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Edizioni dell’Orso Alessandria Vicende storiche della lingua di Roma a cura di Michele Loporcaro, Vincenzo Faraoni e Piero Adolfo Di Pretoro

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Edizioni dell’OrsoAlessandria

Vicende storiche della lingua di Roma

a cura di Michele Loporcaro, Vincenzo Faraoni e Piero Adolfo Di Pretoro

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© 2012Copyright by Edizioni dell’Orso s.r.l.via Rattazzi, 47 15121 Alessandriatel. 0131.252349 fax 0131.257567e-mail: [email protected]://www.ediorso.it

Redazione informatica e impaginazione a cura di ARUN MALTESE ([email protected])

È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata, con qualsiasi mezzo effettuata,compresa la fotocopia, anche a uso interno e didattico. L’illecito sarà penalmente perseguibi-le a norma dell’art. 171 della Legge n. 633 del 22.04.41

ISBN 978-88-6274-351-8

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INTRODUZIONE p. VII

PARTE PRIMA. ASPETTI DI GRAMMATICA STORICA DEL ROMANESCO

I. Paolo D’AchilleQuestioni aperte nella storia del romanesco: una rilettura dei dati documentari 3

II. Vittorio FormentinUn nuovo testo per la storia del romanesco medievale 29

III. Vincenzo FaraoniLa sorte dei plurali in -ora nel romanesco di prima fase 79

IV. Michele LoporcaroUn paragrafo di grammatica storica del romanesco: lo sviluppo della laterale palatale 103

V. Luca LorenzettiEtimologia e storia di due parole romanesche 133

VI. Giancarlo SchirruOsservazioni sull’armonia vocalica nei dialetti della Valle dell’Aniene e in quelli dei Monti Aurunci 151

PARTE SECONDA. IL ROMANESCO DALL’OTTOCENTO AD OGGI ATTRAVERSO I TESTI

VII. Emiliano Picchiorri«Un popolante al Santo Padre»: una lettera in romanesco del 1846 177

VIII. Daniele BaglioniIl romanesco di Hugo Schuchardt 195

INDICE

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IX. Claudio GiovanardiI Sonetti romaneschi di Filippo Chiappini dai manoscritti alle stampe.Con un testo adespoto (o del Belli?) 213

X. Claudio CostaMetro e rima nelle Favole romanesche di Trilussa 235

XI. Pietro TrifoneUn poeta tra italiano e romanesco: Cesare Pascarella 251

XII. Antonella StefinlongoLa lingua mala di Roma Criminale. Lessico e fraseologia 261

PARTE TERZA. DINAMICHE SOCIOLINGUISTICHE

XIII. Rita FresuDonne e uomini, popolo e clero. Strati socioculturali e dinamiche di alfabetizzazione/italianizzazione nella Roma preunitaria 281

XIV. Gerald BernhardRomanesco rimisurato: una piccola indagine longitudinale 301

XV. Massimo PalermoTra ipercorrezione e parodia: aspetti della deformazione comica del romanesco dal Belli a Bombolo 315

INDICE DEI NOMI DI PERSONA 335

INDICE DEI NOMI DI LUOGO 345

INDICE DELLE FORME 349

VI Indice

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* Ringrazio Nello Bertoletti, Antonio Ciaralli, Livio Petrucci e Alfredo Stussi per i loro utilisuggerimenti.

1 Kirsch (1898, XL-XLI; alle pp. 164-5 qualche breve estratto del registro); Ehrle e Egger (1935,74-6); Redig de Campos (1967, 25-33); Cortonesi (1990).

Hic incumbe, hic omnem sacri ingenii vimexerce, ut sparsa recolligas, lapsa erigas, de-formata reformes, nutantia firmes, consumptarestaures. Eversam domum non destituit vir sa-piens, sed attollit ac reficit (Petrarca, Sen., IX 1,67).

1. IL REGISTRO DI GIOVANNI CENCI PER I LAVORI DI RIORDINO DEL «GIARDINO» VATI-CANO (1368 NOVEMBRE 13 – 1369 DICEMBRE 27, ROMA)

A un testo solo accenna il titolo con riguardo all’unità del ‘pezzo’ archivistico,ma forse di testi, al plurale, si dovrebbe piuttosto parlare avendo a mente la va-rietà delle mani implicate nell’allestimento del manoscritto, le quali, come appa-iono differenti in alcuni aspetti della scrittura e degli usi grafici, così sidiversificano in alcuni particolari di rilievo propriamente linguistico. Dell’im-portante reperto darò notizia in queste pagine, insistendo sui dati essenziali (in-quadramento storico del documento, descrizione del manoscritto, distinzione degliscriventi, caratterizzazione del volgare da essi impiegato): dati che dovrebberoessere comunque sufficienti a mostrare la rilevanza della nuova accessione per lastoria del romanesco antico. Per tutto il resto rinvio senz’altro all’edizione cui at-tendo.

Il testo ritrovato è il registro che documenta le spese relative ai lavori di re-stauro del viridarium papale, cioè di quel vasto complesso di terreni – in partemessi a vigna, in parte destinati alla coltivazione di alberi da frutto e ortaggi, inparte occupati da una peschiera – che facevano parte integrante della residenzapontificia sul colle Vaticano1. Tali opere furono eseguite in un momento partico-

II.

UN NUOVO TESTO PER LA STORIA DEL ROMANESCO MEDIEVALE*

Vittorio Formentin

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lare, quando sembrò realizzarsi il sogno del ritorno della Santa Sede da Avignonea Roma durante il pontificato di Urbano V (1362-1370)2, e precisamente nel pe-riodo compreso tra il 13 novembre 1368 e il 27 dicembre 1369, data del consun-tivo («finalis summa») redatto dal cancellarius Urbis Giovanni Cenci, l’eminenteufficiale del governo romano che, avendo ricevuto dalla tesoreria pontificia le in-genti somme necessarie all’esecuzione dei lavori, del loro corretto impiego adessa direttamente risponde.

È un momento di grandi speranze per Roma e per i Romani, che per la primavolta dopo il lungo esilio avignonese vedono un papa far ritorno nella sua sede na-turale. Urbano V, infatti, esortato dalle parole appassionate del Petrarca e con-vinto dai suoi buoni argomenti (Sen., VII; ep. unica), forte dell’esperienza italianamaturata come legato apostolico in varie missioni del decennio 1352-13623, con-fortato infine dai successi militari e politici conseguiti nei territori dello Statodella Chiesa dall’Albornoz (i cui brillanti risultati – non sfuggiva ad alcuno – po-tevano essere consolidati soltanto mediante il ritorno del papato in Italia), si erafinalmente deciso a ristabilire a Roma il suo seggio, vincendo le molte resistenzeopposte da una Curia profondamente gallicizzata.

I primi segnali indicativi della ferma risoluzione del pontefice furono due let-tere del 10 settembre e del 13 novembre 1365, con cui Urbano incaricò Pietro, ve-scovo di Orvieto, suo vicario in Roma, di provvedere prima al restauro del«palacium nostrum situm apud basilicam principis apostolorum», poi, appunto, alriassetto del viridario vaticano4. Queste le parole del pontefice nel mandato del no-vembre:

URBANUS EPISCOPUS etc. venerabili fratri Petro episcopo Urbevetano, nostro in spi-ritualibus in Urbe vicario, salutem etc. Relatio fidedigna nostro patefecit audituiquod ortus noster apud palacium sancti Petri, olim fructiferarum arborum diversi-tate copiosus, sic est presentialiter dissipatus, quod in eo orti vel viridarii appa-rencia non habetur, sed potius ibidem aut est in parte ager aratilis aut dempsitasfruticum et spinarum. Volentes igitur quod ortus ipse ad culturam debitam redu-catur, fraternitati tue mandamus quatenus, eradicatis spinis et fruticibus memora-tis clausuraque, si oportuerit, reparata, ortum ipsum coli facias ac repleri bonis

30 Vittorio Formentin

2 Il francese Guillaume de Grimoard, nato nel 1310 nel castello di Grisac en Lozère, abate delmonastero di S. Vittore di Marsiglia, fu elevato alla dignità apostolica il 28 settembre 1362. Sul ri-torno di Urbano V a Roma è fondamentale lo studio di Kirsch (1898).

3 Glielo rammentò il Petrarca: «[…] tu […], qui longo et quotidiano rerum usu sic Italiam quasituam propriam domum nosti» (Sen., VII, 72). Si ricordi poi che al momento dell’elezione al ponti-ficato Guglielmo si trovava a Napoli, alla corte della regina Giovanna: e anche questo particolaresembrò un indizio della volontà divina (Sen., VII, 89).

4 La prima lettera si legge in Kirsch (1898, 265); la seconda in Theiner (1862, 430 n°CCCCVIII).

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vitibus et diversarum arborum plantis fructiferis et amenis. Datum Avinione IdibusNovembris, pontificatus nostri anno quarto.

Al baleno tenne dietro il fulmine, seppur con tempi commisurati al lento ab-brivo della pesante macchina curiale. La partenza da Avignone avvenne infatti il30 aprile 1367; il 19 maggio il papa e la Curia s’imbarcarono nel porto di Marsi-glia; del 4 giugno è l’arrivo a Corneto, dove ci furono i primi diretti contatti colcomune di Roma, rappresentato da una delegazione diplomatica che offrì a Ur-bano le chiavi di Castel S. Angelo. Trascorsa l’estate a Viterbo – dove il 23 ago-sto morì il cardinale Albornoz, perdita gravissima che certo cambiò le sorti dellasuccessiva politica romana e italiana del pontefice –, il 16 ottobre, scortato da unesercito di 2000 armati posti al comando del marchese d’Este, Urbano entrò inRoma accolto trionfalmente dalla popolazione: il pontefice rimise così piede in S.Pietro, prendendo residenza nel palazzo vaticano. Vi si trattenne – salvo i sog-giorni estivi a Montefiascone (1368) e a Viterbo (1369) – fino al 17 aprile 1370,quando (con triste sorpresa dei Romani) lasciò la città capitolina per Avignone,dove fece ritorno con tutta la Corte alla fine di settembre; e ad Avignone morìmeno di tre mesi dopo, il 10 dicembre 1370. Durante la sua lunga dimora romanaUrbano V promosse lavori e costruzioni di ogni genere al Laterano, al Vaticano,in S. Paolo fuori le mura. Così descrive al Petrarca il fervens opus di quei mesi Co-luccio Salutati – allora al séguito del segretario pontificio, Francesco Bruni, amicodi entrambi –, in una lettera del 3 aprile 1369 (Epist., II 11, 81):

videres etiam, quod tu iandiu deplorasti, templa collapsa, quorum opificia et de-votione et sanctuariis veneranda, ipsa quidem mole admirabilia sunt, ferventi opererefici: delectareris scio, novi enim animi tui pietatem, cum videres Lateranensembasilicam, incendio pene consumptam, undique resarciri; Pauli sacratissimamedem, cuius rectores deformem eius ruinam iandiu neglexere, nunc non minoristudio rastaurari quam constructa fuerit. […] Et nunc circa Petri delubrum, cuiusde maiestate tacere potius quam pauca prosequi consilium est, ne olivi, corrumpentivetustate, marcescant, summo opere provideri5.

Tra questi lavori di restauro, appunto, ci fu anche il riordino del «giardino», lacui cinta muraria racchiudeva un’area corrispondente all’incirca agli «attuali cor-tili del Belvedere, della Biblioteca e della Pigna, fino al mons Sancti Aegidii»6.

5 Coluccio ha in mente le dure parole rivolte dal Petrarca a Urbano: «scito quoniam, te absente,[…] iacent domus, labant menia, templa ruunt […]. Sed quo animo […] tu ad ripam Rodani, subauratis tectorum laquearibus, somnum capis et Lateranum humi iacet et ecclesiarum mater om-nium, tecto carens, ventis patet ac pluviis et Petri ac Pauli sanctissime domus tremunt et Aposto-lorum que nunc edes fuerat iam ruina est informisque lapidum acervus, lapideis quoque pectoribussuspiria extorquens?» (Sen., VII, 43-5).

6 Redig de Campos (1967, 32) e Kirsch (1898, XL-XLI): «Der große Garten mit einem Weinberg

II. Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale 31

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Colui che ricevette dal papa l’incarico di sovrintendere alle opere di ristruttu-razione del complesso vaticano fu, come abbiamo detto, Giovanni Cenci: le no-stre prime notizie su questo personaggio risalgono al 1367, anno in cui comparein qualità di cancellarius Urbis in due imbreviature del notaio Antonio di Lo-renzo Stefanelli de Scambiis, la prima del 15 giugno, la seconda del 14 settembre7.Ricordiamo che appunto dal cancelliere, attraverso il figlio Francesco, si dipartìquel ramo a cui appartennero Francesco di Cristoforo e sua figlia Beatrice, i pro-tagonisti delle tragiche vicende che alla fine del sec. XVI segnarono il tracollodella famiglia. Ma ora importa richiamare il fatto che il nostro Giovanni fu unpersonaggio di primo piano, anzi un vero protagonista della storia romana dellaseconda metà del Trecento, come basteranno a dimostrare le note seguenti8.

Giovanni di Giacomo, «nobilis vir»9, apparteneva ai Cenci detti «de Arenula»,dal nome del rione dove la famiglia aveva stabilito la propria residenza principalenel sec. XIV, giunta al culmine di una fortuna costruita nei due secoli precedentigrazie a un’accorta attività mercantile e creditizia. L’importanza della famiglia ela profondità del suo radicamento cittadino sono riflesse da un’odonomastica con-tinuativamente documentata, a Roma, dal Trecento fino ai giorni nostri: perché seoggi possiamo percorrere via Monte dei Cenci e, dopo aver sostato un poco inpiazza dei Cenci ad ammirare la bella facciata a bugnato della palazzina di fami-glia, possiamo proseguire prendendo a destra sotto l’Arco dei Cenci, già negli attinotarili medievali troviamo indicati come normali punti di riferimento del pae-saggio urbano il Mons de Cinthiis, cioè quel rialzo del terreno, originato dall’ac-cumulo di macerie di antichi edifici romani, su cui insisteva il complesso dellecase della famiglia; e l’arco che dava il nome a una «domus… que vulgariter di-citur et nuncupatur l’Archo delli Cenci»; e ancora lo spiazzo pubblicamente notocome platea de Cinthiis, appunto nel rione Arenula, dove ci si poteva orientaresollevando lo sguardo alla Turris de Cinthiis (posta sul Monte, davanti alla chiesadi San Tommaso), di cui proprio il nostro Giovanni, liquidando il cugino Nicola,

32 Vittorio Formentin

und einem Fischteiche befand sich nördlich vom Palast, wo jetzt die Bibliothek und die Museensich erheben».

7 Non ha invece riscontro nel registro del notaio (Biblioteca Apostolica Vaticana, S. Angelo inPescheria, I/3, a. 1367) l’atto del 12 agosto citato in Supino Martini (1979, 515): dal regesto chela studiosa ne fa, risulta che non di altro si tratta che dell’imbreviatura del 14 settembre (cc. 105v-107r) pubblicata in Fraschetti (1935, 266-8), doc. 2. Per l’atto del 15 giugno, rimasto finora ignoto,v. l’Appendice al presente saggio. Sulle mansioni e sui compensi dei cancellarii Urbis informanoalcuni capitoli del terzo libro degli Statuti cittadini promulgati nel 1363 (Statuti, 239-40, 244, 269-71).

8 Fonti principali delle notizie qui presentate sono Fraschetti (1935) e Supino Martini (1979);per il quadro d’insieme v. Dupré Theseider (1952, 666-91).

9 Per il significato di tale titolo onorifico nella documentazione romana del secondo Trecentov. Formentin (2008a, 36), con la bibliografia ivi indicata.

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acquisì la piena proprietà nel 1370. È l’area dove sorgono il palazzo Cenci Bolo-gnetti e il palazzetto Cenci, compresa tra Piazza delle Cinque Scole, via S. Mariadei Calderari (de Caccabariis), via Arenula e via di S. Bartolomeo dei Vaccinari,con le chiese di S. Tommaso, detta appunto ai Cenci10, e di S. Maria del Pianto(anticamente di S. Salvatore de Caccabariis): il «magnifico e celebrato seggio»a cui accenna Marco Antonio Altieri nei suoi Nuptiali11. Roma, potremmo com-mentare, sembra fatta apposta per smentire la malinconica conclusione del Nar-ratore – del resto provvisoria e destinata ad essere rovesciata alla fine del grandelibro –, secondo il quale «les maisons, les routes, les avenues, sont fugitives, hélas!comme les années».

Giovanni Cenci era quindi un esponente tra i più cospicui di quella nobiltà cit-tadina media, di provata fede popolare, nettamente distinta dal ceto baronale pertenore di vita e interessi politici, dalle cui file proveniva il nerbo della classe di-rigente comunale del secondo Trecento12. Giovanni era stato nominato cancella-rius Urbis a vita, probabilmente nella prima metà del 1367, dai presidentesgenerali consilio Romane Urbis, a ristoro dei danni subiti e in riconoscimentodella fedeltà dimostrata durante la lunga lotta contro Velletri, conclusasi il 20marzo di quell’anno con la riaffida della cittadina ribelle.13 In séguito tale caricagli venne confermata, su richiesta dello stesso Giovanni, da Urbano V con una let-tera del 13 dicembre 136814, quando dunque erano già cominciati da circa unmese i lavori di sistemazione del giardino papale, a riprova della benevola di-sposizione d’animo sempre dimostrata da questo pontefice nei confronti del re-gime romano e dei suoi rappresentanti.

