universitÀ degli studi roma tre dipartimento di...
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA TRE
Dipartimento di Scienze della formazione
Corso di Laurea in Management delle politiche e dei
servizi sociali.
TESI DI LAUREA
Il ruolo del servizio sociale professionale nel nuovo
istituto della messa alla prova per adulti.
Relatore: Prof. Michele Ciarpi
Correlatrice: Prof.ssa Isabella Mastropasqua
Candidata: Francesca Coricelli
Anno Accademico 2016/2017
2
INDICE
INTRODUZIONE. .................................................................................................. 4
CAPITOLO 1 ........................................................................................................ 8
IL PROBATION E LE SUE COMPONENTI: GIUSTIZIA RIPARATIVA E
MEDIAZIONE PENALE. ...................................................................................... 8
1.2 IL PROBATION IN ITALIA.......................................................................... 15
1.3 LA GIUSTIZIA RIPARATIVA ..................................................................... 18
1.4 LA MEDIAZIONE PENALE E LE SUE FORME ........................................ 26
1.5 LA MEDIAZIONE PENALE IN ITALIA. .................................................... 32
1.6 LA VITTIMA.................................................................................................. 35
CAPITOLO 2 ...................................................................................................... 40
L’ISTITUTO DELLA MESSA ALLA PROVA PER ADULTI E IL RUOLO
DELL’ASSISTENTE SOCIALE .......................................................................... 40
2.1 DALLA VISIONE CARCEROCENTRICA A QUELLA COMUNITARIA. 40
2.2 LA MESSA ALLA PROVA PER ADULTI .................................................. 47
2.3 LA FASE DI INDAGINE E L’ELABORAZIONE DEL PROGRAMMA DI
TRATTAMENTO ................................................................................................. 51
2.4 LA FASE ESECUTIVA ................................................................................. 57
2.5 IL LAVORO DI PUBBLICA UTILITÀ......................................................... 60
2.6 CONCLUSIONE E UDIENZA DI VERIFICA .............................................. 63
2.7 ALCUNE CONSIDERAZIONI RIGUARDO LA “PROVA”
DELL’ISTITUTO DELLA MESSA ALLA PROVA........................................... 65
CAPITOLO 3 ...................................................................................................... 68
SECONDA PARTE
ITINERARIO METODOLOGICO DELLA RICERCA. ..................................... 68
3
3.1 DESCRIZIONE DEL CONTESTO DOVE SI È SVOLTA LA RICERCA:
UEPE DI SPOLETO ............................................................................................. 68
3.2 TERRITORIO DI RIFERIMENTO. .............................................................. 71
3.3 ORGANIZZAZIONE DEL SERVIZIO. ....................................................... 72
3.4 FUNZIONI E COMPITI DELL’UEPE ......................................................... 73
3.5 LA STRUTTURAZIONE DELL’ITINERARIO METODOLOGICO. ...... 74
3.6 PROTOCOLLO D’INTESA TRA L’UEPE DI SPOLETO E IL
DIPARTIMENTO PER LE DIPENDENZE. ........................................................ 78
3.7 LE IPOTESI DELLA RICERCA .................................................................. 81
3.8 GLI OBIETTIVI ............................................................................................ 83
3.9 IL CAMPIONE .............................................................................................. 83
3.10 STRUMENTI UTILIZZATI ......................................................................... 85
CAPITOLO 4 ...................................................................................................... 88
L'ANALISI DEI DATI ......................................................................................... 88
4.1 LA VALUTAZIONE DEGLI ASSISTENTI SOCIALI. .............................. 101
CONCLUSIONI ................................................................................................ 110
BIBLIOGRAFIA ............................................................................................... 118
SITOGRAFIA ................................................................................................... 120
ALLEGATI ........................................................................................................ 121
4
Introduzione.
«L’umanità mi diceva: “quella è la giustizia”. Mi suggeriva che per una vita rotta
un’altra se ne doveva andare. Non avrebbe funzionato. Non mi avrebbero punito.
Non ci sarebbe stato passo alcuno verso il ravvedimento. Se si crede che la
vendetta annienti il peccatore, si fa uno sbaglio grande, perché lo si rafforza solo
nel suo indurimento. E invece no. La vita, gli uomini, Claudia mi hanno dato
qualcosa di diverso: una condanna a venti anni e quindi una possibilità che
sentivo di non meritare. Voleva dire darmi modo di vedere quanto male davvero
avessi fatto. E dirmi: nonostante questo, vogliamo provare a credere in te. Una
botta nello stomaco. A me che in me non avevo mai creduto». «Claudia mi
parlava dicendomi chi era Antonio, mostrandomi la sua solitudine, rendendomi
capace di ascoltarla, a me che non ero capace nemmeno di ascoltare me stesso».
«Si dona qualcosa che l’altro non merita e facendolo, lo si spinge a crescere nella
responsabilità che gli si è data». Matteo Gorelli, reo dell’uccisione di Antonio
Santarelli.
L’elaborato nasce e si sviluppa all’interno dello stage di ricerca svolto presso
l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Spoleto.
La tesi qui presentata ha come elemento fondante la nuova misura di comunità:
l’istituto della messa alla prova per adulti e l’obiettivo di favorire la conoscenza e
la divulgazione di buone pratiche per una misura ancora poco svelata. È una
novità introdotta dalla legge del 28 aprile 2014, n. 67, che esenta la persona dal
procedimento penale, dovendo però rispettare un programma di trattamento che si
stila con l’assistente sociale dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (da ora in
poi UEPE). La misura è pensata per reati di minore allarme sociale. Proprio per la
sua funzione di riparazione, il programma di trattamento può richiedere azioni
riparatorie e/o esperienze di volontariato a rilievo sociale e mediazione penale,
oltre all’attività obbligatoria del lavoro di pubblica utilità. L’istituto è ancora poco
studiato e sperimentato, alcuni avvocati si presentano presso l’ufficio UEPE per
5
chiedere consulenze riguardo le procedure. È una misura di comunità che si
avvicina al probation europeo, già in corso dall’inizio del XX secolo nel Regno
Unito. Vuole essere l’inizio e il motore per nuove esperienze che possano
includere anche reati di diversa e maggiore entità, se vi sono i presupposti di non
pericolosità sociale nella personalità del reo. La messa alla prova porta con sé una
giustizia che si affianca a quella classica e prende il nome di restorative justice,
una giustizia senza spada1 che si esplica attraverso la mediazione.
Nella cronaca nera dell’Italia vi è un esempio emblematico della “nuova”
(virgolettato dell’autrice) Giustizia di cui si parla.
Il 25 aprile 2011, un ragazzo al ritorno da una festa, fu fermato ad un posto di
blocco da due poliziotti che fecero a costui l’alcol test. Il giovane risultò positivo,
aggredì per diverse volte uno dei poliziotti che dopo un anno di coma morì. La
madre del reo dopo il fatto scrisse una lettera alla vittima secondaria del reato, la
moglie del poliziotto. Vi sarà un incontro che, tempo dopo, tra le due donne darà
luogo alla creazione dell’associazione AmiCainoAbele,2 uno sportello che crea
uno spazio di ascolto comune per le famiglie dei rei e delle vittime. Dopo un
lungo percorso la moglie della vittima ha effettuato vari incontri con il colpevole,
una mediazione penale che ha aiutato ad riflettere e a trovare risposte importanti
nell’altro. La storia è l’esempio di cosa sia una Giustizia che crea legami e non li
spezza. Si crede opportuno provare a leggere questi capitoli con il seguente
quesito: dal male e dall’isolamento può nascere il bene? Siamo pronti a vedere la
reclusione solo come extrema ratio e per individui con livelli di pericolosità
sociale elevata?
La trattazione si articola principalmente in due sezioni. La prima parte, di
carattere teorico, offre un riferimento concettuale di teorie e strumenti del sistema
di probation che hanno dato vita all’istituto della messa alla prova, tema che verrà
trattato approfonditamente nella seconda parte attraverso una ricerca svolta
nell’ambito dello stage.
1 Il termine si riferisce alla rappresentazione iconografica di Giustizia.
2 “L’associazione Amicainoabele promuove un’altra strada, la stessa dove-Caino e Abele-possano
provare a prendersi per mano. Una via alternativa, la via del perdono, della riconciliazione,
dell’amore.” Questa è la frase che le due signore usano nella pagina web per descrivere la loro
associazione.
6
La prima parte è costituita dai primi due capitoli e si propone un’analisi del
probation fin dalla sua nascita nei diversi paesi europei e in Italia, individuando le
nuove linee di indirizzo di politica degli ultimi anni che fanno intravedere lo
spazio per la nuova Giustizia, la giustizia riparativa. In particolare, vengono
illustrate le strategie di intervento e gli strumenti innovativi, come la mediazione
penale e tutte le forme che pongono in un nuovo ruolo il reo, la vittima e la
comunità di riferimento.
Nel secondo capitolo si introduce una storia del pensiero e della funzione del
carcere e delle pene fin dal tempo della Bibbia, per far capire come si è arrivati al
focus della tesi, il nuovo istituto della messa alla prova per adulti. Entrando, anche
se non a pieno titolo, in quello che è il probation, la messa alla prova è piena
anche di spunti e fini riparativi. Nel dettaglio attraverso la legislazione e la pratica
svolta nelle ore di stage viene tratteggiato il percorso della nuova misura di
comunità che comprende diverse fasi e diversi attori. Dal momento di indagine
alla fase esecutiva e fino alla conclusione del percorso si deve promuovere un
lavoro di rete efficiente che va dall’imputato, all’avvocato, al giudice,
all’assistente sociale, ai servizi territoriali specifici, all’ente dove si svolgerà il
lavoro di pubblica utilità, il volontariato e al centro di mediazione. In questo
percorso vi sono figure sempre stabili a cui si riferisce il lavoro: il reo, la vittima e
la comunità. Più nello specifico, viene tratteggiato il ruolo dell’assistente sociale
quale attivatore di processi di riparazione nell’imputato e mediatore tra i diversi
attori, quali il tribunale, gli enti, la vittima e la famiglia sia del reo che della
vittima. Il compito di integrazione tra i servizi è strutturato e formalizzato anche
attraverso protocolli d’intesa, elemento di ricerca della seconda parte
dell’elaborato.
La seconda sezione è composta da due capitoli, il primo specifica qual è stato il
percorso metodologico seguito per realizzare la ricerca, mentre l’ultimo analizza i
dati che sono stati raccolti attraverso le interviste semi-strutturate agli utenti e agli
assistenti sociali dell’UEPE di Spoleto e dei SER.T del territorio.
Più in particolare, viene presentato un approfondimento relativo al protocollo
d’intesa tra l’UEPE di Spoleto e il Dipartimento dell’USL N.2 relativo alla
gestione integrata delle sospensioni del procedimento per messa alla prova.
7
Successivamente attraverso le ipotesi formulate, gli obiettivi, il campione scelto e
gli strumenti utilizzati viene presentata la sistematizzazione della ricerca che verte
sull’analisi dei punti di forza e i punti di criticità del protocollo ad un anno dalla
sottoscrizione.
Per valutare ciò, sono state somministrate dieci interviste agli imputati destinatari
del protocollo e sette alle figure professionali che lo hanno sottoscritto e che
hanno lavorato per la sua effettiva realizzazione.
8
Capitolo 1
Il probation e le sue componenti: giustizia riparativa e
mediazione penale.
“Se il servizio di Probation giunge ad essere visto come servizio che si occupa dei
bisogni dell’autore di reato più che di quelli della comunità che l’ha subito,
nessun equilibrio può essere raggiunto ed il servizio è destinato a perdere
credibilità3”
1.1 Il probation e le sue sfaccettature in Europa.
Il padre del probation è considerato John Augustus, importante calzolaio di
Boston. Probabilmente per il fatto che era un membro della Washingtonian Total
Abstinence Society4, fondata da sei ex-alcolisti, credeva che la riabilitazione di un
alcolista non doveva passare per prigioni o simili istituzioni, la convivialità e le
esperienze di dialogo erano sicuramente pratiche che al meglio favorivano la
ripresa del soggetto. Codeste considerazioni lo hanno portato nei tribunali di
Boston e nel 1841 il Giudice gli affidò in prova per tre settimane un’alcolista a cui
fece svolgere ciò che oggi chiameremo lavoro di pubblica utilità, nella sua attività
di calzature. Dopo tre settimane Augustus portò davanti al Giudice l’imputato
completamente sobrio. Per i seguenti 18 anni J.A. condusse una carriera come
volontario del probation officer5.
L’esecuzione in area penale esterna di sanzioni e misure, ovvero il probation,
nasce nel XIX secolo in America e nel principio concerneva una sospensione di
una pronuncia di condanna a pena detentiva, cioè un periodo di prova in cui
l’imputato ha ricevuto una responsabilità penale, ma non gli è stata inflitta una
3 Seminario internazionale sul probation di Malta del 1997 tratto da S.Nasca.
4 M. A. Maxwell, The Washingtonion movement, alla pagina web
http://silkworth.net/washingtonians/washingtonian_movement.html 5 Nyc Probation, History of probation, alla pagina web www.nyc.gov.
9
condanna e vive il periodo di “libertà assistita controllata” con la verifica degli
operatori dei probation officer6.
In Europa lo sviluppo del probation prende piega nel secondo dopoguerra. In
questo periodo si vuole dare un nuovo valore al detenuto e alla pena, una funzione
risocializzante e rieducativa. Il sistema pone l’attenzione alla salvaguardia del reo
come persona, quindi con diritti e doveri inalienabili da salvaguardare. Negli
uffici di probation vi sono persone a cui è richiesta una formazione specifica
perché devono interagire con l’autorità giudiziaria, utilizzando le diverse
competenze per affrontare la difficile scelta di concedere una sanzione di
comunità. Il probation descrive l’esecuzione in area penale esterna di sanzioni e
misure definite dalla legge e pronunciate nei confronti di un autore di reato7. Essa
consiste in tutta una serie di attività e di interventi, che comprendono
supervisione, consiglio ed assistenza allo scopo di reintegrare socialmente l’autore
di reato nella società e di contribuire alla sicurezza pubblica8. Le attività e le
sanzioni di cui si parla sono diverse nei Paesi dell’Unione Europea, ma ognuno
rispetta e si prefissa il fine di reinserire il reo nella società, lavorare nella
comunità, richiamare interventi di giustizia riparativa, quindi porre al centro anche
la vittima del reato.
In Inghilterra, Galles e Irlanda del Nord, gli operatori sono laureati in social work,
per noi servizio sociale, e hanno diverse specializzazioni universitarie nella
materia del probation. È forse questo il motivo per cui in questi paesi la pena
detentiva è data solo se non ci sono i presupposti per applicare una sanzione di
comunità? Le misure di comunità presenti in queste nazioni sono9:
6 Slide Prof. Michele Ciarpi, Università di Romatre.
7 Probation in Europa e in Italia, alla pagina web www.ministerodellagiustizia.it.
8 Definitions Probation: relates to the implementation in the community of sanctions and measures,
defined by law and imposed on an offender. It includes a range of activities and interventions,
which involve supervision, guidance and assistance aiming at the social inclusion of an offender,
as well as at contributing to community safety. Recommendation CM/Rec(2010)1 of the
Committee of Ministers to member states on the Council of Europe Probation Rules (Adopted by
the Committee of Ministers on 20 January 2010 at the 1075th meeting of the Ministers’ Deputies). 9 M. Ciarpi, R. Turrini Vita, Le trasformazioni del probation in Europa, Roma, passim.
10
Il probation order: è la prima sanzione di comunità10
, il periodo va dai sei
mesi ai tre anni e il destinatario non può avere meno di 16 anni. Il giudice
prima di applicarla consulta la valutazione dei funzionari degli uffici di
probation riguardo l’indagine sulla personalità. Se non vi è il rispetto delle
prescrizioni il tribunale può fermare la misura e ricorrere anche al carcere;
Il community service order: il giudice prevede un periodo di ore lavorative
che va da un minimo di 40 ore a un massimo di 300 e consistono in
un’attività a favore della comunità di riferimento, o della vittima. La
misura presuppone un accordo stipulato tra l’autore del reato e i
professionisti del Probation Service che devono far pervenire al giudice
anche l’indagine riguardo la situazione del soggetto. L’interruzione della
sanzione avviene se i punti che sono stati concordati con il soggetto e di
cui ha preso visione il giudice non vengono rispettati;
Combination Order: è stato introdotto in Inghilterra, Galles e Irlanda del
Nord nel 1992, il periodo della misura può variare da un anno a tre anni e
il lavoro di pubblica utilità parte da un minimo di 40 ore fino ad un
massimo di 100;
Supervision Order: il funzionario del probation office, nonché il social
worker promuove una forte integrazione con gli altri servizi del municipio
per la buona riuscita della misura. L’ordine può durare un anno e in casi
eccezionali anche tre anni.
Nel 2014 in Inghilterra e in Galles è stato riformato il sistema dell’esecuzione
penale esterna ed ora è gestito da due organi, uno pubblico, National probation
service, e uno privato, Community Rehabilitation Companies11
.
L’indagato in Inghilterra di norma non è sottoposto a carcerazione come misura
principale, si predilige la libertà su cauzione12
.
Un altro paese che è un ottimo esempio in materia di esecuzione penale esterna è
la Scozia.
10 A. Menghini, Misure Alternative, Spagna; Francia, Inghilterra e Germania, allegato6 tavolo14,
alla pagina web www.misterodellagiustizia.it. 11
M. Ciarpi, R. Turrini Vita, Le trasformazioni del probation in Europa, Roma, p. 75. 12
G. Torrente le fonti normative sovranazionali e il sistema di probation, slide convegno Roma 28
novembre 2016.
11
In Scozia vengono istituiti gli uffici predisposti per l’attuazione di questo sistema
nel 1949, in seguito alla legge Criminal Justice13
. La Scozia ha puntato molto su
questo nuovo ramo della giustizia, offrendo alle assistenti sociali già presenti una
specifica formazione su questi temi. Cosa più importante è che nel 1991 si
elencano gli obiettivi che il governo di Edimburgo stabilisce nel National
Criminal Justice Social Work Service14
accrescendo la fiducia della comunità
scozzese verso il sistema giudiziario:
l’impegno è di diminuire il ricorso alla detenzione;
differenziare le sanzioni di comunità per i diversi reati;
promuovere percorsi in favore della comunità non solo per reati di lieve
allarme sociale;
mettere in azione le risorse della comunità in favore del percorso del reo;
attivazione dei servizi del territorio per un sistema integrato;
la vittima deve avere un ruolo attivo nel percorso;
pianificare il lavoro su attività che mirino a bloccare la replicazione del
fatto15
.
Tutto questo è applicato grazie anche ad uno Stato principalmente con welfare
comunitario.
Il Consiglio d’Europa nei diversi anni ha elencato diversi principi e linee guide
essenziali e utili per la realizzazione del sistema di probation.
I principi fondamentali descritti dal Consiglio d’Europa sono presenti nella
Raccomandazione R(2010)1 del Comitato dei Ministri agli Stati Membri sulle
Regole del Consiglio D’Europa in materia di probation e sono:
ridurre la recidiva attraverso la presa in carico effettiva del reo da parte
degli uffici di probation, quale l’ufficio di esecuzione penale esterna per
l’Italia, quindi attivare percorsi per raggiungere un positivo reinserimento
sociale;
13 M. Ciarpi, R. Turrini Vita, Le trasformazioni del probation in Europa, Roma, p. 75.
14 Scottish Government, National Outcomes and Standards for Social Work Service in the
Criminal Justice Sistem, Edinburgh, 2010. 15
M. Ciarpi, R. Turrini Vita, Le trasformazioni del probation in Europa, Roma, p. 75.
12
i servizi di probation devono mettere al centro il reo come persona, la sua
dignità, la salute e il benessere;
al centro del probation vi è la vittima, il rispetto e l’attenzione per i suoi
bisogni;
le misure che rientrano nel probation hanno dei programmi
individualizzati per ogni diversa persona per garantire equità. Inoltre non
vi è discriminazione di ogni tipo o situazione;
non vi è l’autonomia per i servizi di probation di aggiungere prescrizioni
aggiuntive a quelle decise dall’autorità giudiziaria;
i funzionari del probation cercano di attivare un percorso collaborativo,
ogni decisione è presa con il consenso del reo;
ogni attività che si compie prima della colpevolezza definitiva non deve
essere dannosa per la presunta innocenza;
i servizi, le loro finalità e i rapporti con le autorità giudiziarie sono definite
dalla legge del paese dove si esercita;
la responsabilità del probation è del servizio pubblico, pur se alcuni servizi
sono prestati da enti privati o di volontariato;
questi servizi sono gestiti per le loro finalità e sono dotati di risorse
sufficienti;
il giudice si avvale del lavoro dei funzionari del probation per far si che si
diminuisca la recidiva e si aumenti l’uso delle misure alternative;
per rispondere sia alle necessità del reo che della comunità di riferimento
si avvia un progetto multidisciplinare che coinvolge diversi servizi e parti
della società;
il lavoro è svolto nel rispetto delle norme nazionali e internazionali;
le procedure devono essere efficaci, imparziali e accessibili per la possibile
presenza di reclami;
vi è un controllo da autorità indipendente o da ente governativo;
nei servizi vi è la propensione per la ricerca scientifica per orientare le
procedure e le nuove leggi concernenti la materia;
13
attraverso attività di pubblicizzazione del servizio e dei suoi esercizi, si
deve far intendere alla comunità il vantaggio di queste procedure per la
società di riferimento16
.
Il contenimento della recidiva è un punto fondamentale e non deve essere cosa
separata dall’attenzione ai diritti fondamentali del reo17
.
Il Regno Unito nel 2002 mise in atto un modello chiamato l’Oasys, Offender
Assessment System, cioè un sistema di valutazione del reo, utilizzato dagli uffici
di probation per valutare e analizzare i livelli di rischio di recidiva e di bisogno
nei soggetti che scelgono una misura di probation18
. Con questo strumento si
misura la possibilità di ricaduta collegata a comportamenti che sono considerati
illeciti e si riesce a valutare attraverso le criticità cognitive e comportamentali
quali sono le maggiori difficoltà del soggetto. Le informazioni sono indispensabili
anche per la giusta analisi e rivisitazione del programma di trattamento. Lo
strumento è composto da 13 parti, tutte visionate e redatte dai professionisti del
settore, per gli utenti in probation e per i detenuti anche se con meno frequenza19
.
Le 13 sezioni riguardano temi quali: l’informazioni sull’autore del reato,
sull’abitazione, la formazione professionale e l’occupazione, la situazione
economica, le relazioni, lo stile di vita, l’abuso di alcol o di sostanze stupefacenti,
la situazione emotiva, ciò che pensa e come si comporta, l’atteggiamento e
condizioni di salute. Le sezioni sono analizzate in relazione all’elemento della
pericolosità sociale.
Un simile strumento è presente anche nella repubblica d’Irlanda.
In Italia molte università hanno fatto studi e ricerche sul tema della pericolosità
sociale, ma nei nostri uffici di probation non vi è ancora uno standard unitario per
valutarla adeguatamente. Il fatto rende più arduo il compito dei professionisti nel
redigere programmi di trattamento per misure di comunità. Per far sì che in l’Italia
16 Consiglio d’Europa, Raccomandazione R(2010)1 del Comitato dei Ministri agli Stati membri
sulle Regole del Consiglio d’Europa in materia di probation, alla pagina web
http://www.rassegnapenitenziaria.it/cop/119.pdf 17
M. Ciarpi, Scenari progettuali per l’esecuzione penale esterna in Italia, alla luce delle regole
europee del probation R(2001) 1, in Ministero della Giustizia, Nuove esperienze di Giustizia
Minorile e di Comunità, Roma, 2015, p. 128. 18
Ibidem. 19
Ivi, p. 130.
14
si raggiunga il livello di probation ottenuto nel Regno Unito è essenziale la
formazione degli operatori di questo settore, che sono promotori di un
cambiamento e rendono effettiva la giusta applicazione delle misure. Un’attenta
formazione dà spazio a momenti di studio che rendono capace il professionista di
pensare e riorganizzare il servizio. Un progetto che in Italia è stato all’interno
degli UEPE per favorire avviato una multi - professionalità all’interno degli uffici
di esecuzione penale e un’attenta analisi della pericolosità sociale si chiama Mare
aperto, acronimo di Migliorare le attività di reinserimento degli affidati per
trasmettere opportunità20
. Il progetto rafforzò il numero degli operatori e li
indirizzò verso i fini propri del probation. L’idea era quella di dare più valore alla
figura dello psicologo, assegnandogli un monte ore variabile a seconda della sede
di riferimento21
. In questo modo lo psicologo sarà ancora presente negli uffici di
esecuzione penale esterna, figura entrata a pieno titolo in questo campo nel 2001 e
nel 2006. Ciò non significa che l’aumento delle ore di lavoro con questa figura
professionale deve far diminuire la collaborazione con gli psicologi dei servizi
territoriali specialistici. La giusta collaborazione deve comprendere ogni parte
della rete dei servizi per garantire una eccellente presa in carico della persona.
Come è già detto questi nuovi approcci nascono da una palese richiesta della
comunità che sempre più insicura richiede allo Stato di intervenire diversamente
per contrastare il fenomeno sociale della criminalità.
La raccomandazione (92) 16 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa,
relativa alle norme europee sulle sanzioni e le misure applicate nella comunità,
fornisce la seguente definizione di misura e sanzione di comunità: «sanzioni e
misure che mantengono il condannato nella comunità ed implicano una certa
restrizione della sua libertà attraverso l’imposizione di condizioni e/o obblighi e
che sono eseguite dagli organi previsti dalle norme in vigore. tale nozione
designa le sanzioni decise da un tribunale o da un giudice e le misure adottate
prima della decisione che impone la sanzione o al posto di tale decisione, nonché
20 Misure alternative-Sessanta psicologi negli uffici di esecuzione penale esterna, alla pagina web
www.ministerodellagiustizia.it. 21
Il progetto è nato nel 2009 ed è stato rinnovato nel 2012, Ministero della Giustizia, Mare Aperto,
rinnovo, alla pagina web www.ministerodellagiustizia.it.
15
quelle consistenti in una modalità di esecuzione di una pena detentiva al di fuori
di uno stabilimento penitenziario».
Un caso eclatante è relativo alla Catalogna: per quanto riguarda le misure di
comunità non vi sono distinzioni riguardo la gravità dei reati, ogni sentenza
detentiva può essere sospesa o sostituita con misure di comunità22
.
Il diffondersi delle scienze sociali, le pressioni dei legislatori di impiegare in
modo più opportuno le risorse economiche, il rispetto della sicurezza sociale per
rispondere all’insoddisfazione della comunità e il bisogno di diminuire la recidiva
sono da considerarsi alleati per il diffondersi del probation, quindi l’aumento delle
sue applicazioni. Nel nostro paese si può parlare di un inizio di probation e di
nuovo modi di pensare nel 1948 quando la Costituzione Italiana introduce il
termine rieducazione del condannato.
Ma quale è l’applicazione del probation in Italia?
1.2 Il probation in Italia.
Trova collocazione in un primo momento nel sistema della giustizia minorile,
attraverso le prime esperienze del servizio sociale nel campo della giustizia penale
esterna negli anni quaranta23
. La legge del 20 luglio 1934 n 1409 Istituzione e
formazione del tribunale per i minorenni, istituisce i tribunali per i minorenni e vi
è la possibilità di affidare i minori in libertà vigilata ad il servizio sociale che deve
lavorare insieme al minore per provvedere alla rieducazione. I funzionari di
servizio sociale iniziano a farsi spazio e il loro ruolo viene in minima parte
riconosciuto. «1. Composizione dei centri di rieducazione per minorenni. Gli
istituti o servizi dipendenti dal Ministero di grazia e giustizia, destinati in ciascun
22 R. Palmisano, realizzazione di un sistema di probation, alla pagina web
http://www.rassegnapenitenziaria.it/cop/898145.pdf. 23
C.A. Romano Declinazione e Applicazione del Concetto di Probation in Italia
Intervento al convegno internazionale Alternatives to Imprisonment, Milano 2015Alternative to
imprisonment- alla pagina web www.youtube.com.
16
distretto di Corte d'appello alla rieducazione dei minorenni irregolari per
condotta o per carattere, al trattamento ed alla prevenzione della delinquenza
minorile, costituiscono il centro di rieducazione per minorenni. Possono in
particolare essere compresi fra gli istituti e servizi predetti: 1) istituti di
osservazione; 2) gabinetti medico-psico-pedagogici; 3) uffici di servizio sociale
per minorenni; 4) case di rieducazione ed istituti medicopsico-pedagogici; 5)
«focolari» di semi-libertà e pensionati giovanili; 6) scuole, laboratori e ricreatori
speciali; 7) riformatori giudiziari; 8) prigioni-scuola».
«23. Libertà vigilata. Presso il tribunale per i minorenni è tenuto un elenco delle
persone e degli istituti di assistenza sociale che si dichiarano disposti a
provvedere all'educazione o alla assistenza dei minori sottoposti a libertà
vigilata»24
.
Già in questa sede il progetto educativo per il minore prevedeva l’incontro con la
vittima del reato.
Dare valore al servizio sociale, nel campo della giustizia, significa, a parere della
scrivente, concepire la giustizia in un’ottica molto più ampia, pensare che la
giustizia è fatta di rei e di vittime, ma prima di tutto di persone e individui. Il
servizio sociale è il promotore di questo processo, insieme agli altri individui che
compongono gli uffici di probation.
