voce francescana 2/2012
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periodico del servizio missionario dei frati cappuccini delle Marche e dell'OFS delle MarcheTRANSCRIPT
2/2012Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003art. 1, comma 2 - DCB Pesaro
VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.17 Pagina 1
L’editorialeL’Anno della Fede p. 51
Raniero CantalamessaIl frutto della Pentecoste è la comunità p. 53
La tristezza diventa letizia p. 54
Non basta la Messa alla domenica p. 56
Quando lo Spirito Santo discese sugli Apostoli? p. 58
Intermezzo p. 63Renato LupiFra Antonio Santicolo architetto cappuccino p. 64
Il platano di Meryem Ana p. 70
Bénin - Forum sui bambini “sorciers” p. 72
Bénin - Autonomo il monastero delle Monache cappuccine di Zervié p. 76
Foreng, Foreng p. 78
L’Etiopia nel cuore p. 82
L’incontro con Takele p. 84
In casa nostra p. 86
I nostri lutti p. 89
Bangladesh: mussulmane per nascita, cristiane per amorea Cristo p. 91
Ordine Francescano Secolare p. 92
Finalino 3a di Copertina
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io FRATI CAPPUCCINI
DELLE MARCHEBimestrale di Formazione e Promozionedelle Missioni Estere e dell’Ordine FrancescanoSecolare
22012 ANNO XXXII
Direttore responsabileAntonio Ginestra
Consiglio di redazioneEgidio PicucciGiuseppe SantarelliFrancesco PettinelliMario PiginiLucio ManciniVittore FioriniEmilia Barone Picciafuoco
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D
all’ottobre scorso la
Chiesa sta vivendo
l’Anno della Fede, in-
detto da Papa Benedetto XVI du-
rante la liturgia celebrata per la
nuova evangelizzazione.
Dopo l’anno sacerdotale, ci si
aspettava l’anno dei religiosi o
della Parola di Dio; invece il
Pontefice ha indetto l’ anno della
fede “per dare rinnovato impulso
alla missione di tutta. la Chiesa di
condurre gli uomini fuori dal de-
serto in cui spesso si trovano
verso il luogo della vita, l’amici-
zia con Cristo che ci dona la vita
in pienezza”. L’anno, iniziato nel
50° anniversario dell'apertura del
Concilio Vaticano Il, terminerà il
24 novembre 2013, solennità di
Cristo, Re dell'Universo.
Le motivazioni, le finalità e le
linee direttrici dell'anno della
fede sono esposte dal Santo
Padre nella lettera apostolica
Porta fidei, nella quale è detto
che “la coincidenza con il cin-
quantesimo anniversario del-
l’apertura del Concilio Vaticano
Il può essere ‘un’occasione pro-
pizia per comprendere, come ha
detto il mio Beato predecessore,
che i testi lasciati in eredità dai
Padri conciliari non perdono il
loro valore né il loro smalto. E’
necessario che essi vengano letti
in maniera appropriata, che ven-
gano conosciuti e assimilati
come testi qualificati e normativi
del Magistero, all’interno della
Tradizione della Chiesa ... Sento
più che mai il dovere di additare
il Concilio come la grande grazia
di cui la Chiesa ha beneficiato nel
secolo XX: in esso ci è offerta
una sicura bussola per orientarci
nel cammino del secolo che si
apre’. Io pure intendo ribadire
con forza quanto ebbi ad affer-
mare a proposito del Concilio
pochi mesi dopo la mia elezione
a Successore di Pietro: “Se lo
leggiamo e recepiamo guidati da
una giusta ermeneutica, esso può
essere e diventare sempre di più
una grande forza per il sempre
necessario rinnovamento della
Chiesa”. Nel tempo in cui vi-
viamo, ricorda il Papa, non si può
più pensare alla fede come pre-
supposto del vivere comune; e
per la profonda crisi di fede che
ha toccato molte persone non c’è
più un tessuto culturale unitario
che si richiami alla fede e ai va-
lori che da essa scaturiscono. In
tale contesto “non possiamo ac-
cettare che il sale diventi insipido
e la luce sia tenuta nascosta”; per
51
L’ed
itoria
le
L’Anno della Fede
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Can
tala
mes
sa
questo parliamo di “nuova evan-
gelizzazione”, necessaria per ri-
scoprire la gioia nel credere e
ritrovare l’entusiasmo nel comu-
nicare la fede. Per aiutare la
Chiesa in questo impegno, il
Santo Padre ha dato vita ad un
nuovo organismo: il Pontificio
Consiglio per la Promozione
della Nuova Evangelizzazione,
che ha come finalità “risvegliare
la fede nei Paesi di antica tradi-
zione cristiana”.
E in questo si pone in conti-
nuità con il Beato Papa Giovanni
Paolo Il che in numerosi inter-
venti ha richiamato la ‘nuova
evangelizzazione’ come il com-
pito della Chiesa dei nostri tempi,
un compito che, se riguarda di-
rettamente il suo relazionarsi
verso l’esterno, presuppone però,
prima di tutto, un costante rinno-
vamento al suo interno, un conti-
nuo passare, per così dire, da
evangelizzata ad evangelizza-
trice. Già i vescovi nel 2004 con
il documento “Il volto missiona-
rio delle parrocchie in un mondo
che cambia”, avevano detto che
non basta più una pastorale della
conservazione della fede ma che
“è necessaria una pastorale mis-
sionaria, che annunci nuova-
mente il Vangelo, ne sostenga la
trasmissione di generazione in
generazione, vada incontro agli
uomini e donne del nostro tempo,
testimoniando che anche oggi è
possibile, bello, buono e giusto
vivere l’esistenza umana confor-
memente al Vangelo e, nel nome
del Vangelo, contribuire a ren-
dere nuova l’intera società”.
52
Crisi di fedee crisi di valori
L
a lettura del brano degli
Atti degli Apostoli ci de-
scrive la primitiva co-
munità cristiana, quella nata dalla
Pentecoste e dall’annunzio degli
Apostoli di Gesù Signore. È la
conclusione logica della Pente-
coste: “Erano assidui nella pre-
ghiera, nell’insegnamento degli
Apostoli, nella frazione del
pane, nell’amore fraterno, nella
gioia...”. E il brano evangelico ha
come confermato con la parola
stessa di Gesù l’importanza di
questo essere uniti, di formare
una comunità. Lui è venuto nel
mondo, perché nel mondo na-
scesse un riflesso della Trinità:
“...come io e te, o Padre, siamo
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una stessa cosa, che anche loro
siano una cosa sola”. La Chiesa
è Comunità perché deve essere il
segno, il riflesso della Trinità; è
una comunità d’amore.
Movimento centripeto
Come si presenta la comunità
che nasce dal sacrificio di Gesù
ed è consacrata dalla Pentecoste?
Si presenta come l’insieme di due
movimenti, in un certo senso con-
trapposti, ma il cui equilibrio fa la
comunità cristiana. Questa comu-
nità è contraddistinta da un movi-
mento centripeto, cioè di
coesione tra i credenti, e dunque
anche di distacco dal mondo; è un
53
Il frutto dellaPentecosteè lacomunità
di Raniero Cantalamessa
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gruppo di persone che sono tirate
via dal mondo e messe insieme
con una solidarietà nuova, che si
chiama Amore, la condivisione
fraterna, il mettere insieme, il
gioire insieme. Sono uomini tratti
dal mondo, e questo momento in-
timo della comunità cristiana è
costituito da alcuni fattori precisi:
sono insieme perché li tiene in-
sieme una realtà fortissima, la più
forte del mondo, che si chiama
Spirito Santo, che agisce attra-
verso l’insegnamento degli Apo-
stoli, perché quando gli Apostoli
parlano è lo Spirito che fa eco
nella loro parola, nel cuore di chi
ascolta, e dunque questa parola è
fortissima, è diversa da tutte le
altre; sono uniti da un’unione fra-
terna, cioè dalla carità, che è an-
ch’essa frutto dello Spirito; sono
uniti nella frazione del pane, cioè
intorno all’Eucarestia e nella pre-
ghiera.
Questa unione si manifesta
anche all’esterno, con segni visi-
bili, perché condividono anche i
beni: quelli che hanno dei beni li
vendono per poter fare comunità,
condivisione, sicché non c’è nes-
suno povero tra di loro.
Movimento centrifugo
Il secondo elemento che costi-
tuisce questa comunità nuova, la
Chiesa, è un movimento contra-
rio al primo, centrifugo: dal ce-
nacolo, dove stanno insieme, li
porta fuori, verso le strade, ed è
il primo movimento che abbiamo
notato appena ricevuta la Pente-
coste: gli Apostoli escono in
strada a proclamare con forza
inaudita che Gesù crocifisso è ri-
54
Il frutto della Pentecoste è la comunità
L
a comunità cristiana è fondamentalmente una comunità di
preghiera, di vita interiore, di comunione fraterna che spri-
giona gioia, letizia. Letizia: è la prima volta che questa parola
compare nella storia della Chiesa; prima c’era tristezza: tristezza
perché Gesù partiva, tristezza perché era asceso al cielo. Adesso,
per la prima volta, si comincia a parlare di letizia: “...prendevano
i pasti in letizia” e in questo brano ogni singola parola deve es-
sere da noi presa per quello che vale, cioè la sintesi di tutto un at-
teggiamento di vita; c’è gioia, gioia, gioia profonda tra questi
fratelli, e la loro gioia costituisce il motivo di maggiore attra-
zione per gli altri che li guardano “con simpatia”, e “ogni giorno
si aggiungevano alla comunità numerosi altri che erano chia-
mati”, chiamati dal Signore, ma attraverso i segni che vedevano
di questa gente nuova, di questi uomini nuovi.
La tristezza
diventata letizia
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sorto. È dunque una comunità
che è presa dal mondo, ma costi-
tuita per il mondo; è una comu-
nità sacerdotale, perché questo è
stato detto nel Nuovo Testamento
dal sacerdote. L’epistola agli
Ebrei dice che “Ogni sommo sa-
cerdote, preso fra gli uomini,
viene costituito per il bene degli
uomini nelle cose che riguardano
Dio...” (Eb 5,1). Così questa co-
munità cristiana nell’insieme è il
nuovo popolo sacerdotale, il po-
polo dell’Alleanza che è tirato
fuori dal mondo, è diviso, sepa-
rato dal mondo, non per essere
isolato, a sé stante come un’élite,
ma per essere mandato allo sba-
raglio per il mondo. Infatti gli
Apostoli non vanno per il mondo
a sentire lusinghe: vanno per es-
sere fustigati, giudicati subito dal
Sinedrio. Ma in mezzo a queste
difficoltà portano la fiamma, per-
ché è una fiamma che si è accesa
a Pentecoste: Gesù Cristo è il Si-
gnore; e con questa fiaccola
hanno incendiato il mondo.
Non tutti devono fare contem-
poraneamente queste due cose; la
Chiesa, nel suo insieme, è for-
mata da tanti carismi: ci sono gli
Apostoli che vanno in piazza a
gridare e ci sono i diaconi che di-
vidono il pane per le vedove, cioè
curano i bisogni concreti degli
uomini. Non tutti, dunque, fanno
le stesse cose, ma tutti insieme
partecipano di tutto perché anche
quelli che restano a casa parteci-
pano di questa missione della
Chiesa.
Maria è il prototipo di coloro
che non scendono mai in piazza,
che non fanno udire in piazza la
loro voce, perché rimane nel ce-
nacolo, rimane in preghiera, e
senza la preghiera di Maria e
delle donne nel cenacolo, noi non
sappiamo se la voce di Pietro
avrebbe avuto quel timbro irresi-
stibile che fece crollare il cuore
di tremila persone. Così è l’espe-
rienza della Chiesa: ci dimostra
che la forza dell’annuncio cri-
stiano nasce dalla profondità
della preghiera, della contempla-
zione.
Ecco il profilo di questa Chiesa
meravigliosa uscita dalla Pente-
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coste. Quando Papa Giovanni
XXIII ha profetizzato una nuova
Pentecoste per la Chiesa, il Con-
cilio ha fatta sua questa parola:
ha osato lanciare questa parola
arditissima di una nuova Pente-
coste per la Chiesa. La Penteco-
ste ha questo frutto: creare la
Comunità, queste Comunità. Se
dunque nella Chiesa ci deve es-
sere una nuova Pentecoste, nella
Chiesa devono nascere Comunità
come quella che leggiamo de-
scritta negli Atti degli Apostoli.
Questa è una logica ferrea. La
nuova Pentecoste si disperderà in
pochi anni come una fiammata se
da essa non nascono in seno alla
Chiesa queste comunità cristiane
così fatte: assidui nell’ascoltare
l’insegnamento degli Apostoli,
nell’unione fraterna, nella fra-
zione del pane, nella preghiera,
nella gioia, nella condivisione
fraterna. Questo è un annuncio
per noi! Non è una rievocazione
nostalgica di quella Chiesa mera-
vigliosa di pochi anni di Gerusa-
lemme; quella Chiesa di
Gerusalemme resta il prototipo,
lo stimolo, il modello per tutti i
secoli: così devono essere le co-
munità cristiane. Difatti non è
mai venuto meno, in tutti i secoli
della Chiesa, il desiderio di te-
nere vive queste comunità come
quella di Gerusalemme. Tutti gli
ordini religiosi che sono nati
nella Chiesa, all’inizio sono sem-
pre esplicitamente nati con il pro-
posito di ridare vita a questa
Comunità di Gerusalemme in cui
nella semplicità e nella povertà
gli uomini sono pieni di gioia e
annunciano il Regno di Dio.
Tutte le comunità, prima quelle
O
ggi la fede, il cristianesimo, ha bisogno vitale di queste Co-
munità, perché il cristianesimo è fatto per essere vissuto in
comunità, non da soli; è fatto per essere un corpo! Gesù è venuto
sulla terra per costruirsi un corpo, una sposa, un popolo, non tanti
individui. Non ha fatto delle alleanze separate, ma una comunità
che deve riflettere la comunità sorgente, fonte di tutto, che è il
Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, che stanno sempre insieme nello
stesso luogo, cioè in ogni luogo, e si amano e sono nella gioia e
sono una cosa sola. Questo deve essere la Chiesa, un riflesso della
Trinità, della gioia della Trinità sulla terra.
I cristiani fanno l’esperienza che è impossibile vivere cristiana-
mente nel mondo d’oggi se non c’è qualcosa di più: non basta an-
dare a messa la domenica senza conoscere nessuno e poi tornare
a casa... La fede sembra non reggere il ritmo della vita moderna,
viene da chiedersi che cosa sia la fede in questo mondo. Quando
i cristiani si trovano assieme attraverso i carismi, attraverso la Pa-
rola di Dio, l’Eucarestia, fanno l’esperienza che ciò che è dentro
di noi, lo Spirito Santo, è più forte dello spirito del mondo, del
maligno, che è spirito di tristezza, di avarizia, e questo spirito che
sembra gigantesco e che stritola tutto è più debole dello Spirito di
Dio che è in noi.
È necessario che ognuno di noi sia “profezia” affinché all’in-
terno delle parrocchie fioriscano queste Comunità che sono
“mine” inserite nel mondo di ghiaccio di oggi, e che lo faranno
saltare in aria, perché tutto si può contestare, ma non la comunità.
È stato scritto che solo l’amore è credibile, ma non è vero nep-
pure questo: solo la comunità è credibile. Quando una comunità
vive insieme come i primi cristiani, gli uomini pagani devono dire:
“guardate come si amano”, e sono messi in crisi.
