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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA TRE Dipartimento di Scienze della formazione Corso di Laurea in Management delle politiche e dei servizi sociali. TESI DI LAUREA Il ruolo del servizio sociale professionale nel nuovo istituto della messa alla prova per adulti. Relatore: Prof. Michele Ciarpi Correlatrice: Prof.ssa Isabella Mastropasqua Candidata: Francesca Coricelli Anno Accademico 2016/2017

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA TRE

Dipartimento di Scienze della formazione

Corso di Laurea in Management delle politiche e dei

servizi sociali.

TESI DI LAUREA

Il ruolo del servizio sociale professionale nel nuovo

istituto della messa alla prova per adulti.

Relatore: Prof. Michele Ciarpi

Correlatrice: Prof.ssa Isabella Mastropasqua

Candidata: Francesca Coricelli

Anno Accademico 2016/2017

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2

INDICE

INTRODUZIONE. .................................................................................................. 4

CAPITOLO 1 ........................................................................................................ 8

IL PROBATION E LE SUE COMPONENTI: GIUSTIZIA RIPARATIVA E

MEDIAZIONE PENALE. ...................................................................................... 8

1.2 IL PROBATION IN ITALIA.......................................................................... 15

1.3 LA GIUSTIZIA RIPARATIVA ..................................................................... 18

1.4 LA MEDIAZIONE PENALE E LE SUE FORME ........................................ 26

1.5 LA MEDIAZIONE PENALE IN ITALIA. .................................................... 32

1.6 LA VITTIMA.................................................................................................. 35

CAPITOLO 2 ...................................................................................................... 40

L’ISTITUTO DELLA MESSA ALLA PROVA PER ADULTI E IL RUOLO

DELL’ASSISTENTE SOCIALE .......................................................................... 40

2.1 DALLA VISIONE CARCEROCENTRICA A QUELLA COMUNITARIA. 40

2.2 LA MESSA ALLA PROVA PER ADULTI .................................................. 47

2.3 LA FASE DI INDAGINE E L’ELABORAZIONE DEL PROGRAMMA DI

TRATTAMENTO ................................................................................................. 51

2.4 LA FASE ESECUTIVA ................................................................................. 57

2.5 IL LAVORO DI PUBBLICA UTILITÀ......................................................... 60

2.6 CONCLUSIONE E UDIENZA DI VERIFICA .............................................. 63

2.7 ALCUNE CONSIDERAZIONI RIGUARDO LA “PROVA”

DELL’ISTITUTO DELLA MESSA ALLA PROVA........................................... 65

CAPITOLO 3 ...................................................................................................... 68

SECONDA PARTE

ITINERARIO METODOLOGICO DELLA RICERCA. ..................................... 68

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3

3.1 DESCRIZIONE DEL CONTESTO DOVE SI È SVOLTA LA RICERCA:

UEPE DI SPOLETO ............................................................................................. 68

3.2 TERRITORIO DI RIFERIMENTO. .............................................................. 71

3.3 ORGANIZZAZIONE DEL SERVIZIO. ....................................................... 72

3.4 FUNZIONI E COMPITI DELL’UEPE ......................................................... 73

3.5 LA STRUTTURAZIONE DELL’ITINERARIO METODOLOGICO. ...... 74

3.6 PROTOCOLLO D’INTESA TRA L’UEPE DI SPOLETO E IL

DIPARTIMENTO PER LE DIPENDENZE. ........................................................ 78

3.7 LE IPOTESI DELLA RICERCA .................................................................. 81

3.8 GLI OBIETTIVI ............................................................................................ 83

3.9 IL CAMPIONE .............................................................................................. 83

3.10 STRUMENTI UTILIZZATI ......................................................................... 85

CAPITOLO 4 ...................................................................................................... 88

L'ANALISI DEI DATI ......................................................................................... 88

4.1 LA VALUTAZIONE DEGLI ASSISTENTI SOCIALI. .............................. 101

CONCLUSIONI ................................................................................................ 110

BIBLIOGRAFIA ............................................................................................... 118

SITOGRAFIA ................................................................................................... 120

ALLEGATI ........................................................................................................ 121

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Introduzione.

«L’umanità mi diceva: “quella è la giustizia”. Mi suggeriva che per una vita rotta

un’altra se ne doveva andare. Non avrebbe funzionato. Non mi avrebbero punito.

Non ci sarebbe stato passo alcuno verso il ravvedimento. Se si crede che la

vendetta annienti il peccatore, si fa uno sbaglio grande, perché lo si rafforza solo

nel suo indurimento. E invece no. La vita, gli uomini, Claudia mi hanno dato

qualcosa di diverso: una condanna a venti anni e quindi una possibilità che

sentivo di non meritare. Voleva dire darmi modo di vedere quanto male davvero

avessi fatto. E dirmi: nonostante questo, vogliamo provare a credere in te. Una

botta nello stomaco. A me che in me non avevo mai creduto». «Claudia mi

parlava dicendomi chi era Antonio, mostrandomi la sua solitudine, rendendomi

capace di ascoltarla, a me che non ero capace nemmeno di ascoltare me stesso».

«Si dona qualcosa che l’altro non merita e facendolo, lo si spinge a crescere nella

responsabilità che gli si è data». Matteo Gorelli, reo dell’uccisione di Antonio

Santarelli.

L’elaborato nasce e si sviluppa all’interno dello stage di ricerca svolto presso

l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Spoleto.

La tesi qui presentata ha come elemento fondante la nuova misura di comunità:

l’istituto della messa alla prova per adulti e l’obiettivo di favorire la conoscenza e

la divulgazione di buone pratiche per una misura ancora poco svelata. È una

novità introdotta dalla legge del 28 aprile 2014, n. 67, che esenta la persona dal

procedimento penale, dovendo però rispettare un programma di trattamento che si

stila con l’assistente sociale dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (da ora in

poi UEPE). La misura è pensata per reati di minore allarme sociale. Proprio per la

sua funzione di riparazione, il programma di trattamento può richiedere azioni

riparatorie e/o esperienze di volontariato a rilievo sociale e mediazione penale,

oltre all’attività obbligatoria del lavoro di pubblica utilità. L’istituto è ancora poco

studiato e sperimentato, alcuni avvocati si presentano presso l’ufficio UEPE per

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chiedere consulenze riguardo le procedure. È una misura di comunità che si

avvicina al probation europeo, già in corso dall’inizio del XX secolo nel Regno

Unito. Vuole essere l’inizio e il motore per nuove esperienze che possano

includere anche reati di diversa e maggiore entità, se vi sono i presupposti di non

pericolosità sociale nella personalità del reo. La messa alla prova porta con sé una

giustizia che si affianca a quella classica e prende il nome di restorative justice,

una giustizia senza spada1 che si esplica attraverso la mediazione.

Nella cronaca nera dell’Italia vi è un esempio emblematico della “nuova”

(virgolettato dell’autrice) Giustizia di cui si parla.

Il 25 aprile 2011, un ragazzo al ritorno da una festa, fu fermato ad un posto di

blocco da due poliziotti che fecero a costui l’alcol test. Il giovane risultò positivo,

aggredì per diverse volte uno dei poliziotti che dopo un anno di coma morì. La

madre del reo dopo il fatto scrisse una lettera alla vittima secondaria del reato, la

moglie del poliziotto. Vi sarà un incontro che, tempo dopo, tra le due donne darà

luogo alla creazione dell’associazione AmiCainoAbele,2 uno sportello che crea

uno spazio di ascolto comune per le famiglie dei rei e delle vittime. Dopo un

lungo percorso la moglie della vittima ha effettuato vari incontri con il colpevole,

una mediazione penale che ha aiutato ad riflettere e a trovare risposte importanti

nell’altro. La storia è l’esempio di cosa sia una Giustizia che crea legami e non li

spezza. Si crede opportuno provare a leggere questi capitoli con il seguente

quesito: dal male e dall’isolamento può nascere il bene? Siamo pronti a vedere la

reclusione solo come extrema ratio e per individui con livelli di pericolosità

sociale elevata?

La trattazione si articola principalmente in due sezioni. La prima parte, di

carattere teorico, offre un riferimento concettuale di teorie e strumenti del sistema

di probation che hanno dato vita all’istituto della messa alla prova, tema che verrà

trattato approfonditamente nella seconda parte attraverso una ricerca svolta

nell’ambito dello stage.

1 Il termine si riferisce alla rappresentazione iconografica di Giustizia.

2 “L’associazione Amicainoabele promuove un’altra strada, la stessa dove-Caino e Abele-possano

provare a prendersi per mano. Una via alternativa, la via del perdono, della riconciliazione,

dell’amore.” Questa è la frase che le due signore usano nella pagina web per descrivere la loro

associazione.

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La prima parte è costituita dai primi due capitoli e si propone un’analisi del

probation fin dalla sua nascita nei diversi paesi europei e in Italia, individuando le

nuove linee di indirizzo di politica degli ultimi anni che fanno intravedere lo

spazio per la nuova Giustizia, la giustizia riparativa. In particolare, vengono

illustrate le strategie di intervento e gli strumenti innovativi, come la mediazione

penale e tutte le forme che pongono in un nuovo ruolo il reo, la vittima e la

comunità di riferimento.

Nel secondo capitolo si introduce una storia del pensiero e della funzione del

carcere e delle pene fin dal tempo della Bibbia, per far capire come si è arrivati al

focus della tesi, il nuovo istituto della messa alla prova per adulti. Entrando, anche

se non a pieno titolo, in quello che è il probation, la messa alla prova è piena

anche di spunti e fini riparativi. Nel dettaglio attraverso la legislazione e la pratica

svolta nelle ore di stage viene tratteggiato il percorso della nuova misura di

comunità che comprende diverse fasi e diversi attori. Dal momento di indagine

alla fase esecutiva e fino alla conclusione del percorso si deve promuovere un

lavoro di rete efficiente che va dall’imputato, all’avvocato, al giudice,

all’assistente sociale, ai servizi territoriali specifici, all’ente dove si svolgerà il

lavoro di pubblica utilità, il volontariato e al centro di mediazione. In questo

percorso vi sono figure sempre stabili a cui si riferisce il lavoro: il reo, la vittima e

la comunità. Più nello specifico, viene tratteggiato il ruolo dell’assistente sociale

quale attivatore di processi di riparazione nell’imputato e mediatore tra i diversi

attori, quali il tribunale, gli enti, la vittima e la famiglia sia del reo che della

vittima. Il compito di integrazione tra i servizi è strutturato e formalizzato anche

attraverso protocolli d’intesa, elemento di ricerca della seconda parte

dell’elaborato.

La seconda sezione è composta da due capitoli, il primo specifica qual è stato il

percorso metodologico seguito per realizzare la ricerca, mentre l’ultimo analizza i

dati che sono stati raccolti attraverso le interviste semi-strutturate agli utenti e agli

assistenti sociali dell’UEPE di Spoleto e dei SER.T del territorio.

Più in particolare, viene presentato un approfondimento relativo al protocollo

d’intesa tra l’UEPE di Spoleto e il Dipartimento dell’USL N.2 relativo alla

gestione integrata delle sospensioni del procedimento per messa alla prova.

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Successivamente attraverso le ipotesi formulate, gli obiettivi, il campione scelto e

gli strumenti utilizzati viene presentata la sistematizzazione della ricerca che verte

sull’analisi dei punti di forza e i punti di criticità del protocollo ad un anno dalla

sottoscrizione.

Per valutare ciò, sono state somministrate dieci interviste agli imputati destinatari

del protocollo e sette alle figure professionali che lo hanno sottoscritto e che

hanno lavorato per la sua effettiva realizzazione.

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8

Capitolo 1

Il probation e le sue componenti: giustizia riparativa e

mediazione penale.

“Se il servizio di Probation giunge ad essere visto come servizio che si occupa dei

bisogni dell’autore di reato più che di quelli della comunità che l’ha subito,

nessun equilibrio può essere raggiunto ed il servizio è destinato a perdere

credibilità3”

1.1 Il probation e le sue sfaccettature in Europa.

Il padre del probation è considerato John Augustus, importante calzolaio di

Boston. Probabilmente per il fatto che era un membro della Washingtonian Total

Abstinence Society4, fondata da sei ex-alcolisti, credeva che la riabilitazione di un

alcolista non doveva passare per prigioni o simili istituzioni, la convivialità e le

esperienze di dialogo erano sicuramente pratiche che al meglio favorivano la

ripresa del soggetto. Codeste considerazioni lo hanno portato nei tribunali di

Boston e nel 1841 il Giudice gli affidò in prova per tre settimane un’alcolista a cui

fece svolgere ciò che oggi chiameremo lavoro di pubblica utilità, nella sua attività

di calzature. Dopo tre settimane Augustus portò davanti al Giudice l’imputato

completamente sobrio. Per i seguenti 18 anni J.A. condusse una carriera come

volontario del probation officer5.

L’esecuzione in area penale esterna di sanzioni e misure, ovvero il probation,

nasce nel XIX secolo in America e nel principio concerneva una sospensione di

una pronuncia di condanna a pena detentiva, cioè un periodo di prova in cui

l’imputato ha ricevuto una responsabilità penale, ma non gli è stata inflitta una

3 Seminario internazionale sul probation di Malta del 1997 tratto da S.Nasca.

4 M. A. Maxwell, The Washingtonion movement, alla pagina web

http://silkworth.net/washingtonians/washingtonian_movement.html 5 Nyc Probation, History of probation, alla pagina web www.nyc.gov.

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condanna e vive il periodo di “libertà assistita controllata” con la verifica degli

operatori dei probation officer6.

In Europa lo sviluppo del probation prende piega nel secondo dopoguerra. In

questo periodo si vuole dare un nuovo valore al detenuto e alla pena, una funzione

risocializzante e rieducativa. Il sistema pone l’attenzione alla salvaguardia del reo

come persona, quindi con diritti e doveri inalienabili da salvaguardare. Negli

uffici di probation vi sono persone a cui è richiesta una formazione specifica

perché devono interagire con l’autorità giudiziaria, utilizzando le diverse

competenze per affrontare la difficile scelta di concedere una sanzione di

comunità. Il probation descrive l’esecuzione in area penale esterna di sanzioni e

misure definite dalla legge e pronunciate nei confronti di un autore di reato7. Essa

consiste in tutta una serie di attività e di interventi, che comprendono

supervisione, consiglio ed assistenza allo scopo di reintegrare socialmente l’autore

di reato nella società e di contribuire alla sicurezza pubblica8. Le attività e le

sanzioni di cui si parla sono diverse nei Paesi dell’Unione Europea, ma ognuno

rispetta e si prefissa il fine di reinserire il reo nella società, lavorare nella

comunità, richiamare interventi di giustizia riparativa, quindi porre al centro anche

la vittima del reato.

In Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord, gli operatori sono laureati in social work,

per noi servizio sociale, e hanno diverse specializzazioni universitarie nella

materia del probation. È forse questo il motivo per cui in questi paesi la pena

detentiva è data solo se non ci sono i presupposti per applicare una sanzione di

comunità? Le misure di comunità presenti in queste nazioni sono9:

6 Slide Prof. Michele Ciarpi, Università di Romatre.

7 Probation in Europa e in Italia, alla pagina web www.ministerodellagiustizia.it.

8 Definitions Probation: relates to the implementation in the community of sanctions and measures,

defined by law and imposed on an offender. It includes a range of activities and interventions,

which involve supervision, guidance and assistance aiming at the social inclusion of an offender,

as well as at contributing to community safety. Recommendation CM/Rec(2010)1 of the

Committee of Ministers to member states on the Council of Europe Probation Rules (Adopted by

the Committee of Ministers on 20 January 2010 at the 1075th meeting of the Ministers’ Deputies). 9 M. Ciarpi, R. Turrini Vita, Le trasformazioni del probation in Europa, Roma, passim.

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10

Il probation order: è la prima sanzione di comunità10

, il periodo va dai sei

mesi ai tre anni e il destinatario non può avere meno di 16 anni. Il giudice

prima di applicarla consulta la valutazione dei funzionari degli uffici di

probation riguardo l’indagine sulla personalità. Se non vi è il rispetto delle

prescrizioni il tribunale può fermare la misura e ricorrere anche al carcere;

Il community service order: il giudice prevede un periodo di ore lavorative

che va da un minimo di 40 ore a un massimo di 300 e consistono in

un’attività a favore della comunità di riferimento, o della vittima. La

misura presuppone un accordo stipulato tra l’autore del reato e i

professionisti del Probation Service che devono far pervenire al giudice

anche l’indagine riguardo la situazione del soggetto. L’interruzione della

sanzione avviene se i punti che sono stati concordati con il soggetto e di

cui ha preso visione il giudice non vengono rispettati;

Combination Order: è stato introdotto in Inghilterra, Galles e Irlanda del

Nord nel 1992, il periodo della misura può variare da un anno a tre anni e

il lavoro di pubblica utilità parte da un minimo di 40 ore fino ad un

massimo di 100;

Supervision Order: il funzionario del probation office, nonché il social

worker promuove una forte integrazione con gli altri servizi del municipio

per la buona riuscita della misura. L’ordine può durare un anno e in casi

eccezionali anche tre anni.

Nel 2014 in Inghilterra e in Galles è stato riformato il sistema dell’esecuzione

penale esterna ed ora è gestito da due organi, uno pubblico, National probation

service, e uno privato, Community Rehabilitation Companies11

.

L’indagato in Inghilterra di norma non è sottoposto a carcerazione come misura

principale, si predilige la libertà su cauzione12

.

Un altro paese che è un ottimo esempio in materia di esecuzione penale esterna è

la Scozia.

10 A. Menghini, Misure Alternative, Spagna; Francia, Inghilterra e Germania, allegato6 tavolo14,

alla pagina web www.misterodellagiustizia.it. 11

M. Ciarpi, R. Turrini Vita, Le trasformazioni del probation in Europa, Roma, p. 75. 12

G. Torrente le fonti normative sovranazionali e il sistema di probation, slide convegno Roma 28

novembre 2016.

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11

In Scozia vengono istituiti gli uffici predisposti per l’attuazione di questo sistema

nel 1949, in seguito alla legge Criminal Justice13

. La Scozia ha puntato molto su

questo nuovo ramo della giustizia, offrendo alle assistenti sociali già presenti una

specifica formazione su questi temi. Cosa più importante è che nel 1991 si

elencano gli obiettivi che il governo di Edimburgo stabilisce nel National

Criminal Justice Social Work Service14

accrescendo la fiducia della comunità

scozzese verso il sistema giudiziario:

l’impegno è di diminuire il ricorso alla detenzione;

differenziare le sanzioni di comunità per i diversi reati;

promuovere percorsi in favore della comunità non solo per reati di lieve

allarme sociale;

mettere in azione le risorse della comunità in favore del percorso del reo;

attivazione dei servizi del territorio per un sistema integrato;

la vittima deve avere un ruolo attivo nel percorso;

pianificare il lavoro su attività che mirino a bloccare la replicazione del

fatto15

.

Tutto questo è applicato grazie anche ad uno Stato principalmente con welfare

comunitario.

Il Consiglio d’Europa nei diversi anni ha elencato diversi principi e linee guide

essenziali e utili per la realizzazione del sistema di probation.

I principi fondamentali descritti dal Consiglio d’Europa sono presenti nella

Raccomandazione R(2010)1 del Comitato dei Ministri agli Stati Membri sulle

Regole del Consiglio D’Europa in materia di probation e sono:

ridurre la recidiva attraverso la presa in carico effettiva del reo da parte

degli uffici di probation, quale l’ufficio di esecuzione penale esterna per

l’Italia, quindi attivare percorsi per raggiungere un positivo reinserimento

sociale;

13 M. Ciarpi, R. Turrini Vita, Le trasformazioni del probation in Europa, Roma, p. 75.

14 Scottish Government, National Outcomes and Standards for Social Work Service in the

Criminal Justice Sistem, Edinburgh, 2010. 15

M. Ciarpi, R. Turrini Vita, Le trasformazioni del probation in Europa, Roma, p. 75.

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12

i servizi di probation devono mettere al centro il reo come persona, la sua

dignità, la salute e il benessere;

al centro del probation vi è la vittima, il rispetto e l’attenzione per i suoi

bisogni;

le misure che rientrano nel probation hanno dei programmi

individualizzati per ogni diversa persona per garantire equità. Inoltre non

vi è discriminazione di ogni tipo o situazione;

non vi è l’autonomia per i servizi di probation di aggiungere prescrizioni

aggiuntive a quelle decise dall’autorità giudiziaria;

i funzionari del probation cercano di attivare un percorso collaborativo,

ogni decisione è presa con il consenso del reo;

ogni attività che si compie prima della colpevolezza definitiva non deve

essere dannosa per la presunta innocenza;

i servizi, le loro finalità e i rapporti con le autorità giudiziarie sono definite

dalla legge del paese dove si esercita;

la responsabilità del probation è del servizio pubblico, pur se alcuni servizi

sono prestati da enti privati o di volontariato;

questi servizi sono gestiti per le loro finalità e sono dotati di risorse

sufficienti;

il giudice si avvale del lavoro dei funzionari del probation per far si che si

diminuisca la recidiva e si aumenti l’uso delle misure alternative;

per rispondere sia alle necessità del reo che della comunità di riferimento

si avvia un progetto multidisciplinare che coinvolge diversi servizi e parti

della società;

il lavoro è svolto nel rispetto delle norme nazionali e internazionali;

le procedure devono essere efficaci, imparziali e accessibili per la possibile

presenza di reclami;

vi è un controllo da autorità indipendente o da ente governativo;

nei servizi vi è la propensione per la ricerca scientifica per orientare le

procedure e le nuove leggi concernenti la materia;

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13

attraverso attività di pubblicizzazione del servizio e dei suoi esercizi, si

deve far intendere alla comunità il vantaggio di queste procedure per la

società di riferimento16

.

Il contenimento della recidiva è un punto fondamentale e non deve essere cosa

separata dall’attenzione ai diritti fondamentali del reo17

.

Il Regno Unito nel 2002 mise in atto un modello chiamato l’Oasys, Offender

Assessment System, cioè un sistema di valutazione del reo, utilizzato dagli uffici

di probation per valutare e analizzare i livelli di rischio di recidiva e di bisogno

nei soggetti che scelgono una misura di probation18

. Con questo strumento si

misura la possibilità di ricaduta collegata a comportamenti che sono considerati

illeciti e si riesce a valutare attraverso le criticità cognitive e comportamentali

quali sono le maggiori difficoltà del soggetto. Le informazioni sono indispensabili

anche per la giusta analisi e rivisitazione del programma di trattamento. Lo

strumento è composto da 13 parti, tutte visionate e redatte dai professionisti del

settore, per gli utenti in probation e per i detenuti anche se con meno frequenza19

.

Le 13 sezioni riguardano temi quali: l’informazioni sull’autore del reato,

sull’abitazione, la formazione professionale e l’occupazione, la situazione

economica, le relazioni, lo stile di vita, l’abuso di alcol o di sostanze stupefacenti,

la situazione emotiva, ciò che pensa e come si comporta, l’atteggiamento e

condizioni di salute. Le sezioni sono analizzate in relazione all’elemento della

pericolosità sociale.

Un simile strumento è presente anche nella repubblica d’Irlanda.

In Italia molte università hanno fatto studi e ricerche sul tema della pericolosità

sociale, ma nei nostri uffici di probation non vi è ancora uno standard unitario per

valutarla adeguatamente. Il fatto rende più arduo il compito dei professionisti nel

redigere programmi di trattamento per misure di comunità. Per far sì che in l’Italia

16 Consiglio d’Europa, Raccomandazione R(2010)1 del Comitato dei Ministri agli Stati membri

sulle Regole del Consiglio d’Europa in materia di probation, alla pagina web

http://www.rassegnapenitenziaria.it/cop/119.pdf 17

M. Ciarpi, Scenari progettuali per l’esecuzione penale esterna in Italia, alla luce delle regole

europee del probation R(2001) 1, in Ministero della Giustizia, Nuove esperienze di Giustizia

Minorile e di Comunità, Roma, 2015, p. 128. 18

Ibidem. 19

Ivi, p. 130.

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14

si raggiunga il livello di probation ottenuto nel Regno Unito è essenziale la

formazione degli operatori di questo settore, che sono promotori di un

cambiamento e rendono effettiva la giusta applicazione delle misure. Un’attenta

formazione dà spazio a momenti di studio che rendono capace il professionista di

pensare e riorganizzare il servizio. Un progetto che in Italia è stato all’interno

degli UEPE per favorire avviato una multi - professionalità all’interno degli uffici

di esecuzione penale e un’attenta analisi della pericolosità sociale si chiama Mare

aperto, acronimo di Migliorare le attività di reinserimento degli affidati per

trasmettere opportunità20

. Il progetto rafforzò il numero degli operatori e li

indirizzò verso i fini propri del probation. L’idea era quella di dare più valore alla

figura dello psicologo, assegnandogli un monte ore variabile a seconda della sede

di riferimento21

. In questo modo lo psicologo sarà ancora presente negli uffici di

esecuzione penale esterna, figura entrata a pieno titolo in questo campo nel 2001 e

nel 2006. Ciò non significa che l’aumento delle ore di lavoro con questa figura

professionale deve far diminuire la collaborazione con gli psicologi dei servizi

territoriali specialistici. La giusta collaborazione deve comprendere ogni parte

della rete dei servizi per garantire una eccellente presa in carico della persona.

Come è già detto questi nuovi approcci nascono da una palese richiesta della

comunità che sempre più insicura richiede allo Stato di intervenire diversamente

per contrastare il fenomeno sociale della criminalità.

La raccomandazione (92) 16 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa,

relativa alle norme europee sulle sanzioni e le misure applicate nella comunità,

fornisce la seguente definizione di misura e sanzione di comunità: «sanzioni e

misure che mantengono il condannato nella comunità ed implicano una certa

restrizione della sua libertà attraverso l’imposizione di condizioni e/o obblighi e

che sono eseguite dagli organi previsti dalle norme in vigore. tale nozione

designa le sanzioni decise da un tribunale o da un giudice e le misure adottate

prima della decisione che impone la sanzione o al posto di tale decisione, nonché

20 Misure alternative-Sessanta psicologi negli uffici di esecuzione penale esterna, alla pagina web

www.ministerodellagiustizia.it. 21

Il progetto è nato nel 2009 ed è stato rinnovato nel 2012, Ministero della Giustizia, Mare Aperto,

rinnovo, alla pagina web www.ministerodellagiustizia.it.

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quelle consistenti in una modalità di esecuzione di una pena detentiva al di fuori

di uno stabilimento penitenziario».

Un caso eclatante è relativo alla Catalogna: per quanto riguarda le misure di

comunità non vi sono distinzioni riguardo la gravità dei reati, ogni sentenza

detentiva può essere sospesa o sostituita con misure di comunità22

.

Il diffondersi delle scienze sociali, le pressioni dei legislatori di impiegare in

modo più opportuno le risorse economiche, il rispetto della sicurezza sociale per

rispondere all’insoddisfazione della comunità e il bisogno di diminuire la recidiva

sono da considerarsi alleati per il diffondersi del probation, quindi l’aumento delle

sue applicazioni. Nel nostro paese si può parlare di un inizio di probation e di

nuovo modi di pensare nel 1948 quando la Costituzione Italiana introduce il

termine rieducazione del condannato.

Ma quale è l’applicazione del probation in Italia?

1.2 Il probation in Italia.

Trova collocazione in un primo momento nel sistema della giustizia minorile,

attraverso le prime esperienze del servizio sociale nel campo della giustizia penale

esterna negli anni quaranta23

. La legge del 20 luglio 1934 n 1409 Istituzione e

formazione del tribunale per i minorenni, istituisce i tribunali per i minorenni e vi

è la possibilità di affidare i minori in libertà vigilata ad il servizio sociale che deve

lavorare insieme al minore per provvedere alla rieducazione. I funzionari di

servizio sociale iniziano a farsi spazio e il loro ruolo viene in minima parte

riconosciuto. «1. Composizione dei centri di rieducazione per minorenni. Gli

istituti o servizi dipendenti dal Ministero di grazia e giustizia, destinati in ciascun

22 R. Palmisano, realizzazione di un sistema di probation, alla pagina web

http://www.rassegnapenitenziaria.it/cop/898145.pdf. 23

C.A. Romano Declinazione e Applicazione del Concetto di Probation in Italia

Intervento al convegno internazionale Alternatives to Imprisonment, Milano 2015Alternative to

imprisonment- alla pagina web www.youtube.com.

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distretto di Corte d'appello alla rieducazione dei minorenni irregolari per

condotta o per carattere, al trattamento ed alla prevenzione della delinquenza

minorile, costituiscono il centro di rieducazione per minorenni. Possono in

particolare essere compresi fra gli istituti e servizi predetti: 1) istituti di

osservazione; 2) gabinetti medico-psico-pedagogici; 3) uffici di servizio sociale

per minorenni; 4) case di rieducazione ed istituti medicopsico-pedagogici; 5)

«focolari» di semi-libertà e pensionati giovanili; 6) scuole, laboratori e ricreatori

speciali; 7) riformatori giudiziari; 8) prigioni-scuola».

«23. Libertà vigilata. Presso il tribunale per i minorenni è tenuto un elenco delle

persone e degli istituti di assistenza sociale che si dichiarano disposti a

provvedere all'educazione o alla assistenza dei minori sottoposti a libertà

vigilata»24

.

Già in questa sede il progetto educativo per il minore prevedeva l’incontro con la

vittima del reato.

Dare valore al servizio sociale, nel campo della giustizia, significa, a parere della

scrivente, concepire la giustizia in un’ottica molto più ampia, pensare che la

giustizia è fatta di rei e di vittime, ma prima di tutto di persone e individui. Il

servizio sociale è il promotore di questo processo, insieme agli altri individui che

compongono gli uffici di probation.

