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Valle del Timeto: la cucina vegetale. di Pietro Ficarra Non è per caso che in questa veloce esplorazione del rapporto vitale fra uomini e piante nella vallata del Timeto io abbia voluto lasciare per ultimo l’ambito che riguarda il rapporto con l'agricoltura, alimentare e culinario in senso ampio, con qualche puntata nel gastronomico quando occorre. Un ambito che interessa le piante “domestiche”, quelle coltivate che hanno fatto da tempo immemore dell’agricoltura la principale delle attività umane (anche se non mancherà di nuovo un cenno all'uso di quelle spontanee). Quella che si conclude con questo capitolo voleva essere una sorta di indagine etnobotanica della memoria, per buona parte ancora viva e presente e per il resto meritevole di essere raccontata, ma non volevo correre il rischio di cominciare un viaggio nei luoghi del mangiabile - della mia infanzia e della mia giovinezza e in quelli di oggi - cedendo fin dalle prime righe a ciò che di questi tempi tutto informa, ossia il cibo e il suo culto. Non è detto che debba essere ineluttabile cedere a ciò che Ilvo Diamanti, osservatore della società fra i più acuti che mi può capitare di leggere, chiamava “l’ultracibo” in un suo pezzo di qualche mese fa su Repubblica. Cibo, cibo e ancora cibo. Gastronomia e gastronomico - significato, uso, valore, approccio, ecc. ecc. - sono parole fra le più più usate intorno a noi. Dal Web in qua ogni mass medium sembra invaso e pervaso dal cibo, anche quelli che per loro natura non possono essere improntati all’essenziale (in questo campo) senso della vista, come la radio. Così è per ogni biblioteca di pubblica lettura e per ogni reparto libri all’Autogrill. E non vale solo per i media, ma anche per ogni chiacchierata fatta sotto l’ombrellone o in ufficio. Per non dire a tavola, soprattutto a quella del ristorante, dove giustamente si parla e si straparla di gastronomia (e soprattutto di vino, la sua sublimazione). Moda o non moda, riscoperta o nuova ricerca che sia, approccio culturale o più semplicemente elogio della gola, in molti casi semplicemente gastrolatria, è indiscutibile il fatto che gastronomia regionale, prodotti tipici e specialità culinarie trovino ormai ogni occasione per solleticare il nostro interesse e la nostra curiosità, magari attentando alla nostra linea prima che alla pretesa ampiezza delle nostre conoscenze. Non vi è praticamente palinsesto di rete televisiva, quotidiano o periodico, generalista o specializzato, rivista di viaggi e turismo, Pro loco o altra associazione locale o vero o finto ente di sviluppo che non ci offra ogni giorno l'occasione di provare un sapore sconosciuto o di scoprire un alimento non ancora abbastanza famoso. Per non parlare poi di tutte le pubblicazioni specializzate e dell'ampia produzione editoriale in questo settore. Chi volesse potrebbe del resto utilizzare anche questo testo, da qui in avanti, per approfondire la conoscenza gastronomica di questa parte di Sicilia. Visto che tratto qui di cibo locale – per comodità di ragionamento possiamo continuare a credere che il cibo sia “locale”, anche se viaggia da sempre - il passo verso il sapore tipico o la ricetta tradizionale “originale” potrebbe essere brevissimo. Ma risparmierò a me stesso e a chi mi legge i dettagli da ricettario e soprattutto commenti da Slow Food 1 ,. Non ho in effetti alcuna intenzione di esplorare l’etnobotanica della Valle del Timeto concludendo con l’elogio, più o meno sincero, delle sue tipicità gastronomiche a base vegetale. Ci sono già molte altre occasioni per farlo e certamente c’è chi può farlo anche bene o meglio di me in qualsiasi momento – non fosse altro per il fatto che può vivere nel questi luoghi ed esplorarli tutto l’anno - anche se nel recente passato con la gastronomia dei Nebrodi mi sono pure divertito 2 . Cercherò quindi di mantenere una sorta di equilibrio fra indagine etnobotanica, percorso di sapori e descrizione di alimenti, rigorosamente di origine vegetale ovviamente, con puntate nella gastronomia - semplificata e rappresentata in parte sul filo della memoria, data ormai la mia connivenza con la 1 È noto che S. F. svolge un’opera in gran parte meritoria ma in molte condotte locali scivola spesso nella gastrolatria più elitaria, nel culto della reliquia. Come viene pensato da molti e scritto solo da qualcuno, prova a dettare, ormai ogni giorno, regole di “bon ton” alimentare come se davvero si potessero fissare nel tempo e nello spazio. 2 Per chi ne fosse interessato restano ampie tracce scaricabili dai miei siti, www.piantespontaneeincucina.info e www.pietroficarra.eu . 1

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Valle del Timeto: la cucina vegetale.di Pietro Ficarra

Non è per caso che in questa veloce esplorazionedel rapporto vitale fra uomini e piante nella vallatadel Timeto io abbia voluto lasciare per ultimol’ambito che riguarda il rapporto con l'agricoltura,alimentare e culinario in senso ampio, con qualchepuntata nel gastronomico quando occorre. Unambito che interessa le piante “domestiche”, quellecoltivate che hanno fatto da tempo immemoredell’agricoltura la principale delle attività umane(anche se non mancherà di nuovo un cenno all'uso diquelle spontanee).

Quella che si conclude con questo capitolovoleva essere una sorta di indagine etnobotanicadella memoria, per buona parte ancora viva epresente e per il resto meritevole di essereraccontata, ma non volevo correre il rischio dicominciare un viaggio nei luoghi del mangiabile -della mia infanzia e della mia giovinezza e in quellidi oggi - cedendo fin dalle prime righe a ciò che diquesti tempi tutto informa, ossia il cibo e il suoculto. Non è detto che debba essere ineluttabilecedere a ciò che Ilvo Diamanti, osservatore dellasocietà fra i più acuti che mi può capitare di leggere,chiamava “l’ultracibo” in un suo pezzo di qualchemese fa su Repubblica.

Cibo, cibo e ancora cibo. Gastronomia egastronomico - significato, uso, valore, approccio,ecc. ecc. - sono parole fra le più più usate intorno anoi. Dal Web in qua ogni mass medium sembrainvaso e pervaso dal cibo, anche quelli che per loronatura non possono essere improntati all’essenziale(in questo campo) senso della vista, come la radio.Così è per ogni biblioteca di pubblica lettura e perogni reparto libri all’Autogrill. E non vale solo per imedia, ma anche per ogni chiacchierata fatta sottol’ombrellone o in ufficio. Per non dire a tavola,soprattutto a quella del ristorante, dove giustamentesi parla e si straparla di gastronomia (e soprattutto divino, la sua sublimazione).

Moda o non moda, riscoperta o nuova ricerca chesia, approccio culturale o più semplicemente elogiodella gola, in molti casi semplicemente gastrolatria,è indiscutibile il fatto che gastronomia regionale,prodotti tipici e specialità culinarie trovino ormaiogni occasione per solleticare il nostro interesse e lanostra curiosità, magari attentando alla nostra lineaprima che alla pretesa ampiezza delle nostreconoscenze. Non vi è praticamente palinsesto di retetelevisiva, quotidiano o periodico, generalista ospecializzato, rivista di viaggi e turismo, Pro loco oaltra associazione locale o vero o finto ente disviluppo che non ci offra ogni giorno l'occasione di

provare un sapore sconosciuto o di scoprire unalimento non ancora abbastanza famoso. Per nonparlare poi di tutte le pubblicazioni specializzate edell'ampia produzione editoriale in questo settore.Chi volesse potrebbe del resto utilizzare anchequesto testo, da qui in avanti, per approfondire laconoscenza gastronomica di questa parte di Sicilia.

Visto che tratto qui di cibo locale – per comoditàdi ragionamento possiamo continuare a credere cheil cibo sia “locale”, anche se viaggia da sempre - ilpasso verso il sapore tipico o la ricetta tradizionale“originale” potrebbe essere brevissimo. Marisparmierò a me stesso e a chi mi legge i dettagli daricettario e soprattutto commenti da Slow Food1,.

Non ho in effetti alcuna intenzione di esplorarel’etnobotanica della Valle del Timeto concludendocon l’elogio, più o meno sincero, delle sue tipicitàgastronomiche a base vegetale. Ci sono già moltealtre occasioni per farlo e certamente c’è chi puòfarlo anche bene o meglio di me in qualsiasimomento – non fosse altro per il fatto che può viverenel questi luoghi ed esplorarli tutto l’anno - anche senel recente passato con la gastronomia dei Nebrodimi sono pure divertito2. Cercherò quindi dimantenere una sorta di equilibrio fra indagineetnobotanica, percorso di sapori e descrizione dialimenti, rigorosamente di origine vegetaleovviamente, con puntate nella gastronomia -semplificata e rappresentata in parte sul filo dellamemoria, data ormai la mia connivenza con la

1 È noto che S. F. svolge un’opera in gran parte meritoria main molte condotte locali scivola spesso nella gastrolatria piùelitaria, nel culto della reliquia. Come viene pensato da molti escritto solo da qualcuno, prova a dettare, ormai ogni giorno,regole di “bon ton” alimentare come se davvero si potesserofissare nel tempo e nello spazio.2 Per chi ne fosse interessato restano ampie tracce scaricabili dai miei siti, www.piantespontaneeincucina.info e www.pietroficarra.eu.

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brianzola casseula - solo quando esse appaionoinevitabili.

Non è affatto facile del resto, parlando di alimentidi origine vegetale, passare dall’orto alla tavolasenza cedere alla tentazione di soffermarsi su quellatale o talaltra preparazione, perché il solo pensierodel loro utilizzo richiama gli infiniti modi diacconciare gli alimenti, e il sapore e il gusto, cui cisottomettiamo non avendo per fortuna da patire lafame.

Mille argomenti hanno a che fare con la culturaalimentare, nel tempo e nei luoghi e nelle suecontinue modificazioni. Anche senza scomodare purinteressanti ragionamenti antropologici sull’unità franatura e cultura, chi volesse approfondire la cucinapiù tipica di questa vallata, anziché leggermi,potrebbe invece approfittare degli appuntamentigastronomici che si sono moltiplicati anche daqueste parti nel corso dell’anno, con puntate magarinei paesi vicini, a cominciare da Floresta, sullemontagne poco lontano dalle sorgenti del Timeto, oda Montalbano Elicona o da Sant’Angelo di Brolo.Oppure potrebbe cercare negli ormai non pochiristoranti, trattorie e agriturismi, dal mare fino aimonti, dei paesi della vallata: Patti, Librizzi,Montagnareale, San Piero Patti e le molte frazioni diuna vallata antropizzata come poche. E nonrimarrebbe mai deluso.

La tradizione alimentare e gastronomica di questavallata, come è facile immaginare, è in gran partesimile a quella del resto dei Nebrodi, percorre lestesse orme di quella messinese e le tracce di quellasiciliana, se mi si passa il linguaggio. Per la cucinaquotidiana va data in realtà ormai per buona lacommistione delle più diverse culture gastronomicheproposte dai media - non manca affatto in questiparaggi chi si appassiona alla Prova del cuoco o è unfan della Parodi o segue con apprensioneMasterchef, e poi ovviamente sperimenta qualcosa -anche se, per via dei principali alimenti utilizzati eper le modalità di preparazione, il richiamo piùfrequente è a quella che genericamente può essereintesa come cucina meridionale: olio d'oliva, alcunitipi di carne e di pesce, pasta, pane, e soprattutto, perquello che ci può riguardare di più, legumi, ortaggicon in prima fila pomodori e melanzane, certearomatiche, ecc...

Le somiglianze con la gastronomia di altre zonedell'Isola e dei Nebrodi in particolare sono dovute aun sapere antico più che a contaminazioni recenti,segno anche di una lunga, pacifica storia comunedelle popolazioni delle vallate dei Nebrodi, che hadato origine a comuni abitudini culinarie anchequando l’orizzonte della vita era dato per quasi tuttidal profilo delle proprie montagne. In ogni vallatatuttavia, ogni paese che si allunga sulla costa o che si

arrampica su per le colline vanta anche qualchepreparazione sua propria, frutto naturalmenteanch'essa di una lunga storia, di coltivazionifortemente specializzate o delle difficoltà dicomunicazione di un tempo in cui i collegamenti frale diverse vallate, per lo più dirette verso le foci deifiumi, a settentrione, non erano facili. Numerosesono le analogie quindi, ma non mancano alcunespecificità anche nella nostra vallata – qui simangiano le migliori salsicce del mondo, lo dicosenza temere i confronti - e di ciò, se vuole, ogniturista gastrofilo potrà approfittare.

La cucina tradizionale della vallata del Timetoche andremo a esplorare, insieme a quella di tutti igiorni - quest’ultima, come detto, variamentecontaminata - è, come altrove e come è facileimmaginare, per lo più erede della tradizione di unmondo contadino e povero e allo stesso tempo deitentativi di imitazione di quella patrizia o borghesedi un tempo (e tanto più lo era al tempo in cuiguardavo il mondo con gli occhi da bambino).

Come però sanno i pochi storici della culturaalimentare che sono anche storici per davvero, vaevitata la trita retorica di povertà e semplicità chespesso accomuna gli studiosi meno accorti a chiscrive di queste cose senza avere con sé un certobuon bagaglio di prudenza e conoscenze.

Anche a me non pare affatto che questauguaglianza possa essere presa per buona. Pertrovarsi d'accordo sulla complessità della “cucinapovera” come tratto comune di tutte le cucinetradizionali della Penisola, basterebbe del restoriflettere un poco su quanto ingegno e curadovessero metterci le donne di un temponell’aggiungere e combinare ingredienti e cottureper dare più gusto a quel poco che avevano ognigiorno di disponibile per la pentola. Come nonconcordare con chi afferma, dinanzi all’idolatriadello chef vip, che l’inventiva in cucina è prima ditutto quella casalinga?

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Che la gastronomia familiare di quando eropiccolo fosse erede diretta di una cucina dei poverilo rivelavano più che altro i ragionamenti e le sceltedegli adulti, oltre ovviamente alla differenza fral’abbondanza e la varietà dei giorni di festa e leabitudini più modeste di quelli normali, tanto piùaccentuata quanto si saliva e scendeva nella scalasociale.

Prevaleva ancora decisamente l’uso di alimenti diorigine vegetale – cereali, legumi, ortaggi comuni eabbondanza di verdure selvatiche – ed era modestala presenza, fatta eccezione per le feste invernali, digrassi. Questi ultimi hanno segnato il vero mutaredella cucina che mi avrebbe poi accompagnato congli anni, ma la cucina di sussistenza negli anni ‘60apparteneva in effetti ormai alla memoria e airacconti dei grandi. Il “mangiare” di ogni giorno sistava impreziosendo in ogni casa di apporti esternied era ormai tempo che la sazietà cominciava amutarne l’abito.