La carriera pubblica del Cenci ebbe una svolta importante nel 1376, quando,il 9 febbraio, il governo di Roma gli conferì una sorta di dittatura civile e militaresulle terre del Patrimonio sottoposte alla giurisdizione comunale, terre che eranostate coinvolte nella generale rivolta delle popolazioni di quella regione, esaspe-rate dal malgoverno degli ufficiali pontifici. L’insurrezione delle città del Patri-monio contro Gregorio XI, scoppiata nell’ottobre del 1375, fu sostenuta e animatadai Fiorentini, che trovarono un intraprendente alleato in Francesco di Vico, della

10 Tale denominazione è già antica: Egidi (1908b, 175).11 Altieri, Nuptiali, 16.12 Una tale collocazione sociale del Cenci e del suo nucleo familiare è confermata dalla poli-

tica matrimoniale perseguita dai figli Pietro e Francesco, che dopo la morte del padre si sposaronorispettivamente con Caterina Sanguigni (figlia di Sanguigno di Riccardo de Sanguineis) e LorenzaCerroni (figlia di Lorenzo de Cerronibus), che appartenevano a due tra le famiglie più in vistadella nobiltà cittadina non baronale, su cui v. lo studio di Maire Vigueur (1976).

13 Il testo della riaffida, pronunciata a Roma il 20 marzo 1367 da «Bindus de Bardis de Flo-rentia, miles, Dei gratia alme Urbis Senator illustris», si legge in Falco (1914, 613-34).

14 Fraschetti (1935, 441-2), doc. 61.

II. Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale 33

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riottosa famiglia baronale dei Prefetti di Roma, ben nota per la sua irrequietezzaad ogni lettore della Cronica d’Anonimo romano. Francesco, impadronitosi diViterbo il 18 novembre, fu subito acclamato signore di Toscanella, Corneto, Ame-lia e Terni, e in quell’occasione s’impossessò anche di alcuni castelli del comunedi Roma. Allora le massime istituzioni del regime romano – cioè i tre Conserva-tori, i due Esecutori di giustizia, i quattro Consiglieri della Felice Società dei Ban-deresi e dei Pavesati e i due Gubernatores pacis et libertatis reipublicaeRomanorum (che facevano le veci del terzo collega allora assente da Roma) –elessero Giovanni Cenci «Romani populi generalem capitaneum, ordinatorem etreformatorem ad partes et loca districtus Urbis in Tuscia, Colinea et Sabinea con-stituta»15. Giovanni nei mesi successivi, manovrando abilmente con l’esercito traMontalto e Toscanella, diede un contributo importante al ristabilimento dell’au-torità pontificia e comunale nell’intera regione16.

Pacificato il Patrimonio, Gregorio XI era potuto allora tornare a Roma (17gennaio 1377), questa volta intenzionato a restarci definitivamente. Ma altre du-rissime prove attendevano Roma e la Cristianità. Alla morte di Gregorio, avvenutail 27 marzo 1378, scoppiò infatti lo Scisma di occidente: nelle lotte che segui-rono fra i partigiani di Urbano VI e quelli dell’antipapa francese Clemente VII,Giovanni si schierò a fianco di Urbano, alla cui elezione aveva forse contribuito,impiegando poi tutto il suo prestigio nell’azione militare e diplomatica che il 29aprile 1379 indusse alla resa la guarnigione francese di Castel Sant’Angelo; lapiena signoria della città fu così restituita al legittimo pontefice, che poté rientrarein S. Pietro17. E forse proprio per aver consegnato al papa il Castello si attiròl’ostilità del governo popolare, come appare da una lettera di santa Caterina ai«signori Banderesi e quattro Buoni Uomini mantenitori della Repubblica diRoma» del 6 maggio 1379, in cui si fa cenno all’«ingratitudine» che essi avreb-bero allora dimostrato al Cenci18. Nei primi mesi del 1380 è nominato senatore:

34 Vittorio Formentin

15 Fraschetti (1935, 442-5), doc. 62; Supino (1969, 365-6), doc. 496.16 Antonelli (1908, 141-50).17 Per render grazie della vittoria Urbano VI si trasferì da S. Maria in Trastevere a S. Pietro a

piedi scalzi, meritandosi così la lode di santa Caterina: «L’esempio ce ne dà il padre nostro, papaUrbano VI; che, in segno ch’egli le [le grazie] ricognosce da Dio, s’umilia facendo quell’atto chegià da grandissimi tempi non fu più, d’andare a processione a piedi scalzi» (Lettere, CCCXLIX); ein una lettera indirizzata a Urbano VI in occasione della Pentecoste del 1379: «Godo, padre san-tissimo, d’allegrezza cordiale, che gli occhi miei hanno veduto compire la volontà di Dio in voi,cioè in quello atto umile, non usato già grandissimi tempi, della santa processione» (Lettere, CCCLI).

18 La lettera, tutta impostata sul contrasto tra i concetti di gratitudine e ingratitudine, si concludeappunto con l’exemplum di Giovanni, «di cui | fu l’opra grande e bella mal gradita»: «Parmi chesi usi un poca d’ingratitudine verso Giovanni Cenci, il quale con tanta sollecitudine e fedeltà, conschietto cuore, solo per piacere a Dio e per nostra utilità (e questo so che è la verità) ogni altracosa abbandonando per trarvi dal flagello che vi era posto di Castello Sant’Agnolo, in ciò s’è ado-prato con tanta prudenzia; ora non tanto non mostrino segno di gratitudine, solo di ringraziamento,

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in questa veste è documentato dal marzo al settembre di quell’anno; come ritienePaola Supino Martini, è probabile che in tale elezione si debba riconoscere«un’espressione di gratitudine da parte di Urbano VI» per il fedele alleato. Morìprima del 23 dicembre 1383.

Le opere meticolosamente registrate nel volume della Camera Apostolica ri-guardano il riordino della vigna e del «giardino», o viridarium propriamente detto(cioè l’orto e il frutteto), e i lavori di scavo di una peschiera; l’esecuzione di taliopere avrebbe dovuto garantire la qualità, la quantità e l’autonomia degli ap-provvigionamenti necessari a una Curia abituata alle delizie avignonesi, e in par-ticolare al celebre vino di Beaune, «quintum nature additum elementum», secondol’arguta definizione del Petrarca (Sen., IX 1, 18)19. Quanto alla funzione utilitaria,ortofrutticola, non puramente ornamentale del «giardino» medievale, si tratta diun’accezione ben documentata fra Due e Trecento per Roma e il Lazio, come ri-sulta dalle citazioni allegate in un mio saggio recente, dove si discute della parolaogliardino ‘giardino’ che ricorre tre volte nella Cronica dell’Anonimo romano(Formentin 2008b, 28-30)20; ancora oggi, del resto, l’orto e il frutteto sono in fran-cese le jardin potager e le jardin fruitier (e tutti al ristorante possiamo ordinareuna jardinière); ma naturalmente nell’uso la specificazione aggettivale può e po-teva mancare, come nel seguente passo del Premier Livre di Rabelais:

Le propos requiert que racontons ce qu’advint à six pèlerins qui venoient de SainctSébastien, près de Nantes, et pour soy héberger celle nuict, de peur des ennemys,s’estoient musséz au jardin dessus les poyzars, entre les choulx et lectues.

2. DESCRIZIONE DEL MANOSCRITTO

Ho esaminato il registro a più riprese, anche insieme all’amico Antonio Cia-ralli, cui spetta tutto il merito di quel che di giusto potrò dire in questo e nel suc-cessivo paragrafo. In limine bisognerà avvertire che tali note descrivono lo statodel registro a séguito dell’operazione di rilegatura eseguita nel sec. XVI, periodoa cui risalgono anche la carta di guardia iniziale, con filigrana ‘fleur de lis inscrite

ma il vizio dell’invidia e della ingratitudine getta il veleno delle infamie e molta mormorazione»(Lettere, CCCXLIX).

19 Sul debole dei cardinali francesi per il vino di Beaune v. (Sen., VII, 119; IX 1, 13-8, 24-5 e 89-90; Contra eum, 784); Coluccio Salutati (Epist., II 8, 75), lettera al Petrarca del 2 gennaio 1369.Di fatto Urbano V e i suoi cardinali, poco prima di partire per Roma, si preoccuparono d’inviare aCorneto ben 65 botti piene di vino de Belna (Kirsch 1898, XII e 5, n° 2), mettendo così in pratica– a dire il vero – un mordace consiglio del Petrarca (Sen., VII, 120 e 127). Un’altra citazione lette-raria del vino di Beaune è nel Tiers Livre di Rabelais, cap. LII.

20 Sia qui notato che il tipo ogliardino manca nel nostro registro. Per l’accezione non orna-mentale del termine cfr. anche il siciliano iardinu ‘agrumeto’.

II. Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale 35

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dans un cercle’21, e le serie di cifre arabiche che compaiono, per lo più parzial-mente asportate da una rifilatura che s’indovina abbondante, nei margini inferioree superiore di alcune carte (sia al recto che al verso).

Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano (ASV), Cam. Ap., Intr. et Ex., 329.Cart., 1368-1369, mm 400 × 300, cc. I + 108; numerazione meccanica (a cui fa-remo riferimento), comprensiva della carta di guardia cinquecentesca, da 1 a 109,apposta nell’angolo inferiore esterno del recto; sono bianche le cc. 3v, 88v, 92v,98r, 108v, 109rv. È presente anche una paginazione a penna, coeva alla stesura delregistro, eseguita in un unico momento con cifre romane scritte nell’angolo supe-riore interno del recto ed esterno del verso: inizia col n. ij (= c. 2r) e termina coln. ccxxv (= c. 108v); in tale antica paginazione si evidenziano le seguenti discon-tinuità numeriche: da [v]22 (= c. 3v) si passa a x (= c. 4r), da clxxviiij (= c. 88v) aclxxxiiij (= c. 89r), da ccj (= 97v) a cciiij (= 98r).Il registro consiste di 13 fascicoli, composti non già di fogli ripiegati e inseriti unoall’interno dell’altro bensì, quasi interamente, di carte singole cucite insieme: I 6cc. (2-7), II 10 cc. (8-17), III 7 cc. (18-24), IV 8 cc. (25-32), V 9 cc. (33-41), VI 8cc. (42-49), VII 9 cc. (50-58), VIII 11 cc. (59-69), IX 9 cc. (70-78), X 6 cc. (83-88), XI 7 cc. (89-95), XII 10 cc. (96-105), XIII 4 cc. (106-109); le cc. 79-82 sonoora completamente sciolte ed è quindi incerto se esse appartenessero in origine alfasc. IX o al fasc. X; le cc. 96-97 sono solidali e formano dunque l’unico foglio delregistro. Alcune pagine appaiono sporche, come se fossero state usate a lungosenza protezione: cc. 18v, 34v, 58v, 89r, 103v. La rigatura consiste di linee verti-cali, tracciate con una punta di piombo, funzionali a un’impaginazione ‘a regi-stro’.Filigrana ‘chien entier’ (mm 70 × 78), disposta sempre al centro della carta, ricor-rente in due diverse varietà (a alle cc. 3, 4, 7 ecc.; b alle cc. 20, 21, 22 ecc.), similial n. 3591 di Briquet (1907), un tipo diffusissimo in Italia e in Europa nel sesto, set-timo e ottavo decennio del Trecento23: se ne contano ben 54 occorrenze comples-sive (37 a + 17 b) da c. 3 a c. 108; una sola volta invece compare, a c. 109 (bianca),una filigrana con disegno ‘deux cercles’, uno sopra l’altro, attraversati da una lineache termina in forma di croce latina (mm 115 × 34), simile al n. 3187 di Briquet(1907) (Siena, 1328)24. Una filigrana ‘huchet’ (mm 64 × 83) contraddistingue in-fine la carta incollata al piatto posteriore25.

36 Vittorio Formentin

21 Del diametro di mm 48; la filigrana è simile ai nn. 7101, 7102 e 7108 di Briquet (1907)(Roma, 1534-37, 1550-51 e 1561) e da confrontare con i nn. 890-907 di Piccard (1983) (Roma, dal1556 al 1577).

22 L’angolo superiore esterno delle cc. 2 e 3, danneggiato dall’umidità, è andato perduto.23 Il disegno è da confrontare anche con i nn. 1244-53 di Piccard (1987).24 La stessa filigrana presenta la carta di guardia finale di un altro registro camerale: ASV, Cam.

Ap., Intr. et Ex., 126 (Liber expensarum factarum in aedificio monasterii S. Petri ad aram de Nea-poli, aa. 1338-39).

25 Variante simile al n° 7656 di Briquet (1907) (Lucca, 1368-83).

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La legatura è in assi di cartone rivestite di pergamena. Nel piatto anteriore esternocompare, in alto a sinistra, la serie 3. 56. … (i tre puntini corrispondono a tre segnievanidi). Il dosso è suddiviso in sei compartimenti, nel secondo e nel terzo deiquali si legge, di mano del sec. XVI: Urban(i) V | Manuale | Introituu(m), | & | Ex-pensar(um), | pro || conficien(da) | Vinea, | & Viridario | 1368. La stessa intitola-zione, databile anch’essa al sec. XVI, si trova sul recto della carta di guardia:Urbani V. | Manuale introituum, et expensarum | pro [con ro corr. su altre lettere,forse in] conficienda vinea, et | viridario | An(no) 1368.

3. LE MANI DEL REGISTRO

Nel registro si vedono all’opera scriventi per la maggior parte professionali,abituati ad impiegare con scioltezza una scrittura documentaria di connotazionecancelleresca. Proprio tale comune connotazione, insieme al prolungarsi neltempo delle operazioni di registrazione e (da c. 89) alla frequente alternanza dellemani, a volte anche entro una stessa pagina, non rende agevole il compito di chivoglia distinguere gli interventi dei singoli amanuensi nelle ultime venti carte delmanoscritto. Rinviando ad altra occasione una descrizione esauriente sotto il pro-filo paleografico, proponiamo intanto di riconoscere nel registro le mani seguenti:

1) mano α, minuscola cancelleresca di livello usuale, di modulo medio, conbuon allineamento e rispetto della giustificazione: cc. 2r-3r, c. 108r righe 1-11;

2) mano β, cancelleresca professionale sicura ed elegante, di modulo medio,compressa lateralmente e angolosa nell’esecuzione: cc. 4r-42v, 89rv, 90v, 91r-91v (righe 1-23), 100v (righe 26-34), 101r (con interventi di altre mani), 101v(con i. di a. m.), 102r (righe 3-4 e 6-12), 102v (tranne la penultima riga, che sem-bra di ε), 103r (con i. di a. m.), 104r (tranne la terzultima e la penultima riga, diε)-105r (righe 1-10);

3) mano γ, cancelleresca professionale di modulo tendenzialmente medio macon numerose variazioni, tondeggiante nell’esecuzione e priva di inclinazione:cc. 43r-88v, 90r;

4) mano δ, cancelleresca professionale di modulo medio-piccolo, di livellocorrente e di elevata corsività: c. 92r;

5) mano ε, cancelleresca professionale di livello corrente e di esecuzione cor-siva: 91v (righe 24-25), 93r-96r26, 97r-100v (righe 1-25), 102r righe 5 e 13 ss.

26 Le registrazioni di c. 93rv sono in latino.

II. Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale 37

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(ma la riga 31 spetta alla mano η), 102v (penultima riga), 104r (righe 28-29), 105r(righe 11-27)-107v;

6) mano ζ, cancelleresca professionale di modulo medio-piccolo, inclinata adestra, ottimamente allineata e impaginata: c. 96v e forse le prime due righe di c.102r;

7) mano η, cancelleresca usuale, dall’esecuzione incerta e dall’allineamento ir-regolare: c. 103v e decine di interventi sparsi in tutto il registro;

8) mano θ, cancelleresca professionale, fluente e sicura: c. 108r (righe 12-20,in latino);

9) mano ι, corsiva usuale di base cancelleresca: c. 108r (righe 21-22, in la-tino).

A commento di questo elenco osserviamo: ι è la mano del camerario (Solva-tur sibi resta. Cammar(arius)), che autorizza la liquidazione del dovuto a Gio-vanni Cenci; η, una mano che mostra una cultura grafica educata allacancelleresca senza però essere professionale, spetta senza dubbio ad un perso-naggio di rilievo, cui è stata affidata un’opera di generale revisione e controllodelle note registrate nel volume27. D’altro canto, l’alto livello di professionalitàproprio delle altre mani sembra assicurare, in linea di massima, l’affidabilità lin-guistica delle rispettive testimonianze, nel senso che è garanzia di un alto gradodi consapevolezza (orto)grafica, ovvero di coerenza tra lettere e suoni28. Infine,pur entro il perimetro di alcune certezze, come le differenze irrecusabili esistentitra le mani indicate con le sigle α, β, γ, ζ, cui probabilmente si può aggiungere δ,si deve rilevare la complessiva forte omogeneità delle mani professionali – so-prattutto γ, δ, ε, ζ –, tale da rendere a volte arduo, in situazioni di accentuata cor-sività, individuare con sicurezza gli apporti dei singoli scriventi, soprattuttoquando questi si alternano, come capita spesso verso la fine del manoscritto, al-l’interno di una medesima pagina.

Non si può, infine, passare sotto silenzio la questione posta da α, mano chescrive soltanto poche carte all’inizio e alla fine del registro, attestando prima la ri-

38 Vittorio Formentin

27 Alla sinistra della somma tirata nel margine inferiore di ciascuna pagina, espressa con la for-mula S(umm)a la p(rese)nte pagi(n)a…, un revisore ha successivamente apposto la sigla B, scrittacon modulo ridotto; l’ipotesi che possa trattarsi di η andrà attentamente vagliata (si nota intanto chela sigla è apposta anche alla somma di c. 103v, vergata proprio da η).

28 Ma, naturalmente, non si pretenda troppo (penso soprattutto alla resa delle doppie, incerta intutte le mani tranne η).