La Costituzione apportò un grande cambiamento, l’Assemblea Costituente nel
1948 nell’art. 27 pone il focus della pena sulla rieducazione. Nel 1975, con la
riforma del sistema penitenziario vengono introdotte misure alternative alla
detenzione tra le quali: l’affidamento in prova ai servizi sociali e la detenzione
domiciliare. È qui che i principi quali l’individualizzazione del trattamento25
,
l’osservazione26
e l’istituzione dei C.S.S.A. sono stati introdotti.
24 Istituzione e funzionamento tribunale per i minorenni, alla pagina web
http://www.tribmin.reggiocalabria.giustizia.it/doc/normativa/r.d.l.%201404-1934_2.pdf. 25
14: « Assegnazione, raggruppamento e categorie dei detenuti e degli internati. Il numero dei
detenuti e degli internati negli istituti e nelle sezioni deve essere limitato e, comunque, tale da
favorire l'individualizzazione del trattamento». 26
«Il trattamento penitenziario deve rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun
soggetto. Nei confronti dei condannati e degli internati è predisposta l'osservazione scientifica
17
Con la legge del 1 agosto 2003, n.207 si introduce la sospensione condizionata
dell’esecuzione della pena, “l’indultino”. La tipologia usata in Italia è quindi il
probation penitenziario: vi è una condanna da parte del Giudice, quindi
l’applicazione avviene nella fase esecutiva27
.
Quello di cui si vuole parlare in queste pagine è relativo agli strumenti del
probation, la giustizia riparativa e la mediazione penale e di come in Italia trovano
spazio.
È nel 2014 che l’Italia si avvicina veramente al probation europeo con la sanzione
di comunità per eccellenza che introduce il probation giudiziale che era stato
estraneo fino a quel momento in Italia.
Probation giudiziale significa che le attività si vanno ad eseguire tutte al di fuori
del procedimento penale, infatti si parla di sospensione del processo penale. Vi si
differenzia dal probation penitenziario in quanto non vi è nel nuovo istituto una
condanna definitiva e lo strumento non si applica solo nella fase esecutiva.28
L’esperimento deve essere di stimolo, si spera, per nuove misure, o per aumentare
la tipologia di reati che possono rientrare in questa misura. Si devono diffondere
gli elementi di cui la scrivente ora parlerà: la giustizia riparativa e la mediazione
penale. L’impegno deve partire da ogni individuo, innanzitutto formando sempre
al meglio su questo campo avvocati, assistenti sociali, psicologi anche attraverso
corsi e master che si stanno diffondendo per formare i mediatori penali. Se non vi
è il lavoro del UEPE, che in questo momento storico è in grave crisi, si può
parlare di messa alla prova, ma solo a livello teorico, perché la misura non riesce
ad essere applicata nei giusti modi per realizzare la giustizia riparativa29
.
della personalità per rilevare le carenze fisiopsichiche e le altre cause del disadattamento sociale.
L'osservazione è compiuta all'inizio dell'esecuzione e proseguita nel corso di essa». 27
www.ministerodellagiustizia.it. 28
G. Tabasco, La sospensione del procedimento con messa alla prova degli imputati adulti,
file:///C:/Users/casa/Downloads/5.1.Orientamenti.Sospensione.messa_.alla_.prova_.Tabasco1%20
(1).pdf. 29
C. A. Romano, Declinazione e applicazione del concetto di probation in Italia,
https://www.youtube.com/watch?v=F6lNC4IOCJo&t=497s.
18
Mettendo a confronto il probation in Italia e negli altri Stati europei, fino al 1
gennaio 2015, specificatamente Francia e Regno Unito, notiamo la seguente
situazione:
Francia: 237.643 persone in carico, 72,4% in servizi probation, 27,6%
detenuti;
Regno Unito: 301.386 persone in carico, 72% gli incaricati agli uffici di
probation, 28% i detenuti;
Italia: 88.806 le persone in carico, il 38,2% in carico agli UEPE, il
60,2%30
.
I numeri mostrano essenzialmente come l’Italia ha ancora un percorso molto
lungo da fare, ma senz’altro l’istituto della messa alla prova è un importante inizio
per una Giustizia italiana che guarda alla comunità, quindi verso nuovi approcci.
Ora resta ai professionisti e tutti gli operatori che collaborano in questa misura e
nel sistema di giustizia creare una forte rete sinergica tra di loro e con il terzo
settore, nonché con la società. Il passaggio è un passo per creare nuove sanzioni di
comunità, quindi per dare ai legislatori nuovi spunti normativi, grazie ad una
sinergica collaborazione.
1.3 La giustizia riparativa.
«Tra i problemi c’è certamente quello della Giustizia, del diritto dei cittadini a
una giustizia giusta e all’effettivo rispetto della loro dignità se colpiti da sanzioni
per imputazioni o condanne»31
.
La Giustizia iconograficamente è rappresentata da una figura femminile bendata
che con la mano sinistra regge una bilancia mentre alla destra impugna una spada.
La benda è l’imparzialità della Giustizia e appare alla fine del XV secolo.
30 E. V. Petralla Coordinatore Direzione Generale Esecuzione penale Esterna, Corso di
aggiornamento - “La nuova organizzazione dell’Esecuzione Penale Esterna con particolare
riferimento ai recenti aggiornamenti normativi. 31
Discorso del presidente della repubblica del 28 luglio 2011.
19
La bilancia è il simbolo dell’uguaglianza, mentre la spada deve essere interpretata
in base a come viene raffigurata.
Si può avere una giustizia senza spada32
?
La giustizia riparativa e la sua ramificazione principale, la mediazione, prova a
disegnare una nuova figura di Giustizia.
La giustizia classica, ha creato un’insoddisfazione nella comunità per quanto
riguarda gli esiti: sta perdendo di credibilità per le scelte, il controllo del crimine e
il tasso della recidiva è in continuo aumento33
.
«La giustizia bendata dà l’idea di una giustizia che non vuole vedere tutto quello
che succede in termini di sofferenza, quando viene commesso un reato»34
.
Per sofferenza intendiamo un sentimento proprio sia del reo che della vittima. La
giustizia classica taglia i legami e non ricostruisce tutto quello che è stato
danneggiato dal reato, non curandosi delle fratture emotive create da questo.
La giustizia penale si è sempre focalizzata sul reo, il protagonista del fatto,
ponendo la vittima nel ruolo di “attore secondario”, creando un rapporto bilaterale
tra lo Stato e il reo. Il paradigma riparativo invece mette al centro del percorso la
vittima. Si sta assistendo al passaggio da una logica riabilitativa reocentrica ad un
modello di giustizia relazionale, dove al centro non c’è più solo il reo, ma anche la
vittima e la comunità35
.
Nella giustizia italiana il rapporto tra reato e pena è stato messo in discussione con
la riforma dell’ordinamento penitenziario, che introduce le misure alternative alla
detenzione e le successive leggi che hanno modificato e ampliato il sistema
penale. Il processo penale non è visto più solo come percorso per esplicare la
sanzione e la diade “reato/pena” viene sostituita con quella
“conflitto/riparazione”. Il conflitto lede il tessuto sociale di una determinata
comunità, che necessita di un opportuno percorso di recupero per un’effettiva
riparazione. Per pensare a una giustizia alternativa alla dicotomia “reato/sanzione”
ci si rifà al percorso di mediazione presente nelle comunità africane o
32 G. Mannozzi, La Giustizia senza spada, Milano, 2003, passim.
33 Ibidem.
34 I. Mastropasqua, La giustizia riparativa, alla pagina web https://youtu.be/4K2_Pn2RFXE.
35 C. Galavotti, Vittime fragili e servizio sociale. Teorie, percorsi e prassi operative per
l’assistenza sociale, Santarcangelo di Romagna, 2006, p. 153.
20
centroamericane. Un riferimento importante è lo studio di Gibbs sulla mediazione,
“moot”, nella comunità Kpelle della Liberia36
. Quando avviene il conflitto la
popolazione è parte attiva del processo, le controversie sono risolte in modo
informale e gestite dagli anziani della città37
. In queste ed altre comunità vi è una
soluzione del conflitto informale, una gestione sostanziale della vita quotidiana
tutto ciò ha una valenza terapeutica propria del processo di mediazione e punta
alla ricostruzione dell’armonia e della sicurezza sociale all’interno del contesto di
riferimento. Ovviamente queste pratiche devono essere contestualizzate, però
sono comunque un contributo importante per la giustizia riparativa. Vi sono
diverse correnti di pensiero dove si annuncia ormai l’allontanarsi dall’epoca della
pena detentiva. Secondo la corrente moderata dell’abolizionismo il diritto penale
resta materia a cui rifarsi, ma solo per reati obiettivamente pericolosi38
.
La prima volta che il termine ristorative justice, ovvero giustizia riparativa, venne
nominato fu nel 1977, quando lo psicologo Albert Eglash39
riconobbe tre modelli
di giustizia penale: retributivo, distributivo e riparativo; infatti è proprio alla fine
degli anni Settanta che si segna la nascita di questo nuovo paradigma40
.
All’interno di tutte le definizioni di giustizia riparativa si trova il riferimento alla
vittima, quale destinatario principale del fatto.
La vittima è innanzitutto colei che prova dolore, sofferenza o subisce danni a
seguito del reato commesso da una persona terza. Sono presenti diversi tipi di
vittima: attiva, passiva, accidentale o simbolica. Non meno importanza si dà alle
vittime secondarie, coloro che indirettamente risentono del reato, come i
famigliari della vittima o del reo o la comunità stessa.
«La giustizia riparativa può essere vista come un modello di giustizia che
coinvolge la vittima, il reo e la comunità nella ricerca di una soluzione che
promuova la riparazione, la riconciliazione e il senso di sicurezza collettivo»41
.
36 G. Mannozzi, La giustizia senza spada, Milano, 2013, p.30.
37 G. Mannozzi, La giustizia senza spada, Milano, 2013.
38 V. Ruggiero, L’abolizionismo penale è possibile, ora e qui, alla pagina web
www.lavocedifiore.org. 39
L. Mirsky, Albert Eglash and Creative Restitution: A Precursor to Restorative Practices, IIRP. 40
V. Ruggiero, L’abolizionismo penale è possibile, ora e qui, alla pagina web
www.lavocedifiore.org.
21
È la definizione di Howard Zher, criminologo americano e uno dei maggiori
esponenti di questo filone. Il professore nel suo libro The Little Book of ristorative
justice, sottolinea come «la giustizia riparativa non riguarda principalmente il
perdono o la riconciliazione»42
.
Secondo l’autore la giustizia riparativa non può essere intesa come mediazione
perché presuppone l’ammissione di responsabilità del reo e un equilibrio neutro
che non può verificarsi in casi di violenza o stupro, dove magari la vittima non
vuole presentarsi. Ci esorta a parlare di conferenza, dialogo o comunicazione più
che di mediazione.
Il nuovo approccio deve invitare al dialogo e alla comunicazione che parte dal
basso, in una logica bottom-up, per risolvere i problemi della comunità stessa.
Commettere un reato non crea conseguenze negative solo nei confronti di colui
che lo ha commesso, ma anche all’interno della rete delle persone care al reo e
alla comunità di cui fa parte.
La giustizia riparativa non si vuole sostituire alla giustizia classica, ma si vuole
affiancare e offrire dei nuovi spazi.
Il nuovo assetto della giustizia si formalizza sempre più con l’istituzione nel 2002
della Commissione di Studio su Mediazione Penale e Giustizia Ripartiva e nel
2009 dell’Osservatorio permanente per la giustizia ripartiva e la mediazione
penale. Con il D.M 8 maggio 2015 e D.M. 9 giugno 2015 si costituisce il
Comitato degli esperti degli Stati Generali sull’esecuzione penale composta da 18
tavoli tematici43
. Gli Stati generali rappresentano una novità importante, si vuole
portare il modello esecutivo delle sanzioni a raggiungere lo standard dell’art. 27
comma 3 della Costituzione. Gli Stati generali comprendono 18 tavoli tematici, in
42 H. Zehr, A. Gohar, The little book of restorative Justice, 2002.
43 Tavolo 1,spazio della pena: architettura e pace; tavolo 2, vita detentiva. responsabilizzazione del
detenuto, circuiti sicurezza; tavolo 3, donne e carcere; tavolo 4, minorità sociale, vulnerabilità,
dipendenze; tavolo 5, minorenni autori di reato; tavolo 6, mondo degli affetti e territorializzazione
della pena; tavolo 7, stranieri ed esecuzione penale; tavolo 8, lavoro e formazione; tavolo 9,
istruzione, cultura, sport; tavolo 10, salute e disagio psichico, tavolo 11 misure di sicurezza; tavolo
12, misure e sanzioni di comunità; tavolo 13, giustizia riparativa, mediazione e tutela delle vittime
di reato; tavolo 14, esecuzione penale: esperienze comparative e regole internazionali; tavolo 15,
operatori penitenziari e formazione; tavolo 16, trattamento. ostacoli normativi
all’individualizzazione del trattamento rieducativo; tavolo 17, processo di reinserimento e presa in
carico territoriale, tavolo 18, organizzazione e amministrazione dell’esecuzione penale.
22
questa trattazione si approfondirà il tavolo 13, Giustizia ripartiva, mediazione e
tutela delle vittime, che rappresenta un approccio integrato per la creazione di
modelli riparatori anche attraverso lo strumento della mediazione. L’approccio
integrato e multidisciplinare è proprio di questa nuova apertura, in quanto, non si
è solo nell’area pura del diritto, ma della giustizia che comprende anche temi di
natura psicologica, sociologica, delle scienze criminologhe e antropologiche44
. Si
lavora sulla responsabilizzazione del reato e l’analisi di questo, sul perché della
propria pena, la tipologia di mediazione da usare con la vittima, l’attività di
volontariato, i colloqui psico-educativi per il fine ripartivo, risocializzante e
rieducativo proprio della giustizia ripartiva. Per la natura dibattuta della
restorative justice il tavolo è composto da professori di diritto penale e diritto
penitenziario per la parte giuridica, un criminologo, un sociologo, mediatori,
direttori di case di reclusione, garanti dei detenuti e rappresentanti di associazioni
a tutela delle vittime, per far sì che le discussioni fossero riportate sempre di più
alla realtà di tutti i giorni. Il tavolo 13 è stato costituito per organizzare strumenti,
teorie, modelli, interventi di mediazione e riparazione che devono essere percepiti
dalla collettività, intendendo che la riparazione del tessuto sociale danneggiato,
che avviene con la giustizia ripartiva, porta ad un fine per la collettività, restituire
e riparare ciò che si è “rotto” del tessuto. Inoltre si vuole mettere in risalto la
questione carceraria e far in modo che sia un tema sentito: solo in questo modo la
comunità può apprendere e conseguentemente cancellare pregiudizi e luoghi
comuni presenti circa questo tema molto caldo. Gli argomenti principali trattati
sono stati i seguenti45
:
partecipazione attiva del reo e della vittima nel processo di riparazione e
nella risoluzione del conflitto nato dal fatto;
lavorare con la vittima per la riparazione dei suoi aspetti danneggiati;
il punto più cruciale è capire il grado di responsabilizzazione del reo verso
il reato commesso, la presa di coscienza del reato, azionare un progetto
44 A. Cerretti, G. Mannozzi, La Giustizia ripartiva al vaglio degli “Stati generali sull’esecuzione
penale” in Ministero della Giustizia Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, nuove
esperienze di giustizia minorile e di comunità, Gangemi Editore, 2015 pp. 27-41. 45
Ivi, p.37.
23
che lo conduca a rappresentare il fatto come un reato e ad analizzare i
motivi e i presupposti che lo hanno condotto a commetterlo;
destinatari di questo processo non sono solo il reo e la vittima, ma anche la
comunità di riferimento che è indirettamente attrice del percorso di
riparazione e delle politiche della giustizia;
i caratteri che si richiedono dal processo sono quelli di confidenzialità,
consensualità e volontarietà da ambedue le parti46
.
I temi trattati sono discussi in relazioni agli obietti che la commissione si è
prefissata: cioè analizzare le esperienze estere di restorative justice, proporre
progetti orientati alla vittima e promuovere la formazione della cultura riparativa
anche per gli avvocati e i magistrati47
.
La giustizia riparativa promuove la riparazione del danno provocato alle vittime
attraverso percorsi che comprendono anche il reo e la comunità. Il reo per rendere
possibile ciò deve prima attraversare un suo percorso. Nell’Ufficio di Esecuzione
Penale Esterna (UEPE) di Spoleto vi è un progetto strutturato con la psicologa a
convenzione nell’ufficio, che è attivato per gruppi di affidati e per imputati
concentrandosi su vari temi, quali il reato commesso e l’atteggiamento verso la
misura.
Il progetto si chiama “progetto Giovani adulti-nuova strategia di presa in carico”.
La finalità del gruppo è di sostenere la parte adulta e la capacità di pensare di ogni
individuo e dare espressioni ad esperienze personali, emozioni, preoccupazioni e
difficoltà48
.
A differenza della giustizia retributiva la giustizia riparativa ha una connessione
molto più ampia con la vittima e con le sue diverse forme, la comunità risente del
reato e proprio per ciò ha un ruolo centrale e deve essere inclusa all’interno del
percorso. Un reato accende un disagio nel territorio di riferimento, un allarme
sociale e lede la sicurezza all’interno di questa. Il controllo del crimine non può
essere solo un compito dello Stato, ma deve essere attivato anche da agenzie
46 Ministero della Giustizia, Il tavolo 1, alla pagina web www.ministerodellagiustizia.it.
47 Relazione finale tavolo 13 in www.ministerodellagiustizia.it.
48 14 incontri della durata di 1 ora e mezza dal 15 giugno al 28 dicembre 2017 presso la sede
dell’UEPE di Spoleto. Temi trattati: identità, condizionamento, aggressività, la dipendenza, la
solitudine, la felicità e legalità.
24
decentrate. Qual è il problema che si presenta nelle società odierne? Nelle società
occidentali globalizzate, le cosiddette web society, è difficile che ogni cittadino
della comunità crei un network impregnato di impegni culturali e reciproci con i
diversi cittadini presenti nella loro comunità. Il riconoscersi in una comunità è
difficile, ci si trova in un sistema sociale che include il mondo intero, comunque si
passa da una dimensione di comunità ad una di individuo. Qui che entra in gioco
la giustizia riparativa cercando di far condividere il reato del reo e il dolore della
vittima con e nella comunità. Attenzione! Non si sta parlando di pubblicizzare il
reato e la vittima, ma di far interiorizzare alla comunità qual è il reato, quali sono
le conseguenze, dargli la possibilità di restituire alla società la riparazione al suo
danno e dalla parte della vittima e attivare atti di prevenzione e impegno e senso
civico sempre per prevenire e aumentare il senso di sicurezza che la comunità
vuole percepire.
È possibile per chiarire qual è il cambiamento che sta avvenendo definire le
differenze tra il paradigma della giustizia retributiva e il paradigma della giustizia
riparativa.
Il primo intende il crimine come violazione ad un interesse dello Stato, mentre il
secondo lo intende come trasgressione nei confronti di un’altra persona. Nel
vecchio paradigma si pone il focus sul rimprovero al reo, nell’altro sulla soluzione
del problema e la responsabilizzazione del reo. La vittima ha un ruolo secondario,
se non nullo e il reo ha un ruolo passivo, nella restorative justice si riconosce il
problema e si concordano le possibili soluzioni insieme49
.
«We should abandon all the other justifications and proposed central goals of
punishment and adopt restitution instead»50
.
Le parole di Abel e Marsh nel loro saggio, Punishment and Restitution,
sostengono come sia giusto ricorrere alla giustizia riparativa quando da sola è
l’essenziale non solo per la vittima, ma anche come base risocializzante e
49 Schema di M. Ciarpi in C. Galavotti, Vittime Fragili e servizio sociale, Teorie, percorsi e prassi
operative per l’assistenza sociale, Santarcangelo di Romagna, 2006. 50
Abel-Marsh, Punishment and Restitution, London, 1984.
25
rieducativa per il reo e per la prevenzione e la continuità dell’armonia sociale
della comunità.
Si rende più visibile il crimine e la vittima si sente più forte, un processo di tale
portata rende la parte debole capace di denunciare il fatto.
Le finalità del modello riparativo fanno in modo che il reo lavori sul reato e il
senso di colpa, fattori che possono causare la ripetizione di un reato.
L’istituto della messa alla prova per adulti, a cui è dedicato il secondo capitolo,
rientra nella giustizia riparativa, prevede un programma di trattamento che
riguarda i comportamenti e le prescrizioni che l’imputato deve rispettare, ogni
decisione è presa di comune accordo, quindi con la collaborazione di colui che ha
commesso il reato e i professionisti del probation. Anche l’impegno settimanale
del lavoro di pubblica utilità o del volontariato è scelto dal soggetto coinvolto e
questo comporta una maggiore motivazione all’impegno anche per far sì che tutto
il percorso non vada oltre i tempi previsti dal giudice. L’opportunità di essere
attivi nel proprio percorso e determinare i modi della restituzione rende più facile
e sicuramente individualizzato il percorso. Una delle parti positive di questo
nuovo modello di giustizia concerne la parte economica, non si fa carico solo lo
Stato delle spese dovute al reato commesso, ma è il condannato che ripaga
attraverso una restituzione alla società e alla vittima il debito causato a seguito del
fatto. Tutto ciò punta all’auto-responsabilizzazione del reato.
Certamente vengono sollevati anche alcuni aspetti critici a questo approccio. Si
crede che non sia possibile quantificare il danno creato e reso alle vittime, sia
primarie che secondarie, quindi non è possibile stabilire quanto il soggetto debba
restituire alla società e alla vittima, sia materialmente che immaterialmente. Non è
facile quantificare in quale entità è stato creato un allarme sociale nel territorio di
riferimento.
L’intento della giustizia riparativa è risanare il conflitto che si è andato a creare tra
il reo, la vittima e la comunità di riferimento, quindi si va a intraprendere una
comunicazione: la cosiddetta relational justice. Si considerano rotte delle
relazioni sociali, degli aspetti della vita comune. Anche se il reo non conosce la
vittima, comunque non ha rispettato delle norma sociali e comportamentali verso
26
una comunità o un individuo. Per ricreare l’armonia e la sicurezza si va a
ristabilire, attraverso la comunicazione, un equilibrio.
La Giustizia riparativa offre un momento di ascolto e di dialogo attraverso la
mediazione penale che negli ultimi anni si è avvicinata al diritto penale.
Le esperienze di giustizia ripartiva e i modelli di riparazione che hanno avuto
maggiore riscontro sono: l’incontro “faccia a faccia” di mediazione tra la vittima e
il reo; la mediazione con vittima aspecifica e il Family group conferencing,
allargato alla famiglia come mediazione familiare51
.
È da specificare che l’Italia non ha diverse forme di mediazione penale per quello
che riguarda gli adulti, come è stato più volte ribadito, il sistema minorile ha una
tradizione sicuramente più lunga. Si auspica una veloce conformità agli Stati
europei che hanno attivato da tempo l’applicazione della mediazione penale anche
nella giustizia adulta.
1.4 La mediazione penale e le sue forme.
La principale forma della giustizia senza spada è considerata l’incontro tra il reo e
la vittima del reato.
La mediazione penale non deve essere svolta dai giudici, ma come ogni forma di
mediazione, da una parte neutrale, quindi non da chi si occupa dei partecipanti
all’attività. In questo spazio non vi devono essere elementi di imparzialità e si
deve lavorare per effettuare un dialogo incentrato sulla cooperazione tra vittima e
reo52
. Finalmente si pone attenzione alla vittima, alla sua sofferenza e alle
difficoltà che incontra. A questa persona viene donato uno spazio per ricostruire
l’episodio e le conseguenze, quali la vittimizzazione, (di cui si parlerà nel
prossimo paragrafo) e restituire la sua natura e ciò che gli è stato danneggiato.
La mediazione penale non è assolutamente una terapia, le persone che vi
partecipano possono avere problemi di natura psicologica che in un altro spazio
51 G. Mannozzi, La giustizia senza spada, Milano, 2003.
52 C. Gavallotti, Vittime fragili e servizio sociale. Teorie, percorsi e prassi operative per
l’assistenza sociale, Santarcangelo di Romagna, 2006, p. 157.
27
possono essere risolte con l’aiuto di uno psicoterapeuta, ma la mediazione ha altri
scopi. Il mediatore punta a creare una comunicazione che supera le avversità tra i
due soggetti, tenendo fuori le emozioni, elemento di lavoro invece per il terapeuta,
che le usa per risolvere un conflitto intrapsichico53
.
Il mediatore attraverso gli incontri individuali potrà decidere se le parti potranno
partecipare all’incontro congiunto e se lui stesso è in grado di gestirlo.
Mark Umbreit, fondatore e direttore del Centro per la Giustizia riparativa presso
l’Università del Minnesota sintetizza il processo della mediazione penale in
quattro fasi:
1. invio del caso: effettuata dagli uffici giudiziari a quelli di mediazione che
prenderanno in carico il conflitto;
2. strutturazione della fase preparatoria degli incontri;
3. svolgimento dei colloqui di mediazione;
4. il monitoraggio dei risultati54
.
Avvenuta la presa in carico si indagherà su quelle che sono le informazioni
relative al conflitto. Per la preparazione della mediazione si devono acquisire,
attraverso le parti, diverse informazioni, per poi procedere a spiegare l’iter della
mediazione e programmare le sessioni e le strategie per la conduzione. Quando si
ha il consenso di entrambe le parti e si crede conclusa la serie di colloqui
individuali, si concorda l’incontro che li vedrà insieme.
Il mediatore ha il compito di introdurre il racconto del vissuto di ogni parte,
formulare le possibili scelte per la riconciliazione, stilare l’accordo finale, la
conclusione e restituire un feedback della seduta.
Gli incontri devono iniziare con il professionista che spiega quali sono gli
obiettivi della seduta, divide gli argomenti per dare una scansione temporale,
conduce il dialogo al fine che crei proposte di soluzione e conclude l’incontro
offrendo il resoconto degli esiti. Nei diversi campi di applicazione le linee guida
53 C. Gavalotti, Vittime Fragili e servizio sociale. Teorie, percorsi e prassi operative per
l’assistenza sociale, Santarcangelo di Romagna, 2016, p. 157 54
G. Manozzi, La giustizia senza spada. Uno studio comparato su Giustizia riparativa e
mediazione penale, Milano, 2003, p. 200.
28
per la mediazione sono le medesime, la differenza è la formazione del mediatore
che cambia in base al settore dove svolge l’attività55
.
Durante il colloquio il mediatore procede attraverso i seguenti momenti:
chiarire il suo ruolo di facilitatore;
elencare le regole per lo svolgimento di un proficuo incontro;
formalizzare i momenti della discussione;
far percepire un senso di equità;
invitare a parlare per prima la vittima.
Nel monitoraggio degli esiti si procede con la valutazione del percorso e della
soddisfazione delle parti.
La preparazione è fondamentale per avere un buon esito. Le vittime possono avere
dubbi riguardo questo incontro, il mediatore deve saper agire bene, attraverso gli
incontri individuali, cercando di far intendere i benefici e le risposte che può
ottenere, ad esempio sapere perché è stata scelta come vittima, o quali possono
essere i modi per difendersi e non rischiare la vittimizzazione futura. Ci si ispira
ad un dialogo che sia proficuo per creare momenti di riflessioni per il reo, scoprire
quale momento, fatto o gesto ha scaturito la sua azione; l’autore deve riflettere
sulla gravità del danno per la vittima.
A differenza del processo penale nella mediazione la vittima può parlare senza
terze persone quali il pubblico ministero e senza l’avvocato del reo. Il reo avrà la
possibilità di mostrare le sue emozioni alla vittima riuscendo, in un ambiente più
ristretto, ad esprimere i suoi sentimenti di individuo.
Il mediatore nella conduzione degli incontri deve essere consapevole che i
soggetti sono in due livelli diversi, a differenza della mediazione familiare. Inoltre
ci possono essere anche diseguaglianze concernenti l’età, la nazionalità, quindi il
paese di provenienza. In questi casi il mediatore deve preparare la persona al
dialogo per non incontrare difficoltà di lessico nell’esprimere il proprio pensiero.
I requisiti essenziali pe la mediazione penale sono: il comune accordo tra le parti,
l’analisi del reo riguardo ci che ha commesso, riservatezza, accessibilità al
55 C. Gavallotti, Vittime fragili e servizio sociale. Teorie, percorsi e prassi operative per
l’assistenza sociale, Santarcangelo di Romagna, 2006, p. 158.
29
servizio di mediazione e autonomia del servizio di mediazione dal sistema
processuale penale.
L’International Scientific and Professional Advisory Council considera strumenti
e forme della mediazione penale i seguenti punti:
apology: scuse scritte formalmente dall’autore che ammette la sua
responsabilità e il suo stato di pentimento alla vittima;
community/family Group Conferencing(FGC): presuppone la
responsabilità del reo, ed è una mediazione allargata che comprende il reo,
la vittima, i famigliari e i componenti della comunità di riferimento di
questi per supportare le figure e per facilitare la decisione collettiva della
gestione del conflitto. Vi si ricorre soprattutto in Nuova Zelanda e
soprattutto nella fase prima del processo;
la tecnica FGC prevede l’incontro con la famiglia della vittima e del reo.
