un approccio innovativo alla pianificazione nel canale...

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: Relatore: Prof. E. Bolisani Correlatore: Dott. C. Nordio Università degli Studi di Padova Facoltà di Ingegneria Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione Marzo 2010

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MARCO DE ROCCHI

UN APPROCCIO INNOVATIVO ALLAPIANIFICAZIONE NEL CANALE

RETAIL: MERCHANDISE FINANCIALPLANNING

TESI DI LAUREA SPECIALISTICA

Relatore: Prof. E. BolisaniCorrelatore: Dott. C. Nordio

Università degli Studi di PadovaFacoltà di IngegneriaDipartimento di Ingegneria dell’InformazioneMarzo 2010

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Marco De Rocchi: Un approccio innovativo alla pianificazione nelcanale retail: Merchandise Financial Planning, Tesi di laurea specia-listica, marzo 2010.

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S O M M A R I O

Il processo di pianificazione e l’uso di sistemi software persupportarlo rappresentano elementi sempre più importanti nonsolo nell’industria retail e della grande distribuzione ma anchein altre tipologie di aziende. L’introduzione di questi sistemi inspecifiche realtà aziendali richiede peraltro un’attenta valutazio-ne delle problematiche che possono emergere. Questa tesi pro-pone lo studio di Merchandise Financial Planning (MFP), strumen-to a supporto della pianificazione delle vendite messo a puntoda Oracle per la Grande Distribuzione Organizzata (GDO), delquale si intende valutare l’applicabilità a settori diversi da quel-lo originario. In particolare viene proposta una gap analysis cherileva la “distanza” tra il modello aziendale incorporato nell’ap-plicativo software esaminato e il tipico processo di budgetingdi un’azienda del settore fashion (in particolare il settore calza-turiero). Il lavoro da un lato rappresenta, in generale, un utileesempio di approccio da seguire per identificare le reali poten-zialità di un software in un dato settore applicativo, dall’altrofornisce risultati utili (se pure preliminari) per un’eventuale va-lutazione relativamente alle opportunità di investire sull’uso diMFP nel settore analizzato.

A B S T R A C T

In retail industry, especially department store, as well as inother industries, computer-based software solutions that sup-port the planning processes are gaining ground, becoming in-creasingly important due to the competition between companiesand changes in customer expectations. In this thesis we presentsa decision support system called Merchandise Financial Planning(MFP), a software developed by Oracle in order to help retailersin planning and controlling their sales budget. Apart from de-scribing the business process incorporated in the MFP software,we also introduce a method to analyze the gap between the soft-ware and the typical sales budgeting process in a footwear com-pany. In the end, going on the outcomes of the analysis, wepropose some hints in order to bridge the gap.

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R I N G R A Z I A M E N T I

Innanzi tutto desidero ringraziare Corrado Nordio, CEO diTria s.r.l., per avermi offerto la possibilità di svolgere questo pro-getto di tesi, consentendomi allo stesso tempo di concludere lacarriera universitaria senza particolari patemi. Desidero inoltreringraziarlo per avermi dato l’opportunità di frequentare un cor-so di formazione di alto livello come l’RPAS Boot Camp orga-nizzato da Oracle a Milano. Desidero ringraziare il prof. EttoreBolisani che si è reso da subito disponibile a farmi da relatore eche mi ha seguito capitolo dopo capitolo nella stesura di questatesi.

Ringrazio di cuore tutti i miei familiari, in particolare i miei ge-nitori, che in questi lunghi anni di università non mi hanno fattomancare niente e hanno sempre cercato di agevolarmi in tutto.Un ringraziamento speciale alla mia ragazza, Stefania, che miha sempre appoggiato nelle mie scelte e con la quale ho condivi-so i momenti belli e quelli meno belli del periodo universitario.Infine ringrazio i miei colleghi di Tria e tutti i miei amici, daicompagni di squadra ai compaesani, passando per i compagnidi università, con cui ho trascorso anni bellissimi.

Grazie a tutti.

Padova, marzo 2010 M.

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I N D I C E

1 INTRODUZIONE 1

2 MERCHANDISE PLANNING 5

2.1 Merchandise Management 5

2.1.1 Il concetto di pianificazione 5

2.1.2 La pianificazione nell’industria retail 7

2.2 Merchandise Financial Planning 12

2.2.1 Il processo di pianificazione 12

2.2.2 Attività e metriche a supporto 18

2.2.3 Strumenti di controllo: l’Open-To-Buy 26

3 RETAIL NEL SETTORE FASHION: IL CALZATURIERO 29

3.1 Il settore calzaturiero in Italia 29

3.1.1 Il settore e la competizione mondiale 29

3.1.2 Dati economici relativi al calzaturiero inItalia 30

3.1.3 Struttura del settore in Italia: i distretti in-dustriali 31

3.1.4 Evoluzione del settore nello scenario inter-nazionale 32

3.1.5 L’importanza di essere competitor globa-li 33

3.2 Strategie per competere 35

3.2.1 Aree di innovazione strategica 35

3.2.2 L’influenza delle tendenze culturali 37

3.2.3 L’importanza della distribuzione 38

3.2.4 Il negozio come luogo di consumo 40

3.2.5 Alcuni dati 41

3.3 Il retail monomarca 43

3.3.1 Il retail al servizio della marca 43

3.3.2 La pianificazione strategica del retail 44

3.3.3 Da product-oriented a market-oriented 46

3.3.4 Impatti sull’organizzazione e sui processiaziendali 48

4 LA PIATTAFORMA ORACLE RPAS 51

4.1 Decision Support Systems 51

4.1.1 Cos’è un DSS? 51

4.1.2 Utilità e scopi di un DSS 52

4.1.3 Architettura di un DSS 53

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viii INDICE

4.2 Data warehouse e OLAP 54

4.2.1 Data warehouse 54

4.2.2 OLAP 55

4.3 Oracle RPAS e MFP 58

4.3.1 Retail Predictive Application Server 58

4.3.2 MFP Template 61

5 MFP E CALZATURIERO: ANALISI DEI GAP 65

5.1 Il metodo di analisi 65

5.1.1 Gap Analysis 66

5.1.2 Prescrittività e copertura 68

5.1.3 Esempio di risultati della gap analysis 69

5.2 La pianificazione nel settore calzaturiero 71

5.2.1 Tipologia di aziende analizzate 72

5.2.2 Il caso Compar S.p.a. (Gruppo Bata) 73

5.3 Analisi dei gap 77

5.3.1 Ruoli coinvolti 77

5.3.2 Processo di pianificazione 77

5.3.3 Processo di controllo 78

5.3.4 Analisi dei dati 79

5.3.5 Metriche 79

6 CONCLUSIONI 81

BIBLIOGRAFIA 85

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E L E N C O D E L L E F I G U R E

Figura 1 Il concetto di pianificazione (fonte Wikipe-dia [2009f]) 5

Figura 2 Esempio di canale di distribuzione (fonteLevy e Weitz [2006]) 7

Figura 3 Merchandise Financial Planning nel conten-sto più ampio di Merchandise Planning (fon-te Oracle [2009a]) 13

Figura 4 Diagramma del ciclo di pianificazione e con-trollo 13

Figura 5 Diagramma del ciclo di pianificazione e con-trollo: esempio pratico 14

Figura 6 Il processo di pianificazione pre-season (fon-te Oracle [2009a]) 16

Figura 7 Il processo di pianificazione pre-season: li-vello executive (fonte Oracle [2009a]) 16

Figura 8 Il processo di pianificazione pre-season: li-vello planner (fonte Oracle [2009a]) 17

Figura 9 Il processo di pianificazione in-season (fon-te Oracle [2009a]) 18

Figura 10 Processo di riconciliazione e approvazionedel piano (fonte Oracle [2009a]) 25

Figura 11 Cambiamenti nella struttura degli scambicommerciali nel calzaturiero (fonte Herme-sLab [2008]) 31

Figura 12 Un modello di Retail Brand Equity (fonteSacerdote [2007]) 45

Figura 13 Cubo multidimensionale (fonte Oracle [2009b]) 57

Figura 14 Piattaforma Oracle RPAS (fonte Oracle [2009b]) 58

Figura 15 Architettura fisica della piattaforma OracleRPAS (fonte Oracle [2009b]) 60

Figura 16 La piattaforma Oracle RPAS e la soluzionedi MFP (fonte Oracle [2009b]) 61

Figura 17 Gerarchie e dimensioni presenti nel tem-plate MFP di Oracle: nell’ordine prodot-to, area geografica e tempo (fonte Oracle[2009b]) 62

Figura 18 MFP Template: esempio di worksheet rela-tivo alla scheda Sales (fonte Oracle [2009b]) 64

Figura 19 Esempio di gap analysis su due dimensio-ni/variabili di analisi 67

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x Elenco delle tabelle

Figura 20 Livelli di configurazione del template MFP(fonte Oracle [2009b]) 69

E L E N C O D E L L E TA B E L L E

Tabella 1 Vendite (fonte Levy e Weitz [2006]) 19

Tabella 2 Riduzioni (fonte Levy e Weitz [2006]) 20

Tabella 3 Stock di inizio e fine periodo (fonte Levy eWeitz [2006]) 22

Tabella 4 Piano di approvvigionamento (fonte Levye Weitz [2006]) 23

Tabella 5 Esempi di misure presenti nel template MFPe delle loro componenti (fonte Oracle [2009a]) 62

Tabella 6 Gap analysis: esempio (fonte Bracchi et al.[2005]) 70

Tabella 7 Analisi dei gap. 78

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1 I N T R O D U Z I O N E

Oggi la pianificazione riveste un ruolo di primissimo pianonell’industria retail e non solo. L’aumento della competizionemondiale, i cambiamenti nelle aspettative del cliente e l’instabi-lità economica inducono le grandi aziende retailer a dotarsi disoftware avanzati e tecniche analitiche innovative, al fine di au-mentare la loro efficienza sia dal punto di vista operativo che inrelazione ai servizi resi al cliente, con l’obiettivo finale di gestirele risorse in modo integrato e sistematico, migliorare i processidi business e quindi la redditività dell’impresa.

Oggi esistono varie soluzioni software proposte sul mercatoche supportano le aziende nella pianificazione. Tuttavia, la scel-ta di quale tecnologia sia la più adatta alla specifica aziendanon è banale; si deve fra l’altro considerare che l’introduzionedi un qualsiasi sistema software può avere un impatto profondosull’organizzazione: per esempio, considerando il caso specificoqui oggetto di analisi, l’uso di un dato software può richiedere ocomportare una modificazione dei processi e delle pratiche concui i dirigenzi aziendali sono soliti effettuare le proprie scelte epianificazioni. Studiare a fondo queste problematiche è necessa-rio sia per le aziende che desiderano considerare l’acquisizionedi un nuovo software sia per le società che offrono servizi divendita, installazione e configurazione del software stesso.

Il problema affrontato in questa tesi riguarda proprio quest’ul-tima situazione. Viene infatti analizzato un sistema di analisi asupporto delle decisioni di pianificazione del retail: il softwaremesso punto da Oracle, azienda leader nelle soluzioni softwarededicate al mondo dei retailer, noto come Merchandise FinancialPlanning (MFP). MFP è uno strumento destinato ad aiutare leaziende nel processo di pianificazione e controllo dei propri bud-get di vendita nell’ambito del commercio al dettaglio. La suaimplementazione fornisce ai retailer un’applicativo di pianifica-zione condivisa, in grado di supportare la gestione dei budgetpre-stagionali e stagionali attraverso una serie di indici quantita-tivi (p. es. vendite, sconti, carichi, scorte, margini ecc.). L’uso diMFP viene proposto come strumento per ottimizzare le capacitàdi pianificazione finanziaria delle aziende e razionalizzare il pro-cesso di budgeting commerciale con particolare riferimento alleaziende retail e della Grande Distribuzione Organizzata (GDO).

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2 INTRODUZIONE

Il lavoro di tesi, svolto durante un tirocinio formativo pres-so la società di servizi e consulenza informatica Tria s.r.l., haavuto come scopo fondamentale l’impostazione dell’analisi del-le potenzialità e problemi di applicazione del software MTP alcontesto particolare rappresentato dalle aziende fashion e in par-ticolare del settore calzaturiero. Infatti le competenze fondamen-tali di TRIA riguardano il settore retail e soprattutto la GDO(e questo spiega l’attenzione per un software come MFP). Tutta-via, l’idea di esplorare nuove opportunità di crescita con clien-ti business potenzialmente importanti per TRIA come le azien-de fashion richiede di analizzare le reali potenzialità di applica-zione di strumenti come MFP in un contesto diverso da quellooriginario.

Il mondo delle aziende del comparto fashion ha dimostratonegli ultimi anni una decisa predilezione ad avvalersi del retailcome vettore strategico per affermare il proprio successo e con-seguire un vantaggio competitivo. Per questo tipo di aziende,uno dei fattori chiave, oltre alla creatività e alla qualità del pro-dotto, è stato senza dubbio la costituzione di una rete di negozimonomarca attraverso i quali poter entrare in contatto diretto colcliente. Infatti il mondo dell’impresa moda oggi vive in un conte-sto molto articolato nel quale cercare di governare la complessitàdella domanda e la contrastate azioni dei concorrenti diventa es-senziale. Il controllo diretto del retail diventa una possibile armacompetitiva per il successo dell’impresa. Questo avvicina, alme-no in parte, il settore fashion a quello della GDO specialmenteper quanto riguarda le necessità di pianificazione delle vendite.Tuttavia, e nonostante i crescenti esempi di successo di impreseche hanno scelto un modello di retail diretto, nel settore moda (enel calzaturiero in particolare oggetto diretto dell’analisi condot-ta qui) le modalità di gestione della distribuzione sono ancoradi tipo tradizionale, e mancano sistemi di pianificazione struttu-rati. Ci si può dunque chiedere come e fino a che punto i nuovistrumenti disponibili sul mercato (come MFP) possano rappre-sentare utili opportunità per queste imprese, e quali problemi cipossano essere nella loro adozione.

Lo scopo di questo lavoro di tesi è duplice. Da un lato, im-postare da un punto di vista metodologico il problema di ana-lizzare e valutare la reale applicabilità di un sistema software aun contesto specifico e particolare, e non necessariamente coin-cidente con quello originale per il quale il software era statoprogettato. L’approccio qui proposto è un adattamento di classi-che tecniche di gap analysis tipicamente adottate per valutare ladistanza tra le funzionalità offerte da un dato software e le moda-lità di funzionamento tipiche di un’azienda o gruppo di aziende

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INTRODUZIONE 3

(cfr. Bracchi et al. [2005]). Dall’altro, i risultati dell’applicazionedella tecnica di gap analysis prima citata al caso dell’uso di MFPalle aziende calzaturiere forniscono se non altro in via prelimina-re (ossia come una sorta di pre-indagine) utili indicazioni dellereali opportunità e problematiche per una società come TRIArelativamente allo sviluppo del nuovo business ipotizzato

Nel dettaglio il lavoro è articolato come segue:

NEL SECONDO CAPITOLO viene fornita una descrizione appro-fondita del processo di pianificazione delle vendite e delcontesto organizzativo al quale è specificatamente destina-to. Si farà riferimento qui sia alla letteratura managerialesul tema, sia al modello specificatamente incorporato neldisegno del software Oracle MFP.

NEL TERZO CAPITOLO viene proposta una panoramica sul setto-re calzaturiero, con particolare attenzione alla questionedella distribuzione al dettaglio e alla modalità di venditatramite reti di punti vendita monomarca.

NEL QUARTO CAPITOLO dopo aver inquadrato il software MFPnella più generale categoria dei sistemi a supporto delledecisioni (Decision Support Systems), vengono descritte leprincipali caratteristiche e funzionalità del software.

NEL QUINTO CAPITOLO viene infine proposta una gap analysisper poter valutare le potenzialità e difficoltà di implementa-zione del software MFP all’interno di un generico contestodi impresa calzaturiera dotata di rete di vendita diretta.

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2 M E R C H A N D I S E P L A N N I N G

INDICE2.1 Merchandise Management 5

2.1.1 Il concetto di pianificazione 5

2.1.2 La pianificazione nell’industria retail 7

2.2 Merchandise Financial Planning 122.2.1 Il processo di pianificazione 12

2.2.2 Attività e metriche a supporto 18

2.2.3 Strumenti di controllo: l’Open-To-Buy 26

2.1 MERCHANDISE MANAGEMENT

2.1.1 Il concetto di pianificazione

In termini generali, la pianificazione è il processo con in qua-le, dato un sistema, si stabilisce uno stato futuro dello stessoritenuto desiderabile (obiettivo), si individuano le azioni per con-seguirlo (piano d’azione) e le risorse per mettere in atto questeazioni. Il prodotto del processo di pianificazione prende il nomedi piano [Wikipedia, 2009f].

Figura 1: Il concetto di pianificazione (fonte Wikipedia [2009f])

La pianificazione è normalmente connessa a meccanismi dicontrollo, che hanno lo scopo di guidare la gestione verso ilconseguimento degli obiettivi pianificati, evidenziando gli sco-stamenti tra questi ultimi e i risultati ottenuti. L’andamentodell’attuazione dei piani va infatti verificato nel tempo, giun-gendo anche alla revisione o all’aggiornamento degli stessi in

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6 MERCHANDISE PLANNING

caso di eventi rilevanti, quali forti scostamenti non recuperabi-li, mutamento delle condizioni al contorno, variazioni di strate-gia ecc. La stretta integrazione fra queste due componenti fasì che normalmente, sia a livello teorico che pratico, si parli di“pianificazione e controllo” come di un unico processo.

Benefici della pianificazione

I vantaggi della pianificazione e, di conseguenza, dell’elabora-zione di un piano, sono numerosi ed evidenti:

• Innanzitutto, il piano costringe a identificare e definire obiet-tivi specifici, quantificati e misurabili, rappresentando un’e-splicita guida all’azione e aumentando di fatto l’efficaciadei propri sforzi;

• Se per l’elaborazione del piano si utilizzano adeguati stru-menti software, è facile effettuare un’analisi di sensitività(ossia valutare come e quanto possano cambiare o quan-to siano sensibili i risultati attesi al variare di ipotesi sul-l’andamento di alcuni importanti fattori che li condizio-nano) e confrontare con poco sforzo e molto velocementel’appetibilità di diverse alternative decisionali o scenari;

• Il piano, inoltre, rappresenta un importante termine di ri-ferimento per verificare e controllare se, in quale misu-ra e perché, quanto era stato previsto e pianificato si èverificato, al fine di introdurre eventuali misure correttive.

I benefici derivanti dalla messa a punto di un piano ben defi-nito non si limitano solamente agli aspetti quantitativi di misuradelle performance. Infatti:

• Le esperienze maturate nel processo di pianificazione, an-ziché andare perdute o rimanere legate a una o poche per-sone, con tutti i rischi che ne conseguono, vengono infatticonsolidate e rappresentano un know-how accessibile a chipossa essere interessato;

• La possibilità di comunicazione dei contenuti e delle logi-che del piano fra tutti coloro che, all’interno dell’aziendao in contatto diretto con la stessa, possono o debbono con-tribuire a svilupparlo e realizzarlo, ne facilita grandemen-te la comprensione, contribuendo al miglioramento dellaqualità del lavoro svolto da ognuno.

Comunicare e comprendere sono la premessa di una maggioree più diffusa condivisione, non soltanto delle informazioni maanche e soprattutto degli obiettivi aziendali.

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2.1 MERCHANDISE MANAGEMENT 7

2.1.2 La pianificazione nell’industria retail

La pianificazione può interessare sistemi di differenti tipolo-gie e dimensioni: da un intero sistema economico (pianifica-zione macroeconomica), a una singola azienda (pianificazioneaziendale), a una particolare funzione aziendale (pianificazionefinanziaria). In questo capitolo faremo riferimento ai processi dipianificazione che si applicano al mondo del retail.

In particolare, i paragrafi seguenti sono un estratto dei concet-ti e delle pratiche che vengono utilizzati dalle aziende commer-ciali che lavorano in contesti tipici della Grande DistribuzioneOrganizzata (per esempio nel commercio al dettaglio realizza-to dalle grandi catene distributive). In questo tipo di contestii retailer sono l’anello che collega i produttori (o i grossisti) aiconsumatori finali, svolgendo un ruolo specifico all’interno delcanale distributivo come illustrato in figura 2. Spesso, però, leattività di produzione, distribuzione all’ingrosso e vendita al det-taglio non vengono realizzate da aziende differenti, quanto piut-tosto da una singola azienda che ne intraprende più di una [Le-vy e Weitz, 2006]. Quando un’azienda realizza diverse attivitàall’interno del canale di distribuzione si dice che essa realizzaun’integrazione verticale, la quale si può manifestare “all’indie-tro” se un retailer intraprende attività di produzione o “in avan-ti” nel caso un produttore decida di costruire una rete di venditadiretta (si veda in proposito il capitolo 3).

Figura 2: Esempio di canale di distribuzione (fonte Levy e Weitz[2006])

Nell’industria retail, la pianificazione del merchandise (in in-glese Merchandise Planning) può essere descritta come un approc-cio sistematico per massimizzare il ritorno sugli investimenti(ROI) attraverso la pianificazione di vendite, scorte, spazi e assor-timenti, al fine di aumentare i profitti e minimizzare i markdowne le rotture di stock.