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cezione delle ingenti somme erogate dalla tesoreria pontificia via via che l’operaprocedeva, poi l’ammontare complessivo delle spese effettivamente sostenute perl’esecuzione dei lavori e insieme la somma che alla Camera Apostolica rimanevada corrispondere a saldo. Se si considera che in queste due sezioni il personaggioche dice ‘io’ è Giovanni Cenci («Item su(m)ma tuto lo receputo p(er) mi Ia(n)niCençio cancellero de Roma […] fiorini sei milia quatrocento sesanta cinque et s.xxxvij» c. 3r; «Item resta quello che io Ia(n)ni digo recepere p(er) la sopradictacasone fiorini d’oro cento sesanta doa | et s. v et den. xj» c. 108r) e se, soprattutto,si bada alla natura delle attestazioni fornite, implicanti una responsabilità perso-nale diretta del pubblico ufficiale in sede di rendiconto finanziario, non appariràinverosimile l’ipotesi di trovarci di fronte alla mano dello stesso cancelliere diRoma29. È un’ipotesi che, fino al momento di una conferma o di una confutazionedefinitiva che potranno venire solo dal confronto con un testo di Giovanni Cenciindiscutibilmente autografo, manterrà a mio parere un discreto margine di pro-babilità.

4. LA LINGUA DEL REGISTRO

Se la pertinenza romana del registro è un dato di cui prendere atto, rimane dadimostrare se sia possibile localizzare a Roma anche gli scriventi. Con il seguentespoglio intendo dunque descrivere la natura del volgare impiegato dalle singolemani e verificare se essa è compatibile con l’ipotesi di un’attribuzione dei rela-tivi testi alla città di Roma. A tal fine il criterio con cui mi sono regolato nello spo-glio, di tipo manuale, è puramente qualitativo: e dunque innanzi tutto ho usato lamassima discrezionalità nel selezionare gli esempi ritenuti utili all’assunto; diogni lemma segnalo poi, per ciascuna mano e con rinvio alla carta che lo con-tiene, soltanto la prima occorrenza, salvo deroghe puntuali concesse in casi diparticolare rilievo; di norma, infine, non fornisco la lista completa delle formeche documentano un certo fenomeno, accontentandomi per lo più degli ‘eccetera’di Don Magnifico. Pur nella consapevolezza che, nello studio linguistico dei testiantichi, la quantità è a volte qualità, del tutto sproporzionata a questa occasionesarebbe stata la scelta di una presentazione esauriente, per il rispetto quantitativo,

29 Il secondo argomento è senz’altro più forte del primo, poiché è ben noto il caso di registri incui la stessa forma di scrittura soggettiva si mantiene pur al variare delle mani. Un esempio di que-st’uso, del resto, ci è dato dal nostro stesso registro, in cui la sezione della mano β si apre con laseguente intestazione: «In nomine Domini, amen. Anno eiusdem millesimo ccco lxviij pontifica-tus domini Urbani pape quinti, indictione vija, mense novembris, | die xiij, de mandato domini no-stri summi pontificis, ego Iohannes de Cenciis cancellarius Urbis incepi laborare | vineamsupradicti domini nostri» (c. 4r.1-3).

II. Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale 39

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dell’ingente materiale linguistico del registro, tanto più che un commento di que-sto tipo costituirà il corredo principale della futura edizione, che potrà oltre a tuttoavvalersi di un’elaborazione elettronica dei dati30.

GRAFIA

Per gli usi grafici noto soltanto un paio di fenomeni, comuni del resto all’areamediana e centro-meridionale.

4.1. Uso di b per [bː]

(β) abe 4r, abero 22r ecc.; però, soprattutto quando ha largo spazio a disposi-zione, può scrivere anche bb: abbe 13v bis ecc., Sabbate 15r ecc., obbedienti 89r,subbioni 89r e sobbioni 89v;

(γ) abe 43r, abero 44r, piobe 44r31;(δ) subioni 92r;(ε) subioni 95v32;(η) abe 49r, piobe 75v.

4.2. Uso di g(i) per [j(ː)]

(α) digo 108r ‘devo’;(β) Caffagio 34v (accanto a Caffaio 37r), Fiagiano 36v, Iagia 4r; v. anche le

voci del verbo gire citate nel § 4.32.1;(γ) Cafagio 43r e Caffagio 54v, Iagia 45r, (lo Cieccho de) Giuctio 49r e (lo

Cieccho d(e)) Giuczo 59v, da giudicare alla luce di (lo Ciecho d(e)) Iuczo 57r33,Fiagiano 64r, pogio 79v;

(δ) Cafagio 92r, Iagia 92r;(ε) Cafagio 99r, Iagia 94v, rugio 94r, hugio 94v (se, come sembra, è affine a

‘uggia’); v. anche le voci del verbo gire citate nel § 4.32.1;(η) agio 103v.

40 Vittorio Formentin

30 Le forme del manoscritto vengono citate secondo i criteri editoriali consueti: in particolare,tutte le abbreviazioni sono sciolte tra parentesi tonde. Si avverte che, innanzi a consonante bilabiale,il titulus per la nasale e la nota tironiana a forma di 9 sono sciolti convenzionalmente (m) e (com),senza che questo pregiudichi la possibilità di una diversa scelta da compiersi all’atto dell’edizione,sulla base di un’esauriente disamina dell’uso delle singole mani.

31 Compare piobe già in alcune note apposte da (γ) alle cc. 27rv ecc., nella sezione vergata da(β).

32 Scritto interamente e poi depennato e sostituito con obedie(n)ti (subioni si ritrova per altroa c. 98v).

33 In un’iscrizione del sec. XIV o del sec. XV in. in S. Maria sopra Minerva si leggeva il nomeANTONIO DE IVZZO (D’Achille 1987, 72 n. 12).

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FONETICA

4.3. Esempi di Ĕ] dittongata in presenza di -Ŭ, -Ī

Per ogni mano si dànno prima gli esempi di dittongamento che riguardano inomi propri, poi, separati da un punto e virgola, quelli relativi ai nomi comuni, in-dicando tra parentesi l’eventuale presenza di doppioni non dittongati:

(β) Ceccariello 104r (Cecarello 104r), Ceccoliello 4v34, Iacoviello 4v (Iaco-vello 12v), Liello 7r (Lello 36v), Monticielli 104r (Mo(n)ticelli 104r)35,Roto(n)niello 104r (Rotu(n)dello 104r), Tiraliello 4r, Viello 10r e, al di fuori dellaserie suffissata in -iello36, Lorienzo delli Mastri 37r37; fie(r)ro 89r, fie(r)ri 90v(fe(r)ri 89r), rastielli 89v, stie(r)ro 26r (ste(r)ro 21r), tiempo 23v;

(γ) Cechariello 44r (Cecarello 69r), Ceccholiello 56v, Iacoviello 43r,Ia(n)niello 82r, Liello 48v, Romaniello 45v (Romanello 46v), Tyraliello 45r, Viello50v;

(δ) Ceccholiello 92r, Iacoviello 92r, Liello 92r, Viello 92r; fieri 92r ‘ferri’;(ε) Iacovielo 99r, Liello 95v; fieri 91v ‘ferri’;(η) Iacoviello 45v, Ia(n)niello 82r; piecççi [sic] 100r.

4.4. Esempi di Ĕ[ dittongata in presenza di -Ŭ, -Ī

(α) recepiè’ 2r ‘ricevetti’38;(β) Pietro 6r; diei 90v ‘diedi’;(γ) Pietro 43r (però Petro 43v)39; diei 66r;(δ) diei 92r e die’ 92r ‘diedi’;(ε) Pietro 94v (però Petro Catalog(n)ia 100r); diei 91v e die’ 102r;(ζ) diei 96v;(η) diei 100r, grieci 80v.

4.5. Esempi di Ŏ] dittongata in presenza di -Ŭ, -Ī

(η) (Marthomeo delli) Tuosti 100r bis.

34 Lo stesso individuo compare come Cecolillo 15r, per cui potrebbe trattarsi o di riduzione deldittongo ie a i (Ernst 1970, 47) o, più probabilmente, di una sostituzione di suffisso (Rohlfs 1966-1969, § 1083; Vignuzzi 1984, 40; P. Trifone 1988, 236).

35 In un caso come Mo(n)ticelli il primo elemento del dittongo potrebbe essere stato assorbitodall’affricata palatale precedente (Ernst 1970, 46).

36 In cui è forse da comprendere (Iacoviello d’) Angniello 18v.37 Si veda di contro la serie Laure(n)tio d’Allixio 17r, Laure(n)zo d’Allixio 18v, Laurencio d’Al-

lixio 19v, in cui l’assenza del dittongo è correlata alla presenza di soluzioni latineggianti (au e ci/ti;però anche Renzo d’Allixio 32v).

38 Questa forma verbale, ripetuta tante volte a c. 2rv, la prima volta è stata scritta recepei, malo scrivente ha sovrapposto alle lettere -ei due apici da intendere certamente come un segno d’in-versione.

39 E già Petro (da Pisa) in un’aggiunta di (γ) a c. 27v.

II. Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale 41

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4.6. Esempi di Ŏ[ dittongata in presenza di -Ŭ, -Ī

(β) (Ioh(ann)i) Buono 16r; fuoro 15v;(γ) fuoro 45r, suoi 52r40;(ε) fuoro 101r;(η) fuoro 41r, polçuoli 100r.

4.7. Esempi di Ĕ] non dittongata in presenza di -Ŭ, -Ī

Nell’uso delle singole mani la vocale tonica ricorre sempre senza dittongo neilemmi seguenti (gli antroponimi precedono al solito le altre forme):

(α) Baroncelli 2r; la serie cento, docento e ducento, trece(n)to ecc. nonché co-mandamento 2r (per cui v. Ernst 1970, 31);

(β) (Nucio) Verso 6v41 e inoltre Ainello 19v, Angniellello 19v, Angne- 25v,Martinello 24r, Pisanello 39r, Stephanello Baro(n)cello 6r e Stephanello delliBaro(n)celli 90v; mezo 101r, merli 103r, pezi 101v, terso 37r, terzo 37r e terzi103r; forme verbali: stettero 33r;

(γ) Laurenzo 43r, (Nucio) Verso 43r e inoltre Pisanello 63v, Stephanello 60v(Aucello 68v è un oltramontano); feri 90r ‘ferri’, mezo 46r, rasteli 90r;

(δ) fero 92r ‘ferro’, rastelli 92r;(ε) Renzo 94r e poi Angelelo 94v, Angnello 100r, (Cola de) Vanello 95r; ad-

preso 100r ‘appresso’, ferro 91v, merli 100v, mezo 99r, mezi 100r e la serie bote-cello 99r, caneli 102r, castello (de S(an)c(t)o Angelo) 104r, c(ri)vello 100r, lionceli102r, po(n)tisseli 94v, vasseli 99v; forme verbali: steteno 99v;

(ζ) (Nucio) Verso 96r;(η) me(r)li 100v, meçço 71v, preçço 100r, resto 103r, ste(r)ro 19v, te(r)çi 72v

(a parte co(m)mandam(en)tto 103v).

4.8. Esempi di Ĕ[ non dittongata in presenza di -Ŭ, -Ī

(γ) Stephano 44v; greci 83r;(ε) pei 94r PEDES.

4.9. Esempi di Ŏ] non dittongata in presenza di -Ŭ, -Ī

(α) Giorgio 2r;(β) Giorgio 17r; grossi 101r, Nostro (Signore) 34v, olio 100v42, posto 101v

42 Vittorio Formentin

40 La forma fuoro s’incontra già in alcune note apposte da (γ) a c. 27 (recto e verso), entro lasezione vergata da (β); quanto al possessivo suoi, si noti che nel contesto si assimila il numerale‘due’ che precede: Colecta (et) duoi suoi (com)pa(n)gni ad capare la p(re)ta 52r.

41 Verso, senza dittongo, anche in OspSalv (Liello Verso: 178 e 185).42 In questo lemma, seguendo Ernst (1970, 40-5), si considera la tonica in sillaba implicata.

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(romanesco ant. puosto), scorzo 102v e scorzi 102v, unità di misura per aridi (ro-manesco ant. scuorço < SCŎRTEUM, e dunque affine all’it. scorza < SCŎRTEA REW7742)43, solli 14r;

(γ) Capo-lo(n)go 48r; pori 48v ‘porri’, tosto 54r;(ε) (Marthomeo de li) Thosti 94v; Nostro (Signore) 99v, pori 95r ‘porri’, posto

101v, scorzo 95v;(ζ) orto 96v.Per gli esempi relativi al suffisso *-ŎCEUS v. il § 4.32.3.

4.10. Esempi di Ŏ[ non dittongata in presenza di -Ŭ, -Ī

(β) va qui, se l’accento è sulla penultima, la serie Buciolo 10v, Cenciolo 6r, Ce-cholo 7v, Cecolo 13v, e certo Spagnolo 24r; ho(min)i 4r (in piene lettere homini19v) e inoltre aquiglolo 101r, pulzoly 101r;

(γ) ho(min)i 43r, pogio 79v < PŎDJUM (però pugio 80r) e suffisso -òlo: malioli45r, malglioli 45r e anche maioli 46r < MALLEOLUS ‘vecchio tralcio di vite in formadi martello’, Spangnolo 43r;

(ε) ho(min)i 94r; suffisso -òlo: Spangnolo 94v, vignaroli 97r;(η) ho(min)i 41r.

43 Le forme citate da Ernst (1970, 44-5) sono prive di dittongo (scorsi nei Diari di Stefano Caf-fari, scorzo nel Castelletti), che compare invece nello strano (per -e) scuorze del Burchiello (Ernst1970, 49); ma scuorzi, assieme a scorzi, è documentato nella tradizione, come si ricava dall’appa-rato di Zaccarello (2000, 50), ed è messo a testo da Ugolini (1985); manca il dittongo anche nelloscorzo delle carte di Battista Frangipane (M. Trifone 1998, 80 e 432-3), dove per altro è citato loscuorzo di un’annotazione autografa di Paolo Carbone (P. Trifone 1990, 76); v. anche scuerzi nelDiario del nepesino Antonio Lotieri de Pisano (Mattesini 1985, 64). Per la sua antichità, e per ilfatto di essere rimasta finora ignota nell’ambito degli studi di parte filologico-linguistica, meritadi essere segnalata l’iscrizione incisa sulla misura marmorea per aridi del Comune romano, pro-veniente dalla piazza del Campidoglio dove si teneva il mercato e oggi conservata nel Palazzo deiConservatori insieme a un coevo congium vini: si tratta di uno dei frequenti esempi di riuso del-l’antico nella Roma medievale, dato che i due congi cilindrici sono stati ricavati da rocchi di co-lonna a ventiquattro scanalature, poi decorati con protomi leonine. L’epigrafe, mista di elementicapitali e di elementi gotici, recita: + SCVORÇO · (le lettere sono precedute da una croce e seguiteda un punto triangolare a mezz’altezza). Sull’iscrizione, che ha dunque una «funzione […] costi-tutiva dell’identità dell’oggetto» (nella terminologia di Petrucci 2010, 28), v. Forcella (1869, 27,n° 9), con datazione al sec. XIV; Capobianchi (1896, 359 n. 1), con datazione entro il sec. XIII; Giu-liano (1982, 233, 236 fig. 14 e 239 n. 11), con datazione «attorno al 1200» proposta sulla base diuna perizia orale di Armando Petrucci; da ultimo Parisi Presicce (2009, 44-7 fig. 14), con datazionealla prima metà del sec. XIII; si segnala che in tutti questi studi la parola è stata trascritta o resa inmodo variamente impreciso. Considerato il fatto che l’iscrizione volgare costituisce una sorta dipalinsesto epigrafico, dal momento che + SCVORÇO · ha sostituito una precedente iscrizione (ve-rosimilmente latina) scalpellata, s’intende che l’intero problema, a cominciare dal dato fonda-mentale della datazione, andrebbe riesaminato sulla base di un’attenta comparazione con gli usiepigrafici romani del Due-Trecento.

II. Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale 43

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4.11. Esempi di Ĕ[ dittongata in presenza di -A, -E, -O

(β) miesa ‘mezza’ 23v bis;

4.12. Esempi di Ŏ[ dittongata in presenza di -A, -E, -O

(β) (Pietro Macça-)fuora 19v, (Menchia-)buona 37v, 103r bis.

4.13. Esempi di Ĕ[ non dittongata in presenza di -A, -E, -O

(β) greca 101v, preta 36v, prete 36r;(γ) (S(an)c(t)a Maria Scola) Greca 46v, venere 51v ‘venerdì’44 e inoltre

p(re)ta, p(re)te 43r;(ε) (S(an)c(t)a Maria Scola) Greca 99v, pede 101v, pè < PEDEM 94v; per il dit-

tongo di (Ioh(ann)i da) Riete 96r v. Formentin (2010, 204);(η) pret(a) 100r, prete 103r.

4.14. Esempi di Ŏ[ non dittongata in presenza di -A, -E, -O

(β) aquiglola 102r, homo 100v, quartarolle (= -ole) 101r, ova 101r, (Menchia-)bona 103r quater;

(γ) (S(an)c(t)a Maria) Scola (Greca) 46v, (Mengia-)bona 53v, 82r, 82v;(ε) fora (da Porta Portesa) 99v, (S(an)c(t)o Brancazio de) fora 100r e (Pietro

Maza-)fora 94v, (S(an)c(t)a Ma(r)ia) Scola (G(re)ca) 99r; inoltre lignola 94r,quarterole 98v, viole 94r;

(η) fore 103r bis.

4.15. (Assenza di) anafonesi

Si registrano le seguenti forme (regolarmente) non anafonetiche:(β) (Cola) Venciguera 8r, accanto a (Cola) Vinceguera 4r, (Paulo) Tagla-l-onto

103r45, ponti 101r ‘punte’ (v. il § 4.36); in posizione protonica pentura 100v, re-ponciata 101v, spontare 27r;

(γ) (Coluza de Paulo) Talia-l-onto 85r;(ε) (Coluza de Paulo) Talia-l-oncto (de Roma) 105r; in posizione protonica

penct(ur)a 100v;(η) in protonia pe(n)tore e pe(n)tura 103r.

44 Vittorio Formentin

44 Quanto al dato lessicale, il tipo normale a Roma è venerdì(e), venardì(e): v. gli esempi rac-colti in M. Trifone (1998, 455); però trovo appunto venere in una nota di spese della Compagniadel Gonfalone del 1490 (Vattasso 1903, 75).

