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Poste Italiane spa - Spedizione in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1, DCB/CN - anno IV - numero 17 - Settembre - Ottobre 2012 Version française. e 5,00 Marta Giuliano | Museo Diocesano Cuneo | Salone del Gusto | Poligoni | Piero Simondo | I segreti di San Giovanni a Saluzzo tartufo, fra cinema e gusto dietro le quinte del casinò pane, tradizione e fantasia l’inatteso alimenta chi ha occhi

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Il magazine della provincia di Cuneo settembre/ottobre 2012

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Marta Giuliano | Museo Diocesano Cuneo | Salone del Gusto | Poligoni | Piero Simondo | I segreti di San Giovanni a Saluzzo

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CUNEO - Corso Nizza, 1 - Tel. 0171.67030CUNEO - Corso Nizza, 7 - Tel. 0171.690310MONDOVÌ - P.zza C. Battisti, 3 - Tel. 0174.42130MONDOVÌ - P.zza S. Pietro, 1 - Tel. 0174.47979

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CUNEO - Corso Nizza, 1 - Tel. 0171.67030CUNEO - Corso Nizza, 7 - Tel. 0171.690310MONDOVÌ - P.zza C. Battisti, 3 - Tel. 0174.42130MONDOVÌ - P.zza S. Pietro, 1 - Tel. 0174.47979

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PERCHEʼ LA QUALITAʼ RICONOSCIUTA SIA RICONOSCIBILE

Su diSegno dell’Architetto domenico mAzzA - courmAyeur (Ao)

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Oggi esistiamo soltanto se lasciamo una traccia. Ascolti un nuovo disco o leggi un libro bellissimo e senti subito la necessità di dirlo su Twitter prima che diventi di moda. Incontri un amico, lo fotografi insieme a te con un autoscatto del telefonino e poi, subito, la condividi su Facebook, ritoccata con Istagram, così la possono vedere tutti. In spiaggia conosci una tipa interessante e non puoi fare a meno di “taggarla”. Tutto alla faccia della nostra vita privata. Perché essere troppo privati, oggi, equivale a non esistere. Bisogna esserci, lasciare una traccia quotidiana di sé, il resto non importa. Grazie ai social network si può essere un po’ Lady Gaga, un po’ Barack Obama, o almeno ci si illude di esserlo. Purché il mondo non smetta di guardarci, perché la libertà oggi è fatta di “pollici alzati” e di “mi piace” abbinati ai nostri segreti pubblici.Abitudini moderne che, utilizzate con criterio e metodo, possono anche diventare nuovi mezzi di comunicazione più diretti ed efficienti, per questo molto usati dai giornalisti e, ovviamente, anche da [UNICO], che attraverso la pagina facebook e twitter cerca di tenere alta l’attenzione sulle novità in uscita. Novità che in questo numero si confermano con l’apertura a nuovi orizzonti come la Liguria, allargando così i confini a un territorio che sempre più viene riconosciuto come eccellenza nazionale per le sue mille risorse che dalla pianura, attraverso le Alpi, arriva al mare. Dal raduno delle Vele Storiche di Imperia passiamo quindi ai “trifulau” di Alba, passando per il Casinò di Monte-Carlo, con una deviazione al Salone del Gusto di Torino, per arrivare a scoprire i segreti di San Giovanni a Saluzzo, in un itinerario che unisce natura, cultura, gastronomia e personaggi, come sempre nello stile [UNICO].Stiamo quindi in contatto: al prossimo tweet...

Roberto Audisiodirettore artistico

[email protected]

EDITORIALE

PERCHEʼ LA QUALITAʼ RICONOSCIUTA SIA RICONOSCIBILE

Su diSegno dell’Architetto domenico mAzzA - courmAyeur (Ao)

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AlessioBotto DIRETTORERESPONSABILE

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CONTRIBUTORS

con il patrocinio di:

Si ringraziano tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo numero

hanno scritto:

Roberto AudisioMaria BolognaLuigi BottaVilma BrignoneKathrin BüchlerVanina CartaRiccardo CeliGuido Curto Mario De Masi Francesco Doglio Nicola Ferrero Roberto Fiori Giovanna Foco Fabrizio Gardinali Axel Iberti Luca Morosi Camilla Nata Sonia Pellegrino Elio Ragazzoni Monia ReLuca RevelliGiorgio Trichilo

hanno fotografato:

Art Gallery La LunaAlex AstegianoPress Office Franco BattiatoDuilio Beltramone – SGSM.itOscar Bernelli Biasutti & BiasuttiBluepassionFederica Borgato – Galleria Enzo CeiCentre de Presse MonacoCentro Interuniversitario Agorà ScienzaCittà di Cuneo Città di Saluzzo – Dario FusaroConsorzio La Venaria RealeSergio CraveroEnte Turismo Alba Bra Langhe e Roero – Davide DuttoMichele FinoFondazione PeanoRaffaele GaetaImperia

Claudio MolinaroDaniele MolinerisMonaco Yacht ShowSBM MonacoPress Office Slow FoodUMG NashvilleYacht Club de Monaco

traduzioni: Lidia Dutto

aderente a:

RobertoAudisio DIRETTOREARTISTICO

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JolandaBivona DIREZIONEMARKETING & PUBBLICITÀ

[email protected]+39.388.61.86.091

Rivista bimestrale della provincia di CuneoAnno IV • Numero 17 • Settembre - Ottobre 2012

Direttore responsabile:Alessio Botto • [email protected]

Direttore artistico:Roberto Audisio • [email protected]

Redazione centrale:Giovanna Foco • [email protected]

Redazione Monaco:Maria Bologna • [email protected]

Editing di redazione:Vanina Carta • [email protected]

Concessionaria unica di pubblicità:BB Europa Edizioni • via degli artigiani, 17 - Cuneo

Direzione Marketing & pubblicità:Jolanda Bivona • [email protected]. +39.388.61.86.091

[UNICO] è una pubblicazione di BB Europa EdizioniVia degli Artigiani, 17 • 12100 Cuneo tel. +39.0171.60.36.33Reg. Trib. di Cuneo n. 617 del 1 Agosto 2009

Stampa:TIPOLITOEUROPA • [email protected] • www.tipolitoeuropa.com

Tutti i diritti riservati, è vietata la pubblicazione, anche parziale, senza l’autorizzazione dell’Editore© BB Europa Edizioni. Nell’eventualità che testi e illustrazioni di terze persone siano riprodotti in questa pubblicazione, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non citati. L’editore porrà inoltre rimedio, a seguito di segnalazione, ad eventuali non volute omissioni e/o errori nei relativi riferimenti.

Garanzia di riservatezza per gli abbonati.L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiedere gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: “BB Europa Edizioni” - Responsabile dati UNICO - Via degli Artigiani, 17 - 12100 Cuneo. Le informazioni custodite nell’archivio elettronico della “BB Europa Edizioni” saranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 675/96).

Puoi trovare [UNICO] nelle migliori Edicole della provincia di Cuneo. A Torino nella Libreria Internazionale Luxembourg. Nei migliori locali del Principato di Monaco.

Questo numero è stato chiuso in redazione il 10 settembre 2012.

In copertina: Three trees di Daniele Molineris.

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Errata corrige:sullo scorso numero a pag. 54 il patron del Relais Cuba Chocolat è Alberto Mantelli – a pag. 56 l’ottica è OPERA – a pag. 93 la Mostra di Piero Simondo è anche alla Fondazione Peano, in corso Francia a Cuneo.

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RITRATTO08 | tartufo da trifolao

UNDER 4012 | piccola, grande marta

SOCIETÀ E COSTUME16 | san sebastiano, segni della fede22 | dietro le quinte del casinò

EVENTI26 | il gusto da salone30 | vele e fascino d’altri tempi

BENESSERE33 | la pacchia è in noi, ovunque

SPORT38 | fare centro è passione62 | l’altro calcio

GUSTO44 | pane, tradizione e fantasia

IN CASA DI52 | il calore del legno

ARTE56 | un artista che ama gli artisti

MUSICA60 | non solo musica

SCIENZA65 | notte della ricerca

AZIENDE68 | ferrerolegno porte protagoniste70 | looping: un mare di idee

LUOGHI72 | le segrete di san giovanni

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SOMMARIO

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3 | EDITORIALE

5 | SOMMARIO

6 | PRIMO PIANO

41 | L’INTERVISTA IMPOSSIBILE

76 | LIFE-STYLE

78 | PASSAPAROLA

79 | DA ROMA

81 | BON TON

82 | BEAUTY

84 | MOTORI

86 | ARTE

88 | PASSEPARTOUT

91 | ESSERCI

94 | TRADUCTION FRANÇAISE

RUBRICHE

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PrimoPianoPIEMONTE E LOMBARDIAINSIEME PER L’EXPO 2015Agroalimentare, sviluppo sostenibile del sistema rurale, turismo, valorizza-zione del territorio, cultura, infra-strutture e trasporti sono i temi che si propone di sviluppare il protocollo di collaborazione stipulato tra le Regioni Piemonte e Lombardia per il governo del sistema delle eccellenze e la defini-zione di attività condivise a supporto dell’Expo Milano 2015. Un’iniziativa dagli obiettivi ambiziosi e di portata rilevante per la promozione dell’intero bacino padano-alpino, sottoscritta a Torino dal presidente della Lombardia e commissario per l’Expo, Roberto Formigoni, e dal presidente del Piemonte, Roberto Cota. Erano presenti gli assessori piemontesi, Alberto Cirio, Michele Coppola e Barbara Bonino, insieme alla lombarda Valentina Aprea e il sottosegretario all’Attuazione del Programma ed Expo 2015, Paolo Alli. “L’Expo 2015 – ha dichiarato Cota – sarà un grande evento anche e soprattutto piemontese, con ricadute proporzionali alle capacità del nostro territorio di attrarre i visitatori. In pochi, infatti, limiteranno la loro visita soltanto all’esposizione internazionale, ma coglieranno l’occasione per vedere anche altro. E noi siamo la regione più prossima al luogo dell’evento. Anche grazie alla firma di questo protocollo di coordinamento con la Lombardia, potremmo organizzare direttamente dalla cabina di regia dell’Expo le migliori strategie per cogliere l’obiettivo: l’agroalimentare, il turismo, la cultura, i trasporti e lo sviluppo sostenibile sono il cuore del documento. Durante l’Expo, ad esempio, sarà dato grande spazio – ha osservato Cota – alla qualità e alla sicurezza del cibo, settori in cui il Piemonte è sicuramente all’avanguardia. Se saremo in grado di organizzare eventi sul Piemonte, supportati da interessanti pacchetti turistici, potremo far conoscere al mondo le nostre tante eccellenze e il nostro bellissimo territorio. La linea ad alta velocità Milano-Torino permette oggi il collegamento tra i nostri due capoluoghi, nello stesso tempo necessario per attraversare la città di Milano. Quindi è bene che tutto il territorio piemontese si attivi per cogliere l’occasione rappresentata dall’Expo 2015.”

GUIDO CROSETTO NUOVO PRESIDENTEDELL’AEROPORTO CUNEO LEVALDIGI

L’onorevole Guido Crosetto è stato votato all’unani-mità dagli azionisti Geac. Crosetto raccoglie il testi-mone di Guido Botto, che ha gestito lo scalo negli ultimi anni. Da subito si metterà al lavoro per capire se ci siano o no reali possibilità di decollo per lo scalo. Crosetto arriva alla presidenza con la volontà di essere propositivo fin dagli inizi. I prossimi mesi di lavoro saranno in grado di fare emergere ciò che vi è da fare. Crosetto è uomo d’azione. E sa che per Levaldigi non c’è tempo da perdere. Con l’ex sot-tosegratario alla Difesa, originario di Marene, fanno parte del nuovo Consiglio d’amministrazione i consiglieri Davide Barberis, Giovan Battista Mellano e Gianni Vercellotti, presidente dell’Atl.

“PREMIO GIORNALISTICO DEL ROERO”, [UNICO]TRA I PREMIATI

Vanina Carta, autrice per il bimestrale Unico, è tra i vincitori del prestigioso riconoscimento che, dal 1989 ad oggi, ha premiato 139 gior-nalisti. Al suo pezzo, “Meraviglie dei Roero”, è stata riconosciuta l’efficacia del breve excur-sus, dettagliato ma evocativo, sulla riscoperta da parte del territorio delle proprie identità agroalimentari, a cominciare dalla produzione vitivinicola. A svelare i nomi è stato il patron della serata, Giovanni Negro, che instanca-bile riconosce ogni anno l’importante opera di quei giornalisti, pubblicisti e autori che comunicano nella sua molteplicità di risorse agroalimentari, paesaggistiche e territoriali a ogni livello mediatico, come il web, le testate cartacee e la televisione. Tra i premiati per l’edizione 2012, oltre Vanina Carta, ci sono: Bruno Gambacorta (Eat Parade – Tg2 ore 13,00), Marco Gatti (Gentleman), Fabrizio Salce (“Sapori d’Italia”), Rumen Mihaylov (“Monitor”), Paola Scola (“La Stampa”), Elio Regazzoni (“La Nuova Gazzetta di Saluzzo”), Paolo Monticone (“Barolo & Co”), Giorgia Rozza (www.saporiditalia.it), Filippo Apollina-ri (www.enocode.com). “Padrino” della serata, Edoardo Raspelli, e tra gli ospiti in sala, Paolo Massobrio.

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PrimoPianoTORINO, PORTE APERTE A PALAZZO LASCARISRiprende l’iniziativa “Porte aperte a Palazzo Lascaris”, le visite guidate gratuite aperte a tutti i cittadini. Le visite sono un’occasione per conoscere da vicino il funzionamento dell’Assemblea legislativa piemontese e tutte le attività che la contraddistinguono. Inoltre, accompagnati dai funzionari del Consiglio regionale, i cittadini hanno l’opportunità di scoprire il particolare valore artistico di Palazzo Lascaris, dei suoi dettagli architetto-nici e delle sue opere d’arte esposte. Le visite effettuate in gruppi, da 15 a 30 persone, si svolgono il sabato mattina alle ore 10,00. La prenotazione può essere effettuata on-line compilando la scheda prenotazione cittadini. È anche possibile inviare il modulo cartaceo, compilato in ogni sua parte, tramite fax (+39 011 5757425) al Settore Comu-nicazione e Partecipazione del Consiglio Regionale – Via Alfieri 15, 10121 Torino.

PREMIO OSCAR GREEN 2012C’è fermento. C’è attesa. È un contenitore d’eccezione a ospitare quest’anno l’Oscar Green. L’edizione 2012 del premio di Coldiretti Giovani alle imprese, che grazie alla loro innovazione fanno volare l’Italia, si svolge sabato 29 settembre nell’ambito di “Cibi d’Italia”, la manifestazione promossa dalla Fondazione Campagna Amica che porta a Roma il meglio delle produzioni di qualità dello “stivale” per una quattro giorni all’insegna del made in Italy, della cultura, del gusto. In lizza ci sono 18 imprenditori (per sei categorie più una settima riservata alle istituzioni), usciti dalle selezioni effettuate nelle regioni tra le migliaia di aziende. Si tratta di un connubio tra origine e tecnologia. Merito delle imprese in lizza è quello di aver saputo riscoprire le proprie origini e valorizzare le caratteristiche del proprio territorio, andando a prendere spunto dalle usanze delle passate generazioni in connubio con le più sofisticate tecnologie che si trovano sul mercato, oltre che ad avere un’elevata capacità di interagire con tutti gli altri ambiti economici e politici locali e nazionali. Tra i finalisti della provincia di Cuneo: Sara Beccaria della Coopeariva Sociale Linfa Vitale – Cuneo; Andrea Demagistris della Azienda Agricola Demagistris Andrea e Demagistris Massimo – Cuneo che ha un primato: “Siamo i primi, e per ora gli unici, produttori di germogli di bambù biologico in Europa. La nostra attuale produzione – spiegano i referenti Demagistris – è composta da germogli freschi nel periodo primaverile, dal sottolio (preparato con germogli a pezzi e il delicato olio extraver-gine biologico del Lago di Garda) e dalla crema (preparata con le sole punte frullate, più tenere e saporite). Ma il nostro progetto non è esclusivamente alimentare: stiamo prepa-rando, in collaborazione con un’azienda di cosmesi naturale, una linea di prodotti cosmetici a base di estratto di bambù, ricavato dalle foglie più pregiate delle nostre piante”. C’è da credere nella forza delle idee.

ALBEISA HA IL NUOVO PRESIDENTECambio di vertice per l’associazione Albeisa, fondata nel 1973, per promuovere e valorizzare i vini dell’albese attraverso l’omonima e caratteristica bottiglia. A guidare l’associazione sarà Alberto Cordero di Montezemolo, dell’Azienda Agricola Monfalletto che, a 31 anni, raccoglie il testimone dal presidente uscente Enzo Brezza, titolare Azienda Agricola Brezza. Albeisa, conosciuta in tutto il mondo anche per essere l’organizzatrice dell’evento “Neb-biolo Prima”, anteprima mondiale di Barolo, Barbaresco e Roero, definito il “wine summit italiano per eccellenza”, ha così deciso di continuare a puntare sui giovani, non solo per la presidenza, ma per l’intero consiglio di amministra-zione. L’apertura verso l’estero è uno dei capisaldi della filosofia anche del nuovo presidente. “Sposo completamente la strada intrapresa fin’ora e credo che puntare sull’internazionalizzazione sarà uno dei primi impegni anche per il futuro – afferma Alberto Cordero di Montezemolo. – Sono contento della nomina e orgoglioso di avere questa importante responsabilità. La mia volontà è essere in prima fila con tutto il consiglio di amministrazione e rafforzare il lavoro di squadra, perché anche i consiglieri più giovani contribuiscano alle scelte accanto a chi ha maturato più esperienza.”

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SINO A FINE GENNAIO, NELLA NOTTE, LE COLLINE DIVENTANO LUOGO DI RICERCA. NEI 250 COMUNI “TARTUFIGENI” DELLE PROVINCE DI CUNEO, ASTI, ALESSANDRIA E TORINO SI RACCOLGONO 300 QUINTALI DI TARTUFO BIANCO.

DI ROBERTO FIORIPHOTO: ENTE TURISMO ALBA-BRA

a secoli fa. Non sappiamo bene dove nasca, non siamo in grado di coltivarlo e non possiamo neppure riprodurlo. A portarci da lui è ancora il naso di un cane, che di notte guida il suo padro-ne ai piedi di questo o di quell’albero, lontano da occhi indiscreti. Il profumato mistero di uno strano fungo che cresce sottoterra è ancora in-tatto, impassibile a ogni evoluzione e saldo su un’unica certezza, quella del piatto e del palato, oltre a quella del portafogli.Da metà settembre a fine gennaio, nella notte le colline piemontesi diventano un luogo fantasio-so e ricco di mistero, dove l’euforia della ricerca si mescola a zolle di terra scura, sempre le stesse da generazioni. Nell’intero Piemonte, i cercatori sono più di 4.000. Nella sola Granda se ne con-tano oltre 1.200. “La figura del trifolao – afferma Agostino Aprile, presidente dell’Unione del-

“Sono i giorni più belli dell’anno. Vendemmiare, spogliare, torchiare, non

sono neanche lavori; caldo non fa più, freddo non fa ancora; c’è qualche nuvola chiara…”Era più di mezzo secolo fa, quando Cesare Pavese usava queste parole per descrivere il la-voro sulle colline d’autunno tra Langhe, Roero e Monferrato. Sono passati tanti anni e anche il calendario è cambiato: con la vendemmia or-mai agli sgoccioli, le nebbie d’ottobre avvolgo-no sempre più vigneti pettinati, sempre meno boschi e frutteti, sempre più ville e agriturismi sofisticati, sempre meno cascinali semplici e genuini. L’uomo lancia con successo sonde su Marte e scova particelle sempre più infinitesi-mali, mescola i geni di lucciole e pomodori, e semina mais indistruttibile.Ma con il tartufo bianco d’Alba è ancora fermo

Per scovare i tartufi, il fiuto dei cani è fondamentale come lo è pure la loro memoria. Nelle Langhe del Barolo c’è chi si è inventato persino un ateneo.Si tratta dell’Università dei Cani da Tartufo – Barot, fondata nel castello di Roddi nel 1880.

Ogni trifolao ha il proprio metodo di addestramento del proprio animale. C’è chi adotta maniere dolci e chi, invece, è più severo. In ogni caso, chi ha un ottimo segugio non lo vende né svela quanti tartufi ha trovato e soprattutto dove li ha trovati.

La ricerca è frutto di perfetta sintonia tra cane e padrone. Un gioco che diventa reddito: i tartufi raccolti nelle zone piemontesi coprono quasi il 30% della produzione nazionale, generando un giro d’affari di 100 milioni di euro.

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le nove associazioni Tartufai del Piemonte e dell’associazione Trifolao dell’Albese – è sem-pre la stessa: imperscrutabile, individualista, poco incline alle luci della ribalta. Ognuno ha la propria mappa, tramandata di generazione in generazione, e non ama affatto incontrare occhi indiscreti sul proprio cammino. Per que-sto preferisce lavorare di notte, quando anche i cani sono meno distratti dagli aromi e riescono a concentrarsi maggiormente nella ricerca.”Già, i cani: “Per scovare i tartufi, il loro fiuto finissimo e la loro memoria è fondamentale – spiega Aprile. – Anche i maiali sarebbero degli ottimi segugi per andare a caccia dei funghi ipogei, ma quando li trovano sono altrettanto formidabili nel mangiarseli. I cani ben addestra-ti, invece, non tradiscono mai il loro padrone”. Per questo, nelle Langhe del Barolo, c’è chi si è inventato addirittura un ateneo, l’Università dei Cani da Tartufo – Barot, fondata all’ombra del castello di Roddi nel lontano 1880. “Le lezioni – dice il ‘rettore’ Giovanni Monchiero, quarta generazione della dinastia Barot (in piemonte-se, il bastone del tartufaio), – si tengono tutte a cielo aperto. Si inizia con la scuola di base, dove il cane impara a distinguere il profumo del tartufo attraverso il gioco. Poi le difficoltà aumentano, le trifole vengono nascoste sempre più in profondità e ogni volta che l’animale rie-sce a scovarle, viene premiato con le classiche crocchette.”Ma ogni trifolao ha il suo metodo. Stelvio Casetta, ad esempio, il cercatore che anni fa si è

esibito anche in una ricerca simulata al Central Park di New York e ha portato a spasso per i boschi Gérard Depardieu, predica le maniere dolci. Bobo, il suo lagotto di cinque anni, ha iniziato l’addestramento a pochi mesi: grissini schiacciati e tartufo nero sono diventati il suo pasto quotidiano e, così, il suo olfatto e il suo palato, fin da subito, hanno imparato a ricono-scere quello strano e intenso sapore. Ancora

“Il tartufo è comeuna bella donna permalosa”

Giacomo Odderopresidente Centro Nazionale Studi Tartufo

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oggi, Bobo mangia ogni giorno un minestrone al sapore di tartufo, per tenersi in esercizio. Una dieta che a cui molti si abituerebbero volentie-ri, pagando anche fior di quattrini. Tuttavia, c’è invece chi ha metodi ben più severi, seguendo il vecchio sistema del bastone e della carota. E non si contano gli episodi di avvelenamenti tra i cani dei trifolao, per invidia o per compromet-tere la stagione del concorrente più temibile. La regola, alla fine, è una sola: chi ha davvero un ottimo segugio non lo vende neppure per 5-6.000 euro, così come non svelerà mai quanti tartufi trova e soprattutto dove.Tuttavia, se cani e trifolao in questi anni non sono molto cambiati, sta invece rapidamente mutando il contesto circostante. Carattere biz-zoso e controcorrente, il tartufo è un prodot-to spontaneo molto delicato, che vive in un ambiente particolare. Il terreno migliore in cui

si nasconde questo tesoro è quello marnoso-calcareo, in simbiosi con le radici di piante come rovere, quercia, pioppo, tiglio e salice. Le Rocche del Roero sono tra le aree che danno i raccolti migliori, grazie alla scarsa coltivazione e alle distese di boschi. Lo stesso vale pure per alcune zone dell’Alta Langa, ma persino nei giar-dini pubblici di Alba ci sono tartufaie che offro-no ottimi frutti, al punto che tempo fa, quando un sindaco approvò degli interventi per l’irriga-zione automatica del verde pubblico, si attirò l’ira di più di un trifolao. E chi ha a disposizione un po’ di terra intorno alla propria abitazione, non bada troppo a esotiche piante ornamentali: meglio un tiglio che possa soddisfare le richie-ste di familiari e vicini di casa.“Il tartufo è come una bella donna permalo-sa,” spiega Giacomo Oddero, presidente del Centro Nazionale Studi Tartufo. “Se c’è troppa

La rievocazione secolare colora le piazze di Alba. Attimi che sanno di antico. È una poesia antica perché il tartufo bianco d’Alba è ancora fermo a secoli fa. E gli occhi attenti sanno cogliere la

ricchezza che la Madre Terra offre,con sapienza e generosità

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In occasione della Fiera Internazionale del Tartufo Bianco, numerose star hanno visitato la città per ritirare il tartufo dell’anno. C’è chi ricorda ancora la serenità di Sting e il fascino di Sophia Loren. Volti e storie, decine su decine, che han fatto girare il nome di Alba e della provincia di Cuneo nel mondo.

acqua – prosegue Oddero – non va bene per-ché marcisce. Se il terreno è secco, non matura. Se è inquinato o troppo compresso, non si fa neppure vedere.” Il Centro ha sede ad Alba ed è un’associazione che riunisce le principali realtà amministrative delle province di Alessandria, Asti e Cuneo. La sua funzione è proprio quella di riunire i prota-gonisti della produzione del tartufo per definire politiche di ricerca, promozione e divulgazione.“Proprio perché è un prodotto così sensibile, occorre lavorare per salvaguardare le zone sto-riche in cui da sempre cresce,” dice Oddero. In Piemonte, ma non solo: “A livello di Comunità Europea, stiamo collaborando con Francia e Spagna per realizzare un progetto in grado di difendere le vecchie tartufaie e ripristinare le piante tartufigene”. Agostino Aprile chiede uno sforzo maggiore: “I Comuni dovrebbero impe-gnarsi maggiormente nel tutelare le tartufaie naturali, che sono diventate sempre più picco-le e preziose. Sarebbe opportuno inserirle nei piani regolatori, con regole precise di salvaguar-dia. E la Regione Piemonte dovrebbe garantire regolarmente gli incentivi a chi possiede piante tartufigene”.Anche perché il business è tutt’altro che insi-gnificante. Nei 250 comuni “tartufigeni” delle province di Cuneo, Asti, Alessandria e Torino, si raccolgono circa 300 quintali di tartufo bianco, quasi il 30% della produzione nazionale, gene-rando un giro d’affari di 100 milioni di euro, che si quadruplica considerando l’indotto enoga-stronomico e turistico, con i consumi nei risto-ranti e negli alberghi, le visite e le permanenze di italiani e stranieri nello straordinario autunno piemontese. Niente male, per un prodotto che è sempre stato e promette di restare del tutto spontaneo. Ad Alba l’hanno capito da tempo e anche quest’anno, con la 82° edizione della Fiera Internazionale del Tartufo Bianco, sono pronti a offrire a migliaia di turisti un banchet-to sempre più invitante, in grado di soddisfare ogni tipo di palato.

TARTUFO SUPERSTAR

A partire dal 5 ottobre, data dell’inaugurazione, la kermesse prosegue fino al 18 novem-bre. Poiché “squadra che vince non si cambia”, i pilastri storici della Fiera non sono stati toccati: ecco allora il folclore delle rievocazioni storiche con i borghi cittadini e il Palio degli Asini, il sapore delle feste in piazza e delle proposte enogastronomiche, i grandi eventi mediatici dell’Asta Mondiale di Grinzane Cavour. Quest’anno, il tema centrale della manifestazione sarà l’abbinamento tra il cinema e il tartufo, con la riscoperta di perso-naggi come Alfred Hitchcock e Marilyn Monroe. Fu Giacomo Morra, il mitico proprietario dell’Hotel Savona, a inventarsi, nel primo dopoguerra, una strategia di marketing degna dei migliori pubblicitari di oggi: inviare ogni anno in omaggio ai grandi della Terra, i tar-tufi più belli venuti alla luce nell’autunno albese. Era il 1949, quando Morra pensò per la prima volta di regalare una splendida trifola a un personaggio illustre dello spettacolo e quell’anno scelse niente meno che Rita Hayworth. Nel ’51 il tartufo fu inviato al presiden-te degli Stati Uniti Harry Truman; seguirono Winston Churchill, Marilyn Monroe, Joe Di Maggio e l’Imperatore d’Etiopia Hailé Selassié. Hitchcock venne a ritirarlo addirittura ad Alba, durante il tour promozionale in Italia di Psycho. Una tradizione che è poi proseguita senza interruzioni: nelle edizioni più recenti, numerose star hanno visitato la città per ritirare il tartufo dell’anno, come Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Nino Manfredi, Ornella Muti, Gérard Depardieu, Sophia Loren, Alain Delon, Francis Ford Coppola, Penelope Cruz, mentre per quest’autunno circola il nome di Claudia Cardinale. Volti e storie che saranno protagonisti di una singolare esposizione al Palazzo Mostre e Congressi di Alba, insieme a decine di citazioni cinematografiche “al profumo di tartufo”. Il mito continua. Per info: www.fieradeltartufo.org

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MARTA GIULIANO: GINNASTA, CONTORSIONISTA, BALLERINA.DAI PRIMI PASSI NELLA PALESTRA DI SALUZZO, AI GRANDI PALCOSCENICI.E NEL SUO FUTURO C’È L’AMERICA.

DI GIORGIO TRICHILOPHOTO: ALEX ASTEGIANO

danza classica, moderna, contemporanea, tip tap, frequentando tra l’altro le Accademie di Genova e Monte-Carlo. All’età di 17 anni, avevo già studiato a New York. Già allora prefi-guravo un futuro nel mondo dello spettacolo. È stato difficile emergere?Naturalmente l’impegno non deve mai man-care, ma un pizzico di fortuna non guasta. Ricordo la mia prima audizione a Roma, alla fine del liceo classico. Ci sono andata senza farmi molte illusioni, ma poi sono stata pre-scelta e inserita in un corpo di ballo. Carla Fracci afferma: “La danza è poesia, perché il suo fine ultimo è esprimere sen-timenti, anche se attraverso una rigida tec-nica”. In che modo ti riconosci in questo giudizio?Sono d’accordo. La danza per me è la forma

La mamma ha sempre ragione. Sembra la solita frase fatta, ma nel caso di Marta

Giuliano è la pura verità. Marta comincia a praticare la ginnastica ritmica nella palestra gestita dalla madre, a Saluzzo, rivelando subi-to le sue doti, e da qui inizia una storia che si arricchisce di capitoli sempre più emozionan-ti. Una storia che vede una giovane ragazza del Cuneese coronare con successo i propri sogni artistici.La tua passione per la danza e lo spettacolo è stata un colpo di fulmine o un amore ma-turato nel tempo?Il mio primo amore è la ginnastica ritmica. Ho iniziato a tre anni e fino a dieci ho seguito questa disciplina. Verso gli 11, ho deciso che la danza era il mio futuro e, pur continuan-do la ginnastica, ho cominciato a studiare

La giovane saluzzese, sin da bambina, è stata disposta a rinunciare a tutto pur di potersi allenare nella ginnastica ritmica che era la sua passione. I sacrifici sono stati enormi perché per chi danza il corpo è uno strumento che deve funzionare al cento per cento.

piccola,grande marta

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d’arte più completa, un linguaggio universale. Personalmente, quando ballo sul palcosceni-co, mi estraneo da tutto: vivo una totalità di emozioni in modo assoluto e spero di tra-smetterli al pubblico. È pura poesia, sostenuta da una rigidissima tecnica, frutto di lavoro, lavoro e lavoro, ma anche di molta curiosità. Studio, sacrifici, rinunce. Sono l’altra faccia della medaglia del mondo dello spettacolo. Tu come vivi questo aspetto?Io ho sempre vissuto bene questa dimensione. Fin da bambina ero disposta a rinunciare a tut-to per allenarmi nella ginnastica ritmica, per-ché era la mia passione. Ho fatto molti sacrifici, in particolare dal punto di vista della dieta e dell’alimentazione. Per chi danza, il corpo è uno strumento che deve funzionare al 100%. Ho sacrificato molto anche sul versante delle amicizie: all’una uscivo da scuola e fiondavo in palestra, alle cinque a casa e poi compiti.Hai partecipato alla Carovana del Giro d’Ita-lia: ma la tappa fondamentale della tua vita artistica qual è stata?

Prima di risponderti lasciami fare un cenno alla Carovana. È stato un mese di lavoro-divertimento: mi sono esibita sui palchi dei paesini più sconosciuti, ma ho vissuto molte soddisfazioni. Tornando alla domanda, la pri-ma tappa fondamentale, il mio primo vero contratto, è stata la partecipazione al musical I Promessi Sposi, diretto da Michele Guardì, con Lola Ponce e Giò Di Tonno. Grandi artisti, un regista esigente, prove molto dure: non è uno scherzo!Altre esperienze da ricordare?La tournée dell’estate 2011 con Lola Ponce: una donna dalla personalità forte e un’eccel-lente professionista. Un’esperienza straordi-naria. L’estate scorsa ho anche partecipato alla fiction Tutti pazzi per amore su RaiUno, poi vorrei ricordare lo spettacolo Romeo e Giulietta live in 3d, con la regia di Claudio Insegno.Chi sono stati i tuoi maestri? In che cosa senti di essere loro grata?La mia prima maestra professionale, ma so-

Marta Giuliano è stata confermata nel Corpo di ballo di Lola Ponce che è una nota cantante,

attrice e modella argentina con la quale la giovane saluzzese ha già avuto il privilegio di lavorare non

solo grazie al musical “I Promessi Sposi”,diretto da Michele Guardì, ma anche in occasione

della sua tourné.

