondo.

I più papisti del papa - vedi certi siti online e certa radio - si sono messi subito in difesa, prendendo come sempre ciò che piace, e strac-ciando il resto: non ci può essere nulla nella

Chiesa che debba essere cambiato. E se proprio si deve cambiare, si torni alle Messe barocche, con i camici a pizzo, con presuli che riesumano code episcopali; e ci si metta con le mani stret-tamente giunte, e ci si inginocchi per ricevere il corpo del Signore, naturalmente solo in bocca; e, se appena si riesce, si tolgano le nuove men-se per celebrare rivolti alla parete. A proposito gira una leggenda: che la volta in cui si è fatto celebrare il papa nella cappella Sistina sul vec-chio altare sotteso al Giudizio michelangiolesco, gli sia caduto l’anello piscatorio: sarà un segno? O solo una malignità?

Nonostante le precise parole che potreb-bero finalmente soffiar via stereotipi in cui ci si è adagiati: “Come deve configurarsi allora concretamente questo cambiamento? Si tratta qui forse di un rinnovamento come lo realizza ad esempio un proprietario di casa attraverso una ristrutturazione o la tinteggiatura del suo stabile? Oppure si tratta qui di una correzione, per riprendere la rotta e percorrere in modo più spedito e diretto un cammino?”.

Ci stanno, nel quotidiano della Chiesa, vec-chie problematiche che rischiano di diventare antiche, e rinnovati ripassi, magari di assalto

anticlericale, che domandano spazio. Ci sta soprattutto ciò che nella

Chiesa si pensa della Chiesa. Venia-mo ascoltati? Da molte parti e molte volte è risuonata la parola parresia: nei Sinodi dei vescovi, negli scritti di teologi, nelle assemblee ecclesiali di base. Si vuole il parlare franco che corregge e indirizza, nel rispetto del-le persone, ma nella denuncia di situa-zioni poco chiare.

Prendere come manna l’impegno del cardinale presidente dei vescovi italiani a rivedere situazioni ambigue riguardo alle tasse sugli immobili ec-clesiastici, non è forse disconoscer-si quella ordinarietà di cittadini alla

“demondanizzare” la Chiesa

La Chiesa deve essere demondanizzata. È il severo monito espresso da papa Benedetto nel suo viaggio apostolico in Germania. È un richiamo a rinserrare le file? È, al contrario, una sollecitazione ad eliminare ambiguità?

l’orizzonte vita di chiesa

Ritorno nostalgico al passato

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Diogneto? Che, se sono diversi, lo sono nel pre-cedere i non cristiani nella legalità?

“Certamente, anche le opere caritative della Chiesa devono continuamente prestare attenzione all’esigenza di un adeguato distac-co dal mondo per evitare che, di fronte ad un crescente allontanamento dalla Chiesa, le loro radici si secchino”. È ancora ammonimento del papa. Ma a volte uno si chiede se nella Chiesa non ci sia una specie di dissociazione: testi e discorsi che rincuorano, e azioni che non con-seguono; uomini chiamati alla responsabilità apostolica che sono scelti in forza di una affi-dabilità che non scomponga, per un’obbedienza senza parresia; uomini e donne divorziati con i quali si pensa d’aver chiuso la domanda di una fede che chiede comunione.

Demondanizzarsi è rifiutare le logiche del denaro: che ne direste se lasciassimo manca-re strumenti di evangelizzazione, solo per non impoverirsi di sostanze terrene? Solo per il pretesto di non poter perdere, neppure per il Vangelo?

Ci si domanda, sui sagrati domenicali: Chiesa della misericordia, o chiesa di bu-

rocrazia? Chiesa che si centra sugli uomini, o chiesa che si arrocca nel centro? e dunque si mette nella tentazione del potere? (cinque mesi prima di essere eletto papa, il cardinal Ratzinger disse: una Chiesa dalle dimensioni mondiali … non può essere governata in modo monarchico).

“Essere aperti alle vicende del mondo si-gnifica quindi, per la Chiesa “demondanizzata”, testimoniare, secondo il Vangelo, con parole ed opere qui ed oggi la signoria dell’amore di Dio”. Fare quaresima e poi in seguito - può chiamarci finalmente a uscir fuori da devozioni che non cambiano, per interrogarci sul vaglio severo che ci sta chiedendo la storia: chiese deserte, seminari vuoti, conventi in vendita. Lo sa Dio perché, dicono. E noi no?

l’orizzonte vita di chiesa

ÈL PRÈT DEL’UNITÀLa séra che a Matina ta sèt riàtSiem en tàncc ‘en césa aspetàt

Ma a dil tra me e tèSie mia convitò ne sudisfat

Del cambiament che ghièf ambiat (u.p.)Tanto lè che dòpo mesa a dat la ma somiò fermat

Mia a tocc sté noetà la gha piasiaE me riae miò a capi el bisògn de sté muli

I Spuditù i staò là, i gha l’ha bela e grandò la cèsaI Sangali la cèsa so la i gha l’hà

Noter Maranù nela nosò cèsa staem béLìo a poch che lìem gìostada

Che bisògn ghìà de ambià fora sté menàdà

L’unità Pastorale la capie pròpe mìòLa zént la mogognàò e le us che giraò le dizìa

“Sapolmia, ghàrom on prèt che fàa e brigàDe ché de sà e de là e èl tègnarà pè e ma

En tré frasiù, el sarà on calderùTra Sangali Spodecc e Maranù”

Ma ucurit òn pòde tép e j’eventi che ghè stàt: (La visita del papa e chel S.Tadi che sent agn fà

Le stàt prét a butizi i mà aidàt e fat capì)Che divider le fadighe e afrontà en sema le difficoltà

Ghè pò bèl e sa trùbùla la metàLe feste fade en sèma i’è pò grande e pò bèle

Sa le gòstà de piò e le da felicità, chesto fa comunitàAidas Condivider e Partecipa

Prèt dela zènt che gha gnamò digerite l cambiamèntPrèt dela zènt dei sé e dei mà

Prèt dela zènt che scultà e sta a ardàPrèt dela zènt che con te laurà e sa dà de fa

Prèt che con impegn e volontà él mà portàl all’unitàTa set tè chel prèt, èl nòs prèt, èl prèt de tòcc nòtèr

Óna ròba òi dì amò, al tò capo (nòst pastur) Dighe che le unità pastorali j’a faghe por sènso timur

Gha sarà difidensà ostacoi e dificoltà de supera Sé sa le afrontà ènsèma con tòtó la comunità

Con òna guida che indica la strada de fa Le unità pastorali le sarà na realtà.

Botticino 4-marzo2012 Antonio Coccoli

Ritorno nostalgico al passato

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Unadelleconseguenzepiùpreoccupantidell’ab-bandonodellospiritodelVaticanoIIèunarecrude-scenzadelclericalismo.Sipensiadatteggiamentiquali:concezionedelproprioministerocomeruo-losocialelegatoaprivilegieformedipotere,nonvalorizzazionedellaicatofinoaldispezzodiesso,maschilismoversolaicheereligioseimpegnateinparrocchia,chiusuraversoilmondoesterno,litur-gieampolloseespettacolari,propensioneaosten-tare il proprio status attraverso titoli (persino suFacebooksisente ilbisognodianteporre il “don”oil“mons”,dimenticandolanaturaelospiritodelsocialnetworkchenonannullairuoli,maliponeinaltrocontesto:èil“libro”delle“facce”nondeititoli!).Sturzo, in uno scritto del 1902, descriveva il cle-ricalismocomel’essere“insegregazionecomple-ta,totaledellavita”,tantodanonconoscere“nulladiciviltà,diprogresso,discienze,dinuovilibri,dipolitica,diagitazionedipartiti,direlazioniecono-miche, di aspirazioni popolari, di liberalismo o disocialismo,didemocraziacristianaediOperadeiCongressi, di lotteamministrativeedi documentipontifici(elementigiornalisticidellagiornata)”,ca-pacesolodipensare“allabenedizione,almessale,albreviarioealpredicozzoapochifedeli,riunitiinchiesa”,spesso“senzatradizionivive,néadeguataeducazione,senzapalpiti,senzaidee(chesimatu-

ranonegliannigiovanili),disorientato,impacciato,inadatto”, chescrive “il giornalecome lapredica,credeilComitato(d’azionecattolica)unseminario,laSezionegiovaniunacameradialunni,efinendoperportarenell’ambientedelleassociazionicattoli-cheunpiccolomondoantico,chesipotrebbechia-marel’anticameradelSeminario,dellaSacrestia”.Descrizionedi110annifa:moltodifferentedalnuo-voclericalismo?

All’origine: la paura

Maveniamoallecause.Èovvioche,parlandodiuna sfera personale ed educativa, non si vuolegiudicarenessuno,masolocomprendereperchél’essere pastori, ministero così bello e profondo,venga vissuto in unamaniera così deteriore chehapocoachefareconl’esserediGesùtraisuoieconisuoi,conilsuorifiutareogniformadiipocrisia,saccenteria,ampollosità,privilegidicasta,mapo-nendosicomeservoditutti,conumiltàetenerezza.

Hoconosciutodavicinounvescovo:MicheleMin-cuzzi (1913-1997).Lasuaamiciziae lasuapro-fonditàmihanno insegnato tantecose.Del cleri-calismoluiscriveva:essoè“potere:ecomeognipotere ha paura ed è portato a quantificare. La

paura,cheè l’oppostodella fede,portaalladiffidenza,alladisistima,allasolitu-dine; porta a confidare neimezzi terre-ni,nell’astuzia,nell’organizzazione,nellealleanzecompromettenti”.Interessanteilbinomiopotere-paura.OvviamenteMin-cuzzinonsiriferivaalpoteretestimoniatodaGesù,inparoleeopere,maaquellaformadi potere immaturoe spessode-leterio; per intenderci quello che Gesùrimproveraaifariseieagliscribi(Mt23).“Il partito clericale non è il partito dellareligione di Cristo. Grattategli la verni-cee troveretesotto il partitodei farisei,cioèdeipadroni”,tagliavacortoAgostinoGemelli.Infondoparliamodiunmododi

l’orizzonte vita di chiesa

Una brutta bestia: il

clericalismo Quali i segnali di questo fenomeno? È possibile identificare le cause e individuare le terapie?

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l’orizzonte vita di chiesa

vivereilpoteremoltosimileaquellodeipoliticiim-maturie immorali,chespesso(giustamente)criti-chiamo,cogliendolaloro“pagliuzza”etrascurandola“trave”clericale.

Questotipodipoteremalsanogenerapaura.Difattimoltospesso ipastoriaffettidaclericalismosonoanchemoltopaurosi.Hannopauradeimondilon-tano dal nostro, di coloro che non frequentano ononcredono,diparticolaripersoneversocuispes-soesprimonofobia(donne,omossesuali,separati,divorziati), delle persone preparate e critiche, delritrovarsifuoridalpiccolomondoanticodellasacre-stia.

La terapia: la novità della Parola

“Ilclericalismo-continuavaMincuzzi-ètendenzial-mente conservatore, cioè antistorico, antibiblico:perchélanovitàdellaParolaportaadunavisionedellastoriachenonèchiudersinelciclomarom-pereilcicloperandareavantiversoitempiultimi,icielie la terranuovi. Ilpeggiosiverificaquandocontagiamoilaiciconilnostroclericalismo.Ilcleri-calismoèpienodisaccenteria,èindividualismo,èparrocchialismocomedifesadelfeudo”.

Pensare il proprioministero o comunità comeun“feudo” vuol dire ritornare a posizioni preconcilia-ri,senonpropriomedioevali.NonacasoMincuz-zidenuncial’anacronismodellostileclericaledellaChiesa, che spessoarriva a costituirsi comeunacaricaturaeperquestorisultainsopportabilefinoaprovocarerigettoneicredenti,giàapartiredaipiùgiovani.

Il clericalismo laicale

Lo stile clericale non colpisce solo i pastori, maanche i laici. Un po’ tutti, molto spesso abbiamobisogno di una più chiara inversione di tendenzarispetto al tanto ingiustificato clericalismo, duro amorire.Esso-aggiungeMincuzzi - “nellaconcre-tezzastoricadellesuemanifestazionièdominan-zasulpopolodeibattezzatiedeiconfermati,quasichelapartecipazionealsacerdoziodiCristo,siadeiministriordinatisiadeilaici,avesseall’origineduesacramentidipendenti.IlBattesimoel’Ordinesacrosonoduefontiautonomedipartecipazioneall’unicosacerdoziodiCristo”.

Il riferimento ecclesiologico di Mincuzzi ci fa bencomprendere come i germi del clericalismo ven-gano seminati negli ambienti educativi attraversoapprocciantropologicieteologicidebolieinfondati,certamentenoninsintoniaconilVaticanoII.Alcunipensanoaddirittura-hoinmenteeducatoridise-

minario,parrocchie,gruppiemovimenti-cheilcle-ricalismosialarispostapiùadeguataallacrescen-tescristianizzazioneodierna.Maèesattamente ilcontrario: ogni recrudescenzaclericalegenera, inmaniera opposta e contraria, una recrudescenzaanticlericale(altra“bestia”dicuidovremmoparla-re).

Perevitareclericalismi(eanticlericalismi)cièchie-sto di monitorare continuamente il rispetto e laprudenzanelvalutare la realtàdioggi.Unpasto-reautenticohacuraperlepersoneeamoreperlostudio,insiemeatantacalma,pazienza,coraggioelungimiranzanellostudiarequantosuccededentroefuoridinoi:ciòvalesianellerelazioniinterperso-nalichenellapastorale. Ilclericalismoè integrali-sta, reazionario,arroccatonelladifesaaqualsiasicosto,pocorispettosodellacomplessitàepocoat-tentoallagradualitàdelricercare,sapereetrasmet-tere.Ilclericalismopreferiscecondannareilmondononsalvarlo.Elacondannaèfruttodigente,comericordaMaritain,dall’intellettomolleedalcuoreari-do; l’amore, invece,appartieneachihal’intellettoduroeilcuoredolce.O,conleparolediBenedettoXVI, dovremmodire: «Nonc’è l’intelligenzaepoil’amore:cisonol’amorericcodiintelligenzael’in-telligenzapienadiamore».

Latentazioneclericaleèpiùfortediquellochepuòsembrare.Aiutano tanto lepaginedeigrandipro-feti.ComequellediBernanos.ScrivenelDiariodiuncuratodicampagna:“Noipaghiamocara,moltocaraladignitàsovrumanadellanostravocazione.Ilridicoloèsemprecosìvicinoalsublime!Eilmondo,disolitocosìindulgenteversotutteleformedelridi-colo,odialanostra,d’istinto.Lastupiditàfemminileègiàmoltoirritante;lastupiditàclericaleèancorapiùirritantedellastupiditàfemminile,dicuid’altron-desembraspessoilmisteriosorampollo.L’allonta-namentoditantapoveragentedalprete,lasuaan-tipatiaprofonda,forsenonsispiegasoltanto,comecisivorrebbefarcredere,conlarivoltapiùomenoinconsciadegli appetiti contro laLeggeo controcolorochelaincarnano”.

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l’orizzonte vita di chiesa

Che cosa c’è dietro l’espressione “mi fido”? Sicuramente tante attese ed esigenze. Coerenza, amore, competenza sono come il telaio su cui si tesse la fiducia

Lostatodi crisi (culturale,economica, politica, relazionale,familiare) mette in discussionemolti degli atteggiamenti fonda-mentali,siadalpuntodivistaan-tropologicocheetico.Unodique-sti - non il solo, ma certamentetra ipiù importanti-èquellodel-lafiducia:sivadallafiducianellapoliticaaquellaneimercatienelmondo del lavoro, dalla fiducianell’affidabilità di alcune istituzio-ni a quella relativa alle relazioniquotidiane(amici,parenti,vicina-to,colleghi,mondoecclesiale).Cichiediamo:lacrisidifiduciatoccaanchel’ambientecattolico?Credopropriodisì.Sipensi,peresem-pio,aquellochestasuccendendonelle Chiese toccate dagli scan-dali della pedofilia o da scandalisociali,economici,razziali.

Quando dico “mi fido”

Partiamoconilrichiamareinnan-zitutto che cosa intendiamo perfiducia. Essa, in ogni ambienteumano, a scuola o all’università,in un’organizzazione economicaopolitica,inunacomunitàdifedereligiosaoinun’associazionecul-turale - direbbeEmmanuelMou-nier-rivesteunpostoeminenteecostituisceunsentimentoirriduci-bile, inquantohaoriginenellafi-duciaincondizionatadelbambinonell’adulto.Dilàpassaadesserefiducianell’altro,nelleistituzioni.Quandodiciamomifido-deimieigenitori,dialcunimiei insegnantie colleghidi lavoro,delmiopar-rocoocatechista,delmiomedicoedelconsulentedellamiabanca,delpresidentediquelpartitooas-sociazioneculturale,dialcunipo-liticiecosìvia-infondostiamodi-cendoche,daquestepersone,miaspettochesicomportino inunacertamanieraeciòsuccede.Per

esemp ioaffermarechemifidodel miom e d i c o ,vuol direaspettarsichemiac-colga, micompren-da, siacapace didare unnome allamiamalat-tia(odisa-gio)esap-pia comeintervenire

perrisolverla.Ovviamente, tutto questo, noncome un automa ma come unapersona che unisce competenzascientifica, tatto, maturità umanaedetica.

Aspirazioni, richieste, esigenzeIlprocessodelmifido,dalpuntodivistaantropologico,comepre-cisa Mary Douglas, comprendetutti igeneridiaspirazioni,richie-ste, diritti, aspettative, esigenze.Lafiducianasceesisviluppanelmomentoincuisappiamoesen-tiamochetaliaspettativesarannorealizzate.Ilriferimentoalsapereealsentireciportacosìadaffer-marechelafiduciacoinvolgesiala dimensione intellettuale cheemotiva;senzaescluderenél’unanél’altra.

Precisati questi punti possiamoora introdurre una definizione.«Fiducia-scriveAntonyGiddens-significaconfidarenell’affidabili-tàdiunapersonaodiunsistemain relazione a una determinataseriedirisultatiodieventi,laddo-vequestoconfidareesprimeunafedenellaprobitàonell’amorediunaltro oppurenella correttezzadi principi astratti (sapere tecni-co)».

Perché possiamo fidarci di unapersonaogruppo,lasuaaffidabi-litàdeveesserevalutatainterminidi correttezza morale, di amoree di competenze tecniche. I tretermini richiamanotresferedella

Fidarsi è meglio

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nostravita:ilcomportamentoone-sto (per i greci l’èthoseccellenteo laprobitas latina), ladimensio-ne emotiva e quella cognitiva.Ovviamente è facile distinguerei treelementi insedeteorica;sulpianopraticoèquasiimpossibile.Si pensi, per esempio, all’inseri-mentoinparrocchiaoinungrup-podicatechesi:quanteemozioni,cognizioni e professionalità sonocoinvolteeinqualemodo?!

Il telaio della fiducia

Consideriamoalloraitreelemen-ti - correttezza morale, amore ecompetenzetecniche-comeilte-laiosucuisitesselafiducia.Sesiprendecomeesempiofondamen-talequellodellafiducianeigenitori-dallapsicologiaritenutamatricediriferimentoperlealtrerelazioniistituzionali-cisiaccorgecomeilrapportodelfiglioconisuoigeni-torièuninsiemediaffetti,aspet-tative esaudite, conoscenza dicomportamentiprovatineltempo.Succedelostessonegliambientiecclesiali?Ingeneresì.

In essi, come in ogni istituzio-ne, va da sé che la fiducia nonè automatica: non basta aderiree appartenere a una parrocchiaogruppoperfidarsidiesso.Ciòchepensiamoesentiamodiessoèfruttodiuncamminostorico,ne-cessitiamo di tempi congrui perverificaremoralità,amoreecom-petenzetecniche.Comedirechelafiduciasicostruisceneltempoe

varisonoipercorsidicostruzioneeconsolidamento.

Nonvadimenticatoche,specieinambiente cattolico, il tema dellafiducianellerelazionisiintersecacon quello della fiducia (o fede)inDio.Nonèquesto il luogoperparlarne, ma va ricordato chechiviveconmaturitàecoerenzala sua fede inDio, “riporta” tuttoquestoanchesulpianoumano,adimostrazionechenonsiamosta-ti creati a compartimenti stagni,ma siamo un’unica persona. Di-ventareedesseresestessivuoldireprenderecoscienzadiessereun’unitàfisica,cognitivaedemo-tiva che deve relazionarsi con ilproprio io,conglialtri,conDioeconlanatura,includendoinessalacapacitàlavorativa.Elafiduciatoccatutteledimensionicostituti-veerelazionalidiunapersona.

Fiducia e cooperazione

Lafiducia,inoltre,vissutaeverifi-cataneltempo,portachiaderiscealgruppoadiventaresoggettoat-tivoinessa,adoffrire,cioè,ilpro-prio contributo di cooperazione.Esiste,infatti,unostrettorapportotrafiduciaecooperazione,comeafferma con estrema chiarezzaRobert Putnam: «la fiducia è illubrificante della cooperazione».Ciòsignificachedecidodispen-dermiperglialtri,all’internodiunacomunità,(anche)perchémifido.Doveperfiducia-valelapenari-cordarlo - intendiamo fondamen-

talmente il riconoscere il valoredell’altro, lasuapotenzialitàrela-zionale e la sua disponibilità adoperareper ilbene,nellamisuraincuiragionevolmentesiprevedechel’altrorisponderàpositivamen-te al mio invito-atteggiamento dicollaborazione.Questotipodiat-teggiamenti richiamaunprincipioeticonoto:quellodellasolidarietà.Riguardoaessavaprecisatochelaletteraturascientificaconsideraiduetermini,cooperazioneeso-lidarietà, strettamente collegati,vistocheil terminecooperazionesiriferiscealconcorsoeallacol-laborazionenellarealizzazionediqualcosa, mentre il termine soli-darietàfariferimentoalsentireunvincolo,unlegameconl’altrotan-todaoperareinsuofavore.

Precisatoquestopercorso -fidu-cia-cooperazione-solidarietà - lanostraattenzionesivolgealdatoeducativo.Equicisonodigrandeaiuto leparolediGiovanniPaoloII: “La Chiesa ha fiducia anchenell’uomo, pur conoscendo lamalvagitàdicuiècapace,perchésabeneche-nonostante ilpec-catoereditatoequellocheciascu-nopuòcommettere-cisononellapersonaumanasufficientiqualitàedenergie,c’èunafondamentale«bontà»(Gen1,31),perchéè im-maginedelCreatore,postasottol’influssoredentorediCristo,«chesi è unito in certo modo a ogniuomo»,eperchél’azioneefficacedelloSpiritoSanto«riempielater-ra»(Sap1,7).Nonsono,pertanto,giustificabiliné ladisperazionené il pessimismo, né la passi-vità. Anche se con amarezzaoccorre dire che, comesi puòpeccareperegoismo,perbra-madiguadagnoesageratoedipotere,sipuòanchemancare,di fronte alle urgenti necessitàdi moltitudini umane immer-senel sottosviluppo, per timo-re, indecisionee, infondo,percodardia. Siamo tutti chiamati,anzi obbligati, ad affrontare latremenda sfida dell’ultima de-cade del secondo Millennio.Ancheperché ipericoli incom-bentiminaccianotutti:unacrisieconomicamondiale,unaguer-rasenzafrontiere,senzavinci-torinévinti”(SRS,47).

l’orizzonte vita di chiesa

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si’ sono diacono

A tre settimane dalla mia ordinazione diaconale mi trovo buttato a pensare al mistero della vita e della morte. Piangendoci.“Uno verra’ preso e l’altro lasciato”, uno chiamato e l’altro

fatto attendere; uno afferrato chiaramente fin dal grembo materno, l’altro inspiegabilmente solo verso il tramonto… E’ la mia storia, cosi’ come la vostra.

Mi e’ appena morto un compagno di viaggio, salesiano in Etiopia, a soli 48 anni non compiuti. Prete. La Pasqua dice del chicco di grano che se non muore non porta frutto, ma e’ il peso di questo morire che mi rivolta dentro e con-fonde coi suoi turbolenti interrogativi.“Le mie vie non sono le vostre vie.”“Non la mia, ma la tua volonta’ sia fatta.”“Nelle tue mani affido il mio spirito.”

Era il 21 marzo, primo giorno di primavera.Un piccolo segno di sicura speranza combinato per attrarre lo sguardo nella profondita’ del Cielo, insondabile, ma in qualche modo magneticamente dolce e affabile. Primavera!<In fondo me lo sono preso io, suo Padre. Faro’ cosi’ anche con voi. Un traguardo che dovreste conoscere e a cui aspirare. Non e’ che si nasce e si muore; e’ che si muore e si rinasce per sempre.La spiga viene da li’, da quel seme marcito e tolto ai vostri occhi. A che serve un chicco pulito e lucente sulla vostra scrivania? Il bello viene dal distacco,dalla perdita, dalla morte. La Resurrezione vi sbalordira’.>

Lui e’ il Padre. Noi i figli. Solo la fiducia ci salva. Questa fiducia e’ lo stesso atteggiamento di fede di Gesu’. Come Lui anche noi. Capire talvolta poco, ma fidarsi comunque totalmente, perche’ alla base c’e’ questa Paternita’ che ci ha creato, con arte ed affetto, per la grande bellezza di un eterno rapporto d’amore senza ombre.

Si’, sono diacono.E’ un inizio fondato sull’imposizione delle mani di un abuna, per la garanzia del passaggio di abbondanza di Spirito Santo nella vita (testa e bocca, cuore e mani) che mi viene rinnovata.Tutte parole impegnative quelle udite nella celebrazione sacramen-tale. Parole che mi sbattono un po’ in pasto al possible giudizio di chi sa cosa dovrei essere e fare. E’ un ministero, un servizio, un dono-per.L’onore che ne viene, se mai ci fosse, il che non credo, e’ quello della fedelta’, della dedizione al compito a cui sono stato chiamato.Vale per ciascuno di noi. Riceviamo doni diversi; dovremmo condividerli. Menarne vanto o chiederne in cambio onore e’ semplicemente un non-senso. Per un dono si ringrazia solo. Il dono rimanda alla fonte che ne rivela anche il significato.Ogni dono e’ per la comunita’ tutta che ne puo’ reclamare il godi-mento, e che godendone cresce e si perfeziona.

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Mi piace ricordare che possiamo avere I diaco-ni e I preti che ci meritiamo, in un certo senso.In un corpo sociale la bravura di uno, l’onesta’ e la disponibilita’ di qualcuno, la solidarieta’ di tutti lo fa crescere e lo consolida. Il van-taggio si riversa su tutti e tutto l’organismo, il sistema, ne benficia.E’ lapalissiano, come si dice.

Per la comunita’ Cristiana, un corpo sociale speciale, avviene lo stesso. Si cammina insieme. La bonta’ dei nostri atti fa lievitare tutto il corpo. E’ la legge del corpo mistico, la legge dell’essere chiesa. Ci influenziamo e santifi-chiamo a vicenda.

San Paolo diceva che se e’ andata male in Adamo, va molto meglio e alla grande in Cristo.Quindi, il dono e il ministero-servizio di uno va sostenuto e aiutato a raggiungere tutti.Vi chiedo ancora una volta di camminare e di prepararvi con me.

Il 22 settembre prossimo sia una data che ci attira per la ricezione di un dono che e’ per tutti.Semplifichiamo e sciogliamo il cuore facen-dogli le trasfusioni di sangue compatibile e giusto, quello di Cristo.Col suo sangue a scorrerci dentro vivremo la sua stessa vita, vita donata agli altri, buoni e cattivi.Non e’ che la Pasqua dice altro.

La Pasqua racconta di Uno che muo-re perche’ gli altri vivano; narra dello stesso Morto che risorge evive negli altri col suo Spirito.Riprodurne il mistero e’ realizzare il massi-mo, e’ diventare somiglianti al Figlio ed eredi-tare quanto Lui, per primo e quindi garante e primizia, ha ricevuto.

Auguri! Cristo e’ Risorto. Il Padre l’ha resuscitato.Il mio amico prete di soli 48 anni ci sia l’im-magine-richiamo della Pasqua che raggiunge tutti noi:Morire per amore non e’ che seminare la Re-surrezione.

Isidoro, diacono

ORDINAZIONE SACERDOTALE

di ISIDOROSABATO 22 SETTEMBRE 2012

ore 16,00Basilica-Santuario S.Arcangelo Tadini

Botticino Seracon l’imposizione delle mani di

mons. ANGELO MORESCHIPrefetto Apostolico di Gambella (Etiopia)

segue presso la sala polivalente dell’oratoriomomento conviviale

***PRIMA S.MESSA

DOMENICA 23 SETTEMBRE ORE 10,00

CHIESA PARROCCHIALE SAN GALLO

segue presso l’oratorio aperitivo

ORE 17,30 CHIESA PARROCCHIALEBOTTICINO MATTINAsegue presso l’oratorio rinfresco

***Isidoro nei giorni a seguire visiterà le perso-

ne ammalate e anziane che non hannopotuto essere presenti alle celebrazione

***Le comunità parrocchiali di Botticino sa-

ranno coinvolte con incontri di preparazione all’ordinazione sacerdotale di Isidoro.

Preghiera, ascolto della Parola di Dio, ri-flessione e approfondimento della vocazio-ne sacerdotale religiosa missionaria e sulla figura di San Giovanni Bosco e l’opera da

lui fondata per il bene della gioventù.

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Come Botticino può esprimere con un segno concre-to la vicinanza a Isidoro in occasione della sua Ordi-nazione Diaconale avvenuta il 3 marzo a Zway e per la prossima Ordinazione Sacerdotale, a Botticino, il 22 settembre?

Durante la permanenza in Etiopia per l’Ordinazio-ne Diaconale di Isidoro abbiamo avuto la possibilità di incontrare e conoscere parecchie attività che i Sale-siani svolgono in Etiopia per i bambini, giovani, donne e famiglie. Oltre all’attività strettamente pastorale di servizio religioso, sono numerose le scuole con migliaia di bambini e giovani coinvolti, l’accoglienza dei ragazzi di strada, scuole professionali e botteghe lavoro per adulti, anche per chi in mezzo a tanta povertà genera-le si trovano in maggiore difficoltà...

Innumerevoli le necessità... Isidoro e i Salesiani di Dilla, ci hanno fatto la richiesta di contribuire alla co-struzione della nuova cucina per la mensa dei bambini poveri, vista la situazione precaria di quella esistente, come appare dalle fotografie qui allegate e dallo scrit-to che descrive la priorità di intervento e il progettino.

Da subito si apre la raccolta per raggiungere la som-ma necessaria. Si invitano a contribuire le parrocchie ma anche associazioni e realtà botticinesi che dedide-rano con questa iniziative esprimere solidarità e par-tecipazione comunitaria per Isidoro e la sua Etiopia.

Il mondo visto dal bassoDilla è a 365 km chilometri a sud di Addis Abeba, dove comin-cia la Rift Valley, territorio Sidamo. La missione “più verde” d’Etiopia accoglie centinaia di studenti nelle sue scuole tecni-che. Ma Dilla interpreta anche un altro importante carisma: l’umanità. Centinaia di persone arrivano ogni giorno davanti ai cancelli della missione seguendo il ritmo imprevedibile della carestia, di un raccolto svanito, di un’epidemia di malaria. Arri-vano gli ultimi degli ultimi alla missione di Dilla. Qui si pensano e sviluppano progetti piccoli e seguiti con cura, dove si fanno programmi alimentari per i bambini denutriti, si danno consigli alle mamme, si crea una casa famiglia per i bambini orfani. Perché se si guarda il mondo dal basso, gli ultimi sono sempre i primi.

progetto “LE DILLA ETSANAT”“per i bambini di Dilla”

INDET MEBLAT ICILALLU KUSHINA SAISERALLACCIOcome possono mangiare se non gli si da una cucina

foto della mensa di Dilla per i bambini poveri

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Dalla Missione di Dilla PremessaQuesto progetto in favore di bambini denutriti si sta realizzando a Dilla, Ghedeo, Sud Etiopia.Dilla e` la capitale della zona Ghedeo e si tro-va a 90 chilometri da Hawassa (capitale regio-nale) e 365 chilometri dalla capitale etiopica Addis Abeba.La popolazione di Dilla in questi anni e` cre-sciuta enormemente. Adesso si aggira sui 90.000 abitanti. Il motivo pincipale per questa crescita e` dovuto al fatto che la popolazione si sta spostando sempre piu` dalla campagna alla citta`. Questo avviene in tutte le citta` etio-piche. Questa situazione contribuisce ad ampli-ficare i problemi gia` esistenti e a formare una classe di persone sotto il livello di poverta`.Noi come Salesiani ci siamo posti di fronte a questa situazione ed abbiamo cercato di fare qualcosa. Siamo consapevoli che quello che facciamo non e`molto, ma almeno per i bambi-ni che riusciamo a raggiungere e` un raggio di speranza per un futuro migliore.ProgettoIn breve, questo progetto coinvolge 300 bambini con problemi di denutrizione o con gravi pro-blemi in famiglia, da 1 anno a 12 circa ed una trentina di mamme. Oltre a dare loro cibo, che consiste in una farina di granoturco o di fafa (una farina nutriente) e un brodo di verdure e pata-te con carne o fagioli, cerchiamo di seguirli anche dal punto di vista igienico/sanitario e scolastico. Siamo convinti che l’educazione potra` aiutarli a crescere e a migliorare la loro condizione di vita.RichiestaOrmai sono poco piu` di 25 anni che stiamo svolgen-do questa attivita`. Eravamo partiti con un piccolo gruppo di bambini. Adesso abbiamo raggiunto, come ho scritto prima, la quota di 300. La cucina dove si prepara il cibo per loro ormai e` stretta e richiede anche di essere rinnovata. Per questo attraverso il vostro parroco e in occasione dell’ordinazione sacerdotale di Isidoro Apostoli ci accin-giamo a mandarvi questa ri-chiesta di aiuto.Vi chiederemmo di aiutarci a ricostruire la cucina per pre-parare in modo piu ̀ appro-priato il cibo a questi bambini. Vi aggiungiamo il piccolo pro-getto della possibile cucina.Il valore si aggira intorno a 317.200 birr (15.000,00 Euro).Vi ringraziamo in anticipo per tutto quello che potrete fare per noi.Grazie di cuore anche a nome dei nostri bambini che vi ricordano nelle loro preghiere. Abba Roberto

fotografie rigaurdanti l’attuale cucina

progetto nuova struttura di 63,44 mq comprendente ufficio e cucina

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Botticino da Isidoro,

nella sua Africa acuradiGiulio

Scriveva Isidoro sull’ultimo numero “Voce per la Comunità”: “Ho trascorso il mese di luglio in Etiopia e lavato i panni nel Baro abitato da coccodrilli. Un’altra Africa per me. Verdi foreste e pianure … genti diverse … nere non cioccolatini. Ovunque ebano lucente, per il sole che si lascia affascinare da certi colori … E’ ora che ci abbronziamo anche noi.”