45 Da confrontare con Antonio Pista-l-onto di OspSalv, 189.

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4.16. Esiti di AU

(α) oro 2r; non significa molto l’alternanza, fuori d’accento, fra tressaureri 2ve tressareri 2v, considerato che si tratta di un gallicismo;

(β) Paulo 4v e, in protonia, Laure(n)zo 18v (e cavoli 39r);(γ) Paulo 43r (accanto al ben noto Paluzo 48r, da spiegarsi per dissimilazione;

Mattesini 1985, 96 e 163), Laurenzo 43r (e Lore(n)zo 64r)46; (Petrone de) Chio-dio 59v equivarrà piuttosto a Clodio che a Claudio47;

(δ) Paulo 92r e Palo 92r, forse rifatto sul diminutivo Paluzo48;(ε) Paulo 94r, cauli 95r, nauratura 102r ‘doratura’, Paluzo 98v;(η) Paolo 70r, Paulo 100r, cavoli 49r49.

4.17. Altre particolarità del vocalismo tonico

(α) notevole digo 108r ‘devo’, verosimilmente [ˈdij(ː)o]; appena si accenna alsolito dicto 2r, sopradicto 2r, supradita 3r, sopraditta 108r, mentre lo strano e piùvolte ripetuto suopradicto 2r, con un inatteso uo in corrispondenza di Ŭ in posi-zione semitonica, o è un caso d’iperdittongamento o è una forma (grafica?) dicompromesso tra sopra- e supra-;

(β) (Pietro) Preite (Ioh(ann)i) 12r e, con scioglimento univoco del compendio,(Pietro) P(re)ite (Ioh(ann)i) 6v, ma anche, in tutte lettere, (Pietro) Prete (Ia(n)ni)13r e perfino (Pietro) P(re)vite (Ioh(ann)i) 7r; si noti, da un lato, la vocale tonicaalta di intra 101r ‘entra’, mugle 102v50, pista 102v ‘pesta(ta)’, pulv(er)e 102v,rugio e rugia 104r, unce 101v e unde 101r, dall’altro la vocale media di Men-chia(-buona) 37v < MĔNTULA (REW 5513.1) e di sponga 101v < *SPONGA (REW8173.2)51;

(γ) lo Lopo 44v (ma anche Ia(n)ni de Lupo 63r), pista 56v, mesore (Lore(n)zo)64r, bricia 75v ‘breccia’ e brecia 76v; Mengia(-bona) 53v;

(ε) dozena 94v (β ha invece dozina 101r), mulia 102v, rugio 94r, uschio 96r ehustiu 96r bis ‘uscio’;

(η) ha ì nel deverbale ca(r)rio 103v ‘trasporto col carro’.

46 Per tesaure e tesore di c. 45r v. la successiva n. 58.47 Sigismundo de Chiodio in OspSalv, 178.48 Cfr. Pietropalo Cortese in OspSalv, 207.49 Per gli esiti di -AUT (-AVIT) v. il § 4.42.2.50 La forma mugle ricorre una sola volta in una pagina che conta molte occorrenze di mogle, e

potrebbe quindi essere un occasionale latinismo (v. per altro la seguente n. 53 e proprio MVGLIEin un’iscrizione quattrocentesca di S. Maria in Aquiro: D’Achille 1987, 92), così come il succes-sivo pulv(er)e di contro al normale polv(er)e tante volte ripetuto nella stessa c. 102v.

51 Al v. 209 della Lauda sui segni della fine del mondo si ha spongnia in rima con vergongnia(Vattasso 1901, 95).

II. Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale 45

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Il vocalismo di Lopo, mesore, pista, Preite, rugio è schiettamente romanescoe lo stesso si deve dire per la ì di ca(r)rio, da confrontare con le forme rizotoni-che dei verbi in -ĬDJARE del romanesco antico del tipo guerria ‘guerreggia’, spes-siano ‘spesseggiano’ (Cronica1, XVIII 1040, XXVI 299), (se) accoctii ‘osi’ (neibandi pubblicati in Re 1928) e col moderno cottìo (Lorenzetti 2010 e v. al capi-tolo V, § 2 di questo volume)52. Si noti che iod interno, da solo o in unione conaltri suoni consonantici, sembra avere una certa efficacia metafonizzante: digoDĒBEO, rugio RŬBEUM (REW 7408), uschio e hustiu < ŌSTIUM, e così forse si dovràspiegare anche la ì delle forme rizotoniche dei verbi in -ĬDJARE (-ìo < -ijo < -ejo< -ĬDJO), senza dover pensare a un’influenza esercitata dalle forme rizoatone53.

4.18. Conservazione di e protonica (anche in fonosintassi) e intertonica

(α) de passim, prefisso re- (recepiè’ 2r), però dicembre 2r accanto a decenbre2r;

(β) de passim, prefissi de- (dechiarati 37v), re- (recotere 13v), se clitico 13r,centenaro 101r e ce(n)tenara 101r, Femenella 27v, mesurare 38v, peschera 13vecc.;

(γ) de passim, prefisso de- (decl(ar)ati 82v), prefisso re- (refrescar la vigna44v);

(δ) de passim;(ε) de passim, prefisso re- (recalzata 95v), Angelelo 94v, botecello 99r, ca-

reca(r)e 100r (ma caricare 99v), centenaro e centenara 94r, decembr(e) 102r,mes(ur)are 100v ecc.;

(ζ) de passim;(η) de passim, prefisso re- (recosire 95r), peschiera 19v; segnalo qui anche fe-

gure 103v.

4.19. Innalzamento di e protonica in i

(α) missere lo trosarero 2r (e messere lo trossarero 2r)54, pischera 3r;

46 Vittorio Formentin

52 Per lopo e preite v. Formentin (2008a, 28 n. 14 e 87), con la bibliografia ivi indicata. Per me-sore < MEUM (o MEUS) SENIOREM v. Castellani (19762, 86-7); il commento di Mengaldo (1979) alMessure, quinto dici? di De vulg. eloq., I, XI, 2; D’Achille (1989, 7) (MISSORE ANDREA DEERAMO in un’iscrizione trecentesca di S. Giovanni della Pigna); M. Trifone (1998, glossario, s.v.missere); Sattin (2007, 33). Per pista v. Cronica1 (glossario, s.v. pistare); pista ‘pestata’ nella rap-presentazione di s. Giovanni Battista (Vattasso 1901, 72); pisto (in rima con tristo) nel cosiddettoFrammento B della Passione (Vattasso 1903, 53); Incarbone Giornetti (2006, s.v. pisto); infine sirichiami l’Antonio Pista-l-onto citato nella precedente n. 45. Per rugio v. M. Trifone (1998, 85 e427-8).

53 Lo stesso effetto, che si produrrebbe sempre in modo non sistematico, potrebbe essere rico-nosciuto ad altri suoni palatali (cfr. bricia e mugle, che pure si è proposto di spiegare altrimenti).

54 Per la i di missere in romanesco, oltre al già citato M. Trifone (1998, glossario, s.v. missere),v. Formentin (2008a, 88).

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(β) mis(er) (Laure(n)zo) 42v, pischera 24r, (Nostro) Signore 34v, Tiballo 101r(ma Theballo 21r), Tignoso 37r;

(γ) mis(er) (Laurenzo) 43r, pischera 43r, Ti(n)gnoso 48r; notevole l’innalza-mento della vocale del clitico si in si pagàno 51v, 83r ‘furono pagati’ (accanto ase pagàno 51r), si pagòno 67r, 72v e si partiro 54r;

(ε) gita(r)e 99r, minore 102r, pischera 96r, Tiballo 99v;(η) mise(r) 103v.

4.20. Innalzamento di e postonica in i nei proparossitoni

(α) vada qui bolissa 2r ‘polizza’, però quindecemillia 108r, per altro univerbatonel manoscritto;

(β) Angillo 104r, asino 9r, asini 15r, Bulgamino 13v, Domenico 103r, homini19v, pastino 18v, P(re)vite (Ioh(ann)i) 7r, (Nucio de Matheo) Rustico 18v ecc.;

(γ) asini 43r, pastino 43r;(δ) Vulgamino 92r;(ε) asini 98v, manici 95v, refici 102r ‘orefice’ e ‘orefici’, ma (castello de

S(an)c(t)o) Angelo 104r;(ζ) p(ro)ximo 96v;(η) asini 47v, pastino 43v, piubica 103v.Per le caratteristiche del fenomeno in romanesco antico v. Formentin (2008a,

88; 2008b, 35-6)55.

4.21. Passaggio di -er- ad -ar- e trattamento di -ar-

(β) -ar- etimologico in quartarolle 101r;(γ) -er- postonico è conservato in (die) venere 51v ‘venerdì’, secondo la norma

romana (P. Trifone 1986, 138-9; Macciocca 2000, 242; 2004, 84);(ε) e protonica davanti a r passa ad a in partusi 95v bis ‘fori’; -ar- si conserva

in vignaroli 97v e in quartarolle 99v, che di solito però, nella parte scritta da que-sta mano, compare come quarterole 98v ecc.;

(η) co(m)parat(a) 100r.

4.22. Vocalismo finale

Un tratto comune a tutte le mani è la confluenza di -Ŭ e -O in -o, per cui la vo-cale finale di prato < PRATUM non è distinta da quella di qua(n)no < QUANDO, ilche comporta, in assenza di metafonesi da -Ŭ, l’identità del determinante neo-neutro rispetto al maschile: (α) quello neutro 108r; (γ) questo neutro 75v. Con -u

55 Si deve sottolineare che si tratta di un altro fenomeno per cui il romanesco antico ab origine«concorda con i dialetti toscani e si oppone a quelli mediani e meridionali [nella fattispecie, nonestremi]» (P. Trifone 1992, 21).

II. Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale 47

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in tutto il registro abbiamo soltanto (ε) hustiu 96r bis, leggibile forse come unasorta di armonizzazione integrale innescata da iod (cfr. il § 4.17), per la quale siala vocale tonica che l’atona finale convergono sul tratto [+alto]56.

Vigono condizioni di tipo romanesco anche nella distinzione -e ≠ -i: in parti-colare, nessuna mano mostra segni del passaggio di -i a -e alla maniera umbraovvero di affievolimento di -i in -e (= [-ə]) di tipo napoletano57. Detto questo, no-tiamo che ricorre -e in (ε) inanze 96r; -i invece nel suffisso -(i)eri sing. (Ernst1970, 65): (α) trosareri, tressaureri e tressareri 2v (che una volta attrae anche ilprecedente ‘messere’: misseri lo tressaureri 2v); (β) (Ang(i)lo) arcieri 18v, con cuivanno gli antroponimi (β) Vallieri 36v, (γ) Gualte(r)i 83v, Guarneri 58v, (η) Gual-tieri 84v58; (α) usa anche -ero: (α) cancellero 3r, trosarero (tross-) 2r; -(i)ero anchein (ε): caretero 100r e, in funzione antroponimica, Penete[n]tiero 95v. In (ε) ab-biamo -i dopo un’affricata palatale: refici ‘orefice’ 102r, identico al plurale reficiivi; e viceversa -e in miliare 94v bis, 95r ‘migliaio’ (plur. miliara)59.

4.23. Esiti di B-, V-, -B-, -RB-, -BR-

Il passaggio di B- a v- in posizione fonosintatticamente debole è attestato sol-tanto in:

(γ) (la) vocha 70v;(δ) si registra qui l’antroponimo (Liello) Vulgamino 92r, cui corrisponde in (β)

(Liello) Bulgamino 13v.In (ε) si segnala la forma (della) guascha 96r ‘vasca (per il mosto)’, che po-

trebbe essere una «falsche Rekonstruktion» collegata al non univoco trattamentolocale di w- (del tipo vardare/guardare)60: comunque sia, è la prima attestazioneconosciuta della parola volgare stando non solo al DEI e al DELI ma anche alCorpus TLIO (maggio 2011).

Passaggio di B- a m- in «Eigennamen» e in contesto per lo più di assimilazioneconsonantica (Ernst 1970, 67-8):

48 Vittorio Formentin

56 I due esempi ricorrono entro un unico sintagma: p(er) lo d(i)c(t)o hustiu; la stessa mano, duerighe sopra, ha però scritto p(er) l’uschio.

57 In (ε) li pome 95r andrà inteso come plurale di lo pome 101v (forma alternante con lo pomo102r).

58 La mano (γ), alle c. 45r e 46r, scrive lo tesore, lo tesaure e perfino le tesore (sempre in uncontesto, a dire il vero, di affollamento scrittorio), dove si tratta certo, in tutti i casi, del ‘tesoriere’(solo nel primo caso è intervenuta la mano η correggendo in tesoreri); è invece plurale mest(er)i49r.

59 Perfettamente ambientato a Roma: «unum miliare cum dimidio pecudum plus vel minus» inun’imbreviatura di Antonio Scambi del 29 aprile 1367 (Biblioteca Apostolica Vaticana, S. Angeloin Pescheria, I/3, c. 51r), «unum miliare boni et puri et necti melis» in un’altra imbreviatura delnotaio Francesco di Stefano de Caputgallis del 20 ottobre 1380 (Mosti 1994, 344).

60 L’it. vasca è comunemente ritenuto una retroformazione dal lat. VASCULUM (REW 9164). Laforma del registro vaticano può essere accostata all’(era) guago ‘(era) vago’ del ms. Amburghesedelle Storie (Ernst 1970, 104; Macciocca 2004, 104).

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(β) Marthomeo 104r, Martomeolo 105r;(γ) Martomeo 52v (Marth- 73v);(ε) Marthomeo 94v, Mocha-Bela 100r61;(η) Ma(r)thomeo 100r.Per lo sviluppo -B- > -v- in posizione intervocalica oltre il modello toscano si

registrano gli antroponimi Iacovo (esempi al § 4.32.1), Iacoviello (esempi al §4.3), in (β) P(re)vite 7r e Savo 25r (Mattesini 1985, 177; P. Trifone 1990, 77)62;sia qui menzionato anche il toponimo Tivoli 104r (β), che la stessa mano scriveTiguli a c. 41v.

Il gruppo -RB- appare sempre, almeno graficamente, conservato:(β) arbori 8r, erba 33r;(γ) arbo(r)i 50r, carbonara 59r, -e 59v, erba 78v;(ε) arbori 94r, erbe 95r;(η) erba 35r.Per -BR- in posizione interna rileviamo che (α) aveva scritto dapprima due

volte otovre 2v (Rohlfs 1966-1969, § 261; Ernst 1970, 68), forma poi corretta inotobre (con -br- come febraro 2r e libre 108r).

4.24. Occlusive sorde in posizione intervocalica

In un quadro di generale conservazione delle sorde intervocaliche segnaliamo:(α) recepiè’ 2r, receputo 3r;(β) da una parte pacati 23v ter, dall’altra aguti 101r ‘chiodi’, parola per la

quale la sonorizzazione della velare è notoriamente anche toscana (Castellani19762, 133); la d di spadaro 6r è normale in romanesco antico (Ernst 1970, 99;Formentin 2008a, 88-9);

(γ) oltre a pagàno 51r ecc., mostra alcuni peculiari esempi di sonorizzazione:iudare 51r (accanto a iuta(r)e 66r), recod(er)e 44r < *RECŎTERE (Merlo 1949, 84),che è recotere 13v in (β), cov(er)to 72v (accanto a cop(er)to 71r);

(δ) caduna 92r (Rohlfs 1966-1969, § 501);(ε) oltre ad aguti 96r, latuga 96r e spadaro 91v, questa mano scrive anche adiu-

daro 94r e iudaro 100r (insieme a adiuta(r)e 100r), agudi 96r, caduna 102r, ru-giadela 100v63;

61 Si ricordino il LIELLO VOCCHABELLA di un’iscrizione votiva di San Giovanni in Late-rano del 1365 (D’Achille 1987, 77 e fig. 12) e il IOANNES BVCCABELLA di un’altra epigrafelatina del sec. XIV (D’Achille 1987, 83 n. 69); inoltre Voccabella, Bocca- in OspSalv, 201 e 203,e Jacovo Boccabella nel diario di Cola Colleine (Sattin 2007, 26).

62 Il nome è frequente in OspSalv; S. Savo anche nel diario del Colleine (Sattin 2007, 31).63 In (β) ricorre invece la normale forma roman(esc)a: diei ad quello che p(re)stao la rugitella

dello comuno 104r (la misura ufficiale del comune per la calce); a riscontro si può citare l’iscri-zione, databile alla seconda metà del Trecento, + RUGITELLA DE GRANO ·, che si legge sull’orlosuperiore del cippo marmoreo sul quale posava originariamente l’urna cineraria di Agrippina se-niore, moglie di Germanico, proveniente dal mausoleo di Augusto: quando, al tempo del governopopolare del secondo Trecento, il cippo fu convertito in misura pubblica, sotto all’iscrizione in

II. Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale 49

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(η) co(r)ritoro 101v ‘corridoio’.Notevole in (α) la sonorizzazione della p- (secondariamente) iniziale nel gre-

cismo bolissa ‘polizza, attestazione scritta’, parola molte volte ripetuta a c. 2rv,accanto alla quale si trova impiegata una volta sola, proprio nella prima posta, laforma politia 2r, che (con Castellani 2000, 196-7) andrà letto polìzia64.

4.25. Occlusive sonore in posizione intervocalica

(ε) non rappresenterà un caso di -D- dileguata pei (da rose, de le rose, de leviole) 94r ‘piedi’ (per la particolare accezione v. DEI, s.v. piede2), trattandosi piut-tosto di un plurale rifatto sul singolare apocopato pè 94v, che questa mano usa in-sieme a pede 101v.

Noterò ancora la conservazione della velare in tegole 101r (β) e fegure 103v(η).

