tu, silvestro(una storia d'amore). di valeria pucci
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La storia scritta da Valeria Pucci dell'incontro con silvestro,un cane randagio(lei abborriva i cani)fino alla scomparsa di lui. Una storia tenera e commovente scritta con uno stile molto fluido.....da non perdere!!!!TRANSCRIPT
Silvestro
Capranica Prenestina 1993 ‐ Roma 2008
Silvestro con noi
8 gennaio 1995 – 7 febbraio 2008
Dedico questo scritto a Silvestro e a tutti gli amici a quattro zampe, in particolare ai cani randagi e abbandonati
Valeria
Capitoli
SILVESTRO Pag. 7
I RITUALI Pag. 13
PAVIDO E BIRBONE Pag. 15
ESTELLE Pag. 24
NUOVE AVVENTURE Pag. 32
EROE E BIRBONE Pag. 35
IL PRIVILEGIATO Pag. 40
IL GOLOSO Pag. 42
L’INTELLIGENTE ‐ L’EDUCATO Pag. 45
VILLA PAMPHILI Pag. 48
IL NOSTRO AMICO Pag. 61
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SILVESTRO
Eri a Capranica nel Natale del 1994, ci seguivi durante le nostre passeggiate serali insieme ad una cana molto più svelta di te. Tu, timidone e pauroso, ti lasciavi guidare dall’intraprendenza della tua amica ma i tuoi piani li avevi già preparati. Conoscendoti dopo, avevi già da allora congegnato tutto. Non mi piacevi, come non mi piaceva nessun cane perché ne avevo paura. Non mi interessavano delle bestie sottomesse ai padroni, le trovavo stupide e con scarso carattere. I gatti, invece, indipendenti ed alieni da qualsiasi regola, mi piacevano anche se li temevo un po’. Del resto le mie paure, ereditate dalla famiglia materna, non mi consentivano di
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avere un buon rapporto con il mondo animale. Ricordo quando frapposi la carrozzina con Dario dentro, tra me ed un cane: Il famoso senso materno!
Mi manchi tanto, Silvestro! Quando certe persone parlavano amorevolmente dei loro quattro zampe le trovavo ridicole però capivo di avere io un problema ed anche allora la violenza verso gli animali non l’ho mai giustificata. Da Capranica, attraverso accordi segreti tra parenti e figli, sei stato portato a Roma. Che paura in quei primi giorni! Ma tu mi avevi capito e te ne stavi buono–buono sul divano alzando la zampetta ogni volta che passavo, per comunicarmi la tua docilità.
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I tuoi “bu‐bu”, emessi la prima notte a Roma, non hanno avuto seguito dopo che dalla stanza da letto abbiamo gridato con voci sgraziate ”Silvestroo”. Ti sei zittito subito ed hai deciso che un cane non può abbaiare a sproposito se vuole rimanere in una casa. E che dire di quel giorno in cui sono rientrata dalla spesa e, sapendo che c’eri solo tu, ho lasciato la porta di casa aperta e le chiavi nella toppa, pronta alla fuga in caso di un tuo assalto; tu però hai finto di non accorgerti delle mie paure e dal divano, diventato già di tua proprietà, mi hai guardato con occhi indulgenti e saggi.
Ieri siamo venuti a trovarti a Capranica, abbiamo ripulito la tua tombetta dalle erbacce ed io ho pensato: “Dormi bene, Silvestro!”
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Ti avevamo da poco tempo quando, dopo una delle tante corse a villa Pamphili, sei tornato da noi tutto macchiato di verde e di marrone. “Guarda” ho detto a Paolo “lo sciocco si è strofinato sulla terra” Ma non era terra! Ce ne siamo accorti solo quando il tuo nauseabondo odore aveva invaso l’automobile che ci riportava a casa. Abbiamo poi saputo che molti cani, per catturare la preda, cercano di nascondere il loro odore strofinandosi sugli escrementi. Ma nel tuo caso “Quali prede potevi catturare se il primo a scappare eri tu?”. Ti sei fatto perfino aggredire da un gatto! E’ vero era un gatto “molto feroce” ma… pur sempre un gatto! Di aggressioni ne hai avute tante e spesso perché gli altri cani ti hanno frainteso. Quando facevi vedere loro i denti non
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capivano che volevi mostrare la tua dentatura bianca e regolare; pensavano, invece, che volessi provocarli. Qualche volta sei stato aggredito senza tua colpa ma la tua tempra forte e il nostro amore ti hanno aiutato a superare.
La tua mancanza l’ho avvertita fin dal giorno successivo alla tua scomparsa. Mi sono alzata dal letto e sono arrivata all’ingresso dove era la tua cuccia, vuota. Lì ogni mattina venivo a salutarti. Mi chinavo vicino a te e cominciavo ad accarezzarti. Ma a quell’ora non volevi essere disturbato. Chiudevi gli occhi stretti‐stretti facendo finta di dormire e pensando tra te e te: “Adesso la smetterà, adesso la smetterà”. Solo quando lo decidevi tu, sollevavi lentamente le zampe, ti stiracchiavi con molta calma poi, ancora lentamente, entravi in camera da letto e ti stendevi sul
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tappeto. Ti rialzavi quando era giunta l’ora di uscire. Andavi a svegliare Paolo, non con sonori abbai ma piuttosto con dolorosi sospiri. Era il tuo modo per far capire agli altri che sapevi soffrire in silenzio e che l’ozio non fa di certo bene alla salute, degli altri. Ogni mattina il rito si ripeteva.
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I RITUALI
Di rituali ne hai avuti diversi, alcuni sono continuati nel tempo, altri sono stati transitori. Quando tornavamo nella nostra casa di Capranica, per dimostrare la gioia di essere lì, andavi di corsa a prendere la pecorella di peluche e, con essa, cominciavi a saltare quindi la lanciavi in aria, la prendevi, la lanciavi nuovamente, la riprendevi, poi… l’abbandonavi al suo destino. La stessa cosa facevi a Roma di sera, sempre dopo cena, con l’orsetto di peluche. Il gioco poi ti ha stancato ma ti ricordavi di loro solo quando veniva a trovarti qualche amico cane; allora prendevi le tue piccole prede e le nascondevi sotto il sedere. Volevi far capire al tuo ospite che eri disposto a
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tollerare la sua presenza ma non l’invadenza.
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PAVIDO E BIRBONE
Estelle è stata la tua prima amica e… il
tuo più grande amore. Frequentare lei ti ha dato sicurezza, tu che avevi paura di tutto. Certamente quell’anno e più che hai vissuto prima di entrare nella nostra famiglia è stato traumatico. Lo abbiamo capito da tanti tuoi comportamenti: non volevi entrare nei negozi, avvicinarti al cibo se ti eravamo vicini, salire in automobile, fare le scale interne di casa. Sei salito al piano superiore della nostra piccola abitazione capranicense dopo un anno da che eri con noi e solo perché costretto; volevi comunicarci che stavi male.
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Noi non abbiamo capito subito e ti abbiamo preso in giro per quell’atto di coraggio. Solo quando sei ridisceso ed hai cominciato a dare di fuori più volte, abbiamo compreso. I botti sono sempre stati la cosa più traumatica. La mattina di capodanno, era quasi un anno che stavi con noi, hai avuto, per via dei botti, un attacco di convulsioni. Hai cominciato a tremare e tremare e ti sei quasi accasciato; a Paolo che cercava di rianimarti, mostrasti i denti. Appena ripreso hai provato rimorso per quel gesto ed hai fatto di tutto per farti perdonare: non la smettevi più di leccarlo. Una lastra fatta negli ultimi mesi di vita ha evidenziato un piccolo proiettile conficcato nell’ osso della coscia. “Ecco!” Ci siamo detti “Una delle cause di tante tue paure”.
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Anche il cibo è stato un problema. Mangiavi solo quando eravamo lontani dalla tua pappa e i biscottini, riposti in un angolo della cucina in un contenitore a portata del tuo muso, non li hai mai toccati. Erano il premio che potevano elargirti solo i tuoi padroni. E poi tu dovevi dimostrare di essere bravo, di non saper fare le “cosacce”.
Con i padroncini invece era diverso: se non c’eravamo noi, con loro potevi anche approfittare. Mi è stato riferito da mio figlio Dario che una sera, mentre cenava con il cugino, sei saltato sul tavolo da pranzo. Forse volevi condividere con i ragazzi un momento magico qual è il rituale della cena o forse volevi essere solidale con loro: tre maschi che mangiano insieme.
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Emiliano mi ha più volte ripetuto che appena uscivamo, spesso entravi nelle loro stanze; se la porta era chiusa, bussavi. Appena dentro ti spaparanzavi tranquillamente sui letti fregandotene di un loro possibile richiamo. Nella nostra stanza da letto, invece, entravi solo quando Paolo ed io non eravamo in casa. Al ritorno trovavo sul letto le impronte delle tue zampette, mai una volta te. Riuscivi a scappare via dalla camera appena avvertivi che stavo rientrando e ti facevi trovare buono nella cuccia, posta all’ingresso, con l’aria di essere lì da molto tempo. Spesso Emiliano mi veniva a prendere a scuola in tua compagnia. Le mie alunne di quinta ti circondavano facendoti mille moine. Rispondevi alle coccole
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pavoneggiandoti e sentendoti al centro dell’attenzione. Il giorno dopo raccontavo alla classe la dolorosa storia dell’abbandono e quanto ti riguardava, certa dell’interesse che suscitavano le mie parole. Solo in seguito ho saputo che le mie alunne non erano affatto interessate a te bensì a mio figlio. E pensare alle tante parole spese inutilmente!
Tornando al discorso ”paure” riuscivi a vincerle quando la posta in gioco era grossa. Se vedevi borsoni e valige all’ingresso di casa non facevi storie, poi, per entrare in macchina, anzi ci salivi velocemente. L’anno che dalla Sardegna facemmo ritorno a Roma sei stato il primo ad infilarti nell’automobile; ti sei spaparanzato sul sedile posteriore così comodamente che
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non volevi entrasse anche Dario. Hai cominciato a mordicchiarlo per non farlo salire. Emiliano era già di troppo, per Dario non c’era posto. Era da poco che avevo capitolato , ma non ancora del tutto: “passeggiata si ma legata all’utile ovvero spesa di casa”, quando ci siamo incamminati verso il mini‐market di via Revoltella. Arrivati, ti ho legato fuori dal negozio e sono entrata. Mentre ero dentro a scegliere la frutta ho sentito due persone che dicevano in modo concitato “E’ scappato un cane, è scappato un cane!” Mi sono precipitata fuori dal negozio ed ho visto un guinzaglio attaccato ad un collare vuoto, il tuo. Una telefonata ai miei figli e… via! Hanno avuto inizio le ricerche.
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Di nuovo la strada del negozio, vie e viuzze del quartiere, domande a persone varie, le solite grida: ”Silvestrooo”. Tu nel frattempo sei tornato; ti abbiamo trovato stravaccato accanto al portone del nostro palazzo ad aspettarci. Quando ci hai visto hai scodinzolato di felicità. Alla paura di un nuovo abbandono si era sostituita nei tuoi occhi la gioia di essere a casa… nella tua casa! Dentro i negozi non entravi volentieri e, quando era veramente necessario, lo facevi con estrema riluttanza. Muovevi le zampe con lentezza, ti fermavi ogni cinque secondi infine, trovato l’angolino appartato, ti sdraiavi in mia attesa. Questo tuo modo di fare suscitava la curiosità dei commessi che con gentilezza chiedevano il perché di questo
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comportamento. Io ogni volta sciorinavo la storia del tuo abbandono e loro, commossi dalle mie parole, ti riempivano di coccole e, se fortunato, rimediavi anche un biscottino. Rispondevi loro facendo il muso mesto e doloroso. Hai preso gusto alla cosa perché anche negli anni seguenti, quando ormai eri un cane con casa e famiglia, hai continuato a recitare la parte del povero abbandonato e sempre con maggiore impegno, da vero attore professionista. I negozianti della libreria di Piazza San Giovanni di Dio ogni volta che entravamo nel loro negozio ti regalavano un biscotto e tu, quando passavamo di lì, tiravi e tiravi il guinzaglio per poter entrare dentro. Sicuramente i passanti ti ritenevano un cane molto colto al contrario di noi padroni che, cercando di tirarti via, passavamo per ignoranti.
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La prima volta che siamo tornati a Capranica nella nostra casa di villeggiatura avevi collare, guinzaglio e targhetta con su scritto nome e telefono; il pelo era folto e pulito. Non eri più un cane randagio ma un signor cane. E come tale ti sei comportato. Hai persino abbaiato ad un povero cagnetto che girava per il paese con fare sparuto. Però, con molti quattro zampe, ritenuti un po’ difficili dai loro padroni, riuscivi ad entrare in sintonia. Ho sempre voluto pensare che avevi sviluppato una certa sensibilità dovuta al tuo lungo errare.
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ESTELLE
Con Estelle, come già scritto, hai avuto un bel rapporto. Lei estroversa e allegrotta, ti stimolava a giocare. Ricordi la volta in cui siamo andati al mare? Avete cominciato a correre sulla spiaggia come matti. Vi rotolavate sulla sabbia, azzannavate le bottiglie di plastica, le abbandonavate per poi riprenderle subito dopo. Correvate poi verso il mare ma tu senza bagnarti: l’acqua non l’hai mai amata. Nei giorni di forte calura, se eravamo al mare, al massimo ti bagnavi le zampe ed in casi eccezionali riuscivi a farti il bidet.
L’anno in cui tornammo in Sardegna con i Leonardi non potemmo disporre sin dalla prima notte di due case come avevamo concordato con l’affittuario; era
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libera solo una a due piani: di sotto per noi e sopra per i Leonardi. Estelle era in calore e tu molto gasato. Passasti la notte a fare su e giù per le scale mentre lei, relegata nella stanza dai cattivi padroni, ti chiamava ripetutamente. Una notte infernale per tutti! A niente erano valse le argomentazioni di Paolo, da te condivise, in favore di Estelle. I Leonardi non vollero capire.
Avesti in seguito una scappatella con Lucrezia, la cana di Gaetano. Quando tornasti dalla fuga amorosa ti sei beccato una tremenda serie di abbai dalla tua amica Estelle. La sua padrona ed io ci guardammo con stupore; non avremmo mai immaginato una tale reazione in un cane. Era veramente arrabbiata e tu che all’inizio eri baldanzoso e pimpante hai mutato
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subito aspetto assumendo quello del colpevole anche se probabilmente pensavi: ”Il cane è cane”. Una settimana dopo hai rivisto a distanza Lucrezia e… di corsa le ti sei parato dinnanzi con le zampe un po’ divaricate, la coda roteante e l’atteggiamento che diceva: “Eccomi, sono tornato!”. Lucrezia invece non aveva le tue stesse idee, ha cominciato a ringhiare e ti ha messo in fuga. Che tristezza! Quella cana aveva perso una seconda piacevole occasione.
Tra le varie birbonate con Estelle ricordo quando inseguiste un gruppo di pecore che se ne stavano calme e tranquille a pascolare. I nostri richiami non servirono a niente, cominciaste a correre dietro a quelle bestie finché spariste dalla nostra vista. Vi rivedemmo comparire dopo pochi istanti
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inseguiti dai cani pastori, voi più veloci delle lepri. Fortunatamente quei cani si accontentarono di allontanarvi dal gregge al quale fecero poi ritorno per continuare a svolgere il loro lavoro, al contrario di voi nullafacenti.
Il pensiero di un altro episodio mi fa ancora sorridere: eravamo sempre in zona con i Leonardi quando a distanza abbiamo visto un gregge controllato dal pastore e da tre o quattro cani dall’aria non propriamente mite. Essendo in un luogo chiuso e temendo per voi, ho chiesto gentilmente al pastore, che nel frattempo si era avvicinato, dove potevamo andare (intendendo dove poter trovare riparo) lui con fare poco gentile ha risposto: “E che ne saccio io dove devi andare”.
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Pensando che non avesse capito, ho formulato di nuovo la domanda: “Scusi, dove andiamo?”. Dopo aver ricevuto la medesima risposta, Elisabetta, la padrona di Estelle, mi ha tirata per un braccio dicendomi a bassa voce: “Il pastore crede che tu gli stia chiedendo se sa dove vogliamo andare, lui pensa che questo lo dovremmo sapere noi. I nostri cani nel frattempo avevano assunto un atteggiamento sussiegoso nei confronti dei mastini, delle pecore e del pastore dall’aria truce, per cui non ci fu più bisogno di trovare un posto sicuro. Eravamo tutti sani e salvi!
Le esperienze con gli animali da latte non sono finite qui… Ce ne andavamo a passeggio per la via che conduce a Guadagnolo quando, dopo aver fatto qualche chilometro, decisi di andare a
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riposarci su un piazzale erboso posto al lato della strada e prospiciente alla montagna. Dopo aver fatto un piccolo tratto in salita, ci trovammo nel luogo voluto. Poiché faceva caldo pensai di salire verso la montagna dove avremmo potuto ripararci dal sole, sotto gli alberi. Fu a quel punto che dal basso vedemmo salire un bel gruppo di capre, molto “cornute”. Venivano verso di noi ma inizialmente non mi allarmai più di tanto. Mi accorsi poco dopo che avanzavano in forma semicircolare, con le teste abbassate e che eravamo noi, il loro obiettivo. Tu ti sei avvicinato a me molto spaventato, non abbaiavi, mi stavi accanto aspettando protezione. Cominciai a salire verso l’alto e tu con me; camminavamo senza girarci ma spostando all’ indietro piedi e zampe.
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Anche le capre salivano, le loro corna da poco appuntite con il tempera‐matite erano minacciose. Credo di aver emesso qualche grido gutturale fatto sta che un signore, che era nello spiazzo sottostante, vedendo la scena mi ha preso per mano e, lentamente, mi ha condotto in basso, spiegandomi che le capre volevano colpire il cane. Tu, intanto, con passi felpati mi camminavi accanto. Quando arrivammo nella zona pianeggiante, le poche parole che mi erano restate sulle labbra furono tutte indirizzate a quel signore. Anche tu lo ringraziasti con abbai e scodinzolamenti a trecentosessanta gradi. Tornati a Capranica, dopo quella esperienza incontrammo Estelle alla quale, credo, raccontasti la nostra “bestiale” avventura.
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Cominciaste infatti a strofinare i musetti l’un verso l’altra e a scambiarvi affettuosità. Avevamo passato un brutto momento!
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NUOVE AVVENTURE
A Capranica hai avuto altre due avventure amorose che Estelle non seppe mai. Nuovamente con Lucrezia e con Greta, la cana di mia nipote Claudia. Eravamo tutti insieme al ristorante di Gaetano e Francesco, suo figlio, ci disse che se volevamo mangiare tranquilli potevamo farti uscire nel terrazzo. Così facemmo. Lì ad aspettarti c’era Lucrezia in calore. Quando il padrone della cagnetta, il cognato di Francesco, si accorse di quanto stava accadendo, si arrabbiò tantissimo con il parente che si difese dicendo di non saper niente; cosa di cui ho sempre dubitato. Fatto sta che Paolo ed io mangiammo in tutta fretta ed andammo via temendo per le nostre vite.
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Non so se avremmo digerito un frutto al vetriolo o un gelato al veleno. Riguardo a Greta, invece, ricordo che una sera andammo al villino di mia nipote Claudia per ritirare certe medicine che ci aveva portato da Roma suo marito Augusto, farmacista. Arrivati ci dissero che Greta era in calore ma non ancora disponibile ad approcci amorosi. Voi subito vi appartaste... desiderosi di smentire Augusto. Molto imbarazzati salutammo quanto prima e ce ne andammo via. Il giorno dopo venimmo a sapere da fonte sconosciuta (non rivelerò mai il nome) che di notte era stata bucata la rete che circonda il villino dei miei parenti e che quattro o cinque cani del paese, rigorosamente in fila, entrarono l’uno dopo
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l’altro all’interno per soddisfare i desideri di “Messalina”. La fonte aggiunse, molto divertita, che Greta era stata portata a Roma in tutta fretta per poter prendere la pasticca del giorno dopo. A proposito… cuccioli non sono nati! L’onore di Greta fu salvo.
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EROE E BIRBONE
Ti ho descritto come un cane pavido
invece, in un occasione, ti sei comportato da vero eroe. A Bosa, in Sardegna, salvasti due cuccioli di cane rinchiusi, con tanto di laccio, in un sacco. Erano stati lasciati nell’angolo di uno stradello all’interno del villaggio in cui trascorrevamo le vacanze estive. Ti avvicinasti al sacco, lo annusasti poi cominciasti ad abbaiare richiamando la nostra attenzione. Con Paolo ci avvicinammo a quella “cosa” in movimento ed io mi spaventai moltissimo pensando che potesse esserci un neonato. Paolo sciolse il nastro, aprì il sacco e… due musetti spuntarono fuori. Dopo aver fatto scorta di aria, cominciarono ad abbaiare furiosamente.
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Prendemmo i due cani e li portammo in direzione. Tu seguivi quanto avveniva approvando con la testa. La sera stessa i cagnetti furono adottati da due famiglie del villaggio e tu ricevesti i meritati riconoscimenti degni di un padre della patria. Mi sentivo gongolare per te.
Il tuo randagismo non ti ha mai abbandonato: scappare ed andartene per proprio conto è sempre stata la tua massima gioia, eri a conoscenza che il tuo forte fiuto ti avrebbe comunque ricondotto a noi. Così è sempre stato!
Tornavamo da villa Pamphili diretti verso casa e, vicino al cancello della villa, ti misi il guinzaglio per non farti scappare. Tu mi guardasti mestamente e ti gettasti a
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terra con le zampette rivolte verso l’alto comunicandomi che se ti avessi tolto il guinzaglio non saresti fuggito via ma avresti continuato a camminarmi vicino vicino. Credendo alla veridicità dei tuoi occhi cedetti alle richieste. Mi sembravi sincero e ti ho slegato. Ti sei sollevato sulle zampe, lentamente, poi… in un battibaleno ti sei dato alla fuga. Silvestrooo!” di Silvestro neppure l’ombra. Sei ricomparso poco dopo, quando hai stabilito che la corsa era stata sufficientemente lunga.
Un’altra fuga la ricordo bene! Eravamo all’isola del Giglio da uno o due giorni e la nostra casa era posta un po’ distante dalla via che costeggia il mare. Tornavi con Paolo verso la nostra abitazione quando sentisti il profumo di una cagnetta.
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Cercasti di avvicinarti ma Paolo non te lo permise e ti tirò via per tornare a casa. Il percorso era lungo e l’odore certamente attutito dalla distanza. Camminavate piano piano per la strada entrambi affaticati per la salita. Tu, benché stanco al pari di Paolo, lo precedevi anche se ogni tanto ti fermavi a riprendere fiato. All’altezza di casa, dopo essere stato slegato, hai fatto in modo che Paolo ti superasse; quando si è girato verso di te per invitarti ad entrare, gentilmente gli hai fatto capire che lo avresti seguito. Mentre superava la soglia del portoncino di ingresso, ti sei girato cautamente e… saltando come un atleta olimpionico hai ripreso la strada al contrario, dileguandoti. La fuga questa volta è durata più del dovuto.
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Temevamo infatti che ti fossi perso anche perché il luogo lo conoscevi appena. Ma avevi ancora una volta programmato il tutto! Quando sei ricomparso eri molto soddisfatto di te, certamente più del padrone che accettava malvolentieri l’idea di essersi lasciato fregare da un cane.
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IL PRIVILEGIATO
All’interno della nostra famiglia avevi assunto una precisa posizione, quella del privilegiato ed avevi dato a noi tutti un deciso ruolo: Paolo, il capobranco e quello delle passeggiate a passo lento; ti adeguavi alla sua falcata da uno all’ora. Io, la mamma che ti dava la pappa e ti portava a spasso, ma a passo veloce; le tue zampe aumentavano il ritmo e diventavi gasato quanto la tua padrona. Emiliano e Dario, i fratelli; quando a casa c’erano gli amici andavi anche tu nelle stanze di riunione sentendoti dei loro. Le coccole però le pretendevi da tutti ma quando e quante lo decidevi tu; ci volevi molto bene, ci volevi vicini ma senza esagerare.
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Secondo Paolo quando ti poggiavi sul groppone e muovevi le zampette ritmicamente toccandoti la pancia non volevi comunicare il tuo affetto ma il tuo pensiero. “Oggi non me ne po’ fregà de meno del mondo e di tutti voi!” Era veramente così? Non credo, perché il tuo amore per noi è stato immenso, la tua riconoscenza per averti salvato la vita, amato e rispettato l’hai avuta per tutti gli anni che ci sei stato accanto.
Ho detto all’inizio che preferivo i gatti. Ebbene tu possedevi il meglio dei cani e dei gatti: il senso di appartenenza alla famiglia dei primi e lo spirito libero dei secondi. In te, Silvestro, si inglobava tutto anche le mascalzonate, quasi sempre finalizzate al tuo benessere.
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IL GOLOSO
Pino ed Elvira la sera d’estate, attorno alle ventitré, erano soliti prendersi un gelato che si godevano seduti nella piazza di Capranica. La fine dei coni veniva equamente spartita tra Sonny e te. Quella certa sera Elvira e Pino non presero il gelato. Paolo ed io, dopo le solite “sane maldicenze” volte al bene comune, li salutammo e, con te al guinzaglio, ci incamminammo verso casa. Arrivati, ti slegammo come al solito. Tu, in attesa di quel momento, iniziasti a correre in direzione contraria, senza fermarti, nonostante i richiami. Tornasti dopo circa mezz’ora senza dare alcuna spiegazione.
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Il giorno dopo sapemmo dai nostri amici che eri tornato in piazza e, seduto di fronte a loro, che nel frattempo assaporavano i coni, hai giustamente rivendicato la tua parte. Eri golosissimo di gelati ma non alla frutta, ti piacevano le creme.
Ricordo che un giorno ti portai in una gelateria di Roma “da Toni”. Dopo aver fatto una bella fila, poiché lì il gelato è buonissimo, uscii dal negozio, fuori del quale mi aspettavi. Eri di fronte ad un signore che gustava quella ”cosa cremosa e gocciolante” lo guardavi fisso negli occhi con la lingua a penzoloni mentre delle goccioline di saliva fuoriuscivano dalla bocca. Il tizio, appurato che ero io la tua padrona, mi si avvicinò dicendo: ”Signora, se non glielo compra lei il gelato al cane, glielo compro io”.
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Condividendo tali parole, hai all’istante spostato il corpo verso di me riprendendo le sembianze del goloso. Anche quella volta non ho potuto assaporare il cono per intero; mi privavi sempre della parte finale, la più buona.
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L’INTELLIGENTE – L’EDUCATO
Dario aveva deciso che eri un animale stupido perché non sapevi fare niente: non ti piegavi quando ti si diceva : ”A cuccia!”, non prendevi i biscotti al volo, né le pigne quando te le tiravamo e… altro. Riguardo alle pigne, e questo lo sappiamo io e pochi altri, c’è un motivo: te ne tirai per errore una sul tartufo e da allora non hai più agguantato oggetti in tiro. Tralasciando le divagazioni e tornando a Dario, decise di darti lezioni di intelligenza. Ogni sera, per alcuni giorni, mise le sedie di casa in fila indiana ponendo alla fine di esse un biscottino. Voleva farti passare sotto al tunnel per poi premiarti con il dolcetto. Tu ogni volta attraversavi per largo lo spazio e ti andavi a mangiare il biscotto.
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Io guardavo la scena senza fare commenti ma tifavo silenziosamente per te, ti trovavo più intelligente di mio figlio che infine rinunciò all’impresa dicendo che non c’era nulla da fare.
Paolo oltre a trovarti intelligente ti riteneva anche educato, infatti soleva dire: ”Dei tre figli, il peloso è quello che c’è venuto meglio, è l’unico che ci viene a salutare e ci fa tante feste quando torniamo”. “Emiliano e Dario, apprezziamo anche voi! Seppure in maniera diversa”. Si, eri proprio educato, ma non per nostro merito (o perché io sono una maestra come mi diceva Gabriella); era scritto nel tuo DNA.
In un viaggio verso la Sardegna, stupenda isola nella quale abbiamo trascorso molte vacanze estive, ci
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imbarcammo verso le due del pomeriggio e tu, fino al mattino successivo, le dieci circa, trattenesti la “pipì” perché non volevi sporcare. Gli altri cani, invece la facevano sul ponte che veniva irrorato di tanto in tanto con grandi getti di acqua. Sbarcati, però, alzasti la zampa sulla ruota di una moto e la innaffiasti per almeno cinque minuti. Credo che, da quella gomma, siano in seguito spuntati germogli e fiori.
A casa non abbaiavi; nessuno del palazzo si è mai lamentato di te, anzi eri talmente buono che tutti ti avevano in simpatia. Solo verso gli ultimi mesi di vita, quando uscivi con i ragazzi, cominciasti ad abbaiare per le scale. Credo che ti divertissi a farli arrabbiare.
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VILLA PAMPHILI
Villa Pamphili è stata la tua isola felice. Lì hai potuto spaziare a tuo piacimento, correre a perdifiato libero da guinzagli e legacci vari, scovare gli angoli più nascosti per incunearti nella boscaglia, rubare carne alle volpi e pane agli uccelli, cibi che alcune persone portano da casa; bagnarti nell’acqua dei laghetti e bere nelle fontane, inseguire volatili e tuoi simili e farti inseguire da essi. Lì, hai socializzato e stretto rapporti temporanei e duraturi di amicizia. Hai litigato e ti sei riappacificato, le hai date (poche) e le hai prese (tante); hai perfino intessuto relazioni amorose con alcune cane.
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Con una avesti anche un rapporto vero, seppure senza coinvolgimento emotivo da parte di entrambi. Era in calore ma non poteva procreare per cui il proprietario della tua bella non si preoccupò dei vostri approcci che durarono abbastanza a lungo, tanto da mettere in imbarazzo noi che vi accompagnavamo. Come se non bastasse, dopo il “fattaccio” eri talmente stanco che non volesti tornare subito a casa, come io volevo. Ti sdraiasti a terra e, benché avessi fretta di rientrare, dovetti attendere il tuo “giustificato” riposo. In villa l’avevi tanto con un cagnetto; quando lo vedevi lo raggiungevi e lo sottomettevi. In gergo canino “sottomettere” significa: saltare sulla pancia dell’avversario,
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aspettare finché questo implora: “Mi arrendo”, lasciarlo libero dopo averlo guardato con disgusto. Il padrone era seccatissimo della cosa, non accettava che il suo cane: bello, forte, di razza, fosse tanto docile. Tu invece, Silvestro, continuasti imperterrito finché un giorno ti sei stufato e disinteressato a lui, completamente. Il danno però era fatto e quel signore ha continuato per sempre a guardarmi in “cagnesco”.
Con le femmine eri molto galante. Ricordo che una volta ti imbattesti in tre belle cane e per non suscitare la loro gelosia, le facesti giocare a turno. Si divertirono e tu più di loro.
I primi tempi in cui iniziammo a frequentare la villa, non conoscendo
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nessuno, facevamo da soli lunghe camminate. Poi la passeggiata si fece a quattro comprendendo anche un altro cane con relativo padrone; in seguito si formò un bel gruppo di cani e canari. Alle otto e trenta di ogni mattina ci si vedeva davanti al bar di Franco, quindi iniziava la passeggiata. Il gruppo canino all’inizio molto numeroso, con il tempo, purtroppo, si è assottigliato, ma resiste ancora. Adesso, anche se non ci sei più, continuo a frequentare i miei amici perché in loro ho trovato della bella gente inoltre i loro cani mi ricordano te. Il caffè è il nostro rituale, le passeggiate sono benefiche, i discorsi stimolanti e l’amicizia… sincera.
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Axel, il cane di Loretta era il capobranco del gruppo; tutti rigavano dritti se c’era lui perché la sua forte personalità incuteva soggezione. Solo Maja non si sottometteva, anzi lo bistrattava beffandosi del folle amore di cui era oggetto. Più lui la circondava di tenerezze più lei si sottraeva. Si sa quanto sono fresconi certi maschi! Lei era (adesso che è vecchietta un po’ meno) rigorosa con tutti: se un cane non rispettava le regole o si allontanava, e tu Silvestro lo facevi spesso, lo rimproverava con minacciosi abbai rimettendolo prontamente in riga. E’ golosissima di biscotti; quando capisce che stai per dargliene uno, ti si piazza davanti con l’occhio languido e caritatevole. “Passerebbe sul mio cadavere per un biscotto!” Suole dire la sua padrona.
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Carlotta era obbediente e buona, si faceva gli affari propri senza infrangere le regole; rispettava ed era rispettata. Nina accetta tutti tranne chi le sottrae il sasso; in tal caso diventa una furia. Secondo me a volte è in attesa che qualche cane glielo prenda nella speranza di poterci fare una “sana” litigata. In villa è poco interessata a noi umani ma, quando andiamo a casa sua, arriccia il naso per la contentezza: ci sorride. Un discorso a parte merita Axelino. E’ un cane buffo nell’ aspetto e nel carattere. Nonostante non sia più un “giovanotto” resta sempre il Pinocchio della situazione; immagino di vederlo un giorno o l’ altro in catene tra due gendarmi. Quando era più giovane scappava per andarsi a tuffare nel laghetto e ricompariva poi tutto gocciolante muovendo il corpo ora
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a destra, ora a sinistra, sempre in prossimità nostra. Riusciva a coinvolgere nelle sue zingarate il piccolo Dred, ben lieto di seguirlo. Anche adesso che è anziano continua nelle birbonate: scappa, si nasconde, abbaia agli altri cani e difende le femmine del gruppo dalle invadenze dei maschi, al motto di: “Er mejo sono io”. Dred , il cucciolo del gruppo è stato il discepolo di Axelino. Li chiamavamo “i compagni di merenda” perché insieme facevano le “cosacce”. Adesso non viene più in villa per motivi “prettamente tecnici” come ci ha spiegato una volta, durante un lungo discorso. Tommy è il cane‐ragazzo; il suo pelo è lungo ma sempre ordinato e tagliato a la page; è basso e cicciottello.
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Benché sia un cane piccolo, si è sempre ritenuto grande e come tale imita i suoi amici di grande taglia. Credo che Silvestro lo aggredì poiché non sopportava il suo modo di fare: “Se sei piccolo comportati come tale”. Mi dispiacque molto di quanto accadde quel giorno. Isotta è la sciantosa del gruppo, provoca i maschi invitandoli ad annusarla ed assumendo posizioni “provocanti” poi si alza sulle zampe e… ringhiando li mette in fuga. Ama molto inseguire gli uccelli e quando si appollaiano sugli alberi, si mette in loro attesa con lo sguardo fisso alla chioma, pronta a sferzare un attacco appena essi riprendono a volare. “Dura la vita del cane!” E tu, Silvestro?
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Eri un incrocio tra un setter ed un altro cane da caccia, ovvero un cane da cuccia. Non essendo di questa o quella razza, eri unico, eri un Silvestro. Il tuo pelo era lungo, grigio e folto; la tua coda un piumino scodinzolante. Avevi una macchietta nera sulla testa, all’altezza della fronte ed una più grande sul groppone. Il musetto, sottile, aveva un’ espressione triste; diventava allegro quando ti si diceva: “Puzzone!”. Pensando ad un complimento, ti comportavi come tale, saltellando tutto soddisfatto. Ti piacevano le corse ed in queste eri imbattibile, per il resto eri pigro… molto pigro. Se è vero che ogni cane somiglia al suo padrone, avevi ripreso certamente da Paolo.
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Eri anche discreto, ti facevi gli affari tuoi senza disturbare nessuno. Non hai mai fatto danni ed anche quando eri giovane non ho dovuto levare tappeti o oggetti vari. Non hai mai sporcato né in casa né sui terrazzi che consideravi parte di casa. Solo negli ultimi giorni di vita, su nostra sollecitazione, hai fatto pipì nel terrazzino del salone Ti sei sentito, però, talmente mortificato che non hai voluto mangiare il biscottino che ti offrivo.
E pensare che non ti volevo! Sappi che quando tua zia, mia sorella Rosalpe, ti portò in casa, oltre ad apostrofarla con “male parole” le ho detto in tono minaccioso, sapendo della sua fobia per le farfalle, che sarei andata da lei con un barattolo pieno di falene, lo avrei aperto e sparso il contenuto per tutta casa.
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Di cibo non sei mai stato ghiotto, eri capace di mangiare solo in parte la tua gustosa pappa o di non toccarla affatto se poco affamato. Se però eravamo per strada ed adocchiavi un qualche pezzetto di cibo, anche il più ripugnante alla vista, lo spirito del randagio prevaleva perché lo ingurgitavi voracemente. Il mangiare dei gatti che viene messo ogni giorno sotto casa nostra era per te una vera tentazione. Come ti lasciavamo il guinzaglio più lento, allungavi rapidamente il muso fiondandotici letteralmente sopra.
Nell’ultimo periodo della tua vita, poiché mangiavi pochissimo, portai, una volta, la tua pappa sotto casa ponendola accanto a quella dei gatti; tu la annusasti, capisti che era tua e… non la toccasti.
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Solo quella dei felini ti interessava e poi un ladro ruba agli altri, non a se stesso.
Con i cani della villa facevi relativa vita sociale, giocavi ma per lo più ti tenevi a distanza; sembrava che non ti interessassi a loro. Ma controllavi! Se qualche cane maschio tendeva ad entrare nel gruppo o importunava le femmine allora intervenivi prontamente per cacciarlo. Con i maschi, tuoi amici, non litigavi. Al mattino, legati davanti al bar, restavate in attesa che finissimo il caffè per ricevere il vostro biscotto. Guai se mancava!
Qualche volta veniva a riprenderci Paolo che vi aspettava sul viale, poco dopo il primo boschetto, con un sacchetto profumato.
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Il suo fischio richiamava il gruppo che, correndo a perdifiato, gli si disponeva attorno: chi seduto, chi in piedi ma tutti con l’occhio godurioso e la lingua penzolante, in attesa del dolcetto. Ce n’era uno per ciascuno di voi, poi… tutti a casa.
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IL NOSTRO AMICO
Ti abbiamo sepolto nella tua Capranica con i biscottini, il collare provvisto di medaglietta, due bustine per i bisogni, il musetto rivolto alla nostra casa e… tutto il nostro amore. Noi quattro ti abbiamo accompagnato nell’ultimo viaggio. Dormi bene, Silvestro!
Dormi sepolto in campo di grano non è la rosa non è il tulipano che ti fan veglia dall’ ombra dei fossi ma sono mille papaveri rossi.
FABRIZIO DE ANDRE’