In altri termini, la pianificazione del merchandise è il processoattraverso cui un retailer cerca di offrire la giusta quantità, delgiusto merchandise, nel negozio giusto, al momento giusto, cer-cando al contempo di soddisfare gli obiettivi finanziari aziendali[Levy e Weitz, 2006].

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8 MERCHANDISE PLANNING

Attraverso la pianificazione i retailer sono in grado di:

• Informare e preparare l’intera organizzazione sugli scena-ri che si prospettano per il futuro, specialmente se questiscenari differiscono sensibilmente dal passato;

• Definire e misurare le performace aziendali relative al mer-chandising attraverso una serie di indicatori del rendimen-to;

• Rimanere concentrati sul cliente e sui suoi comportamen-ti/aspettative, monitorando i trend di vendita e sfruttandoeventuali opportunità che si presentano sul mercato;

• Valutare le performance attuali in rapporto ai valori desi-derati, garantendo così utili indicazioni sugli scostamentitra le due.

L’obiettivo del merchandise management è massimizzare il ritor-no sugli investimenti (ROI) attraverso un approccio sistematicoalla pianificazione e alla gestione del merchandise. Chiaramenteper il calcolo del ROI viene fatto riferimento ai soli investimentifinanziari che riguardano l’acquisto di merchandise e non ad al-tri tipi di investimenti (come per esempio i costi fissi e i costi digestione).

Per questo motivo si parla spesso di GMROI, ovvero del GrossMargin Return On Investment, l’indice che quantifica il ritornosugli investimenti relativi al solo merchandise (in pratica indicaquanti euro si ricavano per ogni euro investito nell’acquisto dimerchandise).

Il piano

Il piano è un modello finanziario di una parte dell’organizza-zione che ne esprime il rendimento desiderato per un determi-nato periodo futuro. Nel nostro caso il piano si riferisce all’areaaziendale che si occupa del gestione del merchandise. Tipica-mente un piano di questo tipo è costituito dai seguenti punti:

• Indicatori di performance (KPI - Key Performance Indicator1)e misure che quantificano i rendimenti dell’area relativa almerchandising e che sono sintetizzati sulla base di regolepredefinite;

1 I Key Performance Indicator sono indici che monitorano l’andamento di un pro-cesso aziendale. Sono principalmente di quattro tipi: indicatori generali, diqualità, di costo e di tempo.

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2.1 MERCHANDISE MANAGEMENT 9

• Orizzonte temporale che il piano intende coprire (tipica-mente lo span per la pianificazione non supera i sei mesiper il merchandise caratterizzato da stagionalità e l’annoper i prodotti continuativi);

• Strutture per il reporting.

Un piano è un contenitore per questi tre elementi chiave: tutta-via, i dati di pianificazione che lo compongono, nonché il mododi elaborarli, possono essere diversi a seconda del ruolo all’in-terno dell’organizzazione. I piani sono spesso caratterizzati dadifferenti versioni che riflettono tipicamente lo step raggiuntoall’interno del processo di pianificazione. Piani diversi, inoltre,possono coesistere durante l’intero processo: la loro riconcilia-zione, tuttavia, è una pratica indispensabile al fine di ottenereun unico piano approvato dal management. Il piano approvato,infine, viene comparato con i dati attuali in modo da avere uncontrollo completo e tempestivo sulle performance d’esercizio.

Perché pianificare

L’incremento della competizione mondiale, unitamente allavariazione delle aspettative dei consumatori e all’instabilità eco-nomica, indicano come il business non possa rimanere statico:una gestione dinamica attraverso processi ben definiti non puòche aiutare le aziende a creare un vantaggio competitivo nei con-fronti dei propri concorrenti. Per un retailer, i principali beneficidella pianificazione possono essere riassunti nei seguenti punti:

• Un approccio proattivo alla gestione del business;

• Una fotografia consistente degli obiettivi finanziari azien-dali;

• Acquisti più accurati e gestione delle scorte ottimizzatasulla base dei dati attuali;

• Miglioramento della pianificazione e dell’esecuzione neglianni successivi al primo;

• Informazione dettagliata sempre a disposizione degli ana-listi.

Dal momento che la competizione cresce giorno dopo giornoe il mondo del retail diventa sempre più complesso, fallire la pia-nificazione, o peggio ancora, non pianificare, significa rischiareil fallimento del business.

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10 MERCHANDISE PLANNING

Chi pianifica

La maggior parte dei retailer articola la propria pianificazionesu più livelli, dividendo le responsabilità all’interno dell’orga-nizzazione a seconda del ruolo svolto nel processo. Tipicamentei retailer di origine anglosassone identificano principalmente trelivelli all’interno del gruppo di pianificazione: executive, managere planner.

• Executive (Top-Down) É il livello più alto: include respon-sabilità strategiche di medio periodo. Solitamente si fo-calizza sugli elementi chiave del business quali vendite emargini.

• Manager (Middle-Out) É il livello intermedio, l’interfacciatra executive e planner. Ha completa visibilità degli obietti-vi di medio periodo imposti dal livello executive e traducequesti obiettivi in target per il gruppo di planner che super-visiona. Si occupa anche della riconciliazione tra i piani egli obiettivi finanziari aziendali.

• Planner (Bottom-Up) É il livello più basso, la cui respon-sabilità primaria è costruire il piano al massimo livello didettaglio e di controllarlo durante la stagione di vendita.La granularità dei dati di pianificazione dipende dalle di-mensioni e dalla struttura dell’organizzazione. In alcunicasi, specialmente per piccoli retailer locali, i planner sonocoinvolti anche nella definizione dei piani di assortimento.

Con una pianificazione strutturata in questo modo è impor-tante che i valori pianificati siano visibili attraverso i vari livelli.La versione del piano che viene approvata è quella generata daiplanner in quanto contiene tutte le informazioni di pianificazio-ne a livello dettagliato. In seguito, attraverso una procedura diriconciliazione e approvazione, i rollup di questa versione delpiano vengono resi disponibili all’intera organizzazione.

Quando pianificare

La pianificazione è un processo continuo e iterativo: per que-sto è fondamentale capire gli orizzonti temporali in gioco e or-ganizzare le attività di conseguenza.

• Pre-Season Durante il processo di pianificazione pre-seasoni piani vengono sviluppati con almeno sei mesi di antici-po rispetto alla stagione di vendita. I dati storici vengonoutilizzati per individuare i trend e le stagionalità, ma un

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2.1 MERCHANDISE MANAGEMENT 11

approccio proattivo alla gestione è comunque fondamenta-le. I planner, infatti, devono essere lungimiranti e guardareal futuro (per esempio pianificando con congruo anticipole attività promozionali), senza per questo rinunciare alleoccasioni che si presentano sul mercato per massimizzarei profitti e il ritorno sugli investimenti.

• In-Season La pianificazione e il controllo in-season garan-tiscono una gestione del business accurata attraverso il con-fronto continuo tra le performance attuali e quelle pianifi-cate pre-season. I planner adattano le previsioni sfruttandoi dati attuali di vendita e determinano se le scorte sono suf-ficienti o meno a supportare la domanda. Per far questo siservono di una metrica nota come Open-to-Buy (OTB) chemisura lo scostamento tra il livello di stock pianificato e lamerce on-hand, dando indicazioni sulla necessità o menodi acquistare ulteriore merchandise.

Oltre ai periodi pre-season e in-season va considerato un ter-zo periodo, quello di post-season, in cui vengono condotte unaserie di analisi basate sul confronto tra le performance raggiuntedurante la stagione di vendita e gli obiettivi che ci si era prefis-sati. Imparare dal passato attraverso l’analisi, infatti, è il migliormodo per raggiungere ambiziosi traguardi per il futuro.

Cosa si pianifica

É fondamentale pianificare solo ciò di cui si ha completo con-trollo: è infatti inutile, e soprattutto rischioso, procedere conla pianificazione di grandezze che non si è in grado di gestire.La divisione tra i ruoli, insieme al livello occupato all’internodel gruppo di pianificazione, di fatto facilitano l’assegnazionedelle responsabilità ai vari attori del processo. Durante il pro-cesso, quindi, ogni pianificatore si deve concentrare esclusiva-mente sulle metriche di propria competenza al livello stabilito,pianificando nell’ordine:

• Vendite

• Scorte

• Carichi2

2 Con il termine carico si intende la merce acquistata in un periodo precedente eche viene consegnata in un determinato periodo aumentando così le scorte dimagazzino per quel periodo. Si tratta quindi della quantità di merce in entratanel magazzino in un determinato periodo.

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12 MERCHANDISE PLANNING

• Markdown3

• KPI vari

Tipicamente gli obiettivi finanziari aziendali vengono raggiun-ti attraverso la pianificazione accurata delle vendite e delle scor-te, che sono in assoluto i due elementi chiave per il successo diqualsiasi retailer. Le maggiori aree di perdita nell’industria retailsono infatti le vendite perse, generate dall’assenza di stock, e imarkdown forzati, dovuti invece a eccessi di stock.

I retailer, tuttavia, non sono interessati esclusivamente alle ven-dite, quanto piuttosto ai profitti che derivano da esse. Il profittoè l’elemento chiave per qualsiasi tipo di business: nel caso del-l’industria retail, il Merchandise Financial Planning garantisce unincremento diretto dei profitti attraverso la minimizzazione deimarkdown e delle rotture di stock. Vediamo nel dettaglio di cosasi tratta.

2.2 MERCHANDISE FINANCIAL PLANNING

Il Merchandise Financial Planning (MFP) è la spina dorsale del-l’intero processo di Merchandise Planning che comprende, oltre aMFP, anche altri processi quali Assortment Planning, Space Plan-ning and Optimization, Price Planning e Supply Chain Planningand Execution (vedi figura 3

4).MFP permette la pianificazione finanziaria di parametri chia-

ve quali vendite, markdown, scorte, margini e svariati KPI, assi-curando al contempo che l’intera organizzazione stia lavorandonella direzione di un obiettivo comune (“one version of the truth”).

2.2.1 Il processo di pianificazione

Come abbiamo già affermato, il processo di MFP può essereseparato in due sottoprocessi: la pianificazione pre-season e lapianificazione e il controllo in-season. Cerchiamo ora di capirequali sono gli step del ciclo di pianificazione e controllo, schema-tizzando l’intero sistema con un diagramma a blocchi. Facendo

3 Con il termine markdown si intende la riduzione del prezzo di etichetta dellamerce in vendita.

4 Assortment Planning riguarda la pianificazione della larghezza e della profon-dità dell’assortimento. Space Planning indica la pianificazione degli spazi al-l’interno del punto vendita. Con Price Planning si intende la pianificazionedei prezzi di vendita. Infine Supply Chain Planning and Execution riguarda lapianificazione e l’esecuzione del sistema di approvvigionamento.

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2.2 MERCHANDISE FINANCIAL PLANNING 13

Figura 3: Merchandise Financial Planning nel contensto più ampio diMerchandise Planning (fonte Oracle [2009a])

riferimento alla figura 4 possiamo identificare 7 passaggi chiaveall’interno del processo:

Figura 4: Diagramma del ciclo di pianificazione e controllo

1. I dati storici e le previsioni di vendita sono il punto di par-tenza per la fissazione dei contenuti dei parametri-obiettivo,espressi ciascuno secondo la propria metrica (nel caso sia-no di tipo quantitativo);

2. Una volta fissati, i parametri-obiettivo costituiscono i tar-get di riferimento da perseguire (indicano cioè come ci siaspetta che il “sistema retailer” funzioni);

3. Al fine di perseguire i parametri-obiettivo fissati è neces-sario agire sul sistema attraverso una serie di variabili diintervento, quali ad esempio le variazioni di prezzo (mark-down), gli ordini di acquisto ai fornitori (purchasing) ecc.;

4. Il sistema, soggetto alle azioni intraprese al punto prece-dente e alle dinamiche del mercato, restituisce una serie didati (p.es. dati attuali di vendita, KPI ecc.);

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14 MERCHANDISE PLANNING

5. Questi dati, sotto forma di misure provenienti dal sistema,vengono retroazionati (feedback) per consentire il confrontocon i parametri-obiettivo;

6. La differenza tra i parametri-obiettivo e i risultati di vendi-ta (analisi delle variazioni) indica quanto le performance delsistema retailer si scostano dai valori auspicati (pianificati);

Se questa differenza esiste (∆ 6= 0 in figura 5), si rende necessariala ricerca delle cause che hanno portato a risultati diversi dagliobiettivi prefissati. Una volta individuate le cause, infine, si pro-cede con una serie di interventi correttivi diretti a rimuovere ledifformità.

7. Se lo scostamento tra parametri-obiettivo e risultati è trop-po marcato , oltre a intervenire sul sistema attraverso leazioni del punto 3 (feedback), si possono correggere i parametri-obiettivo (feedforward).

Le attività descritte ai punti 1 e 2 corrispondono al pre-seasonplanning process, mentre tutti i rimanenti punti fanno riferimen-to all’in-season planning and control process. Prima di descri-vere nel dettaglio questi due processi di pianificazione, cerchia-mo di chiarire la differenza tra i concetti di feedback e feedforwardapplicati alle azioni correttive definite al punto 7.

Figura 5: Diagramma del ciclo di pianificazione e controllo: esempiopratico

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2.2 MERCHANDISE FINANCIAL PLANNING 15

L’approccio di feedback si fonda sull’analisi dell’accaduto pertrarre elementi che migliorino l’azione futura: il presupposto stanella ripetitività delle decisioni e nella relativa stabilità dei con-testi. Questo raramente è valido per l’azienda nel suo insieme,ma lo è più di frequente per quanto riguarda singole aree (comead esempio la funzione finanziaria).

L’approccio di feedforward, invece, si realizza quando si è inpresenza di grande dinamismo e l’esigenza primaria sta nell’an-ticipazione dei fenomeni per meglio fronteggiarli. Il feedforwardprevede che a una prima formulazione dei parametri-obiettivone segua un’altra la quale, avvalendosi delle maggiori e miglioriconoscenze derivanti dall’avvicinamento temporale dell’azionefutura, sarà qualitativamente più affinata. Gli scostamenti tra idue parametri-obiettivo portano anche in questo caso a una ri-cerca delle cause che hanno condotto a conclusioni diverse, ondeperfezionare, attraverso questa fase, la capacità dei manager nelformulare gli obiettivi (e le azioni per conseguirli) poste sotto laloro responsabilità [Bergamin, 1991].

Pre-season planning

La pianificazione pre-season si focalizza sulla creazione di unpiano, detto Original Plan, che rappresenta la fotografia a inizioperiodo dei risultati che ci si aspetta di ottenere nella prossimastagione di vendita. Il piano originale viene utilizzato durante ilperiodo in-season come termine di paragone per confrontare leperformance della stagione di vendita (misurate attraverso i datiattuali) con quelle attese (fissate nel piano originale). Il pianoviene inizializzato attraverso una procedura chiamata seed checarica i dati storici sul venduto e da il via alla generazione deiforecast di vendita. Il tutto per garantire a chi pianifica di iniziareil processo partendo da una curva della domanda già popolatae non da zero. Il workflow di processo è riportato in figura 6.

Dopo aver eseguito il seed, ogni ruolo crea il proprio piano fi-nanziario. Gli obiettivi (o target) vengono condivisi da parte delmanager (middle-out) e dell’executive (top-down) con il planner(bottom-up). Generalmente, l’executive impone i propri targetal manager che a sua volta li impone al planner ma a un livellodi dettaglio superiore (vedi figura 6). A questo punto il managere il planner devono rivedere il proprio piano per assicurarsi cherispetti gli obiettivi stabiliti dal livello superiore (l’executive nelcaso del manager e il manager nel caso del planner). Fatto ciò ipiani vengono riconciliati e approvati a una sola versione (Origi-nal Plan) da parte del manager (vedi attività di Review e Approvein figura 6).

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16 MERCHANDISE PLANNING

Figura 6: Il processo di pianificazione pre-season (fonte Oracle[2009a])

In figura 7 e 8 sono riportate le singole attività svolte dall’e-xecutive, dal manager e dal planner all’interno del processo dipianificazione pre-season. Come si può notare a livello execu-tive vengono pianificate solo le metriche più importanti ai finidel profitto quali le vendite, le scorte e il margine lordo, il cherispecchia il ruolo prettamente manageriale ricoperto dell’execu-tive. Il piano vero e proprio, invece, viene messo a punto dalplanner a un livello di dettaglio molto maggiore che necessita lapianificazione di numerose altre metriche.

Figura 7: Il processo di pianificazione pre-season: livello executive(fonte Oracle [2009a])

Il planner, infatti, pianifica le vendite, i markdown, i carichi, lescorte, le rotazioni, il margine lordo e altre misure non riportatein figura 8 che supportano il processo “dal basso”. Il ruolo delmanager, infine, consiste nel tradurre i target di livello executivein obiettivi specifici per il planner e successivamente riconciliaree approvare il piano originale.

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2.2 MERCHANDISE FINANCIAL PLANNING 17

Figura 8: Il processo di pianificazione pre-season: livello planner (fonteOracle [2009a])

In-season planning and control

Una volta iniziata la stagione di vendita, il gruppo di pianifi-catori passa al processo di pianificazione in-season, monitoran-do gli andamenti progressivi basati sui dati attuali. La valuta-zione degli scostamenti tra le performance di esercizio e quelleauspicate dal piano originale può portare:

• alla necessità di intervenire sul sistema modificando prezzi,acquisti e ordini ai fornitori secondo un’approccio di tipofeedback;

• a una ricalibrazione dei dati pianificati che andranno a co-stituire un nuovo piano detto Current Plan (piano corrente),secondo un’approccio di tipo feedforward.

Le attività all’interno del processo di pianificazione in-seasonsono praticamente le stesse che caratterizzano il processo pre-season, con la grossa differenza che il flusso di informazioni trai vari ruoli è invertito (come si può notare in figura 9). Il fattoche l’informazione viaggi dal planner fino all’executive (e nonil contrario) è legato alla possibilità di intraprendere delle azio-ni correttive durante la gestione: ovviamente queste scaturisco-no, nella maggior parte dei casi, dai livelli più bassi, quelli cioèche sono più a contatto con il consumatore finale e con i datipuntuali di vendita.

Andiamo a vedere più nel dettaglio le attività che caratteriz-zano i processi di pre-season e in-season e le metriche che lisupportano.

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18 MERCHANDISE PLANNING

Figura 9: Il processo di pianificazione in-season (fonte Oracle [2009a])

2.2.2 Attività e metriche a supporto

Chiaramente il primo elemento che prenderemo in considera-zione saranno le vendite, il key-driver del profitto per qualsiasiretailer.

VENDITE

Come già più volte affermato, dopo aver fatto il seed del pia-no con i dati storici sul venduto, ogni ruolo inizia la pianifica-zione delle vendite distribuendole lungo la gerarchia temporale(cominciando tipicamente dai livelli aggregati di stagione o an-no). Le vendite vengono pianificate sia in valore (Retail o Co-st a seconda del metodo di contabilità utilizzato), sia in unità(convertendo il valore attraverso un valore medio unitario).

Pianificare le vendite è lo step più impegnativo dell’intero pro-cesso di pianificazione e richiede molta attenzione inseme a un’a-nalisi accurata. Di solito si comincia analizzando i dati storicisul venduto e cercando di carpire il maggior numero di infor-mazioni possibili provenienti dal mercato, informazioni che po-trebbero modificare in modo consistente le performance future.Per esempio, la previsione della domanda (o Demand Forecasting)può essere utilizzata per predire i trend e gli andamenti futuridelle variabili in gioco. Gli aspetti più significativi da tenere inconsiderazione durante la pianificazione delle vendite sono lepromozioni e le variazioni nei comportamenti dei consumatoridovute a fattori economico-sociali.

• Le promozioni possono avere un impatto molto significati-vo sulle vendite in un determinato arco temporale, quindiè importante pianificare anche le promozioni e gli eventi

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2.2 MERCHANDISE FINANCIAL PLANNING 19

con un congruo anticipo (di solito sei mesi prima della sta-gione di vendita). Se non vengono considerate nel piano,il rischio di andare incontro a delle vendite perse (o out-of-stock - rotture di stock) è molto elevato dal momento chenon ci sono scorte sufficienti per rifornire i negozi duran-te la promozione e supportare così la domanda crescente.Molti retailer sono soliti distinguere all’interno del pianotra vendite al prezzo regolare (Regular Price Sales), venditepromozionali (Promo Sales) e liquidazioni (Clearance Sales).

• Ovviamente il comportamento dei consumatori è un ele-mento altrettanto importante e imprevedibile da tenere inconsiderazione nella pianificazione delle vendite. Capire itrend di mercato, i nuovi stili e le attitudini del consuma-tore è un fattore critico per il successo di una campagnadi vendita, soprattutto per quanto riguarda il settore del fa-shion retailing. Infatti, non potendosi basare su dati storicidi vendita per le nuove collezioni, questa tipologia di retai-ler spende molto tempo nel cercare di capire quali sarannoi trend per il futuro in modo da pianificare le vendite conla maggiore accuratezza possibile. Anche i fattori economi-ci giocano un ruolo importante all’interno del processo dipianificazione. Tassi di interesse, disoccupazione, fluttua-zione nel cambio e inflazione possono avere influenze suiconsumatori modificando il loro potere di acquisto. Quan-do questi i fattori economico-sociali cambiano, quindi, ènecessario modificare le proprie strategie per adattarsi alcambiamento.