4.26. Assimilazione dei nessi -ND-, -MB-, -LD- (e -KS-)

(α) presenta solo forme senza assimilazione: comandamento 2r, quindecemil-lia 108r;

(β) -ND- (con)nuto 100v ‘condotto’, Granne (Bernardo) 42v, (Meolo)Roto(n)niello 104r (alternato nella stessa pagina a (Meo) Rotu(n)dello),spa(n)n(er)e 18v; -MB- pio(m)mo 101v; -LD- Astallo 6v (e Stallo 91r), Raynallo15v, Siniballo 6r, sollatura 101v ‘saldatura’ (e solat(ur)a 102r), solli 14r, The-ballo 21r (e Tiballo 101r); ben attestate, per altro, sono anche le forme in cui inessi originari appaiono conservati: (con)duto 103r, fendere 89v, Fundi 26r, Pan-dalpho 16r, p(er)to(n)data 103r, tend(er)e 36v, unde 101r ecc.; caldararo 101v,Rainaldo 36v, Sinibaldo 9r, Thebaldo 21v; pio(m)bo 101r; questa mano docu-menta anche l’assimilazione -KS- > -ss- (graficamente -s-) oltre i limiti della lin-gua letteraria: capocosa 101r < CAPUT + COXA.

(γ) -ND- (con)nuto 60v; -MB- pio(m)mare 87r e i(m)pio(m)mare 87v, sco-mora(r)e 60v < *EXCOMBORARE; -LD- Theballo 45r; i nessi appaiono invece con-servati in co(n)ducto e (con)duct(o) 60r, ma(n)dò 45r bis, monda(r)e 48r emu(n)da(r)e 49r, Orlando 52r, Raymu(n)do 79r ecc.; pionbare 87r;

50 Vittorio Formentin

volgare vi furono raffigurati un Pavesato e un Balestriere che sorreggono con la destra lo stemmacoronato del popolo romano recante la divisa + SPQR (Capobianchi 1896, 371-2; Natale 1939,33-4; Ebert-Schifferer 1988, 93 e fig. 3); in questi saggi si accenna anche a una coeva misura pub-blica per la calce, oggi perduta ma ancora nota nel Cinquecento (Capobianchi 1896, 380; Ebert-Schifferer 1988, 108). Alla misura ufficiale della rugitella per la vendita della calce fa riferimentoun bando del 1447: «Item che tutti li calcaresi de Roma siano tenuti et debiano vendere la calce admesura de rugitelle usate et sigillate et iuste» (Re 1928, 93). Per la rugitella come misura di ter-reno v. Ugolini (1932, 437).

64 Documentazione d’area romanesca e mediana della parola in M. Trifone (1998, 406).

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(ε) -ND- (con)nuto 100r, Fu(n)ni 94v e l’ipercorretto vendero 94v ‘vennero’;-LD- Siniballo 95r, Tiballo 99v; esempi di conservazione dei nessi: (con)ducto96r, descende 103r, donde 102r, fondo 100v, mo[n]dicia 94r, q(ua)ndo 94v; sal-dare 102r, saldatura 102r; piu(m)bo 95r, impiu(m)bare 95r, -ati 95r.

(η) -ND- qua(n)no 102r; -MB- inpio(m)mare 101r; esempi di conservazione deinessi: co(m)mandam(en)tto 103v, co(n)dut(to) 101v, rotonde 100r; anche in que-sta mano capocosse 75r.

4.27. Affricazione della sibilante dopo liquida e nasale

Il fenomeno, come nei testi romaneschi di mano notarile recentemente studiati(Formentin 2008a, 90-1), è documentato solo indirettamente dalle seguenti forme,spiegabili come esempi di «Hyperkorrektismus» o di «etymologisch unrichtigeSchreibung» (Ernst 1970, 83):

(β) terso 37r (però calçolaro 13v);(ε) pranso 97r (però recalzata 95v)(ζ) comensàno 96v (accanto a comenzàno 96v).

4.28. PL-, (-)BL-, FL-

In questi gruppi consonantici si assiste alla semplice palatalizzazione della la-terale, con un risultato di tipo toscano proprio anche del romanesco antico (Ernst1970, 80):

(β) PL- pianta(r)e 39r, piobe 37r, pio(m)bo 101r; BL- bianchi 100v, Biancha5r; FL- Fiagiano 36v < FLAVIANUS;

(γ) PL- piobe 44r65, pionbare 87r e pio(m)mare 87r, più 54r; BL- Biasio 49v; FL-Fiagiano 63v;

(δ) -BL- subioni 92r < SUBULŌNE (REW 8404);(ε) PL- pianta 95r, pia(n)time 95r; BL- bianchi 100r e, in posizione interna tra

vocali, (Andreozo de) Nibio 106r e subioni 95v; si segnala qui Mon(te)flascone100r66;

(η) PL- piane 101v, pia(n)tati 94v, piobe 75v, inpio(m)mare 101r e, assai no-tevole, piubica 103v (Ugolini 1932, 438; Macciocca 2004, 117)67; BL- Biasio 62v.

4.29. CL- e palatalizzazione di [kːj] (o [cː])

(β) conservazione, almeno grafica, del nesso iniziale in clavellare 101v, altri-menti Chiodio 59v e chiovi 101v; in posizione intervocalica (Tore) Vechia 15v eil notevole piccioni 101r equivalente a (ε) picchioni 99r ‘picconi’ (picchione

65 Si veda la precedente n. 31.66 Una forma di compromesso è Fliorença 2r accanto a fiorini 2r (α).

II. Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale 51

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100v), esempio che pare dunque documentare il fenomeno della palatalizzazionedi [kːj] (o [cː]) > [tːʃ] (Ernst 1970, 82; P. Trifone 1990, 79; Sattin 2007, 32);

(γ) lo stesso fatto fonetico pare riflesso dalla forma (Civita) Veccia 77v e 79v,che affianca il più frequente (Civita) Vecchia 75v;

(ε) clavelare 100v.

4.30. L davanti a consonante

Sempre intatta l innanzi a consonante coronale:(α) altra 3r, valseno 2r;(β) altri 22r, calce 36r, calçolaro 13v, pulzoly 101r;(γ) altri 49r, calce 43r, volta 75v e il nome proprio Gualte(r)i 83v;(ε) alt(r)e 97r, calce 100v, colse 94r e colsono 94v, spelta 94r, recalzata 95v,

recalciarita 95v;(η) altre 103v, calce 78r, polçuoli 100r.Ricordiamo che «esempi di jotizzazione della l più cons. nei testi romaneschi

dal Duecento al Quattrocento conservati in trascrizione coeva non si rinvengono»(Ugolini 1983, 54)68.

Anche innanzi ad altro tipo di consonante l appare conservata, senza subirerotacismo: (α) Canselmo 2v; (β) Alberto 4v, Bulgamino 13v, calcarese 104r, Ghal-ghano 5r, palme 101v, ulmo 101r; (γ) Gulielmo 54v; (δ) Vulgamino 92r; (η) olmo100r bis; (ε) olmo 100v.

4.31. -GN-

(β) questa mano documenta i vari esiti centro-meridionali del nesso (-n-, -in-,-nn-): falename 9v, (Iacoviello d(e)) Ainello 19v, (Ia(n)ni dello) Renno 104v; inol-tre (Iacoviello d’) Angniello 18v, Angniellello 19v, ligno 101v, stagno 101v;

(γ) falena(m)e 79r;(ε) lena 100v, epperò ligno 98v, (Pietro Ia(n)ni) Angnello 100r, Regno 100v,

stagno 102r;(η) leno 98v, lena 100r.

4.32. J e nessi di consonante + J

4.32.1. J-, -J-(α) Ia(n)ni 3r e, con grafia g(i) (sempre che non si voglia pensare a toscanismi),

genaro 2r; magio 2v;

52 Vittorio Formentin

67 Aggiungi piubicamente due volte in un bando del 22 maggio 1447 (Re 1928, 85).68 È stato poi osservato che anche le epigrafi in volgare dei secoli XIV e XV «non mostrano

[…] nessun esempio di l iotacizzata» (D’Achille 1989, 6 n. 12).

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(β) Iacovo 13v, Iacoviello 4v, Ioh(ann)i 5v, iovadie 41v ecc. e, con diversagrafia, gié 100v ‘andò’;

(γ) Iacovo 43r, Iacoviello 43r, Ia(n)ni 43r ecc. e gié 46r69;(δ) Iacoba 93r, Ia(n)petrachia 92r, Iacoviello 92r;(ε) Iacovo 100r, Ia(n)ni 94v, Ia(n)petrachia 94r, iunczi 95r, verosimilmente da

JŬNCEUS (REW 4615) ecc., gié e giero 94r; (ζ) Ia(n)nucio 96v, iu(n)io 96v, iulio 96v; maio 96v.(η) Iacobo 103r, Iacoviello 45v, Iacovo 103v, Ia(n)ni 38r, Ia(n)niello 82r.

4.32.2. -BJ-, -VJ-(α) digo 108r DĒBEO, che intenderei [ˈdij(ː)o];(β) rugio e rugia 104r ‘rubbio, rubbia’, per cui v. REW 7408 e Vignuzzi (1984,

52 n. 122);(ε) rugio 94r, rugiadela 100v;(η) agio 103v HABEO.Per -VJ- registro il toponimo Fiagiano 36v (β), 64r (γ); iovadie 41v (β) mo-

strerebbe forse l’incrocio del tipo JOVIS DIES col tipo settentrionale JOVIA (DIES),ovvero l’influsso delle forme settentrionali in -a sul tipo JOVIS DIES?

4.32.3. -CJ-Se si prescinde dai riflessi dei suffissi -ŪCEUS e *-ŎCEUS, in posizione intervo-

calica troviamo quasi soltanto l’affricata palatale [tːʃ]:(β) lo Riciuto 37v alias lo Griciuto 36v (cfr. capelli gricci nei Tractati di s.

Francesca Romana: Incarbone Giornetti 2006, 87; e Griccio antroponimo nel Dia-rio di Antonio Lotieri: Mattesini 1985, 145);

(γ) brecia 76v e bricia 75v ‘breccia’ (di etimo tuttavia discusso), lo Griciuto66v;

(ε) ciò hè 95r;(η) brecia 79r, facie 103r ‘facce’; e inoltre ciò è 94v.Con l’affricata dentale si presenta invece:(ε) brazia 94v plur. di bratio 94v (unità di misura).I riflessi onomastici del suffisso -ŪCEUS si dispongono in una doppia serie,

com’è normale in romanesco antico (Formentin 2008a, 90):(β) 1. [tːʃ] in Bucio 6r (e Cobucio 18v), (Con)tucio 20r, Matiucio 18v (e Ma-

tucio 19v), Nucio 4r, Nucio Romanucio 36r, Petrucio 39r, Tucio 4v, Tonucio 16recc.; 2. [tːs] in Coluza 18r, Luço 9r (e Luzo 90v), Marteluzo 6v, Mathiuzo 101vecc.; si direbbe che i due esiti possano convivere anche in riferimento ad un me-desimo individuo, a giudicare dall’alternanza tra Lucio Siniballo 8v e Luço Sini-ballo 9r, Luzo Siniballo 9v;

(γ) 1. [tːʃ] in Bucio 43r, Ianucio 50r, Iacovucio 45v, Lenucio 49r, Mactiucio

69 Questa mano scrive anche zié 44v, cié 66r.

II. Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale 53

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48r, Mactucio 50r, Nucio Romanucio 43r, Petrucio 43v, Tucio 43r ecc., e nel nomecomune p(re)tucio 44r; 2. [tːs] in Coluza 44v, Lenuzo 53v, Mactuzo 52r, Marthe-luzo 43r, Paluzo 48r, Micheluzo 102r ecc.;

(δ) [tːʃ] in (Con)tucio 92r, Tucio 92r;(ε) 1. [tːʃ] in (Con)tucio 94r, Nucio 94v, Tucio 94r; 2. [tːs] in Coluza 94v, Mar-

theluzo 99v, Micheluzo 102r, Paluzo 98v;(ζ) [tːʃ] in Ia(n)nucio 96v, Nucio 96v.Per *-ŎCEUS è documentato solo l’esito in affricata dentale:(β) Comorozo 24r, Matiozo 91r, Stephanoza 4v, Tomarozo 25r70;(γ) Sca(n)gniozo 43r;(δ) Stephanoza 92r;(ε) A(n)dreozo 99v, Paloço 107v, Vanozo 102r;(ζ) Sca(n)gnozo 96v.In posizione postconsonantica il risultato è un’affricata dentale in (ε) recal-

zata 95v, iunczi 95r < JŬNCEUS; di contro (β) unce 101v.

4.32.4. -DJ-(β) esito j (> Ø) nei verbi in -iare < -IDIARE: lingnioliare 21r, cariare 28v; per

‘mezzo, -a’ ricorrono sia mezo 101r, meza 23v che miesa [sic] 23v bis, secondo ilnoto tipo romanesco antico e più generalmente mediano (Formentin 2000); nonspecifico è aiutare 33r, per cui v. LEI (I 721-3); vadano qui anche iornata 23v tere giornata 37v;

(γ) da un lato caria(r)e 44v e pogio 79v (con grafia -gi- verosimilmente per[j(ː)]), dall’altro mezo 46r;

(ε) andrà qui hugio 94v, se, come credo, è affine all’it. ‘uggia’, tosc. uzza <*ŪDJA (Castellani 1955, 10)71; epperò meza 94r, mezo 99r.

(η) ca(r)riare 62v, però meçço 71v.

4.32.5. -LJ-Noto soltanto, in (γ), la serie malioli 45r, malglioli 45r, maioli 46r < MALLEO-

LUS: come andrà intesa quest’ultima forma? pare inverosimile pensare a unariduzione di [ʎː] a [j(ː)] (si veda il saggio di Michele Loporcaro al cap. IV); sidovrà pensare piuttosto a un’incertezza di natura grafica, riscontrabile in altromodo anche nella forma talar(e) 43v accanto a taliar (le p(re)te) 46v ‘tagliare’;

(ε) segnalo, con la ben nota grafia lg(i) per [ʎː], algii 95v ALLIUM.

4.32.6. -RJ-(α) -ARIUS > -aro: genaro 2r, febraro 2r;

54 Vittorio Formentin

70 TOMAROZO, TOMAROÇO in D’Achille (1987, 72 n. 12, e 91), dove (sempre a p. 72 n.12) si cita anche un PETRVCIO MARTELVZO.

71 Do il contesto: «Diei in vj brazia de pano q(ua)ndo fo ad hugio lo melangolo de lo Schiavo,| p(er) s. ij p(er) bratio s(omm)a s. xij».

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(β) -ARIUS, -ARIA > -aro, -ara: caldararo 101v, calçolaro 13v, centenaro 101r,ce(n)tenara 101r, ferraro 89r, (Tucio) Ia(n)porcaro 103r, marmoraro 34v, porta-raro 37r,72 somaro 7r, spadaro 6r, tavernaro 24v;

(γ) -ARIUS, -ARIA > -aro, -ara: carbonara 59r, feraro 90r, marmoraro 53v, ma-tarazaro 60r, portararo 43r, somari 43r, tavernaro 43v; è dotto salario 46r col dis-similato selario 46r, che è la forma normalmente usata da questa mano (selari,forse per errore, a c. 49v);

(ε) -ARIUS, -ARIA > -aro, -ara: buffularo 99v (bufu- 100r), centenaro 94r, cen-tenara 94r, feraro 95v, marmoraro 99v; per miliare 94v bis, 95r ‘migliaio’, plur.miliara 95r, v. il § 4.22;

(ζ) il dotto selario 96v;(η) -ARIUS, -ARIA > -aro, -ara: ce(n)tinaro 100r, ma(r)moraro 82r, po(r)tararo

71v; dotto sala(r)io 71v73.

4.32.7. -SJ-(α) casone 3r;(ε) casone 93r; casio 97r ‘cacio’, che, se non è grafia latineggiante, pare ac-

cennare a [ʃ]74;(η) cascione 103v; vada qui recosire 95r, anche se si muoverà da CO(N)SUERE,

con regolare dileguo della semiconsonante dopo s.

4.32.8. -SSJ-L’esito è [ʃː]: (β) e (γ) Roscio 21r, 43r.

4.32.9. -TJ-L’esito normale in posizione intervocalica è rappresentato da (β) pallazo 101r,

(δ) maza 92r, (ε) poczolana 100v, (η) poççolana 103v ecc. (a parte il solito di-vergente rasone 103r e gli etimologizzanti racione 100v e ratione 102r; latineg-giante anche (ε) mo[n]dicia 94r). Dopo consonante abbiamo da una parte (β)(con)ciare 14v, aco(n)cia(r)e 39r, (η) raco(n)ciatur(e) 90v, dall’altra (γ)(con)tia(r)e 44r, (ε) contiare 100r, co(n)tiat(ur)a 100v. In corrispondenza di -STJ-sono gli assai notevoli uschio 96r e hustiu 96r bis di (ε), di contro all’uscio 102rdi (η).

72 In un bando del 23 giugno 1448: «Item che nullo portararo de porte né de ponti […] dega népossa tenere vasciella ecc.» (Re 1928, 99).

73 Per -(i)eri e -(i)ero v. il § 4.22; il relativo suffisso femminile compare come -(i)era: (β) co-nigliera 15v, coniglera 33r, peschera 13v, e l’antroponimo Cimera 24r. Presso le altre mani: (γ) pi-schera 43r; (η) peschiera 19v (che è la forma normale per questa mano) e peschera 28v.

74 Per le attestazioni di -SJ- > -ʃ- nei testi romaneschi antichi v. D’Achille (1987, 82), con i rin-vii bibliografici ivi indicati.

II. Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale 55

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4.33. Varia

La mano (β), che scrive regolarmente decina, -e 100v, (Magna-)lucerta 36v,pece 101v, vernice 100v ecc., presenta anche navescella 101v e portesella 101v(da intendere anche questa forma con [ʃ(ː)]?), che andranno confrontati con ilpo(n)tisseli 94v di (ε), che a sua volta scrive con regolarità decina, -e 100r, faci-tura 102r, manici 95v, noce 97v, prunaci 94v (e anche botecello 99r ter) ecc.75:forse allora per queste forme diminutive – ammesso che le diverse grafie rappre-sentino sempre una sibilante palatale (che sarebbe allora geminata?) – bisogneràcercare una spiegazione piuttosto morfologica, cioè analogica, che fonetica (in-fluenza dei tipi ‘arboscello’, ‘ramoscello’ < -USCELLUS?)76.