Non basta la Messaalla domenica
Il frutto della Pentecoste è la comunità
monacali, poi quelle mendicanti,
poi gli ordini religiosi dei tempi
moderni, si sono proposti di rea-
lizzare questo e lo hanno realiz-
zato. In alcuni aspetti, per grazia
dello Spirito, sono andati anche al
di là, hanno fatto anche meglio:
S. Francesco, ad esempio, ha rea-
lizzato una povertà, nella sua co-
munità, che forse era maggiore di
quella descritta negli Atti; altri
hanno realizzato una comunità di
servizio per opere sociali carita-
tevoli non meno forti di quelle di
Gerusalemme.
È adesso che si deve realizzare
Eppure mi sembra di potervi
dire che questa comunità di Ge-
rusalemme ancora non si è vista
realmente, integralmente nella
storia della Chiesa: deve ancora
nascere! O, almeno, deve nascere
di nuovo, perché la “parrocchia”,
che è fatta per realizzare tutto
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57questo, raramente lo realizza.
Cosa mancava in quelle comunità
che erano intorno a S. Francesco,
o intorno a S. Chiara, o intorno a
S. Ignazio? Erano fervorose,
erano piene di santità, ma man-
cava l’insieme dei carismi: erano
un membro della Chiesa, non il
corpo. La Chiesa è un corpo e il
corpo esiste se c’è l’occhio, la
testa, la mano che lavora, il piede
che cammina, il cuore che ama, la
mente che pensa. Perché ci sia re-
almente la Chiesa corpo di Cristo,
non basta che ci sia una mano,
non basta che ci sia una comunità
di uomini attivi missionari; non
basta che ci sia una comunità,
come i domenicani, di pensatori,
che sviluppano la dottrina della
Chiesa; non basta che ci sia una
comunità di persone contempla-
tive che vivono solo in preghiera,
perché questo è un membro, un
carisma. Questa comunità degli
Atti degli Apostoli risorgerà in
mezzo al popolo, anzi sta risor-
gendo! Quando ci sono comunità
cristiane che vivono così insieme,
assidui nell’ascoltare la parola di
Dio, a celebrare l’Eucarestia, a
condividere i bisogni, a portare i
pesi gli uni degli altri, e quando
questa Comunità non è fatta da
soli uomini o da sole donne, un
pezzo del corpo di Cristo, ma da
donne, da uomini, da sacerdoti,
da suore, da bambini, da sani, da
malati... allora sì che c’è la
Chiesa. Questa frase ha un signi-
ficato teologico profondo che
forse va al di là di ciò che si può
pensare, perché si pensa, a volte,
che in un’assemblea di preghiera
ci sia un “pezzo” di Chiesa, e in-
vece no! C’è la Chiesa intera.
Leggiamo cosa ha scritto il Vati-
cano II nella Lumen Gentium, la
Costituzione dedicata alla Chiesa:
“Questa Chiesa di Cristo, che è la
Chiesa universale diffusa in tutto
il mondo, questa Chiesa di Cristo
è veramente presente in tutte le
legittime comunità locali di fedeli
le quali, in quanto aderenti ai loro
pastori, sono anch’esse chiamate
Chiese nel Nuovo Testamento.
Esse infatti sono nella loro sede il
popolo nuovo chiamato da Dio
con la potenza dello Spirito Santo
e con grande abbondanza di cari-
smi. In esse, con la predicazione
del Vangelo di Cristo, vengono
radunati i fedeli e si celebra il mi-
stero della Cena del Signore; in
queste comunità, sebbene spesso
piccole, povere, disperse, è pre-
sente Cristo intero per virtù del
quale quella che si raccoglie è la
Chiesa Una, Santa, Cattolica e
Apostolica”.
n
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58
L
a risposta sembra ovvia:
lo Spirito Santo è di-
sceso sugli Apostoli il
giorno di Pentecoste. Ma il
Nuovo Testamento ha due ver-
sioni diverse. La prima fa riferi-
mento al giorno di Pentecoste,
cioè al 50.mo giorno dopo la Pa-
squa (pentékonta in greco vuol
dire 50), come racconta S. Luca
negli Atti degli Apostoli. “Il mat-
tino di Pentecoste i dodici erano
riuniti insieme nel medesimo
luogo, ma improvvisamente
venne dal cielo un rumore di
vento – ma non era vento – che
riempì tutta la casa in cui si tro-
vavano; e apparvero lingue di
fuoco – ma non era fuoco – che si
divisero e se ne posò una su cia-
scuno, e tutti furono pieni di
Spirito Santo. E, uscendo, co-
minciarono un parlare estatico e
come in lingue diverse, dicendo
quello che lo Spirito Santo gli
dettava dentro”.
È il racconto più conosciuto e
quello che la Chiesa ha incluso
nella liturgia e ricorda ogni anno
nella festa di Pentecoste.
L’opinione di Giovanni
Il quarto Vangelo, comunque,
ha un versione diversa, soste-
nendo che quella “discesa” av-
venne il giorno stesso della
Risurrezione. “La sera di quel
giorno, il primo della settimana,
mentre erano chiuse le porte del
luogo dove si trovavano i disce-
poli per timore dei Giudei, venne
Gesù, stette in mezzo e disse
loro: «Pace a voi!». Detto questo,
mostrò loro le mani e il fianco. E
i discepoli gioirono al vedere il
Signore. Gesù disse loro di
nuovo: «Pace a voi! Come il
Padre ha mandato me, anche io
mando voi». Detto questo, soffiò
e disse loro: “Ricevete lo Spirito
Santo. A coloro a cui perdonerete
i peccati, saranno perdonati; a co-
loro a cui non perdonerete, non
saranno perdonati”.
Quindi, secondo il Nuovo Te-
stamento, lo Spirito Santo sa-
rebbe disceso su gli Apostoli due
volte. È vero?
All’interrogativo sono state
varie risposte. Una dice che a Pa-
squa lo Spirito Santo discese in
modo transitorio e a Pentecoste
in modo definitivo. Un’altra so-
stiene che a Pasqua discese solo
sopra gli Apostoli, e a Pentecoste
sopra tutti e in modo definitivo e
completo.
Le spiegazioni non convincono
perché Giovanni non dice né che
lo Spirito Santo sia disceso sugli
Apostoli in forma provvisoria, né
Quando lo Spirito Santo discese sugliApostoli?
Traduzione dal portoghese
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che sia disceso in forma pura-
mente individuale. Inoltre nelle
due versioni è detto che discese
in modo definitivo, pieno e to-
tale.
Chi ha ragione?
Una settimana nuova
I biblisti dicono che hanno ra-
gione tutt’e due gli evangelisti, nel
senso che tutt’e due parlano della
stessa e unica discesa dello Spirito
Santo, ma la raccontano in modo
diverso, cioè seguendo una loro
“personale” teologia.
Secondo Giovanni, la Risurre-
zione di Gesù fu come una se-
conda creazione, come se la
prima, compiuta in sette giorni,
fosse dimenticata, superata, e ne
occorresse un’altra con mondo e
creature nuove. Per far questo oc-
correva anche uno Spirito nuovo,
proprio come era avvenuto nella
prima creazione, quando “lo Spi-
rito di Dio aleggiava sulle acque”.
Analizzando il testo di Gio-
vanni ci si accorge che egli allude
proprio a questo. Dice infatti: “La
sera di quello stesso giorno, il
primo dopo il sabato”, in riferi-
mento alla sera del primo giorno
della settimana in cui Dio aveva
creato il “primo” mondo (Gn 1, 1-
5): quindi anche la nuova crea-
zione deve cominciare sul far
della notte.
Giovanni continua dicendo:
“Gesù si pose in mezzo a loro e
disse: la pace sia con voi”. Se è
normale che uno, arrivando in un
luogo, saluti chi vi si trova, perché
Giovanni lo dice addirittura due
volte? Gli esegeti lo spiegano di-
cendo che la pace, che avrebbe
60
Quando lo Spirito Santodiscese sugli Apostoli?
dovuto stabilirsi in Israele alla fine
dei tempi, non era ancora arrivata,
tanto che il popolo era stato sem-
pre perseguitato. Il duplice saluto
di Gesù risorto significa, allora,
che sono arrivati i tempi nuovi,
che è avvenuta una seconda crea-
zione, quella tanto attesa.
Giovanni aggiunge che “i disce-
poli gioirono al vedere il Signore”.
Il saluto è interessante perché
Gesù, lasciando gli Apostoli dopo
l’ultima cena, aveva promesso
che, al prossimo ritorno tra loro, la
loro gioia sarebbe stata perfetta
(Gv 15, 11; 16, 22-24). Ripetendo
il saluto due volte, Egli vuol far
capire che il momento è giunto
perché è in atto una nuova crea-
zione.
Giovanni aggiunge ancora che
“Gesù soffiò sopra di loro, di-
cendo: ricevete lo Spirito Santo”.
Questa maniera curiosa di infon-
dere lo Spirito Santo ricorda la
scena della creazione del primo
uomo narrata dalla Genesi. Dio
aveva soffiato su Adamo dando-
gli la vita; ora Gesù soffia sugli
Apostoli lo Spirito per far capire
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che agisce come aveva agito Dio
all’inizio del mondo. Egli, in-
somma, sta realizzando una
nuova creazione.
Gesù poi dice: “Come il Padre
ha mandato me, così anch’io
invio voi”. Si tratta di una novità
assoluta nel Vangelo di Gio-
vanni, nel quale non è mai detto
che Gesù inviò gli Apostoli a
predicare. È detto qui perché solo
con la discesa dello Spirito Santo
gli Apostoli, diventate “creature
nuove”, sono in grado di predi-
care il Vangelo. Prima non era
stato possibile.
C’è di più. Giovanni aggiunge
che in quel giorno Gesù conferì
agli Apostoli il potere di rimettere
i peccati; segno ulteriore della
nuova creazione perché, stando a
quanto aveva detto il profeta Eze-
chiele, e cioè che “all’arrivo dei
tempi nuovi Dio avrebbe purifi-
cato gli uomini dai loro peccati”
(Ez 36, 25-26), cosa che nessun
rito ebraico era riuscito a fare,
Gesù ora può farlo.
Matteo dice che Gesù aveva
conferito questo potere prima;
Giovanni dice che esso avvenne
in questa circostanza per sottoli-
neare con maggior forza che co-
mincia finalmente una creazione
nuova.
Tre feste in un sol giorno:
il racconto di S. Luca
Secondo Giovanni, il giorno di
Pasqua sarebbe anche il giorno
dell’Ascensione di Gesù al cielo.
Infatti Gesù dice agli Apostoli: “È
bene per voi che io me ne vada,
perché se non me ne vado, non
verrà per voi il Consolatore; ma
quando me ne sarò andato, ve lo
manderò” (Gv 16, 7). Come a
dire: perché nel giorno di Pasqua
possa scendere lo Spirito sugli
Apostoli, è necessario che Gesù
ascenda al cielo.
Giovanni lo fa dire da Gesù
alla Maddalena: “Non mi tratte-
nere, perché non sono ancora sa-
lito al Padre; ma va’ dai miei
fratelli e di’ loro: Io salgo al
Padre mio e al Padre vostro, Dio
mio e Dio vostro”. (Gv 20,17).
San Luca fa riferimento a una
teologia diversa e colloca la di-
scesa dello Spirito Santo 50
giorni dopo la festa di Pasqua.
Perché? Per il significato che la
Pentecoste aveva per gli Ebrei.
Per loro la Pentecoste era una
grande festa perché ricordava
l’arrivo della loro gente uscita
dall’Egitto, al Monte Sinai, il
monte da cui Mosè portò le ta-
vole della Legge, dopo 50 giorni
di cammino nel deserto. In
quella circostanza Dio stabilì
un’alleanza con il popolo. Que-
sto fa capire meglio il pensiero
di Luca: lo Spirito Santo di-
scende sugli Apostoli a Penteco-
ste perché venne a stabilire una
nuova alleanza.
Dice infatti: “Mentre il giorno
di Pentecoste stava per fi-
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Quando lo Spirito Santodiscese sugli Apostoli?
nire…”, come a dire che si sta
concludendo qualcosa che era
già cominciato, ma che era in-
completo. O meglio, per far ca-
pire che la festa celebrata dai
Giudei era imperfetta, e che oc-
correva qualcosa di più perché
fosse perfetta.
Significativo anche che Luca
noti che il fatto avvenne “al piano
superiore” di una casa. Il che è
impossibile, tenendo conto delle
dimensioni che avevano le case
ebraiche del tempo; impossibile
anche perché Luca dice che
erano presenti 120 persone.
Egli parla di “luogo supe-
riore” per dire cha anche “la
nuova alleanza” avvenne in un
luogo alto come la prima, avve-
nuta sul Sinai.
Luca dice che la “discesa” fu
accompagnata da un rombo,
come di vento che si abbatte ga-
gliardo e riempì tutta la casa in
cui si trovavano”. Facile capire
che egli allude ai tuoni e ai lampi
che accompagnarono la consegna
della Legge a Mosé sul “monte
santo”; se quei segni c’erano stati
per la prima alleanza, “dovevano”
esserci anche per la seconda alle-
anza. E se alla prima erano pre-
senti solo gli Ebrei, alla seconda
deve essere presente gente venuta
da ogni parte del mondo.
Differenza
tra le due “discese”
Tuttavia tra le due “discese” c’è
una differenza: sul Sinai scesero
dal cielo le tavole della Legge, a
Gerusalemme scende dal cielo lo
Spirito Santo; l’antica alleanza
era scritta su tavole di pietra, la
nuova è scritta nel cuore dallo
Spirito.
Riassumendo si può dire che,
secondo Giovanni, quando un
uomo riceve lo Spirito Santo di-
venta una creatura nuova, un es-
sere nuovo che non deve mai
tornare indietro. Secondo Luca,
invece, chi riceve lo Spirito Santo
non può obbedire ad altra voce
che alla sua.
Non conoscendo, infine, il
giorno esatto della discesa dello
Spirito e della nascita della
Chiesa, invece di dire che “la
Chiesa è nata nel giorno di Pen-
tecoste”, è meglio dire che “a
Pentecoste è nata la Chiesa”. Dal
punto di vista teologico, Penteco-
ste non è un giorno di 24 ore, ma
una “condizione storica” iniziata
con la risurrezione di Gesù e che
durerà fino alla fine dei tempi. Un
giorno sorto venti secoli fa e sul
quale non è ancora scesa la notte.
n
VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.18 Pagina 62
Per non tagliare
la testa al missionario
I kivari, tribù dell’Oriente equa-
toriano, sono noti per l’abilità che
hanno di mummificare le teste che
hanno tagliate. Uno di questi di-
ceva al missionario: «Io andrò
avanti. Se ti seguissi, sarei troppo
tentato di tagliarti la testa». Un
altro, mentre guidava la barca del
missionario, così gli diceva: «Sai,
nella mia collezione mi manca
una testa barbuta; con la tua potrei
fare una marmitta ed usare dei peli
della barba per formare un bel
manico».
Che significa eschimese?
Il nome «eschimese» significa
«mangiatore di carne cruda». La
tavola eschimese è ricca, ma il
pezzo preferito è, naturalmente, la
foca. Tutto in essa serve all’uomo,
persino la pelle che è mangiabile.
Come bevanda: olio, acqua,
grasso e sangue di foca.
Cammello farcito
boccone prelibato
Un boccone speciale degli
Arabi, e non sempre facilmente e
prontamente trovabile, è il cosid-
detto «cammello farcito». Esso
consiste in un cammello con den-
tro un montone che contiene un
agnellino che nel ventre ha una
gallina!
Fiori... gabbia ed esplosivi
Si tratta di una specie di orchi-
dea dei paesi tropicali con un
Curiosoma vero!
