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UNIVERSITA‟ DEGLI STUDI DI TORINO FACOLTA‟ DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE NATURALI TESI DI LAUREA MAGISTRALE IN Biologia dell’Ambiente Classe di Laurea LM-6 Il call center: fattori di rischio in un ambiente di lavoro della società post-industriale. Esperienza di monitoraggio di agenti biologici aerodispersi in un caso studio piemontese Candidata : Moretti Laura Relatore: Prof. Giorgio Gilli coRelatore: Dott.ssa Maura Fenoglietto Anno Accademico 2011 2012

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UNIVERSITA‟ DEGLI STUDI DI TORINO

FACOLTA‟ DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE NATURALI

TESI DI LAUREA MAGISTRALE IN

Biologia dell’Ambiente

Classe di Laurea LM-6

Il call center: fattori di rischio in un ambiente di lavoro della società

post-industriale. Esperienza di monitoraggio di agenti biologici

aerodispersi in un caso studio piemontese

Candidata : Moretti Laura Relatore: Prof. Giorgio Gilli

coRelatore: Dott.ssa Maura Fenoglietto

Anno Accademico 2011 – 2012

I

Ringraziamenti

Il primo pensiero va, ovviamente, ai miei genitori, senza i quali non sarei

mai potuta giungere a questo punto, non solo per il sostegno economico, che

sicuramente è stato fondamentale, ma per quell’aiuto, a volte tacito a volte

esplicito, indispensabile per superare i numerosi ostacoli incontrati nel

cammino della vita e in tutti quei momenti di stress, ansia e nervosismo che

ne fanno parte.

Ringrazio il Prof. Giorgio Gilli per il tempo concesso, il dott. Marco

Fontana per aver accolto la mia richiesta di stage e per la grande

disponibilità e cortesia dimostratemi e la dott.sa Maura Fenoglietto per il

supporto tecnico e morale offertomi in questi mesi e per avermi trasmesso la

passione per la materia della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Grazie a tutti i miei amici per essermi stati vicini in tutti questi anni e per

aver condiviso tanti bei momenti.

Infine voglio ringraziare le mie compagne di studio per aver condiviso

paure, esami e lezioni ma anche tante risate e per l’amicizia dimostratami:

sono state per me più vere amiche che semplici compagne di studio.

II

INDICE

1.INTRODUZIONE 1

1.1 IGIENE E SICUREZZA SUL LUOGO DI LAVORO:

LA NORMATIVA EUROPEA 1

1.1.1 Excursus storico 1 1.1.2 La Direttiva quadro 89/391 3

1.1.3 Le Strategie comunitarie per la salute e le sicurezza sul lavoro del 2002 e 2007 5

1.2 IGIENE E SICUREZZA SUL LUOGO DI LAVORO:

LA NORMATIVA ITALIANA 7 1.2.1 Excursus storico 7

1.2.2 Il decreto legislativo 626/94 10

1.2.3 Il decreto legislativo 81/08 12

1.3 AMBIENTI CONFINATI ED INQUINAMENTO INDOOR 25

1.3.1 Sick Building Syndrome 33

1.3.2 Il call center: storia e mercato 36

2. SCOPO DEL LAVORO 40

3. PRINCIPALI FATTORI DI RISCHIO NEI CALL CENTER 42

3.1 RISCHIO BIOLOGICO: APPROFONDIMENTO 50

3.1.1 La normativa italiana: il D. Lgs 81/08 51

3.1.2 Gruppi principali e caratteristiche degli agenti biologici 55 3.1.3 Vie di ingresso degli agenti biologici nell‟organismo 63

3.1.4 Principali effetti da inquinamento indoor 64

3.2 RISCHIO FISICO: APPROFONDIMENTO 67 3.2.1 La normativa italiana: il D. Lgs 81/08 68

3.2.2 Il microclima:le novità introdotte dal D. Lgs 81/08 70

3.2.3 La termoregolazione umana 72 3.2.4 Classificazione degli ambienti termici 78

3.2.5 Pericoli correlati ad un microclima inadeguato 79

3.3 LETTERATURA CORRELATA 81

3.4 VALUTAZIONE DEL RISCHIO IN AMBIENTI INDOOR 86

3.4.1 RISCHIO BIOLOGICO 86

3.4.1.1 Il terreno di coltura 88

3.4.1.2 Il monitoraggio ambientale e le tecniche di campionamento 89 3.4.1.3 Indici di riferimento e parametri ricercati 97

3.4.2 RISCHIO FISICO 102

3.4.2.1 Indici microclimatici 102

3.4.2.2 Parametri fisici e fisiologici: strumenti e metodi di misura 113

4. MATERIALI E METODI 115

4.1 L’OGGETTO DELL’INDAGINE: IL CALL CENTER 115

4.2 CRITERI DI INTERVENTO 117

4.3 AGENTI BIOLOGICI MONITORATI 118

4.4 METODI DI PRELIEVO E ANALISI 119

4.5 INDICI DI VALUTAZIONE DEI RISULTATI 125

5. RISULTATI 127

5.1 POSTAZIONI MONITORATE E RISULTATI OTTENUTI 127

6. DISCUSSIONE 133

7. CONCLUSIONI 138

8. BIBLIOGRAFIA 140

Introduzione

1

1.INTRODUZIONE

1.1 IGIENE E SICUREZZA SUL LUOGO DI LAVORO:

LA NORMATIVA EUROPEA

1.1.1 EXCURSUS STORICO

La tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro ha oggi in tutti gli Stati europei

una centralità che è stata positivamente influenzata, nel corso degli anni, dall'affermarsi di

una legislazione comunitaria specifica, di carattere generale e tecnico, la quale ha avuto

un ruolo di promozione e di impulso nei confronti dei sistemi nazionali.

A ciò va aggiunto un grado di maggiore maturazione in tutti gli Stati grazie al

recepimento delle direttive comunitarie capaci di portare ad un sistema giuridico

sostanzialmente omogeneo.

L‟ Unione Europea è nata, infatti, con l'obiettivo di instaurare un mercato comune e di

superare le differenze giuridiche che potessero contrastarlo. La competenza europea in

merito al tema salute e sicurezza sul lavoro è definita dal trattato che istituisce la

Comunità stessa (Trattati di Roma del 1957); l‟articolo 136 afferma, infatti, che “la

Comunità e gli Stati Membri…hanno come obiettivi la promozione dell’occupazione, il

miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro”e per farlo l‟art. 137 prevede che la

Comunità sostenga e completi l‟azione degli Stati membri per il “miglioramento, in

particolare, dell’ambiente di lavoro, per proteggere la sicurezza e la salute dei

lavoratori”. L'intento finale risulta quindi la promozione di un'azione comune volta ad

''assicurare il progresso economico e sociale e il miglioramento delle condizioni di vita e

di occupazione'' nonché di ''instaurare condizioni di sicurezza che allontanino i pericoli

per la vita e la salute delle popolazioni''.

La politica sociale, in Europa, inizia negli anni '70 dall' idea che la crescita economica,

avviata con il mercato unico, non potesse prescindere dal progresso umano e sociale degli

individui che vivono e che operano all'interno della Comunità stessa.

Tale consapevolezza è oggetto di determinazione dei capi di Stato e di governo al vertice

di Parigi dell'ottobre 1972 e dà luogo all'adozione, nel gennaio 1974, del Primo programma

di azione sociale comprendente iniziative nei settori della legislazione del lavoro, della

parità di condizioni, dell'igiene e sicurezza del lavoro, con il fine di migliorare le

condizioni di vita e di lavoro.

Il programma in oggetto prevede la partecipazione delle parti sociali alle decisioni

economiche e sociali della Comunità nonché quella dei lavoratori alla vita delle imprese.

Inoltre, nel mese di giugno dello stesso anno, si provvede alla creazione di un Comitato

Introduzione

2

consultivo per la sicurezza, l'igiene e la tutela della salute sul luogo di lavoro, che avrà sede

in Lussemburgo e avrà il compito di aiutare la Commissione nella creazione di direttive e

regolamenti in materia di sicurezza.

Arrivati agli anni '80 la ''dimensione sociale'' in ambito europeo acquista maggiore

importanza: le più importanti aree industriali danno per prime il segnale di una

trasformazione che non dipende solo da progressi tecnologico-produttivi, ma da

cambiamenti di tipo organizzativo. Conseguentemente, per garantire in ambito comunitario

condizioni minime di tutela e di diritti tali da evitare che livelli di garanzia più bassi in

singoli Paesi possano costituire un ostacolo, non solo all'integrazione, ma anche alla

corretta competitività delle imprese europee (il cosiddetto fenomeno di ''dumping sociale''),

la Comunità Europea nel 1987 adotta l'Atto unico europeo con cui riforma i Trattati di

Roma del '57 ed inserisce a pieno titolo nella filosofia della Comunità i problemi del lavoro

e della sua tutela.

Le più significative modifiche in tal senso sono state apportate agli articoli 100 e 118 che

dispongono che:

le proposte della Commissione in materia di sanità, sicurezza e protezione

dell'ambiente e dei consumatori si basino su un ''livello di protezione adeguata'' e

siano deliberate dal Consiglio a ''maggioranza qualificata'', superando il

precedente empasse dell'unanimità;

gli Stati membri della Comunità si impegnano a promuovere “il miglioramento

dell'ambiente di lavoro per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori…”,

fissando come obiettivo dei singoli Paesi l'armonizzazione, in una prospettiva di

progresso, delle condizioni esistenti in tale campo;

il Consiglio si impegna ad adottare le prescrizioni minime in materia di salute e

sicurezza sul lavoro attraverso Direttive, applicabili nei vari Paesi membri

progressivamente e tenendo conto delle condizioni e delle normative tecniche

esistenti, rafforzando così la propria capacità di intervento con misure obbligatorie

e non più orientative come con le Raccomandazioni.

Dunque in base a tale principio gli Stati membri devono aumentare il proprio livello di

protezione se esso risulta essere più basso delle prescrizioni minime delineate dalle

direttive e al contempo tale principio non impedisce agli Stati membri di mantenere o

introdurre misure più restrittive per la tutela della sicurezza sul lavoro.

Prima di tale atto, la Comunità aveva emanato la prima Direttiva Quadro in materia di

prevenzione per migliorare la protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti

dall'esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro , cui erano seguite

Introduzione

3

direttive particolari per specifici rischi (piombo, amianto, rumore, ecc.). Ma è solo in virtù

del rafforzamento del proprio impegno attuato con l'Atto Unico europeo che, alla fine degli

anni '80, l'Unione Europea emana un provvedimento generale in cui, per la prima volta,

formula l'unitarietà strategica delle attività di prevenzione, igiene e sicurezza del lavoro

fondata sul principio della massima sicurezza ragionevolmente praticabile: la Direttiva

Quadro 89/391.

1.1.2 LA DIRETTIVA QUADRO 89/391

Le disposizioni contenute nella Direttiva Quadro 89/391 affrontano l'ambito sicurezza

definendo un sistema che permetta la prevenzione e la protezione dai rischi sui luoghi di

lavoro derivanti da condizioni e azioni definite pericolose. Tutti i soggetti operanti

all'interno del mondo del lavoro, sia pubblico che privato, devono quindi impegnarsi per la

creazione di una strategia progettuale di intervento, programmata e pianificata, che

determini una riformulazione ergonomica delle attività e dei processi lavorativi, quindi,

migliori livelli di protezione devono essere forniti attraverso l'informazione e la

formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti circa i rischi per la sicurezza e salute e,

attraverso l'adozione di tutte le misure occorrenti per il graduale abbattimento dei rischi

stessi.

La Direttiva, infatti, oltre ad indicare i principi generali di salute e sicurezza ed individuare

i destinatari degli obblighi, propone una strategia d'azione che consenta a questi ultimi di

mutare i propri atteggiamenti e passare da un ruolo passivo, in cui la prevenzione dei rischi

è vissuta come problema, ad un ruolo in cui essi stessi sono soggetti attivi per la

valutazione dei rischi e per l'individuazione delle misure di sicurezza atte a garantire

l'integrità psico-fisica dei lavoratori. La direttiva abbandona il criterio della “massima

sicurezza ragionevolmente praticabile” per assumere quello della “massima sicurezza

tecnologicamente possibile”. A fondamento del sistema vi è la necessità di adattare il

lavoro all'uomo, e non viceversa, ciò è possibile prevenendo il rischio e assumendo

comportamenti e processi lavorativi sicuri.

Diventa quindi la prevenzione l'elemento fondamentale attorno al quale l'organizzazione

del lavoro deve operare una profonda trasformazione culturale che dia importanza alla

sicurezza.

Introduzione

4

Quattro sono le caratteristiche principali della direttiva quadro:

essa si caratterizza per una visione generale dell‟ambiente di lavoro che non include

solamente rischi di tipo fisico ma anche stress e benessere legato all‟organizzazione

del lavoro;

in secondo luogo la normativa europea raramente impone standard generali

specifici; in genere lo strumento della direttiva definisce gli obiettivi generali e

lascia decidere agli Stati membri con quali mezzi raggiungerli, attribuendo un ruolo

importante ai contratti collettivi nel far sì che la formulazione degli standard su

salute e sicurezza tenga conto di tutte le specifiche condizioni;

la terza caratteristica della direttiva consiste nella sua strategia: l‟approccio è di tipo

preventivo grazie al processo innovativo di valutazione del rischio;

infine la quarta ed ultima caratteristica consiste nell‟insistenza della normativa su

una partecipazione intensiva dei lavoratori nell‟implementazione e nel

rafforzamento della norma attraverso il ruolo dei rappresentanti dei lavoratori per la

sicurezza.

La Direttiva Quadro 89/391 rappresenta perciò il punto di svolta e di riferimento del nuovo

sistema di prevenzione, avente carattere obbligatorio per gli Stati membri dell'Unione, da

cui discendono ulteriori direttive particolari con disposizioni più rigorose e/o specifiche per

alcuni settori lavorativi.

Tuttavia, una valutazione della Commissione Europea sulle prime sei direttive emanate in

tema di salute e sicurezza sul lavoro ha messo in evidenza che se da un lato esse hanno

contribuito al miglioramento delle condizioni di lavoro, della prevenzione, e anche della

competitività e dell‟occupazione, dall‟altro, nel processo di recepimento, alcuni Stati

membri hanno dimostrato lacune, ritardi, fraintendimenti che hanno reso necessario

l‟avviamento di procedure di violazione nei confronti di tali Paesi. Dalla valutazione

emergono alcune difficoltà generali che consistono nella mancanza di una partecipazione

attiva da parte dei lavoratori ai processi operativi, nell‟assenza di disposizioni restrittive

precise circa la sorveglianza della salute, nell‟assenza di criteri comuni di valutazione degli

ispettorati nazionali del lavoro, nella mancata coerenza di alcune disposizioni soprattutto

relativamente all‟informazione, consultazione, partecipazione dei lavoratori, nell‟assenza

di un sistema statistico armonizzato a livello europeo in materia.

Dunque, sebbene le normative europee si applichino in ugual misura a tutti gli Stati

membri e godano di supremazia sulla legislazione nazionale, esse devono tener conto dei

diversi contesti nazionali. La scarsa implementazione e applicazione delle norme europee è

Introduzione

5

diventata una preoccupazione importante della politica comunitaria in campo di salute e

sicurezza sul lavoro.

Le iniziative promosse dall‟Unione Europea tendono alla costruzione progressiva di una

nuova cultura della sicurezza come naturale conseguenza dello sviluppo di un nuovo

assetto produttivo dell‟impresa, centrato sull‟ottimizzazione dei processi produttivi da

conseguire attraverso l‟attenzione al tema della qualità del lavoro, del benessere del

lavoratore e al tema dell‟impatto ambientale.

È in questo contesto che la Commissione ha deciso di adottare una strategia comunitaria

per la salute e la sicurezza sul lavoro, al fine di agevolare l‟applicazione della normativa

già in vigore e dare nuovi impulsi.

1.1.3 LE STRATEGIE COMUNITARIE PER LA SALUTE E LA SICUREZZA

SUL LAVORO DEL 2002 E 2007

La Comunicazione della Commissione europea del 2002 “Adattarsi alle

trasformazioni del lavoro e della società: una nuova strategia comunitaria per la

salute e la sicurezza 2002-2006” propone di allargare il tema della salute e

sicurezza sul lavoro al più ampio concetto di benessere sul lavoro, prendendo in

considerazione l‟insorgenza di nuove tipologie di rischi e i cambiamenti in atto nel

mondo del lavoro, e di favorire il consolidamento di una cultura di prevenzione dei

rischi i cui principi attuativi passino dalla combinazione di strumenti quali il ruolo

dell‟istruzione e della formazione, l‟anticipazione dei rischi e la sensibilizzazione

dei datori di lavoro sulla tematica della sicurezza. Al fine di soddisfare questi

aspetti la strategia comunitaria propone di seguire tre direttrici: adeguare il quadro

giuridico e istituzionale, incoraggiare la spinta al progresso (mediante il dialogo

sociale, la diffusione delle buone prassi, una maggiore responsabilità sociale delle

imprese, incentivi economici, la promozione di partenariati tra i soggetti che si

occupano della gestione della sicurezza) e, infine, integrare la tematica della salute

e della sicurezza sul lavoro nelle altre politiche comunitarie. La relazione sulla

valutazione della strategia comunitaria relativa alla salute e sicurezza sul lavoro

2002-2006 ha evidenziato un progresso effettivo in tutti gli Stati membri ma

evidenzia le criticità ancora in essere (ingente costo economico degli infortuni;

concentrazione degli infortuni in alcuni settori quali l‟agricoltura, i trasporti e le

costruzioni; categorie di lavoratori sovraesposte ai rischi; aumento di malattie, quali

Introduzione

6

i disturbi muscolo-scheletrici e problemi psicosociali) e mette in luce alcuni altri

temi strettamente legati alla salute e alla sicurezza che assumono un‟importanza

crescente: invecchiamento della popolazione attiva, aumento del lavoro

indipendente, fenomeno del subappalto, diffusione Pmi, crescita dei flussi

migratori.

La Commissione dopo la Decisione 1672 del 24 ottobre 2006 del Parlamento

Europeo e del Consiglio che istituisce un programma comunitario per

l‟occupazione e la solidarietà sociale (Progress), in cui dedica una specifica sezione

al miglioramento delle condizioni di lavoro (art. 6, sezione 3), ha elaborato

un‟ulteriore Comunicazione nel 2007 “Migliorare la qualità e la produttività sul

luogo di lavoro: strategia comunitaria 2007-2012 per la salute e la sicurezza sul

lavoro”. La strategia si pone l‟obiettivo di ridurre di almeno un quarto gli infortuni

in Europa attraverso un insieme di azioni attivate a livello comunitario e nazionale.

Otto sono i punti cardine della Comunicazione:

garantire l‟applicazione e l‟implementazione della normativa comunitaria attraverso

il suo rafforzamento negli ambiti più rischio e per le categorie di lavoratori più

vulnerabili;

sostenere le Pmi nell‟applicazione della normativa in vigore attraverso buone

prassi, formazione, semplificazione degli strumenti, incentivi economici, etc;

adattare e semplificare il contesto giuridico all‟evoluzione del mondo del lavoro;

incentivare lo sviluppo di strategie nazionali con la consultazione e partecipazione

attiva delle parti sociali;

favorire nuovi approcci alla sicurezza sul lavoro, sia nei lavoratori che nei datori di

lavoro, mediante la formazione in tutti i livelli del ciclo di istruzione e in tutti i

settori;

studiare nuovi metodi per identificare e valutare potenziali nuovi rischi attraverso la

ricerca;

monitorare i progressi e i risultati raggiunti;

adeguare gli standard di salute e sicurezza sul lavoro ai livelli internazionali.

La salute e la sicurezza sul luogo di lavoro rappresentano oggi uno degli aspetti più

rilevanti ed avanzati della politica sociale dell'Unione Europea, quali componenti integranti

della gestione della qualità del lavoro ed elementi determinanti per l‟accrescimento della

competitività economica.

Introduzione

7

La valorizzazione di questi temi da parte dell'azione comunitaria tocca, da una parte,

l'aspetto normativo, dall‟altra, si traduce nelle numerose attività d'informazione,

orientamento e promozione in favore di un ambiente di lavoro sicuro e sano portate avanti

dalle istituzioni europee in collaborazione con l'Agenzia europea per la sicurezza e la

salute sul lavoro (EU-OSHA)1 e con la Fondazione europea per il miglioramento delle

condizioni di vita e di lavoro (Eurofund)2.

1.2 IGIENE E SICUREZZA SUL LUOGO DI LAVORO:

LA NORMATIVA ITALIANA

1.2.1 EXCURSUS STORICO

La questione sulla sicurezza sul lavoro fu posta in rilievo già nel Codice Civile del 1942

con l‟art. 2087 che citava “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa

le misure che,secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono

necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Nel

1948, con l‟entrata in vigore della Costituzione, si sottolineò non solo che “l’Italia è una

Repubblica fondata sul lavoro” (art. 1), ma anche che “La Repubblica tutela la salute come

fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite

agli indigenti.[…]”(art.32).

Negli anni 1955 - 56 sono state promulgate le norme di riferimento che hanno permesso

l'applicazione sistematica dei dettami stabiliti dagli articoli del codice civile ed il rispetto

dei principi costituzionali.

Si tratta del D.P.R. 547/55 “Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Tutela

della sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro”.L‟Italia si dotò di tale legge in un‟epoca

in cui ancora non esistevano né una politica né una gestione dei diritti del lavoro a livello

comunitario (la CEE fu creata, infatti,due anni più tardi nel marzo 1957 con il Trattato di

Roma).

1L‟EU-OSHA - European Agency for Safety and Health at Work, è il principale punto di riferimento europeo per la sicurezza e la salute sul lavoro. Il ruolo centrale dell‟Agenzia è quello di contribuire al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro nell'Unione europea, attraverso le proprie attività di sensibilizzazione (la campagna ambienti di lavoro

sani e sicuri, che affronta un tema diverso ogni due anni) e giocando un ruolo chiave nella Strategia comunitaria sulla salute e la sicurezza sul lavoro. 2 L‟Eurofound - European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions- è un ente dell‟Unione

Europea, istituito dal Consiglio Europeo (Council Regulation (EEC) No. 1365/75 of 26 May 1975), per contribuire alla

pianificazione e al disegno di migliori condizioni di vita e di lavoro in Europa.

Introduzione

8

L‟anno successivo venne emanato il D.P.R. 303/56 “Norme generali per l‟igiene del

lavoro. Tutela della salute dei lavoratori nel luogo di lavoro” e il D.P.R. 164/56 che

regolamenta la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni. Gli anni „70 sono

caratterizzati da una maggiore consapevolezza sulla prevenzione degli infortuni e la

protezione della salute dei lavoratori nel mondo del lavoro sia da parte del Sindacato sia da

parte dei lavoratori. Con l'adozione dello Statuto dei lavoratori (Legge 300/70) e

l'introduzione, nei contratti collettivi di lavoro, di alcuni standard internazionali vengono

assunti come valori da tenere in considerazione i temi in materia di tutela della salute e

sicurezza dei lavoratori. Quest‟ultima legge cita all‟art.9 ”I lavoratori, mediante loro

rappresentanze, hanno diritto di controllare l‟applicazione delle norme per la prevenzione

degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l‟elaborazione e

l‟attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica”.

Con la riforma sanitaria nazionale del 1978 (Legge 833/78) sono nate in ambito regionale

le Unità Socio - Sanitarie Locali (attualmente trasformate in Aziende A.S.L.) per la tutela

della salute di tutti i cittadini del territorio ed in particolare per la tutela dell‟incolumità dei

lavoratori dipendenti. Con questa riforma sono state trasferite alle Regioni alcune

competenze dello Stato, in particolare la vigilanza dell‟applicazione delle norme di

sicurezza nelle imprese e la definizione di buone norme tecniche di lavoro.

Dagli anni „80 la Comunità Europea intraprende un‟autonoma attività legislativa

proponendo agli stati membri delle direttive da recepire nei singoli ordinamenti nazionali

al fine di regolamentare in maniera univoca una materia tanto complessa come quella

riguardante la salute e la sicurezza negli ambienti di lavoro. Fondamentale risulta quindi la

direttiva quadro n.391 del 1989 (denominata Direttiva generale) che introduce una nuova

visione del sistema di prevenzione: l‟informazione e la formazione mirata alla sicurezza

come elementi principali nella prevenzione a cui il datore di lavoro deve provvedere.

Negli anni ‟90 una vera sferzata è stata apportata dal D.Lgs.19 settembre 1994 n. 626 che

ha maggiormente concentrato l‟attenzione sul tema, fino a creare le basi di una “cultura

della sicurezza”. Recentemente il D.Lgs.9 aprile 2008 n. 81 ha completato e avocato a sé

tutti gli aggiornamenti regolamentati in questi anni, essendo in forma di Testo Unico.

Introduzione

9

Si riportano di seguito le principali norme operanti in Italia nel corso degli anni:

D.P.R. 27 aprile 1955 n.547 Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Tutela della sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro (G.U. del 12/07/55 n.158,

s.o.).

D.P.R. 19 marzo 1956 n.303 Norme generali per l‟igiene del lavoro. Tutela della

salute dei lavoratori nel luogo di lavoro (G.U. del 30/04/56 n.105, s.o.).

L. 19 novembre 1984 n.862 Ratifica ed esecuzione delle convenzioni

dell‟Organizzazione Internazionale del lavoro (OIL) n.148; 149, 150, 151 e 152.

Tutela della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro.

D.Lgs.15 agosto 1991 n.277 Attuazione delle Direttive 80/1107/CEE, 82/605/CEE,

83/477/CEE e 88/642/CEE in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi

derivanti da esposizioni ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro, a

norma dell‟art.7 della legge 30 luglio 1990 n.212. (G.U. del 27/08/91 n.200, s.o.).

D.Lgs.19 settembre 1994 n.626 e successive modifiche del 1996, 1999, 2000

Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE,

90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE e 90/679/CEE, riguardanti il miglioramento

della sicurezza della salute dei lavoratori nel luogo di lavoro. (G.U. del 12/11/94

n.265, s.o.).

D.Lgs.19 dicembre 1994 n.758 Modifica alla disciplina sanzionatoria in materia di

lavoro. Vigilanza sul lavoro. (G.U. del 26/01/95 n.21, s.o.).

D.Lgs.14 agosto 1996 n.493 Attuazione della Direttiva 92/58/CEE concernente le

prescrizioni minime per la segnaletica di sicurezza e salute sul luogo di lavoro.

Decreto Ministeriale 16 gennaio 1997 Individuazione dei contenuti minimi della

formazione dei lavoratori, dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e dei

datori di lavoro che possono svolgere direttamente i compiti propri del

Responsabile del Servizio di prevenzione e protezione. (G.U. del 03/02/97 n.27).

D.M.17 gennaio 1997 Elenco di norme armonizzate concernente l‟attuazione della

Direttiva 89/686/CEE relativa ai dispositivi di protezione individuale.(Il decreto

integra quanto già disposto dal D.Lgs.626/94 e dalla normative previgente in

materia di DPI). (G.U. del 06/02/97 n.30).

D.M.4 maggio 1999 n.86 Approvazione del codice di buona pratica agricola.

Pratiche agricole.

D.Lgs.4 agosto 1999 n.345 Attuazione della Direttiva 94/33/CE, relativa alla

protezione dei giovani sul lavoro. (G.U. del 08/10/99 n.237).

Introduzione

10

D.Lgs.4 agosto 1999 n.359 Attuazione della Direttiva 95/63/CE che modifica la

direttiva 89/655/ CEE relativa ai requisiti minimi di sicurezza e salute per l‟uso di

attrezzature di lavoro da parte dei lavoratori. Stabilisce le norme per il corretto

impiego delle attrezzature da lavoro, introducendo modifiche al Titolo III del

D.Lgs.626/94. (G.U. del 19/10/99 n.246).

D.Lgs.8 giugno 2001 n. 231 Disciplina della responsabilità amministrativa delle

persone giuridiche, delle società (…)(G.U. del 19/06/01 n.140).

Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 - Testo Unico in materia di tutela della

salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e modifica del 2009.

1.2.2 IL DECRETO LEGISLATIVO 626/94

Il DPR 547/55 ha governato magistralmente la materia infortunistica italiana per circa

quarant‟anni quale punto di riferimento per tutti i settori e per tutti gli operatori. La

situazione lavorativa, il progresso tecnico e scientifico, l‟istruzione e la qualificazione dei

lavoratori, la situazione politica ed economica italiana e internazionale però hanno subito

un profondo cambiamento nei decenni di sua applicazione, tanto da rendere difficile il

paragone e la sua stessa applicabilità, pur con le modifiche successivamente apportate.

Il sistema legislativo ha così avvertito l‟esigenza di un provvedimento di legge in materia

di sicurezza più adeguato alle mutate necessità. Il decreto 626/94 ha apportato una vera

rivoluzione in tema di sicurezza, anche perché ha affrontato questioni e mutamenti in linea

con le leggi comunitarie internazionali in cui il nostro ordinamento era carente.

Si parla di carattere innovativo del decreto perché esso sembra segnare il passaggio da una

logica di riparo dei danni provocati alla logica della prevenzione e “partecipazione” sembra

essere la parola chiave. Il decreto, recependo la Direttiva Quadro europea sulla salute e

sicurezza e diverse altre direttive europee, contribuisce al superamento di una prevenzione

di tipo oggettivo in cui il legislatore forniva indicazioni puntuali sui parametri da

rispettare, e afferma un sistema di tutele incentrato sul tema della prevenzione intesa,

nell‟art.2, come “il complesso delle disposizioni o misure affrontate o previste in tutte le

fasi dell’attività lavorativa per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della

salute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno”.

Da un lato il decreto elenca, nell‟art. 3, le misure generali per la protezione dei lavoratori

da attuare in tutti i settori lavorativi in cui vi sia anche un solo lavoratore subordinato;

dall‟altro definisce un sistema di gestione della sicurezza con l‟individuazione di tutti gli

Introduzione

11

attori che intervengono a vario titolo nel processi lavorativi. Tali soggetti vengono dunque

individuati, responsabilizzati e chiamati a svolgere un ruolo attivo.

Essi sono:

Il datore di lavoro (Art. 4) come soggetto pienamente responsabile della sicurezza

e della tutela della salute dei lavoratori. Per la prima volta il decreto fornisce la

definizione di datore di lavoro differenziandola in base alla natura privata o

pubblica dell‟attività ed esplicita il legame tra responsabilità e i poteri decisionali e

di spesa. Il datore di lavoro è dunque colui che ha il compito di programmare e

disporre le risorse economiche, umane ed organizzative, necessarie per applicare le

misure di sicurezza in vigore. Tra i suoi obblighi figurano: la valutazione e

l‟aggiornamento di tutti i rischi; l‟elaborazione del documento di valutazione dei

rischi, la designazione del responsabile del Servizio di prevenzione e protezione,

l‟organizzazione di una riunione periodica di prevenzione e protezione dei rischi.

I dirigenti e i preposti, in base ad eventuali specifiche deleghe in materia (Art. 4);

gli attori del Servizio di Prevenzione e Protezione (SPP), ovvero “l’insieme di

persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda finalizzato all’attività di

prevenzione e protezione dai rischi professionali nell’azienda”.

Il Responsabile e gli addetti del Servizio prevenzione e protezione (RSPP e addetti

SPP), nella veste di collaboratori tecnici del datore di lavoro per la tutela della

salute e sicurezza in azienda.

Il medico competente (Art. 17), nei casi in cui in azienda vi siano lavorazioni che

comportano rischi per la salute dei lavoratori e per le quali è obbligatoria la

sorveglianza sanitaria.

I Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), introdotti nell‟art. 18, ai

quali vengono riconosciuti una serie di diritti (di essere consultati, di essere

informati, ad una formazione adeguata e specifica, ad esercitare un controllo

costante sul rispetto delle misure di prevenzione) e doveri di effettiva

partecipazione e di attenersi alle informazioni e formazione ricevute in materia.

I progettisti, i fabbricanti, i fornitori e gli installatori (Art.6), soggetti esterni ma in

relazione con l‟organizzazione del lavoro, che devono garantire il rispetto delle

norme di sicurezza e igiene del lavoro.

Le imprese appaltatrici o i lavoratori autonomi cui vengono affidati i lavori, per ciò

che concerne la cooperazione e il coordinamento con il datore di lavoro

committente sulle misure adottate.

Introduzione

12

Il decreto ha introdotto ,inoltre, delle trasformazioni in merito a:

obbligo di elaborare un Documento di Valutazione dei rischi (DVR) contenente la

“valutazione dei rischi” che possono derivare dai processi lavorativi aziendali e

dall‟ambiente di lavoro;

individuazione delle misure di prevenzione necessarie e i metodi di attuazione delle

misure stesse;

predisposizione di un programma di informazione e formazione dei lavoratori, atto

a realizzare una maggiore consapevolezza nell‟affrontare la prevenzione dei rischi

in azienda.

Lo scopo del decreto era ,dunque, un intervento attivo, responsabile ed integrato di tutti i

soggetti interessati dalla ed alla sicurezza, che coinvolgeva i lavoratori e/o i loro

rappresentanti, dalla individuazione del rischio fino alla scelta delle soluzioni per prevenirli

e/o ridurli.

1.2.3 IL DECRETO LEGISLATIVO 81/08

Il Decreto Legislativo n. 81 del 9 aprile 2008 o Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro

riunisce, modifica ed armonizza la precedente normativa in materia di sicurezza e salute

nei luoghi di lavoro, abrogando tutte le precedenti leggi emanate dal 1955 in poi.

Successivamente il D.Lgs 106/09 ha apportato delle disposizioni integrative e correttive al

D.Lgs. 81/08.

Il Testo Unico si presenta con un impianto normativo estremamente complesso e

articolato, composto da 306 articoli suddivisi in 13 titoli e 51 allegati tecnici.

Più precisamente:

titolo I Disposizioni generali

titolo II Luoghi di lavoro

titolo III Uso delle attrezzature di lavoro e dei DPI

titolo IV Cantieri temporanei o mobili

titolo V Segnaletica di sicurezza

titolo VI Movimentazione manuale dei carichi

titolo VII Videoterminali

titolo VIII Agenti fisici (rumore, vibrazioni…)

titolo IX Sostanze pericolose (agenti chimici,cancerogeni…)

titolo X Agenti biologici

Introduzione

13

titolo XI Atmosfere esplosive

titolo XII Disposizioni penali

titolo XIII Disposizioni finali

Tra le novità introdotte dal D.Lgs. 81/08, un ruolo di primo piano assume la definizione,

mutuata dall‟Organizzazione Mondiale della Sanità, del concetto di “salute” intesa quale

“stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza

di malattia o d’infermità” (art. 2, comma 1, lettera o) che rappresenta la premessa per la

garanzia di una tutela dei lavoratori anche attraverso un‟adeguata valutazione del rischio

“stress lavoro correlato”.

Figura 1. Organigramma della sicurezza secondo il D. Lgs 81/08

In merito ai soggetti responsabili della sicurezza vi sono alcune novità riguardanti le loro

funzioni e obblighi:

PER IL DATORE DI LAVORO ovvero “il soggetto che ha la responsabilità

dell’organizzazione in cui il lavoratore presta la propria attività in quanto esercita i poteri

decisionali e di spesa”(art. 2).

La valutazione dei rischi allarga il campo: il datore di lavoro, per metterla a punto,

dovrà considerare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori. In

particolare, dovrà tener conto dello stress da lavoro e dei rischi legati alle differenze

di genere, all‟età e alla provenienza da altri Paesi (articolo 28).

Il Testo Unico introduce nuove modalità per svolgere la valutazione dei rischi, che

variano in base al numero dei lavoratori. Le aziende che occupano fino a 50

dipendenti e che non presentano particolari profili di rischio potranno seguire una

procedura standardizzata, che deve essere stabilita da un decreto interministeriale.

Introduzione

14

Nell‟attesa: per le aziende fino a 10 dipendenti, è sufficiente l‟autocertificazione,

alle aziende fino a 50 dipendenti si applicano le regole ordinarie (articolo 29).

Tutte le sanzioni sono inasprite. Rischiano la sospensione dell‟attività le imprese

che commettono gravi e reiterate violazioni delle norme sulla sicurezza (articoli 14

e 55).

Sono nulli i contratti di appalto, subappalto e somministrazione che non indichino

espressamente i costi relativi alla sicurezza (articolo 26).

Gli articoli 17 e 18 elencano i principali obblighi del datore di lavoro tra cui:

valutazione di tutti i rischi e conseguente elaborazione del documento (non

delegabile);

designare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi (non

delegabile);

nominare il medico competente;

designare preventivamente i lavoratori incaricati dell‟attuazione delle misure di

prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso

di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di

gestione delle emergenza;

fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale;

richiedere l‟osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti;

adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza;

informare il più presto possibile i lavoratori esposti a rischi gravi;

adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento;

consegnare tempestivamente al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, su

richiesta di questi, copia del DVR e del DUVRI;

elaborare il DUVRI, e, su richiesta di questi e per l‟espletamento della sua

funzione, consegnarne tempestivamente copia ai rappresentanti dei lavoratori per la

sicurezza;

comunicare all‟INAIL, o all‟ISPEMA, in relazione alle rispettive competenze dati

relativi agli infortuni sul lavoro che comportino un‟assenza dl lavoro di almeno un

giorno, e a fini previdenziali di almeno 3 giorni;

consultare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza;

adottare le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell‟evacuazione

dei luoghi di lavoro;

Introduzione

15

nell‟ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto e di subappalto,

munire i lavoratori di apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia,

contenente le generalità del lavoratore e l‟indicazione del datore di lavoro;

aggiornare le misura di prevenzione;

comunicare annualmente all‟INAIL i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori

per la sicurezza;

redigere un registro sugli obblighi di manutenzione delle attrezzature di lavoro (art.

71);

accompagnare le attrezzature portate fuori sede con un registro sull‟ultimo controllo

effettuato (art. 72);

effettuare una valutazione specifica del rischio elettrico (art. 80).

PER IL MEDICO COMPETENTE ovvero “medico in possesso di uno dei titoli e dei

requisiti formativi e professionali che collabora, secondo quanto previsto all’articolo 29,

comma 1, con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed é nominato dallo

stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria e per tutti gli altri compiti di cui al presente

decreto”.

Viene scelto dal datore di lavoro e può essere un dipendente o collaboratore di una

struttura esterna pubblica o privata, convenzionata con l‟imprenditore; un libero

professionista o un dipendente del datore di lavoro (art. 39).

Obblighi e funzioni:

Collabora con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione (SPP)

alla valutazione dei rischi, per la parte di competenza (art 29).

Programma ed effettua la Sorveglianza Sanitaria (articolo 41) attraverso protocolli

sanitari definiti in funzione dei rischi specifici e tenendo in considerazione gli

indirizzi scientifici piu' avanzati.

Istituisce, aggiorna e custodisce, sotto la propria responsabilità, una cartella

sanitaria e di rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria; Tale

cartella è conservata con salvaguardia del segreto professionale e, salvo il tempo

strettamente necessario per l‟esecuzione della sorveglianza sanitaria e la

trascrizione dei relativi risultati, presso il luogo di custodia concordato al momento

della nomina del medico competente.

Introduzione

16

Consegna al Datore di Lavoro, alla cessazione dell'incarico, la documentazione

sanitaria in suo possesso, nel rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo

del 30 giugno 2003, n. 196, e con salvaguardia del segreto professionale.