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Tra i “vizi” che riconosce di sé, Marta evidenzialo shopping. Tra i difetti, quello di essere

permalosa. Ma, da quando vive da sola, a Roma, ha imparato a farsi scivolare molto di più le cose

addosso. Il suo libro preferito è:il “Manuale del guerriero della luce”

di Paulo Coelho.

Abiti:TIP TAP di Savigliano.

Si ringrazia:Museo Ferroviario Piemontese - Savigliano.

MARTA GIULIANOÈ nata il 21 settembre 1990 e attual-mente vive a Roma. Ha iniziato a soli tre anni a praticare la ginnastica ritmi-ca, per poi proseguire con la danza. Ha studiato all’estero: in Francia, a Monte-Carlo, negli Usa e alla presti-giosa Royal Academy of London. Tra le esperienze professionali, oltre a quelle citate nell’intervista, ricordia-mo la partecipazione al corpo di ballo del kolossal, di produzione tedesca, Ben Hur Live. Come ballerina e con-torsionista, è apparsa nel film Come è bello far l’amore di Fausto Brizzi.

prattutto di vita, è stata mia madre. Devo molto anche a mio padre che, pur nella sua estraneità a questo mondo, mi ha sempre ap-poggiata in tutto, anche se ha sofferto un po’ quando mi sono trasferita a Roma. Un grazie infinito lo devo anche ad Angelo Monaco, il mio maestro di danza a Nizza.Sei stata anche attrice...Sì, e ho intenzione di cimentarmi anche in futuro, naturalmente dopo aver approfondito

gli studi di recitazione.Quando Marta scende dal palcoscenico, cosa fa? Leggo. Il mio libro preferito è il Manuale del guerriero della luce di Paulo Coelho: me lo porto sempre dietro. Un altro libro che mi ha affascinato è Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci.Hai un vizio? Sono sincera: lo shopping.Un difetto?Forse un po’ permalosa, ma da quando vivo a Roma da sola per lavoro ho imparato a... far-mi scivolare le cose. Riconosco poi di essere ritardataria. Sei golosa di...?Non posso permettermi di essere golosa.La virtù che apprezzi di più in una persona?La chiarezza, che implica rispetto, sincerità e comprensione.È vero che nel tuo futuro c’è l’America?Sì. Lola Ponce mi ha proposto di seguirla in America per girare i suoi video musicali. È un progetto che sta prendendo forma e penso che si realizzerà presto. Sono, infatti, stata confermata nel suo corpo di ballo.

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Per finire, cosa significa per te, che sei giova-nissima, il successo? Ora sono molto gratificata da tutto quello che ho a livello professionale; conto molto sulla carriera, ma non la metto sullo stesso piano dei miei progetti di vita.In un futuro – che poi non vedo neanche molto lontano – sarà importante stabilizzarsi e crearsi una famiglia. Ci credo molto, perché alle spalle ne ho una molto unita. Il mio de-siderio è imitare questo esempio. La mamma ha sempre ragione. Sembra la solita frase fatta, ma nel caso di Marta Giuliano è la pura verità. Marta comincia a praticare la ginnastica ritmi-ca nella palestra gestita dalla madre, a Saluzzo, rivelando subito le sue doti, e da qui inizia una storia che si arricchisce di capitoli sempre più emozionanti.Una storia che vede una giovane ragazza del Cuneese coronare con successo i propri sogni artistici.

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san sebastianosegni della fede

DAL 29 SETTEMBRE, CUNEO HA IL SUO MUSEO DIOCESANO. IMPECCABILE IL PROGETTO CHE NON IMPONE UNA RELIGIONE,MA OFFRE L’OPPORTUNITÀ DI DECODIFICARE SIMBOLI,OSSERVARE PEZZI ARTISTICI, SCORGERE SCORCI INATTESIE DIALOGARE, ANCHE, TRA SE’ E SE’.

così, un pezzo significativo di spiritualità, di storia e di società. Si parte dall’antica intitola-zione medievale a San Giacomo, alla ricchezza che pellegrini, pellegrinaggi e percorsi costi-tuirono, passando attraverso la venerazione dei santi. Il progetto è nato oltre dieci anni fa. Lo presentai all’allora vescovo della Diocesi di Cuneo, Natalino Pescarolo, che lo avvallò. L’attuale vescovo, Giuseppe Cavallotto, che è stato anche rettore magnifico della Pontificia Università Urbaniana, ha chiesto che fosse ga-rantita una presentazione scientifica e fosse assicurata una concreta attenzione didattica. Il lavoro è stato impegnativo. Il risultato è ora proposto a chi varcherà la soglia del museo. Il nostro intento era preservare frammenti e storia, farli conoscere, farli amare. Non si im-pone una religione, ma si offre l’occasione per decodificare simboli e si scopre, così, che l’ar-te è uno strumento di dialogo tra le religioni.”La Chiesa della Confraternita di San Sebastiano testimonia una ricca Compagnia di santi: fin dalle origini – al sorgere del libero Comune di Cuneo nei primi decenni del III secolo d.C. – l’attività svolta nell’accoglienza dei pellegrini fu sotto il titolo di San Giacomo. Poi, con il

Cuneo. Contrada Mondovì: la via disegnata nella città come un intaglio profondo che

resiste ai secoli. C’è chi la percorre con leg-giadria, godendo di attimi con il naso all’insù, per cogliere la suggestione dell’antico. C’è chi, invece, cadenza i propri passi scor-gendo vetrine dal fascino matriarcale: via Est. C’è, poi forse anche chissà, chi cerca simboli, tracce e, magari, frammenti o segni. Tangibili o intangibili, comunque di fede. D’un tratto, il passo rallenta. La vista scorge l’evidenza. Si tratta di una chiesa. L’entrata si dissimula tra muri, mattoni e pietre. Ma la chiesa non è solo una chiesa, è anche l’occasione per imbattersi in una innovativa esposizione permanente: il Museo Diocesano San Sebastiano, frutto di ul-tradecennale ricerca e lavoro. Apre i battenti il 29 settembre, giorno di San Michele, santo patrono del capoluogo.“L’allestimento – spiega don Luca Favretto, di-rettore dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Cuneo e direttore del Museo Diocesano – è incentrato quasi completamente su opere di pertinenza del complesso di San Sebastiano. Il percorso proposto passa attraverso la de-vozione dell’antica Confraternita e racconta,

DI GIOVANNA FOCO - PHOTO: OSCAR BERNELLI UNIC

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MUSEO DIOCESANOSAN SEBASTIANO, GLI SCOPI• conservazione ed esposizione de-gli oggetti della Confraternita di San Giacomo e San Sebastiano: ricca pi-nacoteca, sculture, materiale proces-sionale, reliquiari, argenti, paramenti liturgici;• rimando al territorio in chiave di-dattico-illustrativa degli oggetti;• possibilità di ricerca multimediale delle schede scientifiche di tutti gli oggetti di arte sacra sul territorio, de-gli artisti, dei percorsi, dell’agiografia;• fruizione del pubblico, anche attra-verso proposte mirate agli uffici dio-cesani e di promozione del territorio;• coordinamento delle sedi territo-riali della rete museale diocesana e la loro fruibilità effettiva;• conservazione di materiale non esponibile o a rischio, presso gli enti di appartenenza;• ricerca scientifica, tramite la vicina biblioteca e archivio diocesani, coor-dinati da unica sede e ufficio;• creazione di emozioni attraverso la ricostruzione virtuale e il racconto di una “storia” per immagini, proiettate nelle sale in maniera tridimensionale e con l’ausilio di luci, suoni e odori.

titolo di San Sebastiano, venivano organizza-te azioni di solidarietà nei momenti di pesti e calamità. Infine, con la materna devozione a Maria, si poneva sostegno alle fatiche quoti-diane di molti fedeli e con il conforto dei santi più cari alla pietà ottocentesca, in linea con il moderno movimento laicale cattolico.“L’obiettivo – puntualizza Laura Marino, sto-rica dell’arte che lavora presso l’Ufficio BCE (Beni Culturali Ecclesiastici) della Diocesi di Cuneo, che ha catalogato le opere d’arte e che segue l’attività didattica del museo – è quello di portare sotto la lente di ingrandimento un frammento importante, qual è la Confraternita di San Sebastiano con il suo patrimonio cul-turale e artistico, affinché diventi una signi-ficativa chiave di interpretazione della vita, della storia e della cultura del territorio. La

Si entra in un museo,ma anche in una chiesa:spazio sacro e culturale

si incontrano

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Nella pagina precedente:Don Luca Favretto, direttore dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Cuneoe direttore del Museo Diocesano.

In questa pagina:Igor Violino è l’architetto dell’Ufficio BCE della Diocesi di Cuneoche ha curato l’allestimento sotto la direzione di Luca Favretto.

Laura Marino, grazie alla sua specializzazione universitaria, ha catalogatole opere d’arte protagoniste nell’innovativo museo cuneese e ne segue l’attività didattica.

sede ospita una esposizione permanente ed eventi temporanei. In svariate occasioni, in-fatti, attraverso l’Ufficio Diocesano per i Beni Culturali Ecclesiastici, il museo è promotore di interventi di restauro, di mostre e di conve-gni. Le opere tornano, poi, alla sede originaria e sono rese coordinate e fruibili.”“La chiesa di San Sebastiano – conclude Igor Violino, l’architetto dell’Ufficio BCE della Diocesi di Cuneo che ne ha curato l’allesti-mento e che si occupa della tutela del terri-torio di competenza della Diocesi, dei rappor-ti con gli enti di tutela e le Sovrintendenze, sotto la direzione di Luca Favretto – è parte integrante del museo: la chiesa è fruibile da spazi differenti rispetto all’area espositiva, ma vi sono scorci che riconnettono all’area con-sacrata. La suggestione è evidente. Che si sia credenti cristiano-cattolici o no, è indubbio il fascino che si vive affacciandosi dal pulpito e scorgere quel dove. L’utente entra in un mu-seo, ma anche in una chiesa: spazio sacro e culturale si incontrano. Il fil rouge è un bor-do luminoso che conduce da sala a sala ed è l’ideale filo narrante dall’inizio alla fine del percorso.” Davanti a una immagine, un oggetto o un frammento, ognuno si pone con la propria attitudine. C’è chi osserva e scava nella genesi di raminghe particelle artistiche.C’è chi, invece, coglie ogni occasione per ri-connettersi con il divino o, forse, con sé, dove alberga Dio.

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Scopriamo le meraviglie e le sorprese

di una concessionaria pronta a rinnovarsi

e a mettersi in gioco con proposte sempre

nuove attraverso un approfondito identikit

Grintosa, parsimoniosa e affi dabile,la KIA SPORTAGE, propone in foto il 4x4, Turbodiesel, 2000 cc, 136 CV,a partire da € 29.900.

La nuova Serie 6 Gran Coupé è perfetta nei minimi dettagli, potente, elegantissima Fra le tante e pregiate caratteristiche, il Brake

Energy Regeneration che trasforma l’energia cinetica in corrente. Possibilità di fare test

drive in concessionaria.

Photo: Alex Astegiano

Protagonisti del mercato con una

marcia in più

L a crisi? Sì, grazie. Già, si pensi all’e-

timologia di questa parola: crisi deri-

va dal greco e signifi ca cambiamen-

to. Insomma, ogni crisi porta con sé

un’occasione per migliorarsi, guidare

le trasformazioni anziché subirle. Una

fi losofi a vincente, indispensabile per

chi si confronta oggi con il mercato.

È la fi losofi a della Concessionaria Ferrero di Alba. Qui si vendono auto,

ma si viaggia con i piedi per terra. Il

team Ferrero ragiona così: “Bisogna

avere la forza di guardare in faccia i

momenti di crisi, noi li attraversiamo

con la cautela tipica di noi della pro-

vincia di Cuneo, ma conservando un

cuore visionario e coraggioso”.

In concreto vuol dire nuovi investi-

menti, massima attenzione alla cu-

stomer satisfaction, cura sempre più

rigorosa del post vendita. Muoversi,

quindi, con maggior determinazione

e convinzione su quella strada trac-

ciata fi n dall’inizio. La Concessionaria

Ferrero nasce ad Alba nel 1981 come

distributore Bmw e nell’autunno del

2001 aggiunge il marchio Mini.

Il cliente, con le sue necessità, le sue

aspettative, le sue richieste è al cen-

tro di ogni strategia. Si punta, quindi,

sulla diversifi cazione dei servizi e sul

livello delle prestazioni al fi ne di offri-

re un servizio sempre all’avanguardia

con i tempi.

Fedele a questa mission la Conces-

sionaria Ferrero ha aperto nel 2010

uno spazio che ospita la nuova car-

rozzeria per un’assistenza ancora più

effi cace e tempestiva. Si tratta dell’u-

nica carrozzeria uffi ciale Bmw in Pie-

monte: all’interno si osservano le re-

gole e si perseguono gli elevati quality

standard della casa automobilistica

tedesca. Il merito va alla squadra di

tecnici ed esperti, in grado di gestire

globalmente il sinistro di un’auto, uti-

lizzando ricambi originali, materiali e

vernici garantiti Bmw.

Sempre nel 2010 è stato inaugurato

lo showroom Mini affi ancato da un

salone dell’usato che ospita un’am-

pia esposizione di proposte di tutte le

marche. Non va dimenticato il Punto

Service Ferrero a Torre San Giorgio

- a 8 km da Saluzzo sulla strada stata-

le per Moretta - con offi cina uffi ciale

Bmw e Mini e annesso salone dell’u-

sato con personale qualifi cato pronto

a soddisfare ogni vostra richiesta.

La Concessionaria Ferrero non frena

il suo entusiasmo e il suo impegno

verso i clienti, attenta alle esigenze di

un target in crescita. Di qui, l’apertura

a maggio 2012 delle concessionarie

uffi ciali Kia, un marchio in controten-

denza rispetto ad altri competitor in

crisi. Le sedi saranno Guarene e Torre

San Giorgio: in esposizione una linea

di prodotti assolutamente innovativi

con 7 anni di garanzia totale.

Un impegno totale per assicurare la

qualità totale. Per affrontare la crisi da

protagonisti e continuarlo ad esserlo

dopo aver superato le salite. Contan-

do su professionalità ed esperienza:

la nostra marcia in più.

“Il cliente, con le sue necessità,le sue aspettative e le sue richieste

è al centro di ogni strategia”

Guarene D’alba (Cn) Corso Canale, 8Tel. +39.0173.361306/07 - Fax +39.0173.363092

Torre San Giorgio (Cn) Via Circonvallazione G. GiolittiTel. +39.0172.96222 - Fax +39.0172.96304

FERRERO S.r.l.

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Ferrero nasce ad Alba nel 1981 come

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Fedele a questa mission la Conces-

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monte: all’interno si osservano le re-

gole e si perseguono gli elevati quality

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tedesca. Il merito va alla squadra di

tecnici ed esperti, in grado di gestire

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Sempre nel 2010 è stato inaugurato

lo showroom Mini affi ancato da un

salone dell’usato che ospita un’am-

pia esposizione di proposte di tutte le

marche. Non va dimenticato il Punto

Service Ferrero a Torre San Giorgio

- a 8 km da Saluzzo sulla strada stata-

le per Moretta - con offi cina uffi ciale

Bmw e Mini e annesso salone dell’u-

sato con personale qualifi cato pronto

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La Concessionaria Ferrero non frena

il suo entusiasmo e il suo impegno

verso i clienti, attenta alle esigenze di

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uffi ciali Kia, un marchio in controten-

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DI MARIA BOLOGNA

edificio dalle cupole in rame che è da sempre un’icona da cartolina, il museo è visitabile da gruppi o da singoli, ai quali si richiede, anche di giorno, una mise adeguata, anche se le regole sono meno rigorose rispetto a un tempo. Ed è proprio con la luce del giorno che le sale svelano dettagli artistici interessanti, come il dipinto delle Grazie Florentine, in cui Gervais ritrae Cléo de Mérode, la Bella Otéro e Lyane de Pougy, tre celebri cortigiane dell’epoca, nonché giocatrici incallite e note frequenta-trici del casinò monegasco. Per non dire, poi, dei tanti vetri a mosaico in stile Belle Epoque che rivestono i soffitti, dei numerosi lampada-ri in cristallo di Boemia, delle boiseries e dei salotti privati, inaccessibili durante l’apertura ai giochi, prevista ogni giorno alle 14.00. Da non perdere, inoltre, le due eleganti terrazze, ide-

Il Casinò di Monte-Carlo, anche per chi non ama l’adrenalina del gioco d’azzardo e non è

attratto dallo scampanellio delle slot machine o dal rumore ovattato delle fiches buttate sui ta-voli verdi, ha il potere di evocare un luogo leg-gendario su cui aleggia un fascino senza pari. Fino a poco tempo fa, pagando la fiche d’en-trata su esibizione della carta d’identità e sem-pre rispettando la regola del silenzio per non disturbare i più accaniti giocatori assiepati alle roulette o alle macchinette già all’apertura, i tu-risti potevano accedere alle sale del casinò per una visita soltanto di pomeriggio. Dallo scorso giugno, invece – da quando cioè sono stati terminati i lavori di rinnovamento nella Salle Blanche – il Casinò di Monte-Carlo si è trasfor-mato in un museo, con apertura tutti i giorni dalle 9,00 alle 12,30. Ospitato nel celeberrimo

dietro le quintedel casinò

La leggendaria casa da gioco monegasca devela propria fama al Principe Carlo III, che ne inaugurò l’edificazione nel 1863, a seguito di una visita al complesso di Baden Baden, nel Granducato di Baden, che con il casinò aveva rimpinguatole casse dello Stato.Photo: Centre de Presse Monaco

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ate soprattutto per i giocatori-fumatori, che si affacciano sulla curva del Lowe e sui Giardini del Casinò.Se tale perfezione dà l’impressione di essere scandita da un ritmo immutabile quanto infal-libile è solo perché la macchina organizzativa, rodata da tanti anni, riesce a mantenere un controllo ben calibrato su tutte le strutture, ge-stite dall’SBM (Société des Bains de Mer), vale a dire: Casinò de Monte-Carlo, Café de Paris, Sun Casinò, Monte Carlo Bay e, di recente, Casinò de la Rascasse.Dal punto di vista della sicurezza, invece, il gio-catore non avrà nulla da temere, grazie alle 300 telecamere e ai diversi microfoni posti nelle va-rie sale, mentre addetti specializzati studiano la fisiognomica osservando il comportamento de-gli ospiti durante i giochi, sempre nel rispetto della privacy, ma a tutela di tutti i giocatori che devono essere uguali di fronte alla fortuna. Poi il metodo: per tener desta l’attenzione e rende-re viva la partecipazione ai tavoli, dalle roulette al punto banco, i numerosissimi croupier – in minima parte donne – si danno il cambio ogni 20-40 minuti, a seconda del gioco. Quanto, in-vece, alle salette super privé, vi potrà accedere, solo dopo opportune verifiche incrociate con altre case da gioco, un solo cliente che sfide-rà il banco in tutta riservatezza, in un gioco adrenalinico, a cui potranno assistere, oltre agli accompagnatori dello sfidante, il direttore di tavolo, il suo assistente e altri tre addetti. In generale, ogni tavolo gestisce autonoma-mente una piccola fortuna: che questo sia ame-ricano o europeo, la cassa equivale a un mas-simo di 2 milioni di euro e, in caso di perdita durante la serata, viene nuovamente ripristina-ta per non perdere il ritmo di gioco.

Dallo scorso giugno, da quando sono terminati i lavori di rinnovamento nella “Salle Blanche”, il

Casinò di Monte-Carlo si è trasformato in un museo con apertura giornaliera dalle 9,00 alle 12,30.

Photo: SBM.

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SUPERSTIZIONI E LEGGENDE Se oggi è ancora in voga il gesto scaramantico di accarezzare il ginocchio della scultura in bronzo posta nell’atrio dell’Hotel de Paris, le malizie e i riti propiziatori di alcuni giocatori del passato sono passati alla storia. Tra questi, Arthur de Rothshild che, per un’ora consecuti-va e solo dopo una vincita consistente, punta-va esclusivamente su due numeri, il 17 o lo 0. Oppure Cornelius Venderbilt, che pretendeva di essere assistito nel gioco da tutta la famiglia, poi, disposti ben 40.000 franchi a croce sul ta-volo da gioco, sia in caso di vincita sia di per-dita, cambiava tavolo e ricominciava con stra-ne scaramanzie. Più recentemente, Re Faruq, sovrano d’Egitto e del Sudan, che era solito collezionare i gettoni vinti, mentre il Principe del Nepal, a causa delle restrizioni di natura religiosa (il gioco gli era permesso solo cinque giorni l’anno), riservava esclusivamente per sé i saloni del privé.

FAR SALTARE IL BANCOQuando salta il banco, vale a dire quando le vincite superano il valore della cassa, in segno di lutto il casinò viene coperto da un telo nero. Il caso più eclatante risale all’estate del 1891, quando Charles Welles, un inglese il cui nome rimarrà negli annali dell’SBM, sbancò il Casinò di Monte-Carlo.La sua tecnica consisteva nel giocare regolar-mente alla roulette puntando esclusivamente combinazioni al di sotto del 10. La dea ben-data gli fu così benevola che, dopo tre giorni consecutivi di vincite contro il banco, intascò 1 milione di franchi per poi rientrare a Londra. In seguito, Welles tornò nella sua eldorado monegasca per puntare tutto il proprio capi-tale sul numero 5, che uscì ben 5 volte conse-cutive. Pur sembrando un buon manipolatore, Wells in realtà non fu mai accusato di truccare il gioco durante le sue puntate monegasche che, in questo secondo caso, gli fruttarono

Uno scorcio dell’area dedicata alle “Star Wars Slot Machine”: colori, suoni, figure, numeri che ritmano e cadenzano gli attimi.

La terrazza della “Salle Blanche” offre una visuale sul mare indimenticabile e ricco di poesia.

Rosso, nero, rosso, nero: la sorte legata a un colore. È questa la sala delle roulette, dove si alternano i numerosissimi croupier che si danno il cambio ogni venti quaranta minuti a seconda del gioco.Photo: SBM

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la bellezza di 3 milioni di franchi. Da quel momento, però, la fortuna lo abbandonò e a Monte-Carlo perse sempre sistematicamente. Seguirono per lui anni difficili, con un’accusa di truffa e la condanna a otto anni di prigione, ma rimane il ricordo di quella avventura, tanto adrenalinica quanto misteriosa.

LA NASCITA DEL CASINÒ DI MONTE-CARLOLa leggendaria casa da gioco monegasca deve la propria fama al Principe Carlo III, che ne inaugurò l’edificazione nel 1863, a seguito di una visita al complesso di Baden-Baden, nel Granducato di Baden, che con il casinò ave-va rimpinguato le casse dello stato. Al tempo, in Francia, erano vietate le case da gioco: fu così che il sovrano, giocando la carta dell’indi-pendenza dai cugini transalpini e avvalendosi del passaggio della linea ferroviaria, diede il via al progetto di fare di Monte-Carlo la sede di un casinò leggendario. Dopo diversi vani tentativi, nella costruzione fu coinvolto il mi-liardario François Blanc, gestore del Casinò

di Bad-Homburg e visionario fondatore della Société des Bains de Mer (SBM), il quale, oltre a edificare anche l’Hotel de Paris, riuscì nella missione in soli tre anni. Ma il merito della bel-lezza di questa struttura, terminata nel 1878 e capolavoro della Belle Epoque, va all’archi-tetto Charles Garnier, lo stesso che realizzò l’Opera di Parigi. Fu così che il Principato si trasformò, da villaggio di pescatori e contadi-ni, in vetrina internazionale e meta d’élite per la villeggiatura invernale. Qui, tentarono la fortuna il Duca di Gramont, Alexandre Dumas, il Barone Rothschild e un gran numero di Principi, da Carlo di Prussia all’Imperatore d’Autria. Insomma, nel Principato di Monaco, tutta l’alta società del tempo era di casa e vi giungeva per passare il tempo, come per spen-dere immense fortune, così tanto da favorire, indirettamente, i residenti monegaschi: con un’ordinanza del 1869, lo stesso Carlo III san-cì, infatti, l’abolizione della tassazione diretta sul reddito delle persone fisiche. Una bella intuizione...

GIOCARE PER AIUTAREI MENO FORTUNATIL’iniziativa, creata sotto l’alto patro-cinio di S.A.S. il Principe Alberto II di Monaco, è stata lanciata ufficialmente lo scorso 27 novembre 2010 in occa-sione della Nuit des Associations allo Sporting di Monte-Carlo ed è riuscita nell’intento di coniugare il gioco del-le slot machine con la beneficenza. Si chiamano Jackpots du coeur, sono disposti nei diversi casinò di Monaco e permettono di abbinare il piacere del gioco alla generosità, dal momen-to che una parte delle scommesse (un centesimo di euro al tiro) è destinato, ogni anno, a una delle associazioni caritatevoli del Principato di Monaco: per il 2012, per esempio, è stata scelta l’associazione “Les anges gardiens” di Bruna Maule.

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LA NOVITA’ DELL’EDIZIONE DI QUEST’ANNO DEL SALONE DEL GUSTO, CHE SI SVOLGE A TORINO DAL 25 AL 29 OTTOBRE, È LA FUSIONE CON TERRA MADRE. ROBERTO BURDESE, PRESIDENTE DI SLOW FOOD ITALIA, RACCONTA.

TESTO: NICOLA FERRERO PHOTO: PRESS OFFICE SLOW FOOD - TERRA MADRE

Quest’anno, per la prima volta, il Salone del Gusto e Terra Madre si fondono in maniera quasi completa, abbandonando le divisioni del passato. Cosa cambia e come sarà il sa-lone?Il fatto di realizzare un evento unico è la grande scommessa di quest’anno, e anche la grande novità. Fino all’anno scorso, chi visi-tava il salone veniva in contatto con un 80% di prodotti italiani e con un 20% di prodotti esteri, principalmente europei, con una par-te dal resto del mondo, soprattutto Presìdi (il progetto di Slow Food che tutela e promuove cibi, razze, varietà di ortaggi e frutta in via di estinzione. N.d.R.).Le comunità di Terra Madre presenti le pote-vi appena incontrare nei corridoi, oppure a qualche conferenza, ma di fatto l’interazione

Giunto ormai alla sua IX edizione, il Salone del Gusto è senza dubbio la più impor-

tante manifestazione al mondo dedicata al cibo di qualità. Al cibo “buono, pulito e giusto” bisognerebbe piuttosto dire, perché per Slow Food, organizzatore dell’evento, la qualità or-ganolettica (buono) non può prescindere dal rispetto per l’ambiente (pulito) e da una giu-sta retribuzione per i produttori (giusto). La grande novità del salone di quest’anno, che si terrà al Lingotto di Torino dal 25 al 29 ottobre, è rappresentata dalla fusione con Terra Madre, la rete mondiale delle comunità del cibo, il cui primo incontro si svolse nel 2004, sempre a Torino. “Cibi che cambiano il mondo” è lo slogan che caratterizza l’edizione 2012: per saperne di più abbiamo incontrato Roberto Burdese, presidente di Slow Food Italia.

Ogni anno, si avvicendano migliaia di visitatori al Salone del Gusto, la più importante manifestazione al mondo dedicata al cibo di qualità.

Roberto Burdese, presidente di Slow Food Italia, spiega che il tema su cui ruota l’edizione di quest’anno è fondato sui cibi simbolo del cambiamento della qualità. Storie di chef, artigiani e comunità del cibo di 150 Paesi che testimoniano come si possa cambiare il paradigma che regola questo mondo in crisi, partendo dal cibo.

Il Salone del Gusto è una struttura che funziona e ha successo negli anni. Nel suo insieme, prevede la configurazione di un grande mercato con Laboratori del Gusto, conferenze, didattica per bambini, incontri, scambi e confronti.

il gustoda salone

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era difficile. Quest’anno, invece, quasi tutte le comunità avranno uno stand con i propri prodotti, per cui il visitatore potrà davvero compiere un giro del mondo alimentare. Non abbiamo la presunzione di affermare che ogni dieta del pianeta verrà rappresentata, ma sicu-ramente la percezione che si avrà della produ-zione di qualità sarà molto maggiore, rispetto al passato.Inoltre il tema ruota attorno ai cibi che cam-biano il mondo ed è questa la linea che ab-biamo seguito per selezionare gli espositori: non “il meglio” della produzione alimentare o “i cibi più rari e curiosi” ma, appunto, quel-li che sono simbolo di questo cambiamento. Storie di chef, artigiani e comunità del cibo di 150 Paesi che testimoniano come si possa rivoluzionare il paradigma che regola questo mondo in crisi, a partire proprio dall’alimenta-

zione, dimostrando che possiamo fare qualco-sa di buono per la salute, l’ambiente e il siste-ma produttivo, senza rinunciare al piacere di mangiare e alla convivialità. Come immagine di questa edizione, abbiamo scelto un em-blema del cambiamento: la mela di Newton. Per noi è anche un invito a usare la testa nelle scelte alimentari.Vogliamo che la noce di cola della Sierra Leone e il Barolo abbiano pari dignità: sono eccellenze, ognuna a casa sua e nel modo ti-pico del proprio Paese. Per dimostrarlo, dob-biamo scambiarci questi prodotti, farli assag-giare uno all’altro, farli vedere, raccontare le storie e costruire una serie di alleanze. Questa è la sfida. Per questo, sono sicuro che sarà il salone più interessante, più divertente e di conseguenza il più bello mai organizzato da Slow Food.

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Restano, comunque, i grandi classici del salo-ne: i Laboratori del Gusto, gli Appuntamenti a Tavola, le conferenze, i Teatri del Gusto...La forza del salone è proprio questa: una strut-tura che funziona e che ha avuto successo ne-gli anni. C’è chi l’ha copiata in alcune parti, chi magari altre componenti le ha sviluppate meglio di noi, ma nell’insieme questa confi-gurazione di grande mercato, con Laboratori del Gusto, conferenze, didattica per i bambi-ni, incontri, scambi, confronti, comunità Slow Food che si ritrovano è unica. I contenuti, quelli alti, li ha Terra Madre, che deve influen-zare tutto il salone. Il Padiglione Oval, che è “terramadrista” in larghissima parte, si muove come un virus che contamina gli altri esposi-tori. Ci immaginiamo che la fusione completa tra queste due entità possa avvenire nel corso

di tre edizioni. Perché ci vuole tempo per far passare il nostro concetto di “cibo che cambia il mondo”. Serve la consapevolezza, la voglia di raccontarsi e di mettersi in gioco da parte dei produttori. E la consapevolezza, da par-te dei consumatori, di essere co-produttori: qualcuno che può e deve condizionare le scelte produttive in base al proprio compor-tamento di acquisto. 100.000 soci in 150 Paesi del mondo, 30.000 dei quali in Italia e la crisi che avanza.Slow Food è un’importante realtà della no-stra provincia: 130 dipendenti e un movi-mento turistico di stampo enogastronomico che si è sviluppato negli ultimi anni, soprat-tutto grazie alla filosofia Slow Food. Qual è la situazione oggi? Se guardiamo al salone, è fuor di dubbio che abbiamo fatto molta più fatica di due anni fa a ottenere i contributi da sponsor e istituzioni, ma ce l’abbiamo comunque fatta. L’evento è di altissima qualità, la ricaduta economica per il territorio si aggira sui 40 milioni di euro – com’è emerso dalla ricerca che abbiamo con-dotto l’anno scorso insieme alla Camera di Commercio di Torino – e questo ci ha aiutato in questi momenti difficili. Alla fine, la quali-tà paga. Devi faticare molto di più, ma ce la fai comunque. Viene da dire: va bene, c’è la crisi ma se lavori tanto e bene, se ti impegni, se credi nelle tue convinzioni, se continui a essere originale, creativo, innovativo e a dare veramente un prodotto di qualità, ce la fai.Per contro, viviamo in una fase in cui alcuni

Gli scambi culturali sono efficaci e sotto gli occhi di tutti. L’intento degli organizzatori è quello di

dare dignità a ogni produzione. Come dire: la noce di cola della Sierra Leone e il Barolo delle Langhe

devono avere pari dignità, perché sono eccellenze.

Nella pagina seguente:Simbolo dell’emblema del cambiamento,

raffigurata nei manifesti dell’edizione 2012,è la mela di Newton che è un invito a usare

la testa nelle scelte alimentari.

In questa edizione,il visitatore potrà cogliere

un giro del mondo alimentare.

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segnali sembrano indicare che il peggio deve ancora venire. Non basterà essere il migliore, bisognerà ripensare alla propria struttura e alla propria organizzazione; bisognerà cercare altre strade, altre soluzioni, ma Slow Food ha intrapreso questo percorso già da alcuni anni.Al salone abbiamo optato per allestimenti più spartani, per esempio con un minor im-patto ambientale: risparmio e faccio del bene all’ambiente. Credo comunque che sia fon-damentale avere progetti forti e innovativi, come i Presìdi o quelli sugli orti, l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, lo stesso Salone del Gusto: se non avessimo un marchio forte e riconosciuto come il nostro, forse, non saremmo qui a fare questi discorsi.Oggi, tuttavia, non sono più pessimista di quanto non fossi una decina di anni fa: allo-ra era appena scoppiato il boom di internet e c’era stato l’attacco alle Torri Gemelle. In effetti, non ricordo di aver vissuto un periodo in cui tutto andava bene, per cui penso che siamo condannati all’ottimismo. Tanto vale nuotare, anche se non vediamo la riva, perché poi, se c’è, possiamo salvarci, e se non c’è, af-fogheremmo comunque… almeno ci faccia-mo una bella nuotata.

