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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO SCUOLA DI SCIENZE DELLA NATURA Tesi di Laurea Magistrale in BIOLOGIA DELL’AMBIENTE Classe di laurea 6/S LA SIMBIOSI MICORRIZICA (MICOSAT F) IN ZEA MAYS: RILEVANZE BIOCHIMICHE ED ANALISI BROMATOLOGICA DI ALIMENTI DERIVATI. Candidato: Relatore: Alessandra Maraffino Mariaconcetta Bruzzoniti Anno Accademico…2012/2013……..

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO

SCUOLA DI SCIENZE DELLA NATURA

Tesi di Laurea Magistrale in

BIOLOGIA DELL’AMBIENTE

Classe di laurea 6/S

LA SIMBIOSI MICORRIZICA (MICOSAT F) IN ZEA MAYS: RILEVANZE BIOCHIMICHE ED ANALISI BROMATOLOGICA DI ALIMENTI

DERIVATI.

Candidato: Relatore: Alessandra Maraffino Mariaconcetta Bruzzoniti

Anno Accademico…2012/2013……..

1.INTRODUZIONE

Il lavoro scientifico riportato in queste pagine vuole descrivere con oggettività le

osservazioni raccolte in circa sei mesi di analisi chimica volta alla rilevazione di

significative differenze nelle determinazioni di diverse specie chimiche tra Zea mays

coltivata in maniera tradizionale e la medesima coltivata in micorrize. Il corpus del lavoro

sperimentale sarà trattato nella seconda parte del testo mentre si è provveduto a redigere

una breve sinossi introduttiva (prima parte) al fine di fornire alcune nozioni basilari

necessarie all’inquadramento delle ipotesi e quindi della tesi.

1.1 Zea mays

Il mais (Zea mays L.) fa parte della sottofamiglia Maydeae, della grande famiglia delle

Poaceae (o Gramineae) e della classe delle Monocotiledoni. Sulla base dei reperti fossili, si

stima che questo gruppo di Poaceae derivi da un ancestrale comune presente 55-70 milioni

di anni fa, verso la fine del regno dei dinosauri. La parola Zea è di origine greca e significa

“vivere” mentre, il nome della specie mays è riconducibile alla parola indiana “mahiz” o

“marisi” che significa “pane di vita”. Il mais è organizzato nel genere Zea, un gruppo di

piante native del Messico e dell’America centrale. Questo genere comprende specie

selvatiche, conosciute come “teosinte” (termine derivato da “teocintli” degli indiani

Nahuátl che significa “seme degli dei”), annuali e perenni. La specie coltivata (Zea mays

L.) deriva dall’addomesticamento di Zea parviglumis iniziato circa 10.000 anni fa nella

valle del fiume Balsas nel sud del Messico. Si trovano anche generi selvatici affini, come

Tripsacum, diffusi dal nord al sud America, che formano cespugli in zone umide, intorno a

insenature o corsi d’acqua. Negli Stati Uniti, Tripsacum dactyloides è impiegata come

foraggio per il bestiame.

Figura 1 - Zea Mays; prime rappresentazioni del mais. Immagine tratta da Mattioli P.A., I discorsi, Venezia 1712

La pianta del mais presenta molte caratteristiche comuni alle altre Poaceae:

• il fusto o culmo distinto in nodi e internodi;

• una singola foglia a ciascun nodo e le foglie distribuite sul culmo in due file

opposte o distiche;

• ogni foglia consiste in una lamina espansa collegata a una guaina che avvolge il

culmo.

I nodi basali hanno la tendenza a formare ramificazioni o culmi di accestimento (polloni) e

sviluppano radici avventizie. E’ una pianta monoica con fiori maschili, verdastri riuniti in

pannocchie terminali; i fiori femminili sono raggruppati in grosse spighe cilindriche

all’ascella delle foglie e sono rivestiti da grandi brattee membranose; hanno stili filiformi,

giallastri, molto lunghi che fuoriescono dalle brattee. I frutti sono cariossidi, ovoidi o

poliedriche, appressate le une alle altre in 8-10 serie longitudinali; le cariossidi sono dure,

lucenti, di colore variabile (giallo, rossastro, bruno, violaceo o bianco).1

In ogni caso è importante approfondire i meccanismi fisiologici di crescita della pianta

(Zea mays spp.), e quindi l’apporto di nutrienti nonché dell’azoto ai fini di verificare

eventuali effetti positivi che potenzialmente possono essere considerati nell’ambito

dell’ottimizzazione delle tecniche colturali del mais e quindi della produttività

agroalimentare. Nei paragrafi successivi verranno presi in considerazione i vari aspetti

biochimici legati alla fisiologia vegetale della pianta, a partire dal ciclo biogeochimico

dell’azoto.

1.2. Il Ciclo dell’Azoto

Molti composti biochimici presenti nelle cellule contengono azoto. Per esempio, l’azoto si

trova nei nucleosidi ortofosfati e negli amminoacidi che formano le unità di base

rispettivamente degli acidi nucleici e delle proteine. Più abbondanti dell’azoto nelle piante

troviamo solo gli elementi carbonio, ossigeno e idrogeno. La maggior parte degli

ecosistemi agricoli e naturali mostra incrementi notevoli nella produttività dopo

concimazione con azoto inorganico, dimostrando l’importanza di questo elemento.

L’azoto è presente nella biosfera in diverse forme. L’atmosfera contiene grandi quantità di

azoto molecolare (N2), circa il 78% del volume totale. Per la maggior parte, questa grande

quantità di azoto non è direttamente disponibile per gli organismi viventi. L’acquisizione di

azoto dall’atmosfera richiede la rottura di un triplo legame covalente (N≡N) per produrre

ammoniaca (NH3) o nitrato (NO3-). Queste reazioni, conosciute meglio con il nome di

fissazione dell’azoto, possono avvenire per mezzo di processi sia naturali sia industriali.

In condizioni di alta temperatura (circa 200°C) ed elevata pressione (circa 200atm) e in

presenza di un catalizzatore metallico (di solito Fe) l’azoto molecolare si combina con

l’idrogeno per formare l’ammoniaca. Queste condizioni estreme sono necessarie per

vincere l’elevata energia di attivazione della reazione. Questa reazione di fissazione

dell’azoto, chiamata processo di Haber-Bosch (noto anche semplicemente come processo

Haber, ove inizialmente si utilizzava come catalizzatore una miscela di osmio e uranio), è il

punto di partenza per la produzione di un gran numero di composti per l’industria e per

l’agricoltura. La produzione industriale mondiale di fertilizzanti azotati ammonta diverse

migliaia di tonnellate annue2.

I processi naturali in grado di fissare l’azoto (circa 190 x 1012g/anno) sono i seguenti:3

• Fulmini. Della quantità totale fissata circa l’8% è dovuta ai fulmini che causano la

formazione di radicali liberi ossidrilici, a partire dal vapor d’acqua e dall’ossigeno

contenuti nell’atmosfera; queste specie reattive attaccano l’azoto molecolare e

formano acido nitrico (HNO3), che precipita al suolo con la pioggia.

• Reazioni fotochimiche. Circa il 2% dell’azoto fissato deriva da reazioni

fotochimiche che coinvolgono ossido nitrico gassoso (NO) e ozono (O3), che

producono acido nitrico.

• Fissazione biologica dell’azoto. Il rimanente 90% deriva dalla fissazione biologica

dell’azoto, praticata da alcuni batteri detti azotofissatori, che grazie all’azione di

enzimi (nitrogenasi) trasformano l’azoto gassoso in ammoniaca la quale, nel mezzo

acquoso del loro citoplasma, passa in soluzione formando ioni ammonio (NH4+).

Da un punto di vista agronomico, la fissazione biologica dell’azoto è una fonte importante

di azoto poiché la richiesta di azoto per le produzioni vegetali non potrebbe essere ottenuta

solamente attraverso l’uso di fertilizzanti chimici.4

Altri processi che intervengono nel ciclo dell’azoto sono:

Ammonificazione. Rappresenta un processo attraverso cui sono resi disponibili nel terreno

ioni ammonio, a partire dai resti vegetali e animali e dai prodotti di rifiuto animali come

feci e urina. Questi ultimi sono decomposti da batteri e funghi del suolo che ne estraggono

le proteine e gli amminoacidi necessari per la propria crescita espellendo ioni ammonio che

sono riutilizzabili dalle piante. In questo modo è operato un efficiente “riciclaggio”.

Nitrificazione. Un gruppo di batteri nitrificanti (Nitrosomonas) trasforma gli ioni ammonio

in ioni nitrito (NO2-), che non tendono ad accumularsi perché un altro gruppo (Nitrobacter)

provvede a ossidarli immediatamente a ioni nitrato (NO3-), la forma in cui le piante

assumono dal terreno la maggior parte dell’azoto necessario.

Assimilazione. Gli ioni ammonio e gli ioni nitrato assorbiti dalle radici delle piante sono

assimilati e utilizzati per la biosintesi di amminoacidi e proteine. Le piante sono la sola

fonte di azoto diretta o indiretta per tutti gli animali lungo le catene alimentari.

Denitrificazione. È il processo che chiude il ciclo dell’azoto, grazie all’azione di un gruppo

di batteri detti denitrificanti che operano nel terreno in assenza di ossigeno, trasformando i

nitrati in azoto molecolare che ritorna nell’atmosfera (con questa reazione ricavano

l’ossigeno necessario per la propria respirazione).

Tra tutti i nutrienti essenziali per le piante, l’azoto è quello che maggiormente tende a

scarseggiare. Tra le cause principali vi è l’elevata solubilità dei sali di ammonio e dei

nitrati che li rende facilmente allontanabili per dilavamento ad opera delle precipitazioni,

con conseguente accumulo negli ecosistemi acquatici (in particolare quelli lacustri). Nei

terreni agricoli le perdite di azoto sono rilevanti sia perché il suolo è più esposto al

dilavamento, sia perché una parte dell’azoto viene continuamente sottratta ai terreni con le

piante stesse quando si effettua il raccolto. Per questo motivo è necessario impiegare

ingenti quantità di fertilizzanti azotati. L’eccesso di questi composti, insieme a quello dei

fosfati (anch’essi usati abbondantemente come fertilizzanti) si riversa per dilavamento nei

corsi d’acqua e si accumula nei laghi causando un tipo di inquinamento noto come

eutrofizzazione che causa un anomalo sviluppo di alghe. Come conseguenza si determina

un’intensificazione dei processi di decomposizione, che comportano un forte consumo di

ossigeno che ha come effetto la drastica riduzione o la morte di molte specie

dell’ecosistema lacustre.5

Elevate concentrazioni di ammonio, accumulate nei tessuti vegetali, risultano tossiche sia

per la pianta sia per gli animali, che di queste si nutrono. L’ammonio dissipa il gradiente

protonico transmembrana indispensabile per il trasporto degli elettroni sia della fotosintesi

sia della respirazione come anche per l accumulo di metaboliti nel vacuolo. Poiché elevate

concentrazioni di ammonio sono pericolose, gli animali hanno sviluppato una tipica

avversione al suo odore. Le piante assimilano azoto attraverso i siti di assorbimento, quali

radici e peli radicali e accumulano rapidamente qualsiasi eccesso nei vacuoli evitando così

i suoi effetti tossici sulle membrane o sul citosol.

A differenza dell’ammonio, le piante possono accumulare elevate quantità di nitrato e

possono traslocarlo da tessuto a tessuto senza effetti dannosi. Comunque se gli animali o le

persone consumano vegetali con alto contenuto di nitrato, possono sviluppare

metemoglobinemia, ovvero l’ossidazione del Fe(II) a Fe(III) nell’eme dell’Hb che

determina cianosi quando la metaemoglobina supera livelli ematici di 1.5g/l. Si ha grave

ipossia tissutale quando si presentano livelli di metaemoglobina pari al 30% (traslazione

della curva di dissociazione dell’O2 a sx). Animali e uomo possono anche convertire il

nitrato in nitrosammine (CYP450), che sono composti cancerogeni.