In (γ) abbiamo alcuni esempi di sonorizzazione dopo nasale, anche in fono-sintassi (Ernst 1970, 96)77: Mengia-bona 53v, 82r, 82v, no(n) ge piobe sop(ra)72v ‘non ci piovve sopra’. Notevole -MN- > [ɲː] in cologna 87r (γ), 101v (ε) (nellastessa pagina β scrive collona 101v). Non si manifesta palatalizzazione di LL in-nanzi a -Ī: (γ) cavali 47v, 75v.

Si segnalano in (ε) gli esempi del passaggio di -l- a -r- nell’ultima sillaba deiproparossitoni (Rohlfs 1966-1969, § 221-a): bufuri 99v, che si contrappone nellastessa posta a buffularo 99v (e a bufularo 100r)78; tavore 100v (ma tavola 100v,tavole 102r); forse reattivo a questa tendenza è ficula 97v ‘fichi’ (= ficora).

MORFOLOGIA

4.34. Reliquie della flessione

Interessantissime tracce di un sistema flessivo (proto)romanzo a due casi sievidenziano prima di tutto nel settore dei nomi propri di persona:

(β) Cecho Sayno 20v e Ceccone Sayno 20r; Symon 11v e Symone 11r;(γ) Biasio de (Com)pagno 51v e Biasio de (Com)pagnone 49v; Pietro de Chio-

dio 60r, 62r ecc. e Petrone de Chiodio 59v, 61v ecc.; Càrita da Gobio 79r (cosìleggerei in luogo di Carità) e Caritate da Gobio 79v.

56 Vittorio Formentin

75 (ε) cusina 103r ‘cucina’ sarà un gallicismo, e la stessa ipoteca varrà per (ζ) sciaschuno, scia-scuno 96v; (α) disembre 2r pare idiosincrasia grafica a fronte di dicembre 2r e decenbre 2r.

76 Questa supposizione pare accreditata dalla forma del nome (Paulo) Manoscela in una postadi c. 100v scritta da (β), se è corretto vedervi un equivalente del ben attestato Manosella (Cronica1,VII 36, con le varianti riportate in apparato; Cronica2, 215 n. 71; e proprio un Paulus Manosellaè menzionato tra i Reformatores rei publice Romane nella riaffida di Velletri del 20 marzo 1367:Falco 1914, 629), dunque questa volta con -sc- in corrispondenza di una -s- primaria.

77 Aggiungo un paio di esempi da SFrR: i(n) ganna ‘in gola’ (ms. T, c. 157r.6), Fra(n)gesca (ibi-dem, c. 174v.14).

78 Riscontri in Vignuzzi (1984, 49) (bufara) e P. Trifone (1988, 252) (bufuri). Ma (β) ha buf-falli 101v, con lo stesso vocalismo di (Ianni) Bufalaro (Egidi 1908b, 203) e del lat. bufalarii nelDiario del nepesino Antonio Lotieri de Pisano (Mattesini 1985, 123).

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Nel settore dei nomi comuni personali, in (γ) ricorre varie volte il tipo com-pagno / compagnone, entro contesti quasi esattamente sovrapponibili e con le dueforme documentate a brevissima distanza l’una dall’altra (a volte entro la stessapagina o carta)79. Da una parte abbiamo dunque la forma nominativale: Pietro deCatalog(n)ia ad impire p(er) s. xij, conpagni de Pietro iij p(er) s. x l’uno 60r, Pie-tro Catalogia [sic] ad scomora(r)e la pischera p(er) s. xij, conpagni de Pietro iijp(er) s. x l’uno 60v, Aucello fra(n)cescho, Daniel (com)pagno suo 69v; dall’altrala forma accusativale: Pietro Catalog(n)ia p(er) s. xij, conpagnoni de Pietro iij adfa(r)e le p(re)te p(er) le tane p(er) s. x l’uno 60v, Aucello francescho, Daniel(com)pagnone suo 70v.

Nella serie antroponimica è di grande rilievo il fatto che il nome proprio diforma nominativale e accusativale si riferisce alla stessa persona80, come negliesempi lidensi e veneziani segnalati da Salvioni (1906, 214 n. 1) e da Bertoletti(2006, 179): Pero Floca e Perun Floca negli atti di Lio Mazor, Marco e Marcon,Francesco e Francescon nei Testi veneziani di Stussi (1965). Naturalmente le no-stre forme, come quelle settentrionali, sono ormai (e da tempo) sintatticamente de-funzionalizzate (nel registro romano compaiono in elenchi nominali): ma il casoè comunque di grande rilevanza, perché la coesistenza di forme nominativali e ac-cusativali dello stesso nome riferite alla stessa persona da una stessa mano entrolo stesso documento prova che anche in area italoromanza, in particolari settoridella flessione nominale, il processo di semplificazione della complessità pluri-casuale del latino è passato attraverso una fase strutturalmente (almeno) bicasuale(Formentin 2002, 300; Bertoletti 2006, 183).

4.35. Plurali in -a

(β) orna 103r, plur. di orno 103r ‘ornamento’; rugia 104r, plur. di rugio 104r;solo plur. ova 101r;

(ε) brazia 94v, plur. di bratio 94v (unità di misura); solo plur. bolog(n)ina 94v(moneta), canestra 94r, ciffa 100r e cifa 99v (accanto a ciffi 98v, che è formaanche di (β) 101r), vasa 101r (accanto a vassi 99r); va qui anche ficula 97v ‘fichi’(= ficora).

Notevole in (α) il numerale doa in fiorini d’oro cento sesanta doa 108r, esem-pio in cui la posizione occupata dal numerale nella frase dà piena ragione al-

79 E si vedano in LYstR (20.21) le due forme affrontate nella lezione di L e in quella di A: altriconpangi L e altri conpangioni A. Si può per altro sospettare che la vitalità della coppia compa-gno / compagnone possa essere stata favorita se non determinata dal prestigio, anche letterario,del modello galloromanzo.

80 Questo vale anche per la coppia Symon / Symone, pur in mancanza di un determinante, datoche ci assicura dell’identità del personaggio l’identità della sequenza nominale: Pesce, Ioço deBiancha, Symone, Cecho Galgano, Alberto ecc. 11r e Pesce, Ioço de Biancha, Symon, Cecho Gal-gano, Alberto ecc. 11v.

II. Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale 57

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l’ipotesi genetica formulata da Ernst (1970, 164): «Ob doa einen lat. Pl. des Neu-trums fortsetzt, erscheint mir fraglich […]. Dort, wo doa auftritt, findet es sichnirgends in Verbindung mit einem Substantiv, das eine Form des Neutrums er-fordern oder wenigstens erklären könnte [come nel tipo settentrionale doa bra-za]. […] Ich […] möchte […] annehmen, daß doa […] die betonte Form ist»)81.

Da segnalare la presenza di plurali in -a di singolari femm. in -a, secondo il tipomesso a fuoco da Sabatini (1966, 189-91)82:

(β) le p(re)ta 39v, le foglia 39v;(γ) le p(re)ta 43r.

4.36. Plurali del tipo li vie e li mura

(γ) de li vie 57r, a li vie 57v (ma anche a le vie 56v, le vie 58r);(ε) li spese 93r, 97r, 106r, de li… teste 102r.Basta allargare il contesto degli esempi di (ε) per accertarci che non siamo di

fronte a uno schema di accordo alternante (come femminile al singolare, comemaschile al plurale), del tipo, caratteristico del romanesco antico, la votte era ve-nenata / li votti erano venenati, che riguarda i sostantivi etimologicamente fem-minili della III declinazione latina:

Queste sono li spese f(a)c(t)e 93r, 97r, Queste sono li spese de poczolanaf(a)c(t)e 106r, saldat(ur)a de li d(i)c(t)e teste 102r.

Come si vede, gli elementi attributivi e predicativi riferentisi al sostantivo plu-rale (Queste, f(a)c(t)e, d(i)c(t)e) mostrano un accordo al femminile, con una de-sinenza -e che è del resto la stessa del nome di I classe (spese, teste). Possiamodire, per altro, che un tale inusitato schema d’accordo (l-a spes-a / l-i spes-e) co-stituisce l’indizio di una situazione d’incertezza morfologica che poteva più fa-cilmente insorgere in una varietà caratterizzata, come il romanesco antico, da unparadigma di vero e proprio genere alternante del tipo l-a chiav-e / l-i chiav-i, perdi più complicato dalla compresenza nel sistema del tipo l-e chiav-e (Ernst 1970,122-4)83. Comunque si voglia giudicare delle origini di un tal tipo morfologico,non mancano riscontri provenienti proprio da testi romaneschi antichi: «E volse

58 Vittorio Formentin

81 Di norma, in condizioni prosodico-sintattiche diverse (di protonia sintattica), abbiamo intutte le mani l’indeclinabile doi, come di regola nel romanesco antico: per gli esempi v. il § 4.45.Per la forma duoi 52r v. la precedente n. 40.

82 Ancora nell’autografo Fascetto di memorie storiche di Antonio de Vasco: tre messa la setti-mana accanto a tre messe la sectimana (Chiesa 1911, 550.81 e 551.58); e le pontica ‘le botteghe’nel diario di Cola Colleine (Sattin 2007, 34).

83 Nel registro vaticano: (β) le vite 32v bis.

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destrugere li presenti vactalge & quelle ke deveano venire» (LYstR, 196.15 A),«De li dicti v. annutine [‘delle predette cinque (vacche) annutine’] c’è j. iuvenchode iij anni» (Caff., II, 603); e vedi anche «Agi li fronne delli finochi e tran(n)e losuco e mettile nelle orechie» (Ernst 1966, 153), dove pur si muoverà da un sing.la fronne.

Del resto, che il tipo alternante la chiave / li chiavi abbia esercitato attrazionesul tipo la spesa / le spese (→ li spesi) è confermato da plurali come li bieti, li fe-mini, li mascari e dalla coppia la rama / li rami ‘il ramo, i rami’ sicuramente sep-pur sporadicamente documentati in alcuni testi romaneschi del sec. XV e XVI,come il ricettario di Stefano Baro[n]cello, i Tractati di s. Francesca Romana, ildiario di Cola Colleine (Ernst 1966, 146; Incarbone Giornetti 2006, 79 e 131; Sat-tin 2007, 34); nel nostro registro potrebbe appartenere a questo tipo il pluraleponti, che sembra valere ‘punte’ nella posta seguente: (β) Diei ad Viello ferrarop(er) aco(n)cime de xij ponti de piccioni [‘picconi’] et gravine [‘picconi conun’estremità a punta e l’altra ad unghia’] p(er) s. uno p(er) una —————-S(umm)a s. xij 101r (decisivo il femminile una, nell’espressione distributiva ‘unoper [ogn]una’, che accenna a un singolare la ponta).

Andrà probabilmente considerato un’altra spia dell’instabilità morfologica diun sistema nominale particolarmente complesso il plurale li d(i)c(t)i mura 100r(ε).

4.37. Genere

Notevole, in (ε), la seme 95v femminile (Rohlfs 1966-1969, § 385), del restoaccanto a lo seme 96r maschile; nella sezione spettante alla stessa mano sono ma-schili i sostantivi in -ime: lo (co)p(er)time 100r ‘materiale di copertura’84, lopia(n)time 95v, uno serime 102r ‘serratura’; in (β) aco(n)cime 101r ‘accomoda-tura’ ricorre senza determinante.

4.38. Articolo determinativo e preposizioni articolate

In tutte le mani del registro l’articolo determinativo maschile, singolare e (seattestato) plurale, è sempre di forma forte (lo e li), fatta salva l’eccezione rappre-sentata da tuto-l die 37r (β); da rilevare ancora il tipo lo ’nca(n)nato 34r (β), cioèl’aferesi della i- seguita da nasale + consonante dopo l’articolo, che conserva in-vece la propria vocale.

(α) preferisce ll nella preposizione articolata composta con de: dello sopra-dicto mese 2r, Nicolò delli Alberti 2v, dello mese 2v, della vigna 3r ecc.; mentrein quella composta con da la scempia si alterna alla doppia: da lo suopradicto

84 Appunto lo copertime nelle Miracole de Roma (Monaci 1915, 565, cap. 5).

II. Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale 59

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Iuva(n)ni 2r, da lo dicto Iacopo 2v, da lo dito Iacopo 2v ecc. accanto a dallo suo-pradicto Giorgio 2r, dallo dito Iuva(n)ni 2v; questa mano presenta anche un esem-pio di forma debole: del mese d’agosto 2v.

Le preposizioni articolate in (β) hanno quasi sempre ll (Formentin 2008a, 92):alla conigliera 15v, alla peschera 13v ecc., dello giardino 13v, della Matrice 13v,dello papa 15r, della peschera 17r ecc., dalla cusina 103r, dallo d(i)c(t)o Cecho89r, nello (con)nuto 101r, nella fontana 100r, colli buffalli 101v ecc. (esempi conla scempia: de la peschera 30r, de li Mastri 30r). Insieme al tipo ‘nello’ ricorreanche il tipo ‘in lo’: in li cancani 101v, i(n) la portesella 101v. Notevole il pur iso-lato femminile plurale al vie 32v, che, se non è un errore, va ad incrementare lanota casistica d’area mediana: v. Vignuzzi (1994, 355-6) e da ultimo Formentin(2010, 206 n. 63).

Tipica di (γ) è l’alternanza di l e ll, con una preferenza per il tipo con la scem-pia: a la pischera 43r, a la vigna 51v ecc., co· la careta 52r, de la sciaquata 52v,de la pischera 52v, de l’aqua 67r, de lo Roscio 52v ecc., ma anche co(n) la careta45r, con llo (com)pagno 48v, collo (com)pagno 55r, dello Roscio 47v, della ca-reta 50r, dello lione 70v, dell’aqua 57r ecc. Tipo ‘innello’: innella vi(n)gna 73r.

La mano (ε) mostra una situazione analoga a quella di (γ), preferendo per altronella composizione con AD e CUM il tipo etimologizzante ad lo, cu(m) lo: ad loNegro 94r, ad lo d(i)c(t)o Cola 94v, ad lo d(i)c(t)o Tucio 98v, ad la vigna 95r, adl’arbori 95v ecc. (a la pischera 96r, a lo d(i)c(t)o Tucio 98v, a la vigna 100r);cu(m) la ciba 94r, cu(m) li asini 98v, cu(m) lo palo 99r, cu(m) li bufuri 99v; de lerose 94r, de le viole 94r, de lo conte 94v, de la lignola 94v, de lo Schiavo 94v, dele cesanesse 94v, de li Thosti 94v ecc., e di contro dello Schiavo 94v, dello spi-nazo 95v, dello p(a)pa 95r, (Liello) dello Penete[n]tiero 95v, della guascha 96r,delli vignaroli 97r ecc.; tipo ‘in lo’: in la vigna 96r, in lo p(ra)to 96r, in la colo(n)a101r, in lo pede 101v ecc.

La mano (ζ) ha con la scempia de lo mese 96v; tipo ad lo: ad l’orto 96v, ad lod(i)c(t)o Nucio 96v, ad lo d(i)c(t)o Ianucio 96v; tipo ‘innelo’: i(n)nela vigna 96v.

In (η) le preposizioni articolate ricorrono con ll: alla peschiera 26r, alla vin-gnia 40r, allo prato 40v ecc.; colli ca(m)pi 103r; dalla fo(n)tan(a) 100v, dalla pe-sciera 101v; della peschiera 19v, delle capocosse della fo(n)tan(a) 75r, dellipeperingni 103r, delli Tuosti 100r ecc.; e si noti anche p(er) llo prato 84v, p(er)lli spini 94v, p(er) lla pret(a) 100r ecc.; tipo ‘innello’: i(n)nella peschiera 100r,i(n)nella ‹d(i)c(t)a› vingnia 103v.

4.39. Pronome personale

Forme toniche dell’obliquo di origine dativale: (α) p(er) mi 3r e 108r.

4.40. Possessivo

Il possessivo di 3a pers. sing., quando accompagna un nome di parentela o as-

60 Vittorio Formentin

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similabile, è regolarmente posposto al sostantivo (la barra verticale indica il cam-bio di riga):

(β) Pietro da Rezio | Laure(n)zo fr(at)e suo 35v, Iacoviello Caffagio | Martel-luzo fr(at)e suo 36r ecc.;

(γ) Iacovielo Cafagio | Martheluzo fr(at)e suo 43r, Pietro de Catalog(n)ia | lo(com)pagno suo 43v ecc. (però Colecta (et) duoi suoi (com)pa(n)gni 52r).

In (ε) ricorre anche, con un sostantivo d’altro genere, il possessivo anteposto,in forma sia piena che ridotta, con un’erosione fonetica dovuta probabilmente allaprotonia sintattica: p(er) suo selario 100r e de so selario 100r.

Per il possessivo di 3a pers. plur. abbiamo loro posposto e lor anteposto:(ε) a la vigna loro 100r, p(er) lor casone 93r, p(er) lor spese 97r;(ζ) p(er) lo selario loro 96v.

4.41. Pronome relativo

L’unica forma del relativo semplice, anche nella funzione sintattica di sog-getto, è che:

(β) Quello che portà l’acqua 7r, diei alli mastri ferrar(i) che sta(n)no allo pal-lazo dello p(a)p(a) 101r ecc.;

(γ) Ho(min)i che sta(n)no ad capare le p(re)te 44v, Fuoro grieci85 xvj che car-iàno le p(re)te 80v ecc.;

(ε) Ho(min)i iij che giero cu(m) la ciba ad colg(er)e li pei de le viole 94r, unoche gié ad colg(er)e le saiectole 94r, uno h(om)o che portao l’obedienti de casade Siniballo ad la vigna dello p(a)pa 95r ecc.

(η) p(er) lli spini che fuoro pia(n)tati 94v, p(er) l’asini che fecero lo ca(r)riodella preta 103v.