LE 5 COSE DA NON PERDERE AL SALONE DEL GUSTO 2012

• L’Africa: dal cuscus salato di miglio del Senegal al caffè selvatico di Harenna, in Etiopia, e un orto di 400 m2 che illustra concretamente uno dei progetti più ambiziosi di Slow Food: la realizzazione di mille orti in Africa.• La Piazza della Pizza: 20 pizzaioli da tutta Italia sfornano la migliore pizza napoletana, preparata con prodotti dei Presìdi e ingredienti di primissima qualità.• I Mercati della Terra: sei testimonianze di come si possano accorciare le distanze tra produttore e co-produttore – Tcherni Vit (Bulgaria), Mumbai (India), Tel Aviv (Israele), Beirut (Libano), Bucarest (Romania) e Foça (Turchia).• Personal Shopper: il personal shopper aiuta il visitatore a fare la spesa. Si tratta di studenti dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, che accompagnano i visitatori in un percorso fatto di sapori, odori, immagini e persone.• L’Enoteca: 1.200 etichette per un giro d’Italia con il bicchiere in mano.• E ancora: i Laboratori del Gusto, le conferenze nella Sala Gialla, il Teatro del Gusto (in cui assistere live alla preparazione di un piatto da parte di uno chef e… poterlo assaggiare), gli Appuntamenti a Tavola (39 chef protagonisti di 23 cene uniche, che si terranno in prestigiosi locali di Torino e dintorni) e le attività ludiche ed educative dedicate ai bambini.Per informazioni, approfondimenti e prenotazioni: www.salonedelgusto.it

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AD IMPERIA UNA TRA LE PIÙ ATTESE DELLE CINQUETAPPE EUROPEE DEL PANERAI CLASSIC YACHTS CHALLENGE,APPUNTAMENTO FRA I PIÙ IMPORTANTI DEL MEDITERRANEO

DI: VANINA CARTAPHOTO: BLUEPASSION

Per gli sportivi e gli appassionati, parliamo di un appuntamento biennale che rimane un punto di riferimento assoluto, dove sfilano i più bei gioielli galleggianti d’epoca al mondo, risultato di un’alchimia perfetta tra legni pre-giati, ottoni e attrezzature d’altri tempi. Ma il fascino dell’evento sta nella sua fruibilità e accessibilità, poiché la bellezza di questi capo-lavori d’antan è godibile da tutti e non c’è dav-vero bisogno di essere degli esperti per farsi rapire dallo spettacolo delle quattro regate. Si tratta di particolari percorsi – studiati da Beppe Zaoli, vicepresidente di Assonautica Provinciale di Imperia – che pur essendo im-pegnativi sotto il profilo agonistico, vengono tracciati entro una certa distanza dalla costa, per offrire al pubblico la visione irripetibile di un orizzonte puntellato di vele al vento.

Diciassette edizioni, più di 80 imbarca-zioni partecipanti, 4 regate, tanti eventi

collaterali dedicati al mare e al territorio del ponente ligure tra sport, arte, cultura e spet-tacolo, e una macchina organizzativa impo-nente per uno degli appuntamenti velici più importanti del Mediterraneo: Vele d’Epoca a Imperia (dal 5 al 9 settembre).Dal 1986, anno della prima edizione, a oggi, l’evento è diventato una tra le più attese del-le cinque tappe europee del Panerai Classic Yachts Challenge 2012, prestigioso circuito internazionale di regate per vele classiche, che tra giugno e settembre ha raggiunto le coste dell’Europa, teatro del “capitolo” me-diterraneo con i raduni di Antibes e Cannes in Francia, Mahon a Minorca, Porto Rotondo e Imperia in Italia.

Un particolare di Tuiga, big boatsopra i ventitrè metri costruita nel 1909,presente a Imperia con le altre sorelle centenarie.

Nella pagina a fianco:Mariska, big boat del 1908 a vele spiegate.

Nella pagina seguente:Il mitico Eilean, del 1937, protagonista,tra l’altro, del videoclip di Rio dei Duran Duran.

vele e fascinod’altri tempi

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LA “FILOSOFIA DELLA VELA”Un diorama di “colori e di profumi… che si co-glie in tutta la sua pienezza quando le barche, terminate le quattro regate, riposano ormeggia-te sulle banchine di Porto Maurizio, allestendo in tempo reale la più bella ‘mostra galleggiante’ che si possa sognare,” afferma lo stesso Lucio Carli, presidente di Assonautica Provinciale di Imperia, che organizza da sempre l’evento, nonché presidente di Olio Carli, sponsor della manifestazione. Il successo di Vele d’Epoca, che si svolge negli anni pari e che a ogni edizione at-trae migliaia di spettatori, sta nella suggestione di un’atmosfera, che tuttavia non è solo estetica ed apparenza, ma anche “filosofia della vela” declinabile su tre concetti di fondo: ritrovare la passione autentica del veleggiare senza l’aiuto della tecnologia, ma con la forza di gambe e brac-cia; riscoprire antichi gioielli del mare che hanno scritto pagine di storia; ritornare a un concetto di competizione che è soprattutto fatto di lealtà e rispetto, nel vero spirito marinaro, anche se, come ci rivela lo stesso Carli, “la voglia di vincere non manca, anzi, la gara non lascia spazio agli indugi e spesso le regate riservano sorprese e colpi di scena”. Ma non solo: “Gli armatori che rinnovano la loro partecipazione – prosegue Carli – cercano di apportare sempre nuovi mi-glioramenti alle proprie dotazioni o ai dettagli estetici: il risultato straordinario è che le stesse imbarcazioni, edizione dopo edizione, offrono uno spettacolo sempre nuovo ed emozionante. Infine, la domenica mattina, tutti gli equipaggi escono dal porto sfilando di fronte a un comi-tato di giuria, che ha il compito di attribuire un ‘premio eleganza’ a chi è in grado di interpretare al meglio ‘l’entrata in scena’, prima della compe-tizione vera e propria”.

PAGINE DI STORIA Vele d’Epoca è Storia della vela, anzi, Leggenda. Perché è rivivere in diretta quella pletora di rac-conti ed episodi che animano l’annedotica della vela, senza il filtro delle pagine dei libri.

Vele storiche provenienti da Stati Uniti, Canada, Inghilterra, Francia, Russia, Malta, Italia, Mar dei Caraibi e Principato di Monaco, che hanno vissuto, in alcuni casi, momenti di abbandono, come di grande gloria durante regate storiche, vicissitudini di vario tipo, passaggi di proprietà, ma che, grazie alla cura degli attuali proprietari, vivono una seconda vita. Come le quattro “sorel-le centenarie”, tutte e quattro presenti a Imperia, gli unici quattro “15 metri Stazza Internaziona-le” a oggi ritrovati e restaurati con cura, dei 19 costruiti. Si tratta di Tuiga (prima classificata nel 2010 – cat. Big Boat sopra 23 m, 1909, vintage yacht) Mariska (seconda classificata nel 2010 – cat. Big Boat, 1908, vintage yacht) Hispania II (1909, Sloop Marconi Bermudiano) e The Lady Anne (1912, vintage yacht), uniche superstiti, dunque, della loro classe. Anche la Marina Mi-litare è presente a Imperia con la sua interna flotta di barche d’epoca, tra cui la celebre Orsa Maggiore, titolare di un record ancora imbattuto stabilito durante la traversata oceanica Brisbane (Australia) – Noumea (Nuova Caledonia) nel 1997: 823 miglia nautiche in 3 giorni e 23 ore. E poi le regine delle regate e del diporto: grandi e

GLI ENTI COINVOLTIFin dal 1986, le Vele d’Epoca sono orga-nizzate dall’Assonautica Provinciale di Imperia, con il contributo della Camera di Commercio di Imperia, il patrocinio della Regione Liguria, della Provincia di Imperia, del Comune di Imperia e la Prefettura, la cooperazione logistica della Capitaneria di Porto e del Porto di Imperia SpA. L’evento, inoltre, è reso possibile grazie al supporto tecnico dello Yacht Club Imperia, dello Yacht Club Sanremo, dello Yacht Club Marina degli Aregai, del Club del Mare Diano Marina, del Circolo Nautico Arma e Club Nautico San Bartolomeo al Mare e da numerosi volontari. Fratelli Carli e Agnesi rappresentano gli sponsor della manifestazione, punti di riferimento per il territorio, insieme a Fondazione Ban-ca Carige, Porto di Imperia S.p.A. e Im-peria Yacht Srl, accanto al Title Sponsor Officine Panerai.

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piccole, dalla storia appassionante, come Bona Fide (cat. Epoca Aurici – 1899, vintage yacht), che ha vinto alle Olimpiadi di Parigi del 1900, oppure, ancora, il mitico Eilean (1937, vintage yacht). Protagonista di 36 traversate atlantiche, Eilean è stato, tra l’altro, set per il videoclip di Rio dei Duran Duran. Ritrovato nel 2006 in stato di grave degrado, è stato restaurato integralmente dalle Officine Panerai, azienda italiana di alta orologeria, che realizzò nel 1936 il primo proto-tipo di orologio subacqueo per le incursioni del Comando del Primo Gruppo Sommergibili della Regia Marina Italiana. Un legame importante con la storia della nautica e con l’artigianalità che ca-ratterizza lo yachting classico, che ha portato Of-ficine Panerai a diventare title sponsor del circui-to internazionale. Tre sono le categorie ammesse alle regate: yacht d’epoca (vintage yacht) in le-gno o metallo, di costruzione anteriore al 1950; yacht classici (classic yacht) in legno o metallo, di costruzione anteriore al 1976; spirit of tradi-tion, yacht realizzati dopo il 1976 che seguono linee e concetti progettuali degli yacht d’epoca o classici. Inoltre, sono ammessi gli yacht delle classi della Stazza Internazionale e della Stazza Universale e monotipi.

GLI EVENTI COLLATERALINei 5 giorni della manifestazione, Borgo Marina di Imperia sarà teatro di un tripudio di appunta-menti collaterali dedicati al mare, in un carosello di eventi e avvenimenti culturali: dalla mostra fotografica A passi di Piombo, di Francesco e Roberta Rastrelli (Magazzino Parco O.R – Via Scarincio 25), dedicata a una “razza” subacquea in via di estinzione, quella dei palombari, alla personale fotografica di Settimio Benedusi, dal titolo A mare (Palazzina Liberty di Borgo Marina), fino all’esposizione di acquerelli di Giorgio Di Gifico (Uffici della Technautica – Piazza Giribaldi e Deri). E poi incontri, spettacoli musicali, degu-stazioni ed escursioni. Per maggiori informazio-ni relative al programma della manifestazione: www.veledepoca.com

lucio carliTRE DOMANDE AL PRESIDENTE

DI ASSONAUTICA PROV. IMPERIA

Cosa significa Vele d’Epoca per Imperia?Per Imperia è un’occasione unica che attrae migliaia di visitatori, per non parlare di tutti gli “addetti ai lavori” che accompagnano le im-barcazioni, dagli equipaggi agli armatori fino ai tecnici. In termini numerici parliamo di una media di 140.000 persone che gravitano attor-no all’evento e a tutti gli appuntamenti colla-terali, per 5 giorni fino alla serata pirotecnica.

E per Assonautica?Vele d’Epoca è il principale evento per Asso-nautica, a cui ci dedichiamo anima e corpo, tanto che terminata un’edizione, ci mettiamo subito all’opera per pensare alla successiva. Naturalmente, negli anni pari, in cui si svol-ge il raduno, alle questioni legate all’aspetto velico e sportivo, si aggiungono le varie pro-

blematiche di ordine tecnico, logistico e con-nesse al contesto territoriale, che mettono in moto una macchina organizzativa imponente e che contano sul supporto di tutte le istitu-zioni coinvolte (dalla Regione alla Capitaneria di Porto e al Porto di Imperia), come di tutta la città. In ogni caso, negli anni dispari, occorre tenere alto l’interesse degli armatori, pertanto l’attività è continua, costante e l’evento viene costruito di giorno in giorno.

Come vengono reclutate le imbarcazioni?Grazie all’AIVE (Associazione Italiana Vele d’Epoca), che ha nelle singole federazioni straniere i propri omologhi oltre i confini nazionali e dove sono registrate le barche a vela d’epoca. Queste vengono classificate in “stazze” a seguito di valutazioni che attribu-iscono a ognuna un coefficiente, calcolato sulla base di parametri come anno di nascita, tipo di armo, di velatura etc. Tale coefficiente è indispensabile per capire con che capacità può competere ogni imbarcazione con altre della stessa classe.

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Ormai rientrati dalle ferie estive, non pos-siamo che raccoglierne il ricordo con

lieve nostalgia e il rimpianto di giornate libere e luminose. Ma va sempre a finire così? Capita che il rientro alla routine quotidiana sia ango-sciante e lasci spiazzati. Come una sorta di stor-dimento, la ripresa del lavoro, degli orari e degli inderogabili impegni provoca, a molti, nervosi-smo e tristezza insieme. Possono persino insor-gere dolori muscolari e inappetenza, con tanto di insonnia. La definizione inglese degli addetti ai lavori è suggestiva: post vacation blues e po-trebbe addirittura essere il titolo di una canzo-ne di Bob Dylan. In realtà, la “sindrome del ri-torno” può esprimere disagio vero e profondo e colpisce, pare, il 35% per cento dei vacanzieri. Persino bambini e giovani possono esserne vit-time, quando si rendono conto che la parentesi di serena anarchia dei comportamenti è finita. Un po’ come se giochi e divertimento in libertà non potessero ritornare più, ingabbiati dalle

la pacchiaè in noi,ovunqueIL SAPORE DI SALE SULLA PELLE È EVAPORATO. SI TORNA A SCUOLA E AL LAVORO. LA VITA HA LE SUE STAGIONI.

DI ELIO RAGAZZONI

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regole restrittive che si riaffacciano e da atmo-sfere meno festaiole. I sintomi sono sopporta-bili ma, se non c’è una propensione patologica all’ansia o alla depressione, scompaiono dopo pochi giorni. Esistono, comunque, regole e at-teggiamenti per evitare che il fastidio di ritorna-re alla normalità rovini i piaceri appena vissuti?Lo chiediamo alla dottoressa Virna Pellotieri, psicologa psicoterapeuta: Dottoressa, come comportarci se arriva l’an-goscia delle vacanze finite? Se capiamo perché viviamo quel disagio, “met-terci una pezza” sarà facile. Il dramma sta nel fatto che semplicemente si ritrova la vita di prima con i medesimi problemi. Insomma, partire infelici e ritornare beati è praticamente impossibile. L’unica vera medicina sta in noi e nella nostra capacità di stemperare il malessere

esistenziale che probabilmente esisteva già. Vi sono particolari condizioni che scatenano il malessere?Più la vacanza è stata “da sogno”, come nelle pubblicità, più il rientro può essere difficile da accettare. Rientrare, inoltre, significa anche ri-prendere il tessuto di relazioni e di legami con gli altri: familiari, amici, colleghi e altre persone del contesto sociale. E spesso sono proprio questi legami a metterci in difficoltà nel rientro, perché se già prima della partenza presentava-no connotati ambivalenti e conflittuali, diven-gono pesanti da sostenere dal punto di vista emotivo. Rientrare nel nostro mondo, fonda-mentalmente, significa rientrare in noi stessi: confrontarci con ciò che siamo realmente.Si dice che i bambini siano particolarmente soggetti a questo tipo di reazione.

L’immaginazione,la fantasia e il gioco

garantiscono calma e armonia.

I bambini hanno una capacità di adattamento superiore agli adulti. In effetti, non patirebbero per il rientro. Il vero problema è che vivono con più angoscia i comportamenti degli adulti e possono soffrire specularmente dei disagi. Non pensiamo, però, che l’età evolutiva sia “l’età d’oro”, caratterizzata solo da divertimento e spensieratezza, perché anche i bambini vivono ansia e conflittiPhoto: Trishcreations – iStock

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I bambini, dal canto loro, proprio non patireb-bero: il vero problema è che vivono con più angoscia i nostri comportamenti e possono soffrire specularmente dei nostri disagi. I molto giovani, in realtà, appaiono più attrezzati degli adulti al momento del ritorno. Hanno maggiori capacità di adattamento e fronteggiano meglio i cambiamenti, perché sono sempre spinti da curiosità e voglia di sperimentare. I forti legami affettivi con gli oggetti della vita quotidiana, al ritorno dalla vacanza, riproporranno con gioia la vita di sempre. L’immaginazione, la fantasia e il gioco garantiranno calma e armonia. Quali comportamenti per favorire un norma-le rientro scolastico? Non pensiamo che l’età evolutiva sia “l’età d’oro”, caratterizzata solo da divertimento e spensieratezza, perché anche i bambini vivo-no tensioni e conflitti. Tuttavia, come dicevo, reagiscono meglio degli adulti al momento del ritorno. Certo è che, se i genitori al rientro dal-

le vacanze sono tesi, irritabili, inevitabilmente poco disponibili verso i figli, anche i bambini si sentiranno inquieti e agitati, e diventeranno capricciosi. Un tranquillo rientro alla normalità dipenderà quasi esclusivamente da noi. Con le nostre attenzioni e la nostra serenità, affron-teranno il ritorno a casa con nuove energie, pronti a vivere la realtà scolastica esattamente come hanno sempre fatto. Siamo fragili, faccia-mo fatica ad adattarci a situazioni nuove, ma poi, se ci gratificano, vorremmo non schiodar-cene più. È strano, pare assurdo che si deb-ba soffrire per essere vissuti bene, ma tant’è. Consola un fatto: la gaglioffa pseudomalattia insorge dopo vacanze particolarmente lunghe. Pare che i casi più acuti si manifestino dopo circa 30 giorni di dolce far nulla. Considerando la situazione contingente, non saranno molti quelli che vivranno in modo così tragico tali di-sequilibri al loro ritorno. In ogni caso, saranno invidiatissimi.

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VIRNA PELLOTIERILaureata in Psicologia pres-so l’Università di Padova, è psicoterapeuta ad indirizzo psicodinamico. Dal 1988 la-vora in regime di convenzione presso la Struttura Complessa di Neuropsichiatria Infantile dell’O-spedale S. Croce e Carle di Cuneo e svolge libera professione. Si occupa prevalentemente di problematiche in ambito infantile e adolescenziale.

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Una sera di settembre a Cuneo. Al rientro dalle vacanze trovarsi a passeggiare in Piazza Galimberti, una delle piazze

più belle d’Italia, accarezzati dal primo fresco venticello che anticipa l’autunno. Un cielo terso, blu come la notte,

costellato di mille stelle che pare un fondale costruito apposta per valorizzarne l’elegante architettura di

palazzi austeri. E la luna, limpida e suadente, come un faro puntato sulla città per esaltarne un fascino

nascosto ma ben presente. In questo scenario, per la prima volta, si materializza un sogno. In un’atmosfera unica ed eccezionale, creata da grandi professionisti,

siamo invitati a scoprire il meglio che la città possa offrire: moda e stile diventano spettacolo in

un evento grandioso. L’abilità e la qualità del lavoro cuneese si mostra su una

passerella esclusiva. Una madrina d’eccezione come Elisabetta

Gregoraci, incarnazione della bellezza, ci accompagna in un

percorso nell’affascinante mondo della moda, fra arte e cultura, con

performance live di danza e musica a completare una serata ricca e straordinaria.

Rappresentante d’eccezione della cuneesità nella moda non può che essere Alviero Martini,

special guest della serata, ambasciatore di talento e creatività nel mondo. In passerella

un’anteprima esclusiva per Cuneo con le creazioni della sua nuova collezione ALV

Andare Lontano Viaggiando e della nuova linea Passepartout con i timbri dei passaporti. A lui verrà riconosciuto il premio “Cuneese

nel mondo”, primo di una lunga serie di riconoscimenti che, nel tempo, premieranno l’impegno di grandi personaggi che portano

lustro alla città ed al territorio, rendendo onore alla capacità imprenditoriale della

provincia. Una nuova idea per una grande città che sta crescendo. Un nuovo modo per valorizzare il lavoro, la creatività e le

eccellenze cuneesi.

si ringrazia

realizzato grazie a

con la partecipazione di

22 settembre 2012 - ore 21piazza galimberti - cuneo

notte di modae di spettacolo

SEGUICI SU

www.cuneofashionight.it

Alviero Martini

Elisabetta Gregoraci

special guest Alviero Martinipresenta Elisabetta Gregoraci

con il patrocinio

media partners

coreografie Danzicherie - intermezzi musicali Simona Mana

in caso di maltempo l’evento si svolgerà in Piazza Virginio

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Una sera di settembre a Cuneo. Al rientro dalle vacanze trovarsi a passeggiare in Piazza Galimberti, una delle piazze

più belle d’Italia, accarezzati dal primo fresco venticello che anticipa l’autunno. Un cielo terso, blu come la notte,

costellato di mille stelle che pare un fondale costruito apposta per valorizzarne l’elegante architettura di

palazzi austeri. E la luna, limpida e suadente, come un faro puntato sulla città per esaltarne un fascino

nascosto ma ben presente. In questo scenario, per la prima volta, si materializza un sogno. In un’atmosfera unica ed eccezionale, creata da grandi professionisti,

siamo invitati a scoprire il meglio che la città possa offrire: moda e stile diventano spettacolo in

un evento grandioso. L’abilità e la qualità del lavoro cuneese si mostra su una

passerella esclusiva. Una madrina d’eccezione come Elisabetta

Gregoraci, incarnazione della bellezza, ci accompagna in un

percorso nell’affascinante mondo della moda, fra arte e cultura, con

performance live di danza e musica a completare una serata ricca e straordinaria.

Rappresentante d’eccezione della cuneesità nella moda non può che essere Alviero Martini,

special guest della serata, ambasciatore di talento e creatività nel mondo. In passerella

un’anteprima esclusiva per Cuneo con le creazioni della sua nuova collezione ALV

Andare Lontano Viaggiando e della nuova linea Passepartout con i timbri dei passaporti. A lui verrà riconosciuto il premio “Cuneese

nel mondo”, primo di una lunga serie di riconoscimenti che, nel tempo, premieranno l’impegno di grandi personaggi che portano

lustro alla città ed al territorio, rendendo onore alla capacità imprenditoriale della

provincia. Una nuova idea per una grande città che sta crescendo. Un nuovo modo per valorizzare il lavoro, la creatività e le

eccellenze cuneesi.

si ringrazia

realizzato grazie a

con la partecipazione di

22 settembre 2012 - ore 21piazza galimberti - cuneo

notte di modae di spettacolo

SEGUICI SU

www.cuneofashionight.it

Alviero Martini

Elisabetta Gregoraci

special guest Alviero Martinipresenta Elisabetta Gregoraci

con il patrocinio

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coreografie Danzicherie - intermezzi musicali Simona Mana

in caso di maltempo l’evento si svolgerà in Piazza Virginio

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I SUCCESSI OLIMPICI DELL’ESTATE HANNO PORTATO ALLA RIBALTA NAZIONALE LE DISCIPLINE DEL TIRO: ECCO DOVE PRATICARLEIN PROVINCIA DI CUNEO.

DI SONIA PELLEGRINOPHOTO: SERGIO CRAVERO

arma. Ognuna ha le proprie caratteristiche, ma tutte richiedono una grande preparazione fisica e mentale. C’è fermento, dunque, intorno al tiro a se-gno ma, nella nostra Granda, dove è possibile praticare tali discipline? Dove ci si può avvici-nare a questo sport? Accanto ai TSN (Tiro a Segno Nazionale), ovvero i poligoni di Stato, che in provincia sono dislocati a Mondovì, Bra e Saluzzo, ci sono realtà private. Tra queste, una struttura in crescita è il circolo ASD Carrù Shooting Club, che si trova tra le frazioni Ronchi e Massimini di Carrù. L’associazione, affiliata al Coni, è nata dall’amore per il tiro di un gruppo di appassionati, guidato dal vul-canico presidente Giorgio Rosso, e grazie alla lungimiranza del Comune di Carrù. L’utenza del campo di Carrù, che oggi conta 1.600

Con i giochi olimpici londinesi della scor-sa estate, scintillano ancora le medaglie

conquistate dagli atleti italiani impegnati nelle varie discipline. In particolare, hanno fatto en-tusiasmare le prove di Luca Tesconi, argento nella pistola da 10 m e, soprattutto, i successi di Niccolò Campriani che, dopo un argento conquistato nella carabina dai 10 m, aggiunge al proprio palmares il trionfo nella carabina da 50 m da 3 posizioni, ottenendo anche il re-cord olimpico.Successi che hanno acceso l’interesse del pubblico italiano – poco incline a seguire e specialmente a praticare altri sport che non siano il gioco nazionalpopolare per eccel-lenza, ossia il calcio – verso le discipline del tiro a segno, che sono decine e sono riunite in gruppi suddivisi per distanza e tipologia di

In questa disciplina, spiegano gli esperti, si impara ad essere responsabili di un’arma e della sicurezza propria come di quella altrui. Si è spronati, inoltre, al rispetto degli spazi comuni e delle persone. Serietà e sicurezza sono le parole d’ordine.

fare centroè passione

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iscritti, arriva non solo dalla Granda, ma anche dalla vicina Liguria, dal Piemonte settentriona-le e dalla Lombardia. Qui si allenano il quattro volte campione europeo Maresciallo Davide Cerrato e il pluricampione italiano di tiro ad avancarica Appuntato scelto Marco Vaccheri. Inoltre, il sito carrucese è stato selezionato, da qualche mese, come luogo di addestra-mento per gli Alpini della Taurinense, ora im-pegnati in una nuova missione in Afghanistan. L’atmosfera familiare e serena che si respira nel campo con vista sul Monviso è certo uno dei punti di forza del Carrù Shooting Club. “Qui non si gioca alla guerra – affermano Giorgio Rosso e Mauro Masetti, rispettiva-mente presidente e vicepresidente dell’as-sociazione, – s’impara a essere responsabili di un’arma e della sicurezza propria come di quella altrui; inoltre, si è spronati al rispetto di spazi comuni e ovviamente delle persone.” Serietà e sicurezza sono, quindi, le linee guida dell’associazione, tanto che è in programma l’adeguamento della struttura, già a norma, a parametri ancora più restrittivi rispetto a quelli che prevede la normativa vigente. Tra le discipline che si possono praticare ci sono

IL PORTO D’ARMI NEGLI SPORT DI TIROEsistono particolari licenze di porto d’armi da richiedere alle Autorità di Pubblica Sicurezza e al Questore per l’uso sportivo nei poligoni? Lo chiediamo alla Dottoressa Rosanna Minucci, Primo Dirigente della Questura di Cuneo. “Non necessariamente chi si reca per l’esercizio del tiro al poligono è titolare di un porto d’armi, in quanto chi è iscritto al TSN (Tiro a Segno Nazionale – ndr), può sparare con ogni tipo di arma attenendosi alle regole di quel poligono e sotto le disposizioni impartite dal direttore o dall’istruttore di tiro. Tale esercizio, talvolta, è prodro-mico per il rilascio dell’attestazione relativa al conseguimento della capacità tecnica, prevista dall’art. 8 c. 4 della Legge 18 aprile 1975, n. 110, e necessario per il porto d’armi per il tiro a volo e per uso caccia. Per lo sport del tiro a volo, invece, è prevista un’apposita licenza rilasciata dal Questore della provincia di residenza dell’interessato ed ha la finalità di agevolare l’esercizio dello sport del tiro a volo. La licenza di porto d’armi per l’esercizio del tiro a volo è regolamentata dalla Legge 18 giugno 1969, n. 323, ed ha come ulteriore riferimento normativo il TULPS (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza – ndr), nonché la Legge 18 aprile 1975, n. 110. Il titolo ha validità di sei anni e può essere non concesso oppure revocato dal Questore, qualora vengano meno i requisiti soggettivi di cui all’articolo 11 del TULPS, quali condanna per reati contro l’ordine pubblico, oppure per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione. La richiesta, in bollo, va presentata in Questura o al commissariato di zona se presente, oppure presso le Stazioni dei Carabinieri competenti per territorio, compilando la relativa istanza, scaricabile anche dal sito della Polizia di Stato. Alla richiesta, va allegata una serie di documenti, tra cui un certificato medico comprovante l’idoneità psico-fisica, rilasciato dall’ASL della zona di residenza oppure dagli Uffici Medico-legali, o strutture sanitarie militari o della Polizia di Stato.”

il tiro con l’arco, la pistola e la carabina ad aria compressa, la carabina piccolo e grosso cali-bro e la pistola ad aria compressa ragazzi. “Nel futuro vogliamo aggiungere il tiro al volo con il piattello-lepre – afferma Rosso. – Teniamo in particolare considerazione l’avvicinamento dei ragazzi alla pratica del tiro. In particolare, partecipiamo alla manifestazione “Sport in Piazza” del Comune di Carrù, che quest’anno si tiene il 16 settembre. Da statuto, poi, è pre-

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visto l’accesso libero al campo per i ragazzi in età scolare, ai quali forniamo gratuitamente un istruttore.” Ma perché un giovane dovrebbe preferire que-sto sport ad altri? Lo abbiamo chiesto a Marco Vaccheri, pluricampione nel tiro ad avancari-ca, una disciplina davvero affascinante, perché utilizza repliche di armi antiche e prevede tut-to un rituale preparatorio dell’arma che deve essere eseguito con grande cura dal tiratore, poiché se non si raggiunge l’alchimia corretta – la giusta dose di polvere da sparo, l’assenza di umidità etc. – si rischia di compromettere il tiro. “Tirare per colpire qualcosa è una pratica così radicata nell’uomo da potersi considerare insita nel suo DNA – sostiene Vaccheri. – Il tiro è una continua sfida con se stessi, con la propria e l’altrui abilità. Questo sport ti per-mette di arrivare a conoscerti bene e ti porta a controllare e a dominare le emozioni. Ci vuole molto carattere, una ferrea disciplina e tanta capacità di concentrazione. Il tiro ti aiuta a comprendere che ogni giorno è diver-so dall’altro, così come sono mutevoli le tue condizioni mentali ed emotive. Il nostro è uno sport che porta ad avere una profonda consa-pevolezza di sé, un’esperienza sicuramente da provare.”

TRE DOMANDE AL MAGGIORE RENNAPrima della partenza per la nuova missione che impegna gli Alpini della Taurinense in Afghanistan, abbiamo rivolto qualche domanda al Maggio-re Mario Renna, ufficiale addetto alla pubblica informazione della Taurinense.Perché avete scelto il poligono di Carrù per l’addestramento?La struttura si presta in modo più che adeguato allo svolgimento del nostro addestramento al tiro. Inoltre, si trova in una posizione “strategica” che permette un agevole afflusso per i nostri reggimenti piemontesi.Quali sono i reparti interessati e quanti gli Alpini coinvolti?Complessivamente sono centinaia gli Alpini di tutta la Brigata che frequentano annualmente, a rotazione, il poligono.In che cosa consiste l’addestramento?Svolgiamo essenzialmente lezioni di tiro statico e dinamico con le armi individuali in dotazione.La Brigata Taurinense sarà nuovamente impegnata in Afghanistan: a quando la partenza e quale sarà il compito della missione?La Brigata torna alla fine dell’estate nella regione occidentale dell’Afghanistan, dove sarà impegnata nella missione di sicurezza e assistenza, sotto la guida NATO, che opera su mandato delle Nazioni Unite.

Niccolò Campriani che, dopo un argento conquistato nella carabina dai 10 m, aggiunge al

proprio palmares il trionfo nella carabina da 50 m da 3 posizioni, ottenendo anche il record olimpico.

Photo: www.uits.it

A partire da sinistra il vicepresidentedel Carrù Shooting Club Mauro Masetti,

il Maresciallo Davide Cerrato e il presidentedel Carrù Shooting Club Giorgio Rosso.

Photo: Sonia Pellegrino.

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è molto più buona della bevanda gas-sata americana).Negli anni ’60, dagli esperti del setto-re, io, il nocciolo, venni considerato una delle poche risorse nel campo delle produzioni agricole destinate a migliorare le condizioni economiche delle popolazioni delle aree collinari ed evitare il massiccio esodo verso la città, verso le “fumose officine”, che però garantivano un reddito decisa-mente migliore e una qualità della vita più soddisfacente.Gli anni ’60. Anni di sviluppo, anche per la Granda, che è notoriamente un po’ “indietro” con i tempi. Infatti, nel resto d’Italia, c’era un po’ di crisi. Non di quelle di adesso, ovvio. Erano altri tempi. C’erano tante belle fiere paesane, dove la gente andava, si di-vertiva e consumava anche tanti dei miei frutti, o tostati o caramellati o nei torroni che tutti vendevano sui banchetti, contribuendo allo spirito ottimistico per il domani, che oggi non c’è più.Del resto, allora, c’era la “scala mo-bile” per i dipendenti, così il pote-

re d’acquisto era tutelato. Un padrone o un amministratore delegato, come Vittorio Valletta della Fiat, prendeva una retribuzione di 10-15 volte quella di un operaio. Il che è anche quasi giusto. Non come attualmente: oggi quello col ma-glioncino, prende 400 volte tanto ed è un’indecenza. Non c’erano i “telefonini”, gli unici “cellulari” erano quelli della Polizia o dei Carabinieri, ed era meglio non prenderli. Così quando eri all’osteria o a giocare a bocce nessuno ti “rompeva”. L’economia si faceva a casa e non era quella dei “mercati”, cioè qualche struttura dal nome strano, ma sempre in inglese, che dà i voti alle finanze degli Stati, non si sa bene a che titolo, se non per far contenti quelli che guadagnano senza far nulla, solo spostando soldi esentasse (o quasi), non interessandosi dei bisogni della gente.Già, un altro mondo. E sulle colline, accanto alle cascine raggiunte da strade bianche, non c’erano brutti capannoni di cemento o neri pannelli fotovoltaici, ma io, il nocciolo. E, se ci pensate, era molto meglio.