Consegna al Lavoratore, alla cessazione del rapporto di lavoro, la documentazione

sanitaria in suo possesso e gli fornisce le informazioni riguardo la necessità di

conservazione.

Fornisce informazioni ai lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria cui

sono sottoposti.

Informa ogni lavoratore interessato dei risultati della sorveglianza sanitaria di cui

all'articolo 41 e, a richiesta dello stesso, gli rilascia copia della documentazione

sanitaria.

Comunica per iscritto, in occasione delle riunioni di cui all'articolo 35, al datore di

lavoro, al responsabile del servizio di prevenzione protezione dai rischi, ai

rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, i risultati anonimi collettivi della

sorveglianza sanitaria effettuata.

Visita gli ambienti di lavoro almeno una volta all'anno o a cadenza diversa che

stabilisce in base alla valutazione dei rischi; l‟indicazione di una periodicità diversa

dall'annuale deve essere comunicata al datore di lavoro ai fini della sua annotazione

nel documento di valutazione dei rischi.

Partecipa alla programmazione del controllo dell'esposizione dei lavoratori i cui

risultati gli sono forniti con tempestività ai fini della valutazione del rischio e della

sorveglianza sanitaria.

PER L’RSPP che “è un professionista che ha esperienza sulla Sicurezza del lavoro ed è

designato dal datore di lavoro per gestire e coordinare le attività del Servizio di

prevenzione e protezione che è l' insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni

all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali per i

lavoratori” (art. 2).

La figura del Rspp e degli addetti non subisce sostanziali modifiche rispetto al 626/94. Gli

obblighi dell‟RSPP vengono indicati nell‟articolo 33:

individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all‟individuazione

delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto

della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell‟organizzazione

aziendale;

Introduzione

17

elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive di cui

all‟articolo 28,comma 2, e i sistemi di controllo di tali misure;

elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali;

proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori;

partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro,

nonché alla riunione periodica di cui all‟articolo 35;

fornire ai lavoratori le informazioni di cui all‟articolo 36.

PER IL LAVORATORE ovvero la “persona che, indipendentemente dalla tipologia

contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di

lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un

mestiere, un'arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari”(art.

2):

L‟ampliamento del campo di applicazione estende le norme sulla sicurezza a tutti i

lavoratori, anche autonomi e parasubordinati che, a prescindere dal tipo di contratto

e dalla retribuzione, svolgono la propria prestazione all‟interno dell‟impresa. Sono

esclusi i lavoratori domestici e familiari ( articoli 2 e 3).

Devono esporre la tessera di riconoscimento solo i lavoratori di aziende che

svolgono attività in regime di appalto o subappalto e i lavoratori autonomi che

prestano la propria attività in azienda. Se viola questo obbligo, il lavoratore è

punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 50 a 300 euro (articolo 20).

Il lavoratore deve partecipare ai programmi di formazione organizzati dal datore di

lavoro, altrimenti rischia la sanzione penale dell‟arresto fino a un mese

dell‟ammenda da 200 a 600 euro (articolo 20).

Viene introdotta la figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza anche a

livello territoriale e di sito produttivo (articolo 47).

Introduzione

18

L‟art 20 elenca gli obblighi per i lavoratori:

Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle

altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni

o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti

dal datore di lavoro.

I lavoratori devono in particolare:

“a) contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento

degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;

b) osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai

preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale;

c) utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze e i preparati pericolosi, i

mezzi di trasporto, nonché i dispositivi di sicurezza;

d) utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione;

e) segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze

dei mezzi e dei dispositivi, nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui

vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle

proprie competenze e possibilità e fatto salvo l’obbligo di cui alla lettera f) per eliminare o

ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei

lavoratori per la sicurezza;

f) non rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di

segnalazione o di controllo;

g) non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro

competenza ovvero che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori;

h) partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di

lavoro;

i) sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal presente decreto legislativo o comunque

disposti dal medico competente.”

PER IL PREPOSTO cioè” persona che, in ragione delle competenze professionali e nei

limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli,

sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute,

controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale

potere di iniziativa” (art. 2)

Introduzione

19

Una delle maggiori novità introdotte dal D.Lgs. 81/08 è quella di avere espletata la figura

del preposto (accorpata finora dalla normativa alle figure di dirigenti e datori di lavoro)

all‟interno dell‟organizzazione della sicurezza.

Il decreto attribuisce compiti precisi al preposto (art. 19):

“a) sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro

obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul

lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale

messi a loro disposizione e, in caso di persistenza della inosservanza, informare i loro

superiori diretti;

b) verificare affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni

accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico;

c) richiedere l’osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di

emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato e

inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa;

d) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e

immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di

protezione;

e) astenersi, salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori di

riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed

immediato;

f) segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e

delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra

condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza

sulla base della formazione ricevuta;

g) frequentare appositi corsi di formazione secondo quanto previsto dall’articolo 37.”

La figura del preposto così definita diventa fondamentale nell‟organizzazione della

sicurezza in quanto il preposto ha il compito di svolgere una vigilanza attiva nei confronti

dei lavoratori. La definizione specifica del preposto e l‟attribuzione di competenze

specifiche va di pari con l‟introduzione di sanzioni specifiche (art. 56).

Per quanto riguarda la formazione, il D.Lgs. 81/08 ha introdotto un‟importante novità

ovvero l‟obbligo di formazione ed aggiornamento dei preposti (art. 37).

Introduzione

20

PER IL RAPPRESENTANTE DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA definito

nell‟art. 2 come “persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto

concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro”.

Il nuovo decreto, nell‟ottica di promuovere un sistema della prevenzione aziendale

più efficace, ha cercato di potenziare la figura del Rappresentante dei Lavoratori

per la sicurezza. Le principali novità introdotte riguardano la figura del RLS di sito

produttivo (art. 49) in aggiunta alle più “tradizionali” figure dell‟RLS aziendale

(art. 47) e territoriale(art. 48), anch‟esse potenziate. L‟obiettivo da realizzare è la

presenza in ogni realtà aziendale della figura del rappresentante dei lavoratori per la

sicurezza, consentendo alle aziende che occupano fino a 15 dipendenti, nel caso in

cui i lavoratori non siano in grado di eleggere un proprio rappresentante interno, di

avvalersi del RLS eletto a livello territoriale o di comparto (art.47, comma 3), e

prevedendo che nelle realtà produttive più complesse e articolate, l‟RLS di sito

svolga un necessario ruolo di coordinamento degli altri RLS aziendali presenti nel

sito produttivo.

Altra novità riguarda l‟elezione dei RLS, che “avviene di norma in un’unica

giornata su tutto il territorio nazionale… sentite le organizzazioni sindacali

comparativamente più rappresentative dei datori di lavoro e dei lavoratori”, al fine

di sensibilizzare maggiormente i lavoratori sulla necessità di eleggere i propri

rappresentanti (art. 47, comma 6).

Obbligo per il datore di lavoro di consegnare al rappresentante dei lavoratori per la

sicurezza, che ne faccia richiesta, copie del documento di valutazione dei rischi e

del registro infortuni, ma anche del documento unico di valutazione dei rischi da

interferenza nonché dei dati relativi ai costi della sicurezza (art. 50). Questo al fine

di rendere il rappresentante dei lavoratori in grado di svolgere il proprio ruolo con

maggiore consapevolezza, grazie alla conoscenza dei principali documenti

aziendali in materia di sicurezza.

Alla luce dei nuovi compiti che gli vengono assegnati, dovrà essere oggetto di

adeguati momenti di formazione e di informazione (art.37).

Introduzione

21

Altre novità riguardano:

IL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI ossia la “valutazione globale e

documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito

dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le

adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure

atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza” (art 2, comma

q).

In caso di contratto di appalto/opera/somministrazione, una valutazione dei rischi

attraverso la promozione della cooperazione e del coordinamento con l‟impresa

appaltatrice, attraverso la redazione di un Documento Unico di Valutazione dei

Rischi Interferenti (D.U.V.R.I.) (art. 26, comma 3).

Secondo l‟art. 28, comma 1,l‟oggetto della valutazione deve riguardare “anche

nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici

impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i

rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti

gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo

stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre

2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto

previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonché quelli connessi alle

differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla

specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro”.

Nel documento di valutazione dei rischi devono essere individuate “le mansioni che

eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici che richiedono una

riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e

addestramento” (art. 28, comma 2, lett. f).

Mentre il D.Lgs. 626/94 prevedeva una rielaborazione della valutazione dei rischi

(art. 4 c. 7) “in occasione di modifiche del processo produttivo significative ai fini

della sicurezza e della salute dei lavoratori”, il D.Lgs. 81/08 (art. 29 comma 3)

amplia i casi che richiedono una rielaborazione della valutazione, stabilendo che la

stessa deve essere ripetuta “in occasione di modifiche del processo produttivo o

dell’organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e della sicurezza dei

lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione e

della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della

sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità”.

Introduzione

22

Secondo l‟art 28, comma 2, il DVR, redatto a conclusione della valutazione, deve avere

data certa e contenere:

“a) una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante

l’attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione

stessa;

b) l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di

protezione individuali adottati, a seguito della valutazione;

c) il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel

tempo dei livelli di sicurezza;

d) l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, nonché

dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono

essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri;

e) l’indicazione del nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e

protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o di quello territoriale e

del medico competente che ha partecipato alla valutazione del rischio;

f) l’individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi

specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza,

adeguata formazione ed addestramento”.

L‟art. 29, indicante le modalità di effettuazione della valutazione dei rischi, enuncia che il

datore di lavoro deve effettuare la valutazione ed elaborazione del DVR in collaborazione

con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, previa

consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

Il DVR ed il DUVRI devono essere custoditi presso l‟unità produttiva alla quale si riferisce

la valutazione dei rischi.

LA FORMAZIONE intesa come “processo educativo attraverso il quale trasferire ai

lavoratori ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale

conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in

sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla

gestione dei rischi” (art. 2).

Le parole e i concetti chiave di questa definizione sono:

“I lavoratori e gli altri soggetti del sistema aziendale di prevenzione”; non soltanto i

lavoratori saranno destinatari della formazione ma tutti gli attori del sistema

aziendale ai fini del miglioramento della prevenzione. Si potenzia il concetto di

Introduzione

23

educazione continua, esteso a tutte le figure (escluso il datore di lavoro che non

svolge direttamente i compiti del servizio di prevenzione e protezione) che

partecipano alla gestione della salute e sicurezza aziendale, ivi compresi i dirigenti

ed i preposti, figure per le quali non vigeva alcun obbligo formativo nel D.Lgs.

626/94. L‟estensione di tale obbligo di aggiornamento permette un approccio alla

formazione in tema di salute e sicurezza inteso, non come un obbligo da assolvere

una tantum, ma piuttosto come un percorso continuo in cui sono coinvolti tutti gli

attori della sicurezza non solo i lavoratori, ma anche di coloro che svolgono

funzioni di gestione, decisone e controllo.

Si legge nell‟art. 37dell‟ 81/08: “formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti

“Il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed

adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche, con

particolare riferimento a:

a) concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzione

aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo,

assistenza;

b) rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure

di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza

dell'azienda”.

Nell’art 22 del 626/94: “Formazione dei lavoratori”

“Il datore di lavoro, i dirigenti e i preposti, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e

competenze, assicurano che ciascun lavoratore, ivi compresi i lavoratori di cui all'art. 1,

comma 3, ricevano una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di

salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro e alle proprie mansioni”.

“Conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze”; quindi la

formazione mira non solo al trasferimento di conoscenze (necessarie a comprendere

un fenomeno, un oggetto, una situazione) o di abilità (acquisizione di procedimenti,

metodi, strumenti per una applicazione pratica), ma anche all‟apprendimento di

comportamenti che attengono alla sfera del sapere essere e che coniugano doti,

valori e attitudini personali con le necessità espresse dall‟organizzazione e dalle

persone. Gli aggettivi utilizzati dal legislatore al riguardo della formazione dei

lavoratori (adeguata, sufficiente, comprensibile, specifica) indicano che la

progettazione della stessa va realizzata perseguendo obbiettivi di efficacia ed

Introduzione

24

efficienza, mirando all‟effettivo trasferimento di competenze. Per tale motivo i

percorsi formativi vanno progettati sulla base delle reali esigenze formative dei

destinatari, tenendo conto delle risultanze della valutazione del rischio, delle

competenze pregresse, del contesto all‟interno del quale essi operano, della attività

lavorativa specifica, della provenienza dei destinatari della formazione, delle attese

normative.

Un altro aspetto importante è la presenza nello stesso elenco delle definizioni

relative a “informazione” e ad “addestramento” che evidenziano la necessità di

tener conto delle specifiche caratteristiche e , quindi, delle differenze tra ognuna di

queste attività. Anche l‟addestramento del lavoratore deve essere ispirato a criteri di

effettività: esso, pertanto deve essere ripetuto, fino a quando non ne venga accertata

la completa padronanza da parte del lavoratore, in modo da consentire una

correzione in itinere e un miglioramento di quanto appreso.

Infine l‟innovativa riportata nell‟art.37 comma 13, prevede che il contenuto della

formazione debba essere facilmente comprensibile per i lavoratori. Se questa

riguarda lavoratori immigrati occorre previamente verificare la comprensione e la

conoscenza della lingua utilizzata. L‟efficacia ed efficienza della formazione vanno

quindi valutate sui risultati da essa prodotti, esistendo un vero e proprio obbligo di

risultato sul datore di lavoro che ha un dovere di verifica e di controllo sul grado

dell‟apprendimento.

L’APPARATO SANZIONATORIO ha subito un inasprimento notevole, introducendo

ad esempio l‟arresto, non convertibile in pena pecuniaria, se è dimostrabile che una

violazione abbia causato un infortunio o se il datore di lavoro abbia già subito una

condanna per violazione delle norme sulla sicurezza.

Si parla inoltre di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (D.Lgs.231/01) e

di reati di omicidio colposo e di lesioni colpose gravissime (punite con la reclusione dal

Codice Penale), commessi in violazione delle norme antinfortunistiche (D.Lgs.123/2007).

Il successivo D.Lgs.106/09 ha addirittura introdotto la sospensione dell‟attività tra le

sanzioni a più forte impatto deterrente in caso ad esempio di gravi e reiterate violazioni in

materia di sicurezza.

Esiste inoltre un rapporto di causalità nella successione delle cariche in organigramma. Il

Datore di Lavoro delegante, secondo l‟art. 16 del D.Lgs. 81/0, deve vigilare sull‟operato

del delegato, il quale è tenuto a relazionare con il delegante attraverso periodici report. (dal

Introduzione

25

Congresso “Dalla prevenzione penale alla gestione aziendale” Torino Lingotto

19/11/2010).

Il legislatore ha espresso con tale legge la volontà di incentivare la cultura della sicurezza,

prevedendo ad esempio di inserire nei programmi scolatici e universitari la materia della

salute e sicurezza sul lavoro e incentivando i datori di lavoro mediante concessione di un

credito di imposta nella misura massima del 50% delle spese sostenute per la

partecipazione dei lavoratori a programmi sulla sicurezza e salute sul lavoro (entro un

limite di spesa pari a 25 mil.di euro annui).

Alla luce di quanto fin qui esposto è evidente che il concetto di sicurezza sul lavoro si è

evoluto nel tempo, contemporaneamente alla “trasformazione” dell‟ambiente di lavoro

stesso. Molti “ambienti confinati” sono oggi veri e propri “ambienti di lavoro” e, come tali,

devono sottostare alle specifiche normative citate.

1.3 AMBIENTI CONFINATI ED INQUINAMENTO INDOOR

Fin dai primordi della civiltà è apparso evidente che affinché un edificio, in particolare una

abitazione, potesse essere definita “sana”, era necessario che possedesse determinati

requisiti costruttivi, come ad es. finestre che forniscono una buona ventilazione, assenza di

umidità, scarichi efficienti delle stufe e dei camini, ecc. Tali requisiti nel corso del tempo

sono stati raccolti in manuali e disposizioni normative che hanno rappresentato i precursori

dei moderni Regolamenti di Igiene Edilizia.

I criteri costruttivi degli edifici sono evoluti lentamente nel corso dei secoli, ma l‟avvento

della tecnologia moderna ed i nuovi assetti urbanistici che si sono imposti nel XX secolo,

con la nascita delle moderne città occidentali a sviluppo verticale e con la diffusione di

grattacieli ed edifici sigillati a tecnologia complessa, hanno profondamente innovato la

struttura degli ambienti interni sia di tipo residenziale che di tipo commerciale. Malgrado

questa evoluzione dell‟ambiente costruito, che è andata di pari passo con lo sviluppo

industriale, l‟urbanizzazione, la terziarizzazione economica e con lo sviluppo delle

metropoli, ancora a metà del secolo scorso vi era una netta differenza tra la qualità igienica

degli ambienti industriali, per loro natura caratterizzati dalla presenza di inquinanti legati ai

processi produttivi, e la qualità degli ambienti di tipo civile e commerciale, considerati in

genere igienicamente sani ed anzi tradizionalmente utilizzati dal medico di fabbrica come

gli “ambienti puliti” in cui trasferire i lavoratori che non potevano più essere esposti alle

polveri ed agli inquinanti presenti nei reparti produttivi della fabbrica.

Introduzione

26

Una data simbolica di svolta per la qualità dell‟aria indoor nelle società occidentali è

rappresentata dalla guerra del Kippur del 1967, che ha dato ufficialmente inizio ad una

nuova consapevolezza del problema. Per effetto della guerra, il prezzo del petrolio ebbe

una impennata su tutti i mercati e causò la prima crisi energetica dell‟era contemporanea.

Come risposta alla crisi ed al brusco aumento dei costi, vennero limitati tutti i consumi

energetici e, tra questi, anche i consumi per riscaldamento e trattamento dell‟aria degli

edifici, che da soli rendono conto di oltre un terzo di tutti i consumi energetici nelle società

occidentali.

Il risultato fu che nelle metropoli americane ed europee la qualità dell‟aria degli edifici

peggiorò drasticamente e nacque e si diffuse la cosiddetta “sindrome dell‟edificio malato”

(sick building syndrome), nella quale la maggioranza degli occupanti dell‟edificio

lamentava sintomi irritativi aspecifici e forte disagio sensoriale che, in molte occasioni,

portava alla necessità di evacuare l‟edificio.

Nel corso degli anni ‟70 e ‟80 ci si rese conto che lo scadimento della qualità dell‟aria

indoor era il risultato non solo della carenza di ventilazione interna, ma anche di complesse

modificazioni che erano intervenute nel modo di costruire e gestire gli edifici: edifici

sigillati, ove la ventilazione forzata sostituisce completamente quella naturale, uso di

materiali interni sintetici (mobili e moquettes) che emettono sostanze chimiche, uso di

coibenti e isolanti, uso esteso di impianti di climatizzazione, penetrazione di inquinanti dai

garage sottostanti, diffusione negli uffici di attrezzature informatiche e stampanti,

diffusione di agenti biologici con i sistemi di termoventilazione e/o ventilazione forzata.

Contemporaneamente nelle società occidentali era in corso una massiccia trasformazione

economica e produttiva, con modificazione della struttura della forza-lavoro e della

occupazione, che ormai per il 70-80% era rappresentata da addetti al terziario e sempre

meno da addetti all‟industria.

Così negli uffici e negli edifici commerciali, un tempo ritenute isole felici per la qualità

dell‟aria, sempre più spesso si diagnosticavano malattie quali congiuntiviti e sindromi

irritative delle vie aeree, asma allergica, febbre da umidificatori e polmoniti. Inoltre

analizzando l‟aria indoor di uffici e abitazioni si trovavano svariati inquinanti quali CO,

NOx, formaldeide, composti organici volatili, benzene, radon, amianto, allergeni ecc.

nonché il fumo di sigaretta prodotto dagli occupanti. In sostanza in quegli anni fece la sua

comparsa il termine di “inquinamento indoor” degli edifici ad uso civile e residenziale, per

indicare un fenomeno complesso e di importanza per la salute pubblica pari o superiore a

quello tradizionalmente riconosciuto all‟inquinamento dell‟aria outdoor.

Introduzione

27

Tra il 1971 ed il 1984 il NIOSH ha censito nei soli USA 446 studi relativi a lavoratori

d‟ufficio che avevano lamentato disturbi o patologie riferibili al loro ambiente di Lavoro

(Maroni, 2004).

L‟emergere di queste evidenze e le connesse discussioni sui costi sociali ed economici

della patologia attribuibile all‟ “inquinamento indoor” hanno promosso estese ricerche sul

rischio per la salute, prese di posizione delle agenzie nazionali ed internazionali e la nascita

di un vero e proprio settore scientifico multidisciplinare, con associazioni internazionali

dedicate, riviste scientifiche e convegni internazionali con migliaia di partecipanti. Un

contributo significativo a questo sviluppo scientifico è stato fornito dalla Organizzazione

Mondiale della Sanità che tra il 1979 ed il 1990 ha organizzato diversi gruppi di lavoro e

pubblicato una serie di report sul rischio per la salute causato dalla esposizione indoor a

vari inquinanti, anticipando la successiva monografia della IARC sul radon e richiamando,

inoltre, l‟attenzione sui prodotti della combustione, sugli agenti biologici e sui composti

organici rilasciati da mobili e moquettes negli ambienti interni. La US-EPA nello stesso

periodo ha prodotto una voluminosa relazione per il Congresso degli USA sui problemi

dell‟aria indoor, ha costituito un ufficio ad essi dedicato, ed ha prodotto un articolato piano

di intervento.

Un contributo di notevole valore culturale è venuto dalla fondazione della International

Academy of Indoor Air Sciences (IAIAS) e della International Society of Indoor Air

Quality and Climate (ISIAQ). A partire dal 1978 ad oggi la IAIAS e l‟ISIAQ hanno

organizzato ogni tre anni rispettivamente i convegni internazionali INDOOR AIR ed i

convegni Healthy Buildings ed hanno censito e raccolto i risultati della ricerca

internazionale in questo settore, producendo voluminosi atti ad ogni edizione. Una

notevole produzione culturale e scientifica è stata promossa anche dalla Commissione

Europea attraverso la Azione Concertata “Indoor Air Quality and Its Impact on Man” che a

partire dagli anni ‟80 ha finora prodotto 23 monografie specifiche su svariati temi relativi

all‟inquinamento indoor. Inoltre è stato fondato uno specifico giornale scientifico “Indoor

Air”, destinato a raccogliere le pubblicazioni in questo settore (Maroni ,2004).

Analogamente uno sforzo importante è stato compiuto a livello internazionale e nazionale

per portare queste nuove conoscenze ad architetti e ingegneri, cioè ai tecnici implicati nella

progettazione e gestione degli edifici, il cui apporto alla prevenzione ed al mantenimento

della qualità dell‟aria indoor è essenziale. La US-EPA sul finire degli anni ‟80 ha prodotto

la guida “Building Air Quality: A Guide for Building Owners and Facility Managers” e nel

1998 “Building Air Quality Action Plan”, una guida che riassume le strategie di gestione

della qualità dell‟aria nei grandi edifici. Pubblicazioni specifiche sono state

Introduzione

28

successivamente prodotte anche dalla NATO, dalle Task Force dell‟ISIAQ, dalla FiSIAQ

ed in Italia da Maroni et al. con il volume “Habitat Costruito, Inquinamento e Salute”,

edito da Franco Angeli nel 1991, e da Baglioni e Piardi con il volume “Costruzioni e

Salute”, edito da Franco Angeli nel 1994.

La non corretta scelta dei materiali di costruzione può, infatti, peggiorare le condizioni

abitative, in quanto gli stessi possono agire secondo tre modalità:

- rilasciando direttamente sostanze inquinanti o pericolose (composti organici

volatili, radon, polveri, fibre);

- adsorbendo e successivamente rilasciando sostanze presenti nell‟aria e provenienti

da altre fonti;

- favorendo l‟accumulo di sporco e la crescita di microrganismi.

E‟ pertanto importante valutare del materiale, oltre la costituzione chimica propria e delle

sostanze con cui viene in contatto, anche le sue caratteristiche fisiche e meccaniche, le sue

proprietà, le condizioni di uso e il suo comportamento in presenza di agenti chimici e fisici.

La crescita di colonie di microrganismi dipende dal tipo di prodotto (naturale o sintetico),

dalla percentuale di umidità contenuta, dalla qualità della superficie (porosità), dalle

condizioni d‟uso (attività svolte, presenza di altri prodotti), dalle condizioni

microclimatiche.

La presenza di polveri e fibre nell‟aria interna è normalmente legata al grado di usura dei

prodotti come pavimentazioni, tappezzerie, intonaci, pitturazioni o alla possibilità che

materiali fibrosi (come alcuni tipi di isolanti) entrino in contatto con l‟aria interna.

Diverse sono le condizioni all‟interno tra edifici vecchi ed edifici nuovi: nei primi, i fattori

di rischio sono relativi al degrado dei materiali (polveri e fibre) e alla presenza di umidità;

nei nuovi, i problemi nascono dall‟utilizzo di prodotti di finitura che non hanno ancora

completato l‟emissione di sostanze chimiche inquinanti (vernici, pitture, ecc.) o da una

eccessiva sigillatura o isolamento termico inadeguato.

Particolare attenzione deve essere rivolta ai sistemi di climatizzazione che, se da una parte

possono favorire un miglioramento del microclima, dall‟altra errate progettazioni e

installazioni, scarsa igiene e inappropriata manutenzione possono contribuire a trasformare

i climatizzatori in sorgenti di diffusione di contaminanti.

Gli impianti per la climatizzazione sono destinati a svolgere le funzioni di controllo delle

condizioni termiche e di umidità dell‟aria, di ricambio controllato dell‟aria e di cattura per

filtrazione di polveri e altre particelle trasportate. La semplicità delle soluzioni tecniche

deve essere compatibile con una gestione controllata e duratura.

Introduzione

29

I microrganismi che possono proliferare in vari punti degli impianti di condizionamento

possono essere causa di alterazioni respiratorie o casi isolati di legionellosi e di alveoliti

allergiche estrinseche da actinomiceti termofili.

Anche l‟informazione della popolazione è un aspetto determinante per lo sviluppo di una

politica di sanità pubblica e prevenzione per l‟inquinamento indoor. Il riconoscimento che i

comportamenti delle persone sono talvolta fattori essenziali del problema (ad es. il fumo in

ambienti chiusi, l‟introduzione di sorgenti per bricolage o per altre attività hobbistiche, il

modo di eseguire le pulizie negli ambienti interni, ecc.) e che, in particolare per gli

ambienti residenziali, tutta la popolazione è il diretto gestore del proprio ambiente, spiega

come sia impossibile ottenere risultati di prevenzione importanti in assenza di

un‟informazione specifica della popolazione.

Il complesso delle conoscenze disponibili nel mondo nei primi anni ‟90 è stato sintetizzato

nel trattato monografico di circa 2000 pagine “Indoor Air Quality - A comprehensive

reference book”, a cui hanno contribuito tutte le principali istituzioni internazionali e molti

esperti di diverse aree disciplinari. Pur vecchio di quasi 10 anni ormai, questo volume

rappresenta tuttora il testo più completo esistente sull‟aria indoor, che si distingue dalle

altre pubblicazioni per la sistematicità della trattazione e per la qualità dei contributi

specifici.

Nel corso degli anni ‟90 e all‟inizio di questo secolo, il tema dell‟inquinamento degli

ambienti indoor ha raggiunto la sua maturazione ed è approdato nel nostro Paese, sia a

livello scientifico che a livello normativo ed istituzionale. A livello della comunità

scientifica, Maroni organizzò a Roma nel 1988 un Convegno sull‟Inquinamento Indoor in

collaborazione con il Comitato Ambiente del CNR e nel 1989 il Convegno Inquindoor in

collaborazione con il Comune e la Provincia di Milano. Da questi convegni derivò il primo

tentativo di interesse istituzionale ad opera del Ministro Giorgio Ruffolo, primo titolare del

neonato Ministero dell‟Ambiente, che nel 1990 diede vita ad una Commissione di Studio

sul fenomeno dell‟inquinamento indoor nel nostro paese.

Nello stesso tempo, nel Convegno di Stresa della SIMLII del 1990 e nel Simposio Qualità

dell‟Aria Interna e Salute tenutosi a Perugia nel 1991, vennero esposti i primi risultati delle

ricerche tenutesi in Italia sulla qualità dell‟aria dei lavoratori degli uffici. In seguito, anche

per effetto del Convegno Internazionale Healthy Buildings organizzato a Milano nel 1995 ,

il Ministro della Sanità istituì nel 1998 una specifica Commissione di Studio che ha

prodotto un Piano di Prevenzione per la Tutela e la Promozione della Salute negli

Ambienti Confinati. Tale piano ha poi generato le “Linee Guida per la Tutela e la

Promozione della Salute negli Ambienti Confinati” che, dopo essere state discusse nella

Introduzione

30

Conferenza Stato-Regioni, sono state pubblicate sulla G.U. n. 276 del 27.11.2001. Il Piano

elaborato dalla Commissione è un documento importante perché affronta in modo

sistematico il tema dell‟inquinamento dell‟aria indoor enunciando i principi a base della

politica di piano (Tabella 1), gli obbiettivi e le strategie di intervento (Tabella 2) e

l‟insieme delle proposte che sarebbe necessario affrontare (Tabella 3). Inoltre, per la prima

volta nel nostro paese, viene fornito un quadro complessivo dell‟impatto sanitario ed

economico delle principali malattie associate all‟inquinamento indoor che indica

chiaramente come la prevenzione, oltre che un dovere etico, è anche una opportunità di

risparmio di risorse per il Servizio Sanitario Nazionale.

Anche il D.Lgs. 626/94 ha in qualche modo risentito degli sviluppi delle conoscenze e

nell‟art. 33 ha proceduto ad un aggiornamento del vecchio art. 9 del DPR 303 del 1956,

anche se le prescrizioni in esso enunciate restano a nostro parere a livello ancora troppo

generico e sarebbero passibili di maggiore dettaglio per risultare più incisive (Tabella 4).

L‟importanza e l‟urgenza per ogni Paese di dotarsi di un Piano nazionale di prevenzione

per gli effetti sulla salute degli ambienti indoor è stata sottolineata dall‟Organizzazione

Mondiale della Sanità all‟interno del “Piano di prevenzione per la tutela e la promozione

della salute negli ambienti confinati” del 1999 dove si legge che “Gli sforzi fino ad ora

compiuti mostrano come il raggiungimento di un ambiente indoor sostenibile rappresenti

allo stato attuale, una sfida per le organizzazioni internazionali e per i governi. Occorre

che ciascuna comunità nazionale contribuisca alla risoluzione di questa sfida nei limiti

delle proprie conoscenze e nel contempo sia disponibile a far tesoro dell’esperienza altrui.

Per queste ragioni è sempre più necessario promuovere la cooperazione internazionale nel

campo della IAQ” .

Tabella 1. Linee Guida per la Tutela e la Promozione della Salute negli Ambienti Confinati - Principi a base

della politica di piano

1. Diritto per tutti, in particolare anziani, bambini e allergici, alla salute definita in accordo con l‟OMS, uno stato di completo benessere psicofisico e non solamente come “assenza di malattia”.

2. “Sostenibilità” degli edifici, dal punto di vista della progettazione, costruzione, ristrutturazione, e

gestione, per gli aspetti che riguardano l‟ambiente e l‟energia.

3. Prevenzione scientificamente giustificata, cioè fondata su solide conoscenze scientifiche e sulla

priorità della tutela degli interessi della sanità pubblica rispetto a quelli economici, dell‟industria,

del commercio e della produzione.

4. Partecipazione dei cittadini alla gestione delle politiche di intervento preventivo e rispetto delle

regole di sussidiarietà negli interventi tra Stato ed Enti Locali e tra Enti Locali e cittadini.

Introduzione

31

Tabella 2. Linee Guida per la Tutela e la Promozione della Salute negli Ambienti Confinati - Obiettivi

OBIETTIVI

1. Promuovere iniziative nell‟ambito della prevenzione e della promozione della salute per le

patologie correlate all‟ambiente indoor:

patologie cardio-respiratorie, oncologiche, asma, allergie, gli incidenti domestici, etc., e, allo

stesso tempo personalizzare gli interventi di prevenzione, partendo dai bisogni locali.

2. Migliorare il contesto ambientale, in particolare quello relativo agli ambienti confinati di vita e di

lavoro.

3. Rafforzare la tutela dei soggetti deboli (infanzia, donne in gravidanza, anziani, malati, classi

svantaggiate).

OBIETTIVI SPECIFICI

1. Conoscenza delle condizioni abitative e degli stili di vita della popolazione e promozione di stili

di vita sani.

2. Ambienti di lavoro che garantiscano benessere e produttività.

3. Ambienti di vita sani e sicuri; riduzione dell‟inquinamento domestico (specie l‟esposizione al

fumo passivo).

4. Incentivazione e, per taluni spetti, obbligo alla costruzione e ristrutturazione di edifici e di

ambienti igienicamente sani, compatibili con l‟ambiente ed efficienti nell‟uso dell‟energia.

5. Prevenzione dei costi sanitari e sociali legati all‟inquinamento indoor.

6. Tutela del consumatore e incentivo alla produzione ed al consumo di materiali/prodotti sani.

Introduzione

32

Tabella 3.Linee Guida per la Tutela e la Promozione della Salute negli Ambienti Confinati - Azioni proposte

a livello normativo e tecnico

Definizione dei requisiti funzionali degli ambienti e standard/valori guida di qualità dell’aria:

Prevenzione ambientale nelle scuole

Prevenzione ambientale nelle abitazioni

Linee di azione specifiche per sorgenti o inquinanti:

Fumo passivo (ETS)

Radon

Materiali per edilizia (compresi isolanti) e arredo

Prodotti chimici di largo consumo

Gas di combustione (in particolare Monossido di carbonio)

Agenti biologici (in particolare Allergeni)

Progettazione, costruzione e gestione degli edifici

Definizione di principi e standard che integrino gli strumenti normativi vigenti (Regolamento edilizio, Regolamento d‟igiene, Norme tecniche) finalizzandoli allo stato igienico-sanitario degli impianti aeraulici ed

al controllo della qualità dell‟aria.

Linee-guida dettagliate per la progettazione edilizia e per le soluzioni di ventilazione (portate di aria esterna

minime, griglie di ventilazione e misura del numero di ricambi d‟aria nelle residenza)

Strumenti di valutazione per la scelta dei materiali (ecolabel)

Regole per commissione e vendita degli edifici

Regole per la manutenzione degli edifici; istituzione obbligatoria del libretto di manutenzione

Regole per la progettazione gestione e manutenzione dei sistemi di ventilazione e climatizzazione, volte a

garantire la qualità per il consumatore

Accreditamento e certificazione dei servizi di manutenzione agli edifici

Accreditamento e certificazione dei consulenti e dei servizi per la qualità dell‟aria

Azioni previste a livello formativo

Formazione dei professionisti che operano nel settore edilizio, tecnologico-impiantistico e nei servizi di

prevenzione

Inserimento di qualità dell‟aria e prevenzione nei curricula delle scuole superiori e delle università

Addestramento e corsi di formazione specifici per personale sanitario e tecnico del SSN

Azioni previste a livello informativo e di educazione sanitaria

Produzione di materiale informativo scientificamente qualificato

Campagne informative per: popolazione generale, medici, ingegneri - architetti - impiantisti, proprietari

immobiliari, fornitori di servizi agli edifici, presidi delle scuole, tecnici degli enti locali, gestori di mezzi di

trasporto - stazioni - aeroporti

Azioni previste a livello di ricerca

Valutazione dell‟esposizione della popolazione (indagine sulle condizioni abitative e di vita, esposizione

ambientale e personale agli inquinanti, distribuzione dell‟esposizione, fattori determinanti, rapporto

sorgenti/esposizione, biomarkers, tecniche di valutazione dell‟esposizione, ecc.)

Valutazione degli effetti sulla salute e del rischio per la popolazione (studi epidemiologici, in particolare sul

rischio radon per i non fumatori e sugli effetti sinergici tra radon e fumo passivo, meccanismi d‟azione,

tecniche diagnostiche, allergie, asma, effetti respiratori, tumori, effetti sensoriali, SBS, ecc)

Metodi di misura e di studio delle sorgenti e degli inquinanti (standardizzazione delle tecniche di misura,

misura emissioni, sorgenti, complesse caratterizzazione POM, allergeni, agenti biologici, ecc.)

Tecniche per il miglioramento della qualità dell‟aria interna e per la conseguente riduzione del rischio per la

salute (tecniche di controllo delle sorgenti e di riduzione delle concentrazioni in aria, filtrazione dell‟aria,

sistemi di ventilazione, sensori e demandventilation, ecc)

Introduzione

33

Tabella 4.Decreto Legislativo n. 626/94

Articolo 33 - Adeguamento di Norme

6. L‟articolo 9 del DPR 19/3/56, n° 303, (Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi) è sostituito dal seguente:

Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi

1. Nei luoghi di lavoro chiusi, è necessario far sì che tenendo conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici ai

quali sono sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre in quantità sufficiente

2. Se viene utilizzato un impianto di aerazione, esso deve essere sempre mantenuto funzionante. Ogni

eventuale guasto deve essere segnalato da un sistema di controllo, quando ciò è necessario per salvaguardare

la salute dei lavoratori.

3. Se sono utilizzati impianti di condizionamento dell‟aria o di ventilazione meccanica, essi devono

funzionare in modo che i lavoratori non siano esposti a correnti d‟aria fastidiosa.

4. Qualsiasi sedimento o sporcizia che potrebbe comportare un pericolo immediato per la salute dei lavoratori

dovuto all‟inquinamento dell‟aria respirata deve essere eliminato rapidamente.

1.3.1 SICK BUILDING SYNDROME

Sick building syndrome è un termine coniato nel 1987 dall‟OMS per la crescente

importanza assunta dall‟inquinamento negli ambienti interni. Uno studio dell‟università

dell‟Aquila (2004) sull‟inquinamento indoor spiega che la diagnosi di SBS si basa

essenzialmente sul rilievo epidemiologico di sintomi associati e concorrenti (2 o più

sintomi concomitanti) che interessano una fetta consistente di soggetti (ad es., 20-50%)

occupanti per lavoro uno stesso ecosistema del tipo edificio sigillato, in cui qualità

dell‟aria, ambiente termico e luminoso sono controllati artificialmente in varia misura. È

ammesso da tutti gli autori che una percentuale “fisiologicamente bassa” di soggetti

sintomatici sia sempre presente anche negli edifici “sani” (healthy buildings).

I sintomi più frequenti sono costituiti da irritazioni cutanee, oculari e di altre mucose, da

turbe del sistema nervoso (senso di fatica, cefalea, letargia) e da sensazioni varie, come un

mal spiegato senso di oppressione toracica.

I sintomi sono di solito lievi, si presentano con frequenza almeno settimanale, migliorano

con l‟allontanamento dal luogo di lavoro. Numerose indagini hanno evidenziato che questa

sindrome è più frequente negli uffici situati in edifici di tipo moderno con aria

condizionata, a paragone di quelli collocati in costruzioni tradizionali con ventilazione

naturale. La patogenesi dei disturbi non è chiara, anche se nella maggior parte dei casi sono

da escludere fenomeni di tipo allergico.