Inte
rmez
zo
lungo nome latino logoglottis per-phirophillae. Alla sera questo
fiore si chiude a forma di gabbia,
e solo il petalo superiore rimane
aperto. Se un insetto ha la malau-
gurata idea di toccarlo, il petalo si
chiude con un rumore secco che
pare un’esplosione. L’insetto resta
prigioniero tutta la notte, e la mat-
tina è lasciato libero pieno di pol-
line che andrà a depositare su altri
fiori.
Garuda, simbolo della
Thailandia e dell’Indonesia
Si tratta di un mitico uccello
(che all’aspetto ricorda l’aquila)
che ricorre spesso nelle leggende
della religione indù. Si narra in-
fatti che il dio Visnù usava caval-
care nei suoi viaggi l’uccello
Garuda. Il veloce uccello traspor-
tava il suo signore per i cieli sem-
pre al momento giusto e
direttamente dove la sua presenza
era richiesta. I Thai dicono che,
nell’ultima guerra, il Garuda, che
orna la facciata del grande palazzo
delle poste in Bangkok, fu visto
animarsi e sorvolando difendere il
palazzo dalle bombe.
SENTENZE E PROVERBI
l Un savio decide per conto suo;
un ignorante secondo il parere
degli altri.
l Se chiami un cane, non pren-
dere il bastone.
l Chi si mette in un pozzo per
guardare il cielo, non ne vede
molto.
l Colui che scherzando lancia
un’ascia è prossimo all’arrabbia-
tura.
l Far bene per dieci anni non
basta; far male per un solo giorno
è troppo.
l Chi ha le scarpe ai piedi crede
che il terreno sia fatto di cuoio.
Un vecchio aveva un capretto e un
cane. Un giorno, ritornando dal
mercato, si accorse che il grasso
contenuto in una pentola era stato
mangiato.
– Chi ha mangiato il mio
grasso? – incominciò a gridare.
Un vicino di casa, udendolo,
cercò di calmarlo: – Ti assicuro
che nessuno è entrato nella ca-
panna, all’infuori del capretto e
del cane.
Il vecchio allora si rivolse ai due:
– Sei stato tu, furfante? – chiese al
cane.
– No, padrone; non sono stato io.
– Sei stato tu, allora – disse al ca-
pretto.
– Non sono stato io – rispose que-
sto. – Ma se proprio vuoi sapere
la verità, apri quella porta.
Il vecchio l’apri e il cane ne ap-
profittò per darsela a gambe e
mettersi al sicuro dalle legnate.
Ladro è chi scappa.
63
ladro è chi scappa
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provincia civile di Brescia (Valca-
monica); si tratta perlopiù di fratelli
laici esperti nell’arte muraria, e di
solo tre professi chierici.
Precisato che di tutti essi
nell’archivio provinciale si
conservano, da loro auto-
grafati, i rispettivi atti di
incardinazione all’Ordine
cappuccino insieme alla
segnalazione della casa
dove trascorsero l’anno
di noviziato, proviamo
ad elencarli.
Ne ricordiamo alcuni.
Fr. Giacomo Taboni
da Breno (BS), Compa-gno dei cinque missionari
della terza spedizione per la
missione indotibetana.
Morto a Chandernagor (Ben-
gala) e non ricordato dai docu-
menti ufficiali perché i Compagnidei missionari al tempo non veni-
vano considerati missionari! Poteva
64
F
ra i tanti religiosi cappuc-
cini della Provincia delle
Marche dalla fine del
XVII secolo agli anni 20 del
Settecento, figura una nutrita
colonia di religiosi giuridi-
camente incardiati alla
Provincia Picena, ma
provenienti dal nord Ita-
lia, particolarmente
dalla Valcamonica.
Astraendo da altre lo-
calità del nord della
Penisola, come ad
esempio di due reli-
giosi provenienti dalla
vicina Tirano (Sondrio),
i chierici fr. Felice Naz-
zario da Tirano e Alessio
Ferrari da Tirano detto da
Jesi, nei registri di Vestizione
e Professione conservati nel-
l’archivio provinciale abbiamo
individuato almeno undici soggetti
originari della zona montana della
Fra Antonio
da Santicolo
architetto
cappuccino
di Renato Raffaele Lupi
VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.22 Pagina 64
esser qualificato come missiona-
rio solo il sacerdote. Con lui ri-
cordiamo Fr. Gio. Batta
Armannino/i da Edolo, fratello
muratore, “abile e impegnato”,
che fece nuove le camere del
convento di Ancona costruito nel
1554 e si occupò anche della rete
fognaria di quella casa religiosa,
dopo che “cinque frati, in pochi
dì” erano morti per le cattive e
venefiche esalazioni della fogna
(cf. LUDOVICO DA ANCONA ofm-
cap, Memorie storiche (1876) delconvento anconetano, c 8. I Ne-crologi di Provincia non segna-
lano la scomparsa di questo
religioso.
Ci sono, inoltre, Fr. Bartolo-
meo Tosello da Edolo, morto a
Jesi nel 1751. Fr. Angelo Maria
(Armannino/i) da Edolo, di cui
si ignora luogo e tempo di morte.
Fr. Domenico Fornarin da
Edolo (ignoto luogo e data di
morte di questo religioso). Fr.
Antonio Tosello da Edolo, che
nel 1712 venne scelto come
Compagno del Generale p. Mi-
chelangelo Bosdari da Ragusa, e,
soprattutto, Fr. Antonio Pe-
drazzi da Santicolo
Tra i fratelli muratori non se-
gnalati, va aggiunto fr. Antonio
Pedrazzi da Santicolo (BS) che al
secolo si chiamava Giacomo, fi-
glio di Bartolomeo e di donna
Caterina. Egli a 23 anni aveva la-
sciato la sua terra per farsi reli-
gioso tra i cappuccini delle
Marche.
Di lui si hanno poche notizie.
Accolto nella fraternità cappuc-
cina picena dal Provinciale p.
Michelangelo Gentile da Monte-
granaro il 17 novembre 1675, a
Cingoli, si consacrò religioso per
sempre, stesso giorno e mese del-
l’anno successivo.
Due anni orsono, incaricato co-
65
m’ero della custodia e ordina-
mento dell’archivio provinciale,
venni occasionalmente a cono-
scenza dell’esistenza di un ma-
noscritto non meglio identificato,
redatto alla fine del XVII secolo
e primo decennio del XVIII da
un cappuccino marchigiano; esso
era segnalato e conservato nella
biblioteca Oliveriana di Pesaro.
2
;
Una veloce visita alla biblioteca
pesarese, e mi trovai davanti ad
un’opera manoscritta niente af-
fatto disprezzabile riguardante
l’Architettura civile e religiosa.
Rimasi ancor più sorpreso
quando individuai l’autore del
poderoso lavoro: non era di un
celebrato religioso, ma dello sco-
nosciuto fratello laico fr. Antonio
Pagina a fronte: AutoritrattoSotto: Pianta della chiesa dei cap-puccini di Pesaro eretta nel 1656.
VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.22 Pagina 65
66
Fra Antonio da Santicolo
architetto cappuccino
da Santicolo. Provvidi alla ripro-
duzione del reperto mediante fo-
tocamera digitale, alla sua
stampa, rilegatura e confeziona-
mento in due volumi cartonati,
oggi conservati e consultabili nel
nostro archivio provinciale.
Volendo conoscere qualcosa in
più di questo religioso, rovistai
l’archivio ed ebbi la fortuna di
imbattermi in un grazioso ed
esemplare caso di “divina Prov-
videnza” del 1678, tramandatoci
dall’annalista-cronista p. Bernar-
dino Grigiolini da Jesi.
Riferisce p. Bernardino che,
due anni dopo la Professione, a
fr. Antonio, dal Ministro gene-
rale, era stato concesso di poter
tornare alla sua terra di origine
3
.
Accompagnato da fr. Ruffino da
Ascoli, nel viaggio verso i suoi
monti, fr. Antonio si incontrò con
un “generale tedesco (Lisler) lu-
terano convertito” che non esitò
a familiarizzare con i due frati
viandanti, associandoli alla sua
Compagnia.
Caduto un giorno il discorso
sul tema della divina Provvi-
denza, mediante la quale Iddio
governava il mondo e provve-
deva “con tanta abbondanza
senza alcuna provisione umana”
a quanti in lui fiduciosamente si
rivolgevano, i due religiosi rac-
contarono all’ufficiale tedesco
l’insegnamento e l’esperienza del
loro patriarca san Francesco di
Assisi. E riferirono che il Pove-
rello una volta in viaggio verso
Assisi con certi signori, giunto il
tempo di rifocillarsi, alcuni di
essi signori si misero in giro nei
paesi circonvicini per trovare e
comprare pane per tutti, ma non
ne trovarono; lo trovò invece
l’umile padre Francesco ricor-
rendo alla mensa del Signore,
bussando di porta in porta.
Ma lasciamo la parola al croni-
sta:
“Il che sentendo esso generale[c 14], se ne rise e protestò checiò non haverebbe mai creduto,perché di certo col denaro sitrova tutto. E così Dio gli fecetoccare con mano quanto con ve-rità da quei poveri laici gl’era
stato detto. Poiché, arrivati aduna certa villa, dove voleva faralto [alt ?] assieme co’ frati,diede per ciò alcune monete adun suo servitore acciò con essecomperasse il bisognevole perreficiarsi tutti. Ma, nonostantetutte le diligenze usate dal servi-tore, non poté trovare con queidenari neppure una pagnotta e,
Indice dell'opera di Fra Antonio
VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.22 Pagina 66
67
ritornato dal padrone, narròquanto gl’era accaduto, del chene restò stupefatto.
All’hora, inspirati da Dio, queipoveri frati, dissero: “Anderemonoi a cercare per amor di Dio,che forse forse troveremo qual-che cosa per il nostro bisogne-vole”.
E così fu perché, andati a cer-
care per le porte della villa, trova-rono tutto il bisognevole non soloper loro ma per il generale e lasua famiglia ancora; del che stu-pitosi non poco il generale disse:
“Oh, adesso sì che credo aquanto mi havete detto!”; e siconfermò maggiormente nellafede cattolica romana”4.
Giunto in Santicolo, fr. Anto-
nio poté certamente riabbracciare
i familiari e, soprattutto osse-
quiare e ringraziare il suo vec-
chio parroco don Quinto Ballar-
dini.
L’antica comunità cristiana
in Santicolo
In quale contesto di fede reli-
giosa nacque la vocazione alla
vita consacrata di fr. Antonio? In
tempi assai remoti a Santicolo,
sull’antica via Valeriana che sa-
liva da Edolo verso il passo del-
l’Aprica per raggiungere poi la
Valtellina, esisteva un oratorio,
luogo di accoglienza per pelle-
grini e viandanti; era dedicato a
san Giacomo apostolo. Si sa
anche che, già nel 1465, era in es-
sere la parrocchia di Santicolo vi-
sitata dal vescovo diocesano del
tempo; per ultimo è noto come la
chiesa matrice attuale, sempre
dedicata all’apostolo venerato in
Compostella, era stata eretta
nella tarda metà del XVII secolo.
Già prima della fondazione
della chiesa però, scorrendo le vi-
site pastorali dei vescovi del Cin-
quecento a quella comunità, si sa
che le testimonianze scritte met-
tono in bella evidenza la solleci-
tudine dei pastori
5
che vigilarono
sulla vita cristiana di quella co-
munità istituendovi varie confra-
ternite di mutuo soccorso, quali
quella dei Disciplini (1573), del
Santissimo Sacramento (1567) e,
più tardi, del Rosario (1700
circa).
Non va dimenticata nemmeno
la confraternita delle Sacre Reli-quie dei santi martiri Pio (Papa,
† 154) e Giustino (filosofo, †
165) nata probabilmente dopo la
metà del XVIII secolo e le cui
origini sembrano intrecciarsi in
una improbabile leggenda di due
pii e santi carbonari della monta-
gna sopra Santicolo, catturati e
uccisi da una tagliola micidiale
nascosta nel bosco per catturare
Titolo dell'opera del Santicolocon autoritratto incorniciato
VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.22 Pagina 67
della comunità di Santicolo negli
anni 1961-1986. Non solo, ma lo
stesso sacerdote afferma che la
Compagnia, forse nell’anno
1684, era stata rifondata e fornita
di un proprio Statuto manoscritto
nel quale venivano precisate le fi-
nalità della Schola e alcuni
adempimenti obbligatori per gli
iscritti. Tale Libro dal Lazzarini,
nel 1982, veniva segnalato nel-
l’archivio parrocchiale della ca-
nonica di san Giacomo e indicato
con collocazione archivistica
“Libro C, Schola dei Murari, ini-
ziato l’anno 1684, rilegato in
pelle e con le pagine numerate
fino al n. 196”.
La Schola dei Murari
È opinione di don Lazzarini
che la povertà endemica della co-
munità santicolese, nella secoda
metà del secolo XVII, aveva
spinto gli antenati dei suoi fedeli
a dedicarsi all’artigianato della
pietra e all’arte muraria. Feno-
68
cervi o camosci. Certa risulta in-
vece la grande devozione che nu-
trivano i santicolesi per i due
santi martiri dell’era cristiana, la
cui intercessione nel 1758 aveva
scongiurato un’epidemia di be-
stiame e per questo prodigio era
stata istituita una solennissima
festività (16 agosto) per onorare i
due santi “fedelissimi avvocati”
6
.
Anche questa Schola conserva
nell’archivio parrocchiale di San
Giacomo i suoi registri di rendi-
condazione di cassa.
Intorno agli anni cinquanta del
XVII secolo era nata in Santicolo
anche la Compagnia o Schola deiMurari, confraternita che racco-
glieva numerosi artigiani, inta-
gliatori, scalpellini e muratori di
quella piccola comunità mon-
tana; notizia fornitaci da don Da-
niele Lazzarini parroco emerito
Fra Antonio da Santicolo
architetto cappuccino
meno che determinò la nascita
della corporazione o Schola deiMurari.
Ho percorso l’incantevole e
spettacolare Valcamonica verso i
monti fino ad Edolo con la cer-
tezza di mettere gli occhi sul re-
gistro della Schola dei Murariconservato nella parrocchiale di
San Giacomo in Santicolo, ma
anche con la segreta speranza di
poter catturare dai registri di Bat-
tesimo, Matrimoni o Defunti
qualche notizia rigurdante la fa-
miglia o la persona dello scono-
sciuto architetto cappuccino fr.
Antonio. Mi son dovuto accon-
tentare, invece, di prendere in
mano, ammirare e consultare
l’interessante manoscritto della
Schola (1684), essendo gli altri
registri parrocchiali di molto suc-
cessivi alla fascia temporale della
mia ricerca.
Passando al Ms oggetto della
mia curiosità, debbo subito pre-
cisare che dei tre libri che tratta-
vano fin dalle origini della
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69
dazzi, prima di entrare al novi-
ziato nel nostro convento di Cin-
goli (1775), fosse iscritto come
membro effettivo della Compa-
gnia dei Murari di Santicolo.
Non rimane che porci pr un at-
timo davanti al Ms lasciatoci da
fr. Antonio.
L’Opera di Fra Antonio
Fr. Antonio è dunque autore di
un volume manoscritto (formato
extra 40x37 circa) rilegato in
carta pecorina, intitolato Del-l’Architettura civile di fr. Antonioda Santicolo Bresciano Capuc-cino, diviso in sei Libri. Nel-
l’opera sono segnalate le date di
inizio (1694, titolo di apertura, p.
