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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI FACOLTA’ DI INGEGNERIA DOTTORATO DI RICERCA IN INGEGNERIA INDUSTRIALE MODELLAZIONE DI UN IMPIANTO SOLARE TERMODINAMICO OPERANTE CON FLUIDI TERMOVETTORI GASSOSI AD ALTA TEMPERATURA Relatore: Prof . Pierpaolo Puddu Coordinatore: Prof. Roberto Baratti Tesi di Dottorato di: Mario Cascetta XXII CICLO DI DOTTORATO

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CAGLIARI

FACOLTA’ DI INGEGNERIA

DOTTORATO DI RICERCA IN INGEGNERIA INDUSTRIALE

MODELLAZIONE DI UN IMPIANTO SOLARE TERMODINAMICO OPERANTE CON FLUIDI

TERMOVETTORI GASSOSI AD ALTA TEMPERATURA

Relatore: Prof . Pierpaolo Puddu

Coordinatore: Prof. Roberto Baratti

Tesi di Dottorato di: Mario Cascetta

XXII CICLO DI DOTTORATO

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Questa Tesi può essere utilizzata, nei limiti stabiliti dalla normativa vigente sul Diritto d’Autore (Legge 22 Aprile 1941 n .633 e succ. modificazioni e articoli da 2575 a 2583 dal Codice civile) ed esclusivamente per scopi didattici e di ricerca; è vietato qualsiasi utilizzo per fini commerciali. In ogni caso, tutti gli utilizzi devono riportare la corretta citazione delle fonti. La traduzione, l’adattamento totale e parziale, sono riservati per tutti i Paesi. I documenti depositati sono sottoposto alla legislazione italiana in vigore nel rispetto del Diritto di Autore, da qualunque luogo essi siano fruiti.

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Ringraziamenti Il primo doveroso ringraziamento va al Professor Pierpaolo Puddu, che mi ha costantemente seguito per tutto il periodo del dottorato, consentendomi di crescere professionalmente e di acquisire nuove conoscenze che saranno molto utili per il futuro. Desidero, inoltre, ringraziare i professori Giorgio Cau e Daniele Cocco per la disponibilità ed i suggerimenti offerti durante il medesimo periodo. Inoltre, voglio ringraziare tutti i colleghi di dottorato con cui ho condiviso questa esperienza, che mi hanno offerto aiuto nei momenti di bisogno, in particolar modo, Efisio e Simone con cui, oltre al rapporto professionale, ci lega un importante rapporto di amicizia. Un ultimo ringraziamento, ma non per questo meno importante, va ai miei genitori che mi hanno sempre sostenuto e messo in condizione di poter svolgere il mio compito nella maniera più agevole possibile, dandomi la possibilità di dedicarmi a tempo pieno al raggiungimento dell’obiettivo.

Mario

Cagliari, marzo 2010

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Indice Introduzione .......................................................................................................................6

Capitolo 1..............................................................................................................................9

Lo stato dell’arte del solare termodinamico.........................................................................9

1.1 Gli impianti solari a concentrazione – CSP.................................................................9 1.1.1 Le centrali solari a torre (CRS- Central Reciver System) ...................................11 1.1.2 Gli impianti a pannelli parabolici puntuali (Dish-Engine Systems)....................11 1.1.3 Gli impianti a pannelli parabolici lineari (Parabolic trough)............................12

1.2 Problemi della tecnologia CSP ................................................................................13 1.3 Sostenibilità ambientale ed economica....................................................................15 1.4 Impianto solare con ricevitore centrale.....................................................................16

1.4.1 Ricevitore con produzione indiretta di vapore....................................................17 1.4.2 Ricevitore con produzione diretta di vapore.......................................................19 1.4.3 Ricevitore centrale ad aria ..................................................................................21 1.4.4 Ricevitore solare ad aria compressa in combinazione con un impianto a turbogas.....................................................................................................................................22

1.5 Impianti solari a disco parabolico (dish/engine)........................................................25 1.5.1 Il ricevitore solare ...............................................................................................27 1.5.2 Il motore Stirling.................................................................................................28

1.6 Impianti solari con pannelli parabolico-lineari (Parabolic Trough) ..........................31 1.6.1 Tecnologia del collettore ....................................................................................32 1.6.2 Sistemi parabolici lineari: sviluppi tecnologici ..................................................34 1.6.3 Collettori parabolici con produzione diretta di vapore .......................................38

1.7 CSP in Italia ...............................................................................................................40

Capitolo 2............................................................................................................................42

Analisi economica del solare termodinamico....................................................................42

2.1 I costi del CSP............................................................................................................42 2.1.1 La risorsa solare disponibile ...............................................................................45

2.2 I collettori parabolico lineari......................................................................................45 2.2.1 I costi d’investimento..........................................................................................46 2.2.2 Ricerca e sviluppo (R&D) ..................................................................................49 2.2.3 Fattore di scala ....................................................................................................49 2.2.4 Costi O&M (Organizzazione e Manutenzione) ..................................................50

2.3 Impianti CSP a torre centrale.....................................................................................51 2.3.1 Costi d’investimento ...........................................................................................51 2.3.2 Costi di ricerca e sviluppo (R&D) ......................................................................52 2.3.3 Aumento della taglia dell’impianto ....................................................................53 2.3.4 Costo O&M.........................................................................................................54

2.4 Impianti a Disco parabolico.......................................................................................55 2.4.1 Costo di investimento .........................................................................................55 2.4.2 Costo O&M.........................................................................................................57

2.5 Sensitività e prospettive future ..................................................................................57 2.6 Conclusioni sull’analisi dei costi ...............................................................................62

Capitolo 3............................................................................................................................64

Il progetto ESTATE - LAB.................................................................................................64

3.1 Caratteristiche del progetto........................................................................................64 3.2 La radiazione solare disponibile ................................................................................66 3.3 L’impianto sperimentale e gli obiettivi del progetto ........................................68

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3.4 Schema dettagliato dell’impianto solare termodinamico ..........................................70 3.5 Modalità di funzionamento dell’impianto .................................................................72

3.5.1 Fase di avviamento e arresto dell’impianto ........................................................72 3.5.2 Fase di accumulo termico ...................................................................................74 3.5.3 Fase di sola generazione da campo solare ..........................................................74 3.5.4 Fase di sola generazione da accumulo termico...................................................75 3.5.5 Fase combinata di accumulo e generazione dal solo campo solare....................76 3.5.6 Fase di generazione combinata dal campo solare e dal sistema di accumulo termico .........................................................................................................................77

Capitolo 4............................................................................................................................80

Il collettore solare...............................................................................................................80

4.1 Caratteristiche generali ..............................................................................................80 4.2 Gli specchi parabolici ................................................................................................81 4.3 Il tubo ricevitore.........................................................................................................84

4.3.1 Caratteristiche foto-termiche del CERMET ENEA............................................85 4.4 Il modello matematico del collettore .........................................................................86

4.4.1 Assorbimento della radiazione solare nella copertura di vetro...........................88 4.4.2 Radiazione solare assorbita dal tubo ricevitore ..................................................89 4.4.3 Perdite termiche dai supporti dell’HCE..............................................................89 4.4.4 Calore perso per radiazione verso l’ambiente.....................................................90 4.4.5 Calore perso per convezione verso l’ambiente ...................................................90 4.4.6 Trasmissione di calore dall’assorbitore alla copertura di vetro ..........................91 4.4.7 Conduzione del calore attraverso la parete della tubazione................................92

4.5 Simulazione del collettore parabolico lineare............................................................93 4.6 Prestazioni del collettore............................................................................................96

Capitolo 5..........................................................................................................................103

Il sistema di accumulo termico dell’impianto solare a concentrazione..........................103

5.1 Premessa ..................................................................................................................103 5.2 Caratteristiche generali ............................................................................................105 5.3 Il Modello matematico del sistema di accumulo termico ........................................106 5.4 Le prestazioni dell’accumulatore termico................................................................109

5.4.1 Aspect Ratio......................................................................................................111 5.4.2 Diametro della particella...................................................................................112 5.4.3 Frazione di vuoto ..............................................................................................113 5.4.4 Portata massica .................................................................................................114 5.4.5 Materiale solido ................................................................................................115 5.4.6 Gas operativo ....................................................................................................116

5.5 Modalità di gestione dell’accumulo.........................................................................118 5.5.1 Soluzioni alternative .........................................................................................120

Capitolo 6..........................................................................................................................128

Il sistema di accumulo termico dell’impianto prova da laboratorio...............................128

6.1 Premessa ..................................................................................................................128 6.2 Descrizione dell’impianto........................................................................................128

6.2.1 Dimensionamento dell’accumulatore termico ..................................................130 6.2.2 Prestazioni dell’impianto da laboratorio...........................................................138

6.3 Il serbatoio di accumulo da laboratorio ...................................................................143 Conclusioni ....................................................................................................................145 Bibliografia ....................................................................................................................147

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Introduzione Il problema del reperimento di risorse primarie di energia è oggigiorno sempre più sentito soprattutto a causa delle instabilità geopolitiche, della necessità di maggior sicurezza nell’approvvigionamento energetico, dei vincoli più stringenti sull'impatto ambientale e dei consumi in continua crescita. Poiché il consumo energetico mondiale dal 1960 ad oggi è triplicato ed il trend è confermato anche per i prossimi decenni e il petrolio non sarà in grado di soddisfare questi consumi ancora per molto tempo e a costi ragionevoli, si rendono necessarie azioni di politica energetica che abbiano come obbiettivi prioritari il contenimento dei consumi di energia e il ricorso crescente alle fonti di energia rinnovabile. Gli impianti solari a concentrazione CSP (Concentrating Solar Thermal Power) possono fornire valide soluzioni a tali problemi in tempi relativamente brevi, contribuendo in maniera sostanziale alla riduzione delle emissioni di CO2. Fra tutte le tecnologie note, che possono sfruttare l'energia da fonte rinnovabile per la produzione di energia elettrica su larga scala, gli impianti CSP sono fra quelli che presentano le maggiori potenzialità permettendo di crescere facilmente con la taglia dell'impianto. Due sono le tecnologie utilizzate per lo sfruttamento della energia solare ai fini della produzione energetica: la tecnologia del fotovoltaico e quella termoelettrica. Le due tecnologie presentano delle differenze sia dal punto di vista del principio di funzionamento sia dal punto di vista strettamente applicativo. La tecnologia solare fotovoltaica, sfrutta la radiazione elettromagnetica per attivare dei processi chimico-fisici, che permettono la conversione diretta della radiazione solare in energia elettrica. Con la tecnologia termoelettrica, invece, si sfrutta la radiazione solare per portare ad elevata temperatura un fluido termovettore, il quale sarà successivamente impiegato per produrre energia elettrica. Tra le due tecnologie citate, quella che ultimamente ha visto una maggiore crescita del proprio potenziale tecnologico è sicuramente quella termoelettrica, soprattutto nella sua variante detta a “concentrazione”. La radiazione solare in generale non è infatti sufficiente per portare il fluido termovettore a temperature elevate se non si utilizzano degli accorgimenti particolari per poter concentrare la radiazione solare. La tecnologia che si basa su questo principio viene chiamata CSP e rappresenta, allo stato attuale, la migliore alternativa per la conversione termodinamica della fonte energetica solare. Da questa analisi preliminare può sembrare che le due tecnologie siano dirette concorrenti nella conquista del mercato dell’energia solare. In realtà, si può osservare che, esse presentano delle condizioni di applicazione ben specifiche: la tecnologia termoelettrica ad esempio, sfruttando unicamente la componente diretta della radiazione solare, è applicabile con profitto solamente in quelle aree che presentano elevati valori di irraggiamento annuo mentre la tecnologia fotovoltaica è in grado di sfruttare non solo la componente diretta della radiazione, ma anche quella diffusa, con rendimenti di conversione però inferiori a quelli della tecnologia precedente. Con la terminologia “solare termodinamico” si indica pertanto una tecnologia relativamente nuova e promettente che trova le più favorevoli condizioni di applicazione nelle regioni caratterizzate da un’elevata insolazione. Le aree che presentano elevati valori di radiazione solare diretta sono la parte meridionale ed occidentale degli Stati Uniti, l’America Centrale e Meridionale, la parte settentrionale e meridionale del continente africano, gli stati europei che si affacciano sul Mediterraneo, il Medio Oriente, l’Iran e le piane desertiche dell’India, del Pakistan, dell’ex Unione Sovietica, la Cina e l’Australia. Queste zone, ben evidenziate in figura 1, formano la cosiddetta “Sun Belt” ovvero, quella fascia della superficie terrestre che presenta i valori più elevati di irraggiamento solare annuo e che quindi si candida come zona ideale per l’installazione degli impianti a concentrazione solare.

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All’interno della “Sun Belt” come detto sono compresi i paesi dell’Europa meridionale che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, alcune regioni dell’america Centrale e Latina, l’entroterra Australiano e soprattutto i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente.

Figura 1: Aree della superficie terrestre interessate allo sviluppo del solare termodinamico.

Questi ultimi, oltre a registrare i picchi massimi di irraggiamento solare annuo, possiedono vaste aree territoriali desertiche e quindi inadatte all’utilizzo in agricoltura o alla pastorizia le quali si pongono come candidate ideali per l’installazione di grandi impianti solari. Si stima infatti che in tali aree, un metro quadrato di collettore solare possa produrre in un anno un equivalente di energia termica pari a circa un barile di petrolio. In Europa, fatta eccezione per la Spagna, la Grecia e l’Italia centro insulare, non vi sono zone idonee all’insediamento di tali impianti. In queste è quindi più conveniente l’utilizzo di impianti fotovoltaici che sfruttano meglio la componente di radiazione diffusa e funzionano meglio a temperature non troppo elevate (valori ottimali di esercizio sono dell’ordine dei 18-22 °C). Volgendo l’attenzione verso l’area Euro-Mediterranea, si potrebbe quindi pensare ad una integrazione delle due tecnologie piuttosto che ad una serrata competizione tra le stesse. Tale integrazione vedrebbe una netta prevalenza della tecnologia fotovoltaica nell’Europa settentrionale e un più ampio sviluppo della tecnologia CSP nei territori adiacenti al bacino del Mediterraneo. Includendo nel nostro campo di interesse anche i paesi del Nord-Africa, non verrebbe difficile pensare ad un’espansione del potenziale energetico rinnovabile europeo attraverso l’importazione di energia dai paesi sopraccitati, i quali presentano costi di produzione di energia elettrica attraverso tecnologie CSP praticamente dimezzati rispetto alle più favorevoli zone dell’Europa Meridionale. A tal proposito è bene ricordare che è già allo studio la realizzazione del cosiddetto “Anello Elettrico Mediterraneo” (MedRing) che dovrebbe permettere la completa interconnessione elettrica dei paesi che si affacciano sul bacino del mediterraneo alla rete elettrica europea [1]. In attesa di nuovi sviluppi in campo tecnico, economico e politico di tali prospettive, è evidente che lo sfruttamento significativo del potenziale solare nel bacino del mediterraneo è una questione di notevole portata economica nonché politica, la quale porta con se prospettive di integrazione Nord-Sud e quindi, di sviluppo e rafforzamento delle relazioni pacifiche. Il presente lavoro di tesi di dottorato, che fa parte di un più ampio progetto di ricerca finanziato dal MIUR e denominato progetto “ESTATE-LAB”, si propone di analizzare e valutare l’efficacia di soluzioni innovative per quel che riguarda gli impianti solari termodinamici di tipo parabolico lineare. In particolare è stata analizzata l’ipotesi di

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impiegare un gas come fluido termovettore sostituendo l’olio diatermico o i sali fusi, finora utilizzati negli impianti esistenti. Il lavoro di tesi analizza in modo esteso lo stato dell’arte della tecnologia CSP, indicando, oltre ai principi di funzionamento, anche la diffusione e lo stato di avanzamento della ricerca. (capitolo 1). Successivamente (capitolo 2), l’analisi ha riguardato gli aspetti economici, confrontando e mettendo in luce vantaggi e svantaggi tra i diversi tipi di impianto. Nel capitolo 3 viene illustrato il progetto ESTATE-LAB, evidenziando sia le caratteristiche climatiche e logistiche della località dove il prototipo verrà costruito, sia le caratteristiche tecniche delle parti principali dell’impianto, quali il campo solare e l’accumulatore termico. Nello stesso capitolo, viene anche riportato lo schema di principio dell’impianto solare e vengono analizzate le diverse modalità di funzionamento dell’impianto, considerando tutte le possibili condizioni operative che si possono realizzare. Successivamente, si valutano, mediante dei modelli matematici, le caratteristiche di funzionamento e le prestazioni del collettore solare (Capitolo 4) e dell’accumulatore termico (capitolo 5), evidenziando , in entrambi i casi, i principali parametri di influenza.. Nel caso del collettore solare è stato sviluppato un modello numerico di tipo stazionario che ha consentito di valutare del prestazioni del tubo ricevitore al variare del fluido operativo.. Nel capitolo 5, invece, si è analizzato il comportamento dell’accumulatore termico, ponendo l’attenzione in particolar modo sulla formazione del termoclino, ossia sul profilo di temperatura che si genera nel serbatoio di accumulo durante la fase di carica e di scarica. I risultati di diverse simulazioni effettuate utilizzando un modello monodimensionale del serbatoio hanno consentito di prevedere le prestazioni ed il comportamento del sistema di accumulo al variare di alcuni fattori, quali il diametro, l’altezza del serbatoio, le caratteristiche del materiale di accumulo, le temperature massime e minime raggiunte durante le fasi di carica e scarica del serbatoio di accumulo ecc. Infine, nel capitolo 6, vengono illustrate le basi teoriche per l’esecuzione delle attività sperimentali previste su un modello in scala ridotta del sistema di accumulo previsto nell’impianto solare dal progetto ESTATE-LAB. In particolare, sono state definite le condizioni operative che si devono realizzare sul modello da laboratorio per soddisfare le condizioni di similitudine e le caratteristiche principali del set-up sperimentale.

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Capitolo 1

Lo stato dell’arte del solare termodinamico

1.1 Gli impianti solari a concentrazione – CSP Gli sforzi per progettare dispositivi in grado di sfruttare la radiazione solare sono iniziati circa un secolo prima della crisi energetica degli anni ’70 che diede il via allo sviluppo nell’era moderna delle fonti rinnovabili. Gli esperimenti iniziarono nel 1860 con Auguste Mouchout che inventò il primo motore alimentato a energia solare per la produzione di vapore con una caldaia. Nei primi anni del ‘900 venne invece messo in commercio il primo motore solare e nel 1907 venne registrato il primo brevetto per un collettore solare avente la forma di un cilindro che sfruttava la radiazione diretta del sole per la generazione di vapore. Nel 1912, Frank Shuman sfruttò questo principio per costruire un impianto da 45 kW a Meadi nei pressi del Cairo in Egitto. Questi primi progetti fornirono le basi per la ricerca e lo sviluppo alla fine degli anni ‘70 e ai primi anni ’80, quando i progetti e le ricerche sul solare termico sono stati ripresi da alcune nazioni industrializzate tra cui gli Stati Uniti, la Russia, il Giappone, la Spagna e l’Italia. Molti degli impianti pilota che sono stati realizzati, sfruttando tutte le conoscenze allora disponibili, hanno però fallito gli obiettivi che si erano proposti. Negli anni successivi, invece, vi sono stati dei notevoli miglioramenti della tecnologia: la compagnia Israelo/Americana Luz International ha compiuto un importante passo avanti nel momento in cui ha iniziato a costruire le centrali solari con concentratori di tipo parabolico lineare a scopo commerciale. Gli impianti SEGS costruiti fra il 1984 ed il 1991 nel deserto Mojave della California erano infatti molto più grandi di qualsiasi altro impianto pilota costruito fino ad allora. L’impianto ha iniziato ad operare con una potenza iniziale di 14 MW a cui si sono aggiunte in un primo tempo 6 unità da 30 MW ed infine, altre 2 unità da 80 MW costruite tra il 1989 ed il 1991 (figura 1.1).

Figura 1.1: Visione aerea degli impianti di Kramer Junction nel deserto del Mojave della California.

Tutti gli impianti SEGS sono stati sviluppati, finanziati costruiti e sono tuttora in funzione grazie esclusivamente a finanziamenti privati, e garantiscono 354 MW di potenza complessiva che può essere diramata nella rete elettrica della California Meridionale.

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Nella tabella 1.1 sono riportate alcune caratteristiche degli impianti pilota costruiti nei primi anni ’80 [1] e che hanno rappresentato la base degli sviluppi tecnici successivi anche se alcuni di questi non hanno avuto alcun seguito commerciale.

Nome Località Dimensione (MWe)

Tipo di fluido termovettore

Data inizio operatività

Finanziamento

Aurelios Adriano, Sicilia

1 Torre, Vapore 1981 Comunità Europea

SSPS/CRS Almeria, Spagna

0,5 Torre, Sodio 1981 8 Stati Europei +

USA

SSPS/DCS Almeria, Spagna

0,5 Parabolico lineare,

Olio 1981

8 Stati Europei + USA

Sunshine Nio,

Giappone 1 Torre, Vapore 1981 Giappone

Solar One California,

USA 10 Torre, Vapore 1982

Dipartimento dell’Energia USA + aziende private

Themis Targasonne,

France 2,5 Torre, Sali fusi 1982 Francia

CESA-1 Almeria,

Spain 1 Torre, Vapore 1983 Spagna

MSEE Albuquerque,

USA 0,75 Torre, Sali fusi 1984

Dipartimento dell’Energia USA + aziende private

SEGS-1 California,

USA 14

Parabolico lineare, Olio

1984 Finanziamento privato – Luz

Vanguard 1 USA 0,025 Dischi, Idrogeno 1984 Advanco

Corporation

MDA USA 0,025 Dischi, Idrogeno 1984 McDonnell-

Douglas

C3C-5 Crimea, Russia

5 Torre, Vapore 1985 Russia

Tabella 1.1: Impianti pilota con la tecnologia del solare termodinamico.

Dal punto di visto costruttivo esistono tre possibili tecnologie di realizzazione degli impianti solari termici a concentrazione, che sono:

• Impianti solari a torre; • Impianti solari a pannelli parabolici puntuali; • Impianti solari a pannelli parabolici lineari.

Le differenze tra queste tecnologie risiedono sostanzialmente nel posizionamento dei vari elementi costruttivi fondamentali quali specchi, ricevitore e centrale di potenza.

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1.1.1 Le centrali solari a torre (CRS- Central Reciver System) Sono costituite da un campo di specchi, detti eliostati, disposti circonferenzialmente attorno al ricevitore che è posto su di una torre centrale. Gli eliostati possono ruotare ed inseguire il sole nel suo moto giornaliero. Lo sviluppo di questo tipo di impianti è iniziato a metà degli anni ottanta negli Stati Uniti, paese in cui risiede oggi il maggior numero di queste centrali, che hanno dato risultati molto positivi. Il funzionamento può essere descritto facendo riferimento alla Figura 1.2. I raggi solari vengono indirizzati verso la torre ricevitrice per mezzo degli eliostati opportunamente orientati. All'interno della torre centrale sono presenti dei fasci di tubi opportunamente costruiti e disposti in modo da massimizzare lo scambio termico ed evitare le dispersioni convettive. Sono solitamente realizzati disponendo all’interno di un tubo trasparente in vetro la tubazione in acciaio ricoperto di materiale foto-selettivo per aumentare l’efficienza dello scambio termico per irraggiamento. Tra il rivestimento trasparente e la tubazione viene creato il vuoto per ridurre la perdita termica per convezione.

Figura 1.2: Schema di centrale solare a torre.

Il fluido termovettore, dopo essersi riscaldato nell’attraversamento delle tubazioni della torre centrale, raggiunge la centrale di potenza posta alla base della torre ove tramite un apposito scambiatore di calore si ha la produzione di vapore da inviare in una turbina. Il vapore in uscita dalla turbina passa nel condensatore e viene rinviato allo scambiatore realizzando così un ciclo Rankine. Questa tecnica possiede dei fattori di concentrazione elevati e superiori rispetto alle altre due tecnologie, permettendo di raggiungere temperature sino a 1000°C. Un esempio significativo di questo tipo di centrale è dato dall’impianto sperimentale “Solar Two” rimasto in funzione dal 1996 al 1999 a Dagget in California. L’impianto aveva una potenza di 10 MWe ed è stato il primo ad utilizzare quale fluido termovettore una miscela di sali fusi. L’evoluzione di questa tecnologia prevede di poter produrre energia elettrica ad un costo di 0.04 €/kWh [3].

1.1.2 Gli impianti a pannelli parabolici puntuali (Dish-Engine Systems) Sono costituiti da uno o più specchi circolari concavi che riflettono la radiazione solare nel proprio fuoco geometrico. In questo punto è localizzato il ricevitore e, per gli impianti di piccola potenza, sullo stesso punto è montato anche il convertitore. In figura 1.3 viene riportato lo schema costruttivo di tale tipo di concentratori.

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La radiazione solare viene riflessa dal pannello parabolico ed indirizzata sul ricevitore, in cui scorre il fluido termovettore che riscaldandosi permette l’azionamento di un motore lineare a ciclo Stirling o Brayton. Il motore può produrre energia meccanica o elettrica in base alle esigenze e, in impianti di piccola potenza, può essere direttamente montato sul ricevitore, oppure può essere collocato all’interno di una centrale di potenza posta alla base del pannello [4].

Figura 1.3: Schema di concentratore parabolico puntuale.

Un singolo pannello ha una potenza che varia, in base alle sue dimensioni, dai 5 ai 50 kW e l’assemblaggio di più pannelli può consentire di raggiungere potenze elevate. In questo ultimo caso ogni pannello ha il proprio ricevitore ed il fluido viene raccolto da “heat pipes” che lo trasportano ad una centrale di potenza centralizzata. Questo tipo di impianto ben si adatta, per le ridotte dimensioni in rapporto alla potenza erogata, all’alimentazione di utenze isolate. L’utilizzo più ampio si ha infatti nelle distese semidesertiche del Texas e del New Mexico negli USA.

1.1.3 Gli impianti a pannelli parabolici lineari (Parabolic trough) In questo caso l’energia termica è assorbita per mezzo di linee di specchi parabolici che concentrano la radiazione nel fuoco geometrico in cui è collocato il ricevitore. Lo schema costruttivo è riportato in figura 1.4.

Figura 1.4: Schema di un pannello parabolico lineare.

Il funzionamento è del tutto simile a quello alle altre tecnologie descritte precedentemente: la radiazione diretta viene riflessa dagli specchi verso il ricevitore che è realizzato in modo da massimizzare lo scambio termico da irraggiamento ed inibire quello per convezione. Il

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fluido termovettore entra a temperatura minima, percorre il ricevitore lungo la linea dello specchio ed esce alla massima temperatura. All’uscita esso è convogliato alla centrale di potenza per mezzo di tubazioni e, tramite degli scambiatori di calore, l’energia termica raccolta dal fluido termovettore viene ceduta al fluido operativo che segue un ciclo a vapore di tipo Rankine [5]. Le temperature raggiunte con questa tecnica arrivano fino a 565°C e, ad oggi, sono stati impiegati quali fluidi termovettori oli diatermici e sali fusi. Gli impianti più rappresentativi sono localizzati negli Stati Uniti, ma in futuro è prevista una diffusione notevole in tutta la Sun Belt. In particolare, è possibile sfruttare convenientemente gli ampi spazi presenti nelle zone del nord Africa e del Medio Oriente essendo necessarie elevate superfici da destinare agli specchi per raccogliere quantità sempre più elevate di energia. Un’altra possibile applicazione degli impianti solari prevede il suo inserimento in un ciclo combinato a supporto di una centrale termoelettrica convenzionale a olio combustibile o a carbone. Proprio questa possibilità è l’oggetto del progetto Archimede sviluppato dall’ente nazionale per l’energia e l’ambiente (ENEA). Esso prevede l’installazione di una centrale solare termica con pannelli parabolici lineari per produrre vapore da impiegare direttamente nella turbina di bassa pressione della centrale termoelettrica a carbone di Priolo Gargallo nei pressi di Siracusa in Sicilia. Si deve sottolineare come il vapore prodotto in una centrale solare termica sia caratterizzato, per motivi strutturali, da pressioni notevolmente inferiori rispetto a quelle realizzate in un impianto termoelettrico. Valori di pressione dell’ordine dei 30 bar sono già elevati per gli impianti solari mentre nelle centrali a carbone si raggiunge e si supera la pressione critica (225 bar). È quindi evidente come sia possibile utilizzare il vapore prodotto dalla centrale solare solo nella parte a bassa pressione.

1.2 Problemi della tecnologia CSP La tecnologia CSP presenta due problemi fondamentali nei confronti di un utilizzo conveniente e competitivo rispetto ai combustibili fossili: la temperatura massima raggiungibile e la continuità di esercizio. Per quanto riguarda la temperatura massima raggiungibile essa è limitata sia dalla struttura e dai materiali utilizzati per la costruzione dell’impianto, sia dal fluido termovettore impiegato. Se si considerano gli impianti a specchi parabolici lineari, si osserva che il ricevitore è costituito da due cilindri concentrici, uno esterno in vetro trattato a basso coefficiente di riflessione ed uno interno in acciaio rivestito con materiale foto-selettivo e tra essi è creato il vuoto. Questi due materiali possiedono due coefficienti di dilatazione termica completamente differenti e questo può determinare la rottura del tubo di vetro sotto l’azione di elevati gradienti di temperatura. Per questo motivo il tubo ricevitore non supera la lunghezza di 4m e i tubi in serie vengono collegati mediante giunti a soffietto che compensano in parte le dilatazioni differenziali. I fluidi termovettori sino ad ora più utilizzati sono gli oli minerali che si mantengono stabili fino ad una temperatura di 400°C, che costituisce quindi il limite massimo di temperatura per l’impianto. Tale valore penalizza fortemente l’efficienza del generatore di vapore e del ciclo termodinamico che si realizza a temperature troppo basse. Una soluzione a questi problemi è giunta con l’impiego di sali fusi che, oltre a permettere il raggiungimento di temperature più elevate (sino a 565°C), presentano una minore pericolosità ambientale in caso di rotture accidentali e fuoriuscita del fluido operativo (sono normalmente impiegati in agricoltura come fertilizzanti) [6]. Ai vantaggi citati si contrappone la necessità di un utilizzo di materiali più pregiati e resistenti agli attacchi chimici; i sali infatti, specialmente ad alta temperatura, sono molto aggressivi dal punto di vista chimico. Un altro problema è rappresentato dalla loro elevata temperatura di solidificazione (120-140°C), che determina quindi la necessità

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di inserire nell’impianto un riscaldatore per mantenere i sali allo stato liquido, e una circolazione costante proprio per evitare il pericolo di solidificazione in qualsiasi parte dell’impianto che è particolarmente elevato nelle ore notturne. Tale caratteristica rende assai complessa la gestione dell’impianto, riducendone notevolmente l’affidabilità. Oltre ai problemi di affidabilità non è poi da trascurare il dispendio di energia richiesto per realizzare l’operazione e la conseguente diminuzione della potenza netta erogata. Nella tabella 2.2 sono riassunti i vantaggi e gli svantaggi relativi alle diverse applicazioni esistenti del solare termodinamico [7].

Parabolico lineare Ricevitore centrale Disco parabolico

Applicazioni Impianti connessi in rete, scambio termico a medio-alta temperatura

Impianti connessi in rete, scambio termico ad alta temperatura

Singolarmente, parte di piccoli sistemi non connessi alla rete, o, a gruppi, connessi alla rete in parchi solari.

Vantaggi

Disponibilità commerciale, oltre 12 miliardi di kWh di esperienza operativa; innalzamento potenziale della temperatura fino a 500°C;

Rendimento annuale netto dell’impianto al 14% energia elettrica in uscita diviso quella messa a disposizione dal sole.

Investimento e costi operativi commercialmente provati:

• Modularità

• Migliore rapporto superficie riflettente/ suolo adoperato

• Minor richiesta di materiali

• Schema ibrido provato

• Capacità di accumulo di energia

Buone prospettive per elevate efficienze di conversione, operando con temperature superiori ai 1000°C (565°C provati su un impianto da 10 MW).

Accumulo ad alte temperature

Possibilità di funzionamento ibrido.

Efficienze di conversione molto elevate superiore al 30% (rapporto elettricità netta prodotta/ picchi solari).

Modularità

Possibilità di funzionamento ibrido

Esperienza data dai primi progetti dimostrativi

Svantaggi

L’utilizzo di fluidi termovattori a base di oli restringe il campo operativo al momento a circa 400°C, con vapore di media qualità

Le prestazioni sviluppate, i costi operativi e degli investimenti necessitano di essere provati in operazioni commerciali

L’affidabilità va ancora dimostrata

Devono ancora essere raggiunti gli obiettivi in termini di costi di produzione

Tabella 1.2: Confronto delle tecnologie degli impianti solari termici a concentrazione. In merito al problema della continuità di esercizio, essa non può essere garantita con un circuito privo di un sistema di accumulo ma il cui funzionamento è dipendente unicamente dall’insolazione istantanea. Per poter erogare in modo continuo energia elettrica, è necessario accumulare parte dell’energia termica assorbita e, utilizzarla nei momenti di bassa insolazione dovuti alla presenza di nuvole o nei periodi notturni. La funzione di

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accumulo è svolta da appositi serbatoi cilindrici che immagazzinano i sali fusi ad alta temperatura per un periodo di alcune ore (max. 10h). Non è possibile quindi svincolare per lunghi periodi il funzionamento della centrale dalle caratteristiche di insolazione del sito. La presenza dell’accumulo, inoltre, richiede, a parità di potenza, superfici più ampie destinate al campo solare. Altri problemi possono essere causati dalla perdita del vuoto nell’intercapedine tra tubo di vetro e tubo metallico del ricevitore. Per poter monitorare il corretto funzionamento e l’assenza di perdite si deposita su una piccola superficie (max 1 cm2) un materiale molto reattivo con l’aria (getter al bario) che in caso di perdita del vuoto modifica la sua colorazione passando dal grigio metallico al bianco.

1.3 Sostenibilità ambientale ed economica La tecnologia CSP si sta dimostrando una delle più interessanti per soddisfare l’esigenza di riduzione delle emissioni di CO2 e dei consumi dei combustibili fossili. Si stima che un metro quadrato di superficie del concentratore CSP contribuisca alla riduzione annuale di circa 200-300 kg di CO2, a secondo del tipo di configurazione. Il tempo di ritorno di un impianto solare (Energy Payback Time) per la tecnologia CSP è dell’ordine di cinque mesi rispetto ad una vita utile compresa tra i 25 ed i 30 anni. Inoltre la maggior parte dei materiali utilizzati per gli impianti CSP possono essere riciclati ed adoperati ancora in altri impianti. Per quanto riguarda invece l’aspetto del costo d’impianto, esso diminuirà all’aumentare dell’energia elettrica prodotta. L’esperienza del SEGS (Solar Electric Generating System) in California mostra che i costi attuali di generazione sono pari a circa 15 centesimi di dollaro per kWh nel caso in cui la produzione di energia elettrica avvenga in siti caratterizzati da una buona radiazione solare. Tuttavia, pur riunendo assieme le tecnologie più avanzate, la produzione di serie, le economie di scala e tutti i possibili miglioramenti, non si può ancora ottenere una riduzione dei prezzi dell’elettricità prodotta da un impianto solare ad un livello competitivo con quelli derivanti dagli impianti convenzionali, alimentati a combustibili fossili almeno per i prossimi 10 anni. Gli impianti CSP di tipo ibrido invece grazie a particolari agevolazioni e finanziamenti, possono già distribuire energia elettrica in maniera competitiva con centrali elettriche collegate alla rete, ed in particolare con i moderni impianti a ciclo combinato alimentato a gas in condizioni di carico medio o minimo. Per gli impianti di piccola taglia non connessi in rete come quelli presenti nelle zone rurali isolate o nei paesi in via di sviluppo, la competizione si ha nei confronti di motori alimentati a gasolio o a gas. Inoltre, tenendo conto di numerosi fattori, quali la riforma del settore elettrico, la crescita della domanda di energia “verde” e le imposizioni legislative che prevedono quote di energia prodotta in maniera non inquinante sempre più alte, cresce la fattibilità di progetti che si basano sulla tecnologia CSP. Nel 1999 la Banca Mondiale ha deciso di finanziare lo sviluppo della tecnologia di tipo parabolico lineare, in quanto sperimentalmente più avanti per poter essere rapidamente commercializzata.. Un’analisi dei costi, infatti, può basarsi solo sull’esperienza maturata con i sistemi parabolici lineari degli impianti SEGS della California, che operano da molto tempo e sono decisamente più collaudati. Attualmente, con il funzionamento in modalità solo solare, i costi sono compresi nell’intervallo 15-17 cents$/kWh in aree ad elevata radiazione solare del sud-ovest degli USA e circa 20 cent€/kWh nelle zone del Mediterraneo con livelli medi di radiazione. Questi costi potrebbero scendere del 30-50% qualora si attivasse il progetto GMI (Global Market Iniziative) che prevede di finanziare altri 5.000 MW di impianti di tipo CSP [2][14].

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Gli impianti attualmente in funzione utilizzano principalmente come vettore termico, l’olio sintetico. La sperimentazione di centrali che sfruttano la radiazione solare è iniziata, come già accennato in precedenza, negli anni ottanta negli Stati Uniti dove sono state sperimentate e sono oggi attive anche le centrali più significative delle tre tipologie di impianti descritti in precedenza. Un altro paese che sta accrescendo il proprio parco solare è la Spagna, che prevede la costruzione di 15 centrali nel sud del paese in cui saranno impiegate la tecnologia a torre e quella a pannelli parabolici lineari per una potenza complessiva di 640 MW. Il progetto spagnolo è fortemente finanziato dalla Germania tramite la società Solar Millennium.

1.4 Impianto solare con ricevitore centrale Un impianto solare con ricevitore centrale CRS (Central Reciver System) è caratterizzato da un campo di eliostati posti intorno ad una torre sulla cui sommità è posto un ricevitore verso cui viene concentrata la radiazione solare riflessa dagli eliostati (figura 1.5).

Figura 1.5: Schema di impianto a torre solare.

Il fluido termovettore, circolando nel ricevitore centrale, converte la radiazione solare in energia termica, che viene utilizzata per la generazione di vapore surriscaldato che espande in una turbina a vapore. Al momento, le sostanze impiegate come fluido termovettore sono: il vapore, i sali fusi, il sodio liquido e l’aria.

Progetto Stato Potenza nominale (MWe)

Fluido termovettore

Materiale per l’accumulo

Inizio attività

SSPS Spagna 0.5 Sodio liquido Sodio 1981

EURELIOS Italia 1 Vapore Sali nitrati/acqua 1981

SUNSHINE Giappone 1 Vapore Sali nitrati/acqua 1981

Solar One USA 10 Vapore Olio/rocce 1982

CESA-1 Spagna 1 Vapore Sali nitrati 1983

MSEE/catB USA 1 Nitrati fusi Sali nitrati 1984

THEMIS Francia 2.5 Sali Hi-Tec Sali Hi-Tec 1984

SPP-5 Russia 5 Vapore Vapore/Acqua 1986

TSA Spagna 1 Aria Ceramici 1993

Solar Two USA 10 SalI Nitrati Fusi Sali Nitrati 1996

Tabella 1.3: Impianti sperimentali a torre solare.

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Se l’aria o un altro gas in pressione venisse impiegato come fluido termovettore, e portato ad elevata temperatura (intorno ai 1000°C), un tale impianto solare potrebbe sostituire la parte turbogas di un impianto combinato, ottenendo un rendimento del ciclo superiore al 60%. Nonostante le torri solari siano una tecnologia meno matura, dal punto di vista commerciale, rispetto ai collettori parabolico lineare, negli ultimi 15 anni sono stati testati diversi sistemi sperimentali in varie località, dimostrando la fattibilità ingegneristica e il potenziale commerciale. A partire dai primi anni ‘80, le torri solari sono state realizzate in Russia, Italia, Spagna, Giappone, Francia e Stati Uniti, i cui progetti sperimentali sono riportati in tabella 1.3 insieme ad alcuni parametri tecnici. Il valore medio di concentrazione solare dei sistemi a torre varia con la temperatura di processo: si parte da un fattore di concentrazione di circa 500 volte per i cicli a vapore che operano fino a 540°C fino a diverse migliaia per temperature di 1000°C ed oltre come nel caso di turbine a gas e dei cicli combinati per la produzione elettrica o di cicli termochimici per la produzione di materiali industriali e combustibili sintetici come l’idrogeno.

1.4.1 Ricevitore con produzione indiretta di vapore I sistemi a ricevitore centrale usano eliostati, solitamente disposti a semicerchio nella parte nord rispetto alla torre, in grado di seguire il moto del sole (azimut e angolo di elevazione), ruotando intorno a due assi. Questa tecnologia ha il vantaggio di trasferire in maniera molto efficace la radiazione solare verso un unico ricevitore centrale, che fornisce l'energia in ingresso per il fluido termovettore, soprattutto in termini di temperatura di processo e di capacità di immagazzinamento dell’energia termica con un fattore di capacità analogo a quello degli impianti tradizionali. L'energia termica del fluido termovettore può essere convertita in energia elettrica mediante cicli Rankine, Brayton o cicli combinati, con potenze anche superiori ai 200 MWe anche nel funzionamento con l’apporto del solo solare. La fattibilità tecnica della tecnologia a ricevitore centrale è stata dimostrata per la prima volta fra il 1981 ed il 1986 tramite la messa in servizio, inizialmente di 6 impianti dimostrativi con potenze comprese fra 1 a 5 MWe e, successivamente di un altro impianto da 10 MWe, per una potenza elettrica netta complessiva di 21.5 MWe. Tale impianto, denominato (Solar-One) era dotato di un ricevitore acqua/vapore e di un campo di eliostati per una superficie di captazione di 160.000 m2. Il Solar-One prevedeva inoltre l’accumulo termico di tipo solido (rock and sand), mentre il fluido termovettore adoperato era l’olio sintetico. Il vapore prodotto aveva però una temperatura troppo bassa per poter ottenere un’efficienza complessiva accettabile anche a causa dei sottosistemi ancora allo stadio sperimentale. I ricercatori che cominciarono a valutare l’ipotesi di utilizzare i sali fusi come fluido termovettore, giunsero alla costruzione dell’impianto denominato Solar-Two, grazie anche all’aiuto congiunto fornito dal SCE con il DOE americano. Gli studi hanno permesso di concludere che per fornire elevate capacità produttive annuali con il solo apporto della radiazione solare (circa il 70% del totale), era, intanto, necessario dotare l’impianto di un sistema d’accumulo dell’energia termica e che il campo operativo della miscela di sali fusi, composta da nitrato di sodio al 60% e da nitrato di potassio al 40%, permetteva di soddisfare le esigenze operative dei moderni cicli Rankine [3]. Lo stadio di accumulo prevede il sistema a doppio serbatoio (two-tanks), in cui il sale fuso, prelevato dal fondo del serbatoio freddo (290°C), viene inviato verso il ricevitore posto alla sommità della torre solare dove raggiunge la temperatura di 565°C per poi essere inviato al serbatoio caldo. Il sale ad alta temperatura viene indirizzato verso il generatore di vapore a cui viene ceduto il calore necessario per la produzione del vapore surriscaldato che poi espande in una turbina a vapore (figura 1.6).

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Occorre sottolineare che il campo solare è solitamente sovradimensionato rispetto alla potenza nominale della turbina, in quanto esso deve essere in grado di alimentare l’impianto e contemporaneamente accumulare l'energia termica nel serbatoio nei diversi momenti della giornata, in modo da poter riutilizzare l’energia accumulata durante la notte. Inoltre tra i punti di forza va considerata la rapidità di risposta del ricevitore. In seguito alla riduzione di radiazione causata dal passaggio di una nuvola, il tempo impiegato per riportare la temperatura dei sali da 290°C a 565°C è di un solo minuto.

Figura 1.6: Schema semplificato dell’impianto solare “Solar-Two”.