Man mano che anche da queste parti il benessereprendeva il posto della miseria, si provavano anchealimenti e preparazioni un tempo sconosciuti, incerti casi e in certe case talvolta anche raffinati.Preparazioni proposte quasi sempre da un esemplaremondo piccolo borghese che tardivamente siesemplificava nell’Enciclopedia della donna afascicoli della Fratelli Fabbri (uscita dal 1962 al1966) e nelle sue ricette. Era l’ambiente borghese dipaese del resto, insieme a quello dei pochi patriziormai alla fine, l’unico piccolo mondo che avevadalle nostre parti anche una qualche tradizionegastronomica cui appigliarsi, una cucina per certiaspetti simil barocca alla siciliana, dato che fino alsecondo Dopoguerra erano i soli mondi in cuipotevano circolare certi ingredienti costosi. A partireinvece dagli anni Sessanta, veicolati da negoziantiche azzardavano costosi e meno costosi alimenti

esotici o “continentali”, cominciava la “rottura” conla tradizione di allora 3.

Alimentazione, cucina, gastronomia, sono quindisicuramente altre cose rispetto a quelle di un tempoche si fa sempre più lontano. Si tenga ovviamenteconto che essendo assai differenti gli appetiti, leatmosfere e i bisogni, non solo le pratiche culinariema anche lo stesso stare a tavola di oggi sono assaidiversi. In comune tuttavia ci sono un buon numerodi alimenti, sapori e profumi di quel povero desco -almeno a prima vista e tolta la tara dell’essere satolli- che non dovevano essere troppo diversi da quellipiù recenti. Differenti e assai più numerose sonoinvece, o per altri versi, le possibilità di scelta. Acominciare dall’assortimento di frutta, ortaggi elegumi, nonostante la tendenza dell’offerta delmercato verso qualità standard e oblio di certevarietà, giacché le “novità” degli ultimi decenni sisommano con molte permanenze.

La dispensa familiare delle popolazioni deiNebrodi è oggi quotidianamente fornita, comed’altronde ovunque in Italia, di molti prodotti chenon fanno parte della tradizione locale (burro,prosciutto, mozzarelle, parmigiano, ecc.), ma èancora ricca degli alimenti di quella nebroidea esiciliana. E non si ha eccezione in questa vallata.

Già da un generico sguardo d'insieme suglialimenti che entrano a comporre la cucina dellanostra vallata si può avere conferma di quella varietàche mi piace sottolineare come la più importantedelle sue peculiarità. L'incrocio e la sintesi di tanteculture alimentari in questa contrada di Sicilia non

3 Il lettore legga sempre le virgolette e la parola tradizione congrande prudenza. Anche per la “tradizione” antica della cucinaaristocratica e per quella più recente piccolo borghese, come delresto per quella quotidiana della gran parte della gente, vale laconsiderazione che trattandosi quasi esclusivamente di unacultura immateriale, senza riferimenti scritti, parlare ditradizione fino a un paio di generazioni fa appare da queste partisempre azzardato, anche quando possano farsi ragionamenti ededuzioni attendibili intorno ad altre fonti che non siano ricettarie commenti. Sarà lapalissiano, ma dimentichiamo spesso che latrasmissione orale di abitudini e conoscenze dura finché dura. Intendo quindi chiarire, almeno in nota, che se in questo piccolorecupero di memoria, mescolato con l’attualità, accenno al tipicoo al tradizionale, i termini vanno intesi in modo generico,leggero. Ho pensato alla cucina della mia memoria, e almassimo a quella dei miei genitori e dei nonni, una memoria cheper la gente di questa vallata solo in parte è ancora “attuale”. Èfin troppo ovvio che lo scorrere del tempo, come altrove, abbiacambiato profondamente nell’ultimo mezzo secolo il modo diessere e quindi anche quello di mangiare. Sono cambiati anchequi, non meno che nel resto del Paese, e molto, la quotidianitàdello stare a tavola tutti i giorni e il ruolo e il significato dellefeste, il modo stesso di mangiare nelle giornate di lavoro fuoricasa e fra le mura domestiche. La cucina si è spostata anzisempre più fuori da queste e da quelle parentali - in ristoranti,trattorie, agriturismi, pizzerie, ecc. - e in molte circostanze,come un tempo non accadeva se non in rarissime occasioni nellavita.

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poteva del resto che condurre a una dovizia di saporidestinati a deliziare il palato. L'offerta gastronomica,ampia come in poche altre regioni del Mediterraneo,deve in tutta onestà rendere grazie all'introduzione,fin dal passato più antico, di alimenti di assai diversaprovenienza, ma è la permanenza coniugata con lenovità a garantire una dispensa straordinariamentevaria. In questa dispensa adesso ci addentriamocercando di mettere insieme, senza troppo stonare,passato e presente, passando fugacemente dalfrumento per la pasta e il pane, che di questatradizione sono componenti essenziali, e dai legumi,per continuare con l’ampio assortimento di ortaggi everdure, frutta dalle molte varietà, ecc.

Pane e pasta

Risultato di una assai complessa tecnica acquisitae tramandata nei secoli, simbolo stesso delle umanecapacità di coltivare, preparare e cuocere, pane epasta sono stati a lungo in relazione con il granocoltivato sulle nostre montagne, nelle radure che siestendono poco sotto le morbide vette, oltre eintorno alla sorgente del Timeto, dove cessa lapresenza dei noccioli – vera pianta simbolo dellavalle. “Terre forti”, in altura, grandi campi coltivati afrumento, come del resto è stato per secoli per granparte dell’Isola, granaio d’Italia e non solo. Grano,lavuri – i laurë nel mio galloitalico4 materno - comesi suole dire in Sicilia, a indicare che si tratta dellavoro (agricolo) per eccellenza.

La coltivazione del frumento ha nella valle unastoria antica, e quindi, pur essendo questa attivitàormai scomparsa, se ne coltiva in qualche modo lamemoria e non manca chi tenta di evocarla nellaforma divulgativa che oggi è così diffusa, larappresentazione rievocativa. All’epoca in cuiGenovese e Caruso studiarono e fotografarono ciòche restava del mondo contadino5 i laurë erano giàun residuo della storia, ma molte generazioni dibraccianti del mio paese6, nei periodi dell’anno incui i noccioleti o gli oliveti non richiedono molto

4 Per una lettura nel mio dialetto sampietrino, appartenente allafamiglia di quelli galloitalici di Sicilia, si può vedere l a nota dilettura sul sito citato. In questa parte del lavoro su uomini epiante dedicata all’uso alimentare vengono utilizzati, in corsivonel testo, sia termini “siciliani” che termini del mio galloitalicosampietrino. Al lettore non dovrebbe essere difficile ladistinzione, laddove il riferimento del testo non sia abbastanzachiaro, se non altro per l’uso frequente di grafemi inconsueti perriprodurre la fonetica del galloitalico. Per una lettura piùcompleta dei termini in questo dialetto, laddove nel testo usosolo il siciliano, sul sito è disponibile un dizionario botanico checonsente il confronto tra termine dialettale, nome comuneitaliano e denominazione scientifica della specie.5 Genovese Silvia - Caruso Antonio, Immagini di lavoro e vita contadina a San Piero Patti, G.B.M. 1981.6 San Piero Patti, in provincia di Messina.

lavoro, avevano trovato occupazione e perciò stessomodo di sopravvivere proprio grazie allacoltivazione del frumento, dalla semina allamietitura.

Con pasta e pane comincia un lungo elenco dipreparazioni a base vegetale, ma sui derivati delgrano non voglio tuttavia soffermarmi quasi perniente, dato che ne sono piene lunghe bibliografie eche da tempo le farine necessarie per la preparazionenon vengono più dalle terre e dai mulini di questavalle. L’ultimo mulino che era rimasto nel mio paeseho fatto in tempo a vederlo in funzione per diversianni. Stava alle prime case della strada che provieneda Raccuja, subito dopo la chiesa della Madonnadelle Grazie, ma era già moderno, mentre di quelliveramente antichi ho visto solo le rovine7. Nonmanca però chi ancora oggi usa preparare il pane incasa e cuocerlo in un tradizionale forno a legna, chemagari si è costruito in una abitazione del tuttonuova e moderna, o chi dedica del tempo a prepararea mano la pasta fresca, ma ogni relazione tra farine epiante e coltivazioni del luogo è venuta meno.

La pasta fatta in casa aveva ed ha per lo più laforma della sfoglia tagliata irregolarmente,“maltagliati” se vogliamo usare questo terminegenerico, e più raramente quella regolare ditagliatelle o tagliolini. Questa forma era destinata adaccompagnare quasi esclusivamente minestre dilegumi, una pasta fresca oggi usata quando capita,ma anche un tempo, se mi si passa il termine, solooccasionalmente.

La vera pasta fatta in casa, che abbia unsignificato gastronomico in senso stretto, l'unicaveramente tradizionale al di là di ogni possibilesfumatura di questi termini, sono i “maccheroni”8.Questi, se conditi con i sughi più tipici, si possonoanche considerare, senza timore di forzature, unasorta di simbolo della gastronomia della vallata.

I maccheroni tradizionali sono preparati daqueste parti con una tecnica manuale cheall’apparenza non è dissimile da quella usata in altrearee meridionali, ma in questa vallata i pezzetti dibase vengono allungati dalle abili mani di chi liprepara avvolgendoli intorno a uno stelo di giunco9:tecnica assai meno diffusa di quella che usa i ferri dacalza o altri simili strumenti. Questa pasta fatta incasa trova anche la sua pubblica considerazionenelle forme tipiche dei nostri tempi, le sagre, tutteagostane per solleticare il palato dei turisti emigranti

7 Sul mio sito www.pietroficarra.eu si possono vedere alcuneimmagine di ciò che resta del Mulino di “Santa Caterina” e diquello di “San Fantino”, detti così per il loro trovarsi nelleomonime località.8 I maccaruni, i maccařöňë.9 Un fiřu i juncö, ossia lo stelo dello Scirpoides holoschoenus(L.) Soják subsp. australis (Murray) Soják - Giunchettomeridionale.

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di ritorno, come quella ormai consolidata che sisvolge a Librizzi, in qualche frazione di San PieroPatti e poco lontano da qui, a Raccuja. Tutte moltofrequentate. I maccheroni fatti in casa non rallegranoperò solo le sagre, ma sono ancora i protagonistidelle feste e delle occasioni speciali in tutte le case.Inoltre caratterizzano i menù dei ristoratori dellazona, nei quali tuttavia, per ragioni di tempo, di costie disponibilità, sono tropo spesso sostituiti dailontani parenti prodotti a macchina.

Qui ci si addentrerebbe volentieri in ulterioririflessioni sull’uso della pasta nella cucinaquotidiana della vallata, ma lascio volentieri il temaai lavori sulla gastronomia tradizionale10. Aggiungoin tema di cereali solo qualcosa, sul pane ad esempio- consumato anche qui in misura più abbondante chein altre aree d'Italia - vale quanto si dice comealimento primario delle popolazioni meridionali,dato che esso, oltre che come accompagnamento disecondi e di contorni, è ancora molto usato con il c.d. companatico (il termine è da queste parti menodesueto che altrove, fosse anche nella forma apanino cui è ridotto di questi tempi buona parte delcibo quotidiano).

Il pane è ancora ampiamente utilizzato anchecaldo, tagliato e condito con olio d'oliva, origano,acciughe, ecc… Anch’esso ritrova le sue "regole" dicottura e farcitura non solo nelle case ma anche,come i maccheroni, nelle occasioni pubbliche dellesagre du pani cunzato, che negli ultimi anni sononate un po’ dappertutto sui Nebrodi e anche inquesta vallata. Viene anche proposto, insieme al piùfrequente “pane fritto”, che però di tradizionale haassai poco, dalla ristorazione della valle perstuzzicare l’appetito, come o addirittura primadell’antipasto.

Tralasciando ogni altro uso che si fa dei derivatidel frumento, prima di iniziare l’approccio, che misembra più opportuno, ad altre categore di vegetali,un cenno va però fatto all’altro cereale “universale”,il mais11, il cui consumo in cucina non è affattoestraneo a certa tradizione locale, come una certabanalizzazione delle abitudini potrebbe indurre acredere, relegandolo solo all’area padana. Intantoesso era ed è frequentemente coltivato, in talunevarietà, in area montana, seppure nella forma cheassomiglia più all’orto di casa e non estensiva, e inarea nordetnea, appena oltre le montagne, dove lacoltivazione è ancora più frequente, si danno anchesagre della polenta.

10 Chi vuole può approfondire l’argomento anche scaricando eleggendo La cucina e i sapori dei Nebrodi dal sitowww.pietroficarra.eu .11 In zona non si usa né questo nome né l'altro comune digranoturco, ma le versioni nei dialetti locali di frumentodindia,tutto insieme come in fichidindia.

Anche in questa vallata quindi la destinazione delmais coltivato non era solo quella di becchime per igallinacei. Intanto era ed è esperienza comune,seppure non diffusissima – appartiene ai miei ricordidi bambino ed è una pratica che non ho piùabbandonato – il consumo delle pannocchie, lessateo abbrustolite, e quando arriva agosto quelle digranturco di montagna si possono trovare neimercati dei paesi sui banchi di certi fruttivendoli eanche in taluni negozietti, come del resto avviene inarea etnea. La farina di mais entra però a buon titolonella tradizione locale proprio nella più consuetaforma di polenta: i frascatula12. Sono unapreparazione data per tipica, seppure con diversevarianti, in Basilicata, Calabria e in diverse areedella Sicilia (con questo nome oggi è dato comepiatto tradizionale di Enna e dintorni). Si tratta diuna polenta di mais non troppo consistente, un po’alla veneta, da consumare con cucchiaio o forchettanel piatto, da sola o con l’aggiunta di qualche

ingrediente per arricchirne il gusto. Si tratta, come èfacile ipotizzare, dell’eredità locale di una qualchemillenaria puls, dove ai cereali di un tempo si èsostituita la farina di mais, come del resto èavvenuto altrove negli ultimi secoli. Semmai si puòscommettere, senza poterne avere un riscontro madata l’uso anche nell’Ennese, che l’antica puls abbiapotuto seguire l’immigrazione dei galloitalici pocomeno di un millennio fa.

Come pietanza di una certa frequenza anche ifrascatula hanno attraversato la mia infanzia. Inverità con mio scarsissimo entusiasmo. Le sortitefamiliari al mulino erano fatte giusto per acquistarela farina di mais per i frascatula, che arrivavano nelmio piatto in quantità davvero modesta, così dacostringermi al loro consumo (con la speranza dimia madre di farmi abituare al loro sapore). I miei ne

12 Il termine si usa solo al plurale nella vallata. Nel mio paese ilconsumo di frascattuřë era abbastanza diffuso, tanto che iltermine apparteneva oltre che al linguaggio comune anche aquello metaforico, con alcuni caratteristici modi di dire.

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erano abituali consumatori nei mesi invernali ma ionon riuscivo ad apprezzarli abbastanza. In realtà,anche se mia madre provava ad aggiungere – altempo giusto durante la cottura –qualche manciata diriso e una volta nel piatto spalmava la superficiegialla di un sugo rosso e profumato, ho dovutoattendere più o meno un ventennio e diventaremezzo brianzolo per inserire nuovamente la polentanel mio repertorio alimentare. L’unico modo in cuimi pareva accettabile mangiare quella polenta chemi serviva mia madre era ripassata in padella,quando ne rimaneva per il giorno dopo, perché lacrosticina aveva il buon sapore di tutti fritti. E cosìche più mi piace consumare ancora oggi quella cherimane per il giorno dopo.