Era un invito? Certamente, sottointeso. Ed è stato accettato. Il gruppo dell’Unità Pastorale di Botticino è partito verso quella terra lontana, l’Etiopia, nella lingua dei faraoni neri “paese della pace più alta”.

La compagnia, composta da: l’organizzatore don Raffaele, il diacono Pietro, il salesiano don Angelo Rodella, (preziosissimo interprete), il sindaco Mario Benetti con moglie (che rappresenta la comunità civile di Botticino), Emer con i due amici di Treviglio (esperti di Trekking), i coniugi Masserdotti e il volontario Giovanni Longhi, è stata sin da subito messa a dura prova dalle preoccupazioni di carattere sanitario a causa delle numerose vaccina-zioni e dintorni, ma la volontà di arrivare da Isidoro ha prevalso. Si aggregano dopo alcuni giorni raggiungendoci ad Addis Abeba Suor Erminia ed il nipote Davide.

Le lunghe ore di volo ci portano, via Dubai, ad Addis Abeba, in lingua locale “nuovo fio-re”; l’impatto con la città e con le baraccopoli della periferia è scioccante!Il nostro Isidoro ci ospita nella casa dei salesiani, angolo delizioso in una cornice desolante. Dopo i lunghi sette giorni trascorsi nel nord Etiopia, ne parleremo in seguito, imbocchiamo l’asfalto , cosa rara in questo Paese, in direzione della missione di Isidoro, Zway.

È il 3 marzo, giorno dell’ordinazione a diaconato. Noi non siamo voluti mancare, siamo giunti da lontano per Isidoro! La grande chiesa è gremita. Le donne avvolte negli scialli bianchi ed i bambini silenziosi: grande silenzio e raccoglimento.

Immaginate coloratissimi ombrelloni che cingono come petali di un fiore il corteo del vescovo nero e dei presbiteri e gruppi di bambini che lanciano al passaggio profumatissime rose; provate ad udire il solo canto dei due cori ritmato dal tamburo di pelle di capra che introducono il rito di consacrazione che dura già ben tre ore ma che si vorrebbe non finisse mai. Il culmine della cerimonia sta proprio in quell’ “Eccomi” pronunciato da Isidoro, prostrato dinnanzi al Vescovo.

È bello in quel momento ripercorre con la memoria quegli “Eccomi” pronunciati a suo tempo da suor Erminia, l’emozionatissima sorella mis-sionaria in Burundi e da don Valentino, missionario in Bolivia. Tre mis-sionari nati e cresciuti in un piccolo paese quale San Gallo, che hanno risposto alla chiamata Universale dell’annuncio del Vangelo.

I tempi sono però frenetici, il viaggio prosegue sino alla soglia dei con-fini del Kenia. Arriviamo a Dilla nel grande centro salesiano dove don Roberto Bergamaschi ci accoglie con ospi-talità per tre giorni. Ma non si batte la fiacca! Don Roberto ci guida verso lontane chieset-te arroccate su colline sperdute, attraverso strade quasi impraticabili, percorse altresì

da persone di lingua e costu-mi così diverse, che spingono asini, capre e mucche scheletri-che, in quella che appare come una confusione babelica.

La visita ad una capanna è uno schock emotivo incontrol-labile, da farti girare la faccia altrove per cercare di nascon-

Mercato a Lalibela

Al cimitero italiano a Adigrat

sacerdote Chiesa Etiope

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dere commozione e qualche lacrima. Lì, in pochi metri quadrati, “convivono” uomini e animali; si dorme per terra su pelli di capra. Il fumo del fuoco esce dalle interconnessioni di pali e paglia!

Visitiamo il grande centro salesiano: un vero miracolo alla Don Bosco. Il complesso scolastico frequenta-to da centinaia di alunni, in divise sgargianti ed educatissimi, i grandi orti, la fattoria, i laboratori di falegna-meria e meccanica. Nello spirito salesiano: educare, formare, insegnare un lavoro.

Ma galeotto è il missionario, come in altre pagine scrisse Isidoro, che per amore di forti contrasti e per “buttarci un po’ di acido sulla coscienza” ci porta a visitare la mensa degli ultimi tra i poveri: duecento-trecento bambini con mamme, con davanti un piatto di njera, farina con acqua; di solito è molto meno. Il tutto da prendere a mani nude, con un po’ d’acqua! Oggi è il pranzo è speciale per l’arrivo dei visitatori! Il nostro missionario ci ha voluto dare un pugno nello stomaco!

Nella settimana precedente, il gruppo su tre robusti fuoristrada, su tratturi quasi impraticabili, in un mare di polveri e sassi, aveva compiuto l’intero tour del nord Etiopia: paesaggi mozzafiato, montagne, vallate, altipiani riarsi dal sole po-polati da capre scheletriche, asini, pecore brucanti pochi steli di paglia.

Visitiamo l’antico Gondar, la cittadella fortificata del re Fasilidas con architet-ture portoghesi, la bella chiesa della Trinità, con affreschi di giovani cherubini dai grandi occhi.

Saliamo verso Lalibela, famosa per le dodici chiese scavate nella roccia. La più famosa, la Bet (chiesa) Giorgis, ricavata in un enorme blocco, impreziosita da decorazioni, dipinti, affreschi, croci greche … Nella penombra, immobili monaci vestiti di bianco. Un giro nel mercato: sotto un sole implacabile, in un vero inferno di polvere, un’incredibi-le mescolanza di uomini, animali di ogni genere, sgangherate banca-relle … Uno spettacolo che ricorda un girone dantesco!

Un’escursione sul grande lago Tana su un barcone non accoman-dabile, una visita ad un monastero che conserva le Sacre Tavole, le cascate del Nilo Azzurro.

Indi su verso Axum, famosa per il parco delle steli: enormi mono-liti funebri. La più maestosa, istoriata, alta 23 metri. Tra le altre “la stele italiana”, trafugata da Mussolini negli anni dell’Impero e resti-tuita all’Etiopia nel 2002 dal Governo italiano.

Ma la vera perla di Axun è la chiesa di Mariam Sion con annessa la gran-de costruzione ove è conservata l’Arca dell’Alleanza. Ma l’ingresso è vietato a chiunque: l’Arca è custodita da un monaco con il compito di sorvegliarla fino alla sua morte. Si dice contenga l’urna con le tavole consegnate da Dio a Mosè sul Sinai. Attraverso bei paesaggi di colline, montagne rosso-bruno, raggiun-giamo Adua, famosa per la sconfitta subita nel 1896 dalla spedizione colonia-le italiana. Ora solo una croce trascurata ricorda l’avvenimento. C’è anche ad Adigrat un piccolo cimitero italiano. Con commozione entriamo e cerchiamo il nome del nostro compaesano Battista Oprandi morto proprio ad Adua. È un parente del nostro diacono Pietro. Ma il suo nome non c’è, è nascosto dietro un’anonima dicitura di soldato ignoto. Una preghiera, una frase sul libro, uno sguardo alla bandiera italiana che sventola alta.

Attraversiamo ora lo stupendo Tigray, terra straordinaria di picchi altissimi, di-stese di sabbia, savane, grandi mandrie al pascolo. Un altro volo interno ci riporta ad Addis Abeba.

È ora di salutare l’Africa con le sue bellezze straordinarie, le sue povertà e la tragicità delle sue genti.Scrive Claudio Tomatis, un innamorato dell’Africa: “laggiù sembra il tempo passa-re nell’indifferenza del passato e del presente che dialogano avendo come vocabo-lario il silenzio e il vento lasciando tutto intatto …“.

Il volo di rientro ci riporta a Dubaj incredibile città dai cento grattacieli con l’in-terminabile Bury Khalifa alto 870 metri: uno sfarzo sfacciato, ricchezze esibite. Una nuova Babilonia? ma che ne sarà quando finirà l’epopea dei petrol-dollari? Come l’antica città finirà nella polvere e nella dimenticanza del tempo anche que-sta Dubaj?

A Botticino ci salutiamo: nell’animo di ciascuno un universo di emozioni, visio-ni, volti umani e realtà sconvolgenti. Ma ognuno si sente cresciuto dentro.

Bury Khalifa 870 metri

chiesa a Lalibela

sacerdote Chiesa Etiope

sacerdote con croce d’oro

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LA FEDE HA I SUOI GESTILa fede ha le sue feste. La fede ha i suoi gesti. Attraversano tutta la sua esistenza anche feriale. Dopo aver presentato i segni del recarsi al tempio e dell’ entrare in queste pagine riscopriamo il valore dell’ascoltare la Parola di Dio..

SE MI PARLI IO ESISTO“Mia figlia e vostro figlio si parlano”. Così si dicevano, un tempo, i nostri anziani. Intendevano dire che stava nascendo una relazione tra due fidanzati. La parola era come un ponte. Si intensificava poi per un periodo (allora molto prolungato) negli incontri tra i due (che allora erano solo domenicali e festivi).

In questa scheda ci occupiamo di un gesto: accogliere la parola. È presente nella vita (fa nascere e man-tiene vivo un rapporto). È presente nella liturgia. Gli interrogativi-guida sono questi:. Qual è il suo spessore antropologico?. Come viene “narrato” nella Bibbia? In quali epoche e figure?.Che senso ha il “sedersi per ascoltare” presente nella liturgia e nella vita?

Ed ecco gli elementi:. 2 opere d’arte: Il sermone della montagna del Beato Angelico e Il pulpito di Giovanni Pisano.I relativi commenti. Il Percorso biblico e il Vademecum liturgico . Tramate con noi per attivare genitori e figli.

Commento artisticoSUL MONTE ATTORNO A GESU’ Nella miniatura di un messale di Cambrai del 1120C’è sempre molto silenzio nelle scene del Beato Angelico. Per lui l’atti-vità suprema dell’uomo sem-bra essere quella di mettersi in ascolto. Qui il tema dell’affresco è esplicitamente questo. Non della natura, non delle parole umane, ma del Vangelo. È Gesù che parla e dodici persone stan-no ad ascoltare. Evidentemente sono gli apostoli, ma dodici è il numero della totalità. Qui c’è tutta la Chiesa. Qualcuno vede la Chiesa come piramide e insi-ste nel dire che ci vogliono i vari ministeri. Qualcun altro vede la Chiesa come popolo che cam-mina. Qualcuno la vede come sale e come lievito. L’Angelico ce la mostra come cerchio in ascolto. In un’epoca in cui l’uo-mo sente di essere al centro del creato (siamo nel ‘400), lui ci tiene a conservare alta questa dignità, mettendola esplicita-mente in compagnia del Dio che s’è fatto uomo. È una grande

Beato Angelico, Il sermone della montagna, 1440Firenze, Museo di S. Marco

I gesti della fede

ACCOGLIERE LA PAROLA

I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Accogliere la Parola- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Accogliere la Parola - I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia-

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I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Accogliere la Parola- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Accogliere la Parola - I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia-

Percorso biblico

STORIA DELLA PAROLA, STORIA

DI UNA RELAZIONE Secondo la Bibbia, la parola di Dio ha una storia. Noi la rappresentiamo al vivo attraverso alcune figure. L’esito sarà questo: vedremo crescere una relazione.

• Il popolo al Sinai. Dio si è rivelato a Mosè (Es 3,1-15). Ha fatto esistere il suo popolo traendolo fuori dalla casa di schiavitù. Ora lo sposa ai piedi del Sinai. Mosè è testimone alle nozze: compie il rito di sangue. Parte lo sparge sul popolo e parte sull’altare. La Parola è la base di questa alleanza (Es 24,1-8). Il popolo proclama: “Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascol-to” (Es 24,7). Quel giorno non si cammina. Ci si ferma per udire il parlare di Dio. Poi si fa festa (Es 24,11).

• Samuele. Il popolo si trova ora nella terra promes-sa. È tentato di infedeltà al Signore. La classe dirigente è corrotta. Anche il sacerdote Eli è impotente. Ma, con grande coraggio, sa farsi da parte quando intuisce che la parola di Dio viene rivolta al piccolo Samuele. Gli mette in bocca le sillabe giuste. Parla, Signore, perché il tuo servo ascolta” (1 Sam 3,9). Samuele obbedisce al padre (1 Sam 3,10). Ha allora la chiara percezione che Dio sta aprendo ad Israele un’epoca nuova. Samuele rappresenta il giu-sto atteggiamento: porsi in ascolto, diventare coscienzio-so uditore. Mai pretende di essere veggente. La parola diventa base per la missione. Samuele apre la serie dei profeti. È un’an-tenna sensibile al parlare di Dio. Diventa suo portavoce e interprete

• I discepoli sul monte. Facciamo riferimento a Mt 5,1-12. Il Beato Angelico visualizza molto bene la scena. Gesù sale sul monte, cerca il suo abbà, colui che è per lui

fonte, patria, riposo. Egli siede sul monte: quella è la sua casa. I discepoli sono accanto a lui. Gli israeliti, invece, stavano ai piedi del Sinai intimoriti ed attoniti (Es 24,8). Gesù non cita né maestri, né referenti. Lui è la parola fat-ta carne. Egli interpreta in modo sommo, definitivo il par-lare di Dio. Non usa più né il tono delle proibizioni (non uccidere, non sequestrare, non dir falsa testimonianza…) né quello delle prescrizioni (osserva il sabato, onora il pa-dre e la madre). Ripete in modo quasi ossessivo un termi-ne: beati. Rivela così il volto di Dio. Egli è un padre, che, in Gesù, ci indica le vie per divenire felici. Per ora ci parla. Poi, anche noi, lo vedremo sul monte faccia a faccia (1 Cor 13,12).

• Maria, sorella di Marta. Il riferimento è al testo di Lc 10,38-42. Gesù sta andando verso Geru-salemme. Maria interpre-ta molto bene l’urgenza del momento: occorre stare ai piedi del Signore e ascoltare la sua parola (Lc 10,39). Si tratta non di servirlo, ma di seguirlo. Questo avviene solo se si sa dove egli vada. Maria è l’espressione più alta del discepolo. Occorre fissare gli occhi, su Gesù, aprire le orecchie. Così lo si ac-coglie come Signore della nostra vita. In Maria c’è l’anticipazione anche di ciò che faremo in cielo. Gesù non avrà più bisogno dei nostri servizi. Saremo seduti attorno a lui. Egli ci ospiterà nella sua casa. Passerà lui stesso a ser-virci, mentre noi saremo assisi a mensa (Lc 12,37).

missione quella della Chiesa: testimoniare Lui, far memoria di Lui, contemplare Lui. Non perdere nessuna parola di Lui. Qui però non c’è nessun guardiano a difesa del cerchio e quindi non c’è nessuna preclusione ad entrare nel cerchio. Dodici è il numero simbolico; sta per dodicimila, sta per dodicimila milioni… La fortuna di sentire proclamare nell’assemblea eucaristica la Sacra Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) è un privilegio di cui do-vremo rendere conto. Ci verrà chiesto se il nostro volto e il nostro cuore si saranno lasciati plasmare da questa Parola. Ma chi può negare la sensazione che la scena sappia molto di aria aperta, di spazi infiniti? È troppo im-maginare il Cristo come fiume di acqua viva che lambisce gli apostoli e non si arresta stagnando tra loro, ma va giù a valle, giù giù fino a raggiungere il più lontano e il più miserabile tra gli uomini? Chi può negare che il Cristo,

per mezzo del quale il mondo fu creato, non stia cantan-do nel cuore di ogni uomo il suo Vangelo? Ma occorrono dei “traghettatori”, rappresentati qui dai Dodici, che, scesi dal monte, prenderanno il largo e aiuteranno l’uomo, ogni uomo che incontreranno, a riconoscere nel profondo del proprio cuore quella Voce, di cui la stessa Scrittura è solo un tramite.

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Commento artistico

UN RACCONTO SCOLPITO SUL PULPITO Quello che abbiamo qui in immagine si chiama pulpito e non più ambone. Ciò è dovuto al fatto che ora non vi salgono più solo i Lettori e il Diacono per proclamare la Sacra Scrittura e per intonare il grande Alleluia. Ora vi sale il “predicatore”, colui che ha il compito di riprendere il Vangelo, di ridirlo mescolandolo alla nostra vita. Siccome le letture erano in latino, il vescovo o il sacerdote dovevano fare un breve cenno a ciò che era stato proclamato in lingua ormai incomprensibile e buttarsi nel commento infuocato che intendeva “attualizzare” la Parola. La grande curva liturgica l’aveva avviata S. Francesco. Con il Presepe di Greccio, con le Stigmate e con il suo modo di parlare alle fol-le, il Poverello rendeva vivo e toccabile il Vangelo. Predicando nelle chiese ora i francescani ( e in contemporanea i domenicani) avevano bisogno di una piattaforma molto rialzata e un po’ più vicina alla gente. Dal ‘400 questo nuovo manufatto (ora non più luogo liturgico) si sposterà decisamente in mezzo alla chiesa per guadagnare in acustica nei confronti dei fedeli. La curva del’200, che è qui da vedere nel pulpito di Pistoia, coincide anche con il ritorno deciso della scultura nelle chiese e con il desiderio di dar corpo ai gesti, ai sentimenti. Il predicatore ora è come avvolto da una pellicola cinematografica continuamente proiettata e leggibile da tutti. Prima erano i monaci a capire. Ora tutti vedono e tutti sentono il racconto “ridetto” dal Predicatore e scolpito sul pulpito. Il pulpito di Giovanni Pisano espli-citamente (come volevano i committenti) ripete i soggetti che papà Nicola aveva illustrato nel pulpito del Duomo di Siena: 1. Annunciazione, Natività, Bagno di Gesù e Annuncio ai pastori. 2. Sogno e adorazione dei Magi. 3. Strage degli Innocenti. 4. Crocifissione 5. Giudizio Universale. Ma che differenza rispetto al padre! Dalla compostezza di Nicola si passa a uno squassamento impressionante e a drammatici contrasti. Certo, verrà presto Giotto a portarvi lo spazio, utilizzando la meno adatta delle arti, la pittura, l’arte che era rimasta ferma alle icone. Con lui la curva diventerà ad-dirittura una curva quasi a “U”, mantenendo però la rivo-luzione del messaggio cristiano.

Vademecum liturgico

PAROLA DEL SIGNORE All’interno della celebrazione eucaristica, ci la-sciamo guidare da queste persuasioni:

• Quando nella Chiesa vengono aperte le Scrittu-re, ancora Dio scende nel giardino e conversa con l’uo-mo (Gen 3,8): così diceva S. Ambrogio. Non dobbiamo avere preoccupazioni improprie (domandarsi che cosa offriamo noi a Dio, voler capire tutto…). È bello che ci concentriamo su di una lieta notizia: Dio ci sta parlan-do. Per questo ci sediamo, assumiamo la posizione più comoda. Due le convinzioni: Dio parla a noi e di noi; rivela il suo volto e ci fa scoprire la nostra autentica fisionomia

• Quando il lettore sale sull’ambone, trasforma una realtà statica (lo scritto) in realtà dinamica e inter-pellante, la voce. È il supremo dialogo a noi concesso sulla terra. Ha la forma di appuntamento comunitario, di convocazione. Dio parla a tutti e simultaneamente.

• Quando le Scritture entrano nel-l’azione liturgica, assumono un significato nuovo, inedito (OLM 3). Per noi, qua e ora, quegli avvenimenti accadono: noi siamo pellegrini come i patriarchi, noi attraversiamo i Laghi Amari, noi siamo frantumati nella diaspora dell’esilio, noi siamo sul Tabor come Pietro, Giacomo e Giovanni, noi riviviamo la croce o la resurrezione…

• Alla parola deve corrispondere il silenzio. Lo dobbiamo fare a conclusione della Colletta nel momento in cui ci sediamo. È un evento grande: viene aperta la Scrittura, la lettera che Dio ci ha inviato. Dobbiamo stare in silenzio dopo la proclamazione: quelle parole devono, attraverso le orecchie, toccare il cuore. Per questa assi-milazione lenta ci aiuta il salmo responsoriale. Le strofe sono affidate al cantore (o al lettore). Noi ripetiamo il versetto: è una specie di sintesi per ricordare l’evento, celebrarlo, viverlo. Può essere utilmente valorizzato nella preghiera personale, lungo tutta la settimana.•

I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Accogliere la Parola- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Accogliere la Parola-- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia

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I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Accogliere la Parola- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Accogliere la Parola-- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia

TRAMATE CON NOI - per attivarsi in famiglia genitori e figliIO SONO TUTTO PER TEPossiamo mimare queste situazioni, senza pronunciare neanche una sillaba:• Una persona si rivolge ad un’altra. Si rappresentano tutte le possibili ipotesi: l’altro neanche si ferma, op-

pure si volta dall’altra parte, sbadiglia.• Al contrario invece si ferma subito, si siede ed invita l’altro a fare altrettanto. Ci chiediamo: Che differenza

c’è tra i due casi?• Guardiamo la prima immagine Il discorso della montagna del Beato Angelico. Sentiamoci anche noi “cer-

chio di ascoltatori” attorno a Gesù. Che cosa ci dice? Che cosa vogliamo dirgli noi?• Come ascoltano i 12 seduti accanto a Gesù?• Leggiamo e interpretiamo la scena di 1 Sam 3,1-21. Osserviamo i personaggi visibili (Eli, Samuele). Intuia-

mo quello invisibile. Alla fine diciamo anche noi “Parla, Signore che il tuo servo ti ascolta”.• Leggiamo Lc 10,38-42. Lo facciamo rappresentare da 3 attori. Invitiamo tutti a identificare le differenze tra

Marta e Maria. Ascoltiamo ciò che dice in proposito Gesù.• Poniamo al centro della stanza la bibbia. Gesù parla ancora. Cerchiamo un luogo bello e ben visibile per

porre attenzione alla Parola di Dio durante la giornata.• Invitiamo a guardare il pulpito che è riprodotto nella scheda. Un tempo nelle chiese si costruiva un luogo

bello e prezioso per proclamare da questo luogo la Parola di Dio. Anche noi vogliamo mettere in un “luogo” prezioso e importante della nostra vita la Parola

• Osserviamo che cosa c’è nella nostra chiesa parrocchiale. Notiamo nella liturgia come viene dato valore alla lettura della Bibbia (candele, incenso, atteggiamenti del corpo, bacio del vangelo …). Che cosa ci dice tutto questo?

• Lungo la giornata, in casa, lasciamo aperta la Bibbia. In chiesa, di solito, rimane al suo posto il lezionario. Valorizziamo, in particolare, il salmo responsoriale. Possiamo agevolmente fare tutte queste operazioni con il messalino.

Il silenzio è la maniera più alta per affermare la sovranità di Dio. È anche la premessa per custodire, nel cuore (come faceva Maria, Lc 2,19) il seme della Parola.

• Nella liturgia abbiamo l’inter-pretazione più alta della Scrittura. È espressa da questi 2 movimenti:- stiamo seduti per il brano dell’AT e dell’Apostolo;

- ci alziamo in piedi al Vangelo. Entra la parola viva, ultimativa, insu-perabile di Dio che è Gesù stesso. Ciò che era velato diventa palese, ciò che era atteso arriva. Ciò che era promesso viene donato. Ciò che era complesso, confuso si unifica e semplifica (Eb 1,1).• Nella Messa abbiamo una duplice mensa, quella della parola e quella del pane (DV 21). In realtà si tratta di un unico atto di culto. Ciò che viene narrato (liturgia della parola) diventa vero per noi (Li-turgia Eucaristica). Tutto questo è espresso nell’invito che colui che presiede fa alla comunione. Se si è parlato dello sposo, si dirà “Ecco lo sposo che viene; uscitegli incontro” (Mt 25,6);se si è parlato dell’agnello si dirà “Ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo” (Gv 1,19).Se si è parlato del pa-s t o r e , si dirà “ E c c o il buon pasto-re che d o n a la vita per le sue pe-c o r e l -le!” (Gv 10,11).

Celebrare

GLI OCCHI RIVOLTI AL SIGNORE A te alzo i miei occhi,a te che siedi nei cieli.Ecco, come gli occhi dei servialla mano dei loro padroni,come gli occhi di una schiavaalla mano della sua padrona,così i nostri occhial Signore nostro Dio,finché abbia pietà di noi.Pietà di noi, Signore,pietà di noi,siamo già troppo sazi di disprezzo,troppo sazi noi siamodello scherno dei gaudenti,del disprezzo dei superbi.

Salmo 124 (123)

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I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Stare in piedi,camminare- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Stare in piedi,camminare- I GESTI DELLA FEDE

L’UOMO , UN BIPIDE CHE CAMMINA“Balzato in piedi, si mise a camminare” così si dice in At 3,8 a proposito dello storpio che chiede l’elemosina a Pietro e Gio-vanni al tempio. È il segnale preciso che Cristo si è rialzato (At 3,12). Ha riaperto all’uomo la possibilità di essere se stesso: un bipede che sta eretto, si muove, procede verso una determinata direzione.La nostra scheda (la sesta della serie) mette a tema 2 gesti: alzarsi e camminare. Sono presenti nella vita; appartengono all’universo della fede. Ci chiediamo:

a) Quale valenza antropologica hanno?b) Come li vede la Bibbia?c) Dove compaiono nella ritualità cristiana?

Commento artistico

ECCO COME CAMMINA “L’ UOMO NUOVO” Molti miracoli e prodigi avvenivano fra il popolo per ope-ra degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; degli altri, nessuno osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava. Intanto andava aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore fino al punto che portavano gli am-malati nelle piazze, ponendoli su lettucci e giacigli, perché, quando Pietro passava, anche solo la sua ombra coprisse qualcuno di loro. Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando mala-ti e persone tormentate da spiriti immondi e tutti venivano guariti (Atti,12-14).Masaccio ci mostra come cammina l’uomo “nuovo”. Lui è alle prese con il grande Umanesimo del ‘400, che lo vede, insieme a Brunelleschi e a Donatello, dar corpo alla dignità dell’uomo come mai era stato fatto prima. Il suo Umanesimo (così viene ufficialmente etichettato il periodo che abbrac-cia i primi decenni del ‘400) profuma ancora e soprattutto di Battesimo, di Uomo redento, di salvezza che sa di eternità donata. Così come cammina Pietro, camminano tutti i bat-tezzati. Masaccio riesce a dirlo non con le parole, ma con le forme. Con lui (che finalmente riprende e sviluppa, a un se-colo di distanza, la rivoluzione di Giotto) esse ricevono luci e ombre in uno spazio nostro, reso nella prospettiva ora anche scientifica. Limpidissime e potenti forme prendono corpo

nel nostro mondo a partire dai volti quasi scolpiti, al corpo robusto e costruito a misura del canone della perfezione, giù giù fino ai piedi in cui la solidità si coniuga con la leggerezza della grazia. Questi piedi camminano e danzano. Sanno dove andare. Pietro porta agli uomini la lieta notizia. E gli uomini subito si ravvivano, anche gli storpi e i vecchi. Sullo sfondo c’è un tempio. Dovrebbe essere quello di Gerusalemme, dal quale le autorità religiose spiavano gli Apostoli e i seguaci di Cristo. Ora invece viene spontaneo interpretare questo edificio come la chiesa da cui partono i nostri passi e a cui essi si dirigono, per fare dell’Eucarestia la fonte e il culmine del nostro culto sacramentale, che si incarna nei gesti, negli sguardi e nel modo di costruire e di abitare la città dell’uomo.

Percorso biblico

LE CAMMINATE DI DIORaccontiamo la “storia sacra” a partire dai 2 verbi: “alzarsi” e “camminare”. Procediamo per flashes. I patriarchi. Così Giacobbe parla del Signore: “Il Dio alla cui presenza hanno camminato i miei padri Abramo e Isacco”.È proprio una svolta nella Rivelazione. C’era la persuasione che le divinità abitassero nei cieli o sulle montagne. Si fa presen-te il Dio che ha i piedi e cammina (Salmo 115,17). È entrato nella storia. Poggia i piedi sulla terra, parla, accompagna. Non è da ricercare nella penombra del passato: è lui che sospinge l’uomo. Provoca uno sradicamento (Gen 12,1-3), orienta verso il futuro. L’uomo è un essere dinamico che, camminando, deve relazionarsi con persone, situazioni, mondi culturali

Masaccio, S. Pietro risana gli storpi con la sua ombra, 1425

Firenze, Cappella Brancacci in S.M. del Carmine

I gesti della fede

STARE IN PIEDI, CAMMINARE

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I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Stare in piedi,camminare- I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Stare in piedi,camminare- I GESTI DELLA FEDE

sempre nuovi. Il “patto” è semplice ma radicale: cammina davanti a me (Gen 17,1). Il Signore garantisce che la strada sia quella della vita. È molto interessato al fatto che l’uomo cammini lungo i suoi sentieri (Dt 28,9; 30,16). Non deve aver paura, né smarrirsi, né sentirsi solo. Il Dio che si rivela ad Abramo lo precede ovunque.• Mosè, l’esodo. In Es 3,1-15 si parla di Mosè che sale sul monte Oreb e calpesta forse un luogo sacro. Da persona educata alla corte del faraone, concepisce la divinità come astro, o come vento, o come fuoco, o come grande luce. Compie even-tualmente atti di culto per ricevere garanzie, protezioni. Si fa incontro a lui Yahvè, il Vivente che ha visto la miseria del suo popolo. Con le sue orecchie ha udito il grido degli oppressi, nel suo cuore ne ha sentito la risonanza, è sceso per attuare la liberazione. Chiama Mosè per nome. Gli si rivela come Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe e, ciò che è più impegnativo, non risolve i problemi che come uomo ha. Dio gli carica sulle spalle le sue preoccupazioni.Mosè tornerà sui suoi passi. Non si fermerà più. Ci rivelerà così la logica della fede:- incontro con il Signore che gratuitamente ama- interminabile cammino nel deserto- patto al Sinai a sigillo e salvaguardia della liberazione avvenuta.• Giuseppe è alle soglie del NT. Si muove lungo la linea di Abramo. In una genealogia tutta segnata da tragedie (tradi-menti, deportazioni) si inserisce Giuseppe; è chiamato in causa, come figlio di Davide. Rappresenta la fedeltà di Dio alla sua promessa. Dio lo risveglia. Lo scuote dalla sua paura. Deve rischiare sulla parola che gli viene annunciata. È l’uomo che entra come di traverso nel progetto di Dio. Ha la misura esatta di sé: è custode ma non padre. È invitato a credere che la discesa di Dio raggiunge in Gesù il suo vertice. Il figlio di Maria si manifesta come “Dio con noi”. D’ora in poi la sua esistenza è sotto il segno di un duplice imperativo: Alzati e và. Con Maria deve ascoltare le Scritture. Ogniqualvolta ha trovato un assetto (a Nazareth, a Betlemme, in Egitto), è ri-messo in discussione (Mt 1,18-25; 2,13-15; 19-23).

Il Risorto, i risortiCon tante immagini è rappresentata la condizione nuova di Gesù a partire dal terzo giorno. La prima è “si è rialzato”. Era steso, esangue nella morte, non viveva più. Ora Dio lo ha fatto risorgere. Gli ha dato lo Spirito in pienezza.Il primo segnale di questo, per i discepoli, è la guarigione dello storpio. Gli dice Pietro: “Alzati e cammina!”.