1.3 Assimilazione del nitrato

Le radici delle piante assorbono attivamente il nitrato dalla soluzione del suolo tramite

numerosi cotrasportatori nitrato-protone a bassa ed elevata affinità6.

Le piante assimilano la maggior parte del nitrato assorbito, in composti organici azotati. Il

primo passaggio di questo processo è la riduzione citosolica del nitrato in nitrito7 .

L’enzima nitrato reduttasi (NR), una metalloflavoproteina (EC 1.7.1.1. - 3), catalizza la

reazione generale:

dove NAD(P)H indica NADH o NADPH. In generale le isoforme della NR isolate nelle

piante superiori, nei funghi e nelle alghe sfruttano la cooperazione con i piridin nucleotidi

(NADH o NADPH) secondo lo schema generale:

NR-NADH

(EC 1.7.1.1)

NR-NAD(P)H

(EC 1.7.1.2)

NR-NADPH

(EC 1.7.1.3)

La forma più comune di NR nelle piante superiori utilizza solo NADH come donatore di

elettroni, mentre un’altra forma dell’enzima si trova principalmente in tessuti non verdi

come le radici, e può utilizzare sia NADH sia NADPH8.

Figura 2 - stuttura chimica del NADP

La NR è una metalloflavoproteina contenente un eme-Fe ed un atomo di Mo complessato

con una pterina formante il c.d. Complesso molibdopterinico (Mo-MPT). La NR catalizza

una serie molto vasta di reazioni, in particolare NADH-dipendenti. L'enzima catalizza la

Piante

Funghi

Piante

Funghi

Alghe

Funghi

riduzione del NO3- a NO2- attraverso il flusso elettronico generato dalla formazione di

complessi catalitici tra i cofattori ed il metallo prostetico, secondo l'ordine NADH → FAD

→ Mo → NO3-. Dal punto di vista strutturale l'NR è costituito da due omodimeri di massa

~ 100kD, ognuno dei quali contenente un gruppo FAD, un eme-Fe ed un gruppo Mo-MPT.

Va tenuto conto che esistono almeno 40 tipi di sequenze polipeptidiche codificate per la

NR. La NR è costituita da cinque domini strutturali distinti: Mo-MPT, interfaccia dimerica,

citocromo b (cyt b), FAD, NADH. Nella miscela di reazione quando interagiscono FAD-

NADH si ha la formazione del c.d. Frammento della citocromo b reduttasi (CbR), e

quando questo va ad interagire a sua volta con il cyt b, si forma il frammento della

citocromo c reduttasi (CcR). Regioni caratteristiche della catena polipeptidica sono la N-

terminale, ricca di residui amminoacidici acidi, la Hinge 1 che contiene il sito di

fosforilazione dell'enzima (in genere un residuo di Ser) e la Hinge 2 che contiene il sito per

le proteinasi. Il dominio Mo-MPT e l'interfaccia dimerica sono localizzati in prossimità ad

enzimi di membrana come la solfito ossidasi (SOX – EC 1.8.2.1), che catalizza la reazione

Figura 3 - Subunità della NR (EC 1.7.1.3.) dove è visibile la Mo-MPT. Il rendering elaborato pone in evidenza la struttura secondaria della proteina. Per il gruppo Mo-MPT si è utilizzato il modello CPK.

Figura 4 - Subunità della NR (EC 1.7.1.1.) dove è visibile il FAD. Il rendering elaborato pone in

evidenza la struttura secondaria della proteina. Il FAD è rappresentato con lo scheletro molecolare.

Il citocromo associato alla reazione della SOX è il c-551. In generale possiamo dire che la

NR esiste in forme ossidate e ridotte, in particolare lo stato redox dell'enzima dipende da

quello dei suoi cofattori e gruppi prostetici, infatti riscontriamo per il FAD 3 stati redox, 2

per il Fe, 3 per il Mo. L'enzima (omodimero) può assumere dai 12 ai 18 stati redox. La

corrente elettronica che si genera per la riduzione del NO3- durante la catalisi enzimatica è

determinata dai potenziali di riduzione di inizio/fine della reazione, in particolare E°=-

320mV per l'NADH ed E°=420mV per il NO3-, corrispondente ad un ∆E°=740mV, ovvero

una variazione di energia libera per la reazione di riduzione del NO3- pari a ∆G°=-

34.2kcal/mol (-143kJ/mol), che risponde sostanzialmente a dire che la reazione è

termodinamicamente irreversibile (equilibrio spostato totalmente vs. i prodotti)9.

Figura 5 - Struttura chimica del FAD

Il meccanismo catalitico dell’enzima fin qui brevemente descritto, come già detto, culmina

con il trasferimento di elettroni dal gruppo MO-MPT al NO3-, come schematizzato in

figura 6.

Figura 6 - Struttura chimica della Molibdopterina

La NR è la principale proteina contenente molibdeno dei tessuti vegetali e, un sintomo

della carenza da molibdeno è l’accumulo di nitrato, derivante dalla diminuzione

dell’attività della nitrato reduttasi10.

Il dominio della NR che lega il FAD, accetta due elettroni dal NADH o dal NADPH. Gli

elettroni passano quindi attraverso il dominio dell’eme per giungere al complesso

molibdeno, dove sono trasferiti al nitrato.

Figura 7 - Ciclo catalitico della nitrato reduttasi

E’ stato dimostrato che il nitrato è presente all’interno delle cellule delle piante in due pool

differenti: un pool di stoccaggio e un pool metabolico. Il nitrato presente nel pool

metabolico è direttamente disponibile per la piante e induce l’attività della NR. La luce, il

glucosio ed altri fattori ambientali possono influire sulla nitrato reduttasi. E’ stato osservato

che sottoponendo la pianta alla luce e calcolando la concentrazione di nitrito dopo 6 e dopo

12 ore dalla presenza della luce, la produzione di nitrito cessa in entrambe i casi dopo 4 ore;

aggiungendo al terreno il nitrato, la produzione di nitrito riprende e continua per almeno 3

ore. Ciò dimostra che l’enzima rimane attivo e il raggiungimento del plateaux nella

produzione di nitrito è dovuto ad una reale deplezione di nitrato nel pool metabolico. Dopo

12 ore di illuminazione la produzione totale di nitrito è circa due volte maggiore rispetto

alla produzione di nitrito dopo 6 ore11.

Figura 8 - Cinetica della NR in condizioni di differente illuminazione Inoltre nelle foglie illuminate, si è osservato un incremento dell attività della nitrato

reduttasi, all’aumentare del nitrato nel pool metabolico (8).

Velocità di reazio

Tempo/[h]

Figura 9 - Attività della NR in funzione della concentrazione di nitrato.

In uno studio di Aslam et al. è stato dimostrato che il nitrato presente nel terreno si deposita

all’ interno del pool di stoccaggio (vacuolo) passando attraverso il pool metabolico nel

citoplasma. Questa reazione è favorita sia dalla luce sia dal glucosio. Nel pool di

stoccaggio il nitrato è praticamente inaccessibile. In determinate condizioni il nitrato dal

pool di stoccaggio può transitare nel pool metabolico e questa reazione richiede luce ma

non è supportata dalla presenza del glucosio. Quest’ ultima reazione può essere mediata dal

sistema dei fitocromi12 (8)

Il nitrito (NO2-) è uno ione altamente reattivo e potenzialmente tossico. Le cellule vegetali

trasportano immediatamente il nitrito durante la riduzione del nitrato, dal citosol ai

cloroplasti, nelle foglie nei plastidi e nelle radici. In questi organuli l’enzima nitrito

reduttasi riduce il nitrito in ammonio secondo la seguente reazione generale:

dove fd è la ferredossina. La ferredossina ridotta deriva dal trasporto elettronico foto

sintetico nei cloroplasti e dal NADPH generato dalla via ossidativa dei pentosi fosfato nei

tessuti non verdi. Le isoforme della nitrito reduttasi presenti nel cloroplasto e nei plastidi

della radice, sono costituite da un singolo polipeptide e contengono due gruppi prostetici:

un centro ferro-zolfo (Fe4S4) ed un eme specializzato13. Questi gruppi agiscono insieme per

legare il nitrito e lo riducono direttamente ad ammonio.

Km

[NO3-]

Figura 10 - Rendering dell'enzima nitrito reduttasi (EC 1.7.2.1.) dove è visibile la struttura secondaria del polipeptide nonchè la struttura molecolare dei cofattori.

Anche se non vi è accumulo di composti azotati o di stati redox intermedi, una piccola

percentuale (0,02-0,2%) di nitrato ridotto è liberata come ossido nitroso (N2O), un gas da

effetto serra14.

La nitrito reduttasi è codificata nel nucleo e sintetizzata come precursore che reca un

peptide di transito all’ N-terminale che la indirizza verso il plastidio15.

Elevate concentrazioni di NO3- e la luce inducono la trascrizione dell’mRNA della nitrito

reduttasi. L’accumulo di prodotti finali del processo come l’asparagina e la glutammina,

reprime questa induzione.

In molte piante, quando le radici ricevono piccole quantità di nitrato, esso è ridotto prima

nelle radici. Come aumenta la disponibilità di nitrato una quantità via via superiore di

nitrato è trasferita al germoglio e qui assimilata16.

Anche in condizioni simili di disponibilità di nitrato il bilancio fra il metabolismo del

nitrato fra radici e germoglio, misurato come proporzione di attività di nitrato reduttasi in

ognuno di questi due organi o dalla concentrazione relativa di nitrato e azoto ridotto del

succo xilematico, varia da specie a specie.

Al fine di individuare il range di stabilità delle specie anioniche e relativi equilibri di

ossidoriduzione dell’azoto nel suolo, è necessario prendere in considerazione l’analisi di

potenziali di riduzione in fuzione del pH. Ciò è possibile procedendo al calcolo delle curve

E = f(pH) a partire dalla relazione di Nerst per il potenziale elettrodico di semicella. Le

curve vengono successivamente graficate nel tradizionale diagramma di Pourbaix E[V]/pH

che si riporta di seguito.

Figura 11 - Diagrmma di pourbaix per le specie chimiche dell'azoto nel suolo.

1.4 Assimilazione dell'ammonio

Le cellule vegetali evitano la tossicità dell’ammonio convertendo rapidamente l’ammonio

generato dall’assimilazione del nitrato o dalla foto respirazione in amminoacidi. La via

principale per questa conversione coinvolge l’azione sequenziale della glutammina

sintetasi e della glutammato sintasi.

La glutammina sintetasi unisce l’ammonio con il glutammato per formare la glutammina:

Questa reazione richiede l’idrolisi di ATP e coinvolge uno ione bivalente come Mg2+,

Mn2+ o Co2+ come cofattore. Le piante possiedono due classi di GS, una nel citosol e

l’altra nei plastidi delle radici o nei cloroplasti del germoglio. Le forme citosoliche sono

espresse nei semi in via di germinazione o nei fasci vascolari di radici e germogli e

producono glutammina per il trasporto intracellulare dell’azoto. La GS dei plastidi delle

radici produce azoto ammidico per il consumo locale; la GS dei cloroplasti del germoglio

riassimila l’NH4+ della foto respirazione17.

La luce e la quantità di carboidrati alternano l’espressione delle forme plastidiali

dell’enzima, ma hanno uno scarso effetto sulle forme citosoliche.

Elevate quantità di glutammina plastidiale stimolano l’attività della glutammato sintasi

(GOGAT). Questo enzima trasferisce il gruppo ammidico della glutammina al 2-

oxoglutarato, formando due molecole di glutammato. Le piante contengono due tipi di

GOGAT: una accetta elettroni dal NADH, l’altra accetta gli elettroni dalla ferredossina

(Fd):

La forma NADH dipendente dell’enzima (NADH-GOGAT) è localizzata nei plastidi dei

tessuti non foto sintetici quali le radici o i fasci vascolari delle foglie in via di sviluppo.

Nelle radici la NADH-GOGAT è coinvolta nell’ assimilazione dell’NH4+ assorbito dalla

rizosfera (il suolo vicino alle radici); nei fasci vascolari delle foglie in via di sviluppo la

NADH-GOGAT assimila la glutammina traslocata dalle radici alle foglie senescenti.