La Costituzione apportò un grande cambiamento, l’Assemblea Costituente nel

1948 nell’art. 27 pone il focus della pena sulla rieducazione. Nel 1975, con la

riforma del sistema penitenziario vengono introdotte misure alternative alla

detenzione tra le quali: l’affidamento in prova ai servizi sociali e la detenzione

domiciliare. È qui che i principi quali l’individualizzazione del trattamento25

,

l’osservazione26

e l’istituzione dei C.S.S.A. sono stati introdotti.

24 Istituzione e funzionamento tribunale per i minorenni, alla pagina web

http://www.tribmin.reggiocalabria.giustizia.it/doc/normativa/r.d.l.%201404-1934_2.pdf. 25

14: « Assegnazione, raggruppamento e categorie dei detenuti e degli internati. Il numero dei

detenuti e degli internati negli istituti e nelle sezioni deve essere limitato e, comunque, tale da

favorire l'individualizzazione del trattamento». 26

«Il trattamento penitenziario deve rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun

soggetto. Nei confronti dei condannati e degli internati è predisposta l'osservazione scientifica

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Con la legge del 1 agosto 2003, n.207 si introduce la sospensione condizionata

dell’esecuzione della pena, “l’indultino”. La tipologia usata in Italia è quindi il

probation penitenziario: vi è una condanna da parte del Giudice, quindi

l’applicazione avviene nella fase esecutiva27

.

Quello di cui si vuole parlare in queste pagine è relativo agli strumenti del

probation, la giustizia riparativa e la mediazione penale e di come in Italia trovano

spazio.

È nel 2014 che l’Italia si avvicina veramente al probation europeo con la sanzione

di comunità per eccellenza che introduce il probation giudiziale che era stato

estraneo fino a quel momento in Italia.

Probation giudiziale significa che le attività si vanno ad eseguire tutte al di fuori

del procedimento penale, infatti si parla di sospensione del processo penale. Vi si

differenzia dal probation penitenziario in quanto non vi è nel nuovo istituto una

condanna definitiva e lo strumento non si applica solo nella fase esecutiva.28

L’esperimento deve essere di stimolo, si spera, per nuove misure, o per aumentare

la tipologia di reati che possono rientrare in questa misura. Si devono diffondere

gli elementi di cui la scrivente ora parlerà: la giustizia riparativa e la mediazione

penale. L’impegno deve partire da ogni individuo, innanzitutto formando sempre

al meglio su questo campo avvocati, assistenti sociali, psicologi anche attraverso

corsi e master che si stanno diffondendo per formare i mediatori penali. Se non vi

è il lavoro del UEPE, che in questo momento storico è in grave crisi, si può

parlare di messa alla prova, ma solo a livello teorico, perché la misura non riesce

ad essere applicata nei giusti modi per realizzare la giustizia riparativa29

.

della personalità per rilevare le carenze fisiopsichiche e le altre cause del disadattamento sociale.

L'osservazione è compiuta all'inizio dell'esecuzione e proseguita nel corso di essa». 27

www.ministerodellagiustizia.it. 28

G. Tabasco, La sospensione del procedimento con messa alla prova degli imputati adulti,

file:///C:/Users/casa/Downloads/5.1.Orientamenti.Sospensione.messa_.alla_.prova_.Tabasco1%20

(1).pdf. 29

C. A. Romano, Declinazione e applicazione del concetto di probation in Italia,

https://www.youtube.com/watch?v=F6lNC4IOCJo&t=497s.

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Mettendo a confronto il probation in Italia e negli altri Stati europei, fino al 1

gennaio 2015, specificatamente Francia e Regno Unito, notiamo la seguente

situazione:

Francia: 237.643 persone in carico, 72,4% in servizi probation, 27,6%

detenuti;

Regno Unito: 301.386 persone in carico, 72% gli incaricati agli uffici di

probation, 28% i detenuti;

Italia: 88.806 le persone in carico, il 38,2% in carico agli UEPE, il

60,2%30

.

I numeri mostrano essenzialmente come l’Italia ha ancora un percorso molto

lungo da fare, ma senz’altro l’istituto della messa alla prova è un importante inizio

per una Giustizia italiana che guarda alla comunità, quindi verso nuovi approcci.

Ora resta ai professionisti e tutti gli operatori che collaborano in questa misura e

nel sistema di giustizia creare una forte rete sinergica tra di loro e con il terzo

settore, nonché con la società. Il passaggio è un passo per creare nuove sanzioni di

comunità, quindi per dare ai legislatori nuovi spunti normativi, grazie ad una

sinergica collaborazione.

1.3 La giustizia riparativa.

«Tra i problemi c’è certamente quello della Giustizia, del diritto dei cittadini a

una giustizia giusta e all’effettivo rispetto della loro dignità se colpiti da sanzioni

per imputazioni o condanne»31

.

La Giustizia iconograficamente è rappresentata da una figura femminile bendata

che con la mano sinistra regge una bilancia mentre alla destra impugna una spada.

La benda è l’imparzialità della Giustizia e appare alla fine del XV secolo.

30 E. V. Petralla Coordinatore Direzione Generale Esecuzione penale Esterna, Corso di

aggiornamento - “La nuova organizzazione dell’Esecuzione Penale Esterna con particolare

riferimento ai recenti aggiornamenti normativi. 31

Discorso del presidente della repubblica del 28 luglio 2011.

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La bilancia è il simbolo dell’uguaglianza, mentre la spada deve essere interpretata

in base a come viene raffigurata.

Si può avere una giustizia senza spada32

?

La giustizia riparativa e la sua ramificazione principale, la mediazione, prova a

disegnare una nuova figura di Giustizia.

La giustizia classica, ha creato un’insoddisfazione nella comunità per quanto

riguarda gli esiti: sta perdendo di credibilità per le scelte, il controllo del crimine e

il tasso della recidiva è in continuo aumento33

.

«La giustizia bendata dà l’idea di una giustizia che non vuole vedere tutto quello

che succede in termini di sofferenza, quando viene commesso un reato»34

.

Per sofferenza intendiamo un sentimento proprio sia del reo che della vittima. La

giustizia classica taglia i legami e non ricostruisce tutto quello che è stato

danneggiato dal reato, non curandosi delle fratture emotive create da questo.

La giustizia penale si è sempre focalizzata sul reo, il protagonista del fatto,

ponendo la vittima nel ruolo di “attore secondario”, creando un rapporto bilaterale

tra lo Stato e il reo. Il paradigma riparativo invece mette al centro del percorso la

vittima. Si sta assistendo al passaggio da una logica riabilitativa reocentrica ad un

modello di giustizia relazionale, dove al centro non c’è più solo il reo, ma anche la

vittima e la comunità35

.

Nella giustizia italiana il rapporto tra reato e pena è stato messo in discussione con

la riforma dell’ordinamento penitenziario, che introduce le misure alternative alla

detenzione e le successive leggi che hanno modificato e ampliato il sistema

penale. Il processo penale non è visto più solo come percorso per esplicare la

sanzione e la diade “reato/pena” viene sostituita con quella

“conflitto/riparazione”. Il conflitto lede il tessuto sociale di una determinata

comunità, che necessita di un opportuno percorso di recupero per un’effettiva

riparazione. Per pensare a una giustizia alternativa alla dicotomia “reato/sanzione”

ci si rifà al percorso di mediazione presente nelle comunità africane o

32 G. Mannozzi, La Giustizia senza spada, Milano, 2003, passim.

33 Ibidem.

34 I. Mastropasqua, La giustizia riparativa, alla pagina web https://youtu.be/4K2_Pn2RFXE.

35 C. Galavotti, Vittime fragili e servizio sociale. Teorie, percorsi e prassi operative per

l’assistenza sociale, Santarcangelo di Romagna, 2006, p. 153.

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centroamericane. Un riferimento importante è lo studio di Gibbs sulla mediazione,

“moot”, nella comunità Kpelle della Liberia36

. Quando avviene il conflitto la

popolazione è parte attiva del processo, le controversie sono risolte in modo

informale e gestite dagli anziani della città37

. In queste ed altre comunità vi è una

soluzione del conflitto informale, una gestione sostanziale della vita quotidiana

tutto ciò ha una valenza terapeutica propria del processo di mediazione e punta

alla ricostruzione dell’armonia e della sicurezza sociale all’interno del contesto di

riferimento. Ovviamente queste pratiche devono essere contestualizzate, però

sono comunque un contributo importante per la giustizia riparativa. Vi sono

diverse correnti di pensiero dove si annuncia ormai l’allontanarsi dall’epoca della

pena detentiva. Secondo la corrente moderata dell’abolizionismo il diritto penale

resta materia a cui rifarsi, ma solo per reati obiettivamente pericolosi38

.

La prima volta che il termine ristorative justice, ovvero giustizia riparativa, venne

nominato fu nel 1977, quando lo psicologo Albert Eglash39

riconobbe tre modelli

di giustizia penale: retributivo, distributivo e riparativo; infatti è proprio alla fine

degli anni Settanta che si segna la nascita di questo nuovo paradigma40

.

All’interno di tutte le definizioni di giustizia riparativa si trova il riferimento alla

vittima, quale destinatario principale del fatto.

La vittima è innanzitutto colei che prova dolore, sofferenza o subisce danni a

seguito del reato commesso da una persona terza. Sono presenti diversi tipi di

vittima: attiva, passiva, accidentale o simbolica. Non meno importanza si dà alle

vittime secondarie, coloro che indirettamente risentono del reato, come i

famigliari della vittima o del reo o la comunità stessa.

«La giustizia riparativa può essere vista come un modello di giustizia che

coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di una soluzione che

promuova la riparazione, la riconciliazione e il senso di sicurezza collettivo»41

.

36 G. Mannozzi, La giustizia senza spada, Milano, 2013, p.30.

37 G. Mannozzi, La giustizia senza spada, Milano, 2013.

38 V. Ruggiero, L’abolizionismo penale è possibile, ora e qui, alla pagina web

www.lavocedifiore.org. 39

L. Mirsky, Albert Eglash and Creative Restitution: A Precursor to Restorative Practices, IIRP. 40

V. Ruggiero, L’abolizionismo penale è possibile, ora e qui, alla pagina web

www.lavocedifiore.org.

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È la definizione di Howard Zher, criminologo americano e uno dei maggiori

esponenti di questo filone. Il professore nel suo libro The Little Book of ristorative

justice, sottolinea come «la giustizia riparativa non riguarda principalmente il

perdono o la riconciliazione»42

.

Secondo l’autore la giustizia riparativa non può essere intesa come mediazione

perché presuppone l’ammissione di responsabilità del reo e un equilibrio neutro

che non può verificarsi in casi di violenza o stupro, dove magari la vittima non

vuole presentarsi. Ci esorta a parlare di conferenza, dialogo o comunicazione più

che di mediazione.

Il nuovo approccio deve invitare al dialogo e alla comunicazione che parte dal

basso, in una logica bottom-up, per risolvere i problemi della comunità stessa.

Commettere un reato non crea conseguenze negative solo nei confronti di colui

che lo ha commesso, ma anche all’interno della rete delle persone care al reo e

alla comunità di cui fa parte.

La giustizia riparativa non si vuole sostituire alla giustizia classica, ma si vuole

affiancare e offrire dei nuovi spazi.

Il nuovo assetto della giustizia si formalizza sempre più con l’istituzione nel 2002

della Commissione di Studio su Mediazione Penale e Giustizia Ripartiva e nel

2009 dell’Osservatorio permanente per la giustizia ripartiva e la mediazione

penale. Con il D.M 8 maggio 2015 e D.M. 9 giugno 2015 si costituisce il

Comitato degli esperti degli Stati Generali sull’esecuzione penale composta da 18

tavoli tematici43

. Gli Stati generali rappresentano una novità importante, si vuole

portare il modello esecutivo delle sanzioni a raggiungere lo standard dell’art. 27

comma 3 della Costituzione. Gli Stati generali comprendono 18 tavoli tematici, in

42 H. Zehr, A. Gohar, The little book of restorative Justice, 2002.

43 Tavolo 1,spazio della pena: architettura e pace; tavolo 2, vita detentiva. responsabilizzazione del

detenuto, circuiti sicurezza; tavolo 3, donne e carcere; tavolo 4, minorità sociale, vulnerabilità,

dipendenze; tavolo 5, minorenni autori di reato; tavolo 6, mondo degli affetti e territorializzazione

della pena; tavolo 7, stranieri ed esecuzione penale; tavolo 8, lavoro e formazione; tavolo 9,

istruzione, cultura, sport; tavolo 10, salute e disagio psichico, tavolo 11 misure di sicurezza; tavolo

12, misure e sanzioni di comunità; tavolo 13, giustizia riparativa, mediazione e tutela delle vittime

di reato; tavolo 14, esecuzione penale: esperienze comparative e regole internazionali; tavolo 15,

operatori penitenziari e formazione; tavolo 16, trattamento. ostacoli normativi

all’individualizzazione del trattamento rieducativo; tavolo 17, processo di reinserimento e presa in

carico territoriale, tavolo 18, organizzazione e amministrazione dell’esecuzione penale.

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questa trattazione si approfondirà il tavolo 13, Giustizia ripartiva, mediazione e

tutela delle vittime, che rappresenta un approccio integrato per la creazione di

modelli riparatori anche attraverso lo strumento della mediazione. L’approccio

integrato e multidisciplinare è proprio di questa nuova apertura, in quanto, non si

è solo nell’area pura del diritto, ma della giustizia che comprende anche temi di

natura psicologica, sociologica, delle scienze criminologhe e antropologiche44

. Si

lavora sulla responsabilizzazione del reato e l’analisi di questo, sul perché della

propria pena, la tipologia di mediazione da usare con la vittima, l’attività di

volontariato, i colloqui psico-educativi per il fine ripartivo, risocializzante e

rieducativo proprio della giustizia ripartiva. Per la natura dibattuta della

restorative justice il tavolo è composto da professori di diritto penale e diritto

penitenziario per la parte giuridica, un criminologo, un sociologo, mediatori,

direttori di case di reclusione, garanti dei detenuti e rappresentanti di associazioni

a tutela delle vittime, per far sì che le discussioni fossero riportate sempre di più

alla realtà di tutti i giorni. Il tavolo 13 è stato costituito per organizzare strumenti,

teorie, modelli, interventi di mediazione e riparazione che devono essere percepiti

dalla collettività, intendendo che la riparazione del tessuto sociale danneggiato,

che avviene con la giustizia ripartiva, porta ad un fine per la collettività, restituire

e riparare ciò che si è “rotto” del tessuto. Inoltre si vuole mettere in risalto la

questione carceraria e far in modo che sia un tema sentito: solo in questo modo la

comunità può apprendere e conseguentemente cancellare pregiudizi e luoghi

comuni presenti circa questo tema molto caldo. Gli argomenti principali trattati

sono stati i seguenti45

:

partecipazione attiva del reo e della vittima nel processo di riparazione e

nella risoluzione del conflitto nato dal fatto;

lavorare con la vittima per la riparazione dei suoi aspetti danneggiati;

il punto più cruciale è capire il grado di responsabilizzazione del reo verso

il reato commesso, la presa di coscienza del reato, azionare un progetto

44 A. Cerretti, G. Mannozzi, La Giustizia ripartiva al vaglio degli “Stati generali sull’esecuzione

penale” in Ministero della Giustizia Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, nuove

esperienze di giustizia minorile e di comunità, Gangemi Editore, 2015 pp. 27-41. 45

Ivi, p.37.

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che lo conduca a rappresentare il fatto come un reato e ad analizzare i

motivi e i presupposti che lo hanno condotto a commetterlo;

destinatari di questo processo non sono solo il reo e la vittima, ma anche la

comunità di riferimento che è indirettamente attrice del percorso di

riparazione e delle politiche della giustizia;

i caratteri che si richiedono dal processo sono quelli di confidenzialità,

consensualità e volontarietà da ambedue le parti46

.

I temi trattati sono discussi in relazioni agli obietti che la commissione si è

prefissata: cioè analizzare le esperienze estere di restorative justice, proporre

progetti orientati alla vittima e promuovere la formazione della cultura riparativa

anche per gli avvocati e i magistrati47

.

La giustizia riparativa promuove la riparazione del danno provocato alle vittime

attraverso percorsi che comprendono anche il reo e la comunità. Il reo per rendere

possibile ciò deve prima attraversare un suo percorso. Nell’Ufficio di Esecuzione

Penale Esterna (UEPE) di Spoleto vi è un progetto strutturato con la psicologa a

convenzione nell’ufficio, che è attivato per gruppi di affidati e per imputati

concentrandosi su vari temi, quali il reato commesso e l’atteggiamento verso la

misura.

Il progetto si chiama “progetto Giovani adulti-nuova strategia di presa in carico”.

La finalità del gruppo è di sostenere la parte adulta e la capacità di pensare di ogni

individuo e dare espressioni ad esperienze personali, emozioni, preoccupazioni e

difficoltà48

.

A differenza della giustizia retributiva la giustizia riparativa ha una connessione

molto più ampia con la vittima e con le sue diverse forme, la comunità risente del

reato e proprio per ciò ha un ruolo centrale e deve essere inclusa all’interno del

percorso. Un reato accende un disagio nel territorio di riferimento, un allarme

sociale e lede la sicurezza all’interno di questa. Il controllo del crimine non può

essere solo un compito dello Stato, ma deve essere attivato anche da agenzie

46 Ministero della Giustizia, Il tavolo 1, alla pagina web www.ministerodellagiustizia.it.

47 Relazione finale tavolo 13 in www.ministerodellagiustizia.it.

48 14 incontri della durata di 1 ora e mezza dal 15 giugno al 28 dicembre 2017 presso la sede

dell’UEPE di Spoleto. Temi trattati: identità, condizionamento, aggressività, la dipendenza, la

solitudine, la felicità e legalità.

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decentrate. Qual è il problema che si presenta nelle società odierne? Nelle società

occidentali globalizzate, le cosiddette web society, è difficile che ogni cittadino

della comunità crei un network impregnato di impegni culturali e reciproci con i

diversi cittadini presenti nella loro comunità. Il riconoscersi in una comunità è

difficile, ci si trova in un sistema sociale che include il mondo intero, comunque si

passa da una dimensione di comunità ad una di individuo. Qui che entra in gioco

la giustizia riparativa cercando di far condividere il reato del reo e il dolore della

vittima con e nella comunità. Attenzione! Non si sta parlando di pubblicizzare il

reato e la vittima, ma di far interiorizzare alla comunità qual è il reato, quali sono

le conseguenze, dargli la possibilità di restituire alla società la riparazione al suo

danno e dalla parte della vittima e attivare atti di prevenzione e impegno e senso

civico sempre per prevenire e aumentare il senso di sicurezza che la comunità

vuole percepire.

È possibile per chiarire qual è il cambiamento che sta avvenendo definire le

differenze tra il paradigma della giustizia retributiva e il paradigma della giustizia

riparativa.

Il primo intende il crimine come violazione ad un interesse dello Stato, mentre il

secondo lo intende come trasgressione nei confronti di un’altra persona. Nel

vecchio paradigma si pone il focus sul rimprovero al reo, nell’altro sulla soluzione

del problema e la responsabilizzazione del reo. La vittima ha un ruolo secondario,

se non nullo e il reo ha un ruolo passivo, nella restorative justice si riconosce il

problema e si concordano le possibili soluzioni insieme49

.

«We should abandon all the other justifications and proposed central goals of

punishment and adopt restitution instead»50

.

Le parole di Abel e Marsh nel loro saggio, Punishment and Restitution,

sostengono come sia giusto ricorrere alla giustizia riparativa quando da sola è

l’essenziale non solo per la vittima, ma anche come base risocializzante e

49 Schema di M. Ciarpi in C. Galavotti, Vittime Fragili e servizio sociale, Teorie, percorsi e prassi

operative per l’assistenza sociale, Santarcangelo di Romagna, 2006. 50

Abel-Marsh, Punishment and Restitution, London, 1984.

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rieducativa per il reo e per la prevenzione e la continuità dell’armonia sociale

della comunità.

Si rende più visibile il crimine e la vittima si sente più forte, un processo di tale

portata rende la parte debole capace di denunciare il fatto.

Le finalità del modello riparativo fanno in modo che il reo lavori sul reato e il

senso di colpa, fattori che possono causare la ripetizione di un reato.

L’istituto della messa alla prova per adulti, a cui è dedicato il secondo capitolo,

rientra nella giustizia riparativa, prevede un programma di trattamento che

riguarda i comportamenti e le prescrizioni che l’imputato deve rispettare, ogni

decisione è presa di comune accordo, quindi con la collaborazione di colui che ha

commesso il reato e i professionisti del probation. Anche l’impegno settimanale

del lavoro di pubblica utilità o del volontariato è scelto dal soggetto coinvolto e

questo comporta una maggiore motivazione all’impegno anche per far sì che tutto

il percorso non vada oltre i tempi previsti dal giudice. L’opportunità di essere

attivi nel proprio percorso e determinare i modi della restituzione rende più facile

e sicuramente individualizzato il percorso. Una delle parti positive di questo

nuovo modello di giustizia concerne la parte economica, non si fa carico solo lo

Stato delle spese dovute al reato commesso, ma è il condannato che ripaga

attraverso una restituzione alla società e alla vittima il debito causato a seguito del

fatto. Tutto ciò punta all’auto-responsabilizzazione del reato.

Certamente vengono sollevati anche alcuni aspetti critici a questo approccio. Si

crede che non sia possibile quantificare il danno creato e reso alle vittime, sia

primarie che secondarie, quindi non è possibile stabilire quanto il soggetto debba

restituire alla società e alla vittima, sia materialmente che immaterialmente. Non è

facile quantificare in quale entità è stato creato un allarme sociale nel territorio di

riferimento.

L’intento della giustizia riparativa è risanare il conflitto che si è andato a creare tra

il reo, la vittima e la comunità di riferimento, quindi si va a intraprendere una

comunicazione: la cosiddetta relational justice. Si considerano rotte delle

relazioni sociali, degli aspetti della vita comune. Anche se il reo non conosce la

vittima, comunque non ha rispettato delle norma sociali e comportamentali verso

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una comunità o un individuo. Per ricreare l’armonia e la sicurezza si va a

ristabilire, attraverso la comunicazione, un equilibrio.

La Giustizia riparativa offre un momento di ascolto e di dialogo attraverso la

mediazione penale che negli ultimi anni si è avvicinata al diritto penale.

Le esperienze di giustizia ripartiva e i modelli di riparazione che hanno avuto

maggiore riscontro sono: l’incontro “faccia a faccia” di mediazione tra la vittima e

il reo; la mediazione con vittima aspecifica e il Family group conferencing,

allargato alla famiglia come mediazione familiare51

.

È da specificare che l’Italia non ha diverse forme di mediazione penale per quello

che riguarda gli adulti, come è stato più volte ribadito, il sistema minorile ha una

tradizione sicuramente più lunga. Si auspica una veloce conformità agli Stati

europei che hanno attivato da tempo l’applicazione della mediazione penale anche

nella giustizia adulta.

1.4 La mediazione penale e le sue forme.

La principale forma della giustizia senza spada è considerata l’incontro tra il reo e

la vittima del reato.

La mediazione penale non deve essere svolta dai giudici, ma come ogni forma di

mediazione, da una parte neutrale, quindi non da chi si occupa dei partecipanti

all’attività. In questo spazio non vi devono essere elementi di imparzialità e si

deve lavorare per effettuare un dialogo incentrato sulla cooperazione tra vittima e

reo52

. Finalmente si pone attenzione alla vittima, alla sua sofferenza e alle

difficoltà che incontra. A questa persona viene donato uno spazio per ricostruire

l’episodio e le conseguenze, quali la vittimizzazione, (di cui si parlerà nel

prossimo paragrafo) e restituire la sua natura e ciò che gli è stato danneggiato.

La mediazione penale non è assolutamente una terapia, le persone che vi

partecipano possono avere problemi di natura psicologica che in un altro spazio

51 G. Mannozzi, La giustizia senza spada, Milano, 2003.

52 C. Gavallotti, Vittime fragili e servizio sociale. Teorie, percorsi e prassi operative per

l’assistenza sociale, Santarcangelo di Romagna, 2006, p. 157.

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possono essere risolte con l’aiuto di uno psicoterapeuta, ma la mediazione ha altri

scopi. Il mediatore punta a creare una comunicazione che supera le avversità tra i

due soggetti, tenendo fuori le emozioni, elemento di lavoro invece per il terapeuta,

che le usa per risolvere un conflitto intrapsichico53

.

Il mediatore attraverso gli incontri individuali potrà decidere se le parti potranno

partecipare all’incontro congiunto e se lui stesso è in grado di gestirlo.

Mark Umbreit, fondatore e direttore del Centro per la Giustizia riparativa presso

l’Università del Minnesota sintetizza il processo della mediazione penale in

quattro fasi:

1. invio del caso: effettuata dagli uffici giudiziari a quelli di mediazione che

prenderanno in carico il conflitto;

2. strutturazione della fase preparatoria degli incontri;

3. svolgimento dei colloqui di mediazione;

4. il monitoraggio dei risultati54

.

Avvenuta la presa in carico si indagherà su quelle che sono le informazioni

relative al conflitto. Per la preparazione della mediazione si devono acquisire,

attraverso le parti, diverse informazioni, per poi procedere a spiegare l’iter della

mediazione e programmare le sessioni e le strategie per la conduzione. Quando si

ha il consenso di entrambe le parti e si crede conclusa la serie di colloqui

individuali, si concorda l’incontro che li vedrà insieme.

Il mediatore ha il compito di introdurre il racconto del vissuto di ogni parte,

formulare le possibili scelte per la riconciliazione, stilare l’accordo finale, la

conclusione e restituire un feedback della seduta.

Gli incontri devono iniziare con il professionista che spiega quali sono gli

obiettivi della seduta, divide gli argomenti per dare una scansione temporale,

conduce il dialogo al fine che crei proposte di soluzione e conclude l’incontro

offrendo il resoconto degli esiti. Nei diversi campi di applicazione le linee guida

53 C. Gavalotti, Vittime Fragili e servizio sociale. Teorie, percorsi e prassi operative per

l’assistenza sociale, Santarcangelo di Romagna, 2016, p. 157 54

G. Manozzi, La giustizia senza spada. Uno studio comparato su Giustizia riparativa e

mediazione penale, Milano, 2003, p. 200.

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per la mediazione sono le medesime, la differenza è la formazione del mediatore

che cambia in base al settore dove svolge l’attività55

.

Durante il colloquio il mediatore procede attraverso i seguenti momenti:

chiarire il suo ruolo di facilitatore;

elencare le regole per lo svolgimento di un proficuo incontro;

formalizzare i momenti della discussione;

far percepire un senso di equità;

invitare a parlare per prima la vittima.

Nel monitoraggio degli esiti si procede con la valutazione del percorso e della

soddisfazione delle parti.

La preparazione è fondamentale per avere un buon esito. Le vittime possono avere

dubbi riguardo questo incontro, il mediatore deve saper agire bene, attraverso gli

incontri individuali, cercando di far intendere i benefici e le risposte che può

ottenere, ad esempio sapere perché è stata scelta come vittima, o quali possono

essere i modi per difendersi e non rischiare la vittimizzazione futura. Ci si ispira

ad un dialogo che sia proficuo per creare momenti di riflessioni per il reo, scoprire

quale momento, fatto o gesto ha scaturito la sua azione; l’autore deve riflettere

sulla gravità del danno per la vittima.

A differenza del processo penale nella mediazione la vittima può parlare senza

terze persone quali il pubblico ministero e senza l’avvocato del reo. Il reo avrà la

possibilità di mostrare le sue emozioni alla vittima riuscendo, in un ambiente più

ristretto, ad esprimere i suoi sentimenti di individuo.

Il mediatore nella conduzione degli incontri deve essere consapevole che i

soggetti sono in due livelli diversi, a differenza della mediazione familiare. Inoltre

ci possono essere anche diseguaglianze concernenti l’età, la nazionalità, quindi il

paese di provenienza. In questi casi il mediatore deve preparare la persona al

dialogo per non incontrare difficoltà di lessico nell’esprimere il proprio pensiero.

I requisiti essenziali pe la mediazione penale sono: il comune accordo tra le parti,

l’analisi del reo riguardo ci che ha commesso, riservatezza, accessibilità al

55 C. Gavallotti, Vittime fragili e servizio sociale. Teorie, percorsi e prassi operative per

l’assistenza sociale, Santarcangelo di Romagna, 2006, p. 158.

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servizio di mediazione e autonomia del servizio di mediazione dal sistema

processuale penale.

L’International Scientific and Professional Advisory Council considera strumenti

e forme della mediazione penale i seguenti punti:

apology: scuse scritte formalmente dall’autore che ammette la sua

responsabilità e il suo stato di pentimento alla vittima;

community/family Group Conferencing(FGC): presuppone la

responsabilità del reo, ed è una mediazione allargata che comprende il reo,

la vittima, i famigliari e i componenti della comunità di riferimento di

questi per supportare le figure e per facilitare la decisione collettiva della

gestione del conflitto. Vi si ricorre soprattutto in Nuova Zelanda e

soprattutto nella fase prima del processo;

la tecnica FGC prevede l’incontro con la famiglia della vittima e del reo.