Quando, nei vangeli, i discepoli racconteranno l’esistenza terrestre di Gesù, avranno nel cuore e negli occhi la resurre-zione di Gesù. La vedranno in tutti i casi in cui ci sono paralisi (Alzati e cammina di Mt 2,9; Lc 5,23), legami con un passato da cui è impossibile schiodarsi (Matteo in Mt 9,9; Zaccheo in Lc 18,18…).Commento artistico

ALZATI E VA’ In Georges de La Tour (nella seconda metà della sua vita di pittore) prevale il notturno. Abbiamo vari tipi di notte a partire dal Caravaggio, che ne è quasi l’inventore. Per costui la luce nella notte è un urlo-rivelazione, per Rembrandt un dialogo-confessione, per George de La Tour (l’autore che qui ci interessa) un sussurro che ti avvolge di una presenza che è una promessa. La luce flebile e tenera di una candela guida spesso la composizione.San Giuseppe ha avuto tre sogni secondo il Vangelo di Matteo: nel primo l’angelo intima a Giuseppe di non ripudiare Maria incinta, nel secondo gli suggerisce di fuggire in Egitto e nel terzo lo esorta a ritornare al suo paese. Quale dei tre è qui rap-presentato? Il pittore non risponde. Allora il discorso, che resta volutamente ambiguo sul soggetto, può allargarsi a un tema affascinante: l’uomo è spesso appesantito. Stanchezza? Languore dello spirito? Paura del futuro? C’è anche la rassegnazione di chi si è ormai convinto che i giochi della vita sono fatti, che ormai sono le cinque della sera e che niente e nessuno potrà mai liberarti dal tempo passato inutilmente. Non c’è altro da fare che lasciarsi inghiottire dalla notte. Non è questa la situa-zione di Giuseppe. Mentre negli altri casi non ci si aspetta niente e non si permette al proprio cuore di lasciare emergere il desiderio inconscio: “Magari qualcuno dall’alto mi chiamasse, mi comandasse qualcosa che sappia di promessa vera, mi convincesse che è possibile rialzarsi e buttarsi nel resto della vita!”, Giuseppe invece attende intensamente questa Voce. Egli ha solo paura di non essere sufficientemente disponibile, di non capire bene, di cadere in quell’altro sonno, quello che appesantisce la vita facendola spegnere nella disperazione o nella piattezza di un quotidiano che non ha nessun colore. Egli prega: “È questo il momento? Ho capito bene?”. E lo splendido angelo (pittoricamente disegnato anche con l’aiuto della candela) lo prende con una mano e con l’altra dà il via a una danza che risveglia e ringiovanisce la vita.Beato Giuseppe! Ma perché una volta (come anche in questo quadro) ti immaginavano sempre vecchio, fino a diventare il protettore della buona morte?

George de La Tour, Il sogno di S. Giuseppe, 1640Nantes, Musée des Beaux-Arts

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Celebrare MI GUIDA PER

IL GIUSTO CAMMINOIl Signore è il mio pastore:

non manco di nulla.Su pascoli erbosi mi fa riposare,ad acque tranquille mi conduce.

Rinfranca l’anima mia,mi guida per il giusto cammino

a motivo del suo nome.Anche se vado per una valle oscura,

non temo alcun male, perché tu sei con me.

Il tuo bastone e il tuo vincastromi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensasotto gli occhi dei miei nemici.Ungi di olio il mio capo;il mio calice trabocca.Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagnetutti i giorni della mia vita,abiterò ancora nella casa del Signoreper lunghi giorni.

Salmo 23 (22)

Vademecum liturgicoSTANDO IN PIEDI “Noi preghiamo in piedi per-ché è un segno della resurrezione” (S. Agostino). Siamo stati “destati dai mor-ti” (Ef 5,14) come Gesù. Non siamo più servi ma figli. Per questo, nella Chiesa dei padri, la domenica era proibito ingi-nocchiarsi.La posizione verticale è “Il segno dell’azione liturgia” (S. Giovanni Criso-stomo). Proseguiamo in tale direzione lo stile d’Israele.In piedi accogliamo il presidente dell’as-semblea. Ci sentiamo in sintonia con lui nella Colletta. Ci alziamo in segno di rispetto al Vangelo quando giunge il Signore, parola vivente. Affermiamo la nostra dignità di partecipi della natura divina nella professione di fede, nella preghiera universale e lungo tutta la lode che va dal Prefazio alla Dossologia.

I cammini liturgiciNel giorno del Signore dalle nostre case convergiamo verso il tempio. Siamo i chiamati, gli invitati alle nozze (Mt 22,1-13). Lasciamo la vita privata e familiare. Ci mostriamo come ecclesia. Un even-to ci convoca: la croce e resurrezione del Signore. Da quel momento la no-stra parola d’ordine sarà “insieme”.• Nella processione d’ingresso si forma un piccolo corteo. Sta davanti la croce: evidenzia il fatto che siamo discepoli del Crocifisso.• La processione con l’evangelario pre-

cede la proclamazione della parola di Dio. Pone in rilievo questo evento: il Signore sta per parlarci.• Ci sono poi due movimenti conver-genti, a conclusione della Liturgia della Parola:- Il presidente va verso i fedeli- questi avanzano fino all’altare per presentare i doni. Fede e vita si incon-trano. La nostra fatica incrocia il sacrifi-cio di Cristo.• Alla processione di comunione siamo come figli che accedono alla mensa per prendere il pane. Siamo anche il simbolo dell’umanità che va verso la mensa del Regno.• La liturgia battesimale è costruita come cammino. Si accolgono le per-sone alla porta. Vengono accompa-gnate al fonte. Giungono poi all’al-tare. C’è la raffigurazione dell’intera Iniziazione Cristiana.• Nei funerali andiamo anzitutto nel-la casa del defunto. Accompagnia-mo la bara in chiesa. Ci rechiamo al cimitero. È il nostro modo per vivere la comunione dei Santi. Neanche la morte riesce a separarci dall’amore di Dio manifestatosi nella croce di Cristo (Rom 8,35).• Nella domenica delle Palme acco-gliamo il nostro re che, tutto solo, va a donare la vita per noi. Così iniziamo la Grande Settimana. Ora per ora ri-vivremo la sua passione sino a giun-gere al giorno della resurrezione.• Nei pellegrinaggi sentiamo det-to a noi l’invito di Gesù: “Ecco, noi

saliamo a Gerusalemme” (Lc 18,31). Andiamo verso un santuario. Lascia-mo indietro abitudini, lavoro, relazioni. Siamo ospiti e pellegrini. Sentiamo la sete di Dio, acqua di vita. Accettiamo la nostra condizione di provvisorietà. Sia-mo come Abramo che ha accettato di partire senza sapere dove andava (Eb 11,8). La nostra sicurezza è questa: ancora Gesù cammina davanti a noi (Mc 10,32). Egli è il capo che condu-ce alla vita (At 3,15).

I GESTI DELLA FEDE riscoperti in famiglia - Stare in piedi,camminare- I GESTI DELLA FEDE

Tramate con noi

CAMMINARE E’ VIVEREAttività da realizzare in famiglia

• Sarà rimasto nella mente e nel cuore dei genitori il giorno in cui il loro bambino ha cominciato a camminare da solo. Ci chiediamo:a) Che ricordo ne abbiamo?b) Che cosa è cambiato da quel giorno?• A puntate, con i fumetti o le immagini, possiamo rappre-sentare la figura di Giuseppe (Mt 1,18-25; 2,1-23). Mette-remo in rilievo: il suo problema, la rivelazione, il viaggio a Betlemme, la fuga in Egitto, il ritorno a Nazareth.• At 3,1-26 è molto adatto per essere drammatizzato. Divi-deremo il brano in scene: la salita al tempio, la richiesta del-lo storpio, l’intimazione perentoria di Simone: “Nel nome di Gesù, alzati a cammina”, l’esito prodigioso, l’interpreta-zione data da Simon Pietro nella predicazione.Osserviamo l’immagine che è nella scheda: racconta l’epi-

sodio che abbiamo letto. Mettiamoci al posto di quell’uo-mo che non cammina. Che cosa avrà provato?•Con una attività/gioco proviamo a cercare quante volte Gesù invita a camminare: Alzati e cammina, Andiamo, Sa-liamo a Gerusalemme, Scendi …Il camminare è un gesto umano che attraversa tutta la bib-bia, tutta la storia della salvezza. Il popolo ha camminato per 40 anni: è andato in esilio, è ritornato. In questo popolo ci siamo anche noi che camminiamo sicuri della presenza di Dio.• Cantiamo il Salmo 23 (22). Ci dice che il Signore ci gui-da . Proviamo a metterci nei panni d’Israele nel deserto, di Gesù che va verso Gerusalemme, dell’uomo di oggi, di ciascuno di noi.•Nella liturgia anche noi ripetiamo il gesto del camminare: proviamo e ricordare quante volte lo facciamo. Ci confron-tiamo con il Vademecum che è dentro la scheda.• Ogni giorno noi camminiamo. Andiamo al lavoro, a scuo-la, dagli amici, dai vicini, alle occupazioni. Mentre ci muo-viamo, ringraziamo il Signore perché ci permette di “anda-re” e sentiamo che Lui ci guida, ci è vicino.

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LA PASQUA DEL CRISTIANO

LA 2^ EDIZIONE ITALIANA DEL RITO DELLE ESEQUIE

PremessaPer la stragrande maggioranza di quella Chiesa, che è la

prima destinataria di quei libri rituali, la cui celebrazione in atto resta sempre il primo (se non l’unico!) strumento per la trasmissione della fede e la formazione progressiva dei battezzati (cf SC 14; CVMC 49; EVBV 39).

I soli incontri di catechesi verbale, sebbene doverosi e assai utili, toccano una minima parte. Questa è l’esperienza di tutti i pastori che hanno creduto nella riforma liturgica del Vaticano II e hanno cercato di applicarla correttamente con arte e competenza.

II rinnovamento conciliare (riscoperta della Chiesa come comunione, il primato della Parola, il significato del sacer-dozio cristiano, l’ecumenismo, il rapporto con il mondo...) è entrato nel tessuto ecclesiale soprattutto attraverso la li-turgia celebrata. La seconda edizione italiana del rito delle Esequie, a prescindere dalle novità rituali ed eucologiche è, e dovrebbe essere, un’occasione per riprendere dac-capo la catechesi e la pastorale attorno al mistero e alla

celebrazione dell’ultimo passaggio (cf RE, Presentazione CEI, 5). Infatti, anche la celebrazione delle Esequie, come tante altre celebrazioni liturgiche, ha ricevuto dalla riforma conciliare un abito nuovo che sovente non si sa indossare bene, correttamente, con stile e buon gusto. Per cui anche il bello diventa goffo, banale. In breve: senza ars celebrandi. Si tratta, quindi, di fare della seconda edizione italiana del rito delle Esequie un’occasione per riscoprire e cogliere il progetto globale (= la fede che esso intende trasmettere attraverso il programma rituale) e verificare la correttezza della celebrazione in atto.

L’itinerario educativo per la comunità, senza escludere la catechesi verbale, è costituito soprattutto dalla celebrazio-ne in atto ed è suggerito dallo stesso tradizionale program-ma rituale che «valorizza tre luoghi particolarmente signi-ficativi: la casa, luogo della vita e degli affetti familiari del defunto; la chiesa parrocchiale, dove si è generati nella fede e nutriti dai sacramenti pasquali; il cimite-ro, luogo del riposo nell’attesa della risurrezione» (RE, Presentazione CEI, 4). È a partire dalla presentazione liturgico-teologica di queste «stazioni» e soprattutto dalla loro pratica pastorale che è possibile fare del libro rituale un autentico strumento di educazione alla vita buona del Vangelo. I rituali, come gli spartiti musicali, sono fatti per essere eseguiti, non semplicemente letti. È opportuno ribadire fortemente che il 99% dei fedeli conosceranno il nuovo rito, e soprattutto il messaggio

La forza educativadel ritodelle Esequie

Funerali “spettacolari” (l’ultimo in ordine di tempo quello di Lucio Dalla a Bologna) ed esequie che una volta venivano bollate di “quarta”, quasi anonime per numero di presenti e per qualità di parte-cipazione al dolore dei parenti del de cuius. Come capita per tanti altri momenti della vita (e ovvia-mente, della morte), anche quello dell’ultimo saluto vive di situazioni estreme: dal troppo al niente.

Anche se molti sembrano averlo dimenticato, però, il momento centrale del funerale cristiano è costituito dal rito delle esequie. A ribadirlo, la presentazione della seconda edizione del Rito delle esequie, predisposta dalla Conferenza episcopale italiana, una risposta alla tendenza, diffusa soprattutto nei contesti urbani, a “privatizzare” l‘esperienza del morire e a “nascondere” i segni della sepoltura e del lutto. Il testo liturgico, il cui uso diverrà obbligatorio in Italia a partire dal 2 novembre 2012, risponde appunto alla diffusa esigenza pastorale di annunciare il Vangelo della risurrezione di Cristo in un contesto culturale ed ecclesiale caratterizzato da significativi mutamenti e che sembra mettere in secondo piano proprio questo aspetto centrale. Il volume offre una più ampia e articolata proposta rituale, a partire dal primo incontro del sacerdote con la famiglia del defunto fino alla tumulazione del feretro. E fornisce, in appendice, alcune indicazioni circa la cremazione dei corpi. Il tutto nel solco dell‘impegno nell‘applicazione della riforma liturgica conciliare. Il nuovo rito può essere un contributo a umanizzare il momento della morte, sottraendolo alla sua invisibilità e alla sua individualità, quando non alla sua spettacolarizzazione. Grazie alla liturgia, infatti, ritroviamo una grammatica e una sintassi in grado di dar voce alla morte, anzi di farne una parola che interpella la vita di tutti. In una società in cui la morte è rimossa dall’orizzonte della vita quotidiana, o al massimo intesa come un evento che si affronta in solitudine, un fatto privato per le persone comuni o ‘pubblico’ per le celebrità, è urgente riscoprire il “carattere di mistero” e il “carattere colletti-vo” di questo evento.

Di fronte al mistero della morte

liturgia

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di fede che esso veicola, soltanto dalle celebrazioni che sperimenteranno. Nessun’altra celebrazione liturgica tocca tante persone, più o meno credenti, più o meno praticanti, quanto la celebrazione delle Esequie, e in una circostanza che rende tutti più disponibili alla rece-zione del messaggio cristiano.

1 - LA CASAa) Visita alla famigliaNon possiamo nasconderci che la stragrande maggio-

ranza dei fedeli compie oggi l’ultimo esodo nelle strutture ospedaliere. Né possiamo negare che, quasi sempre, l’an-nuncio della morte giunge in parrocchia tramite le agenzie funebri. Con tutto ciò, tenendo presente le diverse situa-zioni il rituale italiano ha inserito uno schema di preghiera presso la famiglia, sia che il defunto sia morto in casa o in al-tro luogo. Preghiera che, per quanto possibile, ci si aspetta di elevare insieme al ministro ordinato, ma che il rituale op-portunamente affida anche ad un laico idoneo. Eventualità che sarà sempre più frequente e non solo per la preghiera in famiglia. Situazione che, pertanto, impegna a progettare con un atto di coraggio la formazione di ministri laici (cf RE, Presentazione CEI, 5; Premesse, 19). Un ministero pastora-le che, in ogni caso, concorre anche a liberare la parrocchia da un’immagine che la riduce troppo sovente ad un ente per l’erogazione di servizi religiosi dalla culla alla tomba.

b) La vegliaIl rosario non sembra costituire oggi la forma di pre-

ghiera più adatta per fare di tale circostanza un’autentica opportunità di «evangelizzazione», né di esperienza oran-te. Qualificare liturgicamente questa veglia con la Parola di Dio, con opportuni e brevi interventi, senza lungaggini, non senza qualche elemento che si richiami alla devozione po-polare, sembra un’urgenza tutt’altro che secondaria anche se impegna maggiormente per la scelta e la composizione dei testi secondo le circostanze (cf RE, Presentazione CEI, 6).

c) Chiusura della baraLa chiusura della bara (= la perdita del volto) costituisce

un momento traumatico, di forte emozione che necessita di essere supportato dalla fede e dalla preghiera cristiana e non lasciato ad una fredda prassi funzionale. Per questo la seconda edizione del rituale italiano prevede che anche un laico idoneo possa guidare questo momento di preghiera. È da queste piccole cose che tutti, compresi i poco o per nulla praticanti, si accorgeranno che qualcosa è cambiato nel rituale, anzi, nella Chiesa, e soprattutto recepiranno il

messaggio che il rituale intende comunicare.

2 - LA CHIESA II rito delle Ese-

quiePer quanto riguar-

da la celebrazione in chiesa vale ciò che è detto per qualsiasi al-tra celebrazione liturgi-ca: deve essere «seria, semplice e bella,., vei-colo del mistero, rima-nendo al tempo stesso intelligibile, capace di narrare la perenne alle-anza di Dio con gli uo-mini» (CVMC 49).

3-IL CIMITEROÈ più che opportuna, la preghiera che accompagna il

momento della sepoltura o tumulazione. Il rituale offre opportuni schemi di preghiera. Se in questo momento conclusivo delle Esequie è sempre più difficile la presen-za del ministro ordinato, è assai auspicabile la presenza della comunità locale almeno attraverso un ministro laico che accompagni questo momento traumatico con la luce della Parola di Dio e con il conforto di quella preghiera che esprime e alimenta la speranza cristiana. Ancora una vol-ta emerge l’urgenza pastorale di formare un gruppo di laici preparato e dignitoso per assolvere a questo compito che, tra l’altro, cambia l’immagine della parrocchia.

4 - LA CREMAZIONELa cremazione non suscita più tanta meraviglia, né scan-

dalizza, pur nella diversità di opinione e di scelta. In alcune grandi città del nord Italia la scelta della cremazione sta rag-giungendo il 30%. La scelta preferenziale dell’inumazione da parte della Chiesa deve essere non solo affermata, ma anche giustificata alla luce della tradizione, della storia e della Parola di Dio, ma senza insostenibili ostracismi colpe-volizzanti.

Il capitolo del RE riguardante la cremazione è la vera novità della seconda edizione del rituale. Novità che può costituire il «pretesto» per informare i fedeli sulle origini e la storia dì questa prassi che non contraddice affatto la fede nella risurrezione.

In questo contesto più ampio è possibile far compren-dere l’inopportunità della dispersione delle ceneri, che non permette l’elaborazione del lutto e favorisce più facilmente la perdita della memoria.

CONCLUSIONENell’attuale situazione parrocchiale, sebbene in evolu-

zione anche a causa della crescente diminuzione del clero, il pastore resta ancora, per il momento, il tramite più im-portante per una corretta e fruttuosa recezione del mes-saggio di fede contenuto nel rito delle Esequie. È quindi il parroco, o chi per lui, che deve essere convinto per primo della forza educativa della celebrazione liturgica e sentire pertanto la necessità di acquisire formazione e compe-tenza (= arte del celebrare) non senza l’aiuto di sussidi che servano anche per itinerari di formazione per ministri laici la cui presenza e idoneità sarà determinante in un futuro assai prossimo.

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Il rinnovato rito delle Esequie:- offre una più ampia e articolata pro-posta rituale a partire dal primo incon-tro con la famiglia, appresa la notizia della morte, fino alla tumulazione del feretro;- presenta una traduzione rinnovata dei testi di preghiera, delle letture bibliche e dei salmi secondo la nuova versione ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana;- integra i testi delle monizioni e del-le preghiere presenti nella prima edi-zione con nuove proposte, attente alle diverse situazioni (visita alla famiglia, veglia, chiusura del feretro, preghiera dei fedeli, ultimo commiato);- risponde con apposite indicazioni a nuove situazioni pastorali, in partico-lare per quanto concerne la questione della cremazione dei corpi;- provvede a suggerire nuove melodie per alcune parti della celebrazione.

C'è il rischio concreto tuttavia, come insegna l'esperienza, che ap-pena il nuovo rituale vedrà la luce si presti attenzione unicamente alla cre-mazione e alla sua regolamentazione rituale, che è sicuramente la novità più appariscente. Sarebbe un vero peccato e un'occasione sprecata per le nostre comunità.

Il rituale infatti ha orizzonti più ampi. Nasce dal desiderio di rispon-dere al nuovo contesto culturale ca-ratterizzato dalla tendenza, accentua-tesi negli ultimi decenni, a fuggire dal pensiero della morte, quasi a volerla escludere dall’orizzonte delle concrete esperienze.

La morte ha fatto sempre paura all’uomo che si sente fatto per la vita, ma oggi si vuole rimuovere persino il pensiero della morte. È sotto gli occhi di tutti la rimozione o tabuizzazione della morte, le cui cause complesse dagli studiosi vengono collegati con la mercificazione della morte e dei rapporti umani in genere, con il fatto che la morte non entra a far parte di una concezione globale della vita che diventa essa pure insignificante, con

la concezione edonistica della società moderna, con la tecnicizzazione del morire e del vivere (ospedalizzazione, accanimento terapeutico, mercato del-la morte).

Vediamo così che si muore spes-so in ospedale o nelle case per anziani, lontani dalla propria casa e dai propri cari. Molte volte il defunto passa di-rettamente dall’ospedale al cimitero, scompaiono in casa e nella città i se-gni del lutto, si impedisce ai bambini di vedere i propri cari morti, si evita persino di nominare la morte, e anche la vecchiaia, ricorrendo ad eufemismi per indicarle.

E questo non è soltanto un dram-ma per chi muore, ma anche un impo-verimento per chi vive, che viene pri-vato dell’umanissima esperienza della morte dei propri cari, tirocinio alla pro-pria. Anche se poi i mezzi di comunica-zione lo spettacolo della morte si pre-murano di mettercelo continuamente sotto gli occhi, in diretta e in manie-ra spietata, con i quotidiani incidenti stradali, ferroviari, aerei, marittimi e sul lavoro, i morti per droga, i disastri naturali fortuiti o provocati dalla catti-veria o dall’insipienza umana, i terre-moti, le alluvioni, le frane, gli attentati, le stragi, le scene di guerra, i suicidi. E se essi lo fanno, vuol dire che ritengo-no di poter contare su un’audience tale da non risultare in perdita sul mercato.

Queste situazioni, come avver-tono i vescovi, tuttavia recano con sé anche una profonda domanda di pros-simità solidale e aprono a un’autenti-ca ricerca di senso. L’azione pastora-le della Chiesa in questa situazione è più che mai sollecitata ad annunciare la speranza della risurrezione fondata sulla fede nel mistero pasquale di Cri-sto e a proporre un cammino di fede, scandito a tappe mediante celebrazioni comunitarie, per aiutare ad affrontare nella fede e nella speranza l’ora del di-stacco e a riscoprire il senso cristiano del vivere e del morire.

II rito delle Esequie è sempre e in tutti i suoi momenti celebrazione del-

la morte e risurrezione di Cristo a cui il cristiano già in forza del battesimo è associato, a cui ha partecipato tante con l’Eucaristia, memoriale della Pa-squa, farmaco d’immortalità e pegno di risurrezione. Con la morte si compie anche per il corpo la sua conformazio-ne a Cristo in vista della risurrezione. Nasce da qui l’esigenza di scegliere i testi più adatti alle diverse situazioni del defunto e delle persone presenti al rito: le letture, le orazioni, l’omelia, le monizioni, i canti, i gesti.

Una caratteristica del nuovo ritua-le è la rafforzata insistenza sulla cele-brazione comunitaria che raccoglie i familiari, i parenti gli amici anche se tante volte non credenti.

Il rito è celebrazione della co-munità che accompagna un suo fi-glio all’estrema dimora e lo consegna all’abbraccio dell’assemblea celeste. Spinge perciò a coinvolgere la comu-nità e a sviluppare una variegata mini-sterialità: presbitero, diacono, lettori, cantori, ministranti, ma anche un mi-nistero della consolazione che non si esaurisca nella celebrazione ma si pre-sti ad accompagnare il defunto nel suo passaggio da questo mondo e sostenga i familiari nell’elaborazione del lutto.

Vanno sottolineati la ricchezza e la varietà dei testi come monizio-ni, orazioni, preghiere dei fedeli per le diverse situazioni: giovane, adulto, persona anziana, impegnata nella vita cristiana, morte improvvisa, incidente tragico, sacerdote, religioso, religiosa.

II rito va conosciuto e utilizzato infine in tutte le sue componenti: lettu-re brevi, lezionario, l’omelia, la profes-sione di fede, che può essere proposta in casa, nella celebrazione o presso il sepolcro, il canto, i ministeri, i simboli rituali (il velo posto sul volto del de-funto al momento della deposizione nella bara, croce, il cero pasquale pres-so il feretro, l’aspersione con l’acqua benedetta memoria del battesimo, l’in-censo del corpo tempio dello Spirito, il sepolcro che richiama quello lasciato vuoto dal Signore risorto).

il nuovo rito delle esequie

un rituale con ampi orizzonti

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Tutte le parrocchie, chi più e chi meno, organizzano atti-vità diverse rispetto a quelle più propriamente “di religione e di culto” per aggregare ma anche “per fare cassa”. In diocesi si sentiva, però, la necessità di aggiornare quanto stabilito dal vescovo Foresti nel lontano 1984; lo scorso 26 gennaio mons. Monari ha così approvato il vademecum “La festa in parroc-chia”: indicazioni e disposizioni pastorali per l’organizzazio-ne e l’ospitalità di feste, eventi e manifestazioni in ambienti parrocchiali (oratori, sale della comunità, luoghi di culto). Alla stesura del documento che colma alcune lacune e fa chiarez-za su tante zone d’ombra hanno collaborato Uffici e servizi diocesani. La precondizione indispensabile è che le iniziati-ve devono avere uno stretto rapporto con le finalità pastorali della parrocchia. A questo si aggiungono anche lo stile della sobrietà (si fa riferimento esplicito alla prudenza nell ‘invitare artisti particolarmente onerosi e si incentiva l’uso di materiale biodegradabile) e il rispetto doveroso in ossequio alla legali-tà delle norme civili in materia. La festa, come è scritto nel vademecum, può essere un elemento di aiuto o, al contrario, può invece rivelarsi un ostacolo nel cammino di crescita di una comunità cristiana. Da questo punto di vista la normativa ecclesiastica e civile è chiara: la festa deve rientrare nel quadro della programmazione pastorale della parrocchia; si possono inserire raccolta fondi per le opere parrocchiali o per altro, ma non deve venire meno la dimensione religiosa e pastorale. An-che se può sembrare scontato va ricordato che la titolarità giu-ridica è del parroco e che ci sono alcuni adempimenti giuridici da seguire e rispettare. Nel secondo capitolo il documento en-tra nel merito delle feste o delle manifestazioni di enti pubblici o provati in ambienti parrocchiali. Alcuni “no” possono es-

sere necessari o oppor-tuni sia per garantire il rispetto delle identità delle opere della par-rocchia sia per educare le persone a quei va-lori che costituiscono motivo di crescita per i singoli e per l’intera co-munità cristiana. Non mancano gli esempi concreti: le manifesta-zioni non legate a tra-dizioni cristiane come Hallowe-en non sono ammesse, così come non è possibile rende-re disponibili gli spazi parrocchiali per riunio-ni di partito; non sono

neppure ammesse negli ambienti parrocchiali feste della birra o manifestazioni legate ad altre bevande alcoliche. Saggezza e prudenza anche nei confronti delle feste di fine anno o feste particolari, mentre non sono ammesse le feste legate a giochi di ruolo che simulano l’uso delle armi; sono altresì da evitare atteggiamenti, abiti o comportamenti non decorosi nei saggi di danza o di musica. Sobrietà anche per quanto riguarda le feste di compleanno.

Le parrocchie devono anche rispondere no alle richieste di ambienti per il culto di religioni non cristiane, ma anche per attività religiose psico-terapeutiche o sociali che fanno ri-ferimento a gruppi di confessione religiosa o spiritualità non cristiano-cattolica. La parte finale del documento ospita anche un’appendice con le procedure corrette da seguire nell’orga-nizzazione di feste, eventi e manifestazioni. Il vademecum interrogherà sicuramente le comunità cristiane.

Ecco le condizioni per fare le festeII Vescovo con un decreto ha approvato il vademecum “La festa in parrocchia” realizzato dagli Uffici e servizi diocesani.

Si fa così chiarezza su alcuni punti controversi come le feste della

birra (o simili) e Halloween, ma anche sugli spazi per i partiti politici.

DECRETO VESCOVILE DIOCESI DI BRESCIA

LUCIANO MONARIPER GRAZIA DI DIO E DELLA SEDE APOSTOLICA

VESCOVO DI BRESCIA

Prot. n. 95/12DECRETO

Preso atto che in questi ultimi tempi da più parti in Diocesi è stata avanzata la richiesta di indicazioni in tema di feste, eventi e manifestazioni che, in forme e modalità

diverse, si svolgono negli ambienti parrocchiali,Vista l’opportunità di ribadire gli aspetti di fondo che

possono garantire le condizioni perchè questo momen-to particolare dell’attività parrocchiale venga svolto in

forma corretta e pastoralmente efficace, nel rispetto delle normative civili in materia,

Vista la necessità di aggiornare le linee guida diocesane in materia contenute nelle indicazioni e disposizioni per l’ospitalità a Enti pubblici o società private negli ambienti e nelle strutture oratoriane, emanate dal Nostro prede-

cessore, mons. Bruno Foresti, il 31 agosto 1984,Sentito il parere del Consiglio Presbiterale in data 18

gennaio 2012 e degli Uffici diocesani competenti,con il presente atto

DECRETOl’approvazione del Vademecum

“LA FESTA IN PARROCCHIA.Indicazioni e disposizioni pastorali per l’organizzazione

e l’ospitalità di feste, eventi e manifestazioni in ambienti parrocchiali

(oratori, sale della comunità, luoghi di culto)”.nel testo allegato al presente Decreto, di cui costituisce parte integrante.Brescia, 26 gennio 2012

Il Vescovo diocesano+ Luciano Monari

Il Cancelliere diocesanoDon Marco Alba

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Vademecum: la festa in parrocchiaIndicazioni e disposizioni pastorali

per l’organizzazione e l’ospitalità di feste, eventi e manifestazioniin ambienti parrocchiali

(oratori,sale della comunità, luoghi di culto)

1. L’ORGANIZZAZIONE DI FESTE/EVENTI /MANIFESTA ZIONI

IN AMBIENTI PARROCCHIALI

1.1 Orientamenti generali«In quanto ente ecclesiastico civilmente ricono-

sciuto, la parrocchia può svolgere direttamente non solo attività religiose e di culto (cfr. art. 16, lett. a, legge n. 222/1985), ma anche attività di-verse (cfr. artt. 15 e 16, lett. b, legge n. 222/1985). Queste ultime restano però soggette, nel rispetto della struttura e della finalità dell’ente ecclesiasti-co, alle leggi dello Stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime (cfr. art. 7, comma 3, dell’Accordo 18 febbraio 1984)». [CEI, Istruzione in materia amministrativa, n. 100 (2005)]

Tra le “attività diverse” rispetto a quelle pro-priamente “di religione e di culto” svolte dalla parrocchia possono certo rientrare le feste e le varie manifestazioni culturali e ludico-ricreative. Non occorre spendere molte parole per richiama-re i discorsi di fondo sottesi al tema della “festa” in senso cristiano. Va invece evidenziato un fatto particolare: oggi anche la festa cristiana è spesso esposta alle provocazioni della secolarizzazione che investe la nostra società. La festa cristiana si trova cioè a dover fare i conti con gli aspetti con-nessi al “divertimento”, fattore segnato in modo del tutto singolare dalla deriva secolaristica. Si pensi, in questo senso ad esempio, al fenomeno dello “sballo”, elemento connotativo del “fare fe-sta” e del “divertirsi” di larga parte dei giovani di oggi.

Ebbene, a fronte di questi fatti, la parrocchia, proprio per il suo essere “la Chiesa tra le case”, è chiamata da un lato a continuare al di là di tutto la sua apertura generosa e accogliente verso alcune espressioni positive dell’esperienza umana come appunto la “festa”, dall’altro deve però far risaltare ancora di più la “qualità cristiana” di tali espressio-ni. In questo senso non sembra improprio parlare di un vero “stile cristiano” che fa la differenza nel modo di proporre valori umani connessi al fare festa come lo stare insieme, l’aggregarsi, il condi-videre, ecc.

Questo “stile” deve poi improntare le iniziati-ve concrete come sono le varie iniziative ludico-ricreative, le “feste” appunto, che la parrocchia promuove nell’ambito delle sua attività. Non sarà inutile ricordare che tali iniziative dovranno con-notarsi per alcuni aspetti che vanno dalla sottoli-neatura della dimensione religiosa (in alcuni casi si parla di “sagre”) in stretto rapporto con le finalità propriamente pastorali della comunità cristiana, alla promozione di valori umani come l’accoglien-za, l’aggregazione, il favorire i rapporti umani. Non può poi mancare un richiamo alla sobrietà nei mezzi e nelle risorse (es. va osservata una certa prudenza nell’invito di artisti particolarmente onerosi, come pure va incentivato l’utilizzo di ma-teriali biodegradabili e l’attenzione ad un corretto

smaltimento dei rifiuti) e non si può altresì trascu-rare il rispetto delle norme civili in materia, in un quadro di attenzione alla legalità.

Ancora una volta emerge infine la necessità di una cura del tutto particolare da parte di chi ha il compito della guida della comunità. Il parroco, oltre che rappresentante legale della parrocchia, è anche e soprattutto colui che ha una responsa-bilità diretta sul bene della comunità. E la “festa” può essere un elemento di aiuto o, al contrario, può invece rivelarsi un ostacolo nel cammino di crescita di una comunità cristiana. Un ruolo non secondario in questo senso lo gioca allora chi in forza del suo ruolo di guida pastorale è chiamato ad una vigilanza prudente e intelligente per garan-tire la “qualità cristiana” del fare festa.