L'obbiettivo del progetto Solar-Two era in sostanza quello di confermare la validità tecnologica del ricevitore a sale fuso, dell’accumulatore termico, e delle tecnologie annesse e connesse all’impianto. Esso è’ stato costruito nello stesso sito del primo impianto pilota Solar One di cui sono stati riadoperati alcuni componenti come il campo degli eliostati e la struttura della torre, mentre sono stati realizzati un nuovo sistema di accumulo da 110 MW del tipo a doppio serbatoio, un ricevitore da 42 MW ed un sistema di generazione da 35 MW (535°C e 100 bar). L’impianto ha iniziato ad operare nel giugno 1996 conseguendo i seguenti risultati: efficienza del ricevitore intorno all’88%, il sistema di accumulo termico ha operato con un’efficienza superiore al 97% ed infine l’efficienza del ciclo Rankine del 34%, mentre il rendimento complessivo raggiungeva il 13,5%. Nell’aprile del 1999 si è deciso di sospendere i test per ragioni economiche, poiché risultava di taglia troppo bassa per competere con gli impianti di tipo convenzionale senza l'ausilio di agevolazioni e sussidi statali.

Figura 1.7: Confronto tra il progetto Solar-Two ed il successivo Solar-Tres.

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Il passo successivo è avvenuto con la messa in opera del progetto Solar-Tres, della potenza di 17 MW, sponsorizzato dalla azienda spagnola Sener e dalla Boeing come maggiore fornitore del circuito del sale e del ricevitore. Il Solar Tres è mostrato in figura 1.7 in cui è posto aa confronto con il Solar Two [8]. La promettente tecnologia a sali fusi è ormai pronta per l’avvio della fase commerciale tanto che un progetto guidato da Sener (Spagna) prevede la commercializzazione di un primo impianto a ricevitore centrale grazie a delle sovvenzioni dell’Unione Europea e della Spagna. L’impianto da 17 MWe proposto nel progetto Solar Tres, in Spagna utilizzerà un sistema di accumulo a sali fusi con un autonomia di 16 ore in grado di garantire un funzionamento dell’impianto di 24 ore durante il periodo estivo. L’accumulo a sali fusi accoppiato con la tecnologia a torre o ricevitore centrale è unico fra tutte le tecnologie delle energie rinnovabili in cui la presenza dell’accumulo riduce il costo dell’energia e incrementa il suo valore grazie alla capacità di dispacciamento durante i periodi di picco della domanda.

1.4.2 Ricevitore con produzione diretta di vapore La produzione di vapore surriscaldato col ricevitore centrale è stata testata in diversi impianti pilota tra cui il già citato Solar One e l'Eurelios o CESA-1, evidenziando problemi critici relativi al controllo nelle zone con differenti coefficienti di scambio termico come gli evaporatori ed i surriscaldatori. Risultati migliori, invece, sono stati rilevati nell'impianto pilota STEOR (Solar Thermal Enhanced Oil Recovery) nella sede di Kern County in California per un periodo di 345 giorni del 1983 in cui ci si è limitati a ottenere vapore saturo con un guadagno solo in termini di affidabilità dei pannelli assorbitori.

Figura 1.8: Schema dell’impianto PS10.

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Analoghe prestazioni si sono avute anche nei ricevitori a vapore saturo dell’istituto Weizmann per una potenza di 2 MW testati nel 1989 che producevano vapore a 15 bar per 500 ore [9]. Nonostante questa tecnologia riduca i rischi, le temperature all'uscita risultano troppo basse e richiedono sistemi di accumulo termico di dimensioni notevoli, per cui, in qualche caso, si è cercato di superare l'inconveniente impiegando un generatore ausiliario alimentato a combustibili fossili (figura 1.8). Due progetti finanziati dalla Commissione Europea, il progetto SOLGAS promosso dal SODEAN e il progetto COLON SOLAR promosso da SEVILLANA hanno mostrato l’utilizzazione dei ricevitori a vapore saturo negli impianti di cogenerazione o nel repowering dei cicli combinati. Le dimensioni della cavità del ricevitore erano ottimizzate per fornire 21.8 MW al fluido operativo a 135 bar e 332.8 °C di temperatura in uscita. Il campo solare era costituito da 489 eliostati (ognuno con 70 m2 di superficie riflettente) e una torre centrale posta a 109 m di altezza. Al momento lo stato dell'arte della tecnologia a vapore saturo è rappresentato dal progetto PS10, il quale fa uso dello schema COLON SOLAR con un ricevitore cavo dotato di pannelli verticali all’interno del quale si produce vapore saturo. Secondo le leggi spagnole sugli incentivi energetici non è possibile utilizzare del combustibile per surriscaldare il vapore pena la perdita dei benefici riservati a questo tipo di impianto. L'impianto PS10 da 10 MW (figura 1.9), è stato promosso da IPP Solucar Solar attraverso la compagnia Solucar Energia e sarà collocata sulla Casaquemada (37.2° di latitudine) vicino alla città di Sanlucar de la Mayor, 15 km ad ovest di Siviglia.

Figura 1.9: Particolari dei componenti dell’impianto PS10.

Un campo di eliostati (624 unità, 121 m2 ciascuno) concentra la radiazione solare su un ricevitore posto sulla sommità di una torre alta 90 m come appare in figura 1.9. Il

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dispositivo ricevitore è stato progettato per ridurre le perdite per irraggiamento e quelle convettive, raggiungendo il 90% dell’efficienza termica media annuale [9]. I pannelli tubolari (4 pannelli verticali 5x12 m) all’interno del ricevitore sono indipendenti e permettono l’espansione termica e la deformazione meccanica senza causare rotture. Il ricevitore produce vapore saturo a 40 bar e 250 °C. L’impianto sfrutta un sistema di accumulo termico a vapore saturo con 15 MW di capacità termica (50 minuti a 50% del carico). Durante la piena attività dell’impianto, parte del vapore prodotto dal ricevitore a 250°C è impiegato per caricare il sistema di accumulo termico; l’efficienza di conversione del sistema di potenza con vapore a 250°C raggiunge il 30.7%, mentre l’efficienza del sistema è del 21.7% nel punto di funzionamento nominale ed il 16.3% come media annuale, corrispondente ad una produzione elettrica lorda stimata di 24 GWh.

1.4.3 Ricevitore centrale ad aria

Per questa tipologia di impianti si può adoperare come modello base quello del progetto PHOEBUS rappresentato in figura 1.10, in cui viene utilizzata l’aria come fluido termovettore. L'aria, riscaldata all’interno di un ricevitore, dotato di assorbitore di materiale poroso, fino a temperature dell’ordine di 700°C. Il vapore prodotto in un generatore di vapore a recupero dotato di surriscaldatore, risurriscaldatore e vaporizzatore viene portato alla temperatura di 480-540°C e alla pressione di 35-140 bar, segue un classico ciclo Rankine. Lo schema PHOEBUS è dotato anche di un accumulatore termico di tipo ceramico a termoclino in grado di garantire diverse ore di autonomia d’esercizio. Il processo di carica e scarica dell’accumulatore viene realizzato mediante due compressori assiali che operano separatamente realizzando l’inversione del flusso dell’aria. Le attuali restrizioni tecniche sulla capacità di accumulo termico portano ad una autonomia limitata (3-6 ore massimo), pertanto, fattori di capacità annuale più elevati richiedono la presenza di un bruciatore ausiliario da inserire a valle del ricevitore [10].

Figura 1.10: Schema semplificato dell’impianto PHOEBUS con ricevitore ad aria.

Nel 1986 per iniziativa di SOTEL e DLR (Centro aerospaziale tedesco) iniziò lo studio preliminare di un impianto da 30 MW da costruire in Giordania. Il consorzio internazionale PHOEBUS, formato da compagnie aventi sede in Germania, Svizzera, Spagna e negli USA completò lo studio di fattibilità nel marzo 1990, ma, sfortunatamente, insufficienti garanzie economiche ne impedirono la costruzione. Lo sviluppo tecnologico dei componenti fondamentali proseguì con il Consorzio tedesco TSA (Technology Program Solar air receiver). Sotto la guida della compagnia Steinmuller si è giunti alla realizzazione di un

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ricevitore ad aria da 2.5 MW installato sulla sommità della torre CESA-1 in Spagna alla fine del 1991. Il sistema comprendeva il ciclo completo dell’impianto PHOEBUS dotato di un sistema di ricircolo dell’aria, dell’accumulo termico e di un generatore di vapore. L’impianto venne avviato con successo dal DLR e dal CIEMAT, funzionando per 400 ore totali di esercizio fra l’aprile ed il dicembre 1993 e per brevi periodi tra il 1994 ed il 1999, dimostrando che poteva essere facilmente raggiunta una temperatura di uscita di circa 700°C dopo appena venti minuti dall'avviamento dell’impianto. Uno dei principali vantaggi di questa tecnologia è stato il semplice design che richiedeva aria atmosferica come mezzo di trasporto dell’energia il quale rispetto all’olio sintetico o ai sali fusi era liberamente disponibile e soprattutto non poneva alcun problema di natura tecnica o ambientale. I risultati ottenuti dal consorzio TSA hanno attirato l’interesse della compagnia spagnola Albengoa che ha deciso di utilizzare lo schema base del PHOEBUS per il primo impianto dimostrativo. Il progetto denominato PS10 è iniziato nel 1999 e prevedeva la sua costruzione a Siviglia e la connessione alla rete elettrica nazionale. Il progetto finale subì però una modifica e, come già visto, venne costruito utilizzando come fluido termovettore il vapore. Alcuni aspetti distintivi dello schema originale con ricevitore ad aria PS10 sviluppato da Albengoa sono:

• Campo solare con 781 eliostati disposti a nord (121.34 m2 l’uno) sviluppati da Solucar

• Ricevitori di tipo wire-mesh che utilizzano lo stesso assorbitore modulare già qualificato come ricevitore TSA da 2.5 MW, ma l’apertura è di sezione cilindrica, la portata massica di 65 kg/s, l’efficienza termica del ricevitore nel punto di funzionamento nominale pari al 74.85%.

• Temperatura massima del ciclo all’uscita del ricevitore è pari a 680 °C (sotto i 700°C per ragioni di tenuta dei materiali) mentre quella minima è di 110°C per minimizzare le perdite.

• Il materiale di accumulo è ceramico (Al2O3, saddles geometry di ¾”, 390 t). Le dimensioni dell’accumulatore termico (DxL 10x8 m) sono state ridotte fino ad circa il 70% del valore nominale per ottenere una capacità termica complessiva di 20 MWh a causa della ridotta portata d’aria.

• Turbina a due livelli di pressione della potenza di 10 MW ed efficienza media annuale 30.6%; per quanto riguarda il ciclo a vapore si hanno 65 bar e 460°C in ingresso alla turbina, mentre, lato aria, si ha un salto di temperatura da 680°C in ingresso a 110°C in uscita.

Un recente progetto condotto dalla compagnia tedesca KAM per Albengoa, prevedeva il miglioramento dell’impianto PS10 includendo un nuovo ricevitore con struttura modulare avente un assorbitore ceramico basato su una tecnologia sviluppata all’interno del progetto europeo SOLAIR.

1.4.4 Ricevitore solare ad aria compressa in combinazione con un impianto a turbogas

Il ricevitore ad aria compressa è basato sul principio del ricevitore REFOS, ma a differenza delle tecnologie precedenti, introduce l’aria ad elevata temperatura nella camera di combustione di una turbina a gas (figura 1.11). Allo stato attuale è infatti necessario prevedere anche un processo di combustione per elevare la temperatura oltre il livello

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ottenibile dal ricevitore solare. Solo in una successiva fase di sviluppo sarà possibile concepire un ricevitore in grado di raggiungere temperature in uscita più elevate [9,11]. Questa tecnologia è stata recentemente oggetto di studio di un gruppo di enti di ricerca quali ORMAT (Israele), CIEMAT (Spagna), DLR (Germania), SOLUCAR (Spagna) e TUMA (Svizzera). Questo progetto comprende indagini sperimentali su un sistema REFOS al Plataforma Solar de Almeria, con l’obiettivo di incrementare la taglia dell’impianto fino a 16 MWe. Nell’impianto solare sperimentale del progetto SOLGATE, è stato introdotto un gruppo composto da tre ricevitori della potenza complessiva di 1 MWt; integrato con un impianto di turbina a gas sperimentale. Esso ha fornito una potenza in uscita di 250 kW per un funzionamento di 500 ore di insolazione (figura 1.11).

Figura 1.11: Impianto solare secondo lo schema SOLGATE.

Un impianto pilota avente le dimensioni 2x 200 kW è attualmente in costruzione in Italia; anche se per questa tipologia di impianti non sono disponibili informazioni precise riguardo i dati tecnici ed economici, in quanto nessun impianto pilota è mai entrato in funzione. Questo impianto è composto da un campo solare di 343 eliostati ed un ricevitore di tipo REFOS con 2 diverse tipologie di moduli. Il primo è progettato per basse temperature fino a 600°C, mentre il secondo tipo è progettato per temperature fino ad 800°C. In questo progetto è stata presa in considerazione una turbina a gas PGT10 di produzione General Electric Oil&Gas. Alle condizioni di funzionamento nominali, l'aria posta in pressione dal compressore della turbina a gas (14.3 bar, 420°C) è inviata nel ricevitore (modulo a bassa temperatura) dove raggiunge la temperatura di 600°C, quindi entra nel modulo di media temperatura dove l'aria raggiunge gli 800°C e infine in quello di alta temperatura dove raggiunge il valore di 1000°C.

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Occorre però osservare che lo sviluppo del modulo ad alta temperatura è piuttosto recente e si basa sulle esperienze già avute con i ricevitori va torre centrale a pressione superiore a quella atmosferica. Si sono resi necessari nuovi sviluppi nei confronti del materiale sia per l’assorbimento della radiazione (si utilizzano materiali ceramici come la quarzite), sia per la camera dove avviene lo scambio termico con l’aria e la finestra di raffreddamento. I moduli hanno un’apertura per la radiazione di forma esagonale e sono sistemati in una struttura a nido d’ape posta nel punto in cui viene concentrata la radiazione. La figura 1.12 mostra lo schema di un tale tipo di ricevitore modulare per elevati livelli di potenza (400 kW), in cui si distingue il concentratore solare (quarzite) e sulla destra il canale entro cui scorre l’aria che può subire un incremento di temperatura pari a circa 250 K.

Figura 1.12: Particolari del ricevitore centrale REFOS.

La possibile commercializzazione del prodotto è però ancora tutta da dimostrare, nonostante i progettisti della torre solare siano fiduciosi del fatto che impianti di questo tipo, costruiti per essere connessi alla rete elettrica, possano superare il valore di 200 MWe con il solo ausilio della radiazione solare. Per quanto riguarda gli impianti ISCC (Integrated Solar Combyned Cycle), sono state progettate unità aventi potenze superiori a 100 MWe, in cui per la parte turbogas, l’aria in ingresso deve per prima passare attraverso un ricevitore solare ad alta pressione. Gli impianti ISCC, secondo questo metodo consentiranno l'impiego di collettori solari aventi una superficie riflettente inferiore del 30% rispetto a quella necessaria nel caso di un classico ciclo a vapore. In combinazione con gli impianti a ciclo combinato ad elevata efficienza o gli impianti di turbina a gas rigenerati, si potranno raggiungere costi dell’energia elettrica significativamente più bassi: si ipotizza, infatti, un costo livellato di 0.069 €/kWh con un costo specifico d'investimento di 1410 €/kW per un impianto da 30 MW a ciclo combinato con temperatura dell’aria in uscita dal ricevitore di 1200°C, portando così la capacità solare annua al 50%. In conclusione, si può dire che gli sforzi sono indirizzati verso lo sviluppo commerciale di sistemi ibridi, ovvero impianti con ricevitore centrale da utilizzare in impianti tradizionali a combustibili fossili. Prendendo in esame i sistemi parabolico lineari visti in precedenza associati agli impianti ISCC, si osserva che l’energia solare, sfruttata nel ciclo a vapore posto a valle, richiede una temperatura più bassa all’uscita del campo solare, mentre nel caso dei ricevitori con aria ad alta temperatura per i sistemi a torre si raggiungono efficienze di conversione molto più alte. L’accoppiamento di un impianto solare ad alta temperatura con una turbina a gas ha il vantaggio di un avviamento più rapido e di spese di installazione e operative più basse. Per

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quanto riguarda gli eliostati di un impianto a ricevitore centrale, gli sforzi sono rivolti al continuo miglioramento del design e delle proprietà ottiche, oltre alla realizzazione di strutture più leggere per una migliore capacità di controllo. Le attività riguardano i 150 m2 di eliostati sviluppati dall’Advanced Thermal System (USA), i 170 m2 di eliostati sviluppati dalla Science Applications International Corporation (USA), i 150 m2 stretched- membrane ASM-150 dalla Steinmuller (Ger), e i 100 m2 di vetro/metallo GM-100 dalla Spagna. Sono già state avviate iniziative per sviluppare tecniche di costruzione a basso costo per limitati volumi produttivi. Gli impianti a ricevitore centrale hanno raggiunto la maturità commerciale con la costruzione dell’impianto PS10, con torre solare da 11 MW, che rappresenta il primo di una nuova serie di progetti CRS in Spagna. La possibilità di effettuare ulteriori miglioramenti è già alta, dal momento che le torri solari hanno buone prospettive, nel lungo termine, di realizzare elevate efficienze di conversione.

1.5 Impianti solari a disco parabolico (dish/engine) E’ un dispositivo la cui superficie riflettente ha la forma di un disco parabolico che ha il compito di concentrare la luce solare su un ricevitore localizzato sul punto focale del disco stesso (figura 1.13). All’interno del ricevitore l’energia contenuta nella radiazione solare innalza la temperatura del fluido termovettore fino a valori prossimi a 750°C, prima che esso possa evolvere in una macchina a ciclo Stirling o in una micro-turbina.

Figura 1.13: Disco parabolico.

I sistemi a disco parabolico (Dish/engine) convertono l'energia contenuta nella radiazione solare dapprima in energia meccanica e poi in energia elettrica secondo una modalità del tutto analoga agli impianti di potenza convenzionali che convertono l’energia termica prodotta dalla combustione di un combustibile fossile in elettricità. Come rappresentato in figura 1.14, gli specchi sono disposti in un determinato ordine per evitare interferenze reciproche in considerazione anche del loro moto di inseguimento del sole che deve essere realizzato con un’elevata precisione mediante la rotazione su due assi. I concentratori a dischi parabolici sono delle piccole unità con dei motori-generatori posti sul punto focale del riflettore, pertanto le loro dimensioni complessive sono comprese solitamente fra 5 e 15 metri di diametro con una potenza in uscita comprese fra 5 e 50 kW. Come tutti i sistemi a concentrazione solare, essi possono essere accoppiati ad impianti alimentati con gas naturale o biogas, garantendo la potenza richiesta in ogni momento. I collettori a disco consentono la più alta concentrazione della radiazione solare grazie alla elevata precisione di concentrazione dei raggi solari esattamente sul fuoco ottico dello specchio e alla capacità di inseguimento del moto del sole agendo sui 2 assi. Tali caratteristiche consentono a tali collettori di raggiungere la più alta prestazione fra tutti i

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tipi di concentratori. Per ragioni economiche, i sistemi sono ristretti attualmente a unità di piccola potenza (circa 25 kWe), ma si possono realizzare delle file di dischi multipli in modo da ricavare una potenza in uscita dell’ordine di qualche MWe. Le ridotte dimensioni fanno tuttavia prevedere che in futuro tale tecnologia sarà prevalentemente utilizzata in impianti isolati e decentrati per una fornitura distribuita dell'energia. Sin dagli anni ’70, molti sistemi di piccola potenza non collegati alla rete e realizzate con unità a dischi parabolici di potenza compresa fra 5-50 kWe hanno dimostrato la loro fattibilità tecnica in diversi progetti sperimentali. I sistemi a disco con macchina Stirling, hanno un’eccellente potenziale per effetto delle elevate efficienze di conversione e delle elevate temperature di processo della macchina. La migliore conversione energetica si è avuta con un sistema dish/Stirling da 25 kWe prodotto negli USA avente un’efficienza complessiva di conversione da energia solare ad energia elettrica del 30%.

Figura 1.14: Schema semplificato di un sistema di tipo dish/engine.

Come detto, i sistemi di tipo dish/engine concentrano la radiazione solare incidente verso il fuoco tramite una parabola avente una superficie riflettente di alluminio o argento che è depositato su una superficie in vetro o plastica. La taglia del concentratore solare per tali sistemi è determinato dal motore: ad esempio, nel caso di una località con un valore nominale di insolazione normale e diretta di 1000 W/m2 e con una potenza in uscita del motore dish/Stirling di 25 kW, il concentratore solare dovrebbe avere un diametro di almeno 10 m. Poiché i concentratori piatti hanno lunghezze focali piccole, si è costretti a limitare fortemente lo spessore degli specchi (approssimativamente 1 mm) per soddisfare le curvature richieste. In sostanza la capacità riflettente dipende dallo spessore dello specchio e dal contenuto di ferro e di argento e si aggira tra il 90 ed il 94%. Le superfici riflettenti più resistenti sono quelle di silver/glass, molto simili a quelle decorative di tipo domestico. La forma del concentratore ideale è un paraboloide di rivoluzione, la cui forma viene ottenuta con l’unione di specchi multipli, sfericamente sagomati sostenuti con una travatura reticolare metallica. Un concentratore solare innovativo prevede l’adozione di sottili membrane riflettenti che vengono tese fissandole ad una circonferenza o ad un cerchio, mentre una seconda membrana è usata per chiudere lo spazio presente nella parte posteriore. Nello spazio fra le due membrane viene creato il vuoto al fine di donare alla membrana riflettente una forma approssimativamente sferica.

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Il disegno ottico del concentratore e la relativa accuratezza costruttiva, determinano il rapporto di concentrazione, definito come il flusso solare medio attraverso l'apertura del ricevitore diviso l'insolazione normale diretta. Questo rapporto è solitamente superiore a 2000, mentre la frazione intercettata, intesa come la frazione del flusso solare riflessa che passa attraverso l’apertura del ricevitore si aggira intorno al 95%. L’inseguimento solare può avvenire in due modi: nella prima modalità (azimut-elevation tracking) il disco ruota sia intorno ad un’asse perpendicolare al piano terrestre (azimut) sia intorno ad un’asse parallelo al piano terrestre (elevation) ed è utilizzata dalla maggior parte dei grandi sistemi di dish/engine. L’altra modalità, invece, definita polar-tracking, prevede che il disco ruoti intorno ad un asse parallelo a quello di rotazione terrestre. Il captatore ruota ad una velocità costante di 15º/hr per inseguire fedelmente la rotazione del sole. L'altro asse di rotazione, quello di declinazione è perpendicolare all'asse polare, ed ha un movimento molto lento pari a ± 23,5º nell’arco dell’anno. La maggior parte dei sistemi dish/engine più piccoli hanno usato questo metodo di inseguimento solare [4,9].

1.5.1 Il ricevitore solare Il ricevitore per assorbire l'energia riflessa dal concentratore e trasferirla al fluido di lavoro del motore utilizza una superficie assorbente posta dietro al fuoco del concentratore per ridurre l’intensità della radiazione incidente su di esso. L'apertura del ricevitore è localizzata in corrispondenza del fuoco della parabola per ridurre le perdite di calore per irraggiamento e per convezione. I ricevitori a motore Stirling devono efficacemente trasferire l'energia solare concentrata verso un gas ad alta pressione, solitamente elio o idrogeno, mentre nei ricevitori di tipo Brayton il flusso è costante, ma le pressioni sono relativamente basse. In generale esistono due tipi di ricevitori Stirling, a illuminazione diretta (DIR) o indiretta, in cui viene adoperato un fluido termovettore intermedio. Il ricevitore ad illuminazione diretta fa in modo che il lato caldo del motore Stirling assorba il flusso di radiazione solare concentrato. Grazie all'elevato coefficiente di scambio termico dell'elio o dell’idrogeno operanti in condizioni di alta velocità ed alta pressione all’interno del motore, i ricevitori ad illuminazione diretta sono capaci di assorbire elevati valori di radiazione solare (approssimativamente 75 W/cm2).

Figura 1.15: Schema di funzionamento del ricevitore solare.

In ogni caso, permane il serio problema di bilanciamento tra le temperature del gas e l'adduzione di calore fra i cilindri di un motore pluri-cilindri di tipo Stirling.

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Il problema può essere risolto con l'impiego dei metalli liquidi, come il sodio che viene dapprima fuso e fatto vaporizzare, poi, una volta a contatto con i tubi al cui interno vi è il gas da scaldare, condensa cedendo calore al gas come mostrato in figura 2.11. Ciò comporta una temperatura più uniforme all’esterno dei tubi riscaldatori, permettendo inoltre di ottenere una temperatura più alta di lavoro ed una più alta efficienza del motore stesso. Il sodio liquido cede, in maniera isoterma, il proprio calore latente di condensazione al tubo riscaldatore del gas; dopodichè ritorna passivamente per gravità all’interno del ricevitore. Questo processo di trasferimento di calore dal concentratore al motore avviene con un’efficienza intorno al 90%.

1.5.2 Il motore Stirling Il motore di un sistema dish/engine converte l’energia termica in energia meccanica in maniera del tutto simile ai convenzionali motori a ciclo Otto e Diesel. Il fluido di lavoro viene prima compresso, riscaldato e fatto espandere per azionare una turbina oppure un pistone capace di pordurre lavoro meccanico che verrà poi convertito in energia elettrica da un generatore elettrico. Nelle ricerche svolte sui sistemi dish/engine sono stati considerati sia diverse tipologie di cicli termodinamici sia differenti fluidi di lavoro, tra i quali il ciclo Rankine con acqua o fludi organici, il ciclo Brayton aperto e chiuso e il ciclo Stirling. I cicli impiegati in ambito automobilistico Otto e Diesel non sono adatti per queste applicazioni a causa delle difficoltà dettate dalla loro integrazione con l'energia solare concentrata. Sono stati presi in esame, anche altri cicli meno conosciuti che costituiscono delle varianti di quelli già citati, ma alla fine la configurazone migliore la si ottiene con il ciclo Stirling e quello Brayton. L'energia termica può essere fornita anche da un bruciatore supplementare che garantisce la operatività durante i periodi transitori con scarso irraggiamento solare e nei periodi notturni. I motori a ciclo Stirling (figura 1.16), usati nei sistemi dish/Stirling, sono motori a combustione esterna ad alta temperatura, ad alta pressione che impiegano l’idrogeno o l’elio come fluido di lavoro. Nei motori più moderni ad alte prestazioni vengono raggiunte temperature del gas superiori ai 700°C e pressioni di almeno 20 MPa. Il fluido di lavoro viene alternativamente riscaldato e raffreddato secondo processi a temperatura e a volume costante. E’ inoltre prevista la presenza di un rigeneratore che assorbe energia termica durante il raffreddamento del gas a volume costante per poi ricederlo durante la fase di riscaldamento del gas a volume costante. Esistono numerose configurazioni meccaniche che realizzano i processi a temperatura e a volume costante; la maggior parte di essi fa uso del pistone e del cilindro mentre altri usano un traslatore (un pistone che muove il fluido di lavoro senza che cambi il suo volume) per spostare il fluido di lavoro fra la zona ad alta e bassa temperatura del motore, mentre la potenza è disponibile all'asse di un albero a gomiti. Un’altra configurazione è quella a pistone libero, dove i pistoni si muovono liberamente e non esiste alcun collegamento meccanico con un manovellismo ma la potenza è estratta utilizzando direttamente un alternatore lineare o una pompa idraulica. I migliori motori a ciclo Stirling raggiungono un’efficienza di conversione energetica da termica ad elettrica di circa il 40%. Questi motori appaiono i più adatti ad essere installati sui sistemi dish/engine, sia per il fatto che sono a combustione esterna quindi ideali a ricevere il flusso di radiazione solare concentrato sia per la loro elevata efficienza.

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Figura 1.16: Schema funzionale dell’unità dish/Stirling.

E' opportuno spendere qualche parola per il ciclo Brayton (figura 1.17) che è un motore a combustione interna in quanto produce energia dalla combustione controllata del combustibile.

Figura 1.17: Schema funzionale dell’unità dish/Brayton.

Nel motore Brayton, come nel motore Otto o Diesel, l’aria viene compressa, miscelata al combustibile prima della combustione. In un sistema dish/Brayton l’energia solare ha il compito di ridurre e annullare l’apporto del combustibile. Il gas caldo risultante espande

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rapidamente in turbina producendo elettricità con il vantaggio di realizzare un processo continuo (figura 1.18) e non discontinuo come quello realizzato dal ciclo Stirling. Come nel motore Stirling, il recupero del calore allo scarico assume un ruolo fondamentale per ottenere un’elevata efficienza, inoltre, il gas esausto viene sfruttato per il preriscaldamento dell'aria in uscita dal compressore. In figura 1.18 è mostrato lo schema di un motore a ciclo Brayton a singolo asse; il rapporto di espansione è di circa 2,5, la temperatura all'ingresso della turbina è di circa 850°C, mentre l'efficienza globale del motore è di circa il 30%. I prototipi dish/engine che hanno operato con successo nell’arco degli ultimi 10 anni, includono unità con potenze comprese tra i 7 e 25 kW sviluppate negli Stati Uniti dall’Advanco, la McDonnell Douglas Corporation, la Cummins Engine Company ed altri.

Figura 1.18: Schema di un impianto con sistema dish/Brayton.

Lo sviluppo su larga scala di questa tipologia di dispositivi non è però ancora avvenuto. In Spagna stanno operando con successo 6 unità aventi una taglia tra i 9 ed i 10 kW, sviluppati dalla compagnia tedesca Sclaich, Bergermann e Partner (SBP), in collaborazione con Mero (sostegni del sistema dei collettori) e con SOLO Kleinmotoren (motore Stirling). Tre di questi impianti, che stanno ormai operando in modo continuativo e con buon successo dal 1992, hanno accumulando più di 30.000 ore di esperienza operativa. Lo sviluppo del nuovo Eurodish, supportato dall’Unione Europea, ha portato alla realizzazione di 7 sistemi EURODISH da 10 kW in diverse nazioni (Spagna, Italia, Francia, Germania, India) mentre, allo stesso tempo, due gruppi industriali che stanno lavorando negli Stati Uniti (Sterling Energy system/Boeing Company e Science Applications International Corporation/STM Corp) hanno installato diversi prototipi di seconda generazione da 25 kW per effettuare dei test. Un disco parabolico della WGA con un motore Stirling SOLO della potenza di 10 kW è in fase sperimentale al Sandia National Laboratori in USA (figura 1.19). Inoltre i sistemi dish/Stirling di tipo ibrido con combustibile gassoso, sono attualmente in via di sviluppo e ci si aspetta che siano presto disponibili per i progetti dimostrativi iniziali. Per quanto riguarda il sistema dish/Brayton, il primo interessante prototipo ha una superficie riflettente di 120 m2 e una potenza in uscita per ciascun modulo di 30 kW. Da quando sono stati costruiti i dischi parabolici di 400 m2, è cresciuto l’interesse per un eventuale impiego del ciclo Brayton con questi sistemi.

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Figura 1.19: Alcuni dei dischi sviluppati negli ultimi 30 anni: Il McDonnell- Dougas e la WGA sono ora di proprietà della Stirling Engine System (SES).

L’impianto può essere costituito da diversi moduli, mentre l’ibridazione è spontanea, nel senso che si può adoperare il combustibile in aggiunta all’irraggiamento solare, assicurando che la turbina possa operare sempre alla piena capacità. Quando l’energia solare non risultasse disponibile, il sistema può operare col solo combustibile, per cui la frazione solare è un parametro di progetto.

1.6 Impianti solari con pannelli parabolico-lineari (Parabolic Trough) In questi impianti la captazione della radiazione solare è ottenuta per mezzo di collettori di tipo parabolico lineare (parabolic solar trough). Si tratta di specchi riflettenti di forma

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parabolica (figura 1.20) che concentrano la radiazione solare su un tubo ricevitore ad alta efficienza posizionato sulla linea focale della parabola, al fine di elevare la temperatura del fluido termovettore (Heat Thermal Fluid, HTF) che circola al suo interno.

Figura 1.20: Sistema di collettori parabolico-lineari.

Dopo aver ceduto la propria energia termica in appositi scambiatori di calore ed abbassato la temperatura, il fluido termovettore viene rinviato verso il campo solare per essere nuovamente riscaldato. L’energia termica viene successivamente convertita in energia elettrica tramite un ciclo convenzionale a vapore o un ciclo combinato.

1.6.1 Tecnologia del collettore Il componente principale del campo solare è il collettore solare (SCA, Solar Collector Assembly), il quale rappresenta un modulo indipendente costituito da riflettori parabolici (gli specchi), la struttura metallica di sostegno, i tubi del ricevitore ed il sistema per l’inseguimento solare che include le guide, i sensori e i sistemi di controllo. La tabella 1.4 mostra le caratteristiche principali del modello Acurex, di quello a singolo asse M.A.N, e di tre generazioni del tipo Luz.

Collettore Acurex

3001 M.A.N. M480

Luz LS-1

Luz LS-2

Luz LS-3

Anno 1981 1984 1984 1985 1988 1989 Area (m2) Apertura (m) Lunghezza (m) Diametro ricevitore (m) Fattore di concentrazione

34 1.8 20

0.051 36:1

80 2.4 38

0.058 41:1

128 2.5 50

0.042 61:1

235 5 48

0.07 71:1

545 5.7 99

0.07 82:1

Efficienza ottica Assorbività ricevitore Riflettività specchi Emittenza ricevitore

0.77 0.96 0.93 0.27

0.77 0.96 0.93 0.17

0.734 0.94 0.94 0.3

0.737 0.94 0.94 0.24

0.764 0.99 0.94 0.19

0.8 0.96 0.94 0.19

Temp. operativa (°C/°F) 295/563 307/585 307/585 349/660 390/734 390/734 Tabella 1.4: Caratteristiche tecniche dei diversi tipi di collettori solari.

Il trend generale era quello di costruire collettori più grandi con rapporti di concentrazione sempre più alti (rapporto fra apertura del collettore e diametro del ricevitore), al fine di mantenere l’efficienza termica elevata con temperature di uscita del fluido più alte.

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Il più importante dei collettori è senz’altro il Luz LS-3-SCA, ultimo prodotto da Luz che fu usato inizialmente negli impianti più grandi da 80 MW di Kramer Junction. Esso rappresenta lo stato dell’arte per quanto riguarda i collettori parabolici. Una più dettagliata descrizione del captatore solare LS-3 ed i suoi componenti si può avere osservando la figura 1.21. I riflettori dell’LS-3 sono costituiti da pannelli di vetro-specchio con un basso contenuto di ferro avente una trasmittanza del 98%, argentato sul retro e poi ricoperto con diversi strati di rivestimento protettivo. Lo specchio è sostenuto da una struttura metallica a formare una travatura reticolare che garantisce al SCA l’integrità strutturale. L’elevata qualità dello specchio fa si che il 97% della radiazione incidente sia riflessa e indirizzata verso il ricevitore lineare. L'apertura o ampiezza del collettore parabolico riflettente è di 5.76 m, mentre la lunghezza complessiva dello SCA è di 95.2 m.

Figura 1.21: Il collettore Luz LS-3-SCA (Luz System Three Solar Collector Assembly).

Il ricevitore lineare, anche visto come un singolo elemento (HCE Heating Collector Element), è uno dei componenti che concorre all'elevata efficienza del design Luz e consiste di un tubo di acciaio di 70 mm di diametro interno con una copertura selettiva di cermet circondato da un tubo di vetro sotto vuoto (0.013 Pa), che ha il compito di proteggere la superficie selettiva e ridurre le perdite di calore alle elevate temperature. Il rivestimento di cermet ricopre il tubo d’acciaio per conferirgli delle proprietà termiche eccellenti quali un’assorbanza della radiazione solare diretta pari a 0.96, ed un emissività alla temperatura di 350ºC di 0.19. Il cilindro esterno di vetro ha un rivestimento anti-riflesso su entrambe le superfici per ridurre le perdite per riflessione. Gli SCA ruotano intorno all'asse nord/sud in senso orizzontale per inseguire il sole lungo il suo movimento giornaliero; l’asse di rotazione è localizzato in corrispondenza del centro di massa del collettore per minimizzare l’energia necessaria per la movimentazione del sistema, tramite un sistema di sensori che garantisce il preciso allineamento con un margine di errore di ± 0.1 gradi. Il sistema SCA è progettato per operare normalmente con venti intorno a 40 km/h mentre con venti superiori a 56 km/h l’accuratezza di posizionamento è notevolmente più bassa. Infine, l’ultima versione di collettore parabolico è l’LS-4, (figura 1.22) prodotta dalla compagnia tedesca Pilkington Solar, (formalmente Flagsol GmbH) che si caratterizza nelle componenti chiave, quali il tubo di vetro, le strutture dei tubi e il sistema di attuazione idraulica [12].

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Figura 1.22: Collettore LS-4: elemento captatore di calore.

Il collettore LS-4 è realizzato con specchi parabolici la cui superficie è coperta da uno strato di vetro di 2.4 m2, e posteriormente da uno strato di argento. Lo strato riflettente di argento è protetto contro l’ossidazione e gli agenti climatici da strati di resina epossidica ed il bordo con della ceralacca. I vari strati sono progettati per assicurare una durata di almeno 30 anni e assenza di deterioramento per i primi venti anni. Gli specchi hanno un grado di riflessione del 94% e un fattore di concentrazione della luce sui tubi assorbitori pari a 82. I tubi ricevitori in acciaio sono ricoperti superficialmente da uno strato di ossido di cromo o da uno strato di materiale ceramico-ossido – metallico altamente selettivo (grado di assorbimento del 97%). Per ridurre le predite termiche il tubo assorbitore è posto all’interno di un tubo di vetro con un grado di trasmissione del 95%. I tubi sono collegati insieme con ceralacca metallica flessibile. Nello spazio compreso fra il tubo assorbitore e il rivestimento di vetro viene realizzato il vuoto oppure viene riempito con xeno. Il principale sistema di inseguimento del sole è composto da un processore e da un misuratore di deviazione mentre il posizionamento è controllato da due fotocellule che misurano la differenza di radiazione, consentendo ad un attuatore elettroidraulico di orientare il collettore con una precisione di 0.05 gradi.

1.6.2 Sistemi parabolici lineari: sviluppi tecnologici Lo sviluppo su larga scala dei collettori solari è iniziato negli Stati Uniti nella seconda metà degli anni ‘70 sotto l’Amministrazione per la Ricerca e lo Sviluppo (ERDA) ed è continuato con la creazione del Dipartimento dell’Energia (DOE) nel 1978. I primi passi della tecnologia furono condotti attraverso la Sandia National Laboratories ad Alburqueque, New Mexico, dove sono stati studiati impianti di dimensioni sempre crescenti che andavano da poche centinaia ad oltre 5000 m2 di superficie di collettori. Le società principali interessate in questa prima fase furono la Acurex, SunTec e la Solar Kinetics.

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Lo sviluppo del sistema parabolico lineare ha preso piede anche in Europa giungendo alla costruzione da parte dell’IEA del Small Solar Power Systems Project/Distributed Collector System (SSPS/DCS) in Tabernas, Spagna, nel 1981. Questo centro comprendeva due campi solari con specchi parabolico lineari aventi un’apertura totale di 7602 m2. I campi adoperavano sia i collettori Acurex con inseguimento solare ad asse singolo sia i collettori a doppio asse sviluppati dalla M.A.N di Monaco di Baviera (Germania). Nel 1982, la Luz International Limited ha sviluppato un collettore parabolico lineare per applicazioni IPH (Industrial Process Heat) che si basa sull’esperienza maturata dalla DOE/Sandia e dal SSPS. Nonostante i produttori di questi impianti avessero avuto buon successo per le applicazioni IPH negli anni ‘70 e ‘80, essi trovarono solidi ostacoli per una successiva commercializzazione: da un lato erano necessari sforzi eccessivi sia da un punto di vista tecnico che commerciale, dall’altra alcuni importanti clienti industriali diedero un parere negativo a causa proprio dell’eccessivo onere economico richiesto. Nel 1983 la Southern California Edison (SCE) ha firmato un accordo con l’Acurex per l’acquisto di energia elettrica prodotta da un impianto con pannelli parabolici lineari, ma dato che l’Acurex non era in grado di garantire i finanziamenti per il progetto, la Luz International ha negoziato un acquisto analogo con SCE per gli impianti SEGS I e II. Successivamente, con l’avvento del contratti energetici di riqualificazione delle installazioni secondo la Public Utility Regulatory Policies Act (PURPA) denominati Standard Offer (SO), la Luz è stata in grado di siglare un numero di contratti SO con SCE che hanno guidato lo sviluppo dal SEGS III al IX. Inizialmente gli impianti erano vincolati per legge dalla stessa PURPA a potenze non superiori a 30 MW, dopodichè tale limite è stato portato a 80 MW. La Tabella 1.5 riporta le caratteristiche dei 9 impianti SEGS costruiti da Luz [13].

Nome Locazione Anno inizio operatività

Pnetta

(MWe)

Tuscita campo solare

[°C]

Superficie campo solare

[m2]

ηηηη turbina solare

(%)

ηηηη turbina fossile

[%]

Pmax ciclo

[bar]

Prod. annua

[MWh]

SEGS IX

Harper Lake, CA 1991 80 390 483.96 37.6% 37.6%

100 bar, reheat

256.13

SEGS VIII

Harper Lake, CA 1990 80 390 464.34 37.6% 37.6%

100 bar, reheat

252.75

SEGS VII

Kramer Junction, CA 1989 30 390 188 37.5% 39.5%

100 bar, reheat

92.646

SEGS VI

Kramer Junction, CA 1989 30 390 194.28 37.5 39.5%

100 bar, reheat

90.85

SEGS V

Kramer Junction, CA 1988 30 349 250.5 30.6 37.4%

40 bar, steam

91.82

SEGS IV

Kramer Junction, CA 1987 30 349 230.3 30.6 37.4%

40 bar, steam

92.78

SEGS III

Kramer Junction, CA 1987 30 349 230.3 30.6 37.4%

40 bar, steam

92.78

SEGS II

Daggett, CA 1986 30 316 190.338 29.4 37.3% 40 bar, steam

80.5

SEGS I

Daggett, CA 1985 13.08 307 82.96 31.5 - 40 bar, steam

30.1

Tabella 1.5: Caratteristiche tecniche degli impianti SEGS in California.

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Nel 1991, Luz è fallita non riuscendo a finanziariamente la costruzione del decimo impianto, a causa dell’elevato costo tecnologico e del venir meno degli incentivi e dei contributi agevolati. Il collettore di tipo parabolico lineare con olio diatermico quale fluido termovettore rappresenta la tecnologia più matura tra quelle esistenti, proprio per l’esperienza acquisita con gli impianti commerciali SEGS che a partire dal 1984 sono ancora attivi nel deserto del Mojave in California con impianti che producono complessivamente 354 MWe e con potenze individuali comprese tra i 14 e 80 MWe. Il SEGS I è l’unico ad avere anche un sistema di accumulo termico e richiede l’uso di combustibili fossili per il surriscaldamento del vapore, potendo in tal modo operare sia con un irraggiamento solare sufficiente sia con l’integrazione del gas naturale. Gli impianti successivi sono stati costruiti senza l’accumulo termico al fine di ridurre i costi; l’impianto SEGS II si differenzia per l’aggiunta di un generatore di vapore che consente così di operare anche in condizioni di totale assenza di radiazione solare. Dal SEGS III in avanti, grazie all’aumento della temperatura dell’olio è stato possibile ottenere il surriscaldamento del vapore anche con l’apporto del solo campo solare. Ciò significa che gli impianti SEGS III – VII potrebbero operare secondo 3 differenti modalità: con il solo apporto della radiazione solare, oppure in modo convenzionale con il solo apporto del combustibile fossile o in modalità combinata o ibrida, con notevoli vantaggi in termini di prestazioni, per la minor dipendenza dalle fluttuazioni della radiazione solare. Infine negli ultimi due impianti SEGS VIII – IX il generatore di vapore è stato sostituito da 4 surriscaldatori a gas naturale: uno di loro viene tenuto in stand-by durante il funzionamento con il solo solare pronto ad entrare in azione in tempi brevi per sopperire ad una eventuale calo dell’irraggiamento (figura 1.23).

Figura 1.23: Vista dall’alto dell’impianto di tipo parabolico lineare SEGS di Kramer Juction (USA).