3) e della fine della stesura di
esso (Pesaro, 4 novembre 1705,
p. 342). Esso consta di 347 pa-
gine scritte ante et retro (per un
errore dell’autore però la pagina-
zione originaria da 169 passa a
180, senza tuttavia interrompere
o variarne il contenuto). Vi appa-
Schola dei Murari di Santicolo,
solo il libro C è giunto sino a noi;
mancano i due libri A e B. Al re-
gistro B, del quale si conserva un
solo fascicolo accorpato alle
prime pagine del libro C, fa qual-
che volta riferimento lo stesso
libro C.
Contrariamente a quanto mi
sarei aspettato, non ho trovato
nel manoscritto elenchi di iscritti
alla Schola, nomi di presidenti,
consiglieri e segretari, obblighi a
carattere civile o ecclesiale, con-
vocazioni assembleari o verbali
di riunioni. Vi ho letto invece una
puntuale sequenza di prelievi e
versamenti in denaro che agli
iscritti alla Schola venivano dati
al tasso dell’uno per cento e ai
non iscritti veniva applicato un
interesse del cinque per cento,
secondo le disposizioni ecclesia-
stiche del tempo
7
.
Nell’anteporta del Ms residuo,
a firma del parroco don Pietro
Antonio Quadrubbi, è riportato
l’atto di ricostituzione di quella
Compagnia “instituita da molti
anni...”; probabilmente intorno
agli anni cinquanta del Seicento.
Dispensandoci di indugiare
nella descrizione dell’antico ma-
noscritto sui Murari, segnaliamo
solo che in esso spesso ci siamo
trovati davanti personaggi con il
cognome Pedrazzi
10
: forse erano
parenti del nostro fr. Antonio, ma
nulla ci autorizza a formulare
ipotesi alcuna data la larga diffu-
sione del toponimo Pedrazzi;
anche se gli anni erano quelli ap-
pena seguenti dell’avvento di
Giacomo Pedrazzi di Bartolomeo
(fr. Antonio) nella Marca per
farsi cappuccino. Potremmo in-
vece affermare, come quasi
certo, che lo stesso Giacomo Pre-
Porticato corinzio del Santicolo
VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.22 Pagina 69
70
Dicono che avesse più di150 anni, che non è poiun’età eccessiva per un
platano come quello cadutoqualche settimana fa sulla col-lina del Bülbül Dağ (montagnadell’usignolo), accanto allaporta laterale di Meryem AnaEvi, la casa di Maria, un piccolosantuario alto sulla collina sud-occidentale dell’antica Efeso, inTurchia.
E’ caduto di notte, così nes-suno sa dire se è vero che “un al-bero che cade fa più rumore diuna foresta che cresce”: nessuno
Il platano di Meryem Ana
di Egdo
iono moltissimi disegni e tavole
in b/n, effettuati con inchiostro di
china, schizzi, disegni classici,
piante di ville, palazzi, templi,
facciate di basiliche e ville, scali-
nate, sezioni di interni ed esterni,
prospettive, calcoli matematici.
Opera che, fino ad oggi del
tutto sconosciuta, a nostro giudi-
zio meriterebbe di essere studiata
con maggiore attenzione, dopo
l’improba sua fatica della trascri-
zione del testo autografo di non
sempre facile lettura.
Ciò consentirebbe un giudizio
più esteso di questo lavoro che
meriterebbe anch’esso di essere
iscritto, a “pieno titolo”, nella
storia dell’architettura cappuc-
cina, e non solo, che andava svi-
luppandosi nel periodo storico
della massima espansione del-
l’Ordine cappuccino.
1
Fermo, archivio provinciale
cappuccini Piceni, Cod. Prof. 05,
pag. 36.
2
Ms in folio di pagine 348 con
innumerevoli disegni tecnici e
planimetrie a china; collocazione
archivistica: Mss, n. 1173.
3
Mi ha sfiorato l’idea che fr.
Antonio, essendo muratore ben
noto al suo parroco di Santicolo
don Quinto Ballardini a quel
tempo quasi certamente alle
prese con la costruzione della
chiesa parrocchiale (eretta nel
“tardo Seicento” e della quale
non esiste alcuna traccia docu-
mentale), potesse essere stato ri-
chiesto da don Quinto ai
Superiori dell’Ordine perché il
muratore cappuccino di Santi-
colo avesse potuto dare una
mano nella costruzione della par-
rocchiale del suo paese di ori-
gine. Da ricerche effettuate in
AGO (Obbedienze, Atti del Ca-pitolo generale 1678), non si è
venuti però a capo di nulla!
4
Cf. I Cappuccini della Marca,
Ancona 2004, a cura di P. RENATO
RAFFAELE LUPI, FD,II, 86, p. Ber-
nardino Grigiolini da Jesi fu an-
nalista-cronista provinciale dal
1697 al 1720c.
5
Ricordate, nell’Enciclopedia
bresciana di ANTONIO mons FAP-
PANI, vol. XVI, ed. La Voce delPopolo, Brescia 2000, voce San-ticolo (266), le visite pastorali dei
vescovi G. Pandolfi nel 1562,
Bollani nel 1567, di san Carlo
Borromeo nel 1580 e di G. F.
Morosini nel 1593.
6
Cf. ANTONIO mons. FAPPANI,
Santicolo, 270.
7
L’accensione di un prestito
dai fondi della Schola normal-
mente era registrato con la nor-
male dicitura: “per il presente
scrittto quale habbia forza di pub-
blico e legale istrumento, si di-
chiara come il signor NN riceve
dalla Compagnia delli Murari, ra-
presentata dal Massaro NN no-
minatamente, lire..., all’interesse
del 5 per cento ogni anno; se non
paga lui pagheranno gli eredi”
(Santicolo, Archivio parroc-
chiale, Libro C, Schola dei Mu-rari, c. 104v, 4, dicembre 1718).
n
Fra Antonio da Santicolo
architetto cappuccino
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71
ha visto, nessuno ha sentitonulla. Eppure tra i rami era ap-pesa la campana che annunciavale liturgie che i Frati cappucciniorganizzano al santuario per ipellegrini provenienti da ogniparte del mondo e che amavanofarsi fotografare all’ombra dellasua rinfrescante solitudine.
C’è da credere che abbia man-dato qualche rintocco, dilatatodal silenzio della notte. Ma nes-suno ha sentito nulla.
Era nato e cresciuto sponta-neamente, irrigato dall’acquache Caterina Emmerick “vide”allorché descrisse minuziosa-mente la casa costruita dal “di-scepolo che Gesù amava” per laMadre che gli era stata affidatasul Calvario. “Nella stanza cisono pietre annerite e fuliggineindurita, accanto alla qualesgorga una sorgente”, dettò laveggente al confessore ClemensBrentano. Ed era la stessa sor-gente a cui bevvero avidamenteP. Eugène Paulin e P. Henry
Ioung, i due Lazzaristi che nel1891, grazie alla descrizione diuna donna che non si era mai al-lontanata dal suo paese, fecerola sensazionale scoperta.
Era luglio, e i due esa-sperati pellegrini (avevano ac-cettato di fare le ricerche dellacasa di Meryem per smentire unavolta per sempre le strane affer-mazioni della Emmerick, cui cre-deva invece Suor Marie Mandatde Grancey, che li aveva pregatidi salire sul colle) chiesero dabere a un gruppo di donne arsedi sole e curve sulla solitudinegialla delle stoppie, che li invia-rono a Panaghià Kapoulu, laporta della Tuttasanta. La sor-gente era lì, piccola, quasi invi-sibile nel suo pudico tremore,come componente necessaria diogni santuario della Vergine, chefa dell’acqua la sua limpida in-segna.
Il platano se n’è nutrito per unsecolo e mezzo, alzando nel cielorami irrequieti di luce; poi ha ce-
duto, cadendo proprio dove untempo la sorgente tesseva untreccia silenziosa, allagata diluna. Ora che non c’è più, tuttopare più triste: l’altro platanoche protegge l’ingresso princi-pale del santuario; gli ulivi cheombreggiano gli ultimi metri delsentiero che vi porta i pellegrini;la stessa statua della Madonnache al mattino si veste di luce alsole che sorge senza raggi oltre imonti d’Anatolia, terra lontana ecorsa da vagabonde fragranze.
I Frati lo terranno come unareliquia, sull’esempio dei pelle-grini che ne staccavano scheggedi corteccia infilate nello zaino.Compresi quelli musulmani, per-ché Meryem Ana è anche il lorosantuario. In nessun altro luogoal mondo, infatti, cristiani e mu-sulmani pregano abitualmenteinsieme come qui, alla luce dellecandele infilate nella sabbia delcandelabro che stenta a reggerletutte.
VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.22 Pagina 71
72
A
lla fine di marzo si è te-
nuto a Parakou (Bénin)
un Forum per discutere
la situazione dei bambini accu-
sati di stregoneria, e per questo
eliminati al momento della na-
scita o subito dopo, fenomeno
piuttosto diffuso tra alcune tribù
del nord del piccolo Paese afri-
cano.
L’organizzazione del Forum è
stata curata dai tre Ordini Fran-
cescani e da alcune congrega-
zioni che fanno riferimento allo
spirito di S. Francesco. Nel
Bénin esse sono una decina tra i
98 istituti (26 maschili e 72 fem-
minili) presenti nel Paese, e
hanno scelto un’attività decisa-
mente unica, perché affronta un
problema che, pur interessando
anche altri Paesi africani, qui ha
proporzioni preoccupanti rispetto
alla superficie della nazione (113
Forumsui
bambini “sorciers”
Bénin
VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.22 Pagina 72
73mila kmq) e al numero degli abi-
tanti (poco più di 7 milioni).
Da anni esse sono impegnate
non solo a sensibilizzare il Paese
su un problema così grave, ma
anche a correre letteralmente da
una capanna all’altra per salvare
la vita di piccoli destinati a una
macabra eliminazione o perché
nati in modo anomalo (posizione
podalica) o con qualche difetto
fisico (labbro leporino) e per que-
sto accusati di possibili danni che
possono colpire non solo la loro
famiglia, ma anche l’intero vil-
laggio.
Il fenomeno si verifica soprat-
tutto nel Nord del Paese, nei Di-
partimenti dell’Atacora e del
Borgou, dove vivono i Bariba,
una tribù di circa un milione di
persone, dedita principalmente
all’agricoltura. Sono loro, infatti,
insieme ai Peul, che, temendo
supposti malefìci da parte di tali
bambini, ne uccidono almeno il
60%. I pochi che riescono a sal-
varsi porteranno sempre con loro
il marchio che ne determinerà
l’isolamento e il rifiuto.
Il primo a interessarsi di questo
problema angoscioso è stato il
sacerdote P. Bio Sanou, di Nati-
tingou, che per oltre 40 anni ha
fatto il possibile per fermare il
massacro di tanti neonati. L’età lo
ha costretto a passare il testimone
ad altri, lieto che ci siano anime
generose disposte a tutto pur di
impedire una tradizione che da
secoli popola il cielo di angeli in
nome di un ingiustificato pregiu-
dizio.
Dividendosi i compiti, i reli-
giosi hanno iniziato una vasta
campagna per far capire agli in-
teressati la gravità del loro com-
portamento, indispettiti, tuttavia,
che qualcuno “osi” intromettersi
nelle loro tradizioni ancestrali
chiedendo di risparmiare la vita a
chi, secondo loro, è una spada
pronta a colpire. “La fatica è im-
mane - ha detto il coordinatore
dell’iniziativa Frère Auguste
Agounkpé, cappuccino - anche
perché non troviamo appoggio né
nelle autorità nazionali né in
quelle del luogo. Tutti sanno, tutti
promettono, ma nessuno inter-
viene”.
Nonostante tutto, suor Made-
leine Koty, della Congregazione
delle Figlie di P. Pio (fondata nel
1995 dall’Abbé Gilbert Dagnon),
ha detto che “è stato ottenuto
qualche piccolo successo, ma
pressoché insignificante perché
ci si possa accontentare.”
Parakou, Bénin - Tavolo dellapresidenza durante il Forum e(foto in alto) Monsieur KotoYarou, re di Péréré
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74
La suora ha ragione, visto che,
in cinque anni di attività, sono
stati salvati soltanto una ventina
bambini: un successo se si pensa
al valore della vita, una sconfitta
rispetto al numero di quelli che
nel frattempo sono morti per
mano di disumani esecutori.
Per ottenere qualcosa di più,
essi hanno organizzato il Forum,
cui hanno partecipato alte perso-
nalità dello Stato, come il Prof.
Albert Tevoedjre, médiateur de la
République, cioè la seconda au-
torità del governo; Madame Gi-
sèle Zinkpé, delegata dal
Ministro della Giustizia; mon-
sieur Lafia Boko, sindaco di Pé-
réré; il vice sindaco di Parakou;
due rappresentanti dell’amba-
Forum sui bambini “sorciers”
sciatore della Francia; monsieur
Koto Yarou, re di Péréré; il
capo delle terre di Parakou (fi-
gura di alto rilievo nella società
beninese); i vescovi di N’Dalì e
Parakou; Père Bio Sanou; il frate
cappuccino Frère Auguste
Agounkpé e Soeur Madeleine,
che tre anni fa hanno denunciato
il fatto all’Onu, e oltre un centi-
naio di persone interessate al pro-
blema.
“Una tale tradizione - è stato
detto con riferimento ai bambini
“sorciers” - non solo è radicata da
secoli nell’ambito di alcuni clan,
ma è giustificata con motivazioni
assurde. All’orrore che la sop-
pressione dei piccoli provoca per
Parakou Bénin - L’Abbe P. BioSanou, di Natitingou, il primoche si è interessato del problemadei bambini “stregoni”
VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.22 Pagina 74
75il modo con cui avviene, si unisce
così uno sfrontato disinteresse per
la vita, inconcepibile in tribù che,
invece di preoccuparsi di crescere
di numero, come fanno tutte, uc-
cidono gli uomini di domani”.
Particolarmente interessato al
problema sembra sia stato il Prof.
Albert Tevoedjre, che ha chiesto
di parlare privatamente con i re e
il capo delle terre di Parakou, con
cui ha studiato un piano per un
intervento immediato per sradi-
care una tradizione che, oltre a di-
sonorare la nazione, macchia i
responsabili di colpe socialmente
e moralmente ignominiose, col-
pevolizzando le creature più fra-
gili della società. Egli ha poi
promesso che il prossimo Forum
sarà organizzato dal governo e a
livello nazionale, “perché vo-
gliamo liberarci una buona volta
da colpe così disonoranti”.
L’organizzazione gli ha fatto
eco dicendo che è assurdo legitti-
mare una cattiveria del genere
con la tradizione, ma che va com-
battuta lanciando slogan brevi ma
efficaci, come: “il bambino stre-
gone non esiste”; “salvare un
bambino è valorizzare la vita”;
“cambiare le tradizioni non è un
segno di debolezza”; ma soprat-
tutto agendo sui re, sui capi vil-
laggio, su quanti possono
arginare, anche con la forza,
l’abominevole strage.
È stato inoltre proposto di fare
dell’infanticidio uno dei temi del
Festival culturale “Baatonou”, af-
fidando agli attori il compito di
sensibilizzare il pubblico per far
capire che cosa avviene in alcune
zone del Paese. Ultima proposta,
fare il possibile perché sia propo-
sta e votata una legge contro l’in-
fanticidio, affidandone la stesura
e il controllo della sua applica-
zione a qualche deputato del
nord, la zona più responsabile del
crimine.