1.2 Disposizioni e norme1.2.1 Tipologia di feste/eventi/

manifestazioni organizzate in parrocchiaVale la pena precisare che si intendono qui

prendere in considerazione feste/eventi/mani-festazioni di tipo culturale e ludico-ricreativo or-ganizzate dalla parrocchia nell’ambito delle sue attività pastorali.

Una rapida recensione non certo esaustiva del-le “feste” o “sagre” attualmente in circolazione nei nostri ambienti fa rilevare l’esistenza di “festa dell’oratorio”, “festa dello sportivo”, “festa della comunità”, “festa del patrono”, “festa del giova-ne”, “festa di …”, “sagra di …”, “palio”, ecc.

La tipologia di feste/eventi/manifestazioni si configura poi in riferimento al soggetto promo-tore. Allo stato attuale si possono riscontrare i seguenti soggetti promotori:1. la parrocchia;2. realtà parrocchiali autonome ma senza identità giuridica propria: oratorio, gruppi parrocchiali vari;3. realtà sovraparrocchiali (zone pastorali, unità pastorali);4. realtà civili che vogliono collaborare con la par-rocchia oppure chiedono ospitalità negli ambienti parrocchiali;5. privati che chiedono ospitalità in ambienti par-rocchiali.[Per i punti 4 e 5 si rinvia alla seconda parte del documento sul tema: “Ospitalità”]

1.2.2 La normativa ecclesiastica e civile in materia

A. Normativa ecclesiasticaUna festa organizzata in parrocchia si connota per una esplicita finalità pastorale. Ne consegue che la festa deve rientrare nel quadro della program-mazione pastorale della parrocchia e, anche se si possono inserire elementi accessori (es. raccolta di fondi per le opere parrocchiali o per altri scopi), la dimensione religiosa e pastorale non può mai essere trascurata. Nella stesura del programma questo aspetto dovrà essere particolarmente cu-rato, per cui accanto a momenti ludicoricreativi non dovranno mancare anche quelli propriamen-te religiosi.

Un cenno particolare merita le celebrazione della Messa in tali circostanze, tenendo conto che

una certa prudenza pastorale invita a verificare se ne sussistano sempre le condizioni. Può in ogni caso valere quanto raccomandato dall’Esorta-zione Apostolica Redemptionis Sacramentum, che al numero 78 dice: “Non è lecito collegare la celebrazione della Messa con eventi politici o mondani o con circostanze che non rispondano pienamente al Magistero della Chiesa cattolica. Si deve, inoltre, evitare del tutto di celebrare la Mes-sa per puro desiderio di ostentazione o di celebrar-la secondo lo stile di altre cerimonie, tanto più se profane, per non svuotare il significato autentico dell’Eucaristia”

Per quanto concerne invece il luogo della ce-lebrazione, il numero 77 della stessa Esortazione Apostolica afferma: “Salvo che in casi di grave ne-cessità, non si celebri la Messa su di un tavolo da pranzo o in un luogo utilizzato per tale finalità con-viviale, né in qualunque aula in cui sia presente del cibo, né coloro che partecipano alla Messa si sie-dano a mensa nel corso stesso della celebrazione”.

La normativa canonica richiama poi il tema del-la “titolarità” della festa, cioè della responsabilità a cui ricondurre lo svolgimento della festa stessa in tutti suoi aspetti. Trattandosi di un’iniziativa parrocchiale, è ovvio che il titolare sia la parroc-chia nella persona del suo rappresentante legale, cioè il parroco. Trattandosi poi di materia con ri-svolti civili, è altresì evidente che vi dovrà essere ogni cura per l’adempimento delle apposite di-sposizioni di legge.

Altri soggetti che a vario titolo intervengono nell’organizzazione della festa/evento/manifesta-zione in parrocchia (collaboratori, volontari, ecc.) dovranno essere consapevoli che la “titolarità” giuridica è ultimamente del parroco. Tuttavia anche tali soggetti sono tenuti al rispetto delle norme di legge e all’attenzione e prudenza nei comportamenti personali.

Nell’organizzazione di feste/eventi/manifesta-zioni va infine richiamato un carattere di sobrietà che sia in sintonia con lo “stile cristiano” e non profano e consumistico del fare festa.

B. Normativa civileGli aspetti che interessano la normativa civile

in tema di feste/ eventi/manifestazioni in parroc-chia sono principalmente i seguenti: la presenza di giochi, la presenza di musica e di balli, la sommi-nistrazione di alimenti e bevande, la realizzazione o il montaggio di strutture, palchi, impianti di illu-minazione e amplificazione temporanee.

Va tenuto presente che tale normativa è in co-stante aggiornamento e pertanto ciò che è ripor-tato in questo documento fa riferimento a quanto disposto allo stato attuale. In ogni caso, per gli ag-giornamenti si faccia riferimento all’Osservatorio Giuridico Legislativo Diocesano.

Gli adempimenti necessari per la realizzazione di una festa/ evento/manifestazione sono i se-guenti:1. controllo dell’agibilità e della sicurezza degli spa-zi dove si terrà la festa/evento/manifestazione;2. controllo dell’adeguatezza delle polizze assicu-rative della parrocchia;3. comunicazione al Comune (con il documento

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S.C.I.A.), in caso di presenza di musica e ballo e/o di somministrazione di alimenti o bevande;4. compilazione della Licenza di Pubblico Spetta-colo, in caso di presenza di palco e posti a sedere superiori a 100 posti, in strutture temporanee;5. controllo degli spazi per la preparazione dei cibi, manuale HACCP, formazione igienico- sanitaria dei volontari in caso di produzione e/o sommini-strazione di alimenti o bevande;6. regolarizzazione fiscale dell’attività;7. adempimenti SIAE e SCF in caso di musica (dal vivo o registrata) o di altri spettacoli di intratteni-mento.

Per una ripresa in dettaglio dei vari aspetti so-pra richiamati si rimanda all’Appendice.

1.2.3 Alcuni aspetti particolariVi sono poi alcuni aspetti particolari che rien-

trano nell’ambito dell’organizzazione di una festa/evento/manifestazione per i quali è necessaria una attenzione specifica. Si tratta di:• tombole e pesche di beneficenza;• giochi che prevedono la presenza di animali;• premi;• sponsorizzazioni.Per la ripresa in dettaglio di tali aspetti si rimanda agli approfondimenti disponibili sul sito www.dio-cesi.brescia.it e curati dall’Osservatorio Giuridico Legislativo.

2. L’ OSPITALITÀ DI FESTE/EVENTI /MANIFESTA ZIONI DI ENTI PUBBLICI

O DI PRIVATI IN AMBIENTI PARROCCHIALI

2.1 Orientamenti generali«È importante mantenere in questo campo un

atteggiamento di prudenza, per evitare il rischio che le iniziative e le stesse strutture parrocchiali vengano sottratte alla soggettività della parroc-chia, per essere gestiti da enti con propria auto-nomia e senza un esplicito collegamento ecclesia-le […]. In ogni caso è necessario che i rapporti tra la parrocchia e altri enti eventualmente operanti nel suo ambito siano chiaramente definiti sia nel contesto della programmazione pastorale sia sot-to il profilo giuridico (utilizzazione degli ambienti, responsabilità civili, amministrative e penali, ob-blighi fiscali, ecc.)». [CEI, Istruzione in materia am-ministrativa, n. 100 (2005)]

La dimensione dell’accoglienza è da sempre una caratteristica peculiare delle strutture delle nostre parrocchie. Gli ambienti parrocchiali, in particolare l’oratorio e la “sala della comunità”, sono sempre stati, oltre che luogo di formazione religiosa, anche momento di incontro e di aggre-gazione. E questo anche per chi nelle nostre co-munità non vive con pienezza la propria apparte-

nenza ecclesiale. Questa apertura delle strutture parrocchiali ha fatto sì che a volte alcune realtà legate al territorio in cui la parrocchia si trova in-serita chiedano, per alcune loro iniziative, di poter trovare ospitalità nelle strutture stesse. Si tratta, in alcuni casi, di iniziative stabili (come ad es. attività di società sportive o altre realtà che usufruiscono delle strutture dell’oratorio), mentre in altri casi si tratta di iniziative temporanee come feste, eventi e manifestazioni.

In tema di ospitalità negli ambienti oratoriani era intervenuto a suo tempo (1984) il Vescovo mons. Bruno Foresti, considerando in particolare la concessione delle strutture sportive in modo prolungato e duraturo. Nel nostro caso vogliamo invece occuparci dell’ospitalità di eventi e manife-stazioni, a proposito delle quali possono valere le indicazioni già date da mons. Foresti: “La struttura oratoriana si colloca come servizio sociale all’in-terno del territorio e mantiene un giusto rapporto con esso e con le sue realtà civiche. Non esiste contraddizione tra il mantenere la propria iden-tità e il partecipare profondamente alla vita del territorio; ne deriva che non sono ammissibili né una totale collaborazione con esso che ne svuoti l’identità, né una sua chiusura aprioristica”.

A questo va poi aggiunto che, in tema di utilizzo degli ambienti della parrocchia, si rende neces-sario un attento discernimento, soprattutto da parte di chi ha il ruolo della guida della comunità ecclesiale, per poter valutare l’opportunità di ac-cogliere le richieste più varie. In alcuni casi pos-sono essere iniziative o realtà promotrici non in sintonia e talvolta in aperto contrasto con la pro-posta cristiana. Allora alcuni “no” possono essere necessari e opportuni sia per garantire il rispetto dell’identità delle opere della parrocchia, sia per educare le persone a quei valori (ad es. la chiarez-za, la libertà, la sobrietà, ecc.) che costituiscono motivo di crescita per i singoli e per l’intera comu-nità cristiana.

2.2 Disposizioni e norme2.2.1 Tipologia di richieste di ospitalità di

feste/eventi/ manifestazioni di enti pubblici o di privati in ambienti parrocchiali

Allo stato attuale si possono registrare diverse richieste rivolte alla parrocchia per l’uso dei suoi ambienti in vista di feste/eventi/manifestazioni.

Ne richiamiamo alcune: feste di compleanno di bambini in oratorio, halloween, iniziative a scopi commerciali gestite da privati (es. sfilate di moda, corsi vari di formazione), feste/eventi/manifesta-zioni di organizzazioni di volontariato, feste/even-ti/manifestazioni organizzate dal Comune o da Enti civili, feste/eventi/manifestazioni politiche o parapolitiche.

2.2.2 Normativa eccle-siastica e civile in materia

A. Normativa ecclesiasticaLe disposizioni ecclesiasti-

che in materia riguardano lo specifico delle feste/eventi/manifestazioni sopra richiama-te.• Feste di compleanno di bam-bini in oratorio, feste di laurea o feste legate ad eventi privati: si possono accettare a con-dizione che non intralcino la normale attività dell’oratorio e non abbiano carattere di esclu-sività; dovranno comunque rispettare le indicazioni conte-nute nel regolamento dell’ora-torio per quanto riguarda i tempi, le modalità e gli spazi.• Halloween e manifestazioni

legate a tradizioni non cristiane: tali manifestazio-ni non sono ammesse.• Iniziative a scopi commerciali gestite da privati: le sfilate di moda non sono ammesse; per i corsi di formazione vi deve essere un accordo ben preciso tra la ditta e la parrocchia, vigilando, in particolare, sulla serietà e la affidabilità della ditta richiedente (vedi in Appendice).• Feste/eventi/manifestazioni di organizzazioni di volontariato: occorre verificare previamente se si tratta di organizzazioni non contrarie alla fede cristiana. Sarà in ogni caso necessario un accordo scritto (vedi in Appendice).• Feste/eventi/manifestazioni organizzate dal Comune o da Enti civili: è necessario un accordo scritto in cui si precisano tempi e modi di svolgi-mento (vedi in Appendice).• Feste/eventi/manifestazioni politiche o parapo-litiche: non è possibile rendere disponibili gli spazi parrocchiali per riunioni di partito, per propagan-da politica, per feste di partito. Richiede poi un particolare discernimento la richiesta di uso degli ambienti parrocchiali da parte di gruppi culturali o folkloristici che facciano riferimento diretto o indiretto ai partiti. Si sconsiglia, in ogni caso, l’ac-coglienza di gruppi che, pur col nome di cattolici o cristiani, non hanno riconoscimento da parte del-la Chiesa. In proposito un collegamento con l’Uf-ficio diocesano di pastorale sociale sarà di aiuto. Tutto questo non preclude certo una valutazione positiva dell’organizzazione di incontri su temati-che politiche e sociali realizzate dalla parrocchia in collaborazione con altre realtà.• Feste della birra (o legate ad altre bevande al-coliche): raccomandando pur sempre prudenza nella distribuzione di bevande alcoliche e fermo restando il rispetto per la normativa vigente in materia, non sono ammesse negli ambienti par-rocchiali feste/ eventi/manifestazioni che portino denominazioni di questo genere.• Feste di fine anno o feste particolari (es. Rogo della Vecchia, Carnevale): per quanto riguarda le feste/eventi/manifestazioni che superano l’orario consueto di apertura e chiusura stabilito dal rego-lamento del proprio oratorio, è opportuno agire con saggezza e prudenza.• Feste legate a giochi di ruolo (live) o uso e/o si-mulazione d’uso di armi e campi sopravvivenza, manifestazioni paramilitari, ecc.: non sono am-messe.• Eventi musicali particolarmente costosi che ap-paiano in deciso contrasto con la sobrietà: non sono ammessi.• Saggi di danza, saggi di musica: si possono ac-cogliere, tenendo però conto che negli ambienti parrocchiali sono da evitare atteggiamenti, abiti o comportamenti non decorosi.

B. Normativa civileUna volta fissato un accordo (o eventualmen-

te stipulato un contratto di comodato/affitto, rispettando al riguardo le indicazioni del Decreto Vescovile 1294/08 e del Decreto Vescovile 356/10 in materia di “Atti di straordinaria amministrazio-ne”) con l’ente pubblico o privato organizzatore della festa/evento/manifestazione, la parrocchia mantiene comunque, in ambito civile, alcune pre-cise responsabilità. Ad esempio, rimane a carico della parrocchia tutto ciò che attiene alla sicurez-za e all’agibilità degli spazi ove viene effettuata la festa/evento/manifestazione: rispetto delle nor-me in materia, copertura assicurativa, ecc.Inoltre, pur non essendo la diretta organizzatrice della festa/ evento/manifestazione, la parrocchia deve farsi carico di richiedere all’ente organizzato-re il rispetto delle norme vigenti. Questo anche al fine di evitare spiacevoli inconvenienti.

2.2.3 Alcune situazioni particolari• Concessione di ambienti parrocchiali per fe-

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ste/eventi/manifestazioni di movimenti religiosi alternativi

In merito alla richiesta di ospitalità in locali di proprietà ecclesiale per attività religiose psico-terapeutiche o sociali riferentesi a gruppi di con-fessione religiosa o “spiritualità” non cristiano-cat-tolica, si suggerisce un atteggiamento di diniego.

In ogni caso ci si rivolga all’apposito Servizio Dio-cesano per i Movimenti Religiosi Alternativi e per le Spiritualità Alternative.

• Concessione di ambienti parrocchiali per fe-ste/eventi/manifestazionidi stranieri

La presenza nelle nostre parrocchie di stranieri, appartenenti a religioni diverse, si accompagna spesso alla richiesta di spazi per iniziative rivolte a gruppi o comunità straniere. Se tali feste sono or-ganizzate dalla parrocchia o da gruppi parrocchiali o associazioni ed enti territoriali impegnati nell’ac-coglienza, nel dialogo e nell’integrazione (es. festa dei popoli), tali iniziative sono da incoraggiare.

Talvolta si tratta invece della richiesta di am-bienti parrocchiali per il culto. Al riguardo va fatta una distinzione tra le confessioni cristiane e le re-ligioni non cristiane.

La concessione di locali parrocchiali per il culto di confessioni cristiane riconosciute come tali è riservata all’Ordinario diocesano.Solitamente vengono deputati alcuni ambienti (es. una chiesa) solo per una determinata confes-sione, evitando che negli stessi ambienti si svol-gano celebrazioni di cattolici o di altre confessioni cristiane. Questo al fine di evitare qualsiasi idea di sincretismo religioso.

Nessun ambiente parrocchiale può essere in-vece concesso per il culto di religioni non cristia-ne, neppure in situazioni occasionali.

Al riguardo, a volte, alle parrocchie giungono richieste di ambienti per i funerali di stranieri di altre religioni, specialmente africane. È bene non acconsentire a tale richiesta, coinvolgendo invece l’autorità civile, la quale è tenuta a garantire nel proprio territorio le condizioni per una corretta espressione delle manifestazioni religiose.

In caso di dubbio e per qualsiasi necessità in proposito, ci si rivolga agli Uffici diocesani mi-granti e per il dialogo interreligioso.

• Concessione di chiese e luoghi di culto per

eventi e manifestazioni artistico-culturaliTra le attività diverse da quelle di culto che più

frequentemente si chiede di poter svolgere nelle chiese vi sono concerti, manifestazioni del co-siddetto “teatro sacro”, mostre ed esposizioni artistiche. è anzitutto da richiamare la necessità di evitare un uso troppo frequente e prolungato di chiese o luoghi di culto per manifestazioni di questo genere, per non correre il rischio di ridurli a spazi profani.Un’attenzione particolare andrà poi riservata alla custodia dell’Eucaristia durante tali manife-stazioni, ricordando che dovrà essere traslata dal tabernacolo in un luogo adatto e raccolto.

Per quanto riguarda i concerti, la materia è stata normata recentemente (22/2/2008) da una lettera del Segretario della CEI ai Vescovi Italiani, che richiama quanto disposto dal do-cumento De concertibus in ecclesiis della Con-gregazione per i Sacramenti e il Culto Divino. A sua volta, l’Istruzione in materia amministrativa della CEI al n. 130 afferma che non è richiesta l’autorizzazione dell’Ordinario diocesano per le esecuzioni musicali in chiesa al di fuori della liturgia “quando ricorrono congiuntamente le se-guenti condizioni:

• organizzazione da parte di un ente eccle-siastico;

• esecuzione prevalente di musica sacra;• ingresso libero e gratuito.Venendo a mancare una di queste tre condi-

zioni, il concerto costituisce un’attività culturale, diversa da quella di culto, che richiede, a norma del can. 1210, la licenza scritta dell’Ordinario dio-cesano per l’uso profano della chiesa per modum actus ed è assoggettabile alla normativa sugli spettacoli”.

Rappresentazioni e manifestazioni che rien-trano nel cosiddetto “teatro sacro” possono svolgersi nei luoghi di culto a condizioneì che i testi rappresentati abbiano un carattere espli-citamente religioso. Da parte del Parroco vi sia poi una particolare vigilanza sul rispetto dell’am-biente sacro (spostamenti di arredi, installazione di attrezzature tecniche, ecc). In ogni caso, prima della concessione del luogo di culto, ci si avvalga della consulenza dell’Ufficio liturgico diocesano e dell’Ufficio comunicazioni sociali diocesano.

Le stesse indicazioni sul carattere esplici-tamente religioso dei soggetti e sul rispetto dell’ambiente sacro possono valere anche per l’allestimento di mostre o esposizioni artistiche. Ci si può in proposito avvalere della consulenza dell’Ufficio diocesano per i beni culturali eccle-siastici.

3. APPENDICE3.1 Procedure da seguire nell’organiz-zazione di feste/ eventi/manifestazioni in parrocchia

3.1.1 Prima della festa/evento/manifestazione

In fase preventiva, l’organizzazione di una fe-sta/evento/manifestazione prevede una serie di attenzioni e verifiche che riguardano spazi, tem-pi e modi.

È anzitutto opportuno fare una scelta ponde-rata e precisa degli spazi dove sarà effettuata la festa/evento/manifestazione. Al riguardo, è utile ricordare che alcuni spazi hanno strutture già predisposte e “a norma” per le quali la parroc-chia deve disporre di apposita certificazione (im-pianti elettrici, strutture fisse…). In caso invece si opti per strutture temporanee, queste dovran-no essere predisposte “a regola d’arte”.

È poi necessario fissare i tempi precisi di du-rata della festa/evento/ manifestazione con un

apposito programma che preveda i vari appun-tamenti.La stesura del programma diventa momento di crescita nella corresponsabilità da parte di quan-ti si rendono disponibili alla buona riuscita di tale momento.

I modi di organizzazione di una festa/evento/manifestazione possono essere diversi. Vi sono feste/eventi/manifestazioni con musica o con cucina, oppure con pesche di beneficenza o con giochi, ecc. …

Vediamo alcune di queste modalità.* Se la festa/evento/manifestazione prevede

la somministrazione di alimenti o bevande (con la consumazione in loco o la vendita d’asporto, es. spiedo, pizza, ecc.), o comunque una vendita per corrispettivi (es. mercatini…), sarà necessa-rio compilare e consegnare la S.C.I.A. (Segnala-zione Certificata Inizio/Modifica di Attività) pres-so il proprio Comune.Segnaliamo due aspetti particolari da tenere presenti nella compilazione di tale documento:

• è probabile che il parroco non abbia i requi-siti professionali per svolgere l’attività di sommi-nistrazione di alimenti, per cui si dovrà chiedere a un “preposto” (es. un operatore dell’ambito alimentare abilitato) che consenta la realizzazio-ne di tale attività;

• è necessario che gli spazi destinati alla mani-polazione dei cibi siano provvisti di attrezzature “a norma” e prevedano magazzino e toilette ri-servata al personale.

Ricevuta la documentazione debitamente compilata, il Comune passa parte della pratica all’ASL, che considera autorizzata l’attività.

Le modalità pratiche di tale compilazione e consegna possono variare da Comune a Co-mune: generalmente tutta la documentazione necessaria è scaricabile da internet sul sito del proprio Comune di riferimento. Il Comune (e non l’ASL) resta in ogni caso l’unico interlocutore diretto cui riferirsi.

* Se la festa/evento/manifestazione preve-de un concerto o una performance teatrale, ma anche la semplice realizzazione o il montaggio di un palco, di tensostrutture o l’utilizzo di sedie mobili, sarà necessario compilare la richiesta di Licenza di Pubblico Spettacolo. Tale richiesta, che va fatta al Comune, prevede in particolare:

• impianti elettrici fissi “a norma”;• certificazione di corretto montaggio

dell’impianto elettrico predisposto per l’occasio-ne, rilasciata da un tecnico abilitato;

• certificazione di corretto montaggio di tutte le strutture (palchi, tensostrutture, ecc.), rilasciata da un tecnico abilitato (es.geometra).

* Sempre in tema di Licenza di Pubblico Spettacolo va tenuto presente che, in caso di manifestazioni con grande afflusso di pubblico, potrebbe essere richiesta anche la presenza di personale antincendio.

Una volta avviata la pratica con la S.C.I.A. sarà necessario predisporre gli spazi per la ma-nipolazione dei cibi con tre attenzioni partico-lari:

1. suddivisione degli spazi e dei compiti, corretto uso e pulizia delle attrezzature;2. formazione del personale addetto alla manipolazione dei cibi (con corso per ali-mentaristi dal valore biennale);3. compilazione del manuale HACCP.Si ricorda che i prodotti fatti in casa e portati

per essere consumati o venduti durante le fe-ste (es. torte, dolcetti) non sono ammessi dalla normativa igienico-sanitaria, perché impossibi-le verificare la tracciabilità degli ingredienti e le modalità di produzione.

Per quanto riguarda la condivisione di pranzi

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negli ambienti dell’oratorio ricordiamo quanto segue:

• La normativa igienico-sanitaria in materia è sempre da rispettare, quindi gli alimenti da consumare devono essere prodotti e serviti correttamente o acquistati preparati in porzioni già pronte all’uso: non possono essere portati da casa.• La normativa fiscale, fermo restando le esenzioni di seguito riportate, è da rispetta-re ogniqualvolta avvenga una somministra-zione di alimenti o bevande a pagamento.

* Se la festa/evento/manifestazione prevede la produzione di musica dal vivo (o registrata), oppure la realizzazione di spettacoli o recite (let-ture di testi, spettacoli cinematografici, ecc.), è necessario pagare un compenso presso la SIAE, secondo la convenzione CEI-SIAE. Si tenga pre-sente che la SIAE chiede un deposito cauzionale prima dell’evento e il saldo entro cinque giorni dalla conclusione dell’evento.

• È bene ricordare che la musica (e più in generale i rumori prodotti dalla festa) non devono superare i limiti di legge.In caso contrario è necessario fare richiesta al Comune di deroga per le emissioni sonore.• Per quanto riguarda gli spettacoli a paga-mento, si ricorda la necessità di una opportu-na regolarizzazione fiscale e di una specifica determinazione delle tariffe con la SIAE.

Infine, si consideri che in caso di vendita di prodotti, di somministrazione di alimenti o be-vande a pagamento come anche per la eventua-le raccolta di sponsorizzazioni si dovrà rispettare la vigente normativa fiscale in materia.

Cerchiamo qui di accennare ad alcuni aspetti importanti su tale argomento, tenendo conto che tale normativa allo stato attuale presenta alcuni caratteri suscettibili di interpretazione.

Si consideri che, in tema di esenzioni (cfr. art. 143, Testo Unico delle Imposte sui Redditi), sono previste a favore degli enti non commerciali, e quindi anche della parrocchia, alcune agevola-zioni in relazione alle attività occasionali di rac-colta pubblica di fondi.

In particolare è prevista la non imponibilità IRES dei fondi pervenuti a seguito di “raccolte pubbliche effettuate occasionalmente, anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebra-zioni, ricorrenze o compagne di sensibilizzazione” (art. 143). In questi casi, non è prevista neppure l’applicazione dell’IVA.

Si possono notare le caratteristiche che deve avere la raccolta di fondi che si svolge in caso fe-ste/eventi/manifestazioni: deve trattarsi di rac-colta pubblica (rivolta ad una massa indistinta di

soggetti); deve essere occasionale; può avvenire anche mediante l’offerta ai sovventori di servizi o beni di modico valore; deve avvenire in conco-mitanza di celebrazioni, di ricorrenze o campa-gne di sensibilizzazione.

Circa il “carattere di occasionalità” della mani-festazione: la norma è interpretata identificando in un massimo di due (in un anno) il numero delle feste/eventi/manifestazioni per le quali è possibile la non imponibilità IRES.Circa, invece, il “carattere celebrativo” della fe-sta/evento/manifestazione, è possibile conside-rare rispondenti a tale carattere festecome la celebrazione del Santo Patrono, l’aper-tura dell’anno oratoriano, una raccolta fondi a favore di una iniziativa missionaria, ecc.

Quindi, accertati il “carattere di occasio-nalità” e il “carattere celebrativo” della festa/evento/manifestazione, è possibile godere delle agevolazioni per quanto riguarda la sommini-strazione di alimenti e bevande, che sono con-siderate esenti da imposte dirette ed indirette.

Anche per queste attività rimane comunque necessario rendicontare le entrate e le uscite.

Le agevolazioni fiscali, però, vengono parzial-mente o totalmente meno nel caso in cui non siano soddisfatte le condizioni summenzionate:qualora non sia soddisfatto il “carattere celebra-tivo” della festa/ evento/manifestazione, i pro-venti che ne derivano configurano per la parroc-chia “redditi diversi” da inserire in dichiarazione dei redditi e soggetti ad IRES; qualora, invece, venga a mancare per la festa/evento/manife-stazione il “carattere di occasionalità”, l’attività di somministrazione di alimenti e bevande si con-figurerà come attività commerciale a tutti gli ef-fetti, con le implicazioni che ne conseguono rela-tivamente alla necessità di apertura della partita IVA (come, del resto, per quanto riguarda tutte le attività di tipo commerciale non occasionali), alla fatturazione delle vendite, agli adempimenti contabili e dichiarativi connessi.

3.1.2 Durante la festa/evento/manife-stazione

Ricevute previamente le autorizzazioni necessarie, sarà quindi opportuno:• rispettare programma, orari e spazi per i quali si è ricevuta l’autorizzazione. Si tenga conto che è possibile un sopralluogo dell’ASL durante la fe-sta/evento/manifestazione;• rispettare le norme vigenti in materia di igiene, sicurezza ed emissioni sonore. È possibile un so-pralluogo della Polizia Locale e della SIAE;• registrare correttamente le vendite per corri-spettivi (emissione degli scontrini fiscali e compi-lazione del registro dei corrispettivi).

In caso di sospensione del programma mu-sicale o di intratteni-mento della serata, è opportuno inviare subito alla SIAE un fax così da evitare il paga-mento del compenso per una prestazione non effettuata.

3.1.3 Dopo la festa/evento/mani-festazione

Dal punto di vista degli adempimenti civili, dopo la festa/evento/ manifestazio-ne è necessario prov-vedere al saldo della propria posizione SIAE.

Inoltre, vi è poi l’obbligo di redigere,

entro quattro mesi dalla chiusura della festa/evento/manifestazione, un apposito rendicon-to da cui risultino le entrate e le spese connesse a ciascuna raccolta di fondi. I rendiconti, uno per ciascuna raccolta, devono essere predisposti in ogni caso. Il rendiconto e la documentazione giu-stificativa delle entrate e delle spese deve essere conservata per poter essere esibita in caso di con-trollo da parte dell’Amministrazione finanziaria.

3.2 Procedure da seguire nel dare ospitalità a feste/ eventi/manifesta-

zioni di enti pubblici o di privati in ambienti parrocchiali

3.2.1 Prima della festa/evento/ma-nifestazione

Pervenuta alla parrocchia la richiesta da parte di un gruppo, di un’associazione o di un privato di organizzare una festa/evento/ ma-nifestazione all’interno degli ambienti parroc-chiali, saranno da verificare preventivamente questi aspetti:

1. Indicazione precisa della titolarità dell’en-te promotore. Se si tratta di un gruppo, verifi-care se è costituito in associazione oppure se la responsabilità è di un singolo privato. Va tenu-to presente che la documentazione necessaria (permessi, autorizzazioni, moduli, ecc.) dovrà riportare sempre il nome dello stesso organizza-tore. Un’attenzione particolare va data ai gruppi parrocchiali (caritas, missioni, coro…) i quali, non avendo personalità giuridica propria, non hanno i requisiti per essere individuaticivilmente come “enti organizzatori”. In questo caso, la parrocchia è chiamata ad assumere il ruolo di soggetto organizzatore con quanto que-sto comporta come detto nella prima parte del presente documento.

2. Verifica del rispetto dei criteri di opportu-nità.

3. Verifica previa del programma della festa/evento/manifestazione, sia per quanto riguarda la presenza di spettacoli o attività non opportu-ne, sia per quanto riguarda sovrapposizioni con attività parrocchiali, in particolare le celebrazioni liturgiche.

4. Verifica del materiale pubblicitario della festa/evento manifestazione prima della diffu-sione dello stesso; è necessario il pagamento dei diritti di affissione (a carico dell’organizzatore) in caso di diffusione a mezzo di manifesti.

5. Verifica dell’esistenza di una polizza assi-curativa che risponda circa i danni a terzi e gli infortuni per l’attività svolta.

6. Richiesta di rispetto della normative civile e canonica in materia.

7. Predisposizione di una apposita “scrittura privata” tra ente organizzatore e parrocchia per definire tempi e modi di realizzazione della fe-sta/evento/manifestazione. Un fac-simile di tale documento è disponibile sul sito www.diocesi.brescia.it nella sezione Osservatorio Giuridico Legislativo Diocesano.

8. Richiesta di avere copia delle autorizzazio-ni in materia.

3.2.2 Durante la festa/evento/manife-stazioneÈ sempre necessario il rispetto della normative civile e canonica in materia.

3.2.3 Dopo la festa/evento/manifesta-zioneÈ bene che il parroco o un suo delegato verifichi insieme all’organizzatore l’esito della festa/even-to/manifestazione. Eventuali inadempimenti o irregolarità a carico dell’ente organizzatore sono da segnalare subito, in modo da evitare proble-mi in futuro.

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Non c'è democrazia senza uguaglianza sociale, la sola che può determinare anche un buon funzionamen-to del mercato. È l'uguaglianza, dunque, che garan-

tisce libertà e stabilità economica. È quanto sta mettendo in luce l'attuale crisi che attraversa l'Europa. Dati statistici inequivocabili denunciano il forte divario di ricchezza e di opportunità tra i cittadini del nostro Paese che ricordano i ben noti squilibri sociali ed economici esistenti a livello mondiale.

Dieci anni fa, Ermanno Corrieri, figura di punta del cat-tolicesimo democratico italiano, ministro del Lavoro nel VI Governo Fanfani e curatore in più occasioni di Rapporti redatti da Commissioni governative dedicate a povertà, fa-miglia, reddito, lavoro e pensioni, scrisse un libro agile ma di notevole spessore culturale e politico dal titolo Parti uguali fra disuguali. Povertà, disuguaglianza e politiche redistri-butive nell'Italia di oggi '.

L'uguaglianza sociale condizione della libertà

L'obiettivo di Corrieri - come è scritto nella premessa - era quello di «richiamare l'attenzione sull'argomento». Dopo anni di battaglie su questo terreno, voleva in qual-che modo ridare lustro e riportare al centro del dibattito pubblico la parola «uguaglianza», a suo avviso trascurata sia dai cattolici «che hanno investito il loro impegno nel generoso esercizio della solida-rietà più che nella lotta politica per la giustizia sociale», sia dalla sinistra ri-formista «nell'intento di liberarsi dal-le ideologie del passato e di crearsi una nuova identità», nonché svuota-ta dagli «sterili massimalismi di altre posizioni di sinistra»2.