Quest’ultimo grazie al sostegno delle persone a lui care ha un supporto per

l’autoanalisi delle azioni da lui commesse. Le famiglie sono il focus della

mediazione, grazie al loro aiuto si facilita il percorso dei soggetti;

community/neighbourd/victim impact statements: qui è la parte opposta, la

vittima o la comunità, a scrivere, ciò che è stato apportato in seguito al

fatto. Così è possibile valutare l’entità del danno subito, quindi del

ripercuotersi nel tempo. Il documento può essere parte del fascicolo

dell’utente;

community restorative board(CRB): si prepara un piccolo gruppo di

cittadini che hanno il compito di fare un training specifico attraverso dei

colloqui con il reo dove si discute della natura del reato e le conseguenze,

con lo scopo di discutere di attività volte a riparare le “lesioni”(virgolettato

dello scrittore). Al termine di questi incontri si stila un programma

riparativo che deve essere rispettato entro un termine di tempo specificato;

community sentencing/Pacemaking Circles: il Community sentencing si

sostanzia nella giustizia riparativa di tipo comunitario che include una

parte della comunità nella gestione del processo per concordare insieme le

attività più consone per restituire l’utile alla comunità lesa. I pacemaking

Circles sono una forma di processo aperta al pubblico in cui nella corte vi

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sono anche i familiari del reo e della vittima, ed è soprattutto per i casi più

grav. Queste tecniche includono la comunità per la riparazione del

conflitto, in questo caso vi partecipano tuggli attori che sono inclusi dalla

giustizia riparativa; questi si mettono in cerchio e ed esprimono la propria

opinione. Non vi è un vero e prorio mediatore, ma un circle keepers che

gestisce la comunicazione56

;

community service order (CSO) o Community Payback Order (CPO): è la

presentazione di una attività che il reo svolge nella propria comunità a

favore di questa;

compensation Programs: si tratta di compensazione monetaria per

assistenza psicologica o altro di simile entità per lo Stato, quindi per la

vittima;

diversion: tecnica per evitare che il reo entri nel circolo di un processo

penale;

financial restitution to victims: è una misura dove attraverso la valutazione

dei danni della vittima, di cui si è parlato, si stabilisce la somma di denaro

da dare alla vittima;

personal service to victims: attività lavorative in favore diretto della

persona che è stata danneggiata dal reato. Si vuole specificare che attività

come queste si possono attivare per reati minori, non per esempio per reati

riguardanti la violenza, per ovvi motivi;

victim/community impact panel: una sede dove un gruppo ristretto di

vittime, a un numero simile di autori spiega quali sono i danni e le

conseguenze negative provate relative al fatto;

victim empathy group or classes: programmi educativi ai fini dell’auto-

responsabilizzazione del reato da parte del reo;

victim-offender mediation(VOM): sotto la guida di un mediatore il reo e la

vittima discutono del reato e delle conseguenze avvenute57

. La VOM è tra

le principali tecniche attraverso le quali si svolge la restorative justice. Le

56 Ivi, p.164.

57 G. Mannozzi, La giustizia senza spada, Milano, 2013, pp. 127-129.

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parti vengono prima incontrate separatamente e individualmente

partecipano a degli incontri con il mediatore. Quando il mediatore crede

conclusi gli incontri individuali si stila un accordo che verrà consegnato al

giudice e darà avvio al processo di mediazione congiunto. La vittima

finalmente può sapere perché è stata scelta proprio lei e quali sono i motivi

che hanno portato il reo a commettere il reato. La tecnica VOM si

compone della fase preliminare che include l’invio del caso, la raccolta

informazioni, il contatto con le parti e la valutazione del caso. La seconda

fase è l’incontro dove si cerca di trovare e formalizzare un accordo scritto.

L’ultimo momento è la conclusione che concerne la valutazione da parte

del mediatore, la scrittura di un report finale e un follow-up58

.

La componente rieducativa o riparativa di queste tecniche è definibile anche in

base all’imputato. Ad esempio nel caso della messa alla prova per minori è

presente maggiormente una componente rieducativa59

.

La classificazione appena mostrata segue il criterio del contenuto; la prossima

classificazione è strutturata secondo il destinatario specifico della mediazione.

Paul McCold crea un modello teorico dove indica come soggetti della giustizia

riparativa il reo, la vittima e la comunità.

Egli distingue tra strumenti completamenti riparativi, principalmente riparativi e

parzialmente riparativi. I primi comprendono incontri di mediazione che

includono tutti e tre i soggetti, ad esempio i Community sentencing/Pacemaking

Circles già descritti nella classificazione antecedente, dove la comunità ha un

ruolo attivo e come gli altri trae beneficio da questo percorso.

I percorsi principalmente riparativi escludono uno tra i soggetti da prendere in

causa, sono momenti come la victim-offender-meditation che si soffermano in

particolare sulla vittima escludendo la comunità, oppure si hanno percorsi già

descritti, come il Victim support circles che escludono il reo.

58 C. Galavotti, Vittime fragili, Teorie, percorsi e prassi operative per l’assistenza sociale,

Santarcangelo di Romagna, 2006, p. 163. 59

G. Mannozzi, La giustizia senza spada, Milano, 2013, p. 129.

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32

Per ultimo gli strumenti che sono parzialmente riparativi coinvolgono per la

maggior parte o il reo, o la vittima o la comunità, come le forme di sostegno alla

famiglia del reo60

.

All’interno dei programmi di riconciliazione tra il reo e la vittima la mediazione

occupa il posto principale, momento che ha bisogno di essere ben pensato e

strutturato prima del suo avvio.

1.5 La mediazione penale in Italia.

I principi fondamentali della mediazione sono: la volontarietà, la riservatezza da

parte del mediatore, la responsabilità verso due personalità fragili e un

comportamento neutro.

La mediazione penale tecnica per eccellenza propria della giustizia riparativa è

utile a ricomporre un conflitto. In Italia si nota un enorme divario con gli altri

paesi europei riguardo l’utilizzo di questo, ad eccezione del settore minorile.

Sicuramente in campo minorile si hanno più esperienze significative e da più

tempo. Ad esempio il giudice minorile già dal 1988 dispone il lavoro a favore

della comunità nel programma di trattamento e l’incontro con la vittima.

«Il giudice, quando il reato e' perseguibile a querela, promuove la conciliazione

tra le parti. In tal caso, qualora sia utile per favorire la conciliazione, il giudice

può rinviare l'udienza per un periodo non superiore a due mesi e, ove occorra,

può avvalersi anche dell'attività di mediazione di centri e strutture pubbliche o

private presenti sul territorio. In ogni caso, le dichiarazioni rese dalle parti nel

corso dell'attività di conciliazione non possono essere in alcun modo utilizzate ai

fini della deliberazione»61

.

La mediazione è riconosciuta legalmente con quanto appena citato al comma 4

dell’art. 29 della legge del 28 agosto del 2000, n. 274“Disposizioni sulla

60 Ivi, p.132-133.

61 Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

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competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24

novembre 1999, n. 468”62

.

La mediazione fa fatica ad entrare nel campo del diritto penale in quanto

quest’ultimo ha una spiegazione sanzionatoria, mentre la prima per definizione ha

una logica alquanto diversa63

.

Ciò ha fatto sì che già con l’introduzione della normativa che affida determinate

competenze in materia penale al giudice di pace64

si attivasse un codice interno tra

i due sistemi65

.

Si illustrano di seguito momenti e spazi di raccordo tra i due paradigmi.

Al pubblico ministero si volle affidare questo compito nel processo pretorile, ma

la mediazione per essere tale ha bisogno di una parte terza neutra, che il p.m. non

può rappresentare.

In Italia e nel resto d’Europa la giustizia minorile ha sempre anticipato i tempi in

materia di esecuzione esterna, vi è un’aspirazione ad una riduzione dell’intervento

penale, che si crede meno utile per i minorenni, dove i focus devono essere i fini

preventivo e rieducativo. La desgiurisdizionalizzazione in questa area è spinta

anche dalle norme sovranazionali, quali le Regole di Pechino66

.

Qui entra in gioco il ruolo della giustizia riparativa che vuole superare una logica

prettamente sanzionatoria attraverso l’autoresponsabilizzazione del minore che

avviene attraverso la riparazione a ciò che lui a causato di male alla vittima e alla

sua comunità.

La mediazione, insieme al lavoro a favore della comunità e alla mera riparazione

del danno è tra gli istituti di base riparativa di cui il giudice minorile può

possedere.

Per intravedere i primi punti di forza e punti di criticità si deve analizzare il codice

del processo minorile D.P.R. 444/1988.

62 V. Ferrò, La mediazione penale, alla pagina web www.laleggepertutti.it.

63 G. Mannozzi, La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e

mediazione penale, Milano, 2003, p. 247. 64

Decreto legislativo 28 agosto, n. 274. 65

Ibidem. 66

Art. 11.

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Nel sistema penale la mediazione può entrare nella fase pre-processuale o nella

fase processuale. Per avviare la mediazione è indispensabile acquisire le

informazioni sulle parti e come sancito nell’art. 9 della legge nominata il pubblico

ministero e il giudice possono acquisire informazioni da persone vicine al minore.

Le informazioni è possibile richiederle anche agli Uffici per la Mediazione per

concordare l’opportunità per il minore di riparare le conseguenze negative da lui

create. Se si agisce con la mediazione nella fase pre-procesuale si ammette la

responsabilità del minore, ma anche la sua consapevolezza verso il futuro67

.

La mediazione incontra i primi problemi nel momento in cui il minore

rispondendo positivamente all’avvio della mediazione penale abbai ammesso di

essere il reo, quindi vi è stato un interrogatorio con il pubblico ministero.

Quest’ultimo crea problemi in riferimento alle esigenze della giustizia riparativa e

a quelle del processo penale.

Due sistemi che possono sembrare lontani hanno bisogno di incontrarsi: la

mediazione dona una nuova lente per vedere il reato e può diminuire la profondità

del danno presente68

.

Nella fase processuale il giudice può comunque utilizzare la mediazione

inserendola come prescrizione nel programma di trattamento della messa alla

prova, istituto a cui si ricorre per avere una valutazione più specifica e puntuale

del minore. La messa alla prova per adulti è una forma di probation, che permette

al minore di fare un periodo di prova sotto la sorveglianza dei professionisti del

probation, in opposizione alla sanzione detentiva. Varie ricerche empiriche fanno

notare come il ricorso a prescrizioni riparative nella messa alla prova e quindi alla

mediazione sia relativamente basso69

. Il motivo principale è che i percorsi fino ad

ora nominati, hanno un costo alto e le risorse economiche e umane di cui sono a

disposizione gli uffici di probation sono relativamente basse70

.

67 G. Manozzi, La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e

mediazione penale, Torino, 2003, p. 256. 68

Ivi, 264. 69

Ricerca empirica condotta dall’IRSIG-CNR. 70

G. Mannozzi, La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e

mediazione penale, Torino, 2003, p. 270.

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35

Il problema da evitare è che il minore aderisca alla mediazione per motivi

utilitaristici, ad esempio perché è consapevole che attraverso questo percorso avrà

un trattamento sanzionatorio minore. È compito dei professionisti della giustizia

riparativa capire quando questo si verifica e far in modo che il ragazzo sia

veramente consapevole dell’istituto e convinto di voler riparare ai fatti negativi

commessi.

Un altro rischio collegato a quanto descritto è relativo alla vittima. Il destinatario

del reato può ritenersi in obbligo ad accettare la mediazione per non sentirsi

responsabile della diversa pena che può essere inflitta dal Giudice minorile. Un

altro tipo di vittima però si può presentare: colei che acconsente all’incontro con

la speranza di avere anche un risarcimento più alto71

.

La giustizia riparativa vuole lavorare per non creare una seconda vittimizzazione

della vittima e per risanare la parte lesa attraverso l’incontro, il dialogo e la

riflessione di entrambe le parti che sono aiutate da una parte neutrale, il mediatore.

1.6 La vittima.

Il termine “vittimologia” è utilizzato nel 1949 dallo psichiatra F. Wertham. Prima

di allora l’idea di vittima era quella di un elemento passivo; mentre lo psichiatra

spiega che la figura riguarda una “causa” in relazione al fatto specifico72

.

Riconoscere il “concorso di colpa” della vittima ha creato una sua

criminalizzazione e un’assenza di interventi di tutela e protezione nei suoi

confronti73

. Il voler scoprire la figura della vittima, il suo ruolo e la sua storia,

(causa anche il diffondersi dei mass media) hanno fatto di questa figura un

protagonista attivo lasciando in disparte interventi in favore di questa e per la

prevenzione della vittimizzazione. Nei tempi odierni vi una forte tendenza

mediatica e politica alla semplificazione che condiziona il sistema penale, vi si

71 Ivi, p. 273.

72 C. Galavotti, Vittime fragili e servizio sociale. Teorie, percorsi e prassi operative per

l’assistenza sociale, Santarcangelo di Romagna, 2016, p. 41. 73

Ivi, 42.

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descrive e si divide i “partecipanti” al reato con categorizzazioni quali, “buoni” o

“cattivi”74

.

Il fatto importante è che vi è una mancanza di politiche il quale focus sia la

vittima e il sostegno socio-psicologico. Fino a quando non vi è una trasformazione

del pensiero comune della comunità che la vittima è portatore di diritti nessun

progetto o programmazione locale sarà possibile.

In questa sintetica trattazione più volte è stato rimarcato uno dei fini della

giustizia riparativa: dare maggiore spazio alla vittima.

Quando una persona commette un fatto illecito crea un disagio a lui, alla sua

famiglia, alla comunità e alla vittima, tendenzialmente principale destinatario

dell’azione del reo. Ma la vittima ha un riconoscimento a livello normativo che la

tutela?

Nel 1980 in Venezuela, al VI Congresso delle Nazioni Unite sulla prevenzione del

crimine e il trattamento dei criminali, si strutturò una normativa riguardo i diritti

della vittima75

. La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ha ispirato la

risoluzione dell’ONU n.40/34 del 1985 che definisce le vittime:

«persone che, sia singolarmente che collettivamente, abbiano subito danni,

compreso il riferimento sia fisico che mentale, la sofferenza mentale, la sofferenza

emotiva, la perdita economica o l’indebolimento sostanziale dei loro diritti

fondamentali, attraverso atti od omissioni che violano le leggi contro il crimine,

in vigore negli Stati membri, ivi comprese quelle leggi che proscrivono l’abuso

criminale di potere. Quindi una persona può essere definita vittima, anche in

mancanza dell’identificazione, dell’arresto, del perseguimento, della condanna

dell’autore materiale del reato e indipendentemente dal fatto che ci sia qualche

parentela tra l’autore del reato e la vittima.

Il termine vittima comprende pure la famiglia o i parenti stretti o i dipendenti

della vittima e le persone che hanno subito un danno nell’intervenire nel tentativo

di soccorrere le vittime in pericolo o per evitare un’eventuale vittimizzazione»76

.

La risoluzione ONU 2000/14 del 27 luglio 2000 contiene i principi base sull’uso

74 Ivi, 67.

75 Ivi, 106.

76 Ibidem.

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dei programmi di giustizia riparativa in ambito criminale. La restorative justice

deve contrastare la criminalità, deve rispettare la dignità di ciascuno, contribuire

alla sicurezza sociale anche attraverso al fine ultimo della rimozione dei danni

dalla vittima, dal reo e dalla comunità. In questo modo la vittima si sente al sicuro,

protetta, perché si fa sì che il reo tramite un suo percorso prenda coscienza e si

responsabilizzi aiutando anche la comunità a capire quali sono stati gli errori e

quali sono le azioni per prevenire elementi di disagio nel proprio contesto.

La direttiva 29/2012/UE adottata dal Parlamento europeo e dal consiglio recante

«norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di

reato», all’art. 2, comma 1, d), definisce la «giustizia riparativa» come «ogni

procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare

attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni sorte

dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale.

La direttiva 29/2012/UE invita a lavorare sulla complementarità tra sistema penale

e giustizia riparativa, in vista di una migliore tutela e protezione delle vittime,

anche dalla vittimizzazione secondaria. Con questo termine si intendono tutte

quelle conseguenze negative derivanti da differenti tipi di reazione da parte della

società a cui la vittima va incontro77

. Nel nostro sistema penale non vi è una

sostanziale spiegazione della parola vittima, viene definita come persona offesa. Il

sistema si preoccupa di tutelare l’interesse dello Stato, nella diade ancora forte

Reo-stato, reato-sanzione.

Vediamo nello specifico qual è il ruolo della vittima nel nostro codice di

procedura penale.

L’art. 90 c.p.p. ammette la persona offesa dal reato a presentare memorie

contenenti argomenti su cui può formarsi la prova in giudizio, mentre l’art. 369

c.p.p. dispone l’obbligo della notifica dell’informazione di garanzia alla parte

offesa e alla possibilità per la stessa di nominare un difensore per rendere effettiva

la partecipazione alla fase delle indagini, ed eventualmente proporre l’opposizione

all’archiviazione ai sensi dell’art. 410 c.p.p.

77 Ivi, 70.

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La decisione quadro 2001/220/GAI del 15 marzo del 2001 del Consiglio

dell’Unione europea concernente il ruolo della vittima nel procedimento penale

stabilisce che gli altri Stati adottino una legge quadro relativa al trattamento per le

vittime di reato. Ogni Paese dovrebbe creare servizi specializzati di mediazione

per i bisogni della vittima, ma soprattutto lo Stato deve investire sulla formazione

degli operatori per tema così nuovo e complicato. Il fine ultimo per il recepimento

dell’indirizzo materia era stato fissato al 22 marzo 2002, mentre la strutturazione

della mediazione penale nei processi penale doveva verificarsi nella stessa data

dell’anno 2006.

La direttiva 2012/29EU del Parlamento Europeo istituisce norme minime in

materia di diritti, assistenza, protezione delle vittime di reato sostituisce la

decisione quadro 2001/220/GAI, relativa alla vittima nel procedimento penale.

A seguito del programma di Stoccolma e della risoluzione del 26 novembre del

2009 si esortano gli Stati membri a prendere provvedimenti riguardo le protezione

e le prevenzioni verso la violenza sulle donne. Secondo la Direttiva per vittima

(art.2) si intende il principale destinatario, ma anche le vittime secondarie quali i

familiari.

Si vuole garantire sicurezza e giustizia (art.1), ogni vittima deve essere messa in

condizioni di parità, comprese le vittime disabili (art.15), inoltre si fa riferimento

alle vittime di terrorismo (art.16). All’art.19 si specifica come la vittima è tale

anche allorquando si proceda contro ignoti, e le vittime senza reo devono essere

considerate e tutelate al medesimo modo di chi ha un reo. La vittima deve essere

informata durante e prima il processo con un linguaggio semplice e nella lingua di

provenienza.

Dalla direttiva possiamo quindi trarre delle parole chiavi fondamentali, sostegno,

protezione, giustizia, informazione e trattamento.

La direttiva è stata recepita dal nostro sistema con il D.lgs. del 15 dicembre 2015,

n. 212 diretto a «individuare sia modalità di protezione della vittima da

interferenze esterne e contatti con l'autore del reato, sia modalità di tutela che

consentano alla persona offesa vulnerabile di prendere parte al processo senza

dover scontare le conseguenze negative derivabili da una sua testimonianza. Il

decreto modifica dunque la disciplina dell’incidente probatorio e della prova

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testimoniale attraverso modalità protette, disponendo l’applicazione delle

specifiche tutele ivi previste in tutti casi in cui si proceda all’esame di una vittima

vulnerabile, indipendentemente dal catalogo dei reati presupposti che fino ad

oggi ne legittimava l’adozione».

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Capitolo 2

L’istituto della messa alla prova per adulti e il ruolo

dell’assistente sociale.

2.1 Dalla visione carcerocentrica a quella comunitaria.

Si può iniziare a parlare di ordinamento penitenziario quando l’uomo, per

salvaguardare la società dal “male”, crede opportuno isolare il reo in appositi

istituti78

.

«Alla fine si decisero a toglierli la veste, calarlo in una cisterna e abbandonarlo lì»

(Gn37:23,24).

In questo versetto della Bibbia i fratelli di Giuseppe, figlio di Giacobbe, prima di

venderlo come servo, decisero di rinchiuderlo in un luogo preciso, delimitato e

lontano dalla collettività. Questa è l’idea che ebbero loro, ma che si ha anche oggi

del carcere, secondo il senso comune.

Anche nel sistema romano il carcere non era visto come pena, ma come mezzo per

“fermare” chi doveva essere sottoposto alla pena capitale, all’esilio o alla

fustigazione. Il carcere non era considerato, come oggi la pena coercitiva per

eccellenza, ma una pena secondaria, temporanea; inoltre nell’antichità il carcere

era visto come vendetta sociale, non come momento rieducativo79

.

Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel Medioevo il carcere perde

ancora di più di importanza, in quanto prevale la vendetta privata80

.

Nel 155381

non si può ancora parlare di carcere, ma nasce qualcosa di simile, per

la concezione che la comunità aveva dell’istituto in quel periodo. Il carcere fino

ad allora era considerato un mezzo, un luogo per assicurarsi il condannato e, nella

78 Archivio di Stato, Il carcere e la pena, alla pagina web www.ristretti.it.

79 Ibidem.

80 Ibidem.

81 Bridewell Prison and Hospital, alla pagina web www.lodonlives.org.

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data citata; con il palazzo di Bridewell, nella città di Londra, si apre la prima casa

di lavoro, che dà il via anche in altri paesi alla concezione di creare appositi

luoghi per punire i reclusi attraverso il lavoro obbligato, e così demoralizzare il

comportamento degli oziosi o vagabondi che vi erano nella società82

.

Uno sfondo teorico fondamentale, importante per tutto il lavoro che da qui in

avanti si svilupperà, sono le teorie di Erving Goffman (1922-1982) e Michel

Foucault (1926-1984).

«Un’istituzione totale può essere definita come il luogo di residenza e di lavoro di

gruppi di persone che - tagliati fuori dalla società per un considerevole periodo

di tempo- si trovano a dividere una situazione comune trascorrendo parte della

loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato»83

. Questa definizione

delle istituzioni totali è stata scritta da Erving Goffman descrivendo quella che è

la vita di un “internato” sottoposto a regole universalmente riconosciute e

rinchiuso senza contatti con il mondo esterno. “Le istituzioni totali”, quindi le

carceri, sono quei luoghi che hanno un alto livello di intensità di controllo sociale.

La domanda che sorge spontanea è: oggi il carcere è ancora un’istituzione totale?

Sicuramente quello che è cambiato è il fine dell’istituzione totale carcere, (almeno

sulla carta) non ci si trova più davanti a un luogo che lavora sulla vendetta sociale,

ma attraverso un percorso con la persona si lavora per la rieducazione e il

reinserimento sociale.

«Se non è più al corpo che si rivolge la pena nelle sue forme più severe, su che

cosa allora stabilisce la sua presa? La risposta dei teorici - quelli che aprono,

verso il 1760, un periodo non ancora chiuso - è semplice, quasi evidente, sembra

scritta nella domanda stessa. Non è più il corpo, è l'anima»84

.

Nel libro “Sorvegliare e punire” Faucault vuole far intendere come le esecuzioni

pubbliche, come l’esecuzione al palo che viene abolita in Francia nel 1848,

portavano ad uno scambio dei ruoli, il giudice diventa l’assassino e si mostra in

pubblico una violenza che non deve essere pubblica. È come se la violenza

82 C. A. Vieira, Le origini delle prigioni, alla pagina web www.ristretti.it.

83 E. Goffman, Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza, 2010,

passim. 84

M. Foucault Sorvegliare e punire, Torino, 1993, p. 6.

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generasse altra violenza, intendiamo ciò anche dalle parole di Cesare Beccaria

«L'assassinio, che ci viene presentato come un crimine orribile, noi lo vediamo

commettere freddamente, senza rimorsi che si mostra qualcosa che invece si deve

prevenire, mostrando altri insegnamenti»85

.

Nei paesi anglosassoni nel 1971 l’idea del carcere accoglie un compito

intimidatorio, con una correlazione tra delitto e pena, cambiando l’architettura

delle carceri. Il filosofo Jeremy Bentham nel 1786 concepì un’idea di carcere

molto più funzionale: ovvero il “Panopticon”, colui che vede tutto86

.

Immagine 1: rappresentazione grafica del carcere secondo il modello Panapticon.

Come ci mostra l’immagine il detenuto deve essere consapevole di essere in uno

stato di permanete visibilità, perché avrà sempre davanti gli occhi la torre centrale

e dall’interno è possibile controllare ogni detenuto87

.

Solo nell’epoca dei lumi il carcere non è più visto come momento temporaneo per

l’attesa del giudizio finale del detenuto e prende spazio l’idea di un luogo di

espiazione della pena con rilevanza sociale88

. Ad opera di autori come Cesare

85 C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, Einaudi, 1994.

86 Mediastudies, The panopticon, alla pagina web www.mediastudies.it

87 M. Zeppa, Jeremy Bentham| Panapticon, alla pagina web www.raccordi.blogspot.it.

88 Archivio di Stato, Il carcere e la Pena, alla pagina web www.ristretti.it.

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Beccaria si diffonde un’opera di umanizzazione e la pena si intende come mezzo

per prevenire e non come mero spettacolo della violenza.

Nel 1889 viene emanato il codice penale Zanardelli, che andò a sostituire il

Codice sardo emanato nel 185989

.

Con il codice, almeno momentaneamente, viene realizzato uno dei principi di

Beccaria: abolire la pena di morte. Molti miglioramenti vengono apportati:

l’eliminazione dell’uso della catena al piede, della camicia di forza e della cella

oscura. Cesare Beccaria sottolinea la funzione di prevenzione della pena che può

essere svolta solo se adattata alla gravità del reato e se applicata da un giudice

imparziale90

.

Altri atti positivi si hanno con le circolari del 1922, ma il lavoro di cura di queste

viene bloccato dall’avvento del fascismo che mostra la pena come un diritto di

difesa dello Stato e che etichetta il detenuto come un «peccatore

criminalizzato»91

.

Nel 1930 venne emanato il Codice Rocco92

.

Ciò che qualifica il Codice sono i seguenti principi: separazione con il mondo

esterno, limitazioni delle attività alle leggi fondamentali, istruzione, pratiche

religiose e lavoro, spersonalizzazione del detenuto che viene chiamato con il

numero della sua matricola, in questo momento sono ancora vive le parole di

Goffman, si toglie all’internato il «corredo per la propria identità».

Dopo la famosa rivolta di San Vittore nel 1946, che non è un caso isolato, nel

1948 si crede opportuno lavorare sullo stato delle carceri attraverso l’assemblea

Costituente per dare spazio a tutti i colori politici, l’obiettivo era apportare delle

modifiche sostanziali93

.

Questi sono i principi costituzionali che puntano a cambiare la concezione della

pena e del carcere:

89 Archivio di Stato, Il carcere e la pena, alla pagina web www.ristretti.it.

90 D. Tutini, Introduzione e principio di legalità, alla pagina web https://youtu.be/gpD0emToRZc.

91 A. Salvati, L’evoluzione della legislazione penitenziaria in Italia, alla pagina web

http://www.antoniocasella.eu/archica/Salvati_legislazione_penitenziaria_09.07.2009.pdf. 92

Ibidem. 93

W. Settimelli, Sopravvivere per ricostruire: correva l’anno 1946, alla pagina web

www.patriaindipendente.it

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1. Art. 3 c. 1 «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali

davanti alla legge»;

2. Art. 13 c. 4 « è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone

comunque sottoposte a restrizioni di libertà»;

3. Art. 27 c. 3 «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al

senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»94

.

L’art. 27 pone le basi per una nuova giustizia, un diverso sistema penale già

presente in Europa.

Il paradigma riparativo riesce a trovare un’ufficialità nella riforma penitenziaria

del 1975 legge n.354 «Norme sull’ordinamento penitenziario e sull'esecuzione

delle misure privative e limitative della libertà»95

.

Art. 1 c.5 «Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un

trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente

esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento é attuato secondo un

criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei

soggetti»96

.

È importante focalizzarsi sul reinserimento sociale che avviene attraverso

l’incontro tra i due mondi che non sono più separati. Si parlava nelle righe

precedenti di come prima il carcere fosse un luogo in attesa della vera pena, in

questo momento invece il legislatore vede il carcere come spazio dove lavorare

con la persona per reintrodurla, dove possibile, nella società97

.

Nel Capo II, Condizioni generali, si può notare come la dignità, l’igiene e il

rispetto della persona sono i temi fondamentali che cambiano l’assetto e la

posizione del detenuto. Si ritiene che se prima non si offrono i presupposti base

che fanno parte di quello che Goffman chiamava corredo personale, non si può

pretendere un lavoro collaborativo da parte del detenuto.

Capo III, Servizio sociale e assistenza, l’art. 72 istituisce i centri di servizio

sociale per adulti che sono presenti nelle sedi dell’ufficio di sorveglianza.

94 Articolo 27, alla pagina web www.senato.it.

95 A. Salvati, Levoluzione della legislazione penitenziaria in Italia, alla pagina web

http://www.antoniocasella.eu/archica/Salvati_legislazione_penitenziaria_09.07.2009.pdf. 96

Ordinamento penitenziario, alla pagina web www.ristretti.it. 97

Archivio di stato, Carcere e pena, alla pagina web www.ristretti.it.

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«I centri, a mezzo del personale di servizio sociale, provvedono ad eseguire, su

richiesta del magistrato di sorveglianza o della sezione di sorveglianza, le

inchieste sociali utili a fornire i dati occorrenti per l'applicazione, la

modificazione, la proroga e la revoca delle misure di sicurezza e per il

trattamento dei condannati e degli internati, nonché a prestare la loro opera per

assicurare il reinserimento nella vita libera dei sottoposti a misure di sicurezza

non detentive.

I centri prestano inoltre, su richiesta delle direzioni degli istituti, opera di

consulenza per favorire il buon esito del trattamento penitenziario. Svolgono,

infine, ogni altra attività prevista dalla presente legge che comporti interventi di

servizio sociale»98

.