Nocciola “tonda gentile delle Langhe”.

Un poeta notissimo, specie agli studenti, mi ha anche citato:

“... rinnovato han verga d’avella-no...”, insomma più o meno così. Era D’Annunzio che ogni tanto si allon-tanava dai suoi lussi e faceva qualche incursione nel mondo rurale. Beh, a modo suo – si intende – con molto distacco e molta fantasia.Comunque l’avellano di cui sopra sono io, il nocciolo, quello che c’è anche qui da voi per capirci. Per altro, non sono nuovo a essere pro-tagonista di opere letterarie: anche Virgilio fa pascolare gli armenti sotto i noccioleti.Nulla di strano, sono una specie ar-borea antichissima, diffusa in tutta l’area del Mediterraneo settentrio-nale: dalla Turchia alla Spagna e, ov-viamente, in Italia. Pure in Piemonte, specialmente quando ero bellamente allo stato selvatico e popolavo i de-clivi delle colline fino a 1.000 m di altezza.Già, le colline. Una parola che vi fa venire in mente le Langhe e, per quelli un po’ più addentro o al set-tore agricolo o a quello alimentare o perché solo golosi buongustai, la varietà detta “tonda gentile delle Langhe”. Quando ne riconobbero le qualità, si avviò una maggiore produzione. Prima la mia coltivazione era limitata all’ambito stret-tamente familiare. Qualche pianta ai margini dell’orto, sotto le quali prendere un po’ di fresco dopo una giornata di lavoro durissimo al sole che cuoce la testa, su quei pendii di tufo e argilla, dove far crescere colture tradizionali e generiche, come i cereali, è un’impresa già a priori destinata al quasi fallimento.Io, invece, ci sto benissimo, mi accontento di poco: produco un bel frutto che si raccoglie fra agosto e settembre, è ottimo e da esso si ricava anche un olio otti-mo per l’alimentazione. Ma è stata la produzione dolciaria che mi ha visto al cen-tro dell’attenzione, quando, a metà del XIX secolo, l’artigiano dolciario torinese Michele Prochet mescolò al cacao la farina di nocciola, inventando il cioccolato gianduja, che è diventato una prelibatezza per palati fini di tutto il mondo.Tuttavia, la mia coltivazione restò sempre alquanto marginale, almeno fino alla fine degli anni ‘20 del secolo scorso. In seguito, aumentò progressivamente, cre-scendo specie nel secondo dopoguerra. Questo anche per merito della Ferrero di Alba, ideatrice della Nutella, mettendo le nocciole in bella vista sull’etichetta che ha fatto il giro del mondo, diventando un must come la Coca Cola (... però

DI FABRIZIO GARDINALI

l’intervista impossibile

l’alberodelle delizie

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SULLA COLLINA D’ALBA A DUE PASSI DALLA CITTÀ

Villa La FavoritaVilla La Favorita, sapientemente ristrutturata dall’attuale proprietaria, è una dimora storica risalente ai primi del ‘900.

Un vero angolo di paradiso immerso nel verde di un podere di 10.000 mq coltivato a vigneti e frutteti dove si producono pregiati vini

doc. E’ possibile degustare il Nebbiolo d’Alba e il Piemonte Grignolino , così come la grande varietà di frutta biologica (ciliegie, mele, pere, albicocche, prugne, cachi, fi chi, gelsi, pesche e melograni), in parte trasformata in gustose marmellate servite a colazione. Le camere sono ricercate ed arredate in stile con ottimo gusto. Fra le attività che si possono intraprendere, spiccano i corsi di cucina tipica piemontese, le indimenticabili escursioni presso i castelli circostanti, oppure le divertenti ricerche nei boschi del pregiato tartufo bianco. A sera, per rilassarsi, è a disposizione la vasca idromassaggio con acqua riscaldata, all’ozono, posizionata all’aperto con vista sulla città e sul tramonto. Aperto da metà marzo a metà gennaio.

COCCOLATI IN UNA CORNICE DAI SAPORI ANTICHI

La Virginia a Revello

IN CUCINA MAGNIFICI PRODOTTI MONREGALESI

Un paradiso di cioccolato

I LORO VINI SONO AL TOP DELLE CLASSIFICHE

Azienda agricola Dante Rivetti

Un agriturismo vero, dove il buongiorno suona ancora al canto del gallo al sorgere del sole. Siamo in Valle Po a Revello, porta dell’Occitania: qui passava il “camin dl sal”

All’ombra del Santuario di Vicoforte 7 camere dedicate a paesi produttori di cacao, differenti tra loro sia negli arredi che nelle dimensioni e tutte dotate di servizi,docce interne, servizio wi-fi free.

Da almeno quattro generazioni la famiglia di Dante Rivettivanta le sue radici sulle colline che dal Bricco si affacciano verso Neive.

Pellegrini e briganti transitavano per le valli e dal Montebracco Leonardo da Vinci procurava la pietra per i suoi capolavori. Dove

sorgeva un vecchio cascinale-osteria con stallazzo e sosta, oggi c’è la Virginia, splendido agriturismo frutto di una riattazione maniacale: pietra, legno e cotto uniti in una simbiosi ecologica assoluta, un arredamento che privilegia i vecchi mobili attentamente cercati nelle vallate alpine, in ogni sala un camino crea l’atmosfera d’altri tempi. La Virginia: solo cibi del territorio, pasta e pane fatti in casa, il riso al Pelaverga, il “vitel tunè” alla vecchia maniera, le cujette al Castelmagno, la bagna cauda, la frutta e verdura dell’orto. E poi la “crota” (cantina) dove riposano bottiglie di vino da antologia. Camere sobrie e silenti, arredate con eleganza e stile alpino, morbide lenzuola profumate per donare il massimo del relax. Il patron Gianfranco è il nuovo profi lo dell’accoglienza, vi farà sentire a casa, coccolati in una magica cornice d’antan.

La Cioccolocanda è una originale struttura ricettiva dove tutto ha sentore di cioccolato. Un

cioccomassaggio con aromi e musicoterapia eseguito da personale diplomato o i servizi Notte Fondente e Notte al Latte, coroneranno il desiderio di relax anche dei più esigenti. La cucina del ristorante è a base dei magnifi ci prodotti del Monregalese: carni della razza Fassona Piemontese, Coniglio di Cuneo, Cappone di Morozzo, Agnello Sambucano o Frabosano; i formaggi sono della tradizione Alpina locali ma anche formaggi prodotti con latte fresco e granella di cacao. E poi tutte LE DELIZIE di Silvio Bessone, maestro pasticcere e fantasioso artista, creatore della Fabbrica del Cioccolato che, con la moglie Mariangela, regala incantesimi di pura delizia. Annesso c’è il Museo del Cioccolato, un viaggio per i 5 sensi...

I loro pregiati vini sono stati spesso al top delle classifi che, e l’amore e la coltura della vigna

immutati nel tempo. Nel corso degli ultimi anni la famiglia ha confermato l’attaccamento al terreno, ampliando la proprietà dell’azienda fi no a raggiungere un’estensione totale vitata di 42 ettari. Dopo la visita ai vigneti e alla cantina, accompagnati dalle fi glie Katia e Mara, è possibile accedere all’elegante ed accogliente Sala Degustazioni, dove si svolgono simpatiche degustazioni dei vini, e la quindi acquistare i preferiti.

VILLA LA FAVORITA Località Altavilla, 12 – Alba (Cn)Tel. +39.338.4715005 – www.villalafavorita.it

AZIENDA AGRICOLA DANTE RIVETTILocalità Bricco, 12 – Neive (Cn)

Tel. +39.0173.67125www.danterivetti.com

AGRITURISMO “LA VIRGINIA” Via Valle Po, 70 – Morra San Martino – Revello (CN)Tel. +39.0175.25.90.26 – Gianfranco +39.333.36.36.303 – www.lavirginia.it – [email protected]

LA CIOCCOLANDA Via Francesco Gallo, 18 – Vicoforte (Cn)Tel +39.0174.563181 – www.cioccolocanda.It

Scelte di gusto a spasso per la provincia, fra pane fatto in

casa, cioccolato d’autore,

vino e relax

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SULLA COLLINA D’ALBA A DUE PASSI DALLA CITTÀ

Villa La FavoritaVilla La Favorita, sapientemente ristrutturata dall’attuale proprietaria, è una dimora storica risalente ai primi del ‘900.

Un vero angolo di paradiso immerso nel verde di un podere di 10.000 mq coltivato a vigneti e frutteti dove si producono pregiati vini

doc. E’ possibile degustare il Nebbiolo d’Alba e il Piemonte Grignolino , così come la grande varietà di frutta biologica (ciliegie, mele, pere, albicocche, prugne, cachi, fi chi, gelsi, pesche e melograni), in parte trasformata in gustose marmellate servite a colazione. Le camere sono ricercate ed arredate in stile con ottimo gusto. Fra le attività che si possono intraprendere, spiccano i corsi di cucina tipica piemontese, le indimenticabili escursioni presso i castelli circostanti, oppure le divertenti ricerche nei boschi del pregiato tartufo bianco. A sera, per rilassarsi, è a disposizione la vasca idromassaggio con acqua riscaldata, all’ozono, posizionata all’aperto con vista sulla città e sul tramonto. Aperto da metà marzo a metà gennaio.

COCCOLATI IN UNA CORNICE DAI SAPORI ANTICHI

La Virginia a Revello

IN CUCINA MAGNIFICI PRODOTTI MONREGALESI

Un paradiso di cioccolato

I LORO VINI SONO AL TOP DELLE CLASSIFICHE

Azienda agricola Dante Rivetti

Un agriturismo vero, dove il buongiorno suona ancora al canto del gallo al sorgere del sole. Siamo in Valle Po a Revello, porta dell’Occitania: qui passava il “camin dl sal”

All’ombra del Santuario di Vicoforte 7 camere dedicate a paesi produttori di cacao, differenti tra loro sia negli arredi che nelle dimensioni e tutte dotate di servizi,docce interne, servizio wi-fi free.

Da almeno quattro generazioni la famiglia di Dante Rivettivanta le sue radici sulle colline che dal Bricco si affacciano verso Neive.

Pellegrini e briganti transitavano per le valli e dal Montebracco Leonardo da Vinci procurava la pietra per i suoi capolavori. Dove

sorgeva un vecchio cascinale-osteria con stallazzo e sosta, oggi c’è la Virginia, splendido agriturismo frutto di una riattazione maniacale: pietra, legno e cotto uniti in una simbiosi ecologica assoluta, un arredamento che privilegia i vecchi mobili attentamente cercati nelle vallate alpine, in ogni sala un camino crea l’atmosfera d’altri tempi. La Virginia: solo cibi del territorio, pasta e pane fatti in casa, il riso al Pelaverga, il “vitel tunè” alla vecchia maniera, le cujette al Castelmagno, la bagna cauda, la frutta e verdura dell’orto. E poi la “crota” (cantina) dove riposano bottiglie di vino da antologia. Camere sobrie e silenti, arredate con eleganza e stile alpino, morbide lenzuola profumate per donare il massimo del relax. Il patron Gianfranco è il nuovo profi lo dell’accoglienza, vi farà sentire a casa, coccolati in una magica cornice d’antan.

La Cioccolocanda è una originale struttura ricettiva dove tutto ha sentore di cioccolato. Un

cioccomassaggio con aromi e musicoterapia eseguito da personale diplomato o i servizi Notte Fondente e Notte al Latte, coroneranno il desiderio di relax anche dei più esigenti. La cucina del ristorante è a base dei magnifi ci prodotti del Monregalese: carni della razza Fassona Piemontese, Coniglio di Cuneo, Cappone di Morozzo, Agnello Sambucano o Frabosano; i formaggi sono della tradizione Alpina locali ma anche formaggi prodotti con latte fresco e granella di cacao. E poi tutte LE DELIZIE di Silvio Bessone, maestro pasticcere e fantasioso artista, creatore della Fabbrica del Cioccolato che, con la moglie Mariangela, regala incantesimi di pura delizia. Annesso c’è il Museo del Cioccolato, un viaggio per i 5 sensi...

I loro pregiati vini sono stati spesso al top delle classifi che, e l’amore e la coltura della vigna

immutati nel tempo. Nel corso degli ultimi anni la famiglia ha confermato l’attaccamento al terreno, ampliando la proprietà dell’azienda fi no a raggiungere un’estensione totale vitata di 42 ettari. Dopo la visita ai vigneti e alla cantina, accompagnati dalle fi glie Katia e Mara, è possibile accedere all’elegante ed accogliente Sala Degustazioni, dove si svolgono simpatiche degustazioni dei vini, e la quindi acquistare i preferiti.

VILLA LA FAVORITA Località Altavilla, 12 – Alba (Cn)Tel. +39.338.4715005 – www.villalafavorita.it

AZIENDA AGRICOLA DANTE RIVETTILocalità Bricco, 12 – Neive (Cn)

Tel. +39.0173.67125www.danterivetti.com

AGRITURISMO “LA VIRGINIA” Via Valle Po, 70 – Morra San Martino – Revello (CN)Tel. +39.0175.25.90.26 – Gianfranco +39.333.36.36.303 – www.lavirginia.it – [email protected]

LA CIOCCOLANDA Via Francesco Gallo, 18 – Vicoforte (Cn)Tel +39.0174.563181 – www.cioccolocanda.It

Scelte di gusto a spasso per la provincia, fra pane fatto in

casa, cioccolato d’autore,

vino e relax

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UN VIAGGIO INSOLITO CHE SI TINGE DI BIANCO. UNA PANORAMICA SULLA PANIFICAZIONE ARTIGIANALE CUNEESE IN UN MOMENTO DI GRANDE FERMENTO. LA QUALITÀ FRA NUOVE TENDENZE E VECCHIE RICETTE.

DI VANINA CARTA

comune. Non solo: il boom dei prodotti cosid-detti “salutistici” (che ora trovano uno spazio importante persino sugli scaffali della grande distribuzione, complice il fenomeno purtrop-po crescente della celiachia), ha favorito una maggiore differenziazione dell’offerta, che non può non interessare anche tutto il settore della panificazione. Lo stimolo è positivo e il risultato è un’evidente tensione degli artigiani al miglioramento qualitativo e alla diversifica-zione, in un diorama di piccole produzioni – panifici e panetterie con annesso laboratorio e forno – che propongono pani artigianali, molteplici nelle varietà delle farine e degli ingredienti, e talvolta cotti in forni a legna, allargando la gamma ai pani speciali per celia-ci e per chi ha specifiche esigenze alimentari (prodotti iposodici etc.).

Trascurato dalla ristorazione per alcuni decenni, demonizzato da diete folli che

dichiaravano guerra ai carboidrati, standardiz-zato da un certo tipo di industria e impoverito da alcuni tra gli stessi panificatori, oggi il pane sta finalmente riscoprendo la propria dignità di cibo fondamentale. E non è poco, se pen-siamo che fino a qualche anno fa, entrare in panetteria, spesso, voleva dire scegliere tra pagnotte anonime, pronte a diventare fagot-tini gommosi oppure immangiabili pezzi di marmo nel corso di poche ore...Nel nostro viaggio all’interno del complesso panorama della panificazione e dell’arte bian-ca in provincia, cercheremo di scoprire come il settore risponde a una sorta di “senso di saturazione” verso i prodotti standardizzati, ormai sempre più percepibile nel sentimento

pane, tradizionee fantasia

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Occorrono, in media, cinque ore affinché ilforno a legna raggiunga una temperatura di 230-300° C.Si tratta di una grande sfida per il panettiere, che deve capire qual è il momento giusto di infornare e sfornare. Un sapere che si impara solo con tanta pratica. Photo: Michele Fino

Antico mulino abbandonato in Valle Maira. Un tempo, la Valle Maira era ricca di coltivazioni di segale, che spesso veniva macinata in loco per produrre uno sfarinato utilizzato per il pan barbarià. Photo: Giorgio Sandrone

L’IDILLIO DEL MULINO Il pane: pochi semplici ingredienti che danno vita a una varietà immensa di risultati e prodotti. E ciò significa che la differenza la fanno sia la va-riabilità di quegli ingredienti sia il fattore umano. E non parliamo solo della “mano”, della sapienza dell’artigiano, ma anche di quel fattore umano che incide a monte, a partire dalla macinazione del frumento. Quel mulino che entra nella re-torica della TV per comunicare la genuinità di un prodotto industriale – perlopiù attraverso la notorietà di attori che di certo non conosco-no le levatacce mattutine dei veri artigiani – è davvero uno dei segreti della storia della nostra panificazione e va spogliato di ogni orpello che la pubblicità è sempre incline a inculcarci. Fino all’avvento dell’industrializzazione, infatti, la pianura cuneese e le zone di media valle, ricche di torrenti, erano un fiorire di mulini ad acqua, dove la macinazione avveniva a pietra, il metodo più antico e ancora insuperato nella produzio-

ne di farine di alta qualità. Dallo sfregamento e schiacciamento dei chicchi attraverso macine in pietra scalpellata e scanalata si produceva una farina eccellente, frutto di una macinazione len-ta (non più di 100 giri al minuto), che garantiva una bassa temperatura durante la lavorazione e riduceva al minimo i rischi di “cottura”. Il che, dunque, significava un corredo organolettico di tutto rispetto, con proprietà benefiche che si riscontravano anche nel pane o nel prodotto finale. Con l’avvento dell’elettricità e di nuove modalità di molitura, tutto divenne più veloce e massificato, con un inevitabile aumento delle temperature in lavorazione (attraverso i mulini a rulli), il depauperamento del chicco e l’elimi-nazione dei benefici oli essenziali contenuti nel germe (oli che, con l’irrancidimento, limitavano la conservabilità delle farine).La rivoluzione era avvenuta, ma come spesso accade, il progresso non porta con sé il meglio in termini di qualità della vita e salute. Oggi, è in

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atto un continuo miglioramento delle tecnologie molitorie industriali che tendono a ridurre il sur-riscaldamento, tuttavia, il processo di riscoperta di pani e prodotti da forno realizzati con farine macinate a pietra è chiaramente in crescita. Lo testimonia il fatto che parecchi artigiani panifica-tori in provincia cercano di rifornirsi di tali mate-rie prime, così come molte aziende del settore, di piccole e medie dimensioni. Un esempio em-blematico: la Forneria Artigiana Cavanna di Villar San Costanzo, che ha salvato dall’abbandono un antico mulino ad acqua del 1870, per adattarlo alla macinazione delle farine utilizzate nella pro-duzione dei propri biscotti.

PANE RAFFINATO PER IL NOBILE PALATO Altro grande fattore discriminatore che divenne anche “socialmente discriminante” – a testimo-niare come il pane potesse trasformarsi prepo-tentemente in status symbol – è il processo di raffinazione degli sfarinati, che portava alla pro-duzione di pani di diverso grado di colore in una strana, quanto emblematica, scala “cromatico-sociale”. Se già in epoche remote, la raffinazione delle farine, più difficile da ottenere fino all’av-vento dell’industrializzazione, era legata a una produzione pregiata di pani bianchi, destinata alle mense dei signori, un fenomeno simile av-

veniva nelle nostre valli. Nelle località montane, l’approvvigionamento dei cereali rappresentava spesso un problema insormontabile, a cui si ovviava realizzando pani con più tipi di cereali variamente miscelati e riservando quello bianco per la festa. Al grado inferiore di questa “gerar-chia” si trovava quello nero, di segale (oggi pa-radossalmente specialità difficile da reperire in purezza). Una via di mezzo era invece il pan bar-barià (“imbastardito”), il più comune, fatto con una miscela di segale e frumento in proporzioni variabili. Allo stesso modo, si preparava il pane di castagne (in molti casi alimento unico per le po-polazioni di montagna, grazie alla disponibilità di castagne dei nostri boschi) o quello arricchito di ingredienti poveri, come patate, cipolle, barba-bietole. Ancora molto diffuso in Valle Maira, un tempo ricca di campi di segale, il pan barbarià è oggetto oggi di una nuova rivalutazione, insieme alle varianti con frumento integrale o con altri cereali (avena, orzo, mais, farro). E così, quelli che un tempo erano i “pani dei poveri”, oggi di-ventano prodotti ricercati e pregiati, soprattutto quando la lavorazione è artigianale, le farine de-rivano dalla macinazione a pietra o sono biologi-che, e la cottura è a legna.

LIEVITO E FORNI: I VERI DOGMI DEL PANEInfine, non va dimenticato l’aspetto sociale e co-munitario che la lavorazione del pane rivestiva anticamente, attraverso la panificazione collet-tiva nei forni pubblici e nella conservazione del lievito, anch’esso di utilizzo comune all’interno di una borgata. Oggi, pur in un contesto sociale moderno che tende al consumo individualistico, la pratica della cottura nel forno a legna e l’uti-lizzo di lieviti naturali (pasta madre) tornano a essere parametri di una produzione pregiata. Non a caso, nell’elenco delle aziende (soprattut-to laboratori e le piccole panetterie) che hanno ottenuto il marchio dell’Eccellenza dell’Impresa Artigiana Alimentare nella panificazione, rilascia-ta dalla Regione Piemonte (oltre un centinaio le imprese cuneesi, in seconda posizione dopo la

Il pane all’Alvà, realizzato da alcuni panificatori saviglianesi, è prodotto con pasta madre.

Photo: Alex Astegiano.

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L’abilità dei panettieri si esprime anche nella capacità di creare vere e proprie opere d’arte che appaghino l’occhio oltre che il palato.Photo: Alex Astegiano

provincia di Torino), spiccano numerosi coloro che propongono sia il pane cotto nel forno a legna, sia prodotti da lievito madre (ma anche da biga o da pasta acida). Il forno a legna è il coronamento ottimale per valorizzare una lavo-razione accurata, poiché gusto e fragranza risul-tano esalatati da questo tipo di cottura, che poco può avere a che fare con produzioni seriali e di quantità. Oltre alla lentezza nell’accensione (in media cinque ore affinché il forno raggiunga una temperatura di 230-300° C), c’è la grande sfida della capacità del panettiere, tutta sensoriale ed empirica, di capire qual è il momento giusto di infornare e sfornare: quasi un dogma che si im-para solo con tanta pratica artigianale. Ma se il forno a legna è un mezzo misterioso solo per pochi, il lievito è ciò che davvero rappresen-ta il vero enigma che anima il pane, alimento “magico” per eccellenza, frutto di un impasto in grado di crescere “da solo” – finché perlomeno non si capì l’origine della lievitazione e non si individuò il lievito di birra (Saccharomyces cere-visiae, isolato nel XIX secolo da Pasteur).

LA PASTA MADREAncor prima della diffusione del lievito di birra, la lievitazione avveniva attraverso la conservazio-

ne di un “impasto lievitante”, che nelle nostre pianure e valli era conservato a turno dalle fami-glie, che provvedevano poi a “crescerlo”.È il me-todo della pasta madre (o lievito madre, o lievito naturale), oggi rivalutato e antico quasi quanto l’umanità: un impasto di farina e acqua che, la-sciato all’aria per un certo periodo, fermenta e acidifica spontaneamente. Tale composto, rinvi-gorito da continue e cadenzate aggiunte di ac-

LUIGI BOTTA - IL “PANE CANIPULO” DI SAVIGLIANOPer la storia ufficiale: il grissino “torinese” viene fatto risalire al fornaio di corte dei Savoia, Antonio Brunero, che nel 1679, su indicazione del medico Teobaldo Pecchio, ne inventa la ricetta per poter nutrire il futuro duca Vittorio Amedeo II, di salute cagionevole. Per le scoperte recenti: il grissino viene prodotto a Savigliano già tra il 1412 ed il 1420. A rivelarlo è la storia di Savigliano a fumetti, pag. 131 (Luigi Botta, Franco Blandino, Savigliano - Racconto per immagini di una città e della sua gente (dal 1366 al 1439), Edizioni Cristoforo Beggiami, Savigliano 2011). La notizia singolare, di fatto, anticipa di oltre due secoli e mezzo la storia dei grissini torinesi e rivoluziona il mondo delle bustine trasparenti che veicolano in tutto il mondo una delle più significative tipicità subalpine e italiane. I grissini saviglianesi vengono chiamati pane canipulo, definizione che il fumetto acquisisce dalla corposa Storia di Savigliano del canonico Casimiro Turletti. Una storia ottocentesca che sviscera nel dettaglio, in oltre 4.000 pagine, le vicende della cittadina cuneese. Il canonico Turletti è uno che non scherza: nel secondo volume, segnala che tra i documenti in-dagati vi è quello che rivela come a Savigliano, nel secondo ventennio del XV secolo, si consumassero comunemente i grissini, appunto chiamati pane canipulo. Si trattava indubbiamente di un prodotto da forno realizzato con gli stessi ingredienti del pane (magari con l’aggiunta di olio di noci o altro), con una forma che il canipulo, appunto, definisce nel dettaglio. Col termine canipulus i romani indicavano un coltello di modeste dimensioni, dalla punta sottile; con canipulo, inoltre, si riconosce il residuo legnoso della canapa che, pulito dalle sostanze fibrose, si presenta levigato e di forma allungata. Proprio come un grissino, persino più piccolo e lungo. Il pane canipulo saviglianese del 1400 è dunque proprio lui, il grissino. Forse oggi, dopo la scoperta, un po’ meno “torinese”.

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qua e farina (dette “rinnovi” o “riporti” o ancora “rinfreschi”), viene di volta in volta utilizzato per far partire la fermentazione e la lievitazione degli impasti e può durare anni, talvolta passando di generazione in generazione. Ebbene, il valore della pasta madre non sta solo nel proprio signi-ficato storico, ma nelle stesse virtù che si riscon-trano nel prodotto finito. La presenza non solo di Saccaromyces, ma anche di colonie di altri lieviti indigeni e selvaggi, favorisce uno spettro aromatico maggiore con un’acidità superiore (pH 4-4,5) e quindi una maggiore conservabilità. E poi, ancora una volta la lentezza della lievitazio-ne (in media una ventina di ore) è ciò che fa la differenza: l’anidride carbonica generata molto gradualmente determina un’alveolatura ridot-ta e il prodotto finale risulta in generale molto più digeribile. Oggi, grazie alla volontà di molti panificatori volenterosi, la pasta madre torna a essere utilizzata e trova una splendida vetrina di promozione nella Festa del Pane di Savigliano

(biennale, 4° domenica di settembre), dove tra una serie di proposte golose, si può assaggiare anche il “pane dell’Alvà”, prodotto appunto con lievito naturale – alvà nella parlata locale – da alcuni artigiani saviglianesi.Il nostro, dunque, appare come un panorama di creatività e tradizioni – oggi diventate anche tendenze del gusto – che danno voce a grandi artigiani, da qualche anno finalmente rintrac-ciabili grazie alla mappatura realizzata dalla Regione Piemonte con l’istituzione del marchio “Eccellenza Artigiana”. E proprio a quell’utile lavoro di riconoscimento e individuazione ri-mandiamo per chi volesse rendere merito al loro duro lavoro, varcando la soglia delle loro botte-ghe e farsi prendere dall’imbarazzo della scelta. www.regione.piemonte.it/artigianato/elenco.htm. Per una guida completa ai forni a legna an-cora presenti in provincia: Panaté, guida ai forni a legna nella provincia di Cuneo. Non di solo pane, di Giovanna Foco (Libri della Bussola).

TRADIZIONE CREATIVATante tipologie e forme quanti sono i paesi, le frazioni e forse anche gli artigiani… Dalle tradi-zioni di un tempo, alle singole interpretazioni che si moltiplicano diventando le specialità del posto (o della bottega), grazie alla creatività dei panificatori. E così fioccano i nomi particolari, a volte mutuati dal passato, in altri casi di pura fantasia. Come i Calandrini (panetteria Fedele Oli-vero – Murello), pane di frumento integrale, mais e semola di grano duro, che prende il nome dalla nobile casata dei Calandra, solita villeggiare qui tra fine del XIX e inizio del XX secolo; il Pan Giovane (I sapori del forno – Robilante), dal basso contenuto di colesterolo, con Kamut, succo d’uva e sale grosso rosa; il Pan dle Masche (panetteria Da Ale – Bra), con segale e cru-schello; il Pane di Bra (Delizie e sapori – Bra), 80% di lievito madre (!), 10% di farina integrale e 10% fdi arina di tipo 1 macinata a pietra; il Pane dei frati (panetteria Bruno Cravero – Verzuo-lo), prodotto da un’antica ricetta conventuale; solo a novembre, i grissini robatà con i porri di Cervere (L’antico forno – Sant’Albano Stura). Oppure, ancora, il Pane di Carlo Alberto, di cui si trovano, invece, nutrite testimonianze storiche. Non si sa se si deve proprio a lui o ai suoi cuochi (il re sabaudo era notoriamente un buongustaio) l’ideazione di questo pane sapido e sostanzioso, ma sicuramente fu di sostentamento alle truppe sabaude durante le campagne di guerra. Recuperata da un artigiano di Agliano Terme (AT) negli anni ’70, la ricetta prevede l’aggiunta abbondante di acciughe e noci ed è ormai una rarità (panificio Gianfranco Fagnola – Bra) Infine, ricordiamo il Pan ed Langa, riproposto dall’omonimo Consorzio di Tutela: un tipo di pane semintegrale a lunga lievitazione, prodotto con antiche varietà di grano, recuperate anche grazie all’impegno del mugnaio Renzo Sobrino (Mulino Sobrino).

La “mano” del panettiere è fondamentale nella panificazione artigianale. E non parliamo solo

di capacità di creare un impasto, ma di tutto quel bagaglio di conoscenze che si assume con

l’esperienza e tante “levatacce” mattutine.Photo: Festa del Pane - Ente Manifestazioni

Savigliano

Stirati a mano prodotti da panificatori saviglianesi. Photo: Alex Astegiano

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Mercato del Tartufo e Alba Qualità: sono il luogo fisico in cui si può conoscere davvero il tartufo, immergendosi in un’atmosfera profumata e unica. Ogni tartufo in vendita presso i padiglioni è controllato da una Commissione Qualità. Attorno vini, formaggi, pasta, salumi e pasticceria di Langhe e Roero.

Cortile della Maddalena, dal 6 ottobre al 18 novembre il sabato e la domenicaApertura straordinaria: 1, 2, 3, 4 novembre

Esperienze del gusto: Esperienze sensorialiAnalisi sensoriale del tartufo, degustazioni dei gradi vini di Langhe e Roero, “foodies moments” con la cucina albesePalazzo Mostre e Congressi, Piazza Medford, su prenotazione

Mercato ambulante, Campagna Amica, Merc ato della TerraCentro Storico, domenica 7, 14, 21, 28 ottobre

Il Folklore:

Palio degli asini: divertente corsa degli asini preceduta da una grande sfilata di oltre mille figuranti in costumi medievaliPiazza Cagnasso, domenica 7 ottobre ore 14.00

Baccanale del Tartufo, Borgo si Rievoca: rappresentazioni medievali con degustazioni di prodotti tipici Centro storico, sabato 20 ottobre, ore 20.00 e domenica 21 ottobre ore 10.00

Festival della Bandiera: esibizione degli sbandieratoriPiazza Risorgimento, domenica 28 ottobre ore 15.00

Le mostre:

Cinema&Tartufo: L’emozione di un’esperienza, un viaggio nel tempo e tra i grandi del cinema mondiale…il tutto sotto il segno del Tartufo Bianco d’AlbaPalazzo Mostre e Congressi, dal 6 ottobre al 18 novembre

Il Tiziano ad AlbaPalazzo Banca d’Alba, fino al 31 dicembre

Il tempo del vigneto: immagini di Enzo Massa ed installazioniChiesa di San Domenico, dal 6 al 28 ottobre

AMERICANS Jasper Johns, Julian Lethbridge, Ed Ruscha, Kiki Smith, Terry WintersCoro della Maddalena, dal 6 ottobre a fine novembre

Carlo Carrà 1881-1966Fondazione Ferrero, dal 27 ottobre al 27 gennaio 2013

Ente Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Albawww.fieradeltartufo.org - [email protected]

Con il contributo di: Main sponsor Sponsor Sponsor tecnici

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un locale multifunzionale dove riti di altri tempisono attualizzati per nuove abitudini sociali

Photo: Dominique Silberstein

Tutte le sfumaturedel cioccolato

Entrare al RELAIS CUBA CHOCOLAT è come ad-dentrarsi in un moderno tempio del gusto. Una grande scultura fl essuosa sulla parete - opera di Elio Garis - ci conduce dall’ingresso verso il centro del locale. Simboli e grafi smi dell’alfabeto Maya si fondono con forme astratte che delineano la “terra del cacao” fi no a diventare un vortice di spirali in cui perdere lo sguardo. Un ambiente che trasmette eleganza e forza con forme sinuose ed avvolgenti, sensuali come il cioccolato sa essere. Un’atmosfe-ra glamour giocata sui toni del marrone e dell’oro, in una scenografi a che, grazie all’illuminazione, cambia ad ogni ora per adattarsi ai diversi momenti della giornata suggerendo emozioni sempre nuove.Nel nome sta l’essenza del locale. CUBA: il nome storico della cioccolateria che da-gli Anni ‘60 è il punto di riferimento delle specialità cuneesi. RELAIS: la defi nizione francese (in omaggio ai vi-cini oltralpe) di un luogo di ristoro.

alle sempre più diffuse intolleranze alimentari, per iniziare la giornata con il massimo sprint.

Nella pausa pranzo gli chef propongono menù veloci, dettati dalla fantasia e dai prodotti di stagione, diversi ogni giorno: dalla panineria-snack alle insalate, passando al menù del giorno preparato secondo la migliore tradizione italiana, fi no ai piatti più innovativi per un pranzo di lavoro formale.