Quest’ultimo grazie al sostegno delle persone a lui care ha un supporto per
l’autoanalisi delle azioni da lui commesse. Le famiglie sono il focus della
mediazione, grazie al loro aiuto si facilita il percorso dei soggetti;
community/neighbourd/victim impact statements: qui è la parte opposta, la
vittima o la comunità, a scrivere, ciò che è stato apportato in seguito al
fatto. Così è possibile valutare l’entità del danno subito, quindi del
ripercuotersi nel tempo. Il documento può essere parte del fascicolo
dell’utente;
community restorative board(CRB): si prepara un piccolo gruppo di
cittadini che hanno il compito di fare un training specifico attraverso dei
colloqui con il reo dove si discute della natura del reato e le conseguenze,
con lo scopo di discutere di attività volte a riparare le “lesioni”(virgolettato
dello scrittore). Al termine di questi incontri si stila un programma
riparativo che deve essere rispettato entro un termine di tempo specificato;
community sentencing/Pacemaking Circles: il Community sentencing si
sostanzia nella giustizia riparativa di tipo comunitario che include una
parte della comunità nella gestione del processo per concordare insieme le
attività più consone per restituire l’utile alla comunità lesa. I pacemaking
Circles sono una forma di processo aperta al pubblico in cui nella corte vi
30
sono anche i familiari del reo e della vittima, ed è soprattutto per i casi più
grav. Queste tecniche includono la comunità per la riparazione del
conflitto, in questo caso vi partecipano tuggli attori che sono inclusi dalla
giustizia riparativa; questi si mettono in cerchio e ed esprimono la propria
opinione. Non vi è un vero e prorio mediatore, ma un circle keepers che
gestisce la comunicazione56
;
community service order (CSO) o Community Payback Order (CPO): è la
presentazione di una attività che il reo svolge nella propria comunità a
favore di questa;
compensation Programs: si tratta di compensazione monetaria per
assistenza psicologica o altro di simile entità per lo Stato, quindi per la
vittima;
diversion: tecnica per evitare che il reo entri nel circolo di un processo
penale;
financial restitution to victims: è una misura dove attraverso la valutazione
dei danni della vittima, di cui si è parlato, si stabilisce la somma di denaro
da dare alla vittima;
personal service to victims: attività lavorative in favore diretto della
persona che è stata danneggiata dal reato. Si vuole specificare che attività
come queste si possono attivare per reati minori, non per esempio per reati
riguardanti la violenza, per ovvi motivi;
victim/community impact panel: una sede dove un gruppo ristretto di
vittime, a un numero simile di autori spiega quali sono i danni e le
conseguenze negative provate relative al fatto;
victim empathy group or classes: programmi educativi ai fini dell’auto-
responsabilizzazione del reato da parte del reo;
victim-offender mediation(VOM): sotto la guida di un mediatore il reo e la
vittima discutono del reato e delle conseguenze avvenute57
. La VOM è tra
le principali tecniche attraverso le quali si svolge la restorative justice. Le
56 Ivi, p.164.
57 G. Mannozzi, La giustizia senza spada, Milano, 2013, pp. 127-129.
31
parti vengono prima incontrate separatamente e individualmente
partecipano a degli incontri con il mediatore. Quando il mediatore crede
conclusi gli incontri individuali si stila un accordo che verrà consegnato al
giudice e darà avvio al processo di mediazione congiunto. La vittima
finalmente può sapere perché è stata scelta proprio lei e quali sono i motivi
che hanno portato il reo a commettere il reato. La tecnica VOM si
compone della fase preliminare che include l’invio del caso, la raccolta
informazioni, il contatto con le parti e la valutazione del caso. La seconda
fase è l’incontro dove si cerca di trovare e formalizzare un accordo scritto.
L’ultimo momento è la conclusione che concerne la valutazione da parte
del mediatore, la scrittura di un report finale e un follow-up58
.
La componente rieducativa o riparativa di queste tecniche è definibile anche in
base all’imputato. Ad esempio nel caso della messa alla prova per minori è
presente maggiormente una componente rieducativa59
.
La classificazione appena mostrata segue il criterio del contenuto; la prossima
classificazione è strutturata secondo il destinatario specifico della mediazione.
Paul McCold crea un modello teorico dove indica come soggetti della giustizia
riparativa il reo, la vittima e la comunità.
Egli distingue tra strumenti completamenti riparativi, principalmente riparativi e
parzialmente riparativi. I primi comprendono incontri di mediazione che
includono tutti e tre i soggetti, ad esempio i Community sentencing/Pacemaking
Circles già descritti nella classificazione antecedente, dove la comunità ha un
ruolo attivo e come gli altri trae beneficio da questo percorso.
I percorsi principalmente riparativi escludono uno tra i soggetti da prendere in
causa, sono momenti come la victim-offender-meditation che si soffermano in
particolare sulla vittima escludendo la comunità, oppure si hanno percorsi già
descritti, come il Victim support circles che escludono il reo.
58 C. Galavotti, Vittime fragili, Teorie, percorsi e prassi operative per l’assistenza sociale,
Santarcangelo di Romagna, 2006, p. 163. 59
G. Mannozzi, La giustizia senza spada, Milano, 2013, p. 129.
32
Per ultimo gli strumenti che sono parzialmente riparativi coinvolgono per la
maggior parte o il reo, o la vittima o la comunità, come le forme di sostegno alla
famiglia del reo60
.
All’interno dei programmi di riconciliazione tra il reo e la vittima la mediazione
occupa il posto principale, momento che ha bisogno di essere ben pensato e
strutturato prima del suo avvio.
1.5 La mediazione penale in Italia.
I principi fondamentali della mediazione sono: la volontarietà, la riservatezza da
parte del mediatore, la responsabilità verso due personalità fragili e un
comportamento neutro.
La mediazione penale tecnica per eccellenza propria della giustizia riparativa è
utile a ricomporre un conflitto. In Italia si nota un enorme divario con gli altri
paesi europei riguardo l’utilizzo di questo, ad eccezione del settore minorile.
Sicuramente in campo minorile si hanno più esperienze significative e da più
tempo. Ad esempio il giudice minorile già dal 1988 dispone il lavoro a favore
della comunità nel programma di trattamento e l’incontro con la vittima.
«Il giudice, quando il reato e' perseguibile a querela, promuove la conciliazione
tra le parti. In tal caso, qualora sia utile per favorire la conciliazione, il giudice
può rinviare l'udienza per un periodo non superiore a due mesi e, ove occorra,
può avvalersi anche dell'attività di mediazione di centri e strutture pubbliche o
private presenti sul territorio. In ogni caso, le dichiarazioni rese dalle parti nel
corso dell'attività di conciliazione non possono essere in alcun modo utilizzate ai
fini della deliberazione»61
.
La mediazione è riconosciuta legalmente con quanto appena citato al comma 4
dell’art. 29 della legge del 28 agosto del 2000, n. 274“Disposizioni sulla
60 Ivi, p.132-133.
61 Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
33
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24
novembre 1999, n. 468”62
.
La mediazione fa fatica ad entrare nel campo del diritto penale in quanto
quest’ultimo ha una spiegazione sanzionatoria, mentre la prima per definizione ha
una logica alquanto diversa63
.
Ciò ha fatto sì che già con l’introduzione della normativa che affida determinate
competenze in materia penale al giudice di pace64
si attivasse un codice interno tra
i due sistemi65
.
Si illustrano di seguito momenti e spazi di raccordo tra i due paradigmi.
Al pubblico ministero si volle affidare questo compito nel processo pretorile, ma
la mediazione per essere tale ha bisogno di una parte terza neutra, che il p.m. non
può rappresentare.
In Italia e nel resto d’Europa la giustizia minorile ha sempre anticipato i tempi in
materia di esecuzione esterna, vi è un’aspirazione ad una riduzione dell’intervento
penale, che si crede meno utile per i minorenni, dove i focus devono essere i fini
preventivo e rieducativo. La desgiurisdizionalizzazione in questa area è spinta
anche dalle norme sovranazionali, quali le Regole di Pechino66
.
Qui entra in gioco il ruolo della giustizia riparativa che vuole superare una logica
prettamente sanzionatoria attraverso l’autoresponsabilizzazione del minore che
avviene attraverso la riparazione a ciò che lui a causato di male alla vittima e alla
sua comunità.
La mediazione, insieme al lavoro a favore della comunità e alla mera riparazione
del danno è tra gli istituti di base riparativa di cui il giudice minorile può
possedere.
Per intravedere i primi punti di forza e punti di criticità si deve analizzare il codice
del processo minorile D.P.R. 444/1988.
62 V. Ferrò, La mediazione penale, alla pagina web www.laleggepertutti.it.
63 G. Mannozzi, La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e
mediazione penale, Milano, 2003, p. 247. 64
Decreto legislativo 28 agosto, n. 274. 65
Ibidem. 66
Art. 11.
34
Nel sistema penale la mediazione può entrare nella fase pre-processuale o nella
fase processuale. Per avviare la mediazione è indispensabile acquisire le
informazioni sulle parti e come sancito nell’art. 9 della legge nominata il pubblico
ministero e il giudice possono acquisire informazioni da persone vicine al minore.
Le informazioni è possibile richiederle anche agli Uffici per la Mediazione per
concordare l’opportunità per il minore di riparare le conseguenze negative da lui
create. Se si agisce con la mediazione nella fase pre-procesuale si ammette la
responsabilità del minore, ma anche la sua consapevolezza verso il futuro67
.
La mediazione incontra i primi problemi nel momento in cui il minore
rispondendo positivamente all’avvio della mediazione penale abbai ammesso di
essere il reo, quindi vi è stato un interrogatorio con il pubblico ministero.
Quest’ultimo crea problemi in riferimento alle esigenze della giustizia riparativa e
a quelle del processo penale.
Due sistemi che possono sembrare lontani hanno bisogno di incontrarsi: la
mediazione dona una nuova lente per vedere il reato e può diminuire la profondità
del danno presente68
.
Nella fase processuale il giudice può comunque utilizzare la mediazione
inserendola come prescrizione nel programma di trattamento della messa alla
prova, istituto a cui si ricorre per avere una valutazione più specifica e puntuale
del minore. La messa alla prova per adulti è una forma di probation, che permette
al minore di fare un periodo di prova sotto la sorveglianza dei professionisti del
probation, in opposizione alla sanzione detentiva. Varie ricerche empiriche fanno
notare come il ricorso a prescrizioni riparative nella messa alla prova e quindi alla
mediazione sia relativamente basso69
. Il motivo principale è che i percorsi fino ad
ora nominati, hanno un costo alto e le risorse economiche e umane di cui sono a
disposizione gli uffici di probation sono relativamente basse70
.
67 G. Manozzi, La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e
mediazione penale, Torino, 2003, p. 256. 68
Ivi, 264. 69
Ricerca empirica condotta dall’IRSIG-CNR. 70
G. Mannozzi, La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e
mediazione penale, Torino, 2003, p. 270.
35
Il problema da evitare è che il minore aderisca alla mediazione per motivi
utilitaristici, ad esempio perché è consapevole che attraverso questo percorso avrà
un trattamento sanzionatorio minore. È compito dei professionisti della giustizia
riparativa capire quando questo si verifica e far in modo che il ragazzo sia
veramente consapevole dell’istituto e convinto di voler riparare ai fatti negativi
commessi.
Un altro rischio collegato a quanto descritto è relativo alla vittima. Il destinatario
del reato può ritenersi in obbligo ad accettare la mediazione per non sentirsi
responsabile della diversa pena che può essere inflitta dal Giudice minorile. Un
altro tipo di vittima però si può presentare: colei che acconsente all’incontro con
la speranza di avere anche un risarcimento più alto71
.
La giustizia riparativa vuole lavorare per non creare una seconda vittimizzazione
della vittima e per risanare la parte lesa attraverso l’incontro, il dialogo e la
riflessione di entrambe le parti che sono aiutate da una parte neutrale, il mediatore.
1.6 La vittima.
Il termine “vittimologia” è utilizzato nel 1949 dallo psichiatra F. Wertham. Prima
di allora l’idea di vittima era quella di un elemento passivo; mentre lo psichiatra
spiega che la figura riguarda una “causa” in relazione al fatto specifico72
.
Riconoscere il “concorso di colpa” della vittima ha creato una sua
criminalizzazione e un’assenza di interventi di tutela e protezione nei suoi
confronti73
. Il voler scoprire la figura della vittima, il suo ruolo e la sua storia,
(causa anche il diffondersi dei mass media) hanno fatto di questa figura un
protagonista attivo lasciando in disparte interventi in favore di questa e per la
prevenzione della vittimizzazione. Nei tempi odierni vi una forte tendenza
mediatica e politica alla semplificazione che condiziona il sistema penale, vi si
71 Ivi, p. 273.
72 C. Galavotti, Vittime fragili e servizio sociale. Teorie, percorsi e prassi operative per
l’assistenza sociale, Santarcangelo di Romagna, 2016, p. 41. 73
Ivi, 42.
36
descrive e si divide i “partecipanti” al reato con categorizzazioni quali, “buoni” o
“cattivi”74
.
Il fatto importante è che vi è una mancanza di politiche il quale focus sia la
vittima e il sostegno socio-psicologico. Fino a quando non vi è una trasformazione
del pensiero comune della comunità che la vittima è portatore di diritti nessun
progetto o programmazione locale sarà possibile.
In questa sintetica trattazione più volte è stato rimarcato uno dei fini della
giustizia riparativa: dare maggiore spazio alla vittima.
Quando una persona commette un fatto illecito crea un disagio a lui, alla sua
famiglia, alla comunità e alla vittima, tendenzialmente principale destinatario
dell’azione del reo. Ma la vittima ha un riconoscimento a livello normativo che la
tutela?
Nel 1980 in Venezuela, al VI Congresso delle Nazioni Unite sulla prevenzione del
crimine e il trattamento dei criminali, si strutturò una normativa riguardo i diritti
della vittima75
. La dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ha ispirato la
risoluzione dell’ONU n.40/34 del 1985 che definisce le vittime:
«persone che, sia singolarmente che collettivamente, abbiano subito danni,
compreso il riferimento sia fisico che mentale, la sofferenza mentale, la sofferenza
emotiva, la perdita economica o l’indebolimento sostanziale dei loro diritti
fondamentali, attraverso atti od omissioni che violano le leggi contro il crimine,
in vigore negli Stati membri, ivi comprese quelle leggi che proscrivono l’abuso
criminale di potere. Quindi una persona può essere definita vittima, anche in
mancanza dell’identificazione, dell’arresto, del perseguimento, della condanna
dell’autore materiale del reato e indipendentemente dal fatto che ci sia qualche
parentela tra l’autore del reato e la vittima.
Il termine vittima comprende pure la famiglia o i parenti stretti o i dipendenti
della vittima e le persone che hanno subito un danno nell’intervenire nel tentativo
di soccorrere le vittime in pericolo o per evitare un’eventuale vittimizzazione»76
.
La risoluzione ONU 2000/14 del 27 luglio 2000 contiene i principi base sull’uso
74 Ivi, 67.
75 Ivi, 106.
76 Ibidem.
37
dei programmi di giustizia riparativa in ambito criminale. La restorative justice
deve contrastare la criminalità, deve rispettare la dignità di ciascuno, contribuire
alla sicurezza sociale anche attraverso al fine ultimo della rimozione dei danni
dalla vittima, dal reo e dalla comunità. In questo modo la vittima si sente al sicuro,
protetta, perché si fa sì che il reo tramite un suo percorso prenda coscienza e si
responsabilizzi aiutando anche la comunità a capire quali sono stati gli errori e
quali sono le azioni per prevenire elementi di disagio nel proprio contesto.
La direttiva 29/2012/UE adottata dal Parlamento europeo e dal consiglio recante
«norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di
reato», all’art. 2, comma 1, d), definisce la «giustizia riparativa» come «ogni
procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare
attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni sorte
dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale.
La direttiva 29/2012/UE invita a lavorare sulla complementarità tra sistema penale
e giustizia riparativa, in vista di una migliore tutela e protezione delle vittime,
anche dalla vittimizzazione secondaria. Con questo termine si intendono tutte
quelle conseguenze negative derivanti da differenti tipi di reazione da parte della
società a cui la vittima va incontro77
. Nel nostro sistema penale non vi è una
sostanziale spiegazione della parola vittima, viene definita come persona offesa. Il
sistema si preoccupa di tutelare l’interesse dello Stato, nella diade ancora forte
Reo-stato, reato-sanzione.
Vediamo nello specifico qual è il ruolo della vittima nel nostro codice di
procedura penale.
L’art. 90 c.p.p. ammette la persona offesa dal reato a presentare memorie
contenenti argomenti su cui può formarsi la prova in giudizio, mentre l’art. 369
c.p.p. dispone l’obbligo della notifica dell’informazione di garanzia alla parte
offesa e alla possibilità per la stessa di nominare un difensore per rendere effettiva
la partecipazione alla fase delle indagini, ed eventualmente proporre l’opposizione
all’archiviazione ai sensi dell’art. 410 c.p.p.
77 Ivi, 70.
38
La decisione quadro 2001/220/GAI del 15 marzo del 2001 del Consiglio
dell’Unione europea concernente il ruolo della vittima nel procedimento penale
stabilisce che gli altri Stati adottino una legge quadro relativa al trattamento per le
vittime di reato. Ogni Paese dovrebbe creare servizi specializzati di mediazione
per i bisogni della vittima, ma soprattutto lo Stato deve investire sulla formazione
degli operatori per tema così nuovo e complicato. Il fine ultimo per il recepimento
dell’indirizzo materia era stato fissato al 22 marzo 2002, mentre la strutturazione
della mediazione penale nei processi penale doveva verificarsi nella stessa data
dell’anno 2006.
La direttiva 2012/29EU del Parlamento Europeo istituisce norme minime in
materia di diritti, assistenza, protezione delle vittime di reato sostituisce la
decisione quadro 2001/220/GAI, relativa alla vittima nel procedimento penale.
A seguito del programma di Stoccolma e della risoluzione del 26 novembre del
2009 si esortano gli Stati membri a prendere provvedimenti riguardo le protezione
e le prevenzioni verso la violenza sulle donne. Secondo la Direttiva per vittima
(art.2) si intende il principale destinatario, ma anche le vittime secondarie quali i
familiari.
Si vuole garantire sicurezza e giustizia (art.1), ogni vittima deve essere messa in
condizioni di parità, comprese le vittime disabili (art.15), inoltre si fa riferimento
alle vittime di terrorismo (art.16). All’art.19 si specifica come la vittima è tale
anche allorquando si proceda contro ignoti, e le vittime senza reo devono essere
considerate e tutelate al medesimo modo di chi ha un reo. La vittima deve essere
informata durante e prima il processo con un linguaggio semplice e nella lingua di
provenienza.
Dalla direttiva possiamo quindi trarre delle parole chiavi fondamentali, sostegno,
protezione, giustizia, informazione e trattamento.
La direttiva è stata recepita dal nostro sistema con il D.lgs. del 15 dicembre 2015,
n. 212 diretto a «individuare sia modalità di protezione della vittima da
interferenze esterne e contatti con l'autore del reato, sia modalità di tutela che
consentano alla persona offesa vulnerabile di prendere parte al processo senza
dover scontare le conseguenze negative derivabili da una sua testimonianza. Il
decreto modifica dunque la disciplina dell’incidente probatorio e della prova
39
testimoniale attraverso modalità protette, disponendo l’applicazione delle
specifiche tutele ivi previste in tutti casi in cui si proceda all’esame di una vittima
vulnerabile, indipendentemente dal catalogo dei reati presupposti che fino ad
oggi ne legittimava l’adozione».
40
Capitolo 2
L’istituto della messa alla prova per adulti e il ruolo
dell’assistente sociale.
2.1 Dalla visione carcerocentrica a quella comunitaria.
Si può iniziare a parlare di ordinamento penitenziario quando l’uomo, per
salvaguardare la società dal “male”, crede opportuno isolare il reo in appositi
istituti78
.
«Alla fine si decisero a toglierli la veste, calarlo in una cisterna e abbandonarlo lì»
(Gn37:23,24).
In questo versetto della Bibbia i fratelli di Giuseppe, figlio di Giacobbe, prima di
venderlo come servo, decisero di rinchiuderlo in un luogo preciso, delimitato e
lontano dalla collettività. Questa è l’idea che ebbero loro, ma che si ha anche oggi
del carcere, secondo il senso comune.
Anche nel sistema romano il carcere non era visto come pena, ma come mezzo per
“fermare” chi doveva essere sottoposto alla pena capitale, all’esilio o alla
fustigazione. Il carcere non era considerato, come oggi la pena coercitiva per
eccellenza, ma una pena secondaria, temporanea; inoltre nell’antichità il carcere
era visto come vendetta sociale, non come momento rieducativo79
.
Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel Medioevo il carcere perde
ancora di più di importanza, in quanto prevale la vendetta privata80
.
Nel 155381
non si può ancora parlare di carcere, ma nasce qualcosa di simile, per
la concezione che la comunità aveva dell’istituto in quel periodo. Il carcere fino
ad allora era considerato un mezzo, un luogo per assicurarsi il condannato e, nella
78 Archivio di Stato, Il carcere e la pena, alla pagina web www.ristretti.it.
79 Ibidem.
80 Ibidem.
81 Bridewell Prison and Hospital, alla pagina web www.lodonlives.org.
41
data citata; con il palazzo di Bridewell, nella città di Londra, si apre la prima casa
di lavoro, che dà il via anche in altri paesi alla concezione di creare appositi
luoghi per punire i reclusi attraverso il lavoro obbligato, e così demoralizzare il
comportamento degli oziosi o vagabondi che vi erano nella società82
.
Uno sfondo teorico fondamentale, importante per tutto il lavoro che da qui in
avanti si svilupperà, sono le teorie di Erving Goffman (1922-1982) e Michel
Foucault (1926-1984).
«Un’istituzione totale può essere definita come il luogo di residenza e di lavoro di
gruppi di persone che - tagliati fuori dalla società per un considerevole periodo
di tempo- si trovano a dividere una situazione comune trascorrendo parte della
loro vita in un regime chiuso e formalmente amministrato»83
. Questa definizione
delle istituzioni totali è stata scritta da Erving Goffman descrivendo quella che è
la vita di un “internato” sottoposto a regole universalmente riconosciute e
rinchiuso senza contatti con il mondo esterno. “Le istituzioni totali”, quindi le
carceri, sono quei luoghi che hanno un alto livello di intensità di controllo sociale.
La domanda che sorge spontanea è: oggi il carcere è ancora un’istituzione totale?
Sicuramente quello che è cambiato è il fine dell’istituzione totale carcere, (almeno
sulla carta) non ci si trova più davanti a un luogo che lavora sulla vendetta sociale,
ma attraverso un percorso con la persona si lavora per la rieducazione e il
reinserimento sociale.
«Se non è più al corpo che si rivolge la pena nelle sue forme più severe, su che
cosa allora stabilisce la sua presa? La risposta dei teorici - quelli che aprono,
verso il 1760, un periodo non ancora chiuso - è semplice, quasi evidente, sembra
scritta nella domanda stessa. Non è più il corpo, è l'anima»84
.
Nel libro “Sorvegliare e punire” Faucault vuole far intendere come le esecuzioni
pubbliche, come l’esecuzione al palo che viene abolita in Francia nel 1848,
portavano ad uno scambio dei ruoli, il giudice diventa l’assassino e si mostra in
pubblico una violenza che non deve essere pubblica. È come se la violenza
82 C. A. Vieira, Le origini delle prigioni, alla pagina web www.ristretti.it.
83 E. Goffman, Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell’esclusione e della violenza, 2010,
passim. 84
M. Foucault Sorvegliare e punire, Torino, 1993, p. 6.
42
generasse altra violenza, intendiamo ciò anche dalle parole di Cesare Beccaria
«L'assassinio, che ci viene presentato come un crimine orribile, noi lo vediamo
commettere freddamente, senza rimorsi che si mostra qualcosa che invece si deve
prevenire, mostrando altri insegnamenti»85
.
Nei paesi anglosassoni nel 1971 l’idea del carcere accoglie un compito
intimidatorio, con una correlazione tra delitto e pena, cambiando l’architettura
delle carceri. Il filosofo Jeremy Bentham nel 1786 concepì un’idea di carcere
molto più funzionale: ovvero il “Panopticon”, colui che vede tutto86
.
Immagine 1: rappresentazione grafica del carcere secondo il modello Panapticon.
Come ci mostra l’immagine il detenuto deve essere consapevole di essere in uno
stato di permanete visibilità, perché avrà sempre davanti gli occhi la torre centrale
e dall’interno è possibile controllare ogni detenuto87
.
Solo nell’epoca dei lumi il carcere non è più visto come momento temporaneo per
l’attesa del giudizio finale del detenuto e prende spazio l’idea di un luogo di
espiazione della pena con rilevanza sociale88
. Ad opera di autori come Cesare
85 C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, Einaudi, 1994.
86 Mediastudies, The panopticon, alla pagina web www.mediastudies.it
87 M. Zeppa, Jeremy Bentham| Panapticon, alla pagina web www.raccordi.blogspot.it.
88 Archivio di Stato, Il carcere e la Pena, alla pagina web www.ristretti.it.
43
Beccaria si diffonde un’opera di umanizzazione e la pena si intende come mezzo
per prevenire e non come mero spettacolo della violenza.
Nel 1889 viene emanato il codice penale Zanardelli, che andò a sostituire il
Codice sardo emanato nel 185989
.
Con il codice, almeno momentaneamente, viene realizzato uno dei principi di
Beccaria: abolire la pena di morte. Molti miglioramenti vengono apportati:
l’eliminazione dell’uso della catena al piede, della camicia di forza e della cella
oscura. Cesare Beccaria sottolinea la funzione di prevenzione della pena che può
essere svolta solo se adattata alla gravità del reato e se applicata da un giudice
imparziale90
.
Altri atti positivi si hanno con le circolari del 1922, ma il lavoro di cura di queste
viene bloccato dall’avvento del fascismo che mostra la pena come un diritto di
difesa dello Stato e che etichetta il detenuto come un «peccatore
criminalizzato»91
.
Nel 1930 venne emanato il Codice Rocco92
.
Ciò che qualifica il Codice sono i seguenti principi: separazione con il mondo
esterno, limitazioni delle attività alle leggi fondamentali, istruzione, pratiche
religiose e lavoro, spersonalizzazione del detenuto che viene chiamato con il
numero della sua matricola, in questo momento sono ancora vive le parole di
Goffman, si toglie all’internato il «corredo per la propria identità».
Dopo la famosa rivolta di San Vittore nel 1946, che non è un caso isolato, nel
1948 si crede opportuno lavorare sullo stato delle carceri attraverso l’assemblea
Costituente per dare spazio a tutti i colori politici, l’obiettivo era apportare delle
modifiche sostanziali93
.
Questi sono i principi costituzionali che puntano a cambiare la concezione della
pena e del carcere:
89 Archivio di Stato, Il carcere e la pena, alla pagina web www.ristretti.it.
90 D. Tutini, Introduzione e principio di legalità, alla pagina web https://youtu.be/gpD0emToRZc.
91 A. Salvati, L’evoluzione della legislazione penitenziaria in Italia, alla pagina web
http://www.antoniocasella.eu/archica/Salvati_legislazione_penitenziaria_09.07.2009.pdf. 92
Ibidem. 93
W. Settimelli, Sopravvivere per ricostruire: correva l’anno 1946, alla pagina web
www.patriaindipendente.it
44
1. Art. 3 c. 1 «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali
davanti alla legge»;
2. Art. 13 c. 4 « è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone
comunque sottoposte a restrizioni di libertà»;
3. Art. 27 c. 3 «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al
senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»94
.
L’art. 27 pone le basi per una nuova giustizia, un diverso sistema penale già
presente in Europa.
Il paradigma riparativo riesce a trovare un’ufficialità nella riforma penitenziaria
del 1975 legge n.354 «Norme sull’ordinamento penitenziario e sull'esecuzione
delle misure privative e limitative della libertà»95
.
Art. 1 c.5 «Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un
trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente
esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento é attuato secondo un
criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei
soggetti»96
.
È importante focalizzarsi sul reinserimento sociale che avviene attraverso
l’incontro tra i due mondi che non sono più separati. Si parlava nelle righe
precedenti di come prima il carcere fosse un luogo in attesa della vera pena, in
questo momento invece il legislatore vede il carcere come spazio dove lavorare
con la persona per reintrodurla, dove possibile, nella società97
.
Nel Capo II, Condizioni generali, si può notare come la dignità, l’igiene e il
rispetto della persona sono i temi fondamentali che cambiano l’assetto e la
posizione del detenuto. Si ritiene che se prima non si offrono i presupposti base
che fanno parte di quello che Goffman chiamava corredo personale, non si può
pretendere un lavoro collaborativo da parte del detenuto.
Capo III, Servizio sociale e assistenza, l’art. 72 istituisce i centri di servizio
sociale per adulti che sono presenti nelle sedi dell’ufficio di sorveglianza.
94 Articolo 27, alla pagina web www.senato.it.
95 A. Salvati, Levoluzione della legislazione penitenziaria in Italia, alla pagina web
http://www.antoniocasella.eu/archica/Salvati_legislazione_penitenziaria_09.07.2009.pdf. 96
Ordinamento penitenziario, alla pagina web www.ristretti.it. 97
Archivio di stato, Carcere e pena, alla pagina web www.ristretti.it.
45
«I centri, a mezzo del personale di servizio sociale, provvedono ad eseguire, su
richiesta del magistrato di sorveglianza o della sezione di sorveglianza, le
inchieste sociali utili a fornire i dati occorrenti per l'applicazione, la
modificazione, la proroga e la revoca delle misure di sicurezza e per il
trattamento dei condannati e degli internati, nonché a prestare la loro opera per
assicurare il reinserimento nella vita libera dei sottoposti a misure di sicurezza
non detentive.
I centri prestano inoltre, su richiesta delle direzioni degli istituti, opera di
consulenza per favorire il buon esito del trattamento penitenziario. Svolgono,
infine, ogni altra attività prevista dalla presente legge che comporti interventi di
servizio sociale»98
.
Si vuole sottolineare in questa sede il Capo IV, Misure alternative alla detenzione
e remissione del debito, dove vi sono i seguenti articoli: affidamento in prova al
servizio sociale, affidamento in casi particolari, detenzione domiciliare e regime
di semilibertà.