Legumi

Cereali, legumi, ortaggi e verdure sono in genere,e per diversi motivi che non è qui il caso di indagare,alimenti identitari di gran parte delle culturecontadine (e non solo di quelle mediterraneeovviamente). Caratterizzavano la cucina quotidiananelle nostre società contadine del passato, che comeè noto si differenziava alquanto da quella dei giornidi festa, in cui si consumavano con relativaabbondanza grassi e carne.

Accennato ai cereali, annoterei che per questialtri alimenti è semplicemente “logico” occupareancora un posto di grande rilievo nell’alimentazionetradizionale della vallata del Timeto. Del resto non èmolto tempo che della popolazione di questa parte diSicilia si è cessato di parlare, secondo categoriestorico-antropologiche e socio-economiche, come diuna società contadina. Il grande e rapidocambiamento risale in effetti al tardo Dopoguerra,coincidendo con la fine degli anni di forteemigrazione verso Australia, Nord Italia e paesi

europei, sostanzialmente dalla seconda metà deglianni Sessanta.

I legumi hanno costituito da sempre per lamaggior parte della gente, soprattutto quandoutilizzati secchi, la più importante riserva energetica.Proteine, specie se associate ai cereali nelle diversepreparazioni. Cereali e legumi insieme costituisconoancora, e tanto più costituivano un tempo, lacombinazione ideale, cibo che “riempie”, che sazia,particolarmente adatto alle minestre tipiche di unmondo di fatica e assai più sostanziose di quelle,pure inevitabili, a base di verdure spontanee.

Pasta è fagioli è oggi proposta nei ristoranti comepietanza da gourmet ma un tempo era per i poveri ditutta la Penisola vera e propria carne. A casa mia sifaceva largo uso di fagioli, ma in verità anche difave, ceci e lenticchie. Tranne le ultime, che siacquistavano, erano tutti legumi secchi che inquantità sufficiente per il bisogno familiare annualeprovenivano dalla nostra “campagna”13. E così eranella maggior parte delle famiglie, fatta eccezioneappunto per le lenticchie che, a differenza degli altrilegumi, non ricordo di averle mai viste coltivare danessuno e che non appartenevano tanto allatradizione locale quanto a specifiche abitudinifamiliari.

Fave, fagioli e piselli erano e sono ampiamenteusati in cucina anche freschi, ovviamente perpreparazioni assai diverse da quelle che utilizzano lagranella secca. I piselli sono relativamente menoutilizzati degli altri legumi ma sono di uso comunenella loro breve stagione. Senza dar vita a piatti chepossano definirsi “tipici”, essi servono ancora oggicome un tempo nelle minestre e nei minestroni dellatarda primavera e danno sapore a certi contorni – adesempio in abbinamento coi carciofi - e ad alcunecaratteristiche preparazioni. I piselli vengonotalvolta aggiunti ai ragù casalinghi e da qui passanonelle paste al forno e nei timballi, che fannocomunque parte, se non proprio della gastronomiatradizionale della vallata, certamente della cucinafamiliare di queste parti. Si tratta per questi ultimi diacquisizioni dalla cucina siciliana in genere, macome parte di un ragù i piselli passano anche nellapreparazione in cui proprio non possono mancarecome ingredienti, gli arancini di riso. Più che nellacucina di casa quindi, i piselli sono onnipresentinella vallata in ogni tavola calda (e bar) che sirispetti.

I fagioli freschi erano e sono ancora utilizzatisolo in qualche raro minestrone estivo o peraccompagnare qualche umido o stufato. Quellisecchi, destinati alle minestre di pasta o di riso,avevano invece largo consumo. Utilizzati a volte

13 Il termine “campagna” indica da queste parti quella coltivata,il podere, piccolo o grande che sia.

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insieme alla pasta fatta in casa al momento,costituivano per tutti o quasi un obbligato magustoso e nutriente appuntamento invernale, almenosettimanale. Lessati e conditi con sale, olio e aceto,con l’aggiunta o meno di cipolla o di qualche altroaroma, servivano qualche volta anche da contorno.

Mio padre piantava nell’orto di campagna, comeaccadeva negli orti dell’intera vallata, fagioli dimolte varietà. Alla fine prevalevano i borlotti, maquando era tempo di sgranare i baccelli secchivenivano fuori fagioli di ogni forma e colore, tantoche ci trovavo un qualche passatempo a dividerli pervarietà. Nel consumo casalingo, in quasi tutte lepentole, si usava quindi una granella mista cherisaltava agli occhi per la grande diversità, diversitàche contribuiva probabilmente a migliorare sepossibile il sapore delle minestre.

Nell’orto estivo c’erano sempre e ci sono ancoraanche alcune varietà di fagioli destinati al consumofresco dei soli baccelli teneri. Si piantavano i“fagiolini”, a fasurilla, una varietà un po’ piùconsistente e dal sapore decisamente più intenso deic.d. “cornetti”14 che hanno preso piede anche quinegli ultimi decenni e che si trovano oggicomunemente nei supermercati come ortaggiostandard per quasi tutto l’anno. I baccelli sicoglievano quando dentro erano appena spuntati isemi e si consumavano interi o spezzati, in umido,con patate o cipolle, e qualche volta conaccompagnamento di salsa di pomodoro. La piùcomune e più ricercata di queste varietà, apprezzataperché dopo la cottura non rilasciava quei fastidiosifilamenti presenti in altre, era detta “di Bergamo”,un nome che probabilmente mostrava solo laconvinzione che tale varietà provenisse dalContinente lontano. Non mancavano, infine,nemmeno allora quelle varietà che vannocomunemente sotto il nome di “piattoni” o taccole15

o altro nome comune, bianche o verdi, usate inpadella allo stesso modo dei fagioli “di Bergamo” eche oggi sono tra le varietà maggiormenteconsumate.

A casa mia si faceva anche un certo consumo difave, sia fresche che secche, come del resto si facevain paese e in tutta la vallata. Forse già allora, ecertamente oggigiorno, meno intenso che in tempilontani, ma sempre presente, parte essenziale di unacultura alimentare condivisa da tutti o quasi. Si trattadel resto, come altrove nel Meridione e nelMediterraneo in generale, di eredità antica, e umaccu, nelle pur differenti versioni locali, è nome e

14 Appartengono in effetti non al genere Phaseolus ma si trattadi varietà o sottospecie di Vigna ungiculata.15 È termine molto comune fra i banchi dei supermercati, ma ètermine usato da qualcuno anche per certe varietà di piselli dicui si consumano i baccelli.

piatto che caratterizza la gastronomia della vallatanon meno che quella nebroidea e quella siciliana.

Non posso dire che u maccu fosse fra i miei pattipreferiti da bambino; storcevo il naso ogni volta cheintuivo che potesse costituire il pranzo o la cena difamiglia ma mi rassegnavo. Non era cattiva peròquella poltiglia densa e scura da cui emergevanodopo lunga cottura fave con la buccia ancora intere,ma ora morbide e saporite. U maccu era sempremeglio della minestra di fave sgusciate, che nonamavo per niente, soprattutto per l’orrore di potercitrovare – capitava con una certa frequenza, dato cheallora era tutto davvero molto bio - piccole e nerepresenze, a pappuzza,16 sorta di larve di animalettiche a volte rimanevano intrappolate in certe partitedi fave al momento della raccolta non avendo fattoin tempo a venir fuori. Anche le lenticchie non neerano immuni, e la sola visione del lorogalleggiamento rendeva ai miei occhi anche laminestra di lenticchie, di solito gradevole,assolutamente orripilante e immangiabile.Figuriamoci quella di fave, dove il nero risaltava!Un controllo attento di mia madre prima di metterlein pentola cercava di risolvere il mio problema dipiccolo onnivoro, ma non sempre quel controllo erapossibile e allora potevo solo contare su unabenevolenza rara a quei tempi, ossia di poter averequalcos’altro da mangiare.

U maccu stava comunque giustamente nelleabitudini e nei sapori dei grandi, ed è forse perquesto che adesso, da grande e da lontano, miprocuro almeno un paio di volte l’anno le favesecche, intere con la buccia, e ripeto le operazioniche ho visto fare tante volte da piccolo: le cucinoveramente a lungo, e solo con qualche spicchiod’aglio - ma se si vuole si può aggiungere qualchealtro aroma – e alla fine, quando si è formata unapoltiglia densa e scura, spolvero di abbondantepeperoncino e aggiungo a crudo olio buono difrantoio (forse era questa l’unica pietanza in cuiusavamo in casa il peperoncino, come del resto granparte dei siciliani, che ne fanno un uso parsimoniosoa differenza di altri meridionali).

A questa ricetta base del maccu di fave, che nellavallata è ancora usata in parecchie case, qualcunoaggiungeva delle varianti personali, che poi altronon erano e sono che varianti che si possonoincontrare in giro per la Sicilia, a cominciare daquella con l’aggiunta di fronde di finocchio fresco

16 Non ho approfondito più di tanto, ma dovrebbe trattarsi dilarve di tonchio (Bruchus quadrimaculatus), note in altre areecome u’ pappece (Lazio) o termini simili, che è una tipicainsidia delle fave. Gli adulti depongono le uova sui giovanibaccelli e le larve appena nate vi si infilano raggiungendo i semi,all’interno dei quali scavano gallerie. Se fanno in tempo gliadulti al termine del ciclo perforano i semi sfarfallando,altrimenti rimangono dentro come nere presenze.

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(quello selvatico ovviamente) a vari stadi dellacottura, secondo i gusti familiari e personali, ossiaciò che in definitiva conta veramente trattandosi dicucina.

Le fave comunque, come in molte tradizioni,erano e sono ancora ampiamente usate comealimento fresco, come ortaggio in senso ampio.

Vengono cucinate da sole o insieme ad altri saporiprimaverili come piselli o carciofi, e sono servite inminestre oppure stufate in vario modo, spesso neltegame di coccio. Spesso vengono insaporite con leprime cipolle dell’orto o accompagnate con salsicciastagionata. Si consumano ancora anche crude, comeaccompagnamento al pane e talvolta anche alformaggio locale, in genere qualche variante delcanestrato, facendo quindi il pari con il classico“fave e pecorino” della campagna romana.

Non so se adesso accade ancora, ma quand’erobambino, come ho descritto in un'altra parte diquesto lavoro17, almeno per noi bambini che talvoltavagavamo a frotte intorno al paese, le fave più cheortaggi venivano considerati i veri primi frutti dellaprimavera. Per questo motivo, non appena i baccellidelle fave mostravano di essere ingrossati, siandavano a rubacchiare per divertimento nei campicoltivati. Insieme a piselli e a ceci verdi e crudi, lefave fresche costituivano anche la mia dieta extra,distribuita su tutta la giornata, nelle occasioni in cuimi trovavo in campagna in primavera. Qualche voltaper gli eccessi dell’insieme arrivavanoimprovvisamente anche le reazioni cutanee.

I legumi secchi più buoni al mio palato eranocomunque senza dubbio i ceci, di cui ero propriogoloso. Ne prelevavo dalla pentola a cucchiaiateanche prima dell’aggiunta della pasta. Cominciavo

17 Vedi sui siti citati “Frutti da rubare”.

anzi al mattino presto, quando li scoprivo inammollo dalla sera prima, crudi ma già gonfi. Faccioancora di queste cose.

Avevo una vera passione per la minestra di ceci,ancor meglio se preparata con la pasta fresca. Questaminestra era frequente a casa mia e abbastanzadiffusa in molte altre famiglie del paese, e adifferenza di altre aree in cui viene utilizzata anchela farina di ceci (ad esempio, per le palermitanepanelle), rappresentava l'unico modo di usare dallenostre parti questi legumi. In effetti i “quattrosolchi” coltivati a ceci da mio padre della nostracampagna bastavano per il fabbisogno familiare diminestre, comprendevano anzi qualche calia18

casalinga. Sa queste parti è proprio la calia in verità la

principale destinazione dei ceci coltivati. Oggi essa èlargamente venduta anche nei supermercati delNord, pur con la volgare (per noi) etichetta di “cecitostati”, ma rappresenta ancora l’essenza stessa dicerta sicilianità ed ha in questa vallata un luogod'elezione. La calia è strettamente connessanell'immaginario collettivo a una occupazionedivertente, all'idea stessa di diversivo, dipassatempo, di sfizio, snack e quant'altro. I cecitostati hanno tanta parte nella cultura locale –sarebbe interessante investigare per scoprirne ilperché, e se possibile anche il quando e il come ciò èpotuto avvenire - che caliare19 era ed è ancoratermine usatissimo da tutti, anche se in prevalenzadai giovani, giacché veniva e viene usato persignificare ciò che altrove si indica con marinare lascuola, bigiare.

Preparare la calia nella casa di campagna –accadeva un paio di volte a ogni estate - era per noiun’opportunità data sia dall'avere i ceci della nuovaannata a disposizione che dalla possibilità di cuocerlinella sabbia raccolta dal fiume vicino, all’aperto e inun contenitore adatto. Quella “cotta” in campagnaaveva il sapore e la soddisfazione delle cose caldetra le mani e in bocca, ma alla calia, quella chenormalmente si acquistava su banchi e banchetti siabituavano tutti fin dalla più tenera età, non appenaerano stati messi tutti denti. Ancora oggi si puòosservare nelle fiere e nelle sagre di paese ilcontenitore di rame che gira con la sabbia rovente e iceci, anche se ora gira continuamente e regolarmentegrazie a un motore. Ancora oggi la domenica, nellesere d'estate e in occasione delle feste non mancamai una bancarella con la calia, anche se ormai quasisi confonde nel mix di snacks di banchi sempre piùgrandi e forniti.

18 Rigorosamente al femminile in Sicilia, a calia.19 Ai miei temi si caliava assai di più, e il termine veniva usatoda tutti, studenti e genitori e perfino da certi professori diitaliano.

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Un cenno a questi snacks che mettono insiemequelli più tradizionali ad altri innovativi e cheattirano i clienti con ricchezza di colori e varietà. Sipossono trovare come un tempo, anche se vendonomeno, fave abbrustolite e semi di zucca. Le arachidi,chiamate da queste parti e nelle diverse parlate dellavalle solamente col termine di noccioline americane,sui banchi sono sempre abbondanti. Noccioline ecalia erano e sono in effetti ancora il misto vincente,ma i più tradizionalisti vi fanno aggiungere come untempo la cannellina, dolcetto di duro zuccherocolorato intorno a un'anima filiforme di cannella.Sono invece scomparsi pressoché del tutto i lupini,anche se rimane la memoria nel nome del lupinaru,ossia di chi li trattava e vendeva, che ancora circolafra i più anziani. Da queste parti i lupini in effetti sipossono ancora trovare, però sui banchi di qualchecentro commerciale, d’importazione, e già quandoero ragazzo i lupini echeggiavano tempi veramentemagri.