Si è stabilito che non più del 25% dell’elettricità prodotta dal SEGS provenga da fonti fossili, che negli anni di elevato irraggiamento non ha superato il 5%. In modalità solar-only si è raggiunto un picco di efficienza pari al 24% e una media annua tra il 14 ed il 18 % (figura 1.24).

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Figura 1.24: Potenza irradiata ed efficienza di conversione misurata nel SEGS VI l’1/7/1997.

Per quel che riguarda l’efficienza del campo solare, nelle migliori condizioni si è raggiunto il 58% come si osserva in figura 1.24. Il fattore di capacità annuale (la frazione di tempo in cui la potenza prodotta proviene dal funzionamento con il solo solare) ha raggiunto effettivamente il 24%, mentre con funzionamento in fossil-only si è raggiunto un’efficienza compresa tra il 34% ed il 37%. Gli impianti di questo tipo sono costituiti da vasti campi di collettori solari parabolico lineare, un generatore di vapore a recupero olio/vapore, un ciclo a vapore di tipo Rankine ed un eventuale accumulatore termico con una caldaia a combustibile fossile per il recupero di potenza (figura 1.25). I collettori del tipo ad inseguimento a singolo asse, sono disposti su file parallele e normalmente allineati secondo l’asse orizzontale nord-sud.

Figura 1.25: Schema operativo dell’impianto ad olio diatermico.

Il fluido termovettore viene portato da 290°C fino a 393°C all’interno del tubo ricevitore del campo solare. Se l’irraggiamento è sufficiente, l’impianto può lavorare a pieno regime operando con il solo campo solare; durante l’estate l’impianto è in grado di garantire la potenza nominale prodotta tramite la sola energia solare per 10 – 12 ore al giorno. Per garantire la produzione di potenza anche nei periodi di bassa radiazione è possibile dotare

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l’impianto di una caldaia supplementare alimentata con combustibili fossili o addirittura con serbatoi termici in grado di accumulare energia da utilizzare successivamente. Recentemente, sono stati presentati diversi progetti che potrebbero dare ulteriori contributi al miglioramento della tecnologia: uno di questi è il progetto Andasol, caratterizzato da un impianto con collettori di tipo parabolico lineare, della potenza elettrica di 50 MW, che dovrà essere costruito sulla piana di Guadix nella provincia di Granada (Spagna). L’impianto sarà equipaggiato con accumulatori termici, al fine di garantire la generazione di potenza anche nei periodi con ridotto irraggiamento. Essi saranno del tipo a doppio serbatoio a sali fusi in grado di garantire un’autonomia per un periodo compreso tra le 6 e le 12 ore, accoppiato ad uno scambiatore di calore olio-sali. Quando il campo solare produce energia termica in eccesso rispetto alle necessità dell’impianto di potenza, si avrà l’accumulo nei serbatoi. Grazie all’accumulatore termico, il progetto Andasol sarà in grado di soddisfare la domanda di energia anche dopo il tramonto e di raggiungere un numero di 3589 ore annue operative a pieno carico a differenza delle 2000 ottenibili senza accumulo termico. Esso è stato sviluppato dalla spagnola ACS Cobra Group e dalla Solar Millennium. La costruzione dell’impianto Andasol-1 è iniziato nel 2006 e si prevede venga concluso entro il 2008. Il suo costo complessivo è stato di 14.3 M€, con un finanziamento dell’UE pari a 5 M€.

1.6.3 Collettori parabolici con produzione diretta di vapore La necessità di temperature operative più elevate ha spinto il costruttore degli impianti SEGS, la LUZ, a lavorare con fluidi operativi (oli sintetici) in grado di arrivare in prossimità dei 400°C; il passo successivo, è stato la sostituzione di questi fluidi con acqua che viene direttamente portata ad alta temperatura, quindi convertita in vapore surriscaldato nei tubi assorbitori dei collettori parabolico lineari, fino al raggiungimento delle condizioni termobariche richieste (temperatura di 400°C e pressione di 100 bar). Questo processo è chiamato DSG (Direct Steam Generation) e presenta alcuni vantaggi rispetto agli impianti che operano con l’olio diatermico, quali una diminuzione del costo dell'investimento e di quelli operativi, efficienze più elevate e ridotti rischi ambientali. Un inconveniente di questa soluzione è che un flusso stratificato all’interno di tubi orizzontali potrebbe portare ad una non omogenea temperatura sulla superficie del tubo assorbitore comportando elevate sollecitazioni termomeccaniche per il materiale. Gli impianti commerciali della California utilizzano, ancora oggi, come fluido termovettore l'olio sintetico, con basse pressioni operative e capacità di accumulo. Lo sforzo dei ricercatori del Plataforma Solar all’interno dei progetti DISS (Direct Solar Steam) e INDITEP, sponsorizzati entrambi dalla Commissione Europea, avevano l’intento di ottenere la generazione diretta del vapore all’interno di tubi assorbitori ed eliminare la necessità di un trasferimento intermedio del calore, al fine di ottenere un aumento dell’efficienza ed un’ulteriore riduzione dei costi. Durante la prima fase del progetto DISS (1996-1998) è stato progettato ed implementato un impianto da poter testare in condizioni reali al Plataforma Solar de Almeria (PSA); l’analisi preliminare dei costi effettuata in combinazione ad alcuni miglioramenti tecnici, sembrava rendere possibile una diminuzione del costo dell’energia elettrica prodotta dell’ordine del 26%. Nella seconda fase progettuale invece, (1999-2001) sono stati effettuati dei test per indagare sulla scelta dell’opzione impiantistica (once trough, injection, recirculation) in condizioni reali ai fini della commercializzazione. Il PSA DISS ha operato per 5500 ore producendo vapore surriscaldato a 30, 60, 100 bar e si è giunti alla conclusione che il sistema di tipo DSG è perfettamente efficiente con i collettori parabolici lineari a tubi orizzontali.

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Una volta che il progetto DISS 10 ha dimostrato la fattibilità del sistema DSG, il progetto INDITEP, co-finanziato dalla UE (2002-2005), ha compiuto un passo avanti con la definizione di un design dettagliato di un primo impianto da 5 MWe pre-commerciale, all’interno del quale sono stati effettuati alcuni miglioramenti tecnici. La fase sperimentale ha portato ad utilizzare il vapore surriscaldato, per fornire una migliore affidabilità dei componenti e una maggiore efficienza, mentre la taglia dell’impianto è stata fissata a 5 MWe per limitare i rischi legati all’investimento [2,9]. Da un punto di vista tecnico è stata effettuata la scelta tra tre diverse soluzioni: once-trough, recirculation e injiection. La prima prevede un solo passaggio del fluido nei collettori, il secondo prevede invece di sottrarre una parte dell'acqua alla fine della fase di preriscaldamento e reinserirla all'inizio del ciclo, infine, la terza richiede il prelievo di una parte dell'acqua all'inizio del ciclo per iniettarla in un punto in cui si realizza la fase di evaporazione. La scelta è ricaduta sulla seconda modalità in quanto rappresenta la migliore opzione anche da un punto di vista commerciale. La figura 1.26 mostra uno schema semplificato dell'impianto DSG, mentre i principali parametri tecnici quali portate, pressioni e temperature sono indicate nella tabella 1.6.

Figura 1.26: Schema di un impianto DSG.

Azienda costruttrice KKK

Potenza lorda [kWel] 5472

Potenza netta [kWel] 5175

Flusso termico netto [kJ/kWh]

14460

Efficienza lorda/netta [%] 26.34 /24.9

Tabella 1.6: Parametri tecnici del blocco di potenza dell’impianto Un ulteriore passo avanti è stato compiuto con il progetto DISTOR, che ha preso il via ufficialmente nel febbraio del 2004, con il principale obiettivo di costruire un sistema di accumulo dell’energia termica efficace per gli impianti DSG. Negli impianti che impiegano l’olio sintetico come fluido termovettore, si sfrutta l’accumulo dell’energia termica sotto forma di calore sensibile (incrementando la temperatura del materiale adoperato nel sistema di accumulo). Per gli impianti di tipo DSG risulta invece più efficiente adoperare un sistema di accumulo che realizzi i processi di carica e di scarica a

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temperatura costante. Per tale motivo la ricerca si è indirizzata verso i sistemi di accumulo a cambio di fase (PCM). Pur non essendo i PCM una novità, non esistevano ancora dei sistemi in grado di soddisfare i requisiti richiesti da un impianto a generazione diretta di vapore . Il sistema di accumulo è costituito da sali fusi avente il punto di fusione nel campo di temperatura compreso fra 250-290°C per assorbire il calore latente rilasciato dal vapore durante la fase di condensazione alle pressioni comprese tra 70 e 100 bar. Nel progetto DISTOR è presente anche un sistema di accumulo a calore sensibile, qualora vi fosse l’esigenza di scambiare calore con vapore surriscaldato. In particolare, si è sviluppato un innovativo accumulatore basato su micro- capsule di PCM in una matrice di materiale ad alta porosità e conduttività termica all’interno di un accumulatore del tipo a strati. Limitando le dimensioni delle capsule nella matrice, la conducibilità termica del materiale composito sarà controllato dalla matrice di grafite espansa. La fattibilità delle micro-capsule è stata già dimostrata in applicazioni con paraffina PCM con temperature inferiori ai 100°C, per valori più alti devono essere adoperati i sali fusi. Deve essere ancora analizzata la configurazione ottimale che garantisce il più elevato coefficiente interno di carica/scarica del calore.

1.7 CSP in Italia Un altro esempio di impianto solare dotato di collettori parabolico lineare è quello realizzato in Italia a Priolo Gargallo in provincia di Siracusa, la cui costruzione è iniziata nel 2004 accoppiandolo ad un impianto convenzionale ISCC (Integrated Solar Combined Cycle). Esso fornisce una potenza di 20 MWe oltre ai 760 MWe già forniti dal solo impianto combinato (figura 1.27). Questo progetto, denominato ARCHIMEDE, si sviluppa all’interno di una joint-venture fra l’ENEA e l’ENEL, insieme ad altre compagnie private minori. Il principale vantaggio della soluzione ibrida è che l’impianto solare può fare largo uso dei componenti di tipo convenzionale già presenti, concentrando tutta l’attenzione sulla parte riguardante la tecnologia solare. I vantaggi conseguiti sono:

• Un più economico e più robusto design degli specchi; • Una temperatura di esercizio più elevata (550°C) che richiede, in cambio, un nuovo

design della copertura del tubo ricevitore. • L’uso di un fluido termovettore non infiammabile e non pericoloso per l’ambiente; • L’adozione di un grosso serbatoio termico, che può pienamente compensare le

discontinuità dell’irraggiamento. I collettori sono costituiti da un pannello estremamente rigido con struttura a nido d’ape dello spessore di 2.5 cm formato da una struttura interna di alluminio e strati superficiali di fibra di vetro su cui viene disposto lo specchio. Il tubo assorbitore è invece costituito da una struttura coassiale formato da un tubo esterno di vetro del diametro di 11.6 cm ed uno interno in acciaio di 7 cm, all’interno del quale scorre il sale fuso. La copertura del tubo ricevitore è stata sviluppata specificatamente dall’ENEA. Negli impianti SEGS è stato adoperato l’olio minerale che, oltre ad essere un liquido tossico ed infiammabile, ha delle proprietà tali da limitare la temperatura massima operativa dell’impianto e non consente per ragioni di spazio la possibilità di accumulo in maniera sicura ed economica. Per tali ragioni la scelta dell’ENEA è caduta sui sali fusi, una miscela eutettica caratterizzata dal basso costo e disponibilità elevata (è infatti utilizzata come fertilizzante). Essa opera in un intervallo di temperature compreso tra i 290°C ed i 550 °C oltre il quale non è possibile andare in quanto intorno ai 600°C i nitrati si decompongono in nitriti, determinando notevoli problemi di corrosione.

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Un ruolo importante è svolto dai serbatoi termici: la capacità termica è garantita dalla differenza di temperatura tra il fluido caldo e quello freddo. Per accumulare 1 kWht sono necessari 4.9 litri di sali fusi e l’energia accumulata in un dato volume è l’equivalente di quella ottenuta dalla combustione del medesimo volume di gas naturale. Il sistema proposto da ENEA, come illustrato in figura 1.27, prevede la presenza di due cicli di funzionamento un ciclo per la cattura dell’energia solare ed un ciclo per la generazione del vapore. I due cicli operano su due circuiti completamente separati: un circuito sali e un circuito vapore.

Figura 1.27: Impianto italiano del progetto Archimede.

Il primo ciclo è caratterizzato dalla presenza di due serbatoi di accumulo a sali fusi da cui si dipartano i circuiti connessi con il campo solare termodinamico, verso il quale il sale è inviato da opportune pompe di circolazione. I due serbatoi si differenziano per la temperatura media del sale che viene accumulato al loro interno, in particolare si ha:

• un serbatoio detto “caldo” che accumula al suo interno il sale fuso ad una temperatura di 550°C;

• un serbatoio detto “freddo” che è utilizzato per stoccare il sale ad una temperatura media di 290°C.

In presenza di un sufficiente irraggiamento solare il sale viene trasferito dal serbatoio “freddo” al circuito del campo solare dove si scalda fino a 550°C per poi essere accumulato nel serbatoio caldo. Durante il funzionamento del circuito vapore (Generatore di Vapore GV) il sale viene prelevato dal serbatoio caldo e, dopo aver prodotto vapore surriscaldato nel GV, ritorna al serbatoio freddo. Nei limiti della capacità di accumulo, i due cicli sono completamente svincolati, e consentono una produzione elettrica controllabile (con elevata dispacciabilità) a prescindere dalla disponibilità dell’irraggiamento solare.

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Capitolo 2

Analisi economica del solare termodinamico

2.1 I costi del CSP Le crescenti problematiche di tipo ambientale e climatico, accompagnate dal continuo calo della disponibilità dei combustibili fossili, richiedono ormai delle soluzioni di approvvigionamento di energia “pulita” a breve termine. A tal proposito la tecnologia CSP può fornire delle soluzioni interessanti al problema energetico in tempi relativamente brevi. Esso, tra tutte le tecnologie rinnovabili, disponibili per una produzione su larga scala, è quello che presenta la maggiore potenzialità di produzione di energia pulita, grazie alla sua tecnologia convenzionale e alla facile scalabilità. Il costo dell’energia è compreso tra 0.14 e 0.19 €2005/kWh nel medio termine e tra 0.09 e 0.15 €2005/kWh nel lungo termine [16], rispetto al valore del mercato elettrico convenzionale che per potenze di media taglia si aggira intorno a 3-4 €cents/kWh. La piena competitività da parte della tecnologia potrà essere raggiunta solo se i costi saranno ridotti in maniera decisa, il che dipenderà sia dal costo della tecnologia stessa ma anche da una crescita potenziale del prezzo dell’energia fossile e dall’internazionalizzazione dei costi sociali associati alle emissioni di C02. In definitiva, si può pensare di raggiungere un livello di competitività nel medio termine ad un prezzo di 5-7 €cents/kWh per media potenza dispacciabile. Sono stati effettuati diversi studi che hanno analizzato le prospettive future dei sistemi che si basano sulla tecnologia CSP. Tra questi, quello denominato Athene, prevede uno scenario fino al 2025 simile a quello riportato in figura 2.1, dove viene indicata la potenza che si prevede di installare complessivamente nei prossimi anni tramite impianti CSP.

Figura 2.1: Scenario previsto dallo studio ATHENE per lo sviluppo dei sistemi CSP

Sulla base di questo studio, prendendo in considerazione l’esperienza acquisita, gli effetti di scala ed il costo di investimento complessivo è stato stimato il cosiddetto costo medio di elettricità livellato (LEC, Levelized Electricity Cost). Lo studio prevede una riduzione del costo ad un valore inferiore ai 5 €cents/kWh ed una capacità installata di 40 GW che verrà raggiunta tra il 2020 ed il 2025 (figura 2.2).

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I diversi scenari proposti stimano la riduzione potenziale dei costi, ma non sono in grado di individuare le specifiche innovazioni che potrebbero consentire il raggiungimento di questi obiettivi. Altre ricerche recenti [15] hanno stabilito che almeno la metà della riduzione potenziale dei costi possa essere attribuita all’aumento della taglia dell’impianto e conseguentemente all’incremento dell’energia prodotta, mentre l’altra metà è da attribuire ai risultati ottenuti nell’ambito della ricerca e dello sviluppo tecnologico.

Figura 2.2: Andamento previsto del valore del LEC per gli anni futuri.

Per quel che riguarda l’analisi economica il parametro di riferimento è rappresentato dal LEC, calcolato secondo il metodo semplificato dell’IEA [17] che adopera l’euro come moneta di riferimento. La definizione del costo dell’elettricità livellato (LEC) è data dalla seguente equazione:

net

fuelMOinvest

E

KKKcrfLEC

⋅⋅⋅= &

in cui:

( )( ) insurance

11

1k

k

kkcrf

nd

ndd +−+

+=

kinsurance tariffa assicurativa annua;

K invest investimento totale dell’impianto;

Kfuel costi annuali del combustibile;

kd tasso reale di interesse;

n periodo di deprezzamento in anni;

KO&M operazioni annuali e costi di manutenzione;

Enet elettricità annuale netta.

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Per quel che riguarda il confronto tra le diverse tipologie di impianti CSP, si può prendere spunto dallo studio ECOSTAR, commissionato dal DLR nel 2005 [9], che ha preso in esame i seguenti tipi di impianti:

• Parabolico lineare con olio diatermico;

• Parabolico lineare con DSG;

• Torre centrale con sali fusi;

• Torre centrale con vapore saturo;

• Torre centrale con aria;

• Torre centrale con aria compressa;

• Disco parabolico con motore Stirling; L’obiettivo di tale studio era quello di confrontare le diverse innovazioni tecniche equiparandole ad un unico indicatore, il LEC appunto, escludendo quindi tutte quelle specificità quali l’influenza della tassazione o le condizioni di finanziamento. In definitiva, per il calcolo del LEC si prendono in considerazione il sito in cui installare l’impianto, i dati meteorologici, la potenza prodotta, l’eventuale presenza di serbatoi termici ed altri parametri come schematizzato nella figura 2.3.

Figura 2.3 Schema della metodologia di analisi per il calcolo del LEC.

La taglia di riferimento su cui si basa l’analisi è 50 MWe; finora però gli impianti funzionanti con almeno questa potenza sono solo quelli dotati della tecnologia parabolico lineare, mentre per le altre tipologie CSP sono previste potenze massime di 15 MWe. E’ opportuno, pertanto, ipotizzare un aumento di potenza fino a 50 MWe al fine di avere una base comune per il calcolo dei costi di O&M; comportando in questo modo anche un aumento dell’efficienza e della riduzione dei costi. In conclusione, in questo capitolo, dopo l’analisi comune sulla disponibilità della risorsa solare, si affronterà l’analisi economica di alcune tipologie di impianti CSP, focalizzando l’attenzione essenzialmente su 4 parametri principali di seguito indicati:

• Costi di investimento;

• Costi R&D (ricerca e sviluppo)

• Costi O&M (operativi e manutenzione);

• Fattore di scala

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2.1.1 La risorsa solare disponibile Per determinare la produzione elettrica di un ipotetico impianto è opportuno, inizialmente stabilire la località dove installarlo. A tal proposito è possibile sfruttare il GIS (Geographcal Information System), ampiamente adoperato in tutto il mondo per la programmazione dei progetti infrastrutturali che si basa sul sistema satellitare RSS (Remote Satellite Sensing). Il vantaggio è quello di osservare le caratteristiche orografiche di intere località del mondo senza dover necessariamente viaggiare e recarsi a fare costose misurazioni in loco. Inoltre i dati sull’irraggiamento solare ottenuti con il sistema satellitare sono molto più precisi delle misurazioni effettuate a terra che tra l’altro sono di norma molto limitate nel tempo. Sfruttando la tecnologia satellitare è pertanto possibile ottenere delle mappe della radiazione solare diretta di intere zone del mondo accompagnate da dati meteorologici riguardanti l’influenza delle nuvole, l’aerosol e il vapore acqueo, che permettono la valutazione dell’energia solare disponibile in un determinato sito prima che venga costruito un impianto solare. I dati satellitari indicano che l’installazione di impianti CSP non è conveniente nelle località caratterizzate da una radiazione normale inferiore ai 1800 kWh/m2anno. A titolo di esempio, si può dire che il potenziale in Europa (UE-15) è stimato intorno ai 2000 TWh/anno, concentrati principalmente in Spagna, Italia ,Greca e le isole del Mediterraneo, come s osserva dalla figura 2.4 dove vengono messe in risalto le zone dell’Europa con un valore della radiazione diretta non inferiore ai 1800 kWh/m2anno. Se si considerano anche le regioni del continente Africano, la potenzialità diventa praticamente infinita.

Figura 2.4: Mappa della radiazione solare nella zona d’interesse per l’Italia e l’Europa.

2.2 I collettori parabolico lineari Come riferimento per la valutazione dei costi degli impianti che impiegano tale tecnologia di collettori solari, si considerano gli impianti SEGS californiani che, essendo stati i primi impianti di tipo commerciale entrati in funzione, consentono un’analisi più semplice degli investimenti e dei costi di funzionamento e manutenzione (O&M).

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2.2.1 I costi d’investimento I costi di investimento sono costituiti dalla costruzione dell’impianto CSP, dalla connessione alle infrastrutture, da assicurazione e dai costi di capitalizzazione. I componenti di un collettore parabolico lineare, più importanti in termini di costo, sono quelli associati ai concentratori ottici e quelli connessi alla captazione dell’energia solare. Per valutare i costi di investimento di un impianto da 50 MWe, si può far riferimento al GEF (Global Enviromental Facility) che riporta i costi originari dell’investimento degli impianti SEGS (tabella 2.1). Si può notare come i valori decrescano a partire dal primo impianto, costruito nel 1984, fino all’ultimo, costruito nel 1989, in seguito all’aumento della taglia dell’impianto e del livello di produzione complessivo. Nella tabella 2.1 sono riportati anche i valori attualizzati al 2005, tenuto conto anche del tasso di inflazione [18]. Partendo da questi dati, si può costruire una Learning Curve [6], che descrive quanto i costi diminuiscano al variare della produzione cumulativa.

Impianto Anno Potenza installata

[MW e] Costi specifici di

investimento Costi specifici di

investimento [$2005/kW] SEGS I 1984 15 4500 [$1984/kW] 6820

SEGS II 1985 45 4500 [$1985/kW] 6687 SEGS III-VII 1987 195 3400 [$1987/kW] 4856

SEGS XIII-IX 1989 355 2875 [$1989/kW] 3947

Tabella 2.1: Evoluzione dei costi di investimento degli impianti SEGS.

In particolare, si nota che i costi diminuiscono con una percentuale costante per ogni raddoppio del numero di unità prodotte secondo la seguente espressione:

bCUM CUMCC 0=

In cui:

• CCUM costo per unità, parametro di input;

• C0 costo della prima unità prodotta;

• CUM produzione cumulativa nel tempo;

• b indice di esperienza;

L’indice b, relativo all’esperienza, serve per calcolare la riduzione di costo relativa (1-2b) per ogni raddoppio di produzione:

( )( )

bb

b

CUM

CUMCUM

CUMC

CUMC

C

CC21

21

10

10

1

21 −=−=−

Il valore (2b) è il rapporto di progressione (Progress Ratio, PR), che esprime appunto la progressione della riduzione dei costi. Ipotizzando un valore di PR pari a 0.89, per il periodo di costruzione degli impianti SEGS (1984-1989), è possibile con una estrapolazione determinare i costi d’investimento degli impianti futuri. Applicando il valore di PR indicato in precedenza, si ottiene una riduzione dei costi dell’11% tutte le volte che la produzione cumulativa raddoppia come mostra la figura 2.5 [18].

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Figura 2.5: Learning Curve per gli impianti di tipo parabolico lineare SEGS.

Nella tabella 2.2 sono invece raccolte le stime dei costi di investimento ricavati da diversi studi, che hanno portato, come si vede, a conclusioni differenti. Le previsioni dei costi citati sopra sono in accordo con quelli risultanti dall’analisi economica più recente per l’impianto Andasol operativo dal 2007 (6 ore di accumulo termico). Alcune pubblicazioni prevedono, per le due unità da 50 MWe, ognuna dotata di un accumulo termico di 3 ore, un costo di installazione inferiore ai 3000 €2005/kW, confermando in tal modo una riduzione dei costi del 15%, rispetto alla tecnologia LS-3 [20]. Il miglioramento si manifesta anche da un punto di vista tecnico [9], poiché il rendimento complessivo dell’impianto Andasol (14%) è superiore rispetto a quello registrato in quelli SEGS in California (10,6%) grazie al miglioramento progettuale degli specchi oggi disponibili (EUROTROUGH).

World Bank (1999)

Potenza impianto [MWe] Costo unitario investimento [$2005/kW]

30 3600

200 2500

Sargent & Lundy (2003)

Potenza impianto [MWe] Costo unitario investimento [$2003/kW]

50 (12 h storage) 4816

IEA (2003)

Potenza impianto [MWe] Costo unitario investimento [$2003/kW]

50 (breve termine) 2800 - 3200

50 (medio termine) 2100 - 2200

Tabella 2.2: Confronto tra diverse fonti sui costi di investimento.

Nello studio Sargent & Lundy (S&L) del 2003 si giunge a conclusioni analoghe a quelle dell’ECOSTAR, anche se l’impianto preso in considerazione ha una potenza doppia. La figura 2.6 mostra la distribuzione dei costi iniziali per un impianto parabolico lineare che comprende i costi strutturali, gli specchi e gli accumulatori termici [15].

Si osserva chiaramente che il costo principale è dato dal campo solare, in quanto è l’elemento tecnologicamente più recente, di conseguenza, più sensibile agli effetti di R&D e di scala; l’accumulo termico incide solo per l’8%, per cui un loro utilizzo, allo stato attuale dei costi, non ha un’incidenza notevole sulla riduzione complessiva dei costi.

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Figura 2.6: Costi di investimento per un impianto da 100 MWe con 12 ore di accumulo.

Il costo specifico dell’installazione che è di 3530 €/kWe, risulta molto alto rispetto a quello degli impianti convenzionali. In realtà si dovrebbe tener conto anche del costo del combustibile non utilizzato per produrre l’energia generata durante tutta la vita dell’impianto, che però dipende fortemente dal fattore di capacità dell’impianto. Un impianto con bassa capacità (piccoli campi e ridotti sistemi di accumulo), ridurrebbe questo parametro, ma aumenterebbe il LEC, per questo motivo non viene preso in considerazione per effettuare i confronti. Limitando l’attenzione al solo collettore parabolico, nella figura 2.7 si osserva la distribuzione dei costi per i suoi componenti [15].

Figura 2.7: Costo dell’investimento per il solo campo solare.

Analoghe considerazioni si possono fare per il parabolico lineare con generazione diretta di vapore saturo. Innanzitutto è opportuno considerare un impianto della taglia di 50 MWe avente uno schema simile a quello del modello INDITEP [9], con 10 linee di specchi in parallelo e nessun accumulo termico, in quanto al momento non disponibile. Nella tabella 2.3 vengono confrontati i dati tecnici ed economici relativi alle due tipologie di configurazioni parabolico lineare:

HTF (OIL) HTF (Water Steam) LEC (Solar only) 0.119 0.130 O&M 0.032 0.039 Investimento specifico 3530 2840

Rendimento complessivo (%) 14.0 9.9

Tabella 2.3: Confronto tra le due tipologie di impianti.

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2.2.2 Ricerca e sviluppo (R&D) Secondo lo studio S&L (Sargent & Lundy) [15] il costo degli impianti del tipo parabolico lineare scenderà del 50% nei prossimi 15 anni di cui il 29% dovuto a R&D (Ricerca e Sviluppo). Il 49% del costo complessivo di un impianto è determinato dai componenti ad alto tasso tecnologico, quali elementi di captazione, riflettori e HTF, per cui lo sviluppo di specchi innovativi e di collettori solari incide molto sui costi complessivi. Per quel che riguarda la parte non solare, si potrebbe migliorare il layout dell’impianto, il gruppo di potenza, o incrementare la temperatura del vapore per aumentare il rendimento del ciclo a vapore. Inoltre, si potrebbe puntare sulla diminuzione del peso del collettore e su un ricevitore più efficiente e duraturo. Il miglioramento degli specchi si può ottenere utilizzando strati di vetro sottile con elementi strutturali non metallici, mentre impiegando un differente fluido termovettore come ad esempio i sali fusi, si possono raggiungere temperature più elevate (500°C) rispetto a quelle ottenibili con l’olio diatermico. Questa scelta condiziona anche i costi di un eventuale serbatoio termico che potrebbe essere di tipo 2-tank (hot-cold) o unico (thermocline) con sali fusi e scambiatore di calore. A titolo di esempio, lo studio S&L mostra una proiezione per quel che riguarda l’accumulo termico (tabella 2.4), il cui riferimento è l’impianto SEGS VI del 1987 ed i costi espressi in dollari del 2003 [15].

Anno 2004 2007 2010

Tipo di accumlo termico Indiretto, 2 acc Diretto, 1 acc. Diretto, 1 acc

Potenza impianto [MWe] 110 110 165

Accumulo [MWh t] 3535 3349 4894

HTF Sali fusi Sali fusi Sali fusi

Temperatura HTF [°C] 400 450 500

Costo d’impianto [$/kWe] 958 425 383

Tabella 2.4: Proiezione dei costi di R&D per gli accumulatori termici.

La tabella 2.5 mostra il potenziale di riduzione dei costi del sistema di captazione solare, dell’accumulo termico e del blocco di potenza [15] grazie agli investimenti in ricerca e sviluppo (R&D), sempre con riferimento all’impianto SEGS VI i cui dati sono riferiti all’anno 1989.

Base Breve Termine Medio Termine

Impianto SEGS VI Andasol

(50 MWe) 150 MWe

parabolic trough In servizio 1987 2007 2010 Supporto struttura [$/m2] 67 61 54 HCE [$/unità] 847 847 635 Specchi [$/m2] 43 43 28 Blocco di potenza [$/kWe] 527 367 293 Accumulo termico [$/kWe] - 958 (12 ore) 383 (12 ore) Altri componenti [$/m2] 250 234 161 Costo totale dell’impianto [$/kWe] (Fonte SunLab)

3008 $1989/kWe 4856 $2003/kWe 3416 $2003/kWe

Tabella 2.5: Riduzione dei costi di R&D per un CSP di tipo parabolico lineare.

2.2.3 Fattore di scala Per quanto riguarda gli effetti del fattore di scala, si osserva che il costo di installazione del CSP è fortemente dipendente dalla dimensione dell’impianto, inoltre, sulla base

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dell’esperienza maturata, si è constatato che la dimensione minima per un sistema di tipo parabolico lineare è di 50 MWe Come detto in precedenza, lo studio effettuato da S&L ha stimato una diminuzione del 50% dei costi del CSP di cui il 21% dovuta al fattore di scala. Diversi ricercatori ritengono questa previsione eccessivamente ottimista, tanto che un rapporto dell’IEA suggerisce, invece, che nello stesso periodo di tempo i costi possono essere ridotti del 30%, di cui il 25% in seguito al fattore di scale e solo il 5% per R&D. Molti ricercatori europei ritengono che l’aumento della taglia dell’impianto e quindi l’incremento dell'energia prodotta, costituisca il metodo più semplice per la riduzione dei costi. Dopo 20 anni di esperimenti al PSA e di 20 anni di funzionamento degli impianti SEGS, il parabolico lineare, con l’olio minerale come fluido termovettore, rappresenta una tecnologia ormai matura, e solo l’espansione del mercato può dare un contributo decisivo per la riduzione dei costi. Altri fattori che possono influenzare il costo complessivo dell’investimento sono legati alla logistica, quali il costo del terreno e la disponibilità di acqua (ad esempio il terreno dell’Andasol in Spagna costa circa 2 €/m2, mentre per il SEGS il deserto viene pagato a costo zero) oppure a condizioni di finanziamento particolari (tabella 2.6). Si nota chiaramente le diverse previsioni tra i ricercatori europei (ECOSTAR) e quelli americani (S&L). Ad esempio lo studio ECOSTAR non prevede un salto tecnologico importante nel breve periodo fintanto che il DSG non subirà miglioramenti significativi tali da renderlo competitivo ed affidabile.

Tipo d’impianto Medio Termine Impianti Futuri Breve Termine Impianti Futuri

Anno di costruzione 2004 2020 2005 2020

Potenza 50 MWe 400 MWe 50 MWe 50 MWe

Accumulo 12 ore 12 ore 3 ore 3 ore

Costi di investimento 4816 $2003/KWe 2400 $2003/KWe 4200 €2005/KWe 2940 €2005/KWe

Riduzione per R&D 29% 5% Riduzione per produzione

21% 25%

Riduzione totale 50% 30%

Fonte S&L 2003 ECOSTAR 2005

Tabella 2.6: Proiezioni future per i costi del parabolico lineare secondo S&L ed ECOSTAR.

2.2.4 Costi O&M (Organizzazione e Manutenzione) Le stime dei costi di O&M si basano sull’esperienza maturata fra il 1997 ed il 2001 sugli impianti SEGS III-VII [20]. Esse sono state elaborate dopo aver visionato i dati dell’impianto di Kramer Junction da 30 MWe relativi ad un periodo di funzionamento di 5 anni.

Staff

Lavoro [k$2003/yr]

Parti [k$2003/yr]

Equipaggiamento [k$2003/yr]

Totale [k$2003/yr]

Amministrazione 7 440 253 0 693

Operazione 13 746 249 0 994 Manutenzione blocco di potenza

8 527 314 0 841

Manutenzione campo solare 7 391 600 90 1081 Totale 35 2104 1416 90 3610 Frazione di costo capitale [%] - 0.8 0.5 0.03 1.49

Tabella 2.7: Elenco dei costi per il parabolico lineare.

Il modello prende in considerazione un singolo impianto e calcola i costi inserendo delle correzioni in base alle dimensioni del campo solare ed alla produzione elettrica annuale.

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Nella tabella 2.7 sono raccolte le voci principali relative ai costi di O&M per un impianto da 50 MWe e 6 ore di accumulo termico da costruire nel breve periodo [20]; questi dati tengono conto dell’esperienza maturata con gli impianti SEGS della California e si prevede un costo di investimento pari a 241 M$2003.

2.3 Impianti CSP a torre centrale Come impianto di riferimento si considera il Solar Two americano, che, come impianto dimostrativo non è più in funzione, ma ha fornito, per un lungo periodo, una serie importante di dati, ed il PS10 la cui costruzione è iniziata nel 2005 [9]. Il Solar Tres spagnolo, progettato sul modello del Solar Two, la cui costruzione è stata completata nel 2006, è invece ampiamente analizzato negli studi sia di S&L [15] sia dell’ECOSTAR [9].

2.3.1 Costi d’investimento Gli elementi dell’impianto a torre centrale più incisivi in termini di costo sono quelli legati ad i concentratori ottici e all’assorbimento dell’energia solare, in particolare gli eliostati. Per un impianto da 50 MWe con 3 ore di accumulo termico sono previsti investimenti con costi che vanno dai 177 ML$ per un impianto del tipo Solar Tres a sali fusi ai 200 ML$ per un impianto con ricevitore ad aria; I costi di produzione elettrica, invece, sono compresi fra i 15 ed i 20 €cents/kWh [9]. L’impianto del tipo Solar Two (4 ore di autonomia) aveva un costo di investimento pari a 5.570 US$2003/kW, valore che lo rendeva non fattibile economicamente, a causa della sua taglia troppo piccola [21]. Il Solar Tres, invece, ha una potenza complessiva di 17 MWe con 16 ore di autonomia operativa, ma allo stadio finale, sarà costituito da 3 moduli che eleveranno la potenza finale ad un valore di 50 MWe e sarà costruito in Spagna anziché negli Stati Uniti. Nella tabella 2.8, sono raccolti i costi specifici relativi al breve ed al medio periodo di un impianto del tipo Solar Tres ipotizzati da diversi centri di ricerca, fissando la data di completamento dell’impianto per il 2007.

Tipo d’impianto

Solar Two Solar Tres USA

Solar Tres Spain

Solar Tres Spain

Impianto breve

termine Anno di costruzione 1996 Programmato 2007 2007 2010

Potenza 10 MWe 14 MWe 17 MWe 50 MWe 100 MWe

Accumulo 4 ore 16 ore 16 ore 16 ore 13 ore Costi di investimento

5570 $2003/KWe

7100 $2003/KWe

3708 €2005/KWe

2726 - 3152 €2005/KWe

3060 $2003/KWe

Fonte SANDIA 1996

S&L 2003 ECOSTAR 2005

ECOSTAR 2005

S&L 2003

Tabella 2.8: Evoluzione dei costi di investimento secondo diverse fonti.

Prima di affrontare più in dettaglio le azioni da intraprendere per ridurre i costi, è opportuno dare un’idea della ripartizione di questi ultimi, sempre con riferimento al Solar Tres. La voce di costo più importante dell’investimento è dato dal campo solare, seguito dal blocco di potenza e dal ricevitore, che, complessivamente coprono circa il 64% dei costi totali come mostrato in figura 2.8 [9]. Dalla figura 2.8 si osserva che le iniziative da intraprendere per ottenere una riduzione decisa dei costi dell’impianto a torre solare, riguardano in particolare gli eliostati e il ricevitore. E’ opportuno, pertanto, incentivare sia la ricerca sia aumentare la taglia e la produzione di energia come si vedrà meglio più avanti.

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Figura 2.8 Distribuzione dei costi fissi nel CSP a torre centrale.

2.3.2 Costi di ricerca e sviluppo (R&D) Secondo le proiezioni del DLR [9], prendendo in considerazione l’impianto tipo da 50 MWe, è possibile raggiungere, nel breve periodo, un diminuzione dei costi in percentuali comprese tra i 15 e 22% per gli eliostati e tra il 21 ed il 50% per il ricevitore come indicato nella tabella 2.9. Ulteriori dettagli sono mostrati in tabella 2.10 dove è riportata la distribuzione dei costi degli elementi che costituiscono gli eliostati, secondo i dati forniti dalla SENER, una delle maggiori compagnie spagnole del settore.

Figura 2.9: Distribuzione dei costi degli eliostati (SENER).

S&L 2003 Costi

iniziali [$2003/KW e]

S&L 2003 Costi finali

[$2003/KW e]

Riduzione [%]

ECOSTAR 2005 Costi

iniziali [€2005/KWe]

ECOSTAR 2005 Costi finali

[€2005/KWe]

Riduzione [%]

Eliostati 2700 2557 5 1335 1044 - 1137 15 -22

Blocco di potenza

852 844 1 890 650 - 827 7 - 27

Ricevitore 994 622 37 556 278 - 434 22- 50

Altri componenti

2554 1733 32 927 927 -

Totale 7100 5796 18 3708 2899 - 3325 10- 22

Tabella 2.9: Riduzione dei costi attesa dovuti alla ricerca e sviluppo.

Si nota che gli elementi più costosi sono i meccanismi di guida, gli specchi e le strutture di supporto. Per i primi si prevede una riduzione dei costi del 10 - 20% nei prossimi 5 anni, per gli specchi, invece, si prevede un miglioramento delle capacità ottiche che

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inciderebbero, però, più sul LEC che non sull’investimento fisso in se; infine, per le strutture di supporto potrebbero subire una riduzione dei costi del 30% nel medesimo periodo (tabella 2.10).

Solar Tres 2007 [€2005/KW e]

Previsioni (5 -10 anni) [€2005/KW e]

Riduzione [%]

Sistema di movimentazione

627 502 – 564 10 -- 20

Sfacettature 267 240 – 253 5 – 10

Struttura 240 168 – 192 20 – 30

Altri componetni 201 201 -

Totale 1335 1111 – 1210 1044 -- 1137

15 -- 22

Tabella 2.10: Costo di investimento per il Solar Tres.

2.3.3 Aumento della taglia dell’impianto E’ la strategia più importante per quello che riguarda la diminuzione del costo effettivo degli eliostati. Lo studio S&L ha considerato uno sviluppo di 1.4 GWe nei prossimi 5 anni ed un incremento della superficie degli eliostati da 95 m2 a 148 m2. Inoltre, l’aumento del volume di produzione può contribuire per il 43% della riduzione del costo degli eliostati ipotizzando un aumento della potenza da 17 MWe del Solar Tres fino ad un ipotetico valore finale di 100 MWe con riferimento agli attuali costi degli eliostati. Analogamente, il blocco di potenza subirà una riduzione pari al 45 %, mentre il ricevitore del 37%. I risultati complessivi sono riportati in tabella 2.11, accompagnati da quelli dello studio ECOSTAR, che prevede una taglia di riferimento di 50 MWe, che consente un confronto diretto con l’impianto parabolico lineare della medesima potenza.

S&L 2003 Costi

iniziali [$2003/KW e]

S&L 2003 Costi finali

[$2003/KW e]

Riduzione [%]

ECOSTAR 2005 Costi

iniziali [€2005/KWe]

ECOSTAR 2005 Costi finali

[€2005/KWe]

Riduzione [%]

Eliostati 2700 1543 43 1335 1268 5

Blocco di potenza

852 466 45 890 823 7.5

Ricevitore 994 622 37 556 517 7

Altri componenti

2554 1733 32 927 927 -

Totale 7100 4364 38 3708 3535 5

Tabella 2.11: Confronto sulla riduzione dei costi dovuta al volume di produzione.

Di seguito, vengono riportate due tabelle dove sono riassunte le proiezioni future riguardo i valori dei costi finali relativi allo studio S&L (tabella 2.12) e ECOSTAR (tabella 2.13).

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S&L 2003 Costi iniziali [$2003/KW e]

Riduzione tramite ricerca e

sviluppo [%]

Riduzione tramite

produzione di massa [%]

Riduzione totale [%]

S&L 2003 Costi finali [$2003/KW e]

Eliostati 2700 5 43 48 1400

Blocco di potenza

852 1 45 46 458

Costo ricevitore

994 37 37 75 250

Altri componenti

2554 32 32 62 992

Totale 7100 18 38 56 3060

Tabella 2.12: Riduzione complessiva dei costi secondo S&L.

ECOSTAR 2005 Costi

iniziali [€2005/KWe]

Riduzione tramite ricerca e

sviluppo [%]

Riduzione tramite

produzione di massa [%]

Riduzione totale [%]

ECOSTAR 2005

Costi finali [€2005/KWe]

Eliostati 1335 15 -22 5 20 – 26 977 -1070

Blocco di potenza

890 7 - 27 7.5 15 – 34 583 – 760

Costo ricevitore

556 22- 50 7 29 – 47 293 – 395

Altri componenti

927 - - -- 927

Totale 3708 10- 22 5 15 - 26 2726 -- 3152

Tabella 3.13: Riduzione complessiva dei costi secondo l’ECOSTAR.

2.3.4 Costo O&M Le stime effettuate da S&L si basano sugli attuali costi del SEGS, le cui operazioni ordinarie sono simili come il lavaggio degli specchi o riparazione degli stessi. Naturalmente vi sono delle sensibili differenze, quali la presenza di un unico ricevitore centrale invece delle tubazioni all’interno del quale scorre il fluido termovettore. Nel complesso, l’aumento di produzione elettrica e della capacità di utilizzazione comporta un aumento delle spese di O&M molto piccole, in quanto la complessità dell’impianto rimane pressoché la stessa. In generale, i costi di O&M sono costituiti da:

• Costi del personale;

• Costi di servizi e materiale;

• Costi vari. I primi sono costituiti dal personale amministrativo e dagli addetti alla manutenzione della sezione di potenza, il cui numero non cambia con la dimensione dell’impianto, a differenza di quelli addetti al campo solare per i quali vi è dipendenza dalla dimensione. Ad esempio, nella centrale di Kramet Junction (SEGS), sono necessari 0.03 operatori ogni 1000 m2 di

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area di apertura di campo solare. I costi di servizio e manutenzione comprendono solitamente contratti, materiale chimico e acqua, materiali vari e costi di capitale per l’equipaggiamento. Infine i costi vari includono i costi amministrativi (come assicurazione, forniture, ecc), i combustibili, le vetture e riparazioni varie. Tutti questi fattori sono stati raccolti nella tabella 2.14 basandosi sull’esperienza dell’impianto Solar One e poi Solar Two nel periodo compreso fra il 1987 ed il 1999 [15]. Come visto sopra, nel breve periodo le spese di O&M previste sono circa il 3% del costo capitale, in diminuzione con il passare degli anni. Le due centrali Solar One e Solar Two ebbero costi piuttosto elevati soprattutto a causa dei problemi riscontrati nella prima fase della sperimentazione.