Da parte loro, decisi ad andare
fino in fondo, gli Istituti hanno in-
viato e invieranno ancora Frère
Auguste e Soeur Madeleine Koty
a denunciare l’infanticidio al-
l’Onu tramite il Franciscan Inter-
national, un’istituzione promossa
dalle Famiglie Francescane per
segnalare soprusi e malversazioni
nei confronti dei poveri, indi-
cando possibili soluzioni. La loro
denuncia suscitò stupore e incre-
dulità nei delegati e piovvero pro-
messe di intervento da varie parti,
soprattutto da quella francese, ma
in realtà la situazione è rimasta al
Parakou Bénin - Frère AugusteAgounkpé e Soeur MadeleineKoty, che hanno denunciato il fe-nomeno dei bambini”stregoni”all’Onu di Ginevra
VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.22 Pagina 75
76
punto di partenza: nessuno vuole
inimicarsi le autorità locali che,
purtroppo, sanno e non interven-
gono. Gli istituti promotori deb-
bono così muoversi con i propri
mezzi e opporsi da soli a una re-
altà che li supera in tutti i sensi e
per la quale non hanno possibilità
sufficienti per agire se non avvi-
cinare delicatamente le famiglie
interessate, con i risultati già
detti.
“Non ci fermeremo finché non
avremo raggiunto lo scopo per
cui ci siamo mossi - dice Frère
Auguste - perché non è possibile
che in un Paese in cui, grazie a
Dio, la gente non muore di fame,
si debba morire per convinzioni
così ingiuste. Ci conforta sapere
che il vescovo di N’Dali, mons.
Martin Amahoumi Adjou, condi-
vide il nostro pensiero e mette al
sicuro, in una casa per bambini
abbandonati (altra piaga del no-
stro Paese), anche alcuni “enfants
sorciers”. Come figli di S. Fran-
cesco, ci ha detto, dovete vivere e
manifestare a tutti la sua spiritua-
lità. Se la vostra presenza è ano-
nima, non sarete né sale né luce;
se, invece, sarà operativa, illumi-
nerà tutti”.
Anche i bariba e i peul? È
quanto i Francescani si augurano
per poter salvare tanti innocenti.
Forum sui bambini “sorciers”
C
on gioia vi comuni-
chiamo l’erezione ca-
nonica del nostro
monastero, avvenuta il 17 feb-
braio scorso, e la celebrazione
del primo capitolo elettivo che
ha avuto luogo l’8 giugno. Una
grande grazia è stata la presenza
di madre Serena del Monastero di
Mercatello, che ci ha tanto consi-
gliato e aiutato. Tutto è avvenuto
in un clima di pace, di unità e di
gioia. La prima badessa del mo-
nastero beninese è suor Maria
Paola Perotti, vicaria suor Maria
Maddalena Lovison e consigliera
suor Maria Nathalie.
In breve, pensando di farvi pia-
cere, vi raccontiamo il cammino
di questi anni.
L’avventura della nostra mis-
sione comincia il 13 agosto del
1993, 750° della nascita di S.
Chiara, giorno in cui abbiamo toc-
cato il suolo di questa terra bene-
detta che il Signore ci ha donato.
I primi anni a Cotonou non
sono stati sempre facili: il clima
e la malaria hanno decimato il
piccolo gruppo italiano: delle
cinque arrivate siamo restate in
tre. Nonostante le difficoltà, o
forse proprio grazie ad esse, si vi-
veva un forte clima di famiglia,
facendo insieme tutti i lavori:
orto, cucina, preghiera.
La nostra forza era la Presenza
Eucaristica e le ore che passa-
vamo in adorazione in una cella
che avevamo adibito a piccola
cappella.
Intanto i missionari che ci ave-
vano invitato ci hanno fatto visi-
tare varie parti del paese perché
ci rendessimo conto della situa-
zione di povertà e del bisogno di
evangelizzazione. Essi ci hanno
sempre sostenuto e aiutato sia dal
punto di vista spirituale che ma-
teriale.
Autonomoil monastero
delle Monachecappuccine di
Zinvié
Bénin
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77
Nella chiesa locale essi cele-
bravano la liturgia delle Ore
(Lodi e Vespri) con il popolo; per
questo all’inizio ci siamo inserite
in questa realtà senza cambiare
nulla. Sin dall’arrivo la gente ci
ha apprezzato e ha partecipato
numerosa alle varie iniziative di
preghiera.
Con l’arrivo di suor Nathalie e
suor Myriam nel 1996, la comu-
nità ha avuto una forma più sta-
bile con un orario ben definito di
preghiera e di lavoro.
Molte erano le giovani che si
avvicinavano per conoscerci e al-
cune hanno iniziato un cammino
di aspirantato: la prima è stata
suor Véronique, oggi professa
solenne. Nel tempo altre l’hanno
seguita e oggi la Fraternità è com-
posta da 4 sorelle italiane, 2 so-
relle beninesi professe perpetue e
quattro di professione tempora-
nea; una novizia del Burkina Faso
e tre postulanti locali.
In questa relazione non pos-
siamo non ricordate con emo-
zione tutto l’aiuto e il sostegno
donatoci dalla cara Madre Mar-
gherita, e di altre sorelle che da
Mercatello sono venute ad aiu-
tarci e incoraggiarci in questo
cammino non sempre facile, ma
che è andato avanti grazie a Qual-
cuno che ci ha dato la mano.
Purtroppo la rapida avanzata
del mare, presso il quale si tro-
vava la nostra casa, ci ha costretto
ha scegliere un altro terreno più
sicuro dove costruire. Lasciare la
realtà di Cotonou, con tutto
l’amore della gente che ci attor-
niava, non è stato facile, ma oggi
possiamo solo benedire il Signore
per questa nuova terra che ci ha
preparato. A Zinvier, dove ci tro-
viamo ora, c’è un clima più fa-
vorevole alla nostra vita di
preghiera e di contemplazione;
inoltre abbiamo potuto impostare
la liturgia in modo più conforme
al nostro stile monastico. Pre-
ghiera arricchita anche dalla par-
tecipazione di persone e religiosi
che vengono per i ritiri e per gior-
nate di ristoro.
Anche per la formazione ci
siamo ben organizzate e abbiamo
fatto un bel cammino, suddivi-
dendoci i compiti legati alle varie
tappe, formazione affidata in
parte ai padri cappuccini e a corsi
sia comunitari che esterni.
Guardando nell’insieme questo
cammino, non possiamo fare
altro che ringraziare il Signore
per come ci ha condotto e per
tutte le persone che ci ha messo
accanto. Affidiamo a Lui questa
nuova pagina della nostra storia,
fiduciose nella Sua Divina Prov-
videnza.
Vogliamo terminare con un
pensiero particolare alla nostra
madre Margherita che conti-
nuiamo a sentire presente nella
vita comunitaria e in tanti avve-
nimenti; dal Cielo continui que-
sta sua assistenza e che un giorno
ci accolga accanto a Lei nella Di-
mora Eterna.
A voi chiediamo un ricordo
nella preghiera perché questa
pianticella di Santa Chiara cresca
nella testimonianza e nello spirito
del nostro carisma. Grazie a tutti
per il vostro sostegno.
Le sorelle Clarisse Cappuccine di Zinvié
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condato da occhi che ti guardano
con curiosità, dolcezza ed affetto.
E tu pensi : “Che cosa si aspette-
ranno da me? Da dove nascono
questi intensi sentimenti?”
Camminavo in uno dei primi
villaggi che abbiamo visitato,
Bukama, e una bimba dolcissima
passeggiava al mio fianco. Con
una mano stringeva la mia e con
l’altra l’accarezzava. E sorrideva,
anzi, rideva quando mi voltavo a
guardarla.
Accanto a me, c’era un dottore
del posto e – su mio sollecito – le
ha chiesto in wolaytigno come
mai ridesse così. Lei ha risposto
che era felice di camminarmi a
fianco, era felice che io fossi lì.
Cosa facevo? Nulla.
Le stavo dando la mano, le fa-
cevo sentire che c’ero e di tanto
in tanto le sorridevo. Neppure sa-
pevo la sua età, la sua storia.
Cercavo di darle affetto e in
cuor mio, intimamente, pregavo
perché tanta bontà d’animo, tanta
purezza e bellezza non venissero
scalfite dagli orrori di una po-
vertà, di una lotta alla sopravvi-
venza che non conoscono
dignità, rispetto per sé e per gli
altri, ritegno.
Mi guardavo attorno ed in
quella fiumana di persone, ve-
devo bimbe di 6 o 7 anni che ave-
vano in braccio il fratellino di 1
o 2 anni e lo accudivano con un
senso materno, una maturità ed
una sicurezza che credevo im-
possibili per una bimba così pic-
cola e che a volte non vediamo
neanche in una donna di 35 anni
oggigiorno. Vedevo donne dal
viso affaticato, con taniche piene
d’acqua sulla spalle o ceste di
frutta in testa che si concedevano
una pausa durante il lungo cam-
mino che le conduceva al mer-
cato “più vicino”.
78
‘‘F
oreng, foreng” gri-
dano a bocca aperta
sorridendo quando
ti vedono passare in macchina.
Qualsiasi cosa stiano facendo, la
interrompono. In quel momento
il loro mondo si ferma.
I più piccoli iniziano a saltellare
agitando le loro gambette per av-
vicinarsi alla strada; i più grandi-
celli corrono instancabilmente a
piedi nudi per raggiungerci. Non-
curanti delle taniche e dei pesi
sulle loro spalle, tutti sollevano la
mano salutando. E sorridono. Sor-
ridono al vederci. Sorridono an-
cora di più se solo noi ricambiamo
il saluto dal finestrino.
È un urlo di gioia, di festa. Per
un semplice saluto, per un mero
gesto.
Se poi ti fermi e scendi, ti trovi
circondato da mani che ti toccano,
che cercano la tua per stringerla,
accarezzarla, baciarla. Ti trovi cir-
FORENG,FORENG
Dal Wolaita, Etiopia
di Luana
VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.23 Pagina 78
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Vedevo bambini che si vanta-
vano, con sguardo fiero e soddi-
sfatto, coi loro amici solo perché
stringevano la mano di un fo-
reng; altri (mezzo nudi) appena
in grado di mantenersi in equili-
brio che si univano alla festa e al-
l’entusiasmo senza neanche
capire cosa stesse succedendo.
Vedevo una natura secca, una
terra bisognosa d’acqua, mucche
magrissime, asini con pesi im-
pensabili da portare.
E polvere.
Tutto questo in una camminata
di venti minuti.
Risaliamo in macchina e i no-
stri amici sono fermi lì, immobili
che ci guardano e ci accompa-
gnano nella nostra dipartita come
a volte si fa ancora da noi salu-
tando un ospite caro che ci è ve-
nuto a far visita.
Hai ancora in testa i loro volti
quando, solo dopo pochi km –
senza neanche aver avuto tempo e
modo per fissarli – i tuoi sensi
sono rapiti da altri occhi che guar-
dano, altre mani che si agitano per
salutare, altre bocche aperte per
chiamare e sorridere, altri piedi
che alzano polvere in una corsa
che ogni volta ti interroga.
Attraversando quelle distese di
terra arida, quelle piantagioni di
banano e caffè, quegli alberi con
radici immense e chiome larghe e
piatte per dare riparo dal sole, quei
rari tratti di asfalto che interrom-
pono le numerose stradine fatte di
buche e massi, di terra rossa e
crepe… puoi solo stare in silenzio.
Un silenzio che guarisce. Un si-
lenzio che è prezioso oggi.
Scende la sera, ma le strade
non si svuotano. Sebbene non vi
siano luci, si vedono gruppi di
persone (maggiormente donne)
che camminano ancora, senza
sosta e senza apparente stan-
chezza. Non si tolgono a volte
finché non suoni, un po’ come le
Soddo, Wolaita - EtiopiaLuana con un bambino del luogo
VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.23 Pagina 79
L’assistenza medica è davvero
per pochi e non solo per man-
canza di strutture e personale, ma
anche per cultura. Durante la vi-
sita nell’ ospedale di Dubbo, una
delle strutture più organizzate
della regione, un dottore ci ha
guidato tra i vari reparti. Oltre a
parlare di malaria e di problemi
legati alla malnutrizione, ad infe-
zioni varie dovute a mancanza di
igiene, di acqua ed alla tanta pol-
vere, ci ha raccontato un episodio
che credo sia rappresentativo.
Qualche giorno prima della no-
stra visita erano riusciti a salvare
la vita ad una ragazza incinta, la
cui gravidanza non era andata a
buon fine. Per quattro giorni que-
sta povera donna ha avuto il feto
morto nel canale dell’utero poi-
ché il marito le proibiva di la-
sciare la casa ed i lavori
domestici per andarsi a curare.
È una terra da educare l’Etio-
pia. Da educare con lungimi-
ranza, dando a queste persone gli
strumenti per il domani, non per
l’immediato. Di caramelle ne
hanno ricevute troppe.
E troppe volte hanno cono-
sciuto delle forme di aiuto che
non guardano alla dignità del-
l’essere umano e non concorrono
al consolidamento di tale valore,
che è invece essenziale.
Ho sperimentato sulla mia
pelle durante questo soggiorno
quanto povertà e fame mettano
da parte qualsiasi senso del giu-
sto, qualsiasi pudore, rispetto per
se stessi e per gli altri.
Non è stato facile accettare
questa realtà.
Non è facile capire
un’altra mentalità
Non è indolore sbattere contro
la mentalità di chi ti guarda e
mucche : in fin dei conti la strada
è loro. Sono loro il popolo in si-
lenzioso e costante cammino.
I bambini affrontano un cam-
mino anche di 2/3 ore prima di
arrivare a scuola. A volte arri-
vano tardi perché purtroppo
l’istruzione non è ancora vista e
vissuta come priorità per loro.
Prima ci sono i mestieri di casa,
ci sono gli animali da accudire
e... poi si può andare a scuola.
Tuttavia quando riescono ad an-
dare, ci è stato detto che non di-
stolgono mai lo sguardo dalla
lavagna e non si lasciano sfuggire
una sola parola dell’ insegnante;
non assistono passivamente alle
lezioni aspettando che arrivi il
papà o la mamma a riprenderli to-
gliendo lo zainetto dalle spalle.
Stanno a scuola ed appren-
dono, con concentrazione.
Hanno così tanta voglia di im-
parare, una sete così grande di
conoscenza che a volte devono
essere invitati ripetutamente dai
maestri ad andarsene la sera.
Quanto avrebbero da insegnare
ai nostri bimbi!
La prima volta che ho visitato
la scuola a Soddo, sono rimasta
sorpresa, esterrefatta nel vedere
la loro disciplina, la loro atten-
zione. Bellissimi nelle loro uni-
formi, seduti nelle panche di
legno l’uno vicinissimo all’altro,
con le loro penne ed i loro qua-
derni. Sessanta o settanta volti al-
zati verso la lavagna, vogliosi di
imparare, conoscere, apprendere
con la speranza di dare ed avere
un futuro migliore.
Scuole e ospedali sono il vero
pane del popolo etiope… se solo
ne potessero avere di più!
80
“FORENG, FORENG”
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vede in te il bianco che ha tutto e
non ha tempo di pensare se sei lì
per aiutare o per viziare, se sei lì
perché anche tu vuoi che quella
fame e quella povertà siano
ascoltate.
A maggior ragione oggi, in
virtù di ciò che ho sperimentato,
posso dire quanto sia necessario,
importante e vitale da un lato cor-
reggere in loco certi atteggia-
menti con l’istruzione e la
sensibilizzazione verso certi temi,
dall’altro tra noi foreng appren-
dere con umiltà come aiutare ri-
spettando la dignità dell’essere
umano e della creatura di Dio, in-
terrogarsi per capire se certi aiuti
siano educativi e guardare so-
prattutto al di là della mera sen-
sazione di benessere che si prova
“aiutando”.