Si vuole sottolineare in questa sede il Capo IV, Misure alternative alla detenzione

e remissione del debito, dove vi sono i seguenti articoli: affidamento in prova al

servizio sociale, affidamento in casi particolari, detenzione domiciliare e regime

di semilibertà.

Sono alcuni istituti che ricercano la collaborazione con il reo o con l’affidato per

un coinvolgimento attivo del mondo esterno ed in questi termini, si inizia a

intraprendere il percorso della giustizia risocializzante.

Il primo cambiamento della riforma avviene con la legge del 10 ottobre 1986, n.

663 chiamata anche “Gozzini” che apportò delle modifiche introducendo l’art.

14bis regime di sorveglianza particolare, l’art. 21, lavoro all’esterno e si

aggiunge l’art.30-ter, permessi premio99

. Questo ultimo offre la possibilità di

allontanarsi dall’istituto detentivo senza scorta, per un massimo di 45 giorni

l’anno per dare la possibilità al detenuto di continuare a coltivare gli affetti e

tenere vivo il collegamento con la rete che gli apparteneva prima di entrare nel

carcere100

. Inoltre l’art.47 affidamento in prova al servizio sociale è riferito anche

a chi è in libertà, non vi è l’obbligo di passare per la detenzione prima di poter

usufruire di questo.

98 Ordinamento penitenziario, alla pagina web www.ristretti.it.

99 A. Salvati, L’evoluzione della legislazione penitenziaria in Italia, p.20, alla pagina web

http://www.antoniocasella.eu/archica/Salvati_legislazione_penitenziaria_09.07.2009.pdf. 100

Ibidem.

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Altre innovazioni vengono apportate dalla legge del 27 maggio 1998, n. 165 che

introduce la detenzione domiciliare biennale, si cerca di non far vivere il pesante

percorso del carcere a soggetti che non hanno commesso gravi reati. Per

l’affidamento in prova al servizio sociale non vi è la necessità dell’osservazione in

istituto101

.

La legge del 8 giugno del 2001, n. 231 introduce l’istituto dell’affidamento in

prova al servizio sociale e la detenzione domiciliare anche per soggetti affetti da

AIDS.

La legge “Finocchiaro” del 8 marzo 2001, n. 40 aggiunge alla riforma del 1975 la

detenzione domiciliare per le madri detenute.

Con la legge “Cirilli” viene inserita la detenzione domiciliare anche per detenuti

ultrasettantenni e vengono introdotti limiti per la concessione delle misure

alternative, come l’affidamento per casi particolari che non può essere concesso

alla stessa persona per più di due volte.

Con queste ultime riforme il sistema penale si impegna a cambiare l’assetto e il

pensiero della Giustizia penale.

Molto ha influito anche il sistema penale presente nei diversi paesi dell’Unione

Europea e i richiami di quest’ultima102

. Il probation, tema che sarà approfondito

in seguito, dopo un secolo dalla sua nascita sta prendendo forma anche in Italia

attraverso la messa alla prova per adulti, una nuova misura di comunità. Per

misure di comunità la raccomandazione (92) 16 del Comitato dei Ministri del

Consiglio d’Europa intende: «sanzioni e misure che mantengono il condannato

nella comunità ed implicano una certa restrizione della sua libertà attraverso

l’imposizione di condizioni e/o obblighi e che sono eseguite dagli organi previste

dalle norme in vigore. Tale nozione designa le sanzioni decise da un tribunale o

da un giudice e le misure adottate prima della decisione che impone la sanzione o

101 Parlamento Italiano, legge 27 maggio 1998, n.165, alla pagina web

http://www.camera.it/parlam/leggi/98165l.htm. 102

La Corte Europea dei diritti umani con la sentenza adottata l’8 gennaio 2013 ha condannato

l’Italia per la violazione dell’art. 3 della CEDU.

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al posto di tale decisione, nonché quelle consistenti in una modalità di esecuzione

di una pena detentiva al di fuori di uno stabilimento penitenziario»103

.

2.2 La messa alla prova per adulti.

La messa alla prova, istituto recente in Italia, trae ispirazione dal Probation

inglese e dall’esperienza applicativa Americana. La nascita viene fatta risalire al

1841104

, quando in una Corte di Boston, durante un processo nei confronti di un

mendicante, un calzolaio si rese disponibile per offrire al mendicante lavoro e

sostegno, così da poter sospendere la condanna. Con tale conclusione positiva il

giudice affidò all’imputato solo una multa simbolica. A seguito di ciò ci furono

diverse esperienze sostenute soprattutto da organismi di volontariato. La prima

legge concernente questo tema è la “Massachusetts probation act”105

. Nel 1925

ogni Stato aveva introdotto misure di comunità per i minorenni106

. In Inghilterra

nel 1847 si ebbe la legge ”Juvenille Offenders Act” che permetteva al Giudice di

rimproverare il minore, ma non di condannarlo.

In Italia nel 1988 con il D.P.R. n. 488 si introduce la sospensione del processo con

messa alla prova del minore.

All’art 28 del D.P.R. si possono leggere le seguenti parole: «Il giudice, sentite le

parti, può disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene di dover

valutare la personalità del minorenne all'esito della prova disposta a norma del comma

2. Il processo è sospeso per un periodo non superiore a tre anni quando si procede per

reati per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel

103 Ministero della Giustizia, Misure alternative e di comunità, www.ministerodellagiustizia.it

104 Centro di Documentazione “l’altro diritto”, fondato nel 1966 presso il Dipartimento di Teoria e

storia del Diritto dell’Università di Firenze. La messa alla prova: sue applicazioni nel tribunale di

Firenze, alla pagina web www.altrodiritto.unifi.it. 105

G. Ortu, Il probation: modelli ed esperienze negli ordinamenti di altri paesi, alla pagina web

www.altrodiritto.unifi.it 106

Ibidem.

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massimo a dodici anni; negli altri casi, per un periodo non superiore a un anno. Durante

tale periodo è sospeso il corso della prescrizione»107

.

Con la legge del 28 aprile 2014 n. 67, entrata in vigore il 17.05.2014, «Deleghe al

governo in materie di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema

sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensioni del procedimento con messa

alla prova e nei confronti degli irreperibili», il sistema penale italiano si ispira al

probation europeo cerando di avvicinarsi a quelle che sono le principali

componenti di questo tema già molto sviluppato in paesi come la Scozia e

l’Inghilterra.

L’avvicinarsi al sistema di probation, attraverso queste misure di comunità, segna

un piccolo distacco dalla “concezione carcerocentrica” che in Italia è ancora

forte108

. Un passo verso una concezione comunitaria è stato fatto anche con il

decreto del presidente del consiglio dei ministri n.84 del 2015 che crea un nuovo

assetto del Ministero della Giustizia e crea il Dipartimento per la giustizia

minorile e di comunità, che comprende l’esecuzione penale esterna dei minori e

degli adulti.

La legge n. 67 prende esempio dalla messa alla prova per i minori, ma entrambe si

differenziano dal probation europeo in quanto agiscono prima del processo, non

vi è una colpevolezza appurata dal giudice perciò in Italia si parla di imputato

puro. Si agisce nell’immediato dell’accaduto perché si vuole rispondere anche al

carico giudiziario agendo con una rapida conclusione dei procedimenti penali109

.

La sospensione del procedimento con messa alla prova è una nuova misura,

istituita con la legge del 28 aprile 2014, n. 67, questa era già in elaborazione dal

Governo Prodi, ed è grazie alla sentenza Torreggiani110

che il sistema è stato

107 Codice di procedura penale, alla pagina web www.normattiva.it.

108 R. Maestri, L’istituto della messa alla prova in Ministero della Giustizia, Nuove esperienze di

giustizia minorile e di comunità, Roma, p. 144. 109

Ibidem. 110

La Corte europea dei diritti umani, con la sentenza Torreggiani (ricorsi nn. 43517/09, 46882/09,

55400/09; 57875/09, 61535/09, 35315/10, 37818/10) – adottata l’8 gennaio 2013 con decisione

presa all’unanimità – ha condannato l’Italia per la violazione dell’art. 3 della Convenzione

europea dei diritti umani (CEDU). 1998 risoluzione ONU sulla “Cooperazione internazionale tesa

alla riduzione del sovraffollamento delle prigioni ed alla promozione delle misure alternative”.

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49

spinto all’effettiva promulgazione, grazie all’iniziativa della senatrice Ferranti111

.

Con la sentenza nel 2013 si condanna l’Italia per la violazione dell’art. 3 della

convenzione europea dei diritti umani. Probabilmente non è questo lo strumento

per svuotare le carceri però ha comunque trovato spazio nelle diverse leggi

essenziali per rimodellare il sistema penale.

Nel codice penale la legge introduce gli articoli dal 168-bis al 168-quater, nel

codice di procedura penale dal 464-bis al 464-novies, l’art. 657-bis, gli art. 141-

bis e 141-ter che disciplinano l’avviso del pubblico ministero per l’ammissibilità

dell’istituto.

Si introduce l’art 168-bis nel codice penale dove si esplica che la sospensione può

essere richiesta nei procedimenti per i reati puniti con pena pecuniaria, o per i reati

con pena edittale detentiva fino ad un massimo di 4 anni, nonché per i delitti

indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale112

. I

requisiti oggettivi assoluti appena dettati sono condizioni necessarie, ma non

assolute per l’ammissibilità113

. Il legislatore sottolinea, nelle righe seguenti, il fine

della misura: cancellare le conseguenze dannose del reo, anche in un’ottica

preventiva e risarcire il danno che consegue il reato. Ciò avviene attraverso l’aiuto

e la professionalità del funzionario di servizio sociale, a cui viene affidato

l’imputato. Si sottolinea l’ispirazione al probation, quindi alla giustizia riparativa

insita in questa misura.

Non si intende la messa alla prova come una modalità esecutiva della pena in

quanto non vi è stata una sentenza di condanna, inoltre non è un procedimento di

111 G. Gori, L'esecuzione della sentenza pilota. Il primo impatto della sentenza Torreggiani nel

contesto italiano in I diritti dei detenuti tra giurisprudenza CEDU e politiche penali, capitolo IV,

alla pagina web www.altrodiritto.unifi.it. 112

All’art.550 al comma 2 : a)violenza minaccia a un pubblico ufficiali b) resistenza a un pubblico

ufficiale prevista dall'articolo 337 del codice penale c) oltraggio a un magistrato in udienza

aggravato a norma dell'articolo 343, secondo comma, del codice penale;

d) violazione di sigilli aggravata a norma dell'articolo 349, secondo comma, del codice penale;

e) rissa aggravata a norma dell'articolo 588, secondo comma, del codice penale, con esclusione

delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o

gravissime;

f) furto aggravato a norma dell'articolo 625 del codice penale;

g) ricettazione prevista dall'articolo 648 del codice penale. Diritto Penale Contemporaneo. 113

S. Anastasia, la messa alla prova, slide ISSP.

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50

mediazione in quanto questa parte della misura non è obbligatoria e vi deve essere

la volontarietà delle parti.

La concessione della messa alla prova è subordinata allo svolgimento del lavoro

di pubblica utilità, la parte sanzionatoria della misura e la cui durata è stabilita dal

giudice. L’imputato è affidato all’UEPE per lo svolgimento di un programma di

trattamento, precedentemente concordato con lo stesso e approvato dal giudice

nell’udienza di concessione della misura. Il lavoro di pubblica utilità deve essere

svolto presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie, o

presso enti o organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. Il

monte ore della prestazione gratuita è stabilito tenendo conto delle esigenze

familiari, di lavoro e di studio.

Il fine è quello di proporre all’imputato un percorso di reinserimento sociale,

nell’immediatezza del compimento del fatto-reato, dentro una logica di giustizia

che non si basa sulla pena, ma sulla riparazione.

Nell’art 168-bis si fa riferimento agli art.102, 103, 104, 105 e 108114

esplicando

che non rientrano nella misura qui presente, confermando la logica dell’attenzione

alla pericolosità sociale e alla tendenza a reiterare il reato.

Il punto di partenza è quindi la ricerca della consapevolezza e dell’assunzione di

responsabilità circa il disvalore del proprio comportamento, nonché del danno

provocato alla vittima e alla società.

Proprio in favore delle due figure, vittima e società, l’imputato deve attraverso

percorsi di volontariato sociale risarcire coloro che sono implicati nel reato. Non è

solo il fatto-reato il focus, ma ora sono la vittima e la comunità.

Nasce la volontà di riparare alle conseguenze negative derivate dal proprio

comportamento, nonché, ove possibile, di risarcire il danno cagionato.

La messa alla prova ha tre funzioni:

Riparativa: questa nuova misura vuole restituire sia alla vittima, che alla

comunità e al reo la condizione precedente al reato, nei limiti del possibile.

La legge n.67 prevede che vi devono essere condotte volte a promuovere

la mediazione con la persona stessa.

114 Delinquenti e contravventori abituali, delinquenti professionali e delinquenti per tendenza.

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51

Retributiva: la messa alla prova è un istituto che si fonda sulla pena, sul

risarcimento in un’ottica di rieducazione anche attraverso i lavori di

pubblica utilità e il volontariato per ripagare la vittima e la società del

danno commesso115

.

Comunitaria: attraverso il lavoro di pubblica utilità si vuole restituire alla

comunità di riferimento ciò che gli è stato tolto. L’imputato svolge il

periodo di messa alla prova all’interno della comunità.

Non può essere concessa più di una volta, infatti il suo esito positivo estingue il

reato, ma rimarrà traccia nel casellario per far si che non possa essere concessa

nuovamente. Come si è scritto si lavora nell’immediatezza del fatto, a differenza

dell’affidamento dove si ha davanti un condannato, nel recente istituto si ha a che

fare con reati e fatti ancora “freschi” nella mente del soggetto.

Ora si procederà passo per passo nella procedura da seguire per richiedere la

sospensione del procedimento con messa alla prova.

L’imputato, o l’avvocato, inviano all’UEPE il modello MAP, nonché un’istanza

di programma di trattamento per messa alla prova, da presentare al tribunale per

l’istanza di sospensione del procedimento. Ora esaminiamo nei minimi dettagli la

fase dell’indagine chiamata anche fase istruttoria. Quello che andremo ad

esaminare è il modo operandi dell’UEPE di Spoleto, in quanto è opportuno

specificare che i diversi UEPE possono agire in modo leggermente differente, a

seconda dei protocolli stipulati con i tribunali di riferimento.

2.3 La fase di indagine e l’elaborazione del programma di

trattamento.

Il programma di trattamento per la professione dell’assistente sociale è una

metodologia di lavoro che è stata recepita a livello normativo a seguito della legge

del 27 luglio 2005, n. 154 del e successivamente dalla legge che riguarda l’istituto

115 M. Grimoldi, R. Cacioppo, l’abito su misura. Significato ed effetti attesi dai contenuti di

progetti di messa alla prova a favore di minori autori di reato, alla pagina web http://mente-

locale.net/labito-misura-significato-ed-effetti-attesi-dai-contenuti-progetti-messa-alla-prova-

favore-minori-autori-reato/.

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52

della messa alla prova116

. Lo strumento aiuta ad individualizzare il programma e

quindi a rendere meno standardizzate le misure, dare maggiori significati e valori

aggiunti, rendere l’utente sempre meno un “foglio”. Così facendo si aumenta il

contatto e si migliora la relazione tra l’utente e il professionista. Il programma,

che ora sarà specificato nei dettagli, deve essere stilato in base ai bisogni e le

problematiche sia dell’imputato che della parte offesa, quindi della comunità che

alla giustizia richiede sicurezza sociale117

.

Le modalità con le quali si può formulare la richiesta di sospensione del

procedimento con messa alla prova è indicato nel nuovo Titolo V-bis,

Sospensione del procedimento con messa alla prova, che aggiunge l’art. 464-

bis118

.

Prendiamo in esame il caso in cui la richiesta è presentata dall’avvocato. Essa

deve pervenire all’UEPE di residenza o di domicilio dell’imputato- se diverso

dalla prima- con richiesta formale munita di procura speciale, preferibilmente

tramite PEC, contente: il decreto di citazione a giudizio e l’istanza di programma

116 S. Nasca, Direzione Generale Formazione, Convegno Roma 3 novembre 2016.

117 Ibidem.

118 1. Nei casi previsti dall'articolo 168 bis del codice penale l'imputato può formulare richiesta di

sospensione del procedimento con messa alla prova.

2. La richiesta può essere proposta, oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le

conclusioni a norma degli articoli 421 e 422 o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento

di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio. Se è

stato notificato il decreto di giudizio immediato, la richiesta è formulata entro il termine e con le

forme stabiliti dall'articolo 458, comma 1. Nel procedimento per decreto, la richiesta è presentata

con l'atto di opposizione (2).

3. La volontà dell'imputato è espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale e la

sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall'articolo 583, comma 3.

4. All’istanza è allegato un programma di trattamento, elaborato d'intesa con l'ufficio di esecuzione

penale esterna, ovvero, nel caso in cui non sia stata possibile l'elaborazione, la richiesta di

elaborazione del predetto programma. Il programma in ogni caso prevede:

a) le modalità di coinvolgimento dell'imputato, nonché del suo nucleo familiare e del suo ambiente

di vita nel processo di reinserimento sociale, ove ciò risulti necessario e possibile;

b) le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l'imputato assume anche al fine

di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno,

le condotte riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità

ovvero all'attività di volontariato di rilievo sociale;

c) le condotte volte a promuovere, ove possibile, la mediazione con la persona offesa.

5. Al fine di decidere sulla concessione, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle

prescrizioni cui eventualmente subordinarla, il giudice può acquisire, tramite la polizia giudiziaria,

i servizi sociali o altri enti pubblici, tutte le ulteriori informazioni ritenute necessarie in relazione

alle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica dell'imputato. Tali informazioni

devono essere portate tempestivamente a conoscenza del pubblico ministero e del difensore

dell'imputato.

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di trattamento per messa alla prova: MAP (si allega). Il modello MAP è universale

ed è possibile trovarlo anche nel sito ufficiale del Ministero della Giustizia119

.

Deve includere i dati anagrafici dell’imputato, atti rilevanti del procedimento

penale, il capo di imputazione, il tribunale e il numero R.G.N.R.( registro generale

notizie di reato) del procedimento, la situazione familiare e la condizione

lavorativa120

. Può includere l’ente pensato per il lavoro di pubblica utilità, ed

inoltre la proposta di un’attività di riparazione, quale la mediazione. Da notare è la

data dell’udienza per la concessione della messa alla prova. Quest’ultimo è un

elemento importante per l’organizzazione del lavoro dell’assistente sociale, che

almeno 10 giorni prima dalla data dell’udienza deve inviare al tribunale,

un’indagine sociale relativa all’imputato e il programma di trattamento condiviso

con lo stesso, nonché l’accordo sottoscritto con l’ente ospitante per lo svolgimento

del lavoro di pubblica utilità.

Grazie all’albo delle convenzioni con gli enti, presente nei Tribunali, può accadere

che con la collaborazione dell’avvocato l’imputato presenti il modello MAP

corredato del nominativo dell’ente presso il quale si svolgerà il lavoro di pubblica

utilità. Nei principi della giustizia riparativa possono essere richiesti, oltre al

lavoro di pubblica utilità, attività riparatorie per il risarcimento del danno, come

percorsi di mediazione verso la parte offesa.

L’UEPE, a seguito della richiesta da parte del legale, rilascia ricevuta dell’istanza

con immediatezza. In seguito a tali azioni si può procedere all’effettuazione

dell’indagine. Il Direttore nomina il funzionario di servizio sociale referente del

caso. L’assistente sociale in questione procederà convocando il richiedente per

l’avvio delle attività d’indagine, finalizzate all’elaborazione condivisa del

programma di trattamento in vista della data dell’udienza.

La fase istruttoria eseguita dall’assistente sociale si avvia attraverso il primo

colloquio professionale. Si svolge l’indagine riguardo la storia del soggetto, la

119 É possibile trovare il file nella sezione della messa alla prova del sito ufficiale del Ministero

della Giustizia, nella parte relativa ai documenti. 120

Tribunale di Terni, Protocollo d’intesa per la sospensione del procedimento con messa alla

prova.

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famiglia di origine, l’istruzione scolastica, l’attività lavorativa e le condizioni

reddituali121

.

É importante indagare anche la situazione attuale, partendo dal nucleo familiare.

Focus del colloquio sarà descrivere insieme i fatti che l’hanno portato alla

richiesta della sospensione del procedimento della messa alla prova, quindi alla

commissione del reato. Riguardo a questo, si dovrà valutare il grado di

autoresponsabilizzzazione del soggetto. I casi che si possono presentare sono

diversificati e in alcuni è opportuno andare a verificare la situazione dell’imputato

tramite la visita domiciliare.

Per elaborare il programma di trattamento devono essere analizzate le attitudini e

le specifiche comportamentali per una scelta attenta e congrua al lavoro di

pubblica utilità, attività risocializzante e rieducativa per il soggetto.

Come precedentemente indicato si possono verificare due situazioni:

1. l’imputato ha trovato l’ente dove svolgerà il lavoro di pubblica utilità, da

solo o insieme all’avvocato ha preso già contatti con la struttura e presenta

l’accordo individuale che sarà discusso e valutato. Si fa presente che può

essere discusso l’ente e l’entità delle mansioni. Da parte dell’imputato

deve essere presente una reale motivazione e una giusta spiegazione della

scelta dell’ente. Sarebbe anche opportuno che il lavoro di pubblica utilità

fosse calibrato sul reato.

2. L’imputato che si presenta all’ufficio non ha preso nessun contatto e

chiede informazioni riguardo il lavoro di pubblica utilità. Attraverso il

colloquio, quindi la fase dell’indagine, l’assistente sociale è al corrente

delle competenze proprie del soggetto, dell’ente più opportuno da

proporre. Il reato, le competenze e la persona stessa sono tre elementi che

l’assistente sociale deve tener presente nel lavoro con l’imputato di ricerca

dell’ente.

Per far si che questo passaggio sia più lineare possibile, l’assistente sociale

dell’ufficio UEPE deve essere un ottimo mediatore tra gli enti privati, pubblici,

121 R. Maestri, L’istituto della messa alla prova in Ministero della Giustizia, Nuove esperienze di

giustizia minorile e di comunità, Roma, p. 146.

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ONLUS e i Tribunali122

. E’ importantissimo per creare sempre più convenzioni

che facilitano il rapporto tra l’ente e l’imputato. L’assistente sociale deve

verificare la congruità dell’ente scelto per il soggetto tramite una visita nel luogo

che è stato deciso per i lavori di pubblica utilità.

Una volta che l’imputato e l’ente hanno trovato un accordo riguardo le mansioni

da eseguire e l’orario settimanale definito con i giorni specifici, l’ente e l’imputato

sottoscrivono tutto ciò nell’accordo individuale. Insieme alla proposta di

trattamento, l’accordo sarà la base per la valutazione del giudice nell’udienza per

la concessione della sospensione del procedimento per messa alla prova. È

opportuno che l’assistente sociale individui eventuali attività riparatorie da

proporre, quali il volontariato, e l’attività di mediazione penale con la vittima. Si

trova difficoltà nell’attuare questi percorsi che presuppongono l’ammissione di

colpevolezza, il giudice non si è pronunziato, in quanto il processo non ha avuto

ancora luogo (probation giudiziale)123

. Anche le attività di mediazione non

possono essere attivate se non vi è volontarietà da entrambe le parti e soprattutto

non è un momento di confronto che può essere gestito dall’assistente sociale

referente del caso: vi sono centri specializzati con mediatori penali che hanno una

formazione specifica.

L’assistente sociale ha un ruolo fondamentale nell’accompagnamento

dell’imputato in questo percorso. Le sue responsabilità sono verso l’imputato, la

società e verso la giustizia124

.

L’assistente sociale lavora con l’imputato perché lui adempia alla funzione

riparativa verso la vittima, o la parte offesa e faciliti il “reinserimento” nella

società: anche se non vi è stato un distacco è stata lesa una parte della comunità.

Punti fermi sono far accrescere la responsabilizzazione verso il fatto commesso, la

vittima, la comunità e verso i familiari dell’imputato che sono all’interno della

situazione. L’assistente sociale recependo l’art.464 quater comma 3 e le regole del

probation europee sa che per il ridimensionamento della recidiva deve far in

122 Decreto 8 giugno 2015 n.88.

123 Ivi p.147.

124 S. Anastasia, la messa alla prova slide ISSP.

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modo che l’imputato abbandoni i comportamenti illeciti e tutto ciò che può

causarli e già li ha causati.

Attraverso i colloqui con l’imputato, la visita all’ente e le relazioni dei servizi

specialistici si possono inviare al Tribunale Ordinario gli elementi che il giudice

nel giorno dell’udienza valuterà. Fondamentale importanza hanno i requisiti di

legge, l’entità della pena non concessa e il livello di pericolosità sociale.

Il giudice in seguito ad una richiesta di sospensione del procedimento con messa

alla prova trasmette gli atti al Pubblico Ministero che entro 5 giorni deve

esprimere il consenso,125

come descritto nell’art. 464-ter. Se la risposta del P.M è

positiva, secondo l’art.464-quater il giudice potrà proseguire con l’udienza

stabilendo se il programma di trattamento è idoneo valutando i seguenti elementi:

capo di imputazione;

idoneità della proposta del programma di trattamento concordato e

sottoscritto;

contratto di lavoro dell’imputato o certificazione attestante l’impegno di

studio;

accordo individuale sottoscritto con l’ente dove svolgerà il lavoro di

pubblica utilità;

l’indagine socio-familiare redatta dall’UEPE;

la circostanza che il domicilio indicato nel programma sia tale da

assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato;

inoltre, come sancito dall’art. 464-bis al comma 5, tramite la polizia

giudiziaria, i servizi sociali e gli enti pubblici, il giudice può acquisire

informazioni riguardo l’imputato.

Si sottolinea nell’art. 464-bis che le informazioni devono essere portate a

conoscenza del pubblico ministero e del difensore dell’imputato, a garanzia del

contradditorio126

.

La legge n. 67 affida al giudice l’autonomia di modificare o integrare la proposta

del programma di trattamento con il consenso dell’imputato.

125 A. Larussa, La messa alla prova, Altalex, 2017, alla pagina web www.altalex.com.

126 Sito Brocardi, codice di procedura penale, libro sesto, titolo V, art.464-bis, alla pagina web

www.brocardi.it.

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Riguardo il periodo di durata del lavoro di pubblica utilità e della sospensione

nella legge non vi sono termini specifici. Il giudice valuta la situazione attraverso

l’art. 133 del codice di procedura penale127

. In base a questo si terrà conto della

gravità del reato, delle condizioni di vita familiare e sociali del reo.

In attesa dell’udienza della concessione della messa alla prova, l’assistente

sociale, inviata la documentazione descritta sino ad ora, chiude il fascicolo di

indagine, o istruttoria.

2.4. La fase esecutiva.

L’ordinanza del tribunale, che stabilisce la sospensione del procedimento con la

messa alla prova, nonché la sua durata, approva il programma di trattamento ed è

immediatamente trasmessa all’ufficio di esecuzione penale esterna, che

convocherà l’imputato per la sottoscrizione della misura e quindi il suo avvio. La

fase esecutiva è descritta dall’art.464-quinquies128

.

La segreteria dell’UEPE riceve l’ordinanza dell’udienza, la sospensione del

procedimento è stata concessa. Il Direttore convocherà l’imputato che dovrà

127 Nell'esercizio del potere discrezionale indicato nell'articolo precedente [164, 169, 175, 203 2], il

giudice deve tener conto della gravità del reato (1), desunta: 1) dalla natura, dalla specie, dai

mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell'azione;

2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato ;

3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa . Il giudice deve tener conto, altresì,

della capacità a delinquere del colpevole [103, 105, 108; c.p.p. 220], desunta:

1)dai motivi a delinquere e dal carattere del reo ;

2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al

reato ;

3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato ;

4) dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo. 128

1. Nell'ordinanza che dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice

stabilisce il termine entro il quale le prescrizioni e gli obblighi relativi alle condotte riparatorie o

risarcitorie imposti devono essere adempiuti; tale termine può essere prorogato, su istanza

dell'imputato, non più di una volta e solo per gravi motivi. Il giudice può altresì, con il consenso

della persona offesa, autorizzare il pagamento rateale delle somme eventualmente dovute a titolo

di risarcimento del danno.

2. L’ordinanza è immediatamente trasmessa all'ufficio di esecuzione penale esterna che deve

prendere in carico l'imputato.

3. Durante la sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice, sentiti l'imputato e il

pubblico ministero, può modificare con ordinanza le prescrizioni originarie, ferma restando la

congruità delle nuove prescrizioni rispetto alle finalità della messa alla prova.

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firmare la sottoscrizione inderogabilmente entro i primi 10 giorni successivi

l’udienza. Probabilmente il Direttore dell’UEPE apre il fascicolo per la fase

esecutiva all’assistente sociale che ha seguito la fase di indagine per la continuità

del rapporto. La prima prescrizione del programma di trattamento consiste nella

sottoscrizione del verbale di udienza di messa alla prova dell’imputato presso gli

uffici UEPE. In seguito a questo momento si dichiara iniziata la fase esecutiva.

Di norma le sottoscrizioni sono svolte dal Direttore, o da chi ne fa le veci.