La presenza all‟interno degli edifici di alcune sostanze specifiche può essere la principale

causa di malattie caratterizzate da un quadro clinico ben definito, per questo chiamate

malattie associate agli edifici “Buiding-Related Illness”(BRI). Gli agenti comunemente

implicati possono essere di natura chimica, fisica o biologica (fumo di tabacco, polvere,

formaldeide, radon, amianto, microrganismi, allergeni etc.).

Introduzione

34

Molte cause legate ai problemi di salute indotti dagli edifici, risiedono soprattutto

nell‟inquinamento biologico dell‟aria (acari, forfora di animali, funghi, muffe, batteri).

Non esiste alcuna definizione uniforme della sindrome e manca un accordo internazionale

per far la diagnosi conseguente.

Manca altresì la definizione di agente causale, anche se alcune voci sono più ricorrenti

quali: errori di gestione della ventilazione forzata e/o della climatizzazione, ricambi d‟aria

insufficienti, affollamento di ambienti condivisi, lavoro prolungato con videoterminali,

presenza di microinquinanti a livelli fino a decine di volte inferiori al valore TWA,

presenza di un livello educativo sanitario e socio-economico piuttosto “basso” tra i soggetti

interessati.

Quest‟ultimo aspetto ha indirizzato vari autori a considerare le SBS nell‟ambito dei

disturbi a carattere psicosomatico e del disagio psico-sociale.

In ogni caso, a livello preventivo la sindrome riveste grande importanza perché: a) può

comportare una “perdita” aziendale (loss) anche notevole per ridotta produttività,

assenteismo e possibile contenzioso per indennizzo; b) il problema della qualità dell‟aria

indoor e del microclima degli spazi confinati è sempre più visto come rilevante per una

società in cui gli individui spendono più del 90% del proprio tempo in ambienti chiusi, tra

casa, lavoro, supermercati, palestra e locali di divertimento. La profilassi medica della

sindrome è tuttavia non praticabile secondo i canoni consolidati della sorveglianza

sanitaria, in quanto trattasi di un work-related problem piuttosto che di una work-related

disease.

Sul piano medico legale, non risulta ipotizzabile alcuna fattispecie di tipo infortunistico, se

non altro per la dirimente non identificabilità, nei casi che giungono ad osservazione, di

una qualsiasi “causa violenta” nelle sue note attribuzioni di ordine cronologico

(concentrazione nel tempo), qualitativo, quantitativo e modale.

Ma anche in merito alla definizione di malattia professionale una rigorosa applicazione

della criteriologia medico legale nella verifica di causalità non consente di suffragare

l‟ammissione di un‟effettiva correlazione causa-effetto. Risultano infatti labili sia la

consistenza dell‟associazione tra agenti e sintomi (mancano autorevoli studi concordanti),

sia la forza (manca una qualsiasi stima di un rischio relativo e di un gradiente dose-effetto),

sia la specificità (è indefinibile a quale specifica esposizione corrisponda una specifica

malattia o almeno una sindrome), sia la coerenza (nessuna plausibilità biologica emerge

dall‟analisi della patogenesi).

Introduzione

35

Lo stesso criterio della temporalità (ogni causa deve precedere il suo effetto) è messo in

discussione proprio in virtù della mancata dimostrazione di uno/più chiaro/i agente/i

causale/i.

Un utile riferimento in materia di inquinamento indoor è l‟Accordo Stato Regioni recante

“linee guida” per la tutela e la promozione della salute negli ambient i confinati (G.U.

27.11,2001, n.275, s.o. n.252) elaborate dal Ministero della Salute dove viene ribadita

l‟importanza di “un programma nazionale di ricerca su tematiche, quali la valutazione

dell’esposizione e del rischio per la popolazione o l’approfondimento di metodi di misura

e di studio delle sorgenti e degli inquinanti negli ambienti confinati”.

E‟ opportuno che i risparmi energetici conseguiti con l‟isolamento dell‟involucro

(L.373/76, L.10/91) vengano affiancati da adeguate misure correttive o preventive che

mirino ad ottimizzare il rapporto edificio/ambiente. Durante la fase di progettazione è

opportuno considerare con attenzione la configurazione e l‟articolazione interna

dell‟edificio in relazione alla qualità dell‟aria interna, ad esempio: limitando l‟ingresso di

inquinanti, attraverso spazi-filtro tra l‟esterno e i locali abitati; circoscrivendo le attività

inquinanti in luoghi dedicati; favorendo la circolazione d‟aria negli ambienti ed evitando il

ristagno di umidità, mediante affacci multipli, presenza di cavedi e dimensionando

adeguatamente gli ambienti.

All‟atto della progettazione si deve prevedere l‟impiego di materiali con bassa emissività

di sostanze inquinanti, la presenza di aperture finestrate e volumi che consentano una

buona ventilazione, l‟isolamento del terreno sottostante, etc..

Occorre limitare l‟impiego di materiali pericolosi o insalubri scegliendo materiali

igienicamente idonei. A tal fine è necessaria la definizione di procedure tecniche standard

di saggio delle emissioni, classificazione dei materiali per le proprietà igieniche e

ambientali, etichettatura e marchi di qualità dei prodotti per l‟orientamento dei

professionisti del settore e dei consumatori, tenendo conto anche di quanto previsto dalla

Direttiva 89/106/CEE, concernente i materiali da costruzione.

Per gli impianti di ventilazione/condizionamento occorre garantire una adeguata

progettazione, installazione e collaudo, con particolare attenzione al posizionamento delle

bocchette di aspirazione, nel rispetto di tutti gli standard UNI, ISO, CEN e ASHRAE sulle

condizioni di progetto, i carichi termici, portate di aria esterna, emissioni di contaminanti

ecc..

Introduzione

36

1.3.2 IL CALL-CENTER: STORIA E MERCATO

L‟Health and Safety Executive (HSE) definisce il Call-center come “un ambiente di lavoro

in cui l‟attività principale è svolta attraverso il telefono e l‟uso contemporaneo di

attrezzature munite di videoterminali. Il termine call-center include parti di aziende

dedicate a questa attività quali ad esempio help-line o aziende interamente dedicate a

questa attività”.

L‟operatore risulta “un impiegato la cui mansione comporta che dedichi una significativa

parte del suo tempo nel rispondere alle chiamate via telefono e nel contempo utilizzi

attrezzature munite di videoterminali”. Un Call-Center è, dunque, un ufficio o un centro

preposto alla gestione delle chiamate telefoniche (call) in entrata e in uscita da

un‟organizzazione. È possibile individuare quattro fasi nella storia del Call-Center che

corrispondono alla sua graduale evoluzione in Contact Center, inteso come ufficio, o

centro, preposto alla gestione dell‟insieme dei canali di contatto con l‟esterno, quali il

telefono, il fax, la posta elettronica, gli sms, il Web.

1. Negli anni Sessanta il Call-Center si identifica con l‟Ufficio Reclami (Claim

Office). Esso nacque nel 1967 presso la Ford per rispondere ai reclami dei clienti per i

difetti di fabbricazione delle autovetture. Ford e AT&T idearono il numero 800 (il numero

verde) con cui i clienti potevano contattare gratuitamente la Ford e chiedere le

informazioni opportune. La tecnologia utilizzata era il telefono.

2. Negli anni Settanta e Ottanta il Call-Center consolida il suo ruolo di Ufficio

Reclami ma inizia ad assistere i clienti durante l‟intero ciclo di vita del prodotto o del

servizio con l‟obiettivo di mantenere e migliorare il rapporto con il cliente e ridurre il tasso

di abbandono. In particolare in questa fase iniziano ad essere costruiti archivi e data base

per raccogliere e catalogare le informazioni provenienti dai clienti in termini di tipologia di

richiesta e soluzione proposta. Inizia cioè a svilupparsi un‟attenzione crescente verso il

marketing. La tecnologia prevalente è ancora il telefono ma con la nuova soluzione ACD

(Automatic Call Distribution): un sistema che permette di creare file di attesa dando

priorità diversa alle telefonate. In Italia il numero verde nasce nel 1987.

3. Negli anni Novanta il Call-Center si trasforma in Contact Center. Il dialogo con il

cliente viene veicolato da differenti canali di comunicazione (telefono, fax, mail, sms,

Web); inoltre, l‟operatore inizia a disporre di un archivio che serve a soddisfare le richieste

del cliente, archivio che viene ampliato e arricchito con le informazioni che si ricavano da

ogni contatto con il cliente. La tecnologia prevalente è la CTI (Computer Telephony

Integration), che consente di integrare le prestazioni del telefono con quelle del computer.

Introduzione

37

Si consolidano le funzioni di marketing anche se l‟obiettivo prevalente del Contact Center

è sempre quello di assistere il cliente e ridurre il tasso di abbandono.

4. Dalla fine degli anni Novanta a tutt‟oggi muta l‟obiettivo strategico del Contact

Center: da mero centro di assistenza in centro che, oltre all‟assistenza, diventa responsabile

delle attività di vendita e negoziazione con il cliente. Il Contact Center diventa pertanto

uno degli attori principali delle strategie di marketing dell‟impresa. Causa ed effetto di

questa metamorfosi è l‟esplosione delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione

che integrano sempre più le tecnologie di telefonia (ACD, CTI, IVR, ecc.) con quelle Web

(chat, email, voice-on-IP, ecc.). La tecnologia attuale consente infatti la gestione unificata

e trasparente di tutte le modalità di contatto del cliente con il Contact Center e la

distribuzione delle chiamate in ingresso verso singoli o gruppi di operatori secondo

strategie diverse.

Di norma, i servizi offerti dai Contact Center vengono distinti in due classi principali:

- servizi inbound (in entrata): si tratta di servizi erogati a fronte di richieste in

entrata quali: informazioni su prodotti e servizi dell‟organizzazione, assistenza tecnica

(help desk), consulenza, assistenza post-vendita, gestione reclami;

- servizi outbound (in uscita): si tratta di servizi erogati in uscita

dall‟organizzazione per raggiungere i propri clienti o l‟intera classe dei potenziali clienti

quali: vendita diretta per telefono, indagini sul grado di soddisfazione del cliente,

campagne pubblicitarie, recupero crediti, ecc.

I call-center (CC) rappresentano un settore lavorativo in crescente espansione: secondo i

rapporti e le stime il numero di operatori è passato da 700 nel 1993 a circa 250 000 nel

2007, impiegati presso 1400 aziende presenti in Italia (Datamonitor 1998, Customer

Management Multimedia Competence 2006).

Introduzione

38

Tabella 5.Crescita del numero di operatori nei call-center (Datamonitor e CMMC)

Il fatturato è passato da 3,5 miliardi nel 2002 a 4,3 nel 2004.

In Italia sono nati inizialmente in aree caratterizzate da una forte economia nel settore

industriale. Più del 60% sono localizzati nel nord Italia, 26% nel centro e solo il 10% al

sud; più della metà sono situati in aree metropolitane.(Altieri, 2002).

A partire dalla fine degli anni '90, in concomitanza con la crescita del numero di CC, sono

state realizzate ricerche allo scopo di indagare quali elementi peculiari di questo ambiente

di lavoro potessero avere un maggior impatto sulla salute dei lavoratori.

I layout sono concepiti con postazioni riparate e protette per contrastare le interferenze

ambientali, con il conseguente isolamento sociale degli operatori. Pertanto l'organizzazione

del lavoro ha un impianto di tipo tayloristico ed il ruolo, dei lavoratori è paragonabile a

quello degli operai (i c.d. "operai del terziario avanzato").

A partire già dagli anni ottanta una serie di accordi sindacali e interventi legislativi hanno

progressivamente intaccato le “rigidità” del rapporto di lavoro subordinato facendo

affermare l‟uso di forme di lavoro precarie, definitivamente recepite in termini di legge

prima nel “pacchetto Treu” e successivamente nella legge 30.

La profonda trasformazione che ha investito il mercato del lavoro italiano ha prodotto

anche la totale flessibilità del tempo di lavoro (nella dimensione del tipo di orario come in

quella della durata).

Il call center è stato uno dei luoghi di lavoro dove è stato più massiccio ricorso al lavoro

precario e alla flessibilità degli orari.

In alternativa al contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato sono utilizzate quasi

tutte le tipologie di lavoro precario, quasi sempre abbinate al lavoro part-time: i contratti a

termine; il lavoro interinale/somministrato; i contratti di formazione lavoro / inserimento; i

tirocini formativi; l‟apprendistato, i piani di inserimento professionale; le collaborazione

Introduzione

39

coordinate e continuative con e senza partita iva; il lavoro a progetto; le prestazioni d'opera

occasionale; il lavoro a domicilio; il telelavoro, etc..

Una ultima notazione riguarda un importante aspetto ossia la prevalente caratteristica di

temporaneità e variabilità del lavoro che induce evidentemente una maggiore possibilità di

cambiamenti del posto di lavoro e diversificazioni delle condizioni di rischio nel corso

della vita lavorativa che possono porre in difficoltà il Medico del Lavoro allorché egli

debba conoscere e valutare l'effettiva condizione di rischio integrato e cumulativo della

persona.

In definitiva, occorre attentamente valutare i problemi di tracciabilità e/o memoria del

rischio, soprattutto per patologie di carattere cronico degenerativo (oggí assolutamente

prevalenti) dal momento poi che maggiore precarietà può significare anche maggiore

vulnerabilità e minore tutela, con possibile effetto di mascheramento o minore

apprezzamento di problemi di igiene e sicurezza. La gestione dei CC può essere interna

all'azienda (strutture "in-house") o affidata a società esterne specializzate (outsorcing),

soluzione quest'ultima in crescendo anche in Italia dove, secondo Datamonitor, si passerà

dalle 6.200 postazioni in outsourcing del 2000 alle 11.000 del 2005.

Indipendentemente dalla gestione in-house o in outsourcing, il team del CC è complesso

intreccio di figure professionali. Accanto al Direttore Generale Call Center (o Operation

Manager o Responsabile Operativo), che ha la responsabilità operativa, commerciale ed

amministrativa del CC e alle altre figure manageriali con le varie responsabilità operative

specifiche nei settori della produzione, vendite, qualità, strategie, sistemi informativi e

formazione, troviamo una serie di altre figure professionali più direttamente coinvolte

nella gestione delle chiamate i cui ruoli, possono essere così definiti:

• Supervisore: persegue l'ottimizzazione delle risorse assegnategli, nella gestione operativa

quotidiana dell‟attività, nel raggiungimento delle performance e dei risultati attesi. Ha la

responsabilità gerarchica dei Team Leader e‟ responsabile dell'inserimento delle nuove

risorse, del loro addestramento operativo, della loro motivazione e della loro valutazione.

Può lavorare su turni.

• Team Leader: ha funzioni di coordinamento di gruppi di Operatori, che controlla e

supporta intervenendo nella gestione dei picchi e nelle chìamate complicate o delicate.

Lavora su turni.

• Operatore Call Center: addetto che svolge attività di front-office di tipo inbound e/o

outbound (gestione di chiamate in entrata e/o in uscita). Lavora ,turni part-time o full-time

con diversi tipi di contratti: tempo indeterminato tempo determinato, interinale, formazione

lavoro, stagista.

Scopo del lavoro

40

2. SCOPO DEL LAVORO

La salute e la sicurezza sul luogo di lavoro rappresentano oggi uno degli aspetti più

rilevanti ed avanzati della politica sociale dell'Unione Europea, quali componenti integranti

della gestione della qualità del lavoro ed elementi determinanti per l‟accrescimento della

competitività economica. La valorizzazione di questi temi da parte dell'azione comunitaria

tocca, da una parte, l'aspetto normativo, dall‟altra, si traduce nelle numerose attività

d'informazione, orientamento e promozione in favore di un ambiente di lavoro sicuro e

sano portate avanti dalle istituzioni europee in collaborazione con l'Agenzia europea per la

sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA) e con la Fondazione europea per il

miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofund).

Le norme di sicurezza sui luoghi di lavoro e gli adempimenti che ne derivano

costituiscono, in tal senso, l‟occasione per diffondere all‟interno dell‟azienda la cultura

della sicurezza sul lavoro e per sollecitare il coinvolgimento e la convinta partecipazione

di ogni persona, struttura e parte aziendale in un processo continuo di crescita collettiva.

Il presente lavoro si pone come obiettivo quello di descrivere i potenziali fattori di rischio

presenti all‟interno dei call-center, analizzare nello specifico il rischio microbiologico a cui

sono esposti i lavoratori con conseguente rischio per la salute (intendendo come stato di

salute il benessere psico-fisico dell‟individuo) e valutare le condizioni dell‟organizzazione

e dell‟ambiente di lavoro.

I call-center rappresentano una delle forme di occupazione con sviluppo più rapido. In

Europa, 1,3% (più di 2 milioni di persone) del totale della forza lavoro è stata impiegata

nei call-center nel 2002.

In Italia il fenomeno è partito in leggero ritardo ma i call-center rappresentano un settore

lavorativo in crescente espansione: secondo i rapporti Datamonitor e le stime del Customer

Management Multimedia Competence il numero di operatori è passato da 700 nel 1993 a

circa 250 000 nel 2007, impiegati presso 1400 aziende presenti in Italia.

Nella prima parte del lavoro si sono analizzate le normative specifiche nel campo della

tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, mettendo in luce come l'argomento

sia non solo un interesse specifico di un particolare settore della società, ma la coinvolga

tutta, tanto che l'evoluzione nel tempo della legge da una parte individua e perfeziona degli

strumenti applicativi efficaci, quali la valutazione dei rischi e la formazione,

dall'altra accoglie dei concetti generici avvicinandosi ai principi fondamentali della nostra

Costituzione.

Scopo del lavoro

41

Nella seconda parte del lavoro, usando come riferimento la letteratura e gli studi

disponibili, vengono analizzati i principali fattori di rischio a cui i lavoratori dei call-center

sono esposti sia fisicamente che psicologicamente in un concetto di stress correlato al

lavoro; l‟attenzione è stata focalizzata in particolare sul rischio microbiologico di cui viene

fatta un‟esperienza di monitoraggio in un call-center piemontese scelto come caso studio.

Viene anche trattato a livello descrittivo il microclima in quanto un ruolo significativo

nell‟influenzare la presenza e la concentrazione di agenti biologici, è rivestito dagli

impianti di climatizzazione, che meritano una particolare attenzione sia in fase di

progettazione che di manutenzione. Gli impianti di climatizzazione, infatti, svolgono

funzioni di controllo sulla temperatura e sull‟umidità dell‟aria, assicurano il ricambio

d‟aria, la filtrazione delle polveri e delle altre particelle aerotrasportate. In questo lavoro,

dunque, è stato affrontato dal punto di vista igienico-sanitario il problema della qualità

dell‟aria in ambienti confinati forniti di impianti di condizionamento, con l‟obiettivo di

svolgere un‟indagine microbiologica per la verifica dell‟eventuale presenza di

microrganismi rinvenibili nell‟aria indoor. Con questo obiettivo, a seguito di un

sopralluogo conoscitivo all‟interno dei locali del caso studio, si è proceduti con

un‟indagine quantitativa microbiologica sull‟aria indoor per valutare i livelli generali di

contaminazione microbica (attraverso l‟utilizzo di un campionatore attivo ad impatto

ortogonale) e quindi di ottenere una stima del grado di salubrità ambientale. Si sono

ricercati 5 parametri di cui la carica batterica totale psicrofila (indicatore della

contaminazione batterica ambientale), la carica batterica totale mesofila (indicatore della

contaminazione di origine umana e animale), la carica fungina totale e due patogeni: P.

aeruginosa e S. aureus. I risultati delle analisi sono stati valutati secondo tre indici di

contaminazione microbiologica dell‟aria che evidenziano, in ambienti di lavoro confinati,

le dinamiche di contaminazione dell‟aria e sono correlati ad un giudizio sulla qualità

dell‟aria. Essi sono l‟IA (Indice di amplificazione), l‟IGCM (Indice Globale di

Contaminazione Microbica ) e l‟ICM ( Indice di Contaminazione da batteri mesofili).

Fattori di rischio

42

3. PRINCIPALI FATTORI DI RISCHIO NEI CALL

CENTER

STRESS LAVORATIVO

Ci sono alcune caratteristiche del lavoro nei call-center che sono potenzialmente fattori di

stress ma sono difficilmente modificabili:

La comunicazione telefonica esclude la relazione faccia a faccia con le persone: ne

consegue la difficoltà a cogliere e controllare quei messaggi non verbali che

esprimono le reazioni degli interlocutori.

Interazione di breve durata con estranei: è molto improbabile che ci sia un contatto

ripetuto tale da permettere una qualche relazione.

Relazione con grande varietà di persone e di problemi. Difficile prevedere con

precisione la natura delle richieste.

Scarsa opportunità di verificare l‟esito di un contatto col cliente attraverso un

successivo contatto che, se c‟è, riguarderà quasi certamente un altro operatore .

Ci sono altre caratteristiche per le quali si possono ipotizzare linee di intervento

(Cattaneo,2007):

1. Carichi di lavoro :Richieste non realistiche al management del call-center portano

facilmente a richieste non realistiche per gli operatori del call-center. Quando le richieste

eccedono la potenzialità è necessario apportare le necessarie variazioni a richieste e/o

risorse. In ogni caso sono indispensabili momenti di recupero psicofisico (pause).

Possibili linee di intervento:

Gli obiettivi sono decisi attraverso la consultazione e l‟accordo con i lavoratori

attraverso RLS, rappresentanti sindacali, apposita commissione. In ogni momento il

numero di operatori attivi deve essere adeguato ai carichi di lavoro.

Pause: l‟intensità di lavoro nel call-center è tale per cui regolari interruzioni

dell‟uso del telefono sono essenziali per proteggere la salute degli operatori. In

linea generale, poiché l‟obiettivo è quello di prevenire lo squilibrio tra risorse

psicofisiche e richieste che determina lo stress, la letteratura scientifica concorda

sulla necessità di pause brevi e frequenti. Per questo è necessario, nel caso in cui

l‟organizzazione del lavoro sia caratterizzata da elevata intensità di telefonate, che

il sistema telefonico preveda pause tra una telefonata e l‟altra. Inoltre gli impiegati

del call-center sia part-time che fulltime devono avere ogni ora una pausa durante

la quale non adoperano il telefono e sono lontani dalle postazioni di lavoro. In sede

Fattori di rischio

43

di valutazione dei rischi e individuazione delle misure di prevenzione, dovrà essere

definita la durata delle interruzioni in funzione dei ritmi lavorativi. Resta ferma

ovviamente l‟interruzione di almeno quindici minuti ogni centoventi minuti

(art.175 D.Lgs 81/08).

2. Controllo sul lavoro/autonomia: La scarsissima possibilità di controllo che gli

impiegati dei call-center hanno sul lavoro (autonomia sia nelle modalità che nei tempi) è

stata identificata come un fattore decisivo di stress lavorativo. I lavori con alta domanda e

basso controllo il più delle volte sono molto stressanti.

Possibili linee di intervento:

Ridurre al minimo schemi rigidi per la conversazione col cliente assicurando un

addestramento che permetta all‟operatore di gestire la telefonata utilizzando le

proprie capacità e conoscenze.

Coinvolgere attivamente gli operatori nella pianificazione del lavoro, definizione

dei tempi per telefonata, programmazione dell‟addestramento.

3. Contenuti della mansione: Monotonia e ripetitività sono significativamente

correlati alla depressione lavoro-correlata e ai bassi livelli di soddisfazione lavorativa.

Possibili linee di intervento:

Alternare quando possibile il lavoro al telefono con attività diverse nell‟ambito del

turno lavorativo.

Ruotare il personale su postazioni che si caratterizzano per richieste di tipo diverso

(variano i problemi che si devono affrontare).

4. Addestramento: Se la formazione degli operatori e l‟esperienza sono insufficienti, il

rischio di stress è molto marcato: per questo deve essere messo in atto un addestramento in

grado di permettere agli operatori di gestire ogni telefonata con la massima competenza; un

addestramento adeguato e appropriato deve essere messo in atto anche quando vengono

introdotte nuove attrezzature o sistemi prima che vengano richiesti nuovi livelli di

produttività. Nella maggior parte dei casi sono indispensabili aggiornamenti regolari per

mantenere e consolidare la formazione. Un adeguato addestramento è peraltro elemento

fondamentale per poter fare ruotare, laddove possibile, gli operatori su compiti diversi

evitando gli effetti negativi di monotonia e ripetitività. Le necessità formative saranno

verificate in sede di riunione periodica come da art. 35 e D.Lgs.81/08 e comunque

attraverso confronto con i rappresentanti dei lavoratori.

5. Controllo sulle telefonate: Può essere di tipo quantitativo (quante telefonate sono

state accettate, la lunghezza della telefonate, quanto tempo passa per un operatore tra una

telefonata e l‟altra) o di tipo qualitativo, al fine di rilevare la qualità delle telefonate in

Fattori di rischio

44

genere attraverso l‟ascolto delle telefonate stesse (con l‟obiettivo di verificare il grado di

soddisfazione del cliente). Il rischio della pratica del controllo delle telefonate è legato allo

stress che può essere causato da un controllo eccessivo o inadeguato, o dalla scelta della

persona che può essere sottoposta a un controllo troppo ripetitivo o anche dal momento in

cui viene svolto. Dirigenti e preposti devono essere consapevoli della inutilità di controlli

troppo pesanti, incrociati, a sorpresa ecc. che tengono sotto pressione i lavoratori senza

ottenere un reale miglioramento delle prestazioni.

Possibili linee di intervento:

Le politiche di controllo vengono messe a punto con la consultazione degli

operatori: gli operatori del call-center sono coinvolti nelle modalità con cui viene

effettuato il monitoraggio, modalità che sono quindi chiare a tutti e condivise.

Si da garanzia che il controllo è utilizzato solo a fini statistici e con l‟obiettivo di un

miglioramento della attività e non dovrà in alcun caso penalizzare o discriminare i

lavoratori: in particolare non dovrà configurarsi come un controllo a distanza dei

lavoratori né come un sistema di comparazione delle performance di gestione (chi

prende più chiamate o in minor tempo).

6. Valutazione delle prestazioni: Valutazioni obbiettive, coerenti e ben condotte delle

prestazioni sono certamente utili a creare un miglior clima di lavoro. Valutazioni efficaci di

prestazioni sono:

Basate sui dati che sono stati elaborati e condivisi con gli operatori di call center.

Documentate, coerenti, corrette, costruttive, relative sia alla quantità che alla

qualità.

Condotte da persone addestrate all‟utilizzo oggettivo, appropriato e corretto della

valutazione e del suo feed-back.

7. Flessibilità: Purché sia assicurata la operatività di un numero sufficiente di

personale in funzione del numero e del tipo di telefonate e della necessità di permettere

adeguate pause, è necessario ridurre il più possibile la rigidità in merito a orari, pause,

turni: ciò naturalmente con la condivisione dei lavoratori e delle loro rappresentanze con

l‟obiettivo di tenere in considerazione le loro diverse esigenze.

8. Turni: Occorre che tra un turno di lavoro e l‟altro ci sia un tempo adeguato per

impedire un eccesso di affaticamento negli devono passare meno di 12 ore. I turni devono

essere assegnati in modo non coercitivo e in modo tale da assicurare che ogni impiegato

abbia 2 giorni di pausa ogni settimana. Quando ci sono tanti turni brevi (es. 3-4 ore)

occorre studiare bene l‟organizzazione dei giorni di pausa attraverso una consultazione con

Fattori di rischio

45

gli operatori. Tutti i turni devono prevedere delle pause. Quelli superiori alle 5 ore, devono

prevedere le pause pranzo.

Per quanto riguarda la sequenza dei turni:

Più rapida la rotazione (ciclo continuo es. mattino, pomeriggio, notte) più

rapidamente si riesce a compensare con il riposo. Se il medesimo turno è protratto

per parecchi giorni, vengono alterati i ritmi biologici e si ha un debito di sonno e

affaticamento più lento da recuperare.

Il senso della turnazione più fisiologico è quello orario (mattina, pomeriggio, notte)

rispetto a quello antiorario (notte, pomeriggio, mattina).

Più turni notturni consecutivi rendono difficoltoso un completo recupero di sonno:

sono preferibili turni notturni con rotazione rapida seguiti dal giorno di riposo.

9. Telefonate aggressive/moleste: Telefonate aggressive o moleste sono causa di

stress. L‟impatto dipende dalla gravità, dalla

frequenza, dalla possibilità di un supporto

all‟operatore “vittima”.

Possibili linee di intervento:

Affrontare le cause di telefonate aggressive (es.

lunghi tempi di attesa, informazioni scritte

poco precise o sbagliate, mancanza di

addestramento o supporto).

Sviluppare procedure chiare in caso di

telefonate aggressive.

Prevedere un supporto dopo una telefonata aggressiva.

Prevedere un periodo di pausa dopo una telefonata aggressiva.

Monitorare le telefonate moleste assicurando gli operatori coinvolti sulla messa in

atto di azioni di tutela da parte dei responsabili aziendali.

10. Hot-desk: Condizione in cui gli operatori non hanno una postazione di lavoro

esclusiva ma utilizzano la postazione disponibile. La non disponibilità di spazio

personalizzato dove tenere materiale di lavoro o personale e possibili problemi ergonomici

e di igiene possono essere fonte di stress. Per questo è una condizione che andrebbe

limitata il più possibile. Quando ciò non è possibile occorre però un organizzazione che dia

all‟operatore il tempo di “personalizzare” il più possibile la postazione di lavoro.

Fattori di rischio

46

RUMORE

1. Rumore ambientale: Diversamente dal contesto industriale, il rumore di fondo nel

call-center ha una dominante componente vocale. L‟accumularsi di una molteplicità di

conversazioni contemporanee, se non controllato, è in grado di disturbare la necessaria

concentrazione rendendo più difficoltoso l‟ascolto in cuffia, e come tale è un sicuro fattore

di stress. Costringe poi ad alzare la voce contribuendo all‟affaticamento vocale (in un

evidente circolo vizioso) e/o ad alzare il volume delle cuffie causando affaticamento

uditivo.

Linee di intervento:

Garantire che il call-center sia costruito con materiali fonoassorbenti.

Garantire che macchine come fotocopiatrici, fax siano separate dall‟ambiente di

lavoro del call-center.

Provvedere a un adeguata compartimentazione del rumore (pannelli divisori,

adeguata distanza fra operatori).

Prevedere che riunioni o incontri si svolgano fuori dal call-center.

Dare preferenza a cuffie dotate di microfono del tipo a cancellazione del rumore, in

grado di migliorare il segnale trasmesso e minimizzare il rumore di fondo anche nel

ritorno locale in cuffia (parte del suono ascoltato dall‟operatore è infatti costituito

da quanto captato dal proprio microfono).

Prevedere la possibilità, in base alla tipologia di chiamate gestite e all‟ambiente

circostante, di adoperare cuffie bilaterali (binaurali) a favore di un maggiore

isolamento acustico.

Addestramento a un corretto posizionamento dei microfoni.

C‟è una posizione ottimale del microfono davanti alla bocca dell‟operatore per evitare un

eccesso di impegno vocale per chi sta al telefono. Una posizione scorretta può costringere

l‟operatore ad alzare la voce per essere sentito dal cliente. Ciò determina un affaticamento

vocale e un aumento del rumore di fondo. Ogni operatore del call-center deve essere

addestrato sul corretto posizionamento del microfono.

2. Rumore in cuffia: Non vi sono rischi specifici di danni uditivi sugli operatori che

impiegano dispositivi di ricezione. Ci sono peraltro numerose indagini che mettono in

evidenza livelli di esposizione a rumore significativi, spesso superiori agli 80dB (A).

Linee di intervento:

Procedere alla valutazione del rischio rumore.

Fattori di rischio

47

Ridurre il più possibile il rumore di fondo separando le postazioni e aumentando

l‟assorbimento acustico delle pareti e del soffitto.

Informare/formare gli operatori sul corretto uso dei dispositivi di ricezione: una

regolazione troppo alta dell‟amplificazione della voce dell‟interlocutore determina

una esposizione maggiore a rumore: d‟altra parte anche i volumi d‟ascolto

eccessivamente bassi sono causa di stress provocato dallo sforzo per compensare

un‟insufficiente intellegibilità.

3. Shock acustico: Incidenti da shock acustico sono causati da un abnorme

stimolazione riflessa del sistema neurovegetativo. Il fenomeno è dovuto a un improvvisa

scarica rumorosa all‟interno della cuffia che si associa a una condizione di iperattività

nervosa. Il rischio è accresciuto se più incidenti occorrono in un periodo di tempo breve.

Va anche sottolineato che il rischio è ulteriormente accresciuto se l‟operatore è già

stressato.

A seconda della gravità delle conseguenze dello shock acustico si provvederà o ad

assegnare una mansione diversa o a interrompere momentaneamente il lavoro.

Possibili linee di intervento:

Provvedere a che tutti gli operatori e il management siano addestrati a riconoscere i

sintomi dello shock acustico e sappiano quali sono le cose da fare nel caso di un

tale evento.

Provvedere a che in tutte le postazioni di lavoro sia possibile il controllo manuale

del volume in ascolto (se non presente nell‟apparato telefonico, che sia associato

alla cuffia stessa).

Utilizzare per la prevenzione dello shock acustico cuffie con dispositivi in grado di

contrastare scariche o comunque suoni elevati all‟interno della cuffia.

USO PROLUNGATO DELLA VOCE

La principale attività degli operatori di call-center è quella di parlare oltre che ascoltare. È

chiaro che dover parlare eccessivamente rende possibile problemi di affaticamento vocale.

Data la variabilità degli ambienti è difficile dire quale sia l‟entità dello sforzo vocale in

grado di provocare danni. I call-center dove le telefonate (in-bound o out-boud) sono

costanti sono un rischio per la voce maggiore di quelli dove le telefonate sono meno

frequenti e dove vengono svolti anche compiti amministrativi. Scritti lunghi o scritti senza

pausa costituiscono un rischio maggiore rispetto agli scritti brevi che richiedono pause.

Altro fattore di sollecitazione è il grado di ripetitività di quello che si dice e i livelli di

stress (es. rispondere a clienti aggressivi)

Fattori di rischio

48

Possibili linee di intervento:

Prevedere regolari interruzioni nell‟uso della voce ogni ora.

Definire un obiettivo ragionevole di telefonate per non determinare un utilizzo

eccessivo della voce .

Prevedere un sistema telefonico che includa pause tra una telefonata e l‟altra.

Gli scritti prestampati includono pause all‟interno delle telefonate.

Preregistrare un‟introduzione con presentazione e altre informazioni più

frequentemente richieste come orario di apertura, indirizzo di posta elettronica,

numero di fax.

Il rumore di fondo deve essere tale da non rendere necessario alzare il livello della

voce.

IMPEGNO VISIVO

L‟affaticamento visivo è uno dei principali rischi che viene associato al lavoro al computer

e questo riguarda anche i lavoratori di call-center che normalmente utilizzano il computer

in modo intensivo. I sintomi comprendono senso di tensione agli

occhi, visione confusa, pesantezza agli occhi ,cefalea.

Possibili linee di intervento:

Adeguare luminosità e contrasto dello schermo.

Assicurarsi che lo schermo non abbia riflessi attraverso il

controllo delle condizioni di luminosità ambientale.

La disposizione dello schermo dovrebbe permettere agli

operatori di guardare lontano o mettere a fuoco un oggetto

distante: il rischio infatti si può ridurre attraverso esercizi

dei muscoli che muovono gli occhi e questo è possibile

allontanando di tanto in tanto lo sguardo dal computer e guardando l‟infinito o

cercando di mettere a fuoco un oggetto il più lontano possibile.

POSTURA, MOVIMENTI RIPETITIVI E SPAZI

I lavoratori di call-center possono essere esposti a rischi di disturbi dell‟apparato muscolo

scheletrico dovuti a una postura scorretta, statica, caratterizzata da movimenti ripetitivi.

Possibili linee di intervento

Utilizzare attrezzature e arredi completamente adattabili (sedie, scrivanie, monitor).

Fornire poggiapiedi se ciò è indicato per una sistemazione ergonomica.

Consultare gli operatori nella sistemazione della postazione di lavoro.

Fattori di rischio

49

Provvedere ad addestramento e aggiornamenti su come sistemare correttamente

arredi e attrezzature in funzione delle singole esigenze.

Permettere che ci sia il tempo, prima di iniziare il turno, per sistemare ogni

postazione di lavoro in funzione delle singole necessità.

Allestire postazioni di lavoro in cui è possibile che gli operatori mentre parlano

possono alternare la posizione seduta a quella eretta.

Quando possibile assegnare agli impiegati compiti diversi (es. amministrativi).

Programmare pause regolari.

Per ridurre il rischio di danni da sollecitazioni ripetitive:

Ricorrere a uso di tastiere apposite che aiutano a mantenere una posizione dei polsi

naturale.

Permettere frequenti e brevi interruzioni (per permettere ai lavoratori di alzarsi,

stirarsi, aggiustarsi la posizione).

Assegnare lavori che permettano di interrompere l‟uso del telefono e della tastiera.

Criteri per definire adeguati gli spazi di lavoro:

Giudizio dei lavoratori sulla possibilità di svolgere

senza impedimenti il proprio lavoro.

Spazi di passaggio adeguati per uscire e muoversi

agevolmente.

Spazio vitale non inferiore a 7/8 mq per persona

come da norma (Norma UNI 10339)

Fattori di rischio

50

3.1 RISCHIO BIOLOGICO: APPROFONDIMENTO

Molti problemi di salute conseguono soprattutto dall‟inquinamento biologico (acari,

forfora, funghi, muffe, batteri, compresa la legionella), le cui principali fonti di

inquinamento negli ambienti chiusi sono gli occupanti (uomini ed animali), la polvere, le

strutture ed i servizi degli edifici che possono divenire terreni di cultura ideali per diversi

microrganismi quando si creano condizioni favorevoli di temperatura ed umidità.

La presenza d‟inquinanti microbiologici all‟interno degli ambienti chiusi rappresenta una

fonte potenziale di trasmissione di alcune malattie infettive a carattere epidemico. Le

risposte dell‟uomo all‟inalazione di bioareosol (miscele complesse di tipi di particelle

diverse: batteri, spore di funghi, pollini, polvere ecc) contenente microrganismi variano da

effetti innocui a gravi malattie e dipendono dall‟agente specifico e dalla sensibilità

individuale.

Infatti, la possibilità di un microrganismo potenzialmente infettante di provocare una

malattia dipende da fattori legati al microrganismo stesso quali: patogenicità, virulenza,

dose inalata, modalità di immissione nell‟aria, capacità e tempo di sopravvivenza nell‟aria

in relazione a umidità, temperatura, luce, presenza di substrato organico, e fattori legati

all‟ospite, come la suscettibilità individuale. I più suscettibili sono i soggetti più fragili

della popolazione: bambini, anziani, immunodepressi, malati cronici, fumatori, etc. nei

quali si realizzano più facilmente quelle condizioni che portano all‟insorgenza del processo

patologico.

I contaminanti biologici possono essere controllati attraverso adeguata igiene e

manutenzione sia dell‟edificio, sia dei materiali impiegati sia dei sistemi di

ventilazione/condizionamento, osservando alcune regole generali, quali:

mantenere accuratamente pulite tutte le superfici, in particolare quelle che vengono

in contatto con i cibi;

usare maggiore cura nelle operazioni di pulizia e ridurre il più possibile i livelli di

polvere nelle abitazioni, in presenza di animali, di bambini piccoli e di soggetti

allergici;

ventilare adeguatamente gli ambienti e mantenere un livello di umidità relativa

inferiore al 60%;

assicurare una regolare manutenzione e pulizia di umidificatori, vaporizzatori e

componenti degli impianti di climatizzazione, compresa la pulizia e sostituzione

regolare dei filtri;

Fattori di rischio

51

utilizzare, ove necessario, sistemi di ventilazione/condizionamento, dotati di filtri

speciali;

cercare di eliminare fenomeni di condensa che spesso sono causa dell‟umidità;

eliminare le macchie di muffa con tinture speciali antimuffa a base di acqua.