Sicuramente la mia prospettiva
è diversa, ora. E ne sono ricono-
scente e grata al Signore e ai servi
di Dio conosciuti qui presso le
Missioni dei Cappuccini e là in
Etiopia.
La mia testimonianza ci sarà,
sincera e sentita.
Non dimenticherò certi occhi,
certe immagini, certi odori.
Quei bambini che ho visto,
pieni di mosche, scalzi, sporchi,
ma sorridenti, hanno il diritto di
crescere senza il peso della fame
da sopportare, delle malattie non
curate, hanno il diritto di andare
a scuola e di avere gli strumenti
per poter fare della loro vita un
sogno.
Nel mio piccolo, io li aiuterò.
VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.23 Pagina 81
82 ci avevano rese partecipi di un
impegno nei confronti della po-
polazione etiopica che è, prima di
tutto, educativo, e che, poi, si tra-
duce in opere fondamentali per lo
sviluppo umano e sociale.
Finalmente è arrivato il giorno
della partenza e, dopo un lungo
viaggio, siamo giunte nella mis-
sione di Konto (Soddo).
Da casa avevamo pensato alla
realtà missionaria dei frati cap-
puccini in Etiopia in un modo to-
talmente diverso da quello che
abbiamo riscontrato. Di racconti
ne avevamo sentiti tanti, da parte
di chi, prima di noi, aveva avuto
modo di partire per lo stesso
viaggio, ma, inutile dirlo, vedere
personalmente la realtà missio-
naria, è un’altra cosa.
Non credevamo ci fosse tanta
povertà, non potevamo immagi-
nare che, nel 2012, esistessero
ancora famiglie che vivono in
tucul o in case di terra e paglia,
condividendo gli ambienti con
quegli animali che sono indi-
spensabili al sostentamento fami-
liare. Passando con le Jeep, è
stato impossibile non notare le
lunghe code per attingere l’acqua
alle rarissime fonti e le persone
di ogni età che a piedi percorre-
vano lunghi tratti di strada a qual-
siasi ora, senza preoccuparsi del
buio o del caldo, e spesso cariche
di taniche o di prodotti da mer-
cato.
Nella missione di Konto ab-
biamo avuto modo di visitare la
Scuola Arti e Mestieri, un impor-
tante centro di istituzione che tra-
smette a ragazzi e a ragazze di età
superiore ai 15 anni una profes-
sionalità (è possibile imparare a
fare il meccanico, a lavorare il
legno e il ferro), e la Scuola per i
bambini, a partire dalla prima
classe. Di scuole ne abbiamo
L
o scorso 2 gennaio, con i
buoni propositi per il
nuovo anno ancora vi-
vissimi nel cuore, riceviamo la
tanto attesa telefonata: «Si parte a
fine Febbraio, intorno al 25». Da
quel giorno non abbiamo smesso,
neppure un momento, di pensare
a come vivere al meglio l’espe-
rienza che ci stava aspettando.
Dovevamo fare in modo che
fosse per noi indimenticabile,
speciale, unica. Solo una volta
giunte in Africa, quando abbiamo
iniziato a visitare le missioni, ci
siamo rese conto che quell’espe-
rienza sarebbe stata per noi co-
munque indimenticabile, e che,
in ogni caso, anche se fossimo
partite senza tanta preoccupa-
zione di vivere tutto al massimo,
sarebbe stato uno degli eventi più
significativi della nostra vita.
I tanti incontri di preparazione
vissuti insieme ai Frati di Loreto
L’ Etiopianel cuore
di Chiara e Francesca
VOCE 2 2012 Fabio_Voce New 08/05/12 12.23 Pagina 82
83
viste tante: a Soddo, a Dubbo, a
Bukama, a Humbo e a Pegaka. In
ognuna di esse, a colpirci sono
stati gli stessi elementi: la nume-
rosità delle classi, e l’attenzione e
la voglia di apprendere dei bam-
bini. Il confronto con il nostro
Paese è subito scattato – siamo
entrambe figlie di insegnanti – e
abbiamo immediatamente pen-
sato ai racconti delle nostre
mamme, e a quanto la scuola, in
Etiopia, sia percepita dalla popo-
lazione come un bene non neces-
sario, il che la investe
automaticamente di una enorme
importanza. I bambini che pos-
sono frequentare le lezioni costi-
tuiscono una classe privilegiata
rispetto alla maggioranza e cer-
cano di apprendere quanto più
possibile impegnandosi al mas-
simo.
Per l’ambito ospedaliero, ab-
biamo visitato le cliniche di Ka-
nafa, Mokonissa e Humbo,
alcune delle quali non ancora at-
tive per mancanza di personale o
per l’impossibilità di avere acqua
corrente. L’ospedale e l’orfano-
trofio di Dubbo, invece, costitui-
scono dei fiori all’occhiello della
missione e dell’intera regione.
I pozzi, l’ultimo dei quali è
stato inaugurato lo scorso no-
vembre a Humbo, sono un’altra
delle fondamentali opere dei no-
stri missionari e permettono un
progressivo miglioramento delle
condizioni igienico-sanitarie
della popolazione.
Alla vigilia della nostra par-
tenza da Montegiorgio, molti ci
hanno detto, conoscendoci, che ci
saremmo innamorate di quei
posti e che saremmo rimaste là, o
che, quantomeno, saremmo tor-
nate col famoso “mal d’Africa”.
Forse non avevano sbagliato.
Non ci fraintendete, il 9 marzo
eravamo a casa, e anche contente
di avervi fatto ritorno; sicura-
mente, però, un pezzetto del no-
stro cuore è rimasto lì,
mimetizzato con quella terra
rossa. Nel pensiero di molti il
missionario è colui che, dotato di
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istruzione e speranza dove ce
n’era bisogno, favorendo la vita e
lo sviluppo della popolazione
etiopica. Il lavoro è ancora molto
lungo, i progetti e le opere da
realizzare sono tante, ma la
buona volontà non manca, e,
come ha detto un giorno Padre
Francesco, entrando nella Chiesa
di Boditti, ringraziamo Dio, per-
ché Lui sì che salva davvero, noi
possiamo solo contribuire!
una massiccia dose di coraggio e
di incoscienza, lascia tutto quello
che ha per occuparsi dei poveri e
dei bisognosi. Questo è indub-
biamente vero, ma si tratta di un
concetto limitante. La nozione
va, a nostro avviso, ampliata e
vanno inseriti nella categoria
“missionario” anche tutti quelli
che rimangono a casa e che, al-
trettanto coraggiosamente, do-
nano tempo, pensieri e denaro
secondo le proprie possibilità.
Sono partiti con noi dall’Italia
anche alcuni volontari, rimasti
nella missione fino allo scorso 28
Marzo per incontrare gli orfani
inseriti nel programma di ado-
zioni a distanza.
L’emozione più grande l’ab-
biamo vissuta senza dubbio
quando Francesca ha incontrato
il bambino che ha adottato a di-
stanza qualche anno fa. L’incon-
tro è avvenuto a Boditti, dove
Takele (così si chiama il bimbo,
orfano di padre) si è presentato,
insieme alla mamma, per il cen-
simento (un momento in cui si
incontrano uno ad uno i bambini,
accompagnati da un genitore, si
verifica lo stato di salute, la fre-
quenza scolastica, si scatta la foto
da spedire all’adottante e si dà il
contributo economico al geni-
tore).
In conclusione vorremmo ri-
cordare quello che è stato il mes-
saggio del Governatore del
Wolayta nei confronti dei nostri
missionari. Grato di quello che
finora è stato fatto, e fiducioso
nel futuro del proprio Paese, du-
rante una cena, tramite un suo de-
legato, ha ringraziato i missionari
perché hanno portato acqua,
L’Etiopia nel cuore
S
peravo di riuscire ad incon-
trare Takele, ma, in fondo,
non ci credevo. Pensavo fosse
impossibile. Poi, invece, contro
ogni aspettativa, mi hanno detto
che saremmo andati con i volon-
tari del censimento a Boditti e
che, se qualcuno di noi aveva in
quel luogo il bambino adottato a
distanza, probabilmente lo
avrebbe potuto incontrare. Mi
sono sentita come quando ricevi
L’incontro c
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chiami?” e “come stai?” e lui è ti-
mido e parlava a bassa voce, ma
siamo ugualmente riusciti a
creare un contatto attraverso dei
piccoli gesti (la sua manina nella
mia per tutto il tempo) e con gli
sguardi.
Dopo aver conosciuto Takele,
ho voluto incontrare la mamma.
L’hanno chiamata spiegandole
chi fossi e ci siamo potute salu-
tare. Non è facile spiegare a pa-
role quel che ho provato: come si
può trasmettere la sensazione che
si ha nel momento in cui una
mamma ti butta le braccia al
collo perché ha capito che, grazie
al tuo aiuto, riesce a mandare
avanti la sua famiglia? Un attimo
prima lei stava parlando con un
volontario locale e, repentina-
mente, mi sono trovata avvolta in
un abbraccio colmo di gratitu-
dine e riconoscenza... In quel
preciso istante mi sono sentita di
non meritare quell’abbraccio per-
ché, in fondo, i soldi che mando
ogni anno non sono una cifra esa-
gerata (poco più di 200 €, nean-
che un caffè al giorno); sono solo
un piccolo sacrificio, appena per-
cettibile. Ma ho capito che que-
sto piccolo sacrificio, per Takele
e per la sua famiglia, equivale a
un vero e proprio miracolo. Ho
capito che Dio si serve di noi per
soccorrere i Suoi figli e interve-
nire, con la Sua provvidenza,
nelle vite degli altri.
I miei compagni di viaggio
sono stati partecipi della mia
gioia. È stato un momento emo-
zionante per tutti noi e, dopo le
“foto di famiglia” con Takele e
con la sua mamma, con il cuore
colmo di gioia, abbiamo conti-
nuato la nostra visita alla mis-
sione.
Francesca
un regalo in un giorno che non è
né quello del tuo compleanno né
la ricorrenza di qualche altra
festa: sorpresa da un fatto ina-
spettato (non ero partita dall'Ita-
lia con l’intenzione di
incontrarlo) e piena di gratitudine
per quanto avevo ricevuto.
Quando siamo arrivati a Bo-
ditti, i volontari avevano iniziato
la loro attività già da diverso
tempo, e da poco avevano scat-
tato la foto a Takele, quindi il
bambino si trovava ancora nei pa-
raggi. È stato fatto chiamare, e lui
si è avvicinato. È molto cresciuto
rispetto allo scorso anno... Ha già
8 anni! È un bel bambino e sta
bene. È stato bello capire dai suoi
occhi che i soldi che mando ogni
anno giungono a destinazione e
che, soprattutto, sono utili.
Non è stato facile comunicare:
io sapevo solo dire “come ti
o con Takele
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nostrain
cas
a
CONVEGNO ASSOCIAZIO-
NE EUCARISTICA
LORETO (AN) – Il 18 febbraio
si è tenuto a Loreto il Convegno
dell’Associazione Laicale Euca-
ristica Riparatrice. Ugo Ricco-
belli, vicepresidente dell’ALER,
ha introdotto i lavori, spiegando il
tema del Convegno “L’incultura-zione della fede come camminoverso l’Eucaristia”. Hanno fatto
seguito gli interventi di P. Gian-
nantonio Fincato, Mons. Gian-
carlo Vecerrica, Dott. Ernesto
Preziosi, Sr. Maria Elisabetta Pa-
trizi. Hanno partecipato circa set-
tanta persone al mattino e
cinquanta al pomeriggio.
RICORDO DI
FRA MARCELLINO
FERMO – Il 26 febbraio i Cap-
puccini di Fermo hanno ricordato
l’anniversario della morte di Fra
Marcellino da Capradosso con un
Concerto della Corale “Fra Mar-
cellino da Capradosso”; la recita
del S. Rosario e la Concelebra-
zione eucaristica presieduta da fr.
Mario Pigini, il quale, dopo una
riflessione sulla Quaresima, ha il-
lustrato la testimonianza su fra
Marcellino da Capradosso data
dal Servo di Dio P. Giuseppe
Bocci. Al termine uno spuntino
per i moltissimi partecipanti.
ESERCIZI SPIRITUALI
INTERFRANCESCANI
GROTTAMMARE (AP) – Dal
27 febbraio al 2 marzo c’è stato
a Grottammare, presso il Con-
vento dei Frati Minori, un corso
di Esercizi spirituali interfran-cescani, animati da fr. Pietro Ma-
ranesi, sul tema “Il sogno diFrancesco. Rilettura tematica
delle Regola per una riappro-priazione di un ideale di vita”.
Venticinque i partecipanti, di cui
dodici confratelli cappuccini.
P. MARIO CAPRIOTTI
DAL BÉNIN IN PROVINCIA
FERMO – Dopo 25 anni di
missione nel Bénin, P. Mario Ca-
priotti da Ascoli Piceno ha chiesto
di poter tornare definitivamente in
Provincia. P. Mario è stato uno dei
quattro pionieri della missione,
aperta il 4 ottobre 1987. In questi
anni egli si è interessato partico-
larmente della formazione france-
scana sia dei giovani aspiranti alla
vita cappuccina, sia dei laici, per i
quali ha fondato l’Ordine France-
scano Secolare. Notevole anche il
suo contributo nell’insegnamento
ai giovani filosofi e teologi nel
convento di Ouidah, nel quale è
stato anche responsabile degli
studi. A lui si deve anche una pre-
ziosa raccolta di documenti sul-
l’evangelizzazione dell’antico
Dahomey, nella quale si distinsero
i Cappuccini bretoni e spagnoli.
Grazie, P. Mario, per i tuoi 25
anni di fatiche apostoliche nella
giovane missione beninese!
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RITROVATO QUADRO
RUBATO NEL CONVENTO
DI CINGOLI
S. SEVERINO M. – Il 3 marzo
è stato ritrovato, a S. Severino M.
(MC), dai carabinieri il quadro
raffigurante la “Moltiplicazione
dei pani” di Fanelli, rubato presso
il nostro convento di Cingoli nel
dicembre 2009. Complimenti alla
“Benemerita”.
ASSEMBLEA
PROVINCIALE
Loreto (AN) – L’8 marzo circa
45 confratelli hanno partecipato
all’Assemblea provinciale in cui
ha parlato don Felice Accrocca sul
tema della povertà francescana.
Nello stesso giorno, tre confra-
telli: fr. Amedeo Frezzotti, fr.
Egidio Picucci e fr. Mario Pigini,
hanno ricordato il 60.mo dell’or-
dinazione sacerdotale.
FESTA DI S. GIUSEPPE
A FERMO
Preceduta da un Triduo di pre-
ghiera e annuncio della Parola,
animato da fr. Umberto Bastia-
nelli e fr. Giuseppe Settembri, il
18 marzo si è tenuta a Fermo la
tradizionale festa di San Giu-
seppe. Il Ministro provinciale ha
presieduto le SS. Messe delle ore
12.00 e 17.30. Molto numerosa la
partecipazione dei fedeli. Non
sono mancate attività ricreative
come i giochi a premi e la pesca
di beneficenza.
PRESENTATI GLI ATTI
DEL CONVEGNO
SUL BEATO BENEDETTO
A FOSSOMBRONE
A Fossombrone il 21 aprile
sono stati presentati gli Atti del
Convegno tenuto nel convento
dei Cappuccini il 23 ottobre
2010, in occasione del 450 anni-
versario della nascita del Beato
Benedetto Passionei, morto a
Fossombrone il 29 aprile 1625.