Luogo ideale per una sosta pomeridiana, una genuina merenda per i ragazzi o un thè con le amiche. In serata si trasforma in cocktail-bar per l’aperitivo, rinnovando ancora una volta la formu-la in un innovativo restaurant cafè per la cena, offrendo la possibilità di degustare anche solo un piatto, abbinato al proprio drink o bicchiere di vino preferito. Menù dolce o salato, veloce o elaborato, naturalmente accompagnato da uno degli innume-revoli dessert e dall’immancabile ottimo caffè. Gli apericena o le cene di compleanno sono la passio-ne del Relais CUBA, che offre anche ai giovani la possibilità di festeggiare con gusto, stile e qualità in un ambiente elegante ed informale. Su preno-tazione si potrà personalizzare il menù e godersi un’indimenticabile cena a lume di candela.

Una cucina sana, attenta alla salute, in cui, ad esempio, il burro vaccino viene sostituito dal burro di cacao, più leggero e salutare, legandosi al prodotto di casa. “Ci sentiamo l’obbligo morale

di diffondere noi per primi una cultura salutistica: mangiare senza sentirsi in colpa” afferma Alber-to Mantelli, titolare del locale, terza generazione della famiglia Cussino che dalla fi ne degli Anni ‘40 lavora nel campo della pasticceria. “Da CUBA il be-nessere è sinonimo di bellessere, perché mangian-do sano ci si sente meglio, in forma, e naturalmente belli”. Piatti che possono anche essere ordinati in take-away per essere consumati fuori: un imprevi-sto in uffi cio o un ospite inatteso a casa può essere tranquillamente soddisfatto con la stessa qualità di un ristorante, senza i costi aggiuntivi del servizio e con la comodità di poterli consumare ovunque.

Naturalmente CUBA è anche pasticceria, pro-seguendo la tradizione storica di famiglia che, su prenotazione, produce specialità gastronomiche per ricevimenti, fi no alle immancabili e monumentali torte per tutte le ricorrenze.

Notoriamente è la madre storica, e punto ven-dita esclusivo in Cuneo, del cioccolato e del gelato VENCHI, da sempre prodotto in totale assenza di grassi vegetali idrogenati, additivi chimici, aromi artifi ciali, coloranti e conservanti. “La bontà di un prodotto non è solo una questione di gusto o di prezzo, ma di qualità, trasparenza e rispetto verso il consumatore e l’ambiente” - dice orgogliosamente Alberto Mantelli - “il nostro gelato artigianale non

contiene monodigliceridi degli acidi grassi né pro-dotti geneticamente modifi cati né farine, ed è quin-di adatto, per la sua qualità, a molte intolleranze”.

Qui si possono degustare tutti i prodotti della maison VENCHI che possono diventare un’idea re-galo, con confezioni esclusive, fi ore all’occhiello della regalistica per ogni ricorrenza, dal semplice pensiero fi no alle importanti confezioni dolci e salate, abbinate ai vini del territorio, ai distillati di pregio o ad oggetti preziosi e unici. Confezioni rega-lo scelte anche da importanti aziende del territorio ed esclusivi clienti nel mondo come espressione di estro e stile, personalizzabili secondo i più moderni concetti della “corporate identity”.

I tempi cambiano, e con essi si evolvono i co-stumi. La consapevolezza che il benessere passa attraverso una corretta alimentazione, il piacere del gusto e la qualità degli spazi in cui viviamo è cogliere un bisogno.

Citando Johann Wolfang Goethe “...chiunque abbia bevuto una tazza di cioccolato resiste a una giornata di viaggio...” si può dire che CUBA è la risposta.

Un locale pensato come luogo di incontro,sospeso fra tradizione ed innovazione.

I piaceri del cioccolato in un percorso sensorialeche vi accompagnerà dalla colazione alla cena, per tutti quei momenti che vorrete dedicare a voi stessi.

Piazza Europa, 14 - Cuneotel. 0171.693968 - www.relaiscuba.com

Relais Cuba Chocolat

CHOCOLAT: ovvero la “mission” del locale, dif-fondere la cultura del cioccolato.Un format inedito, riconosciuto a livello naziona-le dalla prestigiosa guida “Bar d’Italia 2010” del Gambero Rosso come il Restaurant Cafè più inno-vativo, con il massimo dei voti attribuiti al locale, alla caffetteria e al servizio, meritandosi “tre chic-chi e tre tazzine”, capace di soddisfare tutti i gusti, in ogni ora della giornata, dove le regole di qualità, bontà ed esclusività appagano i cultori alla ricerca del cibo degli dei.

A partire dalle 7,00 la caffetteria offre le più pregiate miscele Illy per accompagnare una colazione dolce o salata, con specialità prodotte giornalmente dai pasticceri nei propri laboratori partendo da materie prime selezionate, farine di grano antico, fi nissimo burro e lievito madre rinfre-scato giornalmente da oltre 60 anni per soddisfare tutti i gusti e gli stili di vita, dal cappuccino alla colazione continentale, con un occhio di riguardo

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un locale multifunzionale dove riti di altri tempisono attualizzati per nuove abitudini sociali

Photo: Dominique Silberstein

Tutte le sfumaturedel cioccolato

Entrare al RELAIS CUBA CHOCOLAT è come ad-dentrarsi in un moderno tempio del gusto. Una grande scultura fl essuosa sulla parete - opera di Elio Garis - ci conduce dall’ingresso verso il centro del locale. Simboli e grafi smi dell’alfabeto Maya si fondono con forme astratte che delineano la “terra del cacao” fi no a diventare un vortice di spirali in cui perdere lo sguardo. Un ambiente che trasmette eleganza e forza con forme sinuose ed avvolgenti, sensuali come il cioccolato sa essere. Un’atmosfe-ra glamour giocata sui toni del marrone e dell’oro, in una scenografi a che, grazie all’illuminazione, cambia ad ogni ora per adattarsi ai diversi momenti della giornata suggerendo emozioni sempre nuove.Nel nome sta l’essenza del locale. CUBA: il nome storico della cioccolateria che da-gli Anni ‘60 è il punto di riferimento delle specialità cuneesi. RELAIS: la defi nizione francese (in omaggio ai vi-cini oltralpe) di un luogo di ristoro.

alle sempre più diffuse intolleranze alimentari, per iniziare la giornata con il massimo sprint.

Nella pausa pranzo gli chef propongono menù veloci, dettati dalla fantasia e dai prodotti di stagione, diversi ogni giorno: dalla panineria-snack alle insalate, passando al menù del giorno preparato secondo la migliore tradizione italiana, fi no ai piatti più innovativi per un pranzo di lavoro formale.

Luogo ideale per una sosta pomeridiana, una genuina merenda per i ragazzi o un thè con le amiche. In serata si trasforma in cocktail-bar per l’aperitivo, rinnovando ancora una volta la formu-la in un innovativo restaurant cafè per la cena, offrendo la possibilità di degustare anche solo un piatto, abbinato al proprio drink o bicchiere di vino preferito. Menù dolce o salato, veloce o elaborato, naturalmente accompagnato da uno degli innume-revoli dessert e dall’immancabile ottimo caffè. Gli apericena o le cene di compleanno sono la passio-ne del Relais CUBA, che offre anche ai giovani la possibilità di festeggiare con gusto, stile e qualità in un ambiente elegante ed informale. Su preno-tazione si potrà personalizzare il menù e godersi un’indimenticabile cena a lume di candela.

Una cucina sana, attenta alla salute, in cui, ad esempio, il burro vaccino viene sostituito dal burro di cacao, più leggero e salutare, legandosi al prodotto di casa. “Ci sentiamo l’obbligo morale

di diffondere noi per primi una cultura salutistica: mangiare senza sentirsi in colpa” afferma Alber-to Mantelli, titolare del locale, terza generazione della famiglia Cussino che dalla fi ne degli Anni ‘40 lavora nel campo della pasticceria. “Da CUBA il be-nessere è sinonimo di bellessere, perché mangian-do sano ci si sente meglio, in forma, e naturalmente belli”. Piatti che possono anche essere ordinati in take-away per essere consumati fuori: un imprevi-sto in uffi cio o un ospite inatteso a casa può essere tranquillamente soddisfatto con la stessa qualità di un ristorante, senza i costi aggiuntivi del servizio e con la comodità di poterli consumare ovunque.

Naturalmente CUBA è anche pasticceria, pro-seguendo la tradizione storica di famiglia che, su prenotazione, produce specialità gastronomiche per ricevimenti, fi no alle immancabili e monumentali torte per tutte le ricorrenze.

Notoriamente è la madre storica, e punto ven-dita esclusivo in Cuneo, del cioccolato e del gelato VENCHI, da sempre prodotto in totale assenza di grassi vegetali idrogenati, additivi chimici, aromi artifi ciali, coloranti e conservanti. “La bontà di un prodotto non è solo una questione di gusto o di prezzo, ma di qualità, trasparenza e rispetto verso il consumatore e l’ambiente” - dice orgogliosamente Alberto Mantelli - “il nostro gelato artigianale non

contiene monodigliceridi degli acidi grassi né pro-dotti geneticamente modifi cati né farine, ed è quin-di adatto, per la sua qualità, a molte intolleranze”.

Qui si possono degustare tutti i prodotti della maison VENCHI che possono diventare un’idea re-galo, con confezioni esclusive, fi ore all’occhiello della regalistica per ogni ricorrenza, dal semplice pensiero fi no alle importanti confezioni dolci e salate, abbinate ai vini del territorio, ai distillati di pregio o ad oggetti preziosi e unici. Confezioni rega-lo scelte anche da importanti aziende del territorio ed esclusivi clienti nel mondo come espressione di estro e stile, personalizzabili secondo i più moderni concetti della “corporate identity”.

I tempi cambiano, e con essi si evolvono i co-stumi. La consapevolezza che il benessere passa attraverso una corretta alimentazione, il piacere del gusto e la qualità degli spazi in cui viviamo è cogliere un bisogno.

Citando Johann Wolfang Goethe “...chiunque abbia bevuto una tazza di cioccolato resiste a una giornata di viaggio...” si può dire che CUBA è la risposta.

Un locale pensato come luogo di incontro,sospeso fra tradizione ed innovazione.

I piaceri del cioccolato in un percorso sensorialeche vi accompagnerà dalla colazione alla cena, per tutti quei momenti che vorrete dedicare a voi stessi.

Piazza Europa, 14 - Cuneotel. 0171.693968 - www.relaiscuba.com

Relais Cuba Chocolat

CHOCOLAT: ovvero la “mission” del locale, dif-fondere la cultura del cioccolato.Un format inedito, riconosciuto a livello naziona-le dalla prestigiosa guida “Bar d’Italia 2010” del Gambero Rosso come il Restaurant Cafè più inno-vativo, con il massimo dei voti attribuiti al locale, alla caffetteria e al servizio, meritandosi “tre chic-chi e tre tazzine”, capace di soddisfare tutti i gusti, in ogni ora della giornata, dove le regole di qualità, bontà ed esclusività appagano i cultori alla ricerca del cibo degli dei.

A partire dalle 7,00 la caffetteria offre le più pregiate miscele Illy per accompagnare una colazione dolce o salata, con specialità prodotte giornalmente dai pasticceri nei propri laboratori partendo da materie prime selezionate, farine di grano antico, fi nissimo burro e lievito madre rinfre-scato giornalmente da oltre 60 anni per soddisfare tutti i gusti e gli stili di vita, dal cappuccino alla colazione continentale, con un occhio di riguardo

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UNA CASA PER LE VACANZE A LIMONE PIEMONTE È STATA INTERPRETATA NEL RISPETTO DELLO STILE TIPICO DEL LUOGO. LINEE E MATERIALI SEMPLICI PER UN RISULTATO NON SCONTATO.

DI ROBERTO AUDISIOPHOTO: DUILIO BELTRAMONE - SGSM.IT

Francia, a poco più di un’ora d’auto dalla Costa Azzurra.Qui, in un piccolo appartamento posto pro-prio alla partenza degli impianti di risalita, l’intervento di interior design è stato concepi-to, fin dall’inizio, come recupero dei caratteri tradizionali della casa alpina, in un processo di reinterpretazione dello stile antico, riproposto in modo nuovo e inedito.La scelta di utilizzare legno di abete vecchio, in maniera massiccia, diventa elemento di tendenza, minimale in quanto elemento qua-si unico di tutto l’ambiente. Legno a perdita d’occhio che scalda l’ambiente rendendolo accogliente e familiare in uno stile persona-le e inconfondibile, selezionato e lavorato con attenzione dalla “Arte Rovere Antico” di Pinerolo (www.arterovereantico.it) che ha re-

L’architettura contemporanea alpina sta dimostrando una particolare attenzione

nei confronti dei caratteri e delle specificità del luogo, con un attento rispetto dei modelli architettonici del passato. Sempre più proget-tisti attenti e committenti illuminati ricercano materiali e tipologie traendo spunto dal luogo, riferimento di un progetto che coglie elementi legati al territorio ed alle tradizioni locali.La richiesta di creare un ambiente che diven-tasse una sorta di rifugio per le fughe dalla città di una famiglia ligure è stata l’occasione per definire l’architettura degli spazi interni progettati dallo Studio d’Architettura Giani e Pavesi di Varese.Siamo a Limone Piemonte, rinomata locali-tà turistica estiva del cuneese ed importante stazione sciistica invernale, sul confine con la

il caloredel legno

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Sono i particolari a rendere unicoe inconfondibile un’ambiente,

come un cuore scolpito nel legno.

Nella pagina precedente:Il soggiorno open space si divide fra zona pranzo e zona relax. Attorno al tavolo illuminato da un lampadario in corna di cervo le poltroncine in cavallino caratterizzano l’ambiente. La boiserie in legno di abete vecchio in prima patina originale prosegue anche come rivestimento del soffitto.

Nella foto sotto:Le pareti sono rivestite con tessuto a quadri, teso su una struttura portante (Colleoni Roberto & C. - Bergamo), dai caldi toni che si abbinano al legno.

alizzato tutti gli interni su misura.Linee pulite e nette, ridotte al minimo con profili regolari e geometrie squadrate danno un risultato funzionale e moderno, in cui ogni centimetro di spazio viene ottimizzato a se-conda della funzione che deve svolgere.A rendere ancora più evidente questa scel-ta stilistica, alcune interessanti variazioni sul

tema: il rivestimento con un morbido tessuto a quadri che ricopre le pareti interne e intro-duce alla zona notte, gli eleganti divani bianchi che spiccano nel soggiorno, la luminosa mo-quettes color panna e la forma del cuore uti-lizzata come elemento decorativo tridimensio-nale, scolpita nel legno, che diventa maniglia delle ante dei mobili.

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Sulla zona pranzo si apre il pratico angolo cottura,perfettamente integrato nella boiserie, con piani di lavoro in acciaio inox.Una soluzione funzionale che coniuga stile e semplicità.

La camera matrimoniale, interamente rivestita in legno, pone in primo piano il comodo letto imbottito.

Due comodi divani bianchi sono i protagonisti della zona relax,completata da un tavolo basso e poltroncina in stile “animal”della decoratrice Catherine Navarro di Megève.

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Anche nella camera dei ragazzi la presenza del legno si fa protagonista: nei tessuti e nei coordinati la ricerca degli elementi tipici diventa una presenza piacevole, senza scadere nel manierismo.

L’attenzione al particolare e la maestria di abili artigiani ha permesso di realizzare manufatti curati, con accorgimenti caratteristici come le maniglie delle ante scolpiti a forma di cuore nel legno.

Nel bagno si ritrovano gli stessi elementi caratteristici di tutta la casa: ampio utilizzo del legno di abete vecchio che diventa mobile sotto-lavabo, rivestimento della vasca e controsoffitto.

Entrando in casa si è subito accolti dal soggior-no open space, dove lo spazio è suddiviso fra zona relax e pranzo su cui si apre un comodo angolo cottura integrato nella boiserie con posa orizzontale che conferma la modernità dell’ambiente e conferisce una maggiore sen-sazione di spazio.Anche nelle camere da letto e nel bagno il le-gno si fa protagonista dell’ambiente non solo negli arredi, ma anche nel rivestimento delle pareti e dei soffitti confermando così una scel-ta stilistica che richiama in ogni ambiente i ca-ratteri tipici della montagna.E così, dopo una passeggiata nei boschi o una sciata sulle candide piste innevate, il piacere di tornare a casa accolti dal calore del legno conferma una scelta di vita in sintonia con la natura.

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un artista che ama gli artisti

PIERO SIMONDO, ECLETTICO ARTISTA CULTURALMENTE CONSAPEVOLE DI COSA FOSSE E DI COSA POTESSE DIVENTARE LA “INTERNAZIONALE SITUAZIONISTA”. RICORDI, SUGGESTIONI E SPUNTI DI CULTURA PURA.

dedica alla pittura, restando pur sempre un di-lettante, come ci spiegava lo stesso Simondo in una lunga intervista raccolta da chi scrive nel marzo del 2004 (catalogo mostra retrospettiva Galleria Giampiero Biasutti, Torino). Simondo, invece, è artista-filosofo e nella sua casa, a Cosio d’Arroscia, quasi per caso, ma for-se fatidicamente, nel luglio del 1957, nasce la cosiddetta Internazionale Situazionista. Perché in quella calda estate Piero Simondo ed Elena Verrone, giovani sposi, vengono a Cosio in vacanza e invitano alcuni amici: il filosofo Guy Debord, con la compagna Michele Bernstein, l’artista inglese Ralph Rumney, la sua compa-gna Pegheen Guggenheim, il pittore Asger Jorn del Gruppo COBRA e il musicista Walter Olmo. Si pranza e si cena tutti insieme, si beve e si par-la di arte, tanto che un bel giorno, il 28 luglio, Jorn indice una rapida votazione per sciogliere il MIBI, il Movimento Internazionale per una Bauhaus Immaginista, da lui fondato, facendo-lo confluire nell’Internazionale Situazionista (con una teorizzazione scritta, a dire il vero, solo tempo dopo a Parigi da Guy Debord), an-che se, l’anno dopo, Piero Simondo e la moglie Elena Verrone paradossalmente sono espulsi

Prima o poi bisognerà pur dirlo forte, e anche scriverlo. Non è Pinot Gallizio il

“fulcro” del Situazionismo albese, bensì Piero Simondo. Perché, riscrivendo oggi la storia dell’arte ad Alba nella seconda metà degli anni ’50, dobbiamo riconoscere che Simondo fu l’u-nico artista culturalmente consapevole di cosa fosse e, soprattutto, di cosa poteva diventare la cosiddetta “Internazionale Situazionista”, ideata e teorizzata dal filosofo parigino Guy Debord. Già, proprio quel Simondo nato nel 1928 a Cosio d’Arroscia (piccolo comune delle Alpi marittime, al confine tra Liguria e l’Albese), che si formò in modo insolito e ribelle – fre-quentando a Torino dal 1948 al 1950, la Scuola di Pittura di Felice Casorati all’Accademia Albertina di Belle Arti (abbandonata dopo due anni) e contemporaneamente studiando pres-so la Facoltà di Chimica (la doppia iscrizione era, allora come oggi, vietata, ma Simondo la fece franca perché era in possesso di due diplo-mi di maturità), per laurearsi poi in Filosofia, sempre a Torino. Un curriculum vario e innovativo che stigma-tizza la profonda differenza da Pinot Gallizio, farmacista-erborista estroso che per diletto si

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dall’Internazionale Situazionista perché giudi-cati “cripto-cattolici” (sic!). In questa esclusio-ne c’entra forse il fatto che Piero ed Elena si erano sposati in chiesa, ma soprattutto pesa la volontà di autonomia che caratterizza l’arti-sta e che non gli consente di aderire in modo acritico, o peggio ancora ideologico, a gruppi o movimenti, poiché in lui prevale l’idea che l’arte è libertà. Prova ne sia il “Primo Congresso mondiale de-gli artisti liberi” che Simondo aveva organizza-to insieme alla moglie ad Alba nel 1956, su un tema ancora oggi attualissimo: “Le arti libere e le attività industriali”. Una ricerca di libertà che prosegue con il suo trasferimento a Torino nel 1961, nell’anno dei festeggiamenti del primo centenario dell’Unità di Italia, quando tutta la città è in gran fermento

artistico e culturale, oltre che industriale. Infatti, a Torino, costituisce il CIRA, Centro per un Istituto Internazionale di Ricerche Artistiche, nel 1962. L’aggettivo “internaziona-le” la dice lunga sulla sua volontà di apertura, in una visione non solo europea, ma sensibile anche alle suggestioni provenienti dalla cultura statunitense dall’Espressionismo Astratto alla Pop Art, come s’intuisce in tanti suoi lavori. Simondo, a ben vedere, prende spunto dap-prima dalla pittura espressionista del gruppo COBRA, quello di Jorn, Appel, Constant, poi evolve “esteticamente” in un’ottica che oggi troviamo affine sia alla Transavanguardia teoriz-zata e coalizzata dal critico Achille Bonito Oliva, sia alla New Image Paintig statunitense. Perché da un lato c’è la fedeltà alla pittura, ma d’altro canto c’è la sperimentazione di sempre nuove

Nella pagina precedente:Piero Simondo, Ritratto dell’artista.

In questa pagina:Ritratto, 1996 - Photo: Art Gallery La Luna.

Manica a vento, 1975 - Photo: Fondazione Peano.

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tecniche espressive, quali il monotipo: una la-stra di vetro, disegnata con matita grassa, che diventa matrice per una tiratura in copia uni-ca. Proprio questo sperimentalismo, lo porta a insegnare all’Università di Torino, presso la fa-coltà di Magistero, dove è invitato dal professor Francesco De Bartolomeis. Grazie al coltissimo e generoso De Bartolomeis e a Simondo, nascono a Torino in via Maria Vittoria 10 dei laboratori di “attività sperimenta-le”, ben più interessanti dei laboratori della non lontana Accademia Albertina. Infatti, già nei pri-mi anni ’70, l’artista qui insegna Metodologia e didattica degli audiovisivi e, successivamente, realizza anche il Laboratorio Interattivo d’Im-magini nel Villaggio Globale di Experimenta ‘88 a Villa Gualino. Ricerche che anticipano di 40 anni esperienze oggi in auge. Di tutto questo ci parla, o almeno accenna, la duplice esposizione (a cura di Marisa Vescovo) che si tiene in ottobre presso la Fondazione Peano di Cuneo e la Galleria La Luna di Borgo San Dalmazzo. Una duplice esposizione che rende un dovuto omaggio a un artista sì rivolu-zionario, però mai distruttivo, che non annega come altri nell’ideologia marxista-nichilista, ma ama far crescere altri giovani artisti nella sua idea democratica e aperta di arte, davvero Situazionista, restando per tutta la vita antielita-rio e un fiero antagonista al mercato dell’arte, fino al punto di trascurare se stesso e il suo successo, privilegiando sempre e soltanto la ricerca.

i volti dellapassione ITALO BOLANO A SALUZZONELLA CHIESA DI SAN GIOVANNI

L’espressionismo astratto di Italo Bolano è il protagonista della mostra “Volti della

Passione” organizzata dalla Art Gallery La Luna, negli spazi affrescati dell’antico refettorio e della sala consiliare della chiesa di San Giovanni di Saluzzo, dal 29 settembre al 2 novembre 2012. Fra i temi cari all’artista, noto per i cicli pittorici dedicati a Gesù Cristo, a Napoleone, alla Donna-Isola e all’amico poeta Mario Luzi, sua grande fonte d’ispirazione, l’esposizione punta l’atten-zione proprio sul tema religioso. L’antico refettorio ospiterà 13 tele che presenta-no volti di Cristo sulla croce e nella deposizione, mentre la sala capitolare accoglierà alcune ope-re dedicate a San Giovanni Battista. Un linguag-gio in cui si coglie forte il senso di appartenenza all’isola, con una predominanza del blu cobalto e delle sue sfumature, vibranti e decise. Nella sua pittura è onnipresente il mare, il suo re-spiro, il suo orizzonte, elemento fondamentale della sua terra, l’Isola d’Elba ed espressione del-la sua fantasia e del suo animo. Ma l’isola di cui parla Bolano non è esplicitamente l’Elba quanto un intreccio tra estro, invenzione e tentazione espressiva, evocazione del mare come libertà e luce. Proprio sulla sua isola l’artista ha realizzato un museo di arte ambientale dal titolo “Open Air Museum” annoverato tra i più visitati dei sentieri dell’Arte moderna e contemporanea della Toscana.Le sue opere si possono ammirare esposte in collezioni sia private che pubbliche di varie città del mondo: Amsterdam, Basilea, Londra, New

York, Bruxelles, Amburgo, Losanna, Bologna, Karlsruhe, Ancona, Monaco di Baviera, Zurigo, Roma, Sion, Prato, Varese.Orari di visita: San Giovanni Resort, via San Giovanni, 9/a, Saluzzo. Da lunedì a domenica, dalle 10 alle 12 e dalle 16 alle 19.

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NUOVA EDIZIONE DE “LA SANTITÀ SCONOSCIUTA - PIEMONTE TERRA DI SANTI: MUSICA, CULTURA E SPIRITUALITÀ”. GUEST STAR 2012 È FRANCO BATTIATO, POLIEDRICO ARTISTA ITALIANO CHE PROPONE INTERIORITÀ.

DI MARIO DE MASI

nell’animo e nell’agire umano.”Aldilà della valenza religiosa, la santità si rap-presenta come una tensione verso l’assoluto, una sfida dell’uomo con se stesso e, insieme ai suoi simili, per esplorare i meandri della spiri-tualità. “Una sfida straordinaria che coinvolge l’umanità da millenni: quale modo migliore di farla vivere al pubblico, se non attraverso l’ar-te, la cultura, la musica?” Sottolinea Natascia Chiarlo.“Ecco dunque ‘La Santità sconosciuta, Piemonte Terra di Santi: musica, cultura e spi-ritualità’. Siamo partiti in sordina sei anni fa – ricorda ancora Natascia, – la ‘Santità scono-sciuta’ oggi conta su un pubblico di affezionati e di cultori anche nel resto d’Italia e all’estero.” In questi anni, i grandi nomi non sono certo mancati: da Raina Kabaivanska a Salvatore

All’inizio era poco più di una scommessa, oggi è una realtà consolidata del pano-

rama culturale della provincia di Cuneo e della nostra regione. Stiamo parlando de “La Santità sconosciuta –Piemonte Terra di Santi”, la rassegna ideata e curata dal 2006 da Ivan e Natascia Chiarlo. I due fratelli, rispettivamen-te presidente e vicepresidente dell’Associazio-ne culturale “Arturo Toscanini” di Savigliano, ci illustrano un’avventura cresciuta nel tempo, che riscuote consensi sempre maggiori di pub-blico e di critica. “Forse pochi lo sanno, ma il Piemonte è la regione con la più ampia con-centrazione di santi, riconosciuti dalla chiesa cattolica – esordisce Ivan Chiarlo. – Partendo da questo presupposto, abbiamo deciso di de-dicare al tema della santità la nostra manifesta-zione, presentando le sue diverse declinazioni

non solo musica

Un intenso sguardo di Franco Battiato, capace di fare vibrare le corde dell’anima con i suoi testi, le sue canzoni e la gestualità ricca di emozioni.Photo: Franco Battiato Press Office.

I fratelli Ivan e Natascia Chiarlo, rispettivamente presidente e vicepresidente dell’Associazione culturale “Arturo Toscanini” di Savigliano, hanno saputo valorizzare patrimoni culturali del territorio cuneese, attraverso la musica, la cultura e la spiritualità.Photo: Claudio Molinaro

Mariella Devia, esponente di spicco della tradizione lirica italiana, è tra gli ospiti dell’edizione 2012 de la Santità Sconosciuta.

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Accardo, passando per attori di teatro come Alessandro Preziosi e Paola Gassman. “Tutti gli artisti che hanno risposto positivamente al nostro invito si sono detti entusiasti dell’e-sperienza vissuta all’interno dell’Abbazia di Staffarda, che è diventato il palcoscenico di questo evento,” afferma Natascia. Su questo punto, le fa eco il fratello Ivan: “Mi piace evidenziare un aspetto della ‘Santità sco-nosciuta’: l’empatia tra l’artista e il pubblico, lo scambio di emozioni che solo uno spazio come l’abbazia sa offrire. La stessa esibizione, lo stesso concerto in un teatro si vive in modo del tutto diverso”. Sentimenti non mediati, ma vissuti fino in fondo: “In un mondo in cui tutto è virtuale, la libertà di commuoversi, di senti-re la propria anima è una sensazione unica: il fatto che molte persone, ogni anno, ci ringra-zino per questa esperienza è per me il punto di maggior successo”. Ma veniamo alla settima edizione. Per il sesto anno consecutivo, ritorna il Maestro Uto Ughi (vedi intervista sul n. 16 di Unico – ndr), ospite fisso della “Santità sco-nosciuta” e, come sempre, in grado di toccare con le corde del proprio violino quelle più na-scoste di ogni sentimento. Per la seconda volta, l’esimio violinista è pre-sente come consulente alla direzione artistica: “La sua esperienza è una risorsa inestimabile,” concordano Ivan e Natascia. Il Maestro è pre-sente anche come docente delle Masterclass, ripetendo così l’esperienza dell’anno scorso. Accanto alla Masterclass di violino, ci sarà anche quella di canto lirico, a cura del mezzo sopra-

no Fiorenza Cossotto, e in pianoforte, con la docenza di Giovanni Bellucci, che sarà anche protagonista di un concerto. “Le Masterclass sono dedicate ai giovani. Crediamo molto nei giovani talenti perché sono l’espressione del miglior made in Italy,” affermano i due fratelli. Tra gli ospiti di questa edizione, ricordiamo ancora un’altra esponente di spicco della tradi-zione lirica italiana: Mariella Devia. L’Abbazia di Staffarda rimane il centro di gra-vità permanente per dirla alla Battiato. Ma gli orizzonti si allargano e la ‘Santità’ approda al Teatro Sociale di Alba. E proprio qui, si esibirà Franco Battiato, guest star dell’edizione 2012. “Da Staffarda ad Alba – osserva Ivan – segna un percorso di crescita della manifestazione, la volontà di allargare i confini, creare nuove sinergie per contribuire a rafforzare il posizio-namento della provincia di Cuneo e della sua offerta culturale”. Per finire, i fratelli Chiarlo, oltre al pubblico, desiderano ringraziare tutti coloro che, oggi come ieri, con il proprio sostegno rendono possibile la “Santità sconosciuta”. “Un grazie va alle istituzioni, alle aziende, agli enti che credono in noi e investono insieme a noi, in un gioco di squadra.” Una sinergia che quest’anno si è concretizzata nella na-scita dell’Associazione “Amici della Santità sconosciuta”. “All’appello – concludono Ivan e Natascia Chiarlo, – hanno risposto liberi professionisti, imprenditori, amanti della mu-sica. Diverse personalità, un’unica passione: la cultura.”

Il Piemonte è la regione con la più ampia concentrazione di santi,

riconosciuta dalla Chiesa Cattolica.

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DALLA SERIE A ALL’AVVIAMENTO DELLE GIOVANI LEVE. IL CALCIO È UNA PASSIONE CHE NON HA FINE PER LUCA MEZZANO, EX CALCIATORE E UNO DEI COORDINATORI DEL TORINO CAMP DI SANFRONT ( VALLE PO).

DI: KATHRIN BÜCHLERPHOTO: MICHELE FINO

al qualunquismo che fa dei calciatori una ca-tegoria alla stregua dei politici “da mandare a casa”. C’è in chi si impegna tutto l’anno per giocare in modo pulito a ogni livello calcistico e c’è chi, come Luca Mezzano – torinese, clas-se 1977, un ricco passato in serie A, serie B, e soprattutto nel Torino Calcio – si occupa con autenticità e dedizione alla formazione delle giovani leve per il Torino Football Club.L’occasione per incontrare Luca Mezzano è stata un’iniziativa di grande valore sportivo, sociale ed educativo, che ormai si ripete ogni estate da dieci anni e che vede coinvolto an-che il nostro territorio. Sono i Torino Camp, “campi estivi del calcio” interamente organiz-zati e gestiti dal Torino FC in diverse località del Piemonte, selezionate nelle zone di me-dia o alta valle. In provincia di Cuneo, l’esta-

Calcio-scommesse, calciopoli, doping, sregolatezza di un mondo che da tempo

è vittima di un impietoso star system sono il lato malato del calcio che salta spesso in prima pagina, che ruba la ribalta agli esempi positivi – che pur non mancano in questo sport – che ci fa indignare e che offende la passione di chi il calcio lo sostiene tutto l’anno con la propria fede incrollabile, ma anche, dall’altro lato, la disciplina e la costanza di quei calciatori che ancora possono definirsi “atleti”. Eppure il calcio vero, quello fatto dalla passio-ne del gioco e da quel pizzico di freschezza che fa correre dietro al pallone come dei ragazzini, uniti alla disciplina e al duro lavoro di testa e gambe, c’è ancora. Nascosto dietro alle nefan-dezze e al vizio malsano dei media di creare e distruggere miti, c’è e resiste, in barba anche

Luca Mezzano autografa la maglietta di uno dei partecipanti al camp di Sanfront.Dopo una lunga carriera in serie A e B, Luca ha scelto di avviare le giovani leve al calcio, cercando non solo di allenare, ma anche di educare allo sport.

l’altrocalcio

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La provincia di Cuneo è stata scelta dal Torino FC per alcuni dei suoi camp estivi (a Dronero e a Sanfront). Un’occasione per i più giovani di conoscere grandi professionisti del passato più o meno recente e di vivere il calcio in un modo nuovo. Photo: Rwharr Stock Free Images & Dreamstime Stock Photos

te scorsa, per tutto il mese di luglio, i camp erano a Sanfront ( Valle Po) e a Dronero ( Valle Maira). Luca, uno dei coordinatori del camp di Sanfront – insieme a un altro “mostro sa-cro” di quel calcio che faceva sognare, Angelo Benucci (portiere al Torino, al Palermo negli anni ’60, ora responsabile della preparazione tecnica dei portieri del settore giovanile del Torino FC) – ci racconta la sua esperienza cu-neese in Valle Po, che in un mese ha visto il passaggio, a turnazione, di gruppi di circa 120 ragazzi dai 6 ai 13 anni, non solo piemontesi ma anche provenienti dalla Lombardia e persi-no dalla Puglia (Bari).Luca, cosa significa per te il calcio?Il calcio è tutta la mia vita. Dall’età di 7 anni, ho militato nel settore giovanile del Torino Calcio fino ad arrivare alla prima squadra, dove ho giocato come difensore per molti anni, inter-rotti da alcune esperienze presso altre squa-dre di A e B: Inter, Perugia, Verona, Reggina, Brescia, Bologna, Chievo-Verona, Triestina, Treviso. Sono cresciuto con il pallone tra i pie-di e, anche ora che non gioco più, non posso starne lontano. Cosa ti ha spinto a occuparti dei giovani?Da quando ho lasciato il calcio professionista, tre anni fa, ho deciso che dovevo nutrire la mia passione per questo sport, da un altro punto di vista, quello dell’allenamento, della forma-zione e del contatto con i più giovani. Ora sono responsabile della squadra Esordienti del ’99 e da poco anche della squadra Allievi del ’97. Quando si gioca ai massimi livelli, si per-de spesso la passione per il calcio, schiacciati dallo stress del campionato e dalla necessità di prestazioni sempre all’altezza del gioco: venire a contatto con la freschezza e la spontaneità dei ragazzi ha rinnovato in me questa passio-ne. Allenare i più giovani ti fa capire che lo spi-rito di squadra, la voglia di giocare anche per fare gruppo e creare affiatamento, sono quegli stimoli più puri che spogliano il calcio di molti orpelli, riportandolo alla sua essenza.