Sono alcuni istituti che ricercano la collaborazione con il reo o con l’affidato per
un coinvolgimento attivo del mondo esterno ed in questi termini, si inizia a
intraprendere il percorso della giustizia risocializzante.
Il primo cambiamento della riforma avviene con la legge del 10 ottobre 1986, n.
663 chiamata anche “Gozzini” che apportò delle modifiche introducendo l’art.
14bis regime di sorveglianza particolare, l’art. 21, lavoro all’esterno e si
aggiunge l’art.30-ter, permessi premio99
. Questo ultimo offre la possibilità di
allontanarsi dall’istituto detentivo senza scorta, per un massimo di 45 giorni
l’anno per dare la possibilità al detenuto di continuare a coltivare gli affetti e
tenere vivo il collegamento con la rete che gli apparteneva prima di entrare nel
carcere100
. Inoltre l’art.47 affidamento in prova al servizio sociale è riferito anche
a chi è in libertà, non vi è l’obbligo di passare per la detenzione prima di poter
usufruire di questo.
98 Ordinamento penitenziario, alla pagina web www.ristretti.it.
99 A. Salvati, L’evoluzione della legislazione penitenziaria in Italia, p.20, alla pagina web
http://www.antoniocasella.eu/archica/Salvati_legislazione_penitenziaria_09.07.2009.pdf. 100
Ibidem.
46
Altre innovazioni vengono apportate dalla legge del 27 maggio 1998, n. 165 che
introduce la detenzione domiciliare biennale, si cerca di non far vivere il pesante
percorso del carcere a soggetti che non hanno commesso gravi reati. Per
l’affidamento in prova al servizio sociale non vi è la necessità dell’osservazione in
istituto101
.
La legge del 8 giugno del 2001, n. 231 introduce l’istituto dell’affidamento in
prova al servizio sociale e la detenzione domiciliare anche per soggetti affetti da
AIDS.
La legge “Finocchiaro” del 8 marzo 2001, n. 40 aggiunge alla riforma del 1975 la
detenzione domiciliare per le madri detenute.
Con la legge “Cirilli” viene inserita la detenzione domiciliare anche per detenuti
ultrasettantenni e vengono introdotti limiti per la concessione delle misure
alternative, come l’affidamento per casi particolari che non può essere concesso
alla stessa persona per più di due volte.
Con queste ultime riforme il sistema penale si impegna a cambiare l’assetto e il
pensiero della Giustizia penale.
Molto ha influito anche il sistema penale presente nei diversi paesi dell’Unione
Europea e i richiami di quest’ultima102
. Il probation, tema che sarà approfondito
in seguito, dopo un secolo dalla sua nascita sta prendendo forma anche in Italia
attraverso la messa alla prova per adulti, una nuova misura di comunità. Per
misure di comunità la raccomandazione (92) 16 del Comitato dei Ministri del
Consiglio d’Europa intende: «sanzioni e misure che mantengono il condannato
nella comunità ed implicano una certa restrizione della sua libertà attraverso
l’imposizione di condizioni e/o obblighi e che sono eseguite dagli organi previste
dalle norme in vigore. Tale nozione designa le sanzioni decise da un tribunale o
da un giudice e le misure adottate prima della decisione che impone la sanzione o
101 Parlamento Italiano, legge 27 maggio 1998, n.165, alla pagina web
http://www.camera.it/parlam/leggi/98165l.htm. 102
La Corte Europea dei diritti umani con la sentenza adottata l’8 gennaio 2013 ha condannato
l’Italia per la violazione dell’art. 3 della CEDU.
47
al posto di tale decisione, nonché quelle consistenti in una modalità di esecuzione
di una pena detentiva al di fuori di uno stabilimento penitenziario»103
.
2.2 La messa alla prova per adulti.
La messa alla prova, istituto recente in Italia, trae ispirazione dal Probation
inglese e dall’esperienza applicativa Americana. La nascita viene fatta risalire al
1841104
, quando in una Corte di Boston, durante un processo nei confronti di un
mendicante, un calzolaio si rese disponibile per offrire al mendicante lavoro e
sostegno, così da poter sospendere la condanna. Con tale conclusione positiva il
giudice affidò all’imputato solo una multa simbolica. A seguito di ciò ci furono
diverse esperienze sostenute soprattutto da organismi di volontariato. La prima
legge concernente questo tema è la “Massachusetts probation act”105
. Nel 1925
ogni Stato aveva introdotto misure di comunità per i minorenni106
. In Inghilterra
nel 1847 si ebbe la legge ”Juvenille Offenders Act” che permetteva al Giudice di
rimproverare il minore, ma non di condannarlo.
In Italia nel 1988 con il D.P.R. n. 488 si introduce la sospensione del processo con
messa alla prova del minore.
All’art 28 del D.P.R. si possono leggere le seguenti parole: «Il giudice, sentite le
parti, può disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene di dover
valutare la personalità del minorenne all'esito della prova disposta a norma del comma
2. Il processo è sospeso per un periodo non superiore a tre anni quando si procede per
reati per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel
103 Ministero della Giustizia, Misure alternative e di comunità, www.ministerodellagiustizia.it
104 Centro di Documentazione “l’altro diritto”, fondato nel 1966 presso il Dipartimento di Teoria e
storia del Diritto dell’Università di Firenze. La messa alla prova: sue applicazioni nel tribunale di
Firenze, alla pagina web www.altrodiritto.unifi.it. 105
G. Ortu, Il probation: modelli ed esperienze negli ordinamenti di altri paesi, alla pagina web
www.altrodiritto.unifi.it 106
Ibidem.
48
massimo a dodici anni; negli altri casi, per un periodo non superiore a un anno. Durante
tale periodo è sospeso il corso della prescrizione»107
.
Con la legge del 28 aprile 2014 n. 67, entrata in vigore il 17.05.2014, «Deleghe al
governo in materie di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema
sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensioni del procedimento con messa
alla prova e nei confronti degli irreperibili», il sistema penale italiano si ispira al
probation europeo cerando di avvicinarsi a quelle che sono le principali
componenti di questo tema già molto sviluppato in paesi come la Scozia e
l’Inghilterra.
L’avvicinarsi al sistema di probation, attraverso queste misure di comunità, segna
un piccolo distacco dalla “concezione carcerocentrica” che in Italia è ancora
forte108
. Un passo verso una concezione comunitaria è stato fatto anche con il
decreto del presidente del consiglio dei ministri n.84 del 2015 che crea un nuovo
assetto del Ministero della Giustizia e crea il Dipartimento per la giustizia
minorile e di comunità, che comprende l’esecuzione penale esterna dei minori e
degli adulti.
La legge n. 67 prende esempio dalla messa alla prova per i minori, ma entrambe si
differenziano dal probation europeo in quanto agiscono prima del processo, non
vi è una colpevolezza appurata dal giudice perciò in Italia si parla di imputato
puro. Si agisce nell’immediato dell’accaduto perché si vuole rispondere anche al
carico giudiziario agendo con una rapida conclusione dei procedimenti penali109
.
La sospensione del procedimento con messa alla prova è una nuova misura,
istituita con la legge del 28 aprile 2014, n. 67, questa era già in elaborazione dal
Governo Prodi, ed è grazie alla sentenza Torreggiani110
che il sistema è stato
107 Codice di procedura penale, alla pagina web www.normattiva.it.
108 R. Maestri, L’istituto della messa alla prova in Ministero della Giustizia, Nuove esperienze di
giustizia minorile e di comunità, Roma, p. 144. 109
Ibidem. 110
La Corte europea dei diritti umani, con la sentenza Torreggiani (ricorsi nn. 43517/09, 46882/09,
55400/09; 57875/09, 61535/09, 35315/10, 37818/10) – adottata l’8 gennaio 2013 con decisione
presa all’unanimità – ha condannato l’Italia per la violazione dell’art. 3 della Convenzione
europea dei diritti umani (CEDU). 1998 risoluzione ONU sulla “Cooperazione internazionale tesa
alla riduzione del sovraffollamento delle prigioni ed alla promozione delle misure alternative”.
49
spinto all’effettiva promulgazione, grazie all’iniziativa della senatrice Ferranti111
.
Con la sentenza nel 2013 si condanna l’Italia per la violazione dell’art. 3 della
convenzione europea dei diritti umani. Probabilmente non è questo lo strumento
per svuotare le carceri però ha comunque trovato spazio nelle diverse leggi
essenziali per rimodellare il sistema penale.
Nel codice penale la legge introduce gli articoli dal 168-bis al 168-quater, nel
codice di procedura penale dal 464-bis al 464-novies, l’art. 657-bis, gli art. 141-
bis e 141-ter che disciplinano l’avviso del pubblico ministero per l’ammissibilità
dell’istituto.
Si introduce l’art 168-bis nel codice penale dove si esplica che la sospensione può
essere richiesta nei procedimenti per i reati puniti con pena pecuniaria, o per i reati
con pena edittale detentiva fino ad un massimo di 4 anni, nonché per i delitti
indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale112
. I
requisiti oggettivi assoluti appena dettati sono condizioni necessarie, ma non
assolute per l’ammissibilità113
. Il legislatore sottolinea, nelle righe seguenti, il fine
della misura: cancellare le conseguenze dannose del reo, anche in un’ottica
preventiva e risarcire il danno che consegue il reato. Ciò avviene attraverso l’aiuto
e la professionalità del funzionario di servizio sociale, a cui viene affidato
l’imputato. Si sottolinea l’ispirazione al probation, quindi alla giustizia riparativa
insita in questa misura.
Non si intende la messa alla prova come una modalità esecutiva della pena in
quanto non vi è stata una sentenza di condanna, inoltre non è un procedimento di
111 G. Gori, L'esecuzione della sentenza pilota. Il primo impatto della sentenza Torreggiani nel
contesto italiano in I diritti dei detenuti tra giurisprudenza CEDU e politiche penali, capitolo IV,
alla pagina web www.altrodiritto.unifi.it. 112
All’art.550 al comma 2 : a)violenza minaccia a un pubblico ufficiali b) resistenza a un pubblico
ufficiale prevista dall'articolo 337 del codice penale c) oltraggio a un magistrato in udienza
aggravato a norma dell'articolo 343, secondo comma, del codice penale;
d) violazione di sigilli aggravata a norma dell'articolo 349, secondo comma, del codice penale;
e) rissa aggravata a norma dell'articolo 588, secondo comma, del codice penale, con esclusione
delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia rimasto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o
gravissime;
f) furto aggravato a norma dell'articolo 625 del codice penale;
g) ricettazione prevista dall'articolo 648 del codice penale. Diritto Penale Contemporaneo. 113
S. Anastasia, la messa alla prova, slide ISSP.
50
mediazione in quanto questa parte della misura non è obbligatoria e vi deve essere
la volontarietà delle parti.
La concessione della messa alla prova è subordinata allo svolgimento del lavoro
di pubblica utilità, la parte sanzionatoria della misura e la cui durata è stabilita dal
giudice. L’imputato è affidato all’UEPE per lo svolgimento di un programma di
trattamento, precedentemente concordato con lo stesso e approvato dal giudice
nell’udienza di concessione della misura. Il lavoro di pubblica utilità deve essere
svolto presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie, o
presso enti o organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. Il
monte ore della prestazione gratuita è stabilito tenendo conto delle esigenze
familiari, di lavoro e di studio.
Il fine è quello di proporre all’imputato un percorso di reinserimento sociale,
nell’immediatezza del compimento del fatto-reato, dentro una logica di giustizia
che non si basa sulla pena, ma sulla riparazione.
Nell’art 168-bis si fa riferimento agli art.102, 103, 104, 105 e 108114
esplicando
che non rientrano nella misura qui presente, confermando la logica dell’attenzione
alla pericolosità sociale e alla tendenza a reiterare il reato.
Il punto di partenza è quindi la ricerca della consapevolezza e dell’assunzione di
responsabilità circa il disvalore del proprio comportamento, nonché del danno
provocato alla vittima e alla società.
Proprio in favore delle due figure, vittima e società, l’imputato deve attraverso
percorsi di volontariato sociale risarcire coloro che sono implicati nel reato. Non è
solo il fatto-reato il focus, ma ora sono la vittima e la comunità.
Nasce la volontà di riparare alle conseguenze negative derivate dal proprio
comportamento, nonché, ove possibile, di risarcire il danno cagionato.
La messa alla prova ha tre funzioni:
Riparativa: questa nuova misura vuole restituire sia alla vittima, che alla
comunità e al reo la condizione precedente al reato, nei limiti del possibile.
La legge n.67 prevede che vi devono essere condotte volte a promuovere
la mediazione con la persona stessa.
114 Delinquenti e contravventori abituali, delinquenti professionali e delinquenti per tendenza.
51
Retributiva: la messa alla prova è un istituto che si fonda sulla pena, sul
risarcimento in un’ottica di rieducazione anche attraverso i lavori di
pubblica utilità e il volontariato per ripagare la vittima e la società del
danno commesso115
.
Comunitaria: attraverso il lavoro di pubblica utilità si vuole restituire alla
comunità di riferimento ciò che gli è stato tolto. L’imputato svolge il
periodo di messa alla prova all’interno della comunità.
Non può essere concessa più di una volta, infatti il suo esito positivo estingue il
reato, ma rimarrà traccia nel casellario per far si che non possa essere concessa
nuovamente. Come si è scritto si lavora nell’immediatezza del fatto, a differenza
dell’affidamento dove si ha davanti un condannato, nel recente istituto si ha a che
fare con reati e fatti ancora “freschi” nella mente del soggetto.
Ora si procederà passo per passo nella procedura da seguire per richiedere la
sospensione del procedimento con messa alla prova.
L’imputato, o l’avvocato, inviano all’UEPE il modello MAP, nonché un’istanza
di programma di trattamento per messa alla prova, da presentare al tribunale per
l’istanza di sospensione del procedimento. Ora esaminiamo nei minimi dettagli la
fase dell’indagine chiamata anche fase istruttoria. Quello che andremo ad
esaminare è il modo operandi dell’UEPE di Spoleto, in quanto è opportuno
specificare che i diversi UEPE possono agire in modo leggermente differente, a
seconda dei protocolli stipulati con i tribunali di riferimento.
2.3 La fase di indagine e l’elaborazione del programma di
trattamento.
Il programma di trattamento per la professione dell’assistente sociale è una
metodologia di lavoro che è stata recepita a livello normativo a seguito della legge
del 27 luglio 2005, n. 154 del e successivamente dalla legge che riguarda l’istituto
115 M. Grimoldi, R. Cacioppo, l’abito su misura. Significato ed effetti attesi dai contenuti di
progetti di messa alla prova a favore di minori autori di reato, alla pagina web http://mente-
locale.net/labito-misura-significato-ed-effetti-attesi-dai-contenuti-progetti-messa-alla-prova-
favore-minori-autori-reato/.
52
della messa alla prova116
. Lo strumento aiuta ad individualizzare il programma e
quindi a rendere meno standardizzate le misure, dare maggiori significati e valori
aggiunti, rendere l’utente sempre meno un “foglio”. Così facendo si aumenta il
contatto e si migliora la relazione tra l’utente e il professionista. Il programma,
che ora sarà specificato nei dettagli, deve essere stilato in base ai bisogni e le
problematiche sia dell’imputato che della parte offesa, quindi della comunità che
alla giustizia richiede sicurezza sociale117
.
Le modalità con le quali si può formulare la richiesta di sospensione del
procedimento con messa alla prova è indicato nel nuovo Titolo V-bis,
Sospensione del procedimento con messa alla prova, che aggiunge l’art. 464-
bis118
.
Prendiamo in esame il caso in cui la richiesta è presentata dall’avvocato. Essa
deve pervenire all’UEPE di residenza o di domicilio dell’imputato- se diverso
dalla prima- con richiesta formale munita di procura speciale, preferibilmente
tramite PEC, contente: il decreto di citazione a giudizio e l’istanza di programma
116 S. Nasca, Direzione Generale Formazione, Convegno Roma 3 novembre 2016.
117 Ibidem.
118 1. Nei casi previsti dall'articolo 168 bis del codice penale l'imputato può formulare richiesta di
sospensione del procedimento con messa alla prova.
2. La richiesta può essere proposta, oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le
conclusioni a norma degli articoli 421 e 422 o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento
di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio. Se è
stato notificato il decreto di giudizio immediato, la richiesta è formulata entro il termine e con le
forme stabiliti dall'articolo 458, comma 1. Nel procedimento per decreto, la richiesta è presentata
con l'atto di opposizione (2).
3. La volontà dell'imputato è espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale e la
sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall'articolo 583, comma 3.
4. All’istanza è allegato un programma di trattamento, elaborato d'intesa con l'ufficio di esecuzione
penale esterna, ovvero, nel caso in cui non sia stata possibile l'elaborazione, la richiesta di
elaborazione del predetto programma. Il programma in ogni caso prevede:
a) le modalità di coinvolgimento dell'imputato, nonché del suo nucleo familiare e del suo ambiente
di vita nel processo di reinserimento sociale, ove ciò risulti necessario e possibile;
b) le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l'imputato assume anche al fine
di elidere o di attenuare le conseguenze del reato, considerando a tal fine il risarcimento del danno,
le condotte riparatorie e le restituzioni, nonché le prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità
ovvero all'attività di volontariato di rilievo sociale;
c) le condotte volte a promuovere, ove possibile, la mediazione con la persona offesa.
5. Al fine di decidere sulla concessione, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle
prescrizioni cui eventualmente subordinarla, il giudice può acquisire, tramite la polizia giudiziaria,
i servizi sociali o altri enti pubblici, tutte le ulteriori informazioni ritenute necessarie in relazione
alle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica dell'imputato. Tali informazioni
devono essere portate tempestivamente a conoscenza del pubblico ministero e del difensore
dell'imputato.
53
di trattamento per messa alla prova: MAP (si allega). Il modello MAP è universale
ed è possibile trovarlo anche nel sito ufficiale del Ministero della Giustizia119
.
Deve includere i dati anagrafici dell’imputato, atti rilevanti del procedimento
penale, il capo di imputazione, il tribunale e il numero R.G.N.R.( registro generale
notizie di reato) del procedimento, la situazione familiare e la condizione
lavorativa120
. Può includere l’ente pensato per il lavoro di pubblica utilità, ed
inoltre la proposta di un’attività di riparazione, quale la mediazione. Da notare è la
data dell’udienza per la concessione della messa alla prova. Quest’ultimo è un
elemento importante per l’organizzazione del lavoro dell’assistente sociale, che
almeno 10 giorni prima dalla data dell’udienza deve inviare al tribunale,
un’indagine sociale relativa all’imputato e il programma di trattamento condiviso
con lo stesso, nonché l’accordo sottoscritto con l’ente ospitante per lo svolgimento
del lavoro di pubblica utilità.
Grazie all’albo delle convenzioni con gli enti, presente nei Tribunali, può accadere
che con la collaborazione dell’avvocato l’imputato presenti il modello MAP
corredato del nominativo dell’ente presso il quale si svolgerà il lavoro di pubblica
utilità. Nei principi della giustizia riparativa possono essere richiesti, oltre al
lavoro di pubblica utilità, attività riparatorie per il risarcimento del danno, come
percorsi di mediazione verso la parte offesa.
L’UEPE, a seguito della richiesta da parte del legale, rilascia ricevuta dell’istanza
con immediatezza. In seguito a tali azioni si può procedere all’effettuazione
dell’indagine. Il Direttore nomina il funzionario di servizio sociale referente del
caso. L’assistente sociale in questione procederà convocando il richiedente per
l’avvio delle attività d’indagine, finalizzate all’elaborazione condivisa del
programma di trattamento in vista della data dell’udienza.
La fase istruttoria eseguita dall’assistente sociale si avvia attraverso il primo
colloquio professionale. Si svolge l’indagine riguardo la storia del soggetto, la
119 É possibile trovare il file nella sezione della messa alla prova del sito ufficiale del Ministero
della Giustizia, nella parte relativa ai documenti. 120
Tribunale di Terni, Protocollo d’intesa per la sospensione del procedimento con messa alla
prova.
54
famiglia di origine, l’istruzione scolastica, l’attività lavorativa e le condizioni
reddituali121
.
É importante indagare anche la situazione attuale, partendo dal nucleo familiare.
Focus del colloquio sarà descrivere insieme i fatti che l’hanno portato alla
richiesta della sospensione del procedimento della messa alla prova, quindi alla
commissione del reato. Riguardo a questo, si dovrà valutare il grado di
autoresponsabilizzzazione del soggetto. I casi che si possono presentare sono
diversificati e in alcuni è opportuno andare a verificare la situazione dell’imputato
tramite la visita domiciliare.
Per elaborare il programma di trattamento devono essere analizzate le attitudini e
le specifiche comportamentali per una scelta attenta e congrua al lavoro di
pubblica utilità, attività risocializzante e rieducativa per il soggetto.
Come precedentemente indicato si possono verificare due situazioni:
1. l’imputato ha trovato l’ente dove svolgerà il lavoro di pubblica utilità, da
solo o insieme all’avvocato ha preso già contatti con la struttura e presenta
l’accordo individuale che sarà discusso e valutato. Si fa presente che può
essere discusso l’ente e l’entità delle mansioni. Da parte dell’imputato
deve essere presente una reale motivazione e una giusta spiegazione della
scelta dell’ente. Sarebbe anche opportuno che il lavoro di pubblica utilità
fosse calibrato sul reato.
2. L’imputato che si presenta all’ufficio non ha preso nessun contatto e
chiede informazioni riguardo il lavoro di pubblica utilità. Attraverso il
colloquio, quindi la fase dell’indagine, l’assistente sociale è al corrente
delle competenze proprie del soggetto, dell’ente più opportuno da
proporre. Il reato, le competenze e la persona stessa sono tre elementi che
l’assistente sociale deve tener presente nel lavoro con l’imputato di ricerca
dell’ente.
Per far si che questo passaggio sia più lineare possibile, l’assistente sociale
dell’ufficio UEPE deve essere un ottimo mediatore tra gli enti privati, pubblici,
121 R. Maestri, L’istituto della messa alla prova in Ministero della Giustizia, Nuove esperienze di
giustizia minorile e di comunità, Roma, p. 146.
55
ONLUS e i Tribunali122
. E’ importantissimo per creare sempre più convenzioni
che facilitano il rapporto tra l’ente e l’imputato. L’assistente sociale deve
verificare la congruità dell’ente scelto per il soggetto tramite una visita nel luogo
che è stato deciso per i lavori di pubblica utilità.
Una volta che l’imputato e l’ente hanno trovato un accordo riguardo le mansioni
da eseguire e l’orario settimanale definito con i giorni specifici, l’ente e l’imputato
sottoscrivono tutto ciò nell’accordo individuale. Insieme alla proposta di
trattamento, l’accordo sarà la base per la valutazione del giudice nell’udienza per
la concessione della sospensione del procedimento per messa alla prova. È
opportuno che l’assistente sociale individui eventuali attività riparatorie da
proporre, quali il volontariato, e l’attività di mediazione penale con la vittima. Si
trova difficoltà nell’attuare questi percorsi che presuppongono l’ammissione di
colpevolezza, il giudice non si è pronunziato, in quanto il processo non ha avuto
ancora luogo (probation giudiziale)123
. Anche le attività di mediazione non
possono essere attivate se non vi è volontarietà da entrambe le parti e soprattutto
non è un momento di confronto che può essere gestito dall’assistente sociale
referente del caso: vi sono centri specializzati con mediatori penali che hanno una
formazione specifica.
L’assistente sociale ha un ruolo fondamentale nell’accompagnamento
dell’imputato in questo percorso. Le sue responsabilità sono verso l’imputato, la
società e verso la giustizia124
.
L’assistente sociale lavora con l’imputato perché lui adempia alla funzione
riparativa verso la vittima, o la parte offesa e faciliti il “reinserimento” nella
società: anche se non vi è stato un distacco è stata lesa una parte della comunità.
Punti fermi sono far accrescere la responsabilizzazione verso il fatto commesso, la
vittima, la comunità e verso i familiari dell’imputato che sono all’interno della
situazione. L’assistente sociale recependo l’art.464 quater comma 3 e le regole del
probation europee sa che per il ridimensionamento della recidiva deve far in
122 Decreto 8 giugno 2015 n.88.
123 Ivi p.147.
124 S. Anastasia, la messa alla prova slide ISSP.
56
modo che l’imputato abbandoni i comportamenti illeciti e tutto ciò che può
causarli e già li ha causati.
Attraverso i colloqui con l’imputato, la visita all’ente e le relazioni dei servizi
specialistici si possono inviare al Tribunale Ordinario gli elementi che il giudice
nel giorno dell’udienza valuterà. Fondamentale importanza hanno i requisiti di
legge, l’entità della pena non concessa e il livello di pericolosità sociale.
Il giudice in seguito ad una richiesta di sospensione del procedimento con messa
alla prova trasmette gli atti al Pubblico Ministero che entro 5 giorni deve
esprimere il consenso,125
come descritto nell’art. 464-ter. Se la risposta del P.M è
positiva, secondo l’art.464-quater il giudice potrà proseguire con l’udienza
stabilendo se il programma di trattamento è idoneo valutando i seguenti elementi:
capo di imputazione;
idoneità della proposta del programma di trattamento concordato e
sottoscritto;
contratto di lavoro dell’imputato o certificazione attestante l’impegno di
studio;
accordo individuale sottoscritto con l’ente dove svolgerà il lavoro di
pubblica utilità;
l’indagine socio-familiare redatta dall’UEPE;
la circostanza che il domicilio indicato nel programma sia tale da
assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato;
inoltre, come sancito dall’art. 464-bis al comma 5, tramite la polizia
giudiziaria, i servizi sociali e gli enti pubblici, il giudice può acquisire
informazioni riguardo l’imputato.
Si sottolinea nell’art. 464-bis che le informazioni devono essere portate a
conoscenza del pubblico ministero e del difensore dell’imputato, a garanzia del
contradditorio126
.
La legge n. 67 affida al giudice l’autonomia di modificare o integrare la proposta
del programma di trattamento con il consenso dell’imputato.
125 A. Larussa, La messa alla prova, Altalex, 2017, alla pagina web www.altalex.com.
126 Sito Brocardi, codice di procedura penale, libro sesto, titolo V, art.464-bis, alla pagina web
www.brocardi.it.
57
Riguardo il periodo di durata del lavoro di pubblica utilità e della sospensione
nella legge non vi sono termini specifici. Il giudice valuta la situazione attraverso
l’art. 133 del codice di procedura penale127
. In base a questo si terrà conto della
gravità del reato, delle condizioni di vita familiare e sociali del reo.
In attesa dell’udienza della concessione della messa alla prova, l’assistente
sociale, inviata la documentazione descritta sino ad ora, chiude il fascicolo di
indagine, o istruttoria.
2.4. La fase esecutiva.
L’ordinanza del tribunale, che stabilisce la sospensione del procedimento con la
messa alla prova, nonché la sua durata, approva il programma di trattamento ed è
immediatamente trasmessa all’ufficio di esecuzione penale esterna, che
convocherà l’imputato per la sottoscrizione della misura e quindi il suo avvio. La
fase esecutiva è descritta dall’art.464-quinquies128
.
La segreteria dell’UEPE riceve l’ordinanza dell’udienza, la sospensione del
procedimento è stata concessa. Il Direttore convocherà l’imputato che dovrà
127 Nell'esercizio del potere discrezionale indicato nell'articolo precedente [164, 169, 175, 203 2], il
giudice deve tener conto della gravità del reato (1), desunta: 1) dalla natura, dalla specie, dai
mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell'azione;
2) dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato ;
3) dalla intensità del dolo o dal grado della colpa . Il giudice deve tener conto, altresì,
della capacità a delinquere del colpevole [103, 105, 108; c.p.p. 220], desunta:
1)dai motivi a delinquere e dal carattere del reo ;
2) dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al
reato ;
3) dalla condotta contemporanea o susseguente al reato ;
4) dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo. 128
1. Nell'ordinanza che dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice
stabilisce il termine entro il quale le prescrizioni e gli obblighi relativi alle condotte riparatorie o
risarcitorie imposti devono essere adempiuti; tale termine può essere prorogato, su istanza
dell'imputato, non più di una volta e solo per gravi motivi. Il giudice può altresì, con il consenso
della persona offesa, autorizzare il pagamento rateale delle somme eventualmente dovute a titolo
di risarcimento del danno.
2. L’ordinanza è immediatamente trasmessa all'ufficio di esecuzione penale esterna che deve
prendere in carico l'imputato.
3. Durante la sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice, sentiti l'imputato e il
pubblico ministero, può modificare con ordinanza le prescrizioni originarie, ferma restando la
congruità delle nuove prescrizioni rispetto alle finalità della messa alla prova.
58
firmare la sottoscrizione inderogabilmente entro i primi 10 giorni successivi
l’udienza. Probabilmente il Direttore dell’UEPE apre il fascicolo per la fase
esecutiva all’assistente sociale che ha seguito la fase di indagine per la continuità
del rapporto. La prima prescrizione del programma di trattamento consiste nella
sottoscrizione del verbale di udienza di messa alla prova dell’imputato presso gli
uffici UEPE. In seguito a questo momento si dichiara iniziata la fase esecutiva.
Di norma le sottoscrizioni sono svolte dal Direttore, o da chi ne fa le veci.