Corrieri, peraltro, aveva ben pre-sente che in un contesto mondiale di liberismo economico crescente, l'in-dividualismo montante nella società, assecondato cinicamente dalla poli-tica, avrebbe condotto all'impove-rimento del significato della libertà, valore per eccellenza della moderni-tà, lasciando prevalere la dimensio-ne dell'avere su quella dell'essere. Secondo Corrieri, invece, si da libertà autentica della persona soltanto se insieme ai diritti civili e politici i citta-

dini possono godere anche dei diritti sociali «che garanti-scono la partecipazione ai beni materiali e immateriali, di cui dispone la società». È infatti «la diversa distribuzione di quei beni - dal livello d'istruzione all'occupazione, dal tipo di lavoro svolto alle risorse eco-nomiche di cui si dispone - (che) influenza l'effettivo esercizio della libertà e l'effetti-va parità dei cittadini di fronte alle possibilità offerte dalla società»3.

L'uguaglianza sociale dunque non è un corollario della democrazia ma la sua condizione, perché permette l'ac-cesso ai diritti di libertà da parte di tutti e di ciascun citta-dino. Non solo. L'uguaglianza, generando coesione sociale determina anche il buon funzionamento del mercato che non sopporta, perché cagionevoli di instabilità, un conflitto sociale aspro e disparità troppo ampie: «quanto più alta e garantita sarà la soglia del benessere il cui raggiungimen-to è assicurato a tutti - scriveva in proposito Corrieri -tanto più ampi potranno essere gli spazi del libero esplicarsi della competizione sociale e del conseguente perseguimento di livelli di efficienza e di eccellenza»4. Su questo punto, il pen-siero sociale di Gorrieri - che non è un residuo dell’egualita-rismo sessantottino, come egli stesso teneva a sottolineare - incrocia le tesi di uno dei più grandi economisti italiani del ‘900, Federico Caffè, che contrastava l’assioma secondo il

quale esisterebbe un trade-offtra uguaglianza sociale ed efficienza economica, cioè che una maggio-re uguaglianza tra i cittadini pro-duce una perdita di competitivita del sistema economico; per Caffè invece una società può essere più efficiente solo se è più giusta5. Il messaggio è chiaro ed è attualis-simo: senza uguaglianza non c’è libertà (nell’accezione ricca del termine) e neanche stabilità eco-nomica.

Senza uguaglianza non c’è neanche stabilità economica

Dieci anni dopo, le parole di Ermanno Gorrieri risuonano come una profezia amara in un contesto mondiale alle prese con pesanti shock sociali prodotti da un sistema economico fuori con-trollo, generatore di nuovi poveri

Giustizia è efficienza

La questione della disuguaglianzaLEGGERE I SEGNI DEI TEMPI

Non c'è democrazia senza uguaglianza sociale, la sola che può determinare anche un buon funziona-mento del mercato. È l'uguaglianza, dunque, che garantisce libertà e stabilità economica. È quanto sta mettendo in luce l'attuale crisi che attraversa l'Europa. Dati statistici inequivocabili denunciano il forte divario di ricchezza e di opportunità tra i cittadini del nostro Paese che ricordano i ben noti squilibri sociali ed economici esistenti a livello mondiale.

Si moltipllcano le offerte speciali nei supermercati per venire incontro alle famiglie in difficoltà

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anche nei paesi industriali avanzati e di scenari incerti per il futuro, soprattutto delle giovani generazioni. Per la pri-ma volta nella storia recente, segnata da uno sviluppo co-stante e progressivo, siamo di fronte alla possibilità di una decrescita e si comincia a pensare che i figli vivranno con meno risorse a disposizione rispetto ai loro padri. L’aumen-to delle disuguaglianze sociali non è tuttavia soltanto uno degli sbocchi della crisi economico-finanziaria che avvolge il mondo dal 2007 ad oggi. A causa, infatti, dell’eccesso di indebitamento privato delle famiglie in difficoltà a sbarca-re il lunario, questo fenomeno ha avuto (non da solo) un ruolo crucia le nel creare le bolle speculative finanziarie e immobiliari, che una volta esplose hanno ulteriormente ridotto il reddito delle fasce sociali deboli, penalizzando lo stesso mercato con una forte depressione della domanda mondiale di beni e servizi, e imponendo agli stati esborsi consistenti di denaro pubblico per far fronte alla situazione.

«Questo crollo - spiega l’economista Jean Paul Fitoussi - ha fatto diminuire le entrate fiscali e quindi aumentare il disavanzo pubblico. I governi hanno provato a contrastare Teff etto della crisi con piani di rilancio finanziati con risor-se pubbliche: c’è stata una sostituzione fra debito privato e debito pubblico. Ha contribuito all’aumento della disugua-glianza la diffusa fede che per guadagnare in competitivitaà in un’epoca di globalizzazione le cose più importanti fosse-ro diminuire lo stato di protezione sociale, ridurre il costo del lavoro, non tassare i ricchi per evitare che cambiassero Paese. Si è diminuita la progressività dell’imposta e si sono alleggerite le tasse solo sulle imprese»(6).

Senza dunque un’assunzione del tema dell’uguaglianza sociale nelle politiche pubbliche, qualsiasi altra ricetta per fronteggiare la crisi avrà il fiato corto e finirà per cristallizzare invece che rimuovere le ingiustizie strutturali, mantenendo bloccato il sistema economico in un’impasse. Ciò tuttavia è possibile ripartendo dai vincitori e dai vinti dell’era della ne-oglobalizzazione e impegnandosi a modificare il paradigma che oggi governa l’economia e tiene in scacco una politica debole. Non mancano peraltro mappe precise che descri-vono i divari (in alcuni casi enormi) di ricchezza di reddito e di opportunità tra i cittadini. Eclatante, al riguardo, è il dato relativo agli Usa: secondo gli esperti all’1% delle famiglie più ricche è andato il 60% dei frutti della crescita economi-ca avvenuta tra il 1976 e il 2002 (7).

Italia paese riccoma ingiusto e diseguale

Anche l’Italia tuttavia registra significativi squilibri di be-nessere tra i ceti sociali, peraltro in crescita. Lo attestano indagini condotte da Istituti nazionali e internazionali a fine anno 2011 che offrono indicatori univoci e inequivocabili sul tasso di ingiustizia sociale presente nel nostro paese. L’OCSE8, ad esempio, stima che la disuguaglianza tra i red-diti in Italia è superiore alla media dei paesi industrializzati e che sia in aumento rispetto agli anni ‘90: nel 2008, il 10% più ricco vantava un reddito medio di 49.300 euro contro i 4.877 euro medi del 10% più povero. Peraltro, l’incremen-to maggiore di reddito si è avuto tra i lavoratori autonomi, mentre ha allargato significativamente la forbice della di-suguaglianza il fatto che i matrimoni avvengono sempre più tra persone con redditi simili. Anche l’ISTAT conferma questo trend, segnalando che l’Indice di Gini (l’indicatore

sintetico del grado di disuguaglianza tra i redditi) in Italia è superiore alla media europea. Nel dettaglio, l’ISTAT9 regi-stra che il 50% delle famiglie italiane, nel 2009, ha percepito un reddito netto non superiore a 24.500 euro (2.050 euro mensili), che al Sud scende attorno ai 20.000 euro (1700 mensili). Inoltre il 20% più ricco delle famiglie possiede oltre il 37% del reddito nazionale mentre solo l’8% va al 20% più povero. Resta alta infine l’esposizione al rischio di povertà che riguarda 11 milioni di persone. A queste se ne aggiun-gono 4 milioni che sono già in condizioni di deprivazione materiale, mentre altre 6 milioni vivono in contesti familiari con forti problemi di lavoro . Va da sé che le situazioni di maggiore svantaggio sono nel Sud del paese e a carico di famiglie monoreddito e di quelle numerose.

È tuttavia l’indagine annuale della Banca d’Italia sulla ric-chezza delle famiglie italiane10 (immobili, depositi in ban-ca, titoli azionar! e di Stato) a mostrare il vero volto della disuguaglianza in Italia, giacché se la media matematica vuole che ogni nucleo famigliare disponga oggi di 356.000 euro, la realtà dice che il 45% di tale ricchezza è concentrata nelle mani del 10% delle famiglie, mentre la metà più pove-ra ne detiene solo il 10%. Si può concludere che l’Italia è un paese ricco, ma profondamente ingiusto e diseguale. Luigi Campiglio, economista all’Università Cattolica di Milano, parla addirittura di società a somma zero, nella quale «la mancanza di crescita economica ha comportato che all’au-mento di reddito, risparmio o consumo di qualcuno corri-spondesse necessariamente una simmetrica diminuzione assoluta di qualcun altro, come per l’appunto in un gioco a somma zero. Per questo motivo le ragioni dell’equità distri-butiva, e quindi una precisa comprensione di chi perde e chi guadagna nella crisi in corso, hanno oggi un ruolo prio-ritario per qualunque proposta che riguardi la ripresa dello sviluppo»”.

‘E. CORRIERI, Parti uguali fra disuguali, Povertà, disuguaglianza e po-lìtiche redistrìbutive nell’Italia di oggi. II Mulino, 2002. ‘-Idem, pag. 10. ‘Idem, pag. 13. ‘Idem, pag. 10.5F. CAFFÈ, Realtà e crìtica del capitalismo storico, Meridiana Libri, 1995.6J.P. FITOUSSI, Aumenta la disuguaglianza diminuisce la democrazia. La Repubblica 6.6.11. 7Cfr. E. GRANAGUA, Redditi e ricchezza. Chi ha troppo, poco o troppo poco, www.fondazionegnrrieri.it, 1.12.2011.‘OECD, 2011, Dìvided we stand: why inequality keeps rising.“ISTAT, Reddito e condizioni di vita, Anno 2010, Report. 29.12.2011. www.istat.it “BANCA D’ITALIA, La ricchezza delle famiglie italiane 2010, Supplementi al Bollettino Statistico, 14.12.2011. “L. CAMPIGLIO, Crisi, cresce la disuguaglianza, Vita e Pensiero, 5/11.

formazione socio-politica

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formazione socio-politica

La crisi imperversa. Mette in luce le disfunzioni della nostra società. Fa passare al vaglio i modi di vita

personali e collettivi. Genera figlie di opposto segno morale.

La crisi e le sue figlieLa crisi imperversa. Mette in

luce le disfunzioni della nostra società. Fa passare al vaglio i modi di vita personali e collettivi. Genera figlie di opposto segno morale.

Le figlie positiveInsensopositivociparedipoter

dire che la crisi ha fatto scoprirel’importanza della politica in re-lazioneall’economiae il ruolo im-prescindibiledegliStatinelladifesadelbenecomune.Damoltotempocisistapreoccupandodiriabilitarela politica. È dall’azione politica edall’impegnodi tutti cheverranno,col tempo, le soluzioni alla crisi,sottoformadiunnuovomodellodisviluppo,cheaccordimaggioreim-portanzaallaqualitàdellerelazioniinterpersonaliealrispettodelcre-ato.Èindubbiochela“crisi”inalcuni

casi sta diventando un’opportu-nità. Essa costituisce l’occasioneperrecuperarelacapacitàeilgu-stodelrisparmio,dellamisura,delnonspreco,deiconsumi “sosteni-bili”.Riveladellevirtualitàeducati-ve. Insegna che occorre educareleemozioni, impegnarsisullevirtùpersonaliesociali,darvalore“an-che”all’anima.Sièfattastradaanchelaricerca

di una società più giusta. Essarappresentailfondamentodiun’au-tentica trasformazionedegli stili divitachenonpuòcheessereinco-raggiatadaicristiani.Staadognu-no di noi coltivare la consapevo-lezzache idesideripersonalinonpossono essere l’unica molla delproprioagireedelpropriogiudizio.Lacomplessitàdellesituazionicihapermessodiriscoprireunavisionerelazionaledell’uomo,chenonvivesolopersestesso,maconaltri,ecostruiscelapropriafelicitàinsiemeaglialtrienonadannodeglialtri.

Si è preso atto che non tutto èmossodai soldi.Ci sonoesempidigentedallavita“sobria”checonilsuolavorohamossol’economia.Nei momenti di difficoltà, di stret-ta,sivedediche“pasta”èfattounuomo,eunPaese.Sedifrontealcalodeiconsumi,lareazioneèsoloil panico, o l’allarme o il lamento,puòdarsichedaquesto “fossato”nonsiesca.Echecisidibatta“iste-rici”etendentialla“rapina”recipro-ca.

Le figlie negativeSulversantenegativolacrisiha

rivelato ilvolto indefinito dichi ilmercatoglobalelopatiscesullapel-le.Piùcheparteciparvi,neèpartechesubisce:losiaccoglieeimpie-gaseserve,losispostadovepiùconviene.Èilvisodiqueimilionidiragazzie ragazzechenelmondovivonoformepreoccupantidiemar-ginazione e di sfruttamento, concrescenti situazionididisagioper-sonale. Giovani lavoratori nell’eradell’incertezza, precari all’infinitaricerca di una stabilità, soprattut-to emigranti sbattuti sulle nostrespiaggeaondate,comenaufraghidopouno“tsunami”.In alcuni contesti si sono acce-

senuovesperanzeeilbenesserecomplessivo è aumentato, ma lasua distribuzione appare squili-brata,elapossibilitàdiaccessoallediversepotenzialità restadisegua-le.Chiparte insvantaggiorimaneindietroeavoltenonfiniscenem-menolacorsa.Inaltrerealtàalcalodeiconsumisipotrebbeaffiancare,e forsegiàsiaffianca, lo “spettro”delloscontro,dellaguerratrapove-ri,dell’insoddisfazionescaricatasulvicino, o chiamatelo il “prossimo”.Giàora,di fronteallanecessitàdinonfarmancareilnecessarioachihapiùbisogno,edicambiarecertiassetti,si registrano iprimi irrigidi-

menti,ledureerezionidi“barricate”adifesadeipropriinteressi.Lanegatività tocca inmodo for-

telafamiglia.Èpiallataadovere,perchésiamogiàintroppiaquestomondoesoprattuttoabbiamotrop-podafare:dalavorare,daprodur-re,daconsumareepergiuntatuttoinfretta.Eildomani,gliannifuturi,leprossimegenerazionisonocon-cettiinafferrabiliquandotuttocam-biacosìvelocementenelmondoeintornoaciascuno.Quandoilfuturonon si avverte come unameta eunanecessità,nonhamoltosen-soprogettareunqualcosachesia“persempre”.Lafamigliavivecertonelpresente,malasuadimensio-nepiùvera,è laproiezioneconti-nuanelfuturo,inunorizzontecheèsempreoltre:neltempoeneldonocontinuocapacediandarealdi làdisestessi.Lefigliedellacrisicidiconoche

non conta soltanto divenire più“competitivi” e “produttivi”; occorreessere“testimonidellacarità”.Que-staèlasfidalanciataatuttie“per”noi. Se gli scambi sono segnatidalla diffidenza e dall’imperativodeltornaconto,icristianidovrannocoltivarelafiduciaeladimensionedellagratuità.Inunmondoglobaleecompetitivo,cos’altroc’èdipiùri-voluzionariodellacarità,dell’amoredell’uomopersuofratello?Lacari-tàèlafigliapredilettadelPadre,esaràleiaresisterefinoallafinedeitempi.

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ANNO PASTORALE 2011-2012

CARITAS PARROCCHIE DI BOTTICINO

Convegno Diocesano Caritas Parrocchiali 2012

sabato 28 aprile a Botticino

A un anno di distanza da “Chiesa, profumo di relazioni”, in cui si è condivisa l’opportunità di “so|stare” sull’esperienza dell’essere consegnati gli uni gli altri, nella piena comunione, alla comunità, sa-bato 28 aprile ritorna l’annuale appuntamento degli uomini e delle donne della carità. Un appuntamento che, richiamando l’attenzione sulla prevalente funzione pedagogica della caritas, permette di dare rinnovato vigore alla “scelta pastorale delle relazioni” all’interno di un’esperienza di comunità, di chiesa. “A voi, infatti, è affidato un im-portante compito educativo nei confronti delle comunità, delle fa-miglie, della società civile in cui la Chiesa è chiamata ad essere luce. Si tratta di assumere la responsabilità di educare alla vita buona del Vangelo, che è tale solo se comprende in maniera organica la testi-monianza della carità”, così Benedetto XVI in occasione dei 40 anni di Caritas Italiana (24 novembre 2011)

Nel solco del cammino intrapreso negli ultimi anni, “Farsi Conve-gno. Un luogo per narrare la speranza” (2008), “Animare…la carità in parrocchia” (2009), “Nella Carità… riscoprirsi comunità” (2010), “Chiesa, profumo di relazioni” (2011), la proposta del prossimo 28 aprile pone nuovamente al centro i rapporti, i legami, il “contesto”, offrendo la prospettiva dell’animatore quale “artigiano di carità”.

Come lo scorso anno, oltre al tema e alle modalità di svolgimento della giornata, un segno ulteriore permetterà di avvalorare la “scelta pastorale delle relazioni”: il “convegno” si svolgerà presso gli ambien-ti di una comunità. Dopo la Parrocchia Maria Immacolata di Nave, il prossimo 28 aprile sarà la volta dell’Unità Pastorale di Botticino S. Arcangelo Tadini. Un’opzione volta a rimarcare il valore della vi-cinanza della Caritas Diocesana alle Caritas parrocchiali, tanto più in quest’anno pastorale in cui sono chiamate a contribuire all’armoniz-zazione del tessuto pastorale, rinnovando il loro essere “presenze di comunione” nella capillarità” (vedi: Mandato per la Giornata delle caritas parrocchiali).

Il Convegno diocesano Caritas si svolgerà nel grande salone dell’oratorio di Botticino Sera per tutta la giornata di sabato 28 aprile. Sarà un evento importante non solo per i partecipanti raapresentanti di tutta la diocesi, ma anche per le parrocchie di Botticino che verran-no coinvolte nei giorni precedenti con iniziative in particolare per le famiglie della Iniziazione Cristiana e nello stesso giorno per i ragazzi e i giovani.

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UNITA’ PASTORALE -PARROCCHIE BOTTICINOCommissione pastorale familiare e coppia

Associazione PUNTO FAMIGLIA E DINTORNI

Segni e sognie se Dio

sognasse con noi?marzo 2012

La comunità cristiana è il “luogo” voluto da Gesù in cui in maniera storica viene continuata la sua pre-senza salvifica.

In essa si attingono a piene mani doni di grazia, con la Parola annunciata e i sacramenti celebrati, con la carità operosa e l’educazione alla fede nella testimonianza sin-cera. Ministeri e Carismi formano il tessuto fondamentaledella comunità, attraverso l’opera feconda dello Spirito Santo e la piena ma sempre fragile disponibilità umana, come utili strumenti per la diffusione del Regno di Dio.Tra i vari ministeri, due sgorgano proprio da fonti sacra-mentali e sono direttamente preposti per il servizio dell’in-tera comunità, secondo le loro particolari caratteristiche, ma sempre per far crescere e curare il dono della comunio-ne. Dallo stesso costato di Cristo, dallo stesso cuore trafit-to, ecco che matrimonio e sacerdozio nascono insieme per completarsi a vicenda nel servire il corpo ecclesiale. Con-dividono non solo l’origine e la finalità, ma sono anche im-bevuti dello stesso DNA, ovvero lo Spirito della nuzialità: carità di dono di sé completo e gratuito, fedele e fecondo.Che grande sogno ha avuto Dio Padre nel suo Figlio Gesù Cristo, quello cioè che presbiteri e sposi si rafforzino a vi-cenda nel reciproco riconoscersi e promuoversi, nella pre-ghiera e nell’azione. La Chiesa ha così bisogno di respirare con entrambi questi “polmoni” pieni di grazia servizievole, che, per non avere il “fiato corto” nella testimonianza e nel-la speranza, li supporta con il dono sacramentale e con un costante sforzo educativo. Quanto tempo serve per avere un sacerdote? E quante energie per ottenere bravi sposie genitori?...

Oggigiorno, però, mi sembra che nonostante il bel “Li-bro dei sogni” inventato dallo Spirito Santo negli anni ’60, i Documenti del Concilio Vaticano II, anche in merito al lega-me tra matrimonio e sacerdozio, tra sposi e presbiteri, stiamo rischiando di lasciar sognare Dio da solo!La stola e il grembiule, per usare un’immagine evocativa del compianto vescovo Tonino Bello, potrebbe ben descri-vere anche la complementarietà e ugualmente la specifi-cità dei due Ministeri: servire Cristo nella grande Chiesa universale e servirlo nella piccola chiesa domestica, la fa-

miglia. E tuttavia, sempre con la medesima intensità inse-gnataci dal Signore Gesù: da celibi, con animo sponsale; da sposi, con animo celibatario!

Sicuramente, se confrontiamo tutto questo con la pratica pastorale attuale delle nostre parrocchie, possono sorgere in noi una serie di sentimenti e di pensieri, tra loro magari contrastanti.

Infatti, si potrebbe riuscire a dire che forse questo Dio di Gesù Cristo è un po’ un illuso, un sognatore appunto; op-pure, di contro, potremmo iniziare un elenco mai del tutto completo di lamentele, rivendicazioni e critiche a raffica

Una cosa è certa, di questo passo faremmo della Chiesa un campo di battaglia con fortificazioni e trincee di sponde contrapposte, dell’esercito degli sposi, forte nel numero ma con armi spuntate, e di quello dei presbiteri, in pochi ma ben organizzati. É questa la strada voluta da Dio? É questo il cammino di testimonianza di comunione che costruisce il Regno? Certamente no!

Bisogna ritornare ad ascoltare insieme la voce poten-te di Gesù, che nel drammatico momento dell’Orto degli Ulivi, ci ha lasciato la stupenda preghiera/ testamento in cui scorre ancor oggi il grido appassionato: “Siate perfetti nell’unità, perché il mondo creda” (Cfr. Gv 17). Urge, al-lora, il riconoscersi tutti in Cristo, nel suo cuore e nel suo amore, solo così sposi e presbiteri potranno finalmente ap-prezzarsi ed ascoltarsi a vicenda. Identità e missione vanno di pari passo, come conversione e comunione.

Mi piacerebbe intuire il sogno di Dio sulla sua Chiesa, proprio in questo momento delicato per la nostra diocesidi Brescia, in cui ciascuno è chiamato a pregare – riflettere – rispondere in merito al tema della Unità pastorali.

In quest’ottica, pur nel quadro ancora nebuloso e com-plesso delle soluzioni, appare lampante che finché sposi e presbiteri non vivranno appieno la propria vocazione e non ricercheranno insieme la vera comunione, tutto quanto verrà deciso e messo in opera rischierà di essere un mero ri-assetto organizzativo, più consono ad una Corporation che alla Chiesa di Cristo.

aprile 2012“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e in-

cappò nei briganti...Un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estras-se due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno”. (Cfr. Lc 10)

Questo brano narrativo tolto dal Vangelo di Luca, mette in evidenza un insegnamento fondamentale di

pagine per lafamiglia e... dintorni

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pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia -Gesù riferito al nostro prossimo e al comportamento da tenere nei suoi confronti. Ora, mi piace immaginare che in Gesù, Dio stia sognando per noi e ci chieda di sognare con Lui, calando il sogno nel mondo della vita familia-re, dove in effetti la prossimità è all’ordine del giorno. Quindi, la domanda investigativa per entrare davvero nei particolare del sogno divino potrebbe suonare così: quali stili di vita e atteggiamenti dovrebbero connotare la cura vicendevole nelle relazioni di casa?

Ciascuno di noi è chiamato ad essere questo “Buon Samaritano” e aprire gli occhi (vide) sulle persone che ci stanno accanto, quei compagni di viaggio che condi-vidono la vocazione familiare. Certo, per aver cura del proprio coniuge, figlio o genitore, bisogna prima di tut-to accorgersi della sua presenza, sentire i suoi bisogni – desideri; insomma, avere occhi e orecchie per l’altro che è parte di me, in quanto mio familiare. Può capitare, invece, che l’ordinarietà di incontrarsi e la comunanza di vita ci porti a chiudere i recettori di cura e standar-dizzarci su alcune funzioni, parole, pensieri. L’abitudi-ne scivola facilmente nell’abitudinario, misconoscendo e banalizzando domande di aiuto e richieste di cammi-ni più alti, nuovi e originali. Bisogna ritornare al gusto della meraviglia e, di conseguenza, all’azione di ringra-ziamento su tutte le persone che il Signore ci ha donato come prossimi in casa. Il pregiudizio di conoscersi com-pletamente e la fatica nel perdonarsi, porta con facilità a non provare molta compassione, per esempio verso il proprio coniuge o il proprio fratello (n’ebbe compassio-

ne). Per assurdo, questo sentimento di vicinanza d’amo-re ci viene più spontaneo con degli sconosciuti o con coloro che eleggiamo a nostro gradimento, piuttosto che verso coloro che ci siamo trovati come dono, appunto i familiari. E qui si aprirebbe un lungo discorso sull’im-postare la vita come vocazione, al contrario che come impresa personale e autoreferenziale; tuttavia, per quan-to affascinante, andremmo per meandri troppo lontani.

Invece, mi piace ritornare al sogno di Dio e scopri-re come per insegnarci fede e amore ci abbia creato nei legami e per i legami umani. Questo comporta vicinan-za (gli si fece vicino), condivisione e responsabilità re-ciproca (gli fasciò le ferite), farsi carico e custodire (ca-ricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda). Si può abitare sotto lo stesso tetto, eppure essere distanti anni luce; ugualmente, si possono inventare “profumi” altamente coprenti (menzogne o tecniche di evitamen-to dei problemi), pur di non accorgersi e inginocchiar-si a curare le ferite casalinghe, soprattutto nel mondo spirituale e delle relazioni. Di contro, sono davvero lo-devoli quei genitori che con forza e carità assistono le intemperanze dei figli (adolescenti e tardo adolescen-ti), usando lo stile delle pazienza divina e gli strumenti dell’educazione cristiana. In molte famiglie, poi, senza sosta ci sono degli angeli della cura, che si dedicano completamente ai propri anziani, con un grande contat-to con il loro corpo e magari con poche soddisfazioni nel dialogo confidente. Il prossimo di casa, non solo va accudito – curato e custodito, ma necessita anche di

Il ruolo del padre è decisivo per i figliSe leggiamo con attenzione gli orientamenti: “Educare alla vita buona del Vangelo” che i vescovi italiani hanno proposto per questo decennio tutto dedicato all’educazione, scopriamo una particolare attenzione per gli adulti. Lì si legge, ad

esempio, che l’apporto di padre e madre, nella loro complementa-rietà, ha un influsso “decisivo” sulla vita dei figli (n. 27); un influsso quindi non importante o determinante, no! “Decisivo”! E non per la loro edu-cazione o formazione, addirittura per la ‘Vita”. Ecco perché, alla vigilia della festa del papà, mi pare doveroso sottolineare che il suo ruolo, per la vita dei figli è appunto-”decisivo” e lo è in ogni caso, sia che si tratti di un padre bravo, modello nel bene, che di un padre incapace, con idee sba-gliate che i suoi bambini assorbono semplicemente osservandolo.Perché se io, papà, penso: che Dio, sì..., forse c’è qualcosa, ma io sono coi piedi ben piantati in terra; che la vita è uno schifo, stiamo male, va tutto male; che l’amore vero è cosa da romanzi, tutto avviene se non per danaro almeno per interesse; che l’educazione andava meglio una volta,

quando due calci nel sedere risplvevano tutto; che è meglio il vizio del fumo piuttosto che altri; che l’alcool io lo reggo benissimo e che una bevuta ogni tanto non fa male; che gli incidenti stradali non si possono eliminare e che finiscono sotto gli imbranati; che le droghe leggere non hanno mai ucciso nessuno e quelle pesanti liberalizziamole per ridurre il danno. Se penso questo (e tanto altro) sono un padre pedagogicamente negativo e non proteggo mio figlio dai pericoli del mondo d’oggi. Applico, invece, la pedagogia positiva se sono un uomo autorevole e consapevole del mio ruolo: lo esercito e non lo delego; un uomo semplice, serio, sereno è allegro, che non si agita, ma agisce; un uomo che manifesta e trasmette, senza paura, le sue idee e ragioni, i suoi valori, la sua fede, perché è sicuro di ciò in cui crede. Un uomo con un alto livello di autostima, che ama la vita, che stimola al successo; un papà insomma, protagonista nella famiglia e nell’educazione dei figli. Un papà che dice sì e che dice anche no, consapevole che i sì aiutano a crescere e a sperimentare il mondo come i no aiutano a evitare gli errori e a imparare che a tutti sono richieste delle rinunce. Questo papà sa che i figli non im-pareranno mai a dire di no a sé stessi, se non l’hanno sentito dire dai genitori quanto era necessario... E loro imparano comportamenti buoni - mi si perdoni la ripetizione- semplicemente guardandolo.Lo so infine che esitono anche i papa soli per lutti o separazioni, che da soli è più difficile essere sereni nell’educazione, perciò consiglio a loro, e a quelli in difficoltà per altri motivi, di farsi aiutare (ad esempio rivolgendosi al consultorio cat-tolico). Questi papà, a maggior ragione sono chiamati a dare la vita per le persone amate, e non c’è amore più grande di questo, un amore decisivo per i figli, un amore che produrrà sicuramente frutti buoni.

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6 - il lavoro risorsa della famiglia

Questa vignetta per caso mi è stata passata prima che rileggessi la sesta Catechesi che all’inizio propone il brano di Pr 31,10-31, un ritratto tutto al femminile. Alla donna descritta è riconosciuto il grande lavoro che svolge “solo” dentro le mura domestiche.Il contesto storico e culturale nel quale il testo è stato scritto certo non prevedeva al-tro. Oggi non è più così, per esempio il 52% dei laureati in Italia sono donne e hanno una media di voti più alta dei maschi. Ma non è questo il punto. Perché la laboriosi-tà descritta nei Proverbi, libro sapienziale, è vissuta come una precisa responsabilità dalla quale trae beneficio sia il marito che i figli, e perciò tutta la comunità. C’è un modo di percepire ogni lavoro, sia quello retri-buito e riconosciuto, sia quello domestico, che rende possibile il lavoro del coniuge, la crescita globale dei figli, la giustizia sociale, la solidarietà. La Catechesi lo definisce “adoperarsi vicendevol-mente (mio) perché l’altro possa meglio esprimere i suoi talenti”. I talenti sono dati perché la vita è da viversi come vocazione. La cura per la dimensione domestica della famiglia, che significa an-che pulire, lavare, stirare, cucinare, ordinare, non sprecare.... non è da sottovalutare o dare per scontata perché è la modalità con la quale e dentro la quale vivo tutte le relazioni famigliari e quelle con il resto del mondo.A servire ed impegnarsi anche con fatica s’impara in famiglia. Essa educa alle virtù quando abitua ad andare oltre la propria necessità, a superare la pigrizia, vedere i bisogni degli altri, siano i genitori, i fratelli, i cugini, gli zii, il compagno di lavoro, di scuo-la, di catechismo, il genitore che frequenta l’ICFR, il fratello che chiede cibo sulla strada. Essa permette ai figli di considerare per esempio il lavoro dello studio non finalizzato unicamente ad un impiego che renda bene, ma che sia fatto con coscienza e senso di responsabilità, qualsiasi esso sia. Abituare a fare il bene e deside-rarlo (virtù) rende più forti di fronte alla tentazione delle cattive abitudini (vizi).E questo non è richiesto solo al genio femminile (Giovanni Paolo II, Lettera alle donne) e all’ “insostituibile contributo della donna alla formazione della famiglia e allo sviluppo della società (che) at-tende ancora il dovuto riconoscimento e l’adeguata valorizzazio-ne”. Vale la pena rileggere la Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo del 2004.La collaborazione non fissa l’uomo e la donna in un rigido elenco delle competenze e dei doveri ma invita entrambi a vedere i biso-gni e cercare di adeguarvisi con le proprie capacità e differenze. La scusa di non essere stati abituate/i cade di fronte alla necessità richiesta in quel momento per il bene della famiglia e dal fatto chenon si finisce mai d’imparare.

Chiara Pedraccini

LA FAMIGLIAIL LAVOROLA FESTA

IN PREPARAZIONE ALL’INCONTRO MONDIALE

Tre giorni per giovani coppie di sposi

“Le giovani famiglie: tra lavoro e festa”.

dal 28 al 30 aprile 2012 Villaggio Paolo VI - Gaver (Bagolino).

Sabato 28 aprile • Inizio col pranzo ore 12.30 – sistemazione

– introduzione alle giornate e preghiera. “La vita altrove”: storia di ordinario stress e fatica nel mondo del lavoro.(presenta-zione e lavoro di coppia).

• “La benedizione di Dio nel lavoro e nella festa”: la chiamata alla felicità.(presenta-zione e dibattito in assemblea)

• Serata di animazione per tutta la famigliaDomenica 29 aprile• “Una domenica speciale”: vivere il giorno del

Signore infamiglia e con i fratelli. (laboratorio)• Proiezione di un film sul tema e condivisione.Lunedì 30 aprile• “Insieme è meglio”: la rete solidale tra

famiglie (sostegno morale; tempo offerto; cose scambiate; competenze condivise).