4.42. Verbo

4.42.1. Indicativo presente(α) Coniugazione in a: 3a pers. sing. resta 108r, su(m)ma 2r. Coniugazione in

e: 1a pers. sing. digo 108r ‘devo’;(β) Coniugazione in a: 3a pers. sing. intra 101r. Coniugazione in e: 3a pers.

sing. mette 13r;(ε) Coniugazione in i: 3a pers. sing. ecxe [sic] 102r ‘esce’;(η) Notevole la 3a pers. sing. veo 100v ‘viene’, accanto a ve 101r.

4.42.2. Indicativo perfetto(α) Coniugazione in e: 1a pers. sing. recepiè’ 2r ‘ricevetti’. Forme forti: 3a pers.

plur. valseno 2r.

85 grieci è correzione di (η) su ho(min)i di (γ).

II. Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale 61

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(β) Coniugazione in a: 1a pers. sing. comparai 89r; 3a pers. sing. ca(r)iao 101v,pesao 101r, portao 101r, p(re)stao 104r e portà 7r86; 1a pers. plur. cariamo 101v;3a pers. plur. pesaro 89r. Coniugazione in i: 3a pers. sing. s(er)vio 37v. Formeforti: 3a pers. sing. adusse 101v, piobe 37r; 3a pers. plur. ruppero 90v.

(γ) Coniugazione in a: 1a pers. sing. conprai 90r; 3a pers. sing. lavorò 71r,ma(n)dò 45r bis87; 3a pers. plur. pesaro 90r e poi cariàno 80v, pagàno 51r, 83r epagòno 67r, 72v. Coniugazione in i: 3a pers. sing. s(er)vì 54r e s(er)vio 55v; 3a

pers. plur. partiro 54r, s(er)viro 49v. Forme forti: 3a pers. sing. piobe 44r88.(ε) Coniugazione in a: 1a pers. sing. co(m)prai 100r; 3a pers. sing. arechao 94r,

cariao 99v, (com)prao 99v, forao 100v, lavorao 99v, pesao 102r, portao 94v; 1a

pers. plur. portamo 100r; 3a pers. plur. adiudaro 94r e iudaro 100r, gitarono 100r,pesaro 95r, pia(n)tàno 97r. Forme forti: 3a pers. sing. adusse 99r, colse 94r; 3a

pers. plur. adhuseno 94v ‘misero ad uggia, aduggiarono’, colsono 94v, vendero94v ‘vennero’.

(ζ) Coniugazione in a: 3a pers. sing. comenzao 96v; 3a pers. plur. comenzànoe comensàno 96v. Coniugazione in i: 3a pers. plur. s(er)viro 96v.

(η) Coniugazione in i: 3a pers. plur. serviero 43r (Ernst 1970, 155-6; M. Tri-fone 1998, 171; Macciocca 2000, 184). Forme forti: 3a pers. sing. piobe 75v.

4.42.3. Essere(β) Indicativo presente: 3a pers. sing. è 41v; 3a pers. plur. so(n)no 4r e in tutte

lettere sonno 20r. Indicativo perfetto: 3a pers. sing. fo 101r; 3a pers. plur. fuoro 15v.(γ) Indicativo presente: 3a pers. plur. sono 43r. Indicativo perfetto: 3a pers. plur.

fuoro 45r.(ε) Indicativo presente: 3a pers. sing. hè 95r; 3a pers. plur. sono 97r. Indicativo

perfetto: 3a pers. sing. fo 94v; 3a pers. plur. fuoro 101r.(η) Indicativo presente: 3a pers. sing. è 102v; 3a pers. plur. so(n)no 49v. Indi-

cativo perfetto: 3a pers. sing. fo 100r; 3a pers. plur. fuoro 41r.

4.42.4. Avere(β) Indicativo perfetto: 3a pers. sing. abe 4r, abbe 13v; 3a pers. plur. abero 22r.(γ) Indicativo perfetto: 3a pers. sing. abe 43r; 3a pers. plur. abero 44r.(η) Indicativo presente: 1a pers. sing. agio 103v. Indicativo perfetto: 3a pers.

sing. abe 49r.

62 Vittorio Formentin

86 Nel contesto mi sembra più probabile che si tratti di un perfetto che di un presente. Per il tipoportà v. Ernst (1970, 154) e M. Trifone (1998, 166-7 e 170), con la bibliografia complessiva ivi in-dicata.

87 Si noti la relativa precocità di questi esempi di desinenza toscaneggiante rispetto alla situa-zione descritta in Ernst (1970, 154).

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4.42.5. Dare(β) Indicativo perfetto: 1a pers. sing. diei 90v;(γ) Indicativo perfetto: 1a pers. sing. diei 66r;(δ) Indicativo perfetto: 1a pers. sing. diei 92r e die’ 92r;(ε) Indicativo perfetto: 1a pers. sing. diei 94r e die’ 102r;(η) Indicativo perfetto: 1a pers. sing. diei 100r.

4.42.6. Fare(η) Indicativo perfetto: 3a pers. plur. fecero 103v.

4.42.7. Stare(β) Indicativo presente: 3a pers. sing. stao 103r; 3a pers. plur. sta(n)no 101r. In-

dicativo perfetto: 3a pers. plur. stettero 33r.(γ) Indicativo presente: 3a pers. plur. sta(n)no 44v. Indicativo perfetto: 3a pers.

plur. steno 72v.(ε) Indicativo presente: 3a pers. sing. stao 96r e sta 99v, 3a pers. plur. stagono

102r e stano 102r. Indicativo imperfetto: 3a pers. sing. stava 99v. Indicativo per-fetto: 3a pers. plur. steteno 99v.

4.42.8 Andare/gire(β) Indicativo perfetto: 3a pers. sing. gié 100v.(γ) Indicativo perfetto: 3a pers. sing. gié 46r, scritto anche cié 66r e zié 44v.(ε) Indicativo presente: 3a pers. sing. vao 102r. Indicativo perfetto: 3a pers.

sing. gié 94r; 3a pers. plur. giero 94r.

NOTE DI SINTASSI

4.43. Varia

Riguardo alla sintassi dell’articolo notiamo prima di tutto l’osservanza dellalegge Migliorini: (β) la p(re)ta dello marmoro 101v, lo ca(n)none dello pio(m)mo101v (≠ çeppe de fie(r)ro iiij 89v, gravine de fie(r)ro ij 89v); (ε) la testa de lolione de lo m(ar)mo 100r, p(er) la grate de lo fero 102r bis (≠ p(er) doy caneli defero 102r, p(er) tavole de piu(m)bo 102r). L’articolo è poi impiegato anche neinumeri posti in relazione con altri numeri (del tipo «gliene diè cento, e non sentìle diece»): (β) A llingniollare la vigna fuoro homini viij, delli quali li q(u)atroabero s. xviij l’uno et l’altri quatro abero s. xvj l’uno 22r; (γ) Cola Casamalasop(ra)sta(n)t(e) abe ho(min)i xiij ad zapare p(er) s. x l’uno; li quatro aberop(er)ché piobe s. v l’uno, li viiij si partiro più tosto abero bolo(n)gini j p(er) uno54r. Espressione delle frazioni: (β) fuoro pacati p(er) uno terso die 37r, (γ) fuoropagati p(er) j t(er)tio de die 67r ‘per un terzo della giornata lavorativa’. L’articolopuò mancare con tutto: (η) p(er) tuct(o) die 83r.

II. Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale 63

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Si noti il valore locativo espresso tramite la preposizione a (meridionalismosintattico): (ε) p(er) la grate de lo fero che sta a lo saquatore de la pischera 102r,p(er) doy caneli de fero li quali stano a la fontana 103r, (η) Cola de Casama[la]abe alla vingnia ho(min)i iiij 85r ecc. Per quanto riguarda l’uso delle preposi-zioni articolate, in una serie di più elementi la preposizione e perfino l’articolopossono essere omessi dopo il primo: (α) p(er) l’opra della vigna, lo çiardino,pischera 3r ‘della vigna, del giardino e della peschiera’.

Uso del pronome esso in funzione di soggetto e obliquo preposizionale conreferenti personali (Vignuzzi 1995, 161): (β) Esso [= Pietro Prete Ia(n)ni] se mettep(er) lavoratore j 13r; (ε) da esso 99v, da essi 100r; (η) da esso 103v; con valoreaggettivale, nel senso di ‘suddetto’: (η) i(n)nella vingnia […] de esso Cola 103v.

Esempi di 3a pers. sing. in funzione di 3a pers. plur. (Ernst 1970, 162-3): (β) dieiad ho(min)i ij che adusse lo ca(n)none dello pio(m)mo 101v, (ε) quili che le por-tao 99r.

4.44. Un primo bilancio

Mi pare che si possa affermare che i dati dello spoglio relativi alle varie mani,e in particolare a quelle a cui si deve la massima parte del volgare trascritto nelregistro (β, γ, ε, η), corrispondono assai coerentemente al sistema grammaticaledel cosiddetto romanesco di prima fase, talché, avendo a mente le descrizionischematiche per tratti che ne sono state proposte (P. Trifone 1992, 21-3; Vignuzzi1995, 160-1; M. Trifone 1998, 213-5; P. Trifone 2008, 27-30), si fa prima a indi-care quei fenomeni che non rispondono all’appello, come l’epitesi di -ne e le 3e

pers. plur. dell’indicativo presente del tipo dico nelle coniugazioni diverse dallaI (del resto assenti al pari di quelle del tipo dicono)89. Se poi dalla generalità deglischemi scendiamo ad una maggiore precisione di dettaglio, ci si rivelano subitoaltre congruenze significative e anzi rivelatrici perché mostrano una coincidenzadella lingua del registro con quella dei più importanti testi del romanesco anticoin alcuni particolari che deflettono dall’astratta regolarità dello schema gramma-ticale: in altre parole, quel che allo stato della documentazione disponibile fino aieri appariva un’idiosincrasia impredicibile si dimostra essere, nella sequenzadelle testimonianze ora felicemente integrata dal registro vaticano, il segno diun’intima solidarietà locale.

64 Vittorio Formentin

88 Per altri esempi della medesima forma aggiunti dalla mano (γ) nella sezione spettante a (β)v. la precedente n. 31.

89 Per altro deducibile dall’attestato stagono ‘stanno’ di (ε). Cosa diversa, naturalmente, sonole forme sonno, sono, stanno, che convivono nel sistema del romanesco antico accanto a quelled’origine analogica soco e staco (Ernst 1970, 142 e 160). Sia viceversa rilevata nella morfologiaverbale la presenza di forme assai caratteristiche come stao ‘sta’ (β) e (ε), vao ‘va’ (ε), veo ‘viene’(η).

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Non è solo il caso della ben nota asimmetria fra la serie anteriore e quella po-steriore nelle attestazioni del dittongamento metafonetico (§§ 4.3-4.10), partico-larmente in sillaba impedita90; penso invece a coincidenze sorprendenti eimprevedibili in minime ‘eccezioni’ lessicali alla regola generale del dittonga-mento per metafonia. Gli antichi testi romaneschi mostrano una singolare reni-tenza alla dittongazione metafonetica nel continuatore del numerale ordinaleTĔRTIUS: abbiamo solo terzo nella Cronica (Corpus TLIO: 11 occ.), solo terso,tersi e tertio nei Tractati di s. Francesca Romana (Incarbone Giornetti 2006, 161),solo terzo nelle scritte di Paolo Carbone (P. Trifone 1990, 75) e così pure soloterso, terzo, terzi nel registro dell’ASV (§ 4.7). Parimenti, il nome Stefanello nondittonga né nel registro né nella Cronica (6 occ.) né nelle formule volgari dei loditrecenteschi (Formentin 2008a, 85), opponendosi alla legione dei vari Ceccoliello,Iacoviello, Miciniello, Tiraliello e via dicendo91.

Ancora: nessuno può dubitare del carattere specificamente romano della mas-sima parte degli antroponimi documentati nel registro; ma tale onomastica, si dirà,è qualcosa di dato, che attesta semplicemente l’origine capitolina della massimaparte delle maestranze utilizzate nei lavori di riassetto del viridario pontificio, enon vale quindi a confermare l’origine romana degli scriventi, che è ciò che ci in-teressa. Questa riserva può però applicarsi anche alla tipicissima equivalenza lo-cale di nome e ipocoristico, che ritroviamo tal quale nei quaterni abreviaturarumdei notai capitolini del Trecento e nella Cronica92? Perché Bucio de Cenciolo 6rcompare nel registro anche come Bucio de Cencio 6v e Iacovo Cecagata 13vcome Iacoviello Cecagatta 14r e Laure(n)zo d’Allixio 18v come Renzo d’Allixio32v. E la si può applicare anche all’equivalenza, non meno caratteristica, di diversiipocoristici dello stesso nome base impiegati per indicare la stessa persona? Qual-che esempio: (β) Iacoviello Spina 15v alias Viello Spina 13r; Ceccho d(e) Ste-phanoza 4v alias Ceccoliello d(e) Stephan(o)ça 4v e Cecholo de Stephanoza 7v;Bucio de Cenciolo 6r (che già conosciamo) alias Buciolo de Cenciolo 10v; Savode Nucio 25r alias Savo de Nuciolo 26r; e parimenti (γ) Nuciolo d(i)c(t)o Zito 59ve Nucio d(i)c(t)o Zito 60r; Ia(n)ni d(i)c(t)o Masia 63v e Ianucio d(i)c(t)o Masia64r; Tucio dello Zito 66v e Tuciolo dello Zito 67r ecc. Si obietterà che anche inquesto caso l’alternanza poteva già essere nelle cedole da cui i vari amanuensi

90 «Der Diphthong scheint bei Ŏ die ganze Zeit hindurch nicht so stark ausgeprägt gewesen zusein und ist anscheinend auch wieder früh aus dem röm. Dialekt verschwunden» (Ernst 1970, 47).Per risultati analoghi a quelli offerti dal nostro registro v. Macciocca (1982, 63-4; 2000, 193) e M.Trifone (1998, 79-80).

91 Lo stesso discorso andrà ripetuto per Baroncello, -celli, sempre senza ie, nel nostro registrocome in OspSalv e nel ricettario di Stefano Baroncello (dove pur è scritto sempre Barocello: Miani1984, 247): alla luce del Monticielli schedato al § 4.3, per cui v. anche Ugolini (1932, 429), non sitratterà soltanto di un fatto grafico.

92 Per l’equivalenza Nicola/Cola nella Cronica v. l’Indice dei nomi in Cronica1.

II. Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale 65

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copiavano: sarà però lecito controdedurne almeno la localizzazione romana del-l’estensore (o degli estensori) di quelle cedole, ed è una conclusione che, in vistadella questione che si discuterà nel prossimo paragrafo, sarà opportuno tenere benferma.

Vi è infatti un tratto della lingua del registro che parrebbe contraddire l’ipotesidi una localizzazione romana degli scriventi: l’innalzamento metafonetico dellevocali medioalte, la cui pertinenza alla grammatica del romanesco antico, pur af-fermata in passato da studiosi autorevoli come Clemente Merlo e Francesco A.Ugolini, oggi, dopo la fondamentale monografia di Ernst, è perlopiù negata dallacomunità scientifica93. La ragione principale di una tale opinione è da ricercarsinell’esiguità e nell’ambivalenza delle pretese attestazioni del fenomeno, ricavateda testi magari anche medievali ma pervenutici in tradizione tarda non semprelinguisticamente affidabile e spesso per di più sospettabili di mostrare un vocali-smo piuttosto latineggiante che metafonetico (connutto94, iuveni, munno, pilo,simplici, vitro ecc.) o da testi dialettologicamente ipercaratterizzati come avviene(o può avvenire) nella più tarda produzione dialettale riflessa, dal Burchiello alCastelletti: tutte caratteristiche che non si possono certo attribuire alla documen-tazione offerta dal registro del Cenci.

4.45. Innalzamento metafonetico delle vocali medioalte

Occorre dire subito che il fenomeno è indotto soltanto da -Ī ed è limitato elet-tivamente a pronomi, nomi e aggettivi i cui referenti occupano una posizione ge-rarchica elevata nella scala di animatezza, definitezza e individuazione:

a) Pronomi dimostrativi [+personale](ε) quili che colsono le saiectole 94v (altri esempi di quili: 97r, 99r).

b) Nomina agentis in -tore(β) So(n)no li lavoraturi xxxxvij 4r quinquies (altri esempi di lavoraturi: 4v

quinquies, 5r ter ecc.); Quello che portà l’acqua alli muraturi cum uno somaro 10r(altri esempi di muraturi: 10v, 11r, 11v ecc.); Mastri seccaturi ij 19r bis;

(γ) Tuti li lavoraturi 80r; Mast(ri) m(ur)aturi ij ovvero iiij 50r bis e in tuttelettere Mastri muraturi xj 69r (altri esempi di m(ur)aturi e muraturi: 63r, 63v, 64recc.)95.

66 Vittorio Formentin

93 Si veda Merlo (1929, 47; 1931, 78-9), Ugolini (1932, 429; 1982, 42-3 ecc.; 1983, 5), Ernst(1970, 53-8), Serianni (1984, 274), D’Achille (1987, 84), Macciocca (2000, 203 e 214) e da ultimoP. Trifone (2008, 28).

94 Esempi di (con)nutto e co(n)ducto ‘condotto’ sono anche nel nostro registro (v. il § 4.26).95 Appena occorre dire che i rispettivi singolari escono regolarmente in -tore: (β) lavoratore 13r,

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c) Aggettivi etnici(γ) Daniel, Aucello francischi ad lavora(r)e li marmori 75r e Daniel, Aucello

francischi marmorari 75v.