3.1.1 LA NORMATIVA ITALIANA: IL D.LGS 81/08

Il concetto di rischio biologico e la necessità di valutare lo stesso vengono introdotti per la

prima volta in Italia dal Titolo VIII del D. Lgs 626/94, emanato in attuazione di direttive

europee riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo

di lavoro3.

Il Testo Unico 81/08 (TITOLO X) rappresenta l‟aggiornamento del precedente decreto

confermando i diversi problemi legati alla difficoltà di identificare correttamente il rischio.

La normativa ha posto, quindi, le basi per un‟ adeguata azione di tutela della salute nei

luoghi di lavoro e, per quanto riguarda la “protezione da agenti biologici”, ha chiarito tutte

le attività lavorative (Allegato XLIV) nelle quali vi è rischio biologico ossia un rischio

professionale cui possono andare incontro alcune categorie particolarmente esposte e che,

in via continuativa, sono addette a quelle attività per le quali si può ipotizzare un rischio di

esposizione ad agenti biologici.

Nell‟articolo 2 vengono definiti i concetti di:

RISCHIO: “probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle

condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure

alla loro combinazione”.

PERICOLO: “proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore avente il

potenziale di causare danni “. Si distinguono un pericolo per la sicurezza

(condizioni che possono determinare incidenti con danni all‟individuo) e un

pericolo per la salute (cioè circostanze o agenti che possono colpire la salute

dell‟operatore o della sua prole, sia nell‟immediato che nel futuro).

L'articolo 267 riporta la definizione di agente biologico come "qualsiasi microrganismo

anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che

potrebbe provocare infezioni, allergie, o intossicazioni".

3 direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE e

90/679/CEE.

Fattori di rischio

52

Più precisamente, gli organismi viventi o le sostanze di origine biologica alle quali si può

essere esposti durante l'attività lavorativa e che presentano un potenziale rischio per la

salute umana, possono essere classificati nei seguenti gruppi:

agenti biologici: microrganismi (batteri, virus, miceti) e parassiti (protozoi ed

elminti);

colture di cellule animali, per i possibili agenti infettanti che le cellule in coltura

possono ospitare (importanti soprattutto le cellule umane e dei primati);

liquidi biologici (sangue) ed altri campioni clinici potenzialmente infetti (feci,

espettorato, biopsie, campioni autoptici);

tessuti provenienti da animali, sia da esperimento che da allevamento

animali, sia da laboratorio che da allevamento, per possibili allergie (peli, piume)

e/o aggressioni (morsi, graffi);

allergeni, cioè sostanze che provocano manifestazioni allergiche in soggetti

sensibilizzati (polvere, pollini, miceti);

tossine di batteri, animali e piante.

Secondo l’Art. 268 gli agenti biologici vengono classificati in quattro gruppi a seconda del

rischio di infezione e quindi della loro pericolosità:

Gruppo 1: un agente che presenta poche probabilità di causare malattie in soggetti

umani (Saccharomyces cerevisiae, Streptococcus thermophylus, Lactobacillus

casei Streptococcus casei).

Gruppo 2: un agente che può causare malattie in soggetti umani e costituire un

rischio per i lavoratori; é poco probabile che si propaga nella comunità; sono di

norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche (es. B. pertussis, C.

albicans, C. tetani, L. pneumophila, Salomonelle non tifoidi Salomonelle tifoidi, P.

aeruginosa, S. aureus, , Neisserie Neisserie, V. cholerae).

Gruppo 3: un agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce

un serio rischio per i lavoratori; l‟agente può propagarsi nella comunità, ma di

norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche.

Gruppo 4: può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio

rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella

comunità; non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o

terapeutiche (es. Virus Ebola, Virus Lassa, Virus della febbre emorragica di

Crimea/Congo).

Fattori di rischio

53

Il legislatore, per classificare gli agenti biologici, ha dunque definito alcune caratteristiche

dei microrganismi, quali:

- INFETTIVITA‟: capacità di un germe di penetrare nell‟organismo umano

superandone le difese aspecifiche (cute, mucose, reazione febbrile) e

specifiche (sistema immunitario).

- PATOGENICITA‟: effettiva capacità di indurre uno stato di malattia a

seguito di un episodio di infezione.

- TRASMISSIBILITA‟: proprietà per cui un microrganismo può essere

trasmesso da un soggetto infetto ad uno suscettibile.

- NEUTRALIZZABILITA‟: disponibilità di efficaci misure profilattiche per

prevenire la malattia o terapeutiche per la sua cura.

Nell‟Allegato XLVI (elenco degli agenti biologici classificati) è riportata un‟ampia lista

degli agenti biologici finora catalogati, suddivisi in batteri e organismi simili, virus, funghi

e parassiti, per ciascuno dei quali è riportato il gruppo di pericolosità e vengono segnalati

la disponibilità di eventuali vaccini (V), la possibilità di effetti allergici (A) o tossici (T), la

necessità di conservare per almeno 10 anni dalla cessazione dell‟esposizione il registro

degli esposti (D); tale allegato include sia specie il cui significato nell‟ambito lavorativo

appare ormai consolidato, sia specie generalmente estranee alla realtà dei normali ambienti

di lavoro. Inoltre, la classificazione include, ad oggi, gli agenti biologici "naturali" ma non

quelli modificati attraverso le tecniche di ingegneria genetica (per i quali si fa riferimento

al D. Lgs. 206/01) e non fornisce indicazioni sulla pericolosità delle colture cellulari

(sebbene inserite tra i cosiddetti "agenti biologici").

l capi II-III sanciscono l‟obbligo da parte del datore di lavoro di:

• Effettuare la valutazione del rischio (art. 271).

• Adempiere ad un sistema di notifiche ed autorizzazioni (art. 269-270).

• Applicare procedure di buona prassi microbiologica (art. 272).

• Applicare norme igieniche (art.273).

• Applicare misure del contenimento del rischio per processi industriali, laboratori,

stabulari, strutture sanitarie e veterinarie ( art.274-276).

• Applicare misure di emergenza (art. 277).

• Fornire l‟informazione e formazione ai lavoratori (art. 278).

• Sottoporre a sorveglianza sanitaria i lavoratori esposti (artt. 279-281).

Fattori di rischio

54

La valutazione del rischio deve essere effettuata rispettando l‟art. 271: “1. Il datore di

lavoro, nella valutazione del rischio di cui all’articolo 17, comma 1, tiene conto di tutte le

informazioni disponibili relative alle caratteristiche dell’agente biologico e delle modalità

lavorative, ed in particolare:

a) della classificazione degli agenti biologici che presentano o possono presentare un

pericolo per la salute umana quale risultante dall’allegato XLVI o, in assenza, di quella

effettuata dal datore di lavoro stesso sulla base delle conoscenze disponibili e seguendo i

criteri di cui all’articolo 268,commi 1 e 2;

b) dell’informazione sulle malattie che possono essere contratte;

c) dei potenziali effetti allergici e tossici;

d) della conoscenza di una patologia della quale é affetto un lavoratore, che é da porre in

correlazione diretta all’attività lavorativa svolta;

e) delle eventuali ulteriori situazioni rese note dall’autorità sanitaria competente che

possono influire sul rischio;

f) del sinergismo dei diversi gruppi di agenti biologici utilizzati.

2. Il datore di lavoro applica i principi di buona prassi microbiologica, ed adotta, in

relazione ai rischi accertati, le misure protettive e preventive di cui al presente titolo,

adattandole alle particolarità delle situazioni lavorative.

3. Il datore di lavoro effettua nuovamente la valutazione di cui al comma 1 in occasione di

modifiche dell’attività lavorativa significative ai fini della sicurezza e della salute sul

lavoro e, in ogni caso, trascorsi tre anni dall’ultima valutazione effettuata.

4. Nelle attività, quali quelle riportate a titolo esemplificativo nell’allegato XLIV, che, pur

non comportando la deliberata intenzione di operare con agenti biologici, possono

implicare il rischio di esposizioni dei lavoratori agli stessi, il datore di lavoro può

prescindere dall’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 273, 274, commi 1 e 2,

275, comma 3, e 279, qualora i risultati della valutazione dimostrano che l’attuazione di

tali misure non é necessaria”.

Fattori di rischio

55

3.1.2 GRUPPI PRINCIPALI E CARATTERISTICHE DEGLI AGENTI

BIOLOGICI

Gli agenti biologici e le loro principali indicazioni di pericolosità sono trattati nel D.Lgs.

81/08, suddivisi in virus, batteri, funghi e parassiti, per i quali, sono stati previsti quattro

gruppi di pericolosità “crescente” (1, 2, 3, 4).

Virus

I virus sono agenti biologici particolari perché, rispetto a tutti gli altri, non sono formati da

cellule, ma “solamente” da involucri esterni al cui interno si trova il materiale genetico,

rappresentato dal DNA (virus a DNA), ma anche dall‟RNA (virus a RNA). Questa

“struttura minima” dei virus non garantisce loro autonomia funzionale rispetto agli altri

gruppi di viventi ed è per questo che i virus sono comunemente definiti “parassiti

obbligati della cellula”.

Al di fuori dell‟organismo ospite, infatti, questi agenti si trovano in uno stato quiescente,

inattivo e non sono in grado di riprodursi da soli; possono farlo solo penetrando all‟interno

di una cellula per sfruttare il materiale e il metabolismo della stessa. Lo scopo principale di

questa “violazione di proprietà” è quello di produrre nuove particelle virali, che escono

dalla cellula (che può morire oppure no) e sono pronte per infettare nuove cellule,

diffondendo così l‟infezione. Esistono moltissimi tipi di virus in grado di contagiare ogni

tipo di cellula: animale, vegetale ed anche batterica e i loro cicli vitali sono molto diversi,

ma riconducibili a due categorie principali che nei batteriofagi (virus che infettano i

batteri) sono il ciclo litico e il ciclo lisogeno. Il primo è simile a quello appena descritto,

mentre il ciclo lisogeno è, almeno all‟inizio, un ciclo “silente” in cui il virus integra il suo

materiale genetico con quello della cellula ospite, la quale non lo riconosce e lo replica

come se fosse proprio per diversi cicli cellulari, costituendo così una “popolazione “di

cellule portatrici di materiale genetico virale. Dopo un certo periodo di tempo, anche molto

lungo, questo materiale genetico silente si può riattivare innescando un ciclo più simile a

quello litico, con la comparsa dei sintomi tipici dell‟infezione. Il virus dell‟HIV,

responsabile dell‟AIDS, è un virus a RNA (appartenente ai retrovirus), che ha un ciclo

simile a quello appena descritto.

E‟ importante distinguere tra virus nudi e virus rivestiti; i primi hanno un unico

rivestimento esterno (capside), costituito principalmente da proteine e sono, generalmente,

più resistenti all‟azione degli agenti disinfettanti.

Fattori di rischio

56

I virus rivestiti sono invece provvisti di un ulteriore rivestimento (pericapside o envelope),

oltre il capside, che rende tuttavia tali agenti meno resistenti ai disinfettanti. Questo

involucro esterno è ricco infatti di grassi, sostanze più facilmente disattivabili da

trattamenti di disinfezione (es. virus HIV, HCV, HBV).

Le infezioni virali, anche per il particolare metabolismo dei virus e per la grande capacità

di variare facilmente il loro materiale genetico (mutazioni), sono più difficili da combattere

rispetto a quelle di origine batterica ed i farmaci antivirali sono mediamente meno

efficienti, rispetto ad es. agli antibiotici. Migliori armi, quando disponibili e di provata

efficacia e sicurezza, risultano essere i vaccini.

Diversi agenti possono arrecare danni anche gravi all‟embrione e al feto, se le relative

infezioni vengono contratte in gravidanza, soprattutto nelle prime settimane di gestazione

(effetti teratogeni). Tra questi agenti biologici vi sono ad esempio protozoi (es.

Toxoplasma gondii causa della toxoplasmosi) e virus (es. il virus della rosolia, del morbillo

e il Cytomegalovirus).

Alcuni virus sono, inoltre, in grado di provocare il cancro o aumentarne la probabilità

d‟insorgenza (effetti cancerogeni). Con il termine cancro si intende un gruppo eterogeneo

di patologie accumunate dall‟anomala capacità di alcune cellule di non rispettare le regole

della divisione cellulare, dando così origine a popolazioni cellulari che si sviluppano come,

dove e quando non dovrebbero. Queste cellule riescono talvolta ad invadere tessuti diversi

da quelli di origine (tumori maligni), attraverso le metastasi. I virus che possono avere

effetti cancerogeni (virus oncogeni) sono quelli che, integrando il loro materiale genetico

nel genoma dell‟ospite, riescono a modificarlo, originando eventualmente mutazioni che

possono condurre al cancro. Ne sono esempi i virus HBV e HCV (cancro del fegato), HIV

(sarcoma di Kaposi), i virus HTLV tipi 1 e 2 (patologie leucemiche), il virus del papilloma

(alcune forme di cancro uterino) ed altri. E‟ evidente che la presenza di questi “rischi

aggiuntivi” teratogeni, mutageni e cancerogeni, va attentamente considerata in fase di

ricognizione dei rischi professionali.

Batteri

I batteri sono microrganismi costituiti da una cellula di tipo

procariotico. Il regno dei batteri (regno Monera) è quello che

comprende, tra tutti i viventi, il maggior numero di specie, che sono

diffuse in tutti gli ambienti anche in condizioni estreme (batteri

estremofili); ad es. ad altissime o basse temperature. Molte specie non

Figura 2. Genere Legionella Figura 2. Genere Legionella

Fattori di rischio

57

sono pericolose per l‟uomo mentre altre vivono nel nostro organismo arrecando benefici o

sono utilizzate dall‟uomo, tra l‟altro, per produzioni alimentari, farmaceutiche,

diagnostiche e a scopi di ricerca.

E' possibile effettuare una generica distinzione dei numerosi gruppi di batteri,

differenziandoli in base alla forma dell‟unica cellula che li costituisce: i cocchi sono

tondeggianti; i bacilli hanno una forma più o meno allungata; le spirochete formano una

sorta di “spirale” mentre i vibrioni appaiono a forma di “virgola”. I batteri riproducendosi

possono raggrupparsi in colonie che, nel caso dei cocchi (ma anche negli altri gruppi),

assumono delle disposizioni geometriche caratteristiche come i diplococchi (disposti a

coppie), gli streptococchi (a catenella), gli stafilococchi (a grappolo) ecc. Nel gruppo dei

cocchi si trovano diversi importanti patogeni come Streptococcus pneumoniae

(responsabile di varie affezioni respiratorie), Neisseria meningitidis (meningite

meningococcica), Staphylococcus aureus (responsabile di diverse infezioni).

Tra i bacilli si trovano altri patogeni quali Mycobacterium tubercolosis (tubercolosi),

Bacillus antraci (carbonchio), Clostridium tetani (tetano), Clostridium botulinum

(botulismo), Legionella pneumophila (Legionellosi), enterobatteri come i generi Shigella

(comprende varie specie causa di dissenterie), Salmonella (tifo, paratifo ed altre infezioni

gastrointestinali). Nell‟ambito delle spirochete si annoverano Leptospira interrogans

(agente causale della leptospirosi), Treponema pallidum (sifilide) o Borrelia burgdorferi

(agente causale della Malattia di Lyme, veicolata da zecche); infine tra i vibrioni vi è

Vibrio cholerae, causa del colera.

La cellula batterica è avvolta, come tutte le cellule, da una membrana cellulare, ma

possiede anche una protezione, nota come parete cellulare. La colorazione di Gram

permette, in relazione alla diversa struttura chimica della parete nei diversi batteri, di

distinguere due grandi gruppi: i batteri Gram-positivi (es. gli stafilococchi, gli

streptococchi, le listerie) e i batteri Gram-negativi (Escherichia coli, salmonelle, vibrioni

ecc.).

L‟importanza di questa “grande” distinzione è motivata dal fatto che i due gruppi

possiedono proprietà diverse in rapporto all‟azione patogena nei confronti dell‟ospite, alla

resistenza o sensibilità a trattamenti farmacologici (gli antibiotici sono i principali), agli

agenti disinfettanti e così via.

I batteri possono arrecare danni molto diversi all‟individuo nel quale riescono ad

insediarsi, causando infezioni e/o intossicazioni; in particolare moltissime specie sono

produttrici di tossine, sostanze velenose per l‟organismo. Sono note due classi principali di

tossine: le esotossine e le endotossine. Le esotossine sono proteine elaborate

Fattori di rischio

58

principalmente dai batteri Gram-positivi ed hanno la peculiarità di poter agire anche a

notevoli distanze nell‟organismo, rispetto al sito di ingresso nello stesso. Le esotossine

sono, normalmente, più pericolose delle endotossine, ma più sensibili di queste a

trattamenti disattivanti, come la disinfezione o l‟uso di alte temperature. Le endotossine

sono parti della cellula del batterio, ad es. porzioni della membrana plasmatica, come il

Lipopolisaccaride S (LPS) ed hanno in genere effetti aspecifici e meno importanti

nell‟ospite, rispetto alle esotossine (malessere generale, febbre, infiammazioni, disturbi

gastrointestinali ecc.), anche se sono assai più resistenti delle esotossine ai trattamenti

disattivanti.

Alcuni gruppi di batteri (tra cui quelli del genere Clostridium, come C. tetani e C.

botulinum e del genere Bacillus come B. anthracis) sono in grado, in caso di carenza di

nutrienti e in condizioni ambientali insoddisfacenti, di “trasformarsi” in una forma inerte

(una sorta di “letargo”), denominata spora batterica. Le spore, quando le condizioni

ambientali e nutrizionali tornano più favorevoli, riescono a “germinare” e a riportare il

batterio alla normale vita attiva. Le spore sono estremamente resistenti agli usuali

trattamenti di pulizia e di disinfezione; per essere disattivate si rendono necessari

procedimenti molto “spinti”, tra cui la sterilizzazione raggiunta attraverso l‟impiego di

elevatissime temperature (121°C in autoclave per almeno 20 minuti), anche utilizzando

sostanze chimiche (ossido di etilene) o radiazioni.

In alcune condizioni si possono costituire delle comunità di batteri (che comprendono

anche altri microrganismi come alghe, protozoi, virus) denominate “biofilm”, ovvero una

sorta di “società microbica” i cui componenti si avvantaggiano vicendevolmente da questo

particolare stato sociale. Una delle proprietà dei biofilm è, infatti, quella di conferire alle

specie componenti una maggiore resistenza a trattamenti antibiotici, disinfettanti ecc., più

elevata di quella delle singole specie prese singolarmente.

Il biofilm si forma, in particolare, su superfici solide bagnate o umide per lunghi periodi ed

in presenza di sostanze organiche che fungono da nutrimento per i diversi microrganismi. I

biofilm si formano ad esempio all‟interno di impianti idrici, unità di trattamento dell‟aria

(U.T.A), impianti di climatizzazione ecc. Il batterio Legionella pneumophila, che può

essere presente in alcuni ambiti lavorativ si avvantaggia della presenza del biofilm, per

trarne nutrimento e protezione dai trattamenti di disinfezione delle acque.

Fattori di rischio

59

Funghi

Esistono circa 100.000 specie diverse di funghi (incluse le muffe e i

lieviti) che svolgono un ruolo importante nell'ecosistema ossia

quello di decomporre e riciclare la materia organica. Inizialmente le

muffe sono talmente piccole da essere visibili solo al microscopio;

da una cellula di origine così piccola (ifa), per successiva divisione,

si ottiene a poco a poco un feltro colorato (micelio) che caratterizza

l‟aspetto più noto di una muffa. Durante la crescita vengono prodotte

particelle di forma sferica e di piccole dimensioni, ovvero le spore, che principalmente si

disperdono nell‟aria e costituiscono la parte finale del ciclo riproduttivo delle muffe.

Generalmente provengono dall‟esterno, per cui si nota una sostanziale dipendenza

stagionale, maggiore durante l‟estate e l‟autunno.

Le condizioni di sviluppo delle muffe sono determinate dall‟umidità dell‟ambiente e dalla

temperatura. La temperatura ottimale per la crescita è tra i 18-32°C e l‟umidità relativa

deve essere almeno del 60%.

L'ambiente indoor, anche se scrupolosamente pulito, offre innumerevoli occasioni e

substrati di crescita.

La combinazione tra fenomeni di condensa, la presenza di sostanze organiche morte

(necessario nutrimento), e l'instaurarsi delle opportune condizioni microclimatiche,

favorisce la crescita di colonie. Presenza di umidità o fenomeni di condensa possono

verificarsi per cattive tecniche costruttive anche all'interno dei muri o su alcune superfici

interne.

Negli ambienti indoor si sviluppano su pareti e pavimenti umidi, su carte da parati, nel

materasso, nei divani e tappezzerie, nei sistemi di condizionamento d‟aria, negli

umidificatori, cioè in tutti quegli ambienti dove si crea un alto tasso di umidità. Alcune

specie, come Cladiosporium, crescono perfino nei refrigeratori (in particolare intorno alle

guarnizioni dello sportello), altre come Aspergillus sono tolleranti a temperature che

sfiorano i 70°C; molte specie crescono sul terriccio e sulle foglie di piante ornamentali.

Le spore fungine hanno dimensioni medie intorno a 10 micron e possono perciò

raggiungere grandi distanze con le correnti aeree.

Alcune specie come l’Alternaria, Cladiosporium, Rhizopus hanno cadenza stagionale,

mentre Aspergillus e Penicillum sono presenti durante tutto l‟anno.

I funghi possono agire come agenti infettanti, come allergeni e sono inoltre noti per la

produzione di sostanze tossiche. I funghi, infatti, liberano le micotossine, sostanze che

provocano irritazione ad occhi, naso, faringe, e sono causa frequente di cefalea, astenia,

Figura 3. Genere Aspergillus Figura 3. Genere Aspergillus

Fattori di rischio

60

tosse secca, prurito, asma e altre acute difficoltà nella respirazione; inoltre producono

sostanze volatili responsabili di allergie e anche del caratteristico odore di muffa. I

problemi di salute causati dalla muffa possono presentarsi immediatamente o entro alcuni

giorni rispetto all‟esposizione (effetti acuti), oppure determinare effetti a lunga durata e che

potrebbero non verificarsi immediatamente (effetti cronici). I primi sono associati ad una

esposizione all‟interno degli edifici ed includono irritazione di naso, occhi e gola,

emicrania, difficoltà di concentrazione e rientrano nella classe dei sintomi tipici della

sindrome dell‟edificio malato (in genere si risolvono quando il soggetto si allontana dal

luogo di esposizione). Gli effetti cronici invece sono associati a malattie respiratorie

allergiche che includono rinite allergica, asma e polmonite da ipersensibilità. Queste

patologie possono determinare un pessimo stato di salute del soggetto anche dopo

l‟allontanamento dal luogo di esposizione.

Le caratteristiche più influenti di tali microrganismi sono (INAIL,2010) :

1) Habitat

I microrganismi si possono definire ubiquitari, poiché possono vivere e moltiplicarsi in

quasi tutti gli ambienti, naturali e antropici; gran parte delle specie si trova nelle comuni

condizioni ambientali, ma alcune di esse riescono ad adattarsi a condizioni come

temperature molto alte o molto basse, elevata umidità o salinità, ambienti sporchi e

degradati ecc.

2) Riproduzione

I microrganismi si riproducono quasi sempre rapidamente ed, in particolare, in situazioni

igieniche carenti, come ambienti ricchi di residui organici (rifiuti, terra, polveri, alimenti

ecc.); in presenza di elevate temperature associate ad alti tassi di umidità e in condizioni di

scarsa aerazione.

3) Dimensioni

Gli agenti biologici hanno dimensioni che variano da alcuni nanometri (nm) a molti micron

(μm); i virus sono i più “minuti” avendo dimensioni valutabili in nanometri (in genere tra 1

e 100 μm) mentre i batteri sono più grandi, avendo dimensioni comprese tra alcuni micron

a poche decine di micron. Materiali biologici potenzialmente pericolosi come i pollini delle

piante superiori, microrganismi come i protozoi e le forme riproduttive dei funghi (spore)

sono più grandi: mediamente tra pochi e alcune centinaia di micron.

Nel processo di valutazione del rischio da agenti biologici è importante considerare quali

sono le dimensioni degli agenti biologici di interesse, in particolare per capire quali sono le

modalità con cui più facilmente possono venire a contatto con l‟uomo e in che modo ci si

Fattori di rischio

61

può difendere, predisponendo, ad esempio, sistemi di prevenzione e protezione collettivi ed

individuali, quali ad esempio, cappe filtranti o Dispositivi di Protezione Individuale (DPI).

4) Metabolismo e stati “quiescenti”

Nella maggior parte dei casi gli agenti biologici sono attivi e vitali, possedendo tutte o

quasi le proprietà tipiche dei viventi, quali la mobilità, la capacità di riprodursi, di cibarsi

ecc. Gli agenti biologici possono nutrirsi di sostanze chimiche molto diverse e gran parte

dei microrganismi per vivere hanno bisogno di ossigeno (aerobi); tuttavia alcuni possono

vivere anche senza (anaerobi facoltativi) o esclusivamente in assenza di questo gas

(anaerobi obbligati). Tuttavia, in alcune condizioni, gli stessi microrganismi si possono

trovare in stati quiescenti o inerti, in genere estremamente resistenti, come le spore

prodotte da alcuni batteri, i virus prima di infettare le cellule, le cisti dei protozoi ecc;

queste condizioni devono essere considerate con attenzione poiché tali agenti possono, in

modi diversi, riacquisire caratteristiche normali e potenzialità dannose.

5) Carica microbica

Si definisce come la misura o la stima di quanti agenti biologici si trovano in un

determinato “campione”, come una superficie di lavoro, un‟attrezzatura, un volume di aria,

una matrice biologica e non (es. acqua, terreno, liquidi biologici). Rappresenta il numero di

microrganismi che formano colonie visibili su un idoneo terreno e dopo opportuna

incubazione; il risultato si esprime in UFC (Unità Formanti Colonie) su m3 per l‟aria, su

cm2 per le superfici, su litro per l‟acqua. Questo importante parametro può essere misurato

sperimentalmente attraverso metodologie e strumentazioni specifiche o ricavabile da dati

di letteratura. La carica microbica permette di conoscere, anche se non sempre in maniera

esatta, l‟entità della contaminazione del campione studiato. Come principio generale,

maggiore è la carica microbica, più alta è la possibilità che agenti nocivi possano penetrare

in un individuo, arrecando eventuali danni. I più comuni metodi di prevenzione impiegati

per la gestione dei rischi biologici come pulizia/disinfezione, disinfestazione,

sterilizzazione, hanno come obiettivo principale la diminuzione della carica microbica.

6) Infettività

L‟infettività è la capacità di uno specifico agente biologico di penetrare e moltiplicarsi in

un organismo. Attraverso l‟infezione, l‟agente riesce ad entrare e a riprodursi nell‟ospite,

anche se l‟infezione stessa non necessariamente evolverà verso una malattia infettiva

conclamata ( es. la condizione di portatore sano), che si manifesterà come tale solo in

presenza di manifestazioni cliniche tipiche.

Sono disponibili per alcuni agenti biologici delle “dosi infettanti”, ovvero misure della

capacità più o meno spiccata di uno specifico agente di provocare un evento infettivo,

Fattori di rischio

62

ovvero la “quantità” di microrganismi sufficiente ad “innescare” l‟infezione. Le dosi

infettanti si possono determinare sperimentalmente inoculando l‟agente oggetto di studio,

in animali da laboratorio e contando quante cavie svilupperanno l‟infezione;più

precisamente la dose infettante è definita come la “dose” di microrganismi in grado di

infettare il 50% degli animali inoculati (DI 50). Esiste anche una “dose minima infettante”

(DI0), ovvero il numero minimo di agenti biologici che possono scatenare l‟evento

infettivo, anche se occorre tener conto che per molti microrganismi può essere sufficiente

una singola “unità infettante” (es. un virus o una cellula batterica), per poter provocare

l‟infezione.

7) Patogenicità

La patogenicità è definibile come la potenzialità che gli agenti biologici hanno di cagionare

danni alla salute, quali infezioni e intossicazioni; tale proprietà è legata alla capacità di

provocare malattie a seguito di infezione ed è legata essenzialmente all‟efficacia delle

“armi” di cui dispongono gli agenti contro il nostro l‟organismo (es. produzione di tossine

da parte di alcuni batteri e funghi, capacità di riprodursi velocemente, di superare i sistemi

di difesa dell‟organismo). La virulenza stima il grado di patogenicità, ovvero la diversa

gravità dello stesso tipo di danno indotto dallo stesso agente; ad es. nell‟ambito della stessa

specie batterica esistono ceppi più virulenti e ceppi meno virulenti. La virulenza è anche

definita come l‟insieme di patogenicità e infettività.

8) Trasmissibilità

Stima la possibilità che l‟agente biologico ha di essere trasmesso da un soggetto infetto a

soggetti sani; la trasmissione può essere diretta, come avviene ad es. tramite i contatti

sessuali e il sangue o indiretta, attraverso materiali inanimati, noti come veicoli (aria,

acqua, materiali biologici, terra, polveri, cibo, rifiuti, superfici e oggetti) o attraverso altri

organismi, come artropodi (che comprendono insetti, acari ecc.), roditori, uccelli.

9) Neutralizzabilità

E‟ la maggiore o minore disponibilità, per un dato agente, di misure preventive e

terapeutiche come i disinfettanti, i vaccini, la somministrazione di immunoglobuline, i

farmaci ed altre.

Fattori di rischio

63

3.1.3 VIE DI INGRESSO DEGLI AGENTI BIOLOGICI NELL‟ORGANISMO

Gli agenti microbiologici presenti nell‟aria, sono aerotrasportati sotto forma di bioaerosol,

legati a polvere, particelle liquide o altri contaminanti naturalmente presenti (emulsioni

oleose, polvere di legno, ecc.), con conseguente rischio, per i lavoratori, di esposizione per

via inalatoria, per contatto con superfici e oggetti contaminati o per ingestione.

Contatto diretto con la cute e le mucose: in questi casi l‟ingresso dei patogeni si

attua attraverso il contatto con i tessuti epiteliali esterni (pelle) o interni (mucose).

Questi tessuti, in particolare la pelle, costituiscono barriere più o meno

impermeabili alla penetrazione degli agenti biologici, ma spesso presentano piccole

lesioni che possono costituire delle vie d‟ingresso. Il contagio può avvenire

attraverso un soggetto infetto (es. infezioni da batteri stafilococchi, da funghi,

scabbia causata da acari ecc.), oppure tramite contatto con materiali contaminati

(effetti personali, superfici, strumenti e attrezzature).

Via ematica o parenterale: si verifica mediante punture, ferite e lesioni in generale,

eventi considerabili talvolta come infortuni. La trasmissione attraverso il sangue è

spesso molto più efficace di altre vie per gli agenti “invasori” e può essere quindi

più pericolosa delle altre, poiché i microrganismi riescono, in questo modo, a

superare molte delle barriere difensive opposte dell‟organismo. Molte patologie

infettive sono comprese in questo gruppo, tra cui diverse forme di epatite virale:

(epatite B e C), AIDS, tetano ecc.

Tramite la via respiratoria o inalatoria: i patogeni riescono ad entrare attraverso

l‟apparato respiratorio e, anche in funzione delle loro diverse caratteristiche e della

capacità di risposta dell‟organismo, possono rimanere nelle prime vie respiratorie

oppure giungere ai bronchi e ai polmoni. Attraverso questa via si può avere anche

l‟inalazione di aerosol, o meglio bioaerosol, costituito da piccolissime goccioline

che possono contenere agenti biologici, spesso “attaccati” a granelli di polvere, con

cui “volano” e riescono a disperdersi nell‟ambiente. Tali bioaerosol sono spesso

miscele complesse in cui coesistono molte specie diverse e loro residui/prodotti, per

cui può essere difficile capirne il reale impatto sulla salute del lavoratore e

definirne dei valori limite. Gli agenti biologici possono distribuirsi nell‟ambiente ed

arrivare all‟organismo anche mediante schizzi, getti di acqua o di altri liquidi

contaminati, anche in minime quantità, che possono sprigionarsi in seguito, ad es.

all‟apertura di contenitori (centrifughe, autoclavi, tombini, condotte) o da organismi

Fattori di rischio

64

infetti (trasmissione uomo-uomo o animali-uomo), anche attraverso colpi di tosse,

starnuti ecc.

Via orale: l‟ingresso degli agenti si verifica comunemente mediante ingestione di

alimenti o liquidi contaminati; un tipico es. è rappresentato dal vasto gruppo delle

intossicazioni alimentari (o tossinfezioni). L‟ingestione può essere volontaria o

anche involontaria attraverso goccioline, fumo, mani o oggetti sporchi portati alla

bocca e così via. Rientrano in questa importante classificazione le infezioni a

trasmissione oro-fecale, in cui i patogeni vengono eliminati attraverso le feci

(dall‟intestino dell‟uomo o di altri animali) e riescono a giungere ed entrare

nell‟apparato digerente. Tra le innumerevoli patologie si possono citare quelle

causate da batteri del genere Salmonella, la leptospirosi di origine batterica e

veicolata da roditori, l‟epatite virale di tipo A.

Puntura, morsi e graffi di animali: esistono alcuni agenti biologici trasmessi da

punture o morsi di animali, tra cui virus (virus della rabbia trasmessa dal morso di

cani e volpi, virus della febbre gialla trasmesso dalla puntura di zanzare), batteri (ad

es. borrelie trasmesse dal morso di zecca), protozoi (leishmanie trasmesse dalla

puntura di flebotomi o pappataci, e i plasmodi della malaria dalla puntura di alcune

zanzare). In alcuni casi (soprattutto per quanto riguarda gli artropodi) si parla di

“vettori”, quando l‟agente patogeno compie parte del suo ciclo biologico all‟interno

di animali (es. la stessa malaria), in altri casi si parla di “serbatoi”, quando il

microrganismo staziona all‟interno dell‟animale per un periodo più o meno lungo

ed infine rappresentano dei “veicoli” (lo sono anche oggetti inanimati) quando si

limitano a trasportare passivamente i microrganismi verso altri soggetti, infettandoli

(es. una mosca che depositandosi su materiali sporchi, trasmette “malattie”).

3.1.4 PRINCIPALI EFFETTI DA INQUINAMENTO INDOOR

I principali potenziali effetti sulla salute umana causati dall‟esposizione ad agenti biologici

in ambienti indoor sono:

Malattie associate agli edifici o Building-Related Illness (B.R.I.): patologie dal

quadro clinico ben definito e per le quali può essere identificato uno specifico

agente causale (legionellosi, alveolite allergica ecc..).

Sindrome dell‟edificio malato o Sick-Building Syndrome (S.B.S.) sviluppatasi a

partire dagli anni ‟70. Questa sindrome, ad eziologia non definita, raggruppa un

insieme di sintomi aspecifici, quali: irritazione degli occhi, secchezza delle vie

Fattori di rischio

65

respiratorie, cefalea, sonnolenza, eritemi e pruriti cutanei. In queste manifestazioni

l‟inquinamento microbiologico potrebbe giocare un ruolo determinante.

Azione infettiva. Generalmente la contaminazione microbica è legata alla scarsa

idoneità delle condizioni igienico-edilizie, al sovraffollamento, alla insufficiente

areazione dei locali e alla scarsa manutenzione dei sistemi di climatizzazione.

L‟inquinamento microbiologico all‟interno degli ambienti chiusi può essere

considerato una fonte di trasmissione di malattie infettive a carattere

epidemiologico: influenza, varicella ecc..

L‟azione infettiva è svolta da batteri, protozoi, virus, muffe e lieviti (ad es.

Legionella pneumophila, Aspergillus fumigatus ecc.). L‟infezione è l‟insieme dei

meccanismi con cui i microrganismi riescono a superare le diverse difese di cui

l‟organismo dispone, potendo così penetrare e moltiplicarsi all‟interno dello stesso

organismo, con varie modalità.

L‟infezione può evolvere in una malattia infettiva conclamata, cioè in una patologia

con una sintomatologia clinica tipica, di diversa gravità. L‟individuo colpito può

tuttavia riuscire a fronteggiare più o meno prontamente l‟attacco dei patogeni,

eliminando la presenza degli agenti “invasori” oppure essere in grado di trasmettere

l‟infezione, pur non essendo malato. Si parla in questo caso, di stato di portatore,

che può essere sano (individuo che potrebbe anche non ammalarsi mai) o anche

portatore cronico (può trasmettere l‟infezione per molto tempo o anche per

sempre); vi è poi la condizione di portatore convalescente, ovvero di colui che sta

guarendo, ma che ancora può potenzialmente trasmettere un determinato agente

patogeno. La possibilità di contrarre un‟infezione da parte di un soggetto sano,

dipende da tre grandi gruppi di fattori quali:

1) proprietà degli agenti biologici, discusse prima, quali carica microbica,

infettività, patogenicità, trasmissibilità ed altre;

2) caratteristiche del soggetto, nel nostro caso del lavoratore, che presenta una

suscettibilità individuale diversa da ogni altro individuo, la quale dipende da

differenti stili di vita, condizioni immunitarie, predisposizioni genetiche, malattie

pregresse o in atto, trattamenti terapeutici in corso, stato di gravidanza ecc.;

3) caratteristiche degli ambienti (di vita e di lavoro) che influenzano, aumentando o

diminuendo, l‟incontro e la penetrazione nel soggetto degli agenti biologici

pericolosi, la loro moltiplicazione, l‟instaurarsi di un‟eventuale infezione o di altri

danni.

Fattori di rischio

66

Tra le caratteristiche ambientali più importanti vi sono fattori di natura fisica, tra

cui le condizioni climatiche e microclimatiche (temperatura, umidità, aerazione),

ma anche la presenza di residui organici, rifiuti, polveri, terreno, che possono

costituire potenziali fonti alimentari e riproduttive per gli agenti biologici.

Le malattie, anche quelle di natura infettiva, si possono distinguere

grossolanamente in acute e croniche. Le malattie infettive acute manifestano i loro

sintomi (periodo di incubazione) poco dopo l‟ingresso del patogeno nell‟ospite

(ore, giorni, settimane) ed evolvono rapidamente con esiti di varia gravità, che

vanno dalla guarigione completa fino alla morte (raffreddore, influenza, epatiti

virali fulminanti, meningiti, infezioni gastrointestinali e molte altre). Le infezioni

croniche si manifestano molto più tardivamente (mesi, anni) con eventi sintomatici

in genere progressivi a decorso cronico e/o che possono anche condurre alla morte

(es. infezioni da virus come epatite B e C, HIV, tubercolosi).