Nell'orto d'estateDifficile stabilire un ordine di importanza fra

legumi e ortaggi nella tradizionale gastronomia dellavallata. I primi hanno dalla loro, come detto, il fattoche hanno costituito per secoli la vera riserva dinutrienti ma i secondi hanno certamente più spazionella cucina quotidiana, anche o solo per il fatto chesi avvalgono di una stagione di consumodecisamente più ampia. Nonostante l’orto in sensostretto abbia in gran parte d'Italia una connotazioneprevalentemente estiva, da queste parti si puòragionare di ortaggi in senso stretto dalla tardaprimavera all'autunno e anzi, se consideriamo iltermine ortaggio in senso ampio, questa lungastagione si allunga ulteriormente. Possiamo del restoconsiderare come prodotti dell’orto quei vegetaliinvernali che si ha (ancora) l’abitudine di coltivareda queste parti e che vedremo a breve, avvisandoche per il discorso che mi interessa in queste pagineintendo fare un ragionamento al netto dell’ormaiquasi tramontato concetto di stagionalità.

Gli ortaggi sono del resto dei primi attori nellagastronomia siciliana e questa vallata non può certofare eccezione. I “prodotti dell'orto” che dominanola gastronomia locale sono però, al di là delladisponibilità invernale e primaverile, soprattuttoquelli estivi. Con essi non si preparano solamentegustosi contorni ma anche saporiti primi piatti,soprattutto pastasciutte, spesso apprezzate,soprattutto d'estate, più di quelle condite con i sughidi carne. Gli ortaggi inoltre vengono sempre di piùinterpretati nella gastronomia locale dellaristorazione più recente anche come antipasti. Iprincipali poi vengono tradizionalmente accostati

insieme in colorate e appetitose preparazioni, comela tipica caponata di melanzane, da queste particonsiderata una “importazione” da qualche altrovein Sicilia, ma usata anche qui in molte case comevera e propria rappresentazione dell'animadell'estate.

MelanzaneNaturalmente fra gli ortaggi, almeno per

frequenza d'uso, domina il pomodoro, principe dellacucina mediterranea in genere e di quella italica inparticolare, che anche da queste parti si utilizza inogni modo possibile. La sua salsa, variamentecondita e aromatizzata, costituisce, e non nel soloMeridione, una pervasiva presenza su ogni tavola. Ilrosso appare come il colore simbolo dell’italicomangiare, anche se ovviamente la varietà èpressoché infinita e tutta la questione assai piùcomplessa.

Trascuro al momento il pomodoro, sul qualetornerò più avanti, perché penso che al di là della suapervasività lo scettro della cucina estiva da questeparti - come in altre aree dell’Isola e in Calabria - selo meriti la melanzana. Chi non passa d’estate almattino per i vicoli antichi di questi paesi - o inalternativa prima di pranzo intorno a ristoranti etrattorie - non può neanche immaginare quanto l’ariasia impregnata di un odore penetrante che dominatutti gli altri: quello delle melanzane fritte. Un odoreche da queste parti è più siciliano che altrove e chepuò anche arrivare alla nausea se ci si ferma troppocol naso. A giuste dosi è il profumo che prepara ilpalato ad assaporare melanzane dolcissime, difficili

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da trovare altrove anche se forme e colore similipossono ingannare. Sembra che in certi giornid'estate ovunque e continuamente si friggano solomelanzane.

Le melanzane fritte costituiscono una presenzafondamentale nella gastronomia locale dei mesi piùcaldi. Sono destinate a essere consumate in giornata,così come sono, come contorno o comeaccompagnamento al pane, o variamente combinatecon altri ingredienti per dare ogni possibile forma esapore ad antipasti, condimenti per pastasciutte,contenitori per originali involtini, i più buoni deiquali sono quelli che contengono una forchettata dicasalinghi maccheroni al sugo. Variamenteinsaporite con le aromatiche più comuni e spessoabbinate ad altri ortaggi, a cominciare ovviamentedal pomodoro, costituiscono l'ingrediente di unainfinità di piatti, non solo tradizionali ma ancheinnovativi, preparati in tutte le case e in tutti gliesercizi della ristorazione. Gli antipasti attingonodalla versatilità delle melanzane come poche altreportate: vengono infatti proposte variamenteconiugate a salse di pomodoro e altri intingoli,profumate con origano, basilico o menta, nella piùtipica forma dell’involtino che racchiude prosciuttoo provola e in qualunque altra maniera possibile.

Naturalmente le melanzane fritte sono più note algrande pubblico per quella che è forse la piùconosciuta delle preparazioni, la pasta alla Norma(se vogliamo essere pignoli, "a La Norma"), che danessuna altra parte può però essere preparata comenei paesi qui intorno, dato che la migliore ricotta alforno necessaria per accompagnarla – grattugiataprego, non aggiunta a scaglie - è quella prodottanelle terre alte di questa ristretta area orientale deiNebrodi.

Famoso più o meno come l'aneddoto da cui si farisalire il nome, il piatto che per eccellenza richiedeil sapore delle melanzane fritte, preparato e servitoormai ovunque e ovunque apprezzato, senza il tocco

finale della ricotta al forno dei Nebrodi diventerebbeun’altra cosa. Da queste parti la ricotta al fornograttugiata è un must e del resto capita solamente quiche ti portino in tavola, per accompagnarequalunque pastasciutta al sugo, la sola ricotta. Ilformaggio grattugiato, ormai omologato nei tipipadani, serve in cucina a tutt’altro, quando serve, enon a essere sparso sulle pastasciutte.

A più di qualche catanese, che dall’aneddotobelliniano rivendica la tipicità della pasta alla Normaalla città etnea, va detto che seppure questo piattoappartiene di buon diritto all'intera cucina siciliana,ed è ormai molto diffuso come pratica della cucinaquotidiana anche fuori dalla Sicilia, certamentenecessita dell’apporto della nostra ricotta al forno.Per la gente dei Nebrodi si tratta del resto di unpiatto della quotidianità, preparato in casa con variformati di pasta, come di routine sono i “maccheronialla Norma” per ogni ristoratore della nostra vallata.

Le melanzane, come e più di altri ortaggi, nelparticolare clima siciliano hanno sapore e profumoassai più intensi che nel resto d'Italia e questo giovanon poco al loro successo in cucina. Si usano, oracome un tempo, quasi esclusivamente le melanzaneviola, di media o piccola pezzatura, anche se, per viadi una certa omologazione, nei centri commerciali sene possono trovare facilmente di grosse (menosaporite). Da un po' di anni si possono trovare anchemelanzane di piccolo e piccolissimo formato, questeultime utilizzate più che altro nella ristorazione peralcune portate, essendo particolarmente versatili ecapaci di rendere un bell’effetto alla vista.

Totalmente escluse dall’essere prese inconsiderazione sono le melanzane scure, più o menolunghe o più o meno arrotondate che siano, ritenutebuone solo per i mercati del Nord, e in effetti dal

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sapore non confrontabile con quelle usate da questeparti. Sono davvero decine le ricette imperniate suquesto ortaggio, che non finiscono sempre nell’olioin padella, perché quelle fritte hanno anche le loroalternative, a cominciare da quelle melanzaneripiene che non sono solo la mia passione – il chenon avrebbe alcuna importanza – ma sono tipiche diqueste parti e rappresentano oramai uno dei pochipiatti tradizionali rimasti, dato che richiedono unalunga preparazione ed essendo il tempo destinatoalla cucina assai scarso anche in questa vallata delTimeto.

Il ripieno di queste melanzane è il migliore checonosca, perché al tradizionale pan grattato,formaggio, uova e altri componenti a piacere, avanzie rimasugli compresi, si mescola la polpa dimelanzana ottenuta dallo scavo e insaporita inpadella. Un ripieno quanto mai morbido e gustosodal sapore di altri tempi, ma oggi si servonofrequentemente anche melanzane grigliate comecontorno e negli antipasti, una volta assenti dallacucina quotidiana, e poi, ancora, melanzane nellepaste al forno e nei timballi, all'agro, in umido colpomodoro. Quest’ultimo modo di prepararleapparteneva anche alla cucina casalinga di un tempo,così come era frequente sbollentarle in acquavariamente acidulata e poi condirle con olio, aglio,basilico od origano, per un consumo quasiimmediato. Molte altre combinazioni ancora, conuna mescolanza di tradizione e innovazione che nonha pari per nessun altro ortaggio, consentono dipreparare conserve per l’inverno destinate adaccompagnare i tradizionali antipasti della vallata, afianco degli ottimi formaggi e salumi dei Nebrodi.

Davvero con questo ortaggio si può incominciarealla grande un pasto o sostituirlo del tutto,accompagnare un secondo e perfino un aperitivo.

Zucche, zucchine e cetrioli Zucche e zucchine, nelle loro ormai numerose

varietà, entrano in cucina da queste parti soprattuttoin estate, anche se non sono del tutto assenti dalleconsuetudini culinarie della vallata le zuccheinvernali, ma che certo non occupano un posto dirilievo come in area padana. Ricordo bene che dapiccolo, in inverno, mangiavo volentieri la zuccafritta che preparava mia madre e ancora oggi è ilmodo in cui consumo più frequentemente le zuccheinvernali.

Nonostante il detto, ancora molto in voga nel miopaesello natio - “conzařa comë vua, semprë ècögözza” – diffuso anche fra i siciliani e non solo, eche vale ovviamente come metafora, come tutti idetti popolari, ma anche per l’ortaggio in sé, nonparticolarmente saporito, le zucche si adoperano intutta la vallata con una certa frequenza, forse perchési tratta di un’area la cui gastronomia, diversamenteda altre della Sicilia, non ama i sapori troppo intensi.

A dispetto del proverbio le zucchine vengono ineffetti usate in estate con una certa frequenza, sianella cucina di casa che in ogni ristorante oagriturismo che offra un minimo di scelta diantipasti e di contorni. Per lo più si adoperavano infrittura o variamente stufate, ma è in voga ormaisoprattutto l’usanza di grigliarle. In ogni casoentrano in numerose e varie preparazioni.

Zucche e zucchine di ogni foggia, lunghe o tondeche siano, vengono insaporite con ricchi ripieni esono utilizzate a loro volta in sfoglie sottili perpreparare involtini. Questo ortaggio, fritto o stufato,accompagna sovente anche in casa pastasciuttedelicate, cui vengono aggiunte solamente profumateerbe aromatiche. Basta qualche zucchina o pochifiori di zucca e le profumatissime foglie di basilicomeridionale, quello dalle foglie piccoline, pergustare un’ottima pastasciutta “in bianco”. Il lorodelicato sapore viene rafforzato a volte, perdendosiin gran parte, da una grattugiata di formaggio o dionnipresente ricotta al forno,

Gli usi alternativi sono lasciati alla fantasia di chicucina – e sono probabilmente meno appetitosi, ilche in buona parte giustifica l’adagio popolare – conprevalenza delle soluzioni in umido, magari colpomodoro fresco e il basilico (a sciuscellu), o piùfrequentemente come ingrediente aggiunto neiminestroni estivi. Non manca infine negli ultimitempi una crescente abitudine ad aggiungere zucchee zucchine estive fra le conserve per l’inverno.

Non si coltivano e si consumano solo le zucchinepiù tradizionali, ossia quelle lunghe dal colore verdepallido (appartenenti al genere Lagenaria), tipichedel Meridione, e quelle più corte – quasiesclusivamente a buccia chiara – appartenenti al piùcomune genere Cucurbita, ma negli ultimi tempi le

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varietà (e le forme) appartenenti ad entrambi i generisi sono moltiplicate.

Naturalmente si adoperano anche i fiori di zuccama nella cucina di ogni giorno il loro utilizzo èlimitato, un tempo come oggi, a poche maniere. Siusa per lo più stufarli in padella e poi aggiungerli apastasciutte estive o strapazzarli con le uova. L’usodei fiori fritti interi in pastella, più meno ripieni, èpratica di recente importazione dovuta alle continueinnovazioni e alle contaminazioni quotidiane diculture alimentari diverse.

Quasi del tutto assente invece – qualcuno ne fauso, ma si tratta anche in questo caso di abitudini diimportazione – l’utilizzo dei così detti "tenerumi", iteneri getti apicali delle piante di zucca, il cuiconsumo lungo la dorsale dei Nebrodi comincia adiventare tradizionale solo con l’approssimarsi dellearee di contatto con la provincia di Palermo.Diversamente che nel Palermitano, dove in estate sipossono vedere esposti presso ogni negozietto diortofrutta, da queste parti l’offerta ai consumatori èdel tutto inesistente, né mi risulta una produzione eun consumo familiare.

Un discorso a parte meriterebbero i cetrioli, chenell’orto così come nell’alimentazione estiva nonsono mai mancati, e che vengono esclusivamenteconsumati a crudo, così come sono. Ne accenno quiper appartenenza familiare. L’uso è frequente e levarietà consumate e coltivate si stannomoltiplicando, ma a parte qualche utilizzo indottodalla globalizzazione il loro destino è sempre statolo stesso: sono molto apprezzati, ma esclusivamenteper insalate estive, qualche volta da soli ma di solitoin accompagnamento ai pomodori.

PomodoriDel pomodoro verrebbe la tentazione di non

parlare, visto che si tratta di un prodotto ormaiuniversale. Domina la tradizione gastronomica deiNebrodi non meno di quella di altre regionimeridionali. Mi pare tuttavia di fargli un torto a nonsegnalare almeno qualche uso, tipico ancorché nonesclusivo di questa vallata.

Dalle righe che seguono chi vuole può cogliereaffinità e differenze con altre aree, ma credo che nonne ricaverebbe una qualche particolare utilità.Intanto però mi viene da sottolineare come non siamai stata particolarmente significativa da questaparti la diffusa abitudine meridionale di utilizzare incucina i pomodori fatti seccare al sole. Un temposulle cannizze al sole ci trovavi, oltre ai fichi,l’astrattu20, ma raramente pomodori tagliati per illungo e messi ad essiccare. Il loro utilizzo in questavallata è di importazione e ancora oggi decisamenteridotto né sono usati, se non raramente, dallaristorazione locale. D’altronde sono ormaidiffusissimi dappertutto in Italia per via della culturaalimentare emigrata dal Meridione nel dopoguerra.Certamente se ne trovano più sui banchi dei prodotticalabresi e pugliesi che non su quelli di prodottisiciliani, ma ancora di questi tempi è assai più faciletrovare in vendita pomodori secchi sui banchi deisupermercati o nelle fiere del Nord che non daqueste parti.

Sempre più raro, ma non ancora scomparso deltutto, come accennato, è l'uso di preparare l'estrattodi pomodoro mediante una lenta asciugatura al sole.L'estratto di pomodoro, dal sapore assai più intensodella salsa data la sua forte concentrazione, vieneutilizzato in molte ricette ma soprattutto nellapreparazione dei sughi a base di carne di maiale. Lastessa considerazione sul fatto che si tratta di unusanza non scomparsa del tutto anche se ormaisempre meno praticata vale per l’abitudine, se mi sipassa il termine, contraria, ossia quella di prepararesughi per le pastasciutte con brevissime cotture (oaddirittura senza) del pomodoro fresco.

Di un tempo rimane invece abbastanza in auge lapratica di fare la salsa in casa, non tanto o non più o,forse, non ancora nuovamente, per risparmiare,quanto per il desiderio di un legame con il saporedelle “cose fatte in casa”. Tuttavia oramai ipomodori che servono per la salsa non arrivano piùdagli orti di casa o da quelli lungo il fiume ma daqualche parte lontana, non diversamente da comeaccade nel resto d’Italia.