• La parrocchia e le unità pastorali come luoghi di costruzione di relazioni nuove.

Costi (dal pranzo del 28 alla cena del 30 aprile) Per adul-to: 80 euro (30 euro al giorno). Bambini fino a 1 anno non compiuto: gratis. Bambini fino a 5 anni non compiu-ti: 26 euro (10 al giorno) Bambini fino ai 9 anni non com-piuti: 40 euro (15 al giorno) Ragazzi fino ai 13 anni non compiuti: 60 euro (22 al giorno) Il pagamento si effettua direttamente sul luogo. Animazione per i figli Durante i lavori dei genitori, i figli avranno a disposizione tempi e luoghi appropriati per vivere una bella esperienza di co-munione, di gioco e di attività educative, accompagnati da personale qualificato.Note utili• Il luogo si trova a 1500 metri di altitudine e richiede

abbigliamento adatto.• Per i cellulari: c’è la copertura rete TIM.• Portare lenzuola (solo singole) e asciugamani e per

chi ha bambini piccoli, ricordarsi il seggiolino per il tavolo e il lettino da campeggio

ISCRIZIONI e INFO ENTRO il 10 APRILE 2012c/o Uff. Famiglia tel. 030/3722232 dal martedì al venerdì 8.30-12.30

essere proiettato nel futuro, di trovare un buon trampolino di lancio e un autentico paracadute di speranza (Il giorno seguente, estrasse due de-nari e li diede all’albergatore). Solo così si pos-sono fugare e superare le tante paure esistenziali, quelle che ad esempio impediscono di godere del bene presente (ansie, separazioni, egoismi, ecc.) o di fare progetti definitivi per il domani (convi-venze, bassa fecondità, ecc.). Prendiamo sul se-rio il sogno di Dio e impariamo ancora una volta da questo “Buon Samaritano”, che è Gesù stesso, a saper ritornare davvero a casa riscoprendo il prossimo che lì abbiamo lasciato (lo rifonderò al mio ritorno).

don Giorgio Cominisegretariato diocesano pastorale familiare

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7 - il lavoro sfida per la famiglia

La scheda precedente definiva il lavoro come una risorsa per la famiglia, la settima invece lo definisce una sfida. Sembra strano in un periodo dove i dati ci parlano di disoccupazione sempre in au-mento, di cassa integrazione, di perdita della propria occupazione. Allora ho scelto tre passaggi della catechesi, alle quali seguiranno riflessioni sintetiche per interrogare il nostro quotidiano.

1) “Il lavoro è una forma con cui l’uomo vive la sua relazione e la sua fedeltà a Dio....

Il fine è la comunione e la corresponsabilità degli uomini con il loro Creatore”. Non si dice che questo valga solo per una certa professione ma per ogni lavoro. Questo allarga la prospettiva nella quale dare un senso alla fatica del lavoro, che non è solo un mezzo di sostentamento o fonte di arricchimento personale/familiare. E’ una dimensione della vita con la quale e nella quale esprimiamo la nostra fede in scelte concrete: l’essere onesti, sinceri, puntuali, aiu-tare altri a crescere professionalmente, dare la giusta retribuzione, non sfruttare l’emigrato, non disincentivare/programmare la gra-vidanza delle proprie dipendenti. Pensate quando troviamo ad uno sportello una persona competente, disponibile, che ascolta ....

2) “Promuovere la creazione senza stravolgerla, far tesoro delle leggi inscritte nella natura, porsi a servizio dell’umanità, di ogni uomo e donna, operare per liberarli da ogni forma di schiavitù, an-che lavorativa: sono alcuni dei compiti assegnati all’uomo, affinché contribuisca a fare dell’umanità un’unica grande famiglia”.

Pensiamo allo sfruttamento della terra che porta disequilibri nutrizionali e carestia (es. monoculture e latifondi), alle guerre ali-mentate dalla sete di potere e dalle ricchezze di alcune terre - il pe-trolio, diamanti e altri beni - che non essendo custodite e coltivate secondo giustizia diventano un’ impoverimento per le popolazioni che le abitano, addirittura motivo di sfruttamento anche minorile, analfabetismo, malattie, disgregazione sociale, perdita della propria identità culturale, migrazioni forzate..... Quando ci sono denunce di sfruttamento e ingiustizia legate a prodotti di abbigliamento, alimentari e altro, riflettiamo prima di cedere alla tentazione di comprarle solo perché ci piacciono o sono convenienti. Possiamo educare a riciclare, a smaltire bene i rifiuti, a non inquinare, non sprecare l’acqua.

3) “Il rischio che il lavoro divenga un idolo vale anche per la famiglia. Ciò accade quando l’attività lavorativa detiene il primato assoluto rispetto alle relazioni familiari ... e ripongono la felicità nel solo benessere materiale”. Così perdiamo anche il valore della condivisione, la possibilità di diventare Provvidenza per il vicino che sappiamo in difficoltà.

Chiara Pedraccini

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“Retrouvaille” propone weekend per coniugi che vivono un momento di dif-ficoltà, di grave crisi, che pensano alla separazione o sono già separati ma de-siderano ritrovare se stessi e una rela-zione di coppia chiara e stabile. Per info: [email protected] e www.retrouvaille.it.

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800-123958da cellulare3462225896

Il Gruppo Galilea un cammino difede per persone che vivono situazioni

matrimoniali difficili o irregolari (es. divorzia-ti-risposati). Gli incontri sono mensili,al centro la Parola di Dio, con ampi

spazi di ascolto, riflessione e condivisione.Ogni primo sabato del mese.

Gli incontri si tengono da calendario annuale, presso il Centro Pastorale “Paolo VI”, (situato in via Gezio Calini, 30 - Brescia) un sabato

al mese, dalle ore 17.00 alle ore 19.00.

Guida e accompagnatore del Gruppo è don Giorgio Comini, direttore dell’Ufficio Dioce-

sano di Pastorale Familiare.

LA FAMIGLIAIL LAVOROLA FESTA

IN PREPARAZIONE ALL’INCONTRO MONDIALE

Appuntamento. SantaMessapersposicoilorofigli,fidanzatieanimatoridellapastoralefamiliare.Ogniultimosabatodelmese,alleore21,00pressoCentroPastorale“PaoloVI”aBrescia.

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FAMIGLIA E RITUALITA’

La potenteParola di Dio

L a risposta concreta al perdono implorato e ricevuto è la disponibilità attiva alla conversione. Dopo aver chiesto con umiltà e pentimento il

perdono di Dio, ora si è pronti a volgere lo sguardo a Colui che ha convo-cato l’assemblea e che ad essa rivolge la Parola.

Nella Rivelazione ebraico-cristiana la Parola di Dio è potenza. Vince il nulla e crea: «Sia la luce! E la luce fu» (Gen 1,1.3). Il Signore «parlò, e la cosa fu; egli comandò e la cosa apparve» (Sai 33,9).

Al principio, all’origine di ogni cosa non c’è il cieco caso o la nuda necessità, ma un atto di potenza: «In principio c’era la Parola» (Gv 1,1).

La Parola di Dio proclamata nell’assemblea domenicale è, allo stesso modo e con la medesima potenza, un appello che convoca alla vita, «che fa rivivere i morti, e chiama all’esiste-za le cose che non sono» (Rm 4,17).

La vita cristiana è generata nella risposta a Colui che convoca attra-verso la Parola. La comunità cristiana è costantemente creata e fatta rina-scere dalla Parola di Dio. Quando i cristiani amano, celebrano, agiscono, programmano, lo fanno in quanto ri-spondono a quella Parola. Non diven-tiamo cristiani da soli, per autodeter-minazione, ma solo rispondendo a un dono.

L’esperienza che facciamo in chiesa, quando ascoltiamo Dio che parla, la viviamo, in una certa misura, anche nelle nostre relazioni umane, particolarmente nei legami familiari. Le persone non si fanno da sé. Nessuno ha scelto di nascere né può cre-scere senza gli altri. Siamo stati donati; siamo stati chiamati. Noi «rispon-diamo» al nome che altri ci hanno dato. Ogni giorno riprendiamo a vivere perché qualcuno ci chiama. Sono i nostri legami che ci motivano ad alzarci al mattino e ci fanno affrontare la vita. Immaginiamo una giornata in cui, in famiglia, nessuno parlasse, nessuno si rivolgesse all’altro e ognuno fa-cesse i fatti suoi in totale disinteresse! Sarebbe una giornata devastante. Ci sentiremmo annullati.

Noi riprendiamo a vivere quando qualcuno ci parla. L’appello e la risposta possiedono una prodigiosa forza generativa: creano immedia-tamente un legame. Chi parla lo fa perché ha ascoltato o presuppone di essere ascoltato (altrimenti parlerebbe «da solo» e la parola perderebbe il suo senso). Ascoltare, d’altra parte, non significa solo sentire ma anche comprendere. Ora comprendere è già un po’ come rispondere, perché significa essere «sintonizzati», essersi messi nei panni dell’altro. La paro-la genera quindi reciprocità: anche quando si è ripetitivi, non si comunica mai la medesima cosa. Le cose ripetute aiutano, o annoiano, o infastidi-scono. Ogni risposta reagisce alla domanda, sviluppa e rafforza l’appello iniziale. La risposta degli altri stabilisce l’evolvere della propria parola.

Che cosa vede chi, dall’esterno, osserva un’assemblea liturgica tut-ta «presa» dall’ascolto della Parola proclamata? Un racconto di cronaca? La lettura di una poesia? L’esposizione di un discorso? No. L’appello di un Presente.

La Scrittura esce dalla forma del testo antico scritto e diventa un se-gno vivo quando è letta, proclamata, ascoltata, come parola che interpel-la, che è performativa (= opera ciò che dice).

La Parola di Dio, per rivestirsi di potenza comunicativa, richiede la cura della ritualità: la solennità della processione all’ambone, la forma di-

gnitosa del leggio, il pregio dell’evangelario, il lume dei ceri e il profumo d’incenso, la lettura accurata, la proclamazione efficace.

La Sacra Scrittura non è, infatti, parola morta, ma testo che, ogni volta interrogato, continua a parlare, che quando è pronunciato non si di-sperde nel nulla ma comincia ad agire. Sfida ogni aumento di complessità, eccede ogni sua possibile interpretazione. Nessun commento, nessuna esegesi, infatti, potrà mai esaurire la spiegazione della Parola di Dio. Essa ogni volta è un appello: interroga l’assemblea in modo nuovo. Non lascia mai le cose come le trova. Non torna a vuoto, senza aver compiuto ciò che Dio vuole e aver condotto a buon fine ciò per cui il Signore l’ha mandata (cf Is 55,11).

Alla mensa eucaristica la Parola di Dio ha «va-lore nutritivo» come il Corpo di Cristo: i riti perfor-mativi dell’ambone rendono corpo la stessa Parola. In chiesa s’impara a dialogare con Dio attraverso la partecipazione liturgica, la risposta corale, il dialogo scandito dal rituale. Nella celebrazione eucaristica avviene, quindi, una sorta di «conversazione» tra l’invisibile Presente e il suo popolo. Dio parla e la co-munità risponde: «Amen», «Alleluia», «Lode a Te!», «Rendiamo grazie a Dio»...

Avviene in po’ come capita in famiglia, durante i pasti o quando si rientra a casa o si trova un po’ di pace, prima del riposo. Vivere in famiglia compor-ta il diritto-dovere della conversazione: poter fare all’altro qualsiasi genere di domanda e rispondere in modo esaustivo, parlare di sé e ascoltare l’altro, partecipare in modo attivo al dialogo e non solo chiacchierare del più o del meno.

La tavola, per esempio, unisce la famiglia anche in quanto è opera partecipata. Il consumo dei pasti è una pratica abitudinaria (mangiare si deve) ma, se ci si vuole bene, è ogni volta un piacere nuovo (l’incontro, la conversazione, il gusto del cibo). Sono però necessarie delle regole per-ché l’ascolto rigeneri le persone e non le sottoponga a ulteriori stress e fatiche. Spegnere il televisore, chiudere il telefono, togliere le distrazioni sono scelte, dettate dall’amore, per rendere feconda l’attenzione alle per-sone e per riconoscere, grati, la fatica di chi ha preparato il pasto. Non al-lontanarsi da tavola, aspettare gli altri prima della portata successiva, non alzarsi, servirsi vicendevolmente, seguire le regole fondamentali dell’igie-ne e delle buone maniere, sono una disciplina indispensabile perché la ta-vola dia piacere e, così, ricostruisca (nutra) ogni volta la famiglia.

Anche la liturgia ha le sue regole che presidente e assemblea seguo-no con scrupolo e amore, perché il rito si compia come si deve e, in esso, la Grazia produca i suoi effetti.

In ogni comuni-cazione umana, infatti, si possono distinguere due livelli: uno si riferi-sce ai contenuti e l’altro definisce la relazione. Parlando si affermano delle verità ma, al tem-po stesso, attraverso lo stile della comunicazio-ne, il tono della voce, la partecipazione del

Un «centro di ascolto»della Parola di Dio con più famigliee la presenza di adulti, giovani e bambini.

A tavola,se ci si vuoi bene,è ogni volta un piacere nuovo.

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La Parola di Dio, spada a doppio taglio«La Parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12).

La Parola di Dio è pronunciata per operare. Non è proclamata per tra-smetere informazioni, fosse pure a riguardo di verità essenziali, né per

produrre un possibile senso della vita. La Parola di Dio è, prima di tutto, dono di una Presenza. Si rivolge a me e mi raggiunge nella mia interiorità emozionale più profonda. Mi tocca e mi trasforma perché apre un orizzonte che non sospettavo, che non sapevo di attendere. Ma è anche tagliente: chiede risposte che io solo posso dare, ma anche un appello che è sempre in eccesso rispetto a quanto riesco a rispondere.

Accogliendo la Parola comprendo immediatamente che non potrò con-seguire da me quanto mi è dato percepire, e che quindi dovrò imparare an-

cora a ricevere. Ho bisogno del silenzio per farla risuonare, dell’omelia che mi aiuterà a comprendere e a rispondere con maggiore precisione, dell’of-fertorio che solleciterà la mia generosità, del canto della lode al tre volte Santo che mi reindirizza a Colui che ha parlato. Soprattutto, poi, ho bisogno della comunione con il Signore, nel sacramento del Corpo e del Sangue.

La Parola di Dio, quindi, appena pronunciata e ascoltata, apre nuovi spazi, dove la concretezza del sacrificio si unisce alla sorpresa della Grazia. Il sacrificio, infatti, inizia già dall’ascolto della Parola di Dio, poiché essa è tagliente e penetra nelle giunture e nelle midolla.

È sempre così? È questo l’effetto che si coglie nell’assemblea che ascolta, nel lettore che proclama? Già l’ascolto è sacrifìcio? Occorre vigilare.L’indicazione biblica è chiara e inequivocabile. La Parola di Dio è materia incandescente, nella testimonianza dei profeti: «Con un carbone ardente, tolto con le molle dall’altare, mi toccò la bocca» (Is 6,6-7). È «gioia piena nella Presenza, dolcezza senza fine» nei Salmi. La Parola di Dio è sempre potente e creativa: «Dio disse... e così fu» (cf Gen 1). Fa tutt’uno con l’azione, nella predicazione di Gesù: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura, che voi

L’omeliacome carbone ardente

corpo, chi parla o ascolta stabilisce un legame con l’altro. Se dimentica chi ha di fronte, la conversazione si riduce a pura chiacchiera o diventa una «parlata» autocentrata.

Così è nella preghiera liturgica: se si dimentica o si trascura l’Altro, il rito scade immediatamente in steri-le ritualismo. I segni non parlano più. Nelle liturgie spente e ritualistiche la voce contraddice ciò che le parole raccontano, il corpo impacciato dice che il cuore è assente, il mutismo è rumore più che devoto silenzio. Il ritualismo liturgico corrisponde alla casa-albergo; le celebrazioni brevi e frettolose fanno la pari con i fast-food sbrigativi e veloci.

Ascoltare sinceramente le persone, però, è sacrificio: l’altro doman-da, invade lo spazio della prossimità, si differenzia, scava un distacco che è necessario per ospitare la risposta.

L’io deve retrocedere e fare spazio, l’egocentrismo dev’essere smontato per lasciarsi trasformare.

Per i medesimi motivi, anche l’ascolto della Parola di Dio è già sacri-ficio eucaristico. All’offertorio non si va a mani vuote: si porta lo sforzo dell’ascolto come sacrificio personale. L’attenzione, infatti, è una vera ascesi. Nella liturgia non si rinuncia, di per sé, ai sensi ma si sospende la loro funzione usuale per esercitarli diversamente.

S’impara a volgere lo sguardo, a orientare l’orecchio, a disporsi alla Parola, a muovere il corpo, secondo le sapienti (e antiche) regole del rito. La distrazione si combatte, infatti, attraverso la concentrazione sui gesti semplici e solenni che alludono all’azione di Gesù. Il ritualismo si contrasta quando si entra nella celebrazione con cuore libero e aperto, disposto a lasciarsi guardare e incontrare dal Signore che parla. Sono veri sacrifici.

Anche la liturgia della Parola potrebbe, infatti, scadere in chiacchie-ra o degenerare fino a diventare «parlata» irriconoscibile. La Parola di Dio è detta, invece, per trasformare. Non è proclamata per trasmettere informazioni, fosse pure a riguardo di Verità essenziali, né per produrre emotivamente un possibile senso della vita. La Parola di Dio è prima di tutto dono di una Presenza. È l’appello del Signore a me, che mi raggiun-ge nell’interiorità emozionale più profonda, e apre un orizzonte che sta

oltre me, mi tocca e mi trasforma.Questo appello è contenuto in ciò che è

letto e proclamato ma va oltre, perché mi rag-giunge personalmente, diventa Parola detta per me, che chiede risposte che io solo posso dare. Accogliendo quella Parola comprendo immediatamente che non potrò conseguire da me quanto mi è dato percepire, e che quindi do-vrò imparare ancora a ricevere: dall’omelia che mi aiuterà a comprendere e a rispondere con maggiore precisione, dall’offertorio che solle-citerà la mia generosità, dal canto della lode al tre volte Santo che mi reindirizza a Colui che ha parlato. Soprattutto, poi, dalla comunione con il Signore nel sacramento del Corpo e del Sangue.

Colgo ogni volta un appello che è sempre oltre, in eccesso rispetto a quanto riesco a rispondere. Diventa così chiaro che la Parola, mentre è pronunciata, apre nuovi spazi, dove la concretezza del sacrificio si confonde con la sorpresa della Grazia.

Nelle relazioni familiari non è dato fare della comunicazione e della conversazione un’esperienza tanto intensa. Nella liturgia si entra nel miste-ro (dal greco myein: fare silenzio). Per accorgersi di Dio occorre tacere; per coltivare i legami occorre parlare.

Il mistero è colto attraverso il silenzio che segue, almeno per qualche istante, ogni brano proclamato, per evitare il rischio mortale che la liturgia della Parola di Dio diventi, poi, l’occasione per pensare o parlare d’altro (come avviene in certe omelie) o, peggio, sia solo uno spunto in più per considerare sé e per parlare di sé.

Ma ancora una volta l’esperienza familiare ci è d’aiuto. Quando ri-spondo «sì» anche se non ne ho voglia, quando dico «grazie!», fermando l’impulso della pretesa o la distrazione dell’irriconoscenza, le parole umane raggiungono, nell’amore, la più alta possibilità performativa. La vita familia-re si rigenera! Rispondendo, la parola produce vita.

In modo simile, la disponibilità a lasciarsi toccare dalla Parola di Dio riempie di commossa riconoscenza la comunità (L’Eucaristia è ringrazia-mento), la converte e la manda nel mondo (l’Eucaristia è missione), a con-tinuare l’opera di un Dio che ama così appassionatamente da salvarlo, attraverso il sacrificio di suo Figlio (cf Gv 3,16).

La Parola di Dio, in un Centro di Ascolto,produce vita e gioia.

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udite» (Lc 4,21).La liturgia della Parola rischia, invece, ogni volta di passare veloce,

distratta e disattesa. Può sempre scadere in semplice lettura o degenerare fino a diventare «parlata» irriconoscibile. Si rischia, ogni volta, di non creare un incontro, di non celebrare una Presenza. Se l’ascolto dimentica Chi c’è di fronte, non è più Parola di Dio; se si trascura l’Essenziale, la ritualità della proclamazione della Parola di Dio scade immediatamente in noioso e sterile ritualismo.

Per incontrare il Signore, è necessario che la Parola produca il dolore del suo «taglio», deve avvenire la ferita del sacrificio. Lo si coglie già nel silenzio che segue, almeno per qualche istante, ogni brano proclamato. È un silenzio tanto più profondo e intenso, commosso e partecipe, espressione di gratitudine ma anche di turbamento, quanto più rende evidente la percezio-ne dell’incontro con l’invisibile Presenza che parla.

Il silenzio e la lentezza dell’ascolto sono il tempo e lo spazio in cui la Parola inizia a risuonare e a penetrare nel cuore (per essere «ricordata»).La necessaria omelia

Le parole della Bibbia, essendo vive, sono paragonate da Gesù ad un seme che ha in sé tutta la potenza di germogliare e di diventare spiga piena, ma che ha bisogno di un terreno adatto. L’abbondanza del raccolto dipende, infatti, dalla qualità del terreno, poiché il seme è sempre buono. La Parola proclamata, quindi, è viva ma diventa efficace solo nella misura in cui è accolta nel terreno ben disposto della vita personale e comunitaria. Il testo deve ridiventare Parola viva per la specifica comunità che ascolta. L’ebraico dò-bar, parola, significa anche avvenimento, fatto, realtà concreta. L’«attua-lizzazione» della Parola di Dio è, quindi, indispensabile perché le Scritture diventino vive ed efficaci per l’assemblea che celebra. Si tratta di Dio che parla; attualizzare non significa, quindi, principalmente, avere chiaro il si-gnificato di un testo o comprendere il senso di una dottrina, ma compiere un’esperienza: un incontro e l’avvio di dialogo, vero e continuo, tra Parola e vita.

La mediazione tra assemblea che ascolta e Dio che parla, è affidata alla parola dell’omelia.

«L’omelia costituisce un’attualizzazione del messaggio scritturistico, in modo tale che i fedeli siano indotti a scoprire la presenza e l’efficacia della Parola di Dio nell’oggi della propria vita» (Verbum Domini, n 59).

All’omelia spetta il compito di impedire la caduta della celebrazione nel ritualismo. Perché vi sia storia (l‘«oggi della vita») devono accadere de-gli eventi ed è necessaria una comunità che ne avverta il senso, lo compren-da e lo dichiari. Gli eventi diventano storia quando una comunità ne rimane coinvolta. La Parola di Dio indica il senso ultimo della vita: ne svela la logica di fondo, im-prime una direzione. Letta, compresa, va concretizza-ta. Scritta sotto la guida dello Spirito Santo, testimonia che Dio ha parlato (ma non ha «dettato» un testo). La Parola scritta deve ridiventare Parola viva, qui e ades-so, per la comunità. La storia della salvezza s’incarna così dentro la storia ordinaria. Interpretando i «segni dei tempi» si può comprendere il Vangelo come Parola vivente del Signore. L’omelia è come l’eco della gioia pasquale, della fede nel Signore presente.

Per tutto questo c’è bisogno di una comunità che sappia pregare con intensità e continuità, in una co-sciente disponibilità al dono dello Spirito.

È necessaria quindi l’azione dello Spirito per at-tualizzare la Parola di Dio. La predicazione è traspa-rente allo Spirito quando chi la pronuncia è guidato dal solo desiderio di essere di aiuto a chi ascolta, di mettersi nei loro panni, di rivolgersi a tutti i presen-ti, compresi i bambini e la gente semplice. Il sacrificio dell’assemblea consiste nella preparazione remota e prossima all’ascolto e nell’esercizio dell’attenzione. Il sacrificio dell’omileta consiste nella preparazione

spirituale al suo servizio e nella completa rinuncia a se stesso per diventa-re trasparente alla Parola.

Il rischio mortale dell’omelia, infatti, è che diventi l’occasione per pen-sare o parlare d’altro o, peggio, che sia solo uno spunto in più per conside-rare sé e per parlare di sé.Che cosa si aspettano i laici dall’omelia?

Può essere utile, considerata l’importanza del tema, un rapido cenno a una recente indagine sulle celebrazioni liturgiche nelle parrocchie piemon-tesi (D. GRAVERÒ, Una riforma in cammino, Effatà, 2007). Dalle risposte com-plessive si può dedurre una buona consapevolezza dei fedeli circa il signifi-cato di questo momento della celebrazione. L’omelia appartiene all’azione liturgica e non è considerata come una parentesi, pur necessaria. Il ministro dell’omelia viene chiaramente individuato nel presidente; più della metà degli inchiestati gradisce, però, che il sacerdote si faccia aiutare anche dalle indicazioni dei laici, per intercettare meglio la loro vita. La quasi totalità delle risposte intende l’omelia come un commento della Parola di Dio, rife-rita alla vita quotidiana e all’attualità. Venire in chiesa e sentire parole alte e sublimi, ma astratte e lontane nella loro applicabilità, produrrebbe una reazione di delusione e un movimento di ribellione.

Importante è anche la richiesta e l’attesa di un’omelia che sia un approfondimento delle verità della fede (il 53,3% del campione). Sembra trasparire una certa consapevolezza che nella liturgia si celebra un miste-ro: una Verità che interpella la vita. I cercatori di sole emozioni vanno al-trove. La spiegazione esegetica delle letture è ritenuta, quindi, importante nell’omelia, soprattutto se tiene conto dell’esperienza quotidiana di chi ascolta. Contrariamente a molti luoghi comuni, non emerge dalla ricerca

una vera preoccupazione a proposito della durata dell’omelia (è sensibile all’assillo del tempo solo il 20,4% del campione). Il tempo liturgico è un tempo particolare, un tempo che «non si conta». Semmai è questione di stile del sacerdote, più che del tempo impiegato.

I fedeli inchiestati dimostrano una grande at-tesa nei confronti dell’omelia e altrettanta pazienza nei confronti dei sacerdoti che vorrebbero, però, più preparati e attenti alla concretezza. In alcuni casi - ammettono - le omelie, invece di orientare e guidare la vita cristiana e suscitare la lode e la riconoscenza, sono eccessivamente moralistiche, oppure sono più una lezione esegetica che un aiuto per l’attualizzazione. Nel complesso delle risposte emerge una domanda insistente perché l’omelia aiuti a rendere vivo ed efficace l’ascolto.

La qualità «tagliente» della Parola rimane però in ombra. Più che il sale (Mt 5,13), sembra spesso che si cerchi piuttosto il miele. Si preferisce la paro-la che addolcisce, incoraggia, commuove. Eppure se non «penetra nelle giunture e nelle midolla», come può la Parola di Dio essere efficace? Occorre cercare ancora.

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una casa che accoglie il centro di ascolto a Mattina

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Genitori e figli

nella BibbiaLa prima famiglia nella Bibbia: Adamo ed Èva e i loro figli (Gen 4,1-16)

La nuova serie della rubrica «Viaggio attraverso la Bibbia» ha per tema la famiglia, in tutte le sue com-ponenti, personali e relazionali. Particolare attenzione sarà dedicata al significato dei nomi dei protagonisti. Essi, nella Bibbia, non sono casuali, ma fanno da «con-tenitore», offrono la chiave di lettura di un messaggio teologico, indicano la missione stessa di ciascun perso-naggio. L’amore fraterno non è scontato ma si sviluppa giorno dopo giorno anche attraverso il conflitto e lo scontro; non basta un legame di sangue a renderlo so-lido ed inattaccabile. Amore e odio, bene e male si fron-teggiano già dalle primissime origini dell’uomo. Questa realtà è sufficiente per scatenare molti interrogativi: esiste davvero l’amore fraterno o solo rapporti di riva-lità? Cos’è il libero arbitrio? Dio è muto di fronte alla violenza? E ancora, come e quando Egli interviene?

L’offerta di Abele gradita a Dio. Dipinto del secolo XVII di Charles Mellin. Nancy, Museo storico lorenese.

Imparare dalla famiglia

Possiamo forse impa-rare dai riti familiari che cosa sono e come operano le parole «taglienti». Oltre che vive ed efficaci, in casa, sono taglienti le parole che richiedono obbedienza. La comunicazione che avviene in famiglia non è solo scam-

bio di affetto; spesso è piuttosto una dolorosa reciproca «perturbazione». Nella relazione familiare quotidiana, i comportamenti e i punti di vista con cui si considera se stessi e gli altri, sono rimessi continuamente in discus-sione. In questo consiste, infatti, l’educazione. Certe parole sono come una spada: quando dicono «no», quando pongono limiti, quando correggono e rimproverano, quando esigono ciò che non si ha voglia di fare. Obbe-dire è perturbante perché non comporta solo di rinunciare a un’azione che si trova piacevole o a un bene che provvisoriamente viene sbarrato. L’obbedienza richiede sacrifìcio e il sacrificio è molto più della rinuncia. Nella frustrazione delle pulsioni non avviene soltanto una perdita, ma si produce umiliazione.

Obbedire comporta la mortificazione dell’io, la resa di fronte all’al-tro, l’opposizione radicale alla pulsione del voler essere io. Il bambino (e meno ancora l’adulto) non può accettare l’obbedienza: non vi intravedere alcun vantaggio, vede solo il proprio dissolversi. L’io reagisce protestando, insistendo nella sua determinazione fino allo sfinimento, perseguendo il circolo vizioso della ripicca. Il capriccioso instaura sempre un rapporto di arroganza: «lo faccio ciò che voglio»; «lo non ho bisogno di mio padre né di mia madre (di mia moglie, di mio marito...), lo sono forte,- io posso». E lancia la sfida.

Negli antichi sacrifici, l’offerta è bruciata e non rimane che la cenere. Lo spettacolo del sacrificio è cruento: sconvolge un ordine e non ne crea immediatamente un altro. Il vuoto si ripresenta in tutta la sua insosteni-bile crudezza. Nella «perturbazione familiare» (che comprende il travaglio dellbbbedienza dei figli, la disponibilità all’ascolto da parte dei genitori, la premura reciproca uomo-donna) si è davvero toccati e feriti «fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito». Nel doloroso percorso del sacrificio dellbbbedienza, ognuno ha così modo di imparare a «scrutare i sentimenti e i pensieri del cuore». Deve smettere il pianto, la mormora-zione, il risentimento. Deve incominciare ad accettare le ragioni dell’altro, con la riflessione e il dialogo. Deve aprirsi coraggiosamente al perdono e all’incontro, riacquistando, solo così, la fiducia e la stima di sé.

Prima, il pianto era sconsolato, la rabbia cieca, la voglia di rivincita irremovibile: l’io si rispecchiava in sé, ripeteva e riproduceva l’identico. Poi, il sacrificio, accettato, dispiega un mondo dove l’io, pur senza esse-re più autore (cede nell’umiltà la sua pretesa), tocca il vertice della sua creatività: si rinnova! Solo in questo travaglio avviene l’educazione (che in passato si chiamava, popolarmente, in modo più preciso: ascolto). I ge-nitori che risparmiano ai figli le pene di questo sacrificio annullano la loro possibilità di crescere. Lo stesso avviene nella vita di coppia (per amare ci vogliono anche i «no»).

Come si fa a sopportare il sacrificio dell’io e come si esce dalla sin-drome di angoscia che lo accompagna? Sembrano essere almeno tre le condizioni necessarie: un ambiente affettivo, profondo, stabile e sicuro, che sia in grado di accogliere anche le temporanee ribellioni; l’accettazio-ne sincera di valori ai quali il capriccioso alla fine si arrende; la disponibi-lità di modelli convincenti di vita in cui identificarsi. Infine, la possibilità e la capacità di esprimere il travaglio della crescita in un’intensa esperienza emozionale e intcriore, ricca di ritualità (dopo i capricci, la pace; dopo la ribellione, il comportamento giusto...).L’omelia ha molto da imparare dal sacrificio familiare. Dobbiamo ritor-narci.

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La storia della prima famiglia dell’Antico Testamento è narrata nel libro della Genesi. I due racconti della creazio-ne (Gen 1,16-30 e 2,4b-24) concordano nel dire che l’uomo trae la sua esistenza da Dio; egli è un essere sociale (Gen 1,26-30). L’uomo (‘ish) creato da Dio diventa Adamo (‘ada-mah «suolo/terra») che allude anche al termine «umanità» per il fatto che apre la serie delle generazioni.

Benché espulsi dall’Eden, a dispetto dell’apparente rot-tura fra Dio e l’uomo, il Signore resta in stretto contatto con Adamo ed Èva (chawwah dal verbo «essere», cioè, «colei che da vita»). Con il concepimento di Caino ed Abele, essi segnano la bipolarità «congenita» di tutto il genere umano: il male e il bene. Condensamento dell’umanità, i due fratelli interessano l’autore sacro nella loro conflittualità. La rivolta dell’uomo contro Dio (Gen 3), si concretizza palesemente nella lotta dell’uomo contro l’uomo, nell’omicidio. Il pecca-to di Caino assurge a massima espressione dell’ingiustizia umana, trascinandosi nel tempo, fino ad oggi, fino a noi.

• (vv 1-2) «Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e partorì Caino e disse: “Ho acquistato un uomo grazie al Si-gnore” Poi partorì ancora Abele, suo fratello. Ora Abele era pastore di greggi, mentre Caino era lavoratore del suolo».