Azione allergizzante: in questo caso i soggetti esposti manifestano riniti, sinusiti,

asma, alveoliti o febbri, descritte come Organic Dust Toxic Syndrome (ODTS). Le

allergie, nel loro complesso, sono il risultato di una risposta esagerata del sistema

immunitario di alcuni individui nei confronti di agenti di varia natura, detti

allergeni, che risultano invece innocui per la maggior parte della popolazione. Le

patologie allergiche associate ad attività lavorative presentano una sintomatologia

che riguarda essenzialmente le vie respiratorie, le mucose oculari e la cute (ad es.

rinite allergica o raffreddore da fieno, asma, congiuntivite, eczema, orticaria); in

alcuni casi, si possono avere addirittura reazioni assai pericolose come lo shock

anafilattico, che può rivelarsi letale. Di solito il sistema immunitario ha funzioni di

difesa contro microrganismi che invadono il corpo. Quando un soggetto allergico

viene a contatto con un allergene, il sistema immunitario riconosce tale allergene

come un “invasore” e reagisce attraverso la produzione di grandi quantità di

anticorpi, chiamati immunoglobuline (IgE); ciascuna IgE è specifica per una

particolare sostanza. Esiste un certo grado di familiarità nella propensione di un

individuo a diventare allergico, anche se questa familiarità non è stata provata in

relazione al tipo di allergene. Quando l‟allergene incontra la sua IgE specifica, si

attacca all‟anticorpo attivando il rilascio di potenti sostanze chimiche, come ad es.

l‟istamina, che agiscono sui tessuti di varie parti del corpo, causando i sintomi

caratteristici delle allergie. Tra questi i più comuni sono: starnutazione, rinite, tosse,

irritazione delle mucose oculari e nasali, congiuntivite; alcuni individui possono

sviluppare asma con tosse, sibilo, respiro corto dovuto alla restrizione delle vie

Fattori di rischio

67

aeree nei polmoni, all‟eccesso di muco e all‟infiammazione che, nel frattempo, si è

sviluppata. La pericolosità delle azioni infettive e allergizzanti non è legata solo

alla presenza dell‟agente patogeno, ma anche all‟entità dell‟inquinamento

ambientale e alla maggiore o minore sensibilizzazione degli esposti.

L‟effetto potenzialmente nocivo è riferibile ad una risposta anomala del sistema

immunitario di soggetti sensibilizzati nei confronti di sostanze allergizzanti (acari,

muffe…). Inoltre, alcuni contaminanti indoor possono svolgere un ruolo favorente

il processo di sensibilizzazione in soggetti predisposti, mentre altri possono

scatenare nuovi attacchi in soggetti che già soffrono di allergie.

Azione tossica, svolta da metaboliti quali endotossine (la cui principale azione e

collegata all‟induzione di febbre e alla necrosi tissutale), micotossine (effetto

citotossico) e 1-3 s-D-glucani (costituenti delle spore fungine che possono dar

luogo a risposte infiammatorie e immunologiche).

3.2 RISCHIO FISICO: APPROFONDIMENTO

La misura dei fattori fisici dell'aria (temperatura, velocità dell'aria, umidità relativa), tenuto

conto dei fattori individuali (dispendio energetico, tipo di vestiario) e della stagione in

esame, permette una valutazione delle condizioni microclimatiche e di esprimere una

valutazione di benessere termico o meno, a confronto con accreditati indici di benessere

termico o di insoddisfazione.

Effetti come quello della temperatura, della umidità relativa, delle caratteristiche

illuminotecniche e di pressione sonora, influenzando la percezione degli occupanti,

concorrono a definire la salubrità e la sicurezza dell‟ambiente.

Linee di intervento:

Evitare che il posto di lavoro sia soggetto a corrente diretta.

Verificare periodicamente gli impianti di condizionamento con particolare

attenzione alla pulizia dei filtri.

Mantenere, all'interno dei locali, una temperatura vicina alla temperatura esterna,

con particolare riferimento alla regolazione dell'aria condizionata in estate.

Posizionare le fotocopiatrici e le stampanti in luoghi aerati poiché queste

attrezzature producono polveri che possono essere assunte dall'individuo con

possibilità di insorgenza di patologia.

Far rispettare il divieto di fumare nei locali che non dispongono di un'adeguata

ventilazione e ricambio d'aria.

Fattori di rischio

68

Provvedere ad un‟adeguata manutenzione degli impianti di climatizzazione.

Corretto ricambio d‟aria.

3.2.1 LA NORMATIVA ITALIANA: IL D.LGS 81/08

ll Titolo VIII del D.Lgs. n. 81/2008 ha raccolto le disposizioni dedicate alla protezione dei

lavoratori dagli agenti fisici. Il Titolo risulta suddiviso in sei Capi; il primo detta le

disposizioni di carattere generale, comuni a tutti gli agenti di rischio fisici, riguardo ai

principali obblighi di tutela e di sicurezza, i successivi quattro sono dedicati a specifici

agenti di rischio (rumore, vibrazioni, campi elettromagnetici, radiazioni ottiche artificiali) e

l‟ultimo è dedicato alle sanzioni. Oggetto di questa parte del TU sicurezza sono, oltre agli

agenti normati dalle direttive europee inerenti alle vibrazioni, al rumore, ai campi

elettromagnetici e alle radiazioni ottiche artificiali, anche gli ultrasuoni, gli infrasuoni, il

microclima e le atmosfere iperbariche, un importante valore aggiunto rispetto al passato in

quanto, per la prima volta in Italia, si presenta una serie di norme organiche in materia di

protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione ad agenti fisici.

Capo I: Disposizioni generali

Art. 180 Definizione e campo di applicazione

Ai fini del presente Decreto Legislativo per agenti fisici s'intendono il rumore, gli

ultrasuoni, gli infrasuoni, le vibrazioni meccaniche, i campi elettromagnetici, le

radiazioni ottiche di origine artificiale, il microclima e le atmosfere iperbariche, che

possono comportare rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori.

Per rumore, vibrazioni, campi elettromagnetici e radiazioni ottiche artificiali si

applicano i capi specifici (II - III - IV - V).

Le radiazioni ionizzanti sono disciplinate unicamente dal D.Lgs. 230/95 e

successive modifiche.

Art. 181 Valutazione dei rischi

Il datore di lavoro valuta tutti i rischi da agenti fisici in modo da identificare e

adottare le opportune misure di prevenzione e protezione con particolare

riferimento alle norme di buona tecnica ed alle buone prassi.

Valutazione ogni quattro anni effettuata da personale qualificato nell'ambito del

Servizio di Prevenzione e Protezione. L'aggiornamento della valutazione viene

Fattori di rischio

69

effettuato in caso di mutamenti o quando richiesto dai risultati della sorveglianza

sanitaria.

Gli esiti della valutazione e le misure necessarie sono riportati nel Documento di

Valutazione del Rischio (DVR).

Se non è necessaria una valutazione dettagliata è possibile includere nel DVR una

"giustificazione" del datore di lavoro.

Art. 182 Disposizioni miranti ad eliminare o ridurre i rischi

Tenuto conto del progresso tecnico e della disponibilità di misure per controllare il

rischio alla fonte, i rischi derivanti dall'esposizione agli agenti fisici sono eliminati

alla fonte o ridotti al minimo. La riduzione dei rischi derivanti dall'esposizione agli

agenti fisici si basa sui principi generali di prevenzione contenuti nel presente

decreto.

In nessun caso i lavoratori devono essere esposti a valori superiori ai valori limite di

esposizione definiti nei capi II, III, IV e V.

Allorchè, nonostante i provvedimenti presi dal datore di lavoro in applicazione del

presente capo i valori limite risultino superati, il datore di lavoro adotta misure

immediate per riportare l'esposizione al di sotto dei valori limite di esposizione,

individua le cause del superamento dei valori limite di esposizione e adegua di

conseguenza le misure di protezione e prevenzione per evitare un nuovo

superamento.

Art. 183 Lavoratori particolarmente sensibili

Il datore di lavoro adotta le misure di cui all'art. 182 alle esigenze dei lavoratori

appartenenti a gruppi particolarmente sensibili al rischio incluse le donne in stato

di gravidanza ed i minori.

Art. 184 Informazione e Formazione dei Lavoratori

Il datore di lavoro provvede affinchè i lavoratori e gli RLS siano informati sugli esiti della

valutazione dei rischi. In particolare su:

Significato sui valori limite di esposizione dei valori di azione.

Esiti della valutazione e misure adottate.

Fattori di rischio

70

Sorveglianza sanitaria e modalità per segnalare eventuali effetti negativi

dell'esposizione.

Procedure per ridurre al minimo i rischi e uso corretto dei DPI.

Art. 185 Sorveglianza sanitaria

La sorveglianza sanitaria deve essere effettuata nei casi previsti dai capi specifici,

sulla base dei risultati della valutazione del rischio.

In caso di alterazione dello stato di di salute, il medico competente informa il

lavoratore e, nel rispetto del segreto professionale il datore di lavoro.

Il datore di lavoro procede alla revisione della valutazione dei rischi e delle misure

predisposte.

Il medico competente riporta nella cartella sanitaria e di rischio i dati della

sorveglianza sanitaria e i valori di esposizione individuali, ove previsti (art.186).

3.2.2 IL MICROCLIMA: NOVITA‟ INTRODOTTE DAL D. LGS 81/2008

Nel testo del precedente decreto legislativo n. 626/1994 gli unici riferimenti agli aspetti

microclimatici si trovavano nel Titolo II, «Luoghi di lavoro», nel quale era richiamata

l‟attenzione del datore di lavoro sulla necessità di garantire valori di temperatura, di

umidità e di velocità dell‟aria adeguati all‟organismo umano in relazione all‟attività svolta

e di adottare, all‟occorrenza, misure tecniche di prevenzione e di protezione dei lavoratori.

Nel caso di luoghi di lavoro chiusi era prevista la possibilità di installare impianti di

ventilazione, a meno di una loro corretta manutenzione, mentre per i luoghi di lavoro aperti

era richiesta una generica protezione contro gli agenti atmosferici. Sebbene, ai sensi

dell‟art. 4 il datore di lavoro era obbligato a valutare tutti i rischi, in realtà poche

valutazioni affrontavano con la giusta attenzione il rischio microclima.

Le azioni di prevenzione erano praticamente affidate al comune buonsenso ovvero al

comportamento del ”buon padre di famiglia” di cui al codice civile.

Il decreto legislativo n. 81/2008 ha elevato l‟attenzione sul rischio microclima

svincolandolo dal solo concetto di salubrità del luogo di lavoro e prevedendo, per i casi

estremi, la necessità di valutare gli effetti sulla salute.

Nel testo del nuovo TU sono rimasti gli obblighi nel Titolo II, «Luoghi di lavoro», D.Lgs.

n. 626/1994, anche se gli approfondimenti sono indicati nell‟Allegato IV. L‟unica novità in

questa sezione è che l‟ex comma 6, art. 9, «Areazione dei luoghi di lavoro chiusi» è

intitolato, al punto 1.9, «Microclima » ma le indicazioni restano le stesse.

Fattori di rischio

71

La vera novità è rappresentata dall‟inserimento del Titolo VIII in cui, all‟art. 180,

nell‟elenco degli agenti fisici, è contemplato anche il microclima e, quindi, anche per esso

il successivo art. 181 ha richiesto esplicitamente la valutazione del rischio, senza però

rimandare a un Capo specifico come avviene per gli altri rischi fisici.

Questa mancanza, in realtà, è una conseguenza dell‟assenza di precise direttive europee e,

quindi, di leggi nazionali alle quali fare riferimento per i criteri di valutazione e,

soprattutto, per i valori limite di esposizione da rispettare.

Come richiesto dallo stesso art. 181, il datore di lavoro deve fare particolare riferimento a

norme di buona tecnica e a buone prassi. Per il microclima esistono documenti collaudati

in quanto le principali norme tecniche (ISO, EN, UNI) per la valutazione sono riconosciute

a livello mondiale da oltre trenta anni.

Da circa due anni sono disponibili, inoltre, le linee guida «Microclima, aerazione e

illuminazione nei luoghi di lavoro», prodotte dal Coordinamento tecnico per la sicurezza

nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Province autonome e da Ispesl, per le quali a

breve è prevista una ulteriore revisione e una validazione come previsto dal D.Lgs. n.

81/2008.

Questo comporta che, in assenza di un Capo specifico di riferimento, il datore di lavoro

avrà sicuramente ottemperato all‟obbligo dell‟art. 181 se avrà fatto riferimento ai

documenti previsti dall‟art. 2, lettere u), v) e z).

Al di là dell‟obbligo, il datore di lavoro ha convenienza a effettuare questa valutazione.

In ambienti moderati, i metodi di valutazione proposti dalla normativa tecnica permettono

di evidenziare con chiarezza la presenza di discomfort e, quindi, di dirimere eventuali

conflitti. Normalmente la soluzione ai problemi è rappresentata da misure tecniche.

In ambienti vincolati, comprendendo in essi anche gli ambienti all‟aperto dove poco si può

fare per correggere le condizioni termoigrometriche, i metodi di valutazione proposti dalla

normativa tecnica, basati sulla misura di parametri fisiologici indicativi dello stato di

stress, forniscono il tempo in cui sono raggiunti i valori limite oltre i quali si verificano

danni e, quindi, indicazioni sul tempo massimo di esposizione (DLE).

Fattori di rischio

72

3.2.3 LA TERMOREGOLAZIONE UMANA

Il microclima viene definito come l‟insieme dei fattori (temperatura, umidità, velocità

dell‟aria, calore radiante…) che regolano le condizioni climatiche di un ambiente chiuso o

semi-chiuso come ad esempio un ambiente di lavoro.

Considerando che la maggior parte della popolazione urbana trascorre il 75-80 % del

tempo all‟interno di edifici chiusi, è facilmente intuibile come il monitoraggio dei

parametri microclimatici ed il controllo dell‟aerazione siano elementi principali che

concorrono al mantenimento di una buona qualità dell‟aria indoor e contribuiscono al

buono stato di salute del lavoratore.

Inoltre i fattori ambientali e microclimatici (in particolare temperatura, velocità dell‟aria e

umidità) influenzano la qualità microbiologica dell‟aria di un ambiente di lavoro in quanto

possono determinare o contribuire a sostenere le condizioni ottimali per lo sviluppo e la

proliferazione dei microorganismi.

Il valore di umidità relativa può essere indicativo ad esempio di condizioni favorenti lo

sviluppo di condensa del vapore d‟acqua sulle pareti e quindi del rischio di formazione di

colonie batteriche e/o fungine.

È importante dunque, durante una campagna di monitoraggio, affiancare alle misure

microbiologiche misure microclimatiche.

Il corpo umano, per le sue caratteristiche termiche, può essere paragonato ad una macchina

termica alimentata da combustibili sotto forma di alimenti che vengono trasformati parte in

lavoro (10-20%) e in massima parte in calorie (80-90%). Essendo, poi, costretto a

mantenere costante la sua temperatura interna, cioè quella degli organi più importanti

(sistema nervoso centrale, cuore, polmoni, ecc.), deve essere in grado di dissipare

nell‟ambiente il calore metabolico che viene prodotto in eccesso, specie quando si

incrementa il lavoro meccanico muscolare o si riduce la cessione di calore se in ambienti

caldo umidi.

La quantità di calore prodotto da un individuo a completo riposo è di circa 1,2 Kcal/min,

corrispondente a circa 70 Kcal/ora ed a 1700 Kcal/giorno (metabolismo di base),

corrispondente cioè al consumo energetico di base per la normale attività degli organi

viscerali (60%) e dei muscoli (20%).

Nel corso di qualsiasi attività fisica si ha un aumento delle produzione di calore

proporzionale al tipo di attività svolta, si parla così di lavoro moderato quando è richiesto

un dispendio energetico non superiore a 2,5 Kcal/min, lavoro medio compreso tra 2,5

Kcal/min e 5 Kcal/m, lavoro pesante se superiore a 5 Kcal/min.

Fattori di rischio

73

La termodispersione è il metodo attraverso cui l‟eccessivo calore prodotto viene smaltito

(quasi esclusivamente per via cutanea) attraverso vari meccanismi fisiologici:

Conduzione-Convenzione

Il corpo cede calore a tutto ciò cui è strettamente a contatto: vestiti, aria che ci circonda;

quest‟ultima a sua volta riscaldandosi va verso l‟alto richiamando altra aria più fresca che a

sua volta viene riscaldata e così via. È evidente che se la temperatura

dell‟aria è elevata questo meccanismo si annulla, potendo così diventare negativo e

indurre un riscaldamento nella cute (superando i 30-32 °C di T ambientale). Con questo

meccanismo il corpo cede dal 25 al 30% del calore.

Irraggiamento

Il corpo umano è in grado di emanare calore mediante onde elettromagnetiche trasferendo

così energia termica verso corpi più freddi (pareti, mobili, etc). Con questo meccanismo si

riesce ad eliminare il 45-50% di tutto il calore prodotto. Anche questo meccanismo risente

però dello stato termico degli oggetti circostanti: in presenza di forti fonti di calore

(caldaie, forni di fonderie, etc), l‟irraggiamento può diventare negativo, cioè il corpo può

surriscaldarsi per l‟elevato calore proveniente da queste fonti.

Evaporazione

Consiste nel passaggio dell‟acqua dallo stato liquido a quello gassoso (1 gr. d‟acqua

evaporato a 30 °C sottrae al corpo 0,58 Kcal.)

L‟evaporazione interviene quando la temperatura ambiente raggiunge i 35 °C, quando cioè

viene a cessare la termodispersione con le modalità della conduzione-convezione e

dell‟irraggiamento.

È un meccanismo che avviene attraverso queste tre modalità fisiologiche:

- Espirazione: si verifica durante la normale respirazione quando l‟aria inspirata è di

temperatura inferiore a quella corporea, mentre l‟aria espirata abbandona i polmoni con

una temperatura di 33-34 °C ed una saturazione in vapore d‟acqua al 100%.

- Perspiratio Insensibilis (in riposo ed a temperatura bassa): consiste nella evaporazione

costante ed autonoma dalla pelle e dalle mucose che si svolge indipendentemente dalla

funzione delle ghiandole sudoripare. Questo meccanismo comporta una scarsa ma

persistente evaporazione dalla superficie cutanea: essa fa perdere in media nel corso di

un‟ora 25 gr di acqua, con una sottrazione di 14,5 Kcal/ora.

- Sudorazione (nel lavoro muscolare e a temperatura elevata): con la sudorazione invece si

può avere facilmente la perdita di 1 litro di sudore per ora. Essa entra in gioco nel

Fattori di rischio

74

momento in cui la produzione calorica (lavoro fisico in ambiente caldo), supera la perdita

delle precedenti modalità di termodispersione.

Quanto più l‟aria è satura di umidità tanto minore è l‟evaporazione; tanto più elevata è la

velocità dell‟aria tanto più essa è favorita.

L‟evaporazione interviene nella misura del 20-30% della quota globale di calore che

l‟organismo può disperdere.

Figura 4 .Le trasformazioni energetiche nell‟organismo

La situazione termica di un organismo può essere quindi razionalmente analizzata:

- Considerandolo come sistema termico interessato da flussi di energia entrante ed

uscente attraverso la sua superficie e da generazione di energia al suo interno;

quando l‟effetto complessivo di tali flussi non abbia modo di esser nullo si

osserverà un aumento del contenuto termico del sistema od una diminuzione,

corrispondenti ad un aumento o diminuzione rispettivamente della sua temperatura

media;

- Mediante la sua equazione di bilancio energetico, che viene convenzionalmente

riferita all‟unità di tempo (ed è quindi espressa in termini di potenza) e di superficie

corporea; assumendo come positive le potenze termiche entranti, si scrive in forma

generale e sintetica:

Fattori di rischio

75

M + W + C + R + K + CRES + ERES + E = S

Dove:

M è la Potenza prodotta dai processi metabolici, in misura ridotta trasferita all‟esterno per

lo svolgimento di un lavoro ed in maggior parte presente in forma di calore che si rende

disponibile all‟interno del corpo.

S è la potenza termica eventualmente accumulata nell‟organismo (o perduta da questo)

quando i flussi energetici che lo interessano non si compensino reciprocamente ed abbia

quindi luogo un aumento (o rispettivamente una diminuzione) della sua temperatura;

gli altri termini si riferiscono alle potenze scambiate mediante i seguenti meccanismi:

W: cessione o assorbimento di energia meccanica;

C: convezione con l‟aria ambiente;

R: irraggiamento nei confronti dei corpi che costituiscono l‟ambiente;

K: conduzione rispetto ai corpi solidi con cui l‟organismo si trova a contatto;

CRES : variazione di temperatura dell‟aria respirata;

ERES: variazione di umidità dell‟aria respirata;

E: evaporazione a livello della cute, che coinvolge i fenomeni di sudorazione e di

traspirazione insensibile.

Nella maggior parte delle situazioni, sia in ambienti industriali che in ambienti civili i

termini M, W, C, R, E sono preponderanti rispetto ai restanti. L‟equazione di bilancio

energetico in tali casi si potrà scrivere nella forma semplificata:

M + W+ C + R + E = S

Le grandezze fondamentali che determinano la situazione termica dell‟organismo nel suo

complesso sono:

- Grandezze ambientali ( umidità relativa, velocità dell‟aria, temperatura dell‟aria..)

- Grandezze personali (dispendio energetico metabolico, temperatura cutanea media,

frazione di area cutanea bagnata da sudore, resistenza termica del vestiario…).

L‟organismo tende a permanere in condizioni di equilibrio ( S=0) omeoterme, cioè a far si

che:

Fattori di rischio

76

- La potenza ceduta attraverso la sua superficie eguagli la potenza assorbita

dall‟ambiente sommata a quella termica generata dai processi metabolici;

- La temperatura del nucleo si mantenga costante intorno ai valori ottimali

(indicativamente compresi nell‟intervallo 36,7 ± 0,2 °C).

A questo fine l‟organismo attiva differenti efficaci meccanismi di tipo fisiologico e di tipo

comportamentale e può riuscire a conseguire questo obiettivo in condizioni ambientali

anche estremamente diversificate e severe. I meccanismi di compenso sono sotto il diretto

controllo di zone ipotalamiche, che permettono di aumentare la quota di calore che viene

ceduta (vasodilatazione cutanea, riduzione del vestiario, riduzione dell‟attività fisica, etc.)

o di ridurla (vasocostrizione cutanea, aumento del vestiario, aumento dell‟attività fisica).

Figura 5.Il meccanismo di Termoregolazione umana

Quando l‟equilibrio termico viene mantenuto con un minimo sforzo da parte dei sistemi di

termoregolazione, le corrispondenti condizioni microclimatiche possono essere definite di

benessere termico e l‟individuo non avverte né freddo né caldo, ma esprime soddisfazione

per la propria situazione termica (Linee Guida,2006).

Con il termine di discomfort termico o disagio si intendono quelle condizioni

microclimatiche che danno luogo alla sensazione di caldo o di freddo (che già richiedono

un impegno dei meccanismi di termoregolazione).

Si parla di stress termico o scompenso quando l‟organismo non riesce più a mantenere

costante la T interna potendo sfociare verso uno stato di vera e propria malattia (colpo di

calore, esaurimento, congelamento, assideramento).

Fattori di rischio

77

Un ambiente di lavoro confortevole deve avere una temperatura tale da consentire ai

lavoratori di compiere la propria attività senza alcun pericolo per la propria salute.

Il corpo umano ha una temperatura interna costante di circa 37 gradi °C, condizione

necessaria a garantire il regolare svolgimento di tutti i processi biochimici all‟interno

dell‟organismo e quindi la vita stessa. Variazioni della temperatura oltre i normali limiti

determinano sofferenze delle principali funzioni fisiologiche con ripercussioni più o meno

gravi sulle capacità lavorative e, in condizioni estreme, manifestazioni patologiche.

Non esistono al momento attuale delle norme precise che prevedano dei valori standard

delle variabili microclimatiche salvo che per alcune lavorazioni particolari; viene sempre

prospettata la necessità generica di assicurare ai lavoratori un certo benessere termico

anche in funzione del lavoro svolto.

Dal punto di vista igienistico vengono considerate delle fasce di benessere termico

nell‟ambito delle quali l‟organismo ha minori necessità di correzioni, differenti a seconda

delle stagioni:

- 20-25 °C per la T dell‟aria;

- 50-60 % per l‟umidità relativa;

- 0,05-0,2 m/s per la ventilazione.

In generale si considerano adeguati per l‟uomo valori di temperatura in inverno intorno ai

20°C ed in estate dagli 8 ai 3°C in meno della temperatura esterna, in funzione di un tempo

di permanenza nel locale più o meno lungo; per quanto riguarda l‟umidità relativa si cerca

di mantenerla tra il 40-60% al fine di evitare l‟essiccamento delle vie respiratorie o la

condensa sulle superfici fredde (finestre) dei locali.

Negli ambienti dove il riscaldamento è fornito da radiatori o apparecchi simili si verifica

una progressiva diminuzione dell‟umidità relativa; è pertanto importante provvedere

all‟installazione di umidificatori idonei che riequilibrino il contenuto dell‟umidità dell‟aria

(ad esempio le vaschette colme d‟acqua poste sui radiatori, la presenza delle piante, i

vaporizzatori ad elettricità).

Nei luoghi di lavoro chiusi è necessario far sì che tenendo conto dei metodi di lavoro e

degli sforzi fisici ai quali sono sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre in

quantità sufficiente. L‟aria dei locali chiusi di lavoro deve essere, perciò,

convenientemente e frequentemente rinnovata.

Fattori di rischio

78

3.2.4 CLASSIFICAZIONE DEGLI AMBIENTI TERMICI

Convenzionalmente gli ambienti termici vengono distinti in:

1. AMBIENTI MODERATI

2. AMBIENTI CALDI

3. AMBIENTI FREDDI

La suddetta distinzione è fondamentalmente concettuale e finalizzata alla utilizzazione

delle modalità di analisi e di valutazione appropriate al tipo di situazione in quanto a questi

tre tipi di ambienti vengono applicati metodi di analisi e criteri di valutazione distinti

(Linee Guida,2006).

1. Gli ambienti moderati impongono un moderato grado d‟intervento al sistema di

termoregolazione corporea e risulta facilmente realizzata la condizione di

omeotermia (mantenimento costante della T interna) del soggetto. In concreto tali

ambienti sono caratterizzati da:

condizioni ambientali piuttosto omogenee e con ridotta variabilità nel tempo;

assenza di scambi termici localizzati fra soggetto ed ambiente che abbiano effetti

rilevanti sul bilancio termico complessivo;

attività fisica modesta e sostanzialmente analoga per i diversi soggetti;

uniformità del vestiario indossato dai diversi operatori.

2. Gli ambienti caldi sono caratterizzati da un notevole intervento del sistema di

termoregolazione umano al fine di diminuire l‟accumulo di calore nel corpo.

L‟azione termoregolatrice si esplica primariamente sul piano fisiologico mediante i

meccanismi di vasodilatazione dei vasi sanguigni cutanei (con aumento della

temperatura della cute) e di sudorazione. Le caratteristiche degli ambienti caldi

sono:

valori elevati di temperatura operativa in relazione alle caratteristiche dell‟attività

svolta e del vestiario indossato dagli operatori, eventualmente accompagnati da alti

valori di umidità relativa dell‟aria e richiedenti un considerevole intervento del

meccanismo di scambio termico per sudorazione al fine di conservare

l‟omeotermia;

variabilità della temperatura e dell‟umidità da postazione a postazione di lavoro;

Fattori di rischio

79

disuniformità del livello di impegno fisico richiesto e del vestiario indossato dagli

operatori.

3. Gli ambienti freddi sono caratterizzati da condizioni che richiedono un sensibile

intervento del sistema di termoregolazione umano per limitare la potenziale

eccessiva diminuzione della temperatura caratteristica dei diversi distretti ed in

particolare del nucleo corporeo.

L‟azione termoregolatrice si traduce sul piano fisiologico nella vasocostrizione dei

capillari cutanei, che comporta una diminuzione della temperatura della cute e

nell‟incremento della produzione di calore per via metabolica (di cui i brividi e

l‟orripilazione ne sono segni evidenti). Tale azione, nel caso di ambienti freddi, non

può superare limiti relativamente ristretti per cui in tali ambienti risulta di

fondamentale importanza l‟azione termoregolatrice volontaria dell‟individuo che si

esplica nella esecuzione di movimenti non strettamente necessari, nella adozione di

un vestiario maggiormente isolante, nell‟allontanamento dall‟ambiente freddo.

In concreto e con specifico riferimento alle attività lavorative, gli ambienti freddi

presentano i seguenti aspetti fondamentali:

valori di temperatura bassi (indicativamente compresi fra 0 e 10°C per ambienti

moderatamente freddi e inferiori a 0°C per ambienti freddi severi);

contenuta variabilità spaziale e temporale delle condizioni;

attività fisica e tipologia del vestiario indossato abbastanza uniformi.

3.2.5 PERICOLI CORRELATI AD UN MICROCLIMA INADEGUATO

Le malattie correlate con la non buona ventilazione degli edifici possono essere suddivise

in due gruppi, in base a considerazioni di ordine epidemiologico, eziopatogenetico, clinico,

diagnostico e prognostico.

Al primo gruppo appartiene la cosiddetta Sindrome dell‟Edificio Malsano o Sick Building

Syndrome, caratterizzata da una sintomatologia di modesta entità, aspecifica e polimorfa

(cefalea, sonnolenza, bruciore degli occhi, senso di irritazione della gola, tosse, irritazione

cutanea, etc), strettamente correlata con la permanenza nell‟edificio: si manifesta durante il

lavoro in un particolare ambiente, e si risolve o si attenua rapidamente con

l‟allontanamento dallo stesso.

Fattori di rischio

80

Molti dei parametri microclimatici sono correlati con la SBS:

temperatura dell’aria interna: esiste una relazione statisticamente rilevante tra

l‟elevazione della temperatura oltre i 22°C e la comparsa di sintomi di SBS;

umidità relativa: in inverno non deve essere inferiore al 30%. Intorno al 20%

aumentano le patologie dovute alla secchezza dell‟aria. In estate l‟umidità relativa

deve essere mantenuta tra il 50% e il 70%. I procedimenti di umidificazione

dell‟aria sono alla base di un grande numero di problemi e meritano una particolare

attenzione;

ventilazione: ratei di ventilazione insufficienti acuiscono i problemi di

inquinamento interno, particolare attenzione va posta alla quantità di aria di

ricircolo ed ai trattamenti che subisce;

velocità dell’aria: è un altro parametro importante per la definizione del benessere,

molte persone si lamentano per l‟aria stagnante, altre, che lavorano in prossimità di

bocche d‟aerazione, hanno ugualmente sensazioni di disagio;

illuminazione artificiale: è questo un altro vasto campo di indagine. Lo stress

visuale può giocare un certo ruolo in funzione della distribuzione dei punti

luminosi, di un insufficiente contrasto, di una eccessiva intensità luminosa;

rumore: il rumore sia di provenienza interna che esterna ha influenza sul benessere,

sulla sfera emotiva e sulla concentrazione;

vibrazioni: la vicinanza a fonti di vibrazioni come il traffico pesante su gomma o

rotaia, causa disturbi agli occhi ed irritabilità;

ioni: la mancanza di ioni negativi è responsabile di malessere ambientale ed è

determinata dalla presenza di fonti inquinanti.

E‟ importante ricordare la soggettività delle sensazioni legate al benessere o al malessere

ambientale, a parità di condizioni e di attività fisica esercitata dalle persone.

Tra i diversi ambiti (acustico, illuminotecnico, termico, purezza dell‟aria) che influenzano

il microclima indoor per il controllo ambientale (tabella 2), va trattato in modo più

approfondito l‟aspetto relativo alla qualità dell‟aria (purezza), in quanto più inerente

all‟aspetto edilizio.

Al secondo gruppo appartengono malattie con un quadro clinico ben definito, che non si

risolvono rapidamente abbandonando il luogo di lavoro, la cui patogenesi (modalità di

insorgenza) è di tipo allergico o tossico-infettivo, talora caratterizzate da notevole gravità.

Appartengono a questo gruppo malattie quali l‟asma bronchiale, le alveoliti allergiche

estrinseche, la febbre da umidificatori, le infezioni da Legionella Pneumophila (malattia

dei Legionari e febbre di Pontiac) da Rickettsie (febbre Q), da virus e da funghi.

Fattori di rischio

81

I principali inquinanti che si possono rinvenire negli edifici sono di natura chimica

(composti organici volatili, formaldeide, monossido di carbonio, ossidi di azoto, anidride

carbonica, ozono, etc.), fisica (fibre di asbesto, fibre di vetro, polveri, radon, etc.) e

biologica (virus, batteri, actinomiceti, spore fungine, acari, alghe, amebe, peli e forfora

umani, frammenti di insetti).

I sistemi di condizionamento dell‟aria, gli umidificatori e le superfici umide costituiscono

un ambiente favorevole per lo sviluppo e la diffusione di microrganismi: l‟umidità e le

temperature elevate facilitano la crescita di muffe e funghi.

Negli ambienti confinati non industriali la carica microbica dell‟aria è influenzata da

diversi fattori:

− numero ed attività delle persone e flora microbica delle loro vie respiratorie e della loro

cute;

− tipo e cubatura dei locali;

− tipo di pavimentazione ed eventuale rivestimento;

− procedure di pulizia meccanica;

− sistemi di ventilazione, riscaldamento e/o condizionamento;

− stagione.

3.3 LETTERATURA CORRELATA

Con la crescita del numero di call-center sono state realizzate ricerche allo scopo di

indagare quali elementi peculiari di questo ambiente di lavoro potessero avere un maggior

impatto sulla salute dei lavoratori.

Confronto con altre categorie di lavoratori

Lo studio più completo in letteratura è del “Health and Safety Laboratory” dell‟ Università

di Sheffield, datato 2003 e dal titolo “Psychosocial risk factor in Call-Center: an evaluation

of work designe and well-being” (Sprigg et al, 2003). E‟ uno studio condotto su 1141

lavoratori di 22 call-center: il campione è costituito per il 74% da donne e ha un età media

di 34 anni. Lo stress lavorativo viene indagato attraverso la misurazione di tre parametri, il

benessere lavorativo, la soddisfazione lavorativa, la tensione mentale. Il benessere lavoro-

correlato è stato misurato attraverso due scale (ansia lavoro-correlata, depressione lavoro-

correlata) e gli indici relativi ai lavoratori di call-center sono stati confrontati con quelli di

altre nove categorie di lavoratori: impiegati, tecnici della manutenzione, operai

dell‟industria manifatturiera, operai di altri settori, managers, personale domestico,

professionisti, sorveglianti, personale tecnico. Gli operatori di call-center presentano i

livelli più elevati di ansia lavoro-correlata con eccezione dei “managers”, mentre hanno i

Fattori di rischio

82

livelli più elevati in assoluto di depressione lavoro-correlata. Lo stesso confronto è stato

fatto per l‟indicatore “soddisfazione lavorativa” che viene distinta in “estrinseca” (aspetti

“esterni” del lavoro come ambiente e condizioni di lavoro, clima di relazione, prospettive

di carriera) ed “intrinseca” (aspetti psicologici del lavoro come autonomia, crescita di

capacità, sensazione di valorizzazione e apprezzamento).

Dai dati emerge che l‟operatore di call-center ha soddisfazione lavorativa più bassa di tutte

le altre categorie salvo gli operai dell‟industria manifatturiera mentre la soddisfazione

lavorativa “intrinseca” è la più bassa in assoluto. Per quanto riguarda la tensione mentale è

stata misurata con due metodi GHC (Likent) e GHC (Caseness): con entrambi i metodi la

tensione mentale per i lavoratori di call-center è nettamente più elevata rispetto alle altre

categorie di lavoratori. Il lavoro inglese cerca poi di chiarire quali sono le cause

dell‟elevato stress lavoro-correlato che caratterizza il lavoro nei call-center. Il confronto

con le altre categorie di lavoratori mette in evidenza che la discrezionalità sui tempi e sulle

modalità di lavoro è bassissima: anche il più ripetitivo dei lavori manuali non specializzati

implica livelli di discrezionalità più alti. Quindi la costrittività del lavoro è un aspetto che

viene sottolineato come fattore di rischio per lo stress lavoro-correlato con alcune altre

caratteristiche che sono connesse: monotonia, ripetitività e utilizzo di schemi predefiniti.

Altri fattori di rischio individuati: metodi di controllo (elettronico o diretto), pesantezza del

lavoro (intensità, ritmi), chiarezza di ruolo e conflitto di ruolo, valorizzazione delle risorse

e delle capacità, adeguatezza della formazione.

Uno studio successivo (Norman et al, 2004) in cui gli operatori di Call-Center sono stati

confrontati con addetti ai videoterminali, ha rilevato maggiori carenze di tipo ergonomico,

minor supporto da parte del supervisore e limitate opportunità di gestire il lavoro per

questa categoria di lavoratori. Inoltre, rispetto al gruppo di controllo, una proporzione più

elevata di addetti dei Call-Center riferiva problemi di salute (mal di testa, dolori a collo e

spalla) e un maggior ricorso all‟uso di farmaci.

Infine, operatori di Call-Center sottoposti a esami clinici e seguiti nel tempo hanno

riportato una maggiore incidenza di problemi a carico della regione collo-spalla rispetto al

gruppo di controllo (Toomingas et al,2003).

Lavoro nei Call-Center e problemi fisici

Alcuni studi hanno esaminato questa relazione, e fra questi un‟indagine condotta su un

campione di 1183 lavoratori impiegati presso 16 Call-Center svedesi (Norman, 2005). Dal

confronto tra Call-Center interni all‟azienda (“in house”) e esterni (“outsourcing”) sono

emerse differenze nello stato di salute a carico soprattutto dell‟apparato muscolo

scheletrico a sfavore di questi ultimi. Il fattore discriminante sembra essere il maggior

Fattori di rischio

83

numero di chiamate dei lavoratori dei Call-Center in “outsourcing”. Fattori quali elevate

richieste di tipo psicologico, scarso controllo e supporto da parte del supervisore e dei

colleghi sono risultati associati a problemi della zona collo-spalla e braccio-mano

(D‟Errico, 2010).

Altre indagini rilevano che la compresenza di aspetti organizzativi (elevato numero di

telefonate, poche pause), microclima e fattori ergonomici sfavorevoli sono determinanti

nella genesi dei disturbi della zona collo-spalla e polso-mano (Rocha et al, 2005; Ferreira

et al, 2002).

Anche l‟interazione tra aspetti organizzativi (carico di lavoro, monitoraggio delle

prestazioni) e fattori psicosociali (supporto da parte del supervisore) sembra avere un ruolo

importante nel determinare problemi di tipo muscolo scheletrico (Halford et al, 2003).

Un‟indagine della Call-Center Association (CCA) inglese del novembre 2003 “Sickness

Absence Management in Call- center” prende in considerazione l‟incidenza delle assenze

per malattia nei lavoratori di Call-center e le principali cause di queste malattie. Sono state

coinvolte 69 aziende di varie dimensioni.

Le prima causa di assenza è l‟influenza, la seconda disturbi gastrici (gastriti, ulcera), la

terza sintomi psichici da stress (depressione prima fra tutti), la quarta cefalea, la quinta

disturbi muscolo scheletrici.

Uno studio condotto su 222 operatori, utilizzando sia questionari che dati provenienti dalla

sorveglianza sanitaria, evidenzia come le condizioni microclimatiche (68%) e la

rumorosità ambientale (51%) siano i parametri giudicati più sfavorevolmente. I disturbi

dell‟apparato oculo-visivo rappresentano quelli più frequentemente riferiti dai lavoratori

addetti all‟utilizzo di videoterminale. La qualità della voce appare risentire in particolare

del microclima e della qualità dell‟aria indoor ma anche la postura appare assumere un

ruolo non indifferente nella produzione della voce in quanto interferisce con la respirazione

(D‟Alcamo, 2011).