20 Sull’uso di questi manufatti di canne (Arundo donax) si puòleggere la parte interessata nel lavoro relativo agli usi domesticidelle piante, sempre sui siti citati. Le canizze al sole con soprafichi e astrattu fanno ancora parte del paesaggio della valle,seppure con tendenza a scomparire.

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Con i pomodori appena raccolti si continuano apreparare frequentemente insalate destinate a esserepiatti unici (oltre a contorni, ovviamente). Vi siaggiungono ancora volentieri, e in abbondanza,cetrioli e cipolla fresca, e qualche volta anche letenere grassottelle foglie di porcellana (Portulacaoleracea), a purciddana, l'erba infestante degli ortidetestata per altri versi dagli orticoltori d’Italia. Iltutto, come sempre da queste parti, spolverato diabbondante origano e condito con ottimo olio.

Naturalmente l’ortaggio per eccellenza trovaanche altri utilizzi e nelle più svariate preparazioni.Sui tavoli dei contorni e degli antipasti nei ristorantifanno sempre bella mostra di sé pomodori gratinati,insaporiti con pangrattato e altri aromi o in variomodo ripieni. La loro preparazione caratterizzaperaltro sempre più spesso anche la cucinacasalinga.

Una annotazione finale che più di altre vuoleregistrare i cambiamenti in corso: l’introduzioneanche da queste parti, nei mercati come negli ortidomestici, di moltissime varietà di questo ortaggio, acominciare ovviamente dagli ormai onnipresentipomodorini di ogni dimensione e forma, stacontribuendo a mutare le abitudini gastronomichelegate al pomodoro. L’annotazione va fatta ancheper sottolineare come le nuove varietà, unitamente almoltiplicarsi delle opzioni sugli utilizzigastronomici, segnano il profondo distacco daipomodori di un tempo, grossi e carnosi, cheaccompagnavano nelle bisacce dei contadini allavoro cipolle, olive e, quando possibile, un pezzo diformaggio. La colazione di una giornata, insaporitatalvolta solo dal sale proprio sul grosso pomodoro.Quelle forme dell’ortaggio, tipo cuore di bue, nonsono scomparse del tutto, ma ai più danno ormai lasensazione di un che di nostalgico, di un tempoandato.

PatateNella cucina di ogni giorno un ruolo di una certa

importanza continuano ad averlo le patate, altroalimento che possiamo considerare “universale”. Chipoteva, si piantava un tempo le sue patate, e pare checerte terre, specialmente in montagna, rendesserotuberi di eccezionale sapore. Qualcuno le piantaancora oggi.

Destinate una volta per lo più a minestre eminestroni e a qualche stufato, umido o arrosto, oltreche ovviamente a essere fritte in maniera casalinga,le patate non hanno mai assunto una vestetradizionale di grande importanza nella cucinadomestica delle genti della vallata, almeno non tantoda caratterizzare piatti tipici, neppure come tuberocotto nella cenere dei focolari di campagna, praticaquasi atavica e procacciatrice però di un sapore

unico. Probabilmente perché, come si può dire dellepopolazioni meridionali in genere, la sussistenzaquotidiana non fu mai strettamente legata allacoltivazione di questo tubero, disponendo di altrialimenti a cui vincolare la propria sopravvivenza. Lepatate erano e sono però sempre presenti nelladispensa di casa, buone e necessarie per ogni uso.

Lo stesso discorso che vale per il pomodoro sipotrebbe fare infatti per l'uso delle patate. Sono oggiconsumate in ogni maniera possibile anche da questeparti, e nelle molte varietà che offre il mercato,anche se non mi pare appunto che possa segnalarsiuna qualche particolare preparazione degna di notaper la sua tipicità. Si sono moltiplicate le soluzionigastronomiche per la cucina di ogni giorno, marimane frequente soprattutto l’uso tradizionale comecontorno. Lessate e aromatizzate con origano ocipolla o menta, costituiscono ancora una soluzione

frequente come un tempo, anche se le patatine sticksfritte della ristorazione possono senz’altro contare suuna maggiore diffusione. Comunque le patate sonotalmente usate che si può affermare senza tema dismentite che entrano anche da queste parti nellacucina degli avanzi e del riutilizzo e che le abitudiniculinarie della vallata sono ormai quelle daimitazione televisiva.

Peperoni e peperonciniL'uso che si fa in cucina da queste parti dei

peperoni non si può paragonare a quello dellemelanzane, ma è anch’esso importante, soprattuttod’estate. I peperoni dolci vengono utilizzatisoprattutto come contorni e antipasti, serviti freddi,ma nondimeno ripieni (molte le versioni)costituiscono sempre degli ottimi piatti unici caldianche per la cucina domestica.

Si utilizzano in genere peperoni dalla polpasottile, verdi o rossi, più tondi se destinati a ospitareripieni e più allungati, tipo "corno", se destinati adessere grigliati, come vuole la tradizione. La

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preparazione casalinga più comune li vuole cotti allabrace, privati della pellicola esterna, ridotti abrandelli e variamente insaporiti con sale, dell'ottimoolio e aromi (soprattutto, come spesso accade,origano) e utilizzati come contorno o comecompanatico. Negli ultimi tempi gli stessi peperonigrigliati, hanno cominciato ad essere utilizzati inmodo più fantasioso – ad esempio per prepararedegli involtini - e utilizzati come antipasti dallaristorazione. Più raro, comunque in crescita, è l’usoda queste parti di peperoni in forma di classicapeperonata o come aggiunta a sughi per condirepastasciutte.

L'utilizzo di peperoncini piccanti di vario tipo èabbastanza comune nelle pratiche alimentari dellefamiglie e un mazzetto di peperoncini secchi appesoal riparo sul balcone è una presenza in molte case,ma da queste parti siamo decisamente lontani dalleabitudini calabresi o abruzzesi o di altre areemeridionali. Più che destinati ad essere seccati epolverizzati, i peperoncini piccanti nella nostravallata sono utilizzati freschi per farne soprattuttoconserve sott'aceto o sottolio, destinate poi adaccompagnare antipasti a base di salumi e formaggi.Vengono inoltre usati spesso per accompagnare lastagionatura delle olive in salamoia.

Nell’uso domestico era ed è abitudine, nondiffusa ma presente da sempre, aggiungerli a crudoalle insalate di pomodoro e cipolla o accompagnarela magra colazione dei braccianti al lavoro, oppuregrigliarli e mescolarli a quelli dolci o, piùfrequentemente, servirli a parte dopo averli conditicon olio, sale e origano (e avere avvertito gli ospitidella differenza con quelli dolci). In questo caso,accompagnata da molto pane e vino rossoabbondante, se ne usa una modica quantità a ogniboccone, sufficiente da sola a infiammare il palato.

Di assai modesta importanza, come detto, appareinvece l’uso gastronomico del peperoncino piccantesecco, polverizzato. Non che non si usi, ma in questa

forma la distanza con altre aree meridionali perconsumo di peperoncino è ancora maggiore. Si usanella cucina quotidiana delle contaminazioni e per lopiù accompagna piatti che saranno sì di originemeridionale ma che oramai sono tanto diffusi da nonavere quasi un origine, dagli spaghetti aglio e olio acerte pastasciutte alla diavola. Si sta diffondendoanche l’abitudine di aggiungerlo alle tipiche salsiccelocali, ma essa è invalsa soprattutto per scopicommerciali, per offrire una variante a una plateapiù vasta di turisti gastronomici, giacchél’apprezzamento locale va sempre a quelletradizionali, aromatizzate rigorosamente coi semi difinocchio, ingrediente essenziale.

Prima della bella stagionePrima della bella stagione non mancano in cucina

altri vegetali che si possono ben definire ortaggi,almeno per il fatto che si coltivano in ciò che restadell’orto autunnale o in un vero e proprio ortod’inverno. Nei pochi mesi invernali e fino all’iniziodella primavera si fa un abbondante uso di verdureed è ancora usanza abbastanza diffusa da questeparti raccogliere o quanto meno utilizzare in cucinaanche le verdure selvatiche, anche se ovviamentesiamo lontani dai consumi di un tempo nella societàcontadina. Diverse erbe entrano ancora a pieno titolonella gastronomia della vallata meritandosi unadoverosa attenzione anche in queste pagine oltre aquella meritata negli altri lavori21, come sannodiversi lettori che hanno avuto la pazienza diseguirmi fino a qui.

Si può facilmente immaginare come di alcunespecie “invernali” si faccia un uso più intenso efrequente di altre. Fra le principali in effettipredominano di gran lunga broccoli, cavolfiori ecarciofi. Tutti e tre caratterizzano ormai un periodomolto lungo, potendo contare oltre che sulladisponibilità nell’orto di casa su una distribuzionecommerciale che, presente per gran parte dell’anno,è intensa dall’inverno alla tarda primavera.Trattandosi di ortaggi che rientrano da lungo temponelle abitudini alimentari, il tempo del loro consumosi è facilmente dilatato a dismisura come per granparte dei prodotti dell’orto che si acquistano.

CarciofiLa tradizione locale casalinga utilizza i carciofi

da sempre – quelli usati da queste parti sono per lopiù senza spine - e nonostante le contaminazioni sidifferenzia da altre aree del Paese giacché li vuolepreparati in maniera ben più complicata che altrove,

21 Si possono leggere e scaricare dai siti citati i seguenti articoli:Intorno ai cavolicelli, Erbe amare, Erbe in padella e Finocchiper la gola.

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non accontentandosi del semplice gusto del carciofo,pure arricchito da erbe aromatiche o dalla fritturacome in Italia centrale. Nonostante la preferenza perla velocità delle odierne pratiche quotidiane, latradizione locale li preferisce infatti per lo piùripieni, il che richiede una lunga preparazione. Giàla pulizia e la predisposizione dell’ortaggio ad essere“riempito” è operazione delicata ma lo stesso ripienova preparato: pangrattato insaporito con formaggio,uova, sale, pepe, aromi e ogni utile avanzo. Siservono dopo una lenta stufatura seguita a un rapidopassaggio in padella dalla parte del ripieno perprodurre una solida crosticina. L’umido di cottura,cui si aggiungono, ridotte a tocchetti, le parti teneredei gambi amarognoli, è utile come condimento peruna pastasciutta delicata.

I carciofi diventano però qualche volta anche daqueste parti contorni e antipasti: quelli più tardivi siaccompagnano ai delicati sapori della primavera,cipolle, fave e teneri piselli, che si stufano insieme einsieme possono magari finire per cuocerenell’umido di cottura dei carciofi ripieni. La rapiditàtorna comunque sempre utile e quindi anche icarciofi sono destinatari di frittate primaverili,magari con aggiunta delle ultime salsicce stagionate,

sbriciolate o fettine. Sbollentati nell’aceto e poisottolio, entrano comunque nel novero delleconserve casalinghe, soprattutto di quelle cheprevedono un consumo a breve, , anche se non credoche si possa parlare di tipicità.

Broccoli e Cavolfiori Si dice da parte di certi gastronomi che l'uso dei

broccoli per preparare pastasciutte sia in Siciliamolto diffuso. Come esempio basta ricordare unaparticolare tipo di pasta 'ncasciata – tipica di altraSicilia - che ha i broccoli come ingredienteprincipale, ma l’opinione nasconde il fatto che indiverse zone dell’Isola, e da qualche parte anche suiNebrodi, col termine broccolo viene in realtàindicato il cavolfiore22.. In effetti pastasciuttepreparate con queste due varietà di Brassicaoleracea non mancano neanche dalle nostre parti,ma questa abitudine si riduce tuttavia alle specificitàdei gusti familiari dovute a importazione o a culturaglobale ed è veramente difficile stabilire quantaparte sia frutto di contaminazione e quanta dirielaborazione delle abitudini del passato.

La tradizione in effetti si limita ad usi precisi evuole che i broccoli siano “nturrati” e che ilcavolfiore finisca fritto in pastella. Si tratta di duepreparazioni che di solito non entrano nelle guidegastronomiche ma che fanno parte da sempre dellacucina quotidiana di queste parti, mentre per il restodelle preparazioni domestiche, come già visto peraltri alimenti, valgono le preferenze e l’inventivafamiliare o dei ristoratori. Se in questo ambito ogginon mancano neppure da queste parti gli utilizzi deidue ortaggi nello stile contorno per pasti ospedalieri,è abitudine che viene invece da lontano quella dipreparare broccoli e cavolfiori per stomaci forti.

I broccoli vengono adattati ai rigori dell'inverno esono quindi spesso insaporiti con grassi animali, maoltre che con gli ingredienti abbinati in cucina silavora sul loro sapore delicato rendendolo “pesante”anche con la modalità di cottura. I broccoli vannostufati a lungo, possibilmente in un tegame di coccio- di crita, come si dice - e vanno fatti nturrari, che èoperazione in cui occorre essere abili, per farliinsaporire e asciugare verso la fine a fiamma vivace,fino al punto di ottenere un particolare sapore senzatostarli. Il resto lo fanno il peperoncino, olive alforno e pezzetti di salsiccia stagionata, e in più emeglio ancora di frittule23, se ve ne sono adisposizione. Il risultato è eccezionale – praticoancora e posso darlo per certo - ma così preparati i

22 In effetti il termine viene usato in qualche modo anche nellavallata, anche se storpiato per fare la differenza coi cugini piùverdi: brucculuni o vrucculuni sta infatti per cavolfiore, e iltermine è molto usato anche con valore figurato di uomo di pococarattere, uomo da niente, riprendendo sicuramente lo scialbosapore dell’ortaggio.23 Tipica preparazione della zona. Si tratta di varie parti delmaiale, nobili e meno nobili, messe insieme a cuocere a lungo incaldaie e calderoni adatti alla quantità di carne. Le frittulevengono consumate più o meno calde, cosparse di pepeabbondante. Nelle versioni casalinghe si usano quantità e pezzidi dimensioni ridotte.

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broccoli nturrati si reggono solo se non si hannoproblemi di digestione. Certo, definirli un contorno èriduttivo, e del resto un tempo servivano comesecondo, o come piatto unico, con cui mangiarciinsieme tanto pane, come è ancora usanza dellagente di queste parti.

La stessa preparazione che utilizza i broccoliviene usata per il cavolfiore, con l’aggiunta a voltedi uva passa, tanto per ingentilire il gusto emescolare dolce e salato. Con versioni meno grassee a base di cavolfiore si preparano in casapastasciutte. Il cavolfiore è ortaggio di uso comune ela varietà delle preparazioni anche più ampia, ma daqueste parti è d’obbligo soprattutto destinarlo allafritture in pastella. Le piatte frittelle che se nericavano vengono oggi proposte come stuzzicantiantipasti quando un tempo costituivano anch’esse,da sole, un secondo o un vero e proprio piatto unico,da mangiare col pane.

Verdure ed erbe spontaneePer i contorni verdi vengono utilizzate nella

cucina quotidiana anche lattughe e scarole,consumate quasi esclusivamente a crudo,diversamente da talune varietà di cicoria da bancodel supermercato che in molte case hanno sostituitoda tempo le erbe selvatiche amare, che si consumanocotte. Qualche lattuga veniva e viene ancora ospitatanegli orti familiari, ma certamente non le vieneriservata l’attenzione e lo spazio di cui gode al Nord.