Figura 12 - Rendering della glutammato sintasi dove sono visibili le subunità nonché la struttura

secondaria del polipeptide.

La forma della glutammato sintasi ferredossina dipendente (Fd-GOGAT) si trova nei

cloroplasti e serve per il metabolismo dell’azoto liberato durante la foto respirazione. La

quantità di proteina e l’attività dell’enzima aumentano con l’aumentare della luce. Le

radici, in particolare quelle nutrite con nitrato, hanno la Fd-GOGAT nei plastidi. La Fd-

GOGAT delle radici serve probabilmente per incorporare la glutammina generata durante

l’assimilazione del nitrato.

L’ammonio può essere assimilato attraverso vie alternative. La glutammato deidrogenasi

(GDH) catalizza la reazione reversibile capace di sintetizzare o deaminare il glutammato (v.

Fig.4).

Una forma NADH dipendente della GDH si trova nei mitocondri e una forma NADPH è

localizzata nei cloroplasti degli organi foto sintetici. Sebbene entrambe le forme siano

relativamente abbondanti, non può sostituire la via GS-GOGAT per l’assimilazione

dell’ammonio e la funzione principale della DGH è la deaminazione del glutammato

durante la riallocazione dell’azoto.

Una volta assimilato nella glutammina e nel glutammato, l’azoto è incorporato in altri

amminoacidi attraverso reazioni di transamminazione. Queste reazioni vengono portate a

termine da enzimi conosciuti come amminotransferasi. Un esempio è la aspartato

amminotransferasi che catalizza la seguente rezione:

in cui l’ammino gruppo del glutammato è trasferito sul gruppo carbossilico dell’ aspartato.

L’aspartato è un amminoacido che prende parte dello shuttle malato-aspartato per trasferire

equivalenti di riduzione dal mitocondrio e dal cloroplasto al citosol e nel trasporto del

carbonio dal mesofillo alla guaina del fascio nella fissazione del carbonio nelle piante C4.

Tutte le reazione di transamminazione richiedono come cofattore il piridossal fosfato

(vitamina B6).

Le amminotrasferasi si trovano nel citoplasma, nei cloroplasti, nei mitocondri, nei

gliossisomi e nei perossisomi. Le amminotrasferasi localizzate nei cloroplasti possono

avere un ruolo importante nella biosintesi degli amminoacidi, poiché quando le foglie o i

cloroplasti isolati sono esposti ad anidride carbonica marcata, avviene una rapida

incorporazione del biossido di carbonio radioattivo nel glutammato, nell’aspartato,

nell’alanina nella serina e nella glicina.

Le persone e la maggior parte degli animali non sono in grado di sintetizzare certi

amminoacidi, come istidina, isoleucina, leucina, lisina, metionina, fenilalanina, treonina,

triptofano, valina e arginina (solo i giovani, gli adulti possono sintetizzare arginina), e

devono così ottenere questi cosiddetti amminoacidi essenziali dalla loro dieta. Invece le

piante sintetizzano tutti i 20 amminoacidi presenti nelle proteine. Come riportato in

precedenza, gli ammino gruppi contenenti azoto derivano da reazioni di transamminazione

con la glutammina o con il glutammato. Lo scheletro carbonioso degli amminoacidi deriva

dal 3-fosfoglicerato, dal fosfoenolpiruvato o dal piruvato generati durante la glicolisi o dal

2-oxoglutarato o dall’ossalacetato generati nel ciclo dell’acido citrico.

1.5 Fissazione biologica dell’azoto

La fissazione biologica dell’azoto è responsabile della maggior parte della fissazione

dell’N2 atmosferico in ammonio.

Alcuni batteri possono convertire l’azoto atmosferico in ammonio. La maggior parte di

questi procarioti azoto-fissatori vive libera nel suolo di solito in modo indipendente da altri

organismi. Pochi di essi formano associazioni simbiontiche con le piante superiori in cui il

procariote fornisce direttamente alla pianta ospite l’azoto fissato in cambio di altri nutrienti

e carboidrati.

I sistemi enzimatici utilizzati per la fissazione dell’azoto sono identici in quasi tutti i batteri,

nonostante le differenze esistenti tra questi, e necessitano di cinque requisiti essenziali:

1. La nitrogenasi, la proteina che catalizza la riduzione dell’N2 ad ammonio.

2. Un potente riducente, come la ferrodossina ridotta (o flavodossina).

3. L’ATP.

4. Le condizioni anaerobiche.

5. I meccanismi di regolazione.

I principali meccanismi di regolazione sono due:

• L’ADP inibisce l’attività della nitrogenasi; quindi quando il rapporto ATP/ADP

diminuisce, la fissazione dell’azoto è inibita.

• L’NH 4+ reprime l’espressione dei geni nif, i geni che codificano per le proteine del

sistema di fissazione dell’azoto. Fino ad oggi, sono stati identificati 20 geni nif.

La repressione dell’espressione del gene nif, da parte dell’ammonio, il principale prodotto

della fissazione dell’azoto, è un sistema efficiente ed efficace per sospendere questo

processo metabolico quando il suo prodotto finale non è necessario18.

Poiché la fissazione dell’azoto coinvolge il trasferimento di grandi quantità di energia, gli

enzimi della nitrogenasi possiedono siti che facilitano lo scambio di elettroni ad alta

energia. L’ossigeno essendo un forte accettore di elettroni può danneggiare questi siti e

disattivare irreversibilmente la nitrogenasi, così l’azoto deve essere fissato in condizioni

anaerobiche.

I batteri azoto fissatori liberi sono aerobi (Azotobacter, Gloeothece) facoltativi o anaerobi i

quali possono essere sia fotosintetici (Rodospirillum), sia non fotosintetici (Clostridium).

Ognuno di questi organismi azoto fissatori può agire in condizioni anaerobiche o in

presenza di ossigeno può crescere in un ambiente anaerobico interno alla pianta ospite.

Nei cianobatteri per esempio, le condizioni sono create in cellule specializzate dette

eterocisti. Si tratta di cellule con parete ispessita e prive del fotosistema due, il quale

sviluppa ossigeno nei cloroplasti; in questo modo riescono a non produrre ossigeno19

(Burris 1976).

1.6 La fissazione simbiontica dell’azoto

Come già precedentemente detto, alcuni batteri possono formare associazioni simbiontiche

con le piante superiori, traendo un reciproco vantaggio. I procarioti simbionti che fissano

l’azoto dimorano nei noduli radicali. I noduli radicali sono il risultato dell’associazione

simbiotica tra radici di leguminose e batteri appartenenti, per la maggior parte, ai generi

Rhizobium e Bradyrhizobium, capaci di fissare l'azoto atmosferico e cederlo alla pianta in

cambio di carbonio in forma organica.

In natura, le radici delle piante vivono quasi sempre in simbiosi con funghi del suolo,

formando le micorrize. In queste associazioni il fungo fornisce la pianta di fosfati e altri

minerali, e la protegge da diversi tipi di stress e da organismi patogeni, mentre la pianta

cede zuccheri al fungo. Molti funghi, inoltre, possono completare il loro ciclo vitale solo se

formano un'associazione micorrizica. Le micorrize si dividono in due grandi gruppi, le

endomicorrize e le ectomicorrize. Nelle ectomicorrize il fungo simbionte avvolge le radici

della pianta ospite formando il mantello o micoclena e penetra tra le cellule epidermiche e

corticali, mantenedosi sempre all'esterno delle pareti cellulari, formando il reticolo di

Hartig .

Le associazioni ectomicorriziche si stabiliscono tra piante arboree forestali (castagni, faggi,

ecc.) e funghi Basidio- ed Ascomiceti come ad es. i Boleti, le Amanite e i tartufi che solo in

simbiosi formano i corpi fruttiferi.

Figura 13 - sezione longitudinale al MO di radice ectomicorrizata

Nelle endomicorrize arbuscolari i funghi simbionti, appartenenti al phylum

Glomeromycota, penetrano all'interno delle cellule epidermiche e corticali della radice,

sempre avvolti dalla membrana plasmatica dell'ospite. Le ife del suolo prendono contatto

con la superficie della radice, su cui formano appressori, e quindi penetrano nella

corteccia dove, esternamente, formano avvolgimenti nelle cellule (i gomitoli) e, più in

profondità, gli arbuscoli, strutture intracellulari ramificate ad alberello, specializzate negli

scambi tra i due simbionti.

Circa l'80% delle piante, tra cui la quasi totalità delle piante erbacee, comprese molte

piante orticole (pomodori, graminacee, ecc. ), e alberi da frutta formano questo tipo di

simbiosi

Figura 14 - sezione longitudinale al MO di radice endomicorrizata

Figura 15 - sezione trasversale comparativa dei tessuti micorrizati arbuscolari ed ectomicorrizati

nonchè non trattati Gli arbuscoli rappresentano lo stadio finale di crescita dei funghi coinvolti in questa

associazione simbiotica poiché dopo 4-10 giorni di simbiosi collassano e la pianta li

degrada completamente lasciando spazio ad una seconda possibile associazione. Durante la

colonizzazione i funghi occupano una porzione molto grande delle cellule corticali della

pianta ma le loro strutture si separano dal protoplasto della cellula vegetale grazie ad una

membrana, la membrana periarbuscolare. Questa membrana circonda completamente gli

arbuscoli aumentando la superficie di assorbimento della membrana plasmatica della

cellula vegetale20.

PARTE SPERIMENTALE – Svolta presso il Laboratorio di Chimica

Merceologica della LAV srl sotto la direzione del Dott. Riccardo Ariotti.

2. FLUSSO METABOLICO DELL’AZOTO ED ANALISI

BROMATOLOGICA DEL LATTE

2.1 Inquadramento generale

Il lavoro sperimentale qui di seguito riportato è volto ad individuare i caratteri biochimici

relativi al metabolismo dell’azoto in Zea Mays coltivata con il sistema Micosat F, ovvero

in simbiosi micorrizica, e a valutare dal punto di vista dell’analisi bromatologica le

variazioni nutrizionali del latte prodotto da allevamenti bovini alimentati con insilato

prodotto a partire da Zea Mays micorrizata.

Il Micosat F® rappresenta sostanzialmente una associazione simbiotica che si instaura tra le

radici di molte piante e funghi AM presenti nel suolo. Questa associazione sinergica è

costituita da un consorzio microbiologico composto da micelio e spore di funghi

micorrizici, funghi saprofiti e batteri della rizosfera agronomicamente utili.

In particolare, come esempio, riportiamo qui di seguito, la formulazione di MICOSAT F

wp semi, utilizzato per la micorizzazione di cereali nella proporzione di 0,8-1,2 kg/ha:

100 g di prodotto contengono un inoculo misto di:

Funghi simbionti:

32 g di radici micorizzate e triturate, spore e ife di funghi simbionti dei generi: Glomus

coronatus GO01 e GU53, Glomus caledonium GM24, Glomus intraradices GB67 e GG32,

Glomus mosseae GP11 e GC11, Glomus viscosum GC41, capaci di punti di ingresso nelle

radici dell’ospite in percentuale minima del 30%;

Altri microrganismi:

Ingredienti biologici attivi 5,7% e in misura minima di 4,25x108 C.F.U./g (di cui 0,8%

Thricoderma spp. in percentuale minima del 3x106 C.F.U./g);

Batteri della rizosfera:

Bacillus subtilis BR48;

Funghi saprofiti:

Beauveria spp. BB48, Trichoderma harzianum TH01, Trichoderma atroviride TA28,

Supporti inerti q.b. a 100.

Lo studio del sistema biologico così descritto è rivolto principalmente all’analisi del flusso

metabolico dell’azoto, che come evincibile dal lavoro di Tian et al. (2010) è responsabile

della maggiore attività proteica della pianta e quindi dell’espressione di determinati geni

codificanti enzimi diversi anche nell’ambito della biosintesi dei carotenoidi (β−carotene).

In tal senso la determinazione dell’azoto totale presente nelle foglie di ZeaMays

micorrizata e di controllo ha dimostrato che Zea Mays coltivata in regime di simbiosi

presenta una quantità di azoto totale kjeldhal nelle foglie di circa il 10% in più rispetto al

controllo. Tale fatto indica confermati i dati degli autori succitati circa le deduzioni sulla

cascata metabolica della glutamina, a livello dell’assimilazione del nitrato dal suolo.