Durante la sottoscrizione, attenendosi alle regole di probation129
che sottolineano
l’importanza del consenso informato, il funzionario di servizio sociale spiega tutte
le prescrizioni, che generalmente sono:
mantenere contatti con l’UEPE nelle modalità scelte dai funzionari di
servizio sociale, rendendosi disponibile ad avviare una riflessione sulle
condotte antigiuridiche poste in essere e sulle conseguenze;
mantenere il domicilio all’indirizzo indicato dall’imputato e informare per
l’eventuale cambiamento di questo la propria assistente sociale130
;
contribuire al sostegno morale e materiale del proprio nucleo familiare,
mantenere un comportamento dignitoso rispetto al ruolo ricoperto nel
contesto familiare e sociale di appartenenza;
continuare la propria attività lavorativa o il proprio percorso formativo;
l’imputato dovrà svolgere lavori di pubblica utilità presso l’ente indicato
nell’accordo individuale;
svolgere un’attività di riparazione, quale la mediazione penale nei
confronti della vittima o, se questa non vi è, nei confronti della comunità.
Per quanto riguarda la mediazione, considerato che il territorio umbro non dispone
di risorse specifiche rivolte agli adulti, l’UEPE richiede una disponibilità
129 Probation: «La Probation, secondo la definizione del Comitato dei Ministri del Consiglio
d’Europa descrive l’esecuzione in area penale esterna di sanzioni e misure definite dalla legge ed
imposte ad un autore di reato» dal sito del Ministero della giustizia,
www.ministerodellagiustizia.it. 130
Per un approfondimento si veda la decisione quadro 2008/947 Gai del Consiglio relativa
all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di
sospensione condizionale in vista della sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e
delle sanzioni sostitutive.
59
dell’imputato, nei casi in cui vi sia una vittima identificata, a strutture pubbliche
quali consultori familiari o centri di mediazione familiare131
.
Se vi sono problemi di dipendenza e l’imputato ha iniziato un percorso di
valutazione nella fase di indagine sarà presente la seguente prescrizione:
mantenere i contatti e eseguire il programma trattamentale scelto, quindi
approvato dal Giudice e dal servizio specialistico.
Il Direttore dopo aver spiegato tutte le prescrizioni e aver ribadito qual è il
funzionario di servizio sociale a lui affidato anche per questa fase, comunicherà
all’imputato il giorno della settimana nel quale dovrà avvenire il contatto
telefonico con l’assistente sociale, che dovrà essere avvertita dell’andamento della
misura e del lavoro di pubblica utilità. (Si rende necessario ripetere che tutto ciò è
la prassi che si sviluppa al UEPE di Spoleto, in altri uffici possono essere ravvisati
elementi differenti).
La sospensione inizia dal giorno in cui si firma. La data dell’udienza di verifica è
scritta nell’ordinanza ed è importante per organizzarsi al meglio anche con il
lavoro di pubblica utilità. (Si noterà il perché nel prossimo paragrafo.)
L’assistente sociale di riferimento può convocare per un ulteriore colloquio
l’imputato. Durante la misura quest’ultimo non può esimersi da ciò in quanto è
una prescrizione importante tenere contatti con i funzionari dell’UEPE.
L’assistente sociale ha bisogno di questi momenti, per tenere vivo il dialogo con
l’imputato, per notare se ci sono dei possibili momenti di “vuoto” e perché deve
trimestralmente inviare al Tribunale Ordinario una relazione concernete la
situazione. Se durante la misura vi sono dei cambiamenti, ad esempio l’imputato
per motivi lavorativi deve cambiare l’orario di accesso all’ente dove svolge il
lavoro di pubblica utilità, il funzionario di servizio sociale proporrà la modifica
delle prescrizioni al giudice. Per redigere questa relazione il funzionario di
servizio sociale deve servirsi anche di quella dell’ente dove l’imputato sta
svolgendo il lavoro di pubblica utilità e di una comunicazione formale del datore
di lavoro che attesta il cambiamento di orario. Il compito dell’assistente sociale è
131 Tribunale di Perugia, UEPE, Ordine avvocati,Vademecum operativo sulla procedura per la
sospensione del procedimento con messa alla prova.
60
quello di promuovere il dialogo con i diversi attori che per un buon
funzionamento della misura deve essere alimentato e ogni novità, sia positiva che
negativa del soggetto deve circolare nell’ottica di un lavoro di rete tra i servizi. In
relazione al protocollo che nel 3 capitolo è il focus di una ricerca sviluppata
nell’UEPE di Spoleto, si noterà come l’integrazione e il dialogo tra i servizi è
fondamentale.
2.5 Il lavoro di pubblica utilità.
Prima di introdurre una delle parti fondamentali dell’istituto è d’obbligo aprire
una piccola parentesi. Il lavoro di pubblica utilità è la prima sanzione di comunità,
introdotta in Italia con l’art.54 del Decreto Legislativo 28 agosto 2000, n. 274 che
il giudice di pace applica su richiesta dell’imputato. Con il decreto ministeriale del
2001 si indica che per lo svolgimento vi devono essere convenzioni tra gli enti e i
tribunali. Con la modifica nel 2010 del codice della strada del 1992, gli articoli
186132
comma 9 bis e 187133
comma 8 bis consentono al Giudice di sostituire la
132 9-bis. Al di fuori dei casi previsti dal comma 2-bis del presente articolo, la pena detentiva e
pecuniaria può essere sostituita, anche con il decreto penale di condanna, se non vi è opposizione
da parte dell'imputato, con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all'articolo 54 del decreto
legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste e consistente nella prestazione
di un'attività non retribuita a favore della collettività da svolgere, in via prioritaria, nel campo della
sicurezza e dell'educazione stradale presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti
o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, o presso i centri specializzati di lotta alle
dipendenze. Con il decreto penale o con la sentenza il giudice incarica l'ufficio locale di
esecuzione penale ovvero gli organi di cui all'articolo 59 del decreto legislativo n. 274 del 2000 di
verificare l'effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. In deroga a quanto previsto
dall'articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata
corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria
ragguagliando 250 euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilità. In caso di svolgimento positivo
del lavoro di pubblica utilità, il giudice fissa una nuova udienza e dichiara estinto il reato, dispone
la riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente e revoca la confisca del
veicolo sequestrato. La decisione è ricorribile in cassazione. Il ricorso non sospende l'esecuzione a
meno che il giudice che ha emesso la decisione disponga diversamente. In caso di violazione degli
obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, il giudice che procede o il giudice
dell'esecuzione, a richiesta del pubblico ministero o di ufficio, con le formalità di cui all'articolo
666 del codice di procedura penale, tenuto conto dei motivi, della entità e delle circostanze della
violazione, dispone la revoca della pena sostitutiva con ripristino di quella sostituita e della
sanzione amministrativa della sospensione della patente e della misura di sicurezza della confisca.
Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di una volta. 133
8-bis. Al di fuori dei casi previsti dal comma 1-bis del presente articolo, la pena detentiva e
pecuniaria può essere sostituita, anche con il decreto penale di condanna, se non vi è opposizione
61
pena con la sanzione di lavoro di pubblica utilità. La sanzione non è ancora
disciplinata nei caratteri riparativi, cosa che invece avviene nell’istituto della
messa alla prova134
. Nel regolamento del Ministero della Giustizia di giugno
2015, D.M. n. 88 si designa che per la messa alla prova valgono anche le
convenzioni stipulate per la legge dei lavori di pubblica utilità, appena citata,
D.lgs 28/08/2000 n.274. L’UEPE ha il compito di favorire i contatti tra gli enti e i
tribunali, per contribuire alla stipula delle nuove convenzioni per i lavori di
pubblica utilità delle messe alla prova. Gli enti devono farsi carico della copertura
assicurativa contro gli infortuni e per le malattie professionali, mentre non vi è
nessun onere a carico degli organi del Ministero della Giustizia.
Il Direttore o chi ne fa le veci durante la sottoscrizione del verbale di messa alla
prova, spiega all’imputato che a seguito dell’ incontro dovrà essere lui stesso, con
il verbale firmato, a recarsi nell’ente per poter iniziare il lavoro di pubblica utilità,
secondo le modalità presenti nel programma di trattamento. È da specificare che
per prevenire la revoca della sospensione il conteggio delle ore va fatto con
estrema precisione. Un imputato che ha una sospensione del processo per 7 mesi e
nel programma di trattamento, quindi nell’accordo individuale, ha i seguenti orari
da parte dell'imputato, con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all'articolo 54 del decreto
legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste e consistente nella prestazione
di un'attività non retribuita a favore della collettività da svolgere, in via prioritaria, nel campo della
sicurezza e dell'educazione stradale presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti
o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, nonché nella partecipazione ad un
programma terapeutico e socio-riabilitativo del soggetto tossicodipendente come definito ai sensi
degli articoli 121 e 122 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre
1990, n. 309. Con il decreto penale o con la sentenza il giudice incarica l'ufficio locale di
esecuzione penale ovvero gli organi di cui all'articolo 59 del decreto legislativo n. 274 del 2000 di
verificare l'effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. In deroga a quanto previsto
dall'articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata
corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria
ragguagliando 250 euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilità. In caso di svolgimento positivo
del lavoro di pubblica utilità, il giudice fissa una nuova udienza e dichiara estinto il reato, dispone
la riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente e revoca la confisca del
veicolo sequestrato. La decisione è ricorribile in cassazione. Il ricorso non sospende l'esecuzione a
meno che il giudice che ha emesso la decisione disponga diversamente. In caso di violazione degli
obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, il giudice che procede o il giudice
dell'esecuzione, a richiesta del pubblico ministero o di ufficio, con le formalità di cui all'articolo
666 del codice di procedura penale, tenuto conto dei motivi, della entità e delle circostanze della
violazione, dispone la revoca della pena sostitutiva con ripristino di quella sostituita e della
sanzione amministrativa della sospensione della patente e della misura di sicurezza della confisca.
Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di una volta. 134
A.Deriu, Il lavoro di pubblica utilità, in Ministero della Giustizia, Nuove esperienze di Giustizia
Minorile e di Comunità, Roma, 2015.
62
del L.P.U. da seguire, il lunedì e il mercoledì dalle 9.00 alle 13.00, per un totale di
8 ore settimanali, deve effettuare il conteggio sottostante:
7 mesi sono formati da 28 settimane, che moltiplicate per 8 ore settimanali danno
un totale di 224 ore. Il risultato dovrà comparire nel registro presenze che l’ente
consegnerà all’imputato per segnare l’ora di entrata e l’ora di uscita, ad ogni
accesso effettuato nella struttura ospitante. In questo modo il Giudice potrà
verificare se il programma di trattamento è stato rispettato. Nel paragrafo
precedente si è anticipato dell’importanza di sapere sin dall’inizio la data
dell’udienza di verifica per lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. La
maggiore preoccupazione degli imputati è di non riuscire a rispettare l’orario che
è stato scelto. Cosa avviene se non si completa il monte ore di lavoro nel periodo
di sospensione stabilito? La sospensione del procedimento con messa alla prova
inizia il 2.01.2017, ha una durata di 7 mesi, si conclude il 1.08.2017 e l’udienza di
verifica è programmata per il 1.09.2017. E’ presente una “finestra” di un mese nel
quale, a seguito di problemi seri, quali lavoro o la salute, se l’imputato non ha
raggiunto il monte ore di 224 ore può prendersi come spazio una o due settimane,
sempre tendo conto che 10 giorni prima dell’udienza l’assistente sociale dovrà
inviare la relazione finale al Giudice. Può succedere che non vi è presente uno
spazio di 1 mese tra la fine della misura e la data dell’udienza, ma comunque
l’imputato non riesce a finire le ore per motivi gravi appurati. In questo caso si
rimanderà l’udienza di verifica a quando tutti i presupposti sono esistenti.
L’assistente sociale lavora con la persona per far si che questo non accada.
63
2.6 Conclusione e udienza di verifica.
L’assistente sociale invia la relazione finale al Tribunale almeno 10 giorni prima
dalla data dell’udienza. Il documento è un resoconto che l’assistente sociale scrive
per comunicare al Giudice l’andamento complessivo di tutta la misura. Si include
la relazione del servizio specialistico, dell’ente dove è stato svolto il lavoro di
pubblica utilità e il registro presenze. Con quest’ultimo elemento il Giudice
procede al conteggio delle ore svolte. Se egli valuta positivamente l’intero
andamento della misura, dichiara l’estinzione del reato135
.
Non è possibile prorogare il termine fissato della sospensione, anche se questo
potrebbe essere ideale se non si è sicuri dell’andamento della misura136
.
È possibile invece revocare la sospensione per tre motivi, secondo l’art.168-quater
che è stato introdotto a seguito della legge n. 67 del 2014:
1. caso di grave trasgressioni alle prescrizioni del programma di trattamento;
2. rifiuto alla prestazione di lavoro pubblico utilità;
3. commissione di un nuovo reato durante la sospensione del programma di
trattamento.
L’ordinanza di revoca deve essere pronunziata almeno dieci giorni prima della
data dell’udienza alle parti e all’imputato137
.
Il pubblico ministero determina la pena che si deve eseguire tenendo conto dei
giorni di messa alla prova già eseguiti; tre giorni equivalgono a uno di arresto o
250 euro di multa, secondo l’art. 657 bis c.p.p. Si differenzia dalla messa alla
prova minorile perché il Giudice minorile procede alla determinazione della pena
senza detrazioni138
.
135 Art 168ter comma 2 c.p. «L'esito positivo della prova estingue il reato per cui si procede.
L'estinzione del reato non pregiudica l'applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, ove
previste dalla legge», alla pagina web www.ministerodellagiustizia.it. 136
N. Treggiani, sospensione del processo e messa alla prova, dinamiche processuali, alla pagina
web https://www.youtube.com/watch?v=kjhE9A_wFnc. 137
V. Bove, Messa alla prova per gli adulti, incontro di studio 28novembre 2014. 138
R. Maestri, L’istituto della messa alla prova in Ministero della Giustizia, Nuove esperienze di
giustizia minorile e di comunità, Roma, 2015, p. 144.
64
La messa alla prova rappresenta un punto cardine nel nuovo riassetto
dell’esecuzione penale esterna, in cui è ancora più visibile la prospettiva di
interventi che vedono la centralità della persona, la territorialità dei progetti e
misure limitative ma non privative. I caratteri di deistituzionalizzazione e
territorialità sono propri dell’esecuzione esterna che comunque è un effettivo
strumento di controllo sociale. I principi fanno intendere al meglio il motivo della
nascita del nuovo Dipartimento di Giustizia Minorile e di Comunità che agisce
nell’ottica del lavoro di rete e di comunità139
. Sono progetti che prevedono un
impegno costante e serio del soggetto, un’accurata indagine sulla sua situazione
socio-familiare, della struttura dove lavora e di tutte le istituzioni specialistiche
che possono contribuire al progetto di reinserimento e di riparazione che
l’individuo deve rispettare. Per quanto riguarda l’integrazione e la collaborazione
con gli enti presenti sul territorio, sono stati istituiti diversi protocolli di intesa tra
servizi e UEPE.
Con questo piccolo contributo sulla messa alla prova per adulti si è cercato di far
intendere quanto è importante, per un’effettiva applicazione, l’efficienza degli
uffici di esecuzione penale esterna. Gli è stato affidato un compito di organo
tecnico-amministrativo è un ufficio essenziale per la valutazione che sarà
effettuata dal giudice.
Molte parole sono state spese per ribadire tra i fini ultimi quello del contenimento
della recidiva, che può essere rispettato grazie al contributo dei funzionari
dell’ufficio Di Esecuzione Penale Esterna che deve essere sostenuto di più dal
nostro sistema. Per una più completa valutazione sia del bisogno che del rischio di
recidiva il lavoro dell’assistente sociale deve integrarsi con quello dello psicologo
cui è possibile si richieda un’indagine della persona, elemento che apporta valore
per la stesura del trattamento individualizzato e per la valutazione del giudice140
.
139 Si fa riferimento alla riforma del 2015, “Regolamento di organizzazione del Ministero della
giustizia e riduzione degli Uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche”. 140
R. Maestri, L’istituto della messa alla prova in Ministero della Giustizia, Nuove esperienze di
giustizia minorile e di comunità, Roma, 2015, p.147.
65
2.7 Alcune considerazioni riguardo la “prova” dell’istituto della
messa alla prova.
Nel libro pubblicato dal Dipartimento per la Giustizia Minorile e di Comunità,
Studi e ricerche e attività internazionale, Nuove esperienze di giustizia minorile e
di comunità, nella seconda parte è presente un dossier sulla messa alla prova141
. In
questa parte Eustachio Vincenzo Petralla e Roberta Maestri142
pongono in rilievo
l’andamento della nuova misura da settembre 2014, quando inizia ad avere numeri
rilevanti, sino al mese di settembre 2015. I funzionari dell’ufficio di esecuzione
penale esterna in questo primo anno hanno agito con i seguenti tempi: il 6% delle
indagini per la stesura della proposta del programma di trattamento si sono
concluse entro un mese, il 22% entro 3 mesi, il 45% entro 6 mesi il17% e il 10%
rispettivamente in 8 e 10 mesi. La specificità della messa alla prova è che agisce
nell’immediatezza del fatto-reato, ma con questi tempi come può verificarsi? Il
Giudice senza l’indagine dell’UEPE non può intervenire143
. Senza la giusta
quantità di personale e l’aumento di lavoro apportato anche dalla nuova misura di
comunità rispettare i principi di questa non è senz’altro facile.
La tesi è confermata da grafici più recenti del Ministero della Giustizia che
mostrano l’aumento negli ultimi tempi della richiesta di sospensione: ad agosto
2017 si riscontrano 10.111 misure in corso.
141 Il dossier contiene anche analisi dei dati e riflessioni sia della messa alla prova per adulti che
per minori, pp. 81-179. 142
Roberta Maestri, Funzionario della professionalità di servizio sociale, Ufficio I Direzione
Generale esecuzione penale esterna e di messa alla prova; Vincenzo Petralla, Dirigente presso il
Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria 143
E. V. Petralla, R. Maetri, Analisi dell’andamento della messa alla prova, in Ministero della
Giustizia, Nuove esperienze di Giustizia Minorile e di Comunità, Roma, 2015, p. 150.
66
Immagine 1: Grafico concernete l’andamento della messa alla prova dalla nascita fino ad
agosto 2017144.
Solo nel mese di luglio sono pervenute agli uffici UEPE 1486 richieste di
sospensione del procedimento con messa alla prova.
Rispettare i tempi brevi richiesti però non è possibile, con le risorse di cui si
dispone, se si vuole costruire un programma di trattamento dignitoso.
Si ricorda che l’assistente sociale deve avviare la fase di indagine concernente la
situazione personale e sociale dell’imputato attraverso visite domiciliari e colloqui
professionali. L’operatore deve lavorare affinché l’individuazione dell’ente per lo
svolgimento dei lavori di pubblica utilità risulti una scelta ottimale per il fine
ultimo della misura. Le altre sue mansioni sono relative alla materia sono di
individuare un volontariato opportuno e di concordare con l’imputato, se vi è la
disponibilità, un’attività di mediazione penale. Oltre a ciò dovrà definire con
l’imputato il programma di trattamento e definire una prassi operativa e delle linee
guida con i servizi terzi che costituiscono il funzionamento del programma di
trattamento.
Codeste attività sono poi da sommare agli altri compiti relativi gli uffici di
esecuzione penale esterna.
144 Statistiche del Ministero della Giustizia di M.Ciarpi.
67
Ciò rende facile capire il motivo per cui secondo i dati del Ministero della
Giustizia su 21.050 istanze pervenute agli UEPE, nel periodo che va da gennaio
2016 ad agosto 2017, più della metà, nonché 13.316 sono ancora pendenti al
servizio145
.
145 M. Ciarpi Ministero della Giustizia.
68
Capitolo 3
Itinerario metodologico della ricerca.
3.1 Descrizione del contesto dove si è svolta la ricerca: UEPE di
Spoleto.
Art.27 Costituzione:
«La responsabilità penale è personale.
L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e
devono tendere alla rieducazione del condannato [cfr. art. 13 c. 4].
Non è ammessa la pena di morte»146
.
Con questo articolo si nota come nel 1948 l’Assemblea Costituente introduce il
fine rieducativo della pena. Il nuovo approccio fa sì che la giustizia riparativa
riparativa sia presente sia all’interno della casa di reclusione che con misure
alternative a questa, introdotte con la legge del 26 luglio 1975, n. 354 “Norme
sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e
limitative della libertà”, legge che istituii i Centri di Servizio Sociale nelle sedi
degli Uffici di Sorveglianza. Per quello che riguarda l’esecuzione penale esterna i
146 La Costituzione, Parte I Titolo I, alla pagina web www.senato.it.
69
Centri di Servizio Sociale (C.S.S.A.) erano gli uffici deputati all’espletamento
delle misure alternative alla detenzione descritti all’art.72 della citata legge.
«I centri, a mezzo del personale di servizio sociale, provvedono ad eseguire, su
richiesta del magistrato di sorveglianza o della sezione di sorveglianza, le
inchieste sociali utili a fornire i dati occorrenti per l’applicazione, la
modificazione, la proroga e la revoca delle misure di sicurezza e per il
trattamento dei condannati e degli internati, nonché a prestare la loro opera per
assicurare il reinserimento nella vita libera dei sottoposti a misure di sicurezza
non detentive.
I centri prestano inoltre, su richiesta delle direzioni degli istituti, opera di
consulenza per favorire il buon esito del trattamento penitenziario. Svolgono,
infine, ogni altra attività prevista dalla presente legge che comporti interventi di
servizio sociale»147
.
I C.S.S.A sono stati sostituiti dagli Uffici Locali Di Esecuzione Penale Esterna, gli
UEPE, istituiti con la Legge 27 luglio 2005, n.154 “Delega al Governo per la
disciplina dell’ordinamento della carriera dirigenziale penitenziaria” all’art.3
(Esecuzione penale esterna) si apportano modifiche all’art.72 della legge del 26
luglio 1975, n.354 che viene sostituito dal seguente art.72:
«Gli uffici
a)svolgono, su richiesta dell’autorità giudiziaria, le inchieste utili a fornire i dati
occorrenti per l’applicazione, la modificazione, la proroga e la revoca delle
misure di sicurezza;
b)svolgono le indagini socio-familiari per l’applicazione delle misure alternative
alla detenzione ai condannati
c)propongono all’autorità giudiziaria il programma di trattamento da applicare
ai condannati che chiedono di essere ammessi all’affidamento in prova e alla
detenzione domiciliare;
d) controllano l’esecuzione dei programmai da parte degli ammessi alle misure
alternative, ne riferiscono all’autorità giudiziaria, proponendo eventuali
interventi di modificazioni o di revoca:
147 L’ordinamento penitenziario, legge 26 luglio 1975 n.354, alla pagina web www.ristretti.it.
70
e)su richiesta delle direzioni degli istituti penitenziari, prestano consulenza per
favorire il buon esito del trattamento penitenziario;
f)svolgono ogni altra attività prescritta dalla legge e dal regolamento».
In data 20.03.2017 si intraprende il percorso di stage presso l’Ufficio di
Esecuzione Penale Esterna di Spoleto (a seguito del decreto ministeriale 23
febbraio 2017 “Individuazione degli Uffici locali di esecuzione penale esterna
quali articolazioni territoriali del Dipartimento della giustizia minorile e di
comunità, nonché individuazione delle articolazioni interne dei medesimi Uffici
locali e misure di coordinamento con gli Uffici interdistrettuali e distrettuali di
esecuzione penale esterna”, UEPE di Terni148
). Trattasi di un ufficio di servizio
sociale del Ministero della Giustizia che, a seguito del processo di
riorganizzazione, di cui al D.P.C.M. n. 84/15, appartiene al nuovo Dipartimento
per la Giustizia Minorile e di Comunità; precedentemente apparteneva al
Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia.
Questa riforma è un’innovazione che ha cambiato profondamente il contesto dove
si è svolto lo stage: c’era urgente bisogno del decreto per la riorganizzazione degli
uffici di amministrazione. I cambiamenti apportati dal decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri sono relativi alla gestione amministrativa e all’assetto
organizzativo, quindi alle logiche di azione che devono mirare ad un innalzamento
di efficienza ed economicità. Si deve affermare così quello che è il principio della
buona amministrazione sia a livello periferico che a livello centrale. Questo ha
consentito di ottimizzare le risorse potendo attivare servizi migliori con meno
possibilità economiche attraverso un processo di unificazione delle strutture
amministrative, riducendo gli uffici dirigenziali per un maggiore risparmio
economico e una maggiore efficienza.
La grande novità che conferma ciò, è che l’ufficio Di Esecuzione Penale Esterna
diventa parte del nuovo Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, che
148 Bollettino Ufficiale Del Ministero della Giustizia N.8 del 30-04-2017.
71
ingloba, oltre alle competenze in materia di esecuzione penale esterna relativa ai
minori, anche quelle relative agli adulti149
.
Tabella 1 - L’organizzazione del nuovo Dipartimento per la Giustizia Minorile e di
Comunità.
3.2 Territorio di riferimento.
Come è stato disciplinato con il decreto ministeriale del 23 febbraio 2017, decreto
attuativo previsto dal D.P.C.M. 84/15 per contribuire al nuovo riassetto
organizzativo, il territorio di riferimento dell’UEPE, dove si è strutturata l’attività
149 S. Rossi, Piano della performance 2017-2019, testo approvato con d.m. 24 giugno 2016, alla
pagina web www.ministerodellagiustizia.it.
72
di ricerca, sarà quello di Terni e tutta la provincia, inoltre la denominazione
cambia da UEPE di Spoleto, che non è più esistente, a UEPE di Terni (Spoleto è
oggi territorio dell’UEPE di Perugia). Il territorio di riferimento del progetto di
ricerca è stato quello antecedente alla riforma, che comprendeva anche la
provincia di Perugia, essendo ancora ad oggi in fase transitoria il passaggio delle
competenze territoriali.
3.3 Organizzazione del servizio.
L’ufficio è composto da:
sei assistenti sociali, di cui una svolge l’incarico di Direttore reggente;
un’unità di esperto di servizio sociale a convenzione;
due unità di esperto in psicologia a convenzione;
quattro unità con funzione di segreteria e amministrazione;
un’unità di polizia penitenziaria in distacco dalla Casa di Reclusione di
Spoleto, per l’accompagnamento nel servizio esterno delle assistenti sociali.
L’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna dipende gerarchicamente dall’Ufficio
Interdistrettuale di Esecuzione Penale Esterna, che nel caso dell’UEPE di Spoleto
è l’U.I.E.P.E. di Firenze, esiste poi un ufficio intermedio, ossia l’Ufficio
Distrettuale di Esecuzione Penale Esterna, che nella fattispecie ha sede a Perugia.
Gli uffici svolgono le funzioni sancite nel decreto del 17 novembre 2015 che
viene inglobata dal D.P.C.M. 84/15.
L’ufficio Interdistrettuale ha funzione di indirizzo, di coordinamento e di verifica
degli Uffici distrettuali e locali e promozione di iniziative progettuali150
.
L’Ufficio distrettuale provvede all’attuazione, anche negli Uffici locali, delle
direttive e degli indirizzi operativi generali. Inoltre propongono
150 Dipartimento per la Giustizia minorile e di Comunità, piano della performance 2017, alla
pagina web www.ministerodellagiustizia.it.
73
all’amministrazione i documenti programmatici per le politiche di esecuzione
penale esterna151
.
3.4 Funzioni e compiti dell’UEPE.
La prima legge che sancisce i compiti dei “Centri Di Servizio Sociale per Adulti”
è del 26 luglio 1975, n. 354 che all’art. 72 prevede l’espletazione delle inchieste
sociali richieste dalla magistratura di sorveglianza ai fini della concessione delle
misure di sicurezza e delle misure non detentive.
Gli Uffici di Esecuzione Penale Esterna intervengono nell’esecuzione delle
sanzioni penali non detentive e nelle misure alternative alla detenzione (messe alla
prova, affidamento in prova al servizio sociale, esecuzione del lavoro di pubblica
utilità, sanzioni sostitutive alla detenzione, misure di sicurezza); elaborano e
propongono alla Magistratura i programmi di trattamento da applicare e ne
verificano la corretta esecuzione da parte degli ammessi a tali sanzioni e misure.
Altre attività sono quelle di sostegno ai detenuti domiciliari e attività di
consulenza agli istituti penitenziari per favorire il buon esito del trattamento
penitenziario. All’ordine del giorno vi sono attività sinergiche con gli enti locali,
le associazioni di volontariato e le cooperative sociali per le attività di
reinserimento ed inclusione sociale (Documento di Programmazione Generale
2017). L’UEPE è pertanto, un ufficio a carattere operativo che ha in carico
soggetti condannati o imputati, che lavora in stretta collaborazione con i Servizi
Territoriali e con il privato sociale, nei confronti dei quali ha anche una funzione
di sensibilizzazione e di promozione. L’UEPE ha tre principali interlocutori: la
Magistratura di sorveglianza, la Magistratura ordinaria e l’Istituto penitenziario.
Nei confronti dell’istituto penitenziario l’UEPE ha una funzione di consulenza, i
profili di competenza sono relativi alle verifiche sull’esterno, ossia concernenti la
rete familiare e la sede lavorativa, questo si svolge in stretta collaborazione con i
Servizi Territoriali. Le informazioni fornite dall’UEPE e portate in equipe di
151 Ibidem.
74
trattamento, sono parte integrante della conoscenza del soggetto detenuto, quindi
della sua “osservazione” e del suo percorso trattamentale, anche in relazione alle
richieste di misure alternative.