Prima di passare al prossimo step è necessario aver pianifi-cato le vendite nell’arco temporale di riferimento. Un esempiopratico è riportato nella tabella 1.

Metrica Stagione Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre

Vendite 130000 e 27300 e 15600 e 15600 e 24700 e 27300 e 19500 e

Tabella 1: Vendite (fonte Levy e Weitz [2006])

RIDUZIONI

Dopo aver pianificato le vendite è importante guardare aglielementi che ne provocano o possono provocare una riduzionesia in valore che nel numero di unità in stock. Tipicamente que-sti elementi sono le riduzioni di prezzo della merce a scaffale (omarkdown), gli sconti per i dipendenti e i furti. Tutti questi valori

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20 MERCHANDISE PLANNING

incidono negativamente sul margine lordo ed è quindi necessa-rio prenderli in considerazione nel processo di pianificazione perottenere un valore di profitto più accurato.

• Markdown

La maggior parte dei retailer pianifica i markdown comepercentuale delle proprie vendite a livello mensile. Utiliz-zando i dati storici sui markdown come punto di partenza,i retailer possono stimare l’incidenza delle riduzioni per laprossima stagione di vendita. In ogni caso, per una corret-ta pianificazione dei markdown, è sempre importante ana-lizzare e valutare, oltre agli aspetti puramente quantitativi,anche gli aspetti qualitativi come per esempio le strategiedi sconto e le politiche di prezzo adottate.

• Sconto dipendenti

Tipicamente gli sconti applicati ai dipendenti vengono pia-nificati come percentuale rispetto alle vendite in modo deltutto analogo ai markdown. A meno che la politica azien-dale sugli sconti ai dipendenti non cambi drasticamente,il valore percentuale risulterà pressoché invariato nel cor-so del tempo. Pertanto, al fine della pianificazione, basteràconsiderare la percentuale di sconto relativa all’anno prece-dente. Nel caso in cui un retailer decida di non pianificaregli sconti ai propri dipendenti, è necessario che ne tengaconto quando pianifica le vendite.

• Furti

Il metodo tipico per calcolare il valore dei furti da inserirenel piano è quello di utilizzare la percentuale di furti rile-vata a fine periodo dell’anno precedente per ogni periodoconsiderato in fase di pianificazione. Il valore pianificatorisulterà molto vicino a quello che sarà raggiunto durantela stagione di vendita.

Come per le vendite, anche nel caso delle riduzioni è neces-sario pianificare il loro valore mese per mese nel corso dellastagione considerata.

Metrica Stagione Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre

Riduzioni 16500 e 6600 e 2310 e 2640 e 1980 e 1650 e 1320 e

Tabella 2: Riduzioni (fonte Levy e Weitz [2006])

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SCORTE/CARICHI

Ora che abbiamo concluso la pianificazione delle vendite edelle riduzioni dobbiamo concentrarci sulle scorte, ovvero sui li-velli di magazzino richiesti per supportare le vendite pianificate.Livelli di magazzino troppo elevati portano a maggiori costi distoccaggio e a markdown eccessivi come politica di smaltimen-to delle scorte. Livelli troppo bassi, invece, rischiano di generaredelle vendite perse con conseguente insoddisfazione da parte delcliente. É necessario quindi trovare il trade-off tra una buona di-sponibilità di merce in vendita per prevenire le rotture di stock eun livello di magazzino basso per abbattere i costi di magazzino.

Considerazioni importanti circa la pianificazione delle scorteriguardano la merce a disposizione (on-hand) a inizio stagione,il flusso di merci durante il periodo di vendita e il livello dimagazzino desiderato a fine periodo.

Gli indici maggiormente utilizzati per pianificare i livelli dimagazzino sono:

• Rapporto stock/venduto

Il rapporto stock/venduto (stock-to-sales ratio) esprime lapercentuale di quantità venduta rispetto a quella a disposi-zione per la vendita (in realtà il reciproco del rapporto).

• Copertura temporale

Esprime il massimo supporto temporale alle vendite basan-dosi sulla merce on-hand. La copertura temporale è una me-trica diversa rispetto al rapporto stock/venduto per il fattoche guarda alle prospettive di vendita future piuttosto cheai trend del passato.

• Stock medio

Lo stock medio è tipicamente utilizzato per calcolare l’in-dice di rotazione. Dal momento che i livelli di magazzinovariano da periodo a periodo, è necessario calcolare un va-lore medio in modo da determinare un indice di rotazionerealistico.

• Rotazioni medie

Indica il numero di volte con cui una quantità di mercepari allo stock medio viene venduta e riproposta on-handin un determinato periodo di tempo. Anche qui, come nelcaso del rapporto stock/venduto, è necessario ricercare uncompromesso che tenga al minimo i livelli di stock per ri-durre gli investimenti in merchandise senza compromette-

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22 MERCHANDISE PLANNING

re la disponibilità di merce on-hand per venire incontro alladomanda.

• Sell-through

Esprime il tasso a cui viene venduta la merce ricevuta edè uguale al rapporto tra le vendite e i carichi per un da-to periodo. Spesso viene utilizzata per analizzare gli sce-nari possibili di vendita e mettere a punto il timing dellestrategie di markdown.

La pianificazione delle scorte e quella dei carichi sono dueprocedure che vanno di pari passo. Normalmente, dopo averpianificato le vendite, si dovrebbe passare subito alla pianifica-zione dei livelli di magazzino, dal momento che lo stock è l’assetprincipale e l’investimento più oneroso per un retailer. Pertantola pianificazione deve essere molto accurata al fine di garanti-re un adeguato ritorno sugli investimenti. Spesso i planner simuovono “avanti e indietro” nel processo di pianificazione del-le scorte e dei carichi proprio per assicurare il raggiungimentodi un indice di rotazione adeguato mantenendo comunque unlivello di stock sufficiente a soddisfare la domanda.

Per iniziare il processo di pianificazione delle scorte e dei ca-richi è necessario stabilire a quanto ammonta lo stock di iniziostagione (BOS - Beginning Of Season Inventory). Il suo valore puòessere impostato manualmente oppure ereditato dalla proiezio-ne dello stock di fine stagione per la stagione precedente. Peresempio, i dati presenti in tabella 3 indicano che lo stock di ini-zio stagione è pari a 98280 e, identico al valore pianificato per lostock di inizio periodo (BOP inv) del mese di aprile (primo mesedella stagione).

Metrica Stagione Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre

BOP inv 98280 e 98280 e 68640 e 68640 e 98800 e 98280 e 78000 e

EOP inv 65600 e 68640 e 68640 e 98800 e 98280 e 78000 e 65600 e

Tabella 3: Stock di inizio e fine periodo (fonte Levy e Weitz [2006])

A questo punto ci sono due possibili approcci allo sviluppo diun piano per i carichi:

• si fissano i livelli di magazzino per ogni fine periodo (gliinizi periodo vengono ereditati dal fine periodo preceden-te) e si lascia che i carichi vengono calcolati sulla base diquesti valori;

• si fissano i carichi lasciando che gli inventari di fine perio-do varino di conseguenza.

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2.2 MERCHANDISE FINANCIAL PLANNING 23

La maggior parte dei retailer utilizza entrambe queste conven-zioni in modo da garantire estrema flessibilità nella gestione diflussi di merci di diverso tipo. Nel nostro caso faremo riferimen-to al primo approccio, derivando il piano dei carichi a partiredai valori pianificati per gli inventari riportati nella tabella 3.L’equazione di bilanciamento è la seguente:

Carichi = Vendite+ Riduzioni+ EOP inv−BOP inv

Il piano dei carichi deve quindi coprire le vendite pianificatee alcune riduzioni, come ad esempio i markdown e i furti, man-tenendo al contempo il livello di stock desiderato senza peròcompromettere l’indice di rotazione. In tabella 4 sono riportati ivalori associati ai carichi insieme alle altre metriche.

Metrica Stagione Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre

Vendite 130000 e 27300 e 15600 e 15600 e 24700 e 27300 e 19500 e

Riduzioni 16500 e 6600 e 2310 e 2640 e 1980 e 1650 e 1320 e

BOP inv 98280 e 98280 e 68640 e 68640 e 98800 e 98280 e 78000 e

EOP inv 65600 e 68640 e 68640 e 98800 e 98280 e 78000 e 65600 e

Carichi 113820 e 4260 e 17910 e 48400 e 26160 e 8670 e 8420 e

Tabella 4: Piano di approvvigionamento (fonte Levy e Weitz [2006])

MARGINI E RITORNO SUGLI INVESTIMENTI

Dopo aver pianificato vendite, riduzioni e scorte, ogni ruolovaluta attentamente l’impatto che questi valori hanno sul margi-ne lordo. Il margine lordo (Gross Margin) è la differenza tra ilprezzo di vendita (Retail or Selling Price) e il costo del venduto(COGS - Cost Of Goods Sold): è chiaro che il suo valore com-plessivo deve essere sufficiente a pagare tutte le spese operative,mantenendo al contempo un adeguato profitto. Per calcolare ilmargine lordo dobbiamo servirci di una metrica di supporto perstimare il costo del venduto (COGS) detta Markup Cumulativo(CMU - Cumulative Markup).

• Markup cumulativo

Il markup cumulativo (CMU) è la chiave per calcolare ilmargine lordo. Viene utilizzato per convertire il valore del-le misure sul venduto da prezzo di vendita (Retail) a co-sto di acquisto (Cost). Nel caso venga utilizzato il RetailAccounting Inventory Method (RIM) come strumento per la

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24 MERCHANDISE PLANNING

contabilità, infatti, il costo del venduto (COGS) viene sola-mente approssimato attraverso la moltiplicazione della mi-sura valorizzata al prezzo di vendita per il complementodel markup cumulativo. In formule:

COGS Cost = COGS Retail× (1−CMU %)

Il markup cumulativo (CMU), invece, viene calcolato comesegue:

CMU % =GAFS Retail−GAFS Cost

GAFS Retail

dove GAFS Retail è la metrica che misura la merce on-handal prezzo di vendita (Retail), mentre GAFS Cost ne misurail costo di acquisto.

La valutazione del margine lordo è un passaggio fondamenta-le all’interno del processo di pianificazione: se i valori di vendite,riduzioni e scorte pianificati assicurano una marginalità lorda inlinea con gli obiettivi prefissati si può procedere con il passo suc-cessivo, altrimenti il piano deve essere rivisto attraverso un pro-cesso di “back and forth” finché i valori inseriti non garantirannoun marginalità adeguata.

La chiave per il successo di un’impresa, tuttavia, non è rap-presentata esclusivamente dalla marginalità lorda che riesce aricavare dalle vendite, quanto piuttosto dal profitto generato dalproprio merchandise. I retailer, infatti, sono molto più interes-sati ai profitti che alle vendite. Ecco l’importanza di introdurre,inseme agli indici di rotazione e ai margini, una metrica che ri-fletta i movimenti delle scorte relativamente ai profitti e non allevendite.

• GMROI Il Gross Margin Return On Investments (GMROI) in-dica ai retailer quanti euro vengono guadagnati in terminidi marginalità lorda per ogni euro investito nel merchandi-se.

GMROI =Margine Lordo

Costo dello stock medio

Non appena ogni attore coinvolto nel processo di pianifica-zione ha elaborato in modo definitivo il proprio piano, indipen-dentemente dal ruolo che ricopre all’interno dell’organizzazionepreposta alla pianificazione, si cerca di far bilanciare questi pianiattraverso un processo di riconciliazione.

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2.2 MERCHANDISE FINANCIAL PLANNING 25

RICONCILIAZIONE PIANO

La riconciliazione tra piani è il tentativo di far corrisponderedue o più versioni degli stessi dati. Il processo di riconciliazioneusa i dati provenienti da due o più ruoli (e quindi piani) diversi,che fanno tuttavia riferimento allo stesso dominio di pianifica-zione, e cerca di farli bilanciare a un livello condiviso di aggre-gazione. Più semplicemente si tratta di un processo attraversocui un piano redatto a un livello di dettaglio maggiore vieneconfrontato con un piano costruito al livello aggregato a cui si fariferimento.

Tipicamente la procedura di riconciliazione coinvolge i ruolidi manager e planner: il planner, dopo aver rivisto il propriopiano, esegue un submit dei dati pianificati al manager che de-ciderà se il piano proposto dal planner può essere approvatooppure no. In caso di esito negativo della procedura di submit,il planner sarà costretto a modificare il proprio piano fino a cheil manager non darà il via libera per l’approvazione (si veda inproposito la figura 10).

Figura 10: Processo di riconciliazione e approvazione del piano (fonteOracle [2009a])

APPROVAZIONE PIANO

L’approvazione del piano è l’ultimo passo nel processo di pia-nificazione pre-season. Uno degli obiettivi che ci eravamo pre-fissi era quello di garantire un unico piano, un’“unica versionedella verità”: l’unificazione di tutti i dati di pianificazione inun unico piano, condiviso dall’intera organizzazione, viene rag-giunta attraverso l’approvazione del piano redatto dal plannerda parte del manager.

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26 MERCHANDISE PLANNING

Il processo di approvazione si formalizza con la copia dei daticontenuti nel piano del planner in nuovo piano, unico e condivi-so da tutti i ruoli, detto piano originale (Original Plan). Il pianooriginale, redatto durante il periodo pre-season, rappresenta laroadmap dell’organizzazione per la stagione di vendita.

2.2.3 Strumenti di controllo: l’Open-To-Buy

Una volta iniziata la stagione di vendita, il processo di piani-ficazione in-season viene utilizzato per monitorare i dati attualisulle vendite, i markdown e le riduzioni, le scorte e il flussodi merce in ricezione. Questo processo tipicamente riflette ilprocesso pre-season con l’aggiunta dell’open-to-buy (OTB), unostrumento per il controllo degli acquisti da parte dei buyer.

OTB rappresenta la disponibilità di spesa per un determinatoperiodo di tempo al fine di raggiungere il livello di stock pia-nificato e viene calcolato come la differenza tra lo stock di fineperiodo (EOP Inventory) pianificato e la proiezione dello stock difine periodo secondo le previsioni derivanti dai dati attuali sulvenduto.

OTB = EOP Inv− Proiezione EOP Inv

Un OTB negativo, per esempio, indica che il buyer ha acquista-to più merchandise di quello che era stato pianificato. L’obiettivodell’utilizzo di OTB come strumento di controllo è quindi quellodi mantenere in linea gli ordini e i carichi in modo da assicura-re il massimo risultato di vendita con il minimo investimento inmerchandise.

Tuttavia non tutte le tipologie di retailer possono usufruire diquesto metodo per il controllo degli acquisti. Per esempio, nelcaso di distributori che appartengono al segmento lusso, il rias-sortimento in-season potrebbe non essere possibile in quanto itempi di riordino potrebbero non essere compatibili con i vinco-li temporali di vendita. In questo caso l’intera catena di feedbackrelativa agli acquisti scompare, aumentando di fatto l’importan-za di una corretta pianificazione pre-season della domanda se sivogliono prevenire stock-out.

L’obiettivo principale dell’intero processo di pianificazione in-season è quello di monitorare i trend in modo proattivo, ottimiz-zando i livelli di magazzino, al fine di massimizzare i margini equindi i profitti derivanti dalla vendita del merchandise. Per farquesto, potrebbe essere necessario modificare il piano originaleper essere in grado di sfruttare potenziali aree di crescita e limi-

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2.2 MERCHANDISE FINANCIAL PLANNING 27

tare i danni in aree che mostrano trend in discesa, per esempioattraverso la riduzione dello stock on-hand.

Tipicamente, durante la stagione di vendita, si potrebbero ve-rificare dei casi in cui i markdown necessitano un’accelerazioneper aumentare le vendite di articoli cosiddetti slow mover. Alcontrario potrebbero presentarsi sul mercato occasioni di capita-lizzazione che richiedono un’azione rapida per catturare il trendemergente. In entrambi i casi, la presenza di un processo fles-sibile che garantisca l’aggiornamento del piano originale a unnuovo piano, detto piano corrente, e la sua approvazione in tem-pi rapidi, garantisce all’azienda un sicuro vantaggio competitivonei confronti dei competitor. Nella pratica si cerca di mantene-re un livello minimo di liquidità per consentire lo sfruttamentodi possibilità di acquisto presenti sul mercato o come buffer disicurezza se le vendite non raggiungono il livello pianificato.

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3 R E TA I L N E L S E T TO R E FA S H I O N :I L C A L Z AT U R I E R O

INDICE3.1 Il settore calzaturiero in Italia 29

3.1.1 Il settore e la competizione mondiale 29

3.1.2 Dati economici relativi al calzaturiero in Italia 30

3.1.3 Struttura del settore in Italia: i distretti indu-striali 31

3.1.4 Evoluzione del settore nello scenario internazio-nale 32

3.1.5 L’importanza di essere competitor globali 33

3.2 Strategie per competere 353.2.1 Aree di innovazione strategica 35

3.2.2 L’influenza delle tendenze culturali 37

3.2.3 L’importanza della distribuzione 38

3.2.4 Il negozio come luogo di consumo 40

3.2.5 Alcuni dati 41

3.3 Il retail monomarca 433.3.1 Il retail al servizio della marca 43

3.3.2 La pianificazione strategica del retail 44

3.3.3 Da product-oriented a market-oriented 46

3.3.4 Impatti sull’organizzazione e sui processi azien-dali 48

3.1 IL SETTORE CALZATURIERO IN ITALIA

3.1.1 Il settore e la competizione mondiale

In Italia e in Europa l’industria calzaturiera riveste un ruolodi particolare importanza, sia sul piano economico che su quellosociale. In essa è infatti concentrata una quota rilevante di valoreaggiunto e forza lavoro tale da imporre un’attenzione degli statimembri sul piano delle ricette di sviluppo e competitività in unquadro internazionale che ne ha modificato l’assetto nel tempo.

Nel corso dell’ultimo decennio, infatti, il settore della calzatu-ra (e più in generale il Sistema Moda) è stato uno dei maggioriprotagonisti del processo di globalizzazione dell’economia e deisuoi impatti riorganizzativi, con il risultato di una sostanziale

29

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30 RETAIL NEL SETTORE FASHION: IL CALZATURIERO

trasformazione del suo assetto produttivo e commerciale e diuna sensibile riduzione del numero di aziende e di addetti.

I mutamenti della geografia di settore hanno comportato un al-largamento dei confini economici che ha penalizzato le più con-solidate aree produttive del vecchio mondo a favore dei paesiemergenti o di nuova industrializzazione, in particolare quellidi area asiatica.

Nello specifico del segmento calzaturiero, il Far East rappre-senta ormai un polo quasi esclusivo per la produzione di calzatu-re a basso prezzo, come mostrano i dati sulla composizione delcommercio mondiale, che lo hanno visto raggiungere un livellopari all’85% del totale (fonte HermesLab [2008]).

In questa crescita, la Cina è in una posizione di primissimopiano. Grazie non solo ad una accresciuta capacità esportativa,ma anche ad un forte incremento dei consumi interni, il suocontributo alla produzione mondiale di calzature ha registratoun aumento continuo e ininterrotto, passando da una quota del38% ad oltre il 61% (fonte HermesLab [2008]).

3.1.2 Dati economici relativi al calzaturiero in Italia

Attualmente l’Italia è il primo produttore di calzature dell’U-nione Europea, il sesto nel mondo, e il quarto tra i paesi espor-tatori (ANCI, 2007), con un fatturato di 26 miliardi di euro eun valore aggiunto di quasi 6 miliardi di euro (Ministero delloSviluppo economico, 2005).

L’analisi dei principali dati del settore nell’ultimo decenniofotografa un ciclo economico segnato però da un lunga fase dirallentamento. Il rapido aumento della competizione internazio-nale ha causato al settore grossi problemi, modificandone l’asset-to nella sua dimensione occupazionale (88.668 nel 2007 rispettoai 113.100 dell’inizio del ciclo recessivo) nel numero di aziende(6.450 nel 2007, dopo la chiusura di oltre 1000 aziende), e neivalori dell’export.

La produzione italiana di calzature è diminuita del 50% du-rante questo periodo (da quasi 500 milioni a circa 250 milioni dipaia). Anche il numero totale di aziende e di addetti, nello stessoperiodo, ha subito un netto calo (-22%). La diminuzione in valo-re è stata invece molto più contenuta (-11%) come conseguenzadi un forte aumento del prezzo medio (+76%).

Mentre le importazioni sono cresciute costantemente nel corsodegli anni (+27% nel periodo 2001-2007), le esportazioni sono ca-late in termini assoluti del 44%, con una perdita rispetto al 2001

di 15 punti percentuali nel 2005 (anno di minimo del ciclo), per

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3.1 IL SETTORE CALZATURIERO IN ITALIA 31

poi recuperare posizioni nel due anni successivi fino a ridurre laperdita a poco meno del 10%.

Nella stessa direzione è andata la produzione con perdite an-cor più accentuate. La crisi delle vendite nazionali ed estere, maanche un processo di ridefinizione dell’assetto produttivo conuno spostamento verso i paesi in via di sviluppo e l’accelerazio-ne di un riposizionamento strategico su prodotti di segmentomedio alto, hanno determinato una riduzione della produzioneindustriale che nel periodo 2001-2007 è stata del 42%.