Per quanto concerne le caratteristiche nutrizionali del latte ottenuto da allevamenti

alimentati con insilato prodotto a partire da Zea Mays micorrizato, sono stati determinati i

titoli di vitamina A e vitamina E, nonché il frazionamento degli acidi grassi su due pool:

micorrizato e controllo. Il primo ha prevalso per quantitativo vitaminico, mentre vi è una

differente distribuzione delle quantità relative di determinati acidi grassi tra “micorrizato” e

“controllo”. Si rimanda pertanto alla trattazione dei dati quantitativi riportata nei paragrafi

seguenti.

2.2 Analisi delle foglie di Mais

Si è proceduto inizialmente alla ricostruzione del campione globale a partire dai campioni

elementari, secondo la tabella di campionamento numero 1. La ricostruzione è avvenuta

per omogenizzazione dei campioni elementari e, al fine di ottimizzare la dispersione

granulometrica del macinato, si è provveduto alla setacciatura con porosità del crivello

n.20 (scala Sieve), ciò al fine di eliminare o comunque rendere trascurabile l’effetto

matrice per l’analisi spettroscopica NIR.

Foglie =Campione

2a.1 2a.2 2a.3 2b.1 2b.2 2b.3 2

5a.1 5a.2 5a.3 5b.1 5b.2 5b.3 5

8a.1 8a.2 8a.3 8b.1 8b.2 8b.3 6

11a.1 11a.2 11a.3 11b.1 11b.2 11b.3 11

14a.1 14a.2 14a.3 14b.1 14b.2 14b.3 14

17a.1 17a.2 17a.3 17b.1 17b.2 17b.3 17

20a.1 20a.2 20a.3 20b.1 20b.2 20b.3 20

23a.1 23a.2 23a.3 23b.1 23b.2 23b.3 23

26a.1 26a.2 26a.3 26b.1 26b.2 26b.3 26

29a.1 29a.2 29a.3 29b.1 29b.2 29b.3 29

32a.1 32a.2 32a.3 32b.1 32b.2 32b.3 32

35a.1 35a.2 35a.3 35b.1 35b.2 35b.3 35

38a.1 38a.2 38a.3 38b.1 38b.2 38b.3 38

41a.1 41a.2 41a.3 41b.1 41b.2 41b.3 41

44a.1 44a.2 44a.3 44b.1 44b.2 44b.3 44

47a.1 47a.2 47a.3 47b.1 47b.2 47b.3 47

Tabella 1 - Campionamento Foglie di mais

Il campione globale così realizzato è stato suddiviso in tre aliquote destinate

rispettivamente alla analisi tradizionale Kjeldhal, alla analisi spettroscopica NIR e al

controcampione per la conservazione. Al fine di poter costruire il modello per l’analisi dei

dati spettroscopici a seguito del processamento dei campioni suddetti con lo spettrometro

NIR, sono stati analizzati 10 campioni (5 come controllo e 5 micorrizzati) utilizzando il

metodo tradizionale Kjeldahl per la determinazione dell’azoto totale, a norma ISO

1871:2009. Qui di seguito viene descritto il metodo utilizzato in laboratorio per

determinare l’azoto organico presente all’ interno delle foglie di mais.

2.3 Determinazione dell’azoto totale con il metodo Kjeldahl 2.3.1 Principio del metodo

Il metodo prevede la digestione di un’aliquota del campione utilizzando acido solforico

concentrato in presenza di un catalizzatore per trasformare l’azoto organico in solfato

d’ammonio. Il prodotto finale della digestione viene addizionato di idrossido di sodio (in

eccesso) spostando l’equilibrio acido-base dell’ammonio verso l’ammoniaca, che viene

distillata in eccesso di acido borico al 4%. L’ammoniaca viene poi titolata con una

soluzione standard di acido cloridrico, determinando il tenore di azoto totale.

2.3.2 Reagenti e soluzioni di riferimento concentrate

2.3.2.1 Acido solforico concentrato, ρ = 1,83g/ml – 1,84g/ml;

2.3.2.2 Catalizzatore (compresse di HgO);

2.3.2.3Soluzione di acido borico al 4%w/V;

2.3.2.4 Indicatore: Tashiro;

2.3.2.5 Perossido di Idrogeno non inferiore in titolo al 30%w/w;

2.3.2.6 Idrossido di sodio in titolo non inferiore al 30%w/w;

2.3.2.7 Solfato di Potassio (in compresse o polvere cristallina);

2.3.2.8 Acido cloridrico 0,1M;

2.3.2.9 Solfato d’Ammonio con purezza non inferiore al 99,9%;

2.3.2.10 Triptofano con purezza non inferiore al 99,9%.

2.3.3 Apparecchiatura

2.3.2.1 Bilancia Analitica (precisione 0,001mg);

2.3.2.2 Termoreattore;

2.3.2.3 Unità di distillazione;

2.3.2.5 Buretta e vetreria da laboratorio;

2.3.2.6 Palline di vetro;

2.3.2.7 Carta da peso e spatole;

2.3.2.8 Provettoni da digestione.

2.3.4 Procedimento e modalità operative

Le operazioni effettuate rispettano le indicazioni fornite integralmente nella norma ISO

1871:2009.

Si pesano 5g di campione su bilancia analitica (1.1.3.1), servendosi di carta da peso e spa-

tole (1.1.3.7), trasferendoli quantitativamente nel provettone per la digestione (1.1.3.8);

Lavorando sotto cappa, dopo aver posizionato i provettoni (1.1.3.8) negli idonei spazi nel

termoreattore, si introducono i seguenti reattivi nell’ordine: n.2 compresse di K2SO4/HgO

(3,5g/0,175g) o equivalenti in polvere (1.1.2.7), 5ml di H2O2 (1.1.2.5), 20ml di H2SO4

(1.1.2.1);

Dopo aver posizionato l’apparecchio per l’aspirazione dei fumi sopra i provettoni, si pro-

cede ad azionare il termoreattore già precedentemente impostato su idoneo programma

Temperatura/tempo come stabilito dalla ISO 1871:2009, in modo tale da procedere alla di-

gestione ad una temperatura di 430°C per 45’;

Dopo raffreddamento del sistema, si procede alla distillazione utilizzando l’unità di distil-

lazione (1.1.3.3), avendo cura di aggiungere 50ml di H2O, all’interno di ciascun provettone

e posizionando il medesimo nella idonea sede dell’unità di distillazione (1.1.3.3);

Prima di procedere con la distillazione, si aliquotano 25ml di H3BO3 (1.1.2.3) e alcune

gocce di indicatore tashiro (1.1.2.4) in una beuta da 250ml, avendo cura di riporla nell’ i-

donea sede di distillazione.

Si procede quindi ad avviare la distillazione impostando la durata della corsa (7 minuti) e

la concentrazione di NaOH (50ml).

Dopo la distillazione, si procede alla titolazione dell’ammoniaca aggiungendo nell’apposita

buretta (1.1.3.5) HCl (0,1M) osservando il viraggio della soluzione da verde a viola.

2.3.5 Calcolo ed espressione del risultato

I risultati vengono espressi come percentuale di azoto totale calcolato attraverso la

seguente relazione,

( )1000

10014% 01

××××−=

m

cVVN t

Dove,

V1= volume di titolante impiegato per il campione

V0= volume di titolante impiegato per la prova in bianco

ct= titolo dell’acido cloridrico

m= massa del campione sottoposto all’analisi

2.4 Analisi spettroscopica nel vicino infrarosso (NIR) ed evidenze

sperimentali

Dopo aver analizzato dieci campioni (cinque micorrizati e cinque di controllo) attraverso

il metodo Kjeldhal si è proceduto all’analisi spettroscopica nel vicino infrarosso al fine di

ottenere un modello semplice e rapido per ricavare la percentuale di azoto organico

presente all’ interno di ogni campione di foglie di mais.

Nella spettroscopia di riflettenza nel vicino infrarosso il campione solido finemente

suddiviso viene irradiato (come sorgenti si usano comunemente lampade a tungsteno) con

una o più strette bande di radiazioni di lunghezza d’ onda compresa tra 1 e 2,5 µm. Si ha

una riflettenza diffusa perché la radiazione penetra nello strato superficiale delle particelle,

promuove le vibrazioni della molecola dell’analita e quindi viene diffusa in tutte le

direzioni; si ottiene così uno spettro di riflettenza che dipende dalla composizione del

campione. Lo spettro ha in ordinata il logaritmo del reciproco della riflettenza R, dove R è

il rapporto dei poteri radianti delle radiazioni riflesse dal campione, rispetto la riflettenza di

un campione standard come solfato di bario o ossido di magnesio finemente suddivisi.

Gli strumenti per la misura della riflettenza diffusa sono di produzione corrente; alcuni

usano più filtri di interferenza per produrre strette bande di radiazione mentre altri sono

provvisti di monocromatore. La superficie interna della sfera di integrazione che circonda

il campione è rivestita di solfato di bario, un materiale che assicura una riflessione diffusa

quasi perfetta. La radiazione riflessa del campione arriva al rivelatore (i rilevatori sono

generalmente dei fototubi a solfuro di piombo) dopo riflessioni multiple all’interno della

sfera.21

In particolare, lo strumento con cui è stata svolta l’analisi in laboratorio è un FT-NIR

Bruker Optics MPA equipaggiato con sfera d’integrazione a riflettenza diffusa, il quale

consente la scansione dei campioni e la registrazione di spettri nell’intervallo di numeri

d’onda fra 12000 cm-1 e 3600 cm-1 pari a 833-2778 nm, con una risoluzione di 32 cm-1.

La procedura analitica consisteva nel riporre in una capsula tipo Petri di quarzo,

debitamente pulita con etanolo assoluto, circa 10g di campione ben distribuiti sulla

superficie della capsula stessa: la setacciatura è stata necessaria per eliminare potenziali

interferenze dovute ad eventuale disomogeneità granulometrica. Va infatti ricordato che

l’uniforme distribuzione granulometrica del solido è essenziale per eliminare le

interferenze dovute alla differente distribuzione dell’intensità radiante attraverso le

particelle di solido. Successivamente per la verifica del modello, ovvero della curva di

taratura costruita con i dati ottenuti mediante analisi chimica tradizionale, il laboratorio ha

utilizzato la cross-validation ove si costruisce la curva di taratura con tutti gli standard

(valori ottenuti dal processamento Kjeldahl) ad eccezione di uno il quale viene testato con

il modello di regressione. Si ripete questo procedimento più volte lasciando fuori dalla

curva di taratura uno standard sempre differente ottenendo così una valutazione media

della performance del modello.

Le percentuali di azoto dei 10 campioni di foglie di mais (5 micorrizzati e 5 controlli)

ottenute attraverso il metodo Kjeldhal sono riportate qui di seguito nella tabella 2. E’ stata

anche calcolata la percentuale di proteine presente nel campione moltiplicando il titolodi

azoto per il fattore di correzione pari a 6,25.

% Azoto % Proteine

Nº Camp MIC CONTR MIC CONTR 6 1,87 11,69 32 1,92 12,20 11 1,57 9,83 17 1,96 12,32 38 1,77 11,06 47 1,59 9,95 5 2,15 13,49 20 1,50 9,11 26 1,57 9,82 44 1,48 9,25

Tabella 2 - % di azoto e proteine relative ai campioni di foglie di mais di cui alla Tab.1 con il metodo

Kjieldhal.

Per quanto riguarda l’analisi spettroscopica nel vicino infrarosso, è stato riportato in

Errore. L'origine riferimento non è stata trovata., il tipico spettro NIR ottenuto dai

campioni precedentemente succitati. Inoltre, nella tabella 3 sono state riportate le

percentuali di azoto di tutti i campioni suddivisi in micorrizzati e non, ottenuti attraverso i

modelli predittivi (sono stati elaborati con il NIR due modelli prendendo in esame

separatamente i campioni micorizzati e i campioni di controllo) rappresentati dalle curve di

taratura in figura 3 e 4.