Un tempo la lattuga circolava in zona in un’unicavarietà, quella così detta “romana”, che rimaneancora oggi che le varietà si sprecano ancora la piùapprezzata. Serviva esclusivamente per l’insalata, ansalata, tale per antonomasia, dato che il terminecon l’aggiunta di qualche apposizione serviva eserve per indicare se di pomodori, cetrioli, ecc..

I contorni verdi più tradizionali rimangonocomunque quelli a base di erbe spontanee. Nellacucina tradizionale e quotidiana di questa vallata non

è mai mancata la loro presenza, spesso cospicua, eper questo ho dedicato loro diverse pagine di questolavoro, cui ovviamente rimando chi volesseapprofondire il tema24. La presenza cospicua di erbeselvatiche sulla tavola dei più, abbondante e varia aseconda delle stagioni e dei giorni della settimana,caratterizzava ancora la tavola quotidiana almenofino agli anni Sessanta, anche quando si trattavaoramai di una tavola “normale” perché era senzapenuria.

La condizione di mangiatori di erbe selvaticheera del resto esperienza comune al maggior numerodi persone che conoscevo da fanciullo. Anche sec’erano erbe destinate a frittate o ad altrepreparazioni più gustose, abbondavano nella raccoltae nel consumo soprattutto quelle amare destinate alleminestre o a essere ripassate in padella, raccolte econsumate in gran quantità soprattutto perchéfacevano anche bene alla salute25. Come in tutto ilMeridione, e anche altrove, si riteneva che fosseroquanto meno depurative, necessarie perdisintossicare l’organismo dopo gli eccessi di Natalee di Carnevale. Amaro voleva dire salute anche neiconsigli dei medici di allora e nella conseguentesaggezza popolare e si abbondava quindi di verdureconsumate nel loro brodo abbondante, condito solocon un pizzico di sale e di un filo di olio a crudo.

Nella stagione giusta si possono vedere ancoranelle campagne della vallata persone dedite allaraccolta di erbe buone da mangiare - donneprevalentemente, come un tempo – ma oramai lapratica della raccolta e del consumo di erbeselvatiche appare sempre più residuale, fatta “pertradizione” e non più (almeno al momento) per veroe proprio bisogno, mentre sempre più facilmente,dall’estate inoltrata all’autunno, si possono vederesbucare da boschi e boscaglie che costeggiano lenumerose carrozzabili che percorrono la vallatapersone con le sembianze e il cesto dei cercatori difunghi, pratica antica e allo stesso tempo “nuova”nella sua ampia diffusione, frutto soprattutto delleculture che si mescolano.

La cucina delle erbe si definiva ovviamente giàall’epoca “povera”. La si può definire ancora così sesi ha cura di non strizzare l’occhio agli stereotipi,intendendo non più cucina dei poveri ma cucina checosta poco (con l’eccezione per certi livelli disperimentazione da chef), e sapendo che essa

24 Vedi nota n. 20.25 Le erbe selvatiche destinate alle minestre - prevalentementeerbe amare come detto - con l’aggiunta di finocchi e cavolicelli,quando c’erano - venivano chiamate nel mio paese nel loroinsieme col nome di mënesřa, “la minestra”, al di là dellospecifico termine che distingueva una specie dall’altra . Tale eraper antonomasia, non venendo usato questo termine comunedell’italiano se non per la preparazione in brodo delle erbeselvatiche.

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appartiene ormai, salvo permanenze e residui ancorapresenti, a quelle “riscoperte” che fanno tantotendenza e perfino nuove forme di turismogastronomico. Le preparazioni di un tempo rientranoampiamente nei menù che oggi vengono proposti dairistoratori in molte zone d’Italia.

Ci sono molti motivi per i quali la raccolta e ilconsumo di erbe spontanee hanno avuto in questiultimi tempi un grande rilancio – si tratta però diforme del tutto nuove di consumo, almeno sotto ilpunto di vista antropologico – e in questa vallata sisarebbe potuto contare già da anni sulle abitudiniancora presenti e sulla naturale ricchezza di speciealimentari della nostra flora. I miei sforzi di questiultimi anni con gli amici ristoratori per organizzareuna vera e propria rassegna gastronomica, anche conquelli che talvolta già li inseriscono nei loro menù,non è però ancora andata a buon fine. Ma nondispero per il futuro nel desiderio di imitazione chetalvolta funziona da molla. Neppure per l’aspettoagricolo-imprenditoriale, dato che è una stradaimboccata in diverse regioni, che hanno saputoinvestire su uno sviluppo rurale basato anche sullavalorizzazione di erbe spontanee come tipicitàgastronomica.

Per tornare agli aspetti culinari, in unavelocissima carrellata, possono essere citate leprincipali erbe amare usate per le tradizionaliminestre in brodo, che si compongono per lo più dialcune asteracee: luciane (Urospermumdalechampii), cardelle (Sonchus oleraceus), cicoina(Cichorium intybus) caccialepre (Reichardiapicroides), cost’i vecchia (Hypochoeris laevigata) equalche altra specie – i nomi comuni possono anchedifferire da un luogo all’altro - cui si aggiungonotalvolta finocchi selvatici (Foeniculum vulgare) ecavolicelli (Brassica fruticulosa). Queste ultime duespecie sono ampiamente consumate anche da sole: iprimi in misura più abbondante, ma i cavolicellisono considerati, come in area etnea, una sorta disimbolo del consumo di erbe selvatiche. Tutte questespecie messe insieme vengono utilizzate nei duemodi più tradizionali, in forma di minestra oppurelessate e ripassate in padella con l’aggiunta di olio,aglio e a volte peperoncino.

Finocchi selvatici e cavolicelli, mescolati con leerbe amare per attenuarne i toni eccessivi, vengonospesso utilizzate da sole, sia in forma di minestra chein altri modi. I primi sono quanto mai versatili incucina e sono anche destinati ad aggiungersi alnovero degli antipasti in forma di saporite frittelle oad aromatizzare preparazioni tradizionali, come adesempio la pasta con le sarde. I secondi, lessati eripassati in padella, costituiscono il più tipicocontorno invernale alle carni di maiale. Ultimamenteè stata intrapresa la strada di utilizzare i cavolicelli

in funzione aromatica aggiungendoli nelle salsicce,ma a parer mio essi non reggono minimamente ilconfronto con l’aroma dato dai semi di finocchio.

Alle frittate sono destinate quasi esclusivamenteerba du priricaturi (Silene vulgaris) e asparagiselvatici, spanaci (Asparagus sp. pl. e Ruscus sp.pl.),oltre ai più tipici cessabua o cessavuoi (Lathyrussylvestris), i teneri getti di una cicerchia selvaticautilizzati in questa vallata, di cui sono ancora moltigli estimatori, tanto che alcuni ristoratori licongelano per servirli agli intenditori nei mesi in cuinon se ne trovano.

Fra le altre erbe selvatiche un posto particolaremeritano ancora i gira, (Beta vulgaris), progenitoridelle bietole del supermercato, versatili in cucina eutilizzate da queste parti in tanti modi. Fra le erbespontanee più usate va aggiunta la porcellana(Portulaca oleracea), cui ho accennato sopra,infestante degli orti ma immancabile aggiunta dellapiù tradizionale insalata di pomodori, cetrioli ecipolle. Non manca infine chi consuma ancora,specialmente se ha facilità di accesso ai luoghi umididel fiume e dei ruscelli, in modo tradizionale ossia ininsalata, le coste tenere e carnose del crisciuni(Apium nodiflorum).

FunghiBisogna accennare ai funghi. Anche se oramai

stanno “ufficialmente” fuori dal regno vegetale eanche sul mio sitowww.piantespontaneeincucina.info non li prendo inconsiderazione, pure per secolare tradizione, per laloro appartenenza alla “natura” e per il loro ottimoimpiego gastronomico non è il caso di trascurarli.

Sembrerebbe ovvio che gli abitanti delle zonecollinari e montane di questa vallata, disponendo diboschi e ancor più di boscaglie in rapida espansioneper via dell’abbandono delle tradizionale coltura delnocciolo, abbiano l’abitudine di raccogliere econsumare i funghi, e in effetti il loro utilizzo eraantico già quando ero un ragazzo, ma era sporadico

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e il loro impiego che vale la citazione in questolavoro è relativamente recente. Sui Nebrodi infatti,fino a qualche decennio fa, il loro consumo diffusoera caratteristico solo di alcune zone di elezionenella parte centrale della catena montuosa, come adesempio l’area di Longi, tradizionalmente indicatodalle mie parti proprio come il paese dei funghi(loncë, u paisi ři funci).

Un tempo il consumo dei funghi da queste partiera limitato a pochi temerari conoscitori, ritenuti daipiù pressoché incoscienti o quanto meno originali, eguardato in genere con grande diffidenza dalla quasitotalità della popolazione, complici anche episodi diavvelenamento plurimo rimasti nella memoriacollettiva dei più anziani. Negli ultimi decenniquesta condizione è mutata, un po’ per via dellecontaminazioni culturali, un po’ per la progressivacrescita del numero dei riconoscitori, e la percezionedei funghi come cibo e come ricercatezzagastronomica ha preso piede in tutta la vallata. Ilsegno più tangibile di questa trasformazione è datodal fatto che anche la ristorazione si è aperta alleinfinite possibilità offerte da questo gustosoalimento e dalla collina alla montagna non c’è piùristorante o trattoria che non proponga ormai piatti abase di funghi insieme a quelli più tradizionali.

Prataioli e altre specie, ma soprattutto porciniestivi e funghi di ferla – una fortuna gastronomicapoter disporre di queste due specie eccezionali incucina con relativa abbondanza - hanno oramai unruolo da protagonista nella gastronomia locale,anche se non sempre i locali ne colgono appienol’importanza. Il porcino estivo (Boletus aestivalis) èdestinato soprattutto agli appassionati e gastrofili eprevale nella ristorazione. Disponibile dallaprimavera all’estate nei boschi di latifoglie, si trovacon assai maggiore facilità di un tempo – salvoraccolta selvaggia - per via dei molti ettari dinoccioleti lasciati oramai a macchia – e viene ancheconservato per essere utilizzato tutto l’anno.Considerato da molti il migliore tra i porcini, “digran pregio culinario”26, affronta da queste parti solola concorrenza, per lo più casalinga, di veri e propriappassionati dei funghi di ferla, i funci i filiera(Pleurotus eryngium var. ferulae), che cresconoappunto intorno alle piante secche di Ferulacommunis, che certamente qui non mancano e sonoconosciuti e apprezzati in tutta la Sicilia interna dellecolline e delle montagne.

Aromi in cucinaUn ruolo decisivo nella cucina della vallata, sia

quella quotidiana casalinga che quella della26 Vedi http://www.funghiitaliani.it/index.php?showtopic=15210.

ristorazione, lo svolgono gli aromi che vengonoaggiunti agli ingredienti principali. Senza di loroquesta cucina e la connessa gastronomia perderebbegran parte dei suoi sapori. Si tratta di aromi inapparenza comuni ad altre aree ma che sono inalcuni casi peculiari nelle forme dell’abbinamentocon gli altri alimenti. Ognuno di quelli che come me“sono andati via” li riconosce ancora, da lontano edopo tanto tempo, come gli odori di casa sua.

Nella cucina di ogni giorno è assai ampio l’uso diaglio e cipolla, soprattutto della seconda, usataancora nella stagione primaverile ed estiva anche dasola, come vero e proprio ortaggio, retaggio diquando entrava come alimento essenziale nellepovere colazioni di campagna. Non va dimenticatoche purtroppo il detto “pane e cipolla” – che sta alromanesco “pane e cicoria” - anche se si trattava ditenere e gustose cipolle primaverili, per molticontadini e braccianti alle prese con lunghe giornatedi lavoro non era solamente un modo di dire.

Si tratta di due ingredienti essenziali che nonmancano mai nella dispensa di casa. Entrambivenivano peraltro utilizzati un tempo anche confunzioni terapeutiche, una specie di pronto soccorsosempre disponibile per patologie modeste, ma diquesto ho detto in altra parte27, e qui mi interessaevidenziare il fatto che entrambi sono ingredientitalmente usati in preparazioni di ogni tipo da farquasi dimenticare che esistano e che si tratta invecedi ingredienti essenziali.

Parlando di aglio e cipolle si può fare soloqualche esempio di uso tradizionale, con la certezzache ci si dimentica sicuramente di altri importanti.L’aglio entra a pieno titolo nelle salse a base di27 Vedi sui siti citati il lavoro sugli usi domestici, nella parte cheriguarda quelli fitoterapici.

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pomodoro, abbinato spesso al peperoncino nelleverdure selvatiche ripassate in padella, in aggiunta alpiù classico degli intingoli aromatici, il“salmoriglio”, nei ripieni a base di pangrattato, uovae altri ingredienti, nelle conserve casalinghe, nellepolpette, ecc.

La cipolla è usata talora per sostituire l’aglio,soprattutto nelle salse a base di pomodoro e talvoltaanche nelle erbe selvatiche stufate, ma diventa anchel’ingrediente principale di diverse preparazioni. Acominciare dalle saporite frittate, dette appunto allao di “cipolla”, ed è veramente essenziale da questeparti nella più tradizionale delle insalate, quella dipomodori. È presente come ingrediente importantein certi stufati vegetali (es: con le patate o nellepeperonate), in molti contorni umidi di legumiprimaverili e accompagna anche patate lessate edaltri contorni. Con funzione aromatica entracomunque in molte altre preparazioni ed è invalsaoramai l’usanza di utilizzare le cipolle secondo lemolte proposte fatte da televisione e manuali dicucina, a cominciare da quelle al forno.

Naturale e spesso essenziale complemento dimolte pietanze sono le erbe aromatiche, che qui siutilizzano in abbondanza. Fra esse eccellono peraroma e utilizzi anche alcune selvatiche. L'utilizzo dimolte erbe aromatiche e di queste selvatiche inparticolare – parlo di origano e finocchio - ècaratteristico dell’intero territorio dei Nebrodi enonostante il consumo di queste ultime subisca lanotevole concorrenza di un maggior numero diaromi di un tempo, la tradizione resiste alla grande.Un posto particolare in cucina da queste parti ce l'haovviamente anche il basilico, com’è ovvio che sia,ma è soprattutto l'origano che domina lagastronomia, cui seguono, a grande distanza, altriaromi comuni dell’italica gastronomia.

L’origano è spontaneamente diffuso nelle zonecollinari nella specie Origanum heracleoticum,comunemente detto origano meridionale e di minoridimensioni rispetto all’O. vulgare, ma dai fioribianchi profumatissimi. Viene raccolto dallapopolazione locale solitamente dopo il solstiziod’estate, al tempo della fioritura e quando il profumoinebria l’aria della sua presenza, ma nelle zone menoassolate la raccolta si prolunga talvolta fino ai primidi agosto. Il significato stesso del termine origanum– dal greco, insieme di ganos, splendore, e oros,montagna – la dice lunga sulla bontà del suo aroma,ed è certo per questa sua caratteristica oltre che pervia della veicolazione che ne ha fatto la pizza chenegli ultimi decenni il nostro origano è diventatoaroma davvero universale.