Figura 11: Cambiamenti nella struttura degli scambi commerciali nelcalzaturiero (fonte HermesLab [2008])

3.1.3 Struttura del settore in Italia: i distretti industriali

In Italia il settore presenta una struttura articolata in filiere abase territoriale, comprendenti concerie, componentisti, accesso-risti, subfornitori di lavorazioni specializzate, modellisti e stilisti.Queste concentrazioni territoriali sono, come noto, organizzatein distretti situati in sette regioni (Marche, Toscana, Veneto, Lom-bardia, Campania, Puglia ed Emilia-Romagna) e comprendono23 province [Gottardi et al., 2009].

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32 RETAIL NEL SETTORE FASHION: IL CALZATURIERO

Sebbene il modello di sviluppo industriale basato sui distrettinon sia un’ esclusiva italiana, esso ha trovato nel nostro paese lecondizioni ideali per la sua affermazione sin dagli anni Settanta,contemporaneamente alle prime avvisaglie di crisi della grandeimpresa: essendo venute meno le condizioni di crescita espansi-va della domanda di mercato, abbondanza di risorse e stabilitàmonetaria sulle quali si era basato lo sviluppo industriale deglianni Sessanta, le grandi imprese riscontrarono notevoli difficoltànel mantenere le proprie strategie di crescita espansiva.

Molte di esse intrapresero una profonda riorganizzazione, siaavviando azioni di decentramento produttivo, sia sfruttando lepotenzialità della specializzazione e della divisione del lavoro traimprese di uno stesso settore. Contemporaneamente si registròun processo di crescita di un tessuto di piccole imprese di origineartigiana, fortemente radicate con la produzione tradizionale diaree geografiche ristrette, che raggiunse gradualmente rilevantiquote di mercato in produzioni di nicchia (Wikipedia [2009c]).

La produzione calzaturiera italiana ha caratteristiche distinti-ve riconosciute: talento creativo, innovatività nei procedimentidi fabbricazione, servizi e scuole di formazione sul territorio;oltre a disponibilità di materie prime, accessori e componentitecnologicamente e stilisticamente all’avanguardia. La ridottadimensione delle aziende rende il settore flessibile e consenteelevati livelli di specializzazione [Gottardi et al., 2009].

Una vastissima letteratura ha analizzato la particolare organiz-zazione del settore in distretti, al cui interno si concentra un nu-mero elevato di unità produttive altamente specializzate, dotatidi conoscenze e asset complementari di buon livello. L’intera-zione dei diversi attori nelle reti locali (scambi di materiali, com-ponenti, tecnologie e conoscenze) ha rappresentato per anni unelemento vincente. Vari analisti ritengono che il patrimonio dicultura produttiva che il settore ha accumulato non abbia egualial mondo. L’elevato contenuto di servizio al cliente ha favorito ilpersistere di un gran numero di imprese indipendenti di picco-le dimensioni a gestione familiare. Questo quadro è tuttavia inrapida trasformazione [Gottardi et al., 2009].

3.1.4 Evoluzione del settore nello scenario internazionale

Il settore ha affrontato nell’ultimo decennio cambiamenti im-portanti. Lo scenario internazionale è stato modificato dall’in-gresso delle economie emergenti e da un contesto competitivo di-venuto difficile e complesso. I cambiamenti strutturali che hannosegnato in modo indelebile l’evoluzione economica dei Paesi di

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3.1 IL SETTORE CALZATURIERO IN ITALIA 33

più lunga tradizione possono essere ricondotti a tre importantifattori:

• La liberalizzazione degli scambi internazionali

Il nuovo regime di libero scambio e la liberalizzazione delleimportazioni dalla Cina hanno dato un ulteriore impulsoalla globalizzazione delle reti produttive. La liberalizzazio-ne, però, ha avuto luogo in un contesto competitivo che giàda molti anni era caratterizzato da questo processo di aper-tura internazionale, dove cioè le attività di produzione e dimarketing dipendono da decisioni strategiche legate allediverse opportunità disponibili su piazza mondiale, e nonpiù regionale o locale.

• Le trasformazioni del consumo

Nei Paesi industrializzati la domanda di prodotti calzatu-rieri è stata influenzata da importanti cambiamenti nellademografia, negli stili di vita, nel reddito disponibile e nel-la crescente tendenza verso uno stile più rilassato e casual,e verso i contenuti immateriali e simbolici del prodotto.

• I nuovi format distributivi

Negli ultimi anni la distribuzione al dettaglio nei paesi in-dustrializzati si è andata caratterizzando per la crescentepresenza di grandi organizzazioni (grandi superfici e cate-ne), che hanno la forza organizzativa e la capacità finan-ziaria di gestire con estrema rapidità grandi quantità diinformazioni sui mercati, rispetto sia alle fonti di approv-vigionamento, sia al comportamento dei consumatori.

L’ingresso nel settore delle calzature dei colossi del tessile-abbigliamento a partire dalla fine degli anni Novanta ha resoancor più dinamico il quadro. Le grandi imprese della moda,promuovendo il “coordinato”, propongono oggi nuove linee dicalzature facendo leva sui loro brand consolidati. Ne deriva lanecessità per le imprese di collegarsi e di internazionalizzarsi,e di servire contemporaneamente più mercati [Gottardi et al.,2009].

3.1.5 L’importanza di essere competitor globali

I distretti si sono mostrati in passato un terreno molto effica-ce per la diffusione di processi innovativi. Tuttavia, questo ogginon basta più. I forti cambiamenti del mercato hanno imposto

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34 RETAIL NEL SETTORE FASHION: IL CALZATURIERO

infatti un ripensamento del modello di agglomerazione territo-riale dove gli elementi portanti erano la prossimità geografica,la specializzazione industriale e un network di micro e piccoleimprese che operano in un bilanciato rapporto di cooperazionee concorrenza.

Le imprese italiane devono oggi fronteggiare, da un lato, latendenziale, irreversibile, riduzione delle esportazioni sui tradi-zionali mercati europei dovuta all’accresciuta concorrenza inter-nazionale, e dall’altro il repentino incremento delle importazio-ni di prodotti dall’estero. Il rafforzamento dell’euro rappresen-ta un ulteriore elemento di difficoltà per un settore fortementeorientato all’export [Gottardi et al., 2009].

Dal punto di vista della produzione, la delocalizzazione versopaesi a basso costo del lavoro è oggi una strategia generalizza-ta, spesso indispensabile per fronteggiare la concorrenza mon-diale sui prezzi. I notevoli vantaggi di costo di un modello didivisione internazionale dei circuiti produttivi hanno chiarito lanecessità per il sistema distrettuale di far convivere i vantaggidel radicamento locale con forme nuove d’apertura ai mercatiinternazionali (Mariotti, Mutinelli, Piscitello, 2006).

L’esigenza di far fronte ad una concorrenza crescete dei pae-si di nuova industrializzazione attraverso un riposizionamentocompetitivo verso prodotti di segmento medio alto, sta infattiimponendo alle imprese non solo di superare il principio dellaprossimità geografica per cogliere le opportunità di produzionee di consumo oltre i confini nazionali, ma anche di abbandonareun approccio tradizionale di tipo manifatturiero centrato sullaproduzione per accedere a un modello ibrido in cui assume ri-lievo la capacità di sviluppare un mix strategico fatto di investi-menti su tecnologie di processo e prodotto capaci di elevare laqualità materiale della produzione ed investimenti su creatività,marketing e distribuzione che consentano di cogliere quella do-manda culturale che proviene da un consumatore più esigente.Se si accettano questi presupposti, il territorio diventa un van-taggio competitivo nella misura in cui riesce a fornire condizionifavorevoli per sviluppare questo nuovo modello di impresa.

Questa esigenza, tuttavia, risente negativamente della culturaimprenditoriale tipica delle piccole imprese italiane del settore,per le quali impegnare risorse in ambienti lontani e “diversi”, su-perando ostacoli di lingua, cultura e conoscenza delle istituzio-ni può essere molto difficile, e a volte praticamente impossibile,comportando rischi e costi insostenibili. Queste difficoltà han-no dato luogo a un modello di internazionalizzazione peculiareche permette a molti distretti (non tutti) di superare i limiti dellocalismo, differenziandosi in modo sostanziale da quello delle

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3.2 STRATEGIE PER COMPETERE 35

imprese multinazionali.In un quadro di concorrenza che impone alle imprese uno spo-

stamento delle prospettive di sviluppo nella direzione di un mer-cato internazionale e di un prodotto che sia in grado di offrire alconsumatore una combinazione sempre più sofisticata di quali-tà e contenuto innovativo, la capacità di sviluppare reti integratetra imprese che appartengono allo stesso perimetro operativo edi mercato rappresenta indubbiamente un fattore che può dareun contributo importante al successo competitivo dell’industriaitaliana calzaturiera e più in generale del Settore Moda.

3.2 STRATEGIE PER COMPETERE

3.2.1 Aree di innovazione strategica

Il Sistema Moda è considerato l’espressione più pura della ca-pacità dell’industria di farsi creativa. Non è l’unico settore in cuisanno esprimersi originalità e progettualità, ma è sicuramentequello in cui la necessità di rinnovamento della gamma prodot-ti agisce con maggiore forza e stimola alla continua ricerca dinuove soluzioni.

La centralità del prodotto e delle sue caratteristiche esteticheprima ancora che funzionali, ha permeato la cultura di settoreal punto da concentrarvi le più alte aspettative non solo dei frui-tori, ma anche degli stessi autori, quasi che sulla sola capacitàdi rispondere ai contenuti moda stabiliti per la stagione potesseessere congiunta quella di avere successo sui mercati.

Una convinzione che nel caso delle imprese meno strutturatee meno capaci di costruire un propria brand image, ha finito conil distrarre le energie progettuali e creative dell’azienda a svan-taggio di alcune aree strategiche da alcuni anni di gran lungapiù importanti, come quelle relative alla definizione del posizio-namento di mercato e delle politiche distributive. Questa fortepropensione all’innovazione di prodotto assegna infatti alla pro-gettazione un ruolo di primissimo piano nelle strategie azienda-li, che prende spesso il sopravvento rispetto alle altre necessitàorganizzative sia di produzione che di commercializzazione.

Oggi, però, sono le condizioni ambientali ad essere più diffi-cili: la capacità creativa ed estetica è ampiamente diffusa e con-divisa anche da paesi un tempo considerati culturalmente trop-po lontani dall’occidente per costituire un serio pericolo per lanostra leadership.

Ad imporre ritmi serrati di innovazione, però, non sono solo icicli stagionali di rinnovo delle collezioni, ma - ancor più - i cicli

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36 RETAIL NEL SETTORE FASHION: IL CALZATURIERO

di sell-in1 e sell-out2 dei più avanzati format distributivi, che sisovrappongono ai primi con modelli di assortimento dei puntivendita che richiedono un continuo flusso di novità.

In un simile contesto, ecco che alla competizione unicamen-te incentrata sulla qualità estetica ed intrinseca del prodotto sisostituisce quella delle strategie distributive e di posizionamen-to, il cui fine è quello di governare il rapporto con il mercato ecorrelarvi direttamente l’organizzazione delle attività di proget-tazione e produzione.

La tensione creativa dovrebbe quindi esprimersi nella conti-nua ricerca di un punto di equilibrio tra le più importanti areefunzionali dell’azienda: creazione, produzione, marketing e brandmanagement, ciascuna espressione di competenze diverse la cuiprevalenza l’una sull’altra definisce la core competence dell’impre-sa [HermesLab, 2008].

Nello specifico delle PMI italiane, va rilevata un’enfasi ancoramolto marcata sul design e la qualità del prodotto, consideratii veicoli naturali dell’identità del Made in Italy e lo strumentoprincipe per imporne la prevalenza sulla produzione massificatadi prodotti di fascia bassa.

Nel settore calzature, in particolare, dove il ruolo di primis-simo piano giocato dalla Cina ha fortemente influito sull’anda-mento della produzione e dei consumi nazionali, tale enfasi ri-sulta tanto più comprensibile, soprattutto in funzione delle spe-cificità tecnico-costruttive che caratterizzano la scarpa e dunqueil suo valore intrinseco. Specificità a cui sono connesse spesso so-luzioni stilistiche e di dettaglio estetico particolarmente innova-tive, che le differenziano fortemente dalla produzione di livellopiù basso.

Presso aziende, istituzioni e associazioni emerge infatti un’opi-nione largamente condivisa sui fattori di competitività che pos-sono rafforzare le imprese del nostro paese: per molti, l’idea èquella di un riposizionamento delle imprese di produzione ver-so prodotti di maggiore qualità, fino ad arrivare al segmento dellusso.

È evidente che questa strategia non è priva di ostacoli. Infatti,l’idea di un posizionamento sul mercato luxury richiama imme-diatamente la convinzione, di cui si è già detto, che la qualità delprodotto sia sufficiente a determinarne il successo: più vengonospostate verso l’alto le qualità estetiche e di costruzione dei pro-

1 Con il termine sell-in si intende la logica finalizzata a studiare i metodi divendita per favorire l’ingresso del prodotto nello scaffale del punto vendita.

2 Con il termine sell-out si intende l’insieme delle attività indirizzate alla venditadei prodotti dai dettaglianti ai clienti finali.

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3.2 STRATEGIE PER COMPETERE 37

dotti e il loro prezzo, più possibilità si hanno di aggredire unmercato stabile e meno concorrenziale.

Tuttavia il passaggio nel segmento luxury presuppone una ca-pacità progettuale che attinge a capacità estetiche e risorse infor-mative molto diverse da quelle tipiche degli altri segmenti, cheè possibile acquistare in outsourcing ma che dovrebbero esserecoerenti con il mondo aziendale e la sua identità. Un percorsodifficile, quindi, per chi vi si voglia avvicinare e sfruttarne lepotenzialità.

In definitiva quello che spesso emerge dal dibattito sul setto-re è una focalizzazione sulla cultura di prodotto e un’attenzioneallo stile che non si vuole qui mortificare considerato che si trat-ta di una delle più felici espressioni della cultura industriale disettore, ma che non andrebbe disgiunta da altri e ben più im-pegnativi obiettivi di innovazione strategica, in particolare sullacostruzione della propria identità e sulla definizione del modellodi vendita [Sacerdote, 2007]. Sebbene la capacità creativa sia daconsiderare uno strumento fondamentale per affermare l’identi-tà commerciale delle imprese italiane, tuttavia non può costituirelo strumento prioritario su cui poggiare una nuova strategia diqualificazione competitiva del Made in Italy.

3.2.2 L’influenza delle tendenze culturali

A sostegno di quanto appena affermato vi sono anche altreevidenze. Non solo si stima che il 50%-60% del commercio mon-diale in termini di volumi sia realizzato nel segmento medio emedio-basso, ma vi sono anche alcune macrotendenze culturalie sociali che sembrano indicare una direzione opposta a quelladel lusso.

Da una parte, la generale tendenza di lungo termine che vedei consumatori orientarsi in misura crescente verso un vestiariopiù informale, influenzando anche il mercato delle calzature. Iconsumatori attribuiscono infatti un valore crescente alla como-dità da un lato, e a uno stile più casual e meno formale dall’altro.Dall’altra, il salutismo e il wellness, una delle macrotendenze piùsignificative che caratterizza in generale i consumi dalla fine de-gli anni Novanta, in virtù di una crescente porzione della popo-lazione europea che risulta sovrappeso (negli USA il fenomeno èanticipato di oltre un decennio rispetto all’Europa) [HermesLab,2008].

In questo processo di valorizzazione di un segmento di mer-cato di posizionamento più basso rispetto a quello oggi auspi-cato per la gran parte delle imprese Made in Italy, la tensionecreativa legata allo stile e alla qualità del prodotto dovrebbe es-

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38 RETAIL NEL SETTORE FASHION: IL CALZATURIERO

sere necessariamente bilanciata da una pari tensione innovativanell’approccio strategico al mercato.

In un contesto di consumo e di distribuzione che vede la mo-derna distribuzione e le catene giocare un ruolo di primissimopiano soprattutto all’estero, e il dettaglio indipendente cambia-re pelle e trasformarsi in un luogo di consumo che fidelizza ilcliente sulla base del rapporto consumatore/prodotto, ecco chele politiche progettuali e di marketing, così come quelle produt-tive e gestionali, devono adattasi al nuovo contesto e farsi piùcreative, originali e innovative.

Non basterà la “semplice” proposta di un prodotto di buonaqualità e fattura, bensì sarà necessario coordinare con i punti ven-dita una comune strategia commerciale in grado di valorizzarele produzioni (a qualsiasi segmento esse appartengano) nella lo-ro proposta al pubblico, e una strategia produttiva condivisa ingrado di soddisfare le esigenze di assortimento del punto vendi-ta e quelle organizzative interne dell’azienda. Un obiettivo chepresuppone una capacità e una disponibilità alla cooperazioneper nulla scontata, e una serie di competenze (culturali e umane)rispetto alle quali le PMI mostrano indiscutibili debolezze.

La progressiva articolazione dell’offerta di prodotti e delle esi-genze dei consumatori nei mercati avanzati, rende difficile man-tenere la tradizionale distinzione tra prodotti e servizi. I serviziconnessi alle caratteristiche del prodotto, per così dire incorpo-rati nell’offerta dell’impresa che lo produce, che un tempo si sa-rebbero chiamati servizi accessori, oggi contribuiscono al valorealmeno quanto il prodotto stesso.

In questo quadro, per le PMI diventa cruciale la scelta del-la propria offerta in termini di combinazione di prodotti e ser-vizi, inclusi il coordinamento dei processi di produzione, l’ap-provvigionamento delle materie prime, la progettazione, la mo-dellistica, la logistica sui punti vendita, i servizi accessori allaproduzione, come ad esempio controlli di qualità ecc.

È su questa sfida che dovrà concentrasi la futura iperattivi-tà dell’impresa moda: per innovare non solo la proposta sti-listica, ma anche gli obiettivi strategici e gli assetti organizza-tivi, ponendo particolare risalto alla ridefinizione del modellodistributivo.

3.2.3 L’importanza della distribuzione

Gli anni Novanta hanno rappresentato un periodo di fortis-simi cambiamenti negli assetti distributivi dell’industria di set-tore. Il progressivo aumento del ruolo e dell’importanza stra-tegica della grande distribuzione, infatti, ha modificato signifi-

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3.2 STRATEGIE PER COMPETERE 39

cativamente i rapporti delle imprese con il trade, impattandoconseguentemente anche sull’organizzazione produttiva interna,in termini sia di processi creativi e progettuali sia di tempisticadelle collezioni.

Tali cambiamenti hanno portato a interessanti sperimentazionidelle imprese più avanzate, che hanno progressivamente adotta-to strategie innovative di controllo della distribuzione attraver-so lo sviluppo di una rete di negozi di proprietà, franchising oforme miste di joint venture [Sacerdote, 2007].

Nonostante i sempre più numerosi esempi di successo di im-prese che hanno scelto il modello retail, le relazioni fra produt-tori e distributori (in particolare nel settore calzaturiero) restanoancora l’aspetto più complesso e problematico di questo settore,in particolare nel caso delle piccole medie imprese che agisconoancora prevalentemente attraverso i canali tradizionali dei gros-sisti, del dettaglio multimarca, e degli importatori (nel caso deimercati esteri di più difficile penetrazione) per scarsità di risor-se finanziate adeguate, ma anche per un orientamento strategi-co che ancora oggi è focalizzato sul prodotto piuttosto che sulmercato.

La struttura dei sistemi distributivi differisce significativamen-te nei vari mercati internazionali, in conseguenza delle differen-ze nello sviluppo economico, sociale e normativo verificatesi neidiversi Paesi. Tuttavia, come già affermato in precedenza, un ele-mento comune a tutti i Paesi è stata la tendenza, con intensità erapidità diverse, a un rafforzamento della grande distribuzionea scapito dei negozi indipendenti. Si tratta di un’evoluzione diimportanza fondamentale, che attribuisce alle filiere pull (ovve-ro le filiere guidate dalla distribuzione) una straordinaria forzadi governo dei mercati, grazie alla vicinanza con il consumato-re e alla forza d’urto che possono esercitare nei suoi confronticon una proposta commerciale articolata fondamentalmente suconcetti quali prezzo, velocità e frequenza di riassortimento ecomunicazione [HermesLab, 2008].

Questo significa che se in passato le leve strategiche relativea cosa produrre, per quale consumatore, a quali prezzi e conche modalità erano in larga parte detenute dall’industria pro-duttrice, oggi sono invece largamente detenute dai distributori,che hanno dimensioni in alcuni casi molto maggiori di quelledei produttori e una totale capacità di controllo dei mercati diapprovvigionamento e di consumo.

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40 RETAIL NEL SETTORE FASHION: IL CALZATURIERO

3.2.4 Il negozio come luogo di consumo

Il prodotto moda ha un elevato contenuto immateriale, simbo-lico e culturale, e una componente che ne caratterizza fortemen-te l’apprezzamento è il luogo nel quale è consumato/acquistato.La modalità di consumo è strutturalmente parte del bene stesso,e, rendendo piacevole il suo acquisto, contribuisce alla forma-zione del suo valore. In questo modello di consumo, di cui leimprese moda più moderne sono sempre più consapevoli e at-tente programmatrici, il consumatore ha un ruolo di primissimopiano. Il punto vendita si trasforma da luogo di scambio tradomanda e offerta di un bene, a luogo di creazione di valoreaggiunto.