I nomi Caino e Abele evidenziano l’origine e il destino di ciascuno. Il primogenito, accolto con un grido di giubilo, si chiama Caino, in ebraico Qayin, perché, continua il versetto, «Ho acquistato un uomo grazie al Signore» (v 1b). L’etimo-logia popolare fa derivare il nome Qayin dalla radice del ver-bo qanàh, ovvero «acquistare» ed anche «generare/crea-re» (cf Gen 14,19.22; Pr 8,22; Sai 139,13). Caino è un «uomo acquisito dal e con il Signore». Qayin però, sia in ebraico sia in siriaco e in arabo, indica il «fabbro ambulante»; per que-sto i discendenti di Caino saranno chiamati Tubal-Qayin, i lavoratori di metalli (Cf Gen 4,22).

Ma è un terzo significato di questo nome che spiega il triste epilogo: «essere geloso» e le radici - per assonanza - sono q.n.’, qana’.

Il secondo genito è chiamato Abele (Hebel in ebraico), nome che evoca un cattivo presagio, un non-nome, una re-altà coniata dell’esistenza effimera. Hebel infatti indica «va-pore», «soffio», «inconsistente», ed anche «spreco», quasi anticipando l’esito della storia:

• (vv 3-5) «Trascorso del tempo, Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del suo e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto».Come spesso succede, i due fratelli erano profondamente diversi per gusti, attitudini e inclinazioni. Agricoltura e pa-storizia sono mestieri complementari, che a quell’epoca erano i due settori più importanti dell’economia. Però la collaborazione possibile diventa concorrenza. Caino sente di trovarsi davanti ad un potenziale rivale che potrebbe sot-trargli l’affetto e le attenzioni sia dei genitori sia del Signore.Due fratelli, due mondi diversi, anche riguardo al modo che ognuno ha di relazionarsi con Dio e la divinità con essi: l’of-ferta di Abele è più gradita al Signore, rispetto a quella di Caino. Gelosia e invidia sono i sentimenti più torvi e peri-colosi dell’animo umano, nessuno di noi può dire di esser-ne immune. La gelosia di Caino non tarda a manifestarsi, traspare perfino nei suoi tratti somatici, con «abbattimento del volto». Allarmato da ciò il Signore gli parla direttamente, nel tentativo di dissiparne il disappunto:

• (vv 6-7) «II Signore disse allora a Caino: “Perché sei Irritato e perché è abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai”».

Per indicare l’inclinazione al male l’autore adopera il ter-mine «peccato», personificato sotto tratti umani, come «ran-nicchiato» alla porta della decisione del cuore con l’intenzione di divorarlo. Ma Dio indica a Qayin, al «Geloso», l’alternativa, cioè opporsi all’istinto primordiale, all’ira: «Tu dominalo». Dio istruisce Caino a conoscere se stesso e vincere l’inclinazione al male. Mashal è il verbo che il Signore usa all’imperativo e che nei sui vari significati indica anche la capacità di «gover-nare/dominare». Il libero arbitrio che tutti abbiamo, ci permette di con-trollare, se voglia-mo, i nostri moti istintivi.

Il segno di Caino

Gelosia e rivalità sono sentimenti che nascono dalla paura di essere amati meno e di perdere i propri privilegi. Ci viene naturale pensare che i fratelli si amino perché appartengono alla stessa famiglia. La Bibbia sembra confermare che è vero il contrario. Nel tragitto verso la campagna Caino ha tutto il tempo di pensare, di ritornare sui suoi passi, ma non lo fa.v. 8 Caino parlò al fratello Abele. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise.

Se la traduzione greca (LXX) afferma che Caino rivolse ad Abele le parole: «Andiamo in ‘campagna» (Gen 4,8), il testo ebraico qui ha un vuoto: «Caino disse ad Abele, suo fratello,... e quando furono in campagna, Caino si innalzò su Abele

e lo uccise». Questa lacuna è spesso interpretata come l’incapacità relazionale: «II rifiuto dell’altro prende origine dall’in-capacità a instaurare una relazione con l’altro attraverso la parola. L’altro non è più un interlocutore: diviene un nemico da eliminare». A Caino è mancata la parola, che avrebbe potuto addomesticare la violenza accovacciata come belva alla porta del cuore; quella parola che, rivolta ad Abele, avrebbe potuto instaurare il dialogo, unico strumento a disposizione dell’uomo per dominare la violenza ed esercitare la mitezza; parola che avrebbe potuto farlo uscire dal circolo infernale dell’invidia.vv. 9-10 Allora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?». Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!».

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La vita recisa di Abele segna così il primo lutto della storia sacra che, secondo il narratore biblico, deriva da uno zelo religioso, da una concorrenza fatale, fino ad arrivare a mettere in esecuzione il piano omicida. Il Signore interro-ga Caino sul suo concreto fare ed egli si difende, negando. Anzi, Caino osa sfidare il suo interlocutore, rispondendogli con un’altra domanda.

«Voce di sangui del tuo fratello sono gridanti verso di me dal suolo». Così è in ebraico. Il participio presente del verbo «gridare» attualizza il dolore, refluidificandone il san-gue, fino ad estenderlo alle generazioni future: quei «san-gui» (plurale!) mai smetteranno, è sangue che non si lascia coprire.

vv. 11-12 «Ora sii maledetto, lontano dal suolo che ha aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fug-giasco sarai sulla terra».

Come in un processo giudiziario, Dio pronuncia la sen-tenza: inesorabile ed inappellabile. Solo ora Caino realizza la gravita del gesto commesso, perché l’ha commisurata all’enormità della pena inflitta. L’esecuzione della pena non è ancora cominciata, e già «si pente», terrorizzato da quello che lo aspetta, forse temendo più la vendetta che la pena in sé:

vv. 13-15 Disse Caino al Signore: «Troppo gran-de è la mia colpa per ottenere perdono. Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e dovrò na-sconder-mi lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi ucciderà». Ma il Signore gli disse: «Ebbe-ne, chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!».

Caino non osa chiedere protezione: è Dio che glie-lo accorda, proteggendolo con l’imposizione di un se-gno perché nessuno lo possa toccare (v 16).

Il segno di CainoIn questa storia, il tema dell’espiazione della colpa

si accompagna a quello della redenzione, al recupero di Caino e alla speranza. Se la «dimensione» di Abele, «sof-fio/vento/nulla», è la morte, quella di Caino sta nell’uma-na fallibilità: è la dimostrazione dell’infinita benevolenza di Dio che non abbandona i colpevoli. Egli è giusto nel pu-nire il peccato, ma misericordioso nell’applicare la pena.

Come nel capitolo precedente (Gen 3) solo il serpen-te e la terra erano maledetti, anche qui, non è l’umanità intera ad essere maledetta ma solo Caino, per dare spa-zio, appunto, alla speranza: non l’umanità ma un uomo solo. Ciò dice molto sull’assurdo di una libertà capace di ribellioni e di rifiuti a Dio. Il «segno» di Caino non è affat-to un segno di vergogna e d’infamia, ma di protezione. Esso implica una conoscenza e un vincolo per altre per-sone, in quanto attesta che Caino è sotto la protezione del Signore e perciò dev’essere rispettato da chi gli sta intorno.

In ogni essere umano alberga una dose di Caino-in-vidioso. Il pubblico che ascolta la storia di Caino e Abele, è un’umanità infante da educare. Quel Caino siamo noi, l’umanità, ed è per questo che la storia non può finire

semplicemente con la nostra morte. Il Signore ci ha mostra-to l’alternativa. È Qayin-Caino-Geloso che si deve evolvere, che ha la possibilità di evolversi, di redimersi. In lui, gli ascol-tatori riconoscono la figura dell’uomo assassino, ma anche la presenza di Dio che si oppone alla catena degli assassini, anche soltanto per «legge di vendetta».

Sin dall’esperienza primordiale delle relazioni fraterne l’amore partecipa del conflitto vita-morte, giustizia-malva-gità, fino a ricomparire nel conflitto comunità-mondo. Solo nella novità di Cristo i suoi discepoli scoprono una possibi-lità di cambiamento: l’amore è passaggio dalla morte alla vita. Cristo, che ha dato la vita per noi, cambia dall’interno la.realtà della «morte» (il nonamore) per farne amore. Cre-dere in Lui ed amarsi reciprocamente: è qui che risiede la «formula» dell’unico comandamento che abbraccia tutti gli altri: quello dell’amore.

Dio non respinge il malvagio, neanche Caino. Egli è un Padre che fa sorgere il sole sui malvagi e sui buoni (Mt 5,45). Egli, davanti al male si rivela per quello che è: amore senza condizioni, amore assoluto di un Padre verso i figli. Il nostro atteggiamento dinanzi al male ci da la nostra «carta d’identità divina» la cui misura è la misericordia che ricevia-mo e accordiamo.

La relazionetra fratelliè a volteconflittuale:la parolae l’amore di Dio,singolareper ognuno.conduce a com-porreogni dissidio.

Il sanguedi Abele

grida a Dio.Mosaico

del XII secolodel Duomo

di Monreale(Palermo).

pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia -

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pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia - pastorale familiare e di coppia -

Congrega della carità apostolica - Anno europeo dell'invecchiamento attivo

II senso della vecchiaia

Mons. Luciano Monaci è intervenuto, durante la presentazione del volume "II delirium" del dottor Alessandro Morandi, geriatra, con la relazione "II vecchio nella Bibbia"

Nell'occasione della presentazione del libro "II delirium", curato da Alessandro Morandi, medico geriatra e ricercatore, presso l'Università Cattolica di Brescia, mons. Luciano Monari è intervenuto con una relazione dal titolo "II vecchio nella Bibbia". Il Vescovo afferma che nel Libro di Qo-elet, nella parte finale, è presente una magistrale descrizione della condizione dell'anziano. Il testo biblico fa emerge-re la fragilità e la caducità dell'esisten-za umana, che fiorisce nella giovinezza e decade negli anni della vecchiaia, "quando si abbasserà il rumore della mola e si attenuerà il cinguettio degli uccelli e si affievoliranno tutti i toni del canto; quando si avrà paura delle alture e degli spauracchi della strada". Ogni età della vita, ricorda mons. Mo-nari, ha un suo valore intrinseco, una sua cifra peculiare: l'essere umano dev'essere capace di vivere bene ogni momento del suo percorso terreno.Nella giovinezza esso deve attuare tutte le sue migliori potenzialità, evitando di sprecare il tempo, di bruciarsi nell’im-mediatezza dell’istante effimero e nella logica del “carpe diem”. Nel pieno delle sue forze, l’uomo deve saper dosare nel modo migliore le sue energie per compiersi, realizzarsi nelle sue qualità umane. Nell’età avanzata, dobbiamo vi-vere con saggezza, con sobrietà, chiudendo il ciclo dell’esistenza, dando un significato al tempo passato, riassumendo la nostra vita nel presente del pensiero e della spiritualità, evitando di consumarci nella presunzione e nella saccenteria, che possono scaturire dal tempo che abbia-mo alle nostre spalle.

Come ci avvisa Qoelel, “Vanità delle va-nità, e tutto è vanità”, in una frase, che sembra un aforisma inciso sulla roccia. Secondo mons. Monari, non possia-mo ignorare la caducità della nostra esistenza: in un’epoca connotata dalla velocità della tecnologia e dalla super-ficialità dei rapporti umani, rischiamo di perdere di vista la nostra natura, di non “vedere” la nostra fragilità, la no-stra finitezza. I progetti, le costruzioni, le conquiste umane sono “vanità”, se intese come qualcosa di autonomo, di autosufficiente, di fine a se stesso; la nostra esistenza può avere un senso se rapportata ad “altro”, a ciò che non muta, al fondamento stabile dell’es-sere. La vecchiaia, a tale riguardo, è l’occasione più preziosa per riflettere sulla natura umana: essa ci può dare la giusta dimensione della nostra vita, che, vista sul piano meramente fisico, è misera, precaria, fallimentare, ma che, se assunta nell’orizzonte più vasto della spiritualità e del trascendente, può rivelarsi grande, nobile, destinata

all’eternità.Inoltre, il Vescovo richiama anche Pa-olo, che, nella Lettera ai Romani, par-la di Abramo, che ha un figlio proprio durante la vecchiaia da Sara. Questo fatto dimostra che l’età anziana non è sterile, vuota, inutile, ma può essere fertile, propositiva, attiva, II vecchio ha una sua “generatività”, arricchita dalla sua esperienza, dalla sua saggezza, per cui può comprendere meglio le proprie azioni. Per Paolo, la vecchiaia non e uno “sta-to” fisso, predeterminato, ma è un compito, che implica una forte respon-sabilità. Se l’anziano chiude bene la sua vita, nella compiutezza del suo essere umano, può morire “sazio di giorni”, felice di avere portato a compimento la sua esistenza. Nel nostro tempo, la riflessione biblica può aiutarci a capire il valore delle fasi della vita. Noi siamo abituati a vedere tutto nell’ot-tica del consumo, della quantità, della misurazione economica, del successo immediato, e spesso non riusciamo a comprendere i significati i più profondi dell’esistenza. In questo modo, rischia-mo di considerare i deboli, le persone anziane come esseri marginali, inutili, residui del passato da sistemare come oggetti in luoghi isolati dalla società. In realtà, il vecchio è un valore assoluto,

che porta in sé un segmento di storia, un bagaglio di tempo e di pensiero: è la sintesi vivente dell’esistere, che può illuminare la vita delle persone più giovani.Una società che non rispetta gli anziani è destinata a declinare e a imbarbarirsi, perché perde se stessa, il proprio passato, quindi non sa più capire il presente e aprirsi al futuro.

Abramo ha un figlio da Sara nella vecchiaia; dimostra che l'età anziana non è sterile e inutile, ma fertile, propositiva e attiva

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“Provarono una gioia grandissima”. Anche nel racconto dei Magi la gioia non sta all’inizio, ma alla fine della ricerca. È una gioia che viene dopo la fatica, da scelte autentiche e non improvvisate. È una gioia frutto dell’incontro, della relazione profonda. I Magi incontrano Gesù, noi possiamo incontrarlo nella comunione con i fratelli. La Pasqua ci ha mostrato il Cri-sto vivente, presente in mezzo a noi. La strada da percorrere ci incoraggia a cercare il nostro prossimo, a superare l’indifferen-

za e il pregiudizio, a costruire rapporti di amore fraterno.

PER LA COMUNITÀ EDUCATIVALa qualità delle attività estive che iniziamo a preparare e la loro ca-

pacità di diventare un momento importante per la maturazione dei nostri ragazzi dipende in gran parte da quanto le avranno pensate, desiderate, immaginate, da

quanto avremo accompagnato i nostri animatori nella realizzazione. In questo tempo abbiamo la proposta dei Grestival e dei corsi Grest, momenti da non perdere per aiutare i ragazzi in questo cammino. INTERROGATIVI

L’invito a percorrere la strada della comunione è un serio richiamo alla nostra comunità educativa.1. Sappiamo vivere dei momenti di comunione, formazione, preghiera insieme, nei quali ci accorgiamo del bene che vogliamo ai nostri fratelli più piccoli e condividiamo proposte e attenzioni?

2. Sappiamo cercare i giovani da tempo usciti dal giro del nostro oratorio e offrire loro un modo affascinante per entrare in contatto la comunità e la proposta di fede?

La città celeste

Guardare quella città,

desiderarla reale

concreta, sperare di

realizzare almeno una

parte di ciò che vedia-

mo… Questo ci aiuta a

lavorare e pregare sulla

strada della comunione.

itinera

rio an

no oratoria

no

2011-

2012

tempo pasquale

il Soffio della Vita Risortacon Maria verso PENTECOSTE

soste di preghiera presso alcuni Santuari guidate dal Vescovo

nel Tempo Pasquale - ore 20.30venerdì 20 aprile

Santuario della Madonna a Rovatovenerdì 27 aprile

Santuario della B.V. a Bovegnovenerdì 4 maggio (veglia per la 49^ GMPV e per gli ordinandi presbiteri)nella Basilica a Botticino (Santuario)

venerdì 11 maggioSantuario dell’Annunciata a Piancogno

venerdì 18 maggioSantuario della Stella a Bagnolo

sabato 26 maggioVEGLIA DI PENTECOSTE

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“Per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”. Il viaggio dei Magi non è finito. La gioia, la scoperta, l’incontro, tracciano nuove vie. Un sogno suggerisce un’altra strada. Gli sguardi troppo stretti, bassi, orientati al nostro ombelico o alle soddisfazioni più banali, oppure distratti dalle paure lasciano il posto ad UN’ALTRA STRADA: la strada del cielo. Il cammino ci suggerisce di esplorare l’incon-sueto, di cercare il Signore, di sorprenderci per il bello che è intor-no a noi e dentro di noi. Sulla scorta dei Magi scopriamo che un’al-tra strada è possibile: una strada che non è troppo distante eppure è

molto differente da quella che ci viene costantemente proposta.

Lo sguardo lontanoEd ora alziamo lo sguardo,

cerchiamo lontano: che sia

notte stellata o un giorno di

pioggia, un cielo limpido o un

angolo grigio dalla città…

qualcosa grande aspetta di essere cercato!

estate

PER LA COMUNITÀ EDUCATIVAArriva l’estate e bisogna organizzarsi, anche personalmente, per conciliare i momenti di anima-zione e di impegno, con lo studio o il lavoro e le proprie vacanze. È il momento di capire cosa ci chiede la strada del cielo: prima di affastellare impegni, scegliamo cosa vorremmo trovare in questa estate, cosa vorremo donare.La strada del cielo ci insegna che di fronte all’infinitamente bello ogni cosa assume proporzio-natamente un valore diverso e ci offre priorità. INTERROGATIVI L’invito a percorrere la strada del cielo è uno stimolo perché l’estate sia occasione per conti-nuare a proporre orizzonti alti e affascinanti:1. Sappiamo guardare al cielo (attraverso la preghiera, la fiducia, la speranza) quando af-frontiamo i problemi della nostra comunità e dei nostri ragazzi?2. Sappiamo offrire anche prospettive alte, proposte impegnative che offrano possibilità di crescita spirituale?

L’USO BOTTICINO ORGANIZZA

II TORNEO NOTTURNO DI CALCIO

(CAT.PULCINI 2002-2003)

Dal 22maggio al 9 giugno si svolgera’ all’oratorio di Botticino Sera

il II torneo di calcio per bambini nati nel 2002-2003.

Si giocheranno 3 partite per sera nelle giornate di lunedi, martedi,giovedi,venerdi,sabato alle 19,30-20,15-21,00.

Il 7-6 e 9-6 si svolgerà il memorial “Anna Demetrio e Fausto”,quadrangolare di calcio categoria pulcini 2001.

Durante le serate funzionerà lo stand gastonomico.

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SETTIMANE (da Lunedì a venerdì) ATTIVITA’ LUOGO ORARI DESTINATARI11-22 GIUGNO ENGLISH CAMP don Orione 9.00-16,30 elem -2 media11-15 GIUGNO GREST-GIOCHEST SAN GALLO 9,00-17.30 ele e medie18-22 GIUGNO GREST-GIOCHEST SAN GALLO 9,00-17.30 ele e medie25 GIU - 29 GIU GREST-GIOCHEST ORAT.MATTINA 9,00-17.30 ele e medie2 LU - 6 LU GREST-GIOCHEST ORAT.MATTINA 9,00-17.30 ele e medie9 LU -13 LU GREST-GIOCHEST ORAT.MATTINA 9,00-17.30 ele e medie16 LU - 20 LU GREST-GIOCHEST ORAT.SERA 9,00-17.30 ele e medie23 LU - 27 LU GREST-GIOCHEST ORAT.SERA 9,00-17.30 ele e medie 30 LU - 3AGO GREST-GIOCHEST ORAT.SERA 9,00-17.30 ele e medie15 LU - 22 LU CAMPEGGIO Meritz cresimandi22 LU- 29 LU CAMPEGGIO Meritz adolescenti20 AGO-24 AGO CAMPUS don Orione 8.00-17,30 ele.-medie27 AGO- 31 AGO CAMPUS don Orione 8.00-17,30 ele.-medie3 SET -7 SET CAMPUS don Orione 8.00-17,30 ele.-medie

grand’estate 2011 - PARROCCHIE DI BOTTICINO

GREST: Giochest - Passpartù Proposta di animazione e attività per i bambini e ragazzi dalla 1° elementare alla 2° media; la proposta è pensata secondo una specie di rotazione che coinvolga tutte le nostre comunità parrocchiali: sarà attiva-to un apposito servizio di trasporto per permettere a tutti di partecipare. L’attività si svolgerà dal lunedì al venerdì con inizio alle ore 9.00 e termine alle 17.30; sarà possibile inoltre usufruire del servizio di accoglienza dalle ore 8.00. La parola “estate” evoca festa, gioia, gioco, divertimento: è pro-prio questo il senso di vivere insieme il tempo estivo: i bambini e ragazzi saranno aiutati con giochi, attività e varie proposte a comprendere l’im-portanza della comunicazione, delle parole che aprono il cuore alle per-sone, ma anche della forza negativa di parole che provocano divisione e odio. Per fare tutto questo c’è bisogno dell’aiuto di tutti: • degli adolescenti e giovani che con una giusta preparazione, fin dal mese di aprile, possono

animare, cioè rendere piene le parole della gioia e svuotare le parole della divisione! • dei genitori che fidandosi della comunità cristiana pensano ad una esperienza di crescita com-

pleta per i propri figli e si rendono partecipi con la propria attenzione, disponibilità, compren-sione e, perché no, con un po’ di aiuto nei servizi necessari al buon funzionamento dell’espe-rienza.

• di tutta la comunità pronta a sostenere, più che criticare, l’impegno e la buona volontà di chi decide di dare tempo all’educazione anche durante l’estate!

Così quest’estate potremo scoprire insieme il “passpartù” del cuore: buona ricerca a tutti con il contributo di ciascuno!

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CAMPI ESTIVI AL MERITZ

dal 15 al 29 luglio per i cresimandidal 24 al 31 luglio per gli adolescenti

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MiniSunBottiGame e SunBottiGame

in date da definire

Un Passpartù per il Grest 2012 DARE VALORE ALLA PAROLA

Il progetto di quest’anno gira intorno all’in-tenzione educativa di dare valore alla parola. Siamo in mezzo alle parole e per certi versi ab-biamo a disposizione molti strumenti che potreb-bero favorire la comunicazione e il dialogo tra le persone.

Ma – come dicono i Vescovi negli orientamenti pastorali per questo decennio – c’è un’emergen-za educativa che riguarda anche il tema della comunicazione.

Ci piace pensare che i bambini e i ragazzi nei nostri oratori quest’estate abbiano la possibilità di riflettere sull’importanza della parola.

Per qualcuno la parola è obsoleta: è una for-ma comunicativa largamente superata dalle im-magini e dalla tecnologia. Ne siamo così sicuri? I linguaggi per comunicare sono molti. È però attraverso la parola che possiamo dare corpo a pensieri e immaginazione; esplicitare e comunicare quello che ciascuno ha vissuto o porta nel cuore. Gli animali comunicano, ma solo gli uomini par-lano.

È con la parola che possiamo en-trare dappertutto (passepartout, ap-punto): nel nostro cuore per dare un nome ai sentimenti e consistenza ai pensieri, nel cuore delle cose per usare le parole giuste e adatte, nel cuore degli altri per costruire relazioni buone e positive, nel cuore di Dio se impariamo a capire quando e come ci fa arrivare la sua parola.

Non funziona automaticamente. Occorre averne cura, altrimenti non si entra da nessuna parte e riempiamo il mondo di tanti bla bla che creano disordine, rumore, confusione (come era già successo, a suo tempo, intorno a una certa torre che poi non stava in piedi). Una parola (an-che soltanto una parola) al posto giusto rende la vita più bella e stiamo tutti molto meglio.

La possibilità di parlare è forse la più impor-tante caratteristica che distingue l’uomo dagli animali: le parole permettono la comunicazione di pensieri e sentimenti, di idee e progetti. Con le parole gli uomini possono determinare gli umori e creare un clima: quando le parole sono buone,

si creano dei legami; quando non lo sono, ci si scontra e ci si combatte.

Noi esistiamo grazie alle parole: abbiamo ca-pito di esserci, proprio quando qualcuno ha co-minciato a rivolgersi a noi, a chiamarci, a dire qualcosa di noi e del mondo.

Trent’anni fa, il cardinal Martini scriveva la sua prima lettera pastorale intitolata “In principio la parola” e nell’introduzione diceva: È stata la Pa-rola per prima a rompere il silenzio, a dire il no-stro nome, a dare un progetto alla nostra vita.

È in questa parola che il nascere e il morire, l’amare e il donarsi, il lavoro e la società hanno un senso ultimo e una speranza. È grazie a que-sta Parola che io sono qui e tento di esprimermi. “Nella tua luce vediamo la luce” (Sal 35, 10).

Non è una riflessione nata a caso: il cristia-nesimo presenta la figura di Gesù come Parola

di Dio offerta agli uomini; essi non sono semplicemente di fronte alla novità di Dio che offre parole al suo popolo. La novità vera è nella sua fi gura: in lui Dio è anche voce e presenza in prima persona. Pa-role buone non sono solo quelle eleganti. Parole buone sono quel-le che sanno raccontare il bene

ricevuto, il sogno di una vita buona per tutti. Non si tratterà, quindi, di insegnare ai ragazzi a “non dire le parolacce”, ma di aiutarli a trovare quelle parole che permettono di costruire il mondo.

Per questo l’estate continuerà a essere una grande occasione educativa.Dice Italo Calvino alla fine delle Città invisibili: “l’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al pun-to di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cer-care e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

Cominciando dalle parole, usando le parole.

aiutare a capire che prima di dire unaparola dovresti chiederti se è bella, se è utile, se serve a qualcosa di buono

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La scuola oggi forse più di ieri svolge un compito sinergico con la famiglia nell’educazione dei nostri figli. Educazione che non può e non deve fermarsi al trasferimento di nozioni, poiché è convin-

zione nostra che prima di essere medici, avvocati, ingegneri, operai, commercianti, casalinghe, bisogna essere uomini e donne con valori universali dettati dall’etica e dalla morale. Se si domandasse ad ogni genitore qual è la prima cosa che chiede-rebbe alla scuola ed in particolare alla scuola cattolica, la risposta sarebbe : “che mio figlio stia bene”. Dietro questa risposta apparentemente scontata sono celate richie-ste tutt’altro che superficiali: che il bambino si senta accolto ed ac-cettato per ciò che è; che si senta parte della comunità scolastica; che venga valorizzato per “i suoi talenti” e prenda coscienza dei suoi limiti; che viva con serenità il proprio percorso forma-tivo........Oggi per legge ciascuna scuola, sia pubblica che privata, deve esplicitare la propria offerta forma-tiva in quel documento chiamato “POF – Piano dell’Offerta Formativa”, che rappresenta la propria carta d’identità. È qui che spesso leggia-mo come “finalità”, l’accoglienza, l’inclusione, l’integrazione, il rispet-to dell’altro, sintetizzate nella frase “attenzione alla persona”.Non sempre queste parole vengono però tradotte nella realtà e re-stano così parole vuote.Questo purtroppo non riguarda solo la scuola, ma è diventato un de-nominatore comune nella nostra società, in cui l’apparire conta più dell’essere.E così, per caso (anche se in realtà nulla succede per caso) abbiamo sentito parlare di una piccola scuola di Botticino Sera: la scuola Don Orione.Un po’ prevenuti, a dir la verità, abbiamo deciso di andare a chiedere informazioni alla Preside e, qualche giorno più tardi i nostri figli han-no iniziato a frequentare questa scuola.Quali le ragioni di questa scelta, che ogni giorno rinnoviamo?Il fatto che cogliamo che i nostri bambini “stanno bene”, sono sereni, perché si sentono accolti e rispettati. Oltre alla professionalità, vi è una cosa fondamentale che contrad-distingue l’istituto Don Orione, che non è affatto scontata : l’amore.L’amore è la molla che anima tutte le persone che lavorano con sem-plicità, passione ed umiltà in questa piccola, “grande” scuola, o me-glio ancora in questa autentica famiglia, di cui siamo lieti di far parte.

Una famiglia

DALLA PEDAGOGIA AI SANTI:LA SCUOLA PROPONE MODELLI DI EDUCAZIONE.

Si può ancora educare nella società della complessi-tà, del relativismo etico e della globalizzazione? Se lo chiedono studiosi, insegnati e genitori (G. Chiosso,

Luoghi e pratiche dell’educazione, Mondatori 2009), e se lo chiede anche la Chiesa quando parla di emergenza educativa. Mentre il dibattito a più voci continua, la scuola parrocchiale “Don Orione”, in qualità di agenzia educati-va, raccoglie la sfida avanzando e sperimentando ogni giorno risposte concrete, animata dalla convinzione che non si può smettere di educare all’Amore!E’ ben chiaro a tutti il legame che unisce educazione e istruzione, è altrettanto chiaro che famiglia e scuola devo-no collaborare per ben educare i ragazzi, “sentinelle del mattino” a cui è affidato il futuro della nostra società. L’attenzione alla persona al “Don Orione” passa attraver-so tutte le discipline, ma è soprattutto nell’ora settimanale di “Cittadinanza e Costituzione” che la scuola dedica tempo e spazio alle virtù civiche e alla formazione dell’uomo mo-rale. La materia citata, pur prevista dal Ministero dell’Istru-zione, nel mondo della scuola è molto spesso sacrificata al “programma” delle conoscenze storico-geografiche, fon-damentali sì, ma inconcepibili senza l’etica. Tra i modelli di convivenza civile e di buona educazione la scuola pre-senta, inoltre, anche le figure dei santi e dei beati: in que-sta Quaresima gli studenti della secondaria sono, infatti, impegnati nella conoscenza di Giovanni Paolo II e di San Tadini attraverso attività laboratoriali che porteranno alla produzione di elaborati destinati a partecipare a concorsi scolastici. Tornando alla domanda iniziale, potremmo concludere che la risposta della scuola “Don Orione” è che non solo si può, ma si deve educare: tocca, infatti, agli adulti assumer-si la responsabilità dell’educazione, nella consapevolezza che non è un “mestiere” sempre bello, gratificante e senza il rischio di fallimento. I bisogni dei ragazzi sono davvero tanti: affettivi, cognitivi, sociali, etici. Al solo elencarli viene la paura di non farcela, ecco perché è importante unire le forze, tenere sempre aperto il dialogo tra scuola e fa-miglia e dare vita ad una vera e propria co-educazione.

LA SCUOLA CATTOLICA NON È DI PARTE“Educare alla vita buona del Vangelo a scuola e nella formazione professionale”: era il tema del convegno nazionale del Centro studi per la scuola cattolica, durante il quale sono emerse numerose suggestioni legate al rapporto tra scuola, Chiesa e società civile, così come è stata sottolineata la tematica forte dell’impegno educativo. Azioni che comprendono la valorizzazione dei diversi soggetti protagonisti della scuola, la ricerca di qualità, la “competizione” al meglio, soprattutto l’attenzione prioritaria e costante alla persona. La scuola cattolica si gioca tra questi riferimenti e, come ha ricordato il segretario della Cei, mons. Maria-no Crociata, “rappresenta un luogo ideale per l’intreccio di alleanze educative, in cui riconciliare famiglie e nuove generazioni aperte alla fede cristiana, nella determinazione fondata e coraggiosa di poter vivere una vita buona anche in questo mondo e in questo tempo”. L’obiettivo è la vita buona, l’educazione alla pienezza, lo sviluppo umano di ciascuno. Ed è questo, in verità, compito della scuola “senza aggettivi”, la scuola tutta e di tutti. Le istituzioni cattoliche possono svolgere, con la propria proposta di qualità, una funzione importante di stimolo e richiamo continuo.

Scuola Parrocchiale don Orione

QUI SCUOLA

Un’idea di scuola.....e quaranta minuti

al giorno per ringraziare

di averla trovata.

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Un buon motivo

per essere aclistiA Botticino Mattina come siamo messi? Da circa un anno il bar del Circolo Acli è chiuso. Ciò ha indotto alcuni a pensare ad una cessata attività delle ACLI di Botticino Mattina. Niente affatto! È giusta l’occasione per precisare che il bar, essendo locale pubblico, costituisce sì un punto di incontro per tante persone ma non è da confondere con il Circolo Acli che, grazie alla volontà degli aclisti, esiste ed è attivo, anzi è rinnovato. Èattivoefunzionanteinfattiilserviziodipatronato: con sede in via Verdi 36, presso il quale lavo-rano (senza compenso alcuno) Giovita Gorni, Ilario Stefana , Ennio Coccoli. Il patronato si occupa di pratiche assistenziali e fiscali ed è’ funzionalmente collegato agli uffici cen-trali del Patronato Acli Provinciale. Presso le sedi del patronato ACLI di Botticino Mattina, Sera e S.Gallo, vengono svolte più di un migliaio di pratiche amministrative all’anno. Èattivoilprogrammadiformazione: in collaborazione con la Parrocchia e con altre associazioni sono programmati incontri formativi su temi di interesse sociale con esperti di vari settori.