Come ti sei trovato in provincia di Cuneo e cosa ti lascia questa esperienza?A Sanfront come a Dronero, dove i Torino Camp ormai sono storici, le esperienze sono sempre positive. Personalmente, a Sanfront ho trovato un’ottima accoglienza da parte della gente del posto e una valida struttura: la casa vacanze che ci ha messo a disposizione il Comune è accoglien-te e ben equipaggiata, ma soprattutto adiacente agli impianti sportivi, anche questi ben mante-nuti. Ma ciò che mi rimarrà di questo camp sarà il contatto umano stabilito con i bambini e i ra-gazzi più alti. Con ogni gruppo, abbiamo cercato UN

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di stabilire un’intesa che non ha mai tardato ad arrivare… In realtà, il gioco vero e proprio e gli allenamenti sono solo un aspetto del camp, che punta molto sull’affiatamento tra i ragazzi e, in particolare per i più piccoli, sul divertimento. In questo modo, i bambini si avvicinano allo sport in modo sano ed educativo, e recepiscono che il calcio è la gioia di fare goal, ma anche di pararlo o di fare il giusto passaggio etc, sempre grazie al gioco di squadra. Per questo, la sera è sempre prevista attività di animazione e al termine del-la settimana si tiene una simpatica e goliardica cerimonia di premiazione, con la consegna di medaglie e coppe per la gratificazione di tutti i partecipanti, grandi e piccoli, nessuno escluso, poiché tutti ricevono almeno un premio.Qual è il momento del tuo passato da profes-sionista che ricordi con maggiore emozione?Sicuramente, l’ultima partita del campionato 2004-2005 (Torino-Perugia), l’ultima stagione

della mia militanza al Toro. Una partita memo-rabile, epica, che si tenne il 26 giugno del 2005 in un Delle Alpi mai così carico di pubblico dopo la finale di andata della Coppa Uefa del 1993 (Torino-Ajax). In 70.000 assieparono gli spalti durante la finale, che finí 0-1 per il Perugia, ma che ci fece comunque guadagnare la promozio-ne in serie A, in virtú della nostra vittoria in casa loro nella partita di andata (1-2). La società, che portava il nome di “Torino Calcio”, purtroppo, fallì per debiti nell’agosto successivo, in un alta-lenarsi di gioie e dolori che i tifosi del Toro ben conoscono, ma quella esperienza mi è rimasta nel cuore.Un bell’esempio, dunque, quello di Luca Mezzano, un vero sportivo che ha vissuto il cal-cio ai massimi livelli, ma che ha saputo rimanere coi piedi per terra per mettersi al servizio dei più giovani e contribuire a costruire un calcio “uma-no”, che parte davvero “dal basso”.

La goliardica e simpatica consegna dei premi ai ragazzi, al termine del camp a Sanfront. A sinistra, Luca Mezzano. A destra, Angelo Benucci, portiere al Palermo e al Torino negli anni ‘60.

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notte dellaricercaL’INIZIATIVA “LA NOTTE DEI RICERCATORI VII EDIZIONE 2012” È NATA NEL 2005 SU INIZIATIVA DELLA COMMISSIONE EUROPEA. COINVOLGE OGNI ANNO MIGLIAIA DI RICERCATORI E ISTITUZIONI DI RICERCA.

DI FRANCESCO DOGLIOPHOTO: CENTRO INTERUNIVERSITARIO AGORÀ SCIENZA

ranea all’evento – il laboratorio con il ragno radioattivo la cui puntura causa a Peter Parker quei simpatici effetti collaterali che i ragazzini ben conoscono (dopotutto sia Pester “Uomo ragno” Parker, sia il piccolo animaletto sono americani), ma le sorprese non mancano. Un giro tra gli stand e una capatina agli altri appuntamenti in programma valgono sicura-mente la pena.La data da segnare sul calendario è venerdì 28 settembre. I manifesti e il programma si intitolano “La notte dei ricercatori, VII edi-zione 2012”: un’iniziativa della Commissione Europea nata nel 2005, che coinvolge ogni anno migliaia di ricercatori e istituzioni di ricerca in tutti i Paesi riuniti dalla bandiera azzurra d’Europa. “L’obiettivo – si legge nella presentazione ufficiale del progetto – è quello

Squilli di trombe e rullar di tamburi: an-che a Cuneo è arrivata la “Notte dei

Ricercatori”, un’intera giornata dedicata allo spettacolo della Scienza, quella fatta con le mani e il cervello, quella per cui ci si “spor-ca” e si sperimenta. La piazza, presso la sede della Facoltà di Agraria, sul “pizzo” di Cuneo, si anima di numerosi piccoli laboratori, creati apposta per permettere al pubblico di osser-vare dal vivo cos’è il lavoro del ricercatore, per spiegare ai curiosi di ogni età che scienza e ricerca non sono cose noiose e che il ricer-catore non ha per forza la barba bianca e una calvizie incipiente. No, la ricerca è viva, friz-zante, divertente.Forse a Cuneo non ci sarà – e quasi certa-mente nemmeno a Torino o nelle oltre 300 città europee che partecipano in contempo-

La notte è l’occasione per vivere una festa all’aperto dove la curiosità dei bambini, ma anche dei genitori e degli studenti, viene sollecitata dalle più recenti ricerche scientifiche e dai più curiosi esperimenti sul campo mai realizzati.

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di creare occasioni di incontro tra ricercatori e cittadini per diffondere la cultura scientifica e la conoscenza delle professioni della ricerca in un contesto informale e stimolante”.Si tratta, in pratica, di una bella festa dove la curiosità dei bambini, ma anche quella dei ge-nitori e degli studenti, viene solleticata dalle più recenti scoperte scientifiche e dai più cu-riosi esperimenti “sul campo” mai realizzati.L’anno scorso, per esempio, il Liceo Scientifico ha aperto la specola – la cupola che dà ripa-ro a un grande telescopio – e ha iniziato una sessione di osservazione del cielo stellato, mandandola in diretta streaming a una sala conferenze assiepata di pubblico. I visitatori, inoltre, hanno apprezzato in modo particola-

re lo stand di un dipartimento universitario di neuroscienze che ha portato in piazza un enorme cervello luminoso, diviso nei suoi due emisferi: i ricercatori hanno letteralmente sudato sette camicie per rispondere a tutte le domande dei ragazzi e dei bambini che pas-savano di lì.“Ha poi riscosso molto successo il progetto Appa – racconta Gianni Latini, coordinatore della Notte dei ricercatori di Cuneo, compo-nente di Agorà-scienza, il centro interuniversi-tario di Torino che organizza l’evento piemon-tese – presentato dalla Facoltà di Farmacia. Nel laboratorio si poteva giocare a costruire piccoli farmaci, come pastiglie e compresse: il progetto, in generale, era stato realizzato per consentire una facile produzione di me-dicinali base nei Paesi del terzo mondo. Per i bimbi cuneesi, invece, è stato molto diver-tente poter toccare con mano, sperimentare, vedere un prodotto finito”. Lo scorso anno, a Cuneo sono state registrate circa 1.500 perso-ne, quest’anno si spera che la cifra raggiunga le 2.000 unità. La novità di questa edizione sono i cosiddet-ti “Caffè scientifici”, momenti di ritrovo che vengono organizzati, in Piemonte, in quattro città delle sette partecipanti, e che a Cuneo si tengono al Café Cuba, in Piazza Europa. “In breve – afferma Latini – si tratta di cinque in-contri informali di mezz’ora, durante i quali un ricercatore presenta il proprio lavoro e ne discute con il pubblico, rispondendo a qualsi-asi domanda”.

Uno scorcio della Facoltà di Agraria a Cuneo,fa da coreografia a uno dei tanti totem che

pubblicizzano la Notte dei Ricercatori.

Le vie delle città pullulano di occhi alla ricerca del mistero da svelare, dell’incognita da palesare, della

formula matematica fondamento di verità.

La novità di quest’anno sono i“Caffè scientifici”. Sono incontri

informali, durante i quali il ricercatore presenta il proprio lavoro e lo discute

con il pubblico.

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A Torino sono previsti circa 50 stand, mentre a Cuneo saranno 15. Il programma cuneese, nello specifico, è così suddiviso: il mattino è dedicato alle scuole, con esperimenti e mostre in compagnia dei ricercatori. Due le sessioni accompagnate: dalle 9,00 alle 11,00 e dalle 11,00 alle 13,00. Alle 15,30, sempre per gli studenti, da non perdere il laboratorio di-dattico a cura di Circo Scienza, nella zona pe-donale di Piazza Torino, di fronte alla Facoltà di Agraria. Alle 15,30, in contemporanea, si aprono ufficialmente le porte degli stand al pubblico. La giornata termina alle 20,45, con lo spettacolo Prof. Pietrosky e il coniglio nel cappello, sempre a cura dei teatranti di Circo Scienza: una rappresentazione, ovviamente, con temi e contenuti di carattere scientifico. Anche in questo caso, l’appuntamento è nella zona pedonale di Piazza Torino, davanti alla Facoltà di Agraria.

“L’evento rappresenta una giornata molto in-teressante per adulti e bambini – spiega Latini – ma, cosa forse difficile a credersi, anche per gli stessi ricercatori. È capitato e capita con-tinuamente, in occasioni di questo genere, quando i bambini si mettono a far domande, che proprio l’ingenuità e la freschezza menta-le dei più piccoli riesca a porre quesiti ai quali tutti credono di poter facilmente dare una risposta, ma che a ben vedere, sono i più dif-ficili da spiegare. Ecco che, allora, questo mo-mento diventa un importante banco di prova per il ricercatore, per testare la sua capacità di divulgazione”. Martedì 25 settembre (Cuneo, Salone d’Ono-re del Municipio, ore 11,00) è la data in cui è prevista la conferenza stampa di presentazione dell’evento. Per saperne di più: www.nottedei-ricercatori.it, dal quale si accede ai sette proget-ti in programma su tutto il Piemonte.

Cuneo, laboratorio di Biologia: funghi e batteri diventano protagonisti davanti agli occhi dei bambini che non smettono di porsi domande e sono a caccia dei perché.

Anche gli studenti delle Scuole Superiori sono sempre interessati a progredire e provare sul campo esperimenti che rendono più agevole la comprensione di fatti e reazioni.

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L’AZIENDA, LEADER IN ITALIA E ALL’ESTERO,MANTIENE DISTINZIONE PER SOLIDITÀ E AFFIDABILITÀNEL MERCATO DELLE PORTE INTERNE.

mentata sulle innovazioni del nuovo millennio, la tecnologia, la matematica, il design, ma dove la porta è trattata in parte artigianalmente, come fosse un abito di sartoria. Vanto assoluto dell’Azienda è di trattare i pial-lacci manualmente: le pregiate lamine sono se-lezionate e accoppiate dalle mani degli operai artigiani che scelgono i pezzi migliori e affini, con l’obiettivo di dare vita a porte dal design ini-mitabile e raffinato. Operazioni guidate dall’oc-chio umano, come non si pratica più. Grazie alla manualità, al gusto personale e alla sensazione di chi tratta il legno, ogni porta è un pezzo uni-co. L’operaio diventa così artista, mosso da quel qualcosa in più che fa la differenza: la Passione. Questa estrema cura nel trattare la materia prima è valida anche per tutte le fasi del ciclo industria-le, in cui ogni lavorazione subisce un costante

“Porte che hanno un’anima” è la filosofia FerreroLegno. Le fibre del legno, dono

della natura, sono trattate dalla mano dell’uomo per innestarvi il futuro corpo di un prodotto protagonista e ricco di sfumature: la porta inter-na. Dal nome semplice e rassicurante, come la figura del falegname che lavora il legno, materia-le comune e aristocratico al tempo stesso, oggi quest’Azienda è leader nel settore delle porta di Alta Qualità. Nata più di sessant’anni fa in un pa-esino del cuneese, Farigliano, come falegname-ria a conduzione famigliare, grazie al geometra Ferrero si trasforma da laboratorio a grande in-dustria, in continua crescita ed espansione.Nell’antico laboratorio di Farigliano si pratica ancora il delicato processo dell’impiallacciatura, mentre lo stabilimento industriale di produzio-ne si trova a Magliano Alpi. Un’industria imple-

Collezione EQUA Modello ST YLA laccato bianco su Telaio CONTINUO versione a spingere e a tirare.

Nella pagina seguente:Luca De Micheli Stradivari Responsabile Commerciale & Marketing Estero durante un intervista a Praga.

Collezione INTAGLIO Modello INTAGLIO/10 VETRO in Noce Nazionale e Cristallo decorato Extrachiaro su Telaio MINIMAL.

ferrerolegnoporte protagoniste

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controllo qualità. Lo staff di progettisti interni la-vora in forte sinergia con tutti i reparti, creando sia nuove ed eleganti proposte da inserire in ca-talogo sia realizzazioni su ordinazione di modelli desiderati. Per questi e moltissimi altri motivi, la FerreroLegno da alcuni anni sta conquistando anche il mercato estero. Parliamo del sempre cre-scente successo con Luca De Micheli Stradivari, Responsabile Commerciale e Marketing per l’Estero, propulsore dell’internazionalizzazione dell’Azienda. “La scelta accurata di materiali sem-pre di ottima qualità, l’armonia fra bellezza e pra-ticità, la filosofia green, la ricerca costante, sono i punti di forza dell’Azienda. Concetti e azioni che si concretizzano in tre linee di prodotti che si snodano in un ampio spettro di possibilità, rea-lizzando i sogni di possedere delle porte uniche, su misura. Perché, recita lo slogan, i particolari non sono dettagli. Porte create sempre a favore della bellezza, caratteristica del nostro marchio, ed affiancate da una ricerca continua: una nostra novità esclusiva è il Telaio Continuo: le porte, quelle da spingere e quelle da tirare, grazie ad un unico telaio, presentano in entrambi i casi la perfetta complanarità, a vantaggio della perfezio-ne del design unito alla praticità. Un’idea sem-plice per un effetto di equilibrio e compostezza a livello visivo. FerreroLegno ha saputo cogliere con lungimiranza le prime avvisaglie della crisi – prosegue Luca De Micheli Stradivari – e ha rea-gito con la scelta di creare un mercato all’Estero. Creare – chiarisce – cioè avviare una precisa li-nea d’azione: agire e non subire, proporsi e non conformarsi. Ci siamo adoperati ad esportare l’italian styling e a proporre l’identità dell’Azien-da negli altri Paesi. Oggi siamo presenti in otto

Stati in modo costante: nel bacino europeo, in Costa Azzurra, nell’ex cintura dell’Est europeo, in Russia. Questi Paesi sono stati selezionati poi-ché ritenuti pronti ad accogliere la nostra filoso-fia”. L’Azienda ha saputo fare appello alle pro-prie capacità interne di flessibilità per compiere questo importante processo di avanzamento, dal punto di vista logistico e commerciale, e render-si accessibile al Paese ospitante senza mai farsi contaminare nell’essenza. Grande qualità della FerreroLegno, l’essere sempre coerenti con se stessi. Cosa si aspetta dal futuro? Il dottor De Micheli Stradivari è determinato a proseguire nel rafforzamento del processo d’internaziona-lizzazione, a sviluppare ed ampliare le politiche di vendita, tenendo sempre presente il sistema di valori incontaminati della famiglia Ferrero. Ed è certo che sarà un percorso di soddisfazioni.Proprio come una porta condurrà sempre e solo nella stessa direzione, avanti.

FERREROLEGNO SPAS.S. 28 del Colle di Nava, 2612060 Magliano Alpi (CN) - [email protected]

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PAROLA DI ANGELO DADDA, CEO DI LOOPING. UNA GIOVANE AGENZIA DI COMUNICAZIONE CHE DA SAVONA PRENDE IL LARGO VERSO IL RESTO DEL MONDO.

le e internazionale”. Nel suo percorso Dadda incontra la Liguria: “Mi sono fatto conquistare da un imprenditore savonese che aveva una collaborazione con il Sole24Ore. Mi hanno proposto di realizzare un importante progetto televisivo e ho accettato. Ho, quindi, lasciato la mia società e da Milano ho posto le basi per l’attività nel savonese”. Le scelte professionali si incrociano con quelle di vita. “Ho conosciuto mia moglie, nel frattempo mi sono disinnamo-rato dei ritmi frenetici milanesi. Da qui la deci-sione di trasferirmi a Savona”. Marito e moglie rilevano da il Sole24Ore una società che si oc-cupa di comunicazione ed editoria. Dopo un po’ l’azienda si sdoppia e da questa operazio-ne nasce Looping: ufficio stampa, advertising e comunicazione a 360°. Non poteva mancare l’attività su Facebook e sugli altri più importanti

Amore e lavoro. Sono i motivi che legano Angelo Dadda a Savona. La sua è un’av-

ventura imprenditoriale iniziata all’ombra della Madunina e approdata in seguito nella città li-gure. Dall’unione professionale con la collega Simona Finessi che poi diventerà sua moglie e suo socio, oltre che una splendida figlia è nata anche Looping. Si tratta di una giovane agen-zia di comunicazione con una lunga storia alle spalle. Quella di Angelo, appunto: “Sono nato e cresciuto a Milano, e lì mi sono fatto le ossa nel mondo della creatività”. Una storia con il gu-sto della sfida come filo conduttore: “Sempre a Milano ho fondato una società formata da un architetto, un designer e un grafico, cioè io: questa struttura così composta ci dava la pos-sibilità di garantire una rete integrata di servizi ai nostri clienti, crescendo in ambito naziona-

looping:un mare di idee

LOOPING20123 Milano via Camperio, 920143 Milano via Pestalozzi, 1017100 Savona via Cimarosa, 55Rtel. +39.019.838411 - cell. +39.348.6707560www.facebook.com/ufficiostampa.looping www.looping-italy.com

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social network: “I nostri professionisti curano i profili di una serie di aziende che - attraver-so la capacità di Looping di gestire al meglio le potenzialità del mezzo – hanno visto aprirsi nuove opportunità per raggiungere il target di riferimento”. Il tutto all’insegna della slow life ligure, che si respira lungo il mare di Savona e della strong life che si vive fuori sul campo in tutto il resto d’italia: “Molti clienti infatti amano venire qui per le riunioni, perché il lavoro settimanale in-tenso si alterna a weekend fatti di passeggiate sulla spiaggia, giri in barca o magari una punta-ta al ristorante amico per gustare le specialità di pesce”. Si chiama cordialità speciale, ma se vogliamo essere professionali allora meglio parlare di re-lationship marketing: “È il pilastro della nostra attività: creare rapporti friendly con i clienti per rafforzare la sinergia fatta di idee e tessere rap-porti sempre più fidelizzati e vantaggiosi”. Questo è solo uno dei punti di forza di Looping: “Flessibilità, velocità, continuo desi-derio di trasformazione caratterizzano il nostro modo di operare. La squadra è formata quasi esclusivamente da senior, ma sono giovani e contano su esperienze importanti, maturate anche all’estero”. Giornalisti, copywriter, grafi-ci, media-planner, web designer, social network expert e account gestiscono il portfolio clienti tra Milano e Savona. Looping opera come uf-ficio stampa e comunicazione in diverse aree merceologiche: dal design all’ottica, dall’archi-tettura alla farmaceutica. Diversi settori, un’u-nica mission: mettere al centro il brand, con-durre il cliente per mano verso nuovi orizzonti con l’obiettivo di rafforzare il posizionamento della sua azienda e contribuire a migliorare le prestazioni commerciali. Una mission che Looping persegue quotidianamente, ma anche in situazioni speciali. È il caso di Ceramiche Sant’Agostino, l’azien-da ferrarese colpita dal terremoto del maggio scorso. “Sì, abbiamo veramente gestito una

situazione difficile. Il sisma ha messo tempora-neamente ko la sede dell’azienda il cui parziale crollo ha causato purtroppo anche la morte di due operai sotto le macerie”. Nei giorni seguenti Ceramiche Sant’Agostino è stata visi-tata dal Presidente del Consiglio Mario Monti e dal Presidente del Protezione Civile Franco Gabrielli, oltre che da altre importanti perso-nalità politiche: “Il team di Looping ha curato minuto per minuto i contatti con i media nazio-nali e internazionali. È stata un’esperienza uma-na oltre che professionale significativa. Lo dico senza presunzione, ma anche grazie al lavoro di Looping, Ceramiche Sant’Agostino è diventata nel mondo testimonial dell’Emilia che vuole re-agire e tornare protagonista”. Un sinergia que-sta che guarda al futuro: “Looping ha promos-so l’incontro di Ceramiche Sant’Agostino con il designer Philippe Starck, da cui è nata una collaborazione. Sarà la nostra agenzia a curare la comunicazione per il lancio della nuova linea di ceramiche by Starck che sarà presentata al Cersaie di Bologna”. Creare opportunità, dunque: per le aziende pronte ad affrontare un mercato fatto di insi-die, ma anche di occasioni. “Chi accetta questa sfida trova Looping al suo fianco nella comu-nicazione b2b. Nel corso degli anni abbiamo creato attraverso una consolidata rete di rela-zioni di alto livello una serie di contatti reali; è il nostro serbatoio di conoscenze che mettiamo a disposizione dei clienti”. Con questa filosofia Looping è sempre più orientata a promuovere l’internazionalizzazio-ne delle pmi italiane nei mercati che oggi sono in maggior espansione: Cina e Brasile. “L’eccellenza industriale made in Italy è sinoni-mo di qualità ecosostenibile e in questi paesi, in cui lo sviluppo industriale è cresciuto di pari passo con l’inquinamento, questo aspetto è un plus vincente”. Insomma, il made in Italy ha an-cora molto da dire, e affidarsi a Looping signifi-ca trovare il modo giusto per dirlo. Da Savona si salpa verso il futuro con un mare di idee.

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INTERESSANTE VIAGGIO NELLA CHIESA PIU’ IMPORTANTE DI SALUZZO CHE I MARCHESI PRESERO SOTTO LA LORO PROTEZIONE ED ELESSERO A SEPOLCRO. UN PROGETTO DI RIESUMAZIONE STA FACENDO PARLARE DI SE’.

DI VILMA BRIGNONE PHOTO: DARIO FUSARO

Stato, mecenate, viceré di Napoli per la corona francese (1503), il sovrano che elevò Saluzzo al rango di capitale rinascimentale. La cappella sepolcrale in San Giovanni fu un progetto travagliato, iniziato con Tommaso III e portato a termine da architetti milanesi su commissione di Margherita di Foix, la consorte di Ludovico II, dopo la sepoltura del Marchese, avvenuta il 7 febbraio 1504. Ludovico II morì all’età di 65 anni, a Genova, il 27 gennaio, dove esservi giunto a seguito della sconfitta nella bat-taglia del Garigliano, durante la guerra contro gli Spagnoli in difesa di Napoli. Guerra che aveva combattuto a fianco di Luigi XII e in cui era al co-mando dell’esercito. Il suo corpo fu trasportato a Saluzzo, scortato da ufficiali e soldati francesi e nella sua città fu sepolto con tutti gli onori. Fu con molta probabilità imbalsamato, come riporta

A Saluzzo, prima della costruzione della Cat-tedrale, San Giovanni era la chiesa più im-

portante della città che i Marchesi presero sotto la diretta protezione ed elessero a loro sepolcro. Dietro l’altare dell’edificio dalle “belle forme go-tiche”, che è oggi il risultato di sette secoli di tra-sformazioni a partire dal 1281, si trova la cappella funeraria dei Marchesi di Saluzzo, dedicata al Santo Sepolcro. La decorazione scultorea della tomba, a pianta pentagonale con pareti rivestite in lastra grigia e inserti in pietra verde, rappre-senta una delle testimonianze più alte del patri-monio artistico locale: è uno dei massimi esempi di gotico flamboyant di ispirazione francese, scri-ve Lea Carla Antonioletti nella sua guida alla città (Saluzzo. I tesori del Piemonte). Nella nicchia di sinistra, si trova il monumento funebre, in mar-mo bianco, di Ludovico II: condottiero, uomo di

Saluzzo, la città vecchia.A destra, il campanile del San Giovanni.Photo: Città di Saluzzo - Dario Fusaro.

Chiesa S. Giovanni, affreschi cappella S. Crispino. Photo: Città di Saluzzo - Dario Fusaro.

le segretedi san giovanni

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lo storico Delfino Muletti citando documenti del tempo: “Cum preziosi aromati fatto imbalsamare e condire dalli chirurgici e barbitonsori”.A più di 500 anni dalla morte, la sua mummia, come i resti di altri sei Marchesi (Federico I, Tommaso I, Federico II, Tommaso III, Ludovico I e Gabriele, ultimo Marchese di Saluzzo) sepolti in tombe ancora misteriose, ma presumibilmen-te nell’area sepolcrale sotto il pavimento di San Giovanni, potrebbero scrivere altre importanti pagine di storia, come di archeologia e antro-pologia, dando un importante contributo alla medicina, attraverso lo studio delle malattie da cui furono colpiti.

LA RIESUMAZIONEDEI MARCHESI DI SALUZZO Un interessante progetto scientifico lancia la pro-posta di riesumare la famiglia dei Marchesi di Sa-luzzo, come già avviene per altre grandi dinastie in Italia (gli Aragonesi a Napoli e i Medici a Firen-ze). L’idea fa capo a un giovane medico saluzze-se, Raffaele Gaeta, classe 1985, appassionato di arte e storia locale, laureato all’Università di To-rino con la tesi Studio istologico di un campione di mummie rinascimentali italiane (XV-XVI sec). Specializzando in Anatomia Patologica, collabora con il Professor Gino Fornaciari, direttore della divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa, uno dei giganti internazionali, nonché uno dei “padri fondatori” di questa scienza che stu-dia il passato dei resti umani per contribuire alla crescita di discipline del futuro. Uno “scienziato-detective”, così viene definito, per aver svelato i segreti di grandi personaggi storici conducendo l’autopsia su ciò che rimane dei loro corpi. Tra questi, il Signore di Verona, Cangrande della Sca-la, il musicista Luigi Boccherini, Papa Gregorio VII, Sant’Antonio da Padova, Santa Zita da Lucca, Ferrante I Re di Napoli (1431-1494; coevo del Marchese di Saluzzo).“C’è uno scopo scientifico e uno culturale nella paleopatologia – spiega Raffele Gaeta, – poi-ché consente lo studio di malattie rintracciabili

in scheletri e mummie del passato e permette di fornire un quadro ‘biologico’ di determinate popolazioni: stato di salute, abitudini alimentari, stili di vita, ambiente. Una scienza che, mediante tecnologie biomediche e tecniche radiologiche (come la Tac), permette di studiare l’origine di

alcune importanti patologie dell’epoca attuale, come il cancro e l’arteriosclerosi, per esempio, oppure l’origine e le vie di diffusione di malattie infettive. Proprio il corpo di Ludovico II, se im-balsamato, potrebbe dare numerose informazio-ni sulla nostra storia locale.”

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Si dilata così la prospettiva culturale e turistica della Chiesa di San Giovanni. Alla dimensione di tesoro d’arte, si aggiunge, infatti, ciò che si cela sotto le numerose botole del suo pavimento, una delle quali davanti al mausoleo di Ludovico II: una necropoli, già raccontata dai testi storici del XIX secolo del Muletti e del Lobetti-Bodoni, che Raffaele Gaeta ha esaminato.

UN PIANO DI LAVOROPER LA NECROPOLI SAN GIOVANNI“Non c’è ancora una stesura definitiva e formaliz-zata del progetto, poiché si ritiene che la ricerca storica e archivistica non sia ancora completa – illustra il medico saluzzese. – Si tratta di uno stu-dio tafonomico (delle sepolture) dell’area sepol-crale sotto il pavimento di tutto il San Giovanni, con una particolare attenzione alla localizzazione delle sepolture dei Marchesi. Sicuramente, sotto la superficie della chiesa, sono presenti piccole cripte o camere sepolcrali, dove il ceto nobile aveva il privilegio di seppellire i propri cari sin dall’epoca medioevale. La riesumazione e lo stu-dio di questi corpi potrebbe raccontarci di come gli antichi Saluzzesi erano soliti vivere, alimentar-si, di quale patologie soffrissero e quale fosse il loro aspetto. Informazioni ‘biologiche’ ma non

solo... anche archeologiche, con lo studio di re-perti, come corredi funebri o eventuali strutture più antiche.”

LA PROCEDURA“Per realizzare il progetto si procederebbe a un’attenta mappatura di tutti gli accessi alle ca-mere sepolcrali sotto il pavimento, in base a pla-nimetrie e disegni ottocenteschi: il pavimento moderno, dell’inizio del XX secolo, ha coperto infatti molte botole preesistenti – afferma Gaeta. – Ma soprattutto verrebbe impiegato il georadar che, grazie agli ultrasuoni, è in grado di descrive-re la morfologia sotto la superficie. Successiva-mente, si dovrà accedere a tutte le cripte, abside compresa, per studiarle e prelevare gli individui inumati, primi tra tutti i Marchesi. Gli scheletri sarebbero poi trasportati nel nostro laboratorio del Dipartimento di Paleopatologia di Pisa per lo studio vero e proprio (pulizia, restauro, radiogra-fie, misurazioni e valutazioni antropologiche).” Il progetto, che ha un costo stimato di circa 15.000 euro – come riferisce Raffaele Gaeta – è già stato esposto al Comune di Saluzzo e alla Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo, su-scitando interesse. Non manca, inoltre, il nulla osta del Marchese Carlo Gustavo Del Carretto,

Il dottor Raffaele Gaeta esegue una tac su una mummia nella Divisione di Paleopatologia di Pisa.

Photo: Enzo Cei.

Chiesa S.Giovanni Cappella sepolcrale dei Marchesi.Photo: Città di Saluzzo - Dario Fusaro

Lastra in marmo davanti al mausoleo di Ludovico II.Photo: Raffaele Gaeta.

LA CHIESA DI SAN GIOVANNI La Chiesa di San Giovanni, nel centro storico di Saluzzo, ha subito nel corso di sette secoli notevoli cambiamenti strutturali. L’esterno presenta una facciata a salienti su cui è stato realizzato ad affresco (1929) un imponente San Cristoforo. L’interno della chiesa, accessibile mediante una suggestiva gradinata, è suddiviso in tre navate: lungo quelle laterali, sono dislocate varie cappelle, fra le quali quella dei Santi Crispino e Crispiniano, con un ciclo di affreschi del XV secolo. Nella zona presbiteriale, ha sede l’altare maggiore, ornato da un imponente tabernacolo ligneo dorato. Nel coro si trova, invece, la Cappella funeraria dei Marchesi di Saluzzo. Dalla navata sinistra, si accede al chiostro del convento, edificato nel 1466 dal Marchese Ludovico I. Sul lato occidentale, si apre la Cappella Cavassa, che ospita il monumento funebre di Galeazzo Cavassa, Vicario Generale del Marchesato. Sulla stessa manica, infine, il refettorio con un grande affresco che raffigura la Crocifissione e Santi.All’interno del convento di San Giovanni, ha sede ora il “Resort San Giovanni”. www.saluzzoturistica.it

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Chiesa S.Giovanni, altare e volta.Photo: Città di Saluzzo - Dario Fusaro.

Particolare degli affreschi cappella S. Crispino. Photo: Città di Saluzzo - Dario Fusaro.

interpellato in qualità di discendente di molti dei signori sepolti in San Giovanni. Un dialogo, invece, deve essere ancora aperto con i Servi di Maria, l’ordine religioso proprietario del com-plesso di San Giovanni, e con le Sovrintendenze di competenza. “Esula dal mio compito di pa-leopatologo – conclude il medico – ma il mio sogno di Saluzzese sarebbe quello di vedere San Giovanni al centro di un vasto piano di riqualifi-cazione e restauro con percorsi all’interno della chiesa, forniti di pannelli illustrativi e (magari!!) teche con esposti eventuali reperti.”