Durante la sottoscrizione, attenendosi alle regole di probation129

che sottolineano

l’importanza del consenso informato, il funzionario di servizio sociale spiega tutte

le prescrizioni, che generalmente sono:

mantenere contatti con l’UEPE nelle modalità scelte dai funzionari di

servizio sociale, rendendosi disponibile ad avviare una riflessione sulle

condotte antigiuridiche poste in essere e sulle conseguenze;

mantenere il domicilio all’indirizzo indicato dall’imputato e informare per

l’eventuale cambiamento di questo la propria assistente sociale130

;

contribuire al sostegno morale e materiale del proprio nucleo familiare,

mantenere un comportamento dignitoso rispetto al ruolo ricoperto nel

contesto familiare e sociale di appartenenza;

continuare la propria attività lavorativa o il proprio percorso formativo;

l’imputato dovrà svolgere lavori di pubblica utilità presso l’ente indicato

nell’accordo individuale;

svolgere un’attività di riparazione, quale la mediazione penale nei

confronti della vittima o, se questa non vi è, nei confronti della comunità.

Per quanto riguarda la mediazione, considerato che il territorio umbro non dispone

di risorse specifiche rivolte agli adulti, l’UEPE richiede una disponibilità

129 Probation: «La Probation, secondo la definizione del Comitato dei Ministri del Consiglio

d’Europa descrive l’esecuzione in area penale esterna di sanzioni e misure definite dalla legge ed

imposte ad un autore di reato» dal sito del Ministero della giustizia,

www.ministerodellagiustizia.it. 130

Per un approfondimento si veda la decisione quadro 2008/947 Gai del Consiglio relativa

all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di

sospensione condizionale in vista della sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e

delle sanzioni sostitutive.

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dell’imputato, nei casi in cui vi sia una vittima identificata, a strutture pubbliche

quali consultori familiari o centri di mediazione familiare131

.

Se vi sono problemi di dipendenza e l’imputato ha iniziato un percorso di

valutazione nella fase di indagine sarà presente la seguente prescrizione:

mantenere i contatti e eseguire il programma trattamentale scelto, quindi

approvato dal Giudice e dal servizio specialistico.

Il Direttore dopo aver spiegato tutte le prescrizioni e aver ribadito qual è il

funzionario di servizio sociale a lui affidato anche per questa fase, comunicherà

all’imputato il giorno della settimana nel quale dovrà avvenire il contatto

telefonico con l’assistente sociale, che dovrà essere avvertita dell’andamento della

misura e del lavoro di pubblica utilità. (Si rende necessario ripetere che tutto ciò è

la prassi che si sviluppa al UEPE di Spoleto, in altri uffici possono essere ravvisati

elementi differenti).

La sospensione inizia dal giorno in cui si firma. La data dell’udienza di verifica è

scritta nell’ordinanza ed è importante per organizzarsi al meglio anche con il

lavoro di pubblica utilità. (Si noterà il perché nel prossimo paragrafo.)

L’assistente sociale di riferimento può convocare per un ulteriore colloquio

l’imputato. Durante la misura quest’ultimo non può esimersi da ciò in quanto è

una prescrizione importante tenere contatti con i funzionari dell’UEPE.

L’assistente sociale ha bisogno di questi momenti, per tenere vivo il dialogo con

l’imputato, per notare se ci sono dei possibili momenti di “vuoto” e perché deve

trimestralmente inviare al Tribunale Ordinario una relazione concernete la

situazione. Se durante la misura vi sono dei cambiamenti, ad esempio l’imputato

per motivi lavorativi deve cambiare l’orario di accesso all’ente dove svolge il

lavoro di pubblica utilità, il funzionario di servizio sociale proporrà la modifica

delle prescrizioni al giudice. Per redigere questa relazione il funzionario di

servizio sociale deve servirsi anche di quella dell’ente dove l’imputato sta

svolgendo il lavoro di pubblica utilità e di una comunicazione formale del datore

di lavoro che attesta il cambiamento di orario. Il compito dell’assistente sociale è

131 Tribunale di Perugia, UEPE, Ordine avvocati,Vademecum operativo sulla procedura per la

sospensione del procedimento con messa alla prova.

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quello di promuovere il dialogo con i diversi attori che per un buon

funzionamento della misura deve essere alimentato e ogni novità, sia positiva che

negativa del soggetto deve circolare nell’ottica di un lavoro di rete tra i servizi. In

relazione al protocollo che nel 3 capitolo è il focus di una ricerca sviluppata

nell’UEPE di Spoleto, si noterà come l’integrazione e il dialogo tra i servizi è

fondamentale.

2.5 Il lavoro di pubblica utilità.

Prima di introdurre una delle parti fondamentali dell’istituto è d’obbligo aprire

una piccola parentesi. Il lavoro di pubblica utilità è la prima sanzione di comunità,

introdotta in Italia con l’art.54 del Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274 che

il giudice di pace applica su richiesta dell’imputato. Con il decreto ministeriale del

2001 si indica che per lo svolgimento vi devono essere convenzioni tra gli enti e i

tribunali. Con la modifica nel 2010 del codice della strada del 1992, gli articoli

186132

comma 9 bis e 187133

comma 8 bis consentono al Giudice di sostituire la

132 9-bis. Al di fuori dei casi previsti dal comma 2-bis del presente articolo, la pena detentiva e

pecuniaria può essere sostituita, anche con il decreto penale di condanna, se non vi è opposizione

da parte dell'imputato, con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all'articolo 54 del decreto

legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste e consistente nella prestazione

di un'attività non retribuita a favore della collettività da svolgere, in via prioritaria, nel campo della

sicurezza e dell'educazione stradale presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti

o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, o presso i centri specializzati di lotta alle

dipendenze. Con il decreto penale o con la sentenza il giudice incarica l'ufficio locale di

esecuzione penale ovvero gli organi di cui all'articolo 59 del decreto legislativo n. 274 del 2000 di

verificare l'effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. In deroga a quanto previsto

dall'articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata

corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria

ragguagliando 250 euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilità. In caso di svolgimento positivo

del lavoro di pubblica utilità, il giudice fissa una nuova udienza e dichiara estinto il reato, dispone

la riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente e revoca la confisca del

veicolo sequestrato. La decisione è ricorribile in cassazione. Il ricorso non sospende l'esecuzione a

meno che il giudice che ha emesso la decisione disponga diversamente. In caso di violazione degli

obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, il giudice che procede o il giudice

dell'esecuzione, a richiesta del pubblico ministero o di ufficio, con le formalità di cui all'articolo

666 del codice di procedura penale, tenuto conto dei motivi, della entità e delle circostanze della

violazione, dispone la revoca della pena sostitutiva con ripristino di quella sostituita e della

sanzione amministrativa della sospensione della patente e della misura di sicurezza della confisca.

Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di una volta. 133

8-bis. Al di fuori dei casi previsti dal comma 1-bis del presente articolo, la pena detentiva e

pecuniaria può essere sostituita, anche con il decreto penale di condanna, se non vi è opposizione

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pena con la sanzione di lavoro di pubblica utilità. La sanzione non è ancora

disciplinata nei caratteri riparativi, cosa che invece avviene nell’istituto della

messa alla prova134

. Nel regolamento del Ministero della Giustizia di giugno

2015, D.M. n. 88 si designa che per la messa alla prova valgono anche le

convenzioni stipulate per la legge dei lavori di pubblica utilità, appena citata,

D.lgs 28/08/2000 n.274. L’UEPE ha il compito di favorire i contatti tra gli enti e i

tribunali, per contribuire alla stipula delle nuove convenzioni per i lavori di

pubblica utilità delle messe alla prova. Gli enti devono farsi carico della copertura

assicurativa contro gli infortuni e per le malattie professionali, mentre non vi è

nessun onere a carico degli organi del Ministero della Giustizia.

Il Direttore o chi ne fa le veci durante la sottoscrizione del verbale di messa alla

prova, spiega all’imputato che a seguito dell’ incontro dovrà essere lui stesso, con

il verbale firmato, a recarsi nell’ente per poter iniziare il lavoro di pubblica utilità,

secondo le modalità presenti nel programma di trattamento. È da specificare che

per prevenire la revoca della sospensione il conteggio delle ore va fatto con

estrema precisione. Un imputato che ha una sospensione del processo per 7 mesi e

nel programma di trattamento, quindi nell’accordo individuale, ha i seguenti orari

da parte dell'imputato, con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all'articolo 54 del decreto

legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste e consistente nella prestazione

di un'attività non retribuita a favore della collettività da svolgere, in via prioritaria, nel campo della

sicurezza e dell'educazione stradale presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti

o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, nonché nella partecipazione ad un

programma terapeutico e socio-riabilitativo del soggetto tossicodipendente come definito ai sensi

degli articoli 121 e 122 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre

1990, n. 309. Con il decreto penale o con la sentenza il giudice incarica l'ufficio locale di

esecuzione penale ovvero gli organi di cui all'articolo 59 del decreto legislativo n. 274 del 2000 di

verificare l'effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. In deroga a quanto previsto

dall'articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata

corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria

ragguagliando 250 euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilità. In caso di svolgimento positivo

del lavoro di pubblica utilità, il giudice fissa una nuova udienza e dichiara estinto il reato, dispone

la riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente e revoca la confisca del

veicolo sequestrato. La decisione è ricorribile in cassazione. Il ricorso non sospende l'esecuzione a

meno che il giudice che ha emesso la decisione disponga diversamente. In caso di violazione degli

obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, il giudice che procede o il giudice

dell'esecuzione, a richiesta del pubblico ministero o di ufficio, con le formalità di cui all'articolo

666 del codice di procedura penale, tenuto conto dei motivi, della entità e delle circostanze della

violazione, dispone la revoca della pena sostitutiva con ripristino di quella sostituita e della

sanzione amministrativa della sospensione della patente e della misura di sicurezza della confisca.

Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di una volta. 134

A.Deriu, Il lavoro di pubblica utilità, in Ministero della Giustizia, Nuove esperienze di Giustizia

Minorile e di Comunità, Roma, 2015.

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del L.P.U. da seguire, il lunedì e il mercoledì dalle 9.00 alle 13.00, per un totale di

8 ore settimanali, deve effettuare il conteggio sottostante:

7 mesi sono formati da 28 settimane, che moltiplicate per 8 ore settimanali danno

un totale di 224 ore. Il risultato dovrà comparire nel registro presenze che l’ente

consegnerà all’imputato per segnare l’ora di entrata e l’ora di uscita, ad ogni

accesso effettuato nella struttura ospitante. In questo modo il Giudice potrà

verificare se il programma di trattamento è stato rispettato. Nel paragrafo

precedente si è anticipato dell’importanza di sapere sin dall’inizio la data

dell’udienza di verifica per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. La

maggiore preoccupazione degli imputati è di non riuscire a rispettare l’orario che

è stato scelto. Cosa avviene se non si completa il monte ore di lavoro nel periodo

di sospensione stabilito? La sospensione del procedimento con messa alla prova

inizia il 2.01.2017, ha una durata di 7 mesi, si conclude il 1.08.2017 e l’udienza di

verifica è programmata per il 1.09.2017. E’ presente una “finestra” di un mese nel

quale, a seguito di problemi seri, quali lavoro o la salute, se l’imputato non ha

raggiunto il monte ore di 224 ore può prendersi come spazio una o due settimane,

sempre tendo conto che 10 giorni prima dell’udienza l’assistente sociale dovrà

inviare la relazione finale al Giudice. Può succedere che non vi è presente uno

spazio di 1 mese tra la fine della misura e la data dell’udienza, ma comunque

l’imputato non riesce a finire le ore per motivi gravi appurati. In questo caso si

rimanderà l’udienza di verifica a quando tutti i presupposti sono esistenti.

L’assistente sociale lavora con la persona per far si che questo non accada.

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63

2.6 Conclusione e udienza di verifica.

L’assistente sociale invia la relazione finale al Tribunale almeno 10 giorni prima

dalla data dell’udienza. Il documento è un resoconto che l’assistente sociale scrive

per comunicare al Giudice l’andamento complessivo di tutta la misura. Si include

la relazione del servizio specialistico, dell’ente dove è stato svolto il lavoro di

pubblica utilità e il registro presenze. Con quest’ultimo elemento il Giudice

procede al conteggio delle ore svolte. Se egli valuta positivamente l’intero

andamento della misura, dichiara l’estinzione del reato135

.

Non è possibile prorogare il termine fissato della sospensione, anche se questo

potrebbe essere ideale se non si è sicuri dell’andamento della misura136

.

È possibile invece revocare la sospensione per tre motivi, secondo l’art.168-quater

che è stato introdotto a seguito della legge n. 67 del 2014:

1. caso di grave trasgressioni alle prescrizioni del programma di trattamento;

2. rifiuto alla prestazione di lavoro pubblico utilità;

3. commissione di un nuovo reato durante la sospensione del programma di

trattamento.

L’ordinanza di revoca deve essere pronunziata almeno dieci giorni prima della

data dell’udienza alle parti e all’imputato137

.

Il pubblico ministero determina la pena che si deve eseguire tenendo conto dei

giorni di messa alla prova già eseguiti; tre giorni equivalgono a uno di arresto o

250 euro di multa, secondo l’art. 657 bis c.p.p. Si differenzia dalla messa alla

prova minorile perché il Giudice minorile procede alla determinazione della pena

senza detrazioni138

.

135 Art 168ter comma 2 c.p. «L'esito positivo della prova estingue il reato per cui si procede.

L'estinzione del reato non pregiudica l'applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, ove

previste dalla legge», alla pagina web www.ministerodellagiustizia.it. 136

N. Treggiani, sospensione del processo e messa alla prova, dinamiche processuali, alla pagina

web https://www.youtube.com/watch?v=kjhE9A_wFnc. 137

V. Bove, Messa alla prova per gli adulti, incontro di studio 28novembre 2014. 138

R. Maestri, L’istituto della messa alla prova in Ministero della Giustizia, Nuove esperienze di

giustizia minorile e di comunità, Roma, 2015, p. 144.

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La messa alla prova rappresenta un punto cardine nel nuovo riassetto

dell’esecuzione penale esterna, in cui è ancora più visibile la prospettiva di

interventi che vedono la centralità della persona, la territorialità dei progetti e

misure limitative ma non privative. I caratteri di deistituzionalizzazione e

territorialità sono propri dell’esecuzione esterna che comunque è un effettivo

strumento di controllo sociale. I principi fanno intendere al meglio il motivo della

nascita del nuovo Dipartimento di Giustizia Minorile e di Comunità che agisce

nell’ottica del lavoro di rete e di comunità139

. Sono progetti che prevedono un

impegno costante e serio del soggetto, un’accurata indagine sulla sua situazione

socio-familiare, della struttura dove lavora e di tutte le istituzioni specialistiche

che possono contribuire al progetto di reinserimento e di riparazione che

l’individuo deve rispettare. Per quanto riguarda l’integrazione e la collaborazione

con gli enti presenti sul territorio, sono stati istituiti diversi protocolli di intesa tra

servizi e UEPE.

Con questo piccolo contributo sulla messa alla prova per adulti si è cercato di far

intendere quanto è importante, per un’effettiva applicazione, l’efficienza degli

uffici di esecuzione penale esterna. Gli è stato affidato un compito di organo

tecnico-amministrativo è un ufficio essenziale per la valutazione che sarà

effettuata dal giudice.

Molte parole sono state spese per ribadire tra i fini ultimi quello del contenimento

della recidiva, che può essere rispettato grazie al contributo dei funzionari

dell’ufficio Di Esecuzione Penale Esterna che deve essere sostenuto di più dal

nostro sistema. Per una più completa valutazione sia del bisogno che del rischio di

recidiva il lavoro dell’assistente sociale deve integrarsi con quello dello psicologo

cui è possibile si richieda un’indagine della persona, elemento che apporta valore

per la stesura del trattamento individualizzato e per la valutazione del giudice140

.

139 Si fa riferimento alla riforma del 2015, “Regolamento di organizzazione del Ministero della

giustizia e riduzione degli Uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche”. 140

R. Maestri, L’istituto della messa alla prova in Ministero della Giustizia, Nuove esperienze di

giustizia minorile e di comunità, Roma, 2015, p.147.

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2.7 Alcune considerazioni riguardo la “prova” dell’istituto della

messa alla prova.

Nel libro pubblicato dal Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità,

Studi e ricerche e attività internazionale, Nuove esperienze di giustizia minorile e

di comunità, nella seconda parte è presente un dossier sulla messa alla prova141

. In

questa parte Eustachio Vincenzo Petralla e Roberta Maestri142

pongono in rilievo

l’andamento della nuova misura da settembre 2014, quando inizia ad avere numeri

rilevanti, sino al mese di settembre 2015. I funzionari dell’ufficio di esecuzione

penale esterna in questo primo anno hanno agito con i seguenti tempi: il 6% delle

indagini per la stesura della proposta del programma di trattamento si sono

concluse entro un mese, il 22% entro 3 mesi, il 45% entro 6 mesi il17% e il 10%

rispettivamente in 8 e 10 mesi. La specificità della messa alla prova è che agisce

nell’immediatezza del fatto-reato, ma con questi tempi come può verificarsi? Il

Giudice senza l’indagine dell’UEPE non può intervenire143

. Senza la giusta

quantità di personale e l’aumento di lavoro apportato anche dalla nuova misura di

comunità rispettare i principi di questa non è senz’altro facile.

La tesi è confermata da grafici più recenti del Ministero della Giustizia che

mostrano l’aumento negli ultimi tempi della richiesta di sospensione: ad agosto

2017 si riscontrano 10.111 misure in corso.

141 Il dossier contiene anche analisi dei dati e riflessioni sia della messa alla prova per adulti che

per minori, pp. 81-179. 142

Roberta Maestri, Funzionario della professionalità di servizio sociale, Ufficio I Direzione

Generale esecuzione penale esterna e di messa alla prova; Vincenzo Petralla, Dirigente presso il

Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria 143

E. V. Petralla, R. Maetri, Analisi dell’andamento della messa alla prova, in Ministero della

Giustizia, Nuove esperienze di Giustizia Minorile e di Comunità, Roma, 2015, p. 150.

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Immagine 1: Grafico concernete l’andamento della messa alla prova dalla nascita fino ad

agosto 2017144.

Solo nel mese di luglio sono pervenute agli uffici UEPE 1486 richieste di

sospensione del procedimento con messa alla prova.

Rispettare i tempi brevi richiesti però non è possibile, con le risorse di cui si

dispone, se si vuole costruire un programma di trattamento dignitoso.

Si ricorda che l’assistente sociale deve avviare la fase di indagine concernente la

situazione personale e sociale dell’imputato attraverso visite domiciliari e colloqui

professionali. L’operatore deve lavorare affinché l’individuazione dell’ente per lo

svolgimento dei lavori di pubblica utilità risulti una scelta ottimale per il fine

ultimo della misura. Le altre sue mansioni sono relative alla materia sono di

individuare un volontariato opportuno e di concordare con l’imputato, se vi è la

disponibilità, un’attività di mediazione penale. Oltre a ciò dovrà definire con

l’imputato il programma di trattamento e definire una prassi operativa e delle linee

guida con i servizi terzi che costituiscono il funzionamento del programma di

trattamento.

Codeste attività sono poi da sommare agli altri compiti relativi gli uffici di

esecuzione penale esterna.

144 Statistiche del Ministero della Giustizia di M.Ciarpi.

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Ciò rende facile capire il motivo per cui secondo i dati del Ministero della

Giustizia su 21.050 istanze pervenute agli UEPE, nel periodo che va da gennaio

2016 ad agosto 2017, più della metà, nonché 13.316 sono ancora pendenti al

servizio145

.

145 M. Ciarpi Ministero della Giustizia.

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68

Capitolo 3

Itinerario metodologico della ricerca.

3.1 Descrizione del contesto dove si è svolta la ricerca: UEPE di

Spoleto.

Art.27 Costituzione:

«La responsabilità penale è personale.

L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e

devono tendere alla rieducazione del condannato [cfr. art. 13 c. 4].

Non è ammessa la pena di morte»146

.

Con questo articolo si nota come nel 1948 l’Assemblea Costituente introduce il

fine rieducativo della pena. Il nuovo approccio fa sì che la giustizia riparativa

riparativa sia presente sia all’interno della casa di reclusione che con misure

alternative a questa, introdotte con la legge del 26 luglio 1975, n. 354 “Norme

sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e

limitative della libertà”, legge che istituii i Centri di Servizio Sociale nelle sedi

degli Uffici di Sorveglianza. Per quello che riguarda l’esecuzione penale esterna i

146 La Costituzione, Parte I Titolo I, alla pagina web www.senato.it.

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Centri di Servizio Sociale (C.S.S.A.) erano gli uffici deputati all’espletamento

delle misure alternative alla detenzione descritti all’art.72 della citata legge.

«I centri, a mezzo del personale di servizio sociale, provvedono ad eseguire, su

richiesta del magistrato di sorveglianza o della sezione di sorveglianza, le

inchieste sociali utili a fornire i dati occorrenti per l’applicazione, la

modificazione, la proroga e la revoca delle misure di sicurezza e per il

trattamento dei condannati e degli internati, nonché a prestare la loro opera per

assicurare il reinserimento nella vita libera dei sottoposti a misure di sicurezza

non detentive.

I centri prestano inoltre, su richiesta delle direzioni degli istituti, opera di

consulenza per favorire il buon esito del trattamento penitenziario. Svolgono,

infine, ogni altra attività prevista dalla presente legge che comporti interventi di

servizio sociale»147

.

I C.S.S.A sono stati sostituiti dagli Uffici Locali Di Esecuzione Penale Esterna, gli

UEPE, istituiti con la Legge 27 luglio 2005, n.154 “Delega al Governo per la

disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria” all’art.3

(Esecuzione penale esterna) si apportano modifiche all’art.72 della legge del 26

luglio 1975, n.354 che viene sostituito dal seguente art.72:

«Gli uffici

a)svolgono, su richiesta dell’autorità giudiziaria, le inchieste utili a fornire i dati

occorrenti per l’applicazione, la modificazione, la proroga e la revoca delle

misure di sicurezza;

b)svolgono le indagini socio-familiari per l’applicazione delle misure alternative

alla detenzione ai condannati

c)propongono all’autorità giudiziaria il programma di trattamento da applicare

ai condannati che chiedono di essere ammessi all’affidamento in prova e alla

detenzione domiciliare;

d) controllano l’esecuzione dei programmai da parte degli ammessi alle misure

alternative, ne riferiscono all’autorità giudiziaria, proponendo eventuali

interventi di modificazioni o di revoca:

147 L’ordinamento penitenziario, legge 26 luglio 1975 n.354, alla pagina web www.ristretti.it.

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e)su richiesta delle direzioni degli istituti penitenziari, prestano consulenza per

favorire il buon esito del trattamento penitenziario;

f)svolgono ogni altra attività prescritta dalla legge e dal regolamento».

In data 20.03.2017 si intraprende il percorso di stage presso l’Ufficio di

Esecuzione Penale Esterna di Spoleto (a seguito del decreto ministeriale 23

febbraio 2017 “Individuazione degli Uffici locali di esecuzione penale esterna

quali articolazioni territoriali del Dipartimento della giustizia minorile e di

comunità, nonché individuazione delle articolazioni interne dei medesimi Uffici

locali e misure di coordinamento con gli Uffici interdistrettuali e distrettuali di

esecuzione penale esterna”, UEPE di Terni148

). Trattasi di un ufficio di servizio

sociale del Ministero della Giustizia che, a seguito del processo di

riorganizzazione, di cui al D.P.C.M. n. 84/15, appartiene al nuovo Dipartimento

per la Giustizia Minorile e di Comunità; precedentemente apparteneva al

Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia.

Questa riforma è un’innovazione che ha cambiato profondamente il contesto dove

si è svolto lo stage: c’era urgente bisogno del decreto per la riorganizzazione degli

uffici di amministrazione. I cambiamenti apportati dal decreto del Presidente del

Consiglio dei Ministri sono relativi alla gestione amministrativa e all’assetto

organizzativo, quindi alle logiche di azione che devono mirare ad un innalzamento

di efficienza ed economicità. Si deve affermare così quello che è il principio della

buona amministrazione sia a livello periferico che a livello centrale. Questo ha

consentito di ottimizzare le risorse potendo attivare servizi migliori con meno

possibilità economiche attraverso un processo di unificazione delle strutture

amministrative, riducendo gli uffici dirigenziali per un maggiore risparmio

economico e una maggiore efficienza.

La grande novità che conferma ciò, è che l’ufficio Di Esecuzione Penale Esterna

diventa parte del nuovo Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, che

148 Bollettino Ufficiale Del Ministero della Giustizia N.8 del 30-04-2017.

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ingloba, oltre alle competenze in materia di esecuzione penale esterna relativa ai

minori, anche quelle relative agli adulti149

.

Tabella 1 - L’organizzazione del nuovo Dipartimento per la Giustizia Minorile e di

Comunità.

3.2 Territorio di riferimento.

Come è stato disciplinato con il decreto ministeriale del 23 febbraio 2017, decreto

attuativo previsto dal D.P.C.M. 84/15 per contribuire al nuovo riassetto

organizzativo, il territorio di riferimento dell’UEPE, dove si è strutturata l’attività

149 S. Rossi, Piano della performance 2017-2019, testo approvato con d.m. 24 giugno 2016, alla

pagina web www.ministerodellagiustizia.it.

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di ricerca, sarà quello di Terni e tutta la provincia, inoltre la denominazione

cambia da UEPE di Spoleto, che non è più esistente, a UEPE di Terni (Spoleto è

oggi territorio dell’UEPE di Perugia). Il territorio di riferimento del progetto di

ricerca è stato quello antecedente alla riforma, che comprendeva anche la

provincia di Perugia, essendo ancora ad oggi in fase transitoria il passaggio delle

competenze territoriali.

3.3 Organizzazione del servizio.

L’ufficio è composto da:

sei assistenti sociali, di cui una svolge l’incarico di Direttore reggente;

un’unità di esperto di servizio sociale a convenzione;

due unità di esperto in psicologia a convenzione;

quattro unità con funzione di segreteria e amministrazione;

un’unità di polizia penitenziaria in distacco dalla Casa di Reclusione di

Spoleto, per l’accompagnamento nel servizio esterno delle assistenti sociali.

L’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna dipende gerarchicamente dall’Ufficio

Interdistrettuale di Esecuzione Penale Esterna, che nel caso dell’UEPE di Spoleto

è l’U.I.E.P.E. di Firenze, esiste poi un ufficio intermedio, ossia l’Ufficio

Distrettuale di Esecuzione Penale Esterna, che nella fattispecie ha sede a Perugia.

Gli uffici svolgono le funzioni sancite nel decreto del 17 novembre 2015 che

viene inglobata dal D.P.C.M. 84/15.

L’ufficio Interdistrettuale ha funzione di indirizzo, di coordinamento e di verifica

degli Uffici distrettuali e locali e promozione di iniziative progettuali150

.

L’Ufficio distrettuale provvede all’attuazione, anche negli Uffici locali, delle

direttive e degli indirizzi operativi generali. Inoltre propongono

150 Dipartimento per la Giustizia minorile e di Comunità, piano della performance 2017, alla

pagina web www.ministerodellagiustizia.it.

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all’amministrazione i documenti programmatici per le politiche di esecuzione

penale esterna151

.

3.4 Funzioni e compiti dell’UEPE.

La prima legge che sancisce i compiti dei “Centri Di Servizio Sociale per Adulti”

è del 26 luglio 1975, n. 354 che all’art. 72 prevede l’espletazione delle inchieste

sociali richieste dalla magistratura di sorveglianza ai fini della concessione delle

misure di sicurezza e delle misure non detentive.

Gli Uffici di Esecuzione Penale Esterna intervengono nell’esecuzione delle

sanzioni penali non detentive e nelle misure alternative alla detenzione (messe alla

prova, affidamento in prova al servizio sociale, esecuzione del lavoro di pubblica

utilità, sanzioni sostitutive alla detenzione, misure di sicurezza); elaborano e

propongono alla Magistratura i programmi di trattamento da applicare e ne

verificano la corretta esecuzione da parte degli ammessi a tali sanzioni e misure.

Altre attività sono quelle di sostegno ai detenuti domiciliari e attività di

consulenza agli istituti penitenziari per favorire il buon esito del trattamento

penitenziario. All’ordine del giorno vi sono attività sinergiche con gli enti locali,

le associazioni di volontariato e le cooperative sociali per le attività di

reinserimento ed inclusione sociale (Documento di Programmazione Generale

2017). L’UEPE è pertanto, un ufficio a carattere operativo che ha in carico

soggetti condannati o imputati, che lavora in stretta collaborazione con i Servizi

Territoriali e con il privato sociale, nei confronti dei quali ha anche una funzione

di sensibilizzazione e di promozione. L’UEPE ha tre principali interlocutori: la

Magistratura di sorveglianza, la Magistratura ordinaria e l’Istituto penitenziario.

Nei confronti dell’istituto penitenziario l’UEPE ha una funzione di consulenza, i

profili di competenza sono relativi alle verifiche sull’esterno, ossia concernenti la

rete familiare e la sede lavorativa, questo si svolge in stretta collaborazione con i

Servizi Territoriali. Le informazioni fornite dall’UEPE e portate in equipe di

151 Ibidem.

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trattamento, sono parte integrante della conoscenza del soggetto detenuto, quindi

della sua “osservazione” e del suo percorso trattamentale, anche in relazione alle

richieste di misure alternative.

Nei confronti della Magistratura di Sorveglianza, l’UEPE partecipa con l’indagine

sociale nella parte istruttoria per la concessione delle misure alternative dalla

libertà; l’UEPE elabora una relazione sociale in cui viene riportata la storia del

soggetto e contestualizzato il fatto reato, viene esaminata la situazione attuale

dello stesso dal punto di vista personale, familiare e lavorativo, viene riportato il

profilo di personalità a cura dell’esperto psicologo e viene stilato un progetto

trattamentale per la possibile esecuzione della misura alternativa alla detenzione.