Figura 16 - Spettro FT-NIR relativo a campione di foglie di mais

campioni N_%_sp

MIC CONTR 14 1,91

17 1,75 38 1,81 41 1,87 8 1,87

11 1,57 32 1,95 2 1,29

23 2,01 29 2,20 44 1,18 5 2,15

20 1,1 26 1,57 47 1,59

Tabella 3 - % di azoto relative a campione di foglie di mais ottenute con la NIR

.

2. Analisi del latte

Dopo aver analizzato le foglie di mais, si è provveduto alla determinazione della vitamina

A (retinolo) e della vitamina E (d,l-α-tocoferolo) nella matrice alimentare “latte crudo”

proveniente da allevamenti bovine alimentati con insilato tradizionale e prodotto a partire

da mais micorrizato. Queste vitamine lipofile sono state determinate attraverso un metodo

interno creato sulla base del Rapporto ISTISAN 96/34. Il metodo utilizzato per la

determinazione consta di tre fasi operative: l’idrolisi, l’estrazione con solvente e l’iniezione

in HPLC. Sono stati analizzati in totale 45 campioni di latte e qui di seguito viene riportato

nel dettaglio il metodo utilizzato.

2.1 Determinazione quantitativa del retinolo e del d,l – α – tocoferolo nel

latte crudo

2.1.1 Principio del metodo La determinazione della vitamina A e della vitamina E, rispettivamente il (2E,4E,6E,8E)-

3,7-dimetil-9-(2,6,6-trimetilcicloes-1-enil)nona- 2,4,6,8-tetraen-1-olo ed il 2,5,7,8-

tetrametil-2-(4,8,12-trimetiltridecil)-3,4-diidrocromen-6-olo, avviene attraverso idrolisi

basica e successiva estrazione con CH2Cl2, rivelazione spettrofotometrica a λmax=285nm

dopo separazione in RP-HPLC su SP C18.

2.1.2 Soluzioni d’uso

2.1.2.1 Alcool etilico 95º

2.1.2.2 Soluzione di ascorbato di sodio al 10%

2.1.2.3 Soluzione di idrossido di potassio a 50%

2.1.2.4 Idrossido di potassio 0,5 N

2.1.2.5 Soluzione di solfuro di sodio 0,5 N in glicerina al 70%

2.1.2.6 Diclorometano

2.1.2.7 Fase mobile metanolo-acqua 98:2

2.1.2.8 Alcool metilico

2.1.3 Strumenti ed apparecchiature di laboratorio 2.1.3.1 Piastra riscaldante

2.1.3.2 Evaporatore rotante

2.1.3.3 Filtri a membrana da 0,45 µm

2.1.3.4 Bilancia analitica

2.1.3.5 Cromatografo liquido ad alta risoluzione con rivelatore a 290 nm

2.1.3.6 Colonna HPLC C18 da 25 cm x 4 mm

2.1.3.7 Vetreria da laboratorio

2.1.4 Procedimento

2.1.4.a Idrolisi Basica

Le operazione si conducono al riparo dalla luce utilizzando vetreria ambrata o realizzando

involucri con fogli di alluminio.

Con una pipetta graduata di precisione (classeA) e divisione 0,1ml si prelevano

esattamente 10 ml di campione e si pongono in un pallone da evaporazione da 250 ml di

vetro pyrex. Si aggiungono successivamente 36 ml di alcool etilico (2.1.2.1), 2 ml della

soluzione di ascorbato di sodio (2.1.2.2), 6 ml di idrossido di potassio al 50%w/v (2.1.2.3)

e 2 ml di solfuro di sodio (2.1.2.5).

I palloni da evaporazione si pongono successivamente in bagnomaria bollente con

refrigerante a ricadere per 30 min ± 1min .

2.1.4.b Estrazione in CH2Cl2 Dopo raffreddamento, la miscela di idrolisi si trasferisce quantitativamente all’ interno di

imbuti separatori aggiungendovi 100 ml di diclorometano (2.1.2.6) e 120 ml di idrossido di

potassio 0,5 N (2.1.2.4).

Dopo aver tappato e agitato l’imbuto separatore, si lasciano separare le due fasi

raccogliendo la fase apolare (diclorometano) inferiore direttamente in un atro imbuto

separatore. Ivi si aggiungono 5 ml di idrossido di potassio 0,5 N (2.1.2.4).

Dopo aver tappato e agitato l’imbuto separatore, si lasciano separare le fasi e si raccoglie la

parte inferiore in un altro imbuto separatore.

Operando come in precedenza, si lava la fase apolare con 40 ml di acqua distillata fino alla

scomparsa dell’alcalinità (3 volte).

Figura 17- imbuto separatore contenente la parte diclorometanica inferiore

2.1.4.c Rivelazione in HPLC Dopo aver effettuato i 3 lavaggi, la fase apolare inferiore si trasferisce quantitativamente in

un pallone da evaporazione e si essicca su evaporatore rotante (2.1.3.2) a T=40°C.

Successivamente il film lipidico che si forma sul fondo del pallone è ripreso con 2 o 3 ml

di metanolo (2.1.2.8).

Servendosi di siringa da 5ml e microfiltro da 0,22µm (2.1.3.3) si preparano i vials che

verranno posizionati all’ interno dell’HPLC (2.1.3.5) dove verranno iniettati esattamente 25

µl di estratto. La fase mobile che viene utilizzata per l’analisi in HPLC contiene metanolo

e acqua rispettivamente in rapporto 98:2 (2.1.2.7).

a) Preparazione delle soluzioni standard ed elaborazione della curva di taratura

Le soluzioni standard sono state preparate a partire da soluzioni standard già pronte in

commercio.

Dopo aver preparato le soluzioni standard a concentrazione nota si è proceduto all’

elaborazione della curva di taratura ottenuta utilizzando un software specifico, mathcad.

Si è proceduto a costruire la retta ai minimi quadrati al fine di interpolare i punti originati

dalla correlazione tra l’altezza del picco cromatografico con la concentrazione delle

relative soluzioni standard processate. I grafici ottenuti sono riportati in figura 6. Qui di

seguito sono anche riportate le concentrazioni standard di vitamina A e di vitamina E alle

diverse diluizioni che sono state utilizzate per l’elaborazione della curva di taratura (tabella

4 e 5).

[Vit_A]/[ug/100g] Altezza_del_picco_cromatografico

10 627

50 3997

75 6074

100 8363

[Vit_E]/[ug/100g] Altezza_del_picco_cromatografico

38 52

190 353

284 575

380 798

2.1.5 Espressione del risultato ed evidenze sperimentali La determinazione delle concentrazioni di vitamina A e vitamina E è stata effettuata con il

metodo della retta di calibrazione esposto al paragrafo precedente. Pertanto il calcolo del

titolo di vitamina si ricava a partire dalla forma implicita della rappresentazione analitica

del modello lineare, ottenendo la concentrazione teorica, la quale va corretta per il

coefficiente di diluizione. Quest’ultimo è ricavato a partire dai volumi di diluizione

utilizzati nel protocollo analitico.

dove è il coefficiente di diluizione, in cui Vr è il volume di ripresa finale dal

pallone dopo essicazione su E.R. (2 o 3ml a seconda dei casi) e VI è il volume di campione

sottoposto all’analisi (10ml), hi è l’altezza del picco cromatografico, ci è la concentrazione

di vitamina teorica nel campione, cf è la concentrazione teorica corretta per il coefficiente

di diluizione, m è il coefficiente angolare della retta di calibrazione e q la sua intercetta.

Nel grafico riportato nel paragrafo “Discussione dei Risultati” si riportano i valori medi dei

titoli di vitamine ottenuti nei pool di “controllo” e “micorrizati”, a partire da una

popolazione totale di n.50 campioni di latte crudo.

Tabella 5 - Curva di taratura Vitamina A

-1000

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

9000

10000

0 5 10 15 20 25 30 35

Tempo [min]

Alt

ezz

a [

mV

]

Vitamina A

Vitamina E Vitamina E acetato

-1000

9000

19000

29000

39000

49000

0 5 10 15 20 25 30 35

3. Analisi della materia grassa nel latte

Vitamina A

Vitamina E

Dopo aver determinato la quantità di vitamina A e di vitamina E, si è proceduto con la

determinazione della quantità di grasso presente all’ interno del campione di latte. Per

l’analisi del grasso è stato messo a punto un metodo interno basato sull’ estrazione dei

grassi dal latte secondo il tradizionale metodo Rose – Gottlieb. Successivamente si è

provveduto all’ esterificazione del grasso utilizzando metanolo e acido solforico, al fine di

ottenere gli esteri metilici degli acidi grassi. Gli esteri metilici volatili sono stati frazionati

in Gas Cromatografia e rilevati con la tecnica (FID). Sono stati analizzati in totale 16

campioni di latte e qui di seguito viene riportato nel dettaglio il metodo utilizzato.

3.1 Determinazione degli acidi grassi nel latte

Il metodo per la determinazione degli acdi grassi nel latte si articola in due fasi: a)

l’estrazione del grasso con il metodo di Rose – Gottlieb:

3.1.2 Principio del metodo

Il contenuto di materia grassa è determinato attraverso l’estrazione da una soluzione

ammoniaco alcoolica del latte con etere etilico ed etere di petrolio, successiva

evaporazione dei solventi e pesata del residuo. Gli acidi grassi estratti vengono

derivatizzati in metilesteri utilizzando metanolo e acido solforico. La determinazione è

stata eseguita in GC-FID.

3.1.3 Reattivi

3.1.3.1 Soluzione di ammoniaca al 30% (m/v) di NH3. Densità a 20ºC circa 0,91 g/ml

3.1.3.2 Alcool etilico 96%

3.1.3.3 Etere etilico esente da perossidi

3.1.3.4 Etere di petrolio distillato tra 30 ºC – 60 ºC

3.1.3.5 Metanolo

3.1.3.6 Acido solforico

3.1.3.7 Esano

3.1.4 Apparecchiature

3.1.4.1 Bilancia analitica

3.1.4.2 Stufa termostatata

3.1.4.3 Evaporatore rotante

3.1.4.4 Vetreria da laboratorio

3.1.4.5 Palline di vetro

3.1.4.6 Bagnetto termostatato

3.1.5 Procedimento

a) Determinazione del grasso

Si sono trasferite in un pallone de evaporazione due o tre perle di vetro (3.1.4.5)

lasciando a essiccare i palloni in stufa ( 3.1.4.2) per circa un ora; dopo il raffreddamento si

pesano i palloni con la precisione di 0,1 mg.

Successivamente si pesano in un cilindro da 100 ml, 10 g di campione e si travasano in un

altro pallone da evaporazione. In seguito si aggiungono 1,5 ml di soluzione di ammoniaca

al 30% (3.1.3.1) e 10 ml di alcool etilico (3.1.3.2) e si mescola accuratamente.

Successivamente si aggiungono 25 ml di etere etilico (3.1.3.3) e 25 ml di etere di petrolio

(3.1.3.4), si tappa il pallone e si agita energicamente per circa un minuto. In seguito si

travasa il contenuto del pallone all’ interno di un imbuto separatore e si lascia a riposo

finchè lo strato superiore divenga limpido e si separi nettamente.

Successivamente si travasa con cura lo strato superiore, nel pallone precedentemente tarato.

Si procede ad una seconda estrazione ripetendo le operazioni descritte a partire dall’

aggiunta dei solventi, utilizzando però soltanto 15 ml di etere etilico (3.1.3.3) e 15 ml di

etere di petrolio (3.1.3.4).

In seguito l’estratto si porta a secco utilizzando l’ evaporatore rotante (3.1.4.3) .

Dopo il raffreddamento a temperatura ambiente, si pesa il pallone con l’ approssimazione

di 0,1 mg.

Figura 18 - Separazione; la fase limpida superiore contiene il grasso estratto

b) Esterificazione

Dopo aver estratto il grasso con il metodo precedentemente succitato, si solubilizzano i

grassi aggiungendo all’ interno del pallone precedentemente tarato, 2 o 3 ml di etere di

petrolio (3.1.3.4).