Vi hanno partecipato tre Reli-
giosi dell’Istituto Storico del-
l’Ordine, tra cui P. Giuseppe
Avarucci, curatore del volume,
che hanno parlato del contenuto
dell’opera, preparata in vista di
una possibile riassunzione della
canonizzazione del Beato.
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Numeroso il pubblico, con a
capo l’addetto alla cultura del co-
mune di Fossombrone, Sig. Pa-
ride Crusciani, il quale si è
felicitato con i Frati Cappuccini
che rievocano figure significative
della città.
Il volume raccoglie 8 contributi
di notevole interesse, soprattutto
quello della Profe.ssa Anna Fal-
cioni, che ha consultato 226 do-
cumenti relativi alla famiglia
Passionei, dando così un notevole
contributo a un’eventuale biogra-
fia in linea con le nuove indica-
zioni dela scienza storica e
geografica.
IL FAI E IL SANTUARIO
DI S. SERAFINO
ASCOLI PICENO – Il 25
marzo la direzione provinciale
del FAI (Fondo Ambiente Ita-
liano), in occasione della Gior-
nata di Primavera, ha incluso il
Santuario di San Serafino come
meta di pellegrinaggio turistico
ad Ascoli Piceno. Molti i visita-
tori, accompagnati nei vari ambiti
del complesso conventuale da
giovani guide sapientemente pre-
parate dai professori delle rispet-
tive discipline scolastiche (Liceo
classico, scientifico, linguistico,
Istituto agrario, geometri ... ); né
sono mancati i ragazzi delle scuole
medie ed elementari; è stata regi-
strata la presenza di oltre 1.000 vi-
sitatori. Il suggestivo percorso si è
snodato attraverso l’antico inse-
diamento farfense (VII-VIII sec.),
il coevo coro dei Farfensi e Osser-
vanti che ospita oggi un sontuoso
leggio ligneo con relativo Salterio
del XVII secolo, la chiesa e il
chiostro di fine sec. XV, la Came-
retta del Santo di Montegranaro, la
chiesa attuale santuario (XVIII
sec.) impreziosito dagli affreschi
su San Serafino di A. Mussini
(1872-1918). Aperto il convento,
gli ospiti hanno potuto ammirare
il grande affresco nel refettorio del
XVII sec. (di Martino Bonfini di
Patrignone); scesi poi nelle grotte,
hanno provato emozione alla vista
della Via di fuga sul Tronto, sca-
vata su roccia tufacea dai primi
monaci, e della passeggiata ar-
cheologica al di sotto della chiesa.
Dopo la risalita, in cantina ha cat-
turato tutti un singolare affresco di
S. Francesco nato (1490 c) osser-
vante e divenuto cappuccino nel
XVII secolo (cappuccio prolun-
gato a cuspide). n
P. YOHANES BACHE
TEKLEMARIAM
laureato in Storia della Chiesa, Beni culturali
Roma - Nel mese di febbraio P.
Yohanes Bache Teklemariam,
della Vice Provincia Etiopica, ha
conseguito il dottorato in Storia
della Chiesa, Beni culturali,
presso la Pontificia Università
Gregoriana con una tesi sul
Museo Francescano dell’Ordine
cappuccino, di cui è direttore.
Alle felicitazioni di tutti i suoi
confratelli, uniamo una breve
presentazione del Museo che tutti
possono visitare.
Il Museo Francescano di Roma,
situato attualmente presso l’Isti-
tuto Storico dei Cappuccini sul
Grande Raccordo Anulare (Km
65, 050), fu fondato da P. Louis-
Antoine da Porrentruy nel 1880
in Francia, presso il convento dei
Cappuccini di Marsiglia. Venne
denominato “Museo francescano
di Marsiglia” anziché “Museo
cappuccino”, perché la collezione
dei pezzi storici e artistici ab-
bracciava tutte le ramificazioni
della famiglia francescana.
Gli oggetti conservati sono te-
stimonianze di fede sentita e vis-
suta, facendo del Museo il più
grande e significativo istituto per
l’iconografia francescana, parti-
colarmente per la raccolta delle
incisioni.
Il lavoro di Abba Johannes
comprende cinque capitoli, arti-
colati in due parti principali: La
prima presenta il Museo France-
scano in terra francese (1880-
1905); la seconda è dedicata al
percorso storico del Museo in Ita-
lia dal 1905 fino ai nostri giorni.
Interessante il capitolo che
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Il 30 gennaio è morto nella no-
stra infermeria di Macerata il no-
vantunenne
conosciuto nell’ambito della
Provincia come “l’economo pro-
vinciale”, avendo esercitato tale
ufficio per ben 35 anni con com-
petenza e religiosa responsabi-
lità.
Giovanissimo, fu inviato a
Roma per il corso di ingegneria,
che dovette abbandonare per mo-
tivi di salute, ma che lo “co-
strinse” ad accettare
l’insegnamento di matematica e
di scienze, prima a Fermo, poi in
Ancona, dove fu trasferito il liceo
dopo il famoso “passaggio del
fonte”.
Chi lo ricorda come inse-
gnante, può testimoniare la pre-
parazione, la responsabilità e la
pazienza con cui, in piedi vicino
alla lavagna, parlava con sor-
prendente disinvoltura di loga-
ritmi e di equazioni differenziali,
di coni e di parallelepipedi, di di-
namica e di termodinamica, vero
pane per i suoi denti giovanili.
Incaricato della ricostruzione
dei conventi, coniugò saggia-
mente il vecchio con il nuovo,
senza cedere a innovazioni con-
trarie allo spirito cappuccino.
Con la stessa esattezza costruì
il proprio edificio interiore di re-
ligioso autentico, amante della
preghiera, servizievole, acco-
gliente con tutti, disponibile a
ogni richiesta. Non fece mai pe-
sare la sua presenza, neppure du-
rante la lunga malattia,
“sopportata – hanno scritto i suoi
confratelli di Macerata nella co-
municazione ufficiale del suo
beato transito al Padre – senza un
lamento, ma sempre con un sor-
riso e una gratitudine sincera per
i servizi che gli venivano fatti.
Quando gli fu impossibile parlare
con i confratelli, intensificò il suo
colloquio con Dio, in cui ‘ritro-
vava’ pure gli altri ”.
Anche se gli impegni quoti-
diani non gli hanno consentito un
apostolato continuo, la domenica
la passava nel confessionale della
parrocchia del Pinocchio, attento
ai bisogni della gente che lo sti-
mava per la sua bontà.
La morte l’ha deposto dalla
croce e la lunga sofferenza gli ha
consentito di “lavare la stola nel
sangue dell’Agnello”: osiamo
perciò sperare che ora lo segua
“incoronato” di gloria nel regno
dei beati.
I nostri luttiparla del rischio corso dal
Museo, cioè quello di scomparire
a causa della legge francese sugli
ordini religiosi emanata nel 1901.
Lo salvò P. Louis-Antoine, che
dal 1896 si trovava a Roma.
Buona parte dei pezzi furono na-
scosti presso le abitazioni di nu-
merosi amici del convento. Per
bloccarne la vendita, P. Louis-
Antoine, nella veste di “Victor
Folletête”, suo nome di famiglia,
tentò di rivendicarne la proprietà,
ma il tribunale di Parigi si pro-
nunciò contro. Non vedendo pro-
spettive per la conservazione e la
riapertura del Museo in Francia,
nel 1905 i superiori ne decisero il
trasferimento in Italia.
Dal 1968 esso si trova sul
Grande Raccordo Anulare, tra le
vie Aurelia e Pisana.
Nel tempo, il Museo France-
scano è divenuto fondamentale
punto di riferimento per gli stu-
diosi e gli appassionati di storia,
cultura e arte francescana. Con i
suoi vastissimi e diversi cantieri
aperti, ma ancora da esplorare, è
luogo di consultazione e di studi
per vari oggetti non reperibili al-
trove. La sua notorietà risalta dai
servizi che offre (studi, consulta-
zioni, prestiti per le mostre e
altri).
Con l’affidamento del Museo
all’Istituto Storico dell’Ordine ha
ripreso notevole vigore l’inte-
resse degli studiosi per le ricche
collezioni in esso presenti, come
dimostrano numerose pubblica-
zioni, la presenza delle opere in
mostre in Italia e fuori, il note-
vole accrescimento del materiale,
oggi rigorosamente catalogato e
ben disposto nelle sale del nuovo
edificio, decentrato rispetto al
centro storico di Roma, ma fornito
di tutte le caratteristiche richieste
per la migliore conservazione ed
esposizione delle collezioni.
P. LUIGI CELLI
da Rapagnano (FM)
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La notte tra il del 20 e il 21
marzo il nostro confratello
si è congedato dai confratelli
improvvisamente e furtivamente,
senza importunare nessuno, ma
lasciando in tutti, e specialmente
nei suoi confratelli di Fossom-
brone, un senso di smarrimento e
di vuoto, una tristezza inattesa,
che solo la fede può temperare.
P. Angelo è stato uno di quei
cappuccini lieti di essere cono-
sciuti più da Dio che dagli uo-
mini, e per questo sempre
sorridente, sereno e disponibile a
passare da un convento all’altro,
da un’incombenza all’altra, si
trattasse di servire i malati nel-
l’infermeria di Macerata (di cui
fu responsabile), di muoversi per
la questua nelle campagne del
fossombronese per la festa del B.
Benedetto o di affaccendarsi in
convento, dove trovava sempre
“qualcosa da fare”.
Questa operosa fedeltà al do-
vere è l’esempio più luminoso e
forte che P. Angelo lascia a cia-
scuno di noi. Il temperamento un
po’ timido e riservato non gli im-
pediva di mostrarsi, senza avve-
dersene, piacevole e interessante
nella conversazione con i confra-
telli e gli amici; molti, grazie alla
sua accattivante e naturale bontà.
È vissuto sempre nei “conven-
tini”, nei quali realizzò la sua vo-
cazione religiosa-sacerdotale in
silenzio e con lieta fedeltà, cu-
rando la pulizia della casa (segno
della sua “pulizia” interiore), il
decoro della chiesa e l’ordine
degli ambienti in cui si svolge la
vita conventuale, nei quali si
muoveva con un passo lento, ma
sicuro, che ne rivelava la solidità
interiore.
P. Angelo è stato un tipico
uomo di chiesa, nel senso mi-
gliore del termine, cioè natural-
mente integrato e totalmente
impegnato nella e per la comu-
nità. Amò le forme tradizionali
dell’apostolato cappuccino: pre-
dicazione semplice, visita ai ma-
lati, assiduità al ministero delle
confessioni.
Ce n’è a sufficienza per credere
che sia già entrato nella beatitu-
dine dei cieli.
Un ulteriore lutto ha colpito la
nostra Provincia cappuccina mar-
chigiana con la scomparsa di
avvenuta il 25 marzo scorso
presso la nostra infermeria di Ma-
cerata.
Con la morte di Fra Luca si as-
sottiglia sensibilmente il numero
dei nostri “Fratelli laici”, cui l’Or-
dine in gran parte deve la sua po-
polarità per il loro immedesimarsi
con la gente che visitavano perio-
dicamente, edificandola con il
buon esempio e confortavano con
una parola semplice, identica a
quella che sentivano parlare nelle
case e che arrivava direttamente al
cuore. Fra Luca non è andato se
non rarissimamente nella campa-
gne o nelle case, ma è sempre vis-
suto nell’anonimato di questa o di
quella cucina conventuale, fra
pentole che, in tempo di guerra,
creavano mille interrogativi ai
cuochi, non avendo nulla da cuo-
cere, ma dalle quali doveva pur
uscire qualcosa, soprattutto per la
P. ANGELO
BARTOCCETTI
da Barchi (PU)
FRA LUCA GIULIANI
da Pergola (PU)
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fame dei giovani che si stavano
preparando alla vita religiosa.
Fra Luca “fece” questo mira-
colo, appreso alla scuola prima di
Fra Crispino da Urbania e poi da
Fra Giuseppe da Rapagnano, cui
fu debitore anche de “piatti” ca-
ratteristici della buona cucina con-
ventuale che mitigavano la dura
vita del tempo. Lavoratore instan-
cabile, Fra Luca peregrinò in una
dozzina di conventi, quasi sempre
come cuciniere (ad eccezione del
convento di Ancona, dove fu
“compagno” del Padre Provin-
ciale) attento, puntuale e premu-
roso. Sotto un’apparente
ruvidezza, nascondeva un cuore
generoso e gentile, come ricor-
dano i giovani aspiranti tra i quali
è lungamente vissuto, addetto alla
loro formazione che impostava
non sulle parole (era fondamen-
talmente silenzioso), ma sul-
l’esempio. I confratelli di
Macerata, tra i quali ha passato gli
ultimi tre anni di vita, hanno
scritto che aveva “un grande spi-
rito di preghiera”, che non si ac-
quista se non con un lungo
esercizio e un severo dominio di
se stessi.
Fu molto fedele alle pratiche
“tradizionali”, ma non disdegnava
le forme nuove che trovava nel-
l’ultima edizione delle Costitu-
zioni e che faceva notare anche
agli altri, gioioso come se avesse
fatto una scoperta.
“L’ultimo grande insegna-
mento – è scritto nella comunica-
zione ufficiale della morte – Fra
Luca l’ha dato negli ultimi giorni
di vita quando, per difficoltà di
deglutizione, dovette rinunciare a
ricevere l’Eucaristia (come gli fu
“imposto”), accontentandosi della
comunione spirituale. È stata una
grande prova, accolta con serenità
grazie all’allenamento durato tutta
la vita”.
M
aria e Teresa si sono convertite al cristianesimo per spo-
sarsi. I matrimoni si rivelano fallimentari: il marito della
prima beve ed è un violento; il secondo non vuole lavo-
rare. Entrambe però, scelgono di restare fedeli ai loro uomini e a
Cristo. “Un amore diverso”, dice Maria, “che mi rende felice”.
Musulmane per nascita, cristiane per amore. Accade spesso in
Bangladesh di imbattersi in equazioni simili. Il matrimonio infatti
è una delle ragioni principali per cui avvengono le conversioni nel
Paese. In questi casi, può sembrare difficile parlare di conversione
“genuina”, dettata da un’autentica ricerca di Dio. Tuttavia, non è
raro trovare donne che vivono una fede piena e matura, anche
quando l’unione sentimentale, invece, vacilla.
È il caso, per esempio, di Maria. “Da ragazza - ha raccontato -
mi sono innamorata di questo giovane. Volevamo sposarci, ma lui
era cristiano, così ho deciso di lasciare l’islam e farmi anch’io cri-
stiana. Dopo il matrimonio però, è cambiato tutto: ho scoperto che
è un ubriacone, e quando beve diventa violento”. L'amore dei primi
tempi cede il passo alle botte e alle offese. Eppure, la donna non ha
mai pensato di abiurare il cristianesimo e tornare musulmana: “Mio
marito si è rivelato un’altra persona. Con lui però ho trovato Gesù,
che è un amore diverso, ma sono felice così”.
La situazione di Teresa è ancora più difficile. È giovane e anche
lei viene da una famiglia islamica. I genitori non la ostacolano
quando decide di convertirsi al cristianesimo per sposare il suo at-
tuale marito, cattolico. Pur con dispiacere, la accompagnano e la
sostengono in questa sua scelta di fede. Ma anche per Teresa il ma-
trimonio si rivela qualcosa di diverso da quello che aveva immagi-
nato. Il marito è uno sfaticato, con poca voglia di lavorare. In più,
è malato di cuore: ha bisogno di cure e visite mediche continue. La
loro unione però porta anche due bambini. All’improvviso, tutto ri-
cade sulle spalle di Teresa, che fatica a mantenere i figli, occuparsi
della casa e sopportare i capricci del marito.