L’indagine sociale viene svolta attraverso gli strumenti specifici della professione,

ossia mediante colloqui, visite domiciliari, verifiche con i servizi territoriali, con

le forze dell’ordine e con la consultazione di documentazione giuridica.

3.5 La strutturazione dell’itinerario metodologico.

L’organizzazione del percorso dello stage di ricerca svolto all’UEPE di Spoleto è

stata programmata sulla base di 250 ore, previste dall’ordinamento del Cdl.

È stata divisa in varie fasi, ognuna delle quali ha seguito un programma ben

stabilito ed ha portato allo svolgimento della ricerca presentata.

I momenti da osservare nella ricerca sociale qualitativa sono cinque: la teoria, la

fase dell’ipotesi, la raccolta dati, l’analisi dati e la fase relativa ai risultati152

.

La prima fase è stata essenzialmente conoscitiva e osservativa. In questa fase si è

svolto un opportuno studio della normativa, come il codice penale; questa attività

è stata supportata dalla conoscenza e dall’orientamento della tutor aziendale,

nonché Direttore dell’UEPE di Spoleto. La modalità di apprendimento è stata

essenziale per offrire il giusto quadro di riferimento con cui consultare e studiare

il codice penale, l’ordinamento penitenziario e le procedure amministrative svolte

152 P. Corbetta, Metodologia e tecniche della ricerca sociale, Bologna, 1999.

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nell’ufficio. Inoltre è stato fondamentale per poter assistere ai colloqui, alle

sottoscrizioni di messa alla prova e di affidamento in prova ai servizi sociali.

La prima fase si sottolinea essere una fase dinamica e che si è protratta per tutto il

percorso dello stage di ricerca, è difficile dichiarare conclusa la fase conoscitiva,

soprattutto riguardo l’area della giustizia dove le leggi e gli atti amministrativi

vengono spesso aggiornati, (infatti questa fase era molto esercitata anche dalla

tutor, dalle altre assistenti sociali e dagli amministrativi).

Nel secondo momento della prima fase si pone l’attenzione ai fascicoli, quindi

all’utenza di riferimento del servizio e alla documentazione presente per ogni caso

differente. Si analizzano le relazioni inviate ai Tribunali e si nota la modalità di

scrittura diversa dalle relazioni che si redigono negli altri servizi dove si è svolto il

tirocinio in passato(SER.T, Comune); inoltre la tutor ha presentato tutti i progetti

e i protocolli attivati dal loro ufficio.

La fase conoscitiva ha permesso di inquadrare il focus della ricerca. Per ogni

progetto attivato o protocollo, la Direttrice reggente dell’UEPE ha spiegato qual è

stata la causa, che come servizio, li ha spinti a pensare un determinato progetto o

protocollo. Per ultimo ha spiegato, che dall’entrata in vigore della legge del 28

aprile 2014, n. 67, si è notata un’alta percentuale di richiesta di sospensione del

procedimento con messa alla prova da parte di imputati per reati art. 186153

e art.

187154

del codice della strada, che si può notare nel grafico 1. Gli imputati che dal

28.04.2015 al 31.12.2015 hanno richiesto la sospensione del procedimento con

messa alla prova sono 47, ora si pone attenzione a quelli che sono i capi di

imputazione, per un’analisi attenta.

153 Guida sotto l’influenza dell’alcool.

154 Guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti.

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Grafico 1- Reati per cui è stata richiesta la sospensione del procedimento per messa alla

prova. Questo andamento ha portato a sottoscrivere il protocollo oggetto della ricerca qui

presente.

A differenza dei lavori di pubblica utilità, quale pena sostitutiva, con la

sospensione del procedimento con la messa alla prova, dopo l’esito positivo

dell’udienza di verifica, vi è l’estinzione del reato e risulta solo una minima

traccia nel casellario. Visto l’alto numero di imputati per questi reati che

richiedevano la sospensione del procedimento con messa alla prova si è notata la

necessità di attivare un protocollo d’intesa con il Dipartimento per le Dipendenze

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Reati

TIPOLOGIA DEI REATI RICHIESTA M.A.P. ANNI 2014-

2015

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per confrontarsi riguardo le prassi e le procedure per il contenimento di una futura

recidiva e del fenomeno in sé. Si decide di concentrare la ricerca sul protocollo

d’intesa tra “l’UEPE di Spoleto e il Dipartimento delle Dipendenze della USL

UMBRIA n.2 relativo alla gestione integrata delle sospensioni del procedimento

per messa alla prova” per analizzare l’andamento in attuale crescita e come

questo ha operato per i destinatari. Il lavoro è attuato per dare voce a quelli che

sono i punti di forza e i nodi critici del protocollo. Si inizia il lavoro di ricerca con

un accurato studio di questo e una lettura attenta supportata dalla tutor sia del

protocollo che della legge del 28 aprile 2014, n.67, che istituisce l’istituto della

messa alla prova per adulti. In questo momento si ha con sé il materiale necessario

per poter attraverso un processo di deduzione si può passare alla seconda fase:

l’articolazione delle ipotesi, cioè i concetti vengono concretizzati. Le ipotesi sono

fondate sull’affermazione dell’utilità del protocollo. Si mettono a punto degli

obiettivi quali, valutare la validità del protocollo in relazione alla messa alla prova

e come l’imputato vive in modo consapevole la misura.

Con la presenza delle ipotesi, che saranno ampliamente spiegate, si passa alla

terza fase: la raccolta dati. Il momento è possibile grazie all’operativizzazione dei

concetti, ad esempio rilevare l’utilità del lavoro di pubblica utilità attraverso le

opinioni degli imputati. Qui il ricercatore sceglie la metodologia che legittimerà il

metodo che userà, le tecniche e gli strumenti di rilevazione e per questa ricerca lo

strumento usato è quello dell’intervista semi-strutturata.

Nella terza fase, il momento primario, per la stesura delle interviste, è stata la

preparazione delle domande, costruite sulla base delle ipotesi elaborate nella fase

antecedente. Somministrate le interviste semi-strutturate, al campione scelto, si ha

tutto il materiale per poter analizzare i dati, cioè lavorare nella quarta fase della

ricerca quantitativa. La fase consiste nella rappresentazione delle risposte ottenute

dalle interviste in istogrammi.

La domanda di ricerca è valutativa in quanto punta a valutare il protocollo,

“PROTOCOLLO D’INTESA TRA L’UEPE DI SPOLETO ED IL

DIPARTIMENTO DELLE DIPENDENZE DELLA USL N.2 RELATIVO

ALLA GESTIONE INTEGRATA DELLE SOSPENSIONI DEL

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PROCEDIMENTO PER MESSA ALLA PROVA” quindi la modalità

operativa che si è formalizzata in seguito alla sottoscrizione di questo.

L’ufficio è stato promotore per l’avvio del protocollo d’intesa con il Dipartimento

delle Dipendenze della USL n.2 (che si allega). Si crede nella necessità di

formalizzare i rapporti già consolidati con i servizi specifici sul territorio per

creare una rete sinergica sempre più forte, attraverso una valutazione che deve

concorrere ad essere multidisciplinare. I principi fondanti sono la persona e la

territorialità del servizio.

3.6 Protocollo d’intesa tra l’UEPE di Spoleto e il Dipartimento per

le Dipendenze.

Il tema che si analizza approfonditamente per la ricerca presente, è il

PROTOCOLLO D’INTESA TRA L’UEPE DI SPOLETO ED IL

DIPARTIMENTO DELLE DIPENDENZE DELLA USL N. 2 RELATIVO

ALLA GESTIONE INTEGRATA DELLE SOSPENSIONI DEL

PROCEDIMENTO PER MESSA ALLA PROVA.

Il protocollo ha come base il lavoro che la regione Umbria ha svolto con il DGR

1548/14 “Linee guida regionali interistituzionali per la gestione integrata dei

programmi alternativi alla pena detentiva in persone alcool e tossicodipendenti”.

Siamo di fronte a situazioni dove le dipendenze possono creare momenti di causa

effetto e far scivolare la persona in situazioni di illegalità. Le situazioni riguardano

casi che rientrano nell’area sanitaria e molte volte socio – psicologiche che

difficilmente si possono risolvere nelle mura carcerarie: « non costituisce un

contesto idoneo ad affrontare i problemi sanitari e sociali»155

.

Il collegamento con il problema della situazione di sovraffollamento in carcere è

naturale:

155 Deliberazione della giunta regionale n.1548 del 01/12/2014.

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in Umbria sono 100 le unità che superano il numero tollerabile nelle

carceri;

un tasso di 185 detenuti su 100.000 abitanti contro il dato nazionale di

110 per 100.000 ab.;

vi è una percentuale regionale del 24% di detenuti che dichiarano di avere

problemi di dipendenza156

.

Tutto ha gravi ricadute economiche sui servizi sanitari, sociali e non solo.

Ed è proprio per tali motivi che la Regione ha scelto di mettere tra le priorità della

programmazione la situazione carceraria, sottoscrivendo un Protocollo d’intesa

con il Ministero della Giustizia, l’ANCI Umbria e il Tribunale di Sorveglianza di

Perugia, per la programmazione di situazioni di reinserimento riguardo soggetti

condannati alla reclusione. Si punta ad attivare programmi di misure di comunità

e misure alternative alla detenzione in un approccio integrato e di comunità.

Per i principi fin ora sottolineati è stato preso in esame il lavoro della Regione, ma

si sottolinea che il protocollo non lavora per diminuire la situazione di

sovraffollamento appena delineata, perché la titolarità del reato dei destinatari del

focus del progetto è tale da non giungere probabilmente ad una espiazione

detentiva. Si lavora in un’ottica di gestione sinergica e di efficacia integrata e

multidisciplinare.

Tra gli obiettivi principali, del protocollo d’intesa tra l’UEPE di Spoleto e il

Dipartimento delle Dipendenze USL N.2, si nota il potenziamento dei rapporti di

collaborazione con il Dipartimento delle Dipendenze, per raggiungere la

promozione di un approccio di sistema, che si basa su un lavoro integrato tra i

servizi e una prassi operativa condivisa includendo una valutazione

multidisciplinare del caso e una buona comunicazione. Al centro del protocollo vi

è la persona, la sua dimensione, nuove opportunità per un’autodeterminazione e

per il superamento degli ostacoli che non permettono il benessere della persona

stessa.

156 Direzione regionale salute e coesione sociale, “Carcere e salute in Umbria rapporto 2012”.

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Come si è già sottolineato, questo protocollo è il frutto dell’analisi della

particolare incidenza di richiesta di sospensione del procedimento con messa alla

prova per reati di cui all’art. 186 comma 2 e 187 comma 1 del D.lgs n. 285/92

dall’entrata in vigore della legge fino al periodo della sottoscrizione del

protocollo, 17 maggio 2016.

La misura di comunità, già analizzata nel dettaglio, una volta conclusa, permette

all’imputato di essere incensurato e di lasciare solo una minima traccia nel

casellario, elemento essenziale in quanto questa misura può essere richiesta solo

una volta.

I destinatari del protocollo sono coloro che risiedono nel territorio della USL N.2

e che presentano richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova

per i reati sopra citati; inoltre è destinatario del protocollo chi ha un diverso capo

di imputazione, ma nel corso del primo colloquio con l’assistente sociale si

riscontrano problemi di dipendenza, compresa la ludopatia.

La procedura operativa del protocollo è definita in fasi, nel seguente modo:

I. PROCEDURA OPERATIVA - FASE DI INDAGINE

L’assistente sociale elabora un programma di trattamento ed inoltra al servizio per

le dipendenze un e-mail per indagare se la persona è già conosciuta al servizio e se

è in carico. Se è conosciuto e in carico si dovrà riferire al UEPE il programma che

sta seguendo per poter integrare l’indagine sociale riguardo il soggetto. Tra le

prescrizioni del programma di trattamento vi sarà quello del percorso terapeutico.

Se non vi è conoscenza si richiede una valutazione specifica. Se dalla valutazione

si evince che la persona non ha problemi relativi alla dipendenza, viene dimessa

dal servizio specialistico e l’UEPE lo riferirà nell’indagine sociale e non vi sarà

alcuna prescrizione nella proposta del programma di trattamento. Se dalla

valutazione si evince che ci sono dei problemi relativi alla dipendenza, si

concorda un percorso di trattamento terapeutico che sarà riferito al UEPE e andrà

all’interno della proposta del programma di trattamento. Questa fase di

valutazione è preferibile che si concluda nella fase di indagine. Tuttavia per

assenza di tempo è possibile che la stessa diventi un elemento prescrittivo del

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programma di trattamento. L’elemento di controllo non è da considerarsi come

elemento fondante, in quanto la valutazione è orientata all’accompagnamento e al

sostegno della persona nel suo percorso terapeutico e con la giustizia. Si può

verificare il caso che l’imputato non crede opportuno presentarsi al Servizio

specialistico, in questo caso si riferirà ciò al Tribunale Ordinario.

II. FASE DELL’ESECUZIONE

Siffatta fase inizia con la sottoscrizione della sospensione del procedimento con

messa alla prova da parte del soggetto; a seguito di ciò l’UEPE dà comunicazione

del fatto al Servizio specialistico per la presa in carico del soggetto. Il servizio

specialistico riferirà trimestralmente sull’andamento del percorso terapeutico,

mentre si dovrà impegnare a dare immediata comunicazione di fatti rilevanti,

come il soggetto che non si presenti al servizio.

La relazione finale del Servizio specialistico viene inviata al Tribunale Ordinario

in allegato e come parte della relazione finale dell’UEPE, sarà quindi contributo

fondamentale nell’udienza di verifica. La scrupolosità in questa sede non può

venir meno: se la messa alla prova viene superata, il reato è estinto.

Attuale percorso, in entrambi le fasi, deve essere un valore aggiunto per la

decisione del Tribunale ordinario e per la riuscita del percorso del soggetto

3.7 Le ipotesi della ricerca.

Le ipotesi sono preposizioni specifiche di una teoria che le comprende ed è

importante definire il momento di passaggio attraverso il processo della

deduzione. Le ipotesi sono funzionali per tutto il percorso di ricerca ed anche per

la costruzione dell’intervista semi-strutturata. Le preposizioni devono essere dati

empiricamente osservabili attraverso lo strumento di rivelazione. In questa ricerca

è successo che alcune ipotesi, come è possibile, sono frutto dell’analisi dei dati.

Le ipotesi sono:

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il protocollo porta ad una maggiore integrazione tra i due servizi;

il protocollo può creare un onere di lavoro relativamente eccessivo e non

proficuo se non c’è una buona organizzazione in entrambi i servizi per

gestire le procedure da rispettare;

il servizio specialistico per le dipendenze non deve confondere la

valutazione della commissioni patenti con la valutazione multidisciplinare

ai fini della relazione per il Tribunale Ordinario;

il protocollo incentra il lavoro sulla persona attraverso un approccio

integrato lavorando sia sulla parte relativa alla giustizia che la parte

relativa alla dipendenza;

la persona riesce a riflettere in modo più attento su ciò che lo ha portato ad

commettere il reato e ciò che lo ha spinto ad entrare nel vortice della

dipendenza, grazie ad una maggiore formalizzazione dei rapporti con il

servizio specialistico;

l’imputato percepisce un controllo eccessivo in quanto la valutazione

relativa al protocollo è richiesta ad un tempo diverso dall’accaduto e dalla

valutazione della commissione patenti;

si ipotizza che il soggetto si senta in dovere di mantenere i contatti sia con

il UEPE che con il Servizio specialistico per l’esito positivo della

sospensione del procedimento con messa alla prova;

si ipotizza che il protocollo possa saturare i rapporti con gli utenti e i

compiti della figura professionale;

si ipotizza inoltre che l’imputato non conosca i principi della misura di

comunità della messa alla prova e veda il servizio specialistico solo come

punitivo, come tutta la misura.

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3.8 Gli obiettivi.

Ai fini della ricerca si individua, attraverso una valutazione, i punti forza e

criticità del protocollo specificato.

Il protocollo si è sviluppato in questo anno ed è fondamentale capire cosa ha

apportato di nuovo nel percorso dell’imputato e nell’integrazione tra i servizi

territoriali specialistici e l’ufficio Di Esecuzione Penale Esterna. La ricerca deve

andare a fondo sulla responsabilizzazione dell’imputato, come vive la misura,

come vede il lavoro di pubblica utilità e cosa vede nel percorso attivato con i

servizi per le dipendenze. La risposta dei servizi territoriali è stata sempre presente

e personalizzata? Il punto di vista di entrambi, imputato e servizi è fondamentale

per avere un quadro completo.

Quindi gli obiettivi del progetto di ricerca sono:

valutare l’integrazione tra i servizi, la comunicazione e la prassi operativa

condivisa tra questi;

valutare l’effettiva centralità della persona all’interno del percorso;

valutare l’effettiva utilità del lavoro di pubblica utilità per l’individuo;

valutare la responsabilizzazione dell’imputato nei confronti del reato;

valutare gli aspetti positivi e negativi del percorso;

pensare nuove pratiche per una maggiore efficienza del protocollo.

3.9 Il campione.

Per verificare le prime ipotesi elencate, concernenti l’integrazione tra i servizi,

sono state strutturate due diverse interviste (allegati): una per gli operatori dei

servizi specialisti e una per le assistenti sociali dell’UEPE di Spoleto. All’interno

del campione sono stati inseriti gli operatori che hanno sottoscritto il protocollo,

concordato tra l’UEPE di Spoleto e il Dipartimento per le Dipendenze dell’USL

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N.2. Il Dipartimento comprende il SER.T di Terni, Narni, Orvieto, Foligno e

Spoleto.

È stata scelta la tecnica della posta elettronica come strumento per la realizzazione

di interviste, in quanto fa risparmiare molto tempo anche all’intervistato ed la

scrivente era sempre in contatto, almeno con le assistenti sociali dell’UEPE,

quindi aveva comunque un riscontro orale riguardo la materia dell’istituto della

messa alla prova e del protocollo d’intesa.

Per quanto concerne l’Ufficio Di Esecuzione Penale Esterna il campione

comprende 6 assistenti sociali, ovvero ogni assistente sociale facente parte del

servizio. Tre sono le interviste che nel capitolo 4 saranno analizzate.

Per ciò che concerne i servizi specialistici sono state inviate tre interviste, una

all’unità di servizio sociale presente al SER.T di Foligno, una al SER.T di Spoleto

e una al SER.T di Orvieto. Alla sottoscrizione furono questi gli operatori presenti

in quanto al SER.T di Terni non era presente un’assistente sociale. Nel paragrafo

4 saranno analizzate le due interviste che sono state compilate dall’assistente

sociale di Foligno e di Spoleto.

Il campione di utenti viene selezionato in base alle caratteristiche corrispondenti

alla ricerca. È stato selezionato attraverso l’operazione di campionamento, che

concerne nell’estrarre un campione da una popolazione.

Si estrae dall’utenza dell’UEPE, tra i destinatari del protocollo, un numero finito

di casi, che è rappresentativo degli imputati che si vuole studiare, in base a criteri

utili per consentire la generalizzazione a tutti gli imputati destinatari del

protocollo. Estrarre un campione di 12 persone è stato favorevole per motivi

economici, di tempo e per approfondire ancora meglio l’argomento.

Le fasi del campionamento sono riportate nei punti seguenti:

1. individuazione della popolazione di riferimento: imputati del servizio dal

17.05.16, giorno di sottoscrizione del protocollo, per art. 186 e 187 codice

della strada, guida in stato d’ebbrezza e sotto l’uso di stupefacenti o per

reati terzi, ma con problematiche relative alla dipendenza;

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2. il disegno di campionamento: può essere probabilistico o non, nel caso qui

presente si usa il primo metodo in quanto ogni unità ha la possibilità di

inclusione nel campione nota maggiore di zero;

3. determinazione dell’ampiezza del campione iniziale: si rispetta

l’eterogeneità del fenomeno preso in analisi, le risorse economiche e

temporali che si hanno a disposizione ed inoltre dati gli obiettivi iniziale si

stabilisce un campione minimo di almeno 5 unità;

4. lista di campionamento, che non deve comprendere unità estranee o

ripetute della popolazione di riferimento;

5. selezione dell’unità di campionamento.

I criteri scelti sono stati i seguenti:

I destinatari del protocollo dovevano aver svolto più della metà delle ore di

lavoro di pubblica utilità, per poter analizzare al meglio tale aspetto;

si scelgono inoltre gli imputati che le assistenti sociali mi descrivevano

come disponibili per una futura intervista.

Si stila un campione di 12 imputati che si crede opportuno come determinazione

dell’ampiezza in quanto rispetta i criteri e i casi sono molto variegati.

3.10 Strumenti utilizzati.

I primi strumenti utilizzati sono quantitativi: studio di fonti statistiche,

consultazione normativa, fascicoli, fonti di raccolta dati secondarie come

documentazione dei servizi, schede di monitoraggio, documentazioni di riunioni.

Altri metodi quantitativi sono l’osservazione dei colloqui e delle sottoscrizioni

degli imputati tenuti dalla tutor, nonché direttrice reggente dell’UEPE di Spoleto

Dopo l’utilizzo di quanto citato, dello studio della programmazione e dei

protocolli dell’ufficio dove si è svolto il tirocinio per l’anno corrente, si punta il

focus della ricerca sul protocollo: PROTOCOLLOD’INTESA TRA L’UEPE DI

SPOLETO ED IL DIPARTIMENTO DELLE DIPENDENZE DELLA USL N.2

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RELATIVO ALLA GESTIONE INTEGRATA DELLE SOSPENSIONI DEL

PROCEDIMENTO PER MESSA ALLA PROVA.

In seguito la strutturazione del campione che si è strutturato per definire i

professionisti del settore si è utilizzato lo strumento qualitativo dell’intervista

semi-strutturata somministrata tramite via telematica.

Dopo la scelta del campione relativa agli utenti si sceglie di utilizzare lo

strumento qualitativo dell’intervista semi-strutturata faccia a faccia. Siffatto tipo

di intervista dà la possibilità di operare in libertà sulla sequenza delle domande e il

modo di formularle. Ciò è molto importante in quanto ogni persona è diversa e

durante l’intervista si deve anche percepire quali domande o temi sia meglio

trattare per primo, anche a secondo di come l’imputato risponde.

Le domande che si strutturano sono basate sulle ipotesi e gli obiettivi che si sono

fissati in un primo momento. Lo strumento qualitativo dell’intervista semi-

strutturata faccia a faccia dovrà individuare quanto la persona è consapevole del

reato che ha commesso e come vive e vede la misura. Dovrà essere individuato

l’utilità per l’imputato dell’integrazione con altri servizi e se ha usufruito di

questi. Con l’intervista semi strutturata si analizzano le seguenti aree:

1. La prima macro area si riferisce all’atteggiamento verso la misura

dell’imputato ed include i seguenti punti:

conoscenza dell’istituto della messa alla prova e motivazioni che lo hanno

spinto ad intraprendere codesto percorso;

atteggiamento verso il fatto accaduto, responsabilizzazione e analisi del

reato.

2. Si esamina il rapporto con il servizio specialistico:

percezione riguardo il suo grado di dipendenza e alla relazione con il

servizio specialistico;

precedenti esperienze con codesto servizio.

3. La terza area include i punti che riguardano la parte fondamentale del

programma di trattamento, il lavoro di pubblica utilità:

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si vanno ad esaminare i criteri che hanno portato a scegliere un

determinato ente, le mansioni svolte e la percezione dell’imputato verso

questa attività.

4. Con l’ultima area si analizzano i punti di forza e i punti deboli della

sospensione del procedimento con messa alla prova:

si verifica se l’imputato considera eccessivo il controllo a cui è sottoposto.

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Capitolo 4

L’analisi dei dati.

Attraverso l’analisi dei dati si provvede a restituire i dati ottenuti attraverso lo

strumento di ricerca dell’intervista semi-strutturata, in forma grafica. Tale metodo

consente di confermare o meno le ipotesi scelte e già elencate nel paragrafo

precedente. Le interviste somministrate sono state 10, per il seguente motivo i

grafici di basano sui dati raccolti in 10 interviste.

Area tematica: la scelta della sospensione del procedimento con messa alla

prova.

Domanda 1: quali sono i motivi che l’hanno portata a chiedere la sospensione

del procedimento con messa alla prova?

Grafico 1: Le motivazioni principali della scelta della sospensione del procedimento con

messa alla prova.

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AVVOCATO PERSONALI

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Risposte

La scelta della M.A.P.

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Tra i 5 imputati che hanno risposto che la loro scelta è stata dettata dall’avvocato

possiamo dividere due gruppi: tre imputati hanno affermato che il professionista

gli ha consigliato questo istituto per non pagare la parte pecuniaria della sanzione;

gli altri due imputati hanno seguito il consiglio dell’avvocato perché gli aveva

specificato che in tale modo avrebbero estinto il reato:

«L’avvocato me lo ha consigliato per estinguere il reato».

L’altra metà per sua conoscenza ha richiesto la sospensione del procedimento con

messa alla prova sempre per estinguere il reato, di seguito riporto le risposte più

salienti.

«Negli ultimi anni ho modificato la mia vita in meglio per problemi di

tossicodipendenza, ora lavoro, ho tolto le sostanze, quindi non volevo perdere

tutto con un nuovo reato».

«Perché dopo non risulta niente, sapevo già dell’esistenza perché mi era stato

consigliato».

«Già fatto LPU, avevo finito tutti i giochi».

Il fatto che la fedina penale non verrà “sporcata”, se nella udienza di verifica il

giudice conferma rispettato il programma di trattamento, è una grande opportunità

che si offre alle persone. L’istituto, già presente per i minorenni, è basato sul

probation inglese e cerca di far si che persone incensurate, che commettono reati

di minore allarme sociale, oltre a non essere internati, quindi prendere contatti con

condannati per reati di gravità maggiore, hanno la possibilità di riflettere e fare un

percorso che è solo relativamente nel penale. Da questa opportunità si possono

creare ed avere solo vantaggi ed è in tale momento che si deve lavorare creando

confini e momenti di integrazione tra i servizi per far nascere una rete di supporto

con l’imputato.

La motivazione con cui l’imputato arriva alla sottoscrizione è un elemento che fa

intendere come potrà procedere la persona.

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Area tematica: responsabilizzazione del fatto accaduto.

Domanda 2: si sente di chiamare reato il fatto accaduto?

Grafico 2: responsabilizzazione del reato commesso.

Come si può notare dal grafico, 7 degli imputati non crede di aver commesso un

reato. Non vi è, per più della metà degli intervistati, una responsabilizzazione del

reato. La risposta a questa domanda si crede ovvia, ma si nota invece come la

persona non è consapevole di quello che ha fatto. Inoltre, come la psicologia

sociale insegna, vi è presente un errore di attribuzione, gli imputati il fatto

negativo lo attribuiscono a cause esterne a loro. Di seguito vi riporto le risposte

che confermano questa teoria.

«E’ stata una circostanza casuale, non un reato».

«No, non ho fatto un incidente».

«Ho bevuto solo due bicchieri».

Più volte si ritiene opportuno far intendere che guidare sotto l’uso di stupefacenti

o dopo aver bevuto alcolici è un reato, anche se ci sono delle motivazioni dietro, è

comunque un fatto illecito.

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Risposte

Il fatto è considerato reato?

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Area tematica: la durata della messa alla prova

Domanda 3: ritiene adeguata e perché la durata della sua misura per il reato

del quale e’ stato imputato?

Grafico 3: valutazione dell’imputato verso il proprio periodo di messa alla prova.

Gli imputati hanno una considerazione positiva del periodo della misura che viene

deciso dal giudice, in quanto, almeno 6 su 10 capiscono quali possono essere i

presupposti in base al quale è stata decisa la durata della misura.

«Capisco il giudice perché io ho la recidiva».

«Capisco il periodo perché i soldi che dovevo pagare erano molti».

I 4 imputati che non credono giusta la loro durata della misura di comunità, sono

gli stessi che hanno risposto negativamente alla domanda riguardo se il fatto da

loro commesso fosse reato.

Durante il periodo dello stage, e grazie alle interviste, si nota che, sia gli avvocati

che gli imputati, credono che aumentando le ore del lavoro di pubblica utilità si

hanno maggiori possibilità che il giudice dia meno mesi di questa misura. Questo

pensiero non è veritiero in quanto la decisione è a discrezione del giudice, alcuni

tribunali hanno stilato delle tabelle dove per ogni reato si ha un’indicazione

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POSITIVA NEGATIVA

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Risposte

Considerazione del periodo della misura

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generale di quale potrebbe essere il periodo stimabile. La cosa importante è che il

giudice, come più volte è stato sottolineato, non si basa solo sulle ore di pubblica

utilità e sul reato, ma su diversi aspetti che sono anche nella relazione che

l’assistente sociale gli invia e nella relazione del SER.T. Si noti la seguente

risposta:

«La durata della misura è eccessiva, anche per la disponibilità di giorni e ore che

avevo dato. Avevo deciso di fare più ore per ricevere un periodo di misura minore

di 6 mesi».

Oppure vi è chi ritiene adeguato il periodo della misura perché poteva fare poche

ore.

Area tematica: il servizio per le dipendenze.

Domanda 4: è stato utile chiamare in causa anche il servizio per le

dipendenze?

Grafico 4: la considerazione dell’imputato nell’attivazione del servizio specialistico.

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Risposte

L’utilità del servizio per le dipendenze nelle modalità

del protocollo.