Per quanto riguarda le condizioni ergonomiche della postazione di lavoro lo studio

R.O.C.C. (DoRS, Regione Piemonte, 2007), svolto su 755 lavoratori di Call-Center di

Torino e cintura, segnala che il 33% dei rispondenti non ha la possibilità di appoggiare i

polsi durante l‟uso della tastiera e circa un quarto dei lavoratori non può appoggiare gli

avambracci durante l‟utilizzo del mouse o della tastiera. Inoltre la maggior parte di loro

(88%) riferisce la presenza di riflessi sullo schermo del videoterminale e il 40% ritiene che

l‟illuminazione del posto di lavoro non sia adeguata.

Gli operatori lamentano situazioni di inadeguatezza rispetto al livello sonoro del locale in

cui lavorano: il 79% ritiene infatti che il rumore del locale sia troppo elevato; per quanto

Fattori di rischio

84

concerne il microclima, la temperatura è ritenuta non adeguata dal 58% dei lavoratori,

mentre il 77% reputa inadeguato il ricambio d‟aria. Infine il 58% dei lavoratori riferisce

che l‟illuminazione del locale non è appropriata.

Lavoro nei Call-Center e benessere psicologico

Oltre ai problemi di salute descritti, la letteratura mette in evidenza un altro esito di salute

importante per questa categoria di lavoratori, ovvero l‟insorgere di disturbi legati a stress

psicologico quali ansia, insonnia e depressione.

L‟organizzazione del lavoro e l‟ambiente psicosociale sembrano essere i fattori che più

influiscono sulla percezione di disagio da parte del lavoratore. In particolare un basso

livello di controllo sul proprio lavoro, l‟imposizione di obiettivi di rendimento (numero e

durata delle chiamate), la presenza di sistemi di monitoraggio delle prestazioni e la scarsità

di pause sono descritte come le principali cause di tensione per i lavoratori (Holman, 2002;

Taylor et al, 2003).

Uno studio dell‟Università del Massachussets (Centro Ricerche sul Lavoro) del 2002 dal

titolo “Stress in The Call-Center” prende in considerazione essenzialmente la questione

stress in un campione di 784 lavoratori di 12 call-center diversi. Viene chiesto ai lavoratori

di classificare la loro condizione soggettiva di stress lavorativo in una scala da 1 a 10: circa

1/3 dei lavoratori risponde 10 per una media generale che è 7,9. I disturbi prevalenti che

sono riferiti allo stress lavorativo sono stanchezza (55%), irritabilità (48%) difficoltà del

sonno (47%), cefalea (44%).

Il carico di lavoro eccessivo, l‟assolvimento di compiti ripetitivi e l‟interazione

problematica con il cliente sono gli elementi che più incidono sull‟esaurimento emotivo e

sulle assenze dal lavoro secondo lo studio realizzato presso alcuni Call-center australiani

(Deery et al, 2002).

Un‟indagine della Call-Center Association (CCA) inglese del novembre 2003 “Sickness

Absence Management in Call- Center” prende in considerazione l‟incidenza delle assenze

per malattia nei lavoratori di call-center e le principali cause di queste malattie. Sono state

coinvolte 69 aziende di varie dimensioni.

Le assenze, espresse come percentuale dei giorni lavorativi sono risultate essere il 6,4%,

più alta del dato medio nazionale che è il 4% dei giorni lavorativi.

Le prima causa di assenza è l‟influenza, la seconda disturbi gastrici (gastriti, ulcera), la

terza sintomi psichici da stress (depressione prima fra tutti), la quarta cefalea, la quinta

disturbi muscolo scheletrici.

Un lavoro italiano del 2003 pubblicato sul G.IT.MED.LA.ERG col titolo “Forme di

disagio psicologico a genesi occupazionale: esperienza presso il call-center di un azienda

Fattori di rischio

85

di rilevanza nazionale”, riporta i dati emersi dalla sorveglianza sanitaria svolta su 214

lavoratori. La presenza di disturbi psichiatrici è riscontrata nel 44,5% dei lavoratori ma il

64,4% esprime un esplicito disagio psicologico.

Le cause che più incidono sono legate ai difficili rapporti con il cliente, all‟intensità del

lavoro e alla presenza di sistemi di sorveglianza e controllo delle prestazioni di lavoro da

parte del management aziendale (Papalia et al, 2003; Chirico et al, 2004).

Nel corso del 2004-2005 un‟indagine del Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli

Ambienti di Lavoro (SPSAL) della ASL Città di Milano ha interessato 695 lavoratori di 10

call-center diversi, ai quali è stato somministrato un questionario specificamente rivolto

alla valutazione dello stress lavoro-correlato. Lo stress è stato indagato con la ricerca di

disturbi della sfera psichica, disturbi del sonno, disturbi da somatizzazione: ne emerge che

la stragrande maggioranza di lavoratori lamenta almeno un disturbo (94,4%) mentre il

67,8% riferisce almeno un disturbo spesso e continuamente e il 35% almeno un disturbo

continuamente. I disturbi più significativi sono la stanchezza, il nervosismo, la cefalea, i

disturbi del sonno.

Anche una recente indagine realizzata a Milano (Cattaneo et al, 2006) ha indicato la

costrittività, la mancanza di autonomia, la monotonia/ripetitività, la scarsa valorizzazione

delle capacità individuali, il basso livello di controllo del lavoro e la rumorosità

dell‟ambiente lavorativo fra i fattori che più incidono nella genesi dei disturbi da stress.

Nonostante alcuni fattori di rischio siano noti, è necessario acquisire ulteriori conoscenze

su quali componenti, peculiari di questo settore, possano avere un impatto negativo sulla

salute dei lavoratori. Il problema è importante se si considera l‟alta prevalenza di disturbi

osservati tra lavoratori dei CC e la rapida crescita dell‟intero settore.

Fattori di rischio: valutazione

86

3.4 VALUTAZIONE DEL RISCHIO IN AMBIENTI INDOOR

Tra i vari fattori di rischio descritti nel paragrafo precedente in questa parte del lavoro si è

scelto di approfondire la valutazione del rischio biologico, in quanto oggetto dell‟indagine

in campo, e del rischio fisico poiché strettamente correlato al precedente.

3.4.1 RISCHIO BIOLOGICO

La valutazione del rischio nel caso degli agenti biologici è rappresentata da un processo

piuttosto complesso che si compone di alcuni passaggi fondamentali:

- identificazione del pericolo;

- identificazione e quantificazione dei soggetti esposti;

- misura dell‟entità dell‟esposizione;

- misura della gravità dell‟eventuale danno;

- stima dell‟entità del rischio;

- definizione di rischio accettabile o meno.

Il rischio biologico presenta però, a differenza di altre tipologie di rischio, delle criticità per

cui molte metodologie consolidate nell‟ambito dell‟igiene industriale per la valutazione

dell‟esposizione ad agenti chimici o fisici ad esempio, non sono trasferibili ai

microrganismi, per motivi legati alla natura stessa degli agenti biologici. Le principali

cause sono:

- l‟ubiquitarietà, l‟estrema variabilità e la pericolosità degli agenti;

- la suscettibilità individuale e le condizioni ambientali mutevoli e variegate;

- la mancanza di limiti di esposizione utilizzabili come valori soglia: per molti

microrganismi infatti, non esiste o non è conosciuta una soglia di infettività (ossia

una dose sotto la quale il contagio non produce infezione ovvero comparsa di

malattia). In questi casi si utilizza l‟assunto conservativo secondo il quale è

sufficiente anche solo un microrganismo a provocare l‟infezione (dose minima

infettante. Quando a tale condizione si associa anche un‟elevata patogenicità,

trasmissibilità e limitata neutralizzabilità, l‟unico intervento preventivo efficace

risulta l‟eliminazione dell‟esposizione, in maniera simile a quanto richiesto dalla

lavorazione con sostanze cancerogene.

- la capacità di riproduzione (anche un piccolo numero di microrganismi può

moltiplicarsi in breve tempo e diventare un considerevole problema);

Fattori di rischio: valutazione

87

- dati epidemiologici insufficienti portano ad una incapacità di definire, tranne che in

pochissimi casi, delle precise relazioni tra entità dell‟esposizione del soggetto

all‟agente e risposta dell‟organismo;

- in molti casi vi sono difficoltà a stimare quanti e quali agenti biologici pericolosi

sono presenti in un ambiente di lavoro o anche in un determinato locale, area,

superficie, attrezzatura, matrice biologica ecc. Tale incapacità di “fotografare”

esattamente la realtà è dovuta, tra l‟altro, alla sofisticata coesistenza delle diverse

specie microbiche, alla notevole versatilità e capacità di cambiamento insita in tutti

gli organismi viventi, alla complessità dei siti e delle matrici da analizzare e alla

necessità di ricorrere a metodi di campionamento microbiologico diversi e spesso

non confrontabili, per tentare di stimare la reale composizione di un sito da

campionare.

La mancanza di questa conoscenza non permette pertanto né di definire delle dosi sul

modello dei TLV-TWA per le sostanze chimiche per discriminare tra condizioni di

presenza o assenza di rischio né di conoscere qual è la frequenza di danno atteso nei

soggetti esposti in funzione dell‟entità di esposizione. Sono stati proposti dall‟ACGIH

(American Conference of Industrial Hygienists) dei TLV per alcune sostanze di natura

biologica, come polveri di legno (le polveri di legno delle piante superiori o angiosperme

sono cancerogene), polveri di cereali che possono essere allergeniche ed anche per amido,

cellulosa, composti organici volatili o VOC (es. ammoniaca, anidride carbonica, idrogeno

solforato ecc.), prodotti da alcune specie e indicatori, in alcuni casi, della presenza e

attività di microrganismi. Tenuto conto delle difficoltà di effettuare misure dirette di

esposizione, ai fini della valutazione del rischio, si ricorre a misure di esposizione indiretta

basate sui monitoraggi ambientali, che hanno lo scopo di valutare la salubrità degli

ambienti di lavoro. Occorre localizzare nel ciclo produttivo i punti o le fasi in cui può

determinarsi l‟esposizione ad agenti biologici, adottare tutte le misure di prevenzione e

protezione collettiva e quelle procedure di buona pratica proporzionate alla pericolosità

attribuita "a priori" agli agenti biologici presunti sulla base di conoscenze scientifiche o

evidenze epidemiologiche. Il monitoraggio ambientale viene condotto in modo diverso a

seconda che siano indagate attività che fanno uso deliberato di agenti biologici ( laboratori

di ricerca, industrie farmaceutiche) o attività caratterizzate da un‟esposizione potenziale o

occasionale. Il monitoraggio può essere eseguito analizzando substrati diversi, quali l‟aria,

le superfici di lavoro o l‟acqua presente negli impianti di climatizzazione o idrici, e

differenziarsi in base al tipo di metodica, di campionatore, o di terreni utilizzati. La scelta

del tipo di campionamento e delle matrici da analizzare richiede un attento studio

Fattori di rischio: valutazione

88

preliminare dei tipi di microrganismi presuntivamente coinvolti e delle possibili vie di

diffusione, in funzione delle attività lavorative svolte e delle procedure a rischio.

3.4.1.1 IL TERRENO DI COLTURA

Il monitoraggio biologico si confronta con un mondo estremamente eterogeneo di

microrganismi (diametro non superiore al mm) quali protozoi,alghe, lieviti e batteri.

Per poterne valutare la presenza occorre avere un substrato di crescita trasparente che li

renda visibili e conteggiabili ad occhio nudo e resistente alla degradazione (dovuta a

variazioni di temperatura o all‟attacco di batteri).

A questo proposito è stato introdotto l‟AGAR, una matrice di consistenza simile a quella

gelatinosa ma più resistente alla degradazione.

Questo carboidrato complesso, estratto dalle alghe rosse, fonde a 100°C e risolidifica

quando la temperatura scende a circa 44°C , producendo un gel duro e trasparente.

L‟AGAR risulta, quindi, ottimale come TERRENO DI COLTURA in quanto non si ha

rischio di liquefazione ne di attacco da batteri.

All‟interno del terreno devono essere presenti tutti i nutrienti necessari per la crescita dei

microrganismi (sintesi di materiale cellulare, produzione di energia…) nelle quantità

appropriate per le necessità specifiche degli organismi presenti.

La maggior parte dei fattori di crescita appartengono ad amminoacidi (richiesti come

costituenti delle proteine), purine e pirimidine (costituenti degli acidi nucleici) e vitamine.

Lo scopo principale nella preparazione di un terreno di coltura è ottenere una miscela

bilanciata dei nutrienti richiesti partendo da una base minerale ( nutrienti in forma

inorganica) a cui possono essere aggiunti una sorgente di carbonio, di energia, di azoto e

qualsiasi altro fattore di crescita richiesto purché nelle concentrazioni ottimali (molti

nutrienti infatti diventano inibitori o tossici se presenti in quantità troppo elevate).

Sono presenti diversi tipi di terreni:

- Selettivi: adatti alla crescita di uno specifico microrganismo e quindi selettivi per lo

stesso, inibendo gli altri (es. cetrimmide).

- Liquidi di arricchimento: tendono a selezionare i microrganismi che hanno velocità

di crescita maggiore tra tutti quelli inoculati e che sono capaci di crescere nelle

condizioni fornite.

- Differenziali: utilizzati per permettere la discriminazione di batteri diversi,

appartenenti allo stesso gruppo (es. GRAM -).

Fattori di rischio: valutazione

89

Dopo la fase di preparazione, tutti i terreni vanno sterilizzati, addizionati di ciò che serve e

poi piastrati sotto cappa cioè versati in appositi “contenitori” (PIASTRE PETRI di diverse

dimensioni a seconda delle esigenze) e lasciati solidificare; infine riposti in frigo in attesa

dell‟utilizzo.

La sterilizzazione è un trattamento che libera il materiale trattato da tutti gli organismi

viventi impedendone, cioè,la riproduzione; il processo deve essere tale da non lasciare più

di un sopravvivente per 106 litri.

Esistono diverse modalità di sterilizzazione:

- Si utilizza il calore secco per materiali in vetro e solidi e stabili al calore.

- Per le soluzioni acquose si impiega invece il calore umido (vapore).

- Sterilizzazione chimica:gli agenti chimici sono tanto tossici quanto volatili per

essere rapidamente eliminati dopo il trattamento (es. Ossido di etilene).

- Per filtrazione ( materiali plastici che fondono a temperature uguali o superiori a

100°C).

I terreni hanno una scadenza oltre la quale non possono più essere utilizzati.

3.4.1.2 IL MONITORAGGIO AMBIENTALE E LE TECNICHE DI

CAMPIONAMENTO

L‟interesse per la misura della contaminazione microbica dell‟aria si è particolarmente

sviluppato negli ultimi venti anni (INAIL,2010). Questo interesse nasce dalla

consapevolezza che i microrganismi aerodiffusi abbiano, alla stessa stregua degli

inquinanti chimici classicamente misurati, potenziali effetti nocivi sulla salute degli

individui.

Tutte le tipologie di microrganismi possono essere presenti nell‟aria e sulle superfici:

batteri, funghi e protozoi, cosi come alcuni virus capaci di resistere in un mezzo esterno.

Tramite l‟aria si diffondono, inoltre, particelle di origine microbica (tossine, frammenti di

cellule, allergeni, composti organici volatili) e vegetale (polline).

Prima di effettuare un campionamento microbiologico in un ambiente di lavoro e

necessario svolgere un sopralluogo per valutare se il tipo di attività lavorativa svolta

comporta l‟uso deliberato di microrganismi o una potenziale esposizione agli agenti

biologici ed individuare le fasi lavorative a rischio. Il sopralluogo è utile anche per

raccogliere informazioni essenziali per poter stilare un protocollo di campionamento

dettagliato, in cui vengono elencati i biocontaminanti da campionare, le tecniche analitiche

da utilizzare, la durata del campionamento, il numero e la localizzazione dei siti dove

effettuare il monitoraggio. È necessario, inoltre, acquisire, tramite letteratura scientifica,

Fattori di rischio: valutazione

90

eventuali informazioni circa l‟esposizione ad agenti biologici nel settore lavorativo in

esame.

Nel caso di attività lavorative che comportino un uso deliberato di agenti biologici, si

procederà al monitoraggio di tali agenti, che consentirà anche la verifica dell‟adozione di

corrette procedure operative da parte dei lavoratori e di idonee misure di contenimento

ambientale per evitare la diffusione degli agenti biologici. Per le attività nelle quali invece,

la presenza di microrganismi, eventualmente anche patogeni, non sia evitabile anche se

non c‟e uso deliberato, è utile l‟applicazione di indici di contaminazione (per esempio

enterobatteri e salmonelle come indici di contaminazione fecale negli impianti di

trattamento delle acque reflue), che consentono di valutare la salubrità dell‟ambiente di

lavoro anche senza ricercare lo specifico patogeno eventualmente presente.

Per quegli ambienti di lavoro, come quelli indoor (uffici, scuole etc.) per i quali la presenza

di agenti potenzialmente patogeni può essere considerata accidentale, la valutazione della

carica microbica totale (funghi e batteri) è usualmente sufficiente.

Per attività lavorative nelle quali il rischio connesso alla presenza di agenti biologici e

di natura allergica oltre che infettiva, è molto utile affiancare ai campionamenti degli

agenti biologici anche la ricerca di allergeni di origine microbica.

Il monitoraggio microbiologico ambientale viene eseguito effettuando controlli dell‟aria,

delle superfici di lavoro ecc... In tutti i tipi di campionamento, le cellule microbiche

sospese nell‟aria o presenti sulle superfici vengono prelevate e fatte moltiplicare su idonei

terreni di coltura, in modo da poterle poi quantificare ed eventualmente identificare.

I metodi di monitoraggio che prevedono la conta batterica su terreno solido e liquido sono

in grado di rilevare solo la frazione microbica vitale metabolicamente attiva e, di

conseguenza, in grado di riprodursi e di formare colonie visibili. È necessario, a tal

proposito, ricordare che la dispersione dei microrganismi nell‟aria e le stesse tecniche di

campionamento, possono determinare una condizione di stress per i microrganismi stessi,

compromettendone la vitalità e la capacità di riprodursi su un terreno di coltura e

comportando una possibile sottostima del rischio biologico.

Fattori di rischio: valutazione

91

Monitoraggio di aria

Il monitoraggio degli agenti biologici aerodispersi (bioaerosol) può essere di tipo

quantitativo e/o qualitativo. Nel primo caso è effettuata una stima della quantità totale di

microrganismi presenti in volumi noti d‟aria; nel secondo caso, o viene effettuata una

ricerca mirata di specifici agenti utilizzando terreni selettivi specifici, o si procede a

posteriori all‟identificazione morfologica e/o molecolare delle colonie isolate, ricavandone

un‟informazione qualitativa. In entrambi tipi di monitoraggio, i microrganismi presenti in

volumi rappresentativi d‟aria sono raccolti su idonei terreni di coltura ed incubati alle

opportune condizioni (tempi e temperatura) di sviluppo allo scopo di consentire la crescita

di colonie visibili ad occhio nudo. Il numero delle colonie cresciute sui terreni di coltura (

Unità Formanti Colonie, UFC) è per convenzione, rapportato al volume di 1 m3 d‟aria o di

un m2 di superficie.

Nelle attività ad esposizione potenziale, indicazioni indirette riguardo alla qualità dell‟aria

si ottengono mediante l‟applicazione di indici di contaminazione, senza ricercare specifici

patogeni eventualmente presenti; si effettuano normalmente, pertanto, monitoraggi

quantitativi. Le tipologie di campionamento che caratterizzano un monitoraggio ambientale

quantitativo in un ambiente indoor sono essenzialmente rappresentate da:

1. Stime quantitative degli organismi aerodispersi, che permettono di valutare il

rischio da inalazione, di verificare l‟efficienza degli impianti di condizionamento e

dei dispositivi di filtrazione e di eventuali misure di contenimento adottate.

2. Stime della contaminazione di superficie, che permettono di valutare il livello

igienico ambientale e l‟efficacia delle procedure e degli interventi di pulizia e/o

decontaminazione di piani di lavoro, attrezzature, apparecchiature, porte e pareti,

superfici interne , armadi ecc..

I metodi di campionamento del bioaerosol tipici distinguono in :attivo e passivo.

Nel campionamento passivo si espongono nell‟ambiente in esame, per opportuni

intervalli di tempo, piastre contenenti idoneo terreno di coltura: su di esse si raccolgono per

sedimentazione i microrganismi veicolati da particelle solide o liquide sospese nell‟aria.

Dopo opportuna incubazione delle piastre, si procede alla conta del numero di colonie

cresciute. L‟efficienza di raccolta dipende dalle caratteristiche aerodinamiche delle

particelle e dal grado di ventilazione dell‟ambiente. Il metodo maggiormente utilizzato a

livello igienistico e l‟Indice Microbico Aria (IMA), il quale esprime il grado di

inquinamento microbiologico dell‟aria come numero di unità formanti colonia (UFC) che

Fattori di rischio: valutazione

92

si contano in una piastra Petri di 9 cm di diametro, contenente agar nutriente, lasciata

aperta nell‟ambiente per un‟ora, ad un metro da terra e ad un metro da ogni ostacolo fisico

rilevante. Il metodo può essere ulteriormente standardizzato: il rischio di contaminazione

ambientale indotto dalla presenza di un operatore può essere ridotto utilizzando uno stativo

a cannocchiale che, mediante un programma elettronico, apre e chiude la piastra

automaticamente per tempi predefiniti.

L‟utilizzo di piastre di sedimentazione, rispetto al campionamento volumetrico dell‟aria,

presenta il vantaggio di essere più semplice ed economico. Esso è particolarmente

vantaggioso per il monitoraggio dell‟ inquinamento microbiologico in una camera

operatoria, in una camera asettica o in una azienda alimentare, in quanto permette di avere

una stima diretta del numero di microrganismi che si depositano sugli oggetti o sugli

alimenti presenti in questi luoghi. I campionatori volumetrici, invece, misurando il numero

totale di microrganismi vitali presenti nell‟aria, forniscono solo un indice indiretto della

probabile contaminazione di oggetti o prodotti. Le piastre a sedimentazione, infine,

possono essere più facilmente posizionate in vicinanza delle zone di possibile

inquinamento.

II metodo passivo presenta tuttavia diversi svantaggi: non è quantitativo, non permette di

correlare il numero di microrganismi a un volume noto di aria ed ha una bassissima

sensibilità. È dimostrato, infatti, che esso rileva una carica ambientale notevolmente

minore rispetto a quella misurabile con il campionamento attivo effettuato con il SAS.

L‟efficienza di questo metodo viene influenzata da fattori non sempre riproducibili e

controllabili, quali: distribuzione non uniforme dei microrganismi nell‟aria, dimensione dei

microrganismi e di conseguenza diversa velocità di sedimentazione delle particelle vitali,

temperatura dell‟ambiente, ridotti volumi di aria campionati.

A differenza del campionamento passivo, il campionamento attivo consente di

raccogliere i microrganismi presenti in un volume noto d‟aria. Esistono in commercio

diversi modelli di campionatori attivi, basati su vari principi di funzionamento

(campionatori per impatto, per filtrazione, per gorgogliamento).

I campionatori attivi aspirano volumi predeterminati di aria, convogliandoli su un terreno

di coltura liquido o solido. I microrganismi presenti nell‟aria aderiscono al terreno e, dopo

un adeguato periodo di incubazione, danno origine a colonie visibili a occhio nudo, che si

possono numerare e, dopo isolamento, identificare. Il livello di contaminazione microbica

si esprime come Unita Formanti Colonie (UFC) per m3 di aria.

Fattori di rischio: valutazione

93

Questo metodo di campionamento ha il vantaggio di permettere l‟aspirazione di grandi

volumi di aria confinata, minimizzando le differenze di distribuzione dei batteri dovute alle

correnti, alla temperatura e alle dimensioni degli aggregati aerodispersi.

Dal punto di vista strutturale, i campionatori attivi possono essere dotati di una pompa

aspirante a vuoto integrata all‟apparecchio o esterna.

Tra i campionatori muniti di pompa esterna, il più usato e il campionatore multistadio

Andersen (campionatore per impatto). In questo tipo di strumentazione, l‟aria aspirata

viene fatta passare attraverso una serie di filtri con pori di dimensioni decrescenti in modo

che le particelle sospese vengano trattenute, in funzione del loro diametro, sulle superfici

di una serie di piastre con terreno nutritivo. Tale tipo di campionatore è tuttavia

ingombrante e utilizza, per ogni ciclo di aspirazione dell‟aria, fino a 6 piastre. Inoltre, le

informazioni che si possono ottenere con il differenziamento dimensionale dei

microrganismi non sempre sono utili per il monitoraggio dell‟inquinamento aereo.

Esistono inoltre campionatori monostadio con pompa esterna conformi alle direttive della

norma ISO14698-1 (BioStage).

I campionatori monostadio con pompa integrata sono più maneggevoli rispetto ai

campionatori multistadio e permettono di rilevare la carica microbica aerodispersa con una

approssimazione del 70-80%. Gli strumenti disponibili utilizzano fondamentalmente due

criteri di intercettazione delle particelle microbiche: l‟impatto tangenziale o l‟impatto

ortogonale dell‟aria sul terreno agarizzato.

Il campionatore monostadio di Reuter (Reuter Centrifugal Sampler - RCS), utilizzato in

particolare nelle industrie alimentari, lattiero-casearie o farmaceutiche, e un campionatore

d'aria a impatto tangenziale. Il campionatore RCS, a seconda dei vari modelli, aspira al

minuto 100, 50 o 40 litri di aria, convogliandola su una striscia di speciale substrato

agarizzato. Si tratta di una strumentazione caratterizzata da un‟elevata efficienza, anche se

la striscia agarizzata tende velocemente a saturarsi, dando luogo alla sovrapposizione ed

inibizione delle colonie, elementi che rendono meno facile l‟identificazione delle colture

pure.

Nei campionatori monostadio ad impatto ortogonale, come ad esempio il Surface Air

System (SAS), il Microflow (figura)etc., l‟aria aspirata viene inviata sulla superficie di uno

specifico terreno di coltura agarizzato, scelto dall‟operatore a seconda del tipo di

microrganismo da identificare.

Fattori di rischio: valutazione

94

Di conseguenza è possibile effettuare un campionamento microbico mirato, riferito alle

caratteristiche dell‟ambiente da monitorare. Gli apparecchi hanno la possibilità di variare i

volumi di aspirazione dell‟aria in funzione dei livelli di inquinamento microbico presenti.

Per evitare la disidratazione dei terreni nutritivi, la durata dei prelievi è breve; inoltre, in

presenza di alte cariche microbiche, è possibile la sottostima del rischio biologico per

fenomeni di aggregazione microbica sulla piastra.

Per il campionamento in clean room possono essere utilizzati campionatoti ad impatto

(MAS 100 Merks) che non provocano alcuna turbolenza negli ambienti a flusso laminare.

Il controllo dell‟ inquinamento microbiologico negli ambienti di lavoro può essere

condotto mediante filtrazione. Il campionamento mediante filtrazione è un metodo

utilizzato ampiamente per gli aerosol di origine chimica, ed è stato adattato al

monitoraggio microbiologico. Queste metodologie si basano sull‟uso di un mezzo filtrante

montato su un portafiltro o inserito all‟interno di una cassetta, e collegato ad un sistema in

grado di aspirare volumi predeterminati di aria.

Esistono 3 categorie principali di filtri: filtri in fibra, membrane di estere di cellulosa o di

altro polimero sintetico, filtri in policarbonato.

I filtri in fibra (ad esempio i filtri in fibra di vetro) sono costituiti da una matrice porosa che

intercetta le particelle e vengono principalmente usati per analisi gravimetriche della

polvere e degli allergeni.

Le membrane possono essere costituite da esteri di cellulosa, PVC, PTFE o da gelatina.

I filtri di estere di cellulosa o di policarbonato sono contenuti all‟ interno di cassette sterili

di plastica e trattengono i microrganismi ambientali grazie alla loro struttura porosa. Il

principio del metodo e l‟intercettazione sulla superficie del filtro delle particelle di

diametro inferiore al diametro dei pori del filtro (variabile da 0,01 a 10 μm).

Per esempio un filtro di porosità 5 μm campiona le particelle di 0,3 μm con una efficacia

superiore al 95%.

Le membrane di gelatina, anch‟esse contenute in cassette sterili (Via-cell), possono essere

dissolte in un liquido e formano un campione che può essere eventualmente diluito,

Fattori di rischio: valutazione

95

omogeneizzato e inoculato su terreni di coltura agarizzati. L‟analisi dell‟inquinamento

microbiologico si conclude, anche in questo caso, con il conteggio e l‟eventuale

identificazione delle specie microbiche sviluppatesi.

Utilizzando una tecnica alternativa, le membrane di gelatina e di acetato di cellulosa

possono essere deposte direttamente sulla superficie del terreno agarizzato e

successivamente le colonie sviluppatesi possono essere contate. I campionatori per

filtrazione hanno una notevole efficienza di raccolta dei microrganismi aerodiffusi e

permettono di analizzare con accuratezza ambienti caratterizzati da inquinamento

microbico elevato (dissolvendo le membrane di gelatina e diluendo la soluzione) o molto

basso (allestendo colture di arricchimento). La tecnica della dissoluzione della gelatina

offre inoltre la possibilità di rompere gli aggregati cellulari durante l‟omogeneizzazione del

campione e permette di effettuare più determinazioni con un unico prelievo di aria. Tra gli

aspetti negativi bisogna ricordare che si tratta di un metodo che richiede

un‟apparecchiatura voluminosa e poco maneggevole. Le membrane tendono, inoltre, a

seccarsi facilmente, interferendo sulla vitalità delle cellule campionate.

Le membrane di gelatina hanno ulteriori limiti, in quanto possono essere utilizzate solo con

una temperatura ambientale inferiore a 30°C e con una umidità massima pari all‟85%.

Nei campionatori Impingers su liquido (campionatori per gorgogliamento) i volumi

di aria aspirati sono fatti gorgogliare in un opportuno mezzo liquido, in cui si raccoglie il

particolato aerodisperso. La sospensione cosi ottenuta, dopo omogeneizzazione e

diluizione, viene seminata direttamente su terreno solido. L‟utilizzo di un liquido di

raccolta favorisce la dispersione degli eventuali aggregati microbici sospesi nell‟aria,

migliora la coltivabilità dei microrganismi stessi, consente la diluizione del campione in

caso di elevata contaminazione. Tuttavia l‟utilizzo sul campo dello strumento risulta poco

pratico e la facile evaporazione delle soluzioni utilizzate come mezzo di raccolta limita

sensibilmente la durata dei prelievi di aria.

Monitoraggio di superfici

Per la valutazione della contaminazione delle superfici, causata dalla deposizione del

bioaerosol sospeso nell‟aria e dal contatto con l‟uomo o materiali contaminati, si possono

utilizzare diverse tecniche: applicazione di piastre Petri di tipo a contatto, tamponi o

spugne sterili e slides. Le piastre a contatto consentono di determinare il valore di UFC

riferito all‟area di contatto della piastra con la superficie interessata ( solitamente da 10 a

100 cm2) dal prelievo. È consigliabile effettuare i campionamenti in triplo sulla medesima

superficie in esame, campionando in tre punti vicini significativi per la valutazione dei

Fattori di rischio: valutazione

96

livelli medi di contaminazione. Il tempo di contatto e la pressione da esercitare dovranno

essere identiche per ogni campionamento. Il risultato si esprime in UFC/ cm2.

Il campionamento delle superfici può essere eseguito anche mediante l‟utilizzo di un

applicatore temporizzato a peso standardizzato, per assicurare maggiore omogeneità di

pressione della piastra sulla superficie stessa e pertanto migliore riproducibilità e

comparabilità del dato.

Oggetto di valutazione possono essere pareti e superfici sia di piani che di apparecchiature

e utensili di lavoro.

In particolari situazioni, ad esempio nel caso in cui le superfici da monitorare siano

bagnate, irregolari o non facilmente accessibili, può essere necessario l‟utilizzo di tamponi

o di membrane di nitrocellulosa, anziché di piastre. Nel caso dei tamponi, questi andranno

strofinati sulla superficie da analizzare (da 10 a 100 cm2), roteando l‟impugnatura tra

pollice e indice, in modo tale da consentire il contatto dell‟intera superficie del tampone.

Al termine del campionamento si deve riporre il tampone nella provetta contenente il

terreno di trasporto, porlo in un contenitore refrigerato per il trasporto verso il laboratorio

(che dovrebbe avvenire entro 6 ore) e procedere alla fase di inoculo. L‟inoculo stesso si

effettua strisciando con accuratezza tutta la superficie di contatto del tampone sul terreno

di coltura, scelto in funzione del tipo di determinazione che si intendono condurre. In linea

generale, pero, l‟utilizzo dei tamponi deve essere limitato, perché difficilmente

standardizzabile e confrontabile con i risultati ottenuti con le piastre a contatto.

Se si utilizzano le spugne, queste andranno poi risospese in un liquido che verrà

successivamente analizzato, dopo trattamento in omogeneizzatore per estrarre i

microrganismi.

Acqua

Tale tipologia di monitoraggio è particolarmente indicata per la ricerca di legionella negli

ambienti di vita e di lavoro e può riguardare ad esempio acqua calda o fredda della rete

idrica, depositi in serbatoi o altri punti di raccolta dell‟acqua, sbocco di rubinetti, acqua di

condensa, acqua di sifoni, vasche di raccolta delle UTA. Il campionamento e l‟analisi

microbiologica dell‟acqua andrebbero eseguiti secondo i protocolli riportati nelle “ Linee

guida per la prevenzione e il controllo della legionellosi” (G.U. n.103 del 2000).

Allergeni indoor nella polvere

Il protocollo di campionamento ed analisi di allergeni indoor negli ambienti confinati,

messo a punto dalla Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione dell‟INAIL

Fattori di rischio: valutazione

97

in collaborazione con il laboratorio di Immunologia dell‟Istituto Superiore di Sanità,

prevede la raccolta della polvere sedimentata dalle postazioni di lavoro più significative

(scrivanie, pavimenti, tendaggi, poltrone, archivi ecc..) e l‟analisi immunoenzimatica

mediante anticorpi monoclonali.

In ciascun ambiente, insieme ai prelievi di polvere, è sempre necessario eseguire dei rilievi

microclimatici con particolare attenzione ai parametri che maggiormente ne possono

influenzare la diffusione e la dispersione (temperatura, umidità relativa, velocità dell‟aria).

Al fine di accertare eventuali correlazioni tra la concentrazione degli allergeni e i fattori

ambientali, i campionamenti devono essere sempre corredati da una scheda tecnica,

riportante le caratteristiche del sito esaminato ( sistema di condizionamento/riscaldamento

dell‟aria, tipo di finestre, arredamento, tendaggi, presenza di piante ecc..); inoltre, a ciascun

impiegato può essere sottoposto un questionario individuale nel quale segnalare eventuali

malattie allergiche, disturbi oculari, cutanei e delle vie aeree, disagio dovuto al microclima

e la eventuale presenza di animali domestici in casa.

3.4.1.3 INDICI DI RIFERIMENTO E PARAMETRI RICERCATI

Per la qualità dell’aria

Il D.Lgs. 81/2008 non fornisce valori di carica batterica o micetica a cui rapportarsi per

valutare la qualità dell‟aria degli ambienti di lavoro.

A livello di contaminazione microbiologica, la differenziazione tra ambiente salubre e

insalubre non è cosi immediata e semplice. L‟American Conference of Govermental

Industrial Hygienists (ACGIH) non ritiene proponibili valori limite-soglia per i

contaminanti biologici. Ciò in conseguenza di diversi fattori, tra i quali l‟indisponibilità di

relazioni dose-risposta, di procedure standard di monitoraggio, la complessa composizione

biologica del bioaerosol, la variabilità della risposta individuale all‟esposizione.

Allo stato attuale, per poter pervenire ad un giudizio indicativo sulla qualità microbiologica

dell‟aria, è possibile soltanto confrontare i valori ottenuti da un monitoraggio ambientale

con parametri consigliati.

Riguardo il campionamento attivo, nel 1993 la Commissione delle Comunità Europee

(European Collaborative Action) ha proposto, per gli ambienti indoor non industriali, fasce

orientative di contaminazione dell‟aria (intervalli di concentrazioni totali di UFC), il cui

superamento, però, non implica automaticamente l‟instaurarsi di condizioni di pericolo o

insalubrità (tabelle 6 e 7).

Fattori di rischio: valutazione

98

Tabella 6. Valori di carica batterica e valutazione della qualità dell‟aria (European Collaborative

Action,1993)

Categoria di inquinamento

microbiologico

(batterica)

Case

(UFC/ m3)

Ambienti non industriali

(UFC/ m3)

Molto bassa < 1000 < 50

Bassa < 500 < 100

Intermedia < 2500 < 500

Alta < 10000 < 2000

Molto Alta > 10000 >2000

Tabella 7.Valori di carica micetica e valutazione della qualità dell‟aria (European Collaborative Action,1993)

Categoria di inquinamento

microbiologico

(miceti)

Case

(UFC/ m3)

Ambienti non industriali

(UFC/ m3)

Molto bassa < 50 < 25

Bassa < 200 < 100

Intermedia < 1000 < 500

Alta < 10000 < 2000

Molto Alta > 10000 >2000

Si raccomanda di giudicare la qualità dell‟aria di un ambiente confrontando tra loro le

cariche microbiche rilevate all‟esterno e all‟interno di esso. Ovviamente, il rinvenimento di

microrganismi patogeni e funghi produttori di tossine costituisce di per se un elemento di

rischio, indipendentemente dalle concentrazioni osservate. In campo ospedaliero o

farmaceutico, la necessità di monitorare il livello di contaminazione microbica dell‟aria e

oramai riconosciuta ed in molti Paesi sono state approvate norme ufficiali relative a vari

settori produttivi (British Standard, 1989; Federal Standard, 1988; ISO/IEC 17025:2005

etc).

In Italia, Dacarro e collaboratori hanno proposto un altro tipo di approccio per la

valutazione delle cariche batteriche e fungine ambientali da correlare ad un giudizio sulla

qualità dell‟aria. Tale approccio si avvale dell‟utilizzo di particolari “indici di

contaminazione microbiologica” (tabella 8). Poiché diverse sono le categorie microbiche

che concorrono alla genesi dell‟ inquinamento microbiologico indoor, viene proposto

l‟indice globale di contaminazione, IGCM per la misura complessiva dell‟ inquinamento

microbico ambientale:

IGCM = UFC batteri (37°C)/m3 + UFC batteri(20°C)/m

3 + UFC miceti/m

3

dove UFC batteriche sono le UFC di batteri per m3 d‟aria, rispettivamente a 37 e a 20 °C e

le UFC micetiche sono le UFC fungine per m3 d‟aria, determinate a 20 °C.

Fattori di rischio: valutazione

99

L‟indice di contaminazione da batteri mesofili (ICM) consente, invece, di valutare il

contributo all‟inquinamento da parte dei batteri di origine umana e animale, tra i quali

possono essere presenti specie potenzialmente patogene. Negli ambienti confinati tale

indice riveste fondamentale importanza ai fini della valutazione dell‟efficienza dei ricambi

d‟aria:

ICM = (UFC batteri (37°C)/m3) / (UFC batteri (20°C)/m

3).

L‟indice di amplificazione IA permette di analizzare le differenze tra i livelli di

contaminazione esterna ed interna, conseguenti alla attività lavorativa svolta.

IA = IGCM(int) / IGCM(est)

Valori di IGCM/m3 inferiori a 500 vengono associati, dagli Autori, alla categoria di

contaminazione microbica “molto bassa”, mentre valori di IGCM/m3 superiori a 1000 sono

collegati ad una significativa contaminazione microbica ambientale.