Nei confronti della Magistratura di Sorveglianza, l’UEPE partecipa con l’indagine
sociale nella parte istruttoria per la concessione delle misure alternative dalla
libertà; l’UEPE elabora una relazione sociale in cui viene riportata la storia del
soggetto e contestualizzato il fatto reato, viene esaminata la situazione attuale
dello stesso dal punto di vista personale, familiare e lavorativo, viene riportato il
profilo di personalità a cura dell’esperto psicologo e viene stilato un progetto
trattamentale per la possibile esecuzione della misura alternativa alla detenzione.
L’indagine sociale viene svolta attraverso gli strumenti specifici della professione,
ossia mediante colloqui, visite domiciliari, verifiche con i servizi territoriali, con
le forze dell’ordine e con la consultazione di documentazione giuridica.
3.5 La strutturazione dell’itinerario metodologico.
L’organizzazione del percorso dello stage di ricerca svolto all’UEPE di Spoleto è
stata programmata sulla base di 250 ore, previste dall’ordinamento del Cdl.
È stata divisa in varie fasi, ognuna delle quali ha seguito un programma ben
stabilito ed ha portato allo svolgimento della ricerca presentata.
I momenti da osservare nella ricerca sociale qualitativa sono cinque: la teoria, la
fase dell’ipotesi, la raccolta dati, l’analisi dati e la fase relativa ai risultati152
.
La prima fase è stata essenzialmente conoscitiva e osservativa. In questa fase si è
svolto un opportuno studio della normativa, come il codice penale; questa attività
è stata supportata dalla conoscenza e dall’orientamento della tutor aziendale,
nonché Direttore dell’UEPE di Spoleto. La modalità di apprendimento è stata
essenziale per offrire il giusto quadro di riferimento con cui consultare e studiare
il codice penale, l’ordinamento penitenziario e le procedure amministrative svolte
152 P. Corbetta, Metodologia e tecniche della ricerca sociale, Bologna, 1999.
75
nell’ufficio. Inoltre è stato fondamentale per poter assistere ai colloqui, alle
sottoscrizioni di messa alla prova e di affidamento in prova ai servizi sociali.
La prima fase si sottolinea essere una fase dinamica e che si è protratta per tutto il
percorso dello stage di ricerca, è difficile dichiarare conclusa la fase conoscitiva,
soprattutto riguardo l’area della giustizia dove le leggi e gli atti amministrativi
vengono spesso aggiornati, (infatti questa fase era molto esercitata anche dalla
tutor, dalle altre assistenti sociali e dagli amministrativi).
Nel secondo momento della prima fase si pone l’attenzione ai fascicoli, quindi
all’utenza di riferimento del servizio e alla documentazione presente per ogni caso
differente. Si analizzano le relazioni inviate ai Tribunali e si nota la modalità di
scrittura diversa dalle relazioni che si redigono negli altri servizi dove si è svolto il
tirocinio in passato(SER.T, Comune); inoltre la tutor ha presentato tutti i progetti
e i protocolli attivati dal loro ufficio.
La fase conoscitiva ha permesso di inquadrare il focus della ricerca. Per ogni
progetto attivato o protocollo, la Direttrice reggente dell’UEPE ha spiegato qual è
stata la causa, che come servizio, li ha spinti a pensare un determinato progetto o
protocollo. Per ultimo ha spiegato, che dall’entrata in vigore della legge del 28
aprile 2014, n. 67, si è notata un’alta percentuale di richiesta di sospensione del
procedimento con messa alla prova da parte di imputati per reati art. 186153
e art.
187154
del codice della strada, che si può notare nel grafico 1. Gli imputati che dal
28.04.2015 al 31.12.2015 hanno richiesto la sospensione del procedimento con
messa alla prova sono 47, ora si pone attenzione a quelli che sono i capi di
imputazione, per un’analisi attenta.
153 Guida sotto l’influenza dell’alcool.
154 Guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti.
76
Grafico 1- Reati per cui è stata richiesta la sospensione del procedimento per messa alla
prova. Questo andamento ha portato a sottoscrivere il protocollo oggetto della ricerca qui
presente.
A differenza dei lavori di pubblica utilità, quale pena sostitutiva, con la
sospensione del procedimento con la messa alla prova, dopo l’esito positivo
dell’udienza di verifica, vi è l’estinzione del reato e risulta solo una minima
traccia nel casellario. Visto l’alto numero di imputati per questi reati che
richiedevano la sospensione del procedimento con messa alla prova si è notata la
necessità di attivare un protocollo d’intesa con il Dipartimento per le Dipendenze
0
5
10
15
20
25
Imp
uta
ti
Reati
TIPOLOGIA DEI REATI RICHIESTA M.A.P. ANNI 2014-
2015
77
per confrontarsi riguardo le prassi e le procedure per il contenimento di una futura
recidiva e del fenomeno in sé. Si decide di concentrare la ricerca sul protocollo
d’intesa tra “l’UEPE di Spoleto e il Dipartimento delle Dipendenze della USL
UMBRIA n.2 relativo alla gestione integrata delle sospensioni del procedimento
per messa alla prova” per analizzare l’andamento in attuale crescita e come
questo ha operato per i destinatari. Il lavoro è attuato per dare voce a quelli che
sono i punti di forza e i nodi critici del protocollo. Si inizia il lavoro di ricerca con
un accurato studio di questo e una lettura attenta supportata dalla tutor sia del
protocollo che della legge del 28 aprile 2014, n.67, che istituisce l’istituto della
messa alla prova per adulti. In questo momento si ha con sé il materiale necessario
per poter attraverso un processo di deduzione si può passare alla seconda fase:
l’articolazione delle ipotesi, cioè i concetti vengono concretizzati. Le ipotesi sono
fondate sull’affermazione dell’utilità del protocollo. Si mettono a punto degli
obiettivi quali, valutare la validità del protocollo in relazione alla messa alla prova
e come l’imputato vive in modo consapevole la misura.
Con la presenza delle ipotesi, che saranno ampliamente spiegate, si passa alla
terza fase: la raccolta dati. Il momento è possibile grazie all’operativizzazione dei
concetti, ad esempio rilevare l’utilità del lavoro di pubblica utilità attraverso le
opinioni degli imputati. Qui il ricercatore sceglie la metodologia che legittimerà il
metodo che userà, le tecniche e gli strumenti di rilevazione e per questa ricerca lo
strumento usato è quello dell’intervista semi-strutturata.
Nella terza fase, il momento primario, per la stesura delle interviste, è stata la
preparazione delle domande, costruite sulla base delle ipotesi elaborate nella fase
antecedente. Somministrate le interviste semi-strutturate, al campione scelto, si ha
tutto il materiale per poter analizzare i dati, cioè lavorare nella quarta fase della
ricerca quantitativa. La fase consiste nella rappresentazione delle risposte ottenute
dalle interviste in istogrammi.
La domanda di ricerca è valutativa in quanto punta a valutare il protocollo,
“PROTOCOLLO D’INTESA TRA L’UEPE DI SPOLETO ED IL
DIPARTIMENTO DELLE DIPENDENZE DELLA USL N.2 RELATIVO
ALLA GESTIONE INTEGRATA DELLE SOSPENSIONI DEL
78
PROCEDIMENTO PER MESSA ALLA PROVA” quindi la modalità
operativa che si è formalizzata in seguito alla sottoscrizione di questo.
L’ufficio è stato promotore per l’avvio del protocollo d’intesa con il Dipartimento
delle Dipendenze della USL n.2 (che si allega). Si crede nella necessità di
formalizzare i rapporti già consolidati con i servizi specifici sul territorio per
creare una rete sinergica sempre più forte, attraverso una valutazione che deve
concorrere ad essere multidisciplinare. I principi fondanti sono la persona e la
territorialità del servizio.
3.6 Protocollo d’intesa tra l’UEPE di Spoleto e il Dipartimento per
le Dipendenze.
Il tema che si analizza approfonditamente per la ricerca presente, è il
PROTOCOLLO D’INTESA TRA L’UEPE DI SPOLETO ED IL
DIPARTIMENTO DELLE DIPENDENZE DELLA USL N. 2 RELATIVO
ALLA GESTIONE INTEGRATA DELLE SOSPENSIONI DEL
PROCEDIMENTO PER MESSA ALLA PROVA.
Il protocollo ha come base il lavoro che la regione Umbria ha svolto con il DGR
1548/14 “Linee guida regionali interistituzionali per la gestione integrata dei
programmi alternativi alla pena detentiva in persone alcool e tossicodipendenti”.
Siamo di fronte a situazioni dove le dipendenze possono creare momenti di causa
effetto e far scivolare la persona in situazioni di illegalità. Le situazioni riguardano
casi che rientrano nell’area sanitaria e molte volte socio – psicologiche che
difficilmente si possono risolvere nelle mura carcerarie: « non costituisce un
contesto idoneo ad affrontare i problemi sanitari e sociali»155
.
Il collegamento con il problema della situazione di sovraffollamento in carcere è
naturale:
155 Deliberazione della giunta regionale n.1548 del 01/12/2014.
79
in Umbria sono 100 le unità che superano il numero tollerabile nelle
carceri;
un tasso di 185 detenuti su 100.000 abitanti contro il dato nazionale di
110 per 100.000 ab.;
vi è una percentuale regionale del 24% di detenuti che dichiarano di avere
problemi di dipendenza156
.
Tutto ha gravi ricadute economiche sui servizi sanitari, sociali e non solo.
Ed è proprio per tali motivi che la Regione ha scelto di mettere tra le priorità della
programmazione la situazione carceraria, sottoscrivendo un Protocollo d’intesa
con il Ministero della Giustizia, l’ANCI Umbria e il Tribunale di Sorveglianza di
Perugia, per la programmazione di situazioni di reinserimento riguardo soggetti
condannati alla reclusione. Si punta ad attivare programmi di misure di comunità
e misure alternative alla detenzione in un approccio integrato e di comunità.
Per i principi fin ora sottolineati è stato preso in esame il lavoro della Regione, ma
si sottolinea che il protocollo non lavora per diminuire la situazione di
sovraffollamento appena delineata, perché la titolarità del reato dei destinatari del
focus del progetto è tale da non giungere probabilmente ad una espiazione
detentiva. Si lavora in un’ottica di gestione sinergica e di efficacia integrata e
multidisciplinare.
Tra gli obiettivi principali, del protocollo d’intesa tra l’UEPE di Spoleto e il
Dipartimento delle Dipendenze USL N.2, si nota il potenziamento dei rapporti di
collaborazione con il Dipartimento delle Dipendenze, per raggiungere la
promozione di un approccio di sistema, che si basa su un lavoro integrato tra i
servizi e una prassi operativa condivisa includendo una valutazione
multidisciplinare del caso e una buona comunicazione. Al centro del protocollo vi
è la persona, la sua dimensione, nuove opportunità per un’autodeterminazione e
per il superamento degli ostacoli che non permettono il benessere della persona
stessa.
156 Direzione regionale salute e coesione sociale, “Carcere e salute in Umbria rapporto 2012”.
80
Come si è già sottolineato, questo protocollo è il frutto dell’analisi della
particolare incidenza di richiesta di sospensione del procedimento con messa alla
prova per reati di cui all’art. 186 comma 2 e 187 comma 1 del D.lgs n. 285/92
dall’entrata in vigore della legge fino al periodo della sottoscrizione del
protocollo, 17 maggio 2016.
La misura di comunità, già analizzata nel dettaglio, una volta conclusa, permette
all’imputato di essere incensurato e di lasciare solo una minima traccia nel
casellario, elemento essenziale in quanto questa misura può essere richiesta solo
una volta.
I destinatari del protocollo sono coloro che risiedono nel territorio della USL N.2
e che presentano richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova
per i reati sopra citati; inoltre è destinatario del protocollo chi ha un diverso capo
di imputazione, ma nel corso del primo colloquio con l’assistente sociale si
riscontrano problemi di dipendenza, compresa la ludopatia.
La procedura operativa del protocollo è definita in fasi, nel seguente modo:
I. PROCEDURA OPERATIVA - FASE DI INDAGINE
L’assistente sociale elabora un programma di trattamento ed inoltra al servizio per
le dipendenze un e-mail per indagare se la persona è già conosciuta al servizio e se
è in carico. Se è conosciuto e in carico si dovrà riferire al UEPE il programma che
sta seguendo per poter integrare l’indagine sociale riguardo il soggetto. Tra le
prescrizioni del programma di trattamento vi sarà quello del percorso terapeutico.
Se non vi è conoscenza si richiede una valutazione specifica. Se dalla valutazione
si evince che la persona non ha problemi relativi alla dipendenza, viene dimessa
dal servizio specialistico e l’UEPE lo riferirà nell’indagine sociale e non vi sarà
alcuna prescrizione nella proposta del programma di trattamento. Se dalla
valutazione si evince che ci sono dei problemi relativi alla dipendenza, si
concorda un percorso di trattamento terapeutico che sarà riferito al UEPE e andrà
all’interno della proposta del programma di trattamento. Questa fase di
valutazione è preferibile che si concluda nella fase di indagine. Tuttavia per
assenza di tempo è possibile che la stessa diventi un elemento prescrittivo del
81
programma di trattamento. L’elemento di controllo non è da considerarsi come
elemento fondante, in quanto la valutazione è orientata all’accompagnamento e al
sostegno della persona nel suo percorso terapeutico e con la giustizia. Si può
verificare il caso che l’imputato non crede opportuno presentarsi al Servizio
specialistico, in questo caso si riferirà ciò al Tribunale Ordinario.
II. FASE DELL’ESECUZIONE
Siffatta fase inizia con la sottoscrizione della sospensione del procedimento con
messa alla prova da parte del soggetto; a seguito di ciò l’UEPE dà comunicazione
del fatto al Servizio specialistico per la presa in carico del soggetto. Il servizio
specialistico riferirà trimestralmente sull’andamento del percorso terapeutico,
mentre si dovrà impegnare a dare immediata comunicazione di fatti rilevanti,
come il soggetto che non si presenti al servizio.
La relazione finale del Servizio specialistico viene inviata al Tribunale Ordinario
in allegato e come parte della relazione finale dell’UEPE, sarà quindi contributo
fondamentale nell’udienza di verifica. La scrupolosità in questa sede non può
venir meno: se la messa alla prova viene superata, il reato è estinto.
Attuale percorso, in entrambi le fasi, deve essere un valore aggiunto per la
decisione del Tribunale ordinario e per la riuscita del percorso del soggetto
3.7 Le ipotesi della ricerca.
Le ipotesi sono preposizioni specifiche di una teoria che le comprende ed è
importante definire il momento di passaggio attraverso il processo della
deduzione. Le ipotesi sono funzionali per tutto il percorso di ricerca ed anche per
la costruzione dell’intervista semi-strutturata. Le preposizioni devono essere dati
empiricamente osservabili attraverso lo strumento di rivelazione. In questa ricerca
è successo che alcune ipotesi, come è possibile, sono frutto dell’analisi dei dati.
Le ipotesi sono:
82
il protocollo porta ad una maggiore integrazione tra i due servizi;
il protocollo può creare un onere di lavoro relativamente eccessivo e non
proficuo se non c’è una buona organizzazione in entrambi i servizi per
gestire le procedure da rispettare;
il servizio specialistico per le dipendenze non deve confondere la
valutazione della commissioni patenti con la valutazione multidisciplinare
ai fini della relazione per il Tribunale Ordinario;
il protocollo incentra il lavoro sulla persona attraverso un approccio
integrato lavorando sia sulla parte relativa alla giustizia che la parte
relativa alla dipendenza;
la persona riesce a riflettere in modo più attento su ciò che lo ha portato ad
commettere il reato e ciò che lo ha spinto ad entrare nel vortice della
dipendenza, grazie ad una maggiore formalizzazione dei rapporti con il
servizio specialistico;
l’imputato percepisce un controllo eccessivo in quanto la valutazione
relativa al protocollo è richiesta ad un tempo diverso dall’accaduto e dalla
valutazione della commissione patenti;
si ipotizza che il soggetto si senta in dovere di mantenere i contatti sia con
il UEPE che con il Servizio specialistico per l’esito positivo della
sospensione del procedimento con messa alla prova;
si ipotizza che il protocollo possa saturare i rapporti con gli utenti e i
compiti della figura professionale;
si ipotizza inoltre che l’imputato non conosca i principi della misura di
comunità della messa alla prova e veda il servizio specialistico solo come
punitivo, come tutta la misura.
83
3.8 Gli obiettivi.
Ai fini della ricerca si individua, attraverso una valutazione, i punti forza e
criticità del protocollo specificato.
Il protocollo si è sviluppato in questo anno ed è fondamentale capire cosa ha
apportato di nuovo nel percorso dell’imputato e nell’integrazione tra i servizi
territoriali specialistici e l’ufficio Di Esecuzione Penale Esterna. La ricerca deve
andare a fondo sulla responsabilizzazione dell’imputato, come vive la misura,
come vede il lavoro di pubblica utilità e cosa vede nel percorso attivato con i
servizi per le dipendenze. La risposta dei servizi territoriali è stata sempre presente
e personalizzata? Il punto di vista di entrambi, imputato e servizi è fondamentale
per avere un quadro completo.
Quindi gli obiettivi del progetto di ricerca sono:
valutare l’integrazione tra i servizi, la comunicazione e la prassi operativa
condivisa tra questi;
valutare l’effettiva centralità della persona all’interno del percorso;
valutare l’effettiva utilità del lavoro di pubblica utilità per l’individuo;
valutare la responsabilizzazione dell’imputato nei confronti del reato;
valutare gli aspetti positivi e negativi del percorso;
pensare nuove pratiche per una maggiore efficienza del protocollo.
3.9 Il campione.
Per verificare le prime ipotesi elencate, concernenti l’integrazione tra i servizi,
sono state strutturate due diverse interviste (allegati): una per gli operatori dei
servizi specialisti e una per le assistenti sociali dell’UEPE di Spoleto. All’interno
del campione sono stati inseriti gli operatori che hanno sottoscritto il protocollo,
concordato tra l’UEPE di Spoleto e il Dipartimento per le Dipendenze dell’USL
84
N.2. Il Dipartimento comprende il SER.T di Terni, Narni, Orvieto, Foligno e
Spoleto.
È stata scelta la tecnica della posta elettronica come strumento per la realizzazione
di interviste, in quanto fa risparmiare molto tempo anche all’intervistato ed la
scrivente era sempre in contatto, almeno con le assistenti sociali dell’UEPE,
quindi aveva comunque un riscontro orale riguardo la materia dell’istituto della
messa alla prova e del protocollo d’intesa.
Per quanto concerne l’Ufficio Di Esecuzione Penale Esterna il campione
comprende 6 assistenti sociali, ovvero ogni assistente sociale facente parte del
servizio. Tre sono le interviste che nel capitolo 4 saranno analizzate.
Per ciò che concerne i servizi specialistici sono state inviate tre interviste, una
all’unità di servizio sociale presente al SER.T di Foligno, una al SER.T di Spoleto
e una al SER.T di Orvieto. Alla sottoscrizione furono questi gli operatori presenti
in quanto al SER.T di Terni non era presente un’assistente sociale. Nel paragrafo
4 saranno analizzate le due interviste che sono state compilate dall’assistente
sociale di Foligno e di Spoleto.
Il campione di utenti viene selezionato in base alle caratteristiche corrispondenti
alla ricerca. È stato selezionato attraverso l’operazione di campionamento, che
concerne nell’estrarre un campione da una popolazione.
Si estrae dall’utenza dell’UEPE, tra i destinatari del protocollo, un numero finito
di casi, che è rappresentativo degli imputati che si vuole studiare, in base a criteri
utili per consentire la generalizzazione a tutti gli imputati destinatari del
protocollo. Estrarre un campione di 12 persone è stato favorevole per motivi
economici, di tempo e per approfondire ancora meglio l’argomento.
Le fasi del campionamento sono riportate nei punti seguenti:
1. individuazione della popolazione di riferimento: imputati del servizio dal
17.05.16, giorno di sottoscrizione del protocollo, per art. 186 e 187 codice
della strada, guida in stato d’ebbrezza e sotto l’uso di stupefacenti o per
reati terzi, ma con problematiche relative alla dipendenza;
85
2. il disegno di campionamento: può essere probabilistico o non, nel caso qui
presente si usa il primo metodo in quanto ogni unità ha la possibilità di
inclusione nel campione nota maggiore di zero;
3. determinazione dell’ampiezza del campione iniziale: si rispetta
l’eterogeneità del fenomeno preso in analisi, le risorse economiche e
temporali che si hanno a disposizione ed inoltre dati gli obiettivi iniziale si
stabilisce un campione minimo di almeno 5 unità;
4. lista di campionamento, che non deve comprendere unità estranee o
ripetute della popolazione di riferimento;
5. selezione dell’unità di campionamento.
I criteri scelti sono stati i seguenti:
I destinatari del protocollo dovevano aver svolto più della metà delle ore di
lavoro di pubblica utilità, per poter analizzare al meglio tale aspetto;
si scelgono inoltre gli imputati che le assistenti sociali mi descrivevano
come disponibili per una futura intervista.
Si stila un campione di 12 imputati che si crede opportuno come determinazione
dell’ampiezza in quanto rispetta i criteri e i casi sono molto variegati.
3.10 Strumenti utilizzati.
I primi strumenti utilizzati sono quantitativi: studio di fonti statistiche,
consultazione normativa, fascicoli, fonti di raccolta dati secondarie come
documentazione dei servizi, schede di monitoraggio, documentazioni di riunioni.
Altri metodi quantitativi sono l’osservazione dei colloqui e delle sottoscrizioni
degli imputati tenuti dalla tutor, nonché direttrice reggente dell’UEPE di Spoleto
Dopo l’utilizzo di quanto citato, dello studio della programmazione e dei
protocolli dell’ufficio dove si è svolto il tirocinio per l’anno corrente, si punta il
focus della ricerca sul protocollo: PROTOCOLLOD’INTESA TRA L’UEPE DI
SPOLETO ED IL DIPARTIMENTO DELLE DIPENDENZE DELLA USL N.2
86
RELATIVO ALLA GESTIONE INTEGRATA DELLE SOSPENSIONI DEL
PROCEDIMENTO PER MESSA ALLA PROVA.
In seguito la strutturazione del campione che si è strutturato per definire i
professionisti del settore si è utilizzato lo strumento qualitativo dell’intervista
semi-strutturata somministrata tramite via telematica.
Dopo la scelta del campione relativa agli utenti si sceglie di utilizzare lo
strumento qualitativo dell’intervista semi-strutturata faccia a faccia. Siffatto tipo
di intervista dà la possibilità di operare in libertà sulla sequenza delle domande e il
modo di formularle. Ciò è molto importante in quanto ogni persona è diversa e
durante l’intervista si deve anche percepire quali domande o temi sia meglio
trattare per primo, anche a secondo di come l’imputato risponde.
Le domande che si strutturano sono basate sulle ipotesi e gli obiettivi che si sono
fissati in un primo momento. Lo strumento qualitativo dell’intervista semi-
strutturata faccia a faccia dovrà individuare quanto la persona è consapevole del
reato che ha commesso e come vive e vede la misura. Dovrà essere individuato
l’utilità per l’imputato dell’integrazione con altri servizi e se ha usufruito di
questi. Con l’intervista semi strutturata si analizzano le seguenti aree:
1. La prima macro area si riferisce all’atteggiamento verso la misura
dell’imputato ed include i seguenti punti:
conoscenza dell’istituto della messa alla prova e motivazioni che lo hanno
spinto ad intraprendere codesto percorso;
atteggiamento verso il fatto accaduto, responsabilizzazione e analisi del
reato.
2. Si esamina il rapporto con il servizio specialistico:
percezione riguardo il suo grado di dipendenza e alla relazione con il
servizio specialistico;
precedenti esperienze con codesto servizio.
3. La terza area include i punti che riguardano la parte fondamentale del
programma di trattamento, il lavoro di pubblica utilità:
87
si vanno ad esaminare i criteri che hanno portato a scegliere un
determinato ente, le mansioni svolte e la percezione dell’imputato verso
questa attività.
4. Con l’ultima area si analizzano i punti di forza e i punti deboli della
sospensione del procedimento con messa alla prova:
si verifica se l’imputato considera eccessivo il controllo a cui è sottoposto.
88
Capitolo 4
L’analisi dei dati.
Attraverso l’analisi dei dati si provvede a restituire i dati ottenuti attraverso lo
strumento di ricerca dell’intervista semi-strutturata, in forma grafica. Tale metodo
consente di confermare o meno le ipotesi scelte e già elencate nel paragrafo
precedente. Le interviste somministrate sono state 10, per il seguente motivo i
grafici di basano sui dati raccolti in 10 interviste.
Area tematica: la scelta della sospensione del procedimento con messa alla
prova.
Domanda 1: quali sono i motivi che l’hanno portata a chiedere la sospensione
del procedimento con messa alla prova?
Grafico 1: Le motivazioni principali della scelta della sospensione del procedimento con
messa alla prova.
0
1
2
3
4
5
6
AVVOCATO PERSONALI
inte
rvis
tati
Risposte
La scelta della M.A.P.
89
Tra i 5 imputati che hanno risposto che la loro scelta è stata dettata dall’avvocato
possiamo dividere due gruppi: tre imputati hanno affermato che il professionista
gli ha consigliato questo istituto per non pagare la parte pecuniaria della sanzione;
gli altri due imputati hanno seguito il consiglio dell’avvocato perché gli aveva
specificato che in tale modo avrebbero estinto il reato:
«L’avvocato me lo ha consigliato per estinguere il reato».
L’altra metà per sua conoscenza ha richiesto la sospensione del procedimento con
messa alla prova sempre per estinguere il reato, di seguito riporto le risposte più
salienti.
«Negli ultimi anni ho modificato la mia vita in meglio per problemi di
tossicodipendenza, ora lavoro, ho tolto le sostanze, quindi non volevo perdere
tutto con un nuovo reato».
«Perché dopo non risulta niente, sapevo già dell’esistenza perché mi era stato
consigliato».
«Già fatto LPU, avevo finito tutti i giochi».
Il fatto che la fedina penale non verrà “sporcata”, se nella udienza di verifica il
giudice conferma rispettato il programma di trattamento, è una grande opportunità
che si offre alle persone. L’istituto, già presente per i minorenni, è basato sul
probation inglese e cerca di far si che persone incensurate, che commettono reati
di minore allarme sociale, oltre a non essere internati, quindi prendere contatti con
condannati per reati di gravità maggiore, hanno la possibilità di riflettere e fare un
percorso che è solo relativamente nel penale. Da questa opportunità si possono
creare ed avere solo vantaggi ed è in tale momento che si deve lavorare creando
confini e momenti di integrazione tra i servizi per far nascere una rete di supporto
con l’imputato.
La motivazione con cui l’imputato arriva alla sottoscrizione è un elemento che fa
intendere come potrà procedere la persona.
90
Area tematica: responsabilizzazione del fatto accaduto.
Domanda 2: si sente di chiamare reato il fatto accaduto?
Grafico 2: responsabilizzazione del reato commesso.
Come si può notare dal grafico, 7 degli imputati non crede di aver commesso un
reato. Non vi è, per più della metà degli intervistati, una responsabilizzazione del
reato. La risposta a questa domanda si crede ovvia, ma si nota invece come la
persona non è consapevole di quello che ha fatto. Inoltre, come la psicologia
sociale insegna, vi è presente un errore di attribuzione, gli imputati il fatto
negativo lo attribuiscono a cause esterne a loro. Di seguito vi riporto le risposte
che confermano questa teoria.
«E’ stata una circostanza casuale, non un reato».
«No, non ho fatto un incidente».
«Ho bevuto solo due bicchieri».
Più volte si ritiene opportuno far intendere che guidare sotto l’uso di stupefacenti
o dopo aver bevuto alcolici è un reato, anche se ci sono delle motivazioni dietro, è
comunque un fatto illecito.
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Il fatto è considerato reato?
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Area tematica: la durata della messa alla prova
Domanda 3: ritiene adeguata e perché la durata della sua misura per il reato
del quale e’ stato imputato?
Grafico 3: valutazione dell’imputato verso il proprio periodo di messa alla prova.
Gli imputati hanno una considerazione positiva del periodo della misura che viene
deciso dal giudice, in quanto, almeno 6 su 10 capiscono quali possono essere i
presupposti in base al quale è stata decisa la durata della misura.
«Capisco il giudice perché io ho la recidiva».
«Capisco il periodo perché i soldi che dovevo pagare erano molti».
I 4 imputati che non credono giusta la loro durata della misura di comunità, sono
gli stessi che hanno risposto negativamente alla domanda riguardo se il fatto da
loro commesso fosse reato.
Durante il periodo dello stage, e grazie alle interviste, si nota che, sia gli avvocati
che gli imputati, credono che aumentando le ore del lavoro di pubblica utilità si
hanno maggiori possibilità che il giudice dia meno mesi di questa misura. Questo
pensiero non è veritiero in quanto la decisione è a discrezione del giudice, alcuni
tribunali hanno stilato delle tabelle dove per ogni reato si ha un’indicazione
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POSITIVA NEGATIVA
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Considerazione del periodo della misura
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generale di quale potrebbe essere il periodo stimabile. La cosa importante è che il
giudice, come più volte è stato sottolineato, non si basa solo sulle ore di pubblica
utilità e sul reato, ma su diversi aspetti che sono anche nella relazione che
l’assistente sociale gli invia e nella relazione del SER.T. Si noti la seguente
risposta:
«La durata della misura è eccessiva, anche per la disponibilità di giorni e ore che
avevo dato. Avevo deciso di fare più ore per ricevere un periodo di misura minore
di 6 mesi».
Oppure vi è chi ritiene adeguato il periodo della misura perché poteva fare poche
ore.
Area tematica: il servizio per le dipendenze.
Domanda 4: è stato utile chiamare in causa anche il servizio per le
dipendenze?
Grafico 4: la considerazione dell’imputato nell’attivazione del servizio specialistico.