Tutti i servizi legati al suo allestimento e alla sua gestione di-ventano così strategici per vendere, trasformando il negozio daluogo di vendita a strumento di vendita. Si può dire, quindi, cheil negozio si caratterizza oggi come una sorta di unità locale de-dicata alla produzione del valore immateriale del prodotto, unasorta di reparto finale nella sequenza produttiva della filiera, do-ve il prodotto non viene acquistato solo in quanto combinazionedi elementi materiali e funzionali, ma in virtù della sua valenzaculturale, di risposta cioè di un desiderio, prima ancora che diun bisogno [HermesLab, 2008].

La lenta ma inesorabile omogeneizzazione dei modelli distri-butivi dell’abbigliamento a livello europeo, cui anche l’Italia èstata soggetta, sebbene con ritardo e con una certa resistenza,ha costituito una vera e propria rivoluzione. Non solo nelle mo-dalità di relazione tra impresa produttrice e distribuzione, manella percezione stessa che l’impresa ha maturato nei confron-ti del punto vendita. Se prima infatti veniva considerato comecliente a cui affidare un prodotto, oggi è considerato un mezzoper comunicare con il consumatore finale.

Oltre alle caratteristiche specifiche dei punti vendita (location,metratura, natura dell’assortimento), quello che più interessa diqueste formule distributive sono tre aspetti:

• lo scambio informativo dei dati con casa madre e fornitorisull’andamento delle vendite e delle scorte. La gestione in-formatica integrata dei dati per il riassorbimento a magaz-zino, il piazzamento ordini, o il lancio di produzione ridu-ce il time-to-market e consente una migliore integrazionetra le aspettative del cliente e l’assortimento del negozio;

• l’ottimizzazione della logistica di approvvigionamento, cheriduce gli invenduti poiché si produce solo quello che ef-fettivamente il mercato richiede. Questo riduce anche il

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3.2 STRATEGIE PER COMPETERE 41

markdown sul prodotto, ovvero il suo deprezzamento qualepolitica per lo smaltimento delle giacenze di fine stagione;

• la comunicazione integrata sul punto vendita e il suo im-patto sul consumatore. La strategia comunicativa è guidatadalla casa madre e realizzata ai massimi livelli di coerenza.In questo modo il rapporto con il consumatore è filtratosecondo modalità predefinite in sintonia con gli obiettividell’azienda.

Si tratta di un modello organizzativo i cui benefici sono ampia-mente riconosciuti dalle imprese produttrici più avanzate, tantoda spingere molte di esse ad integrarsi con la distribuzione efarsi esse stesse retailer.

In Italia, in particolare, vi sono imprese che hanno scelto dinon delegare la gestione del proprio prodotto ad altri, in parti-colare al dettaglio indipendente, e hanno quindi deciso di tra-sformare il marchio in insegna. Così facendo, l’identità del mar-chio è gestita autonomamente e dunque salvaguardata nei suoiaspetti comunicazionali di maggiore impatto con il consumatore,e alla scelta e alla gestione del punto vendita vengono riservaterisorse umane e finanziarie importanti.

Altre imprese, invece, mantengono una distribuzione attuataattraverso il dettaglio indipendente multimarca, ma hanno sceltodi adottare forme di controllo diretto della distribuzione, costi-tuendo una rete di negozi monomarca (di proprietà o in fran-chising), la cui funzione non è solo la veicolazione del marchioe della corporate image, ma anche quella di fungere da timoneper l’anticipazione dei temi stagionali e quindi guidare la proget-tazione delle stagioni successive [Sacerdote, 2007]. Nel seguitofaremo riferimento a questo tipo di distribuzione, il cosiddettoretail monomarca free-standing.

3.2.5 Alcuni dati

Gli annunci di aperture di punti vendita in Italia e all’esteroda parte di imprese produttrici di calzature sono frequentissimi:la Fratelli Rossetti aspira ad aggiungere nel corso del 2008 altri8-10 punti vendita ai 28 monomarca già attivi (di cui 13 in Italiae 15 all’estero), con particolare attenzione alla Russia e alla Cina;Pirelli PZero prosegue lo sviluppo retail, con la prevista aper-tura di tre flagship store a Milano, New York e Shangai; NeroGiardini, presente in 2.500 negozi multimarca, nel 2007 ha av-viato un progetto di franchising che porterà a breve all’aperturadi 18 punti vendita in partnership con clienti già consolidati in

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42 RETAIL NEL SETTORE FASHION: IL CALZATURIERO

tutta Italia; Geox ha da poco inaugurato a Francoforte il suo piùgrande shop europeo, il trentesimo spazio in Germania, il sestogestito direttamente in questo Paese, dove il brand realizza circa1/5 del suo fatturato e dove intende avviare altri 30 monomarca,tra diretti e in franchising [HermesLab, 2008].

Si tratta evidentemente di imprese alle quali è già riconosciu-to un preciso posizionamento di brand e, soprattutto, la forzastrategica e commerciale per attuare una simile politica di espan-sione sul mercato. Al contrario, la maggior parte delle PMI nonè nelle condizioni per muoversi nella medesima direzione, so-prattutto per ragioni finanziarie e di brand image, ma possonotuttavia trarre dall’analisi di questo trend e di queste esperienzeimportanti suggerimenti. L’adozione di questo modello distri-butivo, infatti, è spesso combinato con l’adozione di un modelloproduttivo ispirato al fast fashion. Non più (o non solo) cicli diprogettazione e di produzione programmati (articolati cioè sul-l’alternanza stagionale delle due collezioni all’anno e sulla loroproposta al trade secondo la tradizionale agenda fieristica e dicampagna vendita), ma piuttosto la combinazione di cicli artico-lati su una tempistica di servizio al mercato diversificata, dovela programmazione di produzione su collezione si intreccia con-tinuamente con i feedback di vendita e si arricchisce quindi diulteriore complessità con l’offerta di riassortimenti tarati sulletendenze di stagione e sui best seller.

È evidente che questa logica commerciale consente alle impre-se produttrici di valorizzare al meglio la propria proposta com-merciale e migliorare i propri processi creativi e produttivi, manecessita altresì di budget importanti e di una struttura internain grado di seguire con flessibilità e versatilità le richieste delmercato. Una sfida che solo aziende leader possono pensare diintraprendere, soprattutto in virtù dei carichi di lavoro che por-ta con sé, in particolare nelle aree della progettazione e dellaprogrammazione della produzione.

Quello che importa qui sottolineare, però, è la tendenza a “sci-volare” sempre più verso il mercato e ad adottare un modello diservizio al trade e al consumatore fondato sul passaggio di tuttele informazioni commerciali necessarie ad una corretta pianifica-zione delle attività di progettazione e produzione e sulla velocitàdi assortimento degli scaffali con sempre nuove proposte.

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3.3 IL RETAIL MONOMARCA 43

3.3 IL RETAIL MONOMARCA

3.3.1 Il retail al servizio della marca

Come già affermato nel capitolo precedente, la distribuzione,il canale di vendita, il negozio e il retail sono da sempre aspet-ti di fondamentale importanza nelle questioni di business e dimarketing per tutte le aziende. Specialmente nel mercato dellamoda, il canale di vendita rappresenta un tema portante per l’e-sistenza e l’affermazione del vantaggio competitivo e della vitadell’impresa.

Il mondo delle aziende del comparto moda ha dimostrato ne-gli ultimi anni una precisa determinazione, motivazione e pre-dilezione ad avvalersi del retail come potente vettore strategicoper l’affermazione del proprio vantaggio competitivo. Per questeaziende il fattore di successo oltre alla creatività, alla qualità, alprodotto è stato sicuramente la forte e dominante presenza conpropri negozi monomarca, capaci di comunicare e creare busi-ness. Il retail è più che mai diventato un elemento fondamentalee imprescindibile per il successo dello sviluppo della superioritàcompetitiva dell’impresa nel proprio mercato di riferimento.

Marche come Louis Vuitton, Hermès e Zara hanno fondato laloro strategia sulla distribuzione selettiva monomarca e sul con-trollo sistematico del canale di vendita; moltissime delle altremarche di questo comparto hanno creato ed affermato la loroesistenza e la loro unicità attraverso la messa in atto del networkretail. Per tutte queste aziende il retail rappresenta un asset fon-damentale e un fattore strategico per competere nell’arena. Lanetta convinzione di fondo è che il retail sia il territorio prefe-renziale, l’ecosistema, il teatro nel quale la marca può esprimereappieno la sua essenza e la sua anima [Sacerdote, 2007].

Il retail deve essere un “driver” efficace ed efficiente per l’a-zienda nella costruzione della marca. Il network retail e i suoielementi costituenti, i negozi monomarca, divengono l’aspettoorganizzativo e logistico nel quale la marca mostra la sua propo-sta. Il retail diventa uno strumento strategico di cui l’azienda sidota per edificare uno spazio originale ed esclusivo che rappre-senti la propria identità e l’essenza della marca. L’azienda, cioè,utilizza il retail come “vettore di potenza” per innalzare la mar-ca a uno stadio superiore (mega-marca), diventando dunque lostrumento competitivo per potenziare le altre strategie e per farcrescere la marca arricchendola di contenuti, significati e sensoper il target di riferimento.

Entriamo ora nel merito delle strategie di progettazione e pia-nificazione di un retail efficace ed efficiente per il raggiungimen-

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44 RETAIL NEL SETTORE FASHION: IL CALZATURIERO

to degli obiettivi di business prefissati e per l’eccellenza: non cipuò essere infatti eccellenza senza una pianificazione strategicaaccurata.

3.3.2 La pianificazione strategica del retail

Una corretta strategia di marca rappresenta per l’azienda lapossibilità di aumentare il differenziale verso i concorrenti, so-stenendo l’unicità e l’esclusività della propria offerta. La mar-ca, quindi, ha un ruolo strategico per l’azienda in quanto rap-presenta il vettore per auto-alimentarsi riducendo così il rischiod’impresa.

La marca gioca inoltre un ruolo fondamentale nella costruzio-ne dell’immagine. Ogni consumatore, infatti, ha nella propria te-sta una serie di “scatole mentali” che si riferiscono a precise cate-gorie merceologiche: scarpe classiche, scarpe sportive, jeans ecc.In ognuna di queste scatole/categorie sono presenti le marche.

La preferenza primaria è presumibilmente la marca che il con-sumatore acquisterà: quella cioè che ha la posizione di top ofmind, la marca maggiormente preferita e desiderata. Di conse-guenza la marca esiste nel momento in cui il consumatore haun’immagine della stessa nella propria testa. L’immagine è dun-que il complesso delle percezioni mentali che il consumatore de-codifica a posteriori dalle sue esperienze dirette e indirette conle manifestazioni dell’identità di marca, cioè con l’insieme deglielementi visuali e sensoriali (logo, colori, forme) che vengonotrasmessi al consumatore “marchiando” di fatto un prodotto inmodo unico e distintivo. In un’ottica di marketing strategico,quindi, il ruolo della marca consiste nella capacità di progettaree di proiettare un’identità e di ottenere un’immagine (la perce-zione) allineata, affine e coerente con l’identità stessa nella mentedel consumatore [Sacerdote, 2007].

Qui di seguito viene proposto un modello che cerca di schema-tizzare gli aspetti principali connessi alla progettazione del retaile che influiscono direttamente sul patrimonio di marca. Il model-lo si basa sull’assunto che le leve insite nel retail (location, con-cept store, offerta, staff, micromarketing, servizi offerti3) hannoun effetto diretto sui valori e sul patrimonio della marca. I valoridi marca sono il primo gradino del patrimonio e rappresentanola risultante nel breve-medio periodo di positive ed efficaci pro-

3 Location: presenza e visibilità del negozio. Concept store: elementi architettonicie stilistici che trasmettono l’identità di marca. Offerta: varietà e profonditàdell’assortimento. Staff : personale dedicato alla relazione col cliente presso ilpunto vendita. Micromarketing: attività di comunicazione e promozione locale.Servizi offerti: servizi addizionali correlati all’offerta.

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3.3 IL RETAIL MONOMARCA 45

mozioni e affermazioni dell’identità di marca. Lo sviluppo e ilconsolidamento di questi valori creano in maniera indissolubileil patrimonio della mega-marca.

Figura 12: Un modello di Retail Brand Equity (fonte Sacerdote [2007])

Per la realizzazione della mega-marca è fondamentale la ca-pacità e l’abilità da parte dell’azienda di pianificazione e di con-certazione strategica di tutte le leve a disposizione, definendo inbuona sostanza le linee guida per lo sviluppo del retail. Solo l’or-chestrazione più accurata e meticolosa di queste leve strategichepotrà garantire un risultato eccellente.

Lo scopo del Retail Strategic Planning è proprio quello di assi-curare e garantire la migliore e più efficace combinazione delleleve strategiche del retail [Sacerdote, 2007]. Per rendere la mar-ca credibile ed efficace è necessario che tutte le leve siano il piùpossibile coerenti e bilanciate tra loro. Questo significa che ognisingola decisione dovrebbe essere presa in funzione di una logi-ca superiore che tende alla massima coerenza e affinità di tuttele leve. Fatto ciò, il prodotto, la marca e il punto vendita sifondono in un unico ed esclusivo “universo poliedrico” che rap-presenta nella sua interezza l’essenza, la personalità e l’identitàdella marca stessa che si innalza a mega-brand, acquisendo del-le connotazioni e dei significati distintivi unici che la rendonoinimitabile ed esclusiva [Sacerdote, 2007].

Il ruolo di trend-setter spinge questo tipo di aziende a dedi-care ingenti risorse e tempi considerevoli al disegno e alla pro-gettazione della collezione, che deve portare forti elementi diinnovazione e tendenza. Di conseguenza gran parte delle attivi-tà aziendali seguono il ritmo della collezione, in una logica di

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46 RETAIL NEL SETTORE FASHION: IL CALZATURIERO

push4 che si propone di influenzare la domanda puntando su unprodotto e un brand forti (mega-brand), piuttosto che seguire leevoluzioni trasformando il proprio modo di lavorare.

Per recepire indicazioni, gusti e tendenze dal mercato e uti-lizzare queste informazioni per influenzare le possibili azioni dimarketing, disegno e progettazione, produzione e distribuzioneè necessario invece spostare il focus dell’azienda sul consumato-re, trasformando la propria organizzazione da prodotto-centricaa cliente-centrica.

3.3.3 Da product-oriented a market-oriented

L’orientamento al mercato rinnova completamente il rapportotra impresa e consumatore; il punto di partenza del processo discambio non è più la proposta di prodotto da parte dell’impresa,ma l’analisi e la valutazione dei bisogni e delle richieste del con-sumatore. Il focus della relazione si sposta quindi sui bisogni,che assumono il valore di variabile indipendente, mentre l’offer-ta dell’impresa ne diviene conseguenza, rappresentando dunquela variabile dipendente. La politica dell’impresa nei confrontidel proprio mercato passa quindi da un concetto basato sull’as-sunto di “vendere ciò che si è in grado di produrre” a quello di“produrre ciò che si è in grado di vendere” [Volpato, 2003].

Il rapporto tra un’azienda e i suoi clienti è da sempre caratte-rizzato da un complesso insieme di meccanismi che vanno oltrele semplici valutazioni di convenienza. Attorno alla transazioneche conclude una vendita si sviluppano relazioni e interazioniche spesso sono determinanti nell’indirizzare le preferenze diacquisto del cliente. Uno degli ingredienti principali per con-solidare il rapporto con il consumatore e mantenerlo vivo neglianni consiste nel comprendere le sue esigenze e riuscire ad adat-tarsi ai cambiamenti. In questa speciale relazione di business traazienda e consumatore, esiste tuttavia un fattore strutturale cheva tenuto in considerazione.

Le aziende della moda, come già affermato in precedenza, so-no state storicamente molto focalizzate sul prodotto: in quest’a-rea si sono espresse al meglio la creatività dello stilista e la genia-lità dell’imprenditore. Parliamo infatti di aziende con un passa-to di realtà tipicamente padronale, nate attorno a un’idea di stile

4 Nel marketing, con il termine push si è soliti indicare una precisa strategiaaziendale volta a spingere il proprio prodotto attraverso i canali distributivi.La logica di push si contrappone alle strategie cosiddette di pull che, al contra-rio, organizzano le attività a monte della distribuzione (approvvigionamento,produzione ecc.) sulla base delle esigenze del mercato.

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3.3 IL RETAIL MONOMARCA 47

innovativa o ad una competenza di nicchia nella lavorazione dimateriali pregiati.

Tali aziende si sono in seguito evolute lanciando e consoli-dando i propri marchi sul mercato e diventando delle multina-zionali con presenza nei principali mercati mondiali, ma han-no mantenuto sempre una forte focalizzazione sulla creatività esull’innovazione di prodotto.

Questa priorità ha determinato anche delle scelte nel modoin cui i principali gruppi della moda hanno costruito la propriaorganizzazione, che è marcatamente prodotto-centrica: ne sonoprova i consistenti investimenti nell’area stile e nella comunica-zione, nell’intento di proporre collezioni innovative e sostenerlecon un marchio seducente.

In questo senso, anche la scelta di portare l’azienda più vicinoal consumatore finale, investendo in punti vendita monomarcadi proprietà o in franchising, è stata vissuta negli anni passati co-me mezzo per portare al cliente i messaggi del proprio marchioin maniera più diretta e proporgli un assortimento completo emirato.

Il canale retail ha quindi acquistato una dimensione importan-te per tutte le aziende, ma negli anni passati è stato utilizzatosoprattutto per rinforzare la comunicazione ad una sola via, dal-l’azienda al cliente. Poche le iniziative per catturare le informa-zioni sui clienti e capire le loro preferenze, attivando la secondavia di comunicazione, quella di ritorno dal consumatore versol’azienda.

Ma anche nei casi di aziende che già da alcuni anni hannoattivato la raccolta di questi contatti, l’uso delle informazioni ot-tenute è stato finora limitato a iniziative di marketing ed eventipromozionali. Quasi mai le informazioni sui gusti e sulle reazio-ni del cliente a una certa collezione sono utilizzate per modifica-re dinamicamente i contenuti dell’offerta di prodotti e servizi ele modalità con cui questa viene proposto sul mercato.

Ma perché ciò non succede? Probabilmente la risposta è che,anche disponendo delle informazioni utili per poter decidere diintraprendere delle azioni correttive, in realtà le aziende dellamoda non sarebbero in grado di modificare il loro approccio neitempi compatibili con le dinamiche del mercato.

Infatti non basta capire cosa i clienti comprerebbero e dove, lacosa più difficile è riuscire a portare quel modello con le tagliee i colori giusti in quel particolare insieme di negozi nella reteretail proprio nel momento in cui quel consumatore è dispostoad acquistarlo.

Per far questo è necessario non solo dotarsi dei sensori giu-sti sul mercato, ma anche costruire un’organizzazione reattiva

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all’interno della quale le funzioni degli acquisti, della produ-zione, della logistica e delle vendite modificano dinamicamen-te i propri comportamenti e rivedono la sequenza delle attivitàdi competenza sulla base degli input provenienti dal mercato[Sacerdote, 2007].

Il modello esclusivamente push del programmato che le azien-de del settore moda hanno storicamente adottato per spingereprodotti innovativi supportati da un brand forte (mega-brand) do-vrà quindi essere integrato e contaminato con logiche di tipodiverso: più attenzione al servizio al cliente, disseminazione disensori sulla rete di vendita per capire il gradimento dei consu-matori e orientare le scelte nella definizione degli assortimenti,continuo rinnovamento con il moltiplicarsi di collezioni e usci-te stagionali. Ma anche il mix sapiente di logiche di allocazio-ne e riassortimento automatico, per adattare i ritmi dell’aziendaall’andamento della domanda, seguendo così le tendenze delmercato. Il tutto per costruire un’organizzazione e una rete divendita pensata dalla prospettiva del cliente e non solo da quelladell’azienda.

3.3.4 Impatti sull’organizzazione e sui processi aziendali

Aumentare il focus sulla prospettiva del cliente è possibile so-lo se si allinea la propria organizzazione e i processi azienda-li alle esigenze dei propri clienti. Ciò significa intervenire suaspetti organizzativi che vanno oltre i meri aspetti di lettura deirisultati aziendali, modificando gli incentivi ai comportamenti ei meccanismi di misurazione delle performance.

Gli impatti su organizzazione e processi non si limitano a ciòche accade nel negozio: dietro un’offerta di prodotti e servizipresentata al cliente c’è sempre una macchina che opera per ap-provvigionarsi, produrre, distribuire, promuovere e comunicare.Una macchina complessa, in cui non è semplice riportare il con-cetto della centralità del cliente a quei processi che servono asoddisfare la domanda.

Per esempio, i tempi di design e produzione della collezionesono estremamente dilatati e determinano una scarsa flessibili-tà: una volta pronto il campionario esistono ben poche leve adisposizione per cambiare le sorti della collezione e si fa ricorsoad azioni di tipo comunicativo e promozionale per influenzarele preferenze dei potenziali clienti.

Questo modo di lavorare, tipico delle aziende del settore mo-da, si basa sulla logica del programmato e costringe a prendersidei rischi sull’offerta che viene proposta, perché prevede la pro-

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3.3 IL RETAIL MONOMARCA 49

duzione di gran parte della collezione prima della partenza dellastagione e una quota di riassortimento in-season molto limitata.

In questo modello non c’è spazio o quasi per i segnali prove-nienti dal mercato, perché a fronte di indicazioni di particolareapprezzamento di una categoria dell’assortimento si può fare po-co per incrementare la produzione e la distribuzione. Viceversa,nel caso di scarso successo di un capo, si rischia un invendutoperché gran parte della collezione è già stata prodotta e deveessere smaltita in pochi mesi.

Un modello di business basato su un atteggiamento maggior-mente reattivo consente invece il condizionamento del mercatotramite analisi di trend: le informazioni sull’andamento delladomanda forniscono indicatori anticipati (early warnings) di limi-ti e opportunità. In questo modo l’azienda può agire in anticipo,condizionando la domanda di forniture esistenti e pianificate edè possibile bilanciare domanda e offerta, ottimizzare il livello diservizi e i livelli di stock tramite una pianificazione continua intempo reale.

Per ottenere una sincronizzazione che copra il più possibilela supply chain (quindi non limitata dai confini aziendali), ènecessaria una condivisione in tempo reale dei dati sulla do-manda e i livelli di stock, in modo da assicurare visibilità aifornitori sulla domanda e consentire una pianificazione collabo-rativa (il cosiddetto CPFR - Collaborative Planning Forecast andReplenishment).

I dati sulla domanda ottenuti dalle vendite sono impiegati perpianificare e adattare efficacemente la produzione e l’approvvi-gionamento in accordo con la domanda; l’informazione sul fo-recast della domanda è propagata verso i fornitori dell’azienda,che può eventualmente gestire uno spostamento della produzio-ne tra fornitori diversi in modo da compensare i limiti di capa-cità o i lead time produttivi. In tal caso si parla di una supplychain “on demand”, customer driven (ovvero guidata dal clien-te), integrata da un capo all’altro della filiera con clienti, partner,fornitori, e provider di servizi.

I processi di evasione della domanda, da statici e isolati, si tra-sformano così in aree di eccellenza focalizzate sull’ottimizzazio-ne operativa, giungendo poi a un’integrazione orizzontale inter-na all’azienda, quindi all’integrazione esterna con il partner difiliera, ed infine alla performance on demand [Sacerdote, 2007].

Le aziende che si stanno muovendo verso una supply chain di-namica fanno quindi ricorso a tecnologie differenzianti che per-mettono visibilità dell’informazione in tempo reale, sia all’inter-no sia all’esterno dell’impresa. In questo modo i cambiamentidelle condizioni di mercato possono essere affrontati più rapida-

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50 RETAIL NEL SETTORE FASHION: IL CALZATURIERO

mente che con le supply chain tradizionali, utilizzando le infor-mazioni per percepire variazioni e conseguentemente riallocarele risorse disponibili.

Nel caso di aziende del settore moda con una rete di venditamonomarca, per giungere rapidamente e puntualmente sul pun-to vendita con un’offerta in grado di soddisfare i bisogni semprepiù specifici dei clienti, sono due le direttrici su cui agire: da unlato ottimizzare i processi produttivi e distributivi per ridurre alminimo i tempi di attraversamento della supply chain e, dall’al-tro, essere in grado grazie a tecnologie applicative sofisticate ereti di comunicazione che coprano possibilmente tutta la filiera,di conoscere in tempo reale le esigenze manifestate dai consu-matori e le disponibilità di stock di tutti i punti vendita dellarete. Unendo i dati puntuali sullo stock a modelli evoluti per laprevisione della domanda si potrebbe quindi agire con un rias-sortimento più mirato e proiettato ai fabbisogni futuri piuttostoche al semplice reintegro della merce venduta.

In quest’ottica, la prospettiva della supply chain deve esseremutata, con lo scopo di rivolgersi sempre più alla domanda realee poter influenzare in questo modo lo sviluppo delle collezioni;a tal fine è necessario lo sviluppo di sistemi di pianificazionemolto più evoluti e integrati. La corretta “lettura” della doman-da permetterà anche di agire sulla direttrice dell’ottimizzazionedella distribuzione e sulla riduzione da un lato delle scorte edall’altro dalle rotture di stock.

In molti casi è opportuno un notevole impegno e un cambiodi mentalità forte per poter affrontare la faticosa strada versol’eccellenza dal punto di vista logistico-amministrativo. La stra-tegia aziendale deve essere allineata con una visione modernadella supply chain e la singola azienda deve essere pronta adaffrontare le numerose difficoltà (non ultimo il grosso impegnoeconomico e di risorse) che si presentano sul cammino.

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4 L A P I AT TA F O R M A O R A C L E R PA S

INDICE4.1 Decision Support Systems 51

4.1.1 Cos’è un DSS? 51

4.1.2 Utilità e scopi di un DSS 52

4.1.3 Architettura di un DSS 53

4.2 Data warehouse e OLAP 544.2.1 Data warehouse 54

4.2.2 OLAP 55

4.3 Oracle RPAS e MFP 584.3.1 Retail Predictive Application Server 58

4.3.2 MFP Template 61

Nella sezione 2.2 abbiamo descritto una procedura per la pia-nificazione finanziaria del merchandise in ambito retail. In que-sto capitolo analizziamo uno strumento software a supporto del-le decisioni (DSS - Decision Support System) che permette di espli-citare il processo di MFP e declinarlo in tecnologia. La piattafor-ma predittiva analizzata è in particolare quella messa a puntoda Oracle, il Retail Predictive Application Server (RPAS).

4.1 DECISION SUPPORT SYSTEMSNegli ultimi decenni, anche in campo aziendale, si sta assisten-

do a uno sviluppo dell’informatica verso attività che richiedonoun intervento “intelligente”. In questo contesto si collocano i De-cision Support System (DSS), finalizzati alla risoluzione di proble-mi di livello più elevato di quelli trattati dai tradizionali sistemiinformativi.

4.1.1 Cos’è un DSS?

I Decision Support System sono divenuti un’area culturale del-la ricerca scientifica grazie al lavoro di Gorry e Scott Morton neiprimi anni ’70, i quali hanno evidenziato l’utilità e le potenzialitàdi questi sistemi. Da allora si sono susseguite diverse definizio-ni di DSS anche se dal nome, abbastanza autoesplicativo, si puòdedurre quali siano gli elementi alla base dei DSS:

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52 LA PIATTAFORMA ORACLE RPAS

• Decision: sta ad indicare l’attenzione rivolta ad attivitàdecisionali e a problemi direzionali;

• Support: indica che le tecnologie informatiche sono di aiu-to nel prendere le decisioni, ma non si sostituiscono aldecisore, il quale rimane il vero protagonista;

• System: evidenzia che questi strumenti mirano all’integra-zione tra utenti, macchine e metodologie di analisi.

Un Decision Support System è un sistema software che mettea disposizione dell’utente, il decisore, una serie di funzionalitàdi analisi dei dati e utilizzo di modelli in maniera interattivaed estremamente semplice, allo scopo di aumentare l’efficienzae l’efficacia del processo decisionale [Wikipedia, 2009b]. Dalladefinizione emergono, quindi, gli aspetti essenziali di un DSS:

• facilità d’uso e flessibilità dell’interfaccia utente;

• ambiente interattivo;

• efficacia nell’utilizzo dei modelli e nell’analisi dei dati diinteresse;

• possibilità per il sistema di diventare parte integrante delprocesso decisionale.

Molto spesso non è solo l’intuito o la capacità del decisore ciòche più determina lo sviluppo o la sopravvivenza di un’azienda,ma la velocità con cui viene presa una decisione e quindi la ridu-zione del gap problema-azione. Ciò che si richiede ad un DSSè la capacità di consolidare informazioni, di produrre reportso dati previsionali, di consentire simulazioni, il tutto in modoflessibile e semplice.

4.1.2 Utilità e scopi di un DSS

Il principale scopo di un DSS è quindi quello di permettere diestrarre, in tempi brevi e in modo flessibile, da una grossa moledi dati, le informazioni che servono a supportare e migliorare intermini di efficacia il processo decisionale, cioè quella successio-ne di attività che hanno luogo nel momento in cui un individuoo un’organizzazione prende una decisione.

Per far questo occorre innanzi tutto separare i dati generatidalle operazioni di gestione (contenuti nel database aziendale

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4.1 DECISION SUPPORT SYSTEMS 53

o operational database) dai dati utili ai processi decisionali dell’a-zienda (contenuti nel data warehouse1). Ovviamente il data ware-house non deve contenere un sottoinsieme dei dati del databaseaziendale, ma una versione di tali dati ottimizzata per analisifocalizzate sui dati aggregati e sulle tendenze piuttosto che sul-le singole operazioni di gestione. I dati devono quindi esserememorizzati a diversi ed appropriati livelli di aggregazione. Ildecisore deve poter analizzare i dati contenuti nel data warehou-se in tempo reale, da diversi punti di vista e a diversi livelli diaggregazione [Bracchi et al., 2005].

Lo scopo di un DSS non è trovare una struttura o un algoritmoper poi automatizzarlo, ma dare un effettivo supporto a processidecisionali tramite un dialogo continuo con cui l’utente guida leoperazioni del sistema.

4.1.3 Architettura di un DSS

Una soluzione di DSS prevede i seguenti componenti:

• Data warehouse

• OLAP

Un data warehouse è un database ottimizzato per contenerei dati utili ai processi decisionali. Come già affermato in prece-denza è separato dal database aziendale (detto operational data-base). Mentre il database aziendale è aggiornato costantementeperché deve rappresentare lo stato corrente, il data warehousedeve memorizzare solo determinati istanti dell’attività di gestio-ne. Conterrà quindi i dati aggregati riferiti a particolari istantidi tempo, ad esempio dati settimanali, mensili o trimestrali. Inultima analisi, potremmo definire il data warehouse come ungrande contenitore che contiene i dati storici prelevati dagli ope-rational database [Wikipedia, 2009a].

Gli OLAP, acronimo che sta per On-Line Analytical Processing,sono sistemi software che permettono al decisore di analizzare idati:

• in tempo reale;

• da differenti punti di vista (analisi multidimensionale);

• a diversi livelli di aggregazione.

1 Con il termine Data warehouse (letteralmente “magazzino dati”) si intende unarchivio informatico contenente i dati di un’organizzazione, ottimizzato perl’analisi e la reportistica.

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54 LA PIATTAFORMA ORACLE RPAS

Le tecniche OLAP entrano in gioco quando non è più sufficien-te condurre analisi su due sole dimensioni (ad esempio, venditeorganizzate per prodotto e regione, oppure vendite organizzateper prodotto e ultimi tre trimestri), ma è necessario poter usarepiù dimensioni (ad esempio, vendite organizzate per prodotto,regione e ultimi tre trimestri). Inoltre, deve essere possibile orga-nizzare le dimensioni su diversi livelli gerarchici. Ad esempio,un’impresa presente sull’intero territorio nazionale potrà orga-nizzare la dimensione “zona geografica” delle proprie venditeper “regioni” suddivise in “province”, a loro volta suddivise in“punti vendita”. Muovendosi lungo i diversi livelli della gerar-chia l’utente è in grado di passare da analisi di dettaglio ad ana-lisi di insieme e viceversa.

Si intuisce, quindi, come un DSS, per svolgere il suo lavorodi supporto all’analisi e alle decisioni, debba necessariamentefare leva su queste due componenti: data warehouse e tecnicheOLAP. Vediamo più nel dettaglio la loro struttura.

4.2 DATA WAREHOUSE E OLAP

4.2.1 Data warehouse

Un Data warehouse è un archivio informatico contenente idati di un’organizzazione. I DW sono progettati per consentiredi produrre facilmente relazioni ed analisi. Vengono consideraticomponenti essenziali di un sistema data warehouse anche glistrumenti per localizzare i dati, per estrarli, trasformarli e cari-carli, come pure gli strumenti per gestire un dizionario dei dati.Il data warehouse è un sistema informativo dove i dati sono or-ganizzati e strutturati per un facile accesso da parte dell’utentee per fornire supporto ai processi decisionali.

Il data warehouse è organizzato su quattro livelli architettura-li:

• trasformazione dei dati: è il livello che si occupa di acqui-sire i dati dal database aziendale sotto forma di tabelle (flatfiles) e di validarli;

• preparazione e “stoccaggio” dati: è il livello che fornisce idati agli utenti e alle applicazioni analitiche;

• interpretazione e analisi dati: è il livello, ad elevato va-lore aggiunto, che presiede alla trasformazione dei dati ininformazioni aventi valore strategico;

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4.2 DATA WAREHOUSE E OLAP 55

• presentazione dati: è il livello che presiede alla presenta-zione finale agli utenti delle informazioni e quindi dellerisposte cercate.

Come già affermato in precedenza, il data warehouse è unsistema periferico, cioè non risiede fisicamente sul sistema infor-mativo centrale. Il motivo di ciò va ricercato nel tipo di attivitàsvolto: mentre un sistema informativo è maggiormente orientatoall’esecuzione costante di operazioni di aggiornamento, una piat-taforma di supporto alle decisioni, invece, deve essere ottimizza-ta per effettuare un numero limitato di query particolarmentecomplesse [Bracchi et al., 2005].

Un data warehouse comprende diversi livelli di dati:

• Dati attuali di dettaglio: sono i dati al massimo livello didettaglio che si ritiene possa essere utile ai processi decisio-nali, sulla base delle esigenze note e di quelle ragionevol-mente prevedibili. In realtà, questa parte comprende nonsolo i dati propriamente attuali (cioè validi al momento del-l’interrogazione), ma anche una certa finestra temporale didati storici.

• Dati storici di dettaglio: i dati di dettaglio che superanola finestra temporale del dato attuale ma che rientrano co-munque nella finestra temporale del data warehouse ven-gono collocati su supporti meno impegnativi e costosi, maanche accessibili meno comodamente.

• Dati aggregati: la presenza dei dati aggregati nel datawarehouse deriva da considerazioni di efficienza e prati-cità nella risposta alle richieste degli utenti; infatti tutte leinformazioni ricavabili dai dati aggregati sono in teoria ri-cavabili dai dati di dettaglio, ma ciò richiederebbe di voltain volta il loro ri-calcolo. In questo modo, però, non potran-no essere soddisfatte esigenze non previste che richiedanoaggregazioni diverse da quelle predisposte, ma a questoscopo sono comunque conservati i dati di dettaglio.

4.2.2 OLAP

Tipicamente le funzionalità di analisi di un data warehouse siappoggiano su una tecnologia di tipo OLAP. Il termine OLAPdesigna un insieme di tecniche software per l’analisi interattivae veloce di grandi quantità di dati, che è possibile esaminare inmodalità piuttosto complesse. Questa è la componente tecno-logica base del data warehouse e, ad esempio, serve alle azien-de per analizzare i risultati delle vendite, l’andamento dei costi

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56 LA PIATTAFORMA ORACLE RPAS

di acquisto merci, o per misurare il successo di una campagnapubblicitaria [Wikipedia, 2009e].

L’OLAP è essenzialmente un approccio ai processi decisionaliche si focalizza sull’analisi dimensionale delle informazioni. Lesue caratteristiche principali sono:

• è orientato agli utenti di business: il business è fatto adimensioni e non a tabelle e chi analizza e tenta di com-prenderlo ragiona appunto per dimensioni; è per questoche qualsiasi utente di business è in grado di utilizzareuno strumento OLAP;

• è pensato per la risoluzione di problemi non struttura-ti: a differenza dei tradizionali strumenti di reporting chepresentano già le risposte preconfezionate, gli strumentiOLAP stimolano le domande e consentono analisi di causa-effetto. Ciò avviene grazie alla loro struttura che permettela navigazione tra le informazioni, utilizzando le gerarchiee le relazioni tra le informazioni stesse come sentieri;

• si focalizza sulle informazioni: i motori OLAP non sonodi per sé strumenti di presentazione delle informazioni maarchitetture ottimizzate di data storage e navigazione: nesegue che tutto ciò che un utente trova in questo ambientesono solo le informazioni di cui ha bisogno, organizzatesecondo la logica delle dimensioni di analisi di business;

• crea efficienza: ovviamente il risultato netto di tutto ciòè l’efficienza creata da questi sistemi con la loro capacitàdi andare dal generale al particolare e di aiutare l’utente atrovare l’informazione necessaria in base a percorsi logici.

La creazione di un database OLAP consiste nell’effettuare unafotografia di informazioni (ad esempio quelle di un database re-lazionale) in un determinato momento e trasformare queste sin-gole informazioni in dati multidimensionali. Eseguendo succes-sivamente delle interrogazioni sui dati così strutturati è possibileottenere risposte in tempi decisamente ridotti rispetto alle stesseoperazioni effettuate su altre tipologie di database [Bracchi et al.,2005]. Una struttura OLAP creata per questo scopo è chiamata“cubo” multidimensionale.

L’ipercubo OLAP

Un cubo OLAP è una struttura per la memorizzazione di datiche permette di eseguire analisi in tempi rapidi, superando unlimite dei database relazionali. I database relazionali non sono

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4.2 DATA WAREHOUSE E OLAP 57

adatti ad elaborazioni istantanee e alla visualizzazione di unagrande mole di dati [Wikipedia, 2009d].

Il cubo OLAP può essere immaginato come un’estensione delfoglio di lavoro (a due dimensioni) a tre o più dimensioni dianalisi. Ad esempio, una società può essere interessata ad ana-lizzare alcuni dati finanziari per prodotto, per periodo di tempoo per area geografica (vedi figura 13). Questi metodi di analisidei dati sono noti come dimensioni. Poiché in un cubo OLAPpossono esserci in generale più di tre dimensioni, il termine piùappropriato è quello di ipercubo.

Figura 13: Cubo multidimensionale (fonte Oracle [2009b])

Il Cubo OLAP è composto da dati numerici, detti misure, chesono categorizzati all’interno di dimensioni. Consente di creareuna reportistica sotto forma di tabelle pivot2, l’inserimento dielementi e campi calcolati che rielaborano i dati di partenza, eoperazioni di roll-up e drill-down3 se le dimensioni sono orga-nizzate all’interno di una gerachia. Una gerarchia è una serie direlazioni padre e figlio, dove tipicamente l’elemento padre rap-presenta il consolidamento degli elementi che sono suoi figli. Glielementi padre possono essere a loro volta aggregati come figlidi un ulteriore padre. Ad esempio, maggio 2009 può appartene-re alla gerarchia del Secondo Quadrimestre 2009, che a sua voltaè contenuta nella gerarchia dell’Anno 2009.

Ricapitolando, un sistema OLAP permette di:

2 La tabella pivot è la reportistica che risulta da una query OLAP elaborata su datiorganizzati all’interno di un ipercubo OLAP.

3 Il drill-down è l’operazione di “esplosione” del dato nelle sue determinanti. L’o-perazione di drill-down viene eseguita seguendo la gerarchia costruita sulladimensione di analisi, per esempio passando dalla famiglia di prodotti all’in-sieme dei prodotti che ne fanno parte. Il roll-up, invece, è l’operazione opposta(si passa dall’insieme di prodotti alla famiglia).

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58 LA PIATTAFORMA ORACLE RPAS

• studiare una grande quantità di dati;

• vedere i dati da prospettive diverse;

• supportare i processi decisionali.

Sono proprio questi tre aspetti che fanno della piattaformaOracle RPAS e della soluzione di MFP un ottimo strumento ana-litico per la pianificazione finanziaria del merchandise. Vedia-mone nel dettaglio la struttura e i principi di funzionamento.

4.3 ORACLE RPAS E MFPIn questa sezione chiariremo come è possibile esplicitare il pro-

cesso di Merchandise Financial Planning, descritto nel capitolo 2,attraverso l’utilizzo della tecnologia predittiva messa a disposi-zione dalla divisione Oracle Retail. Cominciamo col descriverela struttura e il funzionamento della piattaforma Oracle RPAS, ilframework su cui si innesta la soluzione finale di MFP.

4.3.1 Retail Predictive Application Server

Oracle RPAS (Retail Predictive Application Server) è una piatta-forma che supporta diverse soluzioni di pianificazione, previsio-ne e ottimizzazione. Col termine soluzione si intende un’applica-tivo software che realizza e supporta un determinato processobusiness, come per esempio il processo di MFP descritto nellasezione 2.2. In figura 14 sono illustrate alcune delle soluzionisupportate dalla piattaforma Oracle RPAS.

Figura 14: Piattaforma Oracle RPAS (fonte Oracle [2009b])

Ogni soluzione condivide con le altre la piattaforma comuneRPAS, le cui caratteristiche principali sono:

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4.3 ORACLE RPAS E MFP 59

• Utilizzo di database multidimensionali e OLAP;

• Gestione gerarchica delle dimensioni di analisi;

• Aggregazione e spread4 dei dati;

Configuration Tool

Tra le soluzioni e la piattaforma è presente uno strumento de-nominato Configuration Tool che consente di implementare e con-figurare le soluzioni partendo dai soli requisiti di business delprocesso. Il Configuration Tool (o configuratore) è un mezzo fles-sibile ed efficiente che permette di creare soluzioni attraversoun’interfaccia grafica semplice e intuitiva. Il configuratore vieneutilizzato solo per l’implementazione e la modifica delle soluzio-ni e non fa parte dell’applicativo finale.

Per creare una soluzione si devono svolgere le seguenti opera-zioni:

• Configurare le gerarchie e le dimensioni;

• Configurare le metriche e le misure;

• Configurare le espressioni e le regole;

• Configurare i workbook e i worksheet;

• Configurare le interfacce per l’importazione dei dati.

Questi passaggi, comuni a tutte le soluzioni, verranno espli-citati in modo specifico nella sezione 4.3.2 per quanto riguar-da la soluzione di MFP proposta da Oracle (il cosiddetto MFPTemplate). Diamo ora uno sguardo all’architettura del sistema.

Architettura di Oracle RPAS

La piattaforma Oracle RPAS comprende:

• Infrastruttura multidimensionale per il salvataggio e l’or-ganizzazione dei dati (datawarehouse e OLAP);

• Application Server che include il motore di calcolo per l’e-secuzione di regole (si veda in proposito il paragrafo 4.3.2)e una collezione di funzioni standard (ad esempio batchscript5);

4 Per spread si intende l’operazione opposta all’aggregazione, per esempio laripartizione del budget di vendita annuale nei singoli budget mensili.

5 Per batch script si intende un file di testo che contiene una sequenza di comandiper l’interprete di comandi del sistema.

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60 LA PIATTAFORMA ORACLE RPAS

• API (Application Programming Interfaces) per sviluppare esten-sioni personalizzate della piattaforma.

Gli utenti finali e gli amministratori accedono ai dati contenu-ti sul server attraverso un client installato nel proprio pc (vedifigura 15). La visualizzazione dei dati, organizzati secondo undatabase multidimensionale (il “cubo” OLAP), avviene attraver-so un’interfaccia grafica, simile a un foglio elettronico, con laquale è possibile navigare attraverso le dimensioni del cubo (siveda in proposito la figura 18 a pagina 64).

Figura 15: Architettura fisica della piattaforma Oracle RPAS (fonteOracle [2009b])

Oracle RPAS si distingue da un semplice sistema di reportisti-ca interna e da sistemi più evoluti di business intelligence6 per ilfatto che, oltre a rendere possibile l’analisi a differenti livelli didettaglio attraverso la tecnologia OLAP multidimensionale, per-mette di sfruttare moduli avanzati per le previsioni statistichein grado di capire l’andamento delle performance aziendali. Unmodulo standard per il forecasting dalle funzionalità limitate ègià integrato nella piattaforma Oracle RPAS: tuttavia può esserepotenziato/sostituito da una vera e propria soluzione per l’ana-lisi statistica delle serie storiche, il cosiddetto modulo di RetailDemand Forecasting (RDF).

6 Con il termine business intelligence ci si riferisce a un insieme di processi azien-dali per raccogliere ed analizzare informazioni strategiche. Generalmente leinformazioni vengono raccolte per scopi direzionali interni e per il controllodi gestione.

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4.3 ORACLE RPAS E MFP 61

4.3.2 MFP Template

A conclusione di questo capitolo riportiamo una breve descri-zione del template MFP, ovvero dell’applicativo software propo-sto da Oracle per supportare il processo di pianificazione finan-ziaria del merchandise in ambito retail. In figura 16 è riportatal’architettura del software.

Figura 16: La piattaforma Oracle RPAS e la soluzione di MFP (fonteOracle [2009b])

Dimensioni e gerarchie

Le dimensioni e le gerarchie sono l’impalcatura dell’intero si-stema di gestione dei dati: per questo motivo vanno costruitecon molta attenzione basandosi sul sistema corrente di classi-ficazione delle informazioni utilizzato dal retailer. Per quantoriguarda il template MFP, sono state create tre dimensioni (pro-dotto, area geografica e tempo) organizzate secondo le gerarchiedi figura 17.

Metriche e misure

Le metriche che supportano il processo di pianificazione sonochiamate “misure” in RPAS. Le misure sono costruite a partireda componenti. Per esempio, la misura che quantifica il valoredelle vendite (o venduto) relativo all’anno precedente, “Ly SlsR”, è costituita da tre componenti:

• Versione: Ly (Last year) - dati relativi all’anno precedente;

• Metrica: Sls (Sales) - dati relativi alle vendite;

• Unità di misura: R (Retail) - dati valorizzati al prezzoretail7.

7 Con prezzo retail si intende il prezzo a cui la merce viene venduta (o prezzo dietichetta).

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62 LA PIATTAFORMA ORACLE RPAS

Figura 17: Gerarchie e dimensioni presenti nel template MFP di Ora-cle: nell’ordine prodotto, area geografica e tempo (fonteOracle [2009b])

Nella tabella 5 sono riportati alcuni esempi di misure presentinel template MFP. Come si può notare alle tre componenti ap-pena citate se ne aggiunge una quarta relativa al ruolo ricopertoall’interno dell’organizzazione. In questo modo executive (TD -Top-down), manager (MO - Middle-out) e planner (BU - Bottom-up) possono pianificare separatamente e in completa sicurezzamisure simili che differiscono solo per la componente di ruolo.

Ruolo Versione Metrica Unità di misura Misura Descrizione

BU Wp Sls R BU Wp Sls R Venduto (valore)

MO Ly Sls U MO Ly Sls U Venduto (unità)

TD Op Sls Ar TD Op Sls R Venduto (prezzomedio unitario)

TD Tgt Sls R TD Tgt Sls R Executive TargetVenduto (valore)

Tabella 5: Esempi di misure presenti nel template MFP e delle lorocomponenti (fonte Oracle [2009a])

Regole

Le regole sono collezioni di espressioni matematiche (la basedi tutti i calcoli) che descrivono le relazioni esistenti tra diversemisure. Ogni regola può contenere una o più espressioni: peresempio, la regola seguente ne contiene due.

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4.3 ORACLE RPAS E MFP 63

Espressione1 : BUWpSlsAUR = BUWpSlsR/BUWpSlsU

Espressione2 : BUWpSlsU = BUWpSlsR/BUWpSlsAUR

Ogni espressione viene eseguita dal motore di calcolo (presen-te all’interno della piattaforma) nel momento in cui una dellemisure che compaiono a destra dell’uguale subisce una variazio-ne. L’esecuzione dell’espressione, ovviamente, modificherà lamisura a sinistra dell’uguale che potrà influenzare a sua voltaaltre regole (ma non la stessa).

Workbook e worksheet

Dopo aver costruito gerarchie, misure e regole, l’ultimo passonella configurazione della soluzione di MFP (come di una qua-lunque altra soluzione) consiste nel creare una serie di interfaccegrafiche (workbook e worksheet) con cui l’utente finale possa inte-ragire con il sistema. Definiamo la differenza tra workbook eworksheet.

• Workbook: è un contenitore di worksheet suddiviso inschede che guidano l’utente nel processo di pianificazio-ne e controllo. L’ordine cui sono organizzate le schede ri-specchia quello delle attività di pianificazione descritte nelparagrafo 2.2.2 a pagina 18.

• Worksheet: è un foglio elettronico multidimensionale (spread-sheet) per la visualizzazione/modifica dei dati di pianifica-zione.

In conclusione, ogni utente, dopo aver creato il proprio wor-kbook, esegue le attività previste dal processo di pianificazione(suddivise per schede), interagendo con il sistema attraverso iworksheet presenti all’interno di ogni scheda.

Ad esempio, se l’utente sta pianificando le vendite per la pros-sima stagione, avrà il proprio workbook aperto sulla scheda “Sa-les” (vendite) dove potrà definire attraverso le celle editabili8 delfoglio di lavoro (worksheet) il valore e i volumi di vendita al livel-lo di dettaglio che preferisce. Nel caso l’utente si concentri sullapianificazione delle vendite per una particolare categoria di pro-dotti e per una specifica area geografica, cioè una volta vincolatedue delle tre dimensioni dell’ipercubo, la sua attività sarà quella

8 Non tutte le celle all’interno di un worksheet sono editabili: alcune, ad esem-pio le previsioni statistiche sui volumi di vendita, servono da baseline perdefinire gli obiettivi e pertanto non si possono sovrascrivere.

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64 LA PIATTAFORMA ORACLE RPAS

di inserire i valori di vendita all’interno dell’arco temporale diriferimento (come per esempio nella tabella 1 a pagina19 per lastagione primavera-estate).

Il risultato finale, quindi, è un’applicativo simile a un foglioelettronico che permette di esplorare e modificare l’intero cubomultidimensionale lungo tutte le sue dimensioni (si veda peresempio la figura 18).

Figura 18: MFP Template: esempio di worksheet relativo alla schedaSales (fonte Oracle [2009b])

Per qualsiasi informazione più specifica riguardo la piattafor-ma Oracle RPAS e la soluzione di MFP si faccia riferimento aimanuali [Oracle, 2009a] e [Oracle, 2009b].

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5 M F P E C A L Z AT U R I E R O : A N A L I -S I D E I G A P

INDICE5.1 Il metodo di analisi 65

5.1.1 Gap Analysis 66

5.1.2 Prescrittività e copertura 68

5.1.3 Esempio di risultati della gap analysis 69

5.2 La pianificazione nel settore calzaturiero 715.2.1 Tipologia di aziende analizzate 72

5.2.2 Il caso Compar S.p.a. (Gruppo Bata) 73

5.3 Analisi dei gap 775.3.1 Ruoli coinvolti 77

5.3.2 Processo di pianificazione 77

5.3.3 Processo di controllo 78

5.3.4 Analisi dei dati 79

5.3.5 Metriche 79

A conclusione del lavoro di tesi, tenteremo di dare una rispo-sta alla domanda se l’applicativo messo a disposizione da Ora-cle, studiato appositamente per l’industria retail, possa essereutilizzato in contesti diversi dal retail. In questo senso verrà va-lutata la possibilità di applicare il processo di MFP descritto nelcapitolo 2 al canale di vendita diretta di un’azienda del settorecalzaturiero. L’obiettivo sarà quello di analizzare il divario (ogap) tra il processo di pianificazione finanziaria tipica del canaleretail di questo tipo di aziende e il processo di MFP incorporatonell’applicativo Oracle. A conclusione dell’analisi verranno pro-poste una serie di azioni correttive per garantire la compatibilitàtra i due processi e, di conseguenza, assicurare l’applicabilitàdel software in un contesto diverso da quello per cui è statosviluppato.

5.1 IL METODO DI ANALISI

Cominciamo col descrivere il metodo di analisi adottato cheva sotto il nome di analisi dei gap (o gap analysis).

65

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66 MFP E CALZATURIERO: ANALISI DEI GAP

5.1.1 Gap Analysis

Nella letteratura sulla gestione dei sistemi informativi, con gapanalysis si intende la valutazione della distanza tra il modo incui “funziona” una certa azienda e il modo in cui “dovrebbefunzionare” secondo il modello implicitamente incorporato nelsistema informativo.

Un aspetto ben noto nell’applicazione dell’informatica in azien-da è il fatto che, specialmente per i prodotti commerciali che nonsiano realizzati specificatamente per una certa azienda, la coper-tura1 del software è solamente parziale, rendendo così necessariinterventi di configurazione per rendere l’applicativo adatto alleesigenze.

Per condurre la gap analysis si procede in questo modo:

1. Identificazione di alcune variabili/dimensioni di analisi

Tali variabili rappresentano aspetti salienti del modo in cuifunziona l’azienda o il modo in cui dovrebbe funzionaresecondo il modello implicito del software. Ad esempio,tipiche variabili di analisi possono essere: la struttura or-ganizzativa, le caratteristiche del processo offerto dal soft-ware, le competenze possedute o richieste dal personale,ecc.

2. Identificazione della situazione “as is”

Il modello di funzionamento attuale dell’azienda, descrittosecondo le variabili di cui al punto 1.

3. Identificazione della situazione “to be”

Il modello di funzionamento aziendale incorporato nel soft-ware, che corrisponde allo stato “ideale” in cui l’azien-da dovrebbe portarsi per sfruttare in pieno le funzionalitàdell’applicativo nella sua versione attuale.

4. Analisi del gap

Valutazione della distanza tra “as is” e “to be”, chiarendoanche le difficoltà e le eventuali azioni da intraprendereper rendere aziende e software compatibili tra loro.

Si noti che, con riferimento al gap di cui al punto 4, il metodoper colmarlo può comportare:

• Azioni di adattamento dell’azienda in direzione del model-lo del software;

1 Per copertura si intende la percentuale di requisiti aziendali che vengonosoddisfatti dal software; il significato verrà chiarito nel paragrafo 5.1.2.

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5.1 IL METODO DI ANALISI 67

• Azioni di adattamento e riconfigurazione del software peradattarlo all’azienda;

• Entrambi i punti precedenti.

In effetti, come illustrato in figura 19, colmare il gap signifi-ca in generale intraprendere un processo di mutuo adattamentoazienda/software.

É importante anche notare come l’acquisizione di informazio-ni circa il gap e il modo di colmarlo è utile sia a un’eventualeazienda interessata ad adottare l’applicativo sia a un fornitore diservizi o a un rivenditore di software.

La figura 19 illustra un esempio di gap analysis esteso a duevariabili/dimensioni di indagine:

• Stato A: modello gestionale corrente di un’azienda.

• Stato B: modello funzionale incorporato nel software.

• Stato C: modello implementato configurando il software eadattando l’azienda.

Figura 19: Esempio di gap analysis su due dimensioni/variabili dianalisi

Come detto, in casi sempre più frequenti colmare il gap com-porta una transizione organizzativa o di business legata a scenaridi cambiamento anche significativi (in casi come questi si parladi change management, riferendosi con tale termine agli strumentied ai processi utilizzati per realizzare e supportare la transizio-ne) e in parte richiede una riconfigurazione del software ovepossibile.

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68 MFP E CALZATURIERO: ANALISI DEI GAP

5.1.2 Prescrittività e copertura

Si definisce prescrittività la normalizzazione dei processi ge-stionali derivante dal modello funzionale incorporato nel soft-ware. L’impatto organizzativo della prescrittività può essere ele-vato, poiché “costringe” un’azienda a conformare il suo compor-tamento allo standard previsto dal sistema. Tale standard riflettepratiche ottimali (best practice) che garantiscono la certificazionedelle informazioni, un vantaggio notevole che ha spinto i ma-nager delle multinazionali ad adottare sistemi a supporto delledecisioni (DSS) proprio per garantire dati sicuri e procedure stan-dard. In questo senso la prescrittività, con l’uniformazione e lastandardizzazione, favorisce una razionalizzazione dei processi,facendo coincidere il progetto informatico DSS con un progettodi razionalizzazione organizzativa, noto come BPR (Business Pro-cess Reengineering) [Bracchi et al., 2005].

La prescrittività non deve fare concludere che gli applicativisofware DSS siano sistemi immodificabili e perfettamente com-pleti. Il punto chiave per un progetto DSS è la duplice analisidei cambiamenti che l’azienda deve fare per adeguarsi al DSSe delle modifiche che è necessario portare al DSS per adeguar-lo al funzionamento dell’azienda. Nella maggior parte dei casi,per colmare completamente il divario, l’azienda deve lanciaresia un progetto di cambiamento e/o ingegneria dei processi perattuare le modifiche sul processo gestionale sia un progetto disviluppo software per modificare la soluzione DSS. Il rappor-to tra l’esigenza aziendale, corrispondente a un modulo DSScostruito su misura (freccia nera di figura 19), e l’applicativosoftware, modulo DSS così come viene venduto (freccia rossadi figura 19)), è detto copertura. La copertura è tanto maggiorequanto più elevata è la percentuale dei requisiti soddisfatti. Lacopertura è un giudizio qualitativo, ma ha grande importanzapratica. Maggiore sarà la copertura di un software, minori, aparità di condizione, saranno i costi e i tempi necessari per lapersonalizzazione/configurazione (freccia verde di figura 19).

Prendiamo come esempio il template MFP: come accennatonel paragrafo 4.3.1 a pagina 59, il template può essere modifica-to attraverso il Configuration Tool per ottenere un’applicativo chemeglio si adatta alle esigenze specifiche di un’azienda. La perso-nalizzazione/configurazione del template MFP si articola su trelivelli:

• Basic: le modifiche al template sono minime o quasi (inter-venti legati all’interfaccia grafica di workbook e worksheet,p. es. modifica di etichette, layout ecc.);

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5.1 IL METODO DI ANALISI 69

• Advanced: ll template viene modificato più in profondità(aggiunta di misure e regole di calcolo);

• Leading Edge: modifiche pesanti al template (processo dibusiness modificato, algoritmi specifici ecc.).

Figura 20: Livelli di configurazione del template MFP (fonte Oracle[2009b])

Ovviamente, quanto minore sarà la copertura del templateMFP, tanto più in basso si dovrà scendere nella piramide difigura 20 per addatare l’applicativo alle esigenze aziendali.

5.1.3 Esempio di risultati della gap analysis

Gli output generati da un processo di gap analysis possonoessere presentati in diversi modi. Un sistema particolarmentecomodo e immediato per illustrare i risultati dell’analisi è larealizzazione di una tabella in cui ogni riga è associata a unadimensione di analisi e le colonne rappresentano nell’ordine:

• Situazione “as is” (stato A): modello funzionale aziendale;

• Situazione “to be” (stato B): modello incorporato nel soft-ware;

• Azioni correttive sul processo: modifica dei processi azien-dali;

• Azioni correttive sul software: modifica del software.

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70 MFP E CALZATURIERO: ANALISI DEI GAP

Attività delprocesso

Modellofunzionalecorrente

FunzionalitàERP

Azioni sulprocesso

Azioni sulsoftware

Ricevimentodei materiali

Solo registra-zione; nes-sun control-lo sull’ordi-ne al fornito-re

Controllosull’ordineal fornitore:“i materialiche entranoin aziendadevonoessere statiordinati”

Adeguamentodel processoalla pre-scrizioneERP

-

Carico a ma-gazzino

Il SI guida lascelta dell’u-bicazione dimagazzinoin cui stivare

Solo registra-zione dell’e-vento di av-venuto cari-co a magaz-zino

- AdeguamentosoftwareERP

Prelievo amagazzino

Il SI guidala scelta del-l’ubicazionedi magaz-zino da cuiprelevare

Solo registra-zione dell’e-vento di av-venuto pre-lievo da ma-gazzino

- AdeguamentosoftwareERP

Rettifica in-ventariale

Modifica deivalori nellabase dati (so-vrascrittura)

I valoridelle scortesono correttimedianteappositetransazionidi rettifica

Adeguamentodel processoalla pre-scrizioneERP

-

Tabella 6: Gap analysis: esempio (fonte Bracchi et al. [2005])

Nella tabella 6 è riportato un esempio che analizza il divariotra un modello funzionale e un modulo ERP (Enterprise ResourcePlanning); intenzionalmente, il divario non è solo nel processoma anche nel sistema ERP. L’azienda infatti segue pratiche con-trastanti con l’ERP nel ricevimento dei materiali e nelle rettificheinventariali. A sua volta il supporto del sistema ERP è carenteper le attività di carico e prelievo dal magazzino. Volendo col-mare completamente il divario, l’azienda deve lanciare sia unprogetto di cambiamento e/o ingegneria dei processi (BPR) perattuare le modifiche sul processo gestionale, sia un progetto disviluppo software per modificare l’applicativo ERP.

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5.2 LA PIANIFICAZIONE NEL SETTORE CALZATURIERO 71

5.2 LA PIANIFICAZIONE NEL SETTORE CALZA-TURIERO

La gap analysis qui condotta non si riferisce a un’azienda spe-cifica ma a una tipologia di aziende calzaturiere per le quali ilsoftware di MFP appare potenzialmente appropriato. Per con-durre l’analisi si sono dovute quindi raccogliere informazionisugli stati “as is” e “to be” prima descritti.

Riguardo lo stato “as is”, è stata fatta innanzitutto una rac-colta di materiale documentale che descrive i processi di pianifi-cazione tipici delle aziende calzaturiere. Tali informazioni sonostate poi confrontate con altri elementi ricavati dai colloqui coni consulenti aziendali presso Tria. La descrizione del modello in-corporato nel software (stato “to be”) deriva invece dall’analisiapprofondita dello stesso.

Il processo di pianificazione di un’impresa calzaturiera (comedi una qualsiasi altra azienda) che trova parziale riscontro conil processo di MFP descritto nel capitolo 2 è sicuramente il pro-cesso di budgeting commerciale. Il budget commerciale costituisceun elemento cardine nelle aziende che ripongono nel rapportocol mercato la criticità di rilievo dell’impresa [Bergamin, 1991].Il budget commerciale è suddiviso in:

• Budget delle vendite: prevede la combinazione di volu-me, prezzo e mix di prodotti, con un livello di dettaglioche è diverso in relazione ai fabbisogni decisionali dellafunzione vendite;

• Budget dei costi commerciali: considera i costi di distribu-zione (variabili e fissi) e i costi di marketing.

Dal momento che l’analisi dei gap deve riguardare il solo pro-cesso di MFP, non verrà preso in considerazione il budget deicosti ma solo quello delle vendite.

Il budget delle vendite contiene informazioni sulle previsionidi fatturato, da cui dipendono una serie di conseguenze che, acascata, impattano sull’organizzazione, sulla produzione, sugliacquisti, sulla logistica, sulla finanza e sulla stessa area commer-ciale. Il documento in esame è considerato centrale perché ha ilcompito non semplice di tradurre in dati gli input provenientidal mercato ed in particolare le richieste e le capacità di assorbi-mento dello stesso. È da questi presupposti che, successivamen-te, vengono elaborati programmi di acquisto delle risorse e pianidi produzione più mirati.

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72 MFP E CALZATURIERO: ANALISI DEI GAP

Una corretta pianificazione in ambito commerciale permette di:

• definire le previsioni di vendita;

• trasformare le previsioni in obiettivi;

• pianificare le attività necessarie al raggiungimento degliobiettivi;

• impostare gli strumenti di verifica e controllo.

L’analisi del venduto e la valutazione degli scostamenti rispet-to alle previsioni è la prima attività nel processo di bugetingcommerciale. A questa segue la pianificazione e la definizionedei budget di vendita, spesso frutto dell’esperienza maturata inambito commerciale dal responsabile di settore e costruita sullascorta di dati storici aziendali e sull’intuito e la capacità inter-pretativa di questa figura. Tra le mansioni di sua competenzatroviamo:

• Assicurare il mantenimento e lo sviluppo delle venditemediante una politica commerciale coerente alle strategieaziendali e ai piani di sviluppo concordati;

• Supportare le decisioni in merito alla composizione dellacollezione mediante report relativi ai dati storici del ven-duto e alle indicazioni provenienti dalla rete vendita;

• Gestire il canale retail mediante il controllo dei punti ven-dita con i quali concordare un budget, verificarne l’attua-zione e pianificare le eventuali azioni correttive.

La pianificazione delle vendite, tuttavia, non viene gestita allostesso modo da tutte le imprese del calzaturiero. Vediamo qualisono le tipologie di aziende che possono soddisfare almeno inparte i requisiti funzionali del processo di MFP.

5.2.1 Tipologia di aziende analizzate

Alla luce di quanto visto finora, per procedere a un’analisi deigap tra aziende operanti nel settore calzaturiero e template MFPsembra logico considerare solo le aziende che hanno una retedi vendita diretta (di proprietà o in franchising), aziende percui “cliente” è anche sinonimo di consumatore finale. Esempiincludono note aziende come Geox o Bata.

All’interno di questo categoria è necessario, tuttavia, escluderetutte quelle aziende che producono e commercializzano i propriprodotti secondo le modalità del “pronto moda”. In questo caso,

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5.2 LA PIANIFICAZIONE NEL SETTORE CALZATURIERO 73

infatti, non esiste alcun tipo di pianificazione della domanda poi-ché la produzione e l’approvvigionamento vengono innescati es-senzialmente in conseguenza a un ordine (salvo piccole porzionidel fatturato).

Un’ulteriore selezione può essere fatta sulla base della tipolo-gia di prodotto che viene venduto. Tralasciando il segmento dellusso (e specialmente le calzature moda donna) legato a una va-riabilità della domanda troppo elevata, restano da considerare isegmenti caratterizzati da calzature maggiormente continuative.Queste tipologie di prodotti, infatti, sono tali per cui la previsio-ne e la pianificazione accurata dei livelli di vendita riveste unruolo fondamentale per il profitto dell’impresa. In particolare sipossono individuare tre tipologie di calzature che corrispondonoai requisiti richiesti:

• Calzatura moda uomo (quantomeno le tipologie più stabi-li);

• Calzatura sportiva;

• Calzatura tecnica.

Nel prossimo paragrafo vedremo come un’azienda calzaturie-ra caratterizzata da un canale retail strutturato e presente in mo-do capillare sul territorio nazionale possa beneficiare di un siste-ma DSS per supportare la propria crescita mediante il controllodei processi aziendali (di budgeting commerciale e non solo).

5.2.2 Il caso Compar S.p.a. (Gruppo Bata)

Il seguente paragrafo è un estratto del documento “Retail Per-formance Management e integrazione con la Supply Chain inCompar S.p.a.” redatto da SDG Consulting, azienda italiana diconsulenze specializzata in Business Performance Management eAnalytical Applications.

L’azienda

Compar S.p.A. rappresenta la società italiana del gruppo in-ternazionale Bata. Compar è riuscita ad assumere una posizionedi leader nazionale nel settore delle calzature e abbigliamentograzie ad una struttura commerciale capillarmente presente sul-l’intero territorio italiano che oggigiorno vanta oltre 400 puntivendita. Da un punto di vista della struttura commerciale, Com-par diversifica la propria strategia di crescita sviluppando sia ilcanale di vendita diretto sia quello franchising.

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74 MFP E CALZATURIERO: ANALISI DEI GAP

L’esigenza

In considerazione del settore all’interno del quale opera Com-par, sembra naturale considerare come cardine del sistema il pro-cesso commerciale: cosa e quanto acquistare dai diversi fornito-ri, in che tempi e con quali criteri distribuire la merce ai puntidi vendita al fine di intercettare al meglio i bisogni della clien-tela, quali politiche commerciali adottare per massimizzare levendite mantenendo una frequenza di rotazione dei magazzinisufficientemente elevata.

Da queste considerazioni nasce l’esigenza di dotarsi di model-li e strumenti tecnologici atti a gestire il processo nella sua in-terezza: simulazione in base ad ipotesi differenti, pianificazionesecondo molteplici direttive ed in momenti distinti, analisi deirisultati ottenuti e dei relativi scostamenti, condivisione dellaconoscenza e coordinamento delle azioni da intraprendere.

La soluzione

In questo senso la collaborazione tra Compar e SDG Consul-ting Italia nasce con l’obiettivo di disegnare e implementare unnuovo modello per la pianificazione commerciale. Secondo unapproccio consolidato, il team di progetto, formato dai consulen-ti SDG e dai principali owner di processo, ha concentrato i proprisforzi in duplice direzione:

Analisi del processo

• Evidenziazione delle classi di informazioni coinvolte nellapianificazione, ovvero tali da identificare qualitativamentee quantitativamente le singole attività: vendite, acquisti,livelli di magazzino, ciascuno in termini di quantità, valoree margine.

• Definizione dei livelli di dettaglio mediante i quali struttu-rare le classi di informazioni. Il settore fashion, caratteriz-zato da dinamiche evolutive estremamente rapide, imponel’esigenza di disporre di molteplici prospettive: il tempo,la categoria merceologica, il punto di vendita, la societàma anche la collezione e l’età della merce, strettamenteconnesse alla potenzialità di vendita.

• Formalizzazione delle logiche di funzionamento del mo-dello di pianificazione: i costituenti numerici del modellovengono organizzati a formare un percorso razionale cheisola le singole leve di pianificazione, in modo da eviden-ziarne il contributo rispetto al risultato finale.

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5.2 LA PIANIFICAZIONE NEL SETTORE CALZATURIERO 75

Integrazione del modello nel tessuto aziendale

• Sistemi informativi: l’implementazione del modello pre-suppone l’utilizzo di uno strumento adeguato che deve in-teragire con i flussi informativi aziendali. Nel caso specifi-co è stata scelta una piattaforma multidimensionale (BoardM.I.T.) ed è stato appositamente studiato il criterio di ali-mentazione della base dati dal sistema gestionale.

• Organizzazione: l’aumento della complessità del modellodetermina un impatto organizzativo sempre più rilevante,in termini di coordinamento tra i diversi attori del processo.Da questo punto di vista l’analisi è volta a bilanciare leesigenze dei diversi utenti per rendere i singoli contributicostruttivi.

Il modello sviluppato si articola secondo uno schema “supplychain oriented”, in cui tutte le attività che compongono la filie-ra commerciale - acquisto, distribuzione, vendita - concorrono agenerare gli obiettivi propri della pianificazione.

La pianificazione degli obiettivi di fatturato, primo step delprocesso, procede attraverso due differenti strategie, volte a bi-lanciare il mix di collezioni passate (merce non ancora venduta)e articoli nuovi.

• Nel primo caso la performance ottenuta nei periodi prece-denti impone un vincolo in termini di livelli di magazzinoa disposizione; inoltre la potenzialità di vendita decrescerapidamente al crescere dell’età della merce. Utilizzandola leva degli sconti, l’obiettivo è di bilanciare l’esigenza diridurre le rimanenze con la tenuta del profitto medio.

• Nel secondo caso la marginalità e le quantità vendute ven-gono decise in base al target di fatturato totale. Quantità,valori e margini di vendita della merce nuova determina-no a loro volta il budget degli acquisti e vengono pertantodefiniti coinvolgendo nel processo i diversi buyer.

La direzione ed il controllo hanno il compito di determinareuna prima previsione, sulla base di indicazioni a medio-lungotermine; ragionare ad un livello di dettaglio fortemente aggre-gato (macrocategoria, catena, collezione) consente di focalizzarel’attenzione sulla performance aziendale complessiva e di otte-nere risultati in tempi brevi. La traduzione di tali obiettivi intermini operativi coinvolge i responsabili delle singole attività

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76 MFP E CALZATURIERO: ANALISI DEI GAP

ed aree e procede aumentando progressivamente il dettaglio del-le informazioni (sub-categoria, punto di vendita, collezione, etàdella merce, settimana). Budget direzionale e piano operativo siintegrano all’interno dello stesso modello e sono resi disponibilimediante un’unica piattaforma.

L’output della pianificazione può essere confrontato con i ri-sultati che si concretizzano a consuntivo. L’analisi degli scosta-menti consente di rivedere in un momento successivo le stimefatte in precedenza, nonché di attivare delle politiche correttive.In considerazione di una previsione di margine eccessivamen-te pessimistica, ad esempio, è possibile agire sulla composizio-ne dell’età della merce, piuttosto che sul margine di acquistoper allineare l’obiettivo al risultato, in sede di revising. L’e-splicitazione delle leve di pianificazione facilita il processo discomposizione degli effetti sul risultato finale.

I risultati

L’adozione di un modello integrato di pianificazione commer-ciale ha avuto immediate conseguenze sulla modalità di gestio-ne del business. La definizione ed il controllo delle leve fonda-mentali ha consentito di tracciare il percorso logico attraversocui si forma il dato di target e di evidenziare eventuali incon-gruenze tra le esigenze degli attori coinvolti nella stessa attività(ad esempio i responsabili delle diverse Business Units), piutto-sto che quelli coinvolti in attività diverse (quali il responsabilevendite ed il responsabile acquisti). La flessibilità nella sceltadel dettaglio con cui pianificare ha permesso di ottenere risul-tati attendibili in breve tempo, che possono essere discussi edapprovati dalla direzione, per poi essere raffinati in una succes-siva revisione. Per gli stessi motivi anche in sede di analisi delleperformance risulta più semplice identificare le cause che hannogenerato determinati risultati ed intervenire di conseguenza. Dalpunto di vista del modello di controllo tout court dell’azienda, vasottolineato come l’output informativo della pianificazione com-merciale, ovvero acquisti, vendite e rimanenze di magazzino, co-stituisca il punto di partenza per il processo di pianificazioneeconomico-finanziaria, che può dunque essere sviluppato sullabase di risultati più affidabili e condivisi.

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5.3 ANALISI DEI GAP 77

5.3 ANALISI DEI GAP

Riportiamo ora l’analisi dei gap tra il processo di pianificazio-ne delle vendite riscontrabile in un’azienda calzaturiera (tra quel-le considerate al paragrafo 5.2.1) e il modello funzionale insitonel template MFP. L’indagine verrà condotta relativamente alleseguenti dimensioni/variabili di analisi: ruoli coinvolti nel pro-cesso, processo di pianificazione, processo di controllo, metododi analisi dei dati e metriche a supporto.

5.3.1 Ruoli coinvolti

Il numero di attori coinvolti nel processo di pianificazionecommerciale all’interno di un’azienda calzaturiera può variaresensibilmente a seconda delle dimensioni e del tipo di organiz-zazione che si considera. Tipicamente, nel caso di piccole e me-die imprese, la pianificazione (se avviene in modo strutturato) èuna prerogativa del solo responsabile commerciale o delle vendi-te. Per aziende di dimensione maggiore, invece, è più probabileche il canale retail venga controllato da una business unit speci-fica che si occupa della gestione diretta dei punti vendita. Inquesto caso il numero di persone coinvolte nel processo di pia-nificazione aumenta sensibilmente ed è possibile trovare tracciadi una struttura a due livelli.

L’impalcatura a tre livelli (executive, manager e planner) pro-posta dal template MFP di Oracle, di derivazione anglosassone,può risultare iperstrutturata in confronto a ciò che riscontra nellerealtà aziendali. In questo caso l’azione correttiva più plausibi-le potrebbe essere una modifica al template MFP attraverso unaconfigurazione di tipo basic (si veda in proposito la figura 20),riducendo il numero di livelli da tre a due (o addirittura a uno).

5.3.2 Processo di pianificazione

Con questo termine ci riferiamo sia alla pianificazione pre-season che a quella in-season (secondo quanto descritto nel ca-pitolo 2). Tipicamente nelle aziende calzaturiere il processo perla creazione del budget delle vendite avviene solo ed esclusiva-mente prima della stagione di vendita (coincide pertanto con lapianificazione pre-season). La ridefinizione dei budget in-season(ovvero le azioni correttive in feedforward) non è una pratica dif-fusa in quanto il processo di controllo su cui si basa l’analisi dellevariazioni spesso non è presente. Il template MFP offre quindimaggiori funzionalità rispetto alle reali esigenze delle aziende,

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78 MFP E CALZATURIERO: ANALISI DEI GAP

Variabile Modello cal-zaturiero

RPAS MFP Azioni sulprocesso

Azioni sulsoftware

Ruoli coinvol-ti

Direttore com-merciale

Executive, Ma-nager, Planner

Nessuna Configurazionebasic: elimi-nazioneworkbook

Processo dipianificazione

Solo budgetpre-season

Pre-season ein-season

Possibilità dipianificare an-che in-season

Nessuna

Processo dicontrollo

Nessuno In-season conOTB

Possibilitàdi controlloin-season

Nessuna

Analisi dei da-ti

Solo post-season su datiaggregati

In-season epost-seasonbasata suOLAP

Possibilità diaumentarel’efficacia el’efficienzadell’analisi

Nessuna

Metriche Vendite e Mar-gini

Numerose me-triche

Possibilitàdi conside-rare nuovemetriche

Configurazioneadvanced:aggiunta/e-liminazionemetriche

Tabella 7: Analisi dei gap.

le quali possono comunque sfruttare le potenzialità dell’appli-cativo a patto di mettere a punto un sistema di controllo sullevendite ove possibile.

5.3.3 Processo di controllo

Come abbiamo appena accennato, il processo di controllo del-le vendite in-season spesso non viene implementato. In alcunicasi, la non implementazione è dovuta a fattori collegati a vincolidi produzione che impediscono le azioni correttive di feedback(p. es. la necessità di produrre ulteriore merce e di distribuir-la presso i punti vendita per prevenire le rotture di stock nonsoddisfa i vincoli temporali). In altri casi è l’assenza di un’in-frastruttura tecnologica a non consentire l’analisi puntuale deidati sul venduto provenienti dalla rete di punti vendita. Anchequi, come per il processo di pianificazione, il template MFP offremaggiori funzionalità rispetto alle reali necessità. Resta comun-que il fatto che un sistema di controllo delle vendite in-season,comprese le azioni correttive, è valido solo per prodotti di tipocontinuativo.

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5.3 ANALISI DEI GAP 79

5.3.4 Analisi dei dati

É chiaro che se un’azienda non possiede uno strumento dicontrollo delle vendite in-season, le uniche analisi possibili so-no quelle che avvengono al termine della stagione di vendita.Il beneficio di utilizzare una piattaforma multidimensionale co-me Oracle RPAS risiede nella possibilità di analizzare i dati aqualsiasi livello di dettaglio e da qualsiasi punto di vista, risul-tato difficilmente ottenibile attraverso soluzioni di reportisticastandard.

5.3.5 Metriche

Nella maggior parte dei casi, le uniche due metriche di inte-resse per le aziende sono le vendite e i margini. Il template MFP,invece, offre la possibilità di ottenere numerose informazioni uti-li alla gestione del merchandise attraverso il calcolo di una seriedi indici (quelli descritti nel paragrafo 2.2.2) utilizzando comebaseline i soli dati di vendita e di stock.

I risultati dell’analisi sono riassunti nella tabella 7.

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6 C O N C L U S I O N I

In questa tesi è stato studiato uno strumento a supporto delledecisioni aziendali in ambito commerciale noto come Merchan-dise Financial Planning (MFP). La soluzione, messa a punto daOracle per il mercato retail, fornisce un approccio sistematico al-la pianificazione dei budget di vendita attraverso la definizionepre-season dei target finanziari quali vendite, scorte, rotazioni,margini, riduzioni ecc. dettati dalle strategie aziendali. MFPsupporta anche il processo di controllo in-season delle perfor-mance d’esercizio, sulla base di indicatori sintetici di rendimen-to di tipo contabile o basati sui processi operativi. AttraversoMFP, quindi, le aziende sono in grado di incrementare le proprieperformance nell’area relativa al merchandising e soprattutto dirazionalizzare il proprio processo di budgeting delle vendite nelcanale retail.

La prospettiva di applicare il modello di MFP ad aziende delsettore moda richiede di analizzare la soluzione in rapporto a uncontesto gestionale, come per esempio il settore calzaturiero, cheassume connotazioni diverse dal retail. Nella gap analysis propo-sta nella presente tesi, da un lato si è implementato un modellogenerale di approccio utilizzabile per verificare l’applicabilità diun generico software a un contesto aziendale particolare, dall’al-tro si sono ottenuti una serie di risultati utili in via preliminareper un successivo approfondimento delle potenzialità di MFP aun nuovo settore.

Nel caso del settore calzaturiero, considerata la specificità ditali aziende, si è ritenuto opportuno selezionare preliminarmen-te le tipologie di aziende che, all’interno di questo settore, adot-tano strategie di distribuzione non incompatibili con l’uso delsoftware. Infatti, in base a una serie di considerazioni di tipoqualitativo tratte prevalentemente da informazioni documenta-li, si potrebbe concludere che MFP sia al momento difficilmenteapplicabile alle imprese calzaturiere che, o per tipo di produzio-ne (ad es. pronto moda di qualità lusso) o per strategia distri-butiva (canali indiretti con modesto controllo sul retail), adotta-no sistemi di pianificazione delle vendite che con l’uso di MFPdovrebbero venire modificate in modo presumibilmente tropporilevante.

Dopo queste considerazioni iniziali si è quindi focalizzata l’at-

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82 CONCLUSIONI

tenzione sulle aziende dotate di una rete di vendita diretta costi-tuita da negozi monomarca, di proprietà o in franchising, e ca-ratterizzate da prodotti non eccessivamente fashion (per i qualiquindi è ipotizzabile almeno in parte una pianificazione ex-antedella domanda). Per questa tipologia di aziende, l’analisi dei gapesistenti tra la soluzione di MFP e il processo di budgeting dellevendite fa ipotizzare la possibilità di implementare l’applicativosoftware alle pratiche aziendali tipicamente usate. Peraltro alcu-ne modifiche alla configurazione del software appaiono comun-que necessarie, anche se non necessariamente di grande entità.Resta da sottolineare il fatto che il template MFP offre numero-se funzionalità che le aziende ad oggi non utilizzano, ma chepotrebbero risultare particolarmente utili per ottimizzare la ge-stione del merchandise presso i punti vendita e che quindi, unavolta che il sistema fosse proficuamente adottato in azienda, po-trebbero in un secondo tempo portare a una reingegnerizzazionedel processo di pianificazione.

Va infine ricordato che la valutazione del rapporto costi/be-nefici è di fondamentale importanza al fine di comprendere sel’adozione di Oracle MFP possa effettivamente proporsi comestrumento di pianificazione delle vendite nel calzaturiero. Ov-viamente, ai costi in termini di implementazione dell’applicativosoftware è necessario sommare quelli legati alla reingegnerizza-zione dei processi aziendali per adattarli alle prescrittività delsoftware. Nel caso di utilizzo di un applicativo standard, nelnostro caso il template MFP senza alcuna configurazione sup-plementare, il costo viene oggi valutato nell’ordine di 50 milaeuro (in cui è incluso anche il costo della piattaforma OracleRPAS). Qualora, invece, i processi aziendali si scostassero troppodal modello funzionale incorporato in MFP e si rendesse quindinecessario lo sviluppo di una soluzione ad-hoc (sempre legataalla piattaforma RPAS), il costo potrebbe ovviamente crescere fi-no anche a raddoppiare (stando alle stime fornite dagli esperti).Nel nostro caso, in cui è necessario dotarsi della tecnologia RPASunitamente al template MFP e di creare una soluzione custom at-traverso alcune semplici modifiche alla configurazione, il costonon dovrebbe superare di molto i 50 mila euro, cifra significativama comunque accessibile per la maggior parte delle imprese didimensione media.

A parte i costi di sviluppo, resta comunque il fatto che cam-biare i processi aziendali richiede un percorso di cambiamentodagli impatti significativi e che potrebbe non essere immediato.Fra l’altro, si pensi all’uso estensivo che tuttora viene fatto nelleaziende dei semplici fogli di calcolo elettronici per l’analisi deidati e le procedure di pianificazione e che dovrebbero venire del

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CONCLUSIONI 83

tutto rimpiazzati dai nuovi sistemi. Anche se si può pensare chela diffusione di sistemi come MFP possa rappresentare una stra-da necessaria per la futura competitività delle aziende, i beneficidifficilmente sono misurabili e calcolabili con esattezza in antici-po. La decisione di adozione appare dunque anche legata allapropensione al rischio imprenditoriale nelle aziende.

Come ultima considerazione, vale la pena di ricordare i li-miti della presente analisi. Essa costituisce in pratica una pre-indagine che fornisce elementi utili per decidere sull’eventualeinvestimento (anche commerciale, come per Tria) sul software.Tuttavia, informazioni più dettagliate potrebbero venire raccoltetramite indagini più approfondite delle specifiche modalità dipianificazione in casi aziendali mirati.

Padova, marzo 2010

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