Caratteristiche O&M Solar One/Two (1987 – 1999)

Solar Tres (breve termine)

100 MWel (2008)

220 MWel (2020)

Numero addetti 35 33 46 67

Costo addetti [k$2003/anno] 2485 2046 2299 3364

Costo servizi e materiali annuo [k$2003/anno]

750 686 2065 4277

Costi vari [k$2003/anno] - 309 761 1491

Costo totale O&M [k$2003/anno]

3235 3041 5125 9132

Costo capitale [M$2003] 59 100 310 500

Frazione del costo capitale [%]

5.4 3 1.6 1.8

Tabella 2.14: Riepilogo costi di O&M.

2.4 Impianti a Disco parabolico Nell’analizzare da un punto di vista economico il sistema a disco parabolico, si fa riferimento all’esperienza riportata dai due progetti EURODISH e HYPHIRE che sono stati effettuati al PSA di Almeria, in quanto risultano disponibili anche dati di tipo economico. Nel primo dei due progetti sono stati testati 7 dischi da 10 kWe in condizioni di solo solare: 2 hanno operato in Spagna al PSA, gli altri 5 hanno operato in Spagna, Italia, Francia, Germania ed India. Il costo del disco con il design attuale è di coirca 11.000 €/kWe per la singola installazione di un prototipo. L’obiettivo del progetto EURODISH è quello di abbassare il costo fino a 5000 €/kWel, aumentando la produzione da 100 a 500 pezzi all’anno (da 1 a 5 MWe). Per consentire una rapida diffusione commerciale, è opportuno fare in modo che la richiesta di energia elettrica sia soddisfatta anche oltre le ore di sole, per cui si è pensato ad un sistema di tipo ibrido secondo quanto previsto dal progetto HYPHIRE, portato anch’esso avanti al PSA. Poiché il sistema prevede l’adozione di un motore Stirling, è facile optare per l’uso di un combustibile fossile per sopperire alla mancanza di radiazione, anche perché risulterebbe molto più economico di un accumulatore termico presente invece negli altri impianti CSP [15].

2.4.1 Costo di investimento La motivazione principale che impedisce l’espansione commerciale del dish/Stirling è il suo costo elevato e la mancanza di una fabbrica di motori Stirling. Esiste una sola compagnia (SOLO, Germania) che ha iniziato una produzione limitata di motori Stirling,

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anche se destinati ad altre applicazioni. La voce di costo più importante è data dal motore, che trasforma l’energia solare concentrata, e dal concentratore parabolico, entrambi strettamente connessi con il volume di produzione, mentre, come spiegato all’inizio, non è previsto, al momento, alcun accumulo termico; in figura 2.10 è mostrata la distribuzione dei costi riferita ad un impianto della potenza di 50 MWe [15].

Figura 2.10: Costo di investimento di un impianto a disco solare da 50 MWe.

Nella tabella 2.15, invece, sono indicati i costi delle parti principali (campo solare, parte di potenza, ricevitore) di un caso base (50 MWe), che, in futuro, saranno maggiormente interessati ad una riduzione dei costi. Partendo dal fatto che la potenza totale dei due dischi testati al PSA è di 20 kWe, per ottenere una produzione elettrica complessiva di 50 MWe, è opportuno immaginare un impianto costituito da 2500 di questi dischi [9], in modo da avere una potenza paragonabile a quella delle tipologie di CSP studiate in precedenza. E’ chiaro, però, che essendo un progetto del genere ancora sulla carta, non è stato possibile studiarne gli effetti, se non vedendoli come innovazione futura e ascrivendoli, di fatto, ad un miglioramento in termini di ricerca e sviluppo. Di sicuro un aumento dei volumi di produzione è, al momento, la via maestra per una riduzione decisa del costo specifico.

EURODISH 50 MW el

Costo base dei componenti [€2005/KW e]

Costo dei componenti con aumento del volume di

produzione [€2005/KW e]

Costo dei componenti con aumento del volume di

produzione e di ricerca e sviluppo [€2005/KW e]

Campo solare 3053 1750 1278

Blocco di potenza 2973 1750 600

Ricevitore 562 331 240

Altri costi 1447 1447 1447

Totale 8035 5278 3565

Tabella 2.15: Costi base dell’impianto solar dish, dopo l’aumento del volume di produzione e dopo l’aumento del volume di produzione e della ricerca.

Si nota chiaramente che l’aumento del volume di produzione porta ad un calo del costo totale di installazione da un valore di 8035 €2005/kW fino ad un valore di 5278 €2005/kW. Inoltre se si aggiungessero anche gli effetti dovuti alla ricerca, si potrebbe arrivare ad un valore ancora più basso di 3565 €2005/kW [9]. Tutto ciò, al momento, è fattibile solo con l’ausilio di una turbina a gas (ciclo Brayton) in luogo del motore Stirling che ha un

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maggiore costo complessivo e non è stato ancora testato. In conclusione, gli studi sono concordi nel prevedere altri interventi quali: miglioramento affidabilità, incremento dell’efficienza, minor costo dei motori, migliore capacità di riflessione degli specchi, accuratezza di inseguimento del sole, ed incremento della dimensione degli specchi.

2.4.2 Costo O&M E’ piuttosto difficile fare una previsione per i costi per il disco parabolico, poiché non sono stati ancora costruiti impianti di questo tipo su larga scala. Gli unici dati a disposizione sono quelli riportati dal PSA all’interno dei progetti EURODISH e HYPHIRE, che comunque riguarda solo il tipo sistema dish/Stirling. Lo studio ECOSTAR ha previsto, sempre per un impianto della potenza complessiva di 50 MWe, un costo di 11451 €2005/kWh senza considerare i costi di amministrazione; esso rappresenta circa il 2,8% del costo di capitale totale (circa 400 Ml €2005). L’impianto richiederebbe 30 persone, di cui 21 alla manutenzione del campo solare e 9 per la parte di potenza.

2.5 Sensitività e prospettive future A questo punto si vuole riassumere quanto detto in precedenza riguardo i 3 tipi di impianti distinguendo, come fatto prima, i costi di investimento ed i costi di O&M. In tutte le tipologie di impianti CSP, i captatori solari rappresentano i componenti più costosi, pertanto ci si orienterà più verso questo componente sicuramente più sensibile alle azioni intraprese per ridurre i costi. Riguardo il CSP parabolico lineare, va ricordato che il costo dell’investimento si basa sugli impianti commerciale SEGS (365 MWe, nessun accumulo), che opera dal 1989 in California che ha un costo 3947 US$2005/kW. Nella tabella 2.16 sono poste a confronto le previsioni a medio e lungo termine dei costi capitali dei due studi più recenti.

Tipo d’impianto Breve Termine Impianti Futuri Breve Termine Impianti Futuri

Anno di costruzione 2004 2020 2005 2020

Potenza 50 MWe 400 MWe 50 MWe 50 MWe

Accumulo 12 ore 12 ore 3 ore 3 ore

Costi di investimento 4816 $2003/KWe 2400 $2003/KWe 4200 €2005/KWe 2940 €2005/KWe

Fonte S&L 2003 ECOSTAR 2005

Tabella 2.16: Confronto fra i costi di investimento atteso per il CSP parabolico lineare.

Si nota chiaramente che uno prevede un calo del 30%, mentre l’altro del 50%. Per quel che riguarda il sistema a torre centrale, il riferimento rimane l’impianto dimostrativo Solar Two (USA), da cui poi deriva il Solar Tres costruito in Spagna (tabella 2.17). Infine si è effettuata l’analisi della tecnologia disco-Stirling prendendo come riferimento il progetto europeo HYPHIRE, che prevede un funzionamento di tipo ibrido dell’impianto disco-Stirling del progetto EURODISH. Il costo di investimento iniziale, riferito ai due sistemi effettivamente testati, è di 8035 €2005/KWe, mentre, ipotizzando l’influenza del R&D e l’aumento della taglia complessiva dell’impianto fino ai 50 MWe si stima una diminuzione di questa cifra fino a 3565 €2005/KWe.

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Tipo d’impianto

Solar Two Solar Tres USA

Solar Tres Spain

Solar Tres Spain

Impianto breve

termine Anno di costruzione

1996 Programmato 2007 2007 2010

Potenza 10 MWe 14 MWe 17 MWe 50 MWe 100 MWe

Accumulo 4 ore 16 ore 16 ore 16 ore 13 ore Costi di investimento

5570 $2003/KWe

7100 $2003/KWe

3708 €2005/KWe

2726 - 3152 €2005/KWe

3060 $2003/KWe

Fonte SANDIA 1996

S&L 2003 ECOSTAR 2005

ECOSTAR 2005

S&L 2003

Tabella 2.17: Evoluzione dei costi di investimento del Solar Two per il breve periodo.

Ponendo, invece, l’attenzione sui costi O&M, la seguente tabella 2.18 pone un confronto tra i valori relativi ai diversi sistemi CSP analizzati ipotizzando un investimento di breve periodo.

Parabolic Trough

Solar Tower

Hybrid Dish/Stirling

Caratteristiche dell’impianto 50 MWel 6 h autonomia

17 MWel

16 h autonomia 50 MWel

Anno di costruzione Breve termine Breve termine Breve termine

Vita operativa 30 anni 30 anni 30 anni

Costo totale di investimento 210 M€2005 241 M$2003

63 M$2003 400 M€2005

Costo specifico di investimento

4200 €2005/KWe 4816 $2003/KWe

3708 €2005/KWe 8035 €2005/KWe

Costi O&M 3609 k$2003/anno 4003 k€2005/anno

2832 k€2005/anno 11451 k€2005/anno

Frazione dei costi O&M in relazione al costo di investimento [%]

1.5 – 1.7 4.5 2.8

Ore di funzionamento a pieno carico per anno

2737 ore 2190 ore 2190 ore

Tabella 2.18: Confronto di impianti CSP previsto per il breve termine.

Si osserva chiaramente dalla tabella 2.18 che, per quel che riguarda i costi specifici di investimento, il sistema CSP più conveniente risulta essere quello parabolico lineare, ma i valori potrebbero cambiare prendendo in considerazione un numero di ore di funzionamento annuo differente. Per questo parametro sono stati scelti valori realistici, nonostante questi possano apparire troppo prudenti se comparati con quelli forniti da alcune fonti industriali.

A questo punto si può entrare maggiormente nel merito della sensitività: diversi studi hanno adoperato nelle analisi economiche il parametro LEC, cercando di prevederne il valore nel medio e nel lungo periodo, come il S&L ed il SunLab (figura 2.11).

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Figura 2.11: Andamento di sensitività sul LEC per differenti sistemi CSP (S&L e SunLab).

Le curve mostrano la capacità potenziale di riduzione dei costi per i sistemi di tipo parabolico lineare e a torre centrale. L’interesse, ora, è quello di verificare quali siano i parametri principali che hanno un impatto importante sulle stime dei costi. Le tabelle seguenti mostrano le proiezioni del LEC per un impianto a breve periodo e per future installazioni per i differenti tipi di CSP. In tutti i casi per i costi di O&M un assunzione del 3% del costo di capitale è stato fatto, nonostante gli impianti del passato hanno dimostrato che si possono ottenere valori anche più bassi. La tabella 2.19 mostra il LEC per il parabolico lineare, per i cui dati si rimanda alla tabella 2.6 per quel che riguarda i dati numerici di medio e lungo periodo.

Impianti breve termine

Impianti futuri

Potenza in uscita 50 MWel 50 MWel

Anno di costruzione Breve termine Medio termine

Vita operativa 30 anni 30 anni

Costo specifico di investimento 4200 €2005/KWe 2940 €2005/KWe

Frazione dei costi O&M in relazione al costo di investimento [%]

3 3

Ore di funzionamento a pieno carico per anno

2737 ore 2737 ore

A (produzione annua) [GWh/anno] 136.85 136.85

LEC [€2005/KWh] 0.158 0.110

Tabella 2.19: LEC per gli impianti di tipo parabolico lineare attuali e futuri.

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La figura 2.12, invece, mostra l’andamento del LEC al variare dei differenti parametri di input lasciando gli altri costanti.

Figura 2.12 Analisi di sensibilità del LEC per ogni variazione di input per il sistema parabolico lineare.

Il punto base, coincidente con l’intersezione di tutte le curve del grafico, corrisponde alla situazione mostrata nella tabella 2.19 precedente, di conseguenza, il valore del “100%” è collegato ad un LEC pari a 0.15 €2005/kWh. Gli input sono i costi di investimento specifico, le ore a pieno carico di funzionamento, la vita utile, il tasso di interesse ed i costi di O&M. Si nota chiaramente che il LEC è particolarmente influenzato dalla variazione delle ore di pieno carico e del costo specifico di investimento, mentre gli altri fattori giocano un ruolo minore. La stessa procedura è stata applicata per la torre solare (tabella 2.20) in cui si mostra il LEC relativo al breve ed al medio termine.

Impianti breve termine

Impianti futuri

Potenza in uscita 17 MWel 17 MWel

Anno di costruzione Breve termine Medio termine

Vita operativa 30 anni 30 anni

Costo specifico di investimento 3708 €2005/KWe 3060 $2003/KWe

Frazione dei costi O&M in relazione al costo di investimento [%]

3 3

Ore di funzionamento a pieno carico per anno

2190 2190

A (produzione annua) [GWh/anno] 30,66 219

LEC [€2005/kWh] 0.174 0.143

Tabella 2.20: LEC per impianti a torre solare attuali e future.

Riferendosi al caso rappresentato in tabella 2.20 la percentuale del “100%” coincide con un LEC pari a 0,174 €2005/kWh. Si nota come i parametri più influenti siano le ore di funzionamento a pieno carico e il costo specifico di investimento.

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Riguardo al disco solare, la principale differenza con altri sistemi CSP analizzati è che può essere considerato solo in modalità ibrida, di conseguenza va aggiunta, tra gli input, la voce “combustibile”. Secondo lo studio ECOSTAR il combustibile ha un valore base di partenza di 0.015 €/kWh.

Figura 2.13: Analisi della sensibilità del LEC per ognuno degli input considerati per il solar tower.

La tabella 2.21 indica il LEC per il disco solare per il breve ed il medio periodo, mentre la figura 2.14 mostra la variazione del LEC in funzione dei differenti parametri. Anche in questo caso si osserva come le ore di funzionamento a pieno carico e l’investimento specifico rappresentino le voci più importanti.

Impianti breve termine

Impianti futuri

Potenza in uscita 50 MWel 50 MWel

Anno di costruzione Breve termine Medio termine

Vita operativa 30 anni 30 anni

Costo specifico di investimento 8035 €2005/KWe 3565 $2003/KWe

Frazione dei costi O&M in relazione al costo di investimento [%]

3 3

Ore di funzionamento a pieno carico per anno

2190 2190

A (produzione annua) [GWh/anno] 30,66 219

LEC [€2005/kWh] 0.392 0.182

Tabella 2.21: LEC per impianti disco solare attuali e futuri.

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Figura 2.14: Analisi di sensibilità del LEC per ognuno degli input considerati per il sistema a disco solare.

2.6 Conclusioni sull’analisi dei costi Alla luce dell’analisi appena conclusa, si può riassumere in tabella 2.22, per le diverse tipologie di CSP fin qui studiate, l’impatto potenziale che le differenti innovazioni tecnologiche apportate ha sul parametro LEC espresso in termini differenziali. Dalla lettura della tabella traspare che:

1. I materiali dei nuovi riflettori dovrebbero avere basso costo e le seguenti caratteristiche:

• Buona resistenza all’aria aperta; • Alta riflettività solare (>92%) per onde lunghe; • Buona resistenza meccanica con lavaggio periodico delle componenti; • Basso coefficiente di opacità degli specchi (<15%).

2. Le strutture di supporto, invece dovranno possedere i seguenti requisiti:

• Basso peso; • Maggiore rigidezza; • Un inseguimento solare più accurato; • Assemblaggio semplificato; • Aumento delle dimensioni per una diminuzione dei costi unitari di

investimento

3. I sistemi di accumulo sono un secondo fattore chiave per la riduzione dei costi degli impianti solari. Il loro sviluppo è strettamente connesso alle peculiarità del sistema in questione in termini fluido termovettore adoperato e di temperatura richiesta. In generale i requisiti per gli accumulatori:

• Efficienza in termini di energia e perdite di exergia. • Basso costo • Lunga vita • Basse perdite parasitiche

Le sfide principali sono lo sviluppo di sistemi di accumulo per vapore ad alta pressione e aria ad alta temperatura e pressione che condurrebbero ad un significativo calo dei costi. Infatti si è sperimentato che in molti casi un aumento della temperatura operativa generi un miglioramento delle prestazioni del sistema.

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Tecnologia Priorità A ∆LEC Priorità B ∆LEC Priorità C ∆LEC

Basso costo sistema di 3-6% accumulo termico

Crescita temperatura 1-3% HTF

Parabolico lineare con olio diatermico

Struttura e assemblaggio 7-11% concentratore Riflettori e

assorbitori 2-6% avanzati

Riduzione perdite 2–3% parasitiche

Crescita della scala degli impianti 14% fino a 50 MWe

Accumulatori termici 3-6% avanzati

Crescita temperatura 1-3% HTF

Parabolico lineare DSG

Struttura e assemblaggio 7–11% concentratore

Riflettori e assorbitori 2-6% avanzati

Riduzione perdite 2–3% parasitiche

Crescita della scala degli impianti 3-11% fino a 50 MWe

SCR sali fusi

Struttura e dimensione 7–11% degli eliostati

Specchi riflettenti 2-6% avanzati

Accumulo avanzato 0-1%

Crescita della scala degli impianti 6-11% fino a 50 MWe

Vapore surriscaldato 6-10%

SCR Vapore diretto

Struttura e dimensione 7–11% degli eliostati

Accumulo avanzato 5-7%

Specchi riflettenti 2-6% avanzati

Crescita della scala degli impianti 8-14% fino a 50 MWe

Accumulo avanzato 5-7%

SCR aria atmosferica

Struttura e dimensione 7–11% degli eliostati

Crescita prestazioni 3-7% ricevitore

Specchi riflettenti 2-6% avanzati

Struttura e dimensione 7–11% degli eliostati

Specchi riflettenti 2-6% avanzati

SCR Hybrid TG

Inclusione accumulo 7-10% termico

Crescita della scala degli impianti 3-9% fino a 50 Mwe

Crescita prestazioni 1-2% ricevitore

Miglioramento disponibilità 8-11% e O&M

Aumento efficienza 2-6% motore

Ciclo Brayton invece del 6-12% ciclo Stirling

Riduzione costi 2-6% motore

Disco parabolico

Crescita della scala degli impianti 38% fino a 50 MWe

Aumento potenza 5-9% unitaria

Miglioramento inseguimento 0-1% specchi

Tabella 2.22: Impatto dell’innovazione tecnologica sul LEC.

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Capitolo 3

Il progetto ESTATE - LAB

3.1 Caratteristiche del progetto Il presente lavoro di tesi si inserisce all’interno di un più ampio progetto di ricerca denominato ESTATE-LAB, finanziato dal MIUR con la legge 297/99 e finalizzato allo svolgimento di attività di ricerca e di formazione. L’obiettivo del progetto è la realizzazione di un “Laboratorio pubblico-privato per lo sviluppo di tecnologie per l’energia solare termica ad alta temperatura”. Con questo progetto, si intende dimostrare la fattibilità della produzione in maniera efficiente, pulita e competitiva di energia elettrica a partire dalla fonte energetica solare attraverso la gestione termodinamica ad alta temperatura (550°C) dell’energia solare con l’adozione di un fluido termovettore gassoso. Le unita di ricerca coinvolte nel progetto sono:

• CRS4 (coordinatore del progetto) • Sardegna Ricerche • UNICA (Università degli studi di Cagliari): Dip.di Ingegneria Meccanica, Elettrica

ed Elettronica • R.T.M. S.p.A. • Sapio s.r.l.

Le strutture del laboratorio saranno realizzate presso gli ex edifici del CRS4 nella zona industriale di Macchiareddu (CA), mentre l’impianto sperimentale sarà realizzato all’interno dell’area industriale Syndial, come indicato nella foto di figura 3.1.

Figura 3.1: Indicazione delle aree destinate ai laboratori ed all’impianto.

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La scelta dell’ubicazione ha tenuto conto, soprattutto, dei parametri ambientali quali l’irraggiamento solare, il rapporto insolazione nuvolosità e la bassa presenza di particolato nell’aria. Il valore della radiazione solare diretta media annua riferita alla città di Cagliari si aggira introno ai 1800 kWh/m2, risultando tra i più elevati a livello nazionale come mostrato in figura 3.2.

Figura 3.2: Radiazione globale annua relativa al territorio italiano.

Il valore della radiazione conferma le potenzialità del sito, così come molte altre località dell’Italia meridionale, mentre, da un punto di vista climatico, il sito di Macchiareddu presenta un clima di tipo sub-tropicale con delle temperature medie mensili che variano da un valore minimo di 10°C a gennaio ai 25°C ad agosto con un valore medio annuo di 17°C. Le precipitazioni raggiungono i valori massimi nei mesi di ottobre e novembre con 56 mm, mentre il mese meno piovoso è luglio con 3 mm. In totale cadono mediamente ogni anno, sempre con riferimento a Cagliari ed hinterland, circa 430 mm di pioggia. Questi valori sono compatibili con un esercizio economicamente conveniente di una centrale solare termoelettrica e, quindi, è adatta anche alla sperimentazione di centrali innovative di questo tipo. I problemi maggiori derivano dalla ventosità tipica della Sardegna che se da un lato contribuisce ad una minore presenza di particolato nell’aria, dall’altro costituisce un problema per la stabilità degli specchi e la precisione della riflessione nel punto focale. Da un punto di vista logistico, il sito si trova all’interno di una vasta area pianeggiante industrialmente attrezzata e ben servita dal porto industriale e dalle ferrovie.

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3.2 La radiazione solare disponibile Come detto in precedenza, il sito di Macchiareddu è interessato da una quantità di energia solare annua disponibile che soddisfa i valori minimi necessari per la convenienza economica di questa tipologia di impianti. La norma UNI 10349 [46] riporta, per le principali città italiane, diversi dati climatici, fra cui anche l’insolazione media giornaliera al suolo su superficie orizzontale EO, nonché la sua componente diffusa EO,DF, mentre la componente diretta EO,DR si calcola per semplice differenza. Le leggi che legano l’insolazione oraria globale e diffusa ai corrispondenti valori giornalieri risultano così definite:

DDFODFO

TOO

REG

REG

⋅=⋅=

,,

dove i fattori RT e RD sono espressi in funzione dell’angolo orario. I valori massimi giornalieri della radiazione oraria sul piano orizzontale, calcolati secondo la metodologia precedente, partendo dai dati UNI riguardanti la città di Cagliari, si verificano nel mese di luglio, con picchi di oltre 900 W/m2, mentre nel mese di dicembre i valori massimi orari della radiazione globale sono pari a circa 300 W/m2. Per quanto concerne la componente diretta della radiazione solare, i valori massimi dei mesi di luglio e dicembre sono rispettivamente pari a circa 710 W/m2 e 175 W/m2. I sistemi solari a concentrazione sono in grado di utilizzare solo la componente diretta della radiazione solare e sono sempre equipaggiati con dispositivi di inseguimento della traiettoria solare al fine di massimizzare l’energia captata. I dispositivi di inseguimento della traiettoria solare possono essere a due gradi di libertà (inseguimento completo, adottato dai sistemi a disco e da quelli a torre) o ad un solo grado di libertà, tipico del collettori parabolici lineari, i quali sono dotati di un sistema di movimentazione che ne consente la rotazione intorno all'asse focale. I collettori parabolici lineari sono disposti prevalentemente con l'asse focale orizzontale, allineato lungo la direzione Nord-Sud e con movimento di rotazione da Est a Ovest nel corso della giornata. In alternativa, è anche possibile installare i collettori con l'asse focale orizzontale allineato lungo la direzione Est-Ovest e con rotazione Nord-Sud, nonché con asse focale parallelo all'asse polare terrestre e con inseguimento Est-Ovest. Nota la traiettoria solare in funzione della località, dell'ora del giorno e del giorno dell'anno, è possibile valutare l'angolo di incidenza della radiazione rispetto al piano orizzontale, ovvero l’altezza solare α:

( ) ( ) ( ) ( ) ( ) ( )hLL coscoscossinsinsin ⋅⋅+⋅= δδα dove L è la latitudine, δ la declinazione solare e h l’angolo orario che si ricavano utilizzando specifiche correlazioni disponibili in letteratura [47]. La radiazione diretta incidente su una superficie normale alla direzione dei raggi solari GN,DR, chiamata più comunemente DNI (Direct Normal Irradiation), risulta legata alla radiazione diretta sul piano orizzontale GO,DR attraverso la relazione:

( )αsin,

,DRO

DRN

GG =

La GN,DR rappresenta pertanto la radiazione diretta captata da un collettore solare con inseguimento a doppio asse; nel caso di collettori ad un solo grado di libertà, la radiazione

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disponibile risulta ovviamente minore e si può calcolare a partire dai valori della radiazione normale diretta e dall'angolo di incidenza i rispetto alla superficie, ovvero l’angolo compreso fra la normale al piano considerato e la direzione dei raggi solari. La radiazione solare diretta GDR incidente sul piano considerato vale pertanto:

( )iGG DRNDR cos, ⋅=

L'angolo di incidenza dipende, a sua volta, dalla posizione del sole e dall’orientamento del piano considerato. Per i collettori parabolici, la disposizione con asse focale orizzontale, orientato lungo la direzione Nord-Sud e con inseguimento lungo la direzione Est-Ovest, appare quella più opportuna. In questo caso, la legge oraria del moto di rotazione del collettore durante il giorno è un semplice moto circolare uniforme con velocità angolare di 15 gradi/ora, pari alla velocità angolare apparente del moto del Sole e l’angolo di incidenza risulta pari a:

( ) ( ) ( ) ( ) ( )[ ]hhi 2sincoscossincos ⋅+⋅= δα Tale sistema di inseguimento consente di captare circa 1300 kWh/m2 (pari all'86% circa della DNI), valore notevolmente superiore ai circa 910 kWh/m2 (pari al 60% circa della DNI) relativi alla disposizione con asse focale orizzontale, orientato lungo la direzione Est-Ovest e con inseguimento lungo la direzione Nord-Sud. Risultati migliori si potrebbero ottenere peraltro disponendo l'asse focale parallelo alla polare terrestre (la captazione dell'energia sarebbe pari a circa il 96% della DNI), ma a prezzo di notevoli complicazioni impiantistiche e maggiori ombreggiamenti reciproci fra le diverse file di collettori. La figura 3.3 riporta la radiazione oraria diretta per un collettore con inseguimento Est-Ovest, valutata a partire dai dati delle norme UNI 10349. Come si evince dalla figura, tale modalità di inseguimento conduce ad un profilo giornaliero piuttosto squadrato, e quindi con modeste variazioni nel corso della giornata, soprattutto nei mesi invernali (da novembre a febbraio la radiazione captata dal collettore è infatti praticamente costante per tutta la durata della giornata).

0

100

200

300

400

500

600

700

800

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24

Ore del giorno [h]

Rad

iazi

one

inci

dent

e (E

O) [

W/m

2 ] Gennaio

Febbraio

Marzo

Aprile

Maggio

Giugno

Luglio

Agosto

Settembre

Ottobre

Novembre

Dicembre

Figura 3.3: Radiazione normale diretta sul piano di un collettore parabolico con inseguimento E-O per la

città di Cagliari. Inoltre, si nota che il picco massimo di radiazione si raggiunge a luglio con un valore massimo di 732 W/m2, mentre il minimo picco si attesta su un valore di 176 W/m2, pur tenendo conto che si tratta di valori medi mensili. E’, però, chiaro che gli effettivi profili

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giornalieri della radiazione solare, per ciascun mese dell'anno, potranno discostarsi in misura più o meno marcata dagli andamenti medi. La radiazione diretta sul piano di un collettore parabolico può raggiungere, in effetti, valori molto elevati anche nei mesi invernali: ad esempio, nei mesi di dicembre e gennaio 2005, i massimi valori della radiazione sono stati pari a circa 500-600 W/m2, ovvero, quasi tripli rispetto ai corrispondenti valori massimi giornalieri calcolati come media mensile. I picchi di radiazione nei mesi invernali e autunnali sono, tuttavia, limitati a poche ore mensili, mentre tale differenza risulta molto meno rilevante nei mesi estivi.

3.3 L’impianto sperimentale e gli obiettivi del progetto L’impianto solare termodinamico che sarà costruito a Macchiareddu si può suddividere in 3 parti principali secondo lo schema semplificato di figura 3.4:

1. Sezione di captazione dell'energia solare, basata su collettori parabolici lineari a concentrazione che utilizzano un fluido termovettore di tipo gassoso.

2. Sezione di accumulo termico, basata sullo scambio termico tra il fluido termovettore di tipo gassoso e materiale solido ad alta capacità termica per lo stoccaggio dell'energia in esubero rispetto alle richieste dell'utenza;

3. Sezione di scambio termico, basata su uno scambiatore di calore gas/gas che accoppia il sistema di captazione della radiazione solare ed il sistema di accumulo termico.

Figura 3.4: Schema semplificato dell’impianto solare termodinamico di Macchiareddu (CA).

Il principio di funzionamento dell’impianto è molto semplice, perché, durante il giorno, il compressore C1 alimenterà con il gas a bassa temperatura (150°C) i collettori solari, assorbendo energia fino a portarsi in uscita alla massima temperatura di progetto (550°C). Il gas ad alta temperatura alimenterà l’utenza per soddisfare le esigenze del carico ed eventualmente la sezione di accumulo termico che tenderà a caricarsi progressivamente al passare del tempo. Durante la notte, invece, il campo solare non è attivo e viene isolato dal resto dell’impianto, ma, mediante il compressore C2, si utilizza l’energia termica accumulata durante il giorno alimentando dal basso l’accumulatore termico con il fluido a bassa temperatura fino a portarsi in uscita ai valori di temperatura richiesti dall’utenza. Uno dei principali elementi di novità presenti nel progetto ESTATE-LAB è costituito dall’impiego di un fluido termovettore gassoso, anziché liquido, come l’olio diatermico o i sali fusi finora adoperati negli impianti esistenti. Nel caso degli impianti che utilizzanol’olio diatermico, ai vantaggi derivanti dall’elevata capacità termica del liquido,

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si contrappongono i vincoli sulla massima temperatura operativa raggiungibile che, come noto, non può superare i 400°C con inevitabili limitazioni sul rendimento. Problemi analoghi si riscontrano anche con l’impiego dei sali fusi, che pur consentendo il raggiungimento di temperature più elevate, intorno ai 550°C, presentano, una temperatura di solidificazione elevata (290°C) che limita l’intervallo di temperatura operativo dell’impianto con il pericolo che l’abbassamento eccessivo della temperatura determini la solidificazione del fluido e danni all’impianto. Dal punto di vista dell’impatto ambientale, che la dispersione in atmosfera del fluido termovettore può causare, si rileva che un fluido gassoso inerte è superiore all’olio diatermico che è infiammabile ed altamente inquinante, mentre i sali fusi sono da questo punto di vista meno pericolosi in quanto sono ampiamente adoperati come fertilizzanti in agricoltura. I vantaggi derivati dall’uso di un fluido gassoso si manifestano anche nella scelta del tipo di accumulo termico, che rappresenta il secondo elemento di novità introdotto dal progetto ESTATE-LAB per questa tipologia di impianti. Esso è costituito da sfere di materiale ceramico che accumulano il calore ceduto dal gas termovettore con cui viene a contatto durante il funzionamento, determinando un profilo di temperatura lungo il serbatoio definito termoclino. Gli impianti che adoperano l’olio diatermico come fluido termovettore, utilizzano un secondo fluido per l’accumulo (in genere sali fusi) con l’inserimento di uno scambiatore di calore che comporta complicazioni impiantistiche e ulteriori perdite termiche. Gli impianti a sali fusi, come quello di Priolo Gargallo (SR), invece, possono utilizzare lo stesso fluido sia per il processo sia per l’accumulo, ma questo richiede la presenza di due serbatoi (hot tank e cold tank) e l’esigenza di non scendere al di sotto della temperatura di solidificazione dei sali fusi. Da un punto di vista puramente operativo, invece, la tecnologia adottata nel progetto ESTATE-LAB non presenta alcun tipo di problema, se non quello legato alle dispersioni termiche a cui si può ovviare con un buon sistema di coibentazione esterna. Riassumendo, il fluido termovettore gassoso e la tipologia di accumulo termico adottata rappresentano due importanti elementi di innovazione, volti da un lato a migliorare l'efficienza di raccolta, accumulo e conversione dell'energia solare e dall'altro a ridurre i costi associati alla realizzazione dei singoli componenti e dell'intero impianto. L’impianto solare ESTATE-LAB, essendo un prototipo sperimentale, è costituito da 3 sole linee di specchi parabolici della lunghezza di 100 metri ciascuno. I tubi assorbitori dovranno permettere l'utilizzo di fluidi gassosi ad alta temperatura , per cui saranno impiegati i captatori solari brevettati dall’ENEA costruiti appositamente per questo particolare tipo di utilizzo. Gli specchi avranno un’apertura di 5,76 m ed una distanza focale pari a 1.61 m, caratteristiche del tutto equivalenti a quelle degli specchi attualmente presenti sul mercato. La superficie complessiva di raccolta risulterà pertanto pari a 1635 m2, mentre la distanza fra le tre file di specchi è di 17,5 m e l'intero impianto occuperà una superficie di circa 14000 m2. La potenza massima che il campo solare potrà generare è pari a circa 1 MWth in corrispondenza di una radiazione solare incidente pari a 800 W/m2 (tab. 3.1).

Parametro Valore numerico

Temperatura massima del gas termovettore 550°C

Temperatura minima del gas termovettore 150°C

Pressione max. operativa gas termovettore 20 bar

Potenza max. del campo solare 1 MWth

Energia termica massima accumulabile nel serbatoio 3 MWhth

Potenza massima dello scambiatore dissipativo gas-aria 500 kW Tabella 3.1: Parametri tecnici dell’impianto solare termodinamico di Macchiareddu.

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Fissata la potenza che il campo solare è in grado di generare si può calcolare la potenza richiesta dall’utenza e la dimensione dell’accumulatore termico adottando il criterio del multiplo solare. Il multiplo solare (SM) è dato dal rapporto tra la potenza termica prodotta dal campo solare in condizioni nominali di irraggiamento e la potenza nominale richiesta dal blocco di potenza [45]. Nota la potenza termica generata dal campo solare, fissato un multiplo solare pari a 2, è chiaro che la potenza nominale richiesta dall’utenza sarà pari a 500 kW. Inoltre, se il sistema di accumulo termico deve essere in grado di generare la potenza termica richiesta dall’utenza per 6 ore consecutive, l’accumulatore termico deve poter garantire un accumulo di energia di almeno 3 MWh. Per determinare le dimensioni di massima del volume di accumulo, si può considerare un materiale solido per l’accumulo termico avente una densità di 2500 kg/m3 ed una capacità termica di 900 J/kgK. In tal caso, si ottiene un volume del serbatoio pari a;

( ) ( )317

11mV

TC

EV

VM

TCME

p

p =⇒∆⋅⋅−⋅

=⇒

−⋅⋅=

∆⋅⋅=ερερ

Nel caso si optasse per un unico serbatoio di accumulo, questo volume si può ottenere considerando un contenitore di forma cilindrica avente 2 m di diametro e 5,5 m di altezza. Tale risultato ha ipotizzato che tutto il materiale di accumulo subisse un salto termico ∆T pari a 400°C (differenza tra la temperatura massima e minima prevista dal progetto) e che il grado di vuoto del serbatoio fosse pari al 30%. Per quel che riguarda, invece, la presenza di un’utenza che possa simulare il carico termico, il progetto prevede l’introduzione di un semplice scambiatore di calore gas- aria, in quanto al momento non è disponibile un impianto a vapore per la produzione di energia elettrica. Inoltre, gli obiettivi principali del progetto ESTATE-LAB intendono dimostrare la fattibilità di impianti solari operanti con un fluido termovettore gassoso ad alta temperatura , e la possibilità di accumulare e restituire energia termica ad alta temperatura in modo efficiente utilizzando metodi di gestione ottimizzata dell’impianto solare..

3.4 Schema dettagliato dell’impianto solare termodinamico In questo paragrafo si vuole descrivere in maniera dettagliata l’impianto solare termico a concentrazione di tipo dimostrativo che si intende realizzare a Macchiareddu (CA). Iniziando dalla sezione di accumulo termico, va sottolineato il fatto che sarà composta da 3 serbatoi aventi una capacità unitaria di 1 MWh che complessivamente garantiranno i 3 MWh necessari. Per quel che riguarda il campo solare sono confermate le 3 linee di specchi parabolici così come l’utenza è rappresentata da uno scambiatore del tipo gas-aria, il tutto naturalmente coadiuvato da un sistema di controllo e misura. I diversi componenti saranno collegati fra loro da linee di tubazioni adeguatamente dimensionate e coibentate; con riferimento alla figura 3.5, si avrà una linea ad alta temperatura che collegherà l’uscita degli specchi TR con gli ingressi dei serbatoi di accumulo ACC e, questi ultimi, con lo scambiatore gas-aria ed una linea a bassa temperatura che unirà le uscite degli accumulatori con lo scambiatore e gli ingressi degli specchi. L’impianto sarà dotato di un sistema di stoccaggio del gas in bombole necessarie per effettuare il caricamento iniziale del circuito e per ripristinare eventuali perdite e fughe del gas dal circuito. L’alimentazione del circuito sarà regolata da una valvola di pressione PR e da una valvola di intercettazione V7 a comando manuale e/o elettrico per l’interruzione dell’alimentazione del circuito da parte del sistema di stoccaggio. Si può, inoltre, prevedere

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la presenza di una o più valvole di sfiato per la depressurizzazione di specifiche parti del circuito o dell'intero impianto.

Figura 3.5: Schema dettagliato dell’impianto sperimentale.

Il circuito è corredato da numerose valvole di intercettazione V che permettono di escludere alcune parti del circuito in modo da ottimizzare il funzionamento dell’impianto ai carichi parziali utilizzando, per esempio, solo una parte dei componenti del sistema di accumulo e/o di quello di captazione. La circolazione del fluido termovettore viene ottenuta per mezzo di un compressore C1, mentre, l’alimentazione delle linee di specchi ed il suo funzionamento saranno determinati dalle condizioni che si dovranno realizzare durante tutte le fasi di captazione dell’energia solare. Un secondo compressore C2 è, invece, dedicato alla circolazione del gas tra il sistema di accumulo e l’utilizzatore e quindi il suo funzionamento sarà regolato dal processo di scarica che dovranno subire gli accumulatori e dalle specifiche esigenze dell’utenza. Per determinare le varie modalità di funzionamento del circuito, controllare, monitorare e regolare le grandezze che concorrono direttamente a determinare le prestazioni dell’impianto, si utilizzerà un opportuno sistema di controllo unitamente a specifici strumenti di misura adeguatamente inseriti nelle diverse parti dell’impianto. Le principali grandezze da controllare sono la pressione e la temperatura del fluido termovettore che come osservato nell’analisi delle prestazioni del collettore solare influenzano le prestazioni globali: la temperatura in ingresso ed uscita dai collettori influenza le prestazioni termiche, mentre la pressione operativa incide sul lavoro di pompaggio dei compressori. Tali grandezze saranno controllate agendo sulla portata massica del fluido che costituisce, pertanto, la principale grandezza regolante del sistema. Essa potrà essere modificata agendo sia sulle modalità di funzionamento dei compressori (regolazione della velocità di rotazione), sia intervenendo sul grado di apertura di alcune valvole regolatrici della portata VR. La misura della portata verrà comunque effettuata in diverse zone del circuito sia per le esigenze di monitoraggio del funzionamento dell’impianto e di valutazione delle sue prestazioni sia per ottenere le informazioni necessarie per un controllo predittivo della temperatura che è condizionata dall’entità della radiazione solare incidente. In tal modo le misure della radiazione solare diretta con un piranometro S e delle portate con misuratori a diaframma D consentiranno di prevedere anticipatamente la regolazione da effettuare ancor prima che le misure di temperatura, che sono generalmente influenzate dalle inevitabili inerzie termiche del sistema, indichino la necessità di una regolazione. Le valutazioni energetiche relative al sistema di accumulo richiederanno la misura della portata non solo

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durante la fase di stoccaggio dell’energia (carica), ma anche durante la sua restituzione all’utenza (scarica). Poiché queste due condizioni di funzionamento necessitano l’inversione del flusso lungo le linee di collegamento degli accumulatori, i misuratori di portata MV dovranno assicurare una misura accurata della portata con entrambe le modalità di funzionamento.

3.5 Modalità di funzionamento dell’impianto L’impianto solare potrà operare secondo diverse modalità di funzionamento nell’arco di una stessa giornata, pertanto, anche il prototipo sperimentale dovrà essere configurato in modo da realizzare le differenti condizioni di funzionamento dei singoli dispositivi presenti nel circuito. In particolare, si possono considerare le seguenti modalità di funzionamento:

1. Fase di avviamento e arresto dell’impianto; 2. Fase di accumulo termico; 3. Fase di sola generazione da campo solare; 4. Fase di sola generazione da accumulo termico; 5. Fase combinata di accumulo e generazione dal solo campo solare; 6. Fase di generazione combinata dal campo solare e dal sistema di accumulo termico;

3.5.1 Fase di avviamento e arresto dell’impianto L’avviamento è una fase transitoria di funzionamento dell’impianto che quindi si estende per un intervallo di tempo abbastanza limitato rispetto al suo intero periodo di funzionamento giornaliero. Esso si presenta, principalmente, nelle primissime ore di insolazione della giornata e in quelle corrispondenti al tramonto del sole, in quanto caratterizzate da una bassa radiazione solare. Questa condizione di funzionamento va, comunque, prevista in tutte quelle situazioni in cui la radiazione solare è insufficiente a garantire le condizioni di progetto, ovvero, una temperatura di 550°C del fluido in uscita dalla linea di collettori solari. Vanno quindi considerate anche le possibili situazioni in cui la presenza di nuvolosità momentanea o prolungata possano ridurre l’insolazione istantanea. In definitiva, si può considerare una fase di avviamento cosiddetta “a freddo” ed una “a caldo”. L’avviamento a freddo si presenta ad esempio quando il fluido termovettore e, quindi, tutto l’impianto si trovano nelle condizioni di temperatura ambiente o a valori molto bassi rispetto alla temperatura di progetto in ingresso ai collettori (150-200°C). Infatti, quando la temperatura del fluido in ingresso alla linea dei collettori è particolarmente bassa, quella in uscita risulterà , in ogni caso, inferiore a quella di progetto anche quando la portata del fluido è pari a quella minima realizzabile. L’avviamento a caldo, invece, si verifica quando non si riescono a realizzare le condizioni di temperatura richieste in uscita dai collettori, benché la temperatura in ingresso sia quella di progetto. Infatti, pur operando con le portate minime ammesse, le specifiche del gas caldo non possono essere rispettate se l’energia solare captata è troppo bassa. Queste condizioni di funzionamento si presenteranno, quindi, prevalentemente durante i periodi invernali e di accentuata nuvolosità oltre che nelle ore iniziali e finali della giornata. La gestione di queste condizioni può avvenire con diverse modalità: la prima e, forse, anche la più semplice, è quella che prevede l’arresto del sistema e quindi la rinuncia della captazione dell'energia solare quando essa è insufficiente a garantire le condizioni di progetto. Questo tipo di regolazione non è, però, adatta per gestire le condizioni di

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funzionamento caratterizzate dalla presenza di una nuvolosità intermittente che porti alle condizioni citate in precedenza. Rispetto alla soluzione di tipo ON/OFF, tali condizioni di funzionamento possono essere adeguatamente gestite con la regolazione continua della portata sia intervenendo sulla velocità di rotazione del compressore C1 sia agendo sulla valvola di regolazione VR1, per generare una specifica portata di bypass dall’uscita dei collettori verso il loro ingresso. In relazione alle diverse condizioni di funzionamento che si presentano, i due interventi appena citati possono essere applicati sia singolarmente che contemporaneamente. Se, ad esempio, la radiazione incidente non è sufficiente per ottenere il valore di temperatura in uscita dai collettori, si può decidere di agire sulla velocità di rotazione del compressore C1 in modo da realizzare una portata elevata che favorisca il raggiungimento della temperatura di 150-200 °C in uscita dai collettori. In questo caso, tutta la portata verrebbe ricircolata verso l’ingresso dei collettori in modo da permettere il rapido innalzamento della temperatura del gas all’uscita degli stessi ed il circuito sarebbe limitato alla linea degli specchi e alla linea di ricircolo AB (fig. 3.6). La valvola di regolazione VR1 presente su questo ramo risulterebbe completamente aperta e la parte di captazione del circuito sarebbe totalmente isolata, a mezzo della valvola di intercettazione V1, dalla restante parte del circuito. Secondo questa modalità di funzionamento, il circuito chiuso che si verrebbe a realizzare permetterebbe in brevissimo tempo, al solo gas ivi contenuto, di raggiungere le condizioni di progetto in uscita dai collettori (550°C), ma ciò non consentirebbe una semplice transizione verso le condizioni di regime in cui intervengono anche il sistema di accumulo e/o l’utilizzatore. Una soluzione che può rendere graduale il passaggio dalla fase di avviamento a quella di regime consiste nell’introdurre la linea di bypass AB contestualmente alla fase di accumulo, limitandola, però, ad un solo serbatoio. In questo caso, chiudendo la valvola V1 il fluido può essere opportunamente suddiviso fra la linea di bypass AB e l’accumulatore ACC1 in modo che la temperatura del fluido in B assuma il valore opportuno da permettere il raggiungimento del valore desiderato in uscita dai collettori, compatibilmente con la portata evolvente nel circuito. Tale condizione si otterrà miscelando la portata ad alta temperatura dalla linea di bypass regolata dalla valvola VR1 con quella più fredda proveniente dall’uscita dell’accumulatore ACC1. Pertanto, all’aumentare della radiazione incidente sui collettori o della temperatura del fluido in uscita dall’accumulo, se si è nelle condizioni di avviamento a freddo, si può progressivamente ridurre la portata di bypass fino alla chiusura completa della valvola VR1, una volta che siano state raggiunte le condizioni di regime del sistema.