A un certo punto, la sua famiglia d’origine interviene: “Lascia
quell’uomo, torna con noi insieme ai bambini”. “No - risponde Te-
resa - mi sono fatta cristiana, mi piace la messa. Il parroco mi dà
una mano. Ho promesso fedeltà a quest’uomo. Resto”.
Anche un sacerdote suo amico, che l’ha seguita e sostenuta nel suo
cammino di fede, è stupito dalla forza e dalla convinzione mostrate
dalla giovane sposa: “Anche se con dispiacere, non mi sarei stu-
pito se avesse deciso di separarsi e tornare con i suoi. È costretta a
subire di tutto dal marito, con in più la preoccupazione e la diffi-
coltà di pensare da sola ai suoi bambini. Invece, ha una grande fe-
deltà anche alla dimensione religiosa che ha scelto. È cristiana
perché ha deciso di accogliere Cristo”.
BANGLADESH: MUSULMANE PER NASCITA,
CRISTIANE PER AMORE A CRISTO
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Grande gioia al 29° Convegno annuale
di Spiritualità francescana
D
omenica 22 aprile, in una
giornata a tinte grigie ca-
ratterizzata da un cielo
plumbeo gravoso di pioggia e da
un vento dal tono decisamente
sprizzante, la fraternità regionale
dell’Ordine Francescano Seco-
lare delle marche ha riunito, nella
bella cornice del centro di pasto-
rale giovanile “Giovanni Paolo
II” di Montorso, più di 600 fra-
telli e sorelle francescani e non,
provenienti da tutte le fraternità
locali delle Marche per celebrare
il 29° Convegno annuale di spi-
ritualità francescana.
In apertura la Liturgia delle Ore
con la preghiera delle Lodi gui-
data da Padre Giulio Criminesi,
Ministro provinciale dell’OFM
Cappuccini, e il saluto cordiale e
fraterno del vice-Ministro nazio-
nale dell’Ofs, Noemi Paola Ric-
cardi, che ha dato il via al
convegno leggendo il saluto del
Ministro Nazionale Remo Di
Pinto per le fraternità francescane
delle Marche, qui riportato.
Nel suo discorso su “Educarealla Speranza Oggi”, la Prof.ssa
Ordine Francescano Secolare
La Prof.ssa Virgili e Fr. Giancarlo Corsini P. Provinciale OFM Conventuali
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Rosanna Virgili, docente di Sacra
Scrittura all’Istituto Teologico
Marchigiano, nella sua ampia re-
lazione, ispirata alla concretezza
dell’impegno per la comunità,
facendo riferimento al difficile
momento economico che stiamo
attraversando, ha presentato la
virtù teologale della Speranza
alla luce della Parola di Dio. Ed
ai più giovani - ha detto – corag-
gio perché avete tutto il nostro
sostegno. E’ stata poi la volta di
P. Fedele Salvadori, un innamo-
rato del francescanesimo, che ha
affrontato vari temi, tutti ricon-
ducibili all’“Enorme grazia dellaProfessione” nell’Ordine France-
scano Secolare.
Nel pomeriggio la solenne Con-
celebrazione eucaristica dei padri
provinciali e degli assistenti re-
gionali e locali presieduta dal-
l’arcivescovo di Loreto, mons.
Giovanni Tonucci, nella Santa
Casa, al termine della quale il
Ministro regionale Ofs ha rivolto,
a tutti un caloroso e fraterno rin-
graziamento e l’augurio di buon
ritorno nelle proprie case, carichi
di entusiasmo per questa espe-
rienza vissuta insieme a tanti fra-
telli e sorelle francescani pronti
a testimoniare e trasmettere la
gioia e il carisma ricevuto dal se-
rafico padre san Francesco.
C
arissimi, il Signore vi doni
la sua Pace!
Il tema che proponete con l’in-
contro di oggi, è senza dubbio at-
tuale e stimolante, e interroga
quelli che, come noi, sono stati
chiamati a vivere nel mondo
l’esperienza evangelica di Fran-
cesco e a farsi testimoni di gioia
e di speranza.
La speranza è atteggiamento fon-
damentale del francescano, che
lo fa un essere itinerante verso
Dio ma in compagnia di tutti gli
esseri della creazione, nei quali
ha fiducia e che non vuole de-
fraudare.
La speranza crea anche audacia,
ma un’audacia animata e soste-
nuta dalla speranza escatologica
che suppone una presenza di gra-
zia nel mondo.
La speranza escatologica, non è
disgiunta dalla speranza mon-
dana. Non c’è infatti una doppia
speranza, ma una speranza pro-
lungata, che comincia nel tempo,
e si consuma al di là del tempo.
Lo stile della fraternità, che spe-
rimentiamo e proponiamo al
mondo come modello da espor-
tare nella società per farne am-
biente di convivenza, giustizia e
pace, si propone esso stesso
come espressione di speranza
prolungata, veicolo che conduce
attraverso la relazione fraterna,
ad un approccio alla vita fidu-
cioso e gioioso. E’ lo stile di
Francesco, che riteniamo essere
valore da rileggere soprattutto in
questo tempo di profonda crisi
economica e sociale.
Come educare alla speranza e do-
nare gioia a chi oggi perde il la-
voro e vede svanire quelle che
riteneva sue sicurezze? Come
educare alla speranza chi soffre e
vive la malattia incurabile?
Prima di ogni possibile ricetta,
ancor prima che impegnarsi a
educare gli altri, occorre educare
noi stessi alla speranza. Occorre
divenire uomini e donne della
gioia, della fiducia e della pa-
zienza…con lo sguardo rivolto
verso l’alto, i piedi ben piantati in
terra e le mani riverse verso il
basso, come a lavare i
piedi…nella coerente imitazione
del Cristo figlio venuto nel
mondo e presente nella storia di
ciascuno di noi, su cui ha inve-
stito la sua stessa vita.
Sperare per i francescani non è
solo avere fiducia in Dio e nella
storia della salvezza, ma è anche
“dare credito alla realtà”! Non
solo sperare in Dio, ma anche
sperare negli altri, con gli altri e
per gli altri. Questo è il metodo
che ci rende educatori di spe-
ranza…
E’ questo oggi il ruolo che noi
francescani dobbiamo assumere,
la missione particolare di questo
tempo particolare, che deve so-
stenere e integrare manovre eco-
nomiche che da sole
porterebbero a ben pochi bene-
fici. Come stiamo sperimen-
tando, il recupero di un certo
benessere materiale, è come edi-
ficio costruito sulla sabbia, sicu-
rezza solo apparente, che vive di
continue insoddisfazioni, invita
alla difesa e alimenta paure. Lo
sperimentiamo, ma inevitabil-
mente sembriamo annaspare per
recuperare quello che abbiamo
perso, senza andare oltre e co-
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Saluto al convegno spirituale dell’OFS delle Marche
Loreto, 22 aprile 2012
Il Ministro regionale accoglie esaluta il Vice Ministro Nazionale:Noemi Paola Riccardi
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gliere l’opportunità di questo
tempo…
Il tempo di crisi che viviamo, è
paradossalmente un tempo frut-
tuoso, come terreno arato su cui è
possibile gettare semi di spe-
ranza, di una speranza che si in-
carna nella storia per animare i
comportamenti quotidiani degli
uomini.
L’episodio dei discepoli di Em-
maus, ci indica il metodo che
possiamo acquisire: non bastano
maestri che illustrano teoremi
teorici, ma uomini e donne che
decidono di fare la strada con i
disillusi del nostro tempo, affian-
candoli, ascoltandoli, inculturan-
dosi e dialogando con loro…
l’incontro avviene per la strada e
si vive in una locanda, lontana
dai sontuosi palazzi o dai salotti
buoni dei nostri edifici ecclesiali.
E’ allora un invito a percorrere le
strade del mondo, a uscire dalle
sacrestie e ad aprire le nostre Fra-
ternità a una missione sociale
fondamentale, guardando con fi-
ducia ad ogni uomo, anche e so-
prattutto ai più lontani.
E’ l’augurio che mi rivolgo e che
estendo a voi, che con coraggio
vi interpellate su questo argo-
mento, certo che ne trarrete ele-
menti di profonda riflessione e
strumenti per divenire nuovi per
rinnovare, attraverso il percorso
della conversione quotidiana che
accompagna la nostra esperienza
vocazionale.Vi ringrazio di cuore
e vi auguro la Pace e il Bene!
Domenica 1 luglio 2012 - ore
17,30 Basilica Cattedrale San
Settimio, Jesi per l’imposizione
delle mani e la preghiera consa-
cratoria del Vescovo di Jesi
Mons. Gerardo Rocconi
Di anni 66 originario della par-
rocchia San Pietro Martire, am-
messo nel 2008 fra i candidati al
Diaconato permanente, istituito
lettore il 13/06/2010 ed accolito
il 05/06/2011, svolge il tirocinio
presso la Chiesa dei frati cappuc-
cini di San Pietro Martire; il 15
novembre 2009, è stato confer-
mato Ministro regionale dai Mi-
nistri delle Fraternità locali delle
Marche, alla presenza del Mini-
stro nazionale dell’Ordine Fran-
cescano Secolare d’Italia
Giuseppe Failla, che ha presie-
duto il Capitolo regionale.
Il Diaconato è il primo grado del
Sacramento dell’Ordine e i dia-
coni sono membri effettivi del
clero diocesano.
La fraternitÀ OFS
di Ancona in festa
Il 20 novembre 2011 la Frater-
nità Ofs di Ancona ha festeg-
giato la santa Patrona Elisabetta
d’Ungheria vivendo una gior-
nata di intense emozioni.
L’ammissione in fraternità della
sorella Simona Lucchetti e
durante la celebrazione Eucari-
stica presieduta dall’Assistente P.
Adriano Scalini, tre sorelle
hanno emesso la professione
nell’Ofs, portando una folata di
serenità e speranza in questa
bella Fraternità del capoluogo
regionale: Silvia Ciaramella, Sil-
via Mariotti e Stefania Nardozi.
È seguito un momento di festa
tra tutte le consorelle e confra-
telli presenti.
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Ordine Francescano Secolare
fr. Giulio Criminesi - P. ProvincialeOFM Cappuccini e presidente diturno del Convegno insieme a fr.Giuseppe Bonardi – PadriFrancescani del TOR Presidentedella CAS regionale
Ordinazione diaconale di Emilio Capogrossi
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Secondo una superstizione,
la sposa che pone delle radici di
margherita sotto il proprio guan-
ciale sarebbe sicura di riconqui-
stare il cuore del marito infedele.
Poiché è in grado di vincere
le correnti contrarie e le cascate,
in Giappone la carpa è conside-
rata simbolo di coraggio, resi-
stenza e perseveranza.
Le prime bustine per fare il tè
furono poste in vendita negli
Stati Uniti, intorno al 1920, e da
là si diffusero presto in tutto il
mondo.
In un solo anno, il 1962, papa
Giovanni XXIII pronunciò più
di cento discorsi.
Una delle più antiche can-
dele di cui ci sia giunta traccia
risalirebbe al sec. I d.C.: ne è
stato ritrovato un frammento a
Vaison-la-Romaine, vicino ad
Avignone.
Secondo Plinio il Vecchio, un
sicuro metodo per evitare i fasti-
diosi effetti dell’ubriachezza du-
rante i banchetti, era quello di far
precedere le portate da una be-
vanda a base di zafferano.
Il camaleonte può «sparare»
la lingua fuori dalla bocca a una
velocità di 21,6 km orari, e può
catturare un insetto posto ad una
distanza pari a 1,5 volte il pro-
prio corpo in 20 millesimi di se-
condo.
È stato calcolato che poco più
della metà dell’intera popola-
zione mondiale ha meno di tren-
t’anni.
In gioventù Iosif Stalin, il dit-
tatore sovietico, aveva studiato
teologia in seminario.
Gli ippopotami riescono a
camminare e persino correre sot-
t’acqua, in apnea, alla velocità di
circa 10 km orari.
Già 4.000 anni fa Babilonesi,
Egiziani e Cinesi distinguevano
le principali costellazioni, osser-
vavano i fenomeni celesti e pre-
vedevano le eclissi.
Nell’isola greca di Nasso, del-
l’antico imponente tempio di
Apollo è rimasta in piedi
un’unica parte: i pilastri e l’ar-
chitrave dell’ingresso.
Le spugne hanno una capacità
di rigenerazione sviluppatissima:
se vengono schiacciate e fatte
passare attraverso la trama di
una garza, le cellule si possono
riaggregare per dare vita a un
nuovo organismo.
La telecamera subacquea di
una stazione petrolifera nel Mare
del Nord ha ripreso un’uria che,
per procurarsi prede, era rimasta
alla profondità di 97 metri, sop-
portando per 30 secondi una
pressione dieci volte superiore
che in superficie.
Secondo una superstizione
che in tempi antichi era diffusa
nelle campagne russe, un fungo
smette di crescere se lo sguardo
di una persona si posa su di esso.
Se viene aggredita improvvi-
samente, l’oloturia (detta anche
«cetriolo di mare») può estro-
flettere gli organi interni e la-
sciarli sul posto, per disorientare
l’avversario, e fuggirsene lon-
tano: con il tempo, poi, rigenera
le parti di cui si è mutilata.
A Port Royal, in Giamaica,
venne ritrovato un orologio d’ar-
gento rimasto sepolto sotto le
macerie del terremoto che nel
1692 colpì la città: riparato dopo
275 anni, riprese a funzionare
perfettamente.
Nell’antica Roma, il corpo di
chi era stato crocifisso rimaneva
insepolto: l’uso di affidarlo a fa-
miliari o amici (come avvenne
nel caso di Gesù) risale solo al-
l’epoca di Augusto.
Le operaie di alcuni tipi di
formiche vivono fino a 7 anni,
mentre le regine anche 15.
Da una ricerca statistica vo-
luta da papa Clemente VI, risultò
che l’epidemia di peste degli
anni 1347-51 aveva mietuto in
Europa oltre 42 milioni di vit-
time.
In tempi antichi, gli innamo-
rati avevano l’abitudine di scam-
biarsi anelli di ferro da calamite:
il loro magnetismo simboleg-
giava il desiderio di non vedere
svanire l’attrazione reciproca.
Le navi da guerra del ’500
erano armate con cannoni che
avevano una gittata masssima di
200 metri. Questa era però del
tutto teorica, perché in realtà le
bordate causavano danni al ne-
mico solo a distanze molto infe-
riori.
Secondo lo storico greco Ero-
doto, la costruzione della pira-
mide di Cheope, una fra le Sette
Meraviglie del mondo antico, ri-
chiese per vent’anni il lavoro di
100.000 persone.
Il puma, il felino diffuso in
America, è un abilissimo salta-
tore: con un balzo, partendo pra-
ticamente da fermo, è in grado di
portarsi su un albero alto anche
fino a 7 metri.
In passato si era convinti che
il primo uovo deposto da una
gallina portasse fortuna a chi lo
mangiava: le madri, inoltre, lo
davano da succhiare ai figli in
fasce, per far si che venisse loro
una bella voce e cominciassero
presto a parlare.
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Bimestrale delle Missioni Estere e dellʼOrdine Francescano SecolareFrati Cappuccini - Piazzale Cappuccini, 1 - 62019 RECANATI (MC)
Poste Italiane S.p.A. - Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003(Conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1, comma 2, DCB Pesaro
In caso di mancato recapito inviare allʼUfficio di Pesaro CPO, detentore del conto, per la restituzione al mittente che si impegna a pagare la relativa tariffa.
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