Tabella 8. Categorie e classi di contaminazione microbiologica dell‟aria proposti da Dacarro e collaboratori

(2000)

Categoria (IGCM/m3) Classe

Molto bassa < 500

Bassa < 1000

Intermedia > 1000 A: IGCM <1000; ICM <3; IA <3

B: IGCM >1000; ICM >3; o IA >3

C: IGCM >1000; ICM >3; IA > 3

Alta > 5000 D: IGCM >5000; ICM <3; IA <3

E: IGCM >5000; ICM >3;o IA >3

F: IGCM >5000; ICM >3; IA > 3

Molto Alta > 10000 G: IGCM >10000; ICM <3; IA <3

H: IGCM >10000; ICM >3;o IA >3

I: IGCM >10000; ICM >3; IA > 3

Se si effettua il monitoraggio con tecnica passiva si deve far riferimento alle quattro classi

di contaminazione microbica dell‟aria, definite dall‟IMA (tabella 9):

Fattori di rischio: valutazione

100

Tabella 9.Valori limite IMA (UFC/piastra)

Tipologia di ambiente UFC/piastra

Ambienti ad altissimo rischio

Ultra clean room, isolamento protettivo, sale

operatorie per protesi auricolare, alcune lavorazioni

dell‟industria elettronica e farmaceutica

5

Ambienti ad alto rischio

Clean room, sale operatorie per chirurgie generali,

rianimazione, dialisi, alcune lavorazioni

dell‟industria elettronica e farmaceutica, laboratori di

microbiologia.

25

Ambienti a medio rischio

Ambulatori, laboratori, industrie alimentari, cucine,

ristoranti.

50

Ambienti a basso rischio

Corsie d‟ospedali, servizi, uffici. 75

Il metodo IMA prevede che, in assenza di normative ufficialmente approvate, l‟operatore

individui quale classe di contaminazione microbica dell‟aria adottare come limite massimo

per l‟ambiente da monitorare, in base al rischio di infezione che questo

presenta.

Per gli allergeni

Sebbene non esistano dei veri e propri livelli soglia relativi alla dose minima di allergene

in grado di indurre sensibilizzazione, sono stati proposti durante l‟International Workshop

on Indoor Allergens and Asthma, per gli allergeni acaricidi dei valori teorici soglia per la

sensibilizzazione e per l‟insorgenza di attacchi acuti di asma, rispettivamente 2μg e 10μg

di allergene del gruppo 1 (Der p1 e Der f1), per grammo di polvere.

Per Legionella

Le legionelle possono essere responsabili di forme patologiche anche gravi (infezioni

polmonari e non, e forme subcliniche). Esse si sono progressivamente imposte nel

panorama sanitario nazionale e internazionale, al punto da indurre l‟istituzione di un

sistema di sorveglianza specifico a livello europeo (EWGLI), di un Registro Nazionale

della legionellosi, presso l‟ISS, e l‟emanazione di apposite linee guida sull‟ argomento, per

il controllo del rischio di esposizione (GU n. 103 del 5 maggio 2000).

La legionellosi è malattia soggetta ad obbligo di notifica (classe II).

Legionella spp. e, in particolare, L. pneumophila sono incluse nelle liste degli agenti

biologici di cui al D.Lgs. N. 81/2008, Allegato XLVI e successive modifiche e al datore di

Fattori di rischio: valutazione

101

lavoro è fatto obbligo di procedere alla valutazione del rischio specifico, per le sue

implicanze sulla salute umana.

Si tratta di una specie microbica di comune rinvenimento sia negli habitat acquatici

naturali (acque dolci) sia (in condizioni ambientali favorevoli) in habitat artificiali come le

reti di distribuzione di acqua potabile, piscine, impianti di irrigazione, falde idriche, i

sistemi di acqua calda sanitaria, i sistemi di climatizzazione, i circuiti di raffreddamento ad

acqua, ecc. Un‟inadeguata progettazione, installazione e manutenzione degli impianti idrici

e aeraulici (cioè, impianti di riscaldamento, ventilazione e condizionamento dell‟aria) degli

edifici può trasformare tali impianti in serbatoi e sorgenti di disseminazione batterica

importante, anche a distanza, attraverso fenomeni di turbolenza o aerosolizzazione di

acqua, con conseguente sviluppo di bioaerosol contaminato.

In campo occupazionale, ciò si traduce nel rischio di esposizione sia del personale tecnico

deputato alla gestione e manutenzione di tali impianti, sia dei lavoratori presenti negli

ambienti climatizzati.

Nei casi in cui se ne sospetti la presenza, si deve procedere alla ricerca di legionella in

campioni d‟acqua prelevati in punti rappresentativi dell‟impianto dell‟ edificio in esame.

L‟indagine deve essere preceduta da un‟attenta valutazione delle condizioni dell‟ impianto

stesso, congiuntamente alle figure professionali coinvolte nella sua gestione e

manutenzione.

È presente un elenco di linee guida nazionali e internazionali, di indicazioni e riferimenti

per la ricerca di Legionella spp. in campioni acquosi, la prevenzione ed il controllo della

legionellosi e dei rischi igienici correlati ai sistemi aeraulici.

I parametri microbiologici

I parametri generalmente ricercati sono i seguenti:

- Carica batterica totale psicrofila: indicatore della contaminazione batterica

ambientale con una temperatura di accrescimento ottimale intorno ai 25°C.

- Carica batterica totale mesofila: indicatore della contaminazione di origine umana

e animale, con una temperatura ottimale di accrescimento intorno ai 37°C, che

include anche i patogeni convenzionali.

- Carica fungina totale (muffe e lieviti): indicatore ambientale spesso correlato alla

presenza di elevata umidità, ridotta ventilazione e scarsa qualità dell‟aria.

- Pseudomonas aeruginosa: patogeno piuttosto ubiquitario con spiccate capacità

invasive e di resistenza ad antibiotici. È un batterio tossigeno ed opportunista

Fattori di rischio: valutazione

102

pericoloso per l‟uomo che determina patologie soprattutto in individui

maggiormente suscettibili. Sono microrganismi aerobi con un optimum di crescita

sui 30-37 °C. La scelta di valutare questo parametro è legata anche al fatto che,

secondo alcune fonti bibliografiche, Pseudomonas potrebbe essere in grado di

fornire a Legionella il substrato di accrescimento desiderato quando l‟ambiente non

risulta già di per sé idoneo al suo sviluppo. Legionella può sopravvivere con una

temperatura dell'acqua compresa tra i 5,7 e i 55 °C ma ha il massimo sviluppo ad

una temperatura dell‟acqua compresa tra i 25 e i 42 °C e umidità superiore al 65%.

Da evidenziare anche la loro capacità di sopravvivenza in ambienti acidi e alcalini,

sopportando valori di pH compresi tra 5,5 e 8,1.

Oltre a tali parametri, si può procedere alla rilevazione di specifiche categorie microbiche:

gli stafilococchi come, i coliformi e gli enterococchi come indici di contaminazione fecale,

o particolari tipologie batteriche quali Legionella pneumophila.

3.4.2 RISCHIO FISICO

3.4.2.1 INDICI MICROCLIMATICI

I criteri di valutazione per ambienti moderati, gruppo all‟interno del quale si possono

collocare i call-center, sono basati su:

TEMPERATURA EFFETTIVA (ET)

Questo indice, originariamente proposto nel 1923 come indice empirico di sensazione

termica, combina in un valore unico l‟effetto della temperatura e dell‟umidità dell‟aria,

tenendo conto, mediante una correzione, della velocità dell‟aria stessa.

La temperatura effettiva di un ambiente reale viene determinata facendo riferimento ad un

ambiente standard a pareti nere e temperatura uniforme, caratterizzato da aria calma e

satura. In particolare, la temperatura effettiva dell‟ambiente reale è quella temperatura

dell‟ambiente standard che mantenga invariata la sensazione termica per un generico

soggetto che passi dall‟uno all‟altro ambiente. Poiché la sensazione termica è fortemente

correlata a dispendio metabolico e resistenza termica del vestiario indossato, la

determinazione di ET deve essere effettuata per specifici valori di questi due parametri.

Attualmente si ritiene che l‟indice tenda a sovrastimare l‟effetto dell‟umidità dell‟aria negli

ambienti confortevoli e freschi ed a sottostimarla negli ambienti caldi. Per tali motivi

Fattori di rischio: valutazione

103

l‟indice ET è stato sostituito da parte della ASHRAE mediante quello denominato “nuova

temperatura effettiva “ (ET*).

Tabella 10. Metabolismo energetico corrispondente ad alcune attività

Metabolismo Energetico

(W/m2)

(met)

Disteso 46 0.8

Seduto, rilassato 58 1.0

In piedi, rilassato 70 1.2 Attività sedentaria (ufficio, casa

scuola, laboratorio)

70 1.2

Attività in piedi (compere,

laboratorio, industria leggera)

93 1.6

Attività in piedi (commesso, lavori

domestici, lavori a macchina)

116 2.0

Attività moderata (lavoro pesante

a macchina, lavoro in garage)

165 2.8

La resistenza termica dell'abbigliamento viene generalmente misurata in unità incoerenti

"clo"(dall'abbreviazione del termine inglese clothing = vestito) ed in tal caso, la resistenza

termica unitaria dell'abbigliamento viene indicata con Icl. La resistenza termica

dell'abbigliamento dipende soprattutto dallo spessore e dalla porosità di ogni singolo strato

che lo compone ed agisce ostacolando gli scambi termici per convezione, irraggiamento ed

evaporazione.

La resistenza termica dell'abbigliamento può essere consultata in opportune tabelle

(esempio tab. 11) od in alternativa, quando si conosca esattamente da quali capi è

composto l'abbigliamento, utilizzando i dati illustrati nella tabella 12, con la somma delle

resistenze dei singoli capi (∑ I Cli) secondo la seguente formula: Icl = 0,82 ∑ I cli

Fattori di rischio: valutazione

104

Tabella 11.Valori rappresentativi di resistenza termica di tenute di abbigliamento

Abbigliamento Iclu (clo)

Da lavoro

Mutande, tuta da lavoro, calzini, scarpe.

Mutande, camicia, pantaloni, calzini, scarpe.

Mutande, camicia, pantaloni, giacca, calzini, scarpe.

Biancheria intima a maniche e gambe corte, camicia, pantaloni, giacca, calzini, scarpe.

Biancheria intima a maniche e gambe corte, camicia, pantaloni, giacca con

imbottitura pesante, tuta, calzini, scarpe.

Biancheria intima a maniche e gambe lunghe, maglione pesante, pantaloni pesanti,

giacca termica con imbottitura pesante, calzini, scarpe.

0.70

0.75

0.90

1.00 1.85

2.20

Giornaliero

Slip, maglietta, pantaloncini, calzini leggeri, sandali.

Slip, camicia a maniche corte, gonna, calze, sandali. Mutande, camicia, pantaloni leggeri, calzini, scarpe.

Slip, sottoveste, calze, abito, scarpe.

Slip, camicia, gonna, maglione a girocollo, calzettoni spessi al ginocchio, scarpe.

Slip, camicia, pantaloni, giacca, calzini, scarpe.

Biancheria intima a maniche e gambe lunghe, camicia, pantaloni, maglione,

giacca,calzini, scarpe.

Biancheria intima a maniche e gambe corte, camicia, pantaloni, gilet, giacca,

cappotto,calzini, scarpe.

0.30

0.55 0.60

0.70

0.90

1.00

1.30

1.50

Fattori di rischio: valutazione

105

Tabella 12.Valori rappresentativi di resistenza termica di singoli capi di abbigliamento

Capo di abbigliamento Iclu (clo)

Maglieria intima

Slip

Slip e reggiseno

Maglia a maniche corte

Maglia a maniche lunghe

Sottoveste corta

Sottoveste lunga

0.03

0.05 0.09

0.12

0.13

0.19

Calzini e calze

Calzini leggeri

Calze di nylon

Calzini pesanti

0.02

0.03

0.04

Camicie

Leggera, a maniche corte

Leggera, a maniche lunghe

Di flanella, a maniche lunghe

0.20

0.25

0.30

Pantaloni

Corti

Leggeri

Normali

0.06

0.20

0.25

Gonne

Gonna leggera (estiva)

Gonna pesante (invernale)

0.15

0.25

Abiti

Abito leggero, a maniche corte

Abito invernale, a maniche

lunghe

0.20

0.40

Maglioni

Gilet

Maglione leggero

Maglione pesante

0.12

0.20

0.35

Giacche

Giacca leggera (estiva)

Giacca pesante (invernale)

0.25

0.40

Scarpe

A suola sottile

A suola spessa

0.02

0.04

Fattori di rischio: valutazione

106

NUOVA TEMPERATURA EFFETTIVA (ET*)

La nuova temperatura effettiva è un indice che è stato proposto nel 1971, in sostituzione

della temperatura effettiva, che era un indice empirico. Il nuovo indice è invece basato su

criteri razionali. Scopo dell'indice è fornire un indice di valutazione della temperatura

percepita da un soggetto, che, oltre che della temperatura dell'aria, tenga conto del suo

grado di umidità e della presenza di vento. La definizione si basa sul presupposto che la

sensazione di benessere di un individuo sia basata su due parametri fisiologici: la

temperatura della pelle e la frazione di area cutanea bagnata dal sudore.

È definita come "la temperatura dell'aria e delle pareti nere di un ambiente virtuale

uniforme, con aria calma e con umidità pari al 50%, nel quale un generico soggetto

scambierebbe, mediante il complesso dei tre meccanismi di conduzione, convezione ed

evaporazione, la stessa potenza termica scambiata attraverso i tre meccanismi

nell‟ambiente reale". La Nuova Temperatura Effettiva ha tutte le caratteristiche di indice

razionale, si differenzia in modo sostanziale dalla Temperatura Effettiva tradizionale in

quanto non è determinata da una soggettiva uguaglianza di sensazione termica bensì da

quella di grandezze direttamente correlate alla situazione termica oggettiva dell'organismo.

TEMPERATURA OPERATIVA

La Temperatura operativa è definita come la temperatura di un ambiente virtuale uniforme

e con parti nere, nel quale un generico soggetto scambi, mediante il complesso dei due

meccanismi di convezione ed irraggiamento, la stessa potenza termica scambiata, nell'

ambiente disuniforme reale, mediante il complesso degli stessi meccanismi. In termini

analitici tale definizione si traduce nell' espressione:

to = (hr tr + hc ta) / (hr + hc)

dove:

hr e hc sono i coefficienti di scambio termico, radiante e convettivo rispettivamente.

tr e ta sono la temperatura media radiante e la temperatura dell' aria rispettivamente.

Per la determinazione della temperatura operativa è necessaria la valutazione dei due

coefficienti di scambio che richiede a sua volta la determinazione del valore della

temperatura cutanea media e della velocità dell' aria. Tuttavia in ambienti moderati la

Fattori di rischio: valutazione

107

temperatura operativa può essere valutata in modo più semplice secondo le seguenti

modalità:

se la velocità dell' aria relativa al soggetto (Var) è modesta o se la differenza tra

temperatura dell' aria e media radiante non è superiore a 4°C, si può assumere come

temperatura operativa la media aritmetica delle due temperature;

per maggiore precisione si può assumere:

to = A ta + (1 - A) tr

dove A è determinato in funzione della velocità dell' aria relativa al soggetto Var sulla base

della tabella 13.

Tabella 13.Valori del coefficiente per il calcolo della temperatura operativa

Var (m/s)

A

< 0,2

0,5

0,2 - 0,6

0,6

0,6 - 1

0,7

Dal punto di vista ambientale questo indice non è determinato dall' umidità relativa dell'

aria ed è quindi mal correlato alla situazione termica dell' organismo quando lo scambio

termico per sudorazione sia rilevante. Tuttavia, in ambienti moderati ed in condizioni non

molto discoste da quelle di benessere termico, può essere utilizzato per specificare e

valutare tali condizioni con riferimento a specifici valori di dispendio metabolico e

resistenza termica del vestiario.

INDICI DI FANGER: PMV E PPD

La sensazione soggettiva di benessere non dipende da uno solo dei relativi fattori

ambientali (temperatura, umidità, velocità dell‟aria, ecc.), bensì dalla loro combinazione.

Per esprimere questo concetto, sono stati quindi studiati vari indici microclimatici che sono

l‟espressione della correlazione tra parametri ambientali e sensazioni soggettive di

benessere o disagio termico, ricavate da un gran numero di esperienze sperimentali in

camere climatiche.

Tra i numerosi indici proposti gli Indici di Fanger, attualmente, sono tra i più utilizzati per

la determinazione di un ambiente accettabile per lavori sedentari; essi, oggetto della norma

EN ISO 7730, consentono di poter valutare le condizioni microclimatiche di un ambiente

Fattori di rischio: valutazione

108

di lavoro in funzione del giudizio (caldo, freddo, confortevole) espresso dai soggetti in

esame e del loro eventuale disagio termico.

Se il complesso di fattori resistenza termica del vestiario, attività fisica svolta, parametri

ambientali oggettivi è tale da soddisfare l‟equazione del benessere termico per una

popolazione numerosa di soggetti, è ragionevole attendersi che mediamente i soggetti

stessi esprimeranno una valutazione di piena accettazione nei confronti dell‟ambiente

termico.

In caso contrario, nascerà una insoddisfazione che potrà essere apprezzata

qualitativamente, ad esempio, mediante una scala di sensazioni.

Gli indici di Fanger sono il PMV ed il PPD.

• PMV (predicted mean vote o voto medio previsto): esprime in un valore un giudizio sulle

condizioni di benessere termico dell' ambiente correlando velocità dell' aria, temperatura a

bulbo umido, temperatura a bulbo secco, temperatura media radiante, resistenza termica

del vestiario, attività svolta. Il PMV risulta un indice particolarmente adatto alla

valutazione di ambienti lavorativi a microclima moderato, quali abitazioni, scuole, uffici,

laboratori di ricerca, ospedali, ecc.

Le idee di base del PMV sono un dettagliato calcolo del bilancio termico corporeo in base

alla temperatura cutanea media e alla perdita di calore per evaporazione necessarie a

mantenere il detto bilancio (Metodo di FANGER). Mediante il confronto tra i valori

fisiologici previsti e le risposte fornite da persone sottoposte ad indagine di laboratorio in

condizioni di comfort termico, è possibile stabilire il grado di discomfort che i soggetti

proverebbero in ambienti reali. Il PMV fornisce la previsione di un giudizio medio sull'

ambiente termico riferito ad un ampio campione di persone mediante un valore numerico

sulla scala di comfort ASHRAE a 7 livelli:

Tabella 14.Scala di valutazione dell'ambiente termico

Classificazione dei valori di PMV per lo studio delle condizioni termiche ambientali secondo

la scala di valutazione psico-fisica a sette punti dell' ASHRAE

Valori di PMV Sensazioni umane -3 Gelo

-2 Freddo -1 Freddo leggero

0 Neutralità (confort) +1 Caldo leggero

+ 2 Caldo +3 Caldo torrido

Fattori di rischio: valutazione

109

Naturalmente il PMV rappresenta la media dei voti di una popolazione esposta alle stesse

condizioni di microclima, abbigliamento e dispendio energetico. Poiché le variabili

individuali giocano un ruolo importante per quanto riguarda la sensazione di benessere e di

disagio termico, attorno al valore del voto medio si ha, normalmente, una dispersione di

valori.

Assunto che i soggetti sicuramente insoddisfatti avrebbero espresso un valore sulla scala di

sensazione termica di ± 2 o ± 3 è stata elaborata, sulla base di ricerche sperimentali su

circa 1300 soggetti, una correlazione tra l'indice PMV e la percentuale predetta di

insoddisfatti (Fig 4). Non tutti sono d'accordo su questo assunto di base in quanto, anche i

soggetti che esprimono un voto di -1 o di + 1 indicano una situazione di disagio; tuttavia,

va sottolineato che i voti inferiori a -1 o superiori a + 1 indicano sicuramente i gradi di

disagio sicuramente più elevati.

La norma UNI EN ISO 7730 raccomanda di utilizzare, in relazione ai limiti di applicabilità

espressi dalla tabella 15, l‟indice PMV solo per valori compresi tra –2 e +2; infatti per

valori al di fuori di questo intervallo la percentuale degli “insoddisfatti” supera il 75% e il

discomfort è tale da non essere più rappresentativo e associabile ad un ambiente di tipo

moderato. La normativa inoltre definisce per gli “ambienti termici accettabili per il

comfort” tre classi di qualità crescente in cui l‟indice PMV sia compreso tra ±0.7

(CLASSE C), ±0.5 (CLASSE B), ±0.2 (CLASSE A); la normativa non chiarisce però quali

debbano essere i prerequisiti tali per cui un ambiente di lavoro debba rientrare in una classe

piuttosto che in un‟altra.

• PPD (predicted percentage of disatisfied o percentuale prevista di insoddisfatti):

individuato il valore medio della sensazione termica espressa dalla popolazione di soggetti

nei confronti dell‟ambiente (PMV), Fanger ha correlato tale valore numerico al grado di

insoddisfazione dei soggetti stessi individuando la percentuale di presumibili soggetti

insoddisfatti associata ad ogni valore dell‟indice PMV compreso tra +3 e -3.

Questi due indici, strettamente correlati tra loro, consentono di poter valutare le condizioni

microclimatiche di un ambiente di lavoro in funzione del giudizio (caldo, freddo,

confortevole) espresso dai soggetti in esame e del loro eventuale disagio termico.

Viene definito “soggetto insoddisfatto” quello che, nell‟ambiente in esame si

dichiarerebbe decisamente insoddisfatto, ossia voterebbe -3, -2 oppure +2, +3. La

correlazione tra l‟indice PMV e PPD è stata elaborata sulla base di ricerche sperimentali

Fattori di rischio: valutazione

110

che hanno coinvolto complessivamente circa 1300 soggetti indossanti abiti leggeri ed

esposti per tre ore consecutive negli ambienti climatizzati in prova.

Dall‟esame di tali ricerche è emerso che anche in corrispondenza del valore medio

(PMV=0) esiste comunque una percentuale pari al 5% di soggetti insoddisfatti, ossia che

voterebbero -3, -2, +2, +3; la percentuale di insoddisfatti cresce rapidamente man mano

che il valore dell‟indice PMV si discosta da zero.

La norma ISO 7730, tenendo conto che il mantenimento di un valore di PMV=0 in

permanenza nei diversi punti di un ambiente è un livello difficilmente raggiungibile sul

piano tecnico, propone come obiettivo concreto da raggiungere negli ambienti di lavoro

per il benessere dei lavoratori il range:

PMV=-0,5 e PMV=+0,5

Tale requisito, insieme al controllo dei fattori di disagio termico, dovrebbe consentire il

raggiungimento di un valore PPD=10% e il contenimento della percentuale reale di

insoddisfatti al di sotto del 20%.

In conclusione un ambiente viene definito in condizioni di benessere termico per valori di

PMV +/- 0,5 e PPD minore del 10%, mentre le condizioni microclimatiche sono accettabili

se la percentuale degli insoddisfatti non supera il 20%.

Figura 6.Correlazione tra PPD e PMV

Dall'osservazione della figura 6 emerge che anche in corrispondenza di un PMV di 0 esiste

un certo numero di soggetti insoddisfatti pari al 5% della popolazione e che la percentuale

di insoddisfatti cresce rapidamente per 21 valori di PMV superiori a ± 0,5. Tutto ciò fa

Fattori di rischio: valutazione

111

presupporre che in normali ambienti di lavoro ove operano soggetti di diverse età, con

abbigliamento diverso e che svolgono attività che richiedono un diverso dispendio

energetico si possa riscontrare una percentuale maggiore di insoddisfatti rispetto a quella

teorica, ricavabile dal diagramma della figura 6.

Nella realtà, è possibile trovare percentuali di insoddisfatti che possono arrivare a valori

del 15-20%, anche in ambienti perfettamente condizionati. Quest'ultimo aspetto va tenuto

presente in maniera particolare, in modo da evitare che lamentele da parte di pochi, rispetto

alle condizioni microclimatiche ambientali, determinino interventi sull'impianto di

condizionamento che possono aumentare il numero degli insoddisfatti.

Le considerazioni sopra esposte unitamente a quelle di natura economica, hanno

indirizzato l'Organizzazione Internazionale di Standardizzazione a ritenere accettabili

valori di PMV compresi tra ± 0,5, corrispondenti ad un valore di PPD non superiore al

10%.

Dal punto di vista pratico è possibile fissare delle condizioni standard, entro le quali

bisogna restare, per assicurare il benessere termico per almeno 1'80% dei soggetti.

Prendendo come esempio il lavoro d'ufficio con attività di tipo sedentario (1,2 met),

abbigliamento tipico estivo (0,5 clo) ed invernale (1,2 clo), utilizzando, se la velocità

dell'aria è inferiore a 0,4 m/s e la differenza tra temperatura radiante media e la temperatura

dell'aria è inferiore a 4°C, la temperatura operativa, intesa come media aritmetica delle due

temperature sopra citate, si possono stabilire le condizioni microclimatiche di benessere

estivo ed invernale.

La norma UNI EN ISO 7730 raccomanda che per l'estate la temperatura operativa deve

essere compresa tra 23 c 26°C, la velocità dell'aria deve essere minore di 0,15 m/s e

l'umidità relativa compresa tra il 40 e 60%; per l'inverno, la temperatura operativa deve

essere compresa tra 20 e 24°C con velocità dell'aria inferiore a 0,15 m/s ed umidità relativa

compresa tra il 40 e 60%.

Tabella 15. Limiti di applicabilità degli indici PMV-PPD.

1 Dispendio energetico metabolico 0,8÷4 met

2 Resistenza termica del vestiario 0÷2 clo

3 Temperatura dell‟aria 10÷30 °C

4 Temperatura media radiante 10÷40 °C

5 Velocità dell‟aria 0,05÷1m/s

6 Pressione parziale di vapore

d‟acqua

0 Pa÷2700 Pa

Fattori di rischio: valutazione

112

FATTORI DI DISAGIO E INDICI DI VALUTAZIONE

Il raggiungimento della condizione di “benessere termico globale”, situazione in cui i

limiti degli indici di Fanger sono rispettati, rappresenta una condizione necessaria ma non

sufficiente ai fini di una corretta valutazione per il comfort della persona. Esistono

situazioni nelle quali pur in presenza di valori accettabili degli indici PMV e PPD, vengono

denunciate dai presenti condizioni di discomfort. Si tratta di ambienti dove sono presenti

fattori di disturbo legati alla presenza di disomogeneità nel riscaldamento o raffreddamento

dell‟organismo. Questi elementi di disturbo vengono valutati come “fattori di disagio

locale”. La norma UNI EN ISO 7730 introduce quattro indici rappresentativi di altrettanti

“fattori di discomfort locale”, più precisamente:

1. Gradiente di comfort termico complessivo, da valutare mediante la determinazione

in diversi punti dell' ambiente dei valori dell' indice PPD in condizioni per cui il

PMV medio dell' ambiente stesso sia nullo o mantenendo costanti M ed Icl;

2. Fluttuazione del livello di comfort complessivo, da valutare mediante il massimo

valore DF nella giornata dell' ampiezza delle fluttuazione del PMV in un intervallo

di tempo di riferimento di 1ora;

3. Gradiente di temperatura dell' aria in senso verticale DTAV,da valutare mediante la

differenza di temperatura tra la quota della testa e quella delle caviglie;

4. Asimmetria di irraggiamento rispetto alle superfici verticali, da valutare mediante l'

asimmetria della temperatura piana di irraggiamento verticale DTRV alla quota

convenzionale del centro del corpo;

5. Asimmetria di irraggiamento rispetto alle superfici orizzontali, da valutare

mediante l' asimmetria della temperatura piana di irraggiamento orizzontale DTRO

alla quota convenzionale del centro del corpo;

6. Temperatura del pavimento TFL;

7. Correnti d'aria, da valutare mediante la percentuale prevedibile di insoddisfatti PD a

causa delle correnti d' aria dove Va e t ar sono velocità e temperatura dell'aria

medie all' altezza del collo del soggetto;

8. Qualità dell' aria, da valutare mediante la effettiva portata di aria di rinnovo Qair in

relazione al valore minimo Qmin ed al valore raccomandato QR=1,52 Qmin

Nella tabella seguente è rappresentata una griglia di valutazione dei suddetti fattori:

Fattori di rischio: valutazione

113

Tabella 16. Criterio di valutazione dei fattori di disagio particolari

VARIABILE BENESSERE MODERATO

DISAGIO

DISAGIO

PPD (%) 5 - 6 5 - 10 > 10

DF (%) < 0,15 0,15 - 0,30 > 0,30

DTAV (°C) 0 - 3 3 - 5 > 5

DTRV (°C) 0 - 8 8 - 12 > 12

DTAO (°C) 0 - 4 4 - 6 > 6

TFL (°C) 17 - 26 15 - 17 26 - 28

< 15 > 28

PD (%) < 5 5 - 10 > 10

QAIR > QR QR - QM < QM

3.4.2.2 PARAMETRI FISICI E FISIOLOGICI: STRUMENTI E METODI DI

MISURA

Per poter valutare le condizioni microclimatiche di un determinato ambiente ove vengono

svolte attività lavorative è necessaria la conoscenza delle sei variabili sopra citate, delle

quali quattro fisiche e, cioè, temperatura, velocità, umidità dell'aria e temperatura media

radiante e di due variabili fisiologiche, rappresentate dal metabolismo energetico e

dall'isolamento del vestiario.

La temperatura dell'aria può essere misurata con termometri ad espansione, a resistenza e

a termocoppia. In ogni caso la precauzione principale è quella di proteggere la parte

sensibile del termometro dall'irraggiamento. Ciò può essere ottenuto sia schermando la

parte sensibile mantenendo, però, una adeguata circolazione dell'aria attorno ad essa, che

dotando la stessa di un elevato coefficiente di riflessione della radiazione termica.

L'utilizzo di sonde di piccole dimensioni e di un flusso d'aria sufficientemente elevato

attorno alla parte sensibile, che rendono irrilevante lo scambio termico per irraggiamento

rispetto a quello per convenzione contribuiscono alla riduzione degli errori di misura.

Il globotermometro nero viene utilizzato per la misura

della temperatura media radiante. Esso consiste di una

sfera di rame dipinta in nero opaco,che ha,quindi la

capacità di assorbire tutte le radiazioni termiche,riflesse,

invece dai normali termometri che hanno una superficie

riflettente, con pareti i minimo spessore al cui centro è

posto un sensore termometrico. Il globotermometro

classico ha un diametro di 15 cm (l'utilizzo di globotermometri di diametro inferiore che

risentono maggiormente dell'effetto della temperatura e velocità dell'aria da luogo a

risultati meno accurati). Il tempo di risposta del globotermometro classico è di 20-30

Figura 7. Sonda globotermometrica

Fattori di rischio: valutazione

114

minuti e va tenuto presente che il suo utilizzo per determinare la temperatura media

radiante ai fini di valutarne l'effetto sull'uomo da luogo a risultati approssimativi a causa

della differenza di forma rispetto all'organismo umano. In particolare, le radiazioni

provenienti dal soffitto e dal pavimento vengono sovrastimate dal globotermometro ed una

sua configurazione ellissoidale, più vicina alla forma del corpo umano, ridurrebbe il

margine d'errore.

La velocità dell'aria può essere misurata con anemometri a

paletta, utili però solo nel caso di presenza di correnti d'aria

unidirezionali; più frequentemente viene misurata con

l'anemometro a filo caldo che è caratterizzato da tempi di

risposta molto brevi e che è in gradi di apprezzare le

oscillazioni della velocità dell'aria sempre presenti negli

ambienti di lavoro. Va segnalato che se la temperatura del filo

caldo è troppo elevata, i moti di naturale

convezione dell'aria che si generano possono

introdurre margini d'errore quando la velocità dell'aria ambiente è bassa.

L'umidità dell'aria, che può essere espressa come umidità assoluta o relativa, viene

misurata con lo psicrometro costituito da due termometri identici cui uno ha il bulbo

ricoperto da una mussola di cotone mantenuta umida con acqua distillata. Entrambi i bulbi

devono essere protetti contro l'irraggiamento e, preferibilmente, esposti ad una corrente

d'aria per assicurare un veloce raggiungimento dell'equilibrio. I dati ricavati dallo

psicrometro riportati su carta psicrometriche permettono il calcolo dell'umidità assoluta,

relativa e della pressione parziale.

Figura 8. Sonda anemometrica a filo caldo

Materiali e metodi

115

4. MATERIALI E METODI

Il lavoro è consistito in una prima parte dedicata alla valutazione e all‟approfondimento dei

rischi correlati all‟attività lavorativa considerata, anche mediante ricerca bibliografica, a

cui è seguita l‟attività di monitoraggio microbiologico in campo. L‟indagine ambientale è

scaturita a seguito della richiesta del Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di

Lavoro dell‟A.S.L competente per territorio ed è stata eseguita insieme ai tecnici della

Struttura di Rischio Industriale ed Igiene Industriale dell‟ARPA Piemonte, in

collaborazione con gli ispettori del servizio S.Pre.S.A.L dell‟ASL in questione.

4.1 L’OGGETTO DELL’INDAGINE: IL CALL CENTER

Figura 9. Immagine di call center da repertorio

Il call center preso in esame è un‟unità appartenente ad un gruppo che lavora come partner

industriale per il BPO (Business Process Outsourcing) delle Customer Operations e

conta 12 poli operativi, dislocati su tutto il territorio nazionale, con oltre 5.250 postazioni.

La capillarità dei poli produttivi garantisce la gestione ottimale degli overflow e la

Business Continuity nella produzione; tutti i centri sono infatti interconnessi attraverso una

rete dedicata ed operano in costante collegamento grazie ad una cabina di regia (control

room) che assicura il continuo monitoraggio delle attività.

Il call center ha anche una presenza produttiva all'estero con 500 postazioni operative

distribuite su 4 centri (3 in Romania e 1 in Bulgaria) per offrire servizi in offshoring ed ai

clienti locali.

Sul piano organizzativo, il modello analizzato è costituito da Market Unit (Telco, Energy-

Industry-Insurance e Financial Services) fortemente focalizzate sul cliente, volte a

garantire il raggiungimento degli obiettivi commerciali, di redditività e dei livelli di

servizio, in stretta collaborazione con le Operations BPO.

Materiali e metodi

116

A supportare le Market Unit nell'offerta ai clienti, la Business Unit ICT offre soluzioni

tecnologiche per l'automazione dei processi, delle attività di system integration e della

delivery dei prodotti/servizi.

Figura 10. Organizzazione interna del gruppo

Il gruppo ha sviluppato e immesso sul mercato un modello unico di erogazione di servizi

integrati, unendo al BPO una tecnologia innovativa e una consulenza di processo di

successo.

Infatti, l‟insieme delle società del gruppo, riesce a proporre al mercato un‟offerta completa

che va dall‟infrastruttura tecnologica su cui poggiano le applicazioni, alla loro gestione ed

integrazione, alla presa in carico di interi processi di business ed al business process

transformation.

In particolare, le componenti di questa offerta integrata sono:

BUSINESS PROCESS OUTSOURCING SERVICES

SYSTEM INTEGRATION

BUSINESS SOLUTIONS

OPERATIONAL EXCELLENCE & INNOVATION

Per gestire in modo industriale i servizi ricevuti in gestione dai propri clienti, il gruppo si è

progressivamente dotato della tecnologia e degli approcci più avanzati, distinguendosi per

Materiali e metodi

117

la capacità di rendere metodo il patrimonio di questa continua ricerca del miglioramento

operativo.

Nella sede operativa presa in esame l‟attività svolta è di servizio call-center per varie

società del settore bancario, telefonico, assicurativo e forniture di energia. Le postazioni di

lavoro sono dislocate in ambienti di varia metratura all‟interno di un capannone industriale.

Il numero di dipendenti è all'incirca sui 400 e l‟attività lavorativa si svolge su più turni (di

4 o 6 ore) dalle ore 06.00 alle ore 22.00 ad eccezione della sala adibita allo smistamento ed

organizzazione di materiale cartaceo in cui i dipendenti terminano alle ore 17.00.

4.2 CRITERI DI INTERVENTO

Schematicamente l'indagine ambientale si è articolata nelle seguenti fasi:

Esame della documentazione acquisita dal servizio S.Pre.S.A.L. A.S.L

Sopralluogo conoscitivo in azienda effettuato al fine di prendere visione dei locali,

degli spazi e disposizione delle postazioni di lavoro e degli impianti di trattamento

e ricambio dell‟aria

Monitoraggio microbiologico dell‟aria

Determinazioni analitiche in laboratorio ed elaborazione dei risultati.

Relazione conclusiva dell‟intervento

Materiali e metodi

118

4.3 AGENTI BIOLOGICI MONITORATI

In seguito all‟esito del sopralluogo conoscitivo si è effettuato un monitoraggio biologico in

alcuni locali del fabbricato ritenuti potenzialmente più a rischio per la maggior densità di

operatori e/o più sottoposti a “disconfort termico (vicinanza a griglie d'aspirazione o

mandata d'aria...) .

Il monitoraggio, rappresentativo delle normali condizioni operative, è stato condotto in

singolo, su un turno di lavoro, a partire dalle ore 10:00.

I parametri ricercati sono stati i seguenti:

Carica batterica totale a 36°C (mesofila), indicatore della contaminazione di

origine umana ed animale, infatti, la flora mesofila ha temperatura ottimale di

accrescimento intorno ai 36°C ed include anche i patogeni convenzionali.

Carica batterica a 20°C (psicrofila), indicatore della contaminazione batterica

ambientale.

Muffe e lieviti (carica fungina totale), indicatore ambientale spesso correlato alla

presenza di elevata umidità e polverosità, ridotta ventilazione e scarsa qualità

dell'aria. Alcune muffe possono essere responsabili di patologie infettive, nonché di

reazioni di ipersensibilità, reazioni allergiche o intossicazioni.

Pseudomonas aeruginosa: batterio ubiquitario, Gram negativo, resistente e

refrattario a molti antibiotici, considerato un patogeno opportunista nell'uomo. Può

crescere in un range di temperatura tra 4 e 42 °C. P. aeruginosa può virtualmente

infettare tutti i distretti corporei; tuttavia si riconoscono diversi quadri nosologici

principali: infezioni polmonari, cutanee, delle vie urinarie, dell‟orecchio e

dell‟occhio.

Staphylococcus aureus: è un batterio gram-positivo, resistente alla meticillina

(MRSA), inizialmente relazionato alle infezioni contratte nelle strutture

ospedaliere, ma attualmente lo si può contrarre ovunque. Lo Staphylococcus aureus

è un microrganismo che provoca infezione in quasi tutti i distretti anatomici del

nostro organismo, privilegiando i pazienti immunodepressi o particolarmente

defedati come i soggetti anziani. L‟uomo è un serbatoio naturale per S. aureus dove

dà luogo a colonizzazioni asintomatiche più frequentemente che ad infezioni. Le

colonizzazioni possono essere transitorie o persistenti anche per anni.