Successivamente si travasa il grasso solubilizzato all’ interno di provette di vetro le quali si

lasciano essiccare in “bagno maria” a 70 ºC.

Dopo il raffreddamento, si addizionano 3 ml di metanolo (3.1.3.5) e 100 ul di acido

solforico concentrato (3.1.3.6) e dopo aver tappato e agitato con cura le provette, si

depongono in “bagno maria” per 60 minuti a 80 ºC. Dopo il raffreddamento, si aggiunge 1

ml di esano (3.1.3.7), si agita e si separa il surnatante.

c) Separazione in gas cromatografia

Il surnatante precedentemente separato, è stato trasferito all’interno di vials di vetro

ambrato. Successivamente si è proceduto al frazionamento degli acidi grassi iniettando nel

gas cromatografo su colonna capillare polimetilsilossanica (apolare), 1 ul di estratto. Si

sono utilizzati come gas carrier He, N2, e per l’alimentazione della fiamma del FID aria

(70%N,30%O2) e H2. Il cromatogramma tipo per i campioni di controllo è riportato in

figura ___ mentre il cromatogramma tipo per i campioni micorrizati è riportato in

figura____.

La discussione relativa alla distribuzione delle diverse specie di acidi grassi nei pool di

“controllo” e “micorrizati” viene riportata nel paragrafo “Discussione dei risultati”.

d) Preparazione delle soluzioni standard

La determinazione degli acidi grassi in GC-FID viene espressa in percentuale sul grasso,

pertanto le soluzioni standard preparate a partire da uno standard certificato presente in

commercio hanno avuto utilizzo prettamente qualitativo al fine di determinare l’RT per

ognuno dei 37 metil esteri considerati nell’ analisi. A tal fine sono state preparate tre

soluzioni in esano (3.1.3.7) a concentrazioni progressive rispettivamente di 0,1-10-50 ppm.

In figura xy viene riportato il cromatogramma della soluzione standard a 10 ppm.

e) Espressione del risultato

Il contenuto di sostanze grasse del campione, espresso in percentuale, è stato calcolato in

base alla seguente formula:

Sostanze grasse totali (g/100g) = [(M1 – M2)/ S] x 100

M1 = peso in grammi del pallone M contenente la materia grassa dopo l’ operazione a).

M2 = peso in grammi dl pallone M (vuoto) dopo essiccamento dello stesso.

S = aliquota del campione in grammi utilizzata per l’analisi.

3.2 Evidenze sperimentali

La percentuale di grasso dei 16 campioni di latte analizzati, che è stata determinata

attraverso il metodo di Rose –Gottlieb è stata riportata qui di seguito nella tabella 6.

Numero Campioni Grassi [g/100g]

19 3,2

31 4,8

32 4,2

34 5,8

35 4,8

36 6,8

33 4,5

30 5,3

4 4,7

5 5,1

24 4,6

25 4,08

27 3,2

29 3,5 Tabella 6 - Quantità di grasso [g/100g] estratto attraverso il metodo di Rose-Gottli

RT Area Area% Altezza Altezza% A/H Nome 6571 810771 7.10 252822 8.08 3.21 ottanoico 7995 12480 0.11 4220 0.13 2.96 nonanoico 9284 98318 0.86 31285 1.00 3.14 7-nonenoico 9416 2593108 22.72 824196 26.34 3.15 decanoico 11088 16271 0.14 4317 0.14 3.77 undecanoico 12999 5886 0.05 1949 0.06 3.02 fenolo 13215 12391 0.11 3945 0.13 3.14 6-nonenoico 13386 1095536 9.60 282123 9.02 3.88 dodecanoico (laurico) 15733 15828 0.14 4198 0.13 3.77 tridecanoico 17207 12403 0.11 3281 0.10 3.78 12-metil-tridecanoico 17773 99502 0.87 26915 0.86 3.70 11-ottadecenoico 18105 1924066 16.86 483145 15.44 3.98 tetradecanoico 19646 35774 0.31 10013 0.32 3.57 12-metil-tetradecanoico 21618 8739 0.08 2758 0.09 3.17 14-meti-pentadecanoico 21945 86050 0.75 23403 0.75 3.68 7-esadecenoico 22442 3419150 29.95 868857 27.78 3.94 esadecanoico (palmitico) 23643 6033 0.05 2120 0.07 2.85 14-metil-esadecanoico 23811 11235 0.10 3279 0.10 3.43 pentacosanoico 23917 5769 0.05 1426 0.05 4.05 13-ottadecenoico 24371 15784 0.14 4088 0.13 3.86 15-metil-esadecanoico 25653 38178 0.33 10610 0.34 3.60 9,12-octadecadienoico 25797 716288 6.28 181129 5.79 3.95 10-ottadecenoico 25892 26965 0.24 10012 0.32 2.69 9-ottadecenoico 25960 41802 0.37 9018 0.29 4.64 15-ottadecenoico 26273 260707 2.28 68887 2.20 3.78 16-metileptadecanoico 29283 14461 0.13 3523 0.11 4.10 14-metil-butylesadecanoico

Tabella 7 - Acidi grassi riscontrati nel cromatogramma di Fig.19

Figura 19 - Cromatogramma acidi grassi, micorrizato.

Figura 20 - Cromatogramma acidi grassi, controllo

RT area area% altezza altezza% A/H Nome 6,559 683137 0,34 221929 0.86 3.08 ottanoico 9,278 64426 0,03 22448 0.09 2.87 4-decenoico 9411 1553333 0,77 466667 1.82 3.33 decanoico

13406 3258941 1,61 856050 3.33 3.81 dodecanoico 17781 302586 0,15 84006 0.33 3.60 11-dodecenoico 18182 24623813 12,19 4511886 17.58 5.46 tetradecanoico 19468 84504 0,04 24283 0.09 3.48 pentadecanoico 19648 207905 0,10 58033 0.23 3.58 12-metil-tetradecanoico 21621 75284 0,04 20053 0.08 3.75 14-metil-pentadecanoico 21965 706757 0,35 170528 0.66 4.14 11-ottadecenoico 22620 79530208 39,42 7109512 27.69 11.19 esadecanoico (palmitico) 23659 189341 0,09 53411 0.21 3.54 15-metil-esadecanoico 23829 285261 0,14 73685 0.29 3.87 14-metil-esadecanoico 23917 118533 0,06 36167 0.14 3.28 9-eptadecenoico 24384 321871 0,16 89119 0.35 3.61 eptadecanoico (margarico) 25694 1158137 0,57 219165 0.85 5.28 7,10-esadecadienoico 25952 57179894 28,31 6376272 24.84 8.97 10-ottadecenoico 26415 30803675 15,25 5092287 19.84 6.05 ottadecanoico (stearico) 26665 211415 0,10 55361 0.22 3.82 10,11- ottadecadienoico 28585 68662 0,03 20668 0.08 3.32 5,8,11,14-eicosatetraenoico (arachidonico) 29283 98797 0,05 24331 0.09 4.06 13-eicosenoico 29775 82058 0,04 24742 0.10 3.32 18-metilnonadecanoico

Tabella 8 - Acidi grassi riscontrati nel cromatogramma di Fig.20

3.3 Discussione dei risultati

Come si può osservare dal grafico n tot riportato qui di seguito, la cultivar di mais

micorrizzata presenta una percentuale di azoto totale significativamente superiore rispetto

alla cultivar di mais non trattata. In particolare la cultivar micorrizata ha un titolo medio

percentuale di azoto totale contenuto a livello fogliare pari al 9,9% in più rispetto alla

media delle piante coltivate in modo tradizionale.

Figura 21 - Istogramma relativo alla % di N totale nei campioni micorrizzati e di controllo

Sembrerebbe quindi che l’associazione simbiotica tra le radici delle piante di mais e i

funghi, porti ad un incremento della disponibilità di azoto, elemento minerale

fondamentale per la crescita delle piante. In effetti molti studi confermano questa ipotesi e

riconoscono che le piante con queste simbiosi, migliorino la loro nutrizione minerale,

registrando un effetto positivo sulla loro crescita e cedendo in cambio zuccheri al fungo.

In particolare, uno studio sulle simbiosi AM afferma la presenza di trasportatori attivi sulla

membrana plasmatica del fungo e rileva la presenza di un gradiente protonico nello spazio

periarbuscolare che separa la pianta dalla membrana plasmatica del fungo. Questo

gradiente protonico è generato dall’ enzima H+-ATPasi e partecipa al co-trasporto dei

carboidrati dall’apoplasto all’ interno delle cellule delle ife fungine. Il glucosio trasportato

all’interno delle cellule del fungo viene poi trasformato in trealosio o glicogeno; il glucosio

può essere direttamente utilizzato per la biosintesi dei lipidi o entrare nella via dei pentosi

fosfato; i lipidi ed il glicogeno sono poi trasferiti nel micelio extraradicale. Inoltre per

quanto concerne lo ione nitrato, le simbiosi AM giocano un ruolo attivo in quanto sono

capaci di liberare il nitrato complessato nella materia organica all’ interno del suolo,

cedendolo alla pianta.22

Inoltre grazie alla simbiosi micorriza, la pianta risulta essere più resistente a stress biotici o

abiotici, aumenta la tolleranza alla mancanza di acqua o alla presenza di inquinanti e porta

a una riduzione della sensibilità ai comuni agenti patogeni23 (Smith, Read 2008). In

particolare, le simbiosi AM aumentano la disponibilità di elementi minerali (es. fosforo e

azoto) per la pianta, controllano la qualità delle comunità vegetali aumentandone la

biodiversità e produttività e vengono perciò considerate dei biofertilizzatori naturali.

Sappiamo infatti che le piante micorrizate hanno una duplice via per procurarsi il prezioso

fosforo (fig. 2): da una parte lo assumono direttamente tramite i loro trasportatori presenti

nelle cellule epidermiche radicali, dall’altra l’assunzione è indiretta in quanto mediata dai

funghi simbionti che sono caratterizzati da trasportatori del fosfato ad alta efficienza

localizzati nel micelio extraradicale24 (Smith et al., 2011; Gomez Ariza et al., 2009).

Una recente scoperta (Kiers et al., 2011) dimostra che tra le piante e i loro funghi simbionti

si stabilisce un livello di cooperazione così raffinato che la pianta seleziona, tra quelli

presenti nella rizosfera, i funghi AM più efficienti e cooperativi nel cederle il prezioso

elemento25.

Figura 22 - Lo schema illustra come l’assunzione del P segua una duplice strada nelle piante portatrici di funghi micorrizici arbuscolari (AM). Da una parte la pianta esprime i suoi trasportatori di P (qui illustrati usando la terminologia per Solanum lycopersicum): LePT1 e LePT2 che sono espressi nelle cellule epidermiche. Nelle radici micorrizate il fungo attiva il suo trasportatore (GmosPT) che gli permette di assumere il P dal suolo e di convogliarlo sotto forma di granuli di polifosfato dentro la corteccia della radice dove il P è rilasciato alla pianta. Qui vengono attivati dei trasportatori vegetali la cui espressione è particolarmente innalzata nelle cellule che ospitano gli arbuscoli (LePT3, LePT4, LePT5). In altre piante, come Medicago truncatula, l’espressione del suo trasportatore MtPT4 è esclusiva delle cellule arbuscolate.

Inoltre alcuni studi di genomica hanno permesso di decifrare il funzionamento delle cellule

sito degli scambi tra pianta e fungo. Le moderne piattaforme tecnologiche permettono di

studiare l’espressione globale dei geni di un individuo (ad esempio di una pianta in

determinate condizioni). Attraverso l’uso di microarray si è potuto dimostrare come una

pianta di Lotus, una leguminosa modello, risponde alla presenza dei funghi AM regolando

nella radice l’espressione di più di 500 geni (Guether et al., 2009a) e che molti di questi

codificano per proteine coinvolte nel trasporto di P, N, ammonio e amminoacidi26 (Guether

et al., 2009a,b, Guether et al., 2011). Inoltre la possibilità di usare una tecnica assai

sofisticata (Laser microdissector) che permette di studiare popolazioni omogenee di cellule

dimostra come le cellule in cui il fungo forma arbuscoli (le strutture ramificate tipiche dei

funghi AM) sono probabilmente quelle che esprimono il maggior numero di geni di

trasporto, confermando l’ipotesi che le cellule arbuscolate siano la sede più importante

degli scambi tra i due partner (fig. n).