Per comprendere bene il fenomeno a cui ci troviamo di fronte dovremo tenerpresenti alcuni fatti concomitanti:

1) l’innalzamento metafonetico, come si diceva, è indotto soltanto da -Ī, men-tre -Ŭ non ha efficacia metafonizzante, come dimostrano prima di tutto le seguentiforme complementari di singolare in -o < -Ŭ impiegate dalle stesse mani che at-testano il rispettivo plurale metafonizzato in -i: (ε) quelo che colse le saiectole 94r,quelo che l’arechao 94r; (γ) Aucello fra(n)cesco ad m(ur)a(r)e 69r, Aucellofra(n)cesco 75v, Aucello fra(n)cescho 75v, 76r. E poi la testimonianza concordedell’onomastica registrata dai vari scriventi: (β) (Ang(i)lo de Cola) Caroso 18r,Ceccho (d(e) Stephanoza) 4v96, Domenico 103r, Francesco 36v, (Bucio) Meri-toso 36r, Negro (delli Mastri) 17r, (Iacovo dello) Roscio 21r, (Nucio de Matheo)Rosso 20r, (Cola) Tignoso 37r e (Coluza) Ia(n)tignoso 36v ecc.; (γ) Domenico60v, (Antonio de) Fra(n)cesco 44v, (Bucio) Meritoso 44v, (Iacovo de) Roscio 43r,(Bucio d(i)c(t)o) Sordo 80r, Coluza Ti(n)gnoso 48r e Coluza Ia(n)tignoso 54r ecc.;(ε) ad lo Negro 94r, A(n)dreozo Capo-negro 99v; (η) (Michele de) Cecho 47v. Siaggiungano i seguenti esempi pronominali che paiono altrettanto dimostrativi:(β) Quello che portà l’acqua 7r, Esso [= Pietro Prete Ia(n)ni] se mette p(er) la-voratore j 13r; (γ) Ite(m) quello co(n) la careta 45r; (ε) p(er) la p(re)ta de [sic]m(ur)are che (com)prao da esso 99v. Alla luce di questi dati, casi come (ε)piu(m)bo 95r e ligno 98v andranno considerati latinismi (il primo è conservativoanche per -mb- e ha accanto i rizoatoni impiu(m)bare 95r e impiu(m)bati 95r; ilsecondo è latineggiante anche per -gn-: cfr. il § 4.31)97.

2) Non tutte le classi morfolessicali che rispettano le condizioni suindicate dianimatezza, definitezza e individuazione mostrano la metafonesi da -Ī. Se in (ε)il pronome dimostrativo [+personale] quili ha la tonica metafonizzata, non così av-viene, sempre in (ε), per il pronome personale essi: Diei ad Pietro Ia(n)ni An-gnello (et) ad Iacovo d(i)c(t)o lo Gino p(er) la p(re)ta la q(ua)le co(m)prai daessi che stava a la vigna loro adpreso ad S(an)c(t)o Brancazio de fora ll. lxj s. ij100r.

3) Le mani (β), (γ) ed (ε), per le medesime forme e parole per le quali docu-

muratore 34v; (γ) m(ur)atore 77v ecc. Si rilevi qui la congruenza dei casi di metafonesi del regi-stro con il soccessuri [+personale] dello statuto della Fraternita di S. Maria delle Grazie, dove tro-viamo anche instruminti e tenuri [–personale] (Pelaez 1946, poste 12, 15 e 22); il primo e l’ultimoesempio anche in Ernst (1970, 54); altri esempi di -uri sono citati in Macciocca (2000, 209-10).

96 Però (Nucio de) Ciccho 10r, alias (Nucio de) Cecho 6v, che è la forma normale.97 Sarà un altro latinismo ulmo 101r (β), a fronte di olmo 100r bis (η) e 100v (ε).

II. Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale 67

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mentano la metafonesi, presentano isolati controesempi: (β) So(n)no li lavoratorivjc xxxx 8r; (γ) Mast(ri) muratori iij 43v98; (ε) quelli che adiudaro 94r. Versa vice,la mano (β) presenta un’occorrenza di plurale metafonetico che riguarda sì un so-stantivo in -tore, ma con referente inanimato, seppure ad alta ‘agentività’ seman-tica (ste(r)raturi de fie(r)ro ij 89v) e un esempio d’innalzamento in condizioninon metafonetiche (Iacoviello Caffagio murature alla sede dello Nostro Signo(r)e36r)99.

4) I nomi plurali in -i caratterizzati dal tratto [–personale] non mostrano di re-gola metafonesi, e ciò vale anche per i suffissati in -tore: (γ) p(er) li saquatori52r, (ε) de li saq(ua)tori 99v100, con ó come il sing. (ε) saquatore 102r, saq(ua)tore102r ‘canale di deflusso’. Parimenti, sempre e solo -oni nei plurali dei suffissatiin -one o assimilabili: (β) melloni 39r, subbioni 89r, sobbioni 89v, çapponi 89r,piccioni 101r, tiviglioni 101r; (δ) subioni 92r; (ε) lioni 102r, subioni 95v, picchioni99r. Anche il numerale ‘due’, infine, non mostra mai innalzamento metafonetico,qualunque sia la natura del sostantivo maschile a cui si riferisce: (β) doi figli 17r,doi altri lavoraturi 38v, doi (com)pagni 38v; (γ) doy t(er)zi de la iornata 27r, doit(er)zi de die 72v, doy cavali 75v; (ε) doy fassi 94r, doy centri 95r, doy canolid’ubidienti 100v, doy caneli de fero 102r; (η) doi te(r)çi 72v101.

5) Al di fuori della casistica illustrata, è a mio giudizio probabile che si ab-biano esempi di metafonesi nei plurali feriti 95r ‘ferretti’ e iunczi 95r ‘giunchi’ di(ε), che, se la grafia cz rappresenta (come sembra) un’affricata dentale, ricondur-rei a JŬNCEUS (REW 4615)102.

6) Un altro caso in cui la metafonesi interessa un sostantivo plurale con refe-rente [–personale], anzi [–animato], mostra un’evidente determinazione morfo-lessicale, cioè la salvaguardia dell’alternanza di genere in una coppia omoradicale:(ε) diei in xxx circhî p(er) barellete p(er) portare l’aqua ad l’arbori 95v, diei inxxj circhî p(er) le tine p(er) l’aqua 100v ≠ diei in ij libr. de brochete p(er) clave-lare le cierchie de le tinoze 100v. Cfr. nel dialetto di Colonnella (Valle del Tronto):[ˈɲilːə] ‘agnello, -i’ ≠ [ˈɲɛlːə] ‘agnella, -e’, però [fraˈtɛlːə] ‘fratello’ ≠ [fraˈtilːə] ‘fra-telli’ (Barbato 2008, 284)103.

68 Vittorio Formentin

98 Prescindiamo da lavoratori j 88r, per la possibilità che la forma del sostantivo sia stata de-terminata, nella mente dello scrivente, da un’esitazione mentale tra il plurale come esponente ge-nerico di un lemma in una lista (del tipo bicchieri x, con x > 1) e il concreto referente singolare,cioè tra, poniamo, un *lavoraturi iij e un lavoratore j.

99 Potrebbe aver influenzato lo scrivente il fatto che in quest’occasione Iacoviello non è soloma lavora cum (com)pagno j, com’è annotato nella riga sottostante?

100 Anche in (η) saq(ua)tori 99v.101 Per le forme doa e duoi v. il § 4.35.102 Contesto: diei in iunczi s. iiij, dunque quattro soldi di iunczi che servirono p(er) recosire le

spo(r)t(e), come specifica un’aggiunta puntuale di (η). Nell’ipotesi (a mio giudizio improbabile)che la grafia cz stia per un’affricata palatale si potrebbe ricondurre iunczi al tipo ‘giunco, -ci’,donde si è qua e là ricavato il tipo ‘giuncio’ sing. (Salvioni 1912, 542); nulla cambierebbe in or-dine alla questione della metafonesi.

103 Nel caso di toponimi con vocale tonica metafonizzata da -Ī(S) come (β) (Noffrio de) Fundi

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Un meccanismo tale, per cui l’armonizzazione risulta tendenzialmente fissatanegli elementi più alti nella scala di animatezza, individuazione e definitezza,come i pronomi e i nomi personali (i nomi propri sono esclusi perché ovviamentenon pluralizzabili), mi sembra analizzabile piuttosto come un fenomeno regres-sivo che ingrediente: a partire da una fase predocumentaria in cui la metafonesida -Ī era generale, essa si sarebbe progressivamente ritirata, conservandosi solo neicasi di nomi con referente personale, negli elementi maschili di coppie con alter-nanza di genere e in pochi altri fossili appartenenti allo strato lessicale più ar-caico, come quello spettante alla sfera del lavoro manuale e dei suoi attrezzi (feriti,iunczi). Si potrebbe dunque ricostruire la seguente trafila diacronica ideale: a)metafonia delle medioalte generale da -Ī > b) metafonia delle medioalte ristrettaai nomi con referente personale e con alternanza di genere > c) metafonia dellemedioalte eliminata (stadio riconoscibile nell’antico romanesco ‘classico’, rap-presentato dalla veste linguistica in cui ci è pervenuta la Cronica).

A conclusione di questo fin troppo lungo saggio propongo un paio di rifles-sioni. Prima di tutto si deve richiamare l’attenzione sul dato dell’omogeneità concui si presenta il fenomeno grammaticale nelle mani (β), (γ) ed (ε) del registro: ameno che non si opti per l’ipotesi (a prima vista assai poco economica) di unafonte comune – cioè di un unico estensore delle cedole dalla cui copiatura è statoricavato il registro –104, la pluralità e la congruenza delle testimonianze rendonoinverosimile se non proprio impossibile pensare a una precisa venatura provin-ciale, estranea alla variabilità linguistica interna di Roma; bisognerebbe pensarea tre diversi scriventi tutti originari di un paese x della provincia romana, messicontemporaneamente all’opera nell’allestimento di un registro sicuramente con-fezionato a Roma. E poi: un unicum tipologico come quello descritto, senza ter-mini di paragone – per quel che so – nell’area mediana e centro-meridionale anticae moderna, dove potrebbe avere una plausibilità maggiore che a Roma? Certoesso si lascia leggere benissimo come un capitolo, finora solo immaginabile, dellastoria della lingua di Roma e solo di Roma, talché potremmo proporre la formula(scherzosa, ma non troppo) di «Ur-romanesco» o «ex-romanesco», salvo precisareche l’ipotizzata persistenza di una tale vena di vocalismo arcaizzante entro il va-riegato repertorio linguistico della Roma trecentesca – dove gli stadi b) e c), giàdisposti in un ordine diacronico ideale, si potevano intersecare in uno stato sin-cronico internamente articolato e complesso – contribuirebbe a connotare ancormeglio una stratificazione sociolinguistica che si è supposta (Vignuzzi 1994, 360)di natura non soltanto diastratica e diafasica ma anche diatopica, con screziaturericonducibili a diverse varietà rionali.

26r, (γ) (Ioh(ann)i da) Spoliti 45v, (ε) (lo conte de) Fu(n)ni 94v si tratterà di assunzione diretta dellaforma locale.

104 Ma si ricordi la conclusione minimalista («almeno») cui eravamo pervenuti alla fine del §4.44.

II. Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale 69

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APPENDICE

Stando alle diligenti ricerche del Fraschetti il più antico documento in cui com-pare il nome di Giovanni Cenci è una promissio pacis stipulata appunto da Gio-vanni, cancellarius Urbis, a nome anche del fratello Pietro, a favore di dominusIacobus et dominus Paulus canonici ecclesie Sancte Marie in Transtiberim, filiicondam domini Petri de Magistris Luce, de regione Sancti Angeli, innanzi ai notaiAntonio di Lorenzo Scambi e Giacomo Mastri il 14 settembre 1367 (BibliotecaApostolica Vaticana, S. Angelo in Pescheria, I/3, cc. 105v-107r)105. Precedentedi qualche mese è però un altro atto del medesimo protocollo (c. 76rv), nel qualeGiovanni Cenci, che già si fregia del titolo di cancellarius Urbis, è indicato tra itestimoni della subarratio che sancisce il matrimonio di Alexius condam magistriPauli de Vallatis de regione Sancti Angeli con domina Maria filia condam IacobiBellihominis de regione Transtiberim. Ecco il testo dell’imbreviatura (i numeri inapice indicano la rigatura del manoscritto):

Indictione Va, mense iunii, die XV.

2 In presentia mei notarii etc. Hec est subarratio et hoc est 3 matrimonium incep-tum et confirmatum per verba de presenti 4 per Alexium condam magistri Pauli deVallatis de regione 5 Sancti Angeli ex una parte et dominam Mariam filiam condam6 Iacobi Bellihominis de regione Transtiberim uxorem eius ex altera 7 et facta et sti-pulata per me notarium in presentia infrascriptorum testium 8 sub hac forma et subhiis verbis, videlicet primo interrogatus 9 dictus Alexius per me notarium si vole-bat et vult 10 dictam dominam Mariam ibidem presentem et audientem in eius le-gitimam 11 uxorem, qui Alexius respondit et dixit quod volebat et vult; 12 et econverso secundo interrogata dicta domina Maria per me notarium 13 si volebat etvult dictum Alexium ibidem presentem et 14 audientem in eius legitimum mari-tum, que domina tunc respondit et 15 dixit quod volebat et vult ipsum pro eius ma-rito; et hoc 16 dicto dictus Alexius cum quodam anulo aureo cum quodam 17 lapidepretioso in digito manus destre ipsius domine 18 anullaris eam subarravit in signumveri matrimonii.

70 Vittorio Formentin

105 Fraschetti (1935, 193 n.); l’atto è pubblicato alle pp. 266-8 (doc. 2). Si è già detto che in Su-pino Martini (1979, 515), questo stesso istrumento è indicato con la data erronea del 12 agosto(verosimilmente per uno scambio con la data del doc. 3 del Fraschetti, che è sì del 12 agosto, madel 1376). I due canonici di S. Maria in Trastevere che costituiscono la controparte di Giovanni ePietro Cenci sono indicati dal Fraschetti come filii condam domini Petri de Magistris (donde Su-pino Martini 1979, 515): sulla base della ricognizione diretta del documento il nome familiare vaperò rettificato, come qui si è scritto, in de Magistris Luce, la nota famiglia romana «di antica tra-dizione ‘giuridica’» (Lori Sanfilippo 2001, 464 n. 29), volgarmente detta (de) Mastro Luca (Egidi1908b, 178, 180 ecc.). Nello stesso protocollo dello Scambi si trova anche la promissio pacis sti-pulata dai due canonici, con normale reciprocità, a favore di Giovanni e Pietro Cenci (cc. 107r-109r).

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19 Actum Rome in regione Transtiberim presentibus hiis testibus videlicet Iohannede 20 Cinthiis cancellario Urbis, domino Mactheo de Baccariis [76v] legum doctore,Ceccho de Vallatis, domino Paulo 2 de Vallatis, Nicolao Tordonerii, Tucio Tordo-nerii, 3 Iohanne de Bulgaminis notario, omnibus de regione Sancti Angeli, et 4 Do-minico Petri Leonis de regione Ripe ad hoc vocatis etc.

[76r] 18. anullaris: così. [76v] 2. Nicolao: con -o corr. su -us.

[76r] 4. Alexium condam magistri Pauli de Vallatis: proprio ad Alessio e a PaoloVallati si accenna in Lori Sanfilippo (2001, 395 n. 16) (per altri rappresentantidella famiglia, tra cui un Cecco, v. ad indicem, p. 571). 17-18. in digito manus de-stre ipsius domine anullaris: intendi in digito anulari manus destre ipsius domine.19. Iohanne de Cinthiis cancellario Urbis… de regione Sancti Angeli: Giovannicompare qui come appartenente al rione S. Angelo (contiguo al rione Arenula),probabilmente perché in S. Angelo il cancelliere possedeva beni immobili e con-duceva una parte importante dei suoi affari; nell’atto del 14 settembre, già citato,Giovanni è invece detto, come di norma, de regione Arenule (Fraschetti 1935, 266).La stessa ambivalenza rionale, per il Cenci, è attestata nel protocollo del notaio Lo-renzo Staglia (a. 1372), doc. 61 (S. Angelo) e doc. 126 (Arenula): Lori Sanfilippo(1986, 70 e 140). [76r.20-76v.3] Troviamo qui riuniti alcuni personaggi eminentidel rione S. Angelo, alcuni dei quali furono membri (come Giovanni Cenci) dellaprestigiosa Società del Salvatore ad Sancta Sanctorum: così il facoltoso giuristaMatteo de Baccariis106 e i due Tordoneri, Nicola e Tuccio (Egidi 1908a, 322, 325e 334), quest’ultimo spesso menzionato nel registro camerale come «soprastante»;quanto al notaio Iohannes de Bulgaminis si tratterà di «Giovanni di Giacomo diGiordano imperiali auctoritate notarius, attivo tra il 1360 e il 1379» (Lori Sanfi-lippo 2001, 444 n. 62)107. Si noti che alcune imbreviature di Antonio di LorenzoScambi ci mostrano Matteo de Baccariis, Nicola Tordoneri e Domenico Petri Leo-nis in relazione d’affari proprio con i Cenci (Lori Sanfilippo 2001, 354).

106 In un atto del 1365 rogato dal notaio Antonio Goioli Petri Scopte Matteo de Vaccariis è in-dicato come iudex palatinus et collateralis presentium dominorum Septem Reformatorum Urbis se-natus officium exercentium (Mosti 1991, 215, doc. 129); e appunto «in ecclesia Sancti Angeli inForo piscium» si celebrava la messa di suffragio per l’anima di missere Mactheo delli Vaccari,doctore de lege, secondo il Libro di anniversari dell’Ospedale del Salvatore (ivi è menzionatoanche Cola de Tordonieri: Egidi 1908b, 182). Matteo dei Baccari è poi spesso citato nel saggio diMaire Vigueur (1976).

107 Viene da chiedersi se il nostro Giovanni de Bulgaminis non sia per caso tutt’uno col Nucius(che è ipocoristico anche di Iohannes) de Bulgaminis de regione Sancti Angeli, notaio e membrodella Società del Salvatore: si vedano Egidi (1908a, 325; 1908b, 182; nei due elenchi il suo nomesuccede immediatamente a quello di Tuccio Tordoneri) e Lori Sanfilippo (1986, 139 n. 4).

II. Un nuovo testo per la storia del romanesco medievale 71

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