UN’ANTEPRIMA STORICA DELLE CRIPTE In attesa di un avvio lavori, ricordiamo che la “necropoli” di San Giovanni era già stata visitata e descritta, in anteprima, dallo storico Lobetti-Bodoni in un saggio del 1898: “Chi scrive questa memoria è sceso nelle cripte sotterranee. Pas-sando per la stretta botola (ora cementata – ndr) in cui si calavano i feretri marchionali, situata da-vanti al mausoleo di Ludovico II e coperta da una lastra di marmo su cui figura scolpita l’arme gen-tilizia dei Marchesi di Saluzzo. Un nauseabondo odore di chiuso e di terra d’umani umori grassa, colpisce subito il profano visitatore di quelle cripte. Alla prima dolorosa impressione, una se-conda macabra addirittura si aggiunge. Toccato il suolo del sotterraneo, si deve camminare su stinchi e tibie e altri avanzi umani. Spentasi la fa-miglia marchionale, furono quelle cripte dai mo-naci domenicani scelte a loro sepoltura. Colme che furono esse e ben murate, vennero i feretri dei pii monaci calati giù per l’incomoda botola

e allineati sotto le arcate del sotterraneo, e colà abbandonati senz’altro. Su quei feretri s’abbatte-rono gli anni, i secoli – nel silenzio si consuma-rono i corpi e tarlaron le casse – qualche volgare profanatore, là sceso, non seppe rispettare il sonno ultimo dei dormienti e le ossa scompose, spargendole per i sotterranei. Di diversi feretri rimase inviolata la giacitura, e si vedono scheletri neri, con la croce al collo, e i resti del cordone domenicano alla cintola. Memoria alcuna de’ Marchesi di Saluzzo in quel triste luogo non si trova”.Ma ciò che gli occhi non hanno individuato oltre un secolo fa, gli ultrasuoni del georadar potreb-bero ritrovare a breve.

Un interessante progetto scientifico lancia la proposta di riesumare

la famiglia dei Marchesi di Saluzzo.

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IL MESE DELLA CULTURA A MONACOYACHT & LUSSOSULLA COSTA AZZURRA

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LIONEL RICHIE IN CONCERTOCon un suo lento, SAS il Principe Alberto e la Principessa Charlene hanno aperto le danze del Gala della Croce Rossa di quest’anno. Un tuffo nei ricordi pop degli Anni ’80, che in qualche modo ha anticipato la notizia dell’esclusivo doppio concerto di Lionel Richie nel Principato di Monaco. Due sono le date per il cantante americano, ex frontman dei Commodores (2 e 3 novembre), per le quali sono previsti due palcoscenici prestigiosi: quello della Salle des Etoiles (Sporting) il 2 novembre e della Salle Garnier dell’Opéra di Monte-Carlo, il giorno successivo. Intanto, per scaldare l’ambiente con un sound decisamente più rock, è la cantante e poetessa americana Patty Smith a calcare le scene monega-sche, con un concerto il 17 settembre per presentare il suo ultimo album Banga.

Durante il mese di ottobre, l’Ambasciata Italiana a Monaco, in collaborazione con la sede monegasca della Scuola Dante Alighieri, il Comites e l’Asso-ciazione Imprenditori Italiani a Monaco, orga-nizza una serie di eventi dedicati alla cultura, alle eccellenze enogastronomiche e alle varie espressioni della creatività italiana. Tra questi, da non perdere lo spettacolo proposto dall’Associazione “Monaco-Italie”: il Pinocchio di Massimiliano Finazzer Flory, una rivisitazione teatrale ispirata alla favola di Carlo Collodi, in scena giovedì 18 ottobre, alle 18,30 presso la Salle du Ponant, al Centre des Rencontres Internationales di Monaco (Avenue d’Ostende, 12). Da segnalare, come indicato anche dall’Ambasciato-re Antonio Morabito, la presenza della città di Arezzo e della Regione Marche, che sono, in questa occasione, i rappresentanti del made in Italy di alta qualità e che beneficiano della vetrina internazionale offerta dal Principato di Monaco per promuovere il “Sistema Paese”. Il tutto, in coincidenza con la XII Settimana della Lingua Italiana del Mondo, dedicata quest’anno a “L’Italia dei territori e l’Italia del futuro”.

Dopo il Salone Nautico di Cannes, l’ap-puntamento per gli yacht più esclusivi è nel Principato di Monaco, dove fanno bella mostra di sé attraccati alle banchine di Port Hercules, al-lestite ad hoc per il Monaco Yacht Show 2012. Con una media dei 28.000 registrati nelle scorse edizioni, il salone nautico più esclusivo del Me-diterraneo accoglie, infatti, un centinaio di su-per e mega yacht, tra i 25 ed i 90 m di lunghezza ed è l’occasione per il lancio in anteprima mondiale di ben 40 imbarcazioni. Tra le novità annunciate, l’ultimo nato dei cantieri italiani Benetti, il mega yacht di 61 m, battezzato dal proprietario Diamonds are forever in onore al personaggio di James Bond, di cui è un appas-sionato fan. Non mancano, poi, “effetti speciali”, con il prezioso gioiello galleggiante della Spire Boat, il Crystal, decorato di diamanti all’interno. Tra le new entry presentate a Monaco, una vera e propria fuoriserie del mare: il pluridecorato super yacht Vertigo, dei cantieri neozelandesi Alloy Yachts, già nominato “Veliero dell’anno” al World Superyacht Awards 2012 e vincitore di numerosi riconoscimenti internazionali.

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VELE D’ANTAN A SAINT-TROPEZDal 29 settembre al 7 ottobre, si svolge uno degli eventi più suggestivi dedicati alle barche a vela di un tem-po. A sfidarsi sul percorso costiero, 4.000 équipiers che, come ogni anno, si ritrovano a Saint-Tropez con 300 imbarcazioni moderne e classiche per Les Voiles de Saint-Tropez. Per questa edizione, la XIV, una novità imperdibile: la sfida tra le vele della classe 15 M JI, durante una regata speciale che si tiene dal 2 al 6 otto-bre. Alla manifestazione partecipano alcuni tra i più bei velieri storici, come Mariska (Fife 1908), Tuiga (Fife 1909), Hispania (Fife 1909) e la centenaria The Lady Anne (Fife 1912).

Aerporto Cuneo ha messo a segno un’importante vittoria: una nuova rotta sulla Sardegna. Eleonora O’Connor, Sales and Marketing Executive Ryanair per l’Italia, par-lando a Cuneo ha evidenziato: “Sono lieta di annunciare che, a partire dal 9 novembre, prenderà il via questa nuova rotta. Avrà cadenza bisetti-manale in inverno e trisettimanale in estate. Prevediamo di trasportare circa 38.000 passeggeri nel primo anno di operatività. Fino ad oggi, abbiamo trasportato oltre 200.000 passeggeri sull’aeroporto di Cuneo e ci auguriamo di continuare ottime

performance. Il Piemonte è, tra le regioni italiane, quella ad avere la fetta più significativa di comunità sarda e i collegamenti sono da sempre strumenti operativi per la conciliazione tra la vita privata e lavorativa”.

L’Acquario Village festeggia il quinto fiocco nella vasca subantartica. Il piccolo pinguino di Magellano (Spheniscus magellanicus) è nato da un uovo deposto nel nido della parete della vasca espositiva. L’uovo è stato covato alter-nativamente dai genitori, gli stessi di Diana, Freezy e Frost, nati rispettivamente nel 2008, nel 2010 e nel 2011. Questa nascita dimostra come lo staff della struttura abbia saputo ricre-are le condizioni ambientali che caratterizzano l’habitat di questa specie. I pinguini di Magella-no sono animali monogami e formano coppie estremamente stabili, che possono durare tutta la vita. Vivono, allo stato naturale, lungo le coste orientali e occidentali del Sudamerica, a partire da Cile e Argentina sino a capo Horn e alle isole Falkland. Raggiungono la maturità sessuale intorno ai quattro anni, le femmine, e ai cinque, i maschi. All’interno della vasca dell’Acquario di Genova, sono riprodotte le condizioni stagionali dell’ambiente naturale in cui vivono le specie ospiti.

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Miss Italia 2011, Stefania Bivone, con fascia e corona di “più bella d’Italia”, è stata ospite, lo scorso 21 luglio, del salone Lentini Team acconciature, a Saluzzo. Il professionista sa-luzzese è stilista Wella Professional, azienda partner del concorso Miss Italia che, da oltre trent’anni, segue acconciature e look delle candidate al titolo. Flavio Lentini e la moglie Emanuela hanno curato nella passata edizio-ne l’hair style delle giovani aspiranti miss du-rante manifestazione e selezioni. Nel salone del complesso delle Corti, fresco di restyling, Stefania Bivone, 18 anni, molto ammirata per la bellezza, ha firmato autografi per i clienti e per lo staff, e si è sottoposta al trattamento professionale del parrucchiere, come aveva già fatto nel concorso nazionale. “Capelli al naturale, lisci, stile anni ’60 come voleva il tema conduttore di Miss Italia 2011” spiega Lentini anti-cipando nell’occasione la nuova tendenza autunno inverno, che “sarà una rivisitazione dei tagli anni ’80- ’90, caschetto bombato secondo lo storico stile Vergottini, tagli asimmetrici con sfumature rasate, modello Arisa”. Lo studio Lentini Team fa parte dell’Art Hair Studio, prima cooperativa di parrucchieri in Europa che opera nella haute couture del capello e colla-bora per la creazione delle nuove collezioni. È molto conosciuto anche in Spagna, dove da anni Lentini insegna nelle Accademie professionali di Barcellona.

“Siamo italiani” questa frase esprime qualcosa di più che un semplice orgoglio nazionale. È il valore aggiunto del marchio Barra&Barra, specializzato delle case passive, ad alto risparmio energetico. Romina Barra, che

gestisce l’azienda di Centallo (Cn), ci guida a capire il valore del made in Italy quando si parla di casa ecosostenibile . “Ci dobbiamo confrontare con i Paesi del nord Europa che hanno un expertise più consolidato” spiega Ro-mina. “Io stessa sono stata in Inghilterra per la tesi di laurea in bioedilizia, prima di laurearmi al Politecnico di Torino ed avviare in seguito uno studio di ingegneria”. Il passo successivo è Barra&Barra: una realtà imprendi-toriale che recepisce gli input più innovativi del settore bioedile e opera secondo i più elevati standard di performance. La spinta all’innovazione, tuttavia, si sviluppa nel pieno rispetto di una tradizione che privilegia la cura di ogni particolare. Barra&Barra è, quindi, sinonimo di progettazione e realizzazione di case passive con un assoluto punto di forza: “L’italianità: passione artigianale e gusto per il design che non hanno pari all’estero”. Questa è la chiave del successo: rispetto dell’ambiente, risparmio ener-getico uniti all’attenzione per eccellenza estetica. In più assistenza a 360° grazie a un team di esperti che seguono il progetto in ogni fase. Il tutto riassunto in un marchio leader come Barra&Barra. Il risultato? Dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, la bioedilizia di qualità parla cuneese.

Era il 1°agosto del ‘72 quando un ra-gazzino, Roby Sciandra, faceva il suo ingresso nella bottega di Barbafiore a Mondovì per imparare il mestiere. A quarant’anni di distanza da quella data mai dimenticata, Roby torna oggi al suo primo amore. Ora ha una barbieria tutta sua, sotto i portici soprani di Piazza Maggiore. “Ho voluto ricostruire la bottega del barbiere di una volta, per amore e rispetto nei confronti di questa splendida Piazza Maggiore” dichiara Roby, che a Piazza ci vive da tanti anni e vuole contribuire alla sua valorizzazione. “E sono contento di offrire agli abitanti un servizio che non c’era più.” Già lo suggerisce la piccola vetri-na, in cui sono esposti vecchi ferri del mestiere. Poi, una volta dentro, sono l’arredo, il mobilio, le poltrone del primo Novecento, che Roby ha amoro-samente ricercato negli anni presso i trovarobe e i rigattieri, a creare una fortissima suggestione d’altre epoche. E il servizio è raffinato, come sanno tutti quelli che conoscono Roby e la sua attenzione ai dettagli, dai pannicelli caldi per il viso all’insegna che corona il negozio: “Barbieria”.

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sognando... il ballo dei reUN MERAVIGLIOSO EVENTO IN GRANDE STILE CHE RIEVOCA I FASTI DI CINQUANT’ANNI FA

Il 5 giugno scorso, nella capitale, Palazzo Fer-rajoli ha spalancato le porte ai più autorevoli

rappresentanti della nobiltà, delle istituzioni e della cultura: 150 ospiti illustri per dare vita a un meraviglioso evento, ispirato al Ballo dei Re che si tenne a Napoli, a Palazzo Cassano, nel 1960.“Sognando... il ballo dei re” è stata una festa in grande stile che ha voluto rievocare i fasti di 50 anni fa, quando l’Italia assaporava il gusto della rinascita. Una realtà ben diversa dalle difficoltà dei nostri giorni, ma è proprio per questo che Sara Iannone, che ha ideato e voluto fortemente questo evento, ha scelto di far rivivere il gran bal-lo in questo momento così particolare, sia come buon auspicio per il futuro dell’Italia, sia come occasione per ricordare quel coraggio e quella forza che gli Italiani hanno saputo dimostrare negli anni dopo la Seconda guerra mondiale.“Un inno alla bellezza e al piacere di stare insie-me per ritrovare la gioia di vivere e la fiducia nel futuro” ha dichiarato la Iannone.E un simile evento non poteva non dedicare at-tenzione anche alla beneficenza. Nel corso di tut-ta la serata, infatti, è stato possibile sostenere un progetto del penitenziario minorile di Nisida, partecipando a un’asta di oggetti preziosi (di-pinti, bijou, diamanti). L’organizzazione di Sara Iannone si è fortemente ispirata allo stile che ca-ratterizzò il ballo nel 1960, richiamandone colori, profumi, suoni e sapori. La cena ha riproposto alcune prelibatezze di quel luculliano menu che fu offerto a Palazzo Cassano: dai fritti misti alla napoletana, ai bocconcini di parmigiana, dai ra-violi ricotta e pistacchi con pomodoro e basilico al lombetto del conte lardellato con olive taggia-sche e cicorietta piccante, fino al trionfo di dolci realizzati da Vincenzo Mennella, pasticcere di fama mondiale di Torre del Greco. La serata è

stata accompagnata dall’orchestra diretta dal ma-estro Jacopo Sipari di Pescasseroli che, dopo la cena, ha aperto le danze eseguendo, tra l’altro, le musiche cantate dalla soprano Sabina Cavallero di Savigliano con il suo Olimpia Group.A ricreare la magica atmosfera di quel memo-rabile ballo napoletano e degli anni ’60, hanno contribuito sia l’allestimento floreale, sia quello dei tavoli, ma soprattutto la mise di molte delle signore presenti, le quali per l’occasione hanno voluto indossare le creazioni dello stilista Luigi Bruno, che per la collezione di quest’anno si è ispirato proprio alla donna anni ’50-’60.Tra gli ospiti, oltre al Marchese Giuseppe Ferra-joli, anfitrione della serata, sono intervenuti la Principessa Doris Mayer Pignatelli, che partecipò anche al ballo del 1960, di cui ha ampiamente raccontato nella sua biografia curata da Del Vecchio, la Marchesa Dani del Secco D’Arago-na, la Principessa Daniela Pacelli, l’onorevole Catia Polidori, il giornalista Antonello De Pierro, accompagnato dall’inviata di Rai Due Daniela Miniucchi, Luciano De Crescenzo, il noto chirur-

go Angelo Fusco, il vicepresidente del Garante della privacy Giuseppe Chiaravalloti, il prefetto Fulvio Rocco, Silvana Augero, Linda Batista, Camilla Nata, Tatyana Lorenzini, Alessandro Di Pietro, Natalino Candido, Bianca Maria Lucibelli, il Barone Fabrizio Mechi di Salle, il Conte Fran-cesco Cremasco, Ernesto Carpentieri presidente dell’AEREC, Oliviero Ranieri, scultore di fama mondiale che ha arricchito la serata con l’esposi-zione di due opere meravigliose.L’evento è stato affiancato da un comitato d’o-nore, formato dal Marchese Giuseppe Ferrajoli, da Francesco Serra di Cassano, erede del Duca Francesco e della Duchessa Elena ospiti della grande festa del 1960, dal Principe Guglielmo Marconi Giovannelli, dalla Principessa Elettra Marconi Giovanelli, figlia del grande scienziato e inventore Guglielmo Marconi, dall’ambasciatore di Monaco Antonio Morabito, e dall’ambasciato-re d’Austria Christian Berlakovitz. La serata ha potuto contare anche su un comitato promotore composto, tra gli altri, da Lucilla Vitalone, Betta Scarpa e Miriam Ponzi.

a cura di Camilla Nata

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a cura di Monia Re

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risposarsiSUGGERIMENTI DI STILE E SOBRIETÀ

La “seconda volta” richiede un’attenzione particolare alla sobrietà e alla discrezione,

dunque, le persone vedove o divorziate che affrontano le seconde nozze – sicuramente felicissime di farlo e forse un po’ meno spa-ventate della prima volta – dovranno badare specialmente al buon gusto e alle buone ma-niere. Ogni sfumatura e ogni dettaglio saran-no quindi improntati a seguire le regole del bon ton che, soprattutto nel secondo matri-monio, sono indispensabili per non cadere in brutte figure.Le partecipazioni devono essere diverse dalle solite utilizzate dagli sposi, perché le nozze non saranno annunciate dalla famiglia, ma dalla coppia, che spesso già convive. In municipio, in chiesa o nel luogo romantico prescelto per la cerimonia, vanno indossati vestiti sobri e semplici. La sposa è libera di valutare ciò che preferisce, ma l’abito bianco, segno di purezza, è naturalmente più indica-to per le prime nozze. Sono consigliati toni pastello per un abito elegante e raffinato, sen-za velo, da sostituirsi eventualmente con un meraviglioso cappello! E per una festa che ha il sapore dell’essenza, niente di meglio che in-vitare solo gli amici più intimi, scelti con cura.Può capitare che gli sposi in seconde nozze abbiano dei figli da relazioni precedenti; in questo caso è importantissimo dare grande prova di sensibilità, cercando di coinvolgere ovviamente il più possibile eventuali figli nati dalla propria unione, ma ancora di più quelli dei matrimoni precedenti, che solitamente sono meno inclini ad approvare il festeggia-mento. È quindi apprezzabile la premura di parlarne con loro, nei tempi e nei modi dovu-ti, senza metterli di fronte al fatto compiuto.

Inoltre, se si desidera che partecipino al ma-trimonio, è buona norma richiedere il consen-so anche al primo coniuge. Insomma, è tutto un po’ più macchinoso in questa situazione: ecco perché le buone maniere e il buon sen-so possono aiutare ogni coppia a sapere cosa è meglio fare o non fare, anche in funzione di come si sono instaurati i nuovi rapporti e interrotti i vecchi. Ricordando sempre che i bambini non sono responsabili delle nostre scelte di vita!La cerimonia sarà basata su un rito elegante ma discreto, con l’obbligo dei testimoni ma senza paggetti e damigelle; allo sposo spetta sempre il compito di donare il bouquet alla propria sposa. Dopo la cerimonia, gli amici più intimi li raggiungeranno in un buon risto-rante per una colazione, oppure, se è sera, per una cena. Evitando le torte monumentali con gli sposini di zucchero che si abbracciano e si baciano, ci si potrà invece lanciare in frizzanti brindisi per sancire una nuova meravigliosa unione. E se gli sposi sono particolarmente “festaioli”, sarà molto gradita nei giorni suc-

cessivi una festa allargata con tutti gli amici.Sì ai regali, sicuramente più personali e meno casalinghi se la coppia convive già da tempo, ma senza obbligo, in quanto in seconde nozze il regalo è facoltativo. E perché non cogliere l’occasione per donare qualcosa di utile e so-lidale a chi, a differenza di noi, ha veramente bisogno di ricevere?Infine il viaggio di nozze. Anche questo a discrezione e non d’obbligo. Ma chi ci vorrà rinunciare? E allora, immediatamente dopo le nozze o nei mesi successivi, lasciamo che ogni coppia in seconde nozze possa sognare e vivere quei momenti unici e indimenticabili come dei ragazzini di vent’anni!

KAIROSOrganizzazione Eventi e MatrimoniSedi: Cuneo – Milano – Novi – Verdunowww.kairoseventi.itTel: 0171.480148 - Mob:[email protected]

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a cura di Luca Revelli

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oltre la bellezzaLA METAMORFOSI DI UNA RAGAZZA ACQUA E SAPONE

Questa volta, l’incontro tra me e la modella della nostra rubrica nasce da una sua esi-

genza, da uno stile di vita che l’ha portata a stare troppo tempo senza un consulente o qualcuno che ti ricordi l’importanza della bellezza esterio-re, oltre che di quella interiore, e senza il quale ti ritrovi, prima o poi, davanti allo specchio senza riconoscerti. Renata, 45 anni, cuneese è venuta da me, dimostrando subito quanto il lavoro pret-tamente maschile abbia chiaramente influito sul suo fisico. Renata si occupa di opere stradali, guida mezzi pesanti, pertanto ha un fisico mu-scoloso, scolpito, eccellente – direi – ma, ahimè! Tutto questo tempo passato all’aria aperta, tra

il sole cocente dell’estate e il vento freddo dei nostri inverni, ha segnato la pelle del viso e ha sfibrato, disidratato i capelli, che hanno assunto il colore della paglia. Il mio intervento sarà di ri-pristino totale.

MAKE-UP[1] Parto con un trattamento scrub per “levi-

gare” lo spessore del tessuto corneo, applican-dolo sulla pelle umida con un leggero massaggio circolare. In questo modo, si ottiene un effetto

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Photo: Daniele Molineris

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non troppo invasivo. In seguito, ho aggiunto un detergente idratante e ho emulsionato creando una leggera schiuma sul viso; ho sciacquato ab-bondantemente e ho steso una maschera idra-tante, lasciandola alcuni minuti in posa. Infine, ho risciacquato ancora. Come primer, ho uti-lizzato una crema super idratante, necessaria a mantenere un manto lipidico luminoso.

[2] Ho scelto un fondotinta liftante di formula-zione fluida, più soft, per non appesantire la pel-le matura. Applicandolo con le dita, si può sen-tire la materia e plasmarla come un sottile velo.

[3] Ora schiarisco la zona perioculare con un correttore leggero, per eliminare le occhiaie e sollevare l’infossamento naturale del tempo.

[4] Applico quindi una cipria trasparente, che mi è utile a fissare i prodotti liquidi che si posso-no muovere con la mimica facciale (fondotinta e correttore).

[5] A questo punto, scelgo un blush dal tono neutro (marrone), che valorizza l’abbronzatura e corregge alcune zone troppo sporgenti (mento e punta naso).

[6] Ora è il momento di dare risalto agli occhi: toni prugna per la matita che vado a sfumare dall’interno verso l’esterno, sopra e sotto l’oc-chio, per ingrandire e aprire lo spazio orbicolare.

[7] L’ombretto opaco, a sua volta prugna, è ne-cessario per fissare la matita grassa e prolungare la tenuta del trucco, steso sulla palpebra mobile con un pennello dalla setola naturale (martora).

[8] Infine, per completare il trucco sugli occhi, mascara nero a volontà: le ciglia spinte verso l’al-to e l’esterno creano uno effetto lift di impatto immediato.

[9] E arriviamo alle labbra, che vado a valoriz-zare e ingrandire sui contorni con una matita color fuxia.

[10] Con un pennellino sintetico, a questo punto, applico il rossetto opaco, sempre in tono con la matita. Un consiglio sempre valido: mai applicare un gloss quando le labbra presentano piccole rughe ai bordi. Trattandosi di un prodot-to liquido, andrà a inserirsi nelle stesse, renden-do i contorni poco precisi.

[11] Ho colorato i capelli con un biondo, scu-ro naturale in radice e sfumato sulle lunghezze; in seguito, ho apportato un effetto balaiage per dare un tocco di luce, sempre molto importante su un viso con discromie cutanee. Quindi, ho ripristinato la struttura del capello con la rico-struzione Tricoprotein Biosthetique e una linea di taglio leggera e non troppo lunga. Addolcisce il viso e ringiovanisce sempre. Per completare l’immagine di Renata, lo styling della coiffure vie-ne dato da un mosso “sporco” moderno e meno pettinato.

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a cura di Riccardo Celi

l’offerta ecologicaIL “VERDE” CHE VINCE

Si fa presto a dire “auto ecologica”, ma che cosa significa questo termine? In realtà,

è privo di significati compiuti, poiché qua-lunque veicolo dotato di un motore emette sostanze inquinanti che, in linea di massima, sono direttamente proporzionali al suo con-sumo di carburante: a un consumo maggiore corrispondono maggiori emissioni allo scari-co. Fanno eccezione, ovviamente, i veicoli con trazione solo elettrica, che nel funzionamento sono a “emissioni zero”, ma che trasferiscono il problema dell’inquinamento all’ambiente circostante, vale a dire la centrale che pro-duce l’energia necessaria a ricaricare le loro batterie. Quindi, in ambito automobilistico, si può semplicemente affermare che una vettura che consuma ed emette poco è più “ecologi-ca” di un’altra che consuma ed emette di più.

Anche trasferendo l’aggettivo nel settore dei carburanti, le cose non vanno molto meglio: in teoria, per esempio, i carburanti gassosi (gpl e metano) sono ritenuti più ecologici di benzina e gasolio. Tuttavia, c’è da dire che il metano (non tanto nella combustione, quan-to nel suo ciclo di vita, dalla produzione al consumo) è uno dei gas responsabili dell’ef-fetto serra, quindi tanto ecologico poi non è. Inoltre, vi sono vetture alimentate a gas che rilasciano molta più CO2 (l’anidride carboni-ca, un altro gas “serra” che ogni motore termi-co emette allo scarico e che oggi, a torto o a ragione, costituisce il parametro per misurare le attitudini ecologiche di un veicolo) di altre che bruciano un combustibile “sporco” come il gasolio.La Volkswagen Polo 1.6 Confortline BiFuel a

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L’Ampera, l’elettrica “extended range” di Opel.

Nella pagina a seguente:La Lexus CT 200H e l’ultima propostecon propulsione ibrida della casa nipponica,che offre in tutto quattro modelli con questa soluzione.

Twizy, la micro-cara trazione elettrica di Renault.

La Doblò 1.4 T-Jet Natural Power,uno dei 19 modelli con alimentazione mista benzina-metano della casa torinese.

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gpl, per esempio, emette 126 g/km di CO2, contro gli appena 89 g della Polo 1.2 TDI BlueMotion a gasolio. Forse, indipendente-mente dal tipo di alimentazione, è proprio il dato delle emissioni di CO2, presente nei li-stini di alcune riviste specializzate (le case au-tomobilistiche devono fornirlo al cliente per legge) a dover essere preso in considerazione in un’ottica “verde”. Tuttavia, limitandoci agli eco-veicoli ad alimentazione cosiddetta “alter-nativa”, i clienti italiani possono scegliere oggi

– tra modelli, versioni e allestimenti – tra 264 alternative: 154 vetture a gpl, 33 a metano, 61 ibride, 2 elettriche ER (si veda il box sotto) e 14 elettriche pure. Il costruttore che più ha creduto nei combustibili gassosi è Fiat, che tra i propri marchi (Fiat, Lancia e Alfa Romeo) ha in listino 42 vetture a gpl e 19 a metano (ma nessuna elettrica: a Torino non ci credono). Seguono Volkswagen, con 25 proposte (14 a gpl, 10 a metano e una ibrida) e Ford (17, ma solo a gpl, niente metano). Tra le case che

CON LE ELETTRICHE “ER” NIENTE PROBLEMI DI AUTONOMIAL’autonomia di un’auto elettrica non supera i 150 km, anche meno con il climatizzatore in funzione. A causa dell’attuale penuria di colonnine di ricarica, tali vetture, per ora, vanno bene come (costose) seconde auto da città per chi dispone di un box con presa di ricarica. Ma per chi punta all’elettrico e non vuole problemi di autonomia, ci sono Opel Ampera e Chevrolet Volt (praticamente uguali), due elettriche “ad autonomia estesa” (ER) e dotate di un motore sincrono da 111 kW-151 CV, abbinato a uno a benzina da 1,4 l con 63 kW-86 CV. Si può scegliere: trazione elettrica (in teoria si fanno 80 km, in pratica circa 50, poi il motore termico che funge da generatore ricarica le batterie), oppure tradizionale, con il motore elettrico che aggiunge uno spunto se richiesto: 0-100 km/h in 9’’ dichiarati. Modesta la velocità massima: 161 km/h. Punti di forza: i 600-700 km di autonomia e i consumi contenuti, quindi le basse emissioni. Svantaggi: il bagagliaio, 310 dm3, è inadeguato a un’auto di 4,5 m e il prezzo è salato: 45.500 euro l’Ampera, 43.350 euro la Volt. Insomma, assecondare la propria vocazione ecologica costa caro e i venditori non sono generosi: il primo cliente italiano dell’Ampera, un dentista di Alessandria, ha strappato uno sconto di soli 1.000 euro.

hanno puntato, invece, sulle tecnologie ibri-de si distingue Lexus, che ha in listino ben 17 versioni di quattro diversi modelli: CT, GS, LS e la Suv RX. Chi ha, infine, ha dimostrato di in-vestire decisamente nell’auto elettrica pura è il gruppo Renault-Nissan, che per il momento offre cinque modelli: tra le Renault, la micro-car Tweezy, la berlina Fluence e la van Kangoo (con la compatta Zoe che dovrebbe arrivare a fine anno), mentre Nissan ha in listino la 5 porte Leaf.

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a cura di Luca Morosi

silvio porzionato a torinoFOCUS

Back to grey è il titolo della mostra personale che, durante il mese di settembre, la galleria

d’arte torinese Biasutti & Biasutti dedica a Silvio Porzionato, artista operante presso il proprio atelier di Pancalieri (TO). Attraverso una venti-na di opere, l’esposizione celebra il corpo come

di un Degas impressionista – nelle rapide pen-nellate a macchia che compongono l’incarnato – mentre, in altri, rimandano alla visione più destabilizzante dei “volti sporcati” di un artista ben più contemporaneo, qual è Arnulf Rainer. In ogni caso, sono sembianze che rimangono del tutto aliene alle atmosfere di lirica sensualità e alla delicatezza del tratto delle donne immortala-te da un’altra protagonista del panorama attuale, Francine Van Hove. E così Porzionato narra le storie e le vicende de-gli individui che abitano i suoi dipinti, con l’at-teggiamento un po’ voyeuristico di chi spia dal buco della serratura, senza tuttavia interrompere alcunché nello svolgimento della storia, ma anzi, lasciando che i propri soggetti comunichino con l’esterno, anche se solo attraverso le movenze sospese, le posture fermate ma in procinto di mutare all’improvviso, gli occhi fissi a cercare lo spettatore o a chiedere udienza in alto nel cielo. Back to grey rappresenta, dunque, una sintesi del percorso svolto dall’artista fino a oggi, ma te-stimonia anche e soprattutto del lavoro assiduo nell’uso monocromatico del colore, a grisaille, quello cioè steso a nuances di bianchi, di neri, alla ricerca del grigio... anzi, alla ricerca di un vero e proprio ritorno all’armonia delle tonalità del grigio.Info: Galleria Biasutti & BiasuttiVia Bonafous 7/L – 10123 TorinoTel. +39 011 8173511www.biasuttiebiasutti.comOrari: dal martedì al sabato:10,00-12,30 / 15,30-19.30 (chiuso festivi)fino al 30 settembre 2012.

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Porzionato: Untitled, 2012, olio su tela, cm. 120x100; Untitled, 2012, olio su tela, cm.110x250.

oggetto, struttura, materialità, ma al contempo come riflesso dell’anima e dell’inquietudine umana, secondo la particolare poetica intro-spettiva dell’artista. I dipinti di Porzionato hanno come filo conduttore l’analisi della figura nelle sue declinazioni più prettamente realistiche e oggettuali. La prima fase di “cattura” del soggetto è, infatti, mediata dall’utilizzo della macchina fotografica. Un’operazione irrinunciabile, nella quale l’artista focalizza l’attenzione sui ritratti a figura intera di uomini e donne colti nella propria nudità, in un’intimità non imbarazzante e schiva, ma anzi apertamente manifesta, non connotata da espressioni e atteggiamenti di arroganza, ma da un’irrefrenabile intensità magnetica e attrazione verso lo spettatore, con il quale gli sguardi dei modelli tentano con forza di mettersi in contat-to, di istituire una sorta di dialogo muto. A questo punto, l’artista interviene attraverso la pittura a olio con cui restituisce una visione filtra-ta e interpretata degli scatti fotografici su tele di grandi dimensioni. La materia si ricostituisce in nuove sembianze che non perdono i contorni, ma che in alcuni casi ammiccano alla maniera

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“RACCONTARE IL LEGNO”: LA TRADIZIONE ARTIGIANA IN MOSTRA A CARAGLIOfino al 28 ottobre 2012La mostra Raccontare il legno. Eccellenze dell’artigianato in provincia di Cuneo nasce dalla duplice esigenza di proporre una visione completa e puntuale dell’utilizzo dei differenti materiali lignei caratteristici della provincia di Cuneo, nonché di creare un percorso sugge-stivo che susciti nel visitatore la passione e le esperienze sensoriali di una tradizione artigiana dalle profonde radici. Il percorso di visita offre un approfondimento sulla filiera del legno attra-verso un allestimento che pone in evidenza gli aspetti più accattivanti e insoliti delle varie fasi di lavorazione: dalle specie arboree alle pratiche più ricorrenti di gestione del bosco, dalle abilità artigiane cuneesi, fino agli impieghi più attuali e innovativi dei materiali. L’evento gode del patrocinio della Confartigianato di Cuneo e del sostegno della Camera di Commercio di Cuneo, così come della Banca di Caraglio.Il Filatoio, Via Matteotti, 40 – CaraglioAssociazione Culturale “Marcovaldo”Tel. +39 0171 618260 – www.marcovaldo.itOrari gio-sab: 14,30-19,00; dom: 10-19,00.

agendaDA NON PERDERE

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UNA VISITA AL COMPLESSODI SAN FRANCESCO DI CUNEODal mese di dicembre 2011 è tornato a risplen-dere uno dei luoghi storici di Cuneo, cuore pulsante della vita religioso-culturale della città, restituito alla comunità dopo un lavoro di quasi cinque anni. Un’attenta e metodica opera di restauro e conservazione voluta dal Comune e interamente finanziata dalla Fondazione CRC ha riportato alla luce le mol-teplici testimonianze storiche del complesso tardo-medievale di San Francesco. Il risana-mento dell’apparato decorativo ha permesso, inoltre, di completare il discorso figurativo già magistralmente condotto da Pietro da Saluzzo con le sue Storie della Passione – affrescate nel 1472 sul soffitto della cosiddetta “Cruciata” dedicata alla Confraternita di Santa Croce – grazie al ritrovamento di un ciclo, raffigurante i Padri della Chiesa, sulla volta della cappella dedicata a San Bonaventura.Museo Civico di Cuneo, Via Santa Maria 10 Cuneo – Tel. +39 0171 634175www.comune.cuneo.gov.it/cultura/museoOrari: maggio-settembre: mar-dom 16-19 (mer chiuso), sab 10,30-13/16-19ottobre-dicembre: mar-dom 15-18(mer. chiuso), sab 10,30-13/15-18.