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Gli intervistati che hanno risposto sì, quindi che credono nella necessità di

integrare l’attuale servizio, hanno sottolineato che è stato “uno stimolo”, è un

momento di «riflessione dove si sta in collettività, quindi si ascoltano altre

persone e dove c’è bisogno che la gente rispetti delle regole». Inoltre, pensa un

intervistato, serve per poter rimettere in circolazione la persona, ed per vedere se

continuerà nel reato».

«È un dato di fatto che è un aiuto» su questa frase sono concordi gli intervistati,

anche chi ha risposto no, quello che fa riflettere è che l’intervistato tende ad non

fare mai suo il problema quando si parla del servizio per le dipendenze. «E’

positivo, però per gli altri, io non ho il problema». «È essenziale rivolgersi a quei

servizi per altre problematiche, non nel mio caso» ( terzo reato per guida in stato

d’ebbrezza). «Certo che è utile, però per i giovani.» «In altri casi si, perché c’è la

dipendenza, ma no nel mio».

Come nel caso della responsabilizzazione del fatto commesso, in questa sede, si

cerca di non attribuire il problema, motivo principale anche per l’immagine

collettiva che si ha del SER.T. Le persone che non credono di avere un problema

sono recidive anche per la terza volta, gli altri sono ragazzi, che hanno avuto reati

riguardanti la detenzione di sostanze, che hanno bisogno di essere controllati e

sostenuti soprattutto in un età così vulnerabile.

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Domanda 5: aveva mai avuto rapporti con il servizio per le dipendenze prima

di questo episodio?

Grafico 5: si rappresenta quanti sono stati i contatti precedenti con il servizio

specialistico.

Di 7 intervistati che hanno affermato di aver già avuto rapporti con il servizio

specialistico, 6 sono recidivi, in quanto hanno già commesso un reato art. 186 e

187, quindi già sono stati sottoposti alla valutazione per la commissione patenti al

servizio. Inoltre vi è un ragazzo, imputato per art. 73, detenzione sostanze, che era

già iscritto al servizio. Si afferma che il tasso di recidiva riguarda 6 imputati. E’

proprio questo il motivo per il quale ci si focalizza nell’indispensabile elemento

delle valutazioni, aggiuntive a quelle della commissioni patenti, da integrare per

gli imputati con capi di imputazione relativi a elementi di dipendenza.

0

1

2

3

4

5

6

7

8

SI NO

Inte

rvis

tati

Risposte

Rapporti precedenti con il servizio per le dipendenze.

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95

Domanda 10: il percorso con il servizio per le dipendenze l’ha aiutata a

riflettere su alcuni aspetti della sua vita?

Grafico 6: connessione fra la riflessione personale e il servizio specialistico.

Il grafico fa molto riflettere perché vediamo che anche chi non credeva nell’utilità

del servizio, è concorde sul fatto che il servizio è stato utile per riflettere sugli

aspetti riguardanti la vita della persona, il reato e altro.

«Sul reato, grazie ai colloqui, per questo è servito».

«Già riflettevo, comunque nel mio caso non ho problemi di dipendenza quindi non

dovevo riflettere su quello».

«Su tutti grazie alla psicologa, mi ha aiutato ad andare a fondo».

«Si, sono riuscito a riflettere sulla famiglia».

«Si, ti aiutano, ti danno informazioni, si sa che fa male, ti danno informazioni sui

rischi».

«Ho potuto ragionare sulla causa».

Ed ancora di più credo opportuno sottolineare l’importanza del protocollo che

vuole aumentare la sinergia tra i servizi, anche se non vi è una dipendenza, ma è

0

2

4

6

8

10

12

SI NO

Inte

rvis

tati

Risposte

Il servizio specialistico e la riflessione sulla vita.

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stato un episodio occasionale, è importante poter riflettere su alcuni momenti della

vita e del reato. Questa operazione intende chiudere spazi che potrebbero portare

ad altri reati.

Area tematica: il lavoro di pubblica utilità.

Domanda 13: parlando del lavoro di pubblica utilità, perché crede sia stato

inserito all’interno del programma di trattamento?

Grafico 7: la considerazione dell’imputato verso il lavoro di pubblica utilità.

«Chi non fa autoanalisi lo fa solo per non pagare, ci sarebbe più bisogno di

essere più sensibili»

Questa risposta è piena di senso e ci fa intendere come la persona sia andata a

fondo nella misura, ripetendomi più volte durante l’intervista «il lavoro di

pubblica utilità deve essere misurato sulla persona e sull’ente, per far si che si

mostri il fine ultimo del L.P.U.»

Gli altri intervistati che sono all’interno del gruppo si esprimono così: «Serve per

riflettere, per aiutare le persone»; «il minimo aiuto che ho potuto, il mio supporto

0

1

2

3

4

5

6

7

8

PER LEGGE PER SENTIRSI UTILI PESO, PERDITA DI

TEMPO

Inte

rvis

tati

Risposte

Il lavoro di pubblica utilità.

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mi ha fatto sentire utile»; «sto svolgendo qualcosa che tornerà utile alla

comunità»; «Sì, fa riflettere su cose e aspetti della vita e su quali sono i veri

problemi».

Come si può vedere dal grafico, tre imputati credono che i lavori di pubblica

utilità siano «un peso» e anche chi è convinto che è un opportunità positiva, allo

stesso tempo crede che sia anche una «perdita ti tempo». Un po’ la paura di tutti

era di non riuscire ad adempiere a tutti i lori obblighi: «devo fare i colloqui con la

psicologa, ho un lavoro, devo fare il lavoro di pubblica utilità e se non ce la

faccio?».

Domanda 15: in base a quali criteri ha ritenuto opportuno individuare questo

ente?

Grafico 8: le motivazioni che hanno spinto l’imputato a scegliere un determinato ente.

0

0,5

1

1,5

2

2,5

3

3,5

Inte

rvis

tati

Risposte

Criteri per la scelta dell’ente L.P.U.

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Questo è il grafico dove troviamo più differenziazione di risposte ed inoltre dove

alcune persone hanno sollevato problemi riguardo alla difficoltà di trovare un

ente.

«Mi è stato consigliato dall’avvocato, credo ci sia bisogno di essere più

indirizzati»;

«ha scelto l’avvocato l’ente dove dovevo fare il lavoro di pubblica utilità»;

«non trovavo altro, molti mi dicevano di no, ho trovato solo un indirizzo che mi

ha dato un mio amico»;

«dovevo trovare un posto che mi accogliesse, per fortuna avevo una conoscenza»

«E’ difficile trovare l’ente, ci sarebbe bisogno di una banca dati per essere al

corrente di quali enti sono sia convenzionati, che disponibili al momento della

richiesta».

«C’è bisogno di un accompagnamento e progetto individualizzato per trovare

l’ente».

L’elemento di “confusione” sarà ampliamente dibattuto anche nelle conclusioni.

Quello da sottolineare è che gli imputati trovano difficoltà nei momenti della

ricerca dell’ente e nel concordare e farsi carico delle ore da svolgere.

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Area tematica : l’istituto della messa alla prova.

Domanda 19: quali sono dei punti di criticità che ha notato durante il

percorso di messa alla prova e i punti di forza che crede opportuno

sottolineare?

Grafico 9: i punti di forza per l’imputato della messa alla prova.

Tutti gli imputati sono più propensi a trovare elementi positivi, nel complesso del

percorso della messa alla prova, quando sono verso la fine della misura. All’inizio

gli imputati per almeno un mese si sentono ancora in un vortice di ansie e dubbi.

Questi sono gli elementi che sono stati ravvisati come più positivi:

«ben strutturato e buon supporto»; «Assistente sociale e la struttura». «Quando

ho finito per aver fatto una buona esperienza».

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0,5

1

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2

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3

3,5

Punti di forza M.A.P.

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Mi preme sottolineare la risposta che descrive quello che è questa misura di

comunità:

«sensibilizza, non è usato come punizione».

La messa alla prova non è una punizione, ma un’opportunità che si impegna nel

far riflettere e nel far si che l’imputato restituisca anche alla comunità.

Grafico 10: i punti deboli per l’imputato della messa alla prova.

Come si nota dal grafico i problemi maggiori riguardano i lavori di pubblica

utilità riguardano la difficoltà nel trovare un ente che li accoglie nel minor tempo

possibile. Il tema è molto complicato e lungo, perciò sarà spiegato nelle

conclusioni, queste sono le risposte più importanti che ci fanno entrare nel

problema:

«Difficoltà nel trovare l’ente»;

“mancanza di informazioni per trovare l’ente»,

«prima di iniziare avevo paura di non riuscire ad affrontare un nuovo impegno

insieme al lavoro».

Il controllo per alcuni è molto importante,fondamentale, hanno bisogno di confini

specifici «ogni due settimane faccio i dosaggi, senza questi non credo sarei uscito

0

1

2

3

4

5

6

RELATIVI AI

L.P.U.

NON RISPONDE MOLTI IMPEGNI PERSONALI

Inte

rvis

tati

Risposte

Criticità M.A.P.

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dalla mia situazione». Questo è lo stesso intervistato che non trova critiche, ma

quando gli chiedo se si aspettava qualcos’altro, domanda non presente nel

questionario, mi risponde: «pensavo ci fossero più interventi dall’UEPE, più

controlli e colloqui, come una verifica».

Un’altra criticità sono i tempi lunghi della giustizia «Troppo tempo per le

modifiche delle ore del lavoro di pubblica utilità, il passaggio tutor ente,

assistente sociale, giudice è stato lungo».

«meno schematicità nei rapporti, lo psicologo deve essere più presente nel

percorso».

Un imputato ha sottolineato come le uniche criticità “sono dipese da me, dalle

mie ricadute».

4.1 La valutazione degli assistenti sociali.

Per verificare qual è l’effettiva integrità tra i servizi che ha apportato il protocollo

e soprattutto quali le considerazioni, le criticità e i punti di forza da un punto di

vista diverso dall’utente, cioè di chi conosce le prassi e di che vi lavora ogni

giorno sono state somministrate via telematica le interviste agli assistenti sociali

dell’UEPE e dei SER.T.

L’intervista alle assistenti sociali del UEPE.

Area tematica: l’istituto della messa alla prova.

Domanda 1: In seguito al “protocollo d’intesa tra l’UEPE di Spoleto ed il

dipartimento delle dipendenze della USL n.2 relativo alla gestione integrata

delle sospensioni nel procedimento per messa alla prova”, vorrei proporle

alcune domande.

A due anni dall’entrata in vigore della legge del 28 aprile 2014, n.67 crede sia

importante l’istituto della messa alla prova? Quali sono i punti di forza e

debolezza?

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Dalle interviste emerge che i professionisti del settore notano, chi più chi meno,

dei punti negativi della misura. Nel corrente anno il carico di lavoro è aumentato e

le assistenti sociali non riescono sempre a individualizzare il programma di

trattamento dell’imputato. Nelle risposte si sente che manca dall’alto

un’attenzione alla nuova utenza, un’integrazione con i Tribunali e un sostegno

materiale da parte del Ministero per far sì che si possano costruire nuovi e giusti

progetti per la riparazione dell’imputato. Vi è molto da fare ancora, vi è molto

nella legge, ma nel nostro Paese siamo lontani ancora dagli altri paesi nella

pratica. Sicuramente vi è ancora una lunga formazione da fare, l’istituto è recente.

«Consente a chi ha commesso un reato (in determinate situazioni) di non

affrontare un procedimento con tutto quello che ne consegue. Le persone

incensurate possono essere maggiormente motivate a non commettere ulteriori

reati o comunque a fare più attenzione nel futuro.

Bisognerebbe “lavorare” di più sul Lavoro di Pubblica Utilità».

Come è stato più volte scritto gli L.P.U. sono dei punti deboli per i problemi

concernenti le convenzioni, i tempi della giustizia, l’effettiva confusione riguardo

i tempi di durata, la disponibilità degli enti e l’atteggiamento dell’imputato verso

questo.

« La messa alla prova, dal punto di vista strettamente personale, è un istituto utile

solo a snellire il carico di lavoro dei Tribunali ordinari. La normativa per le

misure alternative esiste da anni con le relative modifiche e ampliamenti dei

termini per accedervi, non occorrono ulteriori normative in tal senso. La gran

parte dei fruitori della messa alla prova ( per lo più giovani ( fascia di età 20-30

anni) non riconosce né il reato né la valenza risarcitoria. Non riesco a

individuare alcun punto di forza.»

È di facile comprensione per la scrivente questa risposta. L’assistente sociale in

questione a che fare soprattutto con imputati molto giovani, molte volte

tossicodipendenti e che come si è potuto notare grazie alla partecipazione ai

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colloqui hanno bisogno di prescrizione dure per non avere peggioramenti. Hanno

bisogno di un controllo più assiduo a cui il legislatore deve pensare.

«Sì, per non fare entrare nel circuito penale tradizione reati “bagatellari” e

questo sarebbe il punto di forza ma il punto di debolezza è non avere previsto

risorse, nel nostro specifico per l'UEPE, a fronte di un grande risparmio per il

sistema giustizia nel senso dell'organizzazione giudiziaria»

«Importante perché permette alla persone di non entrare nel circuito penale e

svolgere attività a favore della collettività –punti di forza la riparazione e

debolezza poca chiarezza nei procedimenti»

«L’istituto è valido in quanto ha un effetto deflattivo rispetto ai procedimenti

penali del sistema giustizia, nel senso che consente per i reati minori la

sospensione del procedimento ed evita l’ingresso nel circuito penale, consentendo

al soggetto di attivarsi e riparare, in modo abbastanza congruo, rispetto al reato

commesso, attraverso un programma individualizzato rispetto alle problematiche

evidenziate».

Le risorse: problema per cui molte volte la messa alla prova ideale di cui si parla

nella teoria che comprende percorsi di mediazione, di volontariato, possibilità di

costruire nuove risorse per l’imputato per ora rimane a volte un’utopia. Senza le

risorse personali negli uffici di esecuzione penale esterna non si può lavorare nel

migliore dei modi e se non si hanno le risorse professionali come possiamo

credere che ci siano risorse per la crescita dell’imputato? Il punto sarà

nuovamente discusso nelle conclusioni.

Area tematica: Il protocollo.

Domanda n.2: Nella messa alla prova che incidenza c’è di persone con

problematiche di dipendenza?

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«Alta incidenza di problematiche di dipendenza sia da alcool che da sostanze

stupefacenti».

« Si, più della metà».

«Elevata, soprattutto per quanto attiene l'alcol-dipendenza».

«Circa il 50%».

Codeste risposte mostrano la necessità del protocollo sottoscritto e a parer della

sottoscritta di aggiornamenti e formazione dai supervisori.

Domanda n.3: Considerato che alcuni degli obiettivi del protocollo sono la

centralità della persona utente e l’opportunità di offrire un percorso di

crescita nello spazio territoriale di vita, questi temi sono stati rispettati

durante le prassi operative dal vostro servizio, dal servizio per le dipendenze

e dal Tribunale Ordinario? Si No. Perché?

«No. Per offrire percorsi di crescita occorre “inventarsi” gli strumenti ( corsi di

formazione professionale, tirocini formativi, lavoro retribuito ecc) che allo stato

attuale rappresentano la fantascienza».

Per offrire alla persona momenti di crescita, ad esempio tirocini, vi devono essere

presenti risorse materiali e maggiori protocolli con servizi specifici territoriali,

quali il S.A.L., che a sua volta ha una carenza di risorse.

«Sì. Perchè a volte il lavoro di pubblica utilità ha veramente una valenza

riparativa, anche per la stessa persona che lo svolge (non solo per la società) ed

in alcuni casi le persona hanno anche proseguito l'attività anche ad LPU

conclusi, per cui è stata utile a fare conoscere ed apprezzare per esempio il

mondo del volontariato, che magari alcuni soggetti spontaneamente non avevano

ancora approcciato».

«Si. La valutazione/trattamento è incentrata sulla persona».

«Si, per la sufficiente collaborazione con gli enti».

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«Si. In modo abbastanza congruo rispetto alla richiesta inoltrata ed ai tempi

stabiliti dalla Magistratura (almeno nella zona di Foligno)».

Domanda n.4: Per quanto riguarda la collaborazione con il Dipartimento

delle Dipendenze della USL n.2, crede sia stato svolto, da entrambe le parti,

un approccio di sistema che si basa sull’operatività integrata seguendo prassi

condivise?

«Soltanto da poco tempo si vede qualche risultato con il Dipartimento della USL

2, solo che i risultati arrivano dopo la concessione della messa alla prova e non

nella fase di indagine a causa dei tempi dell’USL 2».

«Si sta tentando, diciamo che potrebbe essere uno degli obiettivi a lungo

termine».

« Non sempre c’è stata una immediata risposta alle richieste inviate dall’Uepe».

«Ancora da ottimizzare e consolidare poiché per il Servizio specialistico ,

rappresenta un ulteriore onere rispetto al carico di lavoro ( ad es. situazioni già

valutate per la concessione ed il ripristino della patente di guida ) , in quanto

molte situazioni non saranno oggetto di interventi specifici del Servizio».

La collaborazione deve avvenire anche attraverso incontri diretti, solo così

l’integrazione diventa proficua.

Per valutare il protocollo è importante conoscere sia la parte più giuridica che la

parte che si occupa non del programma di trattamento, ma del programma

terapeutico. Inoltre è utile vedere se le risposte tra gli operatori dei diversi servizi

concordano sui punti di forza del protocollo.

Domanda 5: C’è stata fino ad oggi una buona comunicazione che ha portato

a una adeguata valutazione diagnostica multidisciplinare?

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«No. Perché da sempre con l’ASL2 la comunicazione è complicata, inoltre, non

c’è chiarezza sulla differenza tra messa alla prova e affidamento in prova al

servizio sociale».

«Si. E’ stato possibile in alcune situazioni più complesse affrontare la valutazione

in modo integrato e multidisciplinare, soprattutto per soggetti molto giovani,

inseriti in contesti familiari multiproblematici e con tipologie di reato legati alla

dipendenza».

L’intervista agli assistenti sociali del SER.T.

Area tematica: Il protocollo.

Domanda 1: Il protocollo ha rappresentato uno strumento per venire a

conoscenza/comprendere meglio l’istituto della messa alla prova? È stato

complicato entrare nel merito di questa misura per lei?

«Il protocollo non ha favorito ne la conoscenza ne la comprensione dell'istituto

della messa alla prova poiché è una misura già conosciuta ed applicata nella

presa in carico dei minori in collaborazione con il Tribunale per i Minorenni».

«Gli incontri preparatori al Protocollo mi sono serviti per approfondire il

contenuto della misura. Non è stato complicato in quanto mi occupo da anni di

misure alternative».

È ovvio che anche gli operatori del SER.T siano a conoscenza della materia

giuridica specifica, ma a volte i due servizi si trovano in disaccordo sui tempi e su

ciò che concerne la valutazione.

Domanda 3: grazie a questo protocollo avete agganciato al servizio nuovi

soggetti, o per lo più erano già conosciuti al vostro servizio?

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«Molti erano già conosciuti, alcuni dei nuovi contatti pur cercando di motivarli,

in loro prevale la scelta utilitaristica di risolvere il problema legale e non di

favorire il tenersi distante da trasgressioni, anche se occasionali».

Ciò si è notato anche dalle risposte degli imputati, svolgono i controlli, i lavori di

pubblica utilità e i colloqui per prevenire ripercussione dei Giudici.

«La quasi totalità era conosciuta. Qualcuno era stato utente diversi anni per

provvedimenti amministrativi art. 121 e 75 DPR 309/90».

Queste risposte ci fanno notare come una volta che si entra nel circuito della

dipendenza è poi facile entrare anche in quello dell’illegalità.

Bisogna lavorare e spendere molte risorse sulla prevenzione secondaria, bisogna

lavorare con tutti gli strumenti appena il problema si presenta per far sì che ciò

non accada.

Domanda n.4: il protocollo ha inciso in positivo sul dialogo e sull’

integrazione tra i servizi?

Si. No.

Perché?

«Ha rafforzato sicuramente il dialogo e ha consentito reciprocamente di

comprendere obiettivi e mandati tra servizi. »

Si. No.

Perché?

«Poiché ha sicuramente incrementato, in termini numerici, le occasioni di

condivisione

e contatto, altresì ha favorito la condivisione dei progetti terapeutici/riabilitativi»

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Queste due risposte verificano senz’altro, almeno da parte del SER.T, l’ipotesi

iniziale che affermava che il protocollo fosse uno strumento atto a promuovere la

collaborazione e il dialogo tra i due servizi.

Domanda n. 6: È stato utile accordare una stessa procedura e uno stesso

linguaggio riguardo l’operatività?

Si. No.

Perché?

«Ha favorito l'uniformità dei percorsi anche nei vari territori di competenza del

Dipartimento Dipendenze UslUmbria2.»

«Sicuramente importante per consentire di dare una giusta interpretazione alla

norma, ovvero in chiave risocializzante e non di puro “controllo”.»

Domanda n.10 : Con quale incidenza avete già in carico gli imputati che vi

sono segnalati dall’UEPE ai sensi del protocollo?

«Erano quasi tutte persone conosciute in passato.»

«L'incidenza è piuttosto alta, almeno il 70%; poiché se non sono in carico per

l'eliminazione della dipendenza lo sono stati per ottemperare alle necessarie

certificazioni propedeutiche alla riconferma della patente di guida».

Ulteriori riflessioni:

«Ritengo comunque necessario che i colleghi dell'UEPE dovrebbero riflettere e di

conseguenza fare da tramite con la Magistratura nel comprendere che i tempi

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“terapeutici” non sempre possono coincidere ed essere conciliabili con quelli

della giustizia.»

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110

Conclusioni.

La tesi presentata, come si è ribadito precedentemente, è il frutto delle attività

svolte presso l’Ufficio Di Esecuzione Penale Esterna di Spoleto durante lo stage

di ricerca. L’UEPE a seguito del D.P.C.M. del 15 giugno 2015 n. 84 appartiene al

nuovo Dipartimento Di Giustizia Minorile e Di Comunità, mentre

precedentemente apparteneva al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria

Del Ministero Della Giustizia. Analizzando le parole del nome del nuovo

Dipartimento, si nota l’obiettivo di avviare un processo di unificazione e

razionalizzazione, ma soprattutto di portare l’esecuzione penale esterna all’interno

del contesto dove vive il soggetto che ha commesso il reato. Si vuole promuovere

la de-istituzionalizzazione, l’integrazione e il lavoro di rete opportuno per la

crescita e la centralità del reo. È con attuali presupposti che si sviluppa nel XIX

secolo in America il sistema di probation, ovvero l’esecuzione in area penale

esterna di sanzioni e misure definite dalla legge ed imposte ad un autore di reato.

Nel 1977 nasce un nuovo tipo di giustizia che include un diverso modo di eseguire

e vivere le sanzioni: una giustizia senza spada, che vuole restituire al reo, alla

vittima e alla comunità ciò che è stato danneggiato con un reato, attraverso uno

spazio di ascolto e dialogo, nonché la mediazione penale. A differenza del nostro

paese nel resto d’Europa questi temi sono bene strutturati. Nel 2014 in Italia vi è

la prima misura di comunità, impregnata dei principi propri del probation e del

paradigma riparativo. La novità nasce con la legge del 28 aprile 2014, n. 67,

ovvero la messa alla prova per adulti; è con questa legge che in Italia entra a pieno

titolo il probation giudiziale, in quanto l’imputato o l’avvocato possono richiedere

una sospensione del processo, bloccando così la pronuncia di un giudizio o

l’ammissione di colpevolezza. La “messa alla prova” è un istituto già conosciuto

nel processo penale a carico di imputati minorenni infatti molti tratti sono stati

ripresi dal D.P.R. 444/88.

La sospensione del processo con messa alla prova per adulti può essere richiesta

per reati di minore allarme sociale, che possono essere puniti con la sola pena

edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore a quattro anni,

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111

sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal

comma 2 dell'articolo 550 del codice di procedura penale.

La ricerca qualitativa svolta durante lo stage in un primo tempo ha riguardato la

fase prettamente teorica che verteva sui temi appena elencati. In un secondo

momento lo studio ha interessato il protocollo d’intesa tra l’UEPE di Spoleto e il

Dipartimento per le Dipendenze dell’USL n.2. Su 47 richieste di sospensione del

procedimento del primo periodo, 22 erano per capi di imputazione relativi all’uso

di alcool o di droga. Si rende quindi evidente la necessità di pensare a un

protocollo proficuo per fermare la recidiva possibile in questi casi. Il protocollo è

stato sottoscritto tra gli operatori dell’UEPE e del Dipartimento dell’USL n.2;

ogni membro che ha contribuito alla stesura del documento voleva promuovere e

favorire il dialogo e l’integrazione tra i servizi, delineando una prassi operativa

che avesse come risultato una valutazione multidisciplinare dell’imputato, per

garantire un ulteriore obiettivo: la centralità della persona nel programma di

trattamento. Ad ogni richiesta di sospensione per capo di imputazione 186 comma

2, guida in stato d’ebbrezza, 187 comma 1 guida sotto uso di stupefacenti, o per

reati di diversa natura, in cui l’imputato presenta una forma di dipendenza, si

chiede al servizio specifico se è conoscenza del soggetto e quale sia il programma

trattamentale che segue. Il dialogo deve essere continuo e proficuo per far si che la

persona sia seguita nel migliore dei modi e il programma da seguire al servizio

territoriale sia inserito in quello di trattamento. La ricerca muove dall’ipotesi che

il protocollo risponde alle esigenze dell’imputato ed inoltre pone il focus sulla

valutazione del protocollo ad un anno dalla sottoscrizione. In codesto momento si

intraprende la seconda fase della ricerca, nonché la stesura delle ipotesi, queste

sono state verificate attraverso tre diverse interviste semi-strutturate, una scritta

per i destinatari del protocollo, una per gli operatori dell’UEPE di Spoleto e una

per gli operatori dei SER.T del territorio dell’USL n.2 dell’Umbria.

Rispettivamente si parla di un campione di 12, 6 e 3 intervistati. Ciò ha permesso

alla sottoscritta di concretizzare la terza fase: la raccolta dati, attraverso tutti i

punti di vista per verificare al meglio le ipotesi predisposte all’inizio della ricerca.

In un successivo momento alle interviste attraverso i grafici si completa la fase

dell’analisi dei dati.

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Per rendere maggiormente visibile il risultato ottenuto con la ricerca qualitativa,

quindi mostrare l’ultima fase della ricerca relativa alla fase dei risultati, ogni

ipotesi sarà collegata con l’esito riscontrato attraverso le analisi delle interviste

somministrate.

IPOTESI RISULTATI

Il protocollo porta ad una maggiore

integrazione tra i due servizi.

L’operatività integrata è stata favorita, ma

questo è ancora un obiettivo non raggiunto

pienamente, soprattutto secondo le risposte

delle figure professionali del UEPE.

Può creare un onere di lavoro maggiore e

non proficuo nei due servizi.

Vi sono maggiori operazioni lavorative da

fare, l’importante è che per mancanza di

tempo non siano strumentalizzate.

La valutazione della commissione patenti

non deve essere confusa con la valutazione

multidisciplinare ai fini della relazione

finale per il Tribunale Ordinario

Nelle risposte dei servizi specialistici, (da

specificare degli uffici dove non vi è

l’assistente sociale), mostrano che non si fa

un’ulteriore valutazione a quella della

commissione patenti, anche se questa è

avvenuta in un tempo molto diverso dalla

richiesta di sospensione.

Si incentra il lavoro sulla persona Per due assistenti sociali su cinque

l’ipotesi è confermata, mentre per l’altra

c’è ancora molta strada da fare prima di

parlare di crescita della persona.

La persona riesce a riflettere in modo più

attento su ciò che lo ha portato a

commettere il reato

Tutti gli intervistati sono concordi sul fatto

che l’invio al servizio specialistico ha

portato ad una riflessione sugli aspetti

della vita e del reato.

L’imputato percepisce un controllo

eccessivo

L’imputato non percepisce nessun

controllo eccessivo, si intravede in lui solo

l’ansia di non riuscire a rispettare tutti gli

impegni determinati dalla messa alla

prova.

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113

Il protocollo satura i rapporti con gli utenti Alcuni imputati credono che ci sia bisogno

di un programma più individualizzato.

L’invio al servizio specialistico è visto

solo come una punizione

Secondo le risposte degli assistenti sociali

l’imputato vede l’invio al servizio come un

fine punitivo, più che per quelli riparativi.

L’imputato non sempre lo vede necessario.

Gli aspetti positivi che emergono sono diversi:

la persona grazie all’integrazione con il servizio territoriale riconosce che

le attività svolte sono state importanti come momento per favorire la

riflessione sui suoi problemi e sul reato commesso;

il dialogo tra i servizi è stato promosso e le figure professionali sono al

corrente di nuove conoscenze riguardo ai tempi di entrambi i servizi;

la misura della messa alla prova consente di estinguere il reato commesso,

esso non comparirà nella “fedina penale”, questo comporta che la persona

può essere maggiormente motivata a non commettere nuovi reati;

il soggetto che ha commesso reati di minore allarme sociale non deve

entrare nel circuito penale, od entrare a contatto con persone che hanno

commesso reati di entità maggiore;

la messa alla prova richiama fini riparativi importanti attraverso, il lavoro

di pubblica utilità, attività di volontariato e attività di mediazione con la

vittima.