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L’utilità del servizio per le dipendenze nelle modalità
del protocollo.
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Gli intervistati che hanno risposto sì, quindi che credono nella necessità di
integrare l’attuale servizio, hanno sottolineato che è stato “uno stimolo”, è un
momento di «riflessione dove si sta in collettività, quindi si ascoltano altre
persone e dove c’è bisogno che la gente rispetti delle regole». Inoltre, pensa un
intervistato, serve per poter rimettere in circolazione la persona, ed per vedere se
continuerà nel reato».
«È un dato di fatto che è un aiuto» su questa frase sono concordi gli intervistati,
anche chi ha risposto no, quello che fa riflettere è che l’intervistato tende ad non
fare mai suo il problema quando si parla del servizio per le dipendenze. «E’
positivo, però per gli altri, io non ho il problema». «È essenziale rivolgersi a quei
servizi per altre problematiche, non nel mio caso» ( terzo reato per guida in stato
d’ebbrezza). «Certo che è utile, però per i giovani.» «In altri casi si, perché c’è la
dipendenza, ma no nel mio».
Come nel caso della responsabilizzazione del fatto commesso, in questa sede, si
cerca di non attribuire il problema, motivo principale anche per l’immagine
collettiva che si ha del SER.T. Le persone che non credono di avere un problema
sono recidive anche per la terza volta, gli altri sono ragazzi, che hanno avuto reati
riguardanti la detenzione di sostanze, che hanno bisogno di essere controllati e
sostenuti soprattutto in un età così vulnerabile.
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Domanda 5: aveva mai avuto rapporti con il servizio per le dipendenze prima
di questo episodio?
Grafico 5: si rappresenta quanti sono stati i contatti precedenti con il servizio
specialistico.
Di 7 intervistati che hanno affermato di aver già avuto rapporti con il servizio
specialistico, 6 sono recidivi, in quanto hanno già commesso un reato art. 186 e
187, quindi già sono stati sottoposti alla valutazione per la commissione patenti al
servizio. Inoltre vi è un ragazzo, imputato per art. 73, detenzione sostanze, che era
già iscritto al servizio. Si afferma che il tasso di recidiva riguarda 6 imputati. E’
proprio questo il motivo per il quale ci si focalizza nell’indispensabile elemento
delle valutazioni, aggiuntive a quelle della commissioni patenti, da integrare per
gli imputati con capi di imputazione relativi a elementi di dipendenza.
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Rapporti precedenti con il servizio per le dipendenze.
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Domanda 10: il percorso con il servizio per le dipendenze l’ha aiutata a
riflettere su alcuni aspetti della sua vita?
Grafico 6: connessione fra la riflessione personale e il servizio specialistico.
Il grafico fa molto riflettere perché vediamo che anche chi non credeva nell’utilità
del servizio, è concorde sul fatto che il servizio è stato utile per riflettere sugli
aspetti riguardanti la vita della persona, il reato e altro.
«Sul reato, grazie ai colloqui, per questo è servito».
«Già riflettevo, comunque nel mio caso non ho problemi di dipendenza quindi non
dovevo riflettere su quello».
«Su tutti grazie alla psicologa, mi ha aiutato ad andare a fondo».
«Si, sono riuscito a riflettere sulla famiglia».
«Si, ti aiutano, ti danno informazioni, si sa che fa male, ti danno informazioni sui
rischi».
«Ho potuto ragionare sulla causa».
Ed ancora di più credo opportuno sottolineare l’importanza del protocollo che
vuole aumentare la sinergia tra i servizi, anche se non vi è una dipendenza, ma è
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Il servizio specialistico e la riflessione sulla vita.
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stato un episodio occasionale, è importante poter riflettere su alcuni momenti della
vita e del reato. Questa operazione intende chiudere spazi che potrebbero portare
ad altri reati.
Area tematica: il lavoro di pubblica utilità.
Domanda 13: parlando del lavoro di pubblica utilità, perché crede sia stato
inserito all’interno del programma di trattamento?
Grafico 7: la considerazione dell’imputato verso il lavoro di pubblica utilità.
«Chi non fa autoanalisi lo fa solo per non pagare, ci sarebbe più bisogno di
essere più sensibili»
Questa risposta è piena di senso e ci fa intendere come la persona sia andata a
fondo nella misura, ripetendomi più volte durante l’intervista «il lavoro di
pubblica utilità deve essere misurato sulla persona e sull’ente, per far si che si
mostri il fine ultimo del L.P.U.»
Gli altri intervistati che sono all’interno del gruppo si esprimono così: «Serve per
riflettere, per aiutare le persone»; «il minimo aiuto che ho potuto, il mio supporto
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PER LEGGE PER SENTIRSI UTILI PESO, PERDITA DI
TEMPO
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Il lavoro di pubblica utilità.
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mi ha fatto sentire utile»; «sto svolgendo qualcosa che tornerà utile alla
comunità»; «Sì, fa riflettere su cose e aspetti della vita e su quali sono i veri
problemi».
Come si può vedere dal grafico, tre imputati credono che i lavori di pubblica
utilità siano «un peso» e anche chi è convinto che è un opportunità positiva, allo
stesso tempo crede che sia anche una «perdita ti tempo». Un po’ la paura di tutti
era di non riuscire ad adempiere a tutti i lori obblighi: «devo fare i colloqui con la
psicologa, ho un lavoro, devo fare il lavoro di pubblica utilità e se non ce la
faccio?».
Domanda 15: in base a quali criteri ha ritenuto opportuno individuare questo
ente?
Grafico 8: le motivazioni che hanno spinto l’imputato a scegliere un determinato ente.
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Criteri per la scelta dell’ente L.P.U.
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Questo è il grafico dove troviamo più differenziazione di risposte ed inoltre dove
alcune persone hanno sollevato problemi riguardo alla difficoltà di trovare un
ente.
«Mi è stato consigliato dall’avvocato, credo ci sia bisogno di essere più
indirizzati»;
«ha scelto l’avvocato l’ente dove dovevo fare il lavoro di pubblica utilità»;
«non trovavo altro, molti mi dicevano di no, ho trovato solo un indirizzo che mi
ha dato un mio amico»;
«dovevo trovare un posto che mi accogliesse, per fortuna avevo una conoscenza»
«E’ difficile trovare l’ente, ci sarebbe bisogno di una banca dati per essere al
corrente di quali enti sono sia convenzionati, che disponibili al momento della
richiesta».
«C’è bisogno di un accompagnamento e progetto individualizzato per trovare
l’ente».
L’elemento di “confusione” sarà ampliamente dibattuto anche nelle conclusioni.
Quello da sottolineare è che gli imputati trovano difficoltà nei momenti della
ricerca dell’ente e nel concordare e farsi carico delle ore da svolgere.
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Area tematica : l’istituto della messa alla prova.
Domanda 19: quali sono dei punti di criticità che ha notato durante il
percorso di messa alla prova e i punti di forza che crede opportuno
sottolineare?
Grafico 9: i punti di forza per l’imputato della messa alla prova.
Tutti gli imputati sono più propensi a trovare elementi positivi, nel complesso del
percorso della messa alla prova, quando sono verso la fine della misura. All’inizio
gli imputati per almeno un mese si sentono ancora in un vortice di ansie e dubbi.
Questi sono gli elementi che sono stati ravvisati come più positivi:
«ben strutturato e buon supporto»; «Assistente sociale e la struttura». «Quando
ho finito per aver fatto una buona esperienza».
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Punti di forza M.A.P.
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Mi preme sottolineare la risposta che descrive quello che è questa misura di
comunità:
«sensibilizza, non è usato come punizione».
La messa alla prova non è una punizione, ma un’opportunità che si impegna nel
far riflettere e nel far si che l’imputato restituisca anche alla comunità.
Grafico 10: i punti deboli per l’imputato della messa alla prova.
Come si nota dal grafico i problemi maggiori riguardano i lavori di pubblica
utilità riguardano la difficoltà nel trovare un ente che li accoglie nel minor tempo
possibile. Il tema è molto complicato e lungo, perciò sarà spiegato nelle
conclusioni, queste sono le risposte più importanti che ci fanno entrare nel
problema:
«Difficoltà nel trovare l’ente»;
“mancanza di informazioni per trovare l’ente»,
«prima di iniziare avevo paura di non riuscire ad affrontare un nuovo impegno
insieme al lavoro».
Il controllo per alcuni è molto importante,fondamentale, hanno bisogno di confini
specifici «ogni due settimane faccio i dosaggi, senza questi non credo sarei uscito
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RELATIVI AI
L.P.U.
NON RISPONDE MOLTI IMPEGNI PERSONALI
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Criticità M.A.P.
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dalla mia situazione». Questo è lo stesso intervistato che non trova critiche, ma
quando gli chiedo se si aspettava qualcos’altro, domanda non presente nel
questionario, mi risponde: «pensavo ci fossero più interventi dall’UEPE, più
controlli e colloqui, come una verifica».
Un’altra criticità sono i tempi lunghi della giustizia «Troppo tempo per le
modifiche delle ore del lavoro di pubblica utilità, il passaggio tutor ente,
assistente sociale, giudice è stato lungo».
«meno schematicità nei rapporti, lo psicologo deve essere più presente nel
percorso».
Un imputato ha sottolineato come le uniche criticità “sono dipese da me, dalle
mie ricadute».
4.1 La valutazione degli assistenti sociali.
Per verificare qual è l’effettiva integrità tra i servizi che ha apportato il protocollo
e soprattutto quali le considerazioni, le criticità e i punti di forza da un punto di
vista diverso dall’utente, cioè di chi conosce le prassi e di che vi lavora ogni
giorno sono state somministrate via telematica le interviste agli assistenti sociali
dell’UEPE e dei SER.T.
L’intervista alle assistenti sociali del UEPE.
Area tematica: l’istituto della messa alla prova.
Domanda 1: In seguito al “protocollo d’intesa tra l’UEPE di Spoleto ed il
dipartimento delle dipendenze della USL n.2 relativo alla gestione integrata
delle sospensioni nel procedimento per messa alla prova”, vorrei proporle
alcune domande.
A due anni dall’entrata in vigore della legge del 28 aprile 2014, n.67 crede sia
importante l’istituto della messa alla prova? Quali sono i punti di forza e
debolezza?
102
Dalle interviste emerge che i professionisti del settore notano, chi più chi meno,
dei punti negativi della misura. Nel corrente anno il carico di lavoro è aumentato e
le assistenti sociali non riescono sempre a individualizzare il programma di
trattamento dell’imputato. Nelle risposte si sente che manca dall’alto
un’attenzione alla nuova utenza, un’integrazione con i Tribunali e un sostegno
materiale da parte del Ministero per far sì che si possano costruire nuovi e giusti
progetti per la riparazione dell’imputato. Vi è molto da fare ancora, vi è molto
nella legge, ma nel nostro Paese siamo lontani ancora dagli altri paesi nella
pratica. Sicuramente vi è ancora una lunga formazione da fare, l’istituto è recente.
«Consente a chi ha commesso un reato (in determinate situazioni) di non
affrontare un procedimento con tutto quello che ne consegue. Le persone
incensurate possono essere maggiormente motivate a non commettere ulteriori
reati o comunque a fare più attenzione nel futuro.
Bisognerebbe “lavorare” di più sul Lavoro di Pubblica Utilità».
Come è stato più volte scritto gli L.P.U. sono dei punti deboli per i problemi
concernenti le convenzioni, i tempi della giustizia, l’effettiva confusione riguardo
i tempi di durata, la disponibilità degli enti e l’atteggiamento dell’imputato verso
questo.
« La messa alla prova, dal punto di vista strettamente personale, è un istituto utile
solo a snellire il carico di lavoro dei Tribunali ordinari. La normativa per le
misure alternative esiste da anni con le relative modifiche e ampliamenti dei
termini per accedervi, non occorrono ulteriori normative in tal senso. La gran
parte dei fruitori della messa alla prova ( per lo più giovani ( fascia di età 20-30
anni) non riconosce né il reato né la valenza risarcitoria. Non riesco a
individuare alcun punto di forza.»
È di facile comprensione per la scrivente questa risposta. L’assistente sociale in
questione a che fare soprattutto con imputati molto giovani, molte volte
tossicodipendenti e che come si è potuto notare grazie alla partecipazione ai
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colloqui hanno bisogno di prescrizione dure per non avere peggioramenti. Hanno
bisogno di un controllo più assiduo a cui il legislatore deve pensare.
«Sì, per non fare entrare nel circuito penale tradizione reati “bagatellari” e
questo sarebbe il punto di forza ma il punto di debolezza è non avere previsto
risorse, nel nostro specifico per l'UEPE, a fronte di un grande risparmio per il
sistema giustizia nel senso dell'organizzazione giudiziaria»
«Importante perché permette alla persone di non entrare nel circuito penale e
svolgere attività a favore della collettività –punti di forza la riparazione e
debolezza poca chiarezza nei procedimenti»
«L’istituto è valido in quanto ha un effetto deflattivo rispetto ai procedimenti
penali del sistema giustizia, nel senso che consente per i reati minori la
sospensione del procedimento ed evita l’ingresso nel circuito penale, consentendo
al soggetto di attivarsi e riparare, in modo abbastanza congruo, rispetto al reato
commesso, attraverso un programma individualizzato rispetto alle problematiche
evidenziate».
Le risorse: problema per cui molte volte la messa alla prova ideale di cui si parla
nella teoria che comprende percorsi di mediazione, di volontariato, possibilità di
costruire nuove risorse per l’imputato per ora rimane a volte un’utopia. Senza le
risorse personali negli uffici di esecuzione penale esterna non si può lavorare nel
migliore dei modi e se non si hanno le risorse professionali come possiamo
credere che ci siano risorse per la crescita dell’imputato? Il punto sarà
nuovamente discusso nelle conclusioni.
Area tematica: Il protocollo.
Domanda n.2: Nella messa alla prova che incidenza c’è di persone con
problematiche di dipendenza?
104
«Alta incidenza di problematiche di dipendenza sia da alcool che da sostanze
stupefacenti».
« Si, più della metà».
«Elevata, soprattutto per quanto attiene l'alcol-dipendenza».
«Circa il 50%».
Codeste risposte mostrano la necessità del protocollo sottoscritto e a parer della
sottoscritta di aggiornamenti e formazione dai supervisori.
Domanda n.3: Considerato che alcuni degli obiettivi del protocollo sono la
centralità della persona utente e l’opportunità di offrire un percorso di
crescita nello spazio territoriale di vita, questi temi sono stati rispettati
durante le prassi operative dal vostro servizio, dal servizio per le dipendenze
e dal Tribunale Ordinario? Si No. Perché?
«No. Per offrire percorsi di crescita occorre “inventarsi” gli strumenti ( corsi di
formazione professionale, tirocini formativi, lavoro retribuito ecc) che allo stato
attuale rappresentano la fantascienza».
Per offrire alla persona momenti di crescita, ad esempio tirocini, vi devono essere
presenti risorse materiali e maggiori protocolli con servizi specifici territoriali,
quali il S.A.L., che a sua volta ha una carenza di risorse.
«Sì. Perchè a volte il lavoro di pubblica utilità ha veramente una valenza
riparativa, anche per la stessa persona che lo svolge (non solo per la società) ed
in alcuni casi le persona hanno anche proseguito l'attività anche ad LPU
conclusi, per cui è stata utile a fare conoscere ed apprezzare per esempio il
mondo del volontariato, che magari alcuni soggetti spontaneamente non avevano
ancora approcciato».
«Si. La valutazione/trattamento è incentrata sulla persona».
«Si, per la sufficiente collaborazione con gli enti».
105
«Si. In modo abbastanza congruo rispetto alla richiesta inoltrata ed ai tempi
stabiliti dalla Magistratura (almeno nella zona di Foligno)».
Domanda n.4: Per quanto riguarda la collaborazione con il Dipartimento
delle Dipendenze della USL n.2, crede sia stato svolto, da entrambe le parti,
un approccio di sistema che si basa sull’operatività integrata seguendo prassi
condivise?
«Soltanto da poco tempo si vede qualche risultato con il Dipartimento della USL
2, solo che i risultati arrivano dopo la concessione della messa alla prova e non
nella fase di indagine a causa dei tempi dell’USL 2».
«Si sta tentando, diciamo che potrebbe essere uno degli obiettivi a lungo
termine».
« Non sempre c’è stata una immediata risposta alle richieste inviate dall’Uepe».
«Ancora da ottimizzare e consolidare poiché per il Servizio specialistico ,
rappresenta un ulteriore onere rispetto al carico di lavoro ( ad es. situazioni già
valutate per la concessione ed il ripristino della patente di guida ) , in quanto
molte situazioni non saranno oggetto di interventi specifici del Servizio».
La collaborazione deve avvenire anche attraverso incontri diretti, solo così
l’integrazione diventa proficua.
Per valutare il protocollo è importante conoscere sia la parte più giuridica che la
parte che si occupa non del programma di trattamento, ma del programma
terapeutico. Inoltre è utile vedere se le risposte tra gli operatori dei diversi servizi
concordano sui punti di forza del protocollo.
Domanda 5: C’è stata fino ad oggi una buona comunicazione che ha portato
a una adeguata valutazione diagnostica multidisciplinare?
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«No. Perché da sempre con l’ASL2 la comunicazione è complicata, inoltre, non
c’è chiarezza sulla differenza tra messa alla prova e affidamento in prova al
servizio sociale».
«Si. E’ stato possibile in alcune situazioni più complesse affrontare la valutazione
in modo integrato e multidisciplinare, soprattutto per soggetti molto giovani,
inseriti in contesti familiari multiproblematici e con tipologie di reato legati alla
dipendenza».
L’intervista agli assistenti sociali del SER.T.
Area tematica: Il protocollo.
Domanda 1: Il protocollo ha rappresentato uno strumento per venire a
conoscenza/comprendere meglio l’istituto della messa alla prova? È stato
complicato entrare nel merito di questa misura per lei?
«Il protocollo non ha favorito ne la conoscenza ne la comprensione dell'istituto
della messa alla prova poiché è una misura già conosciuta ed applicata nella
presa in carico dei minori in collaborazione con il Tribunale per i Minorenni».
«Gli incontri preparatori al Protocollo mi sono serviti per approfondire il
contenuto della misura. Non è stato complicato in quanto mi occupo da anni di
misure alternative».
È ovvio che anche gli operatori del SER.T siano a conoscenza della materia
giuridica specifica, ma a volte i due servizi si trovano in disaccordo sui tempi e su
ciò che concerne la valutazione.
Domanda 3: grazie a questo protocollo avete agganciato al servizio nuovi
soggetti, o per lo più erano già conosciuti al vostro servizio?
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«Molti erano già conosciuti, alcuni dei nuovi contatti pur cercando di motivarli,
in loro prevale la scelta utilitaristica di risolvere il problema legale e non di
favorire il tenersi distante da trasgressioni, anche se occasionali».
Ciò si è notato anche dalle risposte degli imputati, svolgono i controlli, i lavori di
pubblica utilità e i colloqui per prevenire ripercussione dei Giudici.
«La quasi totalità era conosciuta. Qualcuno era stato utente diversi anni per
provvedimenti amministrativi art. 121 e 75 DPR 309/90».
Queste risposte ci fanno notare come una volta che si entra nel circuito della
dipendenza è poi facile entrare anche in quello dell’illegalità.
Bisogna lavorare e spendere molte risorse sulla prevenzione secondaria, bisogna
lavorare con tutti gli strumenti appena il problema si presenta per far sì che ciò
non accada.
Domanda n.4: il protocollo ha inciso in positivo sul dialogo e sull’
integrazione tra i servizi?
Si. No.
Perché?
«Ha rafforzato sicuramente il dialogo e ha consentito reciprocamente di
comprendere obiettivi e mandati tra servizi. »
Si. No.
Perché?
«Poiché ha sicuramente incrementato, in termini numerici, le occasioni di
condivisione
e contatto, altresì ha favorito la condivisione dei progetti terapeutici/riabilitativi»
108
Queste due risposte verificano senz’altro, almeno da parte del SER.T, l’ipotesi
iniziale che affermava che il protocollo fosse uno strumento atto a promuovere la
collaborazione e il dialogo tra i due servizi.
Domanda n. 6: È stato utile accordare una stessa procedura e uno stesso
linguaggio riguardo l’operatività?
Si. No.
Perché?
«Ha favorito l'uniformità dei percorsi anche nei vari territori di competenza del
Dipartimento Dipendenze UslUmbria2.»
«Sicuramente importante per consentire di dare una giusta interpretazione alla
norma, ovvero in chiave risocializzante e non di puro “controllo”.»
Domanda n.10 : Con quale incidenza avete già in carico gli imputati che vi
sono segnalati dall’UEPE ai sensi del protocollo?
«Erano quasi tutte persone conosciute in passato.»
«L'incidenza è piuttosto alta, almeno il 70%; poiché se non sono in carico per
l'eliminazione della dipendenza lo sono stati per ottemperare alle necessarie
certificazioni propedeutiche alla riconferma della patente di guida».
Ulteriori riflessioni:
«Ritengo comunque necessario che i colleghi dell'UEPE dovrebbero riflettere e di
conseguenza fare da tramite con la Magistratura nel comprendere che i tempi
109
“terapeutici” non sempre possono coincidere ed essere conciliabili con quelli
della giustizia.»
110
Conclusioni.
La tesi presentata, come si è ribadito precedentemente, è il frutto delle attività
svolte presso l’Ufficio Di Esecuzione Penale Esterna di Spoleto durante lo stage
di ricerca. L’UEPE a seguito del D.P.C.M. del 15 giugno 2015 n. 84 appartiene al
nuovo Dipartimento Di Giustizia Minorile e Di Comunità, mentre
precedentemente apparteneva al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria
Del Ministero Della Giustizia. Analizzando le parole del nome del nuovo
Dipartimento, si nota l’obiettivo di avviare un processo di unificazione e
razionalizzazione, ma soprattutto di portare l’esecuzione penale esterna all’interno
del contesto dove vive il soggetto che ha commesso il reato. Si vuole promuovere
la de-istituzionalizzazione, l’integrazione e il lavoro di rete opportuno per la
crescita e la centralità del reo. È con attuali presupposti che si sviluppa nel XIX
secolo in America il sistema di probation, ovvero l’esecuzione in area penale
esterna di sanzioni e misure definite dalla legge ed imposte ad un autore di reato.
Nel 1977 nasce un nuovo tipo di giustizia che include un diverso modo di eseguire
e vivere le sanzioni: una giustizia senza spada, che vuole restituire al reo, alla
vittima e alla comunità ciò che è stato danneggiato con un reato, attraverso uno
spazio di ascolto e dialogo, nonché la mediazione penale. A differenza del nostro
paese nel resto d’Europa questi temi sono bene strutturati. Nel 2014 in Italia vi è
la prima misura di comunità, impregnata dei principi propri del probation e del
paradigma riparativo. La novità nasce con la legge del 28 aprile 2014, n. 67,
ovvero la messa alla prova per adulti; è con questa legge che in Italia entra a pieno
titolo il probation giudiziale, in quanto l’imputato o l’avvocato possono richiedere
una sospensione del processo, bloccando così la pronuncia di un giudizio o
l’ammissione di colpevolezza. La “messa alla prova” è un istituto già conosciuto
nel processo penale a carico di imputati minorenni infatti molti tratti sono stati
ripresi dal D.P.R. 444/88.
La sospensione del processo con messa alla prova per adulti può essere richiesta
per reati di minore allarme sociale, che possono essere puniti con la sola pena
edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore a quattro anni,
111
sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal
comma 2 dell'articolo 550 del codice di procedura penale.
La ricerca qualitativa svolta durante lo stage in un primo tempo ha riguardato la
fase prettamente teorica che verteva sui temi appena elencati. In un secondo
momento lo studio ha interessato il protocollo d’intesa tra l’UEPE di Spoleto e il
Dipartimento per le Dipendenze dell’USL n.2. Su 47 richieste di sospensione del
procedimento del primo periodo, 22 erano per capi di imputazione relativi all’uso
di alcool o di droga. Si rende quindi evidente la necessità di pensare a un
protocollo proficuo per fermare la recidiva possibile in questi casi. Il protocollo è
stato sottoscritto tra gli operatori dell’UEPE e del Dipartimento dell’USL n.2;
ogni membro che ha contribuito alla stesura del documento voleva promuovere e
favorire il dialogo e l’integrazione tra i servizi, delineando una prassi operativa
che avesse come risultato una valutazione multidisciplinare dell’imputato, per
garantire un ulteriore obiettivo: la centralità della persona nel programma di
trattamento. Ad ogni richiesta di sospensione per capo di imputazione 186 comma
2, guida in stato d’ebbrezza, 187 comma 1 guida sotto uso di stupefacenti, o per
reati di diversa natura, in cui l’imputato presenta una forma di dipendenza, si
chiede al servizio specifico se è conoscenza del soggetto e quale sia il programma
trattamentale che segue. Il dialogo deve essere continuo e proficuo per far si che la
persona sia seguita nel migliore dei modi e il programma da seguire al servizio
territoriale sia inserito in quello di trattamento. La ricerca muove dall’ipotesi che
il protocollo risponde alle esigenze dell’imputato ed inoltre pone il focus sulla
valutazione del protocollo ad un anno dalla sottoscrizione. In codesto momento si
intraprende la seconda fase della ricerca, nonché la stesura delle ipotesi, queste
sono state verificate attraverso tre diverse interviste semi-strutturate, una scritta
per i destinatari del protocollo, una per gli operatori dell’UEPE di Spoleto e una
per gli operatori dei SER.T del territorio dell’USL n.2 dell’Umbria.
Rispettivamente si parla di un campione di 12, 6 e 3 intervistati. Ciò ha permesso
alla sottoscritta di concretizzare la terza fase: la raccolta dati, attraverso tutti i
punti di vista per verificare al meglio le ipotesi predisposte all’inizio della ricerca.
In un successivo momento alle interviste attraverso i grafici si completa la fase
dell’analisi dei dati.
112
Per rendere maggiormente visibile il risultato ottenuto con la ricerca qualitativa,
quindi mostrare l’ultima fase della ricerca relativa alla fase dei risultati, ogni
ipotesi sarà collegata con l’esito riscontrato attraverso le analisi delle interviste
somministrate.
IPOTESI RISULTATI
Il protocollo porta ad una maggiore
integrazione tra i due servizi.
L’operatività integrata è stata favorita, ma
questo è ancora un obiettivo non raggiunto
pienamente, soprattutto secondo le risposte
delle figure professionali del UEPE.
Può creare un onere di lavoro maggiore e
non proficuo nei due servizi.
Vi sono maggiori operazioni lavorative da
fare, l’importante è che per mancanza di
tempo non siano strumentalizzate.
La valutazione della commissione patenti
non deve essere confusa con la valutazione
multidisciplinare ai fini della relazione
finale per il Tribunale Ordinario
Nelle risposte dei servizi specialistici, (da
specificare degli uffici dove non vi è
l’assistente sociale), mostrano che non si fa
un’ulteriore valutazione a quella della
commissione patenti, anche se questa è
avvenuta in un tempo molto diverso dalla
richiesta di sospensione.
Si incentra il lavoro sulla persona Per due assistenti sociali su cinque
l’ipotesi è confermata, mentre per l’altra
c’è ancora molta strada da fare prima di
parlare di crescita della persona.
La persona riesce a riflettere in modo più
attento su ciò che lo ha portato a
commettere il reato
Tutti gli intervistati sono concordi sul fatto
che l’invio al servizio specialistico ha
portato ad una riflessione sugli aspetti
della vita e del reato.
L’imputato percepisce un controllo
eccessivo
L’imputato non percepisce nessun
controllo eccessivo, si intravede in lui solo
l’ansia di non riuscire a rispettare tutti gli
impegni determinati dalla messa alla
prova.
113
Il protocollo satura i rapporti con gli utenti Alcuni imputati credono che ci sia bisogno
di un programma più individualizzato.
L’invio al servizio specialistico è visto
solo come una punizione
Secondo le risposte degli assistenti sociali
l’imputato vede l’invio al servizio come un
fine punitivo, più che per quelli riparativi.
L’imputato non sempre lo vede necessario.
Gli aspetti positivi che emergono sono diversi:
la persona grazie all’integrazione con il servizio territoriale riconosce che
le attività svolte sono state importanti come momento per favorire la
riflessione sui suoi problemi e sul reato commesso;
il dialogo tra i servizi è stato promosso e le figure professionali sono al
corrente di nuove conoscenze riguardo ai tempi di entrambi i servizi;
la misura della messa alla prova consente di estinguere il reato commesso,
esso non comparirà nella “fedina penale”, questo comporta che la persona
può essere maggiormente motivata a non commettere nuovi reati;
il soggetto che ha commesso reati di minore allarme sociale non deve
entrare nel circuito penale, od entrare a contatto con persone che hanno
commesso reati di entità maggiore;
la messa alla prova richiama fini riparativi importanti attraverso, il lavoro
di pubblica utilità, attività di volontariato e attività di mediazione con la
vittima.