B

A

S

VR2

TR3 TR2 TR1

MV1

C1

D3 D2 D1

V6 V5 V4

V1

CV4

CV3

CV2CV1

AC

C. 1

VR1

Figura 3.6: Schema dell’impianto sperimentale interessato alla fase di avviamento.

Affinché tale regolazione sia efficace, non è, però, sufficiente intervenire unicamente sulla valvola VR1 poiché, una volta fissata la portata elaborata dal compressore C1, la sua suddivisione fra il ramo di bypass e quello dell’accumulo può avvenire esclusivamente in

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virtù delle loro perdite di carico. Poiché le perdite di carico attraverso il serbatoio di accumulo solo in genere molto basse per effetto delle ridotte velocità con cui esso viene attraversato, ne consegue che la regolazione della VR1 può avere scarsi effetti sulla portata di bypass, pertanto, tutta la portata tenderebbe a percorrere l’accumulatore ACC1, rendendo inefficace il controllo del bypass. Per equilibrare le perdite su queste due linee, che definiscono in sostanza un partitore di portata, occorrerà inserire una seconda valvola di regolazione VR2 anche sul ramo dell’accumulatore ACC1 (fig. 3.6).

3.5.2 Fase di accumulo termico Una possibile condizione di funzionamento dell’impianto è quella che prevede di fornire tutta l’energia captata dai collettori al sistema di accumulo termico senza, quindi, che l’utilizzatore venga in alcun modo interessato al flusso di energia (utenza staccata). Si tratta di una delle possibili fasi operative a regime del sistema (valvola VR1 completamente chiusa e valvola VR2 completamente aperta) e può interessare il singolo serbatoio di accumulo o tutti i serbatoi contemporaneamente in relazione alle strategie di gestione che si intendono considerare. Per ottenere questa condizione di funzionamento, la valvola V3 deve essere chiusa per evitare che il fluido termovettore giunga all’utenza, mentre le altre valvole di intercettazione V1 e V2 possono risultare entrambe aperte se si desidera operare contemporaneamente con tutti e 3 i serbatoi, oppure, si chiuderà la valvola V2 per effettuare l'accumulo solamente con i serbatoi ACC1 e ACC2, oppure risulteranno entrambe chiuse se si preferisce l’accumulo con il singolo accumulatore ACC1 (fig. 3.7).

B

A

S

VR1TR3 TR2 TR1

MV2 MV3D4

C1

D3 D2 D1

V6 V5 V4

V3V2V1

CV4

CV3

CV2CV1

AC

C. 3

AC

C. 2

AC

C. 1

MV1

VR2

Figura 3.7: Schema dell’impianto sperimentale interessato alla fase di accumulo.

Il controllo delle condizioni di funzionamento del circuito, al variare della radiazione incidente, avviene misurando la temperatura del fluido in ingresso ed uscita dai collettori e modificando la portata del gas agendo sulle condizioni di funzionamento del compressore C1.

3.5.3 Fase di sola generazione da campo solare Normalmente, questa condizione si realizza quando la potenza termica captata è inferiore (o uguale) alla potenza nominale dell’utenza (fig. 3.8). Per realizzare questa modalità di funzionamento, il campo solare deve fornire in modo diretto ed esclusivo il fluido ad alta temperatura all’utilizzatore eliminando, quindi, la fase di accumulo. Questa modalità richiede quindi la presenza di valvole di intercettazione lungo le linee che portano agli accumulatori, che dovranno risultare chiuse. In alternativa, è possibile realizzare delle linee ausiliarie che colleghino direttamente l’utenza con il campo solare sia nel lato ad alta

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temperatura che in quello a bassa temperatura, evitando in tal modo anche il funzionamento del compressore C2 sulla linea di ritorno del gas dallo scambiatore gas-aria.

Figura 3.8: Schema dell’impianto sperimentale interessato alla fase di generazione dal campo solare.

Infatti, con riferimento allo schema riportato in figura 3.8, lo scambiatore gas-aria potrà essere alimentato direttamente dal campo solare chiudendo le valvole V3, V4, V8 e V9 e aprendo contemporaneamente le valvole V10 e V11. Le condizioni di funzionamento, secondo le esigenze dell’utilizzatore, saranno, ancora una volta, garantite intervenendo solo sulle condizioni di funzionamento del compressore C1.

3.5.4 Fase di sola generazione da accumulo termico Com’è noto, la radiazione solare non è disponibile in modo continuativo per tutto l’arco della giornata, mentre, in genere, le utenze hanno esigenze di tipo continuo. Queste differenti caratteristiche che contraddistinguono il sistema di generazione solare rispetto a quelle dell’utilizzatore dell’energia termica, pongono seri problemi di accoppiamento dei due apparati. In questi casi, è fondamentale avere un adeguato sistema di accumulo termico (TS, Thermal Storage) per poter gestire le richieste dell’utenza durante le condizioni di bassa o totale assenza di irraggiamento solare. Pertanto, in caso di giornate particolarmente nuvolose o nelle ore notturne e quelle iniziali del mattino, è necessario far ricorso al sistema di accumulo termico per garantire le richieste dell’utenza. In questo caso il sistema deve prevedere l’isolamento del campo solare dal resto dell’impianto, sia attraverso l’intercettazione del fluido mediante la valvola V4, sia orientando opportunamente gli specchi in modo da evitare l'eccessivo innalzamento della temperatura del fluido termovettore contenuto all’interno del tubo ricevitore. La parte del circuito interessata dal flusso è rappresentata in figura 3.9 e comprende il sistema degli accumulatori termici e lo scambiatore gas-aria.

Figura 3.9: Schema dell’impianto durante la fase di sola generazione dal sistema di accumulo termico.

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Il flusso, in questo caso, è realizzato dal compressore C2 le cui condizioni di funzionamento saranno determinate dalle esigenze dell’utenza in termini di temperatura massima del fluido termovettore in ingresso allo scambiatore o dalla potenza termica richiesta Questa condizione di funzionamento può prevedere l’impiego di tutto il sistema di accumulo o solo di una parte intervenendo opportunamente sulle valvole di intercettazione V1, V2 e V3. Quando queste sono tutte aperte l’intero sistema di accumulo alimenterà l’utilizzatore, mentre chiudendo la valvola V1 risulteranno operativi solo gli accumulatori ACC2 e ACC3. Se invece si decide di utilizzare solo l’energia accumulata nel serbatoio ACC3 basterà mantenere aperta solo la V3 e chiudere sia la V1 che la V2.

3.5.5 Fase combinata di accumulo e generazione dal solo campo solare Nelle ore centrali della giornata, caratterizzate di norma da una elevata radiazione diretta, specialmente durante la stagione estiva, il campo solare può fornire una elevata energia termica da risultare addirittura superiore a quella richiesta in quel momento dall’utenza. In tal caso l’energia captata dal ricevitore lineare che andrà, innanzitutto, a soddisfare l’energia richiesta dall’utenza dovrà essere in parte accumulata. L’intero impianto sarà, quindi, interessato dal flusso termico ed entrambi i compressori C1 e C2 si troveranno ad operare anche se ovviamente con differenti portate. Infatti, C1 elaborerà la portata richiesta dai collettori in relazione alle condizioni di irraggiamento solare mentre C2 elaborerà solo la portata necessaria a soddisfare il carico termico dell'utenza. Pertanto, controllando la velocità di rotazione del compressore C2, si riuscirà a fissare la portata e quindi il carico termico dell’utilizzatore, mentre il compressore C1 sarà regolato in funzione delle esigenze del campo solare (temperatura massima del gas). Considerando la parte del fluido destinata all’accumulo, può essere opportuno stabilire il numero ed eventualmente quali serbatoi devono essere impegnati per l’accumulo. Per poter escludere uno o più serbatoi, il modo più semplice sarebbe quello di agire sulle valvole di intercettazione. La disposizione delle valvole V1, V2 e V3 di cui agli schemi precedenti non consente, però, tale modalità in quanto esse sono disposte sulla linea che alimenta lo scambiatore gas-aria dell’utenza, per cui, agendo su tali valvole, si impedirebbe al fluido di raggiungere l'utenza. Si rende necessaria una modifica alla disposizione di tali valvole in modo da rendere più flessibile il funzionamento dell’intero circuito. La soluzione adottata prevede il loro posizionamento dal lato della linea a bassa temperatura sul ramo di collegamento con i singoli serbatoi secondo lo schema riportato in figura 3.10. Con questa configurazione è possibile escludere uno o più serbatoi dalla fase di accumulo intercettando le rispettive linee di collegamento con le valvole V1, V2 e V3. D’altra parte, se le tre valvole venissero tenute chiuse il sistema si ritroverebbe nella configurazione di semplice generazione dal campo solare che è stata analizzata in precedenza.

Figura 3.10: Schema dell’impianto per fase combinata di accumulo e generazione dal solo campo solare.

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Come si può notare la nuova configurazione di figura 3.10 permette di evitare l'impiego delle linee ausiliarie di alimentazione secondo quanto proposto nello schema precedente di figura 3.8, ma, altresì, richiede l’azionamento del compressore C2 per il corretto funzionamento del circuito. Nel caso di sola generazione dal campo solare, però, la sua regolazione seguirà quella applicata al compressore C1 dovendo entrambi operare can la medesima portata. In tal caso, se i compressori C1 e C2 sono uguali, la velocità di C2 è pari a quella del compressore C1 a cui si somma una correzione di velocità dipendente dal valore di pressione a valle di C2. E' comunque sempre possibile impiegare la linea ausiliaria posta sul lato a bassa temperatura per escludere l'intervento del compressore C2 (figura 3.10). Se invece venisse chiusa la valvola V10 od eventualmente la V9 in figura 3.10, si realizzerebbe la configurazione tipica della fase di solo accumulo dal campo solare. Anche in questo caso, intervenendo sulle valvole V1, V2 e V3 si può stabilire quali serbatoi utilizzare per l’accumulo termico.

3.5.6 Fase di generazione combinata dal campo solare e dal sistema di accumulo termico L’ultima possibile configurazione di funzionamento dell’impianto è quella che prevede la fase di generazione alimentando contemporaneamente l’utenza sia dal campo solare che dai serbatoi dell'accumulo termico. Questa modalità di funzionamento si verifica quando l’energia termica prodotta dal campo solare non è sufficiente per soddisfare le esigenze dell’utenza e, quindi, deve essere integrata prelevando la quota parte mancante dal sistema di accumulo. Lo schema d’impianto che può realizzare anche questa modalità di funzionamento è mostrato in figura 3.11 e coincide sostanzialmente con quello di figura 3.10. La principale differenza che si può riscontrare è rappresentata dalle modificate condizioni di funzionamento sia degli accumulatori termici, che ora si trovano ad operare in fase di scarica e non di carica, sia del compressore C2 le cui regolazioni sono legate alle esigenze del carico termico richiesto dall’utenza. Come osservato, per realizzare questa condizione di funzionamento, è fondamentale stabilire in che modo si può determinare la modalità operativa del sistema di accumulo, ovvero come poter passare dalla fase di accumulo (storage phase) a quella di assistenza (assisted phase) o viceversa. In figura 3.10 i serbatoi d’accumulo, se attivi, si trovano nella condizione di accumulo termico mentre in figura 3.11 essi si trovano ad operare in fase di assistenza dell'utenza. Le due condizioni operative si realizzano semplicemente con l’inversione del flusso attraverso il componente: il fluido procede dall’alto verso il basso degli accumulatori, diminuendo progressivamente la sua temperatura nel caso di accumulo e dal basso verso l’alto con progressivo incremento della temperatura nella fase di assistenza. Il senso del flusso in una linea pneumatica, come noto, è condizionato dal gradiente di pressione statica per cui si riesce a realizzare la fase di assistenza creando una sovra-pressione lungo la linea a bassa temperatura rispetto a quella ad alta temperatura. Si può pensare di ottenere tale condizione senza l’introduzione di valvole di regolazione aggiuntive semplicemente intervenendo sulle modalità di funzionamento del compressore C2. La portata elaborata dal compressore C2 dovrà essere superiore a quella del compressore C1 per realizzare la sovra-pressione necessaria ad ottenere la fase di assistenza e permettere la ripartizione della portata fra il sistema di accumulo e il campo solare. La regolazione del compressore C2 dovrà tener conto non solo della pressione del ramo a bassa temperatura (pressione nel punto B in figura 3.11) ma anche della pressione operativa (pressione nel punto A in figura 3.11) e naturalmente anche della temperatura del fluido in uscita dallo scambiatore gas-aria per correggere gli scostamenti dal set-point. La differenza di pressione che quindi occorrerà realizzare fra A e B sarà legata alla portata che

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deve provenire dal sistema di accumulo per integrare quella prodotta dal campo solare al fine di soddisfare le richieste del carico termico dell’utilizzatore.

Figura 3.11. Schema d’impianto per la fase di sola generazione combinata dal campo solare e dall’accumulo

termico. Le condizioni di funzionamento del compressore C2 saranno quindi dipendenti sia dalla variabilità della radiazione solare giornaliera, ovvero dalle variazioni delle condizioni di funzionamento del compressore C1, sia da quelle legate al carico termico dell’utenza. Pertanto se ora si ipotizza che la condizione di funzionamento vari per effetto di una riduzione della radiazione solare, si interverrà inizialmente riducendo la portata elaborata da C1 in modo da assicurare che la temperatura in uscita dai ricevitori lineari sia sempre pari a 550 °C. Questo intervento comporta l’automatico aumento di pressione in B e, quindi, anche la portata che sarà inviata agli accumulatori per la fase di assistenza tenderà ad aumentare, agendo quindi nel senso di una compensazione della riduzione di portata proveniente dal campo solare. Se invece i cambiamenti sono generati da variate esigenze dell’utenza (minore carico termico ottenuto riducendo l’aria di raffreddamento nello scambiatore gas-aria), sarà ancora necessario intervenire sulle condizioni di funzionamento del compressore C2, riducendo parimenti la portata da esso elaborata, al fine di mantenere inalterata la temperatura del gas in uscita dallo scambiatore. L'analisi delle possibili configurazioni di funzionamento e ulteriori considerazioni di maggiore flessibilità riguardo all'utilizzazione dell'impianto sperimentale hanno portato, in definitiva, allo schema finale di figura 3.12.

Figura 3.12: Schema funzionale dell’impianto.

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In tale schema sono presenti anche delle valvole di non ritorno CV che hanno la funzione di impedire l'inversione del flusso. Tuttavia occorre stabilire se sia opportuno sostituirle con una ulteriori valvole di intercettazione V. Lo schema prevede inoltre due vasi di espansione localizzati nei punti A e B del circuito che devono svolgere la semplice funzione di polmone di accumulo per smorzare le pulsazioni di pressione indotte dalle compressore C1 e dal rapido intervento delle valvole e favorire il mantenimento di una pressione costante agli estremi delle due principali sezioni dell'impianto: il sistema di captazione e quello di accumulo termico. Nello schema di figura 3.12 sono inoltre stati inseriti due ulteriori linee di connessione e relative valvole di intercettazione V11 e V12 per consentire la realizzazione dei collegamenti dei serbatoi di accumulo sia in serie che in parallelo. Sono infine state inserite anche le valvole V13 e le flangie cieche FC per permettere in futuro il collegamento dell'impianto solare sperimentale con un eventuale utenza reale Infine nella tabella 3.2 viene riassunto lo stato di funzionamento dei componenti relativamente alle differenti fasi operative.

Stato dei componenti

Componente FASE 1 FASE 2 FASE 3 FASE 4 FASE 5 FASE 6

ACC1 CARICA CARICA OFF SCARICA CARICA SCARICA

ACC2 OFF OFF/CARICA OFF OFF/SCARICA OFF/CARICA OFF/SCARICA

ACC3 OFF OFF/CARICA OFF OFF/SCARICA OFF/CARICA OFF/SCARICA

C1 ON ON ON OFF ON ON

C2 OFF OFF ON ON ON ON

CV1 OPEN CLOSED CLOSED CLOSED CLOSED CLOSED

CV2 OPEN OPEN OPEN CLOSED OPEN OPEN

V1_L OPEN OPEN CLOSED OPEN OPEN OPEN

V1_H OPEN OPEN CLOSED OPEN OPEN OPEN

V2_L CLOSED OPEN/CLOSED CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED

V2_H CLOSED OPEN/CLOSED CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED

V3_L CLOSED OPEN/CLOSED CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED

V3_H CLOSED OPEN/CLOSED CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED

V4_L OPEN OPEN OPEN OPEN OPEN OPEN

V4_H OPEN OPEN OPEN OPEN OPEN OPEN

V5_L CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED

V5_H CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED

V6_L CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED

V6_H CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED

V7 CLOSED CLOSED CLOSED CLOSED CLOSED CLOSED

V8_I OPEN OPEN OPEN CLOSED OPEN OPEN

V8_O OPEN OPEN OPEN CLOSED OPEN OPEN

V9_I CLOSED CLOSED OPEN OPEN OPEN OPEN

V9_O CLOSED CLOSED OPEN OPEN OPEN OPEN

V10 CLOSED CLOSED OPEN OPEN OPEN OPEN

V11 CLOSED OPEN/CLOSED CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED

V12 CLOSED OPEN/CLOSED CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED OPEN/CLOSED

V13_L CLOSED CLOSED CLOSED CLOSED CLOSED CLOSED

V13_H CLOSED CLOSED CLOSED CLOSED CLOSED CLOSED

VR1 REGOLAZ. CLOSED CLOSED CLOSED CLOSED CLOSED

VR2 REGOLAZ. FULL OPEN FULL OPEN FULL OPEN FULL OPEN FULL OPEN

Tabella 3.2: Stato di funzionamento dei componenti per le differenti fasi operative.

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Capitolo 4

Il collettore solare

4.1 Caratteristiche generali

I collettori solari rappresentano una delle voci principali nell’analisi economica necessaria per decidere la realizzazione di una centrale solare, quindi, il suo costo e la sua efficienza rivestono particolare importanza per la diffusione della tecnologia solare a concentrazione. Nell’ambito del progetto ESTATE-LAB l’impianto solare verrà realizzato impiegando sia collettori lineari di tipo commerciale sia la tipologia di recente brevettazione da parte dell’ENEA. Su questa tipologia di collettore lineare verrà data, nel seguito, una dettagliata descrizione. L’ENEA ha progettato e realizzato un prototipo originale di collettore solare con la duplice finalità di migliorare i parametri tecnico-economici del componente e di favorire la produzione in serie rendendola competitiva sul mercato internazionale. Il collettore ENEA, presentato nella figura 4.1, può essere suddiviso in 3 parti:

1. una struttura metallica che supporta gli specchi, conferendogli la forma parabolica e permette di orientarli in modo da inseguire il moto del sole;

2. un sistema di movimentazione in grado di far ruotare la struttura con la precisione di puntamento richiesta;

3. un tubo ricevitore, su cui vengono concentrati i raggi solari, all’interno del quale l’energia termica viene conferita al fluido termovettore.

Figura 4.1: Collettori solari ENEA e loro montaggio.

La struttura, che deve assicurare contemporaneamente rigidità, elevata precisione geometrica e basso costo, è stata interamente progettata e dimensionata direttamente dall’ENEA, più precisamente dall’unità SOLTERM e realizzata dalla società S.I.F.A.

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I carichi aerodinamici dovuti all’azione del vento, che sono le azioni esterne più importanti nel dimensionamento della struttura, sono stati determinati con precisione attraverso modelli matematici specifici e prove in galleria del vento (figura 4.2). La soluzione adottata, che soddisfa i requisiti di resistenza strutturale che ha anche il pregio di un basso costo e della semplicità di montaggio, si basa su un tubo centrale portante e supporti laterali a profilo variabile.

Figura 4.2: Prova in galleria del vento del modello di collettore.

Pur avendo un peso leggermente superiore rispetto ad analoghi collettori concorrenti, esso presenta nella razionalità costruttiva e nella scelta dei materiali la soluzione che lo rende di fabbricazione poco costosa, di facile trasportabilità, di rapida installazione e di semplice registrazione, entro le tolleranze richieste dal sistema ottico concentratore. Nonostante le dimensioni considerevoli (lunghezza di circa 100 m, ampiezza di circa 6 m ed altezza di 3,5 m all’asse di rotazione), i collettori ENEA possono facilmente rispettare tolleranze finali sul montaggio dell’ordine del millimetro.

4.2 Gli specchi parabolici Gli specchi sono stati realizzati considerando varie tecnologie e coinvolgendo settori diversi dell’industria nazionale, con l’obiettivo di esplorare tutta una serie di alternative per conseguire un minor costo finale e migliori caratteristiche meccaniche rispetto alla soluzione tradizionale (FLABEG) che impiega uno specchio in vetro spesso, curvato a caldo. La caratteristica principale della soluzione adottata da ENEA è impiegare uno specchio in vetro sufficientemente sottile (850 µm) da poter essere piegato a freddo, fino ad assumere la forma parabolica richiesta, e di applicarlo ad un pannello di supporto, opportunamente sagomato, avente funzione strutturale. Il pannello di supporto è costituito da una struttura a sandwich di materiale composito con anima in nido d’ape (honeycomb) di alluminio (soluzione sviluppata in due successive versioni con Powerwall ed Arca Compositi, entrambe installate sui prototipi di collettore provati nel PCS), su cui è stata eseguita la caratterizzazione termomeccanica presso il Dipartimento di Scienza e Tecnologia dei Materiali dell’Università di Perugia sede di Terni (fig. 4.3). I pannelli leggeri e molto rigidi presentano una superficie riflettente piuttosto sottile, vincolata da un lato. La struttura a sandwich si compone di uno strato centrale con una struttura a nido d’ape di alluminio (honeycomb), su cui sono incollate due lamiere necessarie a garantire adeguata rigidità e forma all’intera struttura. Al fine di limitare la tendenza alla flessione le lamiere sono in acciaio con elevata resistenza alla trazione.

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Lo strato centrale deve avere invece una buona resistenza alla compressione ed elevata stabilità dimensionale nel tempo.

Figura 4.3: Struttura del marteriale di supporto dello specchio.

Sulla lamiera unità alla struttura centrale viene posizionato uno strato di vetro (silver- glass) (fig. 4.4) .

Figura 4.4: Struttura degli specchi riflettenti ENEA.

La forma della struttura a sandwich risulta stabile all’interno di un ampio campo di temperatura, poiché i laminati hanno il medesimo coefficiente di dilatazione termica. I

coefficienti di dilatazione termica del vetro ( )

°⋅÷=

C

1105,125 6β sono scelti in modo

tale da essere vicini a quelli dei laminati di acciaio

°⋅=

C

11011 6β .

Questa scelta e l’elevato modulo elastico dell’acciaio (2·105 MPa) confrontato con quello del vetro (7·104 MPa) assicura che la struttura manterrà la sua forma originaria anche con ampie variazioni di temperatura. Questo tipo di costruzione ha dei vantaggi, quali un elevato rapporto resistenza/peso, costo dei materiali e manutenzione ragionevoli. La rigidità intrinseca della struttura a sandwich dei pannelli, inoltre, facilita la costruzione di grandi elementi. Questo comporta vantaggi in termini di costo sia per il minor numero di elementi accessori richiesti sia per i costi di allineamento, mentre gli specchi non sono sottoposti ad alcun tipo di sforzo [22]. La resistenza considerevole dei pannelli consente una riduzione nel complesso dei supporti strutturali. La struttura dell’ENEA è indicativamente costituita da pannelli singoli da 3x3,5 m2 realizzati con una struttura principale (fig. 4.5) di alluminio di spessore di 25 mm, i pannelli di acciaio dello spessore di 0,5 – 1 mm e pannelli di vetro incollato all’acciaio dello spessore di 1 mm.

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Figura 4.5: Schema della struttura di supporto degli specchi.

La struttura di supporto (fig. 4.5) è modulare e presenta la lunghezza di 12 m e ampiezza di 5,76 m, di conseguenza, un set di 8 moduli può coprire una lunghezza totale di 100 metri. Le figure 4.6 e 4.7 mostrano il tubo principale di supporto dotato di attacchi che sostengono la superficie riflettente, con il centro di massa della struttura che si trova all’altezza dell’asse di rotazione, al fine di minimizzare la potenza spesa dai motori per orientare la struttura rispetto al sole. Il collettore ruota intorno all’asse orizzontale inseguendo il sole nel suo movimento giornaliero, mentre un sistema di controllo ad anello chiuso, dotato di sensore solare ne assicura il preciso allineamento. Le operazioni sono monitorate da un computer accompagnato da un sistema di allarme, di stato e diagnostica da trasmettere ad una sistema di controllo. La struttura è progettata per operare con velocità del vento compresa fra i 40 ed i 60 km/h, ma può resistere anche a picchi di 110 km/h.

Figura 4.6: Vista in sezione del collettore solare.

Come si osserva in figura 4.7, vi è un pilastro centrale che sostiene i motori per la rotazione, mentre i due pilastri ausiliari forniscono il supporto alla struttura, la quale potrebbe essere eventualmente estesa aggiungendo nuovi moduli sostenuti da altri pilastri ausiliari. I tubi ricevitori sono connessi tra loro tramite dei giunti a soffietto.

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Figura 4.7: Layout di due moduli del collettore solare.

Quando la velocità del vento supera i limiti di progetto, i collettori devono assumere la posizione di sicurezza ottenibile, disponendo il collettore con un angolo di 30 gradi rispetto all’orizzontale. La pressione massima sul pannello riflettente raggiunge i 500 N/m2 ad una velocità del vento di 80 km/h e di circa 1000 N/m2 a 110 km/h. Le analisi più recenti mostrano deformazioni della struttura di supporto minori di 8 mm, consistente con le specifiche di progetto che prevedono variazioni della pendenza < 1,6 mrad e gli sforzi sulla superficie riflettente ben inferiore del carico di rottura del vetro. Le verifiche strutturali sono state svolte per venti di diverse direzioni sull’intera struttura di supporto di 12 m.

4.3 Il tubo ricevitore Il tubo ricevitore è l’elemento del collettore solare parabolico-lineare che ha la funzione di trasferire al fluido termovettore l’energia concentrata dagli specchi. L’ENEA, da qualche anno, ha avviato un’intensa attività di ricerca tecnologica sulla fabbricazione e la sperimentazione sui tubi ricevitori, che ha portato al conseguimento di 2 brevetti sul rivestimento ceramico/metallico (CERMET) che è in grado di garantire la realizzazione di rivestimenti spettralmente selettivi, altamente efficienti e stabili ad alta temperatura. Ulteriori miglioramenti si sono avuti per il rivestimento esterno trasparente del tubo assorbitore, per i soffietti di accoppiamento termo-meccanico ad alto fattore di compensazione delle dilatazioni termiche differenziali tra vetro e acciaio e basso ingombro, per un’affidabile giunzione vetro-metallo e per un efficace rivestimento antiriflesso sull’involucro di vetro. I principali componenti che costituiscono il tubo ricevitore sono indicati nei punti seguenti e mostrati in figura 4.8:

• un tubo d’acciaio all’interno del quale circola il fluido e sulla cui superficie esterna è depositato un rivestimento selettivo con elevato coefficiente di assorbimento della radiazione solare;

• un involucro esterno trasparente costituito da un tubo di vetro boro-silicato con trattamento antiriflesso, due giunzioni vetro-metallo e due soffietti metallici di compensazione delle dilatazioni termiche differenziali tra vetro e acciaio.

Il materiale assorbente depositato sul tubo d’acciaio deve essere spettralmente selettivo, ossia in grado di assorbire la massima quantità di radiazione nello spettro solare e di emettere la minima quantità di calore per irraggiamento nello spettro dell’infrarosso [22]. Per aumentare l’efficienza di trasferimento del calore al fluido termovettore è necessario che dopo l’assemblaggio del tubo ricevitore sia effettuato un trattamento di degasaggio dell’intercapedine tra i tubi d’acciaio e di vetro, riscaldando il tubo d’acciaio alla massima temperatura di esercizio ed aspirando i gas e l’aria contenuta nella camera, fino a una pressione assoluta di 1·10-4 mbar, in modo da eliminare lo scambio termico per convezione

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naturale tra i due tubi e quindi aumentare l’efficienza di assorbimento del calore in esercizio.

Figura 4.8: Il tubo ricevitore adoperato nel collettore solare.

Un ulteriore aumento dell’energia assorbita (circa il 5 %), può essere ottenuto depositando uno strato di materiale antiriflesso sulla superficie interna ed esterna del tubo di vetro. Questo rivestimento (di tipo ceramico), ha la capacità di aumentare l’energia trasmessa dal tubi di vetro, minimizzando la radiazione riflessa verso l’esterno. Per garantire il vuoto di progetto è necessario inserire nell’intercapedine un quantitativo opportuno di materiale getter, capace di assorbire la miscela di gas che si potrebbe formare nell’intercapedine durante il funzionamento. Un secondo materiale assorbente, molto reattivo con l’aria (getter al Bario), viene depositato sulla superficie interna del tubo di vetro formando una macchia di colore metallico di qualche cm2. Quando il tubo perde il vuoto e il getter di mantenimento si satura, la macchia diviene di colore bianco, indicando visivamente la presenza di aria all’interno dell’intercapedine e la conseguente perdita di efficienza termica del tubo ricevitore.

4.3.1 Caratteristiche foto-termiche del CERMET ENEA Per ottenere un rivestimento superficiale che ad alta temperatura abbia una elevata efficienza di assorbimento della radiazione, un basso valore di emissività e caratteristiche chimico-fisiche stabili nel tempo, è necessario sviluppare un materiale otticamente selettivo costituito da strati “CERMET” con opportuno rapporto di concentrazione metallo/ ceramico. Il progetto termo-meccanico del tubo ricevitore ENEA prevede una temperatura massima del fluido termovettore di 550 °C, che corrisponde a una temperatura massima della superficie del tubo d’acciaio di circa 580 °C. Per garantire queste prestazioni, presso i laboratori ENEA di Portici, è stato realizzato un materiale spettralmente selettivo, in grado di mantenere pressoché inalterata nel tempo la capacità di assorbimento della radiazione solare incidente e di emettere la minore quantità possibile di energia per irraggiamento. I parametri fototermici di questo materiale, determinati da analisi di caratterizzazione ottica sono i seguenti:

• alta efficienza foto-termica, ossia alta assorbanza solare (>94%) e bassa emissività (< 14%), fino alla temperatura di 580 °C;

• alta stabilità chimica e strutturale fino alla temperatura di 580 °C. È opportuno sottolineare che sia i tubi SOLEL sia i tubi SCHOTT sono prodotti per collettori solari parabolico-lineari che come fluido termovettore utilizzano olio diatermico, con temperature massime di esercizio di circa 400 °C e che, quindi, non hanno le

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caratteristiche ideali per funzionare alla temperatura di riferimento del progetto ENEA. Le caratteristiche foto-termiche del rivestimento SOLEL (95% di assorbenza solare, 9% di emissività a 400 °C e 14,5% di emissività a 580 °C), sono abbastanza vicine a quelle del CERMET ENEA, ma prove di laboratorio hanno mostrato che a 580 °C e per valori di vuoto non molto spinti, le proprietà foto-termiche del rivestimento SOLEL subiscono un degrado che si manifesta in un indesiderato incremento del valore di emissività. I valori forniti dalla SCHOTT per l’assorbenza solare e l’emissività a 400 °C, sono rispettivamente 95% e 14%. A questa temperatura l’emissività del CERMET SCHOTT è maggiore di quella del CERMET ENEA e a 580 °C sale al 22%. Per quanto riguarda la stabilità nel tempo, la SCHOTT ha dichiarato che le caratteristiche foto-termiche del loro rivestimento sono stabili fino ad una temperatura di esercizio di 500 °C. Considerando l’attuale situazione di mercato, che presenta solo questi due potenziali fornitori e confrontando le caratteristiche tecniche dei prodotti in commercio con quelle del CERMET, l’obiettivo ENEA in questi ultimi anni è stato quello di completare lo sviluppo della tecnologia di fabbricazione del tubo ricevitore e di realizzare una serie dimostrativa di tubi, che confermassero la ripetibilità delle caratteristiche foto-termiche su una scala di produzione industriale.

4.4 Il modello matematico del collettore Per stabilire le condizioni di funzionamento dell’impianto solare ESTATE-LAB è stato inizialmente considerato il modello matematico del collettore. Esso si basa sul bilancio energetico del collettore che include la radiazione normale diretta (DNI) incidente sul collettore, le perdite ottiche e quelle termiche e l’energia termica trasferita al fluido termovettore che scorre all’interno del tubo ricevitore. Si tratta di un modello monodimensionale stazionario che include tutte le equazioni e correlazioni necessarie per valutare i flussi energetici dipendenti dal tipo di collettore, dalle proprietà ottiche e dalle condizioni ambientali. Il modello fa riferimento alla figura 4.9, che mette in evidenza i flussi di energia nel caso monodimensionale stazionario per una sezione del tubo ricevitore [24].

Figura 4.9: Sezione del tubo con bilancio energetico di tipo monodimensionale stazionario.

La radiazione solare incidente sul tubo ricevitore, pari alla radiazione solare totale

diminuita delle perdite ottiche, è in parte assorbita dalla copertura di vetro ('5SolAbsq& ) e, in

parte, dalla copertura selettiva del tubo assorbitore ('3SolAbsq& ) (tab. 4.3). Solo una parte

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dell’energia assorbita dalla copertura selettiva ('23condq& ) viene trasferita al fluido

termovettore (HTF) per convezione ('12convq& ), mentre la parte rimanente, viene riflessa

verso la copertura di vetro per convezione ('34convq& ) e per radiazione ('34radq& ) e persa

attraverso i supporti per conduzione (',bracketcondq& ).

Percorso del flusso termico Flussi di energia

termica (W/m)

Modalità di trasmissione calore Da A

'12convq& Convezione Superficie interna tubo

assorbitore Fluido termovettore

'23condq& Conduzione Superficie esterna tubo

assorbitore Superficie interna tubo

assorbitore '3SolAbsq& Assorbimento

irraggiamento solare Radiazione solare

incidente Superficie esterna tubo

assorbitore '34convq& Convezione Superficie esterna tubo

assorbitore Superficue interna

copertura vetro '34radq& Radiazione Superficie esterna tubo

assorbitore Superficue interna

copertura vetro '45condq& Conduzione Superficue interna

copertura vetro Superficie esterna copertura vetro

'5SolAbsq& Assorbimento

irraggiamento solare Radiazione solare

incidente Superficie esterna copertura vetro

'56convq& Convezione Superficie esterna

copertura vetro Ambiente

'57radq& Radiazione Superficie esterna

copertura vetro Cielo

',bracketcondq& Conduzione Superficie esterna

copertura vetro Bracci di supporto elemento collettore

'HeatLossq& Convezione e

radiazione Elemento collettore Ambiente e Cielo

Tabella 4.1: Tipologia e indicazione dei flussi di energia. Il flusso termico per irraggiamento e convezione, attraversa la copertura di vetro per conduzione ( '

45condq& ) e insieme all’energia assorbita dalla copertura di vetro ( '5SolAbsq& ) è

ceduta all’ambiente per convezione ('56convq& ) e irraggiamento ('

57radq& ). Il modello assume le

temperature, i flussi di calore e le proprietà termodinamiche uniformi intorno all’elemento considerato del tubo ricevitore, mentre le direzioni dei flussi termici come indicate in figura sono assunte positive. Pertanto, il bilancio energetico sarà:

++=

+=+

=+

+++=

=

'_

'57

'56

'

'57

'56

'5

'45

'45

'34

'34

'_

'23

'34

'34

'3

'23

'12

bracketcondradconvHeatLoss

radconvSolAbscond

condradconv

bracketcondcondradconvSolAbs

condconv

qqqq

qqqq

qqq

qqqqq

qq

&&&&

&&&&

&&&

&&&&&

&&

Tutti i flussi di calore indicati nel sistema, sono riferiti all’unità di lunghezza della tubazione come riportato in tabella 4.1 in cui sono elencati i diversi flussi con le rispettive definizioni.

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4.4.1 Assorbimento della radiazione solare nella copertura di vetro Con riferimento alla figura 4.9, si parte dalla radiazione in ingresso '

5SolAbsq& , che

rappresenta la radiazione riflessa dagli specchi parabolici verso il collettore. Per una fissata radiazione normale diretta (DNI), il calcolo delle perdite ottiche, dell’energia assorbita, dell’angolo solare e le proprietà ottiche degli specchi parabolici, sono piuttosto complesse da calcolare con delle semplici equazioni adatte ad essere inserite nel modello. Di conseguenza, i diversi termini che rappresentano l’efficienza ottica sono stimati e combinati tra loro in modo tale da ottenere un valore dell’efficienza ottica complessiva e la radiazione solare realmente assorbita dal collettore. Parte dell’energia viene assorbita dalla copertura in vetro secondo la seguente formula:

envenvsiSolAbs qq αη''5 && =

i cui parametri indicati rappresentano: '

siq& = radiazione solare per unità di lunghezza [W/m];

envη = efficienza ottica effettiva degli specchi parabolici;

envα = assorbanza della copertura di vetro;

Il termine dell’irraggiamento solare 'siq& si ottiene moltiplicando la radiazione normale

diretta (DNI) per la proiezione normale riflessa della superficie del collettore (aperture area) diviso per la sua lunghezza. Tutti i termini vengono considerati indipendenti dalla temperatura e l’efficienza ottica envη si ottiene come:

Kclenv ρεεεεεεη '''''' 654321=

I parametri indicati nella formula tengono conto di alcuni aspetti che modificano il valore reale della radiazione che incide sul collettore e che, complessivamente consentono di ricavare l’efficienza ottica del sistema (tabella 4.2) [26,27]. I primi tre termini riportati nella tabella ( '1ε , '2ε , '3ε ) e l’ultimo ( '6ε ) sono stimati

teoricamente, la riflettività dello specchio clρ è un valore noto, mentre i due valori '4ε '5ε

si trovano in letteratura [24]. I valori indicati sono validi solo se la radiazione solare incidente è normale al piano di apertura del collettore, pertanto è opportuno introdurre un termine modificatore dell’angolo di incidenza (incident angle modifier) che tenga conto delle perdite dovute alla non perpendicolarità della radiazione solare sul suddetto piano che include anche le ombreggiature, cambiamenti in rifrazione e riflessione ed effetti sulla copertura selettiva causati dall’angolo di incidenza.

Parametro Significato fisico

'1ε Ombreggiatura del collettore

'2ε Errore nell’inseguimento solare

'3ε Errore allineamento specchi

clρ Pulizia specchi

'4ε Sporcizia sugli specchi

'5ε Sporcizia sul tubo ricevitore

'6ε Fattori generici

Tabella 4.2: Parametri relativi all’efficienza ottica del collettore.

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Esso è funzione dell’angolo di incidenza della radiazione solare rispetto alla normale dell’apertura del collettore secondo la relazione determinata sperimentalmente [27]:

( ) 200005369.0000884.0cos θθθ −+=K dove K è, appunto, il parametro modificatore dell’angolo di incidenza.

4.4.2 Radiazione solare assorbita dal tubo ricevitore Come detto in precedenza, una parte della radiazione incidente '

siq& attraversa la copertura

in vetro e arriva sulla superficie esterna del tubo ricevitore:

absabssiSolAbs qq αη''3 && =

Con il fattore ηabs pari a:

envenvabs τηη = I fattori presenti sono:

absη = efficienza ottica effettiva del tubo assorbitore;

absα = assorbanza del tubo ricevitore;

envτ = trasmittanza della copertura di vetro trasparente.

4.4.3 Perdite termiche dai supporti dell’HCE. Il tubo ricevitore è posizionato all’altezza della linea focale da supporti che vanno dalla struttura del collettore al tubo assorbitore come mostrato in figura 4.10.

Figura 4.10: Ingrandimenti dei supporti del collettore.

I bracci di supporto si trovano gli estremi di ogni modulo del collettore avente la lunghezza di circa 4 metri. Le perdite termiche vengono calcolate schematizzando i supporti come un’aletta infinita con una temperatura alla base di 10 gradi inferiore rispetto alla temperatura della superficie esterna del tubo assorbitore. L’equazione delle perdite termiche attraverso i supporti è la seguente [28]:

( )HCE

basebcsbbb

bracketcond L

TTAkPhq

6,'_

−=&

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I parametri presenti nella formula indicano:

bh = coefficiente di convezione medio dei bracci di supporto [W/m2K];

bP = perimetro dei bracci si supporto [m];

bk = conducibilità termica del materiale [W/mK];

bcsA , = sezione minima dei bracci [m2];

baseT = temperatura alla base dei bracci [°C];

6T = temperatura ambiente [°C];

HCEL = lunghezza del HCE (Heat Collector Element) [°C].

4.4.4 Calore perso per radiazione verso l’ambiente Nel bilancio energetico va inserito il flusso termico disperso verso l’ambiente dalla copertura in vetro, causato dalla differenza di temperatura fra la copertura stessa e l’ambiente esterno. Nello scrivere l’equazione, si considera la copertura di vetro come se fosse un corpo grigio di piccole dimensioni inserito all’interno di una cavità (corpo nero) rappresentato dall’ambiente. Pertanto il flusso netto per irraggiamento tra la copertura e l’ambiente '

57radq& è dato da [28]:

( )4

74

555'57 TTDq rad −= πεσ&

I fattori in gioco sono: σ = costante di Stefan-Boltzmann (5.670E-8) [W/m2K4];

5D = diametro della copertura esterna di vetro.

5ε = emissività della superficie esterna della copertura di vetro;

5T = temperatura della superficie esterna della copertura di vetro [K];

7T = temperatura effettiva del cielo [K].

Nella realtà, quando il cielo non è perfettamente pulito, il comportamento non può essere associato a quello di un corpo nero, ma è pratica comune adoperare la formula proposta con l’eventuale aggiunta di qualche correttivo per compensare tale differenza, come proposto in letteratura [29].