Materiali e metodi

119

4. 4 METODI DI PRELIEVO E ANALISI

I metodi utilizzati per i parametri microbiologici sono i seguenti:

Tabella 17.Parametri ricercati e codifica metodi utilizzati

PARAMETRO METODO UFFICIALE DI

RIFERIMENTO PER IL

PRELIEVO

METODO DI ANALISI

UFFICIALE DI RIFERIMENTO

Carica batterica totale

a 36 °C e 22 °C

UNI EN ISO 14698 –

1/2:2004

UNI EN ISO 7899-2:2003

UNI EN ISO

6222:2001 – U.RP.M820

Muffe e Lieviti ISS A016 C rev. 00-U.RP.M17

Pseudomonas aeruginosa UNI EN ISO

16266:2008 – U.RP.M816

Staphylococcus aureus ISS A 018C rev.00 – U.RP.M821

Metodologia di prelievo

I campionamenti sono stati effettuati in postazioni fisse e la loro finalità è quella di

consentire una valutazione della diffusione di microrganismi (inquinamento

microbiologico) nell'ambiente di lavoro. I prelievi sono stati realizzati con l‟impiego della

seguente strumentazione: SAS (Surface Air System) Super 180.

volume aspirato: 100 litri di aria per ciascun parametro da determinare.

Il prelievo consiste nel convogliare l‟aria ambiente su apposite piastre agarizzate di 24 cm2

idonee per la crescita e lo sviluppo dei microrganismi ricercati. La piastra di terreno,

privata di coperchio, viene alloggiata nello spazio apposito sul SAS, poi si avvita la testata

forata in acciaio inox che consente all‟aria aspirata di impattare sul terreno. Al termine

dell‟aspirazione (la durata della stessa sarà funzione del volume di aspirazione impostato

sullo strumento) la testata forata viene svitata, la piastra di terreno ridotata del coperchio e

posta in un contenitore refrigerato per il trasporto in laboratorio (la consegna deve avvenire

nel più breve tempo possibile, in ogni caso entro le 24 ore dal campionamento. INAIL,

2010). Qui viene incubata (posta in termostato), per il tempo ed alla temperatura

appropriata, per permettere ai microrganismi vivi e vitali “catturati” durante il

campionamento di accrescersi. Durante il monitoraggio, tra un prelievo e l‟altro, la testata

dello strumento deve essere disinfettata con soluzione a base di alcool isopropilico al 70%.

Materiali e metodi

120

Metodologia di analisi

Una volta arrivate in laboratorio, le piastre vanno incubate nei termostati capovolte, cioè

con il coperchio verso il basso, per evitare perdite di umidità che possono danneggiare i

microbi; quelle per la coltura di funghi, invece, vanno tenute con il coperchio verso l‟alto,

per evitare disseminazione di spore durante la manipolazione e il trasporto (INAIL,2010).

La temperatura ottimale di crescita differisce tra i diversi microrganismi, anche se molti di

essi possono essere coltivati entro un ampio margine di temperatura. In laboratorio, per

ottenere lo sviluppo di colonie visibili, quindi numerabili, l‟incubazione deve avvenire alla

temperatura e per il tempo standard indicati per lo specifico parametro microbiologico da

rilevare e il tipo di terreno utilizzato. Trascorso il periodo di incubazione opportuno, si

procede alla lettura delle piastre, cioè all‟osservazione macroscopica delle stesse per il

conteggio del numero di colonie cresciute. I livelli di concentrazione microbica cosi

determinati rappresentano solo approssimazioni delle concentrazioni transitorie dei

microrganismi presenti nell‟aria: le condizioni ambientali vigenti e lo stesso

campionamento possono, infatti, stressare e/o danneggiare le cellule microbiche

mantenendone la vitalità ma inficiandone la coltivabilità in laboratorio. Pertanto, come già

sottolineato, possono essere conteggiati solo i microrganismi vitali e coltivabili, con

conseguente possibile sottostima della concentrazione microbica reale.

Metodologia di lettura dei singoli parametri

CARICA BATTERICA A 36°C (48 ORE DI INCUBAZIONE A 37°C) E A 22°C (72

ORE DI INCUBAZIONE A 22°C)

Per la valutazione della carica batterica, si procederà alla conta delle sole colonie

batteriche, escludendo le eventuali colonie fungine (muffe e lieviti) cresciute sul terreno.

Nel corso della lettura, possono verificarsi condizioni particolari, per le quali la modalità di

interpretazione/refertazione del dato proposte sono (INAIL,2010):

la piastra, dopo opportuna incubazione, risulta ancora sterile (non si osserva

crescita): in tal caso, reincubarla alla medesima temperatura per altre 24-48 ore ed

osservare l‟eventuale sviluppo di colonie a crescita lenta. Nel caso in cui

permanesse la condizione di sterilità, refertare il dato finale (UFC) come “assenza

di crescita nel volume d‟aria/sulla superficie campionato/a”;

le colonie cresciute sul terreno sono ben isolate tra loro e pertanto facilmente

numerabili. In tal caso, si annota su apposito modulo il loro numero totale;

Materiali e metodi

121

il numero delle colonie cresciute è tale da coprire la superficie del terreno in modo

omogeneo. In tal caso, è sempre bene effettuare, se possibile, la conta di tutte le

colonie, soprattutto se non è possibile ripetere il prelievo ambientale modificando

opportunamente i parametri operativi del campionatore. Immaginando l‟area della

piastra virtualmente suddivisa in quattro quadranti uguali, si procede al conteggio

del numero di colonie presenti in un quadrante. Da tale valore, dopo opportuna

correzione statistica del dato, si potrà ricavare il numero totale di colonie cresciute

sulla piastra;

le colonie cresciute sono, nella maggior parte dei casi, indistinguibili tra loro o

perché sovrapposte o per interferenza reciproca oppure perché oscurate da una

massiccia sovra-contaminazione fungina (il micelio aereo è cosi sviluppato da

coprire le colonie batteriche sottostanti, rendendone difficoltoso o impreciso il

conteggio). In tal caso, il dato viene refertato come “campione non leggibile” (UFC

“non numerabili”), seguito da nota esplicativa;

è possibile a volte osservare lo sviluppo di una patina, (cioè di un‟ampia area

omogenea di crescita originatasi per confluenza delle colonie) che interessa tutta o

gran parte della superficie del terreno. In tale situazione, il risultato finale (UFC) va

refertato come “patina”.

la presenza di condensa all‟interno delle piastre, sotto forma di goccioline di acqua

visibili sulla superficie interna dei coperchi, è da imputare ad una non corretta

preparazione e conservazione delle piastre stesse. La condensa, se non rimossa

prima dell‟utilizzo delle piastre sul campo, può determinare, nel corso

dell‟incubazione, la formazione di una area di crescita microbica, più o meno estesa

ed omogenea, di aspetto simile a una “corona”, lungo il perimetro del terreno

contenuto nella piastra. Non essendo possibile conoscere il numero delle colonie da

cui essa ha avuto origine, potendosi verificare un effetto di trascinamento dei

microrganismi esercitato dalla condensa stessa, essa non può essere considerata nel

conteggio e, soprattutto se estesa, rende inutilizzabile il campione.

Materiali e metodi

122

MUFFE E LIEVITI ( 72 ORE DI INCUBAZIONE A 22°C)

Per la valutazione della carica fungina si

procede, nello specifico, alla conta dei nuclei da

cui hanno avuto origine le singole colonie

fungine visibili (micelio aereo). Il

riconoscimento delle specie fungine è complesso

e richiede tempi lunghi infatti l'aspetto delle

colonie varia a seconda del substrato, naturale o

artificiale, sul quale si sviluppano e in relazione a

diversi fattori. La lettura della piastra deve

sempre essere effettuata su ambo i lati: si procede, cioè, alla conta delle colonie visibili

sulla parte superiore del terreno (miceli aerei); poi si rovescia la piastra, ripetendo il

conteggio sul retro. Ciò consente l‟inclusione nel conteggio di eventuali colonie fungine

più piccole (a crescita lenta) o di lieviti oscurati dal micelio aereo dei miceti a crescita

rapida. Per la refertazione dei conteggi, si applicano i medesimi criteri utilizzati per i

conteggi batterici. L‟assenza di crescita va registrata solo dopo conferma del mancato

sviluppo di colonie sulla piastra oltre i consueti 3-5 gg e fino ad un massimo di 3 settimane

consecutive di incubazione (RAPPORTI ISTISAN 07/05).

PSEUDOMONAS AERUGINOSA (48 ORE DI INCUBAZIONE A 37°C)

Si considerano appartenenti alla specie tutte le colonie

che producono un colore blu/verde. Si esamina in un

secondo momento la membrana sotto la luce UV e si

considerano presunte Pseudomonas aeruginosa da

sottoporre a conferma tutte le colonie fluorescenti, non

producenti piocianina e tutte le colonie non fluorescenti

di colore marrone rossastro.

Per confermare le colonie sospette si procede nel

seguente modo:

isolamento su Agar nutritivo, incubazione della piastra a 38°C per 24 ore e prova

della citocromossidasi: organismi ossidasi positivi sviluppano una colorazione blu

violetto mentre organismi ossidasi negativi non sviluppano nessun tipo di colore.

Figura 11. Muffe e lieviti in piastra Agar

Figura 12. Pseudomonas aeruginosa

in piastra Agar

Materiali e metodi

123

è possibile effettuare anche un isolamento delle colonie sospette su Agar nutritivo

incubando la piastra a 42°C per discriminare le specie in grado di crescere a questa

temperatura, come la maggior parte di microrganismi ascrivibili a Pseudomonas

aeruginosa.

STAFILOCOCCHI (48 ORE DI INCUBAZIONE A 37°C)

I microrganismi appartenenti al genere

Staphylococcus coagulasi positivi producono sul

substrato di isolamento colonie nere per effetto della

riduzione del tellurio a tellurio metallico. Dopo 24 ore

di sviluppo le colonie appaiono brillanti, lisce,

convesse con margini netti e circondate in genere da

un alone chiaro dovuto all'attività lecitinasica. Le

specie appartenenti al genere Staphylococcus

coagulasi negative sviluppano,invece, colonie nere con margini irregolari, non circondate

da alone trasparente. Per verificare la presenza di stafilococchi patogeni e di St. aureus in

particolare, è opportuno sottoporre a prove di conferma le colonie nere con alone.

Le prove di conferma consistono nella verifica dell'enzima catalasi e dell'enzima coagulasi.

Si isolano le colonie sospette su Agar nutritivo e si lasciano incubare a 37°C per 48 ore.

Enzima catalasi: la prova differenzia i microrganismi appartenenti al genere

Staphylococcus da quelli appartenenti al genere Streptococcus. Dopo aver

stemperato su un vetrino portaoggetti una colonia cresciuta su Agar nutritivo, si

ricopre con alcune gocce di acqua ossigenata al 3%. La presenza dell'enzima

catalasi è rilevata dallo sviluppo immediato di bollicine di gas. I microrganismi del

genere Staphylococcus sono catalasi positivi (Rapporti ISTISAN 07/05).

Enzima coagulasi: la prova evidenzia l'attività coagulante esercitata dagli

stafilococchi potenzialmente patogeni sul plasma. Tale attività è dovuta ad almeno

due fattori: coagulasi libera (enzima 0) e coagulasi legata (antigene della parete

cellulare). L'enzima è presente nella maggior parte dei biotipi appartenenti alla

specie Staphylococcus aureus. La prova in provetta per la ricerca della coagulasi

libera prevede il prelievo di una colonia cresciuta su Agar nutritivo, lo

stemperamento di quest'ultima in BHI (Infuso Cuore Cervello) e l'incubazione a

37°C per 48 ore. Successivamente si dosa in una provetta sterile 0,5 mL di plasma

EDTA (anticoagulante) e 0,5 mL della brodocoltura sviluppatasi in BHI, si miscela

Figura 13. S. aureus in piastra Agar

Materiali e metodi

124

delicatamente e si incuba a 37°C in bagno termostatato. Durante le prime 4 ore di

incubazione si effettua la lettura ogni ora, inclinando la provetta da un lato senza

agitarla. La presenza dell'enzima è rivelata da un coagulo ben gelificato. Se la

prova risulta negativa, si incuba ancora la provetta e si ripete la lettura dopo altre 48

ore. Il test in provetta accerta sia la coagulasi libera che legata (Rapporti ISTISAN

07/05).

Nel corso dell‟incubazione, possono verificarsi le seguenti eventualità:

sovrapposizione di più colonie, in un punto del terreno, non diversificabili tra loro

su base morfologica;

inibizione della crescita da parte di un microrganismo nei confronti di un altro

depositatosi sullo stesso punto della piastra;

possibilità di mascheramento da parte di microrganismi che producono colonie

grandi nei confronti di altri produttori di microcolonie;

oscuramento di microrganismi a crescita lenta da parte di altri a crescita rapida;

oscuramento di una colonia da parte di un‟altra.

Per considerare la probabilità che più di un microrganismo o di una particella impatti sullo

stesso punto della piastra, nel corso del campionamento, si deve procedere alla correzione

statistica del dato ottenuto dal conteggio (numero di colonie/piastra).

A tal fine sono disponibili apposite tabelle statistiche, fornite insieme ai Manuali d‟uso dei

campionatori. La concentrazione totale dei microrganismi campionati viene, poi, calcolata

dividendo per il volume d‟aria campionato (V, espresso in litri) il numero totale (N),

statisticamente corretto, delle colonie cresciute, e moltiplicando il risultato per 1000 (1 m3

=1000L).

Essa viene, infatti, espressa in termini di UFC per unita di volume d‟aria, in genere per m3:

UFC/m3 = (N / V) * 1000

Nell‟espressione del dato analitico da parte del laboratorio l‟incertezza legata al risultato

viene calcolata tenendo conto del “Protocollo validazione metodi di prova U.RP.K022” e

delle Norme UNI EN ISO 8199:2008 e UNI ENV ISO 13843:2003. L‟incertezza del

misurando viene espressa utilizzando l‟intervallo di confidenza calcolato con un fattore di

copertura uguale a 2, corrispondente ad una probabilità di circa il 95%. I valori

dell‟incertezza sono espressi con le stesse unità di misura del misurando.

Materiali e metodi

125

4.5 INDICI DI VALUTAZIONE DEI RISULTATI

In assenza di limiti di legge la valutazione del rischio biologico in ambienti di vita e di

lavoro viene effettuata utilizzando le classi di contaminazione scaturite dall‟elaborazione

di specifici indici nati dall‟esperienza in campo ed attualmente adottati da tutti i principali

enti che si occupano di ricerca e/o tutela (Università, Arpa, INAIL, ISPESL…). Questi

indici consentono di valutare la contaminazione microbica nel suo complesso,

considerando anche la variazione tra outdoor ed indoor.

Ciò consente di capire se la fonte di contaminazione sia primariamente interna od esterna

e, soprattutto in edifici sigillati, il buon funzionamento dell‟impianto di ventilazione e

condizionamento.

Gli indici utilizzati sono i seguenti:

1. IGCM “Indice Globale di Contaminazione Microbica”

IGCM = (UFC/m3 CBT 37°C)+ (UFC/m3 CBT 20°C)+ (UFC/m3 muffe e lieviti)

Fornisce un valore di contaminazione microbica totale normalizzata all‟unità di volume di

aria e rappresenta un parametro importante per la valutazione della salubrità dell‟aria. Un

batterio psicrofilo in grado di svilupparsi anche a 37°C può essere considerato

potenzialmente pericoloso, analogamente un batterio mesofilo che può svilupparsi a 20°C

ha la possibilità di colonizzare substrati presenti nell‟ambiente.

2. ICM “Indice di Contaminazione da Batteri Mesofili”

ICM = (UFC/m3 CBT 37°C)/ (UFC/m3 CBT 20°C)

Evidenzia la contaminazione prevalente da parte di batteri mesofili (valori >1) o psicrofili

(valori <1). Ambienti outdoor considerati normali sono solitamente caratterizzati dalla

seconda condizione, mentre in ambienti confinati, con scarsa ventilazione e

sovraffollamento, ICM può superare anche di molto l‟unità a causa dell‟accumulo nell‟aria

di microrganismi diffusi dagli occupanti. La situazione opposta si osserva nel caso di

microrganismi di origine ambientale provenienti da substrati contaminati o da particolari

attività lavorative.

Materiali e metodi

126

3. IA “Indice di Amplificazione”

IA = IGCM interno/IGCM esterno

Rappresenta uno strumento indispensabile per valutare la situazione effettiva della qualità

dell‟aria rispetto ad un situazione di riferimento. Per ambienti confinati IA è dato dal

rapporto tra il valore di IGCM misurato all‟interno e quello misurato all‟esterno

dell‟ambiente in esame (considerato rappresentativo dell‟aria non affetta dalle sorgenti di

inquinamento interno). Nel caso di ambienti all‟aperto il valore di IGCM di riferimento

viene determinato in un punto sopra vento rispetto alle postazioni di prelievo prossime alle

attività considerate ed individuate a rischio di esposizione ad agenti biologici (Manuale

Unichim 203).

In base al valore di IGCM si possono identificare classi di contaminazione che vanno da

“molto bassa” a “molto alta”. A partire dalla classe di contaminazione “intermedia” si

generano sottoclassi di gravità via via maggiore in base ai valori di ICM ed IA riscontrati

(come riassunto nella tabella seguente).

Tabella 18. : Classi di contaminazione biologica

Risultati

127

5. RISULTATI

5.1 POSTAZIONI MONITORATE E RISULTATI OTTENUTI

Tabella 19. Identificazione dei punti di prelievo

CAMPIONE POSTAZIONE DI PRELIEVO

1 Sala 1

(postazioni di lavoro vicine all'anemostato di

immissione aria)

2 Sala 1

(in prossimità della griglia di ripresa aria)

3 Sala 1

(al centro della sala)

4 Sala 1

(in prossimità della griglia di mandata d'aria)

5 Sala 2

(al centro della sala)

6 Sala 2

(lato periferico della sala)

7 Sala 3

(in prossimità delle griglie d'ingresso aria)

8 Sala 3

(postazioni di lavoro cartacee)

9 Sala 3

(zona a minor densità di operatori)

10 Sala 2

(saletta secondaria vicina alle uscite di emergenza)

11 UTA

( presa d'aria esterna per le sala 2-3)

12 UTA

( presa d'aria esterna per la sala 1)

Risultati

128

Figura 14. Punti di prelievo 1 e 2

Figura 15. Punti di prelievo 3 e 4

Risultati

129

Figura 16. Punti di prelievo 8 e 9

Figura 17. Punti di prelievo 11 e 12

Risultati

130

La tabella 20 presenta i risultati dei parametri ricercati per ciascun campione, mentre i

valori di IGCM, ICM ed IA sono riportati nella tabella 21 .

I risultati sono espressi in Unità Formanti Colonia al metro cubo (UFC/m3) e per ciascun

valore numerico è riportata l‟incertezza di misura (valore posto tra parentesi)

Tabella 20. Risultati dei parametri ricercati per ciascun punto di prelievo

CA

MP

ION

E

CB

T 3

6°C

CB

T 2

2°C

Lie

viti

Mu

ffe

Pse

ud

om

on

as

aeru

gin

osa

.

Sta

ph

ylo

coccu

s

au

reu

s.

1 470 (±140) 250(±100) 0 160

(100-200)

0 0

2 680 ± 160 420±130 0 100

(50-190)

0 0

3 540±150 340±120 0 70 stimate 0 0

4 270±100 310±110 0 100

(50-190)

0 0

5 430±130 180

(110-290)

0 290±110 0 0

6 700±170 150

(90-250)

0 260±100 0 0

7 250±100 130

80-220

0 90 stimate 0 0

8 230±100 110

(60-200)

0 110

(60-200)

0 0

9 20 stimate 20 stimate 0 180

(110-290)

0 0

10 40 stimate 20 stimate 0 80 stimate 0 0

11 250±100 200±90 0 950±190 0 0

12 90 stimate 180

(110-290)

0 840±180 0 0

Per operare, in maniera corretta, il raffronto tra i dati riportati in tabella (in particolare per

quanto concerne la carica batterica totale) occorre considerare che l‟andamento dei dati

può sembrare a volte incongruente a conferma del fatto che tra i gruppi di microrganismi

esiste una "concorrenza vitale” di tipo inibente. Le piastre di WPCA , terreno non selettivo

Risultati

131

utilizzato per il conteggio della carica totale, permettono la crescita di muffe che, oltre ad

ostacolare la lettura della piastra stessa, sono il fattore inibente la crescita della carica

microbica totale.

Tabella 21.Risultati degli indici elaborati per ciascun punto di prelievo

CAMPIONE IGCM (UFC/m3) ICM IA

1 880 1.9 0.8

2 1200 1.6 1.1

3 950 1.6 0.8

4 680 0.9 0.6

5 900 2.4 0.6

6 1110 4.7 0.8

7 470 1.9 0.3

8 450 2.1 0.3

9 220 1 0.2

10 140 2 0.1

11 1400 1.2 /

12 1110 0.5 /

Dall‟analisi dei risultati ottenuti, non si evidenzia in alcuna delle postazioni monitorate la

presenza dei patogeni ricercati (P. aeruginosa e S. aureus) né di lieviti, come mostra la

Tabella 20. La carica micetica interna risulta inferiore rispetto a quella dell‟aria esterna

prelevata in prossimità del punto di captazione delle unità trattamento aria che servono i

locali oggetto di indagine. L‟aria esterna, infatti, mostra una presenza di muffe rilevante

pari a 950 UFC/m3

(campione 11) e 840 UFC/m3

(campione 12) mentre nei locali interni le

muffe variano dalle 70 UFC/m3 del campione 3 alle 290 UFC/m

3 del campione 5. Per quel

che riguarda la carica batterica totale (22°C e 36°C) monitorata esternamente presso le

UTA essa risulta variabile da 90 a 250 UFC/m3 (Tabella 20).

La carica batterica mesofila interna risulta bassa per i campioni 9 e 10 (rispettivamente pari

a 20 e 40 UFC/m3) mentre per tutte le altre postazioni è numericamente più rilevante

variando dalle 230 UFC/m3 del campione 8 alle 700 UFC/m

3 del campione 6. Stesso tipo

di ragionamento vale per la carica batterica psicrofila il cui valore varia da un minimo

rilevato pari a 20 UFC/m3 dei campioni 9 e 10 ad un massimo 420 UFC/m

3 del campione

2.

Risultati

132

In base all‟indice globale di contaminazione microbica (IGCM) si hanno, come mostra la

Tabella 21, quattro postazioni ascrivibili alla classe di contaminazione MOLTO BASSA

(campioni 7, 8, 9 e 10), quattro inserite nella classe di contaminazione BASSA (campioni

1, 3, 4, 5) e due postazioni di classe INTERMEDIA (campioni 2 e 6).

È importante rilevare come tre delle postazioni che ricadono nella classe di contaminazione

BASSA abbiano in realtà un valore di IGCM molto prossimo al limite inferiore della classe

INTERMEDIA (1000 UFC/m3).

In base agli indici elaborati si possono fare le seguenti considerazioni:

i prelievi condotti in prossimità dei punti di immissione aria in ambiente interno

mostrano una buona capacità filtrante del sistema di ventilazione (Tabella 21 punto

4,7).

le altre postazioni oggetto di misura mostrano, invece, un aumento talvolta notevole

della carica batterica;

l‟impianto sembra quindi in grado di ridurre la contaminazione esterna in ingresso,

soprattutto per quanto concerne la carica micetica, ma ha difficoltà a compensare

l‟aumento della carica mesofila dovuto ad apporto primariamente umano. Questo fa

pensare ad una problematica correlata al numero di ricambi d‟aria e/o alla portata e

alla distribuzione della stessa negli ambienti di lavoro. Anche i valori di ICM

suffragano la tesi esposta in quanto in ambienti confinati con scarsa ventilazione e

sovraffollamento, ICM può superare anche di molto l‟unità a causa dell‟accumulo

nell‟aria di microrganismi diffusi dagli occupanti.

Discussione

133

6. DISCUSSIONE

Negli ambienti indoor adibiti ad ufficio come nel caso del call-center, un ruolo

significativo nell‟influenzare la presenza e la concentrazione di agenti biologici, è rivestito

dagli impianti di climatizzazione, che meritano una particolare attenzione sia in fase di

progettazione che di manutenzione. Gli impianti di climatizzazione svolgono funzioni di

controllo sulla temperatura e sull‟umidità dell‟aria, assicurano il ricambio d‟aria, la

filtrazione delle polveri e delle altre particelle aerotrasportate.

Tuttavia, se l‟impianto non è adeguatamente progettato o mantenuto, può diventare esso

stesso una fonte di contaminanti. Una cattiva manutenzione degli impianti può favorire un

accumulo di polveri e particelle organiche che possono essere messe in circolo attraverso

la rete di distribuzione dell‟aria. I batteri dominano generalmente la popolazione microbica

nelle bacinelle di acqua stagnante; molti funghi invece, che richiedono ossigeno gassoso,

preferiscono depositarsi e riprodursi su filtri e condotte. Le griglie delle prese dell‟aria

esterna possono essere contaminate da escrementi o penne di volatili che contengono

funghi patogeni quali Aspergillus fumigatus (INAIL,2008).

Per tali motivi, gli impianti devono essere sottoposti ad una periodica manutenzione

preventiva e correttiva. I principali elementi e le relative attività di controllo sono (INAIL,

2008):

UTA: le unità centrali di trattamento aria devono essere pulite e sanificate con

cadenza programmata e variabile in base alla tipologia di impianto e alla posizione

dello stesso. Un controllo specifico a cui devono essere sottoposte è la ricerca

quali-quantitativa di Legionella.

Filtri: devono essere ispezionati e cambiati regolarmente e comunque ogni volta si

rilevi un‟evidente contaminazione o perdita di materiale filtrante. È fondamentale

controllare la qualità dell‟aria rilevata a valle del filtro.

Umidificatori d’aria: le parti a contatto con l‟acqua devono essere ispezionate,

pulite e , se necessario, disinfettate, per evitare che la contaminazione raggiunga

livelli critici. La carica totale microbica nell‟acqua delle sezioni di umidificazione

non deve superare 1000 UFC/ml (METODO UNI EN/ISO 6222). La qualità

dell‟acqua deve essere garantita mediante la pulizia ordinaria e, periodicamente,

dalla sanificazione.

Discussione

134

Batterie di scambio termico e accessori: devono essere periodicamente

ispezionate per verificare eventuali contaminazioni, corrosioni o danneggiamenti.

Bisogna evitare soprattutto che polvere o umidità penetrino nei componenti del

sistema a valle. È necessario controllare le bacinelle di raccolta della condensa

nelle quali possono proliferare batteri e funghi.

Condotte d’aria: devono periodicamente essere controllate sia internamente che

esternamente nei punti critici in corrispondenza dei diversi componenti e secondo

specifici criteri (UNI ENV 12097). Le condutture flessibili devono essere sostituite,

quando diventano deposito di contaminanti.

Prese d’aria esterna e griglie di espulsione: devono essere controllate, pulite,

sanificate e sostituite quando necessario. La periodicità dei controlli e degli

interventi di sanificazione varia in funzione dell‟inquinamento esterno.

Torri di raffreddamento: la pulizia e il drenaggio del sistema devono essere

effettuati prima dell‟avvio del sistema e comunque almeno due volte all‟anno

(solitamente alla fine e all‟inizio della stagione fredda). La manutenzione deve

essere effettuata da personale dotato di maschere di protezione per le vie

respiratorie.

La presenza di microrganismi, anche se quantitativamente non imponente, può essere fonte

di malesseri o patologie inoltre qualsiasi tipo di campionamento microbiologico porta con

sé una sottostima della reale carica batterica in quanto consente di evidenziare solo i

microrganismi vivi e vitali presenti in quel momento. I contaminanti atmosferici di origine

biologica non sono solo microrganismi vivi (batteri, miceti e virus), ma anche morti,

frammenti di cellule, endotossine, micotossine, allergeni, composti organici volatili,

pollini. Vi possono essere, inoltre, batteri non coltivabili in quanto stressati naturalmente o

dalle procedure di prelievo. La possibilità di identificare solo microrganismi vitali e

l‟influenza delle varie condizioni ambientali sulla loro sopravvivenza, rendono dunque

ulteriormente complessa la situazione.

Dall‟esperienza e dai lavori disponibili in letteratura si giunge alla conclusione che il

condizionamento dell‟aria può ridurre il livello di microrganismi aerei fermando la

contaminazione dall‟esterno e diluendo così la contaminazione interna, sempre che non sia

l‟impianto stesso fonte di contaminazione a causa di inefficienza e/o malfunzionamento.

I sistemi di aria condizionata, infatti, possono essere potenziali sorgenti di proliferazione di

microrganismi in caso di mancata manutenzione dell‟impianto e sostituzione puntuale ed

accurata dei filtri. Per questa ragione in edifici sigillati, è sempre importante associare ad

Discussione

135

un monitoraggio microbiologico una valutazione microclimatica che includa la misura di

parametri fisici quali temperatura ed umidità e l‟elaborazione degli indici di Fanger per lo

stato di comfort/disconfort termico.

La difficoltà maggiore è quella di non avere una normativa scientifica che consenta di

definire “sicure” concentrazioni di microrganismi al di sotto di un determinato valore.

Il miglioramento della qualità dell‟aria risulta sicuramente una tra le strategie più

funzionali ed efficaci per diminuire la contaminazione microbiologica e le possibili

patologie ad essa correlate.

I metodi utilizzati per l‟ottenimento di una buona IAQ sono essenzialmente tre:

1. riduzione delle sorgenti di inquinanti;

2. rimozione degli inquinanti alla fonte;

3. diluizione degli inquinanti mediante aria esterna (ventilazione).

Riduzione delle sorgenti di inquinanti

La prima azione da compiere è quella di limitare l‟immissione in ambiente degli

inquinanti, evitando o limitando l‟uso di quei materiali e di quelle apparecchiature che

emettono contaminanti ed effettuando quelle manutenzioni che riducono o eliminano i

rischi di produzione di inquinanti da parte degli impianti.

Il metodo, non è però di semplice attuazione, soprattutto per quanto riguarda i materiali da

costruzione e per i materiali di arredo, per i quali non esistono ancora dati certi sul rilascio

di contaminanti, visto che solo da pochi anni ed in pochi Paesi se ne effettuano misure.

Per quanto riguarda le condotte degli impianti di ventilazione, solo da una decina di anni si

è scoperto che esse sono sorgenti di contaminanti, essenzialmente microbiologici.

Tradizionalmente si è sempre prestata attenzione all‟operazione di manutenzione delle

UTA (unità di trattamento aria), ma, fino a qualche anno fa, non si è pensato alla pulizia

delle condotte aerauliche, che purtroppo risultano generalmente molto sporche.

La “sporcizia” presente nelle condotte deriva innanzi tutto dalla mancanza di protocolli di

protezione da applicare durante la loro messa in opera; infatti le condotte andrebbero pulite

man mano che si installano e sigillate durante le interruzioni della fase di montaggio,

evitando così l‟accumulo di polvere e sporcizia. Inoltre, durante il funzionamento

dell‟impianto i filtri, non essendo assoluti, lasciano passare piccolissime frazioni degli

inquinanti solidi sospesi nell‟aria che, col passare del tempo, si ritrovano depositati sul

fondo delle condotte e costituiscono un ottimo terreno di coltura per microrganismi,

soprattutto in presenza di umidità. Il problema diventa ancora più grave se, come spesso

avveniva fino a qualche anno fa, le condotte sono internamente coibentate con isolanti

termoacustici, i quali, essendo generalmente costituiti da materiali porosi, trattengono

Discussione

136

molto bene la polvere e la sporcizia in genere. Attualmente esistono dei metodi

perfettamente collaudati di ispezione, monitoraggio e pulizia delle condotte, con i quali

spesso si può drasticamente ridurre l‟inquinamento da impianto di ventilazione.

Rimozione degli inquinanti alla fonte

Il metodo è applicabile quando la produzione di inquinanti avviene in uno spazio limitato e

ben definito. In questo caso si usano sistemi di estrazione dell‟aria localizzati in

corrispondenza della fonte degli inquinanti.

Un‟apprezzabile conseguenza dell‟utilizzo di sistemi di estrazione sta nel fatto che questi,

oltre ad eliminare gli inquinanti direttamente alla fonte, favoriscono il ricambio dell‟aria

nell‟ambiente interno. Gli estrattori, installati nei servizi igienici e nelle cucine, generano

nell‟ambiente una depressione che favorisce l‟infiltrazione di aria esterna attraverso i

serramenti o, più in generale, attraverso le aperture dell‟edificio.‟Ateneo

Diluzione degli inquinanti

Il meccanismo fisico con cui la ventilazione riduce la concentrazione di inquinanti è quello

della diluizione nell‟ambiente.

La ventilazione può essere NATURALE o FORZATA.

Ventilazione Naturale

La ventilazione naturale, che si ha nella maggior parte dei casi e certamente nella maggior

parte degli ambienti residenziali, è dovuta alla differenza di pressione che si instaura tra

interno ed esterno dell‟edificio, a causa del vento e delle differenze di temperatura, ed alla

permeabilità all‟aria degli infissi.

Il considerevole aumento del costo dell‟energia che si è avuto agli inizi degli anni ‟70 ha

indotto a ridurre le portate di ventilazione. Negli edifici con meccanismo di ventilazione

naturale si sono così realizzati infissi sempre più a tenuta, ottenendo una riduzione delle

dispersioni e delle spese energetiche e un miglioramento dell‟isolamento acustico, ma

anche una drastica diminuzione delle portate d‟aria di rinnovo e quindi un aumento della

concentrazione degli inquinanti.

L‟infisso a tenuta perfetta è pertanto causa di elevatissime concentrazioni di inquinanti per

gli ambienti senza impianto di ventilazione, che diventano così sicuramente insalubri e

nocivi per gli occupanti. Volendo adottare serramenti a tenuta senza introdurre un impianto

di ventilazione, dovrebbero essere installate delle griglie di aereazione; tali dispositivi,

molto usati in alcuni Paesi nordeuropei, sono ancora poco conosciuti in Italia.

Le griglie di aereazione si possono classificare in passive ed attive:

Discussione

137

Griglie passive quelle non dotate di ventilatori, in esse la portata d‟aria di ventilazione

dipende dalla differenza di pressione esistente tra interno ed esterno e dalla perdita di

carico offerta dalla griglia (ventilazione naturale);

Griglie attive quelle dotate di ventilatori, con le quali la ventilazione è forzata.

Ventilazione forzata

Nel caso della ventilazione forzata, o meccanica, dei ventilatori spingono una portata d‟aria

all‟interno dell‟ambiente tramite una rete di condotte.

L‟impianto si dice semplicemente di ventilazione se l‟aria che viene fornita all‟ambiente

non viene in alcun modo trattata; di termoventilazione se l‟aria viene riscaldata o

raffreddata, a seconda della stagione; di condizionamento se l‟impianto è in grado di

riscaldare e di umidificare l‟aria nella stagione invernale e di raffreddarla e deumidificarla

in quella estiva.

Conclusioni

138

7. CONCLUSIONI

Gli ambienti di lavoro confinati non industriali hanno una enorme diffusione nei Paesi

industrializzati e presentano caratteristiche che li distinguono in modo assai netto dagli

ambienti di lavoro tradizionali, industriali e artigianali.

La loro collocazione urbanistica, il design, la struttura ed i materiali impiegati per la

costruzione e gli arredi, la frequente presenza di ventilazione artificiale e di

condizionamento dell‟aria, le attività lavorative degli occupanti e la stessa organizzazione

degli spazi e dei compiti lavorativi, possono favorire la comparsa di fattori di rischio per la

salute ed il benessere degli occupanti. I principali fattori di rischio si possono individuare

in una ventilazione non adeguata, nella temperatura ed umidità dell‟aria eccessive o troppo

basse, nello sviluppo o liberazione di inquinanti chimici, fisici e biologici, talvolta tra loro

interagenti in modo sinergico. Le conoscenze maturate negli ultimi 30 anni, anche a

seguito di un notevole interessamento sia del mondo accademico che di Enti istituzionali,

consentono di identificare efficacemente le fonti di rischio, di stabilire spesso le

concentrazioni potenzialmente pericolose dei diversi inquinanti, di adottare nella maggior

parte dei casi rimedi efficaci.

Tuttavia, l‟individuazione e la gestione dei numerosi fattori di rischio che possono essere

presenti, presuppone una metodologia di approccio agli edifici “con problemi” ben

definita, in cui svolge una funzione primaria un team di lavoro interdisciplinare di cui

devono far parte tutti i professionisti (ingegneri, architetti, esperti in climatizzazione,

medici tossicologi, igienisti industriali ecc.) in grado di individuare le cause delle affezioni

lamentate e di realizzare tutti gli interventi necessari a risolvere i problemi connessi. Un

team multidisciplinare dovrebbe comprendere progettisti (architetti, ingegneri, impiantisti,

...), addetti alla gestione degli edifici (ingegneri, impiantisti, managers), medici del lavoro

e altre figure sanitarie esperte, igienisti industriali o, se disponibili, professionisti della

qualità dell‟aria degli ambienti indoor. È fondamentale che le diverse figure professionali

abbiano un coordinamento unitario di riconosciuta competenza, tale da consentire di

interpretare in maniera univoca i risultati del lavoro dei singoli.

Gli obiettivi prioritari sono quelli di adeguare le caratteristiche strutturali dell‟edificio (e

specialmente il sistema di ventilazione) ai migliori canoni progettuali, di far precedere gli

accertamenti più complessi da quelli più semplici e meno costosi, di migliorare l‟efficienza

e l‟efficacia della manutenzione.

L‟ASHRAE (American Society of Heating, Refrigerating and Air Condictioning

Engineers) ha pubblicato i suoi “standard 62-1989: Ventilation for Acceptable Indoor Air

Quality” che hanno lo scopo di fornire valori definibili limite che consentono di evitare

Conclusioni

139

danni alla salute. Oltre a questo, per gli ambienti di lavoro vi sono limiti forniti da Enti

internazionali quali ACGHI (American Conference of Governmental Industrail

Hygienists), OSHA (Occupational Safety and Health Administration), NIOSH (National

Institute for Occupational Safety and Health).

Per la Sick Building Syndrome, come per altre forme compromettenti il buono stato di

salute, è molto importante considerare la suscettibilità individuale, lo stress e le altre

innumerevoli fonti di contaminazione presenti negli ambienti indoor (formaldeide,

videoterminali ecc.)

Il nostro caso studio è un tipico esempio di ambiente di lavoro confinato, di tipo non

industriale, all‟interno del quale è importante considerare quanto fin qui esposto nella sua

totalità.

I fattori di rischio sono spesso correlati/correlabili e sinergici, come evidenziato dai

risultati ottenuti.

L‟indagine microbiologica volta alla verifica della qualità dell‟aria indoor negli ambienti di

lavoro esaminati ha, infatti, evidenziato problematiche legate alla ventilazione.

L‟impianto sembra in grado di ridurre la contaminazione esterna in ingresso, soprattutto

per quanto concerne la carica micetica, ma ha difficoltà a compensare l‟aumento della

carica mesofila dovuto ad apporto primariamente umano. Questo fa pensare ad una

problematica correlata al numero di ricambi d‟aria e/o alla portata e alla distribuzione della

stessa negli ambienti di lavoro.

Nella prospettiva di sviluppi futuri sarebbe interessante procedere su due fronti:

incrementare la variabilità spaziale

incrementare la variabilità temporale

A tale scopo sarebbe interessante monitorare il maggior numero possibile di ambienti di

lavoro appartenenti al “comparto” considerato, effettuando analisi di parametri

microbiologici e fisici ed utilizzando apposite check list per la valutazione dei principali

fattori di rischio.

Su un numero ristretto di soggetti giuridici sarebbe ulteriormente utile, ripetere il

monitoraggio più volte nel corso della stessa giornata di campionamento e a cadenza

stagionale per valutare rispettivamente la buona funzionalità dell‟impianto e la

correlazione della carica microbica con la temperatura e l‟umidità sia interna che esterna.

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140

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