Figura 23 - Lo schema illustra come il fungo AM (in blu) colonizzi la radice della pianta ospite formando delle strutture ramificate (gli arbuscoli) nelle cellule più profonde della corteccia. Le analisi di trascrittomica condotte usando cellule arbuscolate (riquadro in alto) e confrontandole con simili cellule parenchimatiche non colonizzate (riquadro sotto) dimostrano che molti geni della pianta che codificano per trasportatori di ammonio, di fosfato, di aminoacidi, e di zolfo sono localizzati sulla membrana periarbuscolare che avvolge il fungo. Grazie a questi trasportatori, la cui funzionalità è stata dimostrata, la pianta prende gli elementi minerali dal fungo e li usa per il suo metabolismo.

Nel 2010 Tian et al. hanno approfondito la caratterizzazione genica e la relativa

espressione alla base del flusso metabolico dell’azoto nell’ ambito di simbiosi con

Glomeromycota. Attualmente il modello comune di assorbimento dell’azoto dal suolo nelle

micorrize arbuscolari è basato sulla sintesi di arginina nel micelio extraradicale e quindi il

suo trasferimento nel micelio intraradicale dove subisce biotrasformazione al fine di

rendere disponibile l’azoto per i diversi usi metabolici. L’analisi del meccanismo e la

regolazione del trasferimento di azoto dal fungo alla pianta, ove è risaputo attualmente che

11 geni sono coinvolti in questa attività grazie alla loro identificazione dal Glomus

intraradices, va diretta allo studio delle diverse isoforme enzimatiche presenti nelle

micorrize. A questo fine è stato sequenziato il cDNA dal micelio extraradicale e

successivamente è stata ottenuta la sequenza codificante per i geni degli enzimi coinvolti

nell’assorbimento dell’azoto e il suo relativo metabolismo nei funghi. La caratterizzazione

funzionale è stata eseguita utilizzando anticorpi specifici per la regione di poliistidina

inserzionata sulle sequenze codificanti espresse in Saccharomyces Cerevisiae. Come già

riportato in precedenza il viene trasferito dal suolo al micelio extraradicale attraverso

la nitrato transferasi (NT) e successivamente si riduce a nitrito (nitrato reduttasi-EC

1.7.1.1./2/3) ed ancora ad ammonio (nitrito reduttasi- EC 1.7.2.1.). Attraverso le due

isoforme dell’enzima glutammina sintetasi (GS1 e GS2) lo ione ammonio viene

incorporato nel glutammato per formare glutammina. Le due isoforme presentano una Km ,

rispettivamente di 1,87mM e 3,80mM; la Km o costante di Michaelis, indica la

concentrazione di substrato presente alla metà della velocità di reazione massima

catalizzata dall’enzima; questo sta ad indicare quindi che l’isoforma GS1 ha una cinetica

di reazione più rapida rispetto all’isoforma GS2, poiché a parità di velocità la GS1

converte una quantità maggiore di substrato cioè di glutammato. Successivamente, la

glutammina, attraverso l’azione sequenziale di tre enzimi rispettivamente, la carbamoil

fosfato sintasi (CPS), l’arginina succinato sintasi (ASS) e l’ arginina succinato liasi (AL), si

converte in arginina. In seguito l’arginina viene traslocata nel micelio intraradicale dove

subisce l’azione dell’ enzima arginasi (CAR1) che la scinde in urea e ornitina. L’ornitina

può subire l’azione di due enzimi: l’ornitina ammino trasferasi (OAT) che la converte in

glutammato o l’ornitina decarbossilasi che la trasforma in putrescina. L’urea invece,

attraverso l’enzima ureasi (URE) libera lo ione ammonio il quale viene trasportato dal

micelio intraradicale al citosol della cellula corticale rendendosi quindi disponibile per il

metabolismo della pianta.27 Le reazioni qui descritte sono schematizzate nella Figura ___.

Figura 24 - Vie metaboliche nella micorriza/ospite.

Per quanto concerne invece l’analisi della vitamina A e della vitamina E, come si può

osservare dal grafico n__, il contenuto vitaminico del latte crudo ottenuto da vacche

alimentate con insilato proveniente da coltivazioni micorrizate è nettamente superiore a

quello proveniente da vacche alimentate in modo tradizionale. Nell’istogramma che segue,

si evince che il titolo di Vitamina A e di Vitamina E del pool micorrizato eccede quello del

pool di controllo rispettivamente del 23,9% e del 12,4%.

Figura 25 - Risultanze sperimentali Vitamina A ed E.

La ragione di questa differenza va probabilmente ricercata partendo dalla biosintesi della

vitamina A. La vitamina A è una vitamina liposolubile e in natura si trova in diverse forme.

Con il termine di vitamina A vengono indicati sia il retinolo che i suoi analoghi,

detti retinoidi, di cui si conoscono almeno 1500 tipi diversi, tra naturali e sintetici. Il

precursore della vitamina A è il β-carotene il quale appartiene alla famiglia dei carotenoidi,

una classe di pigmenti organici che possono essere rinvenuti nelle piante o in altri

organismi fotosintetici, come le alghe ed alcune specie di batteri. Esistono oltre 600 tipi di

carotenoidi conosciuti; vengono normalmente suddivisi in due classi: i caroteni (che sono

idrocarburi quindi privi di ossigeno) e le xantofille (che invece lo contengono). Sono

pigmenti accessori che nella fotosintesi consentono di assorbire lunghezze d'onda differenti

rispetto alla clorofilla e proteggono quest'ultima dalla foto ossidazione. La nostra

trattazione riguarderà principalmente la sintesi del β-carotene in quanto come

precedentemente succitato è il precursore della vitamina A.

La biosintesi dei carotenoidi (figura), ovvero dei tetraterpeni fa parte della via biogenetica

del mevalonato, sino alla formazione dell’isopentenil pirofosfato (IPP) dal quale passando

per il geranilgeranil pirofosfato si giunge al fitene per poi arrivare al β-carotene.

Il primo passaggio della biosintesi dei carotenoidi implica la condensazione di due molecole di

GGPP ad opera della fitoene sintasi (PSY – EC2.5.1.32) che si compie in due tappe portando

prima alla formazione di prefitoene pirofosfato(PPPP) e quindi di fitoene. La reazione di

condensazione porta alla perdita dell’idrogeno e del gruppo pirofosforico in C-1’ della stessa

molecola. Quindi si ha il distacco del gruppo pirofosforico in C-1 del PPPP seguito da un

riaggiustamento C-1’ con la conseguente formazione del fitoene, che può risultare 15-cis

oppure tutto in trans. Successivamente una serie di quattro ossidazioni (ad opera di fitoene

desaturasi EC 1.3.99.30) portano alla formazione dei doppi legami coniugati convertendo il

fitoene (incolore) in fitofluene (incolore) in ς-carotene (giallo), in neurosporene (arancio) e

licopene (rosso). L’azione della licopene ciclasi (EC 5.5.1.18/19) porta alla formazione del

carotenoide biciclico β-carotene. Negli ultimi stadi della via biosintetica si formano le

xantofille.

Figura 26 - Biosintesi del betacarotene

Il β-carotene, come detto in precedenza, è il precursore della vitamina A. La vitamina A ha

una struttura diterpenica, derivando, nel metabolismo ossidativo dei mammiferi, da un

tetraterpenoide, appunto il β-carotene. La scissione avviene nelle cellule della mucosa

intestinale ed è catalizzata da una deidrogenasi O2 dipendente probabilmente attraverso un

intermedio perossidico. Tale scissione può fornire teoricamente due molecole di un

intermedio aldeidico, il retinale, che viene successivamente ridotto ad alcool, il retinolo.

Sebbene il β-carotene scisso a livello del legame centrale può dare origine a due molecole

di retinolo, ci sono prove che la scissione può avvenire anche a livello di altri doppi legami,

e viene chiamata in questo caso, scissione acentrica. Un ulteriore accorciamento della

catena produce poi il retinale, ma viene prodotta una sola molecola per ogni molecola di β-

carotene.

Figura 27 - Biosintesi della Vitamina A

Parallelamente, per quanto concerne la vitamina E, è importante prendere in

considerazione la via biosintetica, al fine di correlare le rilevanze sperimentali con quanto

già conosciuto nell’ambito metabolico delle piante. La vitamina E fa parte della classe dei

tocoferoli. Questi ultimi sono spesso ritrovati nei cloroplasti e la loro biosintesi ha molte

caratteristiche in comune con la sintesi dei plastochinoni con una reazione aggiuntiva di

ciclizzazione che coinvolge l’anello idrochinonico e la catena laterale terpenoidica per dare

un anello cromano. Perciò i tocoferoli non sono in effetti chinoni, ma sono certo correlati ai

plastochinoni. La catena isoprenoidica aggiunta, derivante dal fitil difosfato contiene solo 4

unità isopreniche e tre dei doppi legami attesi hanno subito riduzione. Ancora una volta la

decarbossilazione dell’acido omogentisico è contemporanea alla reazione di alchilazione.

Gli stadi di C-metilazione con SAM (S-adenosilmetionina) e la ciclizzazione

dell’idrochinone a γ-tocoferolo sono stati stabiliti come mostrato nello schema biosintetico

sotto riportato. Si noti che uno dei metili sul nucleo aromatico deriva dall’omogentisato

mentre l’altro proviene dalla SAM.

Figura 28 - Biosintesi della Vitamina E

Le evidenze sperimentali ottenute dall’analisi quantitativa della vitamina A e della

vitamina E nel latte crudo di vacche alimentate con insilato di mais micorrizato, potrebbero

essere correlate ad una maggiore disponibilità di azoto presente nella cultivar micorizzata

rispetto alla cultivar non trattata. I risultati di questo studio hanno infatti molti riscontri in

letteratura in quanto alcuni studi evidenziano come la disponibilità di azoto determini una

variazione nel contenuto di pigmenti fotosintetici quali, la clorofilla a, la clorofilla b, la

luteina, il β- carotene, la neoxantina, la viola xantina, la zeaxantina e l’antera xantina. Uno

studio condotto sulla Phragmites autralis (comune canna di palude), evidenzia come il

contenuto di pigmenti foto sintetici dipenda dalla posizione delle foglie lungo il culmo.

Inoltre afferma che le foglie contenenti un maggior quantitativo di azoto presentano un

maggior contenuto di pigmenti; infatti la sintesi delle clorofille, delle proteine e degli

amminoacidi dipende dalla disponibilità di azoto28.

Dean A. Kopsell et al. hanno dimostrato che la variazione della concentrazione di azoto

totale mantenendo il rapporto costante, sulla pianta secca si registra un

incremento lineare di carotenoidi proporzionale all’incremento di N nel sistema

sperimentale. Inoltre la forma molecolare dell’azoto può alterare l’accumulo dei pigmenti;

in particolare si è osservato un incremento dei carotenoidi nelle cultivar di cavolo dove

nella “nutrient solution” si era aumentato il titolo in NO3-N29.

Un altro studio condotto sulla pianta di pisello (Petroselinum crispum) dimostra come una

maggiore concentrazione di azoto nella soluzione nutritiva, porti ad un significativo

incremento del contenuto di carotenoidi in particolare di luteina, zeaxantina e β-carotene e

ad aumento della biomassa della pianta30.

Per quanto concerne l’analisi dei lipidi, sono state riscontrate alcune differenze

significative quali e quantitative sul contenuto degli acidi grassi nel latte proveniente da

vacche alimentate con insilato di mais micorrizato rispetto a quelle non trattate.