Da questa ricerca sono scaturiti anche quelli che sono i punti critici sia della
messa alla prova che del protocollo:
l’imputato sceglie l’istituto principalmente per motivi utilitaristici e non
per fini riparativi;
non vi è da parte dell’imputato un’autoanalisi riguardo il reato e
l’autoresponsabilizazzione, si deve puntare molto di più su ciò anche da
114
parte dell’assistente sociale, l’imputato nel 70% dei casi non riconosce il
fatto come reato;
non vi sono termini specifici e chiarezza riguardo i criteri con cui viene
scelto il tempo di sospensione della misura e il tempo del lavoro di
pubblica utilità; si crea confusione nel lavoro delle figure professionali;
l’ente dove si deve svolgere il lavoro di pubblica utilità non è sempre una
scelta calibrata sul reato e sull’individuo, in questo modo non possono
realizzarsi i fini riparativi della misura;
l’imputato non deve percepire il lavoro di pubblica utilità come una
punizione, ma come un’attività da svolgere per la restituzione e la
riparazione di ciò che ha commesso, in questa operazione deve essere di
aiuto soprattutto l’assistente sociale nello scegliere la struttura che
maggiormente realizzerà questi obiettivi;
le maggiori criticità dell’istituto e che si riversano sul protocollo
riguardano la mancanza di risorse materiali e personali, che non
permettono di pensare ad esempio ad una mediazione penale o ad un
tirocinio formativo per la crescita della persona, quindi non è possibile
individualizzare il programma di trattamento.
Individualizzare il programma e indirizzare l’imputato all’ente più adeguato per il
soggetto e il reato commesso viene ostacolato in questo periodo da un elemento
fondamentale: la mancanza di personale. Questi problemi portano a rallentare il
lavoro e far sì che i percorsi con gli utenti non possano avere l’individualità e il
tempo di cui hanno bisogno. «Non ce la facciamo a svolgere le indagini socio-
familiari e a fare i progetti con la qualità che richiede il nostro lavoro», chiarisce
Vincenzi, coordinatrice regionale del personale del comparto ministeriale per la
Cgil. «Chiediamo carichi di lavoro sostenibili». La protesta di Venezia si è svolta
in concomitanza con molte altre regioni d’Italia157
.
157http://nuovavenezia.gelocal.it/venezia/cronaca/2017/05/23/news/carenza-di-personale-la-
protesta-dell-uepe-
115
«Il ministro Orlando punta al potenziamento delle misure alternative al
carcere, dall’altro non garantisce le risorse adeguate, sia in termini
economici che di personale. Degli oltre 30 milioni di euro del Fondo
Unico di Giustizia, solo 500.000 verranno assegnati agli UEPE presenti
sul territorio nazionale. Una beffa, se si pensa che la mancanza di mezzi
è ormai cronica, gli assistenti sociali spesso non dispongono di auto di
servizio e non ricevono rimborsi per le spese di viaggio. Gli uffici sono
in stato di degrado, spesso anche sotto il profilo igienico oltre che di
sicurezza fisica. Pesantissima la carenza di organico: in Lombardia 99
operatori si occupano di 6.562 casi, più 2.258 consulenze in itinere e
1634 indagini di messa alla prova (dati al 15 aprile 2015)»158
.
I principi della messa alla prova nelle condizioni attuali non riescono a realizzarsi.
Un altro problema che si presenta relativo all’istituto è una normativa confusa, sia
riguardo i tempi del lavoro utilità, sia verso il periodo di messa alla prova che
viene deciso dal giudice.
«Il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita,
affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed
attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni.
La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze
di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato e la sua durata
giornaliera non può superare le otto ore»159
.
Nuove precisazioni da parte dei giudici sarebbero auspicabili per assicurare un
buon rapporto con l’imputato e il buon andamento del programma di trattamento,
anche per la figura dell’assistente sociale, che ha bisogno di essere tutelata.
158 http://w3.ordineaslombardia.it/sites/default/files/ComunicatostampaUEPE11-6.pdf
159Il ministro della giustizia, Il regolamento del Ministero su messa alla prova e lavoro di
pubblica utilità, decreto ministeriale del 9 giugno 2015, alla pagina web
www.penalecontemporaneo.it.
116
Inoltre, la burocratizzazione e i tempi degli uffici giudiziari dell’Italia causa il non
rispetto del principio secondo il quale la messa alla prova deve essere eseguita
nell’immediatezza dell’avvenuto fatto-reato.
L’attività di rieducazione e risocializzante deve avvenire nel momento in cui il
reato è stato commesso da poco. Gli intervistati a cui si è somministrata
l’intervista semi-strutturata si lamentavano che dovevano «fare dei lavori di
pubblica utilità e avevano degli impegni relativi al loro reato commesso a
distanza di un anno».
Durante l’attività di stage si è sempre pensato a quali potessero essere dei nuovi
presupposti per modificare al meglio l’istituto e favorire il paradigma riparativo su
quello retributivo. Innanzitutto è importante che dai punti critici si impari e sia i
legislatori che tutto il sistema pensino e creino nuove sanzioni di comunità anche
per reati diversi e di entità maggiore. Prima di fare questo passo bisogna divulgare
alcune buone pratiche già presenti nel nostro sistema, ma poco conosciute ancora.
La mediazione nel nostro paese, soprattutto la mediazione per adulti ha ancora
molta strada da fare. Richiedere di impegnarsi nel favorire queste pratiche
significa certamente un dispendio maggiore di tempo per la figura dell’assistente
sociale che nell’ufficio dove ho svolto il tirocinio si trova con un alto carico di
lavoro e con basso numero di personale. Si deve sentire il dovere di lavorare nella
logica della ricerca-azione per creare nuovi progetti sempre più idonei. È in questo
senso che il Ministro Orlando ha voluto gli Stati Generali che includono il Tavolo
13 per costruire un percorso che studi nuove pratiche per il ruolo della giustizia
riparativa nella pena e della mediazione penale. Si studia per costruire secondo le
parole della coordinatrice Grazia Mannozzi,“risposte qualitativamente diverse dal
binomio processo pena”. Dallo studio della commissione del tavolo 13 del sistema
penale danese è stato appurato come un sistema mite crei anche un minore
vittimismo del reo. Nella prima giornata di incontro fondamentale sono le parole
di Manlio Milano, Presidente della Associazione dei Caduti di piazza della Loggia
« Viene detto che il colpevole non è all’altezza della vittima che ha ucciso, come
se l’umanizzazione e la valorizzazione della vittima passi attraverso la
svalorizzazione del colpevole, processo negativo perché parte dal principio
117
dell’irrecuperabilità di colui che ha commesso il reato e blocca il tentativo di
cercare di capire perché è stato commesso il reato». Lo studio degli esempi a noi
vicini, dei lati positivi e negativi, non può che comportare a creare un progetto
quasi ottimale. Puntare sulla formazione è una proposta che sia il Tavolo
Tematico 13 che la sottoscritta crede indispensabile per i funzionari del probation,
avvocati, magistrati, assistenti sociali e personale carcerario. Buone lezioni di
insegnamento sono esempi di mediazione e di integrazione come il “Progetto Rete
Dafne”, una rete per l’accoglienza e l’ascolto delle vittime di reato, con le finalità
già sancite nella Direttiva 2012/29/UE che istituisce le norme in materia di
protezione e assistenza alle vittime di reato. Questa rete vuole rispondere ai
bisogni di chi subisce le conseguenze dannose di un reato, soprattutto vittime che
hanno subito reati relativi alla violenza.
Si ribadisce che nel futuro si aspira a vedere misure di comunità costruite anche
per imputati con capi di imputazione di maggiore entità. Prendendo spunto dai
diversi articoli del Magistrato Riccardo Turrini Vita, (Il braccialetto elettronico,
applicato a chi deve scontare pene non detentive, è una valida misura di controllo
ma anche un importante strumento per regolare la vita del condannato) si crede
opportuno realizzare l’obiettivo appena nominato inserendo nelle misure di
comunità il sistema del braccialetto elettronico, per creare il controllo di cui alcuni
soggetti hanno bisogno, ma allo stesso tempo dare la possibilità di svolgere la
sanzione nella comunità di riferimento e attraverso tutte le attività riparative fino
ad ora descritte.
118
Bibliografia.
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allegato 6 tavolo 13, Stati Generali, 2016.
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deve scontare pene non detentive, è una valida misura di controllo ma anche un
importante strumento per regolare la vita del condannato, Le due Città, “Rivista
dell’Amministrazione penitenziaria”, DAP, 2001.
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120
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principi, La legge per tutti, https://www.laleggepertutti.it/108661_la-mediazione-
penale.
121
Allegati.
I. Protocollo d’intesa.
II. Intervista per gli imputati destinatari del protocollo.
III. Intervista per le assistenti sociali dell’UEPE.
IV. Intervista per gli assistenti sociali del SER.T.
V. Modello per la richiesta di elaborazione del programma di trattamento
MAP.
I. PROTOCOLLO D'INTESA TRA L'UEPE DI SPOLETO ED IL DIPARTIMENTO DELLE
DIPENDENZE DELLA USL N. 2 RELATIVO ALLA GESTIONE INTEGRATA DELLE
SOSPENSIONI DEL PROCEDIMENTO PER MESSA ALLA PROVA
Il presente protocollo d'intesa ha come presupposto il lavoro svolto a livello
regionale sul tema delle misure alternative alla detenzione per le persone alcol e
tossicodipendenti che ha prodotto il documento denominato "linee guida
regionali interistituzionali per la gestione integrata dei programmi alternativi alla
pena detentiva in persone alcol e tossicodipendenti".
La finalità - obiettivo è quella del potenziamento dei rapporti di collaborazione
tra UEPE di Spoleto ed i l Dipartimento delle Dipendenze della USL n. 2, fino a
giungere alla promozione di un approccio di sistema che si basa sull'operatività
integrata supportata da prassi condivise, sulla buona comunicazione e sulla
valutazione diagnostica multidisciplinare. Principio fondamentale è la centralità
della persona utente e la volontà di offrire alla stessa un’opportunità
trattamentale favorevole al suo percorso di crescita e al superamento delle
problematiche, nel proprio spazio territoriale e di vita.
Il nuovo istituto della messa alla prova per gli adulti di cui alla L. n. 67/14
rappresenta l'ambito di lavoro in cui ci si interfaccia con una nuova tipologia di
utente che è quella del soggetto imputato, relativamente al quale i Servizi
122
coinvolti sono chiamati a condividere nuove strategie di collaborazione.
Pertanto:
Visto la DGR 1548/14 "Linee guida regionali interistituzionali per la gestione
integrata dei programmi alternativi alla pena detentiva in persone “alcol e
tossicodipendenti" Vista la Legge 28 aprile 2014 n. 67 che istituisce l'istituto della
messa alla prova per gli adulti.
Considerando che ad un periodo congruo dall' entrata in vigore della legge si può
riscontrare che ha particolare incidenza il reato di cui all'art. 186 comma 2, e
all'art. 187 comma 1 del D.lgs n.285/92,
l'UEPE di Spoleto ed i l Dipartimento delle Dipendenze della USL n. 2, concordano
le modalità operative che seguono.
DESTINATARI
Sono destinatari del presente protocollo d'intesa coloro che, risiedono nel
territorio della USL n. 2 e che presentano richiesta di programma di trattamento
per la sospensione del procedimento con messa alla prova nei casi in cui:
1) il capo d'imputazione è relativo all'art. 186 comma 2 D.lgs 285/92;
2) il capo d'imputazione è relativo all'art. 187 comma o comma 8 D.lgs 285/92;
3) il capo d'imputazione è di altra natura, ma dal colloquio con i l funzionario di
servizio sociale dei UEPE emerge una problematica relativa all'uso di sostanze
stupefacenti o di abuso di alcol o di ludopatia.
PROCEDURA OPERATIVA: Fase di indagine
Il funzionario di servizio sociale dell'UEPE a cui è assegnato l'incarico di redigere
l'indagine sociale e di elaborare un programma di trattamento per la sospensione
del procedimento con messa- «alla prova, nei casi sopra descritti, inoltrerà una
nota scritta al Dipartimento delle Dipendenze al fine di verificare se i l soggetto è
già in carico al Servizio, se è conosciuto ma allo stato non è in carico, oppure non
è conosciuto. Il funzionario di servizio sociale, dopo il primo colloquio con
123
l'imputato, condividerà con lo stesso, la prassi operativa per chiedere notizie al
Dipartimento delle Dipendenze.
Se il soggetto è già in carico, il Dipartimento delle Dipendenze, riferirà, in forma
scritta, la sua conoscenza del caso e comunicherà in forma scritta il programma
terapeutico in corso. Le informazioni ottenute andranno ad integrare la
conoscenza del soggetto ai fini dell'indagine sociale, il programma terapeutico in
corso verrà riportato quale elemento del programma di trattamento della messa
alla prova.
Nel caso di conoscenza pregressa o di non conoscenza, l'UEPE chiede al
Dipartimento una valutazione sul caso ed invita i l soggetto a presentarsi al
Servizio specialistico, motivandolo in tal senso.
Il Dipartimento curerà l'accoglienza e la presa in carico del soggetto ai fimi della
valutazione diagnostica multidisciplinare.
È auspicabile che detta fase di valutazione si esaurisca entro la fase di indagine,
altrimenti proseguirà durante la messa alla prova quale elemento del programma
di trattamento. La valutazione diagnostica stabilisce se:
1) la persona non ha alcun problema di dipendenza o di abuso, nel caso viene
dimessa dal Servizio specialistico, l'UEPE lo riferirà nell'indagine sociale, e alcuna
prescrizione vi sarà nel merito nel programma di trattamento della messa alla
prova;
2) la persona ha un problema di dipendenza, nel caso i l Servizio specialistico
concorda con il soggetto un percorso terapeutico che viene inserito quale
elemento del programma di trattamento della messa alla prova. Il percorso
terapeutico è orientato al sostegno e all'aiuto alla persona, la finalità del
controllo è da considerarsi marginale.
La relazione del Servizio specialistico viene inviata al Tribunale Ordinario quale
parte integrante dell'indagine sociale.
124
Se il soggetto non accetta il coinvolgimento del Servizio delle dipendenze, o
comunque non si presenta allo stesso ai fini di una valutazione, l'UEPE lo riferirà
al Tribunale ordinario nel contesto dell'indagine sociale, in tal caso l'UEPE non
indicherà prescrizioni specifiche nel programma di trattamento.
PROCEDURA OPERATIVA: Fase dell'esecuzione
L'UEPE si impegna a dare immediata comunicazione scritta al Servizio
specialistico dell'avvenuta sottoscrizione del procedimento di messa alla prova,
ai fini della presa in carico nel percorso terapeutico.
Il Dipartimento delle Dipendenze si impegna a riferire all'UEPE, anche per vie
brevi, circa l'andamento del percorso con cadenza trimestrale e, con relazione
scritta, alla fine della misura penale. Eventuali fatti rilevanti dovranno essere
comunicati indipendentemente dalla calendarizzazione.
I due Servizi lavorano in sinergia, prevedendo momenti di confronto e con
strategie di rinforzo reciproco, soprattutto nelle situazioni di criticità
La relazione formale del Servizio specialistico viene inviata al Tribunale Ordinario
quale parte integrante della relazione di fine misura dell'UEPE.
CONCLUSIONE
Il presente Protocollo d'intesa intende stabilire delle procedure operative al fine
di migliorare una collaborazione già esistente, anche per l'istituto della messa
alla prova, tra l'UEPE di Spoleto e la USL n. 2.
I Servizi, trattandosi dell'istituto della messa alla prova, relativamente al percorso
terapeutico, sono orientati soprattutto al sostegno e all'aiuto, la misura è
considerata una opportunità di aggancio e di accoglienza per la persona.
La titolarità della valutazione è del Servizio specialistico, la gestione integrata del
programma di trattamento avviene nel pieno rispetto delle specifiche
competenze.
125
II presente protocollo d'intesa intende essere imo strumento di lavoro utile ad
apportare un valore aggiunto sia nella fase delle indagine che nella fase
dell'esecuzione della misura, ai fini della relazione per il Tribunale Ordinario.
II) Intervista per gli imputati destinatari del protocollo d’intesa
tra l’UEPE di Spoleto e il dipartimento per le dipendenze.
1. Quali sono i motivi che l’hanno portata a chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova? ………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
2. Si sente di chiamare reato il fatto accaduto. Si. No. Perché?
………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
3. Ritiene adeguata e perché la durata della sua misura per il reato del quale è imputato? Si. No. Perché?
………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
4. È stato utile chiamare in causa anche il Servizio per le dipendenze?
Si. No. Perché? ………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
126
5. Aveva mai avuto rapporti con il Servizio per le dipendenze prima di questo episodio? Si. No. Perché? ………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
6. Nel suo caso il percorso poteva essere attivato diversamente?
Si. No. Perché? ………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
7. Quali interventi ha indicato per lei il servizio per le dipendenze durante la misura?
………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
8. Con quali figure ha avuto maggiori contatti?
………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
9. Il programma terapeutico poteva includere altre attività, esempio, danza terapia, incontri con altre figure professionali o attività di prevenzione? Si No Perché?
………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
10. Il percorso con il servizio per le dipendenze l’ha aiutata a riflettere su alcuni
aspetti della sua vita? Si no Quali?
127
………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
11. È stato integrato/coinvolto anche il suo nucleo familiare? Si no Se si, come? ………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
12. Quali sono le maggiori difficoltà che ha incontrato?
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………
La valutazione al servizio delle dipendenze è stato una parte del programma di trattamento, relativamente agli altri punti, come ad esempio il lavoro di pubblica utilità vorrei farle alcune domande.
13. Parlando del lavoro di pubblica utilità, perché crede sia stato inserito all’interno del programma di trattamento?
………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
14. Come valuta l’esperienza del lavoro di pubblica utilità? Benissimo bene abbastanza bene male malissimo Perché?
………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
15. In base a quali criteri ha ritenuto opportuno individuare questo ente?
128
………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
16. Che mansioni ha svolto nell’ente?
………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
17. Sono state soddisfacenti, era quello che si aspettava? Si No
Perché?
………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
18. Il personale e l’ente dove sta svolgendo il lavoro di pubblica utilità come si è o come si sta comportando nei suoi confronti?
………………………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………
19. Quali sono dei punti di criticità che ha notato durante il percorso di messa alla prova e i punti di forza che crede opportuno sottolineare? Punti di forza:
………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
Criticità:
………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
Nel suo percorso sono intervenuti nell’esecuzione della sua misura, sia il servizio di esecuzione penale esterna che il servizio per le dipendenze.
20. Dai due servizi ha avvertito un controllo eccessivo?
129
Si. Con quali modalità? No. Perché? ………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
21. Dal servizio UEPE si aspettava diversi interventi o aiuti per lei? Si. No. Perché? ………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
22. E dal servizio per le dipendenze? Si. No. Perché? ………………………………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
Ulteriori riflessioni:
III) Intervista assistenti sociali dell’ UEPE di Spoleto.
In seguito al “ protocollo d’intesa tra l’UEPE di Spoleto ed il dipartimento delle dipendenze della USL n.2 relativo alla gestione integrata delle sospensioni nel procedimento per messa alla prova”, vorrei proporle alcune domande.
130
1. A due anni dall’entrata in vigore della legge del 28 aprile 2014, n.67 crede sia importante l’istituto della messa alla prova? Quali sono i punti di forza e debolezza?
………………………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………………………
2. Nella messa alla prova che incidenza c’è di persone con problematiche di dipendenza?
………………………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………………………
……………………………..
3. Considerato che alcuni degli obiettivi del protocollo sono la centralità della
persona utente e l’opportunità di offrire un percorso di crescita nello spazio territoriale di vita, questi temi sono stati rispettati durante le prassi operative dal vostro servizio, dal servizio per le dipendenze e dal Tribunale Ordinario?
Si. No.
Perché?
………………………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………………………
……………………
4. Per quanto riguarda la collaborazione con il Dipartimento delle Dipendenze della USL n.2, crede sia stato svolto, da entrambe le parti, un approccio di sistema che si basa sull’operatività integrata seguendo prassi condivise?
………………………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………………………
……………………
131
5. C’è stata fino ad oggi una buona comunicazione che ha portato a una adeguata valutazione diagnostica multidisciplinare?
Si No
Perché?
………………………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………
6. Ha notato delle differenze lavorando con il servizio per le dipendenze con soggetti imputati rispetto al lavoro che già svolgevate con gli affidati?
………………………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………………………
………………….
7. Quali aspetti positivi e quali criticità, ha riscontrato nei rapporti tra i servizi?
………………………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………………………………
………………………………
8. Relativamente alle segnalazione che ha fatto al Dipartimento delle Dipendenze: Quante per il reato di cui all’ art 186 codice della strada?
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Quante per il reato di cui all’articolo 187 del codice della strada?
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Quante con capo di imputazione di altra natura?
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9. Quando, a seguito della valutazione del servizio specialistico, si riscontra che il soggetto non ha problemi di dipendenza, ritiene che è stata comunque importante la segnalazione e la valutazione di detto servizio?
Si. No.
Perché?
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10. Nella ipotesi di cui al punto precedente, pensa che si sia creata un’opportunità per un momento di prevenzione ? Si. No. Perché ? ………………………………………………………………………………………………………………………
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È stata utile per la stesura della sua relazione? ………………………………………………………………………………………………………………………
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È stata utile secondo lei per la valutazione al tribunale? ………………………………………………………………………………………………………………………
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11. Ci sono stati dei casi che ha valutato di non segnalare?
Nessuno alcuni molti
Perché ?
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12. Ha trovato difficoltà a spiegare e relazionarsi sull’istituto della messa alla prova con i servizi per le dipendenze?
Si. No.
Perché ?
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13. È stato utile accordare una stessa procedura e uno stesso linguaggio comune nell’operatività?
Si. No.
Perché?
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14. Quali sono le principali differenze che riscontra in questo tema con il periodo prima del protocollo?
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15. Lei ritiene che il protocollo sia stato uno strumento utile allo svolgimento del suo lavoro?
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Si. No.
Perché?
Punti di forza:
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Punti di criticità:
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16. In questo anno ha visto un primo cambiamento apportato dal protocollo, ad
esempio c’è stato un maggiore aggancio verso gli imputati? Si. No. Perché?
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17. Come vede la reazione dell’imputato quando gli propone un percorso al servizio specialistico? Il soggetto la vede come opportunità o come punizione?
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18. C’è bisogno di nuovi servizi o di nuove figure che entrino in gioco per portare un valore aggiunto al protocollo?
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19. Condivide le metodologie usate dai servizi per le dipendenze in merito alla valutazione dell’imputato e ai programmi terapeutici pensati per l’imputato?
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20. Ad un anno dall’entrata in vigore del protocollo quali modifiche apporterebbe?
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21. Crede che ci siano problematiche rilevanti per il quale ci sia bisogno di un altro protocollo con altri servizi?
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Ulteriori riflessioni:
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IV) Intervista per gli assistenti sociali del servizio per le
dipendenze.
In seguito al “ protocollo d’intesa tra l’UEPE di Spoleto ed il dipartimento delle dipendenze della USL n.2 relativo alla gestione integrata delle sospensioni nel procedimento per messa alla prova”, vorrei proporle alcune domande.
1. Il protocollo ha rappresentato uno strumento per venire a conoscenza/comprendere meglio l’istituto della messa alla prova? È stato complicato entrare nel merito di questa misura per lei? ………………………………………………………………………………………………………………………
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2. C’è una differenza di approccio e metodologie usate da voi verso un imputato e verso un affidato? ………………………………………………………………………………………………………………………
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3. Grazie a questo protocollo avete agganciato al servizio nuovi soggetti, o per lo più erano già conosciuti al vostro servizio? ………………………………………………………………………………………………………………………
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4. Il protocollo ha inciso in positivo sul dialogo e sull’ integrazione tra i servizi? Si. No. Perché?
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5. Crede ci sia bisogno di attivare altri interventi, riunioni o verifiche mensili per confrontarsi e alimentare il dialogo tra i servizi? ………………………………………………………………………………………………………………………
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6. È stato utile accordare una stessa procedura e uno stesso linguaggio riguardo l’operatività? Si. No. Perché? ………………………………………………………………………………………………………………………
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7. In futuro aggiornerebbe il protocollo? Si. No. Come ? ………………………………………………………………………………………………………………………
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8. Quali sono i principali interventi che attivate quando all’interno del programma di trattamento è incluso il programma terapeutico? ………………………………………………………………………………………………………………………
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9. Quando a seguito della valutazione si è riscontrato che il soggetto non aveva problematiche di dipendenze, è stato comunque importante, anche a titolo di prevenzione il rapporto che si è istaurato con l’utente?
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10. Con quale incidenza avete già in carico gli imputati che vi sono segnalati dall’UEPE ai sensi del protocollo?
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11. Con quale incidenza continuate ad avere in carico detti utenti anche dopo la
fine della misura?
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12. Per quanti è stato valutato necessario l’invio in comunità? ………………………………………………………………………………………………………………………
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13. Qual è il valore del protocollo a suo parere?
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Ulteriori riflessioni:
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V ) MODELLO MAP. 1 – ISTANZA DI PROGRAMMA DI TRATTAMENTO PER MESSA ALLA PROVA
Al Ministero della Giustizia Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità Ufficio Esecuzione Penale esterna di _________________ Il/la sottoscritto/a___________________________________, nato/a a _____________________________, il ________________, domiciliato/a in _______________________________________________________, via ____________________________________________________, n. __________, cap _____________, tel. _____________________ , e‐mail _________________________ CHIEDE
per se stesso; per il/la Sig.re/ra_________________________,
nato/a________________________, il____________, domiciliato/a in ___________________________________, via _________________________________, tel ________________________________, e‐mail ____________________________________________, in qualità di suo Procuratore Speciale, l’elaborazione di un programma di trattamento ai sensi dell’art. 464‐bis c.c.p. “Sospensione del procedimento con messa alla prova”, relativamente all’imputazione per il reato di ________________________________, in relazione al procedimento penale n. ____________ presso il Tribunale/GIP di ______________________ A tale fine dichiara: 1) di trovarsi nelle seguenti condizioni personali/familiari:_________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________; 2) di svolgere la seguente attività lavorativa:_______________________________________________________________________ _______________________________________________________________________________; 3) di essere disponibile a svolgere il lavoro di pubblica utilità presso l’Ente/Cooperativa/Associazione ___________________________________________, in _________________________________, via _____________________________________________________, tel ___________________, e‐mail _______________________________________; 4) di essere disponibile alle seguenti azioni riparatorie per il risarcimento del danno: _______________________________________________________________________________; 5) di rendersi disponibile ad intraprendere percorsi finalizzati
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alla riparazione del danno o di mediazione con la persona offesa, secondo le modalità prescritte dal Giudice. Data ___________________ Firma _______________________ _________________________________
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Ringraziamenti.
In prima battuta sento di ringraziare me stessa, perché non è da tutti, perché non è
stato facile affrontare il percorso essendo sia una pendolare che una studentessa
con dei piccoli lavoretti. Sono veramente orgogliosa di me stessa e di questa
giornata. Milioni sono stati i momenti pieni di ripensamenti, ma fortunatamente la
famiglia, gli amici e la voglia di finire un percorso sono stati elementi sempre forti
e vivi nel mio cuore.
Voglio ringraziare il mio relatore che in un anno si è trovato ad placare ansie,
dubbi e a rispondere ad e-mail in ogni momento della giornata.
Ringrazio anche la mia correlatrice, che insieme al mio relatore, sono stati fonte di
sapere per la mia tesi.
Non posso non nominare la mia famiglia e il mio fidanzato che ogni giorno hanno
ascoltato momenti di ira, un bel pezzo di questa laurea è anche la loro. Grazie
Denisia, Pietro, Leonardo e Daniele. Ringrazio anche chi faceva già parte della
famiglia, ma dopo una giornata speciale passata alcuni mesi fa, lo è ancora di più,
grazie Ilaria.
Mi sento di ringraziare mille volte chi mi ha fatto pesare sempre poco questo
percorso offrendomi una casa romana ogni volta ne avessi bisogno, è anche grazie
a voi se sono arrivata a questo giorno, grazie Anna Chiara, Irene, Carmela,
Carmela. C, Sara e Ilaria. Ho fatto passare notti in bianco ad Anna Chiara, ogni
volta che dormivo da lei era un continuo tossire e parlare, parlare, parlare con lei
che ormai si è abituata a me dopo 20 anni; ringrazio Irene che in cambio di un
pezzo di pane, ma anche senza, era sempre pronta ad ospitarmi, mi mancherà quel
letto, comodità assoluta, ha sopportato anche il ripetere incessante ad ogni esame;
ringrazio Carmela che ha sempre provato e prova ancora a calmare quel lato
ansioso che mi contraddistingue e grazie a lei ora sono un po’ siciliana, soprattutto
dopo aver fatto degli arancini speciali; ringrazio Carmela. C che mi ha fatto
capire che ho un futuro come investigatore privato di persone e di bandi, momenti
che saranno per sempre ricordati. Vi ringrazio e vi assicuro che anche grazie a voi
il percorso è stato più bello, facile e possibile.
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Un pensiero va a Francesca C. alla quale non potrò mai smettere di dire grazie per
l’aiuto che mi ha offerto.
Non posso non nominare Viola, Simona e la già citata Anna Chiara, le amiche di
sempre che oramai sono dei punti fermi e importanti.
Ringrazio Davide, un amico a chilometri di distanza, ma sempre vicino, anche con
i suoi mille impegni.
Ringrazio Irene, Daniela e un’amicizia che come tutte ha degli alti e bassi, ma mai
si potrà scordare dei gesti importanti.
Ringrazio Ilaria, un’amica che mi insegna come dare affetto, conosciuta grazie
alla passione comune, che solo noi sappiamo veramente come si mette in pratica,
a modo nostro.
Voglio ringraziare Michele, un amico e un ballerino che in entrambe le cose sa
emozionare, Mary su cui ci sarebbe un libro da scrivere e Cecilia, anche lei
sempre pronta ad offrirmi un tetto romano in quest’ultimo periodo.
Voglio ancora ringraziare Andrea, Miriam, Veronica, Daniele.
Voglio ringraziare la danza che crea emozioni e amicizie al di là della stanza
anche dopo venti anni.
Ringrazio la Compagnia Innuendo.
Ringrazio la vita che mi ha donato tutto ciò.