Come un tempo, l’origano è sempre presente inogni casa, conservato in forma di mazzolini secchi ogià sbriciolato, per un consumo pressoché

quotidiano che dura tutto l’anno. In effetti, l’origanoè una delle poche aromatiche che da secco èapprezzato più che fresco, dato che l’aroma permaneintenso a lungo, senza scemare velocemente fino aquel livello, spesso infimo, degli aromi delle bustinee dei vasetti commercializzati.

L'origano profuma in maniera inconfondibilepietanze semplici ed elaborate, piatti freddi e diversicondimenti, come il tipico “salmoriglio”, che qui siprepara come in gran parte dell’Isola (olio, limone,origano e aglio se piace, bene amalgamati tuttiinsieme) ed è ritenuto indispensabile per le carnigrigliate. In molti casi l’origano si usa comeaggiunta in preparazioni che altrove ne prescindonototalmente: insalate di pomodori, cipolla e cetrioli, opatate lesse per contorni, olive al forno o addolcite,focacce e schiacciate, ecc.

Il gran consumo che se ne fa e la recentediffusione della vendita anche nel resto d’Italia –mazzetti di origano si acquistano ormai ovunque - haportato a sperimentarne la coltivazione in alcunezone della Sicilia ma non mancano i raccoglitori diprofessione, anzi a dire di qualche mio compaesano,i “catanesi” in missione sono sempre di più equalcuno sostiene che con le loro raccolte, o razzie,l’origano “comincia a mancare”. Non so se è veroche questa pianta corra qualche rischio di estinzione,impensabile solo fino a qualche anno fa, macertamente l’origano non ha smesso di svolgere lefunzioni di principale aromatica in tutte le case diquesta vallata.

È notevole anche l'utilizzo in funzione diaromatica dell’altra principale erba selvatica, ilfinocchio (qui non si usa il termine finocchietto),indispensabile non solo in un piatto tipico come lapasta con le sarde ma molto apprezzato anche inpastella, per non dire dei semi. Questa tipica piantamediterranea, dalla lunga storia e dai moltisignificati simbolici, si offre da queste parti in tuttala sua versatilità ed è per questo che le ho volutodedicare delle pagine a parte28. Utilizzataabbondantemente da giovane come verdura, comeaccennato sopra - sia da sola che in misticanza oanche asciutta ripassata in padella, o in pastella perdeliziose frittelle – trova da queste parti la suaprincipale utilizzazione come aromatica nel piùtipico salume delle zona, le salsicce dei Nebrodi, chein questa parte orientale della catena montuosahanno a mio parere la loro area di elezione. Il lorosapore da tutti apprezzato - al mio palato sonoineguagliabili, e non è solo questione di purocampanilismo - è determinato in buona parte propriodai semi (botanicamente frutti) del finocchioselvatico.

28 Vedi sui siti citati Finocchi per la gola.

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L’intera pianta del finocchio selvatico comunque,stelo compreso, viene usata nella vallata in funzionearomatica. I semi non si limitano ad insaporire lesalsicce locali, dato che accompagnano sughi rossi,soprattutto se a base di maiale, pani aromatici, dolcicasalinghi e altro ancora. Le fronde profumatecaratterizzano la pasta con le sarde – da queste partirigorosamente messinese, rossa di pomodoro – equalcuno usa anche i fiori secchi polverizzati, anchese quest’ultima abitudine appartiene ad altre areeitaliche. Tutte le parti della pianta matura vengonoutilizzate per le conserve, a cominciare dalle olive insalamoia nelle giare, che come vuole la tradizionesono pressate nell’acqua al loro collo da una coronaintrecciata di piante di finocchio, che oltre che agarantire la permanenza in ammollo trasmette alleolive un aroma particolare29.

Difficile esemplificare i molti usi di basilico eprezzemolo. Il primo è onnipresente dalla primaveraall’estate inoltrata mentre del prezzemolo si fa inverità un uso assai più modesto rispetto ad altre zonedel Paese, ma è aromatica che non manca mai incasa come in ogni orto e in ogni banco del mercato.

Essendo la nostra una cucina soprattutto asciutta,in cui brodi, zuppe e minestre di riso sono relegate a

un ruolo secondario, buoni si e no se svolgono unaqualche funzione terapeutica, di alleggerimentodello stomaco, del prezzemolo si fa un uso discretoanche nel caso di un suo utilizzo.

29 Si usa l'intero stelo della pianta matura.

Come aromatica, sempre da solo, il prezzemoloentra comunque qui e là in certe preparazionifrequenti e in talune conserve: tipicamente, ma ècosì nell’intera italica cucina, nella locale frittatapreparata con uova e, appunto, prezzemolo, upisciulova, e in ogni genere di polpette, non solo dicarne ma anche quelle di patate. Se davvero si vuolepensare a una preparazione tipica locale si può citaresolo la ”pasta chi ballottuli”, una minestrainsaporita da numerose e minuscole polpettine dicarne trita di manzo insaporite da molto prezzemolo,cotte nel brodo insieme a una pastina. Un tempo erauna minestra invernale frequente e ricercata, buonala domenica o per preparare lo stomaco ai grassidelle feste, ma oggi è relegata sulla tavola nostalgicadi qualcuno.

Nella tradizione alimentare della vallata non ètrascurabile l’utilizzo di mente - in particolare i piùdelicati ibridi di Mentha spicata - tenute spesso dallefamiglie in balcone o negli orti dopo averlefacilmente recuperate allo stato spontaneo, datal’abbondanza di luoghi umidi dati dal Timeto e daisuoi piccoli affluenti. L'utilizzo di questa aromaticaè lasciato quasi sempre alle abitudini familiari, macon la menta si profuma tradizionalmente il pesceazzurro – il fondo della frittura si fa insaporirevelocemente con aceto e menta abbondante,aggiungendo a volte un trito di cipolla, e si versacaldo sul pesce appena fritto – e inoltre la menta siaggiunge anche alle patate lessate di contorno o allemelanzane o ad altri ortaggi, nelle preparazioni chevengono proposte soprattutto come antipasto.Talvolta entra anche nelle conserve invernali.

In una cucina ricca di aromi e profumi comequella della vallata del Timeto, vengono ovviamenteutilizzati nella cucina di ogni giorno anche altriaromi comuni che si ricavano da piante tenute ingiardino o sul balcone di casa. A cominciare dalrosmarino, che viene utilizzato nei modi che sonotipici oramai dell’intera Penisola, ossia negli arrosti,preparazione da queste parti un tempo assentedall’orizzonte culinario, o se si vuole limitata aqualche pollo o gallina30. La pianta è tenuta vicinoalle case per questi usi, ma i più teneri ramettivengono colti anche per le marinate o peraccompagnare classiche preparazioni alla griglia,come le più tipiche stigghiole31.

Ciò che vale per il rosmarino si può dire ancheper la salvia, anch'essa tenuta nei paraggi di casa edestinata a impieghi simili. Nell’orto si tiene invece30 Neanche quando ero piccolo il pollame arrivava sulla tavolacon frequenza, anzi. Faceva eccezione qualche piccolo sacrificiodel pollaio di campagna, e allora in quei pochi casi si spennavaun poco anche la pianta di rosmarino davanti alla porta. Ilcambiamento giunse sul finire degli anni Sessanta, con i primipolli già pronti per l’uso.31 Involtini di budelline di agnello, cotte alla brace.

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sempre qualche pianta di sedano, o lo si acquista. Sene fa un uso saltuario, in aggiunta a qualcheminestrone o quando capita come ingredienteimportante delle caponate e per i rari brodiaromatizzati con le verdure dalla cucina globale.

Il sedano si utilizza anche talvolta peraromatizzare le olive in salamoia o schiacciate e inqualche conserva casalinga, ma non è certo fra gliaromi più usati. Tuttavia esso si prendeva un tempola sua rivincita all’inizio dell’inverno, quando venivausato come verdura dal sapore inusuale in occasioniparticolari. La vigilia di Natale, o nei giorni cheimmediatamente la precedevano, era d’obbligoinfatti, almeno per chi volesse rispettare ancora letradizioni culinarie di quella vigilia di festa,consumare baccalà lessato e condito, o anche fritto,accompagnandolo con un contorno di sedano,lessato e condito solo con un filo d’olio e limone.Questa tradizione meriterebbe indagini piùapprofondite e potrebbe essere collegata a unaqualche credenza o avere un valore simbolico pervia di quel mangiare di magro, anche se in Avvento.Ma già quand’ero piccolo era più probabilmente unmodo per tenersi leggeri in vista dell’abbuffatanatalizia, carica di grassi di maiale e di sughi pesantidalla lunga cottura.

Nelle case di un tempo non mancava mai l’alloro,perché più che in cucina giovava come prontorimedio per i più lievi, ma assai comuni, “disturbi”di stomaco. Tale uso terapeutico era ed è ancoracomune al resto d’Italia, e comunque rimane uno deipiù tipici esempi di medicina pronta all’uso ricavatadalla farmacia della natura. L’alloro è però utilizzatosempre di più, unitamente, come altrove, a salvia erosmarino, anche per marinare grigliate, soprattuttose si tratta di carni dal profumo deciso come quelledi castrato, il cui consumo è tradizionale nellavallata e tanto più intenso quanto più si sale verso lamontagna. Con l'alloro oggi si aromatizzano, nellacucina quotidiana delle mescolanze culturali, anchecarni al forno o in tegame, avicole o cunicole, esoprattutto spiedini di carne mista. Oggi più di untempo le foglie profumate si utilizzano nelleconserve casalinghe.

Scarsamente considerati nella cucina di un tempoerano invece i capperi, nonostante la vicinanza dellaproduzione e l’abbondante presenza spontanea dellapianta lungo la costa, ma l’utilizzo è cresciuto manmano che essi sono diventati aroma quasi universale,veicolati da una gastronomia comunicata a tutti tuttii giorni in tutti i modi. Il loro uso non è quindi legatotanto alla tradizione, così come in altre aree dellaSicilia, ma è sempre più diffuso anche da questeparti.

Frutti per tutte le stagioniSecondi per una incollatura solamente ai pugliesi

per il consumo quotidiano, almeno secondo alcuneindagini recenti, i siciliani hanno una particolarepredilezione per la frutta in genere ma soprattuttohanno avuto la fortuna di essere stati privilegiati daun clima che favorisce la maturazione sugli alberi diogni tipo di frutto e in ogni stagione dell'anno. Aparte quindi l'abbondante consumo di frutta fresca,la grande disponibilità ne ha favorito col tempoanche l'impiego in cucina, sia in quella quotidianache, nelle forme più diverse, in quella pasticciera.

Anche in questo ambito la vallata non si discostasostanzialmente negli usi e nelle abitudini dal restodei Nebrodi e per molti versi dal resto dell’Isola. Sela Sicilia vuole dire soprattutto agrumi anche quitrova conferma il fatto che essi sono protagonistianche per la loro funzione gastronomica: arance,limoni e mandarini guarniscono dolci, torte ecrostate, servono alla produzione di ottimi gelati e aprofumare liquori, mentre le scorze candite decoranole tipiche cassate e la granita siciliana è un unicumda esportazione.

Oltre che in pasticceria gli agrumi sono utilizzatida queste parti anche per preparazioni che non tiaspetti: l'insalata di arance ad esempio, con più diuna variante. Si tratta di una tipica preparazione cheun tempo veniva usata in inverno, da sola comeprima colazione o come secondo e nella vecchiatradizione contadina addirittura come piatto unico.Tagliati a pezzetti gli spicchi di arance mature, sicondivano con sale e olio di oliva. Non mancavaqualcuno, amante dell'aspro, che vi aggiungevaanche pezzetti di limone o il loro succo o qualchealtro ingrediente.

Al di là dell'importanza degli agrumi, il tempomigliore per godere di questa vallata e dei suoi fruttiè il mese di settembre, quando fichi dolcissimi e uvada tavola, fichidindia e un'infinita varietà di mele,pere, pesche, susine, offrono l'occasione digratificare ogni momento della giornata o di

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concludere ogni pasto nel migliore dei modi. Findalla tarda primavera in ogni caso, la varietà nonmanca e forse non sarebbe neanche il caso di fare unelenco di frutti disponibili nel timore di dimenticarnequalcuno. A parte la grande varietà dei frutti piùcomuni – varietà “antiche” e nuove, “perdute” omeno – che ognuno tiene vicino casa o in campagna,si possono segnalare anche specie meno comuni, chesono retaggio di antiche colture – come i gelsi, neri ebianchi, consumabili freschi e utilizzati anche nellegranite – o presenze che valgono per lo sfizio diavere ancora sottomano sapori di un tempo – adesempio melograni, giuggiole, sorbe e nespoliinvernali – o semplicemente per evitare l’acquistosui banchi del mercato di prodotti che sono altrorispetto a quelli che si è abituati a consumare – comele nespole, infinitamente più dolci sui nostri alberirispetto a quelle importate, o certe varietà dialbicocche dal sapore eccellente.

Nell’uso quotidiano, con qualche puntata incucina e perfino nella gastronomia, permane ancoral’utilizzo di quei frutti che, come appena detto,valgono giusto uno “sfizio”32. Si tratta per lo più difrutti di piante semispontanee, tenute vicino alle casedi campagna o semplicemente tenute d’occhio lungoantiche strade, ma a volte vengono utilizzati anchequelli del tutto spontanei, come le more e icorbezzoli, i mbriachi.

Per uno snack improvvisato anche di questi tempic’è sempre qualche frutto a portata di mano dichiunque e mi sento di aggiungere, pescandoli dairicordi, che un tempo erano anche in voga certipassatempi che passavano per la bocca senza cheavessero alcun riferimento culinario. In inverno efino all’inizio della primavera si potevano succhiarei gambi di agri e duci (Oxalis pes-caprae), piantinagentile che macchia di giallo tutta la campagna

32 Vedi sui siti segnalati il lavoro sui “Piccoli frutti”.

intorno, o succhiare il “nettare” dei fiori dell’erbavajola (Cerinthe major), o decorticare un tenerogambo di sulla (Hedysarum coronarium) emasticarlo anche con un certo gusto.

Accennando a qualche frutto più significativonon posso non cominciare dai fichi, soprattuttoperché al di là della varietà e della loro bontà che ilsole di Sicilia accentua più che altrove, essi fannoancora parte del paesaggio locale anche quandovengono stesi al sole a seccare sulle cannizze. Fannoancora parte anche del misto di frutta secca checaratterizza il tempo di Natale, anche se il significatodel loro consumo è profondamente mutato, e c'èancora chi li conserva per l'inverno, quando vengonoconsumati da soli o farciti con mandorle o nocciole.

Un tempo lontano facevano parte, insieme allefave, del compenso in natura dei braccianti piùpoveri, e quando si vuole ricordare quei tempilontani si torna ancora nel parlare comune dellagente del mio paese ai figa mařellë, quelli piccoli eneri cui si riservava un qualche spazio minore sullecannizze, i più poveri, ma al mio palato buonissimi,che dalla tarda estate si possono trovare facilmenteanche ai bordi delle strade provinciali. Consiglio dipreferire quelli un po' appassiti, da mangiare contutta la buccia, tanto non si riuscirebbe più astaccarla.