4.4.5 Calore perso per convezione verso l’ambiente La perdita per convezione verso l’ambiente dalla copertura di vetro rappresenta la voce più importante di perdita termica, particolarmente accentuata in caso di vento; la formula adoperata è quella del raffreddamento di Newton:

( )65556'56 TTDhq conv −= π&

Dove il coefficiente convettivo 56h è dato da:

55

5656 D

NuD

kh =

I parametri indicati rappresentano rispettivamente:

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56h = coefficiente convettivo dell’aria alla temperatura media [W/m2K];

5D = diametro esterno copertura di vetro [m];

5T = temperatura esterna copertura di vetro [K];

6T = temperatura ambiente [K];

56k = conducibilità termica dell’aria a temp. media tra quella del vetro e dell’ambiente [K];

5DNu = numero di Nusselt alla temperatura del diametro esterno della copertura di vetro;

Nel calcolare il numero di Nusselt, si deve tenere conto della possibile presenza del vento, pertanto si è deciso di adoperare la seguente formula [28] in cui è necessario conoscere il numero di Reynolds e quello di Prandtl:

4

1

5

637.06

4.0

Pr

PrPrRe75.0

55

= DDNu

Questa correlazione è valida per 0.7 <Pr6 <500 e 1 < ReD5 < 106. Tutte le proprietà dei fluidi sono valutate alla temperatura dell’atmosfera, T6 tranne Pr5 valutata alla temperatura esterna T5 della copertura di vetro.

4.4.6 Trasmissione di calore dall’assorbitore alla copertura di vetro All’interno dell’intercapedine presente fra la copertura di vetro ed il tubo assorbitore, si verificano fenomeni di trasmissione del calore per convezione e per irraggiamento, che dipendono essenzialmente dalla pressione presente al suo interno (figura. 4.11) [30]. Alle pressioni più basse (< 1 torr), il meccanismo di trasmissione del calore avviene per conduzione molecolare, mentre alle pressioni più elevate (> 1 torr) prevale la convezione libera.

Figura 4.11: Andamento delle perdite termiche in funzione della pressione interna all’intercapedine.

Nel caso in esame, all’interno dell’intercapedine è posto il vuoto, per cui prevale la convezione molecolare libera ed il flusso termico risultante si calcola come segue [31]:

( )43343

'34 TThDq conv −= π&

I cui parametri sono:

3D = diametro esterno del tubo assorbitore [m];

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92

34h = coefficiente convettivo per il gas nell’intercapedine alla temp. media T34 [W/m2K];

3T = temperatura della superficie esterna del tubo assorbitore [K];

4T = temperatura della superficie interna della copertura di vetro [K];

La trasmissione per irraggiamento richiede diverse ipotesi quali le superfici grigie, presenza di radiazione diffusa e riflessa e, dal punto di vista geometrico, lunghi cilindri isotermici e concentrici ed, infine, la copertura di vetro opaca rispetto alla radiazione infrarossa. Tutte queste approssimazioni [29] sono possibili in quanto gli errori, ad esse associate, sono comunque piuttosto piccoli. L’equazione adoperata, pertanto, è la seguente:

( )( )

−+

−=

44

34

3

44

433'

3411

D

D

TTDq rad

εε

ε

σπ

In cui: σ = costante di Stefan-Boltzmann (5.670E-8) [W/m2K4];

3D = diametro esterno della copertura di vetro.

4D = diametro interno della copertura in vetro.

3ε = emissività della copertura selettiva del tubo assorbitore;

4ε = emissività della copertura di vetro;

3T = temperatura della superficie esterna del tubo assorbitore [K];

4T = temperatura della superficie interna del tubo assorbitore [K].

4.4.7 Conduzione del calore attraverso la parete della tubazione Per quel che riguarda la trasmissione del calore per conduzione attraverso la parete di un cilindro cavo è stata adoperata la legge di Fourier [28]:

( )

−=

2

3

3223'23

ln

2

D

D

TTkq cond

π&

Il coefficiente di conducibilità termica risulta dipendente dal solo valore della temperatura tra la parte interna ed esterna della tubazione, dal tipo di materiale adoperato per l’assorbitore e dalla resistenza conduttiva dovuta alla copertura selettiva, anche se nel caso in esame, non è stata considerata. Il tutto porta ad una relazione empirica del tipo [32]:

( ) 2.15013.0 2323 += Tk

I parametri presenti nelle relazioni precedenti sono: T23 = temperatura media della parete del tubo assorbitore [K]; k23 = conducibilità termica alla temperatura media della parete T23 [W/mK]; T2 = temperatura interna del tubo ricevitore [K]; T3 = temperatura esterna del tubo ricevitore [K]; D2 = Diametro interno del tubo assorbitore [m]; D3 = Diametro esterno del tubo assorbitore [m].

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93

La trasmissione del calore dalla parete interna del tubo assorbitore al fluido termovettore avviene per convezione ed è determinata con la formula seguente:

( )1221'12 TTDhq conv −= π&

h1 = coefficiente convettivo del fluido termovettore alla temperatura T1 [W/m2K]; D2 = diametro interno del tubo assorbitore (m); T1 = temperatura media del fluido termovettore nella sezione considerata [°C]; T2 = temperatura della parete interna del tubo ricevitore [°C]; NuD2 = Numero di Nusselt riferito alla dimensione D2; k1 = conduttanza termica del fluido termovettore alla temperatura T1 [W/mK] Le due temperature T1 e T2 variano solamente lungo l’asse principale della tubazione, mentre risultano costanti nella direzione radiale in accordo con il modello di tipo monodimensionale. Il numero di Nusselt dipende dal tipo di flusso e, per il calcolo, è stata adoperata la formula di Blausius per le tubazioni cilindriche:

8,04,0 PrRe023.0 ⋅⋅=Nu che dipende dal numero di Reynolds e dal numero di Prandtl.

4.5 Simulazione del collettore parabolico lineare

Il campo solare dell’impianto termodinamico sperimentale in costruzione a Macchiareddu è costituito da 3 linee di specchi. Il modello matematico descritto in precedenza consente di ricavare le prestazioni ed il comportamento di un unico collettore percorso da un fluido destinato, dopo aver subito un riscaldamento, a soddisfare le esigenze dell’utenza. Innanzitutto è opportuno potrei determinare gli ordini di grandezza delle diverse quantità facendo riferimento a tutti i parametri mostrati nel paragrafo precedente e riportati in tabella 4.3.

Parametri costanti

'1ε = 0.974 bh = 150 D2= 0.064 m

'2ε = 0.994 bP = 0.8128 m D3= 0.070 m

'3ε = 0.98 bk = 48 W/mK D4= 0.112 m

clρ = 0.935 bcsA , = 1.613 E-4 m2 D5 = 0.115 m

'4ε = 0.963 baseT = T3 – 10 °C 3ε = 0.10

'5ε = 0.982 envα = 0.02 4ε = 0.86

'6ε = 0.96 HCEL = 4 m 5ε = 0.86

absα = 0.96 34h =0.0001115W/m2K envτ = 0.97

Tabella 4.3: Parametri fissi da inserire nel codice di calcolo. Per quel che riguarda i gas che possono essere impiegati nell’impianto come fluido termovettore, si considerano l’elio (He), l’anidride carbonica (CO2) e l’azoto (N2). La scelta nasce dalle buone caratteristiche termofluidodinamiche di questi gas, dal basso costo e dalla facile reperibilità. L’anidride carbonica compone circa lo 0,036% dell’atmosfera terrestre ed è facilmente ottenibile a livello industriale mediante diversi processi, mentre

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l’azoto è il componente principale dell’atmosfera con il 78% e presenta una reperibilità illimitata ovunque sulla terra. Discorso diverso vale per l’elio, anche se il suo ottenimento non comporta costi proibitivi. In questa prima fase, si deve simulare il comportamento del collettore ponendo a confronto i 3 gas, verificando le differenze di prestazione che possono portare alla scelta definitiva del fluido termovettore. Le caratteristiche chimico-fisiche dei fluidi esaminati sono riportate in tabella 4.4.

He N2 CO2 Unità di misura

Massa molecolare 4,002602 28,0134 44,01 kg/kmole Temperatura punto di fusione 0,95 63,14 195 K

Temperatura di ebollizione 4,24 77,35 304 K Costante particolare (R) 2077,2 296,8 188,92 J/kgK Calore specifico a 350°C 5,193 1039,6 1088,1 J/kgK Densità a 25°C ed 1 atm 0,1664 1,2478 44,01 kg/m3

Tabella 4.4: Parametri chimico-fisici dei 3 gas in esame. L’elio offre delle ottime caratteristiche fluidodinamiche dovute alla sua bassissima viscosità ed interazione tra le sue molecole. È un gas molto leggero (secondo solo all’idrogeno) e caratterizzato da una massa molecolare molto bassa e presenta un calore specifico piuttosto elevato. Uno degli svantaggi che l’elio potrebbe presentare rispetto agli altri due candidati è la bassa massa molecolare, che potrebbe facilitare le fughe di gas dalle tenute dell’impianto con un aggravio della voce relativa all’approvvigionamento del gas nel bilancio dei costi di esercizio. Nella figura 4.12 viene mostrato l’andamento in funzione della temperatura e della pressione della densità, della viscosità dinamica, del calore specifico e del coefficiente di scambio termico.

0 100 200 300 400 500 6000

1

2

3

4

5

6

ro [

kg/m

3]

Elio

0 100 200 300 400 500 6001

2

3

4

5x 10

-5

mu

[Pa*

s]

0 100 200 300 400 500 6005.1

5.15

5.2

5.25

5.3

T [°C]

Cp

[kJ/

kgK

]

0 100 200 300 400 500 6000.1

0.15

0.2

0.25

0.3

0.35

T [°C]

K [

W/m

K]

151015202530

Figura 4.12: Caratteristiche termodinamiche dell’elio in funzione della temperatura e della pressione.

La possibilità di utilizzare l’azoto come fluido di lavoro nasce dalle buone caratteristiche termofluidodinamiche e dall’abbondanza in natura che consente un approvvigionamento a basso costo. A tal proposito, la produzione del gas potrebbe essere svolta da un apposito

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generatore industriale di azoto il cui basso costo renderebbe conveniente l’acquisto rispetto al rifornimento da aziende esterne al progetto. È da sottolineare il fatto che se l’azoto dovesse risultare il gas più adatto all’impiego nell’impianto si potrebbe pensare all’utilizzo, per motivi squisitamente economici, dell’aria che, in sostanza, presenta caratteristiche del tutto simili (fig.4.13).

0 100 200 300 400 500 6000

10

20

30

40

ro [

kg/m

3]

Azoto

0 100 200 300 400 500 6001.5

2

2.5

3

3.5

4x 10

-5

mu

[Pa*

s]

0 100 200 300 400 500 6001

1.05

1.1

1.15

T [°C]

Cp

[kJ/

kgK

]

0 100 200 300 400 500 6000.02

0.03

0.04

0.05

0.06

T [°C]

K [

W/m

K]

151015202530

Figura 4.13: Caratteristiche termodinamiche dell’azoto in funzione della temperatura e della pressione.

L’anidride carbonica possiede delle buone caratteristiche termofluidodinamiche ed una elevata densità (fig. 4.14).

0 100 200 300 400 500 6000

20

40

60

80

ro [

kg/m

3]

Anidride carbonica

0 100 200 300 400 500 6001

2

3

4x 10

-5

mu

[Pa*

s]

0 100 200 300 400 500 6000.8

1

1.2

1.4

1.6

T [°C]

Cp

[kJ/

kgK

]

0 100 200 300 400 500 6000.01

0.02

0.03

0.04

0.05

0.06

0.07

T [°C]

K [

W/m

K]

151015202530

Figura 4.14: Caratteristiche termodinamiche della CO2 in funzione della temperatura e della pressione.

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Proprio quest’ultimo parametro potrebbe però essere penalizzante dal punto di vista delle perdite di carico rispetto agli altri fluidi. Essa possiede la massa molecolare più elevata tra i tre gas e quindi la sua costante particolare è la più bassa. A questo punto è possibile fare un confronto diretto tra i 3 gas, a cominciare dalla densità che risulta più elevata per l’anidride carbonica, seguita dall’azoto (circa la metà) e dall’elio che presenta valori di circa un ordine di grandezza inferiori. In tutti e tre i casi, ovviamente, la densità è crescente con la pressione e decrescente all’aumentare della temperatura. La viscosità invece presenta valori simili in tutti i casi, cresce con la temperatura ed è insensibile alla pressione. Il dato più importante è sicuramente il calore specifico, in quanto ha diretta influenza sulla portata e risulta elevato nel caso dell’elio (5,19 kJ/kgK) mentre è decisamente inferiore nel caso dell’anidride carbonica e dell’azoto che presentano valori circa 5 volte inferiori ed intorno a 1,1 kJ/kgK. Fissando la potenza termica assorbita dal gas che scorre nel collettore si può ipotizzare una portata decisamente più bassa per l’elio rispetto agli altri due gas, ma con una velocità decisamente più elevata a causa della bassa densità. La conducibilità termica, infine, risulta crescente con la temperatura e per niente influenzata dalla pressione, mentre presenta dei valori di un ordine di grandezza superiore per l’elio rispetto agli altri due gas. Alla luce di questi dati, è possibile analizzare altri parametri fondamentali per lo studio delle prestazioni, quali il numero di Nusselt, che a sua volta dipende dal numero di Prandtl e dal numero di Reyolds:

K

Cpµ=Pr ( )µπD

m&4Re=

Dove con m& si intende la portata in massa che attraversa il collettore, mentre con D il diametro interno del tubo assorbitore. Tenuto conto delle considerazioni precedenti, entrambi i parametri saranno scarsamente influenzati dalla pressione.

4.6 Prestazioni del collettore Le prestazioni del collettore dipendono sostanzialmente dalla radiazione solare incidente, dalla portata massica e dalla temperatura in ingresso del fluido, da cui poi dipende la distribuzione della temperatura lungo il tubo ricevitore. La radiazione solare incidente sul collettore cambia in continuazione lungo l’arco del giorno sia nel corso dell’anno, per cui il sistema di movimentazione deve poter seguire il sole nel suo moto in maniera da garantire sempre il massimo rendimento termico. In figura 4.15 si mostra l’andamento della radiazione media mensile con inseguimento Est-Ovest durante il giorno medio mensile per tutti i mesi dell’anno secondo le norme UNI 10349. L’andamento dei grafici differisce a seconda dei mesi considerati: ad esempio i mesi invernali presentano valori di radiazione più bassi e un andamento più piatto nell’arco del giorno unito ad un minor numero di ore disponibili per il funzionamento del collettore. Viceversa nei mesi estivi la curva di radiazione mostra un massimo in corrispondenza delle ore centrali del giorno con valori decisamente più elevati che raggiungono i massimi nel mese di giugno con circa 730 W/m2. Inoltre le ore di luce sono superiori arrivando a circa 14 ore di sole a disposizione del collettore. Chiarito ciò, si possono analizzare più direttamente le prestazioni del collettore, fissando alcuni dati di partenza, quali la lunghezza del collettore pari a 100 m, la temperatura e la portata in ingresso del fluido termovettore (in questo caso azoto) rispettivamente pari a 150°C e 0,1 kg/s ed una pressione operativa di 20 bar. Dalla figura 4.16, si evince che la temperatura del fluido cresce lungo il collettore raggiungendo la temperatura massima in corrispondenza dell’uscita della tubazione,

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mentre, nel complesso, i profili di temperatura presentano valori più elevati al crescere della radiazione incidente.

0

100

200

300

400

500

600

700

800

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24

Ore del giorno [h]

Rad

iazi

one

inci

dent

e (E

O) [

W/m

2 ] Gennaio

Febbraio

Marzo

Aprile

Maggio

Giugno

Luglio

Agosto

Settembre

Ottobre

Novembre

Dicembre

Figura 4.15: Radiazione giornaliera media mensile con inseguimento EO relativa a tutti i mesi.

La temperatura lungo il collettore sale fino a raggiungere in alcuni casi il valore massimo costante che dipende dal valore della radiazione. Nel grafico sottostante si ha invece il rendimento di scambio termico lungo il collettore, inteso come rapporto fra la potenza termica assorbita dal fluido e quella incidente sul tubo ricevitore (già depurata, pertanto, delle perdite ottiche).

0 20 40 60 80 1000

200

400

600

800

1000

Tf

[°C]

0 20 40 60 80 1000

0.2

0.4

0.6

0.8

1

L [m]

eta

200 300 400 500 600 700 800

Figura 4.16: Profilo di temperatura e di rendimento lungo il collettore per diversi valori di radiazione.

Ad esempio, considerando la radiazione massima (800 W/m2), si osserva che la temperatura sale in maniera regolare fino a raggiungere un valore prossimo ai 1000 °C a circa ¾ della lunghezza del collettore e rimane costante fino alla fine del collettore. Il

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rendimento, invece, è massimo all’ingresso della tubazione, quando il fluido si trova alla temperatura minima, poi decresce rapidamente sino ad annullarsi, quando la temperatura rimane costante, in quanto non vi è più scambio termico tra la tubazione e il fluido. In sostanza, il rendimento è tanto più elevato quanto più la temperatura del fluido risulta più lontana da quella di saturazione relativa ad una data radiazione incidente. Altri dati importanti ai fini della valutazione delle prestazioni, sono la velocità del gas all’interno della tubazione e le perdite di carico (figura 4.17).

0 20 40 60 80 1000

200

400

600

800

1000

Tf

[°C]

0 20 40 60 80 1004

6

8

10

12

14

16

18

L [m]

ro [

kg/m

3 ]

0 20 40 60 80 1004

6

8

10

12

14

Vf

[m/s

]

0 20 40 60 80 1002

4

6

8

10x 10

-3

L [m]

Plo

ss [

bar]

200 300 400 500 600 700 800

Figura 4.17: Profili di temperatura, velocità, rendimento e perdite di carico lungo il collettore.

La portata, in questo caso, è stata elevata a 0,25 kg/s e dai profili di temperatura ci si accorge come per valori di radiazione bassi la temperatura in uscita non arrivi ai 550 °C previsti dal progetto. La velocità del fluido, all’interno della tubazione, cresce lungo il condotto, in quanto si modificano le sue condizioni termodinamiche con l’aumento della temperatura e la conseguente diminuzione di densità, essendo la pressione fissata ai 20 bar di progetto. Nota la lunghezza, il diametro interno, la densità e la velocità in ogni sezione della tubazione è possibile ricavare le perdite di carico, mostrate nel grafico in basso a destra della figura 4.17. Le curve rappresentano le perdite di carico calcolate per ogni elementino della discretizzazione e dipendono fortemente dalla velocità nelle diverse sezioni del condotto e si calcolano come segue:

2VD

Lfp ρ=∆

Questa equazione, come detto, riguarda ogni singolo elementino della discretizzazione, per cui, per conoscere le perdite complessive distribuite lungo il condotto è opportuno fare la somma delle perdite distribuite per ogni singolo elementino. Di conseguenza le perdite complessive per ogni valore della radiazione solare saranno quelle indicate in figura 4.18. Dopo aver chiarito il comportamento generale del fluido all’interno del collettore, si può pensare di operare il confronto con gli altri 2 fluidi, in termini di prestazioni

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termofluidodinamiche avendo cura di fissare i vincoli operativi che l’utenza impone all’impianto solare nel suo complesso.

200 300 400 500 600 700 8000.08

0.09

0.1

0.11

0.12

0.13

0.14

0.15

Radiazione incidente [W/m2]

P L

oss

[bar

]

Figura 4.18: Andamento delle perdite di carico distribuite in funzione della radiazione incidente.

La temperatura in uscita, infatti, è fissata a 550°C, per cui è necessario trovare i valori di portata che soddisfano questa condizione, al variare della radiazione e del tipo di gas. In figura 4.19, limitatamente all’azoto viene mostrato l’andamento dei profili di temperatura, velocità e densità per i diversi valori di radiazione incidente.

0 20 40 60 80 100100

200

300

400

500

600

Tf

[°C]

0 20 40 60 80 1008

10

12

14

16

L [m]

ro [

kg/m

3 ]

0 20 40 60 80 1000

5

10

15

20

25

30

Vf

[m/s

]

0 20 40 60 80 1000

0.01

0.02

0.03

0.04

0.05

L [m]

Plo

ss [

bar]

200 300 400 500 600 700 800

Figura 4.19: Profili parametrici lungo il collettore con una temperatura fissata in uscita di 550°C per l’azoto.

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100

Si vede che, tanto più il valore della radiazione cala tanto più il profilo si incurva, a causa del fatto che a parità di temperatura in uscita si ha un valore di saturazione più vicino. Nella medesima figura sono riportati gli andamenti delle velocità e delle densità lungo il collettore da cui dipendono le perdite di carico, per ogni valore di radiazione. Estendendo l’analisi agli altri due gas, si riportano i valori delle portate da utilizzare per ottenere la temperatura in uscita di progetto di 550°C, per ogni valore della radiazione (tab. 4.5).

Portata gas [kg/s] Radiazione incidente

[W/m2] Elio Azoto Anidride carbonica

200 0.0241 0.1087 0.1062 300 0.0471 0.2206 0.2193 400 0.0687 0.3246 0.3202 500 0.0899 0.4231 0.4269 600 0.1101 0.5279 0.5229 700 0.1309 0.6300 0.6232 800 0.1532 0.7319 0.7242

Tabella 4.5: Portate dei gas all’interno del collettore con temperatura in uscita fissata a 550°C. A questo punto si può effettuare un confronto diretto tra i 3 gas: fissate pertanto le temperature di ingresso e di uscita, rispettivamente di 150°c e 550°C, una radiazione incidente di 700 W/m2, la pressione operativa di progetto di 20 bar ed i parametri geometrici indicati in precedenza si possono osservare i profili dei principali parametri termodinamici lungo il collettore (figura 4.20).

0 20 40 60 80 100100

200

300

400

500

600

Tf

[°C]

0 20 40 60 80 1000

5

10

15

20

25

L [m]

ro [

kg/m

3 ]

0 20 40 60 80 1000.7

0.75

0.8

0.85

0.9

0.95

1

L [m]

eta

0 20 40 60 80 1000

10

20

30

40

Vf

[m/s

]

He

N2CO2

Figura 4.20: Profili dei principali parametri termodinamici lungo la tubazione.

Il primo evidente risultato che si osserva in figura 4.20 è che, fissata le temperature di ingresso e di uscita, i profili di temperatura sono sostanzialmente gli stessi per tutti i gas, così come il rendimento termico, mentre ovvie differenze si osservano nella velocità del gas che raggiunge i valori più elevati per l’elio. Inoltre, è interessante notare anche i profili

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101

di temperatura relativi alle diverse zone del collettore, considerando sia la tubazione interna di acciaio, sia la copertura di vetro esterna (figura 4.21).

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 1000

50

100

150

200

250

300

350

400

450

500

550

600

L [m]

T [

°C]

Temp. f luido

Temp. interna tubo di acciaio

Temp. esterna tubo di acciaio

Temp. interna copertura di vetro

Temp. esterna copertura di vetro

Figura 4.21: Temperature relative ai diversi punti del tubo ricevitore.

La curva di colore blu rappresenta il profilo di temperatura del fluido, mentre quelle di colore rosso e verde rappresentano le distribuzioni di temperatura interna ed esterna del tubo di acciaio. Si nota che, lungo il collettore, la differenza di temperatura tra il fluido ed il tubo diminuisce progressivamente, ma non si raggiunge la temperatura di saturazione per la quale i valori delle due temperature coincidono e lo scambio termico si annulla. Nella figura 4.22 si riportano una serie di grafici che consentono di confrontare le prestazioni del collettore con i 3 gas e, soprattutto, di effettuare la scelta tecnica del fluido più adatto per l’impianto.

200 300 400 500 600 700 8000

0.2

0.4

0.6

0.8

Por

tata

mas

sica

[kg

/s]

200 300 400 500 600 700 8000

10

20

30

40

50

60

Vel

ocità

[m

/s]

200 300 400 500 600 700 8000

50100150200250300350400

Pot

enza

ter

mic

a [k

W]

200 300 400 500 600 700 8000

20

40

60

80

Ren

dim

ento

ter

mic

o [%

]

200 300 400 500 600 700 8000

0.2

0.4

0.6

0.8

Per

dite

di c

aric

o [b

ar]

Radiazione incidente [W/m2]

200 300 400 500 600 700 8000

1

2

3

4

5

6

Pot

enza

per

sa [

kW]

Radiazione incidente [W/m2]

HeN2CO

2

Figura 4.22: Confronto delle prestazioni del collettore con l’ausilio dei tre gas.

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102

Inizialmente, si osserva che, una volta fissati i valori delle temperature in ingresso e in uscita dal collettore solare, la potenza termica assorbita risulta la stessa per tutti i fluidi; di conseguenza, le portate sono più elevate per l’azoto e l’anidride carbonica che hanno calori specifici più bassi, mentre è più bassa per l’elio che, avendo un calore specifico circa 5 volte superiore, richiede una portata proporzionalmente inferiore. La velocità dei fluidi all’interno della tubazione risulta massima per l’elio, e più bassa per l’azoto e l’anidride carbonica. Tuttavia, le perdite di carico risultano inferiori proprio per l’elio grazie alla densità notevolmente più bassa rispetto agli altri due gas. In conclusione, rimangono da analizzare i due grafici più importanti per la scelta del gas, il rendimento termico, che è crescente con la radiazione, ma uguale per tutti i gas e quello della potenza meccanica necessaria per la movimentazione del gas all’interno della tubazione che presenta i valori più bassi per l’anidride carbonica, seguito dall’elio mentre l’azoto richiede una potenza 3 volte superiore. Queste analisi indicano che la CO2 è il fluido gassoso più adatto per questa applicazione. Alcune considerazioni andrebbero fatte relativamente alla pressione del gas da utilizzare. Si fa riferimento pertanto ai grafici di figura 4.23 che riportano gli andamenti delle velocità, delle perdite di carico e della potenza meccanica assorbita per la movimentazione dell’anidride carbonica al variare della radiazione e della pressione operativa.

200 300 400 500 600 700 8000

20

40

60

80

V g

as [

m/s

]

200 300 400 500 600 700 8000

1

2

3

Per

dite

di c

aric

o [b

ar]

200 300 400 500 600 700 8000

10

20

30

40

Pot

enza

per

sa [

kW]

Radiazione incidente [W/m2]

5 bar10 bar15 bar20 bar25 bar30 bar

Figura 4.23: Prestazioni del collettore al variare della pressione operativa.

La pressione di lavoro influenza notevolmente la velocità del fluido, che per la pressione più bassa e radiazione più elevata raggiunge i 70 m/s, mentre le perdite di carico raggiungono, il valore di 2 bar e la potenza spesa supera i 30 kW. Al crescere della pressione di lavoro, tali valori si riducono progressivamente, tuttavia non è opportuno raggiungere pressioni superiori a 20 bar, in quanto i miglioramenti relativi sarebbero contenuti e, contemporaneamente, aumenterebbero le sollecitazioni meccaniche sui componenti dell’impianto.

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103

Capitolo 5

Il sistema di accumulo termico dell’impianto solare a concentrazione

5.1 Premessa Tutte le forme di energia da quella potenziale sia di tipo gravitazionale che chimico a quella elettrica, cinetica o termica, possono essere accumulate utilizzando specifici ed appropriati metodi, sistemi e tecnologie. Il problema dell'accumulo delle diverse forme di energia è però a tutt'oggi non completamente risolto. Infatti, le richieste di energia da parte degli utilizzatori, vengono soddisfatte adattando istante per istante la produzione di energia alle richieste dell'utenza. Questa modalità operativa è quella che viene quotidianamente applicata per quasi tutti i sistemi di generazione dell'energia elettrica sia nazionale che mondiale. Nel caso specifico della generazione di energia elettrica, modeste quantità di energia vengono accumulate tramite gli impianti idroelettrici di pompaggio, con un miglioramento delle prestazioni complessive della rete. In tutte le applicazioni in cui sono previsti dispositivi operanti in regime transitorio, l'accumulo energetico rappresenta invece la soluzione ottimale per favorire l'aumento di efficienza e il recupero energetico. Anche i sistemi di conversione dell'energia che si basano sullo sfruttamento delle energie alternative possono trovare nel sistema di accumulo una soluzione vantaggiosa per il funzionamento del sistema e la gestione dell'impianto di potenza. Per quanto riguarda la produzione di energia elettrica mediante gli impianti solari a concentrazione, si può prevedere la presenza o meno di un sistema di accumulo di tipo termico (TES: Thermal Energy Storage). La presenza di un sistema di accumulo può essere escluso se l'impianto solare viene accoppiato ad un impianto convenzionale per la generazione dell'energia elettrica che sia in grado di gestire qualsiasi apporto di energia termica proveniente dall'impianto solare. Se invece l'impianto solare deve permettere la produzione diretta di energia elettrica, l'accumulo termico risulta praticamente indispensabile per poter gestire la fornitura di energia termica in modo continuativo tenendo conto anche delle ore notturne senza irraggiamento solare. Generalmente si utilizzano due tipi di sistemi di accumulo termico TES: quelli denominati ad accumulo di calore sensibile e quelli con accumulo di calore latente. Il primo tipo si basa sul fatto che l’energia viene accumulata o rilasciata dalle sostanze in relazione all’aumento o alla diminuzione della sua temperatura. Tale energia rappresenta appunto il calore sensibile. Per quanto riguarda il secondo tipo, invece, il calore latente rappresenta l’energia necessaria per realizzare il passaggio di stato della sostanza utilizzata per l’accumulo. Il calore di fusione determina il passaggio dallo stato solido a quello liquido mentre il calore di vaporizzazione realizza il passaggio dallo stato liquido a quello gassoso. Altri sistemi di accumulo termico si basano sulla reversibilità delle reazioni chimiche endotermiche. L’energia termica assorbita durante la reazione di dissociazione della sostanza chimica potrà essere successivamente recuperata interamente o quasi attraverso la reazione inversa di sintesi dei componenti chimici. Attualmente solo i sistemi a calore latente sono impiegati nei reali impianti solari a concentrazione, benché i sistemi con accumulo a cambiamento di fase (PCM, Phase Change Material) e quelli con accumulo

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104

chimico rappresentino i nuovi obiettivi tecnologici dei sistemi di accumulo per i futuri impianti di potenza. Quando si deve stabilire il tipo di sistema di accumulo e si deve eseguire il suo dimensionamento devono essere considerati diversi elementi, tra cui, il più importante è la sua capacità termica. Tuttavia altri fattori concorrono nella progettazione del sistema di accumulo tra cui considerazioni costi-benefici oltre ai criteri espressamente tecnici e di tipo ambientale. Il costo di un sistema di accumulo termico dipende essenzialmente da tre elementi: il serbatoio o contenitore, il materiale di accumulo, gli eventuali scambiatori di calore necessari per le fasi di carica e scarica del sistema. Dal punto di vista tecnico i più importanti requisiti sono: • Elevata densità di energia del materiale di accumulo (storage capacity); • Buon trasferimento di calore fra il fluido termovettore HTF e il materiale di accumulo

(efficiency); • Stabilità meccanica e chimica del materiale di accumulo; • Compatibilità fra HTF, scambiatori di calore e materiale di accumulo (safety); • Completa reversibilità per ripetuti cicli di carica e scarica dell'accumulo (lifetime); • Basse perdite termiche; • Facilità di controllo.

Dal punto di vista tecnologico è invece importante tener conto della strategia operativa, della temperatura nominale, del massimo carico e dell’integrazione con l’impianto di potenza, mentre, per quanto concerne i sistemi di accumulo, essi possono essere classificati in attivi e passivi. I primi realizzano il trasferimento del calore nel materiale di accumulo per convezione forzata sia in modo diretto (direct systems) o in modo indiretto, quando il fluido termovettore dell’impianto solare e il materiale di accumulo sono differenti. I sistemi passivi invece non prevedono la circolazione della sostanza utilizzata per l’accumulo. La maggior parte dei sistemi di accumulo utilizzati negli impianti reali sono di tipo attivo. Fra questi vi sono quelli che operano in modo diretto utilizzando due serbatoi di accumulo con sali fusi sia per il materiale di accumulo che per il fluido termovettore dell’impianto solare. Esistono inoltre due tipologie di sistemi che operano in modo indiretto: il primo tipo utilizza ancora due serbatoi di accumulo con i sali fusi e l'olio diatermico per il fluido termovettore mentre il secondo tipo impiega un singolo serbatoio che funziona con il principio del termoclino. I sistemi passivi che accumulano l’energia sotto forma di calore sensibile, basati sui materiali solidi o i PCM, sono stati anch’essi analizzati in diversi studi e progetti di ricerca. Tutti i materiali di accumulo utilizzati correntemente negli impianti solari sfruttano il calore sensibile dei liquidi. Fra questi i più utilizzati sono due tipi di sali fusi: un sale binario costituito dal 60% di NaNO3 e dal 40% di KNO3 ed un sale ternario composto con il 48% di Ca(NO3)2, il 7% di NaNO3 ed il 45% di KNO3. Nuove miscele di sali sono però in fase di indagine e di sviluppo al fine di superare l’inconveniente dell’elevata temperatura di solidificazione che caratterizza i sali fusi attuali. Sistemi di accumulo basati sul calore sensibile dei materiali solidi sono stati recentemente investigati e testati. Fra i più promettenti ci sono il calcestruzzo e i materiali ceramici refrattari che presentano il vantaggio di un basso costo ma richiedono costi elevati per lo scambiatore di calore. La tecnologia di accumulo termico basata sul calore latente è molto promettente perché fornisce delle densità di energia superiori a temperatura pressoché costante. Diversi materiali sono stati già identificati e studiati, ma, attualmente, non è ancora disponibile alcuna tecnologia PCM di tipo commerciale. Anche la tecnologia basata sull’accumulo chimico risulta molto promettente ma attualmente si trova nella fase di sviluppo iniziale.

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Per un corretto dimensionamento del serbatoio di accumulo e per valutarne le caratteristiche di funzionamento, è importante poter disporre di un modello matematico che fornisca delle indicazioni sulle scelte progettuali e sulle effettive capacità di accumulo.

5.2 Caratteristiche generali Il sistema di accumulo termico previsto dal progetto ESTATE-Lab si basa sull'impiego di materiali solidi ad elevata capacità termica, contenuti all'interno di un serbatoio, isolato termicamente. Il materiale solido utilizzato, avente forma sferica e piccolo diametro, andrà a riempire il serbatoio di forma cilindrica (fig. 5.1). Il serbatoio, posto in posizione verticale, sarà attraversato dal fluido termovettore proveniente dall'impianto solare.

Figura 5.1: Schema di un accumulatore termico.

In particolare, per prefissati valori della temperatura di ingresso e di uscita del fluido termovettore, la fase di accumulo termico avviene attraverso il riscaldamento progressivo degli strati del materiale di riempimento che si portano alla stessa temperatura del fluido entrante (550°C). Se si parte dalla condizione di serbatoio scarico, con temperatura del materiale uniforme e pari al valore minimo di progetto (150°C), il fluido caldo entrante dall'alto del serbatoio cederà calore alle sferette prima di uscire dal fondo del serbatoio alla temperatura minima. La parte superiore del serbatoio si riscalda per prima, mentre la parte restante si mantiene alla temperatura del fluido uscente (150 °C). Pertanto, durante la fase di accumulo si crea un gradiente di temperatura lungo il serbatoio fra la zona ad alta e quella a bassa temperatura che viene detta termoclino. Durante le ore notturne, e più in generale, nei periodi di minor insolazione, l'energia termica accumulata viene restituita all'utenza attraverso la fase di scarica del serbatoio. In questo caso il gas più freddo attraversa l'accumulatore dal basso verso l’alto, sottraendo l’energia termica dal materiale solido prima di uscire alla temperatura stabilita dall’utenza per il suo corretto funzionamento. Per procedere ad una progettazione, anche se di massima, del sistema di accumulo occorre conoscere le caratteristiche del sistema di generazione e quelle dell’utenza.

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Per quanto concerne la sezione di captazione dell'energia solare, essa sarà costituita da tre linee di specchi parabolici di lunghezza unitaria pari a 100 m. Gli specchi avranno una apertura di 5.75 m ed una distanza focale pari a 2.01 m, caratteristiche del tutto equivalenti a quelle degli specchi attualmente presenti in commercio. Nel complesso, la superficie di raccolta di ciascuna linea di specchi sarà pari a 575 m2, pertanto la massima potenza termica raccolta da ciascuna linea di collettori solari sarà pari a circa 350 kW in corrispondenza di una radiazione diretta pari a 800 W/m2. Nel caso specifico del campo solare costituito da tre file di collettori solari, la potenza termica complessiva raccolta sarà di circa 1 MWth. Inoltre, se si fissa un modulo solare pari a 2, intendendo con esso il rapporto fra la potenza termica del campo solare e quella dell’utenza, quest’ultima dovrà presentare una potenza termica massima di 500 kW [45]. Un sistema si accumulo che debba garantire il funzionamento continuativo dell’utenza per almeno 6 ore dovrà allora accumulare una energia termica pari a circa 3 MWh (circa 10,8 GJ). I materiali solidi utilizzati per il sistema di accumulo saranno a base di allumino-silicati e subiranno una variazione di temperatura pari a 400 °C (da 150 °C a 550 °C). Inoltre si utilizzerà del materiale avente forma sferica per accrescere il rapporto superficie-volume e contenere il grado di vuoto che si assume pari al 30%.

5.3 Il Modello matematico del sistema di accumulo termico Al fine di poter valutare il funzionamento del sistema di accumulo, è stato sviluppato in ambiente Matlab un modello matematico mono-dimensionale del serbatoio. Per prefissati valori delle caratteristiche termofisiche del materiale di riempimento, geometria del serbatoio, portata e temperatura del fluido termovettore, il modello consente di valutare l’evoluzione temporale della temperatura del fluido e del materiale di riempimento lungo il serbatoio e quindi anche le quantità di energia termica accumulata. Il modello matematico del serbatoio di accumulo è basato sul modello di Schumann applicato ad uno strato del serbatoio di spessore infinitesimo [32, 33]. Il modello è di tipo non stazionario a due fasi in quanto considera le due equazioni dell’energia scritte con riferimento ad un volume di controllo fisso per la fase fluida e per la fase solida del materiale di riempimento. Esso ipotizza che: • la temperatura del fluido e del materiale solido siano funzione solo del tempo e dalla

coordinata assiale; • la conduzione termica nel fluido e nel solido sia trascurabile; • le perdite termiche verso l'esterno si considerano trascurabili; • il numero di Biot del solido sia abbastanza piccolo da ipotizzare uniforme la

distribuzione di temperatura nel solido.

dxx

TCm

t

TCdxAq

f

fpf

f

fvf ∂∂

⋅⋅+∂

∂⋅⋅⋅⋅⋅= ,, && ερ 1)

( )t

TCdxAq b

bvb ∂∂

⋅⋅−⋅⋅⋅= ,1 ερ& 2)

dove q& è la potenza termica scambiata fra il fluido e il materiale di riempimento, ρ è la densità, A la sezione trasversale del serbatoio, ε il grado di vuoto, m& la portata di fluido, Cv e Cp i calori specifici a volume costante e a pressione costante, T è la temperatura, t il tempo e x la distanza lungo la direzione assiale del serbatoio. I pedici f e b si riferiscono rispettivamente al fluido e al materiale di riempimento.

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107

Il grado di vuoto ε viene introdotto per tener conto che il volume di controllo V considerato nelle equazioni 1) e 2) è occupato sia dal fluido sia dal materiale solido. Esso indica la quota del volume V occupato dal gas per cui:

ερρ VVM ffff == ( )ερρ −== 1VVM bbbb 3)

Vb e Vf sono infatti i volumi effettivi occupati rispettivamente dal solido e dal fluido. La potenza termica scambiata fra fluido e materiale solido q& è calcolabile considerando lo scambio termico di tipo convettivo:

( )fbp TTANhq −⋅⋅=& 4)

h rappresenta il coefficiente di scambio termico convettivo locale fra fluido e solido, N il numero delle particelle e Ap la superficie esterna della singola particella interessata allo scambio termico con il fluido. Tenendo conto del volume della singola particella Vp si ha che:

( )ε−=⋅ 1VVN p e ( )ε−⋅

=1

pVNV

Prendendo in esame la sola equazione relativa al fluido è possibile dividere entrambi i termini per il volume V:

( ) ( )fbp

pf

fp

ff

fvf TTVN

ANh

x

TC

A

m

t

TC −

⋅−⋅⋅

=∂

∂⋅⋅+

∂∂

⋅⋅⋅ε

ερ1

,,

&

6)

Il termine di scambio termico diventa pertanto:

( ) ( ) ( )

( ) ( )( ) ( ) ( ) ( )fbVfbp

fb

p

p

fbp

pTThTT

d

hTTh

d

dTT

NV

hNA−=−

−=−−=−

− εεπ

πε 161

2/3/4

2/413

2

7)

avendo indicato con hV il coefficiente di scambio termico convettivo volumetrico in [W/m3K]. In tal modo l'equazione 6) per il fluido può essere espressa nel seguente modo:

( )fbv

f

fp

ff

fvf TThx

TC

A

m

t

TC −=

∂∂

⋅⋅+∂

∂⋅⋅⋅ ,,

&

ερ 8)

In modo analogo anche per l'equazione 2) relativa al solido, si ottiene:

( ) ( )bfvb

bvb TTht

TC −=

∂∂

⋅⋅−⋅ ,1 ερ 9)

Nelle equazioni 8) e 9) sia la densità sia il calore specifico del gas e del materiale solido non sono considerati costanti, ma, bensì, dipendenti dalla temperatura. Il coefficiente di scambio termico convettivo per unità di volume hV [36] svolge un ruolo di fondamentale importanza nel comportamento dell’accumulatore termico e pertanto richiede un’attenta valutazione. Tenendo presente che in generale:

( )

pV d

hh

αε ⋅−⋅⋅= 16 10)

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108

occorre poter stabilire il grado di vuoto ε del letto di materiale solido, ma anche il diametro medio dp delle particelle solide considerate sferiche e dell'eventuale fattore di forma α per tener conto del loro scostamento dalla sfericità. Il coefficiente di scambio termico convettivo h invece si ricava mediante delle correlazioni teorico-sperimentali che legano i numeri adimensionali di Nusselt, Reynolds e Prandtl. Una tale correlazione valida per accumulatori termici con materiale solido impacchettato (packed bed) è reperibile in letteratura [36] e dipende, a sua volta, dal numero di Reynolds e Prandtl secondo la seguente formula:

6.03/1 RePr1.12

pp ddNu ⋅⋅+= 11)

essendo f

p

dp k

dhNu

⋅=

f

fp

k

C µ⋅=Pr

f

ff

dp

dW

µρ ⋅⋅

=Re 12)

Mentre per quanto concerne il numero di Reynolds riferito al diametro della particella dp, è necessario innanzitutto definire il numero di Reynolds per l'accumulatore costituito da particelle solide impacchettate (packed bed) [35,36]:

f

f XW

µρ ⋅⋅

=Re 13)

W è la velocità media del fluido all’interno del serbatoio ed X è invece valutato come rapporto fra il volume del serbatoio (V=A*L) e la superficie complessiva di scambio termico fra fluido e particelle solide (N*Ap):

( ) ( )εε −⋅=

⋅−⋅

=⋅⋅=

161p

p

p

p

d

AN

VN

AN

ALX 14)

Sostituendo nella 13) e introducendo la velocità superficiale di massa WG fρ= si ha:

( ) ( ) pdf

pdGRe

16

1

16Re

εµε −⋅=

⋅−⋅⋅

= 15)

Questa relazione permette di esprimere la correlazione del numero di Nusselt dell’equazione 11) in funzione del numero di Reyonlds:

( )[ ] 6.03/16.0 RePr161.12 ⋅⋅−⋅⋅+= εpdNu 16)

Infine per il calcolo delle perdite di carico attraverso il letto di materiale solido si può far riferimento alla formula di Ergun [37, 42,43]:

( )

dp

pf L

d

G

P

Re

115075.1

1

3

2

εε

ερ −+=

−⋅

∆ 17)

Tutte le relazioni che descrivono tale modello elementare sono state realizzate mediante diversi blocchi Simulink all’interno del software Matlab in modo da ottenere una discretizzazione spaziale sufficiente per una corretta descrizione del profili di temperatura a termoclino lungo il serbatoio di accumulo.