Èattivo ilprogrammadi solidarietà con l’assi-stenza particolare agli immigrati. Il nostro circolo ACLI è forse l’associazione più longeva che esista a Botticino: nel 1946 inizia l’at-tività di patronato, nel 1948 è istituito il Circolo con sede in via Cave e nel 1956 l’insediamento della nuova sede. Questa longevità conferma due cose: la validità dell’operato che esso svolge, la fiducia della gente in questa istituzione. Il Circolo ACLI vuole continuare pertanto la sua presenza, cercando il continuo miglioramento del servizio offerto alla nostra comunità. È inoltre Circolo di riferimento per tutta l’area co-munale, quindi anche per Botticino Sera e S.Gallo .In linea con gli orientamenti delle Acli nazionali vogliamo impegnarci per latutelaelapromozionedeidirittisocialiel'educazionealla“cittadinanzaattiva”. Siamo impegnati a portare sul nostro territorio quelle iniziative e quei servizi che sono proposti dai vari organismi delle ACLI, quali: l'assistenza previdenziale (Patronato) e fiscale (Caf); la difesa dell'ambiente (AcliAmbienteAnniVerdi), del con-sumatore (LegaconsumatoriAcli) e degli inquilini (Sicet); la formazione professionale (Enaip); la co-operazione (Coop. di ristorazione "G. Agazzi";Coop. Acli Duemila; Consorzio Acli Solidale); l'animazione sportiva (UsAcli); il turismo sociale (Cta); la promozione della donna (Coordinamen-

Le Acli, Associazioni cristiane lavoratori italiani, sono nate nel 1944. Sono un’associazione di laici cristiani che promuove il lavoro e i lavoratori, educa ed incoraggia alla cittadinan-za attiva, difende, aiuta e sostiene i cittadini, in partico-lare quanti si trovano in condizione di emarginazione o a rischio di esclusione sociale.

Attraverso una rete diffusa e organizzata di circoli, ser-vizi, imprese, progetti ed associazioni specifiche, le Acli contribuiscono a tessere i legami della società, favoren-do forme di partecipazione e di democrazia.

Le Acli sono una “associazione di promozione sociale”, un soggetto autorevole della società civile e del mondo del terzo settore: il volontariato, il non profit, l’impresa sociale.

L’Associazione conta oggi oltre 986.000 iscritti, in Italia e all’estero, e 8.100 strutture territoriali, tra cui 3.500 circoli, 106 sedi provinciali e 21 regionali; ogni anno for-niamo servizi a circa 3 milioni e mezzo di persone.

Oggi, l’Associazione è presente in quasi 30 Paesi nel mondo, con esperienze antiche ed iniziative nuove. Dalla presenza lungo le strade dell’emigrazione italiana (dall’Europa al Sudafrica, dall’America del Nord a quella del Sud, per finire all’Australia), alle numerose e ormai consolidate esperienze di gemellaggio, cooperazione e promozione sociale in Brasile, in Argentina, nei Balcani (Kosovo, Bosnia Erzegovina, Albania), e in Africa (Kenya e Mozambico).

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toDonne), degli anziani (FapAcli), del volontariato (Aval) e della condizione giovanile (Ga); l'impegno per la pace, lo sviluppo, la solidarietà internazionale (AcliSenzaConfinieIpsia); l'impegno con gli immi-grati (AcliColfeProgettoImmigrati).

Domenica 5 febbraio è stato eletto il nuovo con-siglio del Circolo ACLI di Botticino Mattina. Sono stati eletti: Cavagnini Sergio, Noventa Lidia, Noventa Ester, No-venta Irma, Casali Italo, Tregambe Giuseppe, Cre-monesi Armando, Stefana Ilario, Luzzardi Giacomo, Pinelli Battista, Zani Giuseppe. L’assistente spirituale è il parroco don Raffaele. Nella prima convocazione il nuovo Consiglio ha riconfermato Presidente Sergio Cavagnini ed ha espresso la volontà di proseguire sulla strada finora percorsa dalle ACLI locali, intensificando l’impegno per i programmi di formazione e per le attività acliste. Nel consiglio attuale c’è una grande assenza: quella di Battista Benetti. Presidente del Circolo Acli per 32 anni, ha svolto il suo compito con molta pas-sione e dedizione, facendo tesoro dell’eredità di ideali e di valori che gli sono stati trasmessi e testimoniati da don Giovanni Vespa, anima ispiratrice e sostenito-re instancabile del Circolo di Botticino Mattina. Siamo rispettosi della scelta che Battista ha fat-to e apprezziamo il gesto tramite il quale ha voluto co-stringerci ad un sereno avvicendamento, dimostrando ancora una volta estrema saggezza e serietà. Per que-sta significativa esperienza gli aclisti di Botticino Mat-tina esprimono il grazie più sincero a Battista Benetti. Gli ideali che ispirano il movimento aclista, le iniziative che esso svolge e le testimonianze che han-no arricchito la storia delle nostre Acli, costituiscono un buon motivo per essere aclisti! Il Consiglio del Circolo Acli Botticino Mattina

Dallo STATUTO delle ACLIApprovato dal XXIII Congresso Nazionale

FINALITÀ SCOPIArt. 1Le Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani (ACLI) fondano sul Messaggio Evangelico e sull’insegnamento della Chiesa la loro azione per la promozione dei lavoratori e operano per una so-cietà in cui sia assicurato, secondo democrazia e giustizia, lo sviluppo integrale di ogni persona.Art.2Le ACLI promuovono solidarietà e responsabilità per costruire una nuova qualità del lavoro e del vivere civile, nella convivenza e cooperazione fra culture ed etnie diverse, nella costruzione della pace, nella salvaguardia del creato.Le ACLI associano lavoratori e cittadini, uomini e donne, di qualsiasi nazionalità che ne condividano le finalità e ne sotto-scrivano il Patto Associativo.Possono aderire alle ACLI associazioni che si riconoscano ne-gli scopi del Movimento e si impegnino a collaborare alla realiz-zazione delle attività.Art. 3Le ACLI, Movimento educativo e sociale, operano nella propria autonoma responsabilità per favorire la crescita e l’aggrega-zione dei diversi soggetti sociali e delle famiglie, attraverso la formazione, l’azione sociale, la promozione di servizi, imprese a finalità sociale e realtà associative.La formazione aclista, nel considerare la trascendente dignità della persona, sostiene processi volti alla maturazione di co-scienza critica e all’esercizio di responsabilità in una coerente testimonianza di vita cristiana ecumenicamente aperta al dia-logo.L’azione sociale delle ACLI, a partire dall’esperienza di vita e di lavoro di uomini e di donne, favorisce l’esercizio di responsabi-lità e sviluppa opportunità di partecipazione dei cittadini per la crescita della società civile e la vitalità delle istituzioni.Le Acli, nonché le associazioni specifiche, i Servizi e le imprese a finalità sociale ed ogni altro soggetto del sistema associativo, adottano, ad integrazione del metodo di governo, il processo di governance basato sulla sussidiarietà e condivisione, sia al loro interno che nei rapporti reciproci.I Servizi sociali, le Imprese a finalità sociale e le Associazioni specifiche promosse dalle ACLI o ad esse aderenti costituisco-no una rete di esperienze di solidarietà, di autorganizzazione, di volontariato e di imprenditività sociale nonché di rappresen-tanza di interessi collettivi, per rispondere ai bisogni culturali, materiali, sociali e di tutela delle persone......Le ACLI ad ogni livello:a) favoriscono la partecipazione attiva degli associati per la rea-lizzazione delle finalità statutarie...b) promuovono la crescita spirituale ed alimentano la vita cri-stiana degli associati con itinerari di ascolto della Parola di Dio avvalendosi del sostegno pastorale di sacerdoti quali accompa-gnatori spirituali richiesti alle comunità ecclesiali, ai vari livelli; i sacerdoti, comprendendo il carisma delle ACLI, hanno il com-pito di alimentare lacrescita formativa dei soci e di orientare l’associazione nell’ap-partenenza alla Chiesa, alla sua vita e alla sua missione; ...d) assumono iniziative atte a sviluppare la vita associativa pro-muovendo attività formative di azione sociale, di volontariato, di autorganizzazione di servizi e di imprese a finalità sociale, con attenzione a promuovere pari opportunità tra uomo e donna; ...f) promuovono una cultura della legalità, basata sui principi del-la Costituzione, nella valorizzazione della memoria storica per le persone che hanno operato contro la mafia ed ogni forma di criminalità organizzata; promuovono l’elaborazione di strategie di lotta non violenta contro il dominio mafioso e malavitoso del territorio e di resistenza alle infiltrazioni di tipo mafioso e mala-vitoso ...

il nuovo Consiglio Acli Botticino

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Hanno creatività e coraggio, vogliono contribuire a cambiare l’andamento non solo economico, ma an-che culturale, non certo esaltante nel nostro Paese. Donne che ancora oggi devono confrontarsi con

i tanti ostacoli di genere che incontrano sul proprio cammino. Poche le misure adottate per migliorar la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, ancor meno i servizi a disposizione e tanta, troppo la distanza con quello che succede in Europa. Temi che le donne del coordinamento vogliono affrontare anche con il Congresso Nazionale, dal titolo “Rigenerare la comunità per ricostruire il Paese, acli artefici di democrazia partecipativa e di buona eco-nomia”.

Le donne vogliono contribuire ai cambiamenti, le donne vogliono dire la loro. Hanno capacità, voglia di fare, talento e tenacia, doti che possono aiutare a dare un nuovo slancio alla nostra Italia. Vogliono affron-tare le sfide, riducendo le disuguaglianze di genere, migliorando le condizioni di accesso al mercato del lavoro. Un confronto necessario per riscrivere il sistema delle politiche sociali del nostro Paese.

Quest’anno, in occasione della giornata della donna, il coordinamento donne si vuole esprimere at-traverso la metafora dell’albero ginko biloba pianta antichissima, molto resistente. Non teme le basse temperature, non si lascia “corrompere” dall’inquinamento, dagli agenti esterni. E’ una pianta che offre nutrimento, infatti i suoi semi sono commestibili ed apprezzati. Tagliata soffre, e non si lascia plasmare, piuttosto si spezza. Un po’ come noi donne: diamo nutrimento, siamo tenaci, amiamo mantenere le no-stre idealità, senza cedere a facili compromessi.

E su quest’albero abbiamo collocato 12 parole,come i mesi dell’anno in corso, il 2012, a rappresentar-ci, noi del Coordinamento Donne delle ACLI e tutte le altre che abitano il pianeta e per esso operano.

Rigenerare: idee, comportamenti, visioni, con lo sguardo attento agli obiettivi.Rispettare:la vita, gli altri, il mondo, l’ambiente, il futuro e la memoria.Ricostruire: nella storia tante volte abbiamo raccolto le nostre forze e ripreso dalle macerie ciò che era stato distrutto, per farne cose di nuovo belle.Rilanciare: l’attenzione e l’impegno sulle cose importanti, quelle fondamentali per la vita.Risolvere: caratteristica della pragmaticità del saper gestire la molteplicità e la complessità.Riflettere: capaci di fermarci per andare a fondo nelle cose. Perché nulla va affrontato con superficiali-tà, ma richiede pensiero e lungimiranza.Rinascere: dopo le sconfitte, nella speranza e con sentimenti nuovi.Ripercorrere:la forza della memoria e di ritornare ogni volta al punto, passo dopo passo, per guada-gnare l’obiettivo.Rieducare: disponibili a riprendere in mano progetti di vita, orientando chi ci sta vicino a nuove strade e a nuovi percorsi. Riformare: dare forma nuova e attuale a valori e significati.Riprodurre: l’economia della riproduzione è quella che tiene in piedi il mondo, riproduzione biologica, riproduzione domestica, riproduzione sociale in tutti i suoi aspetti. Risparmiare:preservare la capacità di spesa non destinando all’oggi più di quanto necessario, ma inve-stendo nel domani per realizzare sogni e progetti.

Coordinamento Donne

INSIEME SI PUO’

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percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi

Sono passate di moda le virtù? Ha ancora un senso educare ad esse? A queste domande cerca di rispondere Giuseppe Savagnone nel suo ultimo libro.In un tempo in cui è la trasgressione a rappresentare un valore, perché la morale

delle regole e dei doveri è in crisi, l’autore propone un altro modo di concepire le virtù valorizzando la sfera affettiva, i desideri e la ricerca della felicità.

Il testo qui riportato è l’incipit del volume, che lascia già intravedere la bellezza e l’audacia della proposta che si snoda nelle sue pagine.

S c o m m e t e r e s u l l e v i r t ù

I giovani», scrive un osservatore non sospetto di moralismo, «anche se non ne sono consci, stanno male» (Galimberti U., L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli,

Milano 2007, p. 11). Non bisogna lasciarsi ingannare dalla loro chiassosa euforia nelle notti in discoteca, dal vorticoso succe-dersi delle loro esperienze sessuali, dalla loro corsa dietro le mode. Essi «cercano i divertimenti perché non sanno gioire» (ivi, p. 34). Quella che sembra pienezza di vita è in realtà solo l’antidoto a un profondo disagio intcriore: «II presente diven-ta un assoluto da vivere con la massima intensità, non perché questa intensità procuri gioia, ma perché promette di seppel-lire l’angoscia» (ivi, p. 11).

Un tragico sintomo di questo malessere sono i suicidi ? quattromila l’anno! ? che nel nostro Paese, tra i giovani sotto

i venticinque anni, co-stituiscono la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali. Per non parlare dei ge-sti di violenza gratuita, insensata, archiviati con l’agghiacciante formula burocratica: «Omicidio volontario premeditato senza movente».

Al fondo del problema

È stato, tuttavia, osservato da più parti che le nuove genera-zioni, piuttosto che le responsabili di questo smarrimento, ne sono soprattutto le vittime.

L’«emergenza educati-va» non andrebbe, per-

ciò, attribuita tanto a loro, quanto, agli educatori, che non sanno più trovare parole convincenti da dire, né esempi da offrire. Come si dice negli Orientamenti pastorali della CEI: «I giovani si trovano spesso a confronto con figure adulte demotivate e poco autorevoli, incapaci di testi-moniare ragioni di vita che suscitino amore e dedizione» (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 12).

Ma forse neanche questa considerazione va al fondo del problema. In realtà, se i giovani sono in crisi, è «perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, pe-netra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancel-la prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui (...) Nel deserto dell’in-sensatezza che l’atmosfera nichilista del nostro tempo diffonde, il disagio non è più psicologico, ma culturale» (Galimberti,pp. 11-12).

Colpisce la sintonia tra la diagnosi dell’intellettuale «laico» e quella di Benedetto XVI nella Lettera sull’edu-cazione, da lui indirizzata, alla fine del gennaio 2008, alla diocesi e alla città di Roma: «Troppe incertezze e troppi dubbi circolano nella nostra società e nella nostra cultura, troppe immagini distorte sono veicolate dai mezzi di co-municazione sociale. Diventa difficile, così, proporre alle nuove generazioni qualcosa di valido e di certo, delle re-gole di comportamento e degli obiettivi per i quali meriti spendere la propria vita».

La stessa crisi degli adulti, piuttosto che esserne la causa ultima, dipende a sua volta da questo clima, che va ben al di là delle responsabilità dei singoli: «Quando infatti» ? notava il pontefice ? «in una società e in una cultura segnate da un relativismo pervasivo e non di rado aggressivo, sembrano venir meno le certezze basilari, i valori e le speranze che danno un senso alla vita, si dif-fonde facilmente, tra i genitori come tra gli insegnanti, la tentazione di rinunciare al proprio compito, e ancor prima il rischio di non comprendere più quale sia il proprio ruo-lo e la propria missione. Così i fanciulli, gli adolescenti e i giovani, pur circondati da molte attenzioni e tenuti forse

EDUCARE La ricerca della felicità

Il nuovo libro di Savagnone Ed.LDC TO

un libro da leggere

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percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsieccessivamente al riparo dalle prove e dalle difficoltà della vita, si sentono alla fine lasciati soli davanti alle grandi do-mande che nascono inevitabilmente dentro di loro».

Incidere sulla culturaDalla diagnosi si può ricavare la terapia: se la crisi si pone

sul terreno culturale, «è sulla cultura collettiva e non sul-la sofferenza individuale che bisogna agire, perché questa sofferenza non è la causa, ma la conseguenza di un’implo-sione culturale di cui i giovani (...) sono le prime vittime» (Galimberti,p. 12). Un elemento centrale di questa «implo-sione» è sicuramente la crisi del concetto di virtù. Nella pratica educativa tradizionale esso giocava un ruolo fon-damentale. Oggi perfino il termine sembra ormai desue-to. Lo si usa quasi solo per scherzo, o per deridere soggetti repressi. Piuttosto, sono i vizi che interessano, che «intri-gano», che appaiono insomma molto più attraenti della loro controparte, come evidenzia la fioritura di studi a loro riguardo. Forse perché hanno l’aria di esprimere con mag-gior verità la realtà dell’essere umano così com’è effettiva-mente, al contrario delle virtù, che sembrano richiamare l’insincerità e l’ipocrisia.

Il discorso sulle virtù sarebbe, a questo punto, da consi-derarsi chiuso, se non fosse per la curiosa circostanza che, proprio mentre esse toccano nella mentalità corrente il li-vello più basso di considerazione, invece nell’ambito della filosofia morale esse, soprattutto nei paesi anglosassoni,

tornano ad es-sere oggetto del vivo interesse di studiosi e pen-satori, al di là di ogni appartenen-za ideologica o religiosa. Da que-sto punto di vista, la stessa cultura p o st m o d e r n a che ha generato la crisi della mo-rale tradizionale, offre nuove pro-spettive che forse possono portare oltre di essa.

Questo ci spin-ge a chiederci se non sia possibile, avvalendoci degli studi più recenti, rivisitare il concetto di virtù in una prospettiva diversa da quella del passato, per riproporlo nei nuovi termini anche al di fuori degli ambien-ti accademici e puntare su di esso, a livello educativo, per fronteggiare con qualche speranza di successo 1’«ospite inquietante».

Tra i giovani è forte la ricerca di punti di riferimento

percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi - percorsi

Il Sacro Monte sorse per iniziativa del Beato Bernardino Caimi, che, di ritorno dalla Terra Santa (alla fine del 1400), volle ricreare in piccolo i luoghi della Pa-lestina. S. Carlo Borromeo, che diede nuovo impulso all’opera e la denominò “Nuova Gerusalemme”, ovvero le riproduzioni dei luoghi santi della Palestina e delle 45 cappelle: architettura, scultura (oltre 800 statue in terracotta policro-ma e legno) e pittura danno vita a scene coinvolgenti a grandezza naturale per un impatto emotivo senza pari. Il complesso degli edifici, è stato costruito nel corso di un paio di secoli. Ogni cappella rappresenta, con affreschi (circa 4.000 figure) e con gruppi di statue, scene della vita di Gesù e di Maria. Il S. Monte di Varallo, per la bellezza del luogo, per le sue testimonianze di fede e di arte, costituisce un monumento unico nel suo genere.La Basilica è il Santuario dove

si venera la Vergine dormiente.E’ la Madonna del Sacro Monte.

PROGRAMMAPARTENZA ORE 7,00, presso le chiese di Mattina,Sera e 6,45 a S.Gallo. Arrivo al Sacro Monte in mattinata. Tempo per le devo-zioni personali e Celebrazione Eucaristica. Dopo il pranzo visita guidata alle cappelle che rappresen-tano i luoghi della Terra Santa ecc. S.Rosario comunitario e ritorno a Botticino.Quota E 50,00 (comprende pullman,pranzo in risto-rante, visita guidata alle cappelle,funvia)Iscrizioni presso segreteria e sacrestie.

mercoledì 23 maggio

GITA-PELLEGRINAGGIO NEL MESE MARIANOSACRO MONTE DI VARALLO

PARROCCHIE DI BOTTICINO

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USCITEtasse/imposte 1.062,00culto e attrezz. 2.081,00oblazioni zona past. 300,00remuneraz. sacerdoti e rel. 2.300,00assicurazioni 3.989,86Ris.luce,ac,gas,tel. 12.111,00stampe. strisc.sussidi 2.553,00manutenzioni varie 3.287,00manut. str. e acc. fotov. 27.786,00progetti oratorio 3.800,80partite di giro 1.475,00totale uscite 60.745,00

PARROCCHIA SAN GALLO RESOCONTO ECONOMICO 2011 al 31 .12.2011

PARROCCHIA BOTTICINO MATTINA RESOCONTO ECONOMICO 2011 al 31.12.2011 ENTRATE USCITEEntrate ordinarie e str. 56.193,98 Uscite Ordinarie 33.046,79 Imposte 2% curia 472,00Interessi Attivi 742,40 Interessi passivi 1.576,55Feste e oratorio 38.512,53 Rimb.spese in c.capitale e professionisti 38.062,53Contributi Enti privati 4.598,00 Assicurazioni 7.560,00 Contributi Enti per torre campanaria 4.500,00 Oratorio e att. educ. 14.569,77Contributi Curia 13.215,00 Rate mutuo 45.280,01Partite di giro 3.356,41 Partire di giro 3.356,41 TOTALE ENTRATE 121.118,32 TOTALE USCITE 143.925,06 SALDO conti correnti +93.100.00 Mutuo residuo - 312.792,38 DEBITO al 31 -12-2010 - 219.692,38

ENTRATEelemosine fer.e fest. 3.427,00 serv.liturgico 1.140,00straordinarie 1.450,00off.candele 1.479,00uso strutture 2.125,00feste (utile) 23.565,00bar (utile) 9.400,00contributi 1.067,00partite giro 1.475,00totale entrate 45.128,00

PARROCCHIA BOTTICINO SERA RESOCONTO ECONOMICO 2011 al 31.12.2011 ENTRATE USCITECollette messe - Servizi religiosi -candele 46.602,01Offerte (Liberalità e varie) 8.400,00Contributi pubblici-diocesi e privati 70.102,10Offerte/Entrate da attività parrocch. 87.732,30Offerte x rimborso utenze e ut. strutt. 45.034,30interessi attivi 185,42Rimborsi da privati 6.602,00Partite di giro 4.918,29Da mutuo x pannelli fotovoltaici 65.000,00 TOTALE ENTRATE 334.576,42

Uscite per personale 25.197,00 Arredi sacri-cera-vino 8.636,00Utenze luce-gas-acqua- 40.587,98Assicurazioni 17.945,05Manutenzione ordinaria 7.810,31imposte e tasse e commerc. 1.542,96Diocesi 2% off.ord. 2010 2.250,00Attività parrocch. (orat.-stampa,segret.) 55.856.58Comp. bancarie,fidi,mutui, azioni 44.437,60Manutenzione straordinaria( acc.fotov.... ) 46.746,00rimb. prestiti e sospesi 9.550,00Partite di giro 4.369,23TOTALE USCITE 264.929,55

POSIZIONE DEBITORIA AL 31/12/2011 Nuovo mutuo UBI 990.000,00 Mutuo pannelli fotovoltaici 65.000,00 Mutui CONI (finiscono nel 2015) 255.000,00 Mutuo BCC (termina nel 2016) 55.000,00 totale mutui 1.365.000,00 Residuo lavori 90.000,00

Prestiti da restituire 172.000,00 1.627.0 00,00 Crediti terremoto e altri 140.492,00 TOTALE DEBITO AL 31.12.2011 - 1.486.508,00

La Scuola don Orione ha chiuso l’esercizio con un avanzo di cassa di € 8.414,00 che con l’ag-giunta delle rette ancora da incassare, si copre il TFR.

Al fine di contenere i costi per interessi passivi su fidi bancari nel sett.2011 l’esposizione dei c/c è stata tra sformata in un unico mutuo per 15 anni di 990.000,00Si fa notare che l’esposizione debitoria tra lavori ora-torio e per interventi in conseguenza del terremoto ammontava ad otre 5.000.000,00 di Euro.

Per la sistemazione del tetto dell’oratorio e per l’impianto fotovoltaico è stato necessario aprire il mutuo di Euro 94.000,00 per coprire le spese di acconto del 2011 e il saldo nel 2012.

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1° giorno:BOTTICINO-BOURGES Partenza dalla località convenuta in pullman GTL in direzione di Bourges con soste facoltative lungo il percorso e per il pranzo in ristorante. Nel primo pome-riggio proseguimento per Nevers e visita al Convento di Saint-Gildard situato sulla collina, dove visse dal 1866 Bernardette Soubirous, che ebbe a Lourdes le apparizioni della Vergine, e dove morì nel 1879. Il suo corpo, intatto, è venerato nella cappella. In serata arrivo Bourges. sistemazione in hotel nelle camere riservate. Cena e pernottamento.2° BOURGES–CHENONCEAUX–QUIMPERPrima colazione in hotel. Dopo la visita della Cattedrale di Bourges, una delle più belle creazioni del gotico francese e una delle più imponenti chiese vescovili di Francia, partenza per Chenonceaux con sosta per la visita guidata del bel-lissimo Castello costruito sul fiume Cher nel XVI secolo. Pranzo in ristorante e partenza per Quimper. All’arrivo sistemazione in hotel nelle camere riservate. Cena e pernottamento.3°QUIMPER–CALVARI BRETONI–CAPFREHEL–ST. MALO Prima colazione in hotel e partenza per la visita guidata dei Calvari Bretoni di Plouastel Daoulas, Saint Thegonnec. Pranzo in ristorante durante le visite. Proseguimento delle visite a Saint Brieuc, capoluogo della Cotes d’Amor, dove

si possono ammirare i quar-tieri antichi e la Cattedrale-Fortezza di Santo Stefano. Visita di Cap Frehel, cen-tro che sovrasta le acque marine dalle sue falesie di arenaria rosa porfido. Esso rappresenta uno dei siti più importanti della Bretagna: i colori vivaci della landa e le tinte profonde del mare for-mano un insieme stupendo.

Ultimate le visite, proseguimento per Saint Malo. Arrivo in serata e sistemazione in hotel nelle camere riservate. Cena e pernottamento.4° SAINT MALO – MONT ST. MICHEL – CAENPrima colazione in hotel. Incontro con la guida per la visita della pittoresca città fortificata, oggi nota stazione balneare, adagiata nel golfo omonimo; qui si po-tranno ammirare i suoi bastioni lambiti dal mare e il caratteristico centro storico antico covo dei corsari. Ultimate le visite, proseguimento per Mont Saint Michel, l’isolotto che durante la bassa marea si unisce alla terra ferma e sul quale sorge un’imponente abbazia e un villaggio cinto da mura quattrocentesche. Pranzo in ristorante. Nel pomeriggio visita alla famosissima Abbazia. Al termine delle visite, proseguimento per Caen e sistemazione in hotel nelle camere riservate. Cena e pernottamento. 5° CAEN – ARROMANCHES – HONFLEUR – PARIGIPrima colazione in hotel. Tempo a disposizione per la visita panoramica di Caen durante la quale si potranno ammirare Il Castello, la Chiesa di St. Pierre che sorge fi fronte al castello con una facciata dominata dal bel campanile di tipo normanno. Quindi trasferimento ad Arromanches e La Pointe du Hoc per la visita alle famose spiagge dove avvenne lo sbarco delle truppe Americane. Tra-sferimento ad Honfleur e pranzo in ristorante. Tempo a disposizione per la visita libera di questo grazioso porticciolo e villaggio prediletto dai pittori e visitato da una clientela cosmopolita. Al termine, partenza per Parigi. Arrivo e sistemazione in hotel nelle camere riservate. Cena e pernottamento in hotel.

6° giorno: PARIGIPrima colazione in hotel. Incontro con la guida ed intera giornata dedicata alla visita della città: Il Trocadero, gli Champs Elyseès, la Place de la concorde, l’Ho-tel e l’Esplanade des Invalides, il Palais e I Jardins du Luxembourg, il Grand ed il Petit Palais. Pranzo in risto-rante. Proseguo delle visite guidate della città. Rientro in serata in hotel. Cena e pernottamento. Dopo cena escursione facoltativa in pullman e battello sulla Senna a bordo dei tipici “ Bateaux” per scoprire il fa-scino notturno della “ Ville Lumier”.7° giorno: PARIGIPrima colazione in hotel. Incontro con la guida e mattina dedicata alla visita della città: la Madeleine, l’Opèra, la Place Vendome, il Palais Royal, la Tour St. Jacques, la Conciergerie, il Palais de Justice, la ste. Chapelle, il Quartiere Latino, il Panthèon. Pranzo in ristorante. Nel pomeriggio escursione a Versailles per la visita alla Reggia. Visita del Palazzo espressione della magnificenza e raffinatezza francese, dove spiccano l’appartamento del Re, quello della Regina e la Galleria degli Specchi, illuminata da 300 candele. Cena in ristorante sulla collina di Montmartre Rientro in hotel per il pernottamento.8° giorno: PARIGI-DIGIONE Prima colazione in hotel. Completamento delle visite con particolare attenzione alla Cattedrale di Notre Dame. Pranzo in ristorante e partenza per Digione. Arri-vo sistemazione in hotel. Cena e pernottamento.9° giorno: DIGIONE – BOTTICINOPrima colazione visita guidata del centro storico: Palazzo dei Duchi di Borgonia, Notre Dame, il Palazzo di Giustizia, la Cattedrale di San Benigno. Al termine partenza per Besancon con sosta per il pranzo. Proseguimento del viaggio con arrivo a Botticino in serata.

Quota individuale di partecipazione € 1.160,00 + € 40,00 (cassa comune) totale € 1.200,00 - (Supp camera singola € 290,00)

LA QUOTA COMPRENDE:Viaggio in pullman GTL a disposizione per l’effettuazione del tour-Sistemazione in hotel 2 e 3 stelle in camere doppie con servizi privati-Trattamento di pensio-ne completa, dal pranzo del primo giorno al pranzo dell’ultimo giorno-Cena in ristorante a Montmartre-Bevande ai pasti-Visite guidate come da programma-Assicurazione medico–sanitaria e bagaglio-Organizzazione tecnica Vadus Viaggi s.r.l.LA QUOTA NON COMPRENDE:mance, ingressi musei, extra personali e tutto quanto non espressamente indi-cato nella voce “la quota comprende”.

ISCRIZIONI PRESSO: SegreteriaParrocchialetel0302692094, presso i saacer-doti e diacono, e tel0302190738All’atto dell’iscrizione versamento della caparra di € 200,00.

visita il SITO WEB delle parrocchie di Botticino: www.parrocchiebotticino.it

PARROCCHIE DI BOTTICINO

LOIRA -BRETAGNA -NORMANDIA E PARIGI 11 – 19 giugno 2012 ( 9 giorni )

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DOMENICA DELLE PALME XXVI Giornata della gioventùSAN GALLO ore 17,00 benedizione ulivi presso oratorio e S.MessaBOTTICINO SERA ore 9,30 benedizione ulivi presso il don Orione, processione e S.Messa in BasilicaBOTTICINO MATTINA ore 11,00 benedizione ulivi presso parco piazza del comune,processione, S.Messa in chiesaGiornate penitenziali Celebrazioni comunitarie della Riconciliazione con la presenza di più sacerdoti per laConfessione SAN GALLO LUNEDÌ’ SANTO ore 16,30 e 20,30 BOTTICINO MATTINA MARTEDI’ SANTO ore 16,30 e 20,30 (ch.parr)BOTTICINO SERA MERCOLEDI’ SANTO ore 16,30 e 20,30 (ch.parr) martedì ore 9,00 (villaggio)

***GIOVEDI’ SANTO Solenne celebrazione della Cena del Signore con il rito della lavanda dei piedi BOTTICINO MATTINA ore 18,00 SAN GALLO ore 19,30 BOTTICINO SERA ore 21,00 (Ogni famiglia è invitata a consegnare la cassettina-salvadanaio per le missioni frutto dell’impegno quaresimale) segue adorazione eucaristica dopo la celebrazione e nel giorno seguente

***VENERDI’ SANTO Durante il giorno adorazione al Santissimo SacramentoNelle tre parrocchie Ufficio delle letture e lodi ore 9.00 .Incontro per i ragazzi in chiesa ore 10.30 Confessioni individuali ore 16-17 (Botticino Mattina) . Solenne celebrazione della passione e morte del Signore

BOTTICINO MATTINA ore 15,00 SAN GALLO ore 17,30 BOTTICINO SERA ore 21,00 Adorazione e bacio del Crocifisso. Comunione. A Bott.Sera segue processione

La Croce rimarrà esposta in chiesa per la preghiera e la meditazione dopo la celebrazione e nel giorno seguente.

***SABATO SANTO Giornata di preghiera e adorazione alla Croce Nelle tre parrocchie: Ufficio delle letture e lodi ore 9.00 Incontro per i ragazzi ore 10.30 Confessioni individuali a Botticino Sera 9,30-11,00 e 15,00-19,00 a Botticino Mattina ore 15,00 -18,00 a San Gallo 17,00-19,00

Solenne Celebrazione della Veglia Pasquale SAN GALLO ore 19,00 BOTTICINO MATTINA ore 21,00 BOTTICINO SERA ORE 23.00

***DOMENICA DI PASQUA*S.MESSE come orario festivo Ore 16,00: Vespri e Benedizione a Sera e a S.Gallo Ore 17,00: Vespri e Benedizione a Botticino Mattina LUNEDÌ DI PASQUABotticino Sera: S.Messe ore 9,00 e 10,30 (chiesa parrocchiale) San Gallo:ore 11,00 S.Messa al Monte DragoneBotticino Mattina S.Messe ore 10 in chiesa parr. e ore 15,30 alla Croce degli alpini monte Paine