Natale ha ovunque i suoi riti e le sue tradizioniculinarie e quelli della vallata assomigliano in granparte a quelli delle vallate vicine, così a Natale siconsuma ancora una grande quantità frutta secca,mandorle, noci e nocciole. Queste ultime - quandotutta l’economia e l’esistenza quotidiana era legatain mezza valle al noccioleto - venivano un tempoconservate per il Natale nelle loro forme più strane33

destinate a guarnire insieme a quelle “normali” u

33 Vedi Nocciole e noccioli sui siti citati.

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panuzzu oppure le tipiche cuddure natalizie. Ilconsumo di nocciole era comunque abituale tuttol’anno, anche se prendeva strade diverse che sonooggi del tutto residuali. Costituivano ad esempioanche un tipico companatico: panë e nuccillë venivausato anche a merenda da una parte consistente dellapopolazione (vale anche per mandorle e noci).

Mandorle e nocciole, intere o tritategrossolanamente, costituivano la base dei croccanticasalinghi, confezionati con facilità e una certafrequenza in ogni casa, ma non erano poche lemassaie che si avventuravano con successo apreparare con macine più fini, l’aggiunta di spezie earomi e glassatura finale torroni che oggi si possonotrovare solamente nelle migliori pasticcerie.

Mandorle, nocciole e noci erano quasi sempre diproduzione casalinga. Chiunque avesse un fazzolettodi terra adatto non mancava di crescersi un noce e dipiantarvi dei mandorli. Di noccioli era poi copertatutta la vallata dalla bassa collina in su e quindianche verso il mare non c’era alcuna difficoltà diapprovvigionamento quotidiano e a buon prezzo.L’abbondanza di nocciole faceva sì che a fianco aitradizionali dolciumi a base di pasta di mandorlavenisse spesso usata dai pasticcieri – ma è ancoraoggi utilizzata anche in casa – la pasta di nocciola.Mescolata per lo più con la farina34 dava vita adolcetti vari da forno e soprattutto ai c. d. nzuddi,biscotti di foggia diversa ma per lo più a losanga,spesso profumati con l’inserimento di un chiodo digarofano per guarnire, buoni per essere serviti subitomorbidi agli ospiti o per essere conservati, data laloro caratteristica di indurirsi rapidamente e didurare a lungo.

Con le mandorle si preparavano e si preparanodolci non dissimili da quelli del resto della Sicilia,chiamati spesso con riferimento a qualche luogo chesi voleva intendere come d’origine (i durci iRipostu), ma soprattutto le paste di mandorla,preparate in questa zona con vera maestria.

Con le mandorle si prepara ancora la piùdissetante delle bibite siciliane, il latte di mandorle.Ormai si prepara solamente sciogliendo in acqua lagiusta dose, secondo il gusto personale per il saporedolce, di pasta di mandorle, che si trova facilmentein vendita in panetti in tutta Italia. Un tempo però illatte di mandorla veniva prodotto in casa almomento da ciascuno che ne avesse bisogno, conuna tecnica che prevedeva la pestatura dellemandorle in un piccolo telo o in un fazzoletto e poila loro immersione in acqua e successiva spremitura,quasi sempre senza aggiunta di zucchero perchédoveva fare bene.

34 La consistenza della pasta di nocciole è assai diversa da quellautilizzata a Tortorici, altra area legata tradizionalmente alnocciolo, dove prende il nome di pasta reale.

Al novero della frutta secca occorre aggiungereanche le castagne, nonostante in veste secca l’usoera ed è ancora oggi limitato agli appassionati delgenere. La raccolta di castagne fa parte come untempo del vissuto di gran parte della popolazione,ma nonostante non manchino castagni e castagneti –che danno luogo anche a toponimi - e da qualcheanno una Festa della castagna si svolga aMontagnareale, pure non si va oltre il consumo,quand’è stagione, e per molti davvero saltuario odoccasionale, di castagne appena raccolte, consumatelesse e caldarroste.

Marca la differenza con altre zone d’Italiaprobabilmente il fatto che da queste parti,diversamente che in ampie aree appenniniche eprealpine, esse non hanno mai svolto davvero lafunzione di ”pane” dell’inverno.

Si tratta quindi di un frutto sicuramenteapprezzato – sulla tavola di casa mia, a ottobreinoltrato, erano una presenza abituale e io stesso midavo un gran da fare con i ricci non appenacominciavano a colorare – ma legato alle abitudinifamigliari.

Altro vero e proprio simbolo della Sicilia,insieme agli agrumi, sono ovviamente i fichidindia,e non solo per la loro presenza obbligata in ognisfondo di cartolina dell’Isola. Sono parte essenzialedella tradizione alimentare e hanno contribuito inmisura significativa, certo assai più delle castagne,alla sopravvivenza delle popolazioni più povere diquesta vallata. Dato il loro ottimo sapore venivanomangiati un tempo per lo più col pane e da un grannumero di persone, sostituendo dal finire di ogniestate non solo altre povere colazioni, ma talvoltaanche altri pasti della giornata.

Ancora oggi non è infrequente che venganoconsumati col pane, anche se insiemeall’abbondanza ha preso a poco a poco piedel’abitudine a consumarli e servirli, freschi difrigorifero, come frutta a fine pasto. Si tratta davverodi un frutto “tradizionale”, che se è da consumarecon attenzione e senza eccedere nella quantità perevitare le penose conseguenze della stipsi (i semisono un tappo eccezionale), deliziano il palato dellagente dei Nebrodi non meno di quello dei turisti chemagari non li hanno mai assaggiati.

Oltre alla primaria funzione di frutta fresca ifichidindia sono buoni per preparare liquori - un usocomunque raro, almeno rispetto ad altre zone dellaSicilia - e le più tipiche “mostarde”, ancora presentinelle abitudini casalinghe (seppure in calo cometutte le preparazioni più tradizionali). Per questeultime si utilizza il succo setacciato che si ricava dauna rapida cottura dei fichidindia.

Le mostarde, in forma di densa composta, sonobuone per essere consumate subito a cucchiaio,

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guarnite di un trito di mandorle o nocciole tostate od’altro, ma vengono fatte anche indurire, ritagliate econservate per uso differito. In questo caso siconsuma un prodotto dal sapore particolare, che sadi gommoso e d’antico, comunque buono.

Uva e vinoInfine della vite e dell’uva, e del vino. Ci sarebbe

molto da dire ma dirò pochissimo, solo inconsiderazione della sua essenzialità nella vitaquotidiana di molti popoli mediterranei, la suaplurimillenaria veneranda età e il suo essere ormaibevanda universale. Ciò che del resto giustifica inparte il diluvio di parole e immagini che ogni giornosi versano su questa bevanda (e che ci travolge daogni parte). Sull’uva basta dire che quella da tavolasi consuma oggi più di un tempo, disponendo dinegozi e mercati che offrono le stesse varietà che sipossono trovare ovunque in Italia, Non c'è piùbisogno di destinare qualche pergolato – chi ancorapuò, però se lo tiene – a questo uso. Un tempochiunque potesse si teneva davvero stretto unpergolato a zibibbo o di qualche altra varietà d’uvada tavola, davanti o nelle immediate prossimità dellacasa. Per sfizio magari anche qualche pianta di uva“fragola” (o “americana” che dir si voglia).

Scarsa, relativamente alla tradizione enologica dialtre aree, è invece ancora la produzione vitivinicola,legata in passato per lo più a coltivazioni destinateall'autoconsumo. La coltivazione della vite ha unastoria antica sui Nebrodi e solo negli ultimi decennisi è prestata attenzione a una crescita qualitativa nelsolco del generale miglioramento dell'offertasiciliana. In controtendenza con l’abbandono dellecampagne iniziato nel dopoguerra, si è tornati ancheda queste parti, nella media e bassa valle, acoltivazioni specializzate e intensive e in particolaresono state piantate lungo il Timeto nuove vigne.

Le nuove coltivazioni sono destinate allavinificazione secondo le tecniche più avanzate. La

destinazione finale è quella di un sapore che untempo non c’era, assai diverso da quello del buonvino “di casa” di una volta, che peraltro non eraovviamente mai lo stesso. Un tempo, e in formaresiduale ancora adesso, ognuno produceva del suo:qualche decina di litri o di ettolitri a seconda delleproprietà e della scala sociale. Solo coloro che sonotenacemente legati a quel sapore “antico”, variabilerisultato di una vinificazione tradizionale ormaiobsoleta, apprezzano ancora quel “vino di casa” eanzi lo cercano. Per tutti gli altri valgono ledifferenze, quando valgono, che si possono coglierefra una denominazione e un'altra. Anche la distanzafra “vino di casa” e “vino della casa” che ti servonoristoranti e trattorie da queste parti, quando non sivuole accedere a cantine sempre più fornite, è ormaisiderale.

Al vino e alla coltivazione della vite sonocomunque legati un'infinità di tradizioni e ricordi diun tempo, che richiederebbero più di qualcheapprofondimento e che diversi autori hanno in partegià esplorato. Mi limito ad aggiungere che è ancorain uso in qualche casa preparare col mosto dellavendemmia una sorta di mostarda che fa il pari conquella di fichidindia - diversa ovviamente nel coloree nel sapore - e non solo perché si è soliti prepararlanello stesso periodo dell’anno e si può consumaresubito a cucchiaio dal piatto, ma anche perché puòessere destinata a un consumo rimandato nel tempo,diventando anch'essa dura e gommosa. Si guarniscee si consuma anch'essa in un piatto con unaspolverata di mandorle o nocciole tostate sbriciolate.Se si vuole si dà il tocco dei più tradizionalisti, checonsiste nell'utilizzo fra gli ingredienti, comeaddensante, di cenere finemente setacciata.

Olio e olive Ho lasciato per ultimo l'ingrediente che tutti

possono riconoscere come indispensabile nellacucina di questa vallata e anche dei Nebrodi, l'oliod'oliva. Coltivato da sempre sulle terrazze e neicampi che degradano dolcemente dalle colline almare, l'ulivo regala alla gastronomia locale non soloun olio dal gusto forte ma anche le olive, preparate econsumate in molti modi - in salamoia, al forno,schiacciate, ecc. – e presenze immancabili negliantipasti nostrani serviti nella ristorazione o agliospiti nelle case.

Pressoché l'intero territorio, con esclusioneovviamente delle zone montane, rientra nell'area diproduzione dell'olio che porta la denominazioneValdemone, con prevalenza, a differenza di altrezone dei Nebrodi, della sottodenominazioneTyndaris, che vede per lo più la presenza dellavarietà “ogliarola messinese”. Al di là delle attuali

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classificazioni, si tratta in realtà di diverse varietà diulivo, dato che la pianta viene coltivata dal marefino a una quota di circa 600 - 700 metri di altitudineda molti secoli. Anche se per certi aspetti neconsegue un ritardo nella valorizzazione ecommercializzazione del prodotto, prevalgonoancora per lo più, seppure in rapida trasformazione,forme di coltivazione tradizionali e di spremiturameccanica, che si traducono nella possibilità diassaporare ancora il gusto "antico" dell'olio,.

Pressoché ancora assente dalla cucina quotidianail burro, l'olio d'oliva viene utilizzato in via esclusivaper le fritture – salvo sporadici approcci di qualcunoad oli di semi, additati però immediatamente alpubblico ludibrio - ed è la base di ogni condimentonella cucina tradizionale. Viene adoperato percondire minestre, per la preparazione di sughi, salsee intingoli come il "salmoriglio" o anchesemplicemente per condire il pane caldo.

Il “salmoriglio” (u sammurigghiu) è tanto usatoda queste parti per insaporire carni (e pesce) allagriglia da mettere in ombra per queste preparazionitutti gli altri possibili condimenti. Va osservato davicino nella sua semplicità e facilità di preparazione,risultato dell'amalgama di ottimo olio d'oliva consucco di limone, aggiustato di sale eabbondantemente profumato con origano, comedetto sopra, nelle proporzioni che ognuno preferisce.L’aggiunta di un trito d’aglio, in quantità comunquelimitate, è facoltativa e le note caratteristiche sonodate soprattutto dal sapore dell’olio e dal profumodell’origano. L’intingolo deve risultare beneamalgamato e fluido, così da essere utilizzato sia perspennellare la grigliata, anche in corso di cottura -utilizzando magari come pennello gli stessi ramettifioriti dell’erba – che come fondo su cui appoggiaree servire le carni appena tolte dalla griglia.

La gastronomia della vallata deve rendere grazieall’olivo perché l’ha arricchita anche di molti modidi conservare e consumare le olive. Alimento untempo essenziale della dieta da lavoro dei contadinie dei braccianti, le tradizionali olive in salamoiaconvivono con antichi e nuovi modi di acconciarequesti frutti per il consumo, altrimenti immangiabili.Le olive possono essere apprezzate fin da quando - aseconda delle varietà anche alla fine di settembre o

ai primi di ottobre - ancora verdi, vengono"schiacciate" e ingentilite nel sapore nel giro diqualche giorno da frequenti cambi dell'acqua in cuivengono immerse per l’addolcimento. Scolate estrizzate, vengono poi insaporite, sia in casa che neinegozi per la vendita, con aglio, sale e origano, etalvolta, a piacere perché da queste parti l’uso non èfrequente, anche con peperoncino fresco o inpolvere. Si usano acconciate in questo modo perantipasti e contorni, in luogo di un tempo, quandocostituivano anche un piatto unico, da usare anche acolazione o a cena.

Piccole o grandi, ancora verdi o più mature chesiano, le olive da queste parti finiscono assai spessoin una salamoia preparata soprattutto, oltre che conacqua e sale, con finocchio selvatico, aglio epeperoncini verdi. Quando è il momentoaccompagnano piacevolmente antipasti di provola eformaggi e salumi locali, ma sono anche destinate ainsaporire secondi particolari, come il locale pescestocco "a ghiotta", che anche in questa vallata ècucinato nella tradizionale versione messinese.

Le olive mature si passano spesso in forno, anchepiù volte, e si insaporiscono poi con sale e origanoprima di servirle come accompagnamento al pane.Per ottenere risultati simili, meglio del forno puòl’aria e il sole e non manca chi ancora si affatica afare asciugare così prima dell'inverno le miglioriolive nere, fino a farle diventare "passuluni", dalsapore particolare e inimitabile. Questi hannoperaltro un sapore ancora più intenso se sonoraccolti da terra quando cominciano a raggrinzire,ma la cosa davvero importante è la lorodestinazione: un companatico autenticamente tipico,o aggiunti nei broccoli nturrati e altre pietanze perstomaci forti.

Le olive sono davvero onnipresenti, nella cucinacasalinga di ogni giorno, forse ancora più di untempo, perché oltre a continuare a essere ingredienteessenziale di preparazioni tradizionali risultanoormai indispensabili alla preparazione di piattifrequenti della cucina senza frontiere, a cominciareda certe pastasciutte. In ogni caso hanno tutti i titoliper rappresentare ancora la ricca gastronomia diquesta valle.

© Pietro Ficarra, agosto 20103 – Tutti i diritti riservati all'autore

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