CARLO CARRÀ PROTAGONISTADELLA MOSTRA-EVENTODELLA FONDAZIONE FERRERO 27 ottobre 2012 – 27 gennaio 2013Dopo lo straordinario successo di pubblico e di critica della mostra Morandi. L’essenza del paesaggio, la Fondazione Ferrero di Alba rende omaggio a uno dei più celebri artisti pie-montesi con una mostra antologica intitolata Carlo Carrà 1881-1966, a cura di Maria Cristina Bandera. Come per le precedenti mostre orga-nizzate dalla Fondazione, anche in quest’occa-sione il legame tra il pittore e la città di Alba si concretizza attraverso la figura del grande sto-rico dell’arte albese Roberto Longhi, che diede una lettura fondamentale della poetica dell’ar-tista. L’esposizione intende rileggere l’intero e multiforme percorso del pittore e restituirne la grandezza, testimoniandone ogni sua fase: dalle prime prove divisioniste, ai capolavori del Futurismo, alla Metafisica e al “realismo mitico” degli anni ’20, fino alle composizioni monu-mentali di figura degli anni ’30 e agli epiloghi della sua attività.Fondazione Ferrero – Strada di Mezzo, 44Alba – Tel. +39 0173 295259www.fondazioneferrero.it

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a cura di Axel Iberti

per tutti i gustiUN AUTUNNO RICCO DI APPUNTAMENTI

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I MERCATIDEL COLLEZIONISMODI CHERASCO16 settembre – 14 ottobre – 2 dicembre

Cherasco, si sa, è una città gioiello, ma con i mercati dedicati al collezionismo diventa un vero scrigno di tesori. L’appuntamento è doppio: domenica 16 settembre e domenica 2 dicembre si tengono i Mercati dell’Antiquariato e del Collezionismo con più di 600 banchi di esposizione, dal mobile rustico all’oggettisti-ca vintage, con quadri e tableaux artistici di valore, da scovare tra patine d’epoca e strumenti da lavoro dal fascino d’antan. Domenica 14 ottobre, invece, la scacchiera del centro stori-co si trasforma in un paese dei balocchi di altri tempi, con la 18° edizione della Borsa Mercato del Giocattolo Antico e del Modellismo d’Occasione, ideale per gli appassionati di bambo-le, trenini, aereoplanini e modellini di latta. A voi la scelta: ritor-nare bambini o andare alla ricerca di tesori preziosi?www.comune.cherasco.cn.it

FESTA DEL PANE A SAVIGLIANOdal 20 al 23 settembre

A Savigliano, da giovedì 20 a domenica 23 settem-bre, si celebra la semplicità e la qualità eccelsa del pane in tutte le sue forme e sapori. Attraverso una serie strutturata di laboratori, convegni, incontri e banchi di assaggio, allestiti nella splendida cornice del centro storico, la città si trasforma, nei giorni della manifestazione, in un panificio all’aria aperta dove il pane viene assaggiato, esaltato e raccontato sotto tutti i suoi aspetti educativi, culturali, nutri-zionali e storici. Madrina eccezionale di questa se-rie di appuntamenti, Elisa Isoardi, bellissima e bra-va conduttrice di programmi TV nazionali sul tema del cibo, che ha sempre rivendicato il suo stretto legame con il territorio cuneese, dove è nata e cre-sciuta. www.entemanifestazioni.it

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IL LUSSO DEGLI ZARALLA REGGIA DI VENARIAfino al 9 novembre

Dalla sublime atmosfera della corte di San Pietroburgo alla spettacolare cornice della “Versailles” italiana: i capolavori del maestro orafo Carl Fabergé sono in mostra fino al 9 no-vembre alla Reggia di Venaria. In esposizione, oltre alle Uova Imperiali di inestimabile valo-re, anche una ricca collezione di monili e dia-manti appartenuti e commissionati dagli Zar e dalla nobiltà russa ed europea. Il fascino delle opere del gioiellerie russo, conosciuto con il nome francese ma battezzato Karl Gustavovic Faberže, si trova nelle volute dorate, nei gio-chi allegorici ottenuti con l’incastonatura di pietre preziose, nello sfarzo degli smalti e del platino, nelle figure di cristallo e nella brillantezza dei rubini, assemblati ogni anno, dal 1885 al 1917, per celebrare la Pasqua or-todossa al Palazzo d’Inverno. Ogni opera, un capitolo di narrazione della storia degli Zar, capolavori di mirabolante maestria artigiana e di arte applicata. www.lavenaria.it

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STUPINIGI, TESORI RITROVATI | fino al 30 dicembre

Una delle più eccezionali residenze dei Savoia ha riaperto le porte al pubblico il 7 luglio e chiuderà il 30 dicembre per ulteriori lavori di restauro. Si tratta della Palazzina di Caccia di Stupinigi la cui costruzio-ne iniziò nel 1729 su progetto dell’architetto Filippo Juvarra, uno dei massimi esponenti del barocco piemontese. Riconosciuta come tra le più imponenti residenze reali d’Europa, è stata inserita a pieno titolo nel Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, a partire dal 1997. L’edificio, sontuoso e raffinato, fu tra le residenze preferite da Napoleone nei suoi soggiorni in Italia e fu dimora di piaceri e divertimenti per la cor-te sabauda. Il complesso e approfondito ciclo di restauro permette la sua apertura solo in brevi periodi: il consiglio è dunque quello di approfittare dell’apertura fino alla fine dell’anno. Attenzione, però: se nel corso della settimana l’accesso su pagamento non necessita di pre-notazione, nei weekend è invece obbligatorio.www.ordinemauriziano.it

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Il mio luogo del cuore è:

“Le Terme di Caracalla” Percy B. Shelley, 1818

IL MONDO HA SEMPRE SCELTO L’ITALIA COME LUOGO DEL CUORE. E TU?

Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, con il Patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e con il Patrocinio del Ministero degli Affari Esteri

“Partiamo per l’Italia, alla ricerca della felicità” scriveva Shelley stregato dalla bellezza di Venezia, Napoli e Pisa. L’Italia è da sempre il luogo del cuore del mondo. Incanta da secoli l’animo di ogni viaggiatore.

Oggi ti chiediamo di viaggiare nel tuo cuore e cercare un luogo italiano che ami. Un giardino, una dimora, un bosco, un’isola, un campanile, una chiesa, un sentiero. Un luogo che vorresti vedere amato e difeso. Segnalacelo, e insieme faremo di tutto per proteggerlo. FAI e Intesa Sanpaolo presentano il 6° CENSIMENTO DEI LUOGHI DEL CUORE. Per la prima volta aperto a tutto il mondo. Perché la bellezza non ha confini.

Seguici anche su:

VOTA IL LUOGO ITALIANO CHE PIÙ AMI, INSIEME LO PROTEGGEREMO.

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Puoi votare il tuo Luogo del Cuore:

nelle filiali Intesa Sanpaolo e Banche del Gruppo, nei Beni FAI e presso le Delegazioni FAI.

www.iluoghidelcuore.it

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miss bolle e stilleAlle Terme di Lurisia torna il glamour ed il fa-

scino della bellezza femminile, consacrato dall’elezione di due stupende testimonial per le sue acque, già famose in tutto il mondo.L’effervescenza di Miss Bolle si trova in Fran-cesca Aragno mentre l’eleganza di Miss Stille è quella di Giulia Bracco, entrambe monregalesi, selezionate da una giuria di giornalisti ed esper-ti di immagine. Compito del patron delle Ter-me, Alessandro Invernizzi, individuare invece le ragazze immagine di Aranciata - Giulia Ber-tola, Gazzosa – Viola Bianchessi, Acqua Tonica – Mara Ghione e Chinotto – Noemi Grosso.

Una serata dedicata alla bellezza, presentata da Irene Beccaria, in cui le ragazze hanno sfilato gli abiti di Marcos Atelier, alternate alle sugge-stive coreografie de La Maison de la Danse, con i simpatici ed irriverenti intermezzi dei caba-rettisti televisivi Rocco il Gigolò e Paolo Labati, direttamente da Zelig. Domenico Sclavo, diret-tore dello stabilimento termale ed ideatore del concorso, visto il grande successo, pensa già all’edizione del prossimo anno con l’ambizio-ne di rendere l’evento uno degli appuntamenti clou della provincia, sulla scia delle acque già conosciute in tutto il mondo.

LE NUOVE TESTIMONIAL DELLE ACQUE LURISIA photo: Jesùs Castellano

Francesca Aragno e Giulia Bracco

Paolo Labati

Le nuove testimonial delle acque e delle bibite Lurisia

Gli abiti da sposa di Marcos Atelier La premiazione Bolle e Stille, protagoniste della serata

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les truffesde Roberto Fiori - Pg 8“Ce sont les jours les plus beaux de l’année. Ven-danger, décortiquer, presser, ce ne sont même pas de travaux; il ne fait plus chaud, il ne fait pas encore froid; il y a quelques nuages …” Il y a plus de cinquante ans, l’écrivain Cesare Pavese utilisait ces mots pour décrire le travail à faire sur les collines en automne entre les Langhe, le Roero et le Monferrato. Plusieurs années sont passées, même le calendrier a changé ; les

nuages du mois d’octobre envahissent les vignes, il y a moins de bois et de vergers, toujours plus de villas et d’agri-tourismes à l’avant-garde, toujours moins de fermes simples et authentiques. Mais avec la truffe blanche de Alba le temps s’arrête. Nous ne comprenons pas encore bien son origine, nous ne sommes pas en mesure de la cultiver et nous ne pouvons pas la reproduire. C’est le nez d’un chien qui nous conduit la nuit chez elle. Le mystère d’un champignon étrange qui arrive des profondeurs de la terre est encore intact. A’ partir de la moitié du mois de septembre jusqu’à la fin de janvier, les collines piémontaises deviennent un endroit fantastique et mystérieux la nuit, où l’euphorie de la recherche se mélange de mottes de terre sombres depuis des générations. Dans tout le Piémont, les chercheurs sont plus de 4.000. Dans la province de Cuneo il y en a plus de 1.200. “Le chercheur de truffes, appelé ici trifolao – dit Agostino Aprile, président de l’Union de neuf associations de Chercheurs de Truffes du Piémont - est toujours le même: c’est un homme impénétrable, individualiste, qui aime la solitude. Cha-cun a sa mappe, transmise de génération en génération et n’aime pas rencontrer des yeux indiscrets sur son chemin. Voilà qu’il préfère travailler la nuit, quand même les chiens sont moins attirés par d’autres arômes et arrivent à mieux se concentrer sur la recherche”. Oui, les chiens : “Pour découvrir les truffes il faut leur flair très développé et leur mémoire, évidemment. Les cochons aussi seraient de bons « chiens truffiers », mais ils les mangent quand ils les trouvent. Par contre, les chiens bien dressés ne trahissent jamais leur patron ». Pour cela, dans la zone des Langhe du Barolo, on a même inventé l’Université des Chiens Truffiers, fondée en 1880. « Toutes les leçons ont lieu à la belle étoile. On commence par l’école de base, où le chien apprend à reconnaitre le parfum de la truffe parmi les autres, à travers le jeu. Ensuite les difficultés augmentent. Les truffes sont cachées de plus en plus en profondeur ; chaque fois le chien arrive à les trouver, il gagne une croquette ». Mais chaque trifolao a sa méthode. Stelvio Casetta, par exemple, le chercheur qui, il y a quelques années, a participé a une recherche simulée à Central Park de New York et a accompagné dans les bois Gérard Depardieu, lui, il joue sur les « bonnes manières ». Bobo, son chien de cinq ans, a commencé le « dressage » quand il avait juste quelques mois : des gressins hachés et de la truffe noire sont son repas de tous les jours, ce qui lui permet de reconnaitre l’étrange parfum de la truffe. Aujourd’hui encore, Bobo mange chaque jour une soupe à la truffe pour « se garder en exercice ». D’autres chercheurs utilisent par contre des méthodes plus sévères. Parfois, on entend dire que le chiens de tel chercheur à été empoisonné, cela à cause de l’envie ou pour des « raisons » de concurrence. La règle, enfin, est unique: celui qui a un véritable bon chien truffier ne le vendra jamais, même pas pour 5-6.000 euro, et il ne dira jamais combien de truffes il trouve et surtout l’endroit où il les trouve. Le terrain le meilleur où se cache ce véritable trésor est un terrain marneux-calcaire, en symbiose avec les racines de certaines plantes telles que le rouvre, la chêne, le peuplier, le tilleul et le saule. Les Rochers du Roero sont parmi les endroits les meilleurs, grâce au faible pourcentage de surfaces cultivées et à la présence de bois. Même dans les jardins publics de Alba il y a des truffières aux fruits merveilleux. “La truffe est comme une belle dame susceptible,” dit Giacomo Oddero, président du Centre National des Etudes de la Truffe. “Si l’eau est abondante, ça ne va pas, parce-qu’ elle pourrit. Si le terrain est sec, elle refuse de mûrir. S’il est pollué ou trop comprimé, elle refuse de se montrer”. Le siège du Centre est dans la ville de Alba. C’est une association qui réunit les principales réalités administratives de Alessan-dria, Asti et Cuneo, en vue de mettre ensemble les protagonistes de cette production extraordinaire. “Du moment qu’il s’agit d’un produit si sensible, il faut travailler afin de sauvegarder les endroits historiques. Au niveau de la Communauté Européenne, on est en train de coopérer avec la France et l’Espagne dans le but de réaliser un projet en mesure de défendre les anciennes truffières et planter ce que l’on appelle ‘’des plantes truffières’’ ». Le business en vaut la peine. Dans les 250 endroits “truffiers” des provinces de Cuneo, Asti, Alessandria et Turin, arrivent 30.000 kilos de truffe blanche, presque 30% de la production nationale, avec un volume d’affaires de 100 millions d’ euros, en mesure de quadrupler si l’on considère le tourisme, le secteur œnogastronomique, les consommations chez les restaurants et les hôtels, les visites des italiens et des étrangers pendant l’extraordinaire automne piémontais. A’ Alba, cette année, avec la 82ème édition de la Foire Internationale de la Truffe Blanche on est prêt à offrir à des milliers de touristes des repas magnifiques, en mesure de satisfaire tout le monde.

casino de monte-carlode Maria Bologna - Pg 22Le casino de Monte-Carlo, même pour ceux qui n’aiment pas l’adrénaline des jeux de hasard et qui ne sont pas attirés par le tintement des machines à sous ou par le bruit des fiches jetées sur les tables vertes, a le pouvoir d’évoquer un lieu légendaire au charme sans égal. Il y a quelques temps encore, en s’acquittant de sa fiche d’entrée sur présentation de sa carte d’identité et toujours en respectant la règle du silence afin de ne pas perturber les joueurs les plus acharnés attroupés autour des roulettes ou des machines dès l’ouverture, les touristes pouvaient visiter, uniquement l’après-midi, les salles du casino.Depuis juin dernier, le casino de Monte-Carlo s’est transformé en musée, ouvert tous les jours de 09h00

à 12h30. Installé dans le très célèbre édifice aux coupoles en cuivre, le musée est visitable, même de jour, en groupe ou pas, contre une « mise » appropriée. Et c’est justement à la lumière du jour que les salles révèlent des détails artistiques remarquables, comme le tableau des Grâces Flo-rentines, où Gervais représente Cléo de Mérode, la Belle Otero et Lyane de Pougy, trois célèbres courtisanes de l’époque, joueuses invétérées et habituées du casino monégasque. Et encore, les vitraux à mosaïque en style Belle Époque revêtant

les plafonds, les nombreux lustres en cristal de Bohème, les boiseries et les salons privés, inaccessibles dès l’ouverture aux jeux, prévue, chaque jour, à 14h00. À ne pas manquer, les deux élégantes terrasses surtout destinées aux joueurs fumeurs, qui donnent sur l’épingle du Lowe et sur les jardins du casino. La perfection et un certain rythme permettent un contrôle équilibré de toutes les structures, gérées par la SBM (Société des Bains de Mer), c’est-à-dire : le Casino de Monte-Carlo, le Café de Paris, le Sun Casino, le Monte-Carlo Bay et, tout récemment, le Casino de la Rascasse. Au niveau de la sécurité, le joueur n’a rien à craindre, avec les 300 caméras et microphones placés dans les différentes salles et les physionomistes observant le comportement des hôtes, toujours dans le respect de la vie privée, dans le but de garantir, à tous les joueurs, l’égalité devant la chance. Et puis la méthode : pour maintenir l’attention et rendre les tables attrayantes, les très nombreux croupiers des roulettes se donne le change toutes les 20 à 40 minutes. Alors que, dans les salles très privées, un seul client pourra y accéder, après les vérifications croisées avec d’autres maisons de jeu, pour y défier la banque en toute confidentialité. Généralement, chaque table gère, en toute autonomie, une petite fortune : la caisse équivaut à un maximum de 2 mil-lions d’euros et, en cas de perte au cours de la soirée, elle est immédiatement réapprovisionnée pour ne pas casser le rythme du jeu.Superstitions e légendes Si, aujourd’hui, le geste superstitieux consistant à caresser le genou de la statue en bronze du hall de l’Hôtel de Paris est encore en vogue, les pratiques et les rites propitiateurs de certains joueurs sont passés à l’histoire. Parmi eux, Arthur de Rothschild qui, après un gain consistant, misait exclusivement sur deux numéros, une heure durant, le 17 ou le 0. Ou bien encore Cornelius Venderbilt, qui exigeait d’être assisté de toute sa famille. Plus récemment, le roi Farouk, souverain d’Égypte et du Soudan, avait l’habitude de collectionner les jetons gagnants. Le prince du Népal réservait à son usage exclusif les salons privés à cause de restrictions de nature religieuse (le jeu ne lui était permis que cinq jours par an). Faire sauter la banqueLorsque la banque sautait, c’est-à-dire lorsque les gains dépassaient la valeur de la caisse, la table était recouverte d’un drap noir en signe de deuil. Le cas le plus éclatant remonte à l’été 1891, lorsque Charles Welles, un anglais dont le nom restera dans les annales de la SBM, fit sauter le casino de Monte-Carlo. Sa technique consistait à jouer régulièrement à la roulette en misant exclusivement sur des combinaisons en dessous du 10. La déesse aux yeux bandés lui fut si favorable qu’après trois jours consécutifs de gain contre la banque, il entassa 1 million de Francs et rentra ensuite à Londres. Welles retourna, par la suite, pour miser toute sa fortune sur le 5, qui sorti 5 fois de rang. La chance finit toutefois par l’abandonner et il perdit alors systématiquement à Monte-Carlo.La naissance du Casino de Monte-CarloLa légendaire maison de jeu monégasque doit sa renommée au Prince Charles III, qui l’inaugura en 1863, à la suite d’une visite au complexe de Baden-Baden, dans le grand-duché de Baden, où les caisses de l’État avaient été renflouées par le casino. En ce temps-là, les maisons de jeu étaient interdites en France : ce fut ainsi que le souverain, en jouant la carte de l’indépendance et en profitant du passage de la ligne ferroviaire, lança le projet de faire, de Monte-Carlo, le siège d’un casino de légende. Le milliardaire François Blanc, gérant du Casino de Bad-Homburg et fondateur de la Société des Bains de Mer (SBM) fut impliqué dans la construction. Il réussit sa mission en trois années seulement et édifia également l’Hôtel de Paris. Mais le mérite de la beauté de cette structure, achevée en 1878, ce chef-d’œuvre de la Belle Époque, revient à l’architecte Charles Garnier, celui-là même qui réalisa l’Opéra de Paris. Ce fut ainsi que la Principauté se transforma en une vitrine internationale et un lieu de villégiature hivernal d’élite. Là, tentèrent leur chance le Duc de Gramont, Alexandre Dumas, le Baron de Rothschild et un nombre impressionnant de Princes, de Charles de Prusse à l’Empereur d’Autriche. En somme, toute la haute so-ciété de l’époque fréquentait la Principauté de Monaco, y dépensait des sommes colossales, en favorisant ainsi indirectement les résidents monégasques : par une ordonnance de 1869, Charles III établit, en effet, l’abolition de l’impôt direct sur le revenu des personnes physiques.

le salon du goûtde Nicola Ferrero - Pg 26Le salon du goût, désormais à sa IXe édition est, sans nul doute, la manifestation la plus importante au monde dédiée à la nourriture de qualité. En lieu et place de nourriture « bonne, propre et juste », il faudrait plutôt parler, selon Slow Food, organisateur de l’évènement, d’une qualité organoleptique (bonne) qui ne peut faire abstraction du respect de l’environnement (propre) et d’une juste rétribution des producteurs (juste). La grande nouveauté du salon de cette année, qui se tiendra au Lingotto de Turin du 25 au 29 octobre, est la fusion avec Terra Madre, le réseau international des communautés de la nourriture, dont la première rencontre eut lieu en 2004, toujours à Turin. « Ces aliments qui changent le monde » est le slogan de l’édition 2012 : pour en savoir plus, nous avons rencontré Roberto Burdese, Président de Slow Food Italie.

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Pour la première fois cette année, le sa-lon du goût et Terra Madre fusionnent quasiment, en abandonnant les divi-sions du passé. Quels sont les change-ments et que sera le salon ?Le fait de présenter un évènement unique représente le grand enjeu de cette année, et en est également la grande nouveauté. Jusqu’à l’année dernière, les visiteurs du salon entraient en contact avec 80% de produits italiens et 20% de produits étran-

gers, principalement européens. Les communautés de Terra Madre présentes pouvaient à peine les rencontrer dans les couloirs ou lors d’une conférence, mais, de fait, l’interaction s’avérait difficile. Cette année, quasiment toutes les communautés tiendront un stand avec leurs propres produits, et les visiteurs pourront ainsi accomplir un véritable tour du monde alimentaire. Par ailleurs le thème s’articulera autour de « Ces aliments qui changent le monde » et c’est bien ce principe que nous avons appliqué dans la sélection des exposants : non pas « le meilleur » de la production alimen-taire ou « les aliments les plus rares et les plus curieux » mais, justement, ceux qui symbolisent ce changement. Des parcours de chefs, d’artisans et de communautés de la nourriture de 150 pays qui témoignent de la possibilité de révolutionner le paradigme régissant ce monde en crise, à partir justement de l’alimentation, en démontrant que nous pouvons faire quelque chose pour la santé, l’environnement et le système de production, sans renoncer au plaisir de manger. Le symbole de cet-te édition est un emblème du changement : la pomme de Newton. C’est également une invitation à réfléchir dans ses choix alimentaires. Nous voulons que la noix de kola de la Sierra Leone et le Barolo soient traités avec la même dignité.Restent, bien entendu, les grands classiques du salon : les laboratoires du goût, les rendez-vous à table, les conférences, les théâtres du goût...La force du salon est justement la suivante : une structure qui fonctionne et qui a rencontré le succès au fil des années. Cette configuration de grand marché, avec des laboratoires du goût, des conférences, une formation didactique destinée aux enfants, des échanges, des rapprochements, des rencontres entre communautés Slow Food est véritablement unique. Les contenus de grande qualité de Terra Madre doivent influencer tout le salon. Il faut du temps pour faire passer notre concept « d’aliments qui changent le monde ». Il faut une prise de conscience, une volonté de se raconter et de se mettre en jeu de la part des producteurs. Et également la prise de conscience, de la part des consommateurs, d’être des « coproducteurs » pouvant et devant conditionner les choix de production sur la base de leur propre comportement d’achat.100.000 associés dans 150 Pays du monde entier, 30.000 en Italie et la crise qui avance. Slow Food c’est une importante réalité de notre province: 130 employés et un mouvement touristi-que œnogastronomique qui s’est développé le long de ces dernières années, surtout grâce à la philosophie Slow Food. Quelle est la situation aujourd’hui ? Si nous pensons au salon, il est évident que nous avons eu plus de mal à obtenir les contributions des sponsors et des institutions par rapport à la dernière édition, il y a deux ans, mais nous voilà, on y est arrivé. Il s’agit d’un évènement de très haute qualité, qui va apporter au territoire quelque chose comme 40 millions d’euros. A’ la fin, c’est la qualité qui fait la différence. C’est plus difficile, mais on y arrive. Par contre, nous vivons une phase qui semble nous dire que le pire doit encore arriver. Il ne sera pas suffisant d’être le meilleur, il faudra encore penser à sa structure, à l’organisation etc. et trouver de nouvelles solutions. Au salon nous avons opté pour un cliché expositif moins recherché, dont l’impact au niveau de l’environnement est presque nul. En tout cas, je crois qu’il est fondamen-tal d’avoir des projets forts et innovants, tels que ceux que nous avons déjà ou ceux sur les jardins, nos Centres, l’Université des Sciences Gastronomiques de Pollenzo, le Salon du Goût lui-même.

pain, tradition et fantaisiede Vanina Carta - Pg 44

Oublié quelques décennies par la restau-ration, diabolisé par les régimes insensés ayant déclaré la guerre aux glucides, stan-dardisé par un certain type d’industrie et appauvri par certains boulangers, le pain retrouve aujourd’hui sa dignité d’aliment de base. Nous essaierons, lors de notre voyage dans le monde complexe de la panification et de « l’arte bianca » (« l’art blanc ») de la Province, de découvrir

comment le secteur répond à une sorte de « saturation » envers les produits standardisés. De plus, le boom des produits dits « salutaires » (qui, aujourd’hui, occupent un espace important dans les rayons de la grande distribution, dû également au développement, malheureusement croissant, de la maladie cœliaque), a favorisé une plus grande diversité de l’offre, qui ne peut ne pas concerner l’ensemble du secteur de la panification. La stimulation est positive et pousse les artisans vers une amélioration qualitative et une diversification, en élargissant la gamme aux pains spéciaux pour les personnes atteintes de la maladie cœliaque et tous ceux ayant des exigences alimentaires spécifiques (produits hyposodés, etc.).

L’idylle du moulin Le pain : quelques ingrédients simples qui donnent vie à une variété infinie de résultats et de produits à partir de la mouture du froment. Le moulin est, en effet, l’un des secrets de l’histoire de notre panification. Avant l’industrialisation, la plaine de Coni et les zones des moyennes vallées riches en torrents étaient parsemées de moulins à eau, où la mouture se faisait à la pierre, la méthode la plus ancienne, encore inégalée dans la production de farines de grande qualité. Le frottement et l’écra-sement des grains à l’aide de meules en pierre permettaient d’obtenir une excellente farine, fruit d’une mouture lente (pas plus de 100 tours par minute) et de garantir une température basse lors de l’élaboration. Ainsi, les propriétés organoleptiques étaient-elles conservées et les caractéristiques bénéfiques se retrouvaient-elles dans le pain ou le produit fini. Avec l’avènement de l’électricité et des nouvelles technologies de mouture, tout devint rapide et intensif, avec une augmentation inévitable des températures d’élaboration, un appauvrissement du grain et l’élimination des huiles essentielles bénéfiques contenues dans le germe. La révolution s’est faite, mais, comme c’est souvent le cas, le progrès n’a pas amélioré la qualité de vie et la santé. Aujourd’hui, une amélioration continue des techniques industrielles de mouture est mise en œuvre, tendant à réduire la surchauffe. Toutefois, le processus de redécouverte de pains et de produits de boulangerie réalisés avec des farines moulues à la pierre est en augmentation constante, comme en témoigne le fait que de nombreux artisans boulangers de la Province cherchent ce type de matière première, tout comme de nombreuses PME du secteur. Un exemple emblématique : la biscuiterie « Forneria Artigiana Cavanna » de Villar San Costanzo, qui a sauvé de l’abandon un ancien moulin à eau datant de 1870 et l’a adapté à la mouture des farines utilisées dans la production de ses propres biscuits.Pain raffiné pour les palais nobles Un autre facteur discriminatoire résidait dans le procédé de raffinage des farines, qui portait à la production de pains de différentes nuances de couleur. Si, déjà à des époques lointaines, le raffinage des farines était lié à une production recherchée de pains blancs, destinée aux tables des seigneurs, un phénomène similaire a vu le jour dans nos vallées. Dans les villages de montagne, l’approvision-nement des céréales représentait souvent un problème insurmontable, auquel on remédiait en pro-duisant des pains à partir de plusieurs types de céréales savamment mélangées et en réservant le pain blanc aux jours de fête. Au plus bas de cette « hiérarchie », se trouvait le pain noir, de seigle (aujou-rd’hui, paradoxalement, une spécialité assez rare). Un compromis avait été trouvé : le « pan barbarià » (« pain de méteil »), le plus commun, un mélange de seigle et de blé dans des proportions variables. De la même manière, l’on préparait le pain aux châtaignes (dans de nombreux cas, l’unique aliment des populations de montagne, vu la disponibilité de châtaignes dans nos bois) ou le pain complété d’ingrédients pauvres, comme les pommes de terre, les oignons, les betteraves. Encore très répandu dans la vallée Maira, où les champs de seigles étaient autrefois nombreux, le « pan barbarià » (« pain de méteil ») fait aujourd’hui l’objet d’une revalorisation, tout comme les variantes utilisant du blé intégral et d’autres céréales (avoine, orge, maïs, épeautre). Ainsi, ceux qui, autrefois, étaient les « pains des pauvres » deviennent-ils aujourd’hui des produits recherchés et appréciés, surtout lorsque l’élabora-tion est artisanale, les farines moulues à la pierre ou biologiques et la cuisson au feu de bois. Levain et fours : les vrais dogmes du painPour finir, il ne faut pas oublier l’aspect social et communautaire que l’élaboration du pain assumait dans le temps, à travers la panification collective dans les fours publics et la conservation du levain, également mise en commun. Aujourd’hui, même dans un contexte social moderne tendant à la con-sommation individualiste, la pratique de la cuisson dans un four à bois et l’emploi de levains sont, de nouveau, des paramètres d’une production de qualité. Nombreuses sont les entreprises (surtout les laboratoires de panification et les petites boulangeries) ayant obtenu la marque d’excellence de l’Entreprise Artisanale Alimentaire de Panification, relâchée par la Région Piémont. Le four à bois représente le nec plus ultra d’une élaboration soignée, car le goût et la fragrance sont rehaussés avec ce type de cuisson. Outre la lente montée en température (en moyenne cinq heures, pour que le four atteigne les 230 à 300°C), tout l’art du boulanger réside dans le fait de trouver, de manière empirique et sensorielle, le bon moment pour enfourner et défourner : quasiment un dogme qui ne s’apprend qu’à travers une longue pratique artisanale. Ensuite, le levain, la véritable énigme qui fait « vivre » le pain, un aliment « magique » par excellence, fruit d’une pâte capable de lever « toute seule » - jusqu’à ce que l’on comprenne l’origine du levage et que l’on découvre la levure de bière.Le levainMême avant la diffusion de la levure de bière, le levage s’effectuait à travers la conservation d’une « pâte levante », qui, dans nos plaines et nos vallées, était conservée, à tour de rôle, par les familles, qui veillaient à la « nourrir ». C’est la méthode du levain (ou levure naturelle) : un mélange de farine et d’eau qui, laissé à l’air libre sur une certaine période, fermente et s’acidifie spontanément. Ce mélange, nourri par des ajouts continus et réguliers de farine et d’eau, est utilisé au fur et à mesure dans la fermentation et le levage des pâtes. Il peut durer des années et il est parfois transmis de génération en génération. La présence de saccharomyces, mais également de colonies d’autres le-vures indigènes et sauvages, favorise un spectre aromatique plus étendu avec une acidité supérieure (pH 4-4,5) et donc une meilleure conservation. Encore une fois, la lenteur du levage (une vingtaine d’heures en moyenne) fait la différence. Aujourd’hui, le levain est de nouveau employé et trouve une splendide vitrine promotionnelle à la Fête du Pain de Savigliano (biennale, 4e dimanche de septem-bre), où l’on peut déguster, parmi de nombreuses propositions gourmandes, le « pane dell’Alvà » (« Le pain au levain », en piémontais). Notre panorama est donc riche en créativités et en traditions et met en valeur de grands artisans, que l’on peut identifier, depuis quelques années, à travers la cartographie réalisée par la Région Piémont avec l’institution du label « Excellence Artisanale ». www.regione.piemonte.it/artigianato/elenco.htm

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