Da questa ricerca sono scaturiti anche quelli che sono i punti critici sia della

messa alla prova che del protocollo:

l’imputato sceglie l’istituto principalmente per motivi utilitaristici e non

per fini riparativi;

non vi è da parte dell’imputato un’autoanalisi riguardo il reato e

l’autoresponsabilizazzione, si deve puntare molto di più su ciò anche da

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parte dell’assistente sociale, l’imputato nel 70% dei casi non riconosce il

fatto come reato;

non vi sono termini specifici e chiarezza riguardo i criteri con cui viene

scelto il tempo di sospensione della misura e il tempo del lavoro di

pubblica utilità; si crea confusione nel lavoro delle figure professionali;

l’ente dove si deve svolgere il lavoro di pubblica utilità non è sempre una

scelta calibrata sul reato e sull’individuo, in questo modo non possono

realizzarsi i fini riparativi della misura;

l’imputato non deve percepire il lavoro di pubblica utilità come una

punizione, ma come un’attività da svolgere per la restituzione e la

riparazione di ciò che ha commesso, in questa operazione deve essere di

aiuto soprattutto l’assistente sociale nello scegliere la struttura che

maggiormente realizzerà questi obiettivi;

le maggiori criticità dell’istituto e che si riversano sul protocollo

riguardano la mancanza di risorse materiali e personali, che non

permettono di pensare ad esempio ad una mediazione penale o ad un

tirocinio formativo per la crescita della persona, quindi non è possibile

individualizzare il programma di trattamento.

Individualizzare il programma e indirizzare l’imputato all’ente più adeguato per il

soggetto e il reato commesso viene ostacolato in questo periodo da un elemento

fondamentale: la mancanza di personale. Questi problemi portano a rallentare il

lavoro e far sì che i percorsi con gli utenti non possano avere l’individualità e il

tempo di cui hanno bisogno. «Non ce la facciamo a svolgere le indagini socio-

familiari e a fare i progetti con la qualità che richiede il nostro lavoro», chiarisce

Vincenzi, coordinatrice regionale del personale del comparto ministeriale per la

Cgil. «Chiediamo carichi di lavoro sostenibili». La protesta di Venezia si è svolta

in concomitanza con molte altre regioni d’Italia157

.

157http://nuovavenezia.gelocal.it/venezia/cronaca/2017/05/23/news/carenza-di-personale-la-

protesta-dell-uepe-

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«Il ministro Orlando punta al potenziamento delle misure alternative al

carcere, dall’altro non garantisce le risorse adeguate, sia in termini

economici che di personale. Degli oltre 30 milioni di euro del Fondo

Unico di Giustizia, solo 500.000 verranno assegnati agli UEPE presenti

sul territorio nazionale. Una beffa, se si pensa che la mancanza di mezzi

è ormai cronica, gli assistenti sociali spesso non dispongono di auto di

servizio e non ricevono rimborsi per le spese di viaggio. Gli uffici sono

in stato di degrado, spesso anche sotto il profilo igienico oltre che di

sicurezza fisica. Pesantissima la carenza di organico: in Lombardia 99

operatori si occupano di 6.562 casi, più 2.258 consulenze in itinere e

1634 indagini di messa alla prova (dati al 15 aprile 2015)»158

.

I principi della messa alla prova nelle condizioni attuali non riescono a realizzarsi.

Un altro problema che si presenta relativo all’istituto è una normativa confusa, sia

riguardo i tempi del lavoro utilità, sia verso il periodo di messa alla prova che

viene deciso dal giudice.

«Il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita,

affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed

attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni.

La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze

di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato e la sua durata

giornaliera non può superare le otto ore»159

.

Nuove precisazioni da parte dei giudici sarebbero auspicabili per assicurare un

buon rapporto con l’imputato e il buon andamento del programma di trattamento,

anche per la figura dell’assistente sociale, che ha bisogno di essere tutelata.

158 http://w3.ordineaslombardia.it/sites/default/files/ComunicatostampaUEPE11-6.pdf

159Il ministro della giustizia, Il regolamento del Ministero su messa alla prova e lavoro di

pubblica utilità, decreto ministeriale del 9 giugno 2015, alla pagina web

www.penalecontemporaneo.it.

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116

Inoltre, la burocratizzazione e i tempi degli uffici giudiziari dell’Italia causa il non

rispetto del principio secondo il quale la messa alla prova deve essere eseguita

nell’immediatezza dell’avvenuto fatto-reato.

L’attività di rieducazione e risocializzante deve avvenire nel momento in cui il

reato è stato commesso da poco. Gli intervistati a cui si è somministrata

l’intervista semi-strutturata si lamentavano che dovevano «fare dei lavori di

pubblica utilità e avevano degli impegni relativi al loro reato commesso a

distanza di un anno».

Durante l’attività di stage si è sempre pensato a quali potessero essere dei nuovi

presupposti per modificare al meglio l’istituto e favorire il paradigma riparativo su

quello retributivo. Innanzitutto è importante che dai punti critici si impari e sia i

legislatori che tutto il sistema pensino e creino nuove sanzioni di comunità anche

per reati diversi e di entità maggiore. Prima di fare questo passo bisogna divulgare

alcune buone pratiche già presenti nel nostro sistema, ma poco conosciute ancora.

La mediazione nel nostro paese, soprattutto la mediazione per adulti ha ancora

molta strada da fare. Richiedere di impegnarsi nel favorire queste pratiche

significa certamente un dispendio maggiore di tempo per la figura dell’assistente

sociale che nell’ufficio dove ho svolto il tirocinio si trova con un alto carico di

lavoro e con basso numero di personale. Si deve sentire il dovere di lavorare nella

logica della ricerca-azione per creare nuovi progetti sempre più idonei. È in questo

senso che il Ministro Orlando ha voluto gli Stati Generali che includono il Tavolo

13 per costruire un percorso che studi nuove pratiche per il ruolo della giustizia

riparativa nella pena e della mediazione penale. Si studia per costruire secondo le

parole della coordinatrice Grazia Mannozzi,“risposte qualitativamente diverse dal

binomio processo pena”. Dallo studio della commissione del tavolo 13 del sistema

penale danese è stato appurato come un sistema mite crei anche un minore

vittimismo del reo. Nella prima giornata di incontro fondamentale sono le parole

di Manlio Milano, Presidente della Associazione dei Caduti di piazza della Loggia

« Viene detto che il colpevole non è all’altezza della vittima che ha ucciso, come

se l’umanizzazione e la valorizzazione della vittima passi attraverso la

svalorizzazione del colpevole, processo negativo perché parte dal principio

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dell’irrecuperabilità di colui che ha commesso il reato e blocca il tentativo di

cercare di capire perché è stato commesso il reato». Lo studio degli esempi a noi

vicini, dei lati positivi e negativi, non può che comportare a creare un progetto

quasi ottimale. Puntare sulla formazione è una proposta che sia il Tavolo

Tematico 13 che la sottoscritta crede indispensabile per i funzionari del probation,

avvocati, magistrati, assistenti sociali e personale carcerario. Buone lezioni di

insegnamento sono esempi di mediazione e di integrazione come il “Progetto Rete

Dafne”, una rete per l’accoglienza e l’ascolto delle vittime di reato, con le finalità

già sancite nella Direttiva 2012/29/UE che istituisce le norme in materia di

protezione e assistenza alle vittime di reato. Questa rete vuole rispondere ai

bisogni di chi subisce le conseguenze dannose di un reato, soprattutto vittime che

hanno subito reati relativi alla violenza.

Si ribadisce che nel futuro si aspira a vedere misure di comunità costruite anche

per imputati con capi di imputazione di maggiore entità. Prendendo spunto dai

diversi articoli del Magistrato Riccardo Turrini Vita, (Il braccialetto elettronico,

applicato a chi deve scontare pene non detentive, è una valida misura di controllo

ma anche un importante strumento per regolare la vita del condannato) si crede

opportuno realizzare l’obiettivo appena nominato inserendo nelle misure di

comunità il sistema del braccialetto elettronico, per creare il controllo di cui alcuni

soggetti hanno bisogno, ma allo stesso tempo dare la possibilità di svolgere la

sanzione nella comunità di riferimento e attraverso tutte le attività riparative fino

ad ora descritte.

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Allegati.

I. Protocollo d’intesa.

II. Intervista per gli imputati destinatari del protocollo.

III. Intervista per le assistenti sociali dell’UEPE.

IV. Intervista per gli assistenti sociali del SER.T.

V. Modello per la richiesta di elaborazione del programma di trattamento

MAP.

I. PROTOCOLLO D'INTESA TRA L'UEPE DI SPOLETO ED IL DIPARTIMENTO DELLE

DIPENDENZE DELLA USL N. 2 RELATIVO ALLA GESTIONE INTEGRATA DELLE

SOSPENSIONI DEL PROCEDIMENTO PER MESSA ALLA PROVA

Il presente protocollo d'intesa ha come presupposto il lavoro svolto a livello

regionale sul tema delle misure alternative alla detenzione per le persone alcol e

tossicodipendenti che ha prodotto il documento denominato "linee guida

regionali interistituzionali per la gestione integrata dei programmi alternativi alla

pena detentiva in persone alcol e tossicodipendenti".

La finalità - obiettivo è quella del potenziamento dei rapporti di collaborazione

tra UEPE di Spoleto ed i l Dipartimento delle Dipendenze della USL n. 2, fino a

giungere alla promozione di un approccio di sistema che si basa sull'operatività

integrata supportata da prassi condivise, sulla buona comunicazione e sulla

valutazione diagnostica multidisciplinare. Principio fondamentale è la centralità

della persona utente e la volontà di offrire alla stessa un’opportunità

trattamentale favorevole al suo percorso di crescita e al superamento delle

problematiche, nel proprio spazio territoriale e di vita.

Il nuovo istituto della messa alla prova per gli adulti di cui alla L. n. 67/14

rappresenta l'ambito di lavoro in cui ci si interfaccia con una nuova tipologia di

utente che è quella del soggetto imputato, relativamente al quale i Servizi

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coinvolti sono chiamati a condividere nuove strategie di collaborazione.

Pertanto:

Visto la DGR 1548/14 "Linee guida regionali interistituzionali per la gestione

integrata dei programmi alternativi alla pena detentiva in persone “alcol e

tossicodipendenti" Vista la Legge 28 aprile 2014 n. 67 che istituisce l'istituto della

messa alla prova per gli adulti.

Considerando che ad un periodo congruo dall' entrata in vigore della legge si può

riscontrare che ha particolare incidenza il reato di cui all'art. 186 comma 2, e

all'art. 187 comma 1 del D.lgs n.285/92,

l'UEPE di Spoleto ed i l Dipartimento delle Dipendenze della USL n. 2, concordano

le modalità operative che seguono.

DESTINATARI

Sono destinatari del presente protocollo d'intesa coloro che, risiedono nel

territorio della USL n. 2 e che presentano richiesta di programma di trattamento

per la sospensione del procedimento con messa alla prova nei casi in cui:

1) il capo d'imputazione è relativo all'art. 186 comma 2 D.lgs 285/92;

2) il capo d'imputazione è relativo all'art. 187 comma o comma 8 D.lgs 285/92;

3) il capo d'imputazione è di altra natura, ma dal colloquio con i l funzionario di

servizio sociale dei UEPE emerge una problematica relativa all'uso di sostanze

stupefacenti o di abuso di alcol o di ludopatia.

PROCEDURA OPERATIVA: Fase di indagine

Il funzionario di servizio sociale dell'UEPE a cui è assegnato l'incarico di redigere

l'indagine sociale e di elaborare un programma di trattamento per la sospensione

del procedimento con messa- «alla prova, nei casi sopra descritti, inoltrerà una

nota scritta al Dipartimento delle Dipendenze al fine di verificare se i l soggetto è

già in carico al Servizio, se è conosciuto ma allo stato non è in carico, oppure non

è conosciuto. Il funzionario di servizio sociale, dopo il primo colloquio con

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l'imputato, condividerà con lo stesso, la prassi operativa per chiedere notizie al

Dipartimento delle Dipendenze.

Se il soggetto è già in carico, il Dipartimento delle Dipendenze, riferirà, in forma

scritta, la sua conoscenza del caso e comunicherà in forma scritta il programma

terapeutico in corso. Le informazioni ottenute andranno ad integrare la

conoscenza del soggetto ai fini dell'indagine sociale, il programma terapeutico in

corso verrà riportato quale elemento del programma di trattamento della messa

alla prova.

Nel caso di conoscenza pregressa o di non conoscenza, l'UEPE chiede al

Dipartimento una valutazione sul caso ed invita i l soggetto a presentarsi al

Servizio specialistico, motivandolo in tal senso.

Il Dipartimento curerà l'accoglienza e la presa in carico del soggetto ai fimi della

valutazione diagnostica multidisciplinare.

È auspicabile che detta fase di valutazione si esaurisca entro la fase di indagine,

altrimenti proseguirà durante la messa alla prova quale elemento del programma

di trattamento. La valutazione diagnostica stabilisce se:

1) la persona non ha alcun problema di dipendenza o di abuso, nel caso viene

dimessa dal Servizio specialistico, l'UEPE lo riferirà nell'indagine sociale, e alcuna

prescrizione vi sarà nel merito nel programma di trattamento della messa alla

prova;

2) la persona ha un problema di dipendenza, nel caso i l Servizio specialistico

concorda con il soggetto un percorso terapeutico che viene inserito quale

elemento del programma di trattamento della messa alla prova. Il percorso

terapeutico è orientato al sostegno e all'aiuto alla persona, la finalità del

controllo è da considerarsi marginale.

La relazione del Servizio specialistico viene inviata al Tribunale Ordinario quale

parte integrante dell'indagine sociale.

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Se il soggetto non accetta il coinvolgimento del Servizio delle dipendenze, o

comunque non si presenta allo stesso ai fini di una valutazione, l'UEPE lo riferirà

al Tribunale ordinario nel contesto dell'indagine sociale, in tal caso l'UEPE non

indicherà prescrizioni specifiche nel programma di trattamento.

PROCEDURA OPERATIVA: Fase dell'esecuzione

L'UEPE si impegna a dare immediata comunicazione scritta al Servizio

specialistico dell'avvenuta sottoscrizione del procedimento di messa alla prova,

ai fini della presa in carico nel percorso terapeutico.

Il Dipartimento delle Dipendenze si impegna a riferire all'UEPE, anche per vie

brevi, circa l'andamento del percorso con cadenza trimestrale e, con relazione

scritta, alla fine della misura penale. Eventuali fatti rilevanti dovranno essere

comunicati indipendentemente dalla calendarizzazione.

I due Servizi lavorano in sinergia, prevedendo momenti di confronto e con

strategie di rinforzo reciproco, soprattutto nelle situazioni di criticità

La relazione formale del Servizio specialistico viene inviata al Tribunale Ordinario

quale parte integrante della relazione di fine misura dell'UEPE.

CONCLUSIONE

Il presente Protocollo d'intesa intende stabilire delle procedure operative al fine

di migliorare una collaborazione già esistente, anche per l'istituto della messa

alla prova, tra l'UEPE di Spoleto e la USL n. 2.

I Servizi, trattandosi dell'istituto della messa alla prova, relativamente al percorso

terapeutico, sono orientati soprattutto al sostegno e all'aiuto, la misura è

considerata una opportunità di aggancio e di accoglienza per la persona.

La titolarità della valutazione è del Servizio specialistico, la gestione integrata del

programma di trattamento avviene nel pieno rispetto delle specifiche

competenze.

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II presente protocollo d'intesa intende essere imo strumento di lavoro utile ad

apportare un valore aggiunto sia nella fase delle indagine che nella fase

dell'esecuzione della misura, ai fini della relazione per il Tribunale Ordinario.

II) Intervista per gli imputati destinatari del protocollo d’intesa

tra l’UEPE di Spoleto e il dipartimento per le dipendenze.

1. Quali sono i motivi che l’hanno portata a chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova? ………………………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………

2. Si sente di chiamare reato il fatto accaduto. Si. No. Perché?

………………………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………

3. Ritiene adeguata e perché la durata della sua misura per il reato del quale è imputato? Si. No. Perché?

………………………………………………………………………………………………………………………

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4. È stato utile chiamare in causa anche il Servizio per le dipendenze?

Si. No. Perché? ………………………………………………………………………………………………………………………

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5. Aveva mai avuto rapporti con il Servizio per le dipendenze prima di questo episodio? Si. No. Perché? ………………………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………

6. Nel suo caso il percorso poteva essere attivato diversamente?

Si. No. Perché? ………………………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………

7. Quali interventi ha indicato per lei il servizio per le dipendenze durante la misura?

………………………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………

8. Con quali figure ha avuto maggiori contatti?

………………………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………

9. Il programma terapeutico poteva includere altre attività, esempio, danza terapia, incontri con altre figure professionali o attività di prevenzione? Si No Perché?

………………………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………

10. Il percorso con il servizio per le dipendenze l’ha aiutata a riflettere su alcuni

aspetti della sua vita? Si no Quali?

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11. È stato integrato/coinvolto anche il suo nucleo familiare? Si no Se si, come? ………………………………………………………………………………………………………………………

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12. Quali sono le maggiori difficoltà che ha incontrato?

…………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………

La valutazione al servizio delle dipendenze è stato una parte del programma di trattamento, relativamente agli altri punti, come ad esempio il lavoro di pubblica utilità vorrei farle alcune domande.

13. Parlando del lavoro di pubblica utilità, perché crede sia stato inserito all’interno del programma di trattamento?

………………………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………

14. Come valuta l’esperienza del lavoro di pubblica utilità? Benissimo bene abbastanza bene male malissimo Perché?

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15. In base a quali criteri ha ritenuto opportuno individuare questo ente?

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16. Che mansioni ha svolto nell’ente?

………………………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………

17. Sono state soddisfacenti, era quello che si aspettava? Si No

Perché?

………………………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………

18. Il personale e l’ente dove sta svolgendo il lavoro di pubblica utilità come si è o come si sta comportando nei suoi confronti?

………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………

19. Quali sono dei punti di criticità che ha notato durante il percorso di messa alla prova e i punti di forza che crede opportuno sottolineare? Punti di forza:

………………………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………

Criticità:

………………………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………

Nel suo percorso sono intervenuti nell’esecuzione della sua misura, sia il servizio di esecuzione penale esterna che il servizio per le dipendenze.

20. Dai due servizi ha avvertito un controllo eccessivo?

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Si. Con quali modalità? No. Perché? ………………………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………

21. Dal servizio UEPE si aspettava diversi interventi o aiuti per lei? Si. No. Perché? ………………………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………

22. E dal servizio per le dipendenze? Si. No. Perché? ………………………………………………………………………………………………………………………

…………………………………………………………………………………………………

Ulteriori riflessioni:

III) Intervista assistenti sociali dell’ UEPE di Spoleto.

In seguito al “ protocollo d’intesa tra l’UEPE di Spoleto ed il dipartimento delle dipendenze della USL n.2 relativo alla gestione integrata delle sospensioni nel procedimento per messa alla prova”, vorrei proporle alcune domande.

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1. A due anni dall’entrata in vigore della legge del 28 aprile 2014, n.67 crede sia importante l’istituto della messa alla prova? Quali sono i punti di forza e debolezza?

………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………

2. Nella messa alla prova che incidenza c’è di persone con problematiche di dipendenza?

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………………………………………………………………………………………………………………………

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3. Considerato che alcuni degli obiettivi del protocollo sono la centralità della

persona utente e l’opportunità di offrire un percorso di crescita nello spazio territoriale di vita, questi temi sono stati rispettati durante le prassi operative dal vostro servizio, dal servizio per le dipendenze e dal Tribunale Ordinario?

Si. No.

Perché?

………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………

……………………

4. Per quanto riguarda la collaborazione con il Dipartimento delle Dipendenze della USL n.2, crede sia stato svolto, da entrambe le parti, un approccio di sistema che si basa sull’operatività integrata seguendo prassi condivise?

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5. C’è stata fino ad oggi una buona comunicazione che ha portato a una adeguata valutazione diagnostica multidisciplinare?

Si No

Perché?

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6. Ha notato delle differenze lavorando con il servizio per le dipendenze con soggetti imputati rispetto al lavoro che già svolgevate con gli affidati?

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7. Quali aspetti positivi e quali criticità, ha riscontrato nei rapporti tra i servizi?

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8. Relativamente alle segnalazione che ha fatto al Dipartimento delle Dipendenze: Quante per il reato di cui all’ art 186 codice della strada?

………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………..

Quante per il reato di cui all’articolo 187 del codice della strada?

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Quante con capo di imputazione di altra natura?

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9. Quando, a seguito della valutazione del servizio specialistico, si riscontra che il soggetto non ha problemi di dipendenza, ritiene che è stata comunque importante la segnalazione e la valutazione di detto servizio?

Si. No.

Perché?

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………………………………………………………………………………………………………………………

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10. Nella ipotesi di cui al punto precedente, pensa che si sia creata un’opportunità per un momento di prevenzione ? Si. No. Perché ? ………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………

……………………

È stata utile per la stesura della sua relazione? ………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………

…………………..

È stata utile secondo lei per la valutazione al tribunale? ………………………………………………………………………………………………………………………

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11. Ci sono stati dei casi che ha valutato di non segnalare?

Nessuno alcuni molti

Perché ?

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12. Ha trovato difficoltà a spiegare e relazionarsi sull’istituto della messa alla prova con i servizi per le dipendenze?

Si. No.

Perché ?

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………………………………………………………………………………………………………………………

………………………………………………………………………………………………………………………

13. È stato utile accordare una stessa procedura e uno stesso linguaggio comune nell’operatività?

Si. No.

Perché?

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14. Quali sono le principali differenze che riscontra in questo tema con il periodo prima del protocollo?

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15. Lei ritiene che il protocollo sia stato uno strumento utile allo svolgimento del suo lavoro?

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Si. No.

Perché?

Punti di forza:

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Punti di criticità:

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16. In questo anno ha visto un primo cambiamento apportato dal protocollo, ad

esempio c’è stato un maggiore aggancio verso gli imputati? Si. No. Perché?

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17. Come vede la reazione dell’imputato quando gli propone un percorso al servizio specialistico? Il soggetto la vede come opportunità o come punizione?

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18. C’è bisogno di nuovi servizi o di nuove figure che entrino in gioco per portare un valore aggiunto al protocollo?

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19. Condivide le metodologie usate dai servizi per le dipendenze in merito alla valutazione dell’imputato e ai programmi terapeutici pensati per l’imputato?

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20. Ad un anno dall’entrata in vigore del protocollo quali modifiche apporterebbe?

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21. Crede che ci siano problematiche rilevanti per il quale ci sia bisogno di un altro protocollo con altri servizi?

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Ulteriori riflessioni:

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IV) Intervista per gli assistenti sociali del servizio per le

dipendenze.

In seguito al “ protocollo d’intesa tra l’UEPE di Spoleto ed il dipartimento delle dipendenze della USL n.2 relativo alla gestione integrata delle sospensioni nel procedimento per messa alla prova”, vorrei proporle alcune domande.

1. Il protocollo ha rappresentato uno strumento per venire a conoscenza/comprendere meglio l’istituto della messa alla prova? È stato complicato entrare nel merito di questa misura per lei? ………………………………………………………………………………………………………………………

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2. C’è una differenza di approccio e metodologie usate da voi verso un imputato e verso un affidato? ………………………………………………………………………………………………………………………

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3. Grazie a questo protocollo avete agganciato al servizio nuovi soggetti, o per lo più erano già conosciuti al vostro servizio? ………………………………………………………………………………………………………………………

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4. Il protocollo ha inciso in positivo sul dialogo e sull’ integrazione tra i servizi? Si. No. Perché?

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5. Crede ci sia bisogno di attivare altri interventi, riunioni o verifiche mensili per confrontarsi e alimentare il dialogo tra i servizi? ………………………………………………………………………………………………………………………

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6. È stato utile accordare una stessa procedura e uno stesso linguaggio riguardo l’operatività? Si. No. Perché? ………………………………………………………………………………………………………………………

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7. In futuro aggiornerebbe il protocollo? Si. No. Come ? ………………………………………………………………………………………………………………………

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8. Quali sono i principali interventi che attivate quando all’interno del programma di trattamento è incluso il programma terapeutico? ………………………………………………………………………………………………………………………

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9. Quando a seguito della valutazione si è riscontrato che il soggetto non aveva problematiche di dipendenze, è stato comunque importante, anche a titolo di prevenzione il rapporto che si è istaurato con l’utente?

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………………………………………………………………………………………………………………………

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10. Con quale incidenza avete già in carico gli imputati che vi sono segnalati dall’UEPE ai sensi del protocollo?

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11. Con quale incidenza continuate ad avere in carico detti utenti anche dopo la

fine della misura?

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12. Per quanti è stato valutato necessario l’invio in comunità? ………………………………………………………………………………………………………………………

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13. Qual è il valore del protocollo a suo parere?

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Ulteriori riflessioni:

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V ) MODELLO MAP. 1 – ISTANZA DI PROGRAMMA DI TRATTAMENTO PER MESSA ALLA PROVA

Al Ministero della Giustizia Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità Ufficio Esecuzione Penale esterna di _________________ Il/la sottoscritto/a___________________________________, nato/a a _____________________________, il ________________, domiciliato/a in _______________________________________________________, via ____________________________________________________, n. __________, cap _____________, tel. _____________________ , e‐mail _________________________ CHIEDE

per se stesso; per il/la Sig.re/ra_________________________,

nato/a________________________, il____________, domiciliato/a in ___________________________________, via _________________________________, tel ________________________________, e‐mail ____________________________________________, in qualità di suo Procuratore Speciale, l’elaborazione di un programma di trattamento ai sensi dell’art. 464‐bis c.c.p. “Sospensione del procedimento con messa alla prova”, relativamente all’imputazione per il reato di ________________________________, in relazione al procedimento penale n. ____________ presso il Tribunale/GIP di ______________________ A tale fine dichiara: 1) di trovarsi nelle seguenti condizioni personali/familiari:_________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________; 2) di svolgere la seguente attività lavorativa:_______________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________; 3) di essere disponibile a svolgere il lavoro di pubblica utilità presso l’Ente/Cooperativa/Associazione ___________________________________________, in _________________________________, via _____________________________________________________, tel ___________________, e‐mail _______________________________________; 4) di essere disponibile alle seguenti azioni riparatorie per il risarcimento del danno: _______________________________________________________________________________; 5) di rendersi disponibile ad intraprendere percorsi finalizzati

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alla riparazione del danno o di mediazione con la persona offesa, secondo le modalità prescritte dal Giudice. Data ___________________ Firma _______________________ _________________________________

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Ringraziamenti.

In prima battuta sento di ringraziare me stessa, perché non è da tutti, perché non è

stato facile affrontare il percorso essendo sia una pendolare che una studentessa

con dei piccoli lavoretti. Sono veramente orgogliosa di me stessa e di questa

giornata. Milioni sono stati i momenti pieni di ripensamenti, ma fortunatamente la

famiglia, gli amici e la voglia di finire un percorso sono stati elementi sempre forti

e vivi nel mio cuore.

Voglio ringraziare il mio relatore che in un anno si è trovato ad placare ansie,

dubbi e a rispondere ad e-mail in ogni momento della giornata.

Ringrazio anche la mia correlatrice, che insieme al mio relatore, sono stati fonte di

sapere per la mia tesi.

Non posso non nominare la mia famiglia e il mio fidanzato che ogni giorno hanno

ascoltato momenti di ira, un bel pezzo di questa laurea è anche la loro. Grazie

Denisia, Pietro, Leonardo e Daniele. Ringrazio anche chi faceva già parte della

famiglia, ma dopo una giornata speciale passata alcuni mesi fa, lo è ancora di più,

grazie Ilaria.

Mi sento di ringraziare mille volte chi mi ha fatto pesare sempre poco questo

percorso offrendomi una casa romana ogni volta ne avessi bisogno, è anche grazie

a voi se sono arrivata a questo giorno, grazie Anna Chiara, Irene, Carmela,

Carmela. C, Sara e Ilaria. Ho fatto passare notti in bianco ad Anna Chiara, ogni

volta che dormivo da lei era un continuo tossire e parlare, parlare, parlare con lei

che ormai si è abituata a me dopo 20 anni; ringrazio Irene che in cambio di un

pezzo di pane, ma anche senza, era sempre pronta ad ospitarmi, mi mancherà quel

letto, comodità assoluta, ha sopportato anche il ripetere incessante ad ogni esame;

ringrazio Carmela che ha sempre provato e prova ancora a calmare quel lato

ansioso che mi contraddistingue e grazie a lei ora sono un po’ siciliana, soprattutto

dopo aver fatto degli arancini speciali; ringrazio Carmela. C che mi ha fatto

capire che ho un futuro come investigatore privato di persone e di bandi, momenti

che saranno per sempre ricordati. Vi ringrazio e vi assicuro che anche grazie a voi

il percorso è stato più bello, facile e possibile.

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Un pensiero va a Francesca C. alla quale non potrò mai smettere di dire grazie per

l’aiuto che mi ha offerto.

Non posso non nominare Viola, Simona e la già citata Anna Chiara, le amiche di

sempre che oramai sono dei punti fermi e importanti.

Ringrazio Davide, un amico a chilometri di distanza, ma sempre vicino, anche con

i suoi mille impegni.

Ringrazio Irene, Daniela e un’amicizia che come tutte ha degli alti e bassi, ma mai

si potrà scordare dei gesti importanti.

Ringrazio Ilaria, un’amica che mi insegna come dare affetto, conosciuta grazie

alla passione comune, che solo noi sappiamo veramente come si mette in pratica,

a modo nostro.

Voglio ringraziare Michele, un amico e un ballerino che in entrambe le cose sa

emozionare, Mary su cui ci sarebbe un libro da scrivere e Cecilia, anche lei

sempre pronta ad offrirmi un tetto romano in quest’ultimo periodo.

Voglio ancora ringraziare Andrea, Miriam, Veronica, Daniele.

Voglio ringraziare la danza che crea emozioni e amicizie al di là della stanza

anche dopo venti anni.

Ringrazio la Compagnia Innuendo.

Ringrazio la vita che mi ha donato tutto ciò.