L’interpretazione dei dati statisticamente elaborati sulla media di 50 campioni hanno

condotto alla sintesi di quanto riportato in Fig.____, dove dall'istogramma generale è

possibile verificare le differenze in termini di concentrazione percentuale sul grasso dei

diversi acidi grassi saturi ed insaturi. In particolare il pool “controllo” si differenzia da

quello “micorrizato” essenzialmente per il contenuto di acidi grassi monoinsaturi e saturi

quali il palmitico, il tetradecanoico, il 10-ottadecenoico, il laurico ed il miristico in forma

più significativa. Certamente, le differenze rilevate in questa sede possiedono una

complessa rappresentazione di scenari metabolici disparati che non saranno oggetto della

trattazione qui esposta.

Figura 29 - Istogramma relativo al confronto tra frazionamento degli acidi grassi nei campioni micorrizati e di controllo

4. CONCLUSIONE

Le evidenze sperimentali ottenute dall’analisi dei campioni di foglie di mais micorrizate

rispetto a quelle non trattate hanno riscontrato un effettivo incremento del titolo di azoto

organico presente all’interno delle foglie della pianta di mais. Anche l’analisi

bromatologica del latte crudo proveniente da allevamenti di bovine alimentate con insilato

di mais micorrizato ha evidenziato un significativo aumento del contenuto di vitamina A e

di vitamina E e una differente distribuzione del contenuto degli acidi grassi, rispetto al latte

proveniente da bovine alimentate con mais non trattato. Queste differenze potrebbero

essere attribuite al ruolo sostanziale della simbiosi micorrizica tra le radici della pianta di

mais e il consorzio microbiologico costituito dal Micosat F. Infatti è stato dimostrato come

l’associazione simbiontica tra i due organismi permetta il loro ciclo vitale vivendo a stretto

contatto e traendo benefici reciproci sia di natura nutrizionale che di altro tipo. Molti studi

dimostrano come le fonti naturali di fosfato e nitrato stanno diminuendo in modo sensibile

mentre l’uso si fertilizzanti continua ad aumentare per mantenere alto il livello di

produttività. In questo contesto i funghi AM potrebbero giocare un ruolo fondamentale nel

promuovere un agricoltura sostenibile, basata fondamentalmente sulla limitazione dei

fertilizzanti, sul rispetto degli equilibri microbiologici e sulla conservazione della struttura

del suolo.

Per quanto concerne l’analisi sul contenuto vitaminico del latte crudo, svariati studi

sperimentali dimostrano come la vitamina E abbia un’azione antiperossidante proteggendo

quindi dalla perossidazione gli acidi grassi insaturi, la vitamina A e i caroteni. I fosfolipidi,

costituenti le membrane cellulari, sono ricchi di acidi grassi insaturi e questo spiega come

la deficienza di vitamina E si ripercuota sulla integrità strutturale e funzionale delle

membrane. Inoltre alcuni studi hanno dimostrato che nei ratti maschi, una deficienza di

vitamina E produce un alterazione degenerativa irreversibile dell’epitelio germinale e

quindi sterilità. Nei ratti femmine la avitaminosi E determina aborto spontaneo, dovuto

tuttavia ad alterazioni reversibili; la somministrazione di vitamina E ripristina infatti la

capacità di condurre a termine la gravidanza. Inoltre nei conigli, cavie e scimmie la

avitaminosi E produce una grave distrofia muscolare associata a creatinuria (comparsa

nelle urine di creatinina, una sostanza particolarmente presente nei muscoli, dove riveste

un'importante funzione di conservazione dell'energia). Quindi la presenza di un maggior

quantitativo di vitamina E nel latte crudo analizzato in questo studio, potrebbe avere un

effetto positivo anche sulle bovine e quindi potrebbe evitare l’insorgenza di fenomeni di

sterilità o problemi legati a disturbi dell’apparato muscolo-scheletrico. Per quanto concerne

invece l’analisi sul contenuto di grasso all’interno del latte crudo, si potrebbe supporre che

un aumento di grasso nel latte potrebbe portare a fenomeni di bioaccumulo e quindi

potrebbe scatenare possibili effetti negativi sulla salute dell’uomo.

In conclusione, le osservazioni sperimentali riassunte in questo lavoro costituiscono

l’analytical core dello studio interdisciplinare relativo alle ricadute in campo

agroalimentare conseguente all’utilizzo di Micosat F nelle colture di Zea Mays. Pertanto

sarà necessario effettuare ulteriori indagini circa gli aspetti ancora sconosciuti in campo

bromatologico ed agronomico.

APPENDICE

In questa appendice al lavoro sperimentale vengono riepilogati i principali dati di

validazione dei metodi utilizzati per la determinazione dei parametri seguenti: Azoto Totale

Kjeldahl, Vitamina A, Vitamina E ed acidi grassi. I parametri riportati sono l'incertezza di

misura associata al metodo, la ripetibilità, la riproducibilità, il recupero, la deviazione

standard, l'intervallo di fiducia ed il coefficiente di variazione associato alla media dei

valori ottenuti durante le procedure di validazione dei metodi di analisi chimica.

A.1. Determinazione dell'Azoto Totale Kjeldhal – ISO 1871:2009

Parametro Descrizione Valore

Xm Valore medio su dieci

determinazioni 0,50g/100g

U Incertezza estesa di misura

associata al metodo 2,50%

σ Deviazione standard sulla popolazione considerata

0,14

CV Coefficiente di variazione 0,68

IF Intervallo di fiducia ±0,08

LOD Limite minimo di determinazione

0,5g/100g

LOQ Limite minimo di quantificazione

0,5g/100g

R% Recupero percentuale 92,30%

sR Scarto Tipo di riproducibilità 0,14

sr Scarto Tipo di ripetibilità 0,23

r Coefficiente di Ripetibilità 4,6

TAB. A1

Le forma analitiche delle grandezze riportate nella Tab.A1 si riportano nella Tab.A2.

L’incertezza estesa di misura riferita al campione sottoposto ad analisi chimica si ricava

attraverso un approccio metrologico a partire dall’incertezza del metodo ricavata di seguito in

questo paragrafo. Bisognerà dapprima ottenere l’incertezza composta moltiplicando le singole

componenti dell’incertezza per il fattore di ripetibilità, ovvero ( )[ ] ( )

m

Nyuyu cnc && =

dove m è il

numero di prove ripetute per la determinazione del campione incognito, N il numero di

ripetizioni eseguite per il calcolo della ripetibilità del metodo. In tal senso si procede al calcolo

dell’incertezza estesa relativa alla misura y considerando che l’incertezza estesa definita come

( )[ ]eff

tyuU nce ν,95.0⋅= &, deve essere calcolata tenendo conto dei gradi di libertà del sistema,

stimabili con la formula di Welch-Satterthwaite ∑

=

i i

i

ceff

v

u

u4

4

&

. Il risultato sarà espresso

come eUy ± .

A.2. Determinazione della Vitamina A e della Vitamina E – M.I.M. 01032013/A

Parametro Descrizione Valore

Xm Valore medio su dieci

determinazioni 1,0ug/100g

U Incertezza estesa di misura

associata al metodo 2,80%

σ Deviazione standard sulla popolazione considerata

CV Coefficiente di variazione

IF Intervallo di fiducia

LOD Limite minimo di determinazione

0,20g/100g

LOQ Limite minimo di quantificazione

0,55g/100g

R% Recupero percentuale 90,15%

sR Scarto Tipo di riproducibilità

sr Scarto Tipo di ripetibilità

r Coefficiente di Ripetibilità

TAB. A2

Per quanto concerne i parametri sopra riportati la metodologia di calcolo è la medesima: media

su dieci misure; per la riproducibilità 4 repliche eseguite da uno stesso operatore e 10

ripetizioni.

L'incertezza di misura associata al singolo campione viene calcolata come riportato nel

paragrafo precedente.

Essendo quest'ultimo un metodo strumentale si riporta qui di seguito a titolo esemplificativo

l'approccio metrologico per il calcolo dell'incertezza estesa di misura associata al metodo. Calcolo della media:

Xm=1,0ug/100g

Calcolo della deviazione standard

( )097,0

11

2

=−

−=∑

=

n

xxs

n

ii

r

Calcolo della stima dell’incertezza

( ) 031.02

==n

sxu r

r

( ) ( ) 310126.106.5

031.0 −⋅===x

xuxu r

rc

1) Valutazione del contributo all’incertezza della bilancia

Incertezza estesa dello strumento (certificato LAT) Ue(bilancia) = 0.001

( ) ( ) 3

%1.92;2

100.1 −

==

⋅==lfk

e

k

bUbu

( ) ( ) 4100.110

−⋅==g

bubu gr

( ) 44 10414.1100.12 −− ⋅=⋅⋅=buc

2) Valutazione del contributo all’incertezza del cromatografo

Errore dello strumento = ± 0.255%, essendo gli estremi dell’incertezza verosimili, ricaviamo l’incertezza tipo del-

la componente relativa al cromatografo utilizzando una distribuzione rettangolare, ovvero

( ) 31047.11003

255.0 −⋅=⋅

=UFLCuc

3) Valutazione del contributo all’incertezza del materiale di riferimento

La preparazione delle soluzioni di lavoro di Vitamina A e Vitamina E (standard secondario) a

partire dalle soluzioni standard di Vitamina A e Vitamina E certificate ad una purezza del

99,9% comporta la presenza di un errore in ordine alle diverse diluizioni. Va pertanto

considerata l’incertezza relativa alle diluizioni effettuate con la pipetta di precisione, che

calcoliamo essere,

Labmate – Errore = ±0.15% mlpur

43

100.93

105.1)( −

⋅=⋅= e rapportando al volume si

ottiene ( ) 3

4

100.91.0

100.9 −−

⋅=⋅=ml

mlpuc

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) 2232322 101.1100.9108.5 −−− ⋅=⋅+⋅=+= RupuRifu ccc

da cui deriva l’incertezza estesa, ( ) ( ) 11.0=⋅⋅= RifuxkRU ce

Lo standard di OTA (materiale di riferimento secondario) ha una incertezza estesa assoluta di

0.01µg/ml, per cui ripercorrendo il ragionamento già fatto in precedenza ricaviamo

l’incertezza della componente relativa al materiale di riferimento, ovvero

3103.1503

11.0)( −⋅=

⋅=RFuc

4) Valutazione del contributo all’incertezza delle pipette

Labmate 96/B Errore = + 0.15%

upip1 = 0.0015/√3 = 0.0009 ml

u°pip1= upip1/V1= 0.0009/1 ml = 0.0009

Labmate 53/B Errore = - 0.22%

Upip2 = 0.0022/√3 = 0.0013 ml

u°pip2= upip2/V2= 0.0012/0.2 ml = 0.006

5) Valutazione del contributo all’incertezza della retta di taratura

Per la valutazione del contributo relativo alla retta di taratura si fa riferimento alla comune

letteratura scientifica nell’ambito dell’analisi numerica e trattamento dei dati. La formula

utilizzata per il calcolo dell’errore di interpolazione ai minimi quadrati è la seguente

( ) ( )( )[ ]( )

−−−−

−= ∑

∑∑

2

2

2/ 2

1

xx

yyxxyy

Nxyε

Dove

N = numero di dati utilizzati per la costruzione della retta, mentre y è la variabile dipendente

ed x quella indipendente.

( )nnx

taru xyc

∑⋅

=2

/1 ε

Dove n = valori di incertezza di taratura star, ottenendo in tal modo

( ) 4103.7 −⋅=taruc

5) Valutazione del contributo dell’accuratezza all’incertezza

Il contributo dell’accuratezza all’incertezza del metodo viene calcolata considerando il range di

accettabilità di ± 10%. In particolar modo si considera un Bias (scostamento sistematico) pari

al 10% del valore nominale di OTA presente nel materiale di riferimento secondario (tenore in

OTA 50µg/ml certificato d’analisi sigma-aldrich, effettuando prove su campioni fortificati).

( ) 3101.7250

5.0 −⋅=⋅

=⋅

=nx

BiasBiasuc

Calcolo dell’incertezza combinata del metodo

(I contributi da utilizzare sono ricavati al termine di ogni sottoparagrafo)

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( ) 32222222 108.921)( −⋅=++++++= biasutarupupuRFuUFLCubuOTAu cccccccc

Calcolo dell’incertezza estesa associata al metodo (approccio olistico)

( ) ( ) mlgOTAukOTAU ce /02.0 µ=⋅=

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