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109

5.4 Le prestazioni dell’accumulatore termico Per analizzare le prestazioni e il comportamento del sistema di accumulo si eseguono delle simulazioni dinamiche con il modello descritto in precedenza e per il quale si assumono i dati di riferimento per l’accumulo e il fluido termovettore riportati in tabella 5.1. La Figura 5.2 illustra l'evoluzione del profilo di temperatura lungo il serbatoio in funzione del tempo, durante il processo di carica. Il risultato si riferisce all'utilizzo di CO2 come fluido operativo e ad un materiale di accumulo avente densità di 3600 kg/m3 e calore specifico di 1100 J/kgK. All'inizio del processo di carica la temperatura all'interno del serbatoio è assunta uniforme e pari a 150 °C e il processo di carica avviene con una portata costante di CO2 pari a 1 kg/s a 550 °C.

Caratteristiche tecniche Valore numerico

Unità di misura

Volume 15,71 m3

Diametro 2 m

Lunghezza 5 m

% vuoto 30% -

Volume reale solido 11,01 m3

Diametro particella 2 cm

Tipo di materiale allumina -

Densità allumina 3600 kg/m3

Calore specifico medio allumina 1100 kJ/kgK

Max energia accumulabile 4,84 MWh

Tipo di gas CO2 -

Pressione operativa 20 bar

Portata massica 1 kg/s

Temperatura massima operativa 550 °C

Temperatura minima operativa 150 °C

Tabella 5.1: Parametri caratteristici del sistema di accumulatore termico.

Nella figura 5.2 si osserva la formazione e la traslazione del termoclino che rappresenta la distribuzione delle temperature lungo l’asse del serbatoio per diversi istanti di tempo. Partendo dalla condizione di serbatoio scarico indicato dalla linea orizzontale a 150°C, il processo di carica procede generando nell’accumulatore il termoclino, che trasla da sinistra verso destra, fino alla carica completa del serbatoio. Le distribuzioni di temperatura riportate in figura 5.2 sono riferite a istanti di tempo del processo di carica distanziati di 1 ora; sulla parte destra della figura 5.2 viene mostrato, invece, lo stato della carica del serbatoio al trascorrere del tempo. L’andamento è sostanzialmente lineare fintanto che il gas in uscita rimane ad una temperatura prossima a 150°C, mentre quando essa comincia a crescere, la fase di carica subisce un rallentamento, la curva si appiattisce fino a diventare orizzontale alla fine della carica. In realtà, il serbatoio è inserito all’interno di un circuito e sarà quindi sottoposto ad alcuni vincoli, che ne limiteranno il funzionamento. Durante la carica, infatti, il gas in uscita dal serbatoio dovrà raggiungere nuovamente il campo solare alla temperatura di 150°C, determinando in tal modo la fine della fase di carica non appena la sua temperatura tenderà a superare questo valore. Viceversa, durante la fase di scarica, il flusso del gas si inverte ed all’uscita del serbatoio raggiungerà l’utenza che richiede una temperatura di progetto di 550°C. Anche il processo di scarica sarà quindi interrotto non appena la temperatura del fluido in uscita dall’accumulatore inizierà a scendere al di sotto di tale limite.

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110

0 1 2 3 4 5100

200

300

400

500

600

L [m]

T [

°C]

0 2 4 6 8 10 12 140

1

2

3

4

5

Tempo [h]

Ene

rgia

[M

Wh]

Figura 5.2: Profili di temperatura ed energia accumulata al trascorrere del tempo durante la fase di carica

Se si osservano questi limiti, si avrà che il processo di carica ha termine dopo circa 5 ore e mezza in corrispondenza dei richiesti 3 MWh di energia da accumulare ma che rappresentano solo il 62% della capacità massima di accumulo del serbatoio (4.84 MWh). Un maggiore accumulo presuppone pertanto la possibilità di accettare temperature di uscita della CO2 progressivamente crescenti rispetto a quella di riferimento, che porterebbe alla carica completa dopo circa 12 ore. Il processo di scarica avviene invertendo la direzione del flusso della CO2 che entra quindi a 150 °C e fuoriesce a 550 °C. Indipendentemente dal livello iniziale di carica, il completo recupero dell'energia termica accumulata nel serbatoio presuppone la possibilità di accettare in uscita temperature della CO2 progressivamente inferiori al valore nominale di 550 °C; in caso contrario, una quota dell'energia accumulata non può essere di fatto recuperata.

Figura 5.3: Processo di carica e scarica con l’imposizione dei vincoli; stato della carica e scarica nel tempo. La Figura 5.3 riporta il profilo di temperatura del serbatoio, a partire dal massimo livello di carica compatibile con una temperatura di uscita della CO2 di 150 °C (curva blu) e quello finale della fase di scarica del serbatoio che rispetta il vincolo sulla temperatura della CO2 uscente dal serbatoio a 550 °C (curva rossa). Il processo di scarica avviene in poco più di 2 ore e porta a recuperare circa 1.15 MWh, ovvero una quantità di energia pari a quasi il 24% dell’energia accumulata. E’ chiaro che i vincoli e le esigenze dell’utenza limitano la capacità di utilizzo del serbatoio. La percentuale del serbatoio interessato dalla carica è come visto di appena il 62% (aree di colore rosso e verde di figura 5.3). L’area gialla rappresenta, invece, la rimanente parte del serbatoio mai interessato dalla carica e pari al 38% del totale. Limitando l’attenzione sulla parte del serbatoio interessato al processo di carica, si distinguono l’area verde, che corrisponde alla parte di energia utile, ovvero trasferibile

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all’utenza durante il processo di scarica e l’area rossa che invece non è sfruttabile per i vincoli imposti ed è indicata in tabella 5.2 come energia persa; esse rappresentano rispettivamente il 24% ed il 38% circa del totale [40].

E [MWh] % sul totale cumulabile

% sull'energia caricata

Energia caricata (area rossa + verde) 3,01 62,19 100,00 Energia utile (area verde) 1,15 23,73 38,15 Energia persa (area rossa) 1,86 38,47 61,85 Energia non utilizzabile (area gialla) 1,83 37,81 60,79 Energia cumulabile (area totale) 4,84 100,00 - Durata fase di carica [h] 5,37 Durata fase di scarica energia utile [h] 2,05 Durata fase di scarica energia persa [h] 9,13 Durata scarica completa [h] 11,18

Tabella 5.2: Risultati della simulazione.

Rispetto alla situazione esaminata nelle figure 5.2 e 5.3, durante la fase di carica si possono incrementare i quantitativi di energia accumulata accettando temperature di uscita della CO2 superiori al valore di riferimento (per esempio fino a circa 200 °C), così come durante la fase di scarica si possono incrementare i quantitativi di energia recuperata accettando temperature di uscita della CO2 inferiori al valore di riferimento (per esempio fino a circa 500 °C). Pertanto, l’ottimizzazione delle fasi di dimensionamento e di gestione dell’accumulo termico richiede un’approfondita analisi delle più opportune strategie di definizione delle portate e delle temperature della CO2 all'ingresso e all’uscita dell'utenza termica e del collettore solare. Anche altri fattori influenzano le prestazioni dell’accumulatore termico; nel seguito saranno analizzate le influenze di alcuni parametri tra cui:

• Aspect Ratio; • Diametro della sferetta; • Frazione di vuoto; • Portata massica; • Fluido gassoso adoperato; • Materiale solido adoperato.

5.4.1 Aspect Ratio Il primo parametro che viene considerato è l’aspect ratio, ovvero il rapporto tra la lunghezza L e il diametro D del serbatoio d’accumulo. Tale rapporto viene fatto variare fra 0.5 a 5 come riportato in tabella 5.3, tenendo costante il volume del serbatoio (valore di riferimento della tabella 5.1). I risultati ottenuti si riferiscono ad una fase di carica completa del serbatoio. Il processo di carica rispetta il vincolo in uscita di 150°C e la figura 5.4 mostra come, al crescere del rapporto L/D, il termoclino finale si sposti progressivamente sempre più verso destra, garantendo una quantità di energia accumulata maggiore. Non risulta, però, opportuno utilizzare i valori troppo elevati dell’aspect ratio, orientativamente superiori a 3, in quanto il guadagno di energia diventa via via più esiguo mentre crescono le difficoltà costruttive.

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0 0.2 0.4 0.6 0.8 1150

200

250

300

350

400

450

500

550

L/Lmax

T {

°C]

0 1 2 3 4 510

20

30

40

50

60

70

Aspect Ratio (L/D)

% E

nerg

ia

%En. caricata sul totale%En. utile sul totale%En. utile sulla caricata

0,51

2

2,5

3

45

L/D

Figura 5.4: Distribuzioni di temperatura alla fine del processo di carica ed energia caricata al variare

dell’aspect ratio.

I risultati mostrati in tabella 5.3 confermano quanto appare nella figura 5.4 con i migliori risultati per i valori di L/D più alti. Nelle ultime 3 colonne della tabella sono indicati, rispettivamente, i valori percentuali dell’energia caricata riferita alla capacità massima del serbatoio, e quella dell’energia utile, ossia quella trasferibile all’utenza durante il processo di scarica, rispetto sia alla capacità totale sia alla carica effettuata. In conclusione, si nota come la variazione più importante sis quella relativa all’energia utile, che raddoppia nel passare dal valore minimo a quello massimo dell’aspect ratio.

Aspect ratio (L/D) L [m]

D [m]

En. caricata [MWh]

En. utile [MWh]

% En. caricata sul totale

% En. utile sul totale

% En. utile sulla carica

0,5 1,70 3,43 2,59 0,65 53,53 13,42 25,07 1 2,71 2,71 2,77 0,86 57,25 17,83 31,14 2 4,31 2,15 2,96 1,08 61,18 22,25 36,36

2,5 5,00 2,00 3,01 1,15 62,21 23,73 38,14 3 5,65 1,88 3,04 1,20 62,83 24,80 39,47 4 6,83 1,71 3,07 1,27 63,45 26,25 41,37 5 7,90 1,58 3,09 1,31 63,87 27,08 42,39

Tabella 5.3: Risultati di un ciclo di carica e scarica per diversi aspect ratio.

5.4.2 Diametro della particella Il diametro della sferetta viene fatto variare dal valore di 0.5 cm fino al valore massimo di 5 cm ed incide notevolmente sulle prestazioni dell’accumulatore, poiché il rapporto tra superficie di scambio termico e volume effettivo occupato delle particelle solide aumenta al ridursi del loro diametro (fig. 5.5). Il grafico a destra della figura 5.5 mostra il calo dell’energia accumulata all’aumentare del diametro della sferetta: si passa da oltre il 75% della capacità totale con un dp= 0,5 cm ad un valore inferiore al 40% con sferette da 5 cm.

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0 1 2 3 4 5150

200

250

300

350

400

450

500

550

L [m]

T [

°C]

0 1 2 3 4 50

10

20

30

40

50

60

70

80

Diametro particella [cm]

% E

nerg

ia

%En. caricata sul totale%En. utile sul totale%En. utile sulla caricata

0,5 cm1 cm2 cm3 cm4 cm5 cm

Figura 5.5: Processo di carica al variare del diametro delle particelle; confronto delle prestazioni.

Diametro particella [cm]

En. caricata [MWh]

En.scaricata [MWh]

% En. caricata sul totale

% En. utile sul totale

% En. utile sulla carica

0,5 cm 3,65 2,08 75,44 43,03 57,04 1 cm 3,44 1,77 71,16 36,53 51,33 2 cm 3,01 1,15 62,21 23,73 38,14 3 cm 2,60 0,65 53,73 13,42 24,98 4 cm 2,28 0,29 47,13 6,02 12,78 5 cm 1,90 0,07 39,27 1,37 3,49

Tabella 5.4: Prestazioni dell’accumulatore al crescere del diametro della particella.

Il dato più interessante è ancora una volta rappresentato dall’energia utile che passa dal valore del 43% dell’energia totale con il diametro più piccolo fino ad un valore di poco superiore all’1% per il diametro più grande (tab. 5.4).

5.4.3 Frazione di vuoto La frazione di vuoto è un indice di qualità dell’impacchettamento delle particelle che riempiono il serbatoio. E’ abbastanza ovvio che mantenendo fisso il volume del serbatoio (15.71 m3), al variare della percentuale di vuoto da 0.1 a 0.5 si modifica il volume reale del materiale contenuto nel serbatoio, ossia quello realmente occupato dalle particelle come indicato in tabella 5.5.

% di vuoto

V. reale [m 3]

En. caricata [MWh]

En. scaricata

[MWh]

% En. caricata sul

totale

% En. utile sul totale

% En. utile sulla carica

0,1 13,56 3,65 2,08 75,44 43,03 57,04 0,2 12,06 3,44 1,77 71,16 36,53 51,33 0,3 10,55 3,01 1,15 62,21 23,73 38,14 0,4 9,04 2,60 0,65 53,73 13,42 24,98 0,5 7,54 2,28 0,29 47,13 6,02 12,78

Tabella 5.5: Confronto delle prestazioni al variare della frazione di vuoto del serbatoio.

Dal grafico della figura 5.6 si comprende come sia opportuno trovare una tecnica efficace per impacchettare le sferette, al fine di migliorare il coefficiente di riempimento. Questo consente una diminuzione del volume complessivo a parità di materiale solido utilizzato

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114

con ovvi miglioramenti delle prestazioni dell’accumulatore come si osserva dal diagramma a barre a destra di figura 5.6.

0 1 2 3 4 5150

200

250

300

350

400

450

500

550

L [m]

T [

°C]

0.1 0.2 0.3 0.4 0.50

20

40

60

80

Frazione di vuoto

% E

nerg

ia0,1

0,2

0,30,4

0,5

%En. caricata sul totale%En. utile sul totale%En. utile sulla caricata

voidfraction

Figura 5.6: Andamento a fine carica dei termoclini per diversi valori della frazione di vuoto.

5.4.4 Portata massica E’ un parametro importante che permette di controllare le condizioni di funzionamento dell’impianto solare in funzione della radiazione solare incidente sui collettori che a sua volta dipende dall’ora del giorno e dal periodo dell’anno. Nelle reali condizioni operative infatti, l’accumulatore sarà attraversato da una portata di fluido che varierà durante l’arco della giornata in relazione alla radiazione incidente. Essa assume un valore molto piccolo all’inizio della giornata, raggiunge il massimo durante le ore centrali del giorno fino ad annullarsi nuovamente quando il sole tramonta. Si è deciso, allora, di valutare l’influenza di questo parametro effettuando diverse simulazioni di carica dell’accumulatore con portate costanti ma differenti fra loro (fig. 5.7). Si osserva che al crescere della portata l’andamento del termoclino è meno ripido, causando di conseguenza una minore carica del serbatoio a vantaggio, però, di una maggiore velocità di carica. Nella figura 5.7 sono riportate anche le distribuzioni di energia caricata e utile al crescere della portata, mentre i corrispondenti valori numerici sono riportati in tabella 5.6. I risultati confermano le impressioni rilevate dall’andamento dei termoclini, che vanno nella direzione di un peggioramento della capacità di carica all’aumentare della portata.

0 1 2 3 4 5150

200

250

300

350

400

450

500

550

L [m]

T [

°C]

0 0.5 1 1.5 20

1020304050607080

mgas [kg/s]

% E

nerg

ia0,1

0,25

0,51

2

%En. caricata sul totale%En. utile sul totale%En. utile sulla caricata

Figura 5.7: Andamento dei termoclini alla fine carica per diverse portate; confronto tra le prestazioni.

Naturalmente al crescere della portata massica aumenta la velocità del gas all’interno del serbatoio, ovvero si opera con numeri di Reynolds più elevati, e poiché gli altri parametri termodinamici sono rimasti costanti, cresce il coefficiente di scambio termico convettivo.

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Portata [kg/s]

En. caricata [MWh]

En. scaricata [MWh]

% En. caricata sul totale

% En. utile sul totale

% En. utile sulla carica

0,1 3,49 1,83 72,04 37,77 52,43 0,25 3,33 1,59 68,80 32,96 47,90 0,5 3,18 1,39 65,78 28,63 43,52 1 3,01 1,15 62,21 23,73 38,14

2 2,80 0,89 57,96 18,31 31,59

Tabella 5.6: Confronto delle prestazioni dell’accumulatore per diversi valori di portata.

I diversi strati tendono in tal modo ad incrementare la loro temperatura più rapidamente, generando un minore gradiente di temperatura in direzione assiale che di fatto porta ad una diminuzione della quantità di energia complessivamente caricata nell’accumulatore. I risultati di tabella 5.6 mostrano inoltre che proprio l’energia utile risulta notevolmente influenzata dalla riduzione della portata in quanto il suo valore addirittura si dimezza nel passare dalla portata minima a quella massima considerata in tabella 5.6.

5.4.5 Materiale solido Fra i diversi materiali solidi utilizzabili per effettuare l’accumulo dell’energia termica fornita dall’impianto solare, si è deciso di adoperare un materiale ceramico come l’allumina, resistente alle alte temperature e con elevato calore specifico. La tabella 5.7 riporta un elenco di altri materiali solidi che potrebbero essere utilizzati in alternativa all’allumina, accompagnati dalle rispettive caratteristiche tecniche.

Materiale Cp [KJ/kgK] ρρρρ [kg/m3] C [KJ/m 3K] λλλλ [W/mK]

Allumina Al2O3 1,10 3600 3660 20 Basalto 0,80 2800 2240 1,5 High Temp, Concrete 0,97 2400 2328 1,2 Fire Bricks 0,89 4150 3694 1,65 Berillia (BeO) 1,60 2900 4640 100 Biossido di Zirconio (ZnO2) 0,70 5800 4060 27 Simple concrete 0,92 2750 2530 1 Carburo di silicio (SiC) 1,00 3120 3120 70 Nitruro di boro (BN) 1,48 2250 3330 30 Carburo di boro B4C 1,50 2520 3780 80 Nitruro di silicio (Si3N4) 1,00 2450 2450 10 Magnesia (MgO) 1,15 3580 4117 22 Nitruro di alluminio (AIN) 1,10 3260 3586 150 Quarzite (SiO2) 1,10 2650 2915 8 Cordierite (Al SI Oxide) 0,90 2300 2070 2,5 Mullite, 3Al2O3-2SiO2 0,95 2900 2755 3,5 Magnesio alluminato MgAl2O4 1,10 3570 3927 10 Biossido di titanio TiO2 0,85 4210 3579 12 Andalusite Al2SiO5 1,10 3250 3575 12 Granito 0,75 2700 2025 3 Steatite (MgO- SiO2) 1,10 2700 2970 5,5

Tabella 5.7: Elenco di materiali utilizzabili per l’accumulo dell’energia termica.

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Alcuni materiali sono stati posti a confronto con l’allumina a parità di massima energia accumulabile dall’accumulatore (tabella 5.8). In tal caso sono stati determinati i volumi di ciascun accumulo per un rapporto L/D pari a 2.5, avendo i diversi materiali densità e calori specifici differenti. In tabella 5.8 sono riportati anche i risultati delle simulazioni effettuate. I grafici di figura 5.8 mostrano invece come la distribuzione della temperatura lungo il serbatoio non presenti sostanziali differenze e questo comporta che i valori dell’energia accumulabile e di quella utile siano fra loro confrontabili. Per il confronto delle distribuzioni di temperatura si è fatto riferimento alla lunghezza del serbatoio adimensionale. Nel diagramma a barre di destra si vuole mostrare come le differenze in termini di energia caricata raggiungano una differenza massima di 3 punti percentuali tra il materiale peggiore e quello migliore.

Materiale Allumina (Al 2O3)

High Temp. Concrete

Fire bricks

Magnesia (MgO)

Quarzite (SiO2)

L [m] 5,00 5,97 5,12 4,94 5,54

D [m] 2,00 2,39 2,05 1,97 2,22

Volume [m3] 15,71 26,78 16,90 15,06 21,44

En. caricata [MWh] 3,01 3,20 3,05 2,98 3,13

En. scaricata [MWh] 1,15 1,40 1,19 1,12 1,30

%En. caricata sul totale 62,21 66,11 62,98 61,66 64,69

% En. utile sul totale 23,70 28,94 24,55 23,22 26,93

% En. utile sulla carica 38,10 43,77 38,99 37,66 41,63

Tabella 5.8: Risultati del confronto tra i diversi materiali di accumulo.

Tale differenza sale a 5 punti considerando l’energia utile riferita a quella effettivamente caricata. E’ quindi chiaro che, la scelta del materiale da utilizzare per l’accumulo sarà influenzata soprattutto dal suo costo e dalla sua reale disponibilità.

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1150

200

250

300

350

400

450

500

550

L/Lmax

T [°

C]

Allumina (Al2O3)

High TemperatureConcrete

Fire BricksMagnesia (MgO)

Quarzite (SiO2)

0,00

10,00

20,00

30,00

40,00

50,00

60,00

70,00

Allumina Al2O3

High Temp.Concrete

Fire bricks Magnesia (MgO)

Quarzite (SiO2)

% E

nerg

ia

%En. caricata sul totale % En. utile sul totale % En. utile sulla carica

Figura 5.8: Prestazioni a confronto per una fase di carica con diversi materiali.

5.4.6 Gas operativo Anche per la sezione di accumulo dell’energia termica viene svolta un’analisi di sensitività in relazione al tipo di fluido da utilizzare come vettore di scambio termico con il materiale solido dell’accumulatore termico. Il fluido termovettore circolante nel campo solare (l’anidride carbonica), viene ora posto a confronto con l’elio e l’azoto, una volta fissate le portate generate dal campo solare differenti da quelle dell’anidride carbonica (tab. 5.9).

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Tipo di gas

CO2 N2 He

Portata [kg/s] 1,00 1,02 0,21

Cp (150°C) [J/kgK] 962 1048 5193

Cp (550 °C) [J/kgK] 1176 1125 5193

R [J/kgK] 186 297 2077

Massa molare 44 28 2

Tabella 5.9: Caratteristiche dei gas all’ingresso del serbatoio.

In relazione a questi dati e alle ipotesi fatte, sono state eseguite diverse simulazioni con il modello dinamico del sistema di accumulo, realizzando una fase di carica che ha portato alla distribuzione finale di temperatura rappresentata dagli andamenti di figura 5.9, in cui la curva verde si riferisce all’azoto, quella blu all’elio mentre la rossa è relativa all’anidride carbonica.

0 1 2 3 4 5150

200

250

300

350

400

450

500

550

L [m]

T [

°C]

T [

°C]

T [

°C]

T [

°C]

CO2

N2

He0,00

10,00

20,00

30,00

40,00

50,00

60,00

70,00

80,00

%En. caricatasul totale

% En. utile sultotale

% En. utile sullacarica

%E

nerg

ia

Anidride carbonicaAzotoElio

Figura 5.9: Confronto delle prestazioni del serbatoio al variare del tipo di gas.

La figura 5.9 evidenzia una quantità di energia caricata leggermente superiore per l’azoto e l’elio rispetto alla anidride carbonica, rendendoli in apparenza migliori rispetto all’anidride carbonica. Se si osserva attentamente la tabella 5.10, si nota invece come i tempi della carica siano nettamente inferiori per l’anidride carbonica, pertanto, a parità di tempo a disposizione, con l’anidride carbonica si è in grado di caricare una quantità maggiore di energia.

Fluido Energia caricata

[MWh] % Energia sul totale

Tempo carica [h]

Potenza termica scambiata media [MW]

CO2 3,01 62,09 5,37 0,56

N2 3,23 66,62 6,57 0,49

He 3,31 68,27 7,59 0,44 Tabella 5.10: Risultati delle simulazioni per i 3 gas considerati.

Le diverse portate utilizzate per alimentare il serbatoio con i diversi gas considerati, comporta dei tempi di carica diversi, risultando più basso per l’anidride carbonica e più elevato per l’elio. Tale risultato indica, almeno sotto queste condizioni di funzionamento, che l’impiego dell’elio permette un più efficiente utilizzo del sistema di accumulo (fig.

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118

5.10). Si è allora deciso di condurre delle altre simulazioni a parità di durata della fase di carica (tab. 5.11).

0 1 2 3 4 5150

200

250

300

350

400

450

500

550

L [m]

T [

°C]

CO2

N2

He0,000,501,001,502,002,503,003,504,004,505,005,506,00

Energia caricata[MWh]

Tempo carica [h]

Potenza termica[MW]

Anidride carbonicaAzotoElio

Figura 5.10: Confronto delle prestazioni del serbatoio al variare del tipo di gas.

Fluido

Energia caricata [MWh]

% Energia sul totale

Tempo carica [h]

Potenza termica media scambiata

[MW]

CO2 3,01 62,09 5,37 0,56

N2 2,65 54,66 5,37 0,49

He 2,38 49,09 5,37 0,44 Tabella 5.11: Risultati della simulazione con tempo della carica fissato.

5.5 Modalità di gestione dell’accumulo Le modalità di gestione dell’accumulatore sono dettate dalle esigenze dell’utenza, che prevedono, per la fase di carica, che il gas in uscita dal serbatoio di accumulo non superi i 150°C, mentre, durante la fas di scarica, il gas ad alta temperatura in uscita dal serbatoio non deve scendere sotto i 550°C.

Figura 5.11: Area interessata dal processo di carica e di scarica.

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119

Nel rispetto di tali vincoli, l’unica soluzione possibile sembra essere quella mostrata in figura 5.11, ottenuta già nelle precedenti analisi, dove la curva rossa e quella blu rappresentano, rispettivamente, la distribuzione di temperatura lungo il serbatoio di accumulo alla fine della fase di carica e di scarica.

L’area compresa fra le due curve è quindi rappresentativa della quota di energia fornita all’utenza dal sistema di accumulo. Come detto, la curva rossa rappresenta il termoclino di fine scarica e, conseguentemente la curva di inizio carica del ciclo successivo. La successione delle fasi di carica e scarica del serbatoio di accumulo richiederebbe, idealmente, il ripetersi delle distribuzioni di temperatura mostrate in figura 5.11. Il comportamento reale è però quello riportato in figura 5.12, che illustra il progressivo degrado del termoclino e la riduzione delle capacità di accumulo del serbatoio.

0 1 2 3 4 5150

200

250

300

350

400

450

500

550

L [m]

T [

°C]

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

3,5

0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14Tempo [h]

En

erg

ia [

MW

h]

Figura 5.12: Comportamento del serbatoio sottoposto a cicli ripetuti di carica e di scarica.

CICLO Energia caricata [MWh]

Energia scaricata [MWh]

% En. caricata sul totale

% En. utile sul totale

% En. utile sulla carica

1 3,01 1,15 62,19 23,73 38,15 2 0,75 0,51 15,42 10,50 68,14 3 0,37 0,28 7,68 5,82 75,77 4 0,22 0,18 4,61 3,74 81,19 5 0,15 0,13 3,11 2,65 85,25 6 0,11 0,10 2,27 1,99 87,77 7 0,08 0,07 1,73 1,55 89,49 8 0,07 0,06 1,36 1,23 90,55 9 0,05 0,05 1,08 0,99 91,40 10 0,04 0,04 0,87 0,80 91,96

Tabella 5.12: Risultati ottenuti dalla simulazione di 10 cicli consecutivi di carica e scarica.

Tale risultato è relativo ad una simulazione ottenuta effettuando 10 cicli di carica e scarica consecutivi. L’area compresa fra le curve si riduce rapidamente fin quasi al suo completo annullamento il che corrisponde all’impossibilità di realizzare anche un minimo accumulo di energia (tabella 5.12).

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120

0,00

10,00

20,00

30,00

40,00

50,00

60,00

70,00

80,00

90,00

100,00

Ciclo 1 Ciclo 2 Ciclo 3 Ciclo 4 Ciclo 5 Ciclo 6 Ciclo 7 Ciclo 8 Ciclo 9 Ciclo 10

% E

nerg

ia

% En. caricata sul totale% En. utile sul totale% En. utile sulla carica

Figura 5.13: Diagramma di confronto dei risultati delle simulazioni.

I risultati, rappresentati graficamente nel diagramma a barre di figura 5.13, indicano che la percentuale di energia caricata e quella utile subiscono una rapida riduzione già a partire dal secondo ciclo, mentre l’energia utile, riferita a quella caricata, subisce un incremento percentuale importante.

5.5.1 Soluzioni alternative Per superare questa forte limitazione del sistema di accumulo, una prima soluzione sarebbe quella di ripristinare le stesse condizioni iniziali, scaricando quindi completamente il serbatoio alla fine di ogni ciclo, e rinunciando in tal modo allo sfruttamento di una parte dell’energia caricata. Per quel che riguarda la fase di carica, avendo fissato il limite di 150°C per la temperatura del gas in uscita (fig. 5.14), i risultati risultano esattamente coincidenti con quelli riportati in tabella 5.2.

Figura 5.14: Prima soluzione proposta per il problema dell’isteresi termica.

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121

Un’altra possibilità potrebbe essere quella di rimuovere il vincolo sulla temperatura del gas in uscita dal serbatoio durante la fase di carica. Questa soluzione, se da un lato permette di incrementare notevolmente la capacità di carica dell’accumulatore, dall’altro, però, modifica le condizioni del gas in ingresso al campo solare, anche nell’ipotesi di operare questa fase di accumulo contemporaneamente a quella di utilizzo dell’energia solare da parte dell’utenza. In tal caso infatti il gas in uscita dal serbatoio di accumulo potrà miscelarsi a quello proveniente dall’utenza avente temperatura di 150°C, prima di essere nuovamente inviato verso il collettore solare. Con un’adeguata ripartizione delle portate del fluido termovettore fra la sezione di accumulo e quella dell’utenza, è possibile limitare l’innalzamento della temperatura del gas in ingresso al campo solare e ai compressori preposti alla sua circolazione. Questi ultimi infatti pongono un limite alla massima temperatura di lavoro che non può superare i 225°C per le attuali macchine commerciali. Pertanto non sarà possibile incrementare eccessivamente la temperatura del fluido in uscita dall’accumulatore, tenendo anche presente che l’aumento della temperatura all’ingresso del collettore richiede una portata del fluido termovettore più elevata per garantire sempre la temperatura di 550°C in uscita dal collettore, a parità di irraggiamento solare. Concentrando l’analisi al solo accumulatore, è possibile studiare gli effetti sulla capacità di carica dell’accumulo facendo crescere la temperatura del gas in uscita fino al valore di 350°C. Dal grafico di figura 5.15 appare evidente che l’energia che è possibile caricare rispetto a quella massima di carica completa del serbatoio, passa dal 62% per una temperatura del gas in uscita di 150°C all’83% quando la temperatura raggiunge appena i 200°C.

0 1 2 3 4 5150

200

250

300

350

400

450

500

550

L [m]

T [

°C]

150 200 250 300 35020

30

40

50

60

70

80

90

100

T [°C]

% E

nerg

ia

%En. caricata sul totale%En. utile sul totale%En. utile sulla caricata

Inizio

150°C

200°C250°C

300°C

350°C

Figura 5.15: Profili di temperatura del gas a fine carica al variare della temperatura in uscita.

Valori ancora più alti dell’energia accumulata si ottengono incrementano ulteriormente la temperatura in uscita, anche se gli incrementi relativi sono nettamente inferiori (tabella 5.13).

T. uscita [°C]

Energia caricata [MWh]

Energia utile

[MWh]

% En. caricata

sul totale

% En. utile sul totale

% En. utile sulla carica

Tempo carica

[h]

Tempo scarica

[h]

150 3,01 1,44 62,20 29,69 47,72 5,37 2,57 200 4,03 2,19 83,34 45,26 54,30 7,26 3,91 250 4,28 2,41 88,49 49,81 56,29 7,79 4,30 300 4,44 2,57 91,76 53,22 58,00 8,20 4,60 350 4,56 2,72 94,19 56,21 59,68 8,55 4,86

Tabella 5.13: Confronto tra i risultati ottenuti per valori in uscita del gas crescenti.

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122

Tra i risultati riportati in tabella 5.13 e figura 5.15, colpisce certamente il fatto che tale incremento di temperatura comporti l’aumento dell’’energia accumulata da 3 a 4 MWh il che corrisponde ad un incremento relativo di circa il 33%. Simili miglioramenti si ottengono anche per tutti gli altri parametri considerati come l’energia utile riferita all’energia totale che quasi raddoppia se la temperatura in uscita arriva a 350°C. Il tempo per la carica naturalmente cresce, così come quello della scarica anche in relazione all’aumento notevole dell’energia utile messa a disposizione. A questo punto è interessante determinare gli effetti legati alla rimozione del vincolo imposto dall’utenza sulla temperatura in uscita dall’accumulatore durante la fase di scarica (550°C).

0,00

0,10

0,20

0,30

0,40

0,50

0,60

0,70

0,80

0,90

150 175 200 225 250 275 300 325 350Temperatura in uscita durante la carica [°C]

% E

nerg

ia u

tile

sul t

otal

e

Tutenza = 550 °CTutenza = 525 °CTutenza = 500 °CTutenza = 475 °CTutenza = 450 °C

Figura 5.16: Analisi delle prestazioni al variare della temperatura in uscita per la fase di carica e di scarica.

In tal senso sono state eseguite delle simulazioni di scarica dell’accumulatore fino a raggiungere temperature del fluido in uscita inferiori al limite imposto. Gli effetti relativi alla rimozione dei vincoli sulla temperatura del gas in uscita dall’accumulatore durante la fase di carica e di scarica sono stati quindi combinati e rappresentati in figura 5.16. In figura 5.16 viene infatti riportata la percentuale di energia utile riferita alla capacità di carica complessiva del serbatoio al variare della temperatura del gas in uscita sia della fase di carica, sia di quella di scarica. Tale risultati hanno una validità pratica solo nel caso l’utenza possa accettare tali scostamenti della temperatura del gas in ingresso rispetto al valore prefissato di 550°C. I risultati ottenuti dalle simulazioni, riportati in tabella 5.14 e rappresentati graficamente in figura 5.16, mostrano che se la temperatura del gas verso l’utenza può scendere al valore di 525°C, si verificano dei notevoli miglioramenti per quanto riguarda l’utilizzazione del serbatoio. Inoltre se a questo si aggiunge la possibilità di proseguire la fase di carica fino al raggiungimento della temperatura di 250°C, l’energia utile passa dal 24% del caso di riferimento al 60%. In termini assoluti questo significa che l’utenza potrebbe disporre di 2,91 MWh di energia anziché di sole 1,15 MWh come evidente dai dati di tabella 5.14. Analoghe considerazioni possono essere ripetute per gli andamenti dell’energia utile riferita a quella effettivamente caricata (figura 5.17). Le curve di figura 5.17 mostrano come l’efficienza del sistema di accumulo possa raggiungere valori anche superiori all’80%.

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123

Energia utile [MWh]

Temperatura [°C] 150 200 250 300 350

Tutenza = 550 °C 1,15 1,83 2,03 2,19 2,33

Tutenza = 525 °C 1,83 2,67 2,91 3,08 3,23

Tutenza = 500 °C 2,05 2,93 3,18 3,36 3,50

Tutenza = 475 °C 2,20 3,11 3,37 3,54 3,67

Tutenza = 450 °C 2,32 3,25 3,51 3,68 3,81

Energia utile / Energia max. accumulabile

Temperatura [°C] 150 200 250 300 350

Tutenza = 550 °C 0,24 0,38 0,42 0,45 0,48

Tutenza = 525 °C 0,38 0,55 0,60 0,64 0,67

Tutenza = 500 °C 0,42 0,61 0,66 0,69 0,72

Tutenza = 475 °C 0,46 0,64 0,70 0,73 0,76

Tutenza = 450 °C 0,48 0,67 0,73 0,76 0,79

Energia utile / Energia caricata

Temperatura [°C] 150 200 250 300 350

Tutenza = 550 °C 0,38 0,45 0,48 0,49 0,51

Tutenza = 525 °C 0,61 0,66 0,68 0,69 0,71

Tutenza = 500 °C 0,68 0,73 0,74 0,76 0,77

Tutenza = 475 °C 0,73 0,77 0,79 0,80 0,81

Tutenza = 450 °C 0,77 0,81 0,82 0,83 0,84

Tabella 5.14: Risultati delle simulazioni al variare della temperatura del gas.

Occorre ribadire che tali risultati si riferiscono ad un singolo ciclo di carica e scarica del serbatoio di accumulo senza quindi considerare gli effetti di isteresi termica che comportano il degrado del termoclino come già messo in evidenza precedentemente.

0,00

0,10

0,20

0,30

0,40

0,50

0,60

0,70

0,80

0,90

150 175 200 225 250 275 300 325 350

Temperatura in uscita durante la fase di carica [°C ]

% E

nerg

ia u

tile

sulla

car

ica

Tutenza = 550 °C

Tutenza = 525 °C

Tutenza = 500 °C

Tutenza = 475 °C

Tutenza = 450 °C

Figura 5.17: Energia utile riferita alla carica effettiva al variare delle temperature in uscita.

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124

Per stabilire se gli effetti del degrado del termoclino, considerati in precedenza ed evidenziati dai grafici di figura 5.13, si presentano in maniera analoga anche al variare delle temperature limite imposte precedentemente, si è ancora una volta simulata una successione di 10 cicli di carica e scarica del serbatoio.

0 1 2 3 4 5150

200

250

300

350

400

450

500

550T

[°C

]

0 1 2 3 4 5150

200

250

300

350

400

450

500

550

T [

°C]

0 1 2 3 4 5150

200

250

300

350

400

450

500

550

L [m]

T [

°C]

0 1 2 3 4 5150

200

250

300

350

400

450

500

550

L [m]

T [

°C]

Figura 5.18: Andamento dei profili di temperatura dopo 10 cicli consecutivi al variare della temperatura di

uscita per le fasi di carica e scarica.

In figura 5.18 sono rappresentate le distribuzioni di temperatura finali di ciascun ciclo di carica (curve in blu) e di scarica (curve in rosso) al variare della temperatura del gas in uscita. Relativamente alla fase di carica (curve blu), si può osservare che al crescere della temperatura del gas in uscita si ha una progressiva riduzione dell’isteresi termica e il raggiungimento di una condizione di regime sempre più rapida. Tale risultato è evidente osservando i primi tre grafici di figura 5.18 che si riferiscono tutti alla medesima temperatura massima del fluido in uscita della fase di scarica (525°C). Da tali risultati si riscontra che anche le distribuzioni di temperatura della fase di scarica del serbatoio si modificano a seguito del progressivo incremento della temperatura minima del fluido. Complessivamente si verifica che l’area compresa fra le curve di carica e scarica cresce il che equivale a mantenere inalterata la capacità di accumulo del serbatoio anche con il continuo ripetersi dei cicli di carica e scarica. In pratica questo renderebbe evitabile la scarica completa del serbatoio, limitando l’operazione ad una scarica parziale come ad esempio quella riportata nell’ultimo grafico di figura 5.18. In questo caso si può notare che la temperatura massima raggiunge il valore di 450°C ma la presenza dell’isteresi termica si è quasi del tutto annullata. I dati riportati in tabella 5.15 sono stati suddivisi in 4 sottotabelle in cui vengono riportate sia l’energia accumulata che quella utile per l’utenza alla fine dei 10 cicli consecutivi, nonché l’energia utile riferita sia alla capacità massima dell’accumulatore e sia alla carica effettuata nel primo ciclo. Tali dati sono stati anche rappresentati graficamente nelle figure 5.19 e 5.20. Nella figura 5.19 si può apprezzare come gli effetti dell’isteresi termica possano essere attenuati agenndo sulla temperatura del fluido in uscita dall’accumulatore. Rispetto alla situazione iniziale che aveva portato al completo annullamento della capacità di accumulo del serbatoio, si osserva che mantenendo inalterata la temperatura in uscita della fase di carica al valore di

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125

150°C (ascisse di figura 5.19), la percentuale di energia utile su quella totale, può raggiungere appena il 10%.

Energia caricata nel 10° ciclo [MWh] Energia utile nel 10° ciclo [MWh]

Temperature 150 200 250 300 350 150 200 250 300 350

Tutenza = 550 °C 0,04 0,38 0,69 1,06 1,47 0,04 0,34 0,65 1,02 1,44

Tutenza = 525 °C 0,19 1,26 1,94 2,47 2,87 0,20 1,24 1,93 2,45 2,85

Tutenza = 500 °C 0,30 1,75 2,48 2,95 3,28 0,31 1,75 2,47 2,94 3,26

Tutenza = 475 °C 0,42 2,15 2,84 3,25 3,53 0,44 2,15 2,84 3,25 3,51

Tutenza = 450 °C 0,56 2,47 3,11 3,47 3,71 0,58 2,48 3,11 3,47 3,69

% Energia utile al 10°ciclo sul totale Energia utile al 10° ciclo sul 1° ciclo

150 200 250 300 350 150 200 250 300 350

Tutenza = 550 °C 0,87 7,83 14,26 21,83 30,40 0,03 0,19 0,32 0,47 0,62

Tutenza = 525 °C 3,96 25,99 40,13 51,05 59,34 0,11 0,46 0,66 0,80 0,88

Tutenza = 500 °C 6,27 36,25 51,23 61,04 67,84 0,15 0,60 0,78 0,88 0,93

Tutenza = 475 °C 8,77 44,35 58,71 67,27 72,93 0,20 0,69 0,84 0,92 0,96

Tutenza = 450 °C 11,61 51,07 64,30 71,76 76,60 0,25 0,76 0,89 0,94 0,97

Tabella 5.15 : Dati relativi al 10° Ciclo del processo di carica e di scarica.

Al crescere però della temperatura minima del fluido (valore in ascisse), le prestazioni migliorano, rapidamente e in misura ancor più evidente al ridursi della temperatura massima ammissibile per l’utenza. Per i casi considerati si possono addirittura raggiungere valori dell’energia utile superiori al 70% della capacità massima dell’accumulatore. Un altro confronto molto interessante è quello riportato in figura 5.20 che riporta l’energia accumulata nell’ultimo ciclo di carica-scarica rispetto a quella ottenuta con il primo ciclo. Questo confronto oltre a mostrare le prestazioni dell’accumulatore al variare della temperatura di uscita, fornisce una valutazione quantitativa dell’influenza dell’isteresi termica.

0,00

10,00

20,00

30,00

40,00

50,00

60,00

70,00

80,00

90,00

150 175 200 225 250 275 300 325 350

Temperatura in uscita durante la fase di carica [° C]

% E

nerg

ia u

tile

sul t

otal

e

Tutenza = 550 °CTutenza = 525 °CTutenza = 500 °CTutenza = 475 °CTutenza = 450 °C

Figura 5.19: Andamento dell’energia utile relativo al 10°ciclo.

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126

0,00

0,10

0,20

0,30

0,40

0,50

0,60

0,70

0,80

0,90

1,00

150 175 200 225 250 275 300 325 350Temperatura in uscita durante la carica [°C]

% E

nerg

ia u

tile

ultim

o ci

clo

sul p

rimo

Tutenza = 550 °CTutenza = 525 °CTutenza = 500 °CTutenza = 475 °CTutenza = 450 °C

Figura 5.20: Rapporto tra l’energia utile del 10° ciclo e quella del primo.

In sostanza tanto più il valore di tale rapporto si avvicina all’unità tanto meno è influente il fenomeno dell’isteresi, in quanto l’energia disponibile per l’utenza non si riduce con la successione dei cicli di carica e scarica. Se ad esempio il vincolo per la temperatura del gas verso l’utenza deve essere comunque rispettato (550°C), si può sempre decidere di estendere la fase di carica dell’accumulatore fino a portare la temperatura del fluido in uscita dal serbatoio al valore di 350°C. In tal caso si ottiene una capacità di accumulo del serbatoio che a regime può fornire all’utenza valori di energia corrispondenti al 30% di quella massima accumulabile (figura 5.20). Tale valore è in ogni caso superiore a quello ottenuto rispettando il limite di 150°C sulla temperatura minima del gas ma operando con un singolo ciclo di carica-scarica (0.24 in tabella 5.14).

0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5100

150

200

250

300

350

400

450

500

550

600

L [m]

T [

°C]

Fine caricaTu =550°C

Tu =525°C

Tu =500°C

Tu =475°C

Tu =450°C

Figura 5.21: Termoclini relativi a diverse condizioni di inizio carica.

Un’altra soluzione, che almeno dal punto di vista teorico, potrebbe essere utilizzata per ovviare al degrado del termoclino, è quella che prevede la carica completa del serbatoio fino a raggiungere la temperatura di 550°C per il gas in uscita. Questa interessante

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127

soluzione pone però dei problemi pratici legati all’elevata temperatura del fluido in uscita dal serbatoio che deve essere opportunamente abbassata prima di essere elaborata dal compressore ed inviata al campo solare. Infatti per poter rispettare il limite sulla massima temperatura di lavoro degli attuali compressori commerciali (225°C), è necessario che il completamento della carica del serbatoio avvenga in combinazione con l’alimentazione dell’utenza incrementando il rapporto di miscelamento fra le due portate (portata utenza/portata accumulo) man mano che la temperatura del fluido in uscita dal serbatoio cresce. Tale tecnica di gestione permetterebbe inoltre di eliminare lo scambiatore di calore necessario per abbassare la temperatura al gas in uscita a valori tecnicamente accettabili per il compressore e i collettori solari.

T_utenza [°C] Energia caricata

[MWh] % En. caricata

sul totale Tempo

carica [h] Tempo

scarica [h]

550 2,91 60,17 9,67 5,11

525 3,66 75,60 11,04 6,47

500 3,89 80,34 11,32 6,93

475 4,04 83,50 11,50 7,26

450 4,16 85,94 11,62 7,54

Tabella 5.16: Prestazioni dell’accumulatore al variare della temperatura di inizio della carica.

Anche per questa soluzione è stata presa in esame la possibilità per l’utenza di accettare temperatura del fluido inferiori al vincolo finora considerato (550°C). In figura 5.21 sono pertanto riportate le diverse distribuzioni di temperatura lungo il serbatoio, al variare appunto della temperatura massima del fluido per l’utenza, all’inizio di ogni fase di carica, così come la retta di fine carica del serbatoio. L’area compresa fra ciascun termoclino e la retta di fine carica risulta proporzionale all’energia che può essere accumulata durante ciascuna fase di carica. Tali valori di energia sono riportati in tabella 5.16 insieme ai valori percentuali su quella massima accumulabile e ai tempi di carica e scarica del serbatoio. Poiché i termoclini riportati in figura 5.21 rappresentano anche le distribuzioni di temperatura finale delle fasi di scarica, si deduce che l’energia utile coincide esattamente con quella caricata a meno delle perdite termiche, che in tutte queste analisi svolte non sono state considerate. La fase di carica completa del serbatoio e la successiva fase di scarica può quindi essere effettuata in modo continuativo senza che si manifesti il fenomeno dell’isteresi termica.

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128

Capitolo 6

Il sistema di accumulo termico dell’impianto prova da laboratorio

6.1 Premessa Il dimensionamento del serbatoio di accumulo e la determinazione delle sue caratteristiche di funzionamento è stato effettuato utilizzando un modello matematico monodimensionale del tipo non stazionario a due fasi, il quale ha permesso di valutare l’influenza di diversi parametri di progettazione sulle effettive capacità di accumulo e di efficienza del sistema. Prima, però, di procedere alla effettiva realizzazione del prototipo in scala reale da impiegare nell’impianto pilota, occorre svolgere delle indagini sperimentali su un modello da laboratorio in scala ridotta sia per verificare la validità delle ipotesi utilizzate nello sviluppo del modello matematico sia l’effettiva rispondenza del dimensionamento effettuato alle esigenze dell’impianto solare e dell’utenza. In tal senso si è proceduto al dimensionamento del sistema di accumulo dedicato alle prove di laboratorio e alla scelta del set-up sperimentale. Le scelte effettuate hanno dovuto tener conto sia delle esigenze dettate da un’attività di laboratorio che fosse il più possibile semplificata rispetto al funzionamento dell’impianto reale sia della necessità di dover realizzare le medesime modalità di funzionamento previste per il sistema reale. Le prove effettuate su un modello possono essere ritenute simili a quelle del sistema reale se queste si svolgono in condizioni di similitudine meccanica completa. Se non si riesce, però, a riprodurre completamente tale condizione, in conseguenza delle citate semplificazioni spesso necessarie per poter effettuare facilmente gli esperimenti in laboratorio, occorrerà poter stabilire il peso di tali approssimazioni sui risultati ottenuti.

6.2 Descrizione dell’impianto Il modello da laboratorio sarà composto principalmente da un serbatoio di accumulo e da una serie di apparati accessori ma necessari per il corretto funzionamento del sistema. Fra questi saranno presenti una serie di tubazioni per il trasporto del fluido da e verso il serbatoio, una o più macchine per la circolazione del fluido, un sistema di riscaldamento del fluido, valvole per il controllo del flusso e naturalmente tutti i dispositivi di misura e controllo del processo. Il serbatoio di accumulo, nonché il materiale solido destinato all’accumulo dell’energia termica, saranno perfettamente in scala geometrica ridotta. Inizialmente sono state sviluppate alcune configurazioni d’impianto con l’obiettivo di individuare i componenti essenziali per realizzare un’apparecchiatura sperimentale che risulti il più semplice possibile, al fine di ridurre i costi di realizzazione e semplificare le modalità di prova. Il primo schema dell’impianto che viene proposto è quello a circuito chiuso riportato in figura 6.1, in cui sono rappresentate le parti del circuito attive per le due fasi di funzionamento dell’accumulatore. Queste vengono ottenute utilizzando due circuiti completamente indipendenti fra loro e in cui sono inserite due macchine separate per la circolazione del fluido.

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129

In particolare, per realizzare la fase di carica dell’accumulatore si pone in funzione il solo compressore C1 con le valvole 1 e 2 chiuse e quelle 3 e 4 aperte. L’ingresso del fluido nell’accumulatore avviene dall’alto dopo essersi portato alla temperatura desiderata nell’attraversamento del riscaldatore R1. La fase di scarica si ottiene, invece, utilizzando la porzione di destra del circuito che viene ora alimentato dal compressore C2 con le valvole 1 e 2 aperte e quelle 3 e 4 chiuse. In questa fase il riscaldatore R1 è naturalmente inattivo, mentre deve essere utilizzato lo scambiatore di calore S per abbassare la temperatura del fluido caldo in uscita dall’accumulatore.

CARICA SCARICA

2

3 1

4

R1

S

C2ACCC1

2

3 1

4

R1

S

C2ACCC1

CARICA SCARICA

2

3 1

4

R1

S

C2ACCC1

2

3 1

4

R1

S

C2ACCC1

2

3 1

4

R1

S

C2ACCC1

2

3 1

4

R1

S

C2ACCC1

Figura 6.1: Schema elementare del circuito di prova da laboratorio.

Per limitare il numero dei componenti ausiliari necessari per il funzionamento del sistema, la configurazione presentata in figura 6.1 è stata modificata per assumere lo schema riportato in figura 6.2. La nuova soluzione, che realizza sempre un circuito chiuso, presenta ancora 4 valvole del tipo a 3 vie ed un solo compressore C1. La fase di carica viene ottenuta disponendo le valvole a 3 vie in modo che il fluido proveniente dal compressore C1 raggiunga, attraverso il riscaldatore R1, l’accumulatore e successivamente lo scambiatore S prima di ritornare nuovamente al compressore.

1

4

3

R1

S

C1ACC

2 1

4

3

R1

S

C1ACC

2

CARICA SCARICA

1

4

3

R1

S

C1ACC

2 1

4

3

R1

S

C1ACC

2

CARICA SCARICA

Figura 6.2: Schema elementare del circuito di prova da laboratorio.

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130

Questa soluzione impiantistica consente, tra l’altro, di effettuare la carica completa dell’accumulatore perché il progressivo aumento della temperatura del fluido all’uscita può essere opportunamente ridotta con lo scambiatore di calore prima di arrivare al compressore. Inoltre la presenza della linea di by-pass fra le valvole 1 e 3 permette di ripartire opportunamente l’intera portata fra l’accumulatore e il by-pass in modo che con la successiva miscelazione all’uscita del serbatoio sia possibile controllare l’aumento della temperatura del fluido nel caso di carica completa del serbatoio. La fase di scarica si realizza operando la commutazione delle 4 valvole in modo da realizzare l’inversione del flusso attraverso il serbatoio di accumulo. In questo caso il riscaldatore R1 non è attivo, mentre lo scambiatore S dovrà abbassare la temperatura del fluido proveniente dal serbatoio per smaltire il calore che ha sottratto al materiale di accumulo.

6.2.1 Dimensionamento dell’accumulatore termico Il materiale utilizzato per l’accumulo termico sarà costituito da sferette di materiale ceramico che andranno a occupare in modo uniforme la parte cilindrica del serbatoio di accumulo. Il materiale che viene più comunemente utilizzato è l’allumina (Al2O3), un inerte ad alta densità, sinterizzata e fornita sotto forma di sfere. Essa è abbastanza comune nelle applicazioni delle industrie petrolchimiche in quanto costituisce il materiale inerte a supporto del catalizzatore. La microstruttura compatta delle sferette, priva di porosità in rilievo, è in grado di resistere alle alte temperature e pressioni. In questo settore una delle aziende leader è l’italiana “Bitossi” in grado di fornire sfere di diverso diametro che vanno da circa 3 mm fino a 32 mm (figura 6.3).

Figura 6.3 : Sferette di allumina della Bitossi.

Il materiale di accumulo deve essere disposto all’interno di un contenitore cilindrico in acciaio opportunamente coibentato e in grado di resistere alle sollecitazioni meccaniche e termiche. Il serbatoio sarà dotato di adeguate aperture per consentire facilmente il caricamento del materiale e la sua eventuale sostituzione. Nella parte inferiore del serbatoio deve essere inoltre prevista una griglia di dimensioni opportune per contenere le sfere di allumina e consentire il passaggio del gas con perdite di carico contenute. Il modello di laboratorio costituisce la prima realizzazione in scala ridotta del prototipo reale per permettere di verificare le scelte progettuali, le modalità operative e le sue prestazioni. Per tale ragione la sperimentazione deve essere condotta in condizioni di similitudine meccanica completa al fine di garantire condizioni di funzionamento rappresentative di quelle del prototipo. Avendo stabilito in precedenza che l’impianto reale richiede una capacità termica complessiva dell’accumulatore di 3 MWh e che la densità e la capacità termica media dell’allumina sono assunte rispettivamente pari a ρ=3600 kg/m3 e Cp=1100 J/kgK, con una percentuale di vuoto pari ad ε=0.30 ed un rapporto lunghezza su diametro del serbatoio

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131

cilindrico pari a L/D=2.5, è possibile determinare le dimensioni del serbatoio che sono riportate in tabella 6.1. I risultati sono stati ottenuti semplicemente esprimendo l’energia E accumulabile dal materiale solido di massa M che occupa il volume V e che subisce un incremento di temperatura ∆T pari a 400°C.

( ) ( ) TC

EV

VM

TCME

p

p

∆⋅⋅−⋅=⇒

−⋅⋅=

∆⋅⋅=ερερ 11

� ( )3

/

4

DL

VD

⋅⋅=

π

Accumulatore reale

Accumulatore da laboratorio

Unità di misura

Altezza 4.26 0.85 m Diametro 1.71 0.35 m Sezione 2.296 0.092 m2 Volume totale 9.74 0.078 m3

Percentuale di vuoto 0.3 0.3 - Volume occupato dal solido 6.818 0.055 m3 Densità materiale adoperato 3600 3600 Kg/m3 Capacità termica del materiale 1100 1100 J/kgK Diametro particella 20 4 mm Energia massima accumulabile 3 0.0241 MWh

Tabella 6.1: Dimensioni dell’accumulatore reale e di quello del laboratorio.

Con il fattore di scala geometrico fra il prototipo reale e il modello da laboratorio posto ad esempio pari a 1:5, si ottiene:

5P

M

DD =

5P

M

HH =

dove con il pedice P si intende il prototipo reale mentre con M il modello da laboratorio. Sono di immediata determinazione anche i rapporti geometrici fra la sezione ed il volume dell’accumulatore termico.

PPM

M ADD

A25

1

425

1

4

22

=

== ππ

PPPPPMMM VHAHAHAV125

1

125

1

5

1

25

1 ==

=⋅=

Per quanto concerne, invece, le condizioni di funzionamento del modello da laboratorio, occorre, come detto, poter rispettare le condizioni di similitudine meccanica completa. In questi casi, come noto, occorre applicare la teoria dei modelli che richiede l’individuazione dei parametri adimensionali che descrivono il fenomeno in esame in modo che assumano gli stessi valori nel prototipo e nel modello in scala. Per tale ragione dopo aver richiamato le equazioni utilizzate per descrivere il modello matematico del sistema di accumulo, si individuano le grandezze di riferimento e si procede infine all’adimensionalizzazione delle equazioni.

( )fbvf

fpff

fvf TThx

TC

A

m

t

TC −=

∂∂

⋅⋅+∂

∂⋅⋅⋅ ,,

&ερ 1)

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132

( ) ( )bfvb

bvb TTht

TC −=

∂∂

⋅⋅−⋅ ,1 ερ 2)

Tali equazioni coinvolgono 13 variabili fra cui le 2 variabili indipendenti x e t, 4 costanti A, mf, ρb, ε, 5 coefficienti dipendenti da correlazioni note Cpf(Tf), Cvf(Tf), Cpb(Tb), ρf(Tf), hv(Re, Pr) e le 2 variabili dipendenti Tf e Tb. Per le variabili indipendenti e quelle dipendenti, come grandezze di riferimento per la loro adimensionalizzazione, si considerano: la lunghezza del serbatoio L, la temperatura massima del fluido e un tempo di riferimento trif, rappresentativo del fenomeno termico in esame. Il tempo caratteristico dei processi temici è rappresentato dalla costante di tempo τ definita come rapporto fra la capacità termica del materiale di accumulo e la conduttanza del fluido con cui avviene lo scambio termico. Le variabili indipendenti e quelle dipendenti rese adimensionali sono quindi:

( )

( ) rift

tt

TT

TTT

L

xx =

−−

== *

minmax

min** 3)

La costante di tempo τ è invece così definita:

( ) ( )

f

bvb

f

bvb

f

bvb

h

CL

Ah

CV

Ah

CM ,,, 11 ⋅⋅−⋅=

⋅⋅⋅−⋅

=⋅

⋅=

ερερτ 4)

Richiamando le espressioni dei numeri adimensionali di Nusselt, Prandtl e Reynolds

f

pf

dpf

fpf

f

pf dW

k

C

k

dhNu

µρµ ⋅⋅

=⋅

=⋅

= RePr,

5)

si dimostra che:

fp

f

fpf

f

f

pf

f

fpf

f

pf

dp CG

h

CW

hdW

k

C

k

dhNu

,,

, //PrRe ⋅

=⋅⋅

=⋅⋅⋅⋅

=⋅ ρµ

ρµ 6)

avendo indicato con G il flusso di massa per unità di superficie

⋅== W

A

mG f

f ρ& .

Dall’equazione 6) è quindi possibile esprimere il coefficiente di scambio termico convettivo hf e sostituirlo nell’espressione della costante di tempo (eq. 4) ottenendo:

( )

NuCG

CL dp

fp

bvb PrRe1

,

, ⋅⋅

⋅⋅−⋅=

ερτ 7)

A meno dei numeri adimensionali, il tempo di riferimento è determinato dalla seguente espressione:

( )

fp

bvbrif CG

CLt

,

,1

⋅⋅⋅−⋅

=ερ

8)

Tale quantità, per poter essere considerata una costante a tutti gli effetti, deve essere valutata utilizzando determinati riferimenti per stabilire sia la portata specifica di massa G

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133

sia il calore specifico del solido e del fluido che, come detto, dipendono dalla temperatura. Tali quantità ad esempio saranno valutate rispetto alla temperatura di riferimento (Tmax). Le equazioni 1) e 2), rese adimensionali, introducendo le quantità di riferimento, divengono:

( )( ) ( )**

*

*,

**

*

*

,*

*,

1bfv

b

rif

bvb

fbv

f

fp

f

rif

fvf

TTht

T

t

C

TTLhx

TCG

t

T

t

LC

−=∂∂

⋅⋅−⋅

−⋅⋅=∂

∂⋅⋅+

∂⋅

⋅⋅⋅

ερ

ερ

9)

( ) ( )

( )**

,*

*

,

,

**

,*

*

,

,

*

*

,

,

1

bf

fp

vb

bv

bv

fb

fp

vf

fp

fpf

bvb

fvf

TTCG

Lh

t

T

C

C

TTCG

Lh

x

T

CG

CG

t

T

C

C

−⋅

⋅=

∂∂

−⋅

⋅=

∂⋅

⋅+

∂⋅

⋅−⋅

⋅⋅

ερερ

10)

Le equazioni 9) e10) possono essere poste in una forma più compatta:

( )

( )**3*

*

4

**3*

*

2*

*

1

bfb

fbff

TTt

T

TTx

T

t

T

−⋅=∂∂

−⋅=∂

∂⋅+

∂⋅

λλ

λλλ 11)

Inoltre tenendo conto che ( )p

f

V d

hh

ε−⋅⋅=

16 e ( ) f

pdG

µε ⋅−⋅⋅

=16

Re si dimostra che:

( )

bv

bv

f

f

pf

f

p

f

f

f

f

fp

fp

bv

fv

b

f

C

C

k

k

d

L

eP

Nu

k

k

d

LNu

k

k

eP

Pe

k

k

CG

CG

C

C

,

,4

3

,

,

2

,

,1

rPeR

rP

Pr

eR

Re

1

=

=⋅

=

==⋅

⋅=

⋅⋅−

=

λ

λ

λ

ρρ

εελ

12)

E’ ora evidente che la similitudine completa si può ottenere se le prove sul modello da laboratorio vengono svolte in modo da realizzare gli stessi valori dei 4 parametri adimensionali λ corrispondenti alle condizioni di funzionamento del prototipo reale. Si stabilisce innanzitutto di impiegare nel modello in scala da laboratorio il medesimo tipo di materiale per l’accumulo del calore con la stessa frazione di vuoto e di operare nello stesso campo di temperatura del prototipo. In tal caso si può affermare che la similitudine potrà essere garantita se si rispetta che λP = λM.

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134

( ) ( )

( ) ( )MbvPbvMP

Mf

f

Pf

fMP

Mf

f

Pf

fMP

MfvfPfvfMP

CC

k

k

eP

Nu

k

k

eP

Nu

k

k

eP

Pe

k

k

eP

Pe

CC

,,,4,4

,3,3

,2,2

,,,1,1

=⇒=

=

⇒=

=

⇒=

⋅=⋅⇒=

λλ

λλ

λλ

ρρλλ

13)

Combinando le espressioni relative ai parametri λ2 e λ3 si ottiene:

MP Pe

Nu

Pe

Nu

=

14)

Pertanto se nelle prove sul modello si rispetta il numero di Péclet automaticamente viene rispettato anche il numero di Nusselt. Per quanto riguarda la condizione su λ4, essa si può ritenere automaticamente soddisfatta in quanto si utilizza lo stesso materiale per l’accumulo. Invece la condizione di uguaglianza su λ1 impone che la capacità termica per unità di volume del fluido impiegato nel prototipo sia uguale a quella del fluido utilizzato nel modello. In definitiva quindi la similitudine completa viene rispettata applicando le due condizioni seguenti:

( ) ( )

( ) ( )MfvfPfvf

vM

vP

Mf

fp

Pf

fpMP

CCCC

K

LCG

K

LCGPePe

,,

,,

⋅=⋅⇒=

⋅⋅=

⋅⋅⇒=

ρρ

15)

Queste relazioni stabiliscono le seguenti condizioni operative in termini di portata massica e pressione di lavoro necessaria per il rispetto della similitudine:

( )( )

Mfvm

Pfvm

P

M

Mf

fp

Pf

fp

P

M

C

C

p

p

K

C

K

C

m

m

,

,

,

,

1

⋅Μ⋅Μ

=

Σ⋅

=&

&

16)

Avendo indicato con Σ il fattore di scala (rapporto fra le grandezze geometriche del prototipo e quelle corrispondenti del modello) ed Mm la massa molecolare del fluido utilizzato. Se il fluido utilizzato nelle sperimentazioni sul modello è identico a quello del sistema reale allora le condizioni di similitudine si semplificano ulteriormente e richiedono:

PM

P

M

pp

m

m

= 1&

&

17)

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135

In questo caso quindi è necessario operare con la stessa pressione di lavoro del sistema reale se si vuole ottenere la stessa capacità termica per unità di volume. Nel caso specifico il fluido operativo dell’impianto reale è, come detto, la CO2, mentre se si decidesse di utilizzare l’aria per le prove sul modello sarebbe richiesta una correzione delle equazioni 17) date, tramite la 16), da:

( )( )( )( )

ARIAfvm

COfvm

P

ARIAffp

COffp

m

C

C

KC

KC

,

2,

,

2,

/

/

⋅Μ

⋅Μ=∆

=∆

18)

Per determinare l’ordine di grandezze di questi due termini correttivi, si calcola il valore medio che risulta essere circa 1.05 per la correzione della portata e circa 1.8 per quella della pressione. Ciò indica la necessità di operare, nel modello da laboratorio, con pressioni circa doppie di quelle impostate sull’impianto reale per rispettare la similitudine. Poiché sarebbe decisamente più semplice poter svolgere le misure sperimentali sul modello a pressioni vicine a quella ambiente, è importante valutare gli effetti che la violazione di tale condizione può comportare. Se si analizza l’origine di tale termine si nota che esso deriva unicamente dall’esigenza di soddisfare l’uguaglianza delle capacità termiche per unità di volume fra il modello e il prototipo ovvero ottenere il medesimo valore per il termine λ1, senza quindi alcun effetto sugli altri coefficienti presenti nelle equazioni 11). Il contributo derivante dalla variazione di tale coefficiente sulle distribuzioni di temperatura lungo il serbatoio, si può quindi determinare confrontando il valore che esso assume rispetto a quello degli altri due coefficienti e valutando la variazione cha si presenta fra il prototipo e il modello. Per quanto riguarda il sistema di accumulo del prototipo, in questo caso, si considera, di utilizzare come fluido operativo la CO2 alla pressione di 20 bar e di alimentare il serbatoio di accumulo con una portata massica costante pari a 1 kg/s. Tenendo conto delle proprietà termodinamiche della CO2 e delle caratteristiche principali dell’accumulo, riportate nella tabella 6.1, si possono determinare i valori e gli ordini di grandezza dei coefficienti adimensionali. Dalle relazioni 12) si valuta che λ1 assume valori dell’ordine di 10-3, λ2 e λ4 sono prossimi a 1 mentre λ3 assume valori dell’ordine di 102. Nel caso invece del modello che opera con aria alla pressione ambiente, λ1 assume il valore di 5 10-5, ovvero circa 30 volte più piccolo rispetto a quello ottenuto per il prototipo. Tale differenza nasce principalmente dal diverso valore che assume la densità dell’aria a pressione ambiente rispetto a quella della CO2 a 20 bar. Tale coefficiente, sia nel caso del prototipo e ancor più nel caso del modello, assume valori molto più piccoli rispetto a quelli degli altri coefficienti delle equazioni dinamiche del modello, per cui si può ritenere che le sue variazioni considerate in precedenza abbiano effetti del tutto trascurabili sulle distribuzioni di temperatura lungo il serbatoio sia per il fluido che per le particelle solide del materiale di accumulo. A conferma dell’analisi svolta sono state poste a confronto le simulazioni relative alla fase di carica del serbatoio di accumulo nel caso del prototipo e del modello, rispettando la condizione di similitudine relativamente al solo numero di Péclet ed al fattore di scala geometrico. Le simulazioni sono state effettuate considerando le medesime temperature estreme per il fluido ed il solido e assumendo la medesima condizione iniziale di temperatura uniforme di tutto il letto in entrambi i casi. I risultati sono riportati in figura 6.4 come distribuzioni di temperatura lungo la posizione adimensionale del serbatoio e per diversi istanti di tempo adimensionali. Infatti, le distribuzioni di temperatura nel prototipo reale, in rosso, si sovrappongono quasi perfettamente a quelle in blu del modello da laboratorio per tutta la durata della fase di carica con scostamenti del tutto trascurabili ai fini della sperimentazione che si intende effettuare. Da notare, inoltre, che le coordinate di

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136

figura 6.4 sono espresse tutte in forma adimensionale e alla x*, T* e t* già note si è aggiunta la E*, data dal rapporto E/Emax.

0 0.2 0.4 0.6 0.8 10

0.2

0.4

0.6

0.8

1

x*

T*

0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.40

0.2

0.4

0.6

0.8

1

t*

E*

Prototipo

Mod. laboratorio

Figura 6.4: Termoclini relativi a diversi intervalli di tempo durante il processo di carica.

Per quanto concerne i valori che assumono i parametri adimensionali che vengono rispettati nella similitudine, si può far riferimento alla figura 6.5 dove sono riportate le loro distribuzioni al variare della temperatura con riferimento al fluido impiegato nel prototipo (CO2 a 20 bar).

Figura 6.5: Distribuzione dei numeri adimensionali al variare della temperatura del fluido

Nella tabella 6.2 vengono posti a confronto i risultati ottenuti per il prototipo e per il modello da laboratorio in scala 1:5, adoperando nel primo caso l’anidride carbonica ad una pressione di 20 bar, mentre nel secondo l’aria alla pressione ambiente. Questi risultati permettono quindi di rivedere e semplificare notevolmente lo schema del set-up sperimentale mostrato in figura 6.2 che, anziché del tipo a circuito chiuso, può essere realizzato nella nuova configurazione a circuito aperto schematicamente riportata in figura 6.6, che prevede di prelevare l’aria dall’esterno, mandarla verso l’accumulatore ed infine di scaricarla all’esterno attraverso il camino. L’impianto da laboratorio, pertanto, sarà costituito dal serbatoio di accumulo termico, da una macchina operatrice per movimentare il fluido, un riscaldatore elettrico per portare il gas alla temperatura desiderata, e da 3

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valvole che servono per modificare la direzione del gas in funzione della fase operativa da eseguire: carica o scarica dell’accumulatore.

Parametri Accumulatore reale Accumulatore laboratorio

Unità di misura

Altezza 4.26 0.852 m Diametro 1.71 0.342 m Sezione 2.296 0.092 m2 Volume 9.74 0.078 m3

Percentuale di vuoto 30% 30% - Massa 24.54 0.196 tonn Energia caricata 3 0.0241 MWh Tipo di gas CO2 Aria - Portata gas 1 0.231 Kg/s Pressione operativa 20 1 bar

Tabella 6.2: Confronto tra le prestazioni del prototipo e il serbatoio da laboratorio. La scelta di realizzare un circuito aperto permette di evitare i problemi legati alla presenza di un circuito e di un serbatoio in pressione e i problemi di tenuta dei componenti. Inoltre, un circuito chiuso avrebbe costretto la macchina operatrice a lavorare con un gas a temperatura più alta con un aumento notevole della potenza assorbita; la scelta definitiva del tipo di macchina operatrice sarà legata ai risultati del calcolo delle perdite di carico complessive e dalla portata massima richiesta. In figura 6.6, è indicato il percorso del gas durante il processo di carica: in questo caso, viene effettuata la commutazione delle 3 valvole V1, V2 e V3 in modo che il gas segua il percorso indicato in rosso in uscita dal riscaldatore e quello in arancione una volta uscito dall’accumulatore. L’aria viene aspirata dall’esterno e spinta nella tubazione a temperatura ambiente (linea blu) verso il riscaldatore che la porta ad elevata temperatura (550°C).

Figura 6.6: Schema del processo di carica.

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Durante il processo di scarica, invece, l’aria entra dalla parte inferiore del serbatoio come mostrato nella figura 6.7, commutando le valvole in modo tale che l’aria, prelevata dall’ambiente e riscaldata fino a 150°C, venga inviata al serbatoio attraverso la tubazione disegnata in arancione e, una volta ricevuto il calore dalle sferette raffreddandole, esce dal serbatoio ad alta temperatura (550°C) e viene scaricata in atmosfera attraverso il camino secondo il percorso disegnato in colore rosso.

Figura 6.7: Schema del processo di scarica.

6.2.2 Prestazioni dell’impianto da laboratorio Considerando i risultati della precedente analisi dimensionale, condizioni soddisfacenti di similitudine si ottengono realizzando la corretta portata massica attraverso il modello da laboratorio in relazione al fattore di scala utilizzato. La figura 6.8 riporta i valori delle principali grandezze operative, per il modello operante con aria alla pressione ambiente, al variare del fattore di scala con riferimento ad una portata massica unitaria attraverso il prototipo. Utilizzando alti fattori di riduzione della scala geometrica del prototipo, si possono contenere sia le dimensioni del sistema di accumulo e sia le richieste di portata d’aria necessaria per le prove. Ciò comporta, tuttavia, delle velocità del fluido attraverso il letto di materiale solido più elevate e conseguentemente delle perdite di carico più alte.

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Figura 6.8: Influenza del fattore di scala sulle grandezze operative.

La scelta del fattore di scala condizionerà quindi non solo le dimensioni del modello ma anche le caratteristiche ed il tipo di macchina che dovrà realizzare il flusso di portata e la potenza richiesta dal sistema di riscaldamento dell’aria (tabella 6.3).

Fattore di scala

D [m] L [m] mmod/mprot ∆∆∆∆p [kPa] E/mprot [kJ/kg] tmod/tprot

1.0000 1.7055 4.2637 1.1559 5.0195 676.3868 0.9281

1.5000 1.1370 2.8425 0.7706 11.2939 450.9245 0.4125

2.0000 0.8527 2.1319 0.5780 20.0780 338.1934 0.2320

2.5000 0.6822 1.7055 0.4624 31.3719 270.5547 0.1485

3.0000 0.5685 1.4212 0.3853 45.1756 225.4623 0.1031

3.5000 0.4873 1.2182 0.3303 61.4890 193.2534 0.0758

4.0000 0.4264 1.0659 0.2890 80.3122 169.0967 0.0580

4.5000 0.3790 0.9475 0.2569 101.6451 150.3082 0.0458

5.0000 0.3411 0.8527 0.2312 125.4878 135.2774 0.0371

Tabella 6.3: Parametri caratteristici del modello dell’accumulatore al variare del fattore di scala.

Alle perdite di carico rilevate nel serbatoio vanno aggiunte le perdite concentrate e distribuite presenti nel circuito attraversato dal gas; nella tabella 6.4 sono riportati i valori delle perdite di carico per valori crescenti del diametro interno della tubazione, che tengono conto sia della temperatura lungo il circuito, sia delle perdite di carico concentrate (gomiti, valvole, ecc) e, naturalmente, della lunghezza dei diversi tratti della tubazione. Nella tabella 6.4 sono presenti due colonne principali che indicano rispettivamente le perdite di carico distribuite e concentrate, suddivise a loro volte in 3 sottocolonne per le diverse temperature che il gas raggiunge nel circuito e con l’indicazione delle rispettive lunghezze nel caso delle perdite distribuite e del coefficiente di perdita per quelle concentrate; nella colonna di estrema destra sono indicate le perdite complessive del circuito in funzione dei diametri interni della tubazione.

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Perdite Distribuite [bar] Perdite Concentrate [bar]

Lunghezza [m] Coeff. di perdita localizzata

Diametro interno

1,5 4 3,5 1 3 2

pollici cm Sezione

[m2] T =550°C T =150°C T =20 °C T =550°C T =150°C T =20 °C

Perdite totali [bar]

1,00 2,54 0,0005 2,9019 3,9774 2,4106 2,4570 3,7885 1,7494 17,284

1,50 3,81 0,0011 0,3821 0,5238 0,3175 0,4853 0,7483 0,3456 2,8026 2,00 5,08 0,0020 0,0907 0,1243 0,0753 0,1536 0,2368 0,1093 0,7900 3,00 7,62 0,0046 0,0119 0,0164 0,0099 0,0303 0,0468 0,0216 0,1369

4,00 10,16 0,0081 0,0028 0,0039 0,0024 0,0096 0,0148 0,0068 0,0403 6,00 15,24 0,0182 0,0004 0,0005 0,0003 0,0019 0,0029 0,0013 0,0074

8,00 20,32 0,0324 0,0001 0,0001 0,0001 0,0006 0,0009 0,0004 0,0022 Tabella 6.4: Perdite di carico dell’impianto da laboratorio in funzione del diametro interno del tubo.

Per il calcolo delle perdite concentrate, ci si è riferiti alle indicazioni di figura 6.9 dove sono riportati i coefficienti di perdita relativa alle tubazioni di acciaio e di rame.

Figura 6.9: Coefficienti di perdita relativi alle tubazioni.

I risultati ottenuti, indicano come sia necessario ridurre il più possibile la lunghezza delle tubazioni in cui scorre il gas ad alta temperatura che causano le maggiori perdite di carico poiché le velocità risultano più elevate. Scegliendo, ad esempio, la tubazione avente un diametro interno di 2” si avrebbero delle perdite non eccessive pari ad un valore complessivo di circa 0,80 bar. A questo punto, è

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possibile sommare le perdite di carico della tubazione e quella del serbatoio, prendendo in considerazione il caso in cui si ha un rapporto di scala del serbatoio pari a 1:5, in modo tale da ricavare la potenza assorbita dalla macchina operatrice (tab. 6.5).

pollici cm Perdite circuito

[bar] Perdite serbatoio

[bar] Q [m 3/s]

(Tamb) Potenza

[kW]

1 2,54 17,2849 1,25 0,194 360

1,5 3,81 2,8026 1,25 0,194 79

2 5,08 0,7900 1,25 0,194 40

3 7,62 0,1369 1,25 0,194 27

4 10,16 0,0403 1,25 0,194 25

6 15,24 0,0074 1,25 0,194 24

8 20,32 0,0022 1,25 0,194 24 Tabella 6.5: Calcolo della potenza necessaria al compressore per muovere il fluido.

La potenza necessaria per vincere le perdite di carico del circuito, realizzato con tubi da 3”, è pari a circa 27 kW e si nota come la potenza richiesta cali al crescere del diametro solo fin tanto che le perdite della tubazione sono prevalenti, mentre oltre un certo valore del diametro, la potenza richiesta si stabilizza dato che le perdite nel serbatoio sono sempre costanti, del tutto indipendenti dal circuito in cui esso è inserito, ma dipenda solamente dalla portata e dalla pressione operativa. I risultati riportati in tabella 6.5 indicano anche la necessità di potenze termiche elevate per il riscaldamento dell’aria e, pur riducendosi rapidamente al crescere del rapporto di scala, i valori risultano comunque elevati. Infatti, anche se il prototipo operasse con una sola linea di collettori solari, la massima portata di CO2 richiesta sarebbe pari a circa 0.7 kg/s per cui anche utilizzando un fattore di scala pari a 1:5 sarebbe necessario impiegare un sistema di riscaldamento dell’aria avente la potenza superiore a 125 kW. Per il calcolo, si deve considerare la temperatura di ingresso e di uscita del fluido: partendo dalla temperatura ambiente, il gas deve essere portato a 550°C, temperatura prevista all’ingresso del serbatoio, ma si deve anche tener conto delle inevitabili perdite termiche che si registrano dall’uscita del riscaldatore all’ingresso del serbatoio. Ipotizzando, inizialmente, che non vi siano perdite in tal senso, si può calcolare la potenza necessaria al riscaldatore termico:

kWTcmP pth 2,128525057.1231.0~ =⋅⋅=∆⋅⋅= &

Nella fase di scarica il gas va portato a 150°C dalla temperatura ambiente richiedendo pertanto una potenza minore.

kWTcmP pth 52.301251057231.0~ =⋅⋅=∆⋅⋅= &

Per limitare gli impegni di potenza per il modello da laboratorio, si è deciso allora di operare in un campo di temperatura del fluido inferiore a quello del prototipo, in modo da contenere l’energia necessaria per la fase di carica dell’accumulatore sodisfacendo comunque la similitudine anche per i numeri di Reynolds più elevati (tab. 6.6). Il nuovo campo di temperatura in cui andrà ad operare il modello da laboratorio risulta fissato fra i valori della temperatura dell’aria ambiente (Tmin=20 °C) ed il valore massimo di Tmax=200 °C. Per questa nuova condizione le grandezze operative assumono i valori riportati nella figura 6.10 e si può osservare che rispetto alla situazione precedente stavolta la richiesta di potenza, a parità di rapporto di scala, si è quasi dimezzato come pure le perdite di carico.

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Figura 6.10: Influenza del fattore di scala sulle grandezze operative per un campo ridotto della temperatura dell’aria (20°C - 200°C)

Ricalcolando le perdite di carico nella tubazione e nel serbatoio (tab. 6.6) è possibile conoscere il nuovo valore della potenza richiesta dal circuito (tab. 6.7).

Perdite Distribuite [bar] Perdite Concentrate [bar]

Lunghezza [m] Coeff. di perdita localizzata

Diametro interno

1,5 7,5 1 5

pollici cm Sezione

[m2] T =200°C T =20 °C T =200°C T =20 °C

Perdite totali [bar]

1,00 2,54 0,0005 1,6678 5,1657 1,4121 4,3736 12,6192 1,50 3,81 0,0011 0,2196 0,6803 0,2789 0,8639 2,0427 2,00 5,08 0,0020 0,0521 0,1614 0,0883 0,2734 0,5752 3,00 7,62 0,0046 0,0069 0,0213 0,0174 0,0540 0,0995 4,00 10,16 0,0081 0,0016 0,0050 0,0055 0,0171 0,0293 6,00 15,24 0,0182 0,0002 0,0007 0,0011 0,0034 0,0053 8,00 20,32 0,0324 0,0001 0,0002 0,0003 0,0011 0,0016 Tabella 6.6: Perdite di carico del circuito con l’adozione delle nuove temperature massime e minime.

pollici cm Perdite circuito

[bar]

Perdite serbatoio

[bar]

Q [m 3/s] (T =25 °C)

Potenza [kW]

1 2,54 12,6192 0,75 0,194 260 1,5 3,81 2,0427 0,75 0,194 54 2 5,08 0,5752 0,75 0,194 26

3 7,62 0,0995 0,75 0,194 17 4 10,16 0,0293 0,75 0,194 15 6 15,24 0,0053 0,75 0,194 15 8 20,32 0,0016 0,75 0,194 15 Tabella 6.7: Calcolo della potenza necessaria al compressore per muovere il fluido.

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In questo caso la potenza richiesta è decisamente inferiore limitandosi a valori intorno ai 17 kW per una tubazione da 3”, grazie ad una riduzione del 40% delle perdite nel serbatoio e del 27% nelle tubazioni. Un discorso analogo vale per la potenza assorbita dal riscaldatore che risente della diminuzione della temperatura massima fissata a 200°C. Per la fase carica si avrà:

kWTcmP pth 95,43180057.1231.0~ =⋅⋅=∆⋅⋅= &

Nella fase di scarica, invece, il riscaldatore rimane spento, in quanto la temperatura minima del serbatoio coincide con quella ambiente.

6.3 Il serbatoio di accumulo da laboratorio L’accumulatore termico può essere suddiviso in 3 zone ben distinte: la parte centrale cilindrica, occupata dalle sferette e 2 gusci di chiusura posti alla estremità del cilindro che svolgono la funzione di raccolta e convogliamento del flusso in ingresso e in uscita dal serbatoio, accoppiati mediante flangie. Per il contenimento delle sferette all’interno del serbatoio, è necessario disporre una doppia griglia: la prima, a maglia larga deve essere rigida e robusta per sostenere il peso delle particelle che grava su di essa, la seconda deve avere una struttura abbastanza fitta per impedire la fuoriuscita delle sferette dal fondo del serbatoio (fig. 6.11), garantendo, però, il passaggio del gas. Il riempimento del serbatoio avviene dall’alto rimuovendo il guscio di chiusura superiore, mentre l’accesso alla parte inferiore del serbatoio, consente il fissaggio meccanico della griglia prima del riempimento del serbatoio. Il serbatoio verrà opportunamente strumentato mediante una serie di termocoppie disposte sia lungo l’asse del serbatoio sia lungo alcuni diametri posti a diverse altezze della zona cilindrica dell’accumulatore. Le condizioni di prova saranno determinate attraverso me misure di temperatura e pressione del fluido operativo nonché della portata istantanea utilizzata per le fasi carica e scarica dell’accumulatore. Per quanto riguarda il riscaldamento del gas, si utilizzeranno degli specifici riscaldatori industriali capaci di raggiungere temperature di processo elevata e di potenza sufficiente per le esigenze del set-up da laboratorio.

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Figura 6.11: Sistema di riempimento e di svuotamento del serbatoio delle particelle.

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Conclusioni

In questa tesi sono state affrontate alcune problematiche riguardanti l’impiego di un fluido termovattore gassoso ad alta temperatura in impianti solari termodinamici di tipo parabolico-lineare. La prima parte della tesi ha riguardato un’ampia analisi dello stato dell’arte degli impianti solari termodinamici, analizzando le singole tipologie di impianti esistenti sia dal punto di vista esclusivamente tecnico che da quello economico. Sono stati messi in evidenza i requisiti di insolazione solare necessaria affinché l’installazione di un impianto di questo tipo, sia economicamente conveniente per una fissata località. Sono state altresì messe in evidenza le prospettive future e lo stato di avanzamento della ricerca, con i margini di miglioramento che le diverse tecnologie solari possono prospettare per il futuro. Successivamente l’attività di ricerca è stata focalizzata sulla modellazione e simulazione dei due principali componenti dell’impianto solare: il collettore parabolico lineare e il serbatoio di accumulo termico. Entrambi i componenti presentano delle soluzioni innovative rispetto agli impianti attualmente esistenti. I collettori solari prevedono l’impiego di un fluido termovettore gassoso piuttosto che l’olio diatermico o i sali fusi in modo da ottenere miglioramenti del rendimento termico dell’impianto grazie al superamento dei limiti di temperatura operative presenti con gli altri fluidi. I risultati delle simulazioni numeriche hanno messo in evidenza che le prestazioni complessive del collettore solare migliorano impiegando l’anidride carbonica. Le analisi comparative, effettuate impiegando diversi fluidi inerti come l’elio e l’azoto, hanno mostrato che essi sono del tutto equivalenti dal punto di vista termico mentre si differenziano per la potenza meccanica richiesta per la circolazione del fluido operativo. L’altro aspetto di novità previsto nel progetto di ricerca è costituito dall’accumulatore termico che è di tipo solido con l’impiego di materiale ceramico (allumina) per l’accumulo dell’energia termica. Lo scambio termico fra il gas ed il solido genera un gradiente di temperatura lungo tutta l’altezza del serbatoio di accumulo che viene denominato termoclino. Il comportamento del sistema di accumulo durante le singole fasi di carica e scarica e l’effetto di isteresi termica che si presenta in seguito alla ripetizione ciclica delle fasi predette è stato analizzato mediante un modello matematico monodimensionale. Il modello matematico ha messo in evidenza che i vincoli sui valori massimi e minimi della temperatura del fluido operativo con cui opera l’accumulatore termico, sia per la fase di carica che di scarica, limitano la capacità di utilizzazione del serbatoio di accumulo. A ciò si aggiunge il progressivo degrado che subisce il termoclino e la corrispondente riduzione della capacità di accumulo del serbatoio che si manifesta con il susseguirsi dei cicli di carica e di scarica. Questo comportamento ha richiesto un’analisi più attenta della gestione del sistema di accumulo. In particolare, se i limiti sulle temperature estreme di lavoro non sono suscettibili di variazione, per mantenere efficiente il sistema di accumulo occorre uniformare la temperatura del materiale di accumulo alla fine di ciascun ciclo di carica e scarica del serbatoio. Se invece è consentita una certa flessibilità sui valori della temperatura massima e minima che può assumere il fluido in uscita dal serbatoio, è possibile da un lato incrementare la quantità di energia accumulabile e dall’altro ridurre l’effetto di decadimento del termoclino con il susseguirsi dei cicli di carica e scarica. Per studiare il comportamento del termoclino e confermare i risultati ottenuti dalle simulazioni numeriche è stata applicata la teorica dei modelli e dell’analisi dimensionale al sistema di accumulo al fine di intraprendere una attività sperimentale su un modello in scala ridotta da laboratorio. La teoria dei modelli e l’analisi dimensionale ha consentito di stabilire che la sperimentazione può essere condotta in condizioni di similitudine utilizzando l’aria a

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pressione ambiente, anziché l’anidride carbonica in pressione, semplificando notevolmente l’impianto che sarà quindi del tipo a circuito aperto. Inoltre, per evitare l’impiego di elevate potenze elettriche necessarie per il riscaldamento dell’aria a temperature elevate, è possibile operare ad una temperatura del fluido inferiore.

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