traffici illeciti e infiltrazioni jihadiste nei porti...
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TRAFFICI ILLECITI E INFILTRAZIONI
JIHADISTE NEI PORTI ITALIANI:
VERSO NUOVE SOLUZIONI
Clarissa Spada, Francesco Marone
A cura di Lorenzo Vidino
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CONTENUTI
PREFAZIONE ............................................................................................................................................................... 3
EXECUTIVE SUMMARY ............................................................................................................................................. 5
INTRODUZIONE ......................................................................................................................................................... 7
METODOLOGIA .......................................................................................................................................................... 9
1. L'IMPORTANZA DEI PORTI ITALIANI ............................................................................................................11
2. LA PORT SECURITY ...........................................................................................................................................15
3. CHI SI OCCUPA DI SICUREZZA NEI PORTI? ..................................................................................................20
4. TRAFFICI ILLECITI . ............................................................................................................................................26
4.1 Il contrabbando di Tabacchi Lavorati Esteri ...................................................................................26
4.2 Il traffico di sostanze stupefacenti .......................................................................................................34
4.2.1 Il traffico di cocaina .........................................................................................................................35
4.2.2 Il traffico di eroina ............................................................................................................................42
4.2.3 Il traffico di marijuana .....................................................................................................................44
4.2.4 Il traffico di hashish .........................................................................................................................46
4.3 L’immigrazione clandestina nei porti ................................................................................................48
4.3.1 Quali sono le maggiori modalità di infiltrazione nei porti? ........................................................48
4.3.2 Le principali criticità ..........................................................................................................................49
4.4 Il traffico di armi ......................................................................................................................................52
5. IL RISCHIO TERRORISMO ................................................................................................................................50
5.1 Il terrorismo marittimo ...........................................................................................................................50
5.2 Il rischio terrorismo nei porti italiani ................................................................................................60
6. RACCOMANDAZIONI ...........................................................................................................................................63
BIBLIOGRAFIA ...........................................................................................................................................................68
IL PROGETTO .............................................................................................................................................................77
RINGRAZIAMENTI .....................................................................................................................................................77
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PREFAZIONE
I porti, nella Storia, sono stati luoghi in cui si sono consumate alleanze tra popoli, confronti e
scambi tra diverse civiltà.
Il porto ha sempre costituito la misura della capacità di accoglienza di una città, della sua sensibili-
tà rispetto a culture differenti e, dunque, della sua ricchezza.
Non è, però, purtroppo, questo ciò di cui hanno inteso parlare gli autori di questo lavoro.
Gli scali portuali continuano, oggi, a giocare un ruolo fondamentale nella crescita economica di
un territorio, ma questo li ha portati a essere fortemente attenzionati da tutta la criminalità orga-
nizzata, quella comune e quella di stampo mafioso nonché quella di natura terroristica.
La presente ricerca ha, innanzitutto, il merito – vi assicuro di non poco momento – di provocare
una seria riflessione su questo problema, i cui risvolti non si apprezzano, purtroppo, solo sul
“fronte” criminale, ma, evidentemente, anche su quello propriamente economico, con pesanti ri-
cadute rispetto alla tematica generale della sicurezza, nazionale e – soprattutto guardando all’agire
dei gruppi terroristici – mondiale.
Invero, il fatto che i dati statistici rivelino un numero modesto – rispetto a quelli generali – di at-
tentati che abbiano avuto a oggetto strutture o ambienti marittimi – fenomeno le cui cause sono
state, peraltro, ben individuate nel rapporto – non deve comunque “fare abbassare la guardia”,
soprattutto rispetto ai sistemi a salvaguardia della sicurezza degli scali portuali e di tutta la rete di
infrastrutture a essi collegata, che, per la già sottolineata importanza rispetto alla crescita econo-
mica di un territorio, sono certamente da reputarsi obiettivi sensibili anche rispetto ad azioni ter-
roristiche.
Buona parte degli scali del Mediterraneo, da Genova a Livorno, da Valencia a Marsiglia, sono uno
snodo fondamentale sia per l’economia turistica – costituendo tappe di varie crociere – che per
quella commerciale ed è, dunque, evidente, che presentano le caratteristiche di luoghi di potenzia-
li attacchi terroristici, per la consistenza delle conseguenze, in punto di perdita di vite umane e di
danni economici, che da essi deriverebbero.
Il lavoro dà, comunque, puntuale conto delle diverse e gravi azioni terroristiche che hanno inte-
ressato aree portuali – per esempio l’attacco suicida ai danni del cacciatorpediniere “USS Cole”
avvenuto nel Porto di Aden, capitale dello Yemen, il 12 ottobre 2000, dunque meno di un anno
prima dell’attacco alle Torri Gemelle – o mezzi di trasporto marittimo, tra cui l’attentato eseguito
da un gruppo jihadista ai danni del traghetto “Superferry 14” il 27 febbraio 2004 nella baia di Ma-
nila.
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Anche l’Italia, peraltro, è stata teatro della nota operazione terroristica in mare che ha coinvolto la
nave da crociera “MS Achille Lauro”, dirottata, il 7 ottobre 1985, da militanti del Fronte per la
Liberazione della Palestina.
Le problematiche connesse alle attività dei gruppi terroristici costituiscono, tuttavia, solo un
aspetto delle importanti riflessioni svolte dagli autori, che prendono le mosse da un’analisi attenta
di dati che rivelano le, purtroppo, diverse vulnerabilità connotanti il sistema portuale mondiale e,
per quel forse maggiormente interessa, quello italiano.
Trattasi, soprattutto, di evidenze di natura giudiziaria, esaminate con estrema puntualità, relative
agli svariati traffici illeciti che si sviluppano nei porti.
Il contrabbando di tabacchi lavorati esteri, l’immigrazione clandestina, il traffico di armi e, soprat-
tutto, quello degli stupefacenti, in relazione al quale ritroviamo una trattazione differenziata tra
cocaina, eroina, hashish e marijuana, quanto mai opportuna, attese le diversità che riguardano i
luoghi di provenienza, le rotte e le modalità di trasporto, nonché i gruppi criminali che si occupa-
no del relativo smercio.
Certamente istituzioni come la Direzione Centrale per i Servizi antidroga e la Direzione Naziona-
le Antimafia e Antiterrorismo analizzano costantemente tali dati, al fine di fornire ai singoli uffici
giudiziari, elementi utili a dare maggiore efficienza all’azione di contrasto, ma il presente lavoro va
al di là, combinando le emergenze investigative con rapporti delle maggiori Organizzazioni inter-
nazionali e, ancora, con dirette e specifiche esperienze, raccolte dalla voce di chi le ha vissute o,
comunque, studiate sul campo, come il sistema GAIA (Generalized Automatic Exchange of Port
Information Area) presso il porto di Bari, che, sottolineano gli autori, potrebbe costituire la base
per creare un vero e proprio Port Community System.
Il tutto è accompagnato da una ricognizione puntuale di una normativa notevolmente complessa
e articolata, contenuta in fonti internazionali e interne, primarie e secondarie.
Ma a suscitare grande interesse sono soprattutto quelle che gli autori chiamano “raccomandazio-
ni”, indicazioni chiare e concrete su ciò che potrebbe esser fatto rispetto alle criticità riscontrate.
Iniziando da una intensificazione della cooperazione con i paesi da cui provengono i beni illeciti,
stupefacenti, armi, TLE ma anche interna, tra i vari soggetti istituzionali cui sono deputati i
compiti di controllo nelle aree portuali (doganieri, finanzieri, polizia di frontiera), sforzandosi di
costruire protocolli operativi funzionali a rendere sempre più sinergico l’agire.
Ancora, avere dei database comunicanti, per uno scambio in tempo pressoché reale del patri-
monio informativo di ognuno, investire nella tecnologia e, infine, un imprescindibile poten-
ziamento, sia quantitativo che qualitativo, del capitale umano.
Si è di fronte a un lavoro che fornisce un importante contributo al percorso che vorrebbe condurre i
porti a riappropriarsi della loro mission, quella di essere luoghi di incontro tra diverse civiltà.
Direzione Nazionale Anti Mafia e Anti Terrorismo
Sostituto Procuratore
Salvatore Dolce
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EXECUTIVE SUMMARY
Con l’avvento dell’era della globalizzazione, il settore dei trasporti marittimi e delle infrastrutture
portuali è stato oggetto di una rimarchevole operazione di rimodellamento. Da tale trasformazio-
ne ne è conseguita una vera e propria marittimizzazione dell’economia, all’interno della quale i porti
e la retrostante filiera logistica hanno acquisito un ruolo fondamentale.
I porti costituiscono punti di frontiera marittima e pertanto punti intra-ispettivi, al pari delle
altre frontiere aeroportuali e terrestri. Per tal motivo, essi possono rappresentare nodi vulnerabili
per chiunque voglia utilizzare l’infrastruttura per benefici economici a titolo illecito o minacciare
la sicurezza nazionale.
Per quanto riguarda l’Italia, i porti rivestono un ruolo assolutamente strategico nel bacino del
Mediterraneo, potendo contare su fiorenti rotte con paesi e regioni cruciali, come, ad esempio, il
Canale di Suez. È fatto notorio che i porti italiani detengono enormi potenzialità sullo scenario
europeo e globale che, se sfruttate a pieno, potrebbero portare innumerevoli vantaggi
all’economia del paese.
D’altra parte, la criminalità organizzata, autoctona e straniera, attiva sul territorio nazionale ha
mostrato grande interesse nei confronti dei porti come zone da controllare per far fiorire i propri
traffici illeciti. Ciò rende i porti strutture vulnerabili, soggette a controlli serrati al fine di contra-
stare gli affari della criminalità organizzata.
È inevitabile che ciò abbia delle forti ripercussioni sulla funzione primaria che i porti rivesto-
no. Risulta, quindi, di assoluta importanza trovare un giusto equilibrio tra quelle che sono le esi-
genze provenienti dal settore sicurezza e quelle dal settore commerciale.
Dopo un’attenta attività di ricerca, si sono voluti mettere in evidenza alcuni traffici illeciti di
entrata che riguardano la filiera portuale italiana. Stante il fatto che determinati traffici illeciti spes-
so prediligono le aree marittime extra-ispettive, nondimeno si sono rilevati degli importanti mo-
vimenti di tipo intra-ispettivo.
Contrabbando di Tabacchi Lavorati Esteri (TLE). La casistica più recente mostra un
aumento di questo tipo di traffico (specialmente di illicit/cheap whites1) attraverso le frontiere
portuali marittime. Al pari del passato, i porti più colpiti dal fenomeno sono quelli
dell’Adriatico, con carichi provenienti sia da zone di frontiera extra-Schengen (es., Albania)
sia intra-Schengen (es., Grecia). La motivazione va rinvenuta nello storico traffico di siga-
rette di contrabbando, contraffatte e cheap whites dall’Est Europa e dalla regione balcanica,
grazie ai rapporti tra i vari gruppi di criminalità organizzata italiana e quelli di tali paesi. I
1 Ossia quelle sigarette la cui produzione avviene legalmente in un dato paese/mercato, ma la cui distribuzione è destinata a un
altro paese/mercato in cui la vendita è illegale, principalmente a causa di un mancato rispetto di standard di qualità.
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metodi più utilizzati sono sicuramente l’uso di container e autoarticolati in viaggio su navi
cargo, talora in aggiunta a navi passeggeri.
Traffico di cocaina. Anch’esso di carattere intra-ispettivo (perlopiù attraverso l’uso di navi
container), tale traffico risulta essere di quasi totale monopolio della ’Ndrangheta, grazie ai
floridi contatti che questa organizzazione ha instaurato con i cartelli del Sud America. I
porti più interessati sono Gioia Tauro (RC) – dove tendenzialmente non meno di due quin-
tali di sostanza stupefacente vengono sequestrati ogni anno –, ma anche Livorno e Genova
(con i vicini Vado Ligure e La Spezia), diventati anch’essi porti importanti per gli affari del-
le ʼndrine a causa dei controlli sempre più serrati delle forze dell’ordine nel porto gioiese.
In tal senso, di fondamentale importanza è il ruolo di operatori portuali infedeli.
Traffico di eroina. Il traffico di eroina risulta essere particolarmente florido nell’area adria-
tica – in particolare attraverso i porti di Brindisi, Bari e Trieste. La sostanza stupefacente ar-
riva prevalentemente da est, dai paesi di maggior produzione, come Afghanistan, Pakistan,
Iran, seguendo la tratta attraverso Turchia e Albania per fare infine il suo ingresso in Euro-
pa occidentale.
Traffico di marijuana. Sequestri di carichi di marijuana si registrano su entrambi i versan-
ti, adriatico e tirrenico, e, in particolare, nei porti di Civitavecchia (RM), Genova e Bari at-
traverso l’impiego di navi cargo e navi passeggeri. I carichi provengono sia dal Nord Africa
sia dai Balcani, in virtù di sodalizi tra gruppi di criminalità italiana e straniera – operanti sia
in territorio nazionale sia estero.
Traffico di hashish. Tale traffico risulta importante sul versante tirrenico attraverso porti
come Genova e Civitavecchia. Ciò è principalmente dovuto al fatto che la produzione di ta-
le sostanza stupefacente è particolarmente concentrata in Marocco e, in generale, nella fa-
scia del Nord Africa.
Infiltrazioni clandestine. Il fenomeno di infiltrazioni di immigrati clandestini a bordo di
articolati su navi cargo e container è abbastanza diffuso. La casistica recente mostra come
questo accada su mezzi di provenienza sia da paesi extra-Schengen (es., Albania e Turchia)
che intra-Schengen (es., Grecia) con persone provenienti soprattutto da paesi come Iran,
Iraq, Afghanistan, Pakistan e Siria. Il rischio che questi individui riescano a uscire dal porto
inosservati pone potenzialmente problemi di sicurezza, tanto più in un momento storico in
cui la minaccia di infiltrazioni terroristiche (e, in particolare, jihadiste; per esempio, in rela-
zione ai cosiddetti foreign fighters di ritorno), è molto alta.
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INTRODUZIONE
Con l’avvento dell’era della globalizzazione, il settore dei trasporti marittimi e delle infrastrutture
portuali è stato oggetto di un’importante operazione di rimodellamento. È proprio durante
quest’epoca che le filiere portuali si sono trasformate in vere e proprie grandi industrie marittime
capaci di collegare poli geografici opposti, movimentando merci e persone. Ne è scaturita una ve-
ra e propria “marittimizzazione dell’economia”2 che ha determinato nuove regole del gioco sia
nell’ambito del trasporto globale che nella logistica. Infatti, l’importante ruolo che il trasporto ma-
rittimo è riuscito ad acquisire non dipende solo dalle tratte marittime di collegamento tra due
punti geografici, ma anche e soprattutto da tutta la filiera retrostante a un porto.
Con particolare attenzione al trasporto delle merci, tutto questo non sarebbe stato possibile senza
l’introduzione del container nel commercio marittimo: una semplice scatola di metallo, in grado
di ridurre di gran lunga tempi di trasporto e consegna, garantendo efficienza, rapidità e un note-
vole abbattimento dei costi di trasporto diretti e indiretti (tra i fattori che maggiormente incidono
sui prezzi finali della merce).
Il container ha costituito, per così dire, una rivoluzione copernicana, la forza motrice del grande
sviluppo dell’economia marittima; peraltro, il traffico di container, misurato in TEU (Twenty-foot
Equivalent Unit), è divenuto il principale indice di grandezza e potenza di un porto. Nondimeno,
non bisogna dimenticare il ruolo vitale che, oltre alle navi porta-container, svolgono anche altri
tipi di imbarcazioni dedicate agli scambi commerciali. Al trasporto puramente merceologico si
deve aggiungere il settore legato al trasporto di persone per fini commerciali oppure per turismo
che comprende imbarcazioni e traghetti dedicati al trasporto di persone per tratte di medio-lungo
raggio e imbarcazioni crocieristiche.3
Da quanto detto emerge come i vari mezzi che compongono il trasporto marittimo possano fa-
cilmente essere visti come punti e obiettivi assai sensibili e vulnerabili. E infatti, gli eventi dell’11
settembre 2001 hanno portato all’attenzione della comunità internazionale in maniera eclatante la
vulnerabilità del mezzo di trasporto, qualsiasi esso sia, e delle infrastrutture/piattaforme di cui i
mezzi di trasporto si servono. Ecco che soprattutto porti e aeroporti sono stati percepiti sempre
più come punti su cui investire in termini di sicurezza e protezione. Come si vedrà, gli attacchi al-
le Torri Gemelle hanno portato a un ripensamento del quadro normativo internazionale allora
esistente, con lo sviluppo del nuovo concetto di maritime security – all’interno del quale rientra an-
che quello di port security, oggetto della presente trattazione – come concetto distinto e separato da
quello di safety. Tali eventi non hanno fatto altro che mettere in risalto una vulnerabilità delle
2 P. SPIRITO, “La geopolitica dei trasporti”, HuffPost, 3 agosto 2013. 3 Senza togliere la possibilità di imbarcazioni dedite sia al trasporto merci che persone.
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frontiere già esistente da tempo. Un tipo di vulnerabilità non solo causata dalla minaccia terrori-
smo, ma anche dai vari gruppi di criminalità organizzata che fanno delle frontiere dei punti vitali
per le loro attività illecite.
In questo report si vuole mettere in risalto la centralità e l’importanza della sicurezza portuale in
Italia, specialmente nell’era della minaccia jihadista, non soltanto in Europa, ma anche nelle re-
gioni vicine, teatri dei più importanti conflitti degli ultimi anni. Nello specifico, però, il presente
lavoro si pone l’obiettivo di analizzare due fenomeni, che, pur essendo distinti, hanno in comune
la capacità di mettere a repentaglio la sicurezza dei porti e, di conseguenza – considerata la rile-
vanza di tali strutture –, la stessa sicurezza nazionale: traffici illeciti gestiti da gruppi di criminalità
organizzata di stampo mafioso – e non – e terrorismo.
In primo luogo, il rapporto mira a effettuare una mappatura dei traffici illeciti legati ai gruppi di
criminalità organizzata transazionale italiana e straniera che, come spesso succede, utilizzano i
porti italiani sia per operazioni di trasbordo sia per l’ingresso illecito di beni e persone. In partico-
lare, verranno posti in evidenza, per quanto possibile, trend e modi operandi relativi a traffico di
droga, contrabbando di sigarette, traffico illecito di armi da fuoco e immigrazione clandestina, le-
gati a gruppi di criminalità organizzata italiana e straniera che si servono dei porti italiani per lo
svolgimento di tali attività.
La storica presenza di gruppi di criminalità organizzata nel paese può sicuramente costituire un
grave pericolo per le relazioni commerciali di un porto. Come si vedrà nel prosieguo, l’esistenza
di questa sorta di cancro potrebbe causare un allontanamento di terminalisti e compagnie di navi-
gazione spingendoli verso porti più sicuri, favorendo, in tal modo, altri competitors.
Il secondo fenomeno preso in considerazione è il rischio terrorismo. Uno delle più note azioni
terroristiche in ambito marittimo fu il dirottamento della nave da crociera “Achille Lauro” nel
1985, evento che portò a un cambiamento nella normativa internazionale in termini di distinzione
tra terrorismo marittimo e pirateria. Come già accennato, la minaccia del terrorismo di matrice
jihadista, a partire dagli attacchi dell’11 settembre, riguarda anche la sicurezza dei porti, con rischi
significativi per la sicurezza nazionale. Costituendo per sua natura, per diverse ragioni, un “tallone
di Achille” della sicurezza, il porto può essere usato come mezzo o bersaglio per il raggiungimen-
to di determinati fini politici/ideologici/religiosi: sia tramite attacchi diretti a navi e strutture por-
tuali sia attraverso l’infiltrazione di soggetti radicalizzati, compresi i cosiddetti foreign fighters di ri-
torno, interessati a compiere o quantomeno supportare attività terroristiche.
Prima di procedere a tale analisi, però, occorre sottolineare sin da subito che questi tipi di minac-
ce non colpiscono solo ed esclusivamente i punti frontalieri, come nel nostro caso dei porti. I
porti sono punti di frontiera e, come tali, punti di ispezione da parte delle varie autorità operanti
al loro interno. Non solo, i porti, come si vedrà, sono dotati di tecnologie in grado di individuare
minacce e di rilevare sostanze sospette che possono rendere più difficile il traffico illecito di un
determinato carico. Ragion per cui, in diversi casi, i gruppi criminali optano per aree costiere lon-
tane da strutture portuali. La scelta del tema port security non è casuale, ma deriva dalla necessità di
sensibilizzare su un tema di cui si parla troppo poco e che, considerata la collocazione geografica
dell’Italia e la presenza nel paese di importantissimi e strategici scali portuali, merita di essere ade-
guatamente analizzata anche per comprendere quali siano i punti di forza del sistema italiano e,
inoltre, quali aspetti potrebbero essere migliorati e potenziati per garantire porti sempre più sicuri
e all’avanguardia.
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METODOLOGIA
Obiettivi della ricerca
La ricerca si pone due obiettivi principali.
In primo luogo, presenta una mappatura quanto più possibile dettagliata, accurata e aggiornata
del fenomeno delle attività illecite nei porti marittimi italiani, con una particolare attenzione a
contrabbando di Tabacchi Lavorati Esteri (TLE), traffico di droga, traffico di armi, flussi di im-
migrazione clandestina e infiltrazioni terroristiche.
In secondo luogo, fornisce raccomandazioni per prevenire e contrastare in maniera più efficace
ed efficiente tali attività illecite, sulla base di indicazioni formulate direttamente dagli esperti in-
tervistati.
Metodi della ricerca
Lo studio ha combinato ricerca desk con ricerca sul campo.
Da un lato, il gruppo di ricerca ha consultato una pluralità di fonti aperte secondarie e primarie, com-
prendenti cinque tipi principali: 1) documenti ufficiali, come relazioni di Law Enforcement Agencies (per
esempio, le Relazioni Annuali della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo), rapporti di or-
ganizzazioni internazionali (per esempio, studi dello United Nations Office on Drugs and Crime,
UNODC) e comunicati stampa ufficiali; 2) materiale giudiziario (per esempio, sentenze di tribunali);
3) letteratura scientifica di riferimento (articoli e volumi accademici); 4) resoconti giornalistici di testate
affidabili, in versione cartacea o disponibili on-line; 5) letteratura grigia, non pubblicata attraverso i
normali canali commerciali, come rapporti tecnici.
Per ragioni di affidabilità, la precedenza è stata assegnata alle informazioni e ai dati provenienti
dai tipi di fonte 1), 2) e 3). In particolare, i resoconti giornalistici (4), individuati anche attraverso
aggregatori di notizie e motori di ricerca, sono stati utilizzati come tipo di fonte residuale quando
non è stato possibile raccogliere informazioni e dettagli salienti direttamente da fonti ufficiali (per
esempio, in relazione a operazioni di polizia, sequestri e confische). Il gruppo di ricerca ha con-
sultato fonti in lingua italiana e inglese.
Dall’altro lato, sono state realizzate visite ad hoc presso le principali sedi portuali italiane. Inol-
tre, sono state effettuate interviste semi-strutturate e non strutturate a rappresentanti di Autorità
nazionali – Autorità portuali, Guardia di Finanza, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, Coman-
do centrale de Corpo delle Capitanerie di Porto (MARICOGECAP), Magistrati anti-mafia e anti-
terrorismo, Polizia di Stato (compresa Polizia di frontiere), Direzione Investigativa Anti-Mafia
(DIA) –, responsabili e dipendenti di imprese private, esperti e studiosi.
In numerosi sedi portuali è stato possibile intervistare rappresentanti di tutte le diverse Autori-
tà pubbliche coinvolte nelle attività del porto.
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Estensione geografica e temporale della ricerca
Lo studio prende in considerazione soltanto le attività illecite che hanno coinvolto almeno un
porto marittimo italiano.
Il periodo di riferimento della ricerca si riferisce ai trend degli ultimi anni, con un focus mag-
giore sui casi più recenti, più rappresentativi dell’andamento attuale.
Limiti della ricerca
La ricerca ha carattere esplorativo ed è finalizzata a offrire una migliore comprensione delle attivi-
tà illegali nei porti marittimi italiani: attività diversificate e complesse che, per la loro stessa natura
illecita, vengono ovviamente svolte in maniera clandestina. In particolare, alcuni mercati illegali,
come quello delle armi da fuoco, sono notoriamente difficili da monitorare.
Il gruppo di ricerca ha fatto il possibile per garantire la massima completezza e accuratezza
delle informazioni e dei dati presenti nel report. Nondimeno, occorre tenere a mente limiti in
termini di disponibilità, coerenza e affidabilità delle informazioni, specialmente associati
all’impiego delle fonti aperte.
Precisazione terminologica
È opportuno evidenziare che il presente rapporto impiega il termine “sicurezza portuale” (port se-
curity) in un’accezione differente da quella tecnica. Per gli addetti ai lavori tale espressione riconduce
esclusivamente alla normativa IMO (International Maritime Organization) sopra menzionata,
ideata all’indomani degli attacchi alle Torri Gemelle del 2001, al fine di proteggere navi e porti da
possibili attacchi terroristici.
Qui, invece, l’espressione fa riferimento alla protezione dell’infrastruttura portuale da una serie
di attività, movimenti, infiltrazioni che possono non soltanto generare pericoli per l’area portuale
e tutti gli addetti, ma anche costituire una minaccia alla sicurezza nazionale.
Il ruolo delle raccomandazioni
Le raccomandazioni proposte alla fine del testo non devono essere considerate esaustive e sono il
frutto di una prima attività di ricerca condotta sul campo
dagli autori. L’attività di disseminazione del progetto di ricerca, a partire dalla pubblicazione del
seguente rapporto, fornirà nuovi spunti e nuove riflessioni. Con la pubblicazione di un addendum,
prevista entro giugno 2019, si cercherà di fornire una presentazione quanto più possibile accurata,
completa e bilanciata di prospettive e soluzioni per la protezione dell’infrastruttura portuale.
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1. L’IMPORTANZA DEI PORTI ITALIANI E
LA LORO ORGANIZZAZIONE
La posizione geografica dell’Italia al centro del
bacino del Mar Mediterraneo fa comprendere
l’importanza cruciale che i porti italiani rive-
stono per il commercio non solo prettamente
nell’area mediterranea, ma ben oltre. Infatti,
con i suoi circa 8.000 km di perimetro costiero
– all’interno dei 70.000 di quello europeo –,
l’Italia rappresenta da sempre un punto di in-
contro di varie culture, realtà, flussi commer-
ciali e trasporti.4
In tal senso, possono essere delineate quat-
tro direttrici commerciali che collegano
l’Italia: 1) ai Balcani e all’Europa orientale; 2)
al Nord Africa e ai paesi del Medio Oriente
più prossimi; 3) all’Estremo Oriente e a tutto
il resto del Medio Oriente tramite il canale di
Suez; 4) e, infine, alle Americhe.
La necessità di investire nella sicurezza por-
tuale italiana è dovuta alla grande importanza
che i porti italiani detengono nel panorama
europeo e mondiale e, ancor più, alle enormi
potenzialità che essi hanno. Porti sicuri atti-
rano il mercato. Se, da un lato, è vero che la
sicurezza non costituisce l’unico fattore in
grado di aumentare la competitività,
dall’altro contribuisce alla loro crescita
commerciale. Con l’espressione “porti sicu-
ri” non ci si riferisce a porti “militarizzati” o
caratterizzati da controlli invasivi. In tal sen-
4 M. CALIGIURI, A. SBERZE, Il Pericolo viene dal mare, In-
telligence e portualità, Roma, Rubettino, pp. 25-57.
so, la sicurezza può e deve essere considerata
come binomio di efficienza.
Alcuni dati possono essere utili a una mag-
gior comprensione di quanto detto.
Il Port Indicators 2018 pubblicato dal Centro
Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (SRM)
in collaborazione con Assoporti 5 informa
che nel 2017 l’Italia ha movimentato com-
plessivamente 502 milioni di tonnellate di
merci,6 segnando un aumento dell’1,8% ri-
spetto al 2016. A livello europeo, l’Italia si
posiziona al terzo posto per volume di merci
gestite, preceduta da Paesi Bassi e Regno
Unito, raggiungendo posizioni di leadership
nello Short Sea Shipping nel Mediterraneo.7
Senza scendere nei dettagli concernenti le varie
tipologie di merce gestite, i principali porti ita-
liani per volume di merci gestite sono Genova,
Trieste, Gioia Tauro (RC), La Spezia, Cagliari e
5 SRM, Italian Maritime Economy, 5th Annual Report, 2018. 6 SRM, Assoporti, Port Indicators, 2018, p. 16. 7 Ivi, p. 40. Short Sea Shipping è il movimento di merci e pas-
seggeri via mare su rotte di corto raggio. La Commissione
Europea definisce lo Short Sea Shipping quella tratta che in-
clude sia trasporto marittimo domestico che internazionale,
comprensivo dei servizi feeder (relativi a navi di dimensioni
medio-piccole), lungo le coste e da/a fiumi e laghi. Il con-
cetto di Short Sea Shipping si estende anche al trasporto
marittimo tra gli Stati Membri, inclusivo di Norvegia, Islan-
da e altri Stati del Mar Baltico, il Mar Nero e il Mediterra-
neo. ECSA, Short Sea Shipping, p.3.
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Livorno.8 Va da sé che la preminenza di un de-
terminato porto su un altro varia a seconda
delle merce presa in considerazione. In ogni
caso, segnale della loro rilevanza è data anche
dal fatto che siano servite da almeno una delle
tre alleanze leader del trasporto marittimo
(2M, the ALLIANCE, the OCEAN AL-
LIANCE); Genova, La Spezia e Livorno sono
servite da tutte e tre.9
Ulteriori elementi indicativi dell’importanza
della portualità italiana sono 1) i rapporti
commerciali con il canale di Suez – il 50%
delle merci trasportate a Genova e il 47% a
La Spezia sono associati a questo crocevia
commerciale;10 2) l’alta connettività maritti-
ma con paesi cruciali come Cina, Emirati
Arabi Uniti, Arabia Saudita e Marocco – i
quali sono, inoltre, tra i principali leader della
filiera portuale mondiale.
Rappresentando un hub naturale per l’import,
l’export e trasporto passeggeri, i porti italiani
devono mantenere alta la loro competitività
nel confronto con altri porti, europei e non.
Fondamentali sono l’innovazione, la qualità
dei servizi, ma anche la stessa sicurezza.
Competitività e sicurezza sono infatti due
concetti che vanno di pari passo: porti non
sufficientemente sicuri mettono a rischio il
mercato.
Il mare, in generale, e i porti, con gli enormi
quantitativi di merci movimentate, sono per
natura degli ambienti vulnerabili, difficili da
gestire e, soprattutto, da controllare. Nascon-
dono di per sé insidie e pericoli che possono
mettere a repentaglio sia l’economia sia la si-
curezza nazionale.
Ecco che i porti italiani rappresentano luoghi
e bersagli appetibili per quei soggetti che vo-
8 Le classifiche cambiano in base alla categoria di merce presa
in considerazione. Se si parla di container, il primato viene
detenuto da Genova, Gioia Tauro e La Spezia. 9 SRM, Ports Indicators, p. 51. 10 Ivi, p. 11.
gliono renderli punti nevralgici per le loro
attività illecite.
In Italia, una prima preoccupazione è dovuta
alla presenza delle associazioni mafiose e di
altre organizzazioni criminali. La loro azione
di infiltrare, in vario modo, le infrastrutture
portuali per il traffico di droga, tabacco, ar-
mi, ecc. compromette l’idea di porto sicuro e
fa sì che un’inevitabile intensificazione dei
controlli da parte delle forze dell’ordine, ri-
schi di allontanare le compagnie che si ser-
vono delle rotte italiane per commerciare in
Europa, a vantaggio di competitors.
In aggiunta, la presenza di una minaccia terro-
ristica in grado di avvantaggiarsi anche di alcu-
ne vulnerabilità dell’ambiente marittimo e dei
porti, è sempre più incombente. Come si vedrà
in dettaglio, la questione della maritime security in
generale e della port security in particolare iniziò
a emergere con il dirottamento dell’ “Achille
Lauro” nel 1985 per poi assumere rilevanza
giuridica nel periodo immediatamente succes-
sivo agli attacchi delle Torri Gemelle. I porti,
dunque, costituiscono punti sensibili per la
minaccia terroristica.
Accanto alla preoccupazione per veri e pro-
pri attacchi terroristici contro i porti, c’è an-
che il timore di potenziali infiltrazioni jihadi-
ste in relazione a container, camion telonati,
autoarticolati e navi passeggeri. Come si ve-
drà nelle sezioni opportune, se vari strata-
gemmi di occultamento sono non di rado
utilizzati da immigrati clandestini, non si può
escludere che metodi simili possano essere
impiegati anche da soggetti che costituisco-
no un pericolo per la sicurezza nazionale.
Come accennato, Tutto ciò se, da una parte,
esigerebbe controlli sempre più serrati presso
varchi portuali e zone doganali, dall’altra, con-
trasta con le esigenze di un mercato altamente
competitivo che richiedono, invece, procedure
sempre più accelerate.
14
Da quanto detto, si può ben comprendere co-
me la gestione dell’infrastruttura portuale do-
vrebbe essere considerata tra le priorità di ogni
stato, al fine di intraprendere iniziative che mi-
rino, quanto più possibile, al soddisfacimento di
entrambi gli obiettivi, competitività e sicurezza.
LA STRUTTURA PORTUALE ITALIANA
In Italia, il 31 agosto 2016, è stato pubblicato
sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica ilde-
creto legislativo 169 del 4 agosto 2016 con-
tenente la Riforma per la “Riorganizzazione,
razionalizzazione e semplificazione della di-
sciplina concernente le Autorità Portuali di
cui alla Legge 28 gennaio 1994, n.84”1 avente
lo scopo di rilanciare e sviluppare il com-
1 Nel settembre 2017 il Consiglio dei Ministri, su proposta
del Ministro per la semplificazione e la pubblica ammini-
strazione e di concerto con il Ministro dell’economia e delle
finanze e il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, ha
approvato in esame preliminare lo schema di decreto legi-
slativo recante disposizioni integrative e correttive al decre-
to legislativo 4 agosto 2016, n. 169, http://www.mit.gov.it/
comunicazione/news/autorita-di-sistema-portuale-riforma-
porti-porti/autorita-portuali
mercio marittimo italiano. La riforma aveva
lo scopo di rilanciare il sistema delle Autorità
portuali, snellendone anche le procedure di
gestione. Il provvedimento, infatti, prevede
una drastica riduzione delle Autorità Portuali
(rinominate Autorità di Sistema Portuale), da
24 a 15.2
Come mostra la Figura 1, le Autorità di Sistema
Portuale coordinano 57 porti di rilevanza na-
zionale, nei cui vi è stabilita una figura rappre-
sentante e dipendente dal presidente di Autorità
di Sistema Portuale di riferimento. 3
In questa sezione si faranno alcune precisa-
zioni sul vigente sistema di leggi a protezio-
ne di navi e porti marittimi contro possibili
attacchi terroristici.
2 Tali Autorità di Sistema Portuale sono enti pubblici non
economici di rilevanza nazionale a ordinamento speciale,
dotati di autonomia amministrativa, organizzativa, regola-
mentare, di bilancio e finanziaria. Esse svolgono alcune
specifiche funzioni strategiche di indirizzo, programmazio-
ne e coordinamento del sistema dei porti della propria area.
In particolare, si prevede che esse si occupino dell’indirizzo,
programmazione, coordinamento, regolazione, promozione
e controllo delle operazioni e dei servizi portuali nonché
delle attività autorizzatorie e concessorie previste dagli arti-
coli 16, 17 e 18 della legge 28 gennaio 1994, n. 84.
http://www.mit.gov.it/mit/mop_all.php?p_id=26040 3 http://www.mit.gov.it/comunicazione/news/autorita-
portuale/approvato-il-decreto-riorganizzazione-dei-porti
15
2. LA PORT SECURITY
Queste precisazioni risultano dovute e ne-
cessarie al fine di comprendere sia
l’importanza che l’infrastruttura marittima
riveste, sia la necessità di avere un sistema
strutturato pronto a intervenire contro even-
tuali attacchi terroristici. Si vedrà poi
l’applicazione specifica della normativa in-
ternazionale al panorama italiano.
Quando si parla di sicurezza portuale – nella
sua accezione inglese di port security – tecni-
camente s’intende la protezione delle infra-
strutture portuali dalla minaccia terroristica.
È quello che c’è dietro all’adozione del Co-
dice internazionale per la sicurezza delle navi
e degli impianti portuali (ISPS Code), in
modifica alla Convenzione internazionale
per la salvaguardia della vita umana in mare
(SOLAS), all’indomani dell’attacco alle Torri
Gemelle. Creata sotto l’egida dell’IMO, tale
normativa internazionale è stata poi recepita
a livello europeo e nazionale.
Sebbene la normativa IMO costituisca il sub-
stratum del funzionamento dei porti e sia per
questo meritevole di trattazione, essa non va a
regolamentare – quantomeno direttamente – la
questione relativa a infiltrazioni mafiose e, in
generale, di criminalità organizzata nei porti.
Essa, dunque, è il punto di riferimento di un
altro aspetto di questo report, che è appunto
la minaccia terroristica – non solo intesa
come infiltrazione nei porti, ma anche come
attacco alle infrastrutture portuali.
Andando ad analizzare più nel dettaglio, il
concetto di port security rientra nella categoria
più ampia della maritime security, sicurezza ma-
rittima. Per comprendere tale concetto risulta,
dunque, necessario partire dal livello più alto
e generale, analizzandone elementi normativi
e background storico e geopolitico.
Come già accennato, la storia della maritime
security risale fondamentalmente al 1985, con
l’episodio dell’Achille Lauro che scosse gli
animi della Comunità internazionale. Il di-
rottamento della nave italiana da parte di un
gruppo di terroristi palestinesi al largo delle
coste egiziane rappresenta il primo episodio
clamoroso di azione terroristica nei confron-
ti di una nave passeggeri nell’epoca contem-
poranea. Inizia così ad avvertirsi un vuoto
normativo in tema di security marittima che
porta – nel 1988 e sotto l’egida dell’IMO –
all’adozione della cosiddetta Convenzione
sulla repressione degli illeciti contro la sicu-
rezza della navigazione marittima, meglio
conosciuta come Convenzione Lauro.1
La Convenzione Lauro dà vita al concetto di
terrorismo marittimo, come fenomeno sepa-
rato e distinto da quello di pirateria.2 Seppur
rimasto lo strumento legislativo di riferimen-
to per la repressione degli atti di terrorismo
1 Convention for the Suppression of the Unlawful Acts Against the
Safety of Maritime Navigation. 2 L. MARINI, Pirateria marittima e diritto internazionale, Roma,
Giappichelli, 2016, pp. 120-121.
16
contro la navigazione, il concetto di maritime
security non ha preso ancora forma nella legi-
slazione internazionale e questo si nota
dall’utilizzo del termine safety nel testo della
Convenzione Lauro.
A costituire la vera e propria rivoluzione co-
pernicana sono gli eventi dell’11 settembre
2001 che mettono in discussione la sicurezza
del “mezzo di trasporto” come elemento
vulnerabile.
Come risposta, l’IMO ha adottato, dopo la
Conferenza di Londra del dicembre 2002, il
Codice internazionale per la sicurezza delle
navi e degli impianti portuali,3 il cosiddetto
ISPS Code, entrato ufficialmente in vigore il
1° luglio 2004. Il Codice ISPS è diviso in due
parti, la parte A, contenente disposizioni
vincolanti, e la parte B, contenente racco-
mandazioni, pertanto non vincolanti, con la
possibilità, però, da parte degli stati di rende-
re vincolanti tali misure nella normativa di
ricezione interna. Queste novità normative
sono andate a modificare e ad aggiungersi
alla già esistente Convenzione SOLAS e
contengono il nuovo approccio alla sicurez-
za marittima. Da una parte, i capitoli V4 e
3 Gli impianti portuali rappresentano la località nella quale
avviene l’interfaccia nave/porto, ovvero l’insieme delle inte-
razioni che hanno luogo quando una nave è direttamente ed
immediatamente interessata da azioni che comportano il
movimento di persone, merci o la fornitura di servizi por-
tuali alla o dalla nave. SOLAS, Capitolo XI-2, Regola 1. 4 Indirizzato alle navi diverse da quelle passeggeri e cisterne,
di stazza pari o superiore a 300 ed inferiore a 50.000 tonnel-
late. Le navi dovranno anche essere dotato di un registro
sinottico il Continuous Synopsis Record, rilasciato dallo
Stato di nazionalità della nave e consistente in un elenco di
informazioni e documenti contenete informazioni aggiorna-
te in tempo reale e concernenti lo Stato di bandiera, la data
di registrazione , il numero di identificazione ed il nome
della nave, il porto di immatricolazione, il nominativo del
comandante, del proprietario, del noleggiatore, dell’autorità
emittente del Document of Compliance, Safety Manage-
ment Certificate e di quella certificante l`International Ship
Security Certificate regolamentato nella parte A dell’ISPS
Code. Laruffa, p. 71
XI-1 hanno imposto alle navi di dotarsi di
sofisticati sistemi di identificazione, ossia
AIS (Automatic Identification System), e di ripor-
tare sulla nave il numero di identificazione,
al fine di evitare collisioni tra navi e monito-
rare il traffico marittimo. Dall’altra, il capito-
lo XI-2, intitolato “Special Measures to en-
hance Maritime Security”, oltre all’identifi-
cazione delle autorità designate, ha delineato
quelli che sono i tre livelli di sicurezza dai
quali discendono relative e adeguate misure e
restrizioni. In tal senso, sono i governi che a
livello nazionale decidono il livello di sicu-
rezza da mantenere – normale (1), medio (2)
o elevato (3).5 Le navi sono tenute a con-
formarsi al livello di sicurezza esistente nel
porto, sia in fase di arrivo, sia quando sono
già ormeggiate in porto. Ai fini della nostra
trattazione, il capitolo XI-2 rappresenta la
più grande novità, delineando le definizioni
di “impianti portuali” e di “interfaccia nave-
porto”. Nella parte A dell’ISPS Code si sta-
tuisce che gli impianti portuali debbano con-
formarsi alle prescrizioni contenute nella
normativa internazionale e che i Governi
debbano provvedere alla predisposizione di
valutazioni di sicurezza portuale, base per i
piani di sicurezza nazionali.
Più nello specifico, di notevole importanza è
l’identificazione dell’addetto alla sicurezza
dell’infrastruttura portuale, ossia il Port Facili-
ty Security Officer (PFSO), al quale spetta an-
che l’elaborazione del Port Facility Security
Plan (da qui PFSP). Il contenuto del PFSP si
basa sugli elementi fondanti il Port Facility Se-
curity Assessment (PFSA), la valutazione del
rischio per l’appunto. Pertanto, tali elementi
dovranno figurare nei piani di sicurezza por-
tuale seguiti da considerazioni aggiuntive
concernenti esigenze “nazionali e locali”.
Compito del PFSO è quello, inoltre, di stilare
una serie di misure appropriate atte a mini-
5 Ibidem.
17
mizzare il più possibile il rischio di violazioni
di sicurezza e le potenziali conseguenze.
Ogni PFSP deve contenere: una descrizione
dettagliata del sistema di sicurezza del porto
e la messa in evidenza di tutte le ulteriori fi-
gure necessarie al corretto espletamento del-
le funzioni portuali; una descrizione delle
misure di sicurezza previste al livello di sicu-
rezza 1 e di quelle aggiuntive nel momento
in cui i livelli di sicurezza sono innalzati a 2 o
3 – tenendo in considerazione che debba
trattarsi di misure che non ostacolino il cor-
retto e scorrevole funzionamento del porto;
infine, il funzionamento delle reporting proce-
dures con i punti di contatto governativi.
Tra i compiti principali del PFSO vi è la te-
nuta di registri degli incidenti di e minacce
alla security, di training e simulazioni espletate
per la verifica del corretto funzionamento
delle misure di sicurezza.
Ultima procedura è l’atto di approvazione
del piano da parte della competente autorità
governativa, la quale potrà promuovere
emendamenti in una fase sia precedente sia
successiva all’approvazione medesima.
A livello europeo, la normativa di ricezione
della direttiva internazionale è rinvenibile nel
Regolamento 725/2004 CE, relativo al mi-
glioramento della sicurezza delle navi e degli
impianti portuali, tramite il quale gli Stati
membri hanno adottato la normativa ISPS
Code. In aggiunta a ciò, la Direttiva
2005/65/CE ha provveduto al miglioramen-
to delle disposizioni in tema di port security,
andando a integrare quanto previsto nel Re-
golamento 725/2004.
In Italia, la Direttiva europea del 2005 è stata
integrata nell’ordinamento nazionale attra-
verso l’emanazione del Decreto Legislativo
n. 203 del 6/11/2007. Quest’ultima norma-
tiva si sofferma sulla definizione di impianto
portuale, che, come anticipato, è il luogo do-
ve avviene l’interfaccia nave/porto (intesa
come insieme di interazioni che hanno luogo
quando una nave è direttamente e immedia-
tamente interessata da attività che compor-
tano il movimento di persone, merci o la
fornitura di servizi portuali verso/dalla na-
ve). Tale decreto legislativo istituisce poi la
Conferenza dei Servizi 6 presso ciascun
Compartimento marittimo, presieduta dal
Capo del Compartimento Marittimo,
l’Autorità di Sistema Portuale e l’agente di
sicurezza del porto, un funzionario prefetti-
zio, il capo della Polizia di Frontiera, quello
dei Carabinieri, della Guardia di Finanza e il
dirigente dell’Autorità doganale e il coman-
dante dei Vigili del Fuoco. In questa sede
avviene il coordinamento dei vari corpi inte-
ressati ai controlli di sicurezza portuale,
mentre il controllo delle merci è demandato
all’Agenzia delle Dogane nelle interfacce na-
ve/porto.
Attraverso il Decreto Ministeriale del 29 no-
vembre 2002, viene istituito il CISM, il Co-
mitato Interministeriale per la Sicurezza Ma-
rittima e dei Porti, con compiti di indirizzo
nei confronti delle Capitanerie di Porto per
l’applicazione della normativa security. Un
successivo Decreto Ministeriale del 18 giu-
gno del 2004 ha attributo le funzioni in ma-
teria di sicurezza marittima, nonché quelle di
Autorità competente per la sicurezza marit-
tima e punto di contatto per la sicurezza ma-
rittima al Corpo delle Capitanerie di Porto.
LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO
Per assicurare un buon livello di sicurezza
dell’infrastruttura portuale, è indispensabile
procedere a un’attenta analisi dei potenziali
rischi. I porti nascondono, infatti, per natura
vari rischi che vanno da quelli legati
all’ambiente a quelli relativi al trasferimento
di merci e persone.
6 Art. 5 del Decreto Legislativo 203/2007.
18
Ecco che il processo di analisi del rischio si
articola attraverso tre momenti:
Threat Assessment (TA), la valutazione
della minaccia – danno materiale, per-
dita di vite umane, danni agli affari;
Vulnerability Assessment (VA), la valuta-
zione delle vulnerabilità – facilità di
accesso ed entrata alla struttura por-
tuale, permeabilità dell’infrastruttura a
un attacco terroristico, capacità del
personale addetto alla sicurezza nel
prevenire, reagire, eliminare un inci-
dente di security;
Risk Assessment (RA), la valutazione del
rischio – tale fase va a riassumere le
precedenti, mirando a porre a sistema i
risultati, analizzandoli nell’ottica di vari
interessi, ad esempio, salute pubblica,
trasporti, difesa, comunicazione,
commercio.7
I livelli di rischio sono tre: basso (1), me-
dio/moderato (2), alto/critico (3). A ogni
livello corrispondono delle misure di sicu-
rezza che vanno implementate all’interno
dell’infrastruttura portuale.
Il livello 1 è quello a cui operano normal-
mente le navi e le infrastrutture portuali.
Il livello 2 richiede misure supplementari da
applicare per un determinato periodo di
tempo in conseguenza di un incremento del
rischio.
Il livello 3, il più alto, denota una situazione
di emergenza e di per sé di carattere tempo-
raneo. Richiede misure ad hoc in vista di un
rischio altamente probabile/imminente.
Le navi che approdano in un’infrastruttura
portuale sono tenute a uniformarsi al livello
esistente in tale porto e ad adempiere gli ob-
blighi di security derivanti dalla situazione.
7 F. GARZIA, Sistemi della gestione della security in ambito portuale,
Università di Roma “La Sapienza”.
Quello che i piani di sicurezza devono rag-
giungere è la creazione di un sistema integra-
to di sicurezza quanto più adeguato possibi-
le. Un sistema caratterizzato da procedure
specifiche in accordo con le esigenze del
porto, da semplicità gestionale, da non intru-
sività nelle esigenze commerciali e dall’im-
piego di strumenti tecnologici all’avan-
guardia, quali tecnologia scanner, sistema di
sorveglianza, ecc.
IL PIANO “CRISTOFORO COLOMBO”
In Italia, il piano di sicurezza nazionale studia-
to ad hoc per la minaccia terroristica all’interno
dei porti prende il nome di “Cristoforo Co-
lombo”, ossia il Piano di Sicurezza Nazionale
Marittimo. In data 24 gennaio 2014, il Ministro
dell’Interno ha approvato tale piano redatto
dall’Ufficio Ordine Pubblico.
ESERCITAZIONI PIANO “CRISTOFORO COLOMBO”
PORTO DI TRIESTE
Il porto di Trieste, ad esempio, prevede
che ogni impianto portuale effettui una
volta all’anno e comunque a intervalli
che non superino i 18 mesi, alcuni ad-
destramenti che mettano alla prova il
coordinamento, le comunicazioni, la di-
sponibilità delle risorse e la prontezza
delle reazioni. Prevede, inoltre, eserci-
tazioni interne trimestrali atte a verifi-
care il corretto funzionamento di risor-
se e mezzi a disposizione. Infine, una
volta all’anno, tutti gli impianti por-
tuali devono partecipare alle esercita-
zioni più complesse disposte e coordi-
nate dall’Autorità di Pubblica sicurezza
e alle esercitazioni di security organiz-
zate dall’Autorità Designata in coope-
razioni con tutti gli enti competenti.
19
Tale piano nazionale prevede un’imple-
mentazione di piani “particolareggiati” per
ciascun porto, a cura dei prefetti che abbiano
competenza sui porti, e prevede un coinvol-
gimento attivo e diretto della Polizia di
Frontiera. Per ogni complesso portuale viene
previsto un insieme di misure di security, ade-
guando le previsioni generali alle esigenze
della specifica realtà portuale, tenuto anche
conto della tipologia di traffici marittimi, del
flusso passeggeri e in raccordo ai piani di port
security approvati in sede locale.8
L’importanza di tali piani si comprende pie-
namente nel momento in cui si pensa alla lo-
ro effettiva implementazione di fronte a un
incidente di security. A tal riguardo, è oppor-
tuno che tali piani siano ben conosciuti nella
loro attuazione pratica. Esercitazioni e simu-
lazioni, ad esempio, risultano necessarie per
il perfezionamento di ciascun piano partico-
lareggiato e per la messa in sicurezza di cia-
scun porto.
Dunque, da una prima analisi emerge come
tra le varie minacce temute vi siano gli attac-
8 http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/documenti
parlamentari/indiceetesti/038/003t02_RS/00000003.pdf
chi terroristici a navi ormeggiate e a tutta la
filiera portuale, per quanto siano da conside-
rare anche le navi in navigazione. Ovviamen-
te il regime in vigore deve mirare a protegge-
re quanto più possibile gli operatori e le for-
ze dell’ordine che potrebbero essere i primi
target di un attacco terroristico.
Una dimostrazione del funzionamento di
questo sistema risale ai più recenti attacchi
terroristici in Europa ispirati all’ideologia ji-
hadista. Prima gli attacchi di Parigi del 2015 e
poi quelli di Bruxelles del 2016 hanno indotto
le autorità italiane a innalzare il livello di sicu-
rezza nei porti per portarlo a 2. Tale innalza-
mento del livello – non dovuto in questo caso
a minacce concreti presenti, ma piuttosto le-
gato alla delicata situazione circostante 9 –
comporta, come già visto, un appesantimento
dei controlli su merci e passeggeri ai varchi
portuali e un aumento del personale incarica-
to della sicurezza. Sono misure necessaria-
mente a carattere temporaneo; in caso contra-
rio, si rischierebbe di bloccare tutto il traffico
marittimo sia turistico sia commerciale.
9, Italia, alzato livello di sicurezza nei porti, Il Sole24 Ore 12 ago-
sto 2016,
20
3. CHI SI OCCUPA DI SICUREZZA PORTUALE?
La sicurezza nei porti italiani è di competen-
za di diversi attori operanti al loro interno.
Prima di addentrarci a illustrarne operato e
specificità, è opportuno ricordare che la ge-
stione dell’infrastruttura portuale è affidata
alle Autorità di Sistema portuale,1 dirette da
un presidente, nominato dal Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti di intesa con le
Regioni interessate.2
A livello generale, però, la sicurezza portuale
italiana si basa sul CISM, il quale ha il com-
pito di elaborare il programma nazionale
contro gli atti terroristici nel settore maritti-
mo, e quindi anche quello di stabilire i già
menzionati livelli di sicurezza secondo le di-
sposizioni della normativa IMO.
In accordo alla normativa internazionale di
riferimento – oltre a quella europea e nazio-
nale di ricezione – compito di ogni Autorità
portuale è l’indicazione al suo interno di un
funzionario per la sicurezza dell’infra-
struttura portuale, ossia il cosiddetto PFSO,
di cui si è parlato precedentemente. A tal ri-
guardo, occorre mettere in risalto come – in
aggiunta alle varie Forze dell’ordine presenti
preposte alla sicurezza – anche le Autorità di
sistema portuale siano munite di corpi priva-
1 Come visto in precedenza, la riforma della struttura por-
tuale è avvenuta attraverso l`adozione del decreto legislati-
vo 169 del 2016. 2 Tale figura, a sua volta, presiede un Comitato di gestione,
compost da 3-5 soggetti, http://www.camera.it/temiap/t/
news/post-OCD15-12585
ti che esercitano funzioni di vigilanza attra-
verso controlli di sicurezza nei confronti di
soggetti sia in entrata sia in uscita.
Tali organi svolgono servizi di sicurezza sus-
sidiaria e sono regolamentati dalla normativa
contenuta nel Decreto Ministeriale 15 set-
tembre 2009, n. 154.3 Il Decreto riveste par-
ticolare rilievo anche ai fini del recepimento
del regolamento europeo (Regolamento CE
725/2004 del 31 marzo 2004) adottato in
materia di miglioramento della sicurezza del-
le navi e degli impianti portuali, stabilendo,
peraltro, che servizi così delicati possono es-
sere svolti solo da personale qualificato e do-
tato di specifiche attribuzioni (le guardie par-
ticolari giurate).
Il servizio riguarda la predisposizione e la
messa in atto di tutte le azioni che, in ag-
giunta a quanto contemplato dal Piano di Si-
curezza Portuale4, si rendono necessarie per
la tutela della sicurezza dei beni e delle per-
sone che si trovano all’interno di tutte le aree
3 Regolamento recante disposizioni per l'affidamento dei
servizi di sicurezza sussidiaria nell'ambito dei porti, delle
stazioni ferroviarie e dei relativi mezzi di trasporto e depositi,
delle stazioni delle ferrovie metropolitane e dei relativi mezzi
di trasporto e depositi, nonché nell’ambito delle linee di tra-
sporto urbano, per il cui espletamento non è richiesto
l’esercizio di pubbliche potestà, adottato ai sensi dell’articolo
18, comma 2, del Decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, con-
vertito, con modificazioni, dalla Legge 31 luglio 2005, n. 155. 4 Come visto in precedenza, piani di sicurezza portuale so-
no stati introdotti dalla normativa IMO del 2001, poi rece-
pita a livello europeo e nazionale.
21
portuali comuni rientranti nella circoscrizio-
ne di ciascuna Autorità di sistema portuale.
Le disposizioni del suddetto Decreto Ministe-
riale richiedono che tali enti di vigilanza ab-
biano competenze ad hoc per la sicurezza por-
tuale e stabiliscono modalità di verifica e ac-
certamento dei requisiti professionali e ag-
giornamento di tutto il personale addetto a
tale servizio di sicurezza sussidiaria (controllo
del bagaglio, controllo dei varchi, vigilanza ai
terminal passeggeri e simili), affidato alla sicu-
rezza privata solo a integrazione dei servizi
esercitati dalla forza pubblica (come già acca-
de per gli aeroporti) e nei limiti in cui non sia
richiesto l’esercizio di pubbliche potestà.
Secondo tale meccanismo, gli enti di gestio-
ne portuali sono liberi di garantire la sicurez-
za sussidiaria direttamente o indirettamente
tramite l’affidamento del servizio in appalto
a istituti di vigilanza privata.5
Oltre a tali organi di sicurezza sussidiaria, la
sicurezza portuale è garantita dal presidio di
ulteriori corpi che tutelano i vari settori della
sicurezza in determinate aree di competenza.
Nella sezione dedicata alla normativa inter-
nazionale-comunitaria-nazionale in tema se-
curity si è fatto cenno anche alla differenza
tra safety e security. Si è detto che se la safety
attiene perlopiù alla salvaguardia della vita in
mare e alla tutela di persone e merci da qual-
siasi incidente, la security attiene più
all’ambito della prevenzione e del contrasto
di attività dannose intenzionali, come terro-
rismo, pirateria, infiltrazioni criminali. Ecco
che il Corpo delle Capitanerie di porto -
Guardia Costiera della Marina Militare costi-
tuisce l’ente che esegue controlli in materia
di sicurezza più legato al concetto di safety.
Essi tutelano sia la sicurezza della navigazio-
ne in mare – delle vite umane e delle merci –
sia quella delle banchine portuali e di tutta
l’infrastruttura portuale. In particolare, la
5 Vedasi art.1 del Decreto Ministeriale n.154 del 2009.
Guardia Costiera è detentrice di vastissime
funzioni che vanno dalla sicurezza della navi-
gazione, alla ricerca e soccorsi in mare – nelle
zone SAR (Search And Rescue). Ai fini della no-
stra ricerca, occorre sottolineare che per
quanto il Corpo eserciti funzioni di Port State
Control, ciò miri a garantire strettamente la sa-
fety,6 valore fondamentale sia per la struttura
portuale sia per quella navale,7 esso costitui-
sce, per così dire, il guardiano della normativa
IMO e quindi anche dell’ISPS Code e quindi
non si occupa di fatto di controlli di security.
Accanto alle autorità marittime, garanti della
sicurezza intesa nell’accezione stretta di secu-
rity, vi sono la Polizia di Frontiera, organo
della Polizia di Stato, l’Agenzia delle Dogane
e dei Monopoli e la Guardia di Finanza. Tali
Corpi sono i responsabili diretti di tutto ciò
che avviene all’interno dei varchi portuali e
nell’immediato esterno (Guardia di Finanza),
occupandosi quindi di fattispecie criminose e
di violazioni tributarie.
LA POLIZIA DI FRONTIERA
L’attività principale della Polizia di Frontiera8
è il contrasto all’immigrazione clandestina e
6 La Guardia costiera mira a garantire il rispetto della nor-
mativa internazionale di IMO e ILO, del Memorandum of
understanding f Paris del 1982 e della normativa comunitaria
e di quella di recepimento nell’ordinamento nazionale, de-
creto legislativo n. 53 del 24 marzo 2011 (decreto attuativo
della Direttiva 2009/16/CE). 7 Per approfondimento, http://www.guardiacostiera.gov.it/ 8 La Direzione centrale è stata istituita con la cosiddetta
Bossi-Fini – la legge 30 luglio 2002, n. 189. L’articolo 35 ha
istituito la Direzione centrale della polizia
dell’Immigrazione e delle frontiere che si colloca presso il
Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero
dell’Interno. Con la creazione di una Direzione centrale
totalmente dedicata all’immigrazione e alle frontiere si è
voluto perseguire il duplice obiettivo di favorire lo sviluppo
di strategie d’azione innovative e più efficaci, nel contrasto
all’immigrazione clandestina con una maggiore proiezione
anche sul piano internazionale, e di gestire le problematiche
inerenti la presenza degli stranieri sul territorio nazionale.
http://www.poliziadistato.it/articolo/23463
22
alla falsificazione di documenti – come visti,
passaporti, carte di identità, patenti. I con-
trolli alle frontiere concernenti l’attività di
ingresso e di uscita ai confini sono regolati
nel “Codice delle frontiere di Schengen”, re-
golamento europeo CE 562/2006.
Nelle funzioni di controlli e ispezioni di
pubblica sicurezza per il contrasto all’immi-
grazione clandestina, gli agenti possono pro-
cedere a controlli e ispezioni di persone e
merci, anche quelle sottoposte a speciale re-
gime doganale, qualora vi sia un fondato moti-
vo, basato su elementi di analisi di rischio,
idoneo a far ricadere la fattispecie in uno dei
reati di immigrazione clandestina ai sensi del
Testo unico sull’immigrazione. Gli agenti di
polizia dovranno procedere al respingimento
alla frontiera di un soggetto in caso di: a)
presenza di cause ostative all’ingresso (ad
esempio, una segnalazione nella banca dati
SIS, sistema di informazione Schengen, o
una condanna per reati inerenti sostanze
stupefacenti); b) assenza di taluno dei requi-
siti per il soggiorno nel territorio nazionale
(ad esempio, del visto di ingresso ove richie-
sto o di un’idonea situazione di alloggio); c)
presenza di elementi che inducano a ritenere
che la persona che chiede l’ingresso rappre-
senti una minaccia reale, attuale e sufficien-
temente grave per la sicurezza interna,
l’ordine pubblico o le relazioni internazionali
degli Stati membri, ovvero una minaccia per
la salute pubblica.9
9 Altra forma di respingimento è quella disposta dal Que-
store, non alla frontiera, bensì con accompagnamento alla
frontiera qualora quando lo straniero, entrando nel territo-
rio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, è ferma-
to all’ingresso o subito dopo; quando lo straniero, pur non
avendo i requisiti richiesti per l’ingresso, è stato temporal-
mente ammesso nel territorio per necessità di pubblico soc-
corso, https://www.asaps.it/downloads/files/art_pag_18_
cent_162(1).pdf
L’AGENZIA DELLE DOGANE E
DEI MONOPOLI
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli è
organo che, nello svolgere funzioni sia di ca-
rattere prettamente tributario (es., dazi, acci-
se) sia di carattere extra-tributario (es., lotta
alla contraffazione), presidia gli spazi doga-
nali e quindi anche nei porti. In quanto tale,
s’inserisce in un quadro composito, come
autorità dedita al monitoraggio e al controllo
per il contrasto di fattispecie fraudolente.
La normativa doganale esistente è rinvenibile
nel Regolamento UE 952/2013, il quale ha
istituito il nuovo Codice Doganale
dell’Unione Europea (CDU), abrogando –
tra i vari regolamenti preesistenti10 – il pre-
cedente Codice Doganale Comunitario isti-
tuito con Reg. CEE 2913/92. Il nuovo Co-
dice prosegue il percorso di informatizza-
zione dei dati già intrapreso con il preceden-
te codice comunitario e, ad ogni modo, in
uno stadio già avanzato nel sistema italiano.
A ciò si aggiunge la normativa nazionale rin-
venibile nel Testo Unico delle Leggi Doga-
nali, la quale prevede la presenza comple-
mentare, sussidiaria o esclusiva della Guardia
di Finanza, a seconda delle situazioni.
Il sistema di controllo merce delle autorità
doganali è stato riformato a livello comunita-
rio. È stato il cosiddetto sistema automatiz-
zato ICS (Import Control System) e ECS (Ex-
port Control System). L’ICS prevede la presen-
tazione di una dichiarazione sommaria delle
merci in entrata nella comunità, ENS (Entry
Summary declaration). Ed è proprio su tale di-
chiarazione che le autorità doganali, attraver-
so un sistema dei rischi comunitario, decidono
se la merce debba procedere a un controllo –
10 Dal 1 maggio 2016, il nuovo CDU ha anche abrogato il
Reg. (CEE) n. 3925/91, relativo all’eliminazione dei con-
trolli sui bagagli dei viaggiatori intracomunitari e il Reg.
(CEE) n. 1207/2001, relativo al rilascio dei certificati di
origine EUR e alla qualifica di esportatore autorizzato.
23
che in taluni casi porterà anche a una mancata
autorizzazione di ingresso nella comunità ENS
– oppure se, invece, possa procedere diretta-
mente verso la destinazione designata.
Infatti, le merci che fanno ingresso nel regi-
me unionale sono soggette alla vigilanza do-
ganale e, se richiesto, a controlli doganali –
salvo eccezioni e restrizioni di vario tipo.
Dunque, la merce non potrà mai essere ri-
mossa senza l’autorizzazione delle dogane.11
Le procedure dei controlli costituiscono un
panorama complesso. Ad ogni modo, va
detto che un’importante parte di operazioni
doganali avviene in via semplificata, ossia
una dichiarazione proveniente da enti auto-
rizzati dal quale si evincono semplicemente
gli elementi per identificare la merce e il re-
gime al quale si tende vincolarla. Statistica-
mente, i controlli sulle operazioni doganali
semplificate risultano nettamente minori.
I controlli, infatti, vengono fatti per lo più su
operazioni doganali ordinarie oppure su
quelle domiciliate.
In spazi doganali così importanti come i por-
ti, è necessario dotarsi di sistemi in grado di
rispondere alle esigenze commerciali senza
bloccare la catena di spedizione e, allo stesso
tempo, evitare il passaggio di merci illegali.
Ecco che AIDA (Automazione Integrata
Dogane Accise), il sistema informatico do-
ganale, consente la telematizzazione degli
scambi di documenti, offre servizi standar-
dizzati e integrati che agevolano il commer-
cio e riducono i costi di transazione, incre-
menta le potenzialità delle attività di analisi e
gestione dei rischi, necessari all’effettuazione
di controlli mirati. La scelta strategica di of-
frire un servizio di sdoganamento in cui è
integrata l’attività di controllo si è rivelata
cruciale per velocizzare le operazioni di im-
11 Art 133, Codice Doganale dell’Unione.
port/export e ottenere una crescente effica-
cia dei controlli.12
Stante il fatto che i controlli doganali sulla
merce vengono effettuati anche a campione
– e quindi in maniera casuale – l’Agenzia si
basa per lo più su un’analisi di rischio, relati-
va a i fattori che possono far scattare proce-
dure di controllo più o meno approfondite.
Come anche specificato nel Codice Doganale
dell’UE, la gestione del rischio comprende una
serie di attività che vanno dalla raccolta di dati
e informazioni, analisi e valutazione di rischi,
prescrizione e adozione di misure e monito-
raggio, analisi dei risultati sulla base di fonti e
strategie internazionali, unionali e nazionali.
L’analisi di rischio, in un primo momento
locale, viene trasmessa in caso di alert nel cir-
cuito doganale nazionale in modo tale che
corrispondenti delle Dogane siti in altre lo-
calità abbiano la possibilità di vedere l’alert –
in relazione a un elemento che in futuro po-
trebbe costituire una minaccia anche per lo
spazio doganale di loro competenza. Il cir-
cuito doganale non è altro che una banca da-
ti dell’agenzia.13 Detto ciò, anche quando il
controllo proviene dal metodo a campione e il
risultato è negativo, questo dato verrà inseri-
to nel database dell’agenzia.
Entro un dato termine e per ragioni di sicu-
rezza, l’ufficio doganale deve procedere a
un’analisi di rischio basata sulla dichiarazione
sommaria di entrata.14
Ai fini della presente trattazione, non è ne-
cessario esaminare dettagliatamente il com-
plesso panorama procedurale della telema-
tizzazione introdotta con la riforma del Co-
dice Doganale. Nondimeno, occorre tenere a
12 Audizione del Presidente Giuseppe Peleggi presso la VI
Commissione Permanente Finanze, Camera dei Deputati,
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, 6 giugno 2013. 13 Audizione Parlamentare, Sergio Cardiello, Direttore
dell’Agenzia delle Dogane di Ravenna, 13 maggio 2015. 14 Art. 128 del Codice Doganale dell’Unione Europea.
24
mente che a livello europeo è in atto un va-
sto processo di adeguamento dei sistemi do-
ganali alla telematizzazione di dati, docu-
menti e informazioni richieste dai vettori.
Sommariamente si può dire che ogni dichia-
razione doganale presentata, anche su carta,
è trattata dal sistema ed esaminata dal Circui-
to Doganale di Controllo che provvede a in-
dirizzarla a uno dei 5 canali di controllo
(verde, giallo, arancio, rosso e blu) in rela-
zione ai circa 6.000 profili di rischio even-
tualmente associati a uno o più elementi del-
la dichiarazione (origine, provenienza, merci,
imballaggi, ecc.):
canale verde – controllo automatizzato
(CA): è il sistema stesso che, in base ai
dati in memoria nel sistema AIDA, ef-
fettua un controllo formale. In codice
verde, la merce viene immediatamente
svincolata;
canale giallo – controllo documentale della
dichiarazione e della documentazione al-
legata (CD): agli operatori viene richiesta
tutta la documentazione e le autorizzazio-
ni correlate alla movimentazione;
canale arancione – controllo documentale
e verifica “scanner” (raggi-x) dei mezzi
di trasporto e dei container (CS) per ve-
rificare che ci sia un riscontro positivo
tra l’immagine del prodotto e quanto di-
chiarato;
canale rosso – controllo documentale e
fisico delle merci (VM): se dai controlli
scanner gli addetti rilevano merce non
dichiarata o sostanze illecite, essi scari-
cano materialmente il container per ve-
rificare il contenuto; 15
canale blu – controllo a posteriori con re-
visione dell’operazione effettuata. Il cir-
15 Audizione del Presidente Giuseppe Peleggi presso la VI
Commissione Permanente Finanze, Camera dei Deputati,
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, 6 giugno 2013.
cuito doganale di controllo selezionerà
per ogni ufficio un campione di dichiara-
zioni indirizzate precedentemente al cana-
le CA per sottoporle a revisione, al fine di
verificare unitamente agli elementi dell’ac-
certamento, anche la concordanza tra il
fascicolo cartaceo e il fascicolo elettronico
eventualmente trasmesso.16
Riassumendo, dunque, i controlli possono es-
sere di tipo automatizzato, documentale, ispet-
tivo totale o parziale fisico della merce o attra-
verso l’utilizzo della tecnologia scanner.17
Tutto il sistema è quindi incentrato su fatto-
ri/indicatori di rischio che, a loro volta, si
basano su una costante attività di raccolta,
elaborazione e valutazione delle informazio-
ni provenienti dall’analisi dei flussi e da nu-
merose banche dati nazionali e comunitarie.
Un processo ciclico di valutazione e corre-
zione dei profili di rischio in relazione ai ri-
sultati dei controlli, il cui esito viene registra-
to nel sistema, consente al sistema di gestio-
ne automatizzata del rischio di “apprendere”
dai risultati ottenuti per accrescere l’efficacia
e la selettività dei controlli, riducendone
progressivamente la quantità. O, meglio, una
serie di feedback positivi fa diminuire i con-
trolli. Al contrario, una serie di feedback ne-
gativi registrati indurrà il Corpo a una mag-
giore attenzione e, di conseguenza, a un au-
mento progressivo dei controlli.
LA GUARDIA DI FINANZA
La Guardia di Finanza s’inserisce tra gli altri
attori rilevanti nella grande dimensione della
sicurezza portuale grazie anche al nuovo
ruolo di vera e propria Polizia del mare at-
traverso il conferimento di poteri esclusivi di
16 Agenzia delle Dogane, 11 gennaio 2016. 17 G. DAL SAVIO, G. DARI, L’impatto dell1attività doganali sui
flussi portuali containerizzati, Studi e Ricerche n.1/2012, Agen-
zia delle Dogane. Tra i più diffusi vi è la tecnologia Silhouette
Scanner per container in transito.
25
tutela della sicurezza nel mare.18 In aggiunta
alle summenzionate autorità, anche la Guar-
dia delle Finanza esercita poteri di controllo
e vigilanza all’interno dei varchi delle aree
portuali. Infatti, sebbene il servizio doganale
venga in primis svolto dal personale delle
Dogane, può esser svolto dai militari della
Guardia di Finanza in via sussidiaria; questi
ultimi, per motivi di sicurezza fiscale, posso-
no agire anche al di fuori delle aree stretta-
mente doganali e quindi al di fuori delle aree
di carico e scarico merci. Il T.U.L.D (Testo
unico delle leggi doganali) regola i poteri di
visita, ispezione e controllo delle persone e
quelli sui mezzi di trasporto e i bagagli. In
aggiunta a ciò, i militari della Guardia di Fi-
nanza, sempre nel rispetto del T.U.L.D,
svolgono autonomamente il servizio di ri-
scontro nella fase finale del procedimento di
controllo, integrando l’accertamento con un
esame fisico della merce, sommario ed
esterno, che garantisca la rispondenza con
quanto indicato nei documenti doganali di
scorta. Come già sopra menzionato, il testo
procede a regolamentare la presenza del
Corpo delle Dogane e dei militari della
Guardia di Finanza nelle varie situazioni. Va
comunque detto che la presenza dei militari
della Finanza accanto alle Dogane deve esse-
18 Dal 1° gennaio 2017, infatti, alla luce di quanto disposto
dal Decreto Legislativo n. 177 del 19 agosto 2016, alla
Guardia di Finanza sono state attribuite funzioni esclusive
nell’ambito del comparto di specialità della “sicurezza del
mare”, rendendo di fatto il Corpo l’unica Forza di Polizia a
mare. Ad ogni modo, la Guardia di Finanza da sempre
svolge in mare il suo ruolo esclusivo di polizia economico -
finanziaria (D.Lgs n .68/2001) integrando il dispositivo re-
gionale con quello di proiezione sia per il controllo delle
frontiere esterne con le attività di esplorazione aeromaritti-
ma condotte in acque internazionali, sia per la difesa degli
interessi economici del paese con l’impiego dei reparti ope-
rativi aeronavali che insistono sul territorio, potendo così
sviluppare una complessa ed organizzata attività sinergica
per il contrasto dei traffici illeciti, nelle loro varie forme.
re sempre rispettato ogni qual volta ci sia
una motivata richiesta da parte dei primi.19
In ambito doganale la Guardia di Finanza
garantisce un saldo presidio rispetto alle mi-
nacce provenienti dall’esterno dell’Unione
Europea ed è in grado di sviluppare approfon-
dite e complesse indagini di polizia giudiziaria
volte a disarticolare le organizzazioni criminali
dedite agli illeciti traffici e a sottoporre a se-
questro i profitti dalle stesse conseguiti. A dif-
ferenza dell’Autorità Doganale, la Guardia di
Finanza è a tutti gli effetti un organo di Polizia
dotato di attività di intelligence, ragion per cui
l’acquisizione delle informazioni avviene se-
condo modalità diverse. L’operato della Guar-
dia di Finanza nelle zone portuali rientra anche
nelle funzioni ordinarie di lotta alla criminalità
organizzata, al traffico di stupefacenti, ecc, tut-
te attività dove un ruolo centrale è giocato dai
vari reparti investigativi come S.C.I.C.O (Ser-
vizio Centrale di Investigazione sulla Crimina-
lità Organizzata), G.I.C.O (Gruppi di investi-
gazione sulla criminalità organizzata) e G.O.A.
(Gruppo Operativo Anti-Droga). Da ciò
emergono due esigenze fondamentali quando
si parla di sicurezza portuale:
una quanto più chiara possibile distin-
zione e, allo stesso tempo, coordina-
mento tra l’Agenzia delle Dogane e
Guardia di Finanza;
una sinergia tra tutti i corpi addetti a ga-
rantire la sicurezza portuale.
Tale sinergia appare indispensabile, special-
mente all’occorrere di incidenti di sicurezza.
La diversità dei ruoli all’interno delle aree por-
tuali e nelle immediate vicinanze conduce, in
realtà, a una necessaria cooperazione tra i vari
organi per il contrasto dell’immigrazione clan-
destina e falsificazione di documenti e per tutti
i traffici illeciti che sono di principale interes-
se per questa ricerca.
19 Artt. 21 e 63 del Testo Unico Leggi Doganali.
26
4. TRAFFICI ILLECITI
4.1 IL CONTRABBANDO DI
TABACCHI LAVORATI ESTERI
Secondo alcuni dati pubblicati recentemente
dal Project Sun, l’Italia è al 21esimo posto in
Europa per il consumo di sigarette di con-
trabbando.1 In numeri, circa il 5,8%, che tra-
sformati in accise non pagate corrisponde-
rebbero a 822 milioni di euro. Sebbene que-
sti dati non siano particolarmente allarmanti
se confrontati con quelli di altri paesi euro-
pei, un’importante fetta del mercato resta
comunque occupata dalle sigarette di con-
trabbando. Appare quindi naturale chiedersi
come queste ultime entrino nel mercato ita-
liano – occupandosi in questo contesto
dell’ingresso tramite le zone intra-ispettive
marittime (ovvero zone dove sono presenti i
controlli frontalieri).
LA STORIA DEL CONTRABBANDO IN ITALIA
In Italia il contrabbando di sigarette o, più
precisamente di TLE, si manifesta come at-
tività illecita legata alla criminalità autoctona
e straniera – organizzata e non – e ha vissuto
periodi di floridità alternati a periodi di stallo.
1 The Project SUN è lo studio annuale di KPMG sulla por-
tata e lo sviluppo del mercato illecito delle sigarette nei Pae-
si dell’UE, in Norvegia e in Svizzera, commissionato dal
Royal United Services Institute for Defence and Security
Studies (RUSI). L’ultima edizione dello studio è disponibile
alla pagina web:
https://home.kpmg.com/uk/en/home/insights/2017/07/
project-sun-2016-results-illicit-cigarette-market.html
Appare utile ripercorrere sinteticamente
l’evoluzione del fenomeno. Sin dal secondo
dopoguerra, l’Italia ha costituito un impor-
tante scenario per il contrabbando di sigaret-
te. Gli anni ’50 hanno visto un principio di
questo traffico sulla fascia tirrenica e, in par-
ticolare, in Campania. Basti pensare che solo
il 20% della produzione di sigarette proveni-
va dal Monopolio dello Stato, mentre il 50%
di produzione campana era legato a elementi
camorristici e il restante 30% era gestito dal
contrabbando dei porti di Gibilterra, Marsi-
glia, ecc.
È negli anni ʼ70 che si assiste a un boom del
contrabbando di sigarette a causa dello
shock petrolifero che provocò una profonda
crisi economico-finanziaria. La domanda di
sigarette a bassissimo prezzo era, di conse-
guenza, sempre in aumento e i famosi “scafi
blu” che prelevavano i carichi di sigarette
dalle navi madri approdavano giornalmente
e con grande affluenza presso il porto di
Napoli. Tutta questa fase ha fatto sì che si
venissero a creare delle “multinazionali” del
contrabbando di sigarette gestite dalla crimi-
nalità organizzata, ormai altamente specializ-
zata nel settore.2
Gli anni ’80-’90 hanno visto l’inizio di una
nuova tecnica di ingresso dei carichi illeciti di
sigarette, attraverso zone extra-ispettive –
2 A. MIGLIACCIO, Il secondo dopoguerra e gli anni Sessanta: il con-
trabbando, Università degli Studi di Napoli Federico II
27
ossia quelle zone dove non sono presenti i
controlli frontalieri – di cui si tratterà più
avanti nel report.3
Di fronte a tale scenario, il governo italiano
decise di procedere a uno stringente giro di
vite sulla fascia tirrenica tramite l’ausilio dei
funzionari della Guardia di Finanza. Questo
inasprimento provocò come conseguenza uno
spostamento del traffico sulla fascia adriatica.
Proprio nella fascia adriatica il contrabbando
di tabacchi ha acquistato un ruolo di assoluta
predominanza, con particolare riguardo al traf-
fico via mare che dall’area balcanica tocca le
coste del Sud Italia. Infatti, la maggior parte dei
vettori di TLE proviene dall’Est Europa, dal
Montenegro e dall’Al-bania. L’instabilità politi-
ca di quella regione ha sempre avuto un forte
impatto sull’Italia – come si vedrà, anche per il
traffico di armi. Le guerre nell’ex-Jugoslavia
degli anni ’90 hanno favorito la formazione di
organizzazioni criminali dedite ai più svariati
traffici illeciti, aggiungendosi a gruppi criminali
preesistenti.4
La famosa Operazione “Primavera” del 2000
portò a una significativa battuta di arresto
del contrabbando di sigarette in Italia. In se-
guito agli eventi del 23 febbraio del 2000 a
Brindisi, quando due finanzieri persero la vi-
ta e due furono gravemente feriti a causa di
uno speronamento da parte di alcuni con-
trabbandieri, il governo diede il via a una
forte azione di contrasto. Dal 28 febbraio al
15 giugno 2000, questo intervento si tra-
sformò in una vera e propria maxi-
operazione, non limitandosi solo alle sigaret-
te, ma estendendosi anche a droga e armi. Il
periodo immediatamente successivo all’Ope-
razione “Primavera” ha visto una fase di
3 Generale D. STEFANO SCREPANTI, Strategie Internazionali ed
europee nella lotta contro il commercio illegale di prodotti del tabacco,
Comando Generale della Guardia di Finanza, gennaio 2018. 4 C. RACIOPPI, in N. Dalla Chiesa (a cura di), Mafia globale.
Le organizzazioni criminali nel mondo, Milano, Laurana Editore,
2017, p. 133.
tranquillità, o quantomeno di semplice calma
apparente. A un’iniziale diminuzione del
traffico si contrappone una nuova fase carat-
terizzata da una sensibile e meno timida ri-
presa del contrabbando di sigarette.
L’esperienza del passato ha comunque dota-
to le forze dell’ordine italiane di grandissime
conoscenze relative al traffico, sia per quan-
to riguarda le tecniche utilizzate sia per gli
attori coinvolti.
QUAL È LA SITUAZIONE ATTUALE DEL
CONTRABBANDO DI SIGARETTE VIA MARE?
Pur essendo un’attività criminosa altamente
remunerativa, essa risulta comunque secon-
daria rispetto al traffico di stupefacenti. Con
quest’ultimo però condivide non di rado rot-
te e tecniche di infiltrazione. In molti casi le
sigarette di contrabbando via mare sono traf-
ficate insieme a droga, armi e immigrati clan-
destini. Tuttavia non mancano i casi in cui in-
genti quantitativi di TLE viaggiano da soli in
container dietro carichi di copertura. Si con-
stata, infatti, come il traffico di sigarette sia
per lo più di carattere intra-ispettivo, ossia
avvenga attraverso le frontiere portuali.5
Prima di procedere all’analisi di alcuni seque-
stri recentemente effettuati, dai quali poi
estrapolare le principali vulnerabilità, è bene
sottolineare che con l’espressione “sigarette
di contrabbando” ci si può riferire a:
Sigarette contraffatte: al pari delle merci
contraffatte che comunemente si ven-
dono in strada (borse, scarpe, ecc.), esi-
stono anche le sigarette contraffatte.
Pertanto esse sono sempre illegali, in
quanto costituiscono un’imitazione non
autorizzata di marchi commerciali, con
una qualità inferiore ai prodotti origina-
li. Non è infatti solo un problema di
confezione contraffatta; la qualità sia
5 Intervista ad autorità, Trieste, ottobre 2017.
28
della carta sia del tabacco generalmente
è di gran lunga inferiore, andando quin-
di a intaccare la salute dei consumatori.
Inoltre, spesso al tabacco sono aggiunte
sostanze nocive al fine di rendere anco-
ra più bassi i prezzi dei singoli pacchetti.
Illicit o cheap whites: ossia marchi prodotti
legalmente in un mercato – tassati per il
consumo locale o non tassati per
l’esportazione – e venduti consapevol-
mente a commercianti che li trasportano
in un altro paese dove i prodotti sono
venduti illegalmente, sviando così la tas-
sazione locale. In altre parole, tutto è
regolare nel paese di produzione, per
poi diventare illegale nel momento in
cui, per esempio, un determinato mar-
chio che non rispetta gli standard di
qualità comunitaria entra nell’Unione
Europea e non paga le tasse in un de-
terminato paese. Alcuni esempi di mar-
chi noti come illicit whites sono: Marble,
Minsk 6 , President, Penang, Portman,
Premier, Yes, Regina, Royal, Gold
Mount, Ashima, ecc.7
Sigarette di contrabbando in senso stretto: so-
no sigarette regolarmente prodotte dalle
grandi aziende del tabacco e destinate
alla vendita in un determinato paese, ma
vendute in realtà in un altro paese non
destinato a tale vendita. Tendenzialmen-
te, vengono trasportate illegalmente in
paesi dove la tassazione sulle sigarette è
più alta; in questi paesi, infatti, sarà più
facile trovare della clientela alla ricerca
di sigarette a prezzi inferiori.
6 Minsk, marchio della Bielorussia, è tra i più conosciuti.
Molte pressioni da parte dell’Unione Europea sono state
esercitate contro questo traffico, https://www.euractiv.
com/section/trade-society/news/minsk-under-pressure-to-
take-action-against-illicit-whites/ 7 http://tobaccocontrol.bmj.com/content/suppl/2015/09/
28/tobaccocontrol-2015-052540.DC1/tobaccocontrol-
2015-052540supp.pdf
TREND E OPERAZIONI
In Italia, la maggioranza delle sigarette se-
questrate sono di tipo illicit whites/cheap whites.
Per esempio, il 2016 ha visto un totale di cir-
ca 240 tonnellate di sigarette sequestrate, di
cui la maggior parte appartenente a
quest’ultima categoria.8 Consistenti sono sta-
ti anche i sequestri di TLE di contrabbando
effettuati nel 2017 e nei primi mesi del 2018,
i quali hanno visto il coinvolgimento di di-
versi porti italiani.9
Appare ragionevole congetturare che, nono-
stante la grande efficienza delle autorità italia-
ne coinvolte e una meticolosa attività di intelli-
gence, la reale quantità di sigarette oggetto di
contrabbando possa essere nettamente supe-
riore a quella che i sequestri effettuati mo-
strano. Ciò può essere il segno di una presen-
za del traffico illecito decisamente meno ti-
mida rispetto a qualche anno fa; in particola-
re, le possibilità di contrabbando via mare uti-
lizzando rotte e mezzi di altri traffici illeciti
costituiscono un importante facilitatore.
La seguente illustrazione (Figura 3) mostra le
zone italiane dove sono avvenuti i maggiori
sequestri di contrabbando di TLE nei primi sei
mesi del 2017. Non c’è da stupirsi se sul podio
compaiono Campania, Puglia e Friuli Venezia
Giulia. Campania e Puglia si riconfermano tra
le principali regioni per la presenza di organiz-
zazioni criminali. Nel caso pugliese, si segnala
la vicinanza geografica ad aree storicamente
sensibili. Analogamente la zona triestina detie-
ne una posizione cruciale al confine con paesi
dell’Est.
Per quanto riguarda il business del contrab-
bando di sigarette e le mafie nazionali, Ca-
morra e mafia pugliese sono quelle più inte-
ressate a questo traffico. Cosa Nostra appare
coinvolta in misura ridotta. La ’Ndrangheta
8 Generale D. STEFANO SCREPANTI. 9 Intervista ad autorità, Bari, febbraio 2018.
29
sembrerebbe preferire impegnare le sue for-
ze nel ben più remunerativo traffico di co-
caina.10
FIG. 2 - MAGGIORI SEQUESTRI DI TLE DI
CONTRABBANDO NEL PRIMO SEMESTRE DEL 2017
Fonte: Ares- Rendicontazione statistica. Il Sole 24Ore,
9 maggio 2018
I metodi utilizzati dai contrabbandieri sono
molteplici e variano molto a secondo del ti-
po di rotta di cui si servono. Se è vero che la
maggior parte delle partite di sigarette di
contrabbando proviene dalla Grecia e, a sua
volta, da paesi dell’Est Europa, nell’ultimo
periodo si è registrata la presenza di un gran
numero di stecche di sigarette provenienti
dalla Libia, dall’Algeria e dal Marocco, dovu-
ta principalmente al fatto che in questi paesi,
a causa di attività di contrasto e repressione
meno efficaci, le attività illecite fioriscono,
anche a discapito dei paesi vicini.11
Da singole operazioni si possono evincere le
principali criticità del sistema, che sollevano
10 Intervista a Cesare Sirignano, ex magistrato a Napoli e
procuratore delle Direzione Nazionale Antimafia e Antiter-
rorismo a Roma, Il Sole 24 Ore, 9 maggio 2018. 11 Ibidem.
questioni meritevoli di particolare attenzione.
Doveroso sottolineare, in particolare, come
l’utilizzo delle zone intra-ispettive comporti
pericoli per gli stessi operatori incaricati della
sicurezza portuale, in prima linea nella lotta
contro i traffici illeciti e la contraffazione.
LA “FRONTIERA ESTESA”.
IL RUOLO DELLA GRECIA
Tra i principali punti da analizzare,
un’attenzione preminente deve essere data al
ruolo della Grecia. Questo tema non riguar-
da soltanto il contrabbando di sigarette e
pertanto verrà menzionato più volte nel cor-
so del report.
Accanto ai suoi benefici indiscussi, il regime
Schengen, responsabile dell’eliminazione dei
controlli alle frontiere interne dell’Europa,
ha fatto sì che molti stati abbiano di fatto vi-
sto la propria frontiera spostarsi in un altro
luogo. Verso sud-est la frontiera europea
dell’Italia (e non solo) è effettivamente rap-
presentata dalla Grecia, con tutte le possibili
instabilità derivanti.12
In sostanza, è come se l’Italia affidasse parte
della sua sicurezza alle frontiere greche. I ca-
richi illeciti che dall’Est oltrepassano il con-
fine greco entrano già nello spazio Schen-
gen. Ed è impossibile non considerare il fat-
to che la frontiera greca subisca continua-
mente le conseguenze della politica di sicu-
rezza della Turchia. In questo modo, stati
più deboli dal punto di vista della sicurezza
rischiano di diventare facili porte di ingresso
per traffici illeciti.13
Uno dei casi più recenti e importanti è quello
che ha colpito il porto di Bari nel febbraio
2018. Su una motonave proveniente dalla
Grecia, Guardia di Finanza e Agenzia delle
12 Il contrabbando di sigarette come fenomeno transnazionale: flussi e
connessioni tra Italia e Grecia, Intellegit, Università degli Studi
di Trento, 2018. 13 Intervista ad autorità, Bari, gennaio 2018.
30
Dogane e dei Monopoli hanno ritrovato una
notevole quantità di sigarette di contrabbando
di marca Marble richiusi in cartoni in mezzo
ad altra merce. I primi sospetti sulla presenza
delle sigarette sono scaturiti dal preventivo
esame dei documenti di accompagnamento del
carico, in relazione a incongruenze relative
all’ignaro soggetto destinatario e al peso di-
chiarato inerente a presunti bicchieri di vetro
provenienti dalla Georgia. L’esame del contai-
ner, a mezzo di apparecchiatura radiogena si-
lhouette scanner a raggi X del locale Ufficio
delle Dogane, ha confermato i sospetti, dive-
nuti certezza al momento dell’apertura del
container. Nascosti dietro un centinaio di car-
toni contenenti bicchieri di vetro di pessima
qualità, sono state rinvenute – accuratamente
stoccate in scatole di cartone – circa nove ton-
nellate di sigarette.14
Altro caso di un ingente sequestro di tabac-
chi lavorati esteri ha coinvolto Agenzia delle
Dogane e Guardia di Finanza nel porto di
Ancona lo scorso gennaio 2018.
Dopo aver fermato un articolato condotto
da un cittadino bulgaro sbarcato da una mo-
tonave proveniente dalla Grecia e traspor-
tante 26 palette di bottiglie di vetro vuote, le
autorità hanno scoperto che tali palette fun-
gevano da copertura a un cassone contenen-
te 1.000 stecche di sigarette di contrabbando
per paletta (per un totale di 5.200 kg di ta-
bacco e corrispondenti ad un’evasione di cir-
ca 991.000 euro).15
E ancora nel novembre del 2017, un altro in-
gente carico di 15.500 kg di tabacco afgano e 1
kg di sigarette Pine Lights, proveniente dalla
Grecia, era stato rinvenuto da Agenzia delle
Dogane e Guardia di Finanza del Porto di Bari
e successivamente sequestrato.16
14 Agenzia delle Dogane, 13 febbraio 2018. 15 Agenzia delle Dogane, 25 gennaio 2018. 16 Agenzia delle Dogane, 7 novembre 2017.
L’entità del fenomeno stimola naturalmente
riflessioni in merito a soluzioni efficaci ed
efficienti rispetto a lacune e criticità nel si-
stema sicurezza di stati esteri più fragili, que-
stione che verrà affrontata in seguito.17
LA ROTTA DAL NORD AFRICA
Per i motivi sopra menzionati anche il Nord
Africa costituisce un punto di partenza e di
transito delle sigarette di contrabbando. I paesi
maggiormente coinvolti sono Marocco, Libia,
Egitto, Tunisia e Algeria. Queste zone, dun-
que, non sono interessate soltanto dai traffici
di sostanze stupefacenti, comunque molto più
remunerativi, ma anche dell’esportazione di
TLE, specialmente del tipo cheap whites.
I numerosi collegamenti commerciali e turi-
stici tra questi paesi e l’Italia, con particolare
riguardo alla fascia tirrenica, permettono
l’occultazione anche di altri tipi di merce.
L’esistenza di questa rotta dipende da diversi
fattori che vanno dalla criminalità locale pre-
sente in Italia e dai rapporti tra la criminalità
organizzata italiana e quella dei paesi produt-
tori di tabacco.
Un caso recentissimo accaduto presso il por-
to di Livorno ha messo in luce l’importanza
di questa rotta. Lo scorso maggio 2018, la
Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Dogane
hanno rinvenuto all’interno di un container
sospetto 9 tonnellate di TLE, di tipo cheap
whites, suddivise in 900 casse da 50 stecche
ciascuno. La merce era stata nascosta dietro
a componenti d’arredamento provenienti dal
porto africano di Bissau (Guinea Bissau),
con scalo a Tangeri (Marocco), all’interno di
un container che a livello documentale risul-
tava utilizzato per il trasporto di tavoli e se-
die di legno destinati all’Italia.
Il rinvenimento di questo carico è stato pos-
sibile grazie all’implementazione da parte de-
17 Vedasi la sezione dedicate alle raccomandazioni.
31
gli attori incaricati dell’analisi di rischio, che
ha tenuto conto del paese di origine, di transi-
to, destinazione e tipologia di prodotto.18
NON SOLO CRIMINALITÀ ORGANIZZATA.
L’OPERAZIONE “DOGE VESUVIANO”
Partita nel 2016 in seguito al ritrovamento di
un ingente quantitativo di TLE, l’Opera-
zione “Doge Vesuviano” ha segnato il più
grande sequestro di sigarette nel porto di Li-
vorno degli ultimi anni.
In un rimorchio contenente, all’apparenza,
lana di vetro, Agenzia delle Dogane e Guar-
dia di Finanza hanno portato alla luce più di
36 mila stecche di sigarette, per un totale di 7
tonnellate e mezzo di tabacco di contrab-
bando. Molte di queste stecche (marchi co-
me American Legend, Roma, Futura Blu,
Futura Red, 500) contenevano sostanze al-
tamente nocive per la salute. Proprio per
questa ragione la sigaretta contraffatta ha un
costo decisamente inferiore e, inoltre, ven-
duta a prezzi irrisori, viene acquistata preva-
lentemente dalle persone più giovani.
Il carico, il cui valore di commercializzazione
è stato stimato in circa 1 milione di euro, era
documentato come merce estera provenien-
te dalla Tunisia e destinato in buona parte in
Campania.19
Le indagini hanno scoperto che dietro que-
sto traffico illecito vi era l’attività di un pic-
colo gruppo criminale, composto da soggetti
sia italiani (campani e livornesi) sia tunisini,
apparentemente non legato a sodalizi di vera
e propria criminalità organizzata e mafia tra-
dizionale. Questo caso dimostra che anche
gruppi criminali di modeste dimensioni sono
18 Guardia di Finanza, 25 maggio 2018. 19 http://www.rainews.it/dl/rainews/TGR/media/sigarette
-contrabbando-livorno-00d74a25-77f9-429d-b8ce-
d8ea666ab9a8.html
in grado di organizzare il traffico di ingenti
carichi attraverso scali portuali di rilievo.20
La particolarità di questo caso risiede anche
nel furto di identità, a opera di questi soggetti,
di una società veneta – estranea ai fatti – per
la conduzione delle operazioni di sdogana-
mento dei traffici illeciti al fine di rendere il
carico meno sospetto agli occhi delle Dogane
e della Guardia di Finanza. Tale elemento
mette in luce un’ulteriore criticità e vulnerabi-
lità del sistema, data l’estrema difficolta nelle
attività di controllo e prevenzione.
L’IMPORTANZA DELLA TECNOLOGIA
SCANNER
Sebbene i sequestri non rappresentino il primis-
simo obiettivo delle autorità, essi sono comun-
que necessari per: a) sottrarre denaro e risorse ai
gruppi criminali coinvolti; b) comprendere chi
si celi dietro le spedizioni e smantellare i gruppi,
portando i componenti di fronte alla giustizia; c)
indagare il funzionamento e le dinamiche dei
traffici illeciti, al fine di applicare simili analisi in
altre zone e contesti.21
Molti sequestri non sarebbero possibili senza
l’utilizzo della tecnologia scanner in dotazio-
ne presso i porti.. I controlli doganali neces-
sitano dell’ausilio degli scanner per rilevare
merci illecite o comunque pericolose che si
possano celare all’interno dei vari vettori, sia
container, sia semplici navi cargo, tir, baga-
gli, ecc. Gli scanner sono in grado di rilevare
doppi-fondi e quanto difficilmente rilevabile
a occhio nudo, specialmente a causa degli
enormi quantitativi di tempo necessari
all’espletamento di tali operazioni.
Proprio grazie all’utilizzo della tecnologia
scanner, e a dimostrazione della loro impor-
tanza, il Porto di Bari nel 2017 e 2018, in
particolare, ha potuto assistere a ingenti se-
20 https://livornopress.it/7-tonnellate-sigarette-contrabbando-
contraffatte-rischi-la-salute 21 Intervista ad autorità, Brindisi, giugno 2018.
32
questri di sigarette. Il primo caso riguarda il
sequestro di 19.500 stecche di sigarette di-
sposte in 390 casse trasportate in un tir con
targa bulgara da un autista greco. Il carico,
formalmente destinato a Roma, era in realtà
diretto a Ravenna dove sarebbe arrivato at-
traverso un’altra nave cargo. A causa di un
sospetto derivante da un’incongruità docu-
mentale, l’Autorità delle Dogane ha portato
alla luce il carico illecito grazie all’ausilio del-
la tecnologia scanner. Questo è stato possi-
bile nonostante il carico di sigarette fosse na-
scosto dietro una partita di lana di roccia,
conosciuta per le sue proprietà isolanti.22
Lo scorso marzo 2018 le autorità del porto
di Brindisi hanno rinvenuto dietro casse di
arance quasi 7 tonnellate di sigarette di con-
trabbando (Mark e Regina) – circa 32 mila
stecche di “bionde” – che viaggiavano su un
articolato con targa bulgara proveniente dalla
Grecia e con conducente lettone. Oltre a es-
sere nascoste dietro la partita di arance, le
stecche erano coperte da lamine di metallo,
nella speranza che potessero sfuggire alla
tecnologia scanner.23
Coinvolto dall’attività di contrabbando di si-
garette è stato anche il porto di Civitavecchia
(RM). Lo scorso 7 luglio 2017, a seguito di
incongruenze documentali, le Dogane del
luogo hanno individuato un carico di circa 6
tonnellate e mezzo di sigarette di contrab-
bando trasportate da un marocchino e pro-
venienti da Barcellona. Le forze di Dogana e
Guardia di Finanza sono riuscite a rinvenire
questo carico illecito grazie all’uso della tec-
nologia scanner, che ha individuato le partite
22 https://video.repubblica.it/edizione/bari/brindisi-4-
tonnellate-di-sigarette-nascoste-nel-tir-arrestato-l-
autista/275535/276099 23 http://www.brindisireport.it/cronaca/casse-di-arance-e-
6-6-tonnellate-di-sigarette-sequestro-e-arresto-nel-
porto.html
di TLE dietro lampadari da giardino e altri
arredamenti da esterno.24
Questi due casi, comunque non isolati nei
porti italiani, mettono in evidenza l’impor-
tanza fondamentale che riveste la tecnologia
scanner. Gli scanner, mobili o fissi, risultano
mezzi necessari per il contrasto ai traffici il-
leciti, non solo con riguardo alle sigarette,
ma anche ad armi e droga. I metodi sempre
più ingegnosi ideati dai soggetti criminali
rappresentano una sfida impegnativa per gli
addetti alla sicurezza. Gli scanner fissi, ossia
quelli attraverso i quali passano camion, con-
tainer, ecc., sono sicuramente più efficaci ri-
spetto a quelli mobili: l’attra-versamento ob-
bligatorio degli apparati fissi da parte di tutti
i container in entrata e in uscita dai porti ita-
liani costituirebbe un importante deterrente
ai traffici illeciti.25
NON SOLO CONTAINER E CARICHI MERCI
Come spesso ribadito anche dagli esperti del
settore, le tecniche di infiltrazione sono mol-
to variegate e per così dire creative. Se nella
maggior parte dei casi, si assiste a un ampio
uso di container, articolati e così via, data
ovviamente la grande capacità in termini di
volume, di grande importanza risulta anche il
trasporto della merce da parte di individui in
semplici bagagli.
Per esempio, a fine marzo del 2018, la
Guardia di Finanza di Reggio Calabria ha
proceduto a un controllo di bagagli personali
di un giovane cittadino italiano che si stava
imbarcando a Villa San Giovanni (RC) in di-
rezione di Palermo su un bus di linea. Nel
bagaglio erano conservati circa 170 stecche
di sigarette corrispondenti a 40 kg di TLE.26
24 Agenzia delle Dogane, 7 luglio 2017. 25 Direzione generale delle Dogane, Audizione alle Camere,
XIII legislatura. 26 Sole 24ore, 9 maggio 2018.
33
Un altro caso degno di nota risale al 18 ot-
tobre 2017, presso il porto di Palermo, dove,
al momento del controllo passeggeri, un
viaggiatore proveniente della Tunisia è stato
sorpreso con un carico di 29 kg di TLE nel
suo bagaglio.27
Un altro esempio è il caso, risalente al 9 ot-
tobre 2017, di un sequestro di 17 kg di ta-
bacchi (del tipo Winston, Marlboro, Chester-
field, Pall Mall, Rothmans, Play Kent Nere e
Bianche) al porto di Bari. Il carico era nasco-
sto in alcuni bagagli che appartenevano a sei
individui di diverse nazionalità.28
Due casi simili nel porto di Bari risalgono al
28 agosto 2017 quando, Dogane e Guardia
di Finanza hanno ritrovato in fase di con-
trollo passeggeri 20 kg di tabacchi lavorati
esteri (Philip Morris, Lucky Strike, Rodeo e
27 Agenzia delle Dogane, 18 ottobre 2017. 28 Agenzia delle Dogane, 9 ottobre 2017.
FM Slims), occultati nei bagagli appartenenti
a tre cittadini albanesi e un macedone, pro-
venienti dall’Albania29 e quello del 23 agosto
del medesimo anno, quando sono stati se-
questrati 18,5 kg di TLE in bagagli apparte-
nenti a tre cittadini albanesi e un italiano,
provenienti sempre dall’Albania.30
Un caso particolare è quello concernente una
nave da crociera battente bandiera olandese
approdata al porto di Civitavecchia, prove-
niente da Napoli. Nell’aprile del 2017,
nell’ambito dell’attività dei controlli doganali
svolti presso il porto, i funzionari dell’Uf-ficio
delle Dogane, unitamente ai militari della lo-
cale Compagnia della Guardia di Finanza,
dopo un attento monitoraggio delle liste pas-
seggeri hanno individuato e fermato una
coppia di turisti italiani, trovati in possesso di
29 Agenzia delle Dogane, 28 agosto 2017. 30 Agenzia delle Dogane, 23 agosto 2017.
34
3.430 pacchetti di sigarette, per un totale di
circa 70 kg, di tipo Marlboro, Camel, Cheap
White e Ome. Le sigarette – occultate
all’interno di 4 valigie – qualora immesse sul
mercato clandestino, avrebbero fruttato circa
20.000 euro, con conseguente evasione di ac-
cisa e Iva per oltre 12.000 euro.31
Situazione similare si è presentata, nel porto
di Bari, qualche mese più tardi, nell’agosto
del 2017, quando le autorità hanno seque-
strato 5,5 kg di tabacco fuso, diviso in undici
pacchi nascosti in un’autovettura guidata da
un cittadino albanese.32
Questi casi mettono in luce quanto possa es-
sere difficile controllare tutte le persone (e ri-
spettivi bagagli) che oltrepassano i varchi por-
tuali. Anche in questo caso le tecniche di oc-
cultamento sono estremamente variegate e
talvolta anche pericolose per gli stessi vettori.
LA QUESTIONE DELLE ZONE
EXTRA-ISPETTIVE
Il contrabbando di sigarette attraverso zone
extra-ispettive è molto diffuso, specialmente in
alcune aree geografiche, in virtù della vicinanza
territoriale a zone sensibili che permette un fa-
cile utilizzo di questo modus operandi. In virtù
della prossimità geografica della fascia adriatica
dell’Italia a quella balcanica, possono essere
usate imbarcazioni veloci come vettori di siga-
rette, migranti irregolari, droghe e armi. Si assi-
ste a un problema analogo lungo la rotta cen-
trale del Mediterraneo che congiunge il Nord
Africa con l’Italia del Sud.
L’analisi dettagliata dei metodi utilizzati per
condurre le attività di contrabbando esula
dagli obiettivi del presente rapporto. Non-
dimeno è utile sottolineare che la presenza di
vari gruppi criminali che si fanno largo in
questo tipo di attività illecita altamente re-
31 Agenzia delle Dogane, 7 aprile 2017. 32 Agenzia delle Dogane, 18 agosto 2017.
munerativo; spesso misti, come italiani e tu-
nisini / marocchini / tunisini albanesi o an-
che russi, ecc. Tali gruppi prediligono l’uso
di zone extra-doganali, utilizzando coste re-
mote e scarsamente abitate come punti di
approdo per sfuggire ai controlli di sicurez-
za. Ecco quindi che anche i punti extra-
frontalieri possono rappresentare un perico-
lo per il sistema sicurezza del paese.
4.2 IL TRAFFICO DI SOSTANZE
STUPEFACENTI
Il traffico di droga è considerato la più im-
portante fonte di guadagno per le organizza-
zioni criminali di tutto il mondo. Secondo
alcuni dati di Europol, nel 2017 sono state
identificate circa 5.000 organizzazioni crimi-
nali operanti nell’Unione Europea; per più di
un terzo erano coinvolte nel traffico di dro-
ga.33 Nella maggior parte dei casi, si tratta di
organizzazioni criminali ben strutturate e or-
ganizzate, raramente dedite al solo traffico di
droga, bensì coinvolte anche in traffico di
armi, di esseri umani e di merce contraffat-
ta.34
Traffico di droga in Italia
via frontiera marittima
Nel 2017 l’Italia ha visto un totale di seque-
stri di sostanze stupefacenti da parte di For-
ze dell’ordine e Autorità doganali pari a circa
101.175,913 kg di stupefacenti.35 La maggior
parte dei sequestri ha riguardato cannabis
(hashish e marijuana), seguita da cocaina ed
eroina. Tale numero, che non distingue tra
sequestri via mare e via terra – e dunque
nemmeno tra via frontiera marittima o terre-
33 Europol, European Union Serious and Organized Crime Threat
Assessment (SOCTA), 2017, p. 14. 34 The drug problem and organized crime, illicit financial
flows, corruption and terrorism, UNODC, 2017, p. 16. 35 Direzione Centrale per i Sevizi Anti-Droga, Dati Sicurez-
za 2017. La somma indicata rappresenta la somma dei dati
riportati su base mensile.
35
stre – è altresì indicativo dell’importante
quantità di stupefacenti che viene rinvenuta
e sequestrata in Italia.
Concentrandoci ora sui modi operandi del traf-
fico di stupefacenti che sfida i controlli delle
frontiere portuali, si può dire che diversi so-
no i paesi di provenienza per cocaina, eroina
e cannabis. Simili, invece, sono le tecniche di
introduzione in Italia.
In particolare, appare di grande interesse il
traffico di cocaina. Infatti, essendo in mano
a potenti organizzazioni criminali di stampo
mafioso e sfruttando rotte di medio-lungo
raggio, è associato a una varietà molto ampia
di metodi di infiltrazione nella frontiera por-
tuale.
4.2.1 IL TRAFFICO DI COCAINA
L’Italia è una delle principali destinazioni del
traffico di cocaina; meno frequentemente
costituisce un paese di transito. Il traffico di
questa sostanza stupefacente in Italia è per-
lopiù monopolio delle varie cosche (’ndrine)
della ’Ndrangheta, per le quali il traffico di
stupefacenti costituisce il settore più remu-
nerativo. Tra tutte le varie organizzazioni di
stampo mafioso in Italia, infatti, quella cala-
brese è riuscita ad acquisire il quasi totale
controllo di questo traffico, spingendo le al-
tre organizzazioni criminali, italiane o stra-
niere, a specializzarsi nel traffico di altre
droghe o in altri traffici illeciti.
La particolarità della ’Ndrangheta è che la
detenzione di questo monopolio le permette
di curarsi meno degli altri traffici, come ad
esempio quello dei tabacchi lavorati esteri,
preferendo lasciare questo tipo di attività a
Camorra e mafie pugliesi, quasi a spartirsi i
proventi per un pacifico modus vivendi.
L’acquisizione di questo sostanziale mono-
polio è stata possibile grazie alla creazione di
solidi rapporti con i cartelli sudamericani che
hanno reso la ’Ndrangheta tra le organizza-
zioni mafiose più importanti al mondo, con
ramificazioni anche in tutto il Centro-Nord
Italia e nel resto d’Europa36 (oltre che nel re-
sto del mondo). Ragion per cui, sono le altre
organizzazioni mafiose italiane a doversi ri-
volgere ai clan calabresi per l’acquisto di par-
tite di cocaina.37
Questa regola del gioco si è venuta a forma-
re alcuni anni fa; in particolare, quando con
l’Operazione “New Bridge”38 del 2014 si re-
gistrarono le prime conferme del fatto che la
’Ndrangheta stesse acquisendo molto più
potere nel traffico transnazionale sia di co-
caina sia di eroina rispetto a Cosa Nostra.
Questo aspetto è stato poi confermato da
una successiva operazione, la “Buongu-
staio”, del 2014,39 che permise di verificare
che la ’Ndrangheta era effettivamente dive-
nuta la mafia italiana più potente al mondo,
con contatti diretti in moltissimi paesi.
36 Tra gli altri, N. GRATTERI, A. NICASO, Fratelli di sangue,
Milano, Mondadori, 2010, p. 93. 37 “La porta della cocaina in Europa? Il porto di Gioia
Tauro”, Linkiesta, 10 febbraio 2017. 38 L’indagine è frutto di un lavoro avviato nel 2012 dallo
Sco (Servizio centrale operativo) della Polizia di Stato
nell’ambito del protocollo di intesa denominato “Progetto
Pantheon", siglato fra Italia e Stati Uniti con lo scopo di
contrastare la criminalità organizzata transnazionale. L'inda-
gine ha svelato il tentativo delle ’ndrine di far giungere in
Italia un ingente quantitativo di cocaina proveniente dai
potenti cartelli narcos del Centro America, con basi logisti-
che nel Sud (Guyana) e in Italia, a Gioia Tauro. La cocaina
arrivava dall’America in forma liquida all'interno di barattoli
di frutta confezionata da una società guyanese, a cui lo scor-
so novembre era stato sequestrato un carico di oltre 70 chi-
li. Operazione New Bridge: fiumi di droga tra Italia e Stati Uniti,
Polizia di Stato, 11 febbraio 2014. 39 Una maxi-operazione tra Italia, Europa e Brasile, con il
coinvolgimento di importanti cosche della ’Ndrangheta. Si
acquistavano e importavano dal Sudamerica enormi quanti-
tativi di cocaina a bordo di navi mercantili, provenienti
principalmente dal Brasile e dal Perù e collocati in borsoni
all`interno di container con la tecnica del rip-off (questo si-
stema verrà illustrato nel paragrafo successivo).
36
Ed è proprio in questo modo che il porto di
Gioia Tauro aumenta ancor di più la sua im-
portanza nello scacchiere mondiale del traf-
fico. Come noto, infatti, esso costituisce an-
che la più grande porta di ingresso della co-
caina, tanto da essere talora denominato
“Coca Tauro”. 40 Un porto ormai divenuto
fondamentale per la ’Ndrangheta, dove le
famiglie più importanti della piana di Gioia
Tauro – Piromalli, Pesce, Molè, Bellocco –
dominano riuscendo a penetrare la gestione
del porto a più livelli.
La pervasiva presenza ’ndranghetistica ha
fatto sì che le Forze dell’ordine e la Magi-
stratura abbiano avviato un forte giro di vite
sul porto calabrese, con controlli sempre più
serrati e, di conseguenza, sequestri di cocaina
sempre più massicci.
Durante il semestre luglio-dicembre 2017 nel
porto gioiese sono stata sequestrata circa una
tonnellata di cocaina, dando conferma ulte-
riore di come il porto continui a rappresen-
tare un importante scalo per il traffico di co-
caina. Il totale per l’intero 2017 si è aggirato
intorno ai 1700 kg in totale. Ed è questa la
quantità in media sequestrata nel porto
gioiese ogni anno.41 Questi dati sono il sim-
bolo dell’esistenza di una forte presenza e
capacità di penetrazione nel porto di Gioia
Tauro, difficile da scardinare.
Il forte giro di vite delle autorità italiane, pe-
rò, ha fatto sì che la ’Ndrangheta abbia gra-
dualmente iniziato a guardare altrove, in cer-
ca di nuovi punti di approdo dove poter far
arrivare il suo “oro bianco” dal Sud America.
L’idea sottostante era di trovare dei porti
con un volume di traffico rilevante e, allo
stesso tempo, senza un’attenzione così forte
da parte delle forze dell’ordine. Le varie co-
sche hanno così pensato di rivolgersi ai porti
40 M. CALIGIURI, A. SBERZE, “Gioia Tauro, l’ennesima oc-
casione sprecata”, Limes, febbraio 2018, p. 202. 41 Intervista ad autorità, Reggio Calabria, maggio 2018.
del Nord Italia, come quelli di Genova, La
Spezia, Vado Ligure (SV), Livorno, Venezia.
Con una particolare attenzione ai porti di Li-
vorno e di Genova, i pericolosi legami che i
clan dell’organizzazione sono riusciti a creare
e cementare hanno reso queste aree crocevia
di smistamento e, per tal motivo, scenari di
sequestri per le forze dell’ordine.
La penetrazione nei territori del Nord Italia
costituisce un ulteriore vantaggio per la
’Ndrangheta, potendo contare in questo
modo su una vicinanza maggiore ai canali di
spaccio più remunerativi come quelli di
Lombardia, Piemonte e anche del Nord Eu-
ropa.
La strategia espansionistica delle cosche
passa […] anche attraverso un’espor-
tazione dei comportamenti mafiosi, in
grado di scardinare gli apparati burocrati-
ci di altre regioni.42
A conferma di quanto detto, il 2018 è inizia-
to con pochissimi sequestri di cocaina presso
il porto di Gioia Tauro (circa 74 kg da gen-
naio a maggio 2018). Al contrario, quantita-
tivi più consistenti sono stati rinvenuti in
porti come Genova e Livorno.
Una maggior vicinanza alle più grandi zone di
spaccio e di consumo assicura ai clan calabresi
altissimi guadagni che non fanno che alimenta-
re i ricavi dell’organizzazione mafiosa.43
QUALI SONO LE ROTTE PRINCIPALI?
La cocaina che giunge nei quantitativi mag-
giori nei porti italiani proviene da Colombia,
Messico e paesi del Sud America, spesso usu-
fruendo di operazioni di transhipment con ser-
vizi feeder, passando anche attraverso l’Africa
occidentale o i porti della Spagna meridionale.
Nello specifico, studiosi accademici hanno
delineato quattro rotte principali:
42 DIA, relazione 1 semestre 2017, p. 13 43 Intervista ad autorità, Reggio Calabria, maggio 2018.
37
1. California express – dal Nord America a
Panama attraverso la California e il Mes-
sico. Da Panama, poi, attraverso i men-
zionati servizi feeder, si raccolgono carichi
minori provenienti da Cile, Perù, Brasile,
diretti a Gioia Tauro;
2. Medusa – da Messico e Bahamas. Qui si
raccolgono carichi più piccoli provenien-
ti dal resto del Sud America e poi diretti
a Gioia Tauro attraverso i porti della
Spagna, specialmente Valencia. La scelta
di entrare nell’area Schengen toccando
prima i porti spagnoli non è di certo ca-
suale, ma ha lo scopo di eludere i con-
trolli, e di rendere il carico meno sospet-
to. Come si è visto nella sezione dedicata
ai controlli nei porti, uno degli elementi
costituenti l’analisi di rischio delle doga-
ne è appunto la provenienza del carico,
insieme alla bandiera della nave. Il fatto
che una nave abbia in teoria già passato i
controlli di un altro stato europeo, fa sì
che il carico illecito attiri meno atten-
zione.
3. La rotta dell’Argentina – dall’Argentina
verso Montevideo, in Uruguay, e Sud
Brasile prima di partire alla volta di Gioia
Tauro.44
4. Dall’Africa occidentale – al fine di evitare
rotte prevedibili, molte partite di cocaina
vengono dirottate prima verso alcuni
paesi dell’Africa Occidentale, come
Ghana e Nigeria per poi farle arrivare in
Europa.45
I METODI DEL TRAFFICO DI COCAINA:
SOGGETTI E TECNICHE
In tale sezione si cercherà di esplorare quali
siano i metodi di infiltrazione più diffusi per
44 A. SERGI E A. LAVORGNA, Drug trafficking and Investments,
in `Ndrangheta, Palgrave McMillan, 2016, p. 81. 45 “Battaglia navale contro i narcos. “Un carico al giorno
verso l’Italia””, La Stampa, 23 marzo 2018.
il traffico di cocaina attraverso i porti. Come
si potrà notare, il container è sicuramente il
mezzo più utilizzato in assoluto per il tra-
sporto illecito della sostanza stupefacente.
La droga viene celata dietro carichi di coper-
tura, sofisticati doppifondi messi a punto per
aggirare i controlli a raggi X o, anche, in
container vuoti.46
Diverse, quindi, possono essere le tecniche
di occultamento ed estrazione, molteplici
sono i potenziali punti di approdo, come an-
che le figure coinvolte nel traffico.
È opportuno evidenziare che in questa se-
zione non si ha la pretesa di fornire
un’analisi esaustiva del fenomeno. Sarebbe
assai difficile, se non impossibile, elencare
tutte le tecniche usate da quella che è, al
momento, la mafia italiana più coinvolta in
questo tipo di traffico.
La ’Ndrangheta ha mostrato una grande fles-
sibilità nell’adattarsi alle varie esigenze del
momento e le sue future tecniche sono diffi-
cili da prevedere. Quello che si è cercato di
fare in questa sede è delineare una serie di
trend derivanti dalla prassi delle recenti inda-
gini e sequestri delle autorità italiane. In bre-
ve, la creatività dei componenti della
’Ndrangheta pone sfide molto impegnative
per le forze dell’ordine, benché esse con il
tempo abbiano acquisito grandissime tecni-
che e conoscenze investigative.
Rip-off system
Ai fini dello stivaggio del carico illecito
all’interno dei container, da alcuni anni è sta-
ta adottata la tecnica del rip-off system, che
consiste nel posizionamento della partita di
droga in borsoni davanti alla porta-
container, in modo tale da essere facilmente
estraibile da operatori portuali “infedeli”, i
quali ricevono specifiche istruzioni per svol-
46 Intervista ad autorità, Genova, gennaio 2018.
38
gere tale azione. Si noti come in molti casi il
carico illecito non venga inserito nella pri-
missima fase di riempimento del container,
ma in un momento successivo, con
l’apertura del container stesso attraverso
manomissione e, talvolta, sostituzione del
suo sigillo.47
Un esempio di questa tecnica si è riscontrata
nell’ambito dell’Operazione “Rebuffo” del
novembre 2017 al porto di Genova, durante
la quale la Guardia di Finanza ha rinvenuto
77 kg di cocaina in panetti occultati in un
container su una nave cargo proveniente dal
Sud America. Era previsto che la droga, del
valore di circa 3 milioni di euro, fosse poi
rivenduta a gruppi albanesi attivi in Lombar-
dia. La tecnica utilizzata per il prelevamento
del carico illecito è stata appunto quella del
rip-off. La particolarità di questa operazione
risiede anche nel corrispettivo promesso ai
portuali infedeli. Non prettamente denaro,
ma un compenso in natura di circa 14 panet-
ti – più di un chilo ciascuno – da rivendere
nei canali di droga. Il ricavato, circa mezzo
milione di euro, doveva essere diviso tra i
cinque soggetti coinvolti (tre italiani e due di
etnia albanese) – di cui due operatori portua-
li infedeli. Questa operazione indica anche
che i portuali – di cui si parlerà nello specifi-
co più avanti – possono essere inseriti in
proprio in canali di rivendita.
Operazione di transhipment/trasbordo
Un’altra tecnica che sembra essere stata
messa a punto nell’ultimo periodo è quella
che riguarda le operazioni di trasbordo al
largo delle coste su imbarcazioni più piccole,
spesso pescherecci, che attirano meno
l’attenzione delle forze dell’ordine.
47 La manomissione del sigillo è spesso un indicatore della
presenza di un carico illecito. Intervista ad autorità, Geno-
va, gennaio 2018.
Una recente operazione ha potuto verificare
direttamente l’utilizzo di questa tecnica. Nel
2016 l’Operazione “Vulcano” ha portato al
sequestro di oltre 80 kg di cocaina purissima
rinvenuta all’interno di uno degli oltre 1500
containers imbarcati su una nave mercantile,
sottoposta a sequestro e a perquisizione dai
finanzieri, dopo l’attracco presso lo scalo
portuale di Gioia Tauro. Nell’occasione,
l’organizzazione criminale aveva pianificato
una nuova metodologia di importazione del-
lo stupefacente, la quale prevedeva – grazie
al diretto coinvolgimento del comandante
della cargo ship – il trasbordo del carico illeci-
to su un’altra imbarcazione, in mare ancora
al largo della costa. La minuziosa organizza-
zione di trasbordo è testimoniata da diversi
“pizzini” rinvenuti all’interno della cabina in
uso al comandante, sui quali erano appuntati
la dicitura “80 kg” con l’indicazione del nu-
mero del container nel quale la droga era ini-
zialmente stata caricata, nonché uno schema
riepilogativo delle varie fasi attraverso cui si
sarebbe dovuta articolare l’operazione di tra-
sbordo. Tale operazione sarebbe stata attua-
ta anche mediante lo spostamento fisico del-
la cocaina in un nuovo container, il cui nu-
mero sarebbe stato tempestivamente comu-
nicato dallo stesso comandante all’organiz-
zazione criminale.48
Spesso succede anche che i panetti di droga
vengano lanciati in mare dall’imbarcazione
madre, muniti di GPS, in modo tale che le
imbarcazioni più piccole riescano a intercet-
tare tutti i panetti lanciati in mare.
Portuali e vigilanti infedeli
I portuali infedeli rappresentano uno dei
punti di forza del traffico di droga, operando
come braccio operativo delle organizzazioni
criminali. Sono spesso soggetti vulnerabili,
che operano nell’ambito di una scelta strate-
48 Guardia di Finanza, 3 agosto 2016.
39
gica e ben oculata delle cosche, interessate
ad avere una longa manus all’interno del porto
per il recupero della cocaina.49
Il più delle volte sono soggetti versanti in
condizioni economiche non agiate o pro-
blematiche e comunque alla ricerca di ulte-
riori fonti di guadagno. L’Operazione “Re-
buffo” a Genova, sopra analizzata, mette in
luce il fatto che non solo essi vengano retri-
buiti in denaro – che di solito costituisce una
quota del 20% – ma talvolta anche in panetti
di droga.
Solitamente un portuale è infedele sin
dall’inizio dell’attività lavorativa, 50 (per
esempio, i fratelli Brandimarte nell’ambito
dell’operazione “Puerto Liberado” presenta-
ta di seguito), mentre in alcuni casi, meno
frequentemente, capita che un portuale di-
venti infedele successivamente la propria as-
sunzione.
In quest’ultimo caso spesso entra in gioco
un intermediario, un anello di congiunzione
tra il sodalizio mafioso che gestisce uno o
più carichi e il portuale. Si noti bene come
questa terza figura non sia un membro di
una cosca – sarebbe troppo rischioso per
l’organizzazione criminale – ma solitamente
un individuo già autore di reati comuni o
comunque frequentatore di ambienti malavi-
tosi. Ed è proprio questa figura che approc-
cia il portuale mettendolo al servizio della
cosca.
Per esempio, il 24 luglio 2014 durante una
vasta e sofisticata operazione di polizia, de-
nominata “Puerto Liberado”, la Guardia di
Finanza ha dato esecuzione a provvedimenti
di fermo nei confronti di 13 individui ritenu-
ti appartenenti a un gruppo criminale dedito
al traffico internazionale di sostanze stupefa-
centi, in particolare cocaina, giunte
49 Intervista ad autorità, Genova, gennaio 2018. 50 Intervista ad autorità, Roma, febbraio 2018.
dall’America Latina in Italia, attraverso le
strutture logistiche dello scalo marittimo di
Gioia Tauro. Fondamentale per il traffico
illecito era la complicità di alcuni operatori
portuali (in particolare, dipendenti, oltre a ex
dipendenti, della società che gestisce la mo-
vimentazione dei containers).
L’operazione, coordinata dalla Direzione Di-
strettuale Antimafia (DDA) di Reggio Cala-
bria, è l’esito di indagini e operazioni di poli-
zia contro il sodalizio criminale, iniziate già
nel 2011. A partire da quella data sono state
sequestrate, nel complesso, oltre 4 tonnellate
di droga, per un valore sul mercato di più di
800 milioni di euro. Le autorità italiane si
sono avvalse di intercettazioni telefoniche e
telematiche, attività di osservazione e con-
trollo del territorio e anche dichiarazioni rese
da collaboratori di giustizia.
Secondo gli investigatori, la banda criminale
attiva nel porto di Goia Tauro, guidata da
due fratelli, Alfonso e Giuseppe Brandimar-
te, con un passato da operatori portuali, van-
tava disponibilità finanziarie elevate e contat-
ti ai massimi livelli del narcotraffico interna-
zionale, oltre che legami con diverse ’ndrine.
Inoltre, appariva ben strutturata e solida
(tanto da riuscire ad assorbire i colpi costitui-
ti da precedenti sequestri di droga e arresti) e
poteva contare su importanti competenze di
carattere criminale, messe a frutto anche
fuori dalla Calabria. Per esempio, uno degli
individui arrestati aveva svolto il ruolo di
emissario del gruppo con i narcos sudameri-
cani; un altro aveva gestito il traffico di so-
stanze stupefacenti nella città di Roma.
Il gruppo operava direttamente all’interno
del porto. Era in grado di gestire e controlla-
re i cambi di turno, organizzava le “squa-
dre”, sovraintendeva le operazioni sottobor-
do e si occupava infine di trasportare clande-
stinamente il carico all’esterno, impiegando
veicoli di servizio della società portuale.
40
L’organizzazione sapeva utilizzare diversi
metodi per eludere i controlli. In particolare,
nelle comunicazioni intercorse tra i sodali,
ciascuno dotato di un nome di copertura,
veniva intercettato un complesso codice al-
fanumerico con il quale venivano forniti, in
maniera cifrata, i dati essenziali da comuni-
care al personale portuale infedele per indi-
viduare la nave e il container contenente la
droga.
Nel corso delle indagini, emergeva costan-
temente lo studio di nuovi espedienti e di
nuove rotte lungo le quali inviare carichi ini-
zialmente di modica quantità e di scarsa qua-
lità (orientativamente tra i 10 e i 30 kg) per
testare in questo modo la risposta delle For-
ze dell’ordine preposte al controllo ed even-
tualmente procedere, in un secondo momen-
to, alla spedizione di carichi di valore ingen-
te.
In cambio dei propri servizi, il gruppo cri-
minale si faceva pagare con una parte del ca-
rico di stupefacenti, che variava dal 10 al
30% in relazione al peso criminale della co-
sca importatrice. In alcuni casi, come accen-
nato, aveva persino trattato direttamente con
i narcos in Sud America per importazioni in
proprio di cocaina.51
Un’altra operazione, risalente a marzo 2017,
ha messo in luce due elementi importanti:
l’utilizzo sia di portuali che di vigilanti nei
porti del Nord Italia. L’Operazione “Gerry”
ha visto il coinvolgimento del porto di Li-
vorno con ordini di fermo nei confronti di
persone in Toscana, Calabria e Sicilia. Le au-
torità sono state in grado di sequestrare 300
kg di cocaina in tre momenti diversi tra lu-
glio 2015 e settembre 2016. A essere coin-
volti nel traffico di cocaina proveniente dalla
Colombia sono famiglie del mandamento
51 Tribunale di Reggio Calabria – Sezione Giudice per le
indagini preliminari, Sentenza nei confronti di Brandimarte
Alfonso e altri, 2015.
tirrenico e jonico della ’Ndrangheta quali,
Bellocco, Molè, Piromalli, Avignone, Pavi-
glianiti.52 Questo sodalizio era stato in grado
di infiltrare il porto attraverso un dipendente
del porto di Livorno, di origini calabresi, il
quale a sua volta aveva contatti molto stretti
con diversi portuali e persino vigilanti che
facilitavano l’uscita dall’aerea del porto.53
Molto importante, in questo caso, risulta an-
che il ruolo dei vigilanti, anch’essi in alcuni
casi anelli debole del sistema di sicurezza.
Ricerca di nuove rotte e porti e parcelliz-
zazione dei carichi
La prassi mostra come i gruppi criminali sia-
no molto attivi nella ricerca di nuove rotte e
porti, allo scopo di essere meno prevedibili,
e, inoltre, stiano adottando una strategia di
parcellizzazione dei carichi su più container
in direzione di diversi scali portuali, potendo
contare sulla presenza di portuali infedeli.54
È in tal senso significativo il recente caso
che ha riguardato tre portacontainer in due
scali portuali, quello di Livorno e quello di
Genova. Sono stati trovati 200 kg di cocaina
in un container proveniente dal Cile, la cargo
“Carolina Star”, approdato nel porto livor-
nese55 e altri 300 kg in una seconda porta-
container, la “Dimitris C.”, presso il porto
genovese.56 In quest’ultimo caso, lo stupefa-
cente era occultato in diversi sacchi neri
all’interno di un’intercapedine al centro della
nave ed era destinata a essere smistata in vari
porti di scalo nazionali ed europei.57
52 Direzione Investigativa Anti-Mafia (DIA), Relazione
primo semestre 2017, p. 23. 53 Operazione “Gerry”, conferenza stampa, 23 marzo 2017. 54 Intervista ad autorità, Reggio Calabria, maggio 2018. 55 Guardia di Finanza, 13 marzo 2018. Agenzia delle Doga-
ne, 13 febbraio 2018. 56 “Genova, scoperti 300 kg di cocaina nella stiva del cargo
greco “Dimitris C””, Il Secolo XIX, 16 febbraio 2018. 57 “Droga: 300 kg di coca su portacontainer, arrestato ma-
rittimo”, La Stampa, 12 marzo 2018.
41
La terza nave, la “Hsl Nike”, invece, è risul-
tata vuota. Azione di depistaggio o meno,
sembra che le organizzazioni criminali stiano
pensando di suddividere, appunto, i quanti-
tativi di droga su più vettori, invece di punta-
re tutta la partita su un solo container, ri-
schiando così di perdere tutto in caso di se-
questro.
La parcellizzazione dei carichi è stata anche
notata in un recente sequestro di 218 kg di
cocaina purissima presso il porto di Gioia
Tauro. La partita di cocaina era suddivisa in
due container diversi, uno proveniente dal
Guatemala e l’altro dalla Costa Rica, destina-
ti in Egitto e in Sicilia, contenenti spezie e
caffè. La tecnica di estrazione era, ancora
una volta, quella del rip-off system.58
58 Agenzia delle Dogane, 9 settembre 2017.
I carichi di prova
La prassi ha anche dimostrato l’esistenza di
un’altra tecnica della criminalità organizzata
consistente nel testare il sistema di ingresso
attraverso un carico di prova di piccole
quantità e tendenzialmente in un porto di-
verso da quello in cui si progetta di far arri-
vare il carico illecito più consistente. Un ca-
rico di piccole dimensioni, dunque, può es-
sere il segnale che un altro sia in arrivo.59
È questo quanto emerso, tra gli altri elemen-
ti, nella maxi-operazione “Stammer” del
febbraio 2017. Costituisce difatti, un’ope-
razione tra le più importanti degli ultimi anni
a causa dei molteplici fattori concatenati, ma
soprattutto perché mette in rilievo stabili e
diretti contatti con cartelli sudamericani. Le
due parti che stavano contrattando una spe-
59 Intervista ad autorità, Genova, gennaio 2018.
42
dizione di circa 8 tonnellate di cocaina, poi
sequestrate al porto di Turbo in Colombia,
avevano organizzato anche un carico di pro-
va di 63 kg di cocaina purissima destinato al
porto di Livorno, carico infatti rinvenuto e
posto sotto sequestro dalla Guardia di Fi-
nanza.
Nel disegno criminoso della ’Ndrangheta e
dei cartelli colombiani c’era anche l’idea di
trafficare la cocaina sia tramite un mezzo ae-
reo da fare arrivare all’aeroporto di Lamezia
Terme (CZ) o attraverso l’utilizzo di moto-
navi appositamente modificate nel fondo per
procedere poi all’estrazione del carico con
l’ausilio di sommozzatori.60
4.2.2 IL TRAFFICO DI EROINA
Il traffico di eroina è sempre più consistente
in Italia. Il primato di produzione a livello
globale spetta all’Afghanistan, paese ormai
rinomato per la produzione e distribuzione
di questa sostanza verso Russia ed Europa
Occidentale. Nel Vecchio continente i con-
sumatori maggiori sono Regno Unito, Fran-
cia, Germania e Italia.
Sebbene i più grandi quantitativi transitino su
strada, a bordo di camion e vetture o per via
aerea, una porzione del traffico viaggia anche
via mare, potendo contare sulla rotta adriatica
e su una forte presenza di organizzazioni alba-
nesi – principali detentori di questo traffico –
sia in loco sia in Italia.61 Tuttavia, il traffico di
eroina tipicamente non si avvale di container e
i quantitativi rispetto a quelli della cocaina so-
no notevolmente inferiori.
Le rotte marittime più recenti e maggior-
mente interessate da questo traffico sono le
frontiere esterne di Albania e Turchia.
60 Guardia di Finanza, 16 febbraio 2017. 61 Intervista ad autorità, Bari, febbraio 2018.
LE TECNICHE
I carichi di eroina sono spesso di quantità
molto modeste, ma si può notare una mol-
teplicità di metodi usati. È fondamentale te-
nere a mente, però, che per quanto riguarda
il traffico di eroina – e, come si vedrà an-
che,di marijuana –, la porta principale di in-
gresso non sono le zone intra-ispettive, quali
sono i porti. Vi è, al contrario, una preferen-
za per le zone extra-ispettive,62 ossia approdi
su costa, servendosi di natanti veloci, in virtù
della prossimità geografica dell’Italia all’area
balcanica.
La frontiera esterna dell’Albania
Nonostante le zone intra-ispettive siano po-
co battute dal traffico di eroina, alcuni casi
recenti hanno mostrato le modalità di questo
traffico attraverso le frontiere marittime.
La casistica più recente vede un certo flusso
dall’Albania verso il porto di Bari. Rispetto al
traffico di cocaina si possono notare notevo-
li differenze, tra cui: 1) quantitativi assai infe-
riori. Nel caso dell’eroina, i quantitativi se-
questrati si aggirano intorno ai 5-6 kg – men-
tre nel caso della cocaina, come si è visto, i
62 Intervista ad autorità, Brindisi, giugno 2018.
Lo scorso 20 luglio 2018, Guardia di
Finanza e Autorità Doganale del Porto
di Trieste hanno rinvenuto 50 kg di pa-
netti di eroina su un articolato iraniano,
e condotto da un cittadino iraniano,
proveniente dalla Turchia.
Nonostante il minuzioso occultamento
dietro alcune parti meccaniche del mez-
zo, grazie ai cani antidroga della Guar-
dia di Finanza e ai sistemi a raggi X in
dotazione delle dogane, il carico di dro-
ga è stato scoperto e sequestrato.
43
carichi individuali sono di gran lunga più
consistenti; 2) come accennato, il traffico di
eroina tipicamente non si avvale di contai-
ner. Quei pochi carichi, infatti, vengono rin-
venuti sui traghetti di collegamento a bordo
di autovetture o in borsoni di passeggeri.
Alcuni casi recenti possono illustrare meglio
le modalità impiegate.
L’inizio del 2018, ad esempio, è stato segna-
to da un mini-sequestro, durante un control-
lo passeggeri, di 5,5 kg di eroina purissima di
tipo Brown Sugar su un autoarticolato prove-
niente dall’Albania e guidato da una coppia
di origine albanese.63
E di nuovo presso il porto di Bari, nel dicem-
bre 2017, le autorità hanno sequestrato 2,4 Kg
di eroina. La droga è stata individuata grazie a
63 Agenzia delle Dogane, 16 gennaio 2018.
un’attenta analisi dei rischi (di cui si è parlato
nella sezione apposita), in un autoarticolato,
condotto da un cittadino proveniente
dall’Albania. L’eroina, rinvenuta all’interno del
veicolo, era avvolta in 5 confezioni di cello-
phane sigillato con nastro da imballaggio e oc-
cultata in parte all’interno della cabina, in un
vano posto sotto al sedile del guidatore, e in
parte in un vano porta attrezzi.64
Un quantitativo più consistente è stato rinve-
nuto sempre presso il porto di Bari, lo scorso
maggio 2017, quando doganieri e finanzieri
hanno sequestrato 6 kg di eroina, occultata
all’interno di 4 doppifondi ricavati nei cerchio-
ni di un’autovettura, condotta da un cittadino
albanese, appena sbarcata da una motonave
proveniente dall’Albania.65
64 Agenzia delle Dogane, 4 dicembre 2017. 65 Agenzia delle Dogane, 26 maggio 2017.
44
Lo scorso gennaio 2017, sempre presso il
porto pugliese, Guardia di Finanza e Agen-
zia delle Dogane hanno sequestrato circa
700 grammi di eroina nascosti all’interno di
una panciera prémaman indossata da una
donna in stato di gravidanza appena sbarca-
ta, insieme al figlio minore di tre anni, da
una motonave proveniente dall’Albania.66
I più disparati espedienti possono essere in-
ventati per celare la sostanza. Ecco che il la-
voro attento di Forze di Polizia, autorità do-
ganali guidato da informazioni di intelligence
risulta cruciale.
Come si vedrà anche per altri traffici illeciti,
la particolarità di questo traffico è dovuta
dalla vicinanza geografica dei paesi di prove-
nienza dello stupefacente; ciò permette ai
vettori di utilizzare imbarcazioni da diporto
che, in quanto tali, non passano attraverso i
controlli frontalieri. Anzi, essi preferiscono
coste più o meno frastagliate dove effettuare
le operazioni di sbarco senza incappare nei
pericoli dei controlli frontalieri. In tale situa-
zione, diventa cruciale l’attività di pattuglia-
mento via mare eseguita dalla Guardia di Fi-
nanza che, come si è già detto, ha visto am-
pliata la sua operatività in mare, anche grazie
al trasferimento di potenti mezzi navali.67
La frontiera esterna della Turchia
Assieme all’Albania, anche la Turchia rap-
presenta un paese di provenienza rilevante
per il traffico di eroina – così come anche
per altri tipi di traffici illeciti – attraverso
l’utilizzo di container. Analogamente alla
tratta albanese, lo stupefacente proviene ori-
ginariamente dall’Afghanistan, dall’Iran e dal
Pakistan.68
66 Agenzia delle Dogane, 10 gennaio 2017. 67 Decreto Legislativo 19 agosto 2016 n.177, entrato in vi-
gore il 13 settembre 2016. 68 Intervista ad autorità, Trieste, ottobre 2017.
E ancora una volta, l’area geografica italiana
più coinvolta risulta essere il versante adria-
tico in virtù degli stretti rapporti commerciali
tra alcuni suoi porti (specialmente Trieste)
con la Turchia. Un recente caso ha, inoltre,
dimostrato come potenzialmente questa rot-
ta veda carichi più ingenti di eroina.69
La presenza di ingenti quantitativi di eroina
su questa rotta non può definire un vero e
proprio trend – vista la frequenza limitata dei
carichi – quanto una potenzialità, essendoci
diverse variabili in gioco (ad es., provenienza
del carico, soggetti coinvolti, ecc.). È natura-
le che su rotte marittime di tipo commerciale
ci sia il rischio di avere maggior quantitativi
di stupefacente rispetto a rotte utilizzate per
fini turistici.
4.2.3 IL TRAFFICO DI MARIJUANA
Negli ultimi anni in Italia i sequestri di mari-
juana sono notevolmente aumentati e solo il
2017 ha visto circa 78 tonnellate di marijua-
na sequestrate.70
Le due rotte principali verso l’Italia sono anco-
ra una volta quella albanese – frontiera esterna
– e quella greca – frontiera interna. Albania e
Grecia condividono un confine piuttosto per-
meabile, spesso violato da organizzazioni cri-
minali, le quali cercano di introdurre la merce
illecita in Grecia, dove vige il regime di libero
scambio di Schengen. Tuttavia, a partire dal
2017, si sono registrati diversi sequestri presso
porti della fascia tirrenica attraverso carichi
provenienti da porti spagnoli.
69 Guardia di Finanza, 20 luglio 2018. 70 Polizia di Stato, Direzione Centrale per i Servizi Anti-
Droga (DCSA), Relazione 2017 - Lotta traffico illecito sostanze
stupefacenti.
45
In questa sezione, oltre alla casistica delle zone
intra-ispettive, si vuole mettere in evidenza la
situazione ancora più problematica delle zone
extra-ispettive. Il traffico di marijuana, infatti, è
all’80% extra-ispettivo ed è per questo che
l’operato via mare da parte della Guardia di
Finanza è assolutamente prezioso.71
LE ZONE INTRA-ISPETTIVE
Il versante tirrenico
Si può notare dalla casistica qui di seguito
riportata – riscontrando un’altra similarità
con il traffico di eroina – che la marijuana
non viene solitamente trasportata via contai-
ner – quanto piuttosto attraverso autoartico-
lati commerciali e su traghetti. Sul versante
tirrenico i casi hanno coinvolto perlopiù i
71 Intervista ad autorità, Bari, febbraio 2018.
porti di Genova72 e di Civitavecchia73 – con
sequestri rispettivamente di 2 e 27 kg di stu-
pefacente nel 2017 –, entrambi su navi pro-
venienti da Barcellona.
Nel caso di Genova, risalente a maggio 2017,
la droga era trasportata da un passeggero su
un traghetto. In quello di Civitavecchia, in-
vece, la merce è stata rinvenuta su un autoar-
ticolato proveniente dal porto catalano di
Barcellona (oltre ai 27 kg di marijuana, si so-
no contati anche 15 kg di hashish). Il quanti-
tativo, che era stato abilmente nascosto die-
tro un carico di frutta, è stato scoperto sia a
causa di alcune incongruenze documentali
concernenti il peso del carico sia grazie ai
controlli scanner a raggi X.
72 Agenzia delle Dogane, 29 maggio 2017. 73 Agenzia delle Dogane, 22 dicembre 2017.
46
Il versante adriatico
Come mostrano due casi recenti, ancora una
volta il porto più coinvolto è il porto di Bari,
punto di frontiera che continuamente risente
della vulnerabilità dell’area balcanica. Nei
due casi illustrati di seguito i quantitativi se-
questrati si sono rivelati significativi.
Lo scorso settembre 2017, nel corso dei con-
trolli finalizzati al contrasto dei traffici illeciti, i
funzionari dell’Ufficio delle Dogane di Bari
hanno sequestrato presso il porto, in collabora-
zione con i militari della Guardia di Finanza, ol-
tre 21 kg di marijuana. A seguito dell’analisi de-
gli elementi di rischio giornalmente effettuata, è
stato individuato un cittadino macedone
41enne, sbarcato nel porto barese da una mo-
tonave proveniente dal Montenegro, a bordo di
un’autovettura. I controlli effettuati dai funzio-
nari hanno consentito di individuare la droga
contenuta in 39 confezioni di cellophane sotto-
vuoto, abilmente nascosta in parte nella ruota di
scorta e in parte nel serbatoio del carburante.74
Nel marzo 2017, presso il porto di Bari,
nell’ambito dell’intensa attività di controllo
sui passeggeri in transito presso il porto cit-
tadino, le autorità di Guardia di Finanza e
Agenzia delle Dogane hanno sequestrato ol-
tre 25 kg di marijuana.
La sostanza stupefacente, confezionata in 71
panetti, era nascosta all’interno di un dop-
piofondo situato nel vano posteriore, ricava-
to tra la marmitta e il serbatoio, di un auto-
vettura proveniente dall’Albania e condotta
da un cittadino albanese.75
4.2.4 IL TRAFFICO DI HASHISH
Anche l’hashish è una sostanza assai diffusa
in Italia, anche se nell’ultimo anno il suo
traffico ha subito una lieve contrazione, poi-
ché una quantità maggiore di carichi si dirige
74 Agenzia delle Dogane, 18 settembre 2017. 75 Agenzia delle dogane.
verso il Nord Europa.76 Come sottolineato
dalla Direzione Centrale dei Servizi Anti-
Droga, il traffico di hashish è perlopiù nelle
mani della criminalità marocchina. Questo è
dovuto al fatto che il Marocco è tra i princi-
pali paesi produttori a livello mondiale.
La vicinanza geografica all’Italia e i frequenti
collegamenti marittimi – diretti o via Spagna
– costituiscono dei facilitatori per il traffico
di questa sostanza. Avendo quindi conqui-
stato questo dominio, la criminalità maroc-
china è riuscita a creare rapporti stabili sia
con clan della ’Ndrangheta sia della Camor-
ra, che sono tra i clienti più importanti. Mol-
te partite di hashish, dunque, partono dal
grande porto di Tangeri e hanno come de-
stinazioni i principali porti del versante tirre-
nico, come Genova, Civitavecchia, Porto
Torres. Le variabili da tenere in considera-
zione per tracciare questo traffico sono di-
verse e, in definitiva, tutto dipende da chi
sono gli acquirenti del carico e dalle rotte
che in quel momento paiono più sicure.
La pericolosità di questa rotta è dimostrata da
una recente operazione, risalente al 2017, pres-
so il porto di Genova, Operazione “Caddy”,
con la quale sono stati rinvenuti e sequestrati
circa 734 kg di hashish nascosti in
un’automobile – a bordo di un traghetto – di
proprietà di una coppia di italiani, recatasi in
Marocco per conto di organizzazioni criminali.
Altre persone sono state coinvolte, tra cui ma-
rocchini e italiani, a dimostrazione dell’esi-
stenza di sodalizi, di varie dimensioni, compo-
sti da individui appartenenti a etnie diverse. Si
tratta di uno dei più grandi sequestri di hashish
presso una sede portuale degli ultimi anni, at-
traverso il quale si è riusciti a sottrarre circa 5
milioni di euro dai ricavi di organizzazioni cri-
minali operanti nel Nord Italia – luogo di de-
stinazione di quella partita di droga.
76 DCSA, Servizi AntiDroga, Relazione 2017, op. cit, supra
note 118
47
Come trend generale, però, occorre sottoli-
neare come questo traffico non avvenga con
utilizzo di container, bensì attraverso traghetti
e autoarticolati (come si è visto), imbarcazioni
come pescherecci, barche a vela e altri tipi di
natanti che non passano attraverso i punti di
frontiere, oppure via aerea e terrestre.
Per tale categoria di traffico abbiamo sia la
rotta dalla Libia, paese divenuto un’impor-
tantissima area di stoccaggio di hashish sia
dal Marocco, paese principale per la produ-
zione della sostanza; in questo caso il traffico
è nella mani della criminalità nigeriana che
talvolta immette lo stupefacente nelle rotte
destinate al traffico di migranti e di armi.77
Altra rotta di una certa importanza è quella
delle due sponde dell’Adriatico, Albania-
Puglia. Anche l’Albania ha acquisito un certo
ruolo nella produzione e distribuzione di ha-
77 Intervista ad autorità, Palermo, agosto 2018.
shish e, al pari di altri traffici sopra esamina-
ti, sfrutta la vicinanza geografica della Puglia
per il traffico extra-frontaliero.
A tal riguardo, risulta importante menzionare
due importanti sequestri avvenuti nel quadro
di una più vasta maxi-operazione, la “Libeccio
International”,78 che nell’arco di due mesi ha
portato al sequestro di circa 30 tonnellate di
hashish. Si menziona tale operazione, nono-
stante tali sequestri non riguardino i punti in-
tra-ispettivi, in quanto è indicativa della sensi-
bilità e pericolosità di determinate rotte che
costituiscono il filo di collegamento tra impor-
tanti organizzazioni criminali.
Il primo di questi sequestri risale a giugno
2018 quando 10 tonnellate di hashish sono
state sequestrate a bordo di un peschereccio
battente bandiera dei Paesi Bassi. Nel caso in
questione, il mezzo aveva compiuto una rot-
78 Una maxi-operazione di ampio respiro iniziata nel 2014 .
48
ta anomala, che ha insospettito le forze di
polizia: partendo da Malta si stava dirigendo
verso lo stretto di Gibilterra tra Marocco e
Algeria per effettuare delle operazioni di tra-
sbordo del carico per mezzo di gommoni
dalla terraferma.79
Il secondo sequestro, risalente ad agosto
2018, ha invece visto la confisca di ben 20
tonnellate di hashish circa80 a bordo di una
motonave battente bandiera panamense,
partita dal porto di Las Palmas a Gran Cana-
ria (aveva dichiarato di essere diretta verso il
porto di Tuzla in Turchia via Alessandria).
Avendo la nave assunto un comportamento
sospetto – il trasmettitore AIS era stato
spento più volte –, la Guardia di Finanza ha
iniziato a seguirne i movimenti per poi arri-
vare al sequestro del carico e all’arresto di 11
trafficanti montenegrini.
Anche questa serie di casi, che ha interessato
l’area intra-ispettiva, mostra come le rotte
del Nord Africa siano assai salienti e quanto
un continuo monitoraggio risulti quindi es-
senziale.
4.3 L’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA
NEI PORTI
Se, da una parte, è vero che il fenomeno
dell’immigrazione clandestina nell’accezione
di traffico di migranti (smuggling of migrants)
riguarda prevalentemente i soccorsi umanita-
ri al largo delle coste libiche, maltesi, spagno-
le e italiane, non si può sottovalutare
l’esistenza di un altro tipo di fenomeno, sep-
pur di dimensioni certamente più ridotte:
l’ingresso irregolare nel territorio italiano di
individui extra-comunitari attraverso le zone
intra-ispettive marittime.
Il problema è stato portato alla pubblica at-
tenzione dal disastro della nave “Norman
79 Guardia di Finanza, 7 giugno 2018. 80 Guardia di Finanza, 9 agosto 2018.
Atlantic”, che il 28 dicembre 2014, mentre
navigava da Patrasso in Grecia ad Ancona,
subì un grave incendio. L’incidente provocò
30 morti e rivelò la presenza di diversi clan-
destini, sia tra i morti sia tra i superstiti. Ne-
gli ultimi anni diverse migliaia di immigrati
clandestini hanno raggiunto i porti italiani.
Dati del Ministero dell’Interno, 81 infatti,
hanno indicato che nel 2012 e 2013, sulla so-
la rotta Patrasso-Ancona, sono stati intercet-
tati rispettivamente 1.317 e 1.809 immigrati
clandestini.
Dati più recenti82, nel ribadire la dimensione
limitata del fenomeno, indicano che questi
flussi avvengono in condizioni umane disa-
strose. Il problema dell’immigrazione clan-
destina si presenta nelle vesti di chi non solo
cerca di entrare nel territorio italiano sfug-
gendo ai controlli, ma anche di chi è munito
di documenti falsificati, rendendo così la
propria identità e provenienza una vera e
propria incognita. Se a ciò si aggiunge la
grande allerta sul rischio terrorismo che sta
riguardando all’Occidente negli ultimi anni,
si comprende la gravità del problema e la
necessità di investire nella sicurezza delle
frontiere marittime.
4.3.1 QUALI SONO LE MAGGIORI
MODALITÀ DI INFILTRAZIONE NEI PORTI?
Coloro che optano per questo metodo di in-
gresso si avvalgono di diversi mezzi che
vanno dai classici container ad autoarticolati
e autoveicoli imbarcati su navi cargo e tra-
ghetti. Vengono utilizzate rotte di frontiera
“interna”, ossia attraverso navi provenienti
da paesi dello Spazio Schengen come la
Grecia, e anche rotte di frontiera “esterna”,
come accade spesso dall’Albania.
81 “La battaglia navale dei clandestini”, Il Foglio, 5 gennaio,
2015 (visitato il 25 novembre 2017). 82 Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo,
“Relazione Annuale”, 12 aprile 2017.
49
La maggior parte di coloro che usano la
frontiera interna proviene da paesi come Af-
ghanistan, Pakistan, Siria e cerca di penetrare
il sistema Schengen in zone e punti difficili
da presidiare e controllare costantemente.
Ritorna anche per questo tipo di traffico la
questione della frontiera estesa che accomuna
tutti gli altri tipi sopra esaminati, dal traffico
di droga al contrabbando di TLE.
Alcuni casi recenti mostrano una maggior
salienza del problema sul versante adriatico
da Nord a Sud, prevalentemente per ragioni
di carattere geografico, ed evidenziano diver-
se modalità di infiltrazione.
CASI:
Frontiera esterna
Il 7 febbraio 2017, i funzionari dell’Ufficio
delle Dogane di Bari hanno individuato, in
collaborazione con i militari della Guardia di
Finanza e della Polizia di Frontiera, tre im-
migrati clandestini di nazionalità albanese. Il
controllo su un autoarticolato serbo, prove-
niente dall’Albania, ha consentito di accerta-
re la presenza dei tre uomini, nascosti dietro
un carico di rotoli di spugna industriale. Uno
dei clandestini è stato arrestato in quanto già
destinatario di un’ordinanza di custodia cau-
telare, mentre gli altri due sono stati rimpa-
triati perché destinatari di provvedimenti di
espulsione emessi dal Prefetto di Belluno.83
Frontiera interna
Il 6 marzo 2017 i funzionari dell’Ufficio del-
le Dogane di Bari, nell’ambito delle attività
di contrasto ai traffici illeciti, hanno indivi-
duato, in collaborazione con i militari della
Guardia di Finanza e della Polizia di Frontie-
ra, quattro immigrati clandestini. Nel corso
di un controllo effettuato su un autoarticola-
to con motrice lituana e rimorchio danese e
83 Agenzia delle Dogane, 7 febbraio 2017.
proveniente dalla Grecia, è stata scoperta la
presenza di due adulti di nazionalità iraniana
e due minori di nazionalità afgana, nascosti
in un vano ricavato all’interno di una cella
frigorifero contenente arance. I quattro, ap-
parsi provati, sono stati immediatamente
soccorsi. Gli adulti hanno chiesto asilo poli-
tico mentre i minori sono stati affidati ai ser-
vizi sociali. I due conducenti del mezzo, ri-
spettivamente di nazionalità ucraina e bielo-
russa, sono stati posti agli arresti e denunciati
alla Procura della Repubblica di Bari.84
Il 31 maggio 2017 i funzionari dell’Ufficio
delle Dogane di Bari hanno individuato, in
collaborazione con i militari della Guardia di
Finanza e della Polizia di Frontiera, due im-
migrati clandestini. Il controllo, effettuato su
un autoarticolato proveniente dalla Grecia,
ha consentito di accertare la presenza di due
cittadini afgani, nascosti fra la merce traspor-
tata, costituita da vasche in plastica ricoperte
di cellophane.85
4.3.2 LE PRINCIPALI CRITICITÀ
Casi come questi, seppur associati a numeri
di persone non elevati, non sono infrequenti
presso i principali porti. Nella maggioranza
dei casi non si tratta di persone che approfit-
tano di canali irregolari con lo scopo di pre-
sentare domanda di protezione internaziona-
le, bensì di persone che hanno l’intenzione di
eludere i controlli, al fine di rimanere in Italia
senza permessi oppure di raggiungere altre
destinazioni europee.
Ma quali sono le principali vulnerabilità riscon-
trate? Le questioni che maggiormente preoc-
cupano sono l’identificazione degli irregolari –
spesso sprovvisti di documenti non in regola o
addirittura falsi – e la potenziale catena di con-
tatti nel territorio di ingresso.
84 Agenzia delle Dogane, 6 marzo 2017. 85 Agenzia delle Dogane, 31 maggio 2017.
50
UN’INFILTRAZIONE ORGANIZZATA?
È stato fatto spesso notare come questo tipo
di infiltrazioni abbia alle spalle un sistema
organizzativo ben studiato e articolato. Per
esempio, a coloro che utilizzano questa mo-
dalità di ingresso vengono impartite istru-
zioni ben precise concernenti le modalità di
uscita da un porto.
Le dimensioni e la complessità di certi porti
non consentono una facile e veloce indivi-
duazione dei varchi d’uscita, specialmente
quando lo scopo è quello di eludere i con-
trolli della Polizia di frontiera.
È lecito, dunque, supporre che queste orga-
nizzazioni riescano ad assoldare a vario tito-
lo persone che conoscono la struttura por-
tuale e le sue dinamiche. Sotto questo profi-
lo, tale tipo di traffico, vedendo presumibil-
mente il coinvolgimento di insiders, non si
differenzia quindi da quello di droga e dal
contrabbando di sigarette.86
IL PERICOLO DI INFILTRAZIONI
TERRORISTICHE
Come verrà analizzato più avanti nella sezione
ad hoc, a causa degli sconvolgimenti politici in
paesi come Siria, Iraq e Libia, il pericolo di in-
filtrazioni terroristiche, specialmente di matrice
jihadista, che facciano uso di questi canali di
ingresso non è così remoto né tantomeno im-
possibile. Con ciò non si vuole in alcun modo
instaurare un nesso diretto tra immigrazione e
jihadismo. Nondimeno, dal momento che
questa modalità di ingresso può rappresentare
un’opzione per foreign fighters di ritorno o co-
munque per soggetti radicalizzati, desiderosi di
far ingresso in Europa, tale rischio non può
essere escluso.
Non bisogna infatti dimenticare come molti
dei soggetti ritrovati all’interno di container e
autoarticolati – grazie, per esempio, all’uso di
86 Intervista ad autorità, Trieste, ottobre 2017.
strumenti di rilevazione dell’anidride carbo-
nica in dotazione delle autorità – provenga-
no da aree sensibili, come Afghanistan e
Iraq, entrambi teatri di conflitti. Inoltre, mol-
ti dei soggetti che usano questa modalità di
ingresso sono sprovvisti di documenti oppu-
re presentano documenti falsi, rendendo così
difficile la loro identificazione.
LA RESPONSABILITÀ E LA SICUREZZA DEL-
LE COMPAGNIE DI NAVIGAZIONE
Non mancano casi in cui le compagnie di
navigazione si accorgono della presenza a
bordo di persone non registrate ancor prima
di attraccare in un porto. Da quel momento
è naturale che il personale della compagnia
di navigazione diventi responsabile di tali
soggetti, al fine di tutelare la loro sicurezza e
di assicurare loro condizioni igienico-
sanitarie adeguate.
Il principale problema risiede nel fatto che, a
causa delle criticità sopra menzionate, una
spesso difficile identificazione di migranti
clandestini a bordo comporta problemi di
sicurezza sia per il personale a bordo sia per
la nave stessa.87
Il tipo di misure messe in atto nell’Ope-
razione “Talassa” su scala nazionale ha con-
fermato la grande preparazione e abilità delle
forze dell’ordine; nondimeno, è opportuno
sottolineare come esse non siano misure
quotidiane, né potrebbero esserlo. Le giorna-
te che hanno visto i principali porti italiani
interessati da tali controlli intensificati han-
no, allo stesso tempo e inevitabilmente,
comportato rallentamenti al commercio e al
turismo marittimo. Come detto, è questo
uno degli aspetti più problematici delle atti-
vità in materia di sicurezza portuale.
87 Intervista ad autorità, Roma, giugno 2018.
51
Detto ciò, il problema di questo tipo di traf-
fico non riguarda solo i porti per così dire
commerciali, ma anche quelli turistici, desti-
nazione di velieri, motoscafi e altre imbarca-
zioni da diporto a volte utilizzati da criminali
esperti (o anche individui che, pur non fa-
cendo parte di organizzazioni criminali, ven-
gono ingaggiati per il compimento della tra-
versata). Va da sé che questo tipo di viaggio
è in genere molto più costoso rispetto alle
altre traversate, dati i tempi di percorrenza
inferiori e le condizioni di viaggio migliori.
Non è nemmeno da tralasciare il fatto che,
oltre a migranti irregolari, vengano spesso
trasportati altri tipi di merci come droga, ar-
mi o sigarette, creando una vera e propria
commistione di traffici.
Questo fenomeno è comune sul versante
adriatico, potendo contare sulla vicinanza
dell’Italia ad aree vulnerabili, come la regione
balcanica. In questi casi, aldilà dei porti turi-
stici e commerciali, e come accade per gli altri
traffici illeciti analizzati nel testo, si prediligo-
no approdi in zone extra-ispettive, allo scopo
di sfuggire più facilmente ai controlli.
Da questa analisi emerge come le frontiere
marittime possano essere altamente vulnera-
bili e come richiedano grande attenzione da
parte delle autorità nazionali. E, come sottoli-
neato anche per gli altri traffici illeciti, se è ve-
ro che un numero importante di persone vie-
ne individuato e respinto alle frontiere por-
tuali, è anche vero che una quota significativa
riesce a entrare nel territorio italiano eludendo
i controlli.
Banchine e impianti portuali costituiscono
luoghi di lavoro, incontro e aggregazione per
il grande numero di individui che opera nel
settore del trasporto marittimo, con diverse
nazionalità, lingue, culture, usi e costumi. Ri-
sulta quindi difficile pensare che sia possibi-
lecontrollare attentamente chiunque sia pre-
sente nel porto ogni giorno.
A prescindere dalle autorizzazioni di ingresso,
è possibile congetturare che un “intruso” sia in
grado di mescolarsi e confondersi tra tutti co-
loro che quotidianamente popolano banchine
e punti di aggregazione per poi uscire tranquil-
lamente dai varchi portuali.
OPERAZIONE “TALASSA”
L’importanza di questo fenomeno è
confermata dalle recenti misure e ini-
ziative su scala nazionale coordinate
dalla Direzione Centrale dell’Immi-
grazione e Polizia delle Frontiere fi-
nalizzate a individuare le principali
rotte utilizzate dai migranti irregolari
per giungere in Italia, nonché porre in
essere attività di contrasto al terrori-
smo internazionale e alla criminalità
transfrontaliera.
In particolare, l’operazione “Talas-
sa”, svoltasi nel febbraio del 2018,
ha visto la sinergia di Agenzia delle
Dogane, Guardia di Finanza e Capi-
tanerie di Porto con l’ausilio della
Polizia stradale, di FRONTEX ed
EUROPOL.
Sul versante adriatico, i controlli
hanno coinvolto misure straordina-
rie di controllo sia in frontiera in-
terna (dalla Grecia) sia in frontiera
esterna (ad es., dall’Albania).
A livello complessivo, la maxi-
operazione ha consentito di controlla-
re 12.026 persone e 2.235 veicoli, re-
spingere 22 migranti irregolari, arre-
stare quattro persone per reati con-
nessi al crimine transfrontaliero e in-
dagarne 17, nonché rintracciare 10
clandestini occultati in tir, mediante
l’utilizzo di apparecchiature per il ri-
levamento del battito cardiaco e per la
rilevazione dell’anidride carbonica e
scannerizzando mezzi pesanti, contai-
ners e veicoli con la tecnologia si-
lhouette scanner 300.
52
La disponibilità di impianti e strumenti tecno-
logici offre un grandissimo supporto agli atto-
ri che si occupano di sicurezza, ma non esiste
un sistema infallibile. Sicuramente, però, si
possono individuare proposte volte a miglio-
rare il sistema della sicurezza.
4.4 IL TRAFFICO DI ARMI
Il traffico illecito di armi da fuoco88 costitui-
sce, nel vasto panorama dei traffici illegali,
88 La definizione più usata di traffico di armi da fuoco è
quella fissata nel Protocollo sulle Armi da fuoco dell’ONU:
«the import, export, acquisition, sale, delivery, movement or
transfer of firearms, their parts and components and am-
munition from or across the territory of one State Party to
that of another State Party if any one of the States Parties
concerned does not authorize it in accordance with the
terms of this Protocol or if the firearms are not marked in
accordance with article 8 of this Protocol». United Nations
Protocol against the Illicit Manufacturing of and Trafficking
uno dei più difficili da monitorare e studia-
re.89
Anche rispetto al caso italiano vi sono state
ben poche indagini – e ancor meno analisi
metodologicamente solide – in grado di far
luce in modo sistematico sulle caratteristiche
del mercato, gli attori, le rotte e i metodi del
traffico, nonostante il fatto che un ampio
quantitativo di armi sia stato nella disponibi-
lità dei gruppi mafiosi attivi nel paese, alme-
no sin dalla fine degli anni Settanta.90
in Firearms, Their Parts and Components and Ammuni-
tion, 2001. 89 Tra gli altri, si vedano Monica Massari, Il traffico illecito di
armi: appunti per un’analisi, in «Rivista di studi e ricerche sulla
criminalità organizzata», vol. 3, n. 1, 2017, pp. 3-18; ERNE-
STO U. SAVONA E MANCUSO MARINA (a cura di), Fighting
lllicit Firearms Trafficking Routes and Actors at European Level.
Final Report of Project FIRE (www.fireproject.eu), Milano:
Transcrime – Università Cattolica del Sacro Cuore, 2017. 90 Vedi DOMITILLA SAGRAMOSO, The Proliferation of Illegal
Small Arms and Light Weapons in and around the European Un-
53
In generale, il mercato illecito delle armi, da un
punto di vista economico – cioè del valore del
mercato e dei profitti che genera – appare di
rilevanza piuttosto limitata, quantomeno se
comparato con altri mercati illeciti, come quelli
relativi a diverse sostanze stupefacenti.91
Per quanto riguarda il caso italiano, si può fa-
re riferimento a uno studio di Calderoni e
colleghi che ha stimato il giro d’affari del
mercato criminale delle armi da fuoco come
compreso tra un minimo di 46 e un massimo
di 141 milioni di euro nel 2010.92
Una delle ragioni principali di ricavi non molto
elevati, quantomeno in confronto ad altri traf-
fici illeciti, è il fatto che le armi, al contrario
delle droghe o di altre merci illegali, sono beni
durevoli, che possono essere usati anche dopo
decenni, e non richiedono interventi di aggior-
namento significativi. Inoltre, dal punto di vi-
sta del trasporto e della logistica, a parità di pe-
so e volume, un carico di armi da fuoco è na-
turalmente molto meno redditizio di un carico
di sostanza stupefacente.
D’altra parte, il traffico illecito delle armi
non richiede competenze commerciali speci-
fiche né elevati capitali da investire e presen-
ta barriere non elevate di accesso al e di usci-
ta dal relativo mercato. Le armi rappresenta-
no di fatto un «bene liquido», pronto a esse-
re convertito in contanti e facile da commer-
cializzare, tanto più a fronte di una domanda
persistente.93
ion: Instability, Organized Crime and Terrorist Groups, Centre for
Defence Studies, King’s College, University of London, and
Saferworld, London, 2001. 91 Tra gli altri, Monica Massari, Il traffico illecito di armi, cit. 92 FRANCESCO CALDERONI, SERENA FAVARIN, LORELLA
GAROFALO, FEDERICA SARNO, Counterfeiting, illegal firearms,
gambling and waste management: An exploratory estimation of four
criminal markets, in «Global Crime», vol. 15, nn. 1-2, 2014,
pp. 108-137. 93 Ernesto U. Savona, Mancuso Marina (Eds.), Fighting lllicit
Firearms Trafficking Routes and Actors at European Level, cit., p.
88.
L’Italia costituisce un importante paese di
destinazione per le armi illegali, provenienti
in particolare dai paesi dell’ex-Jugoslavia e
dall’Albania. Com’è noto, la regione dei Bal-
cani occidentali ha accumulato ingenti sur-
plus di armi e munizioni dopo la Guerra
fredda e soprattutto dopo i conflitti degli
anni ’90. Per esempio, un’inchiesta giornali-
stica di pochi anni fa è giunta alla conclusio-
ne che circa il 90% delle armi illegali presenti
nella città di Roma proveniva proprio
dall’ex-Jugoslavia.94
Inoltre, a causa della prossimità geografica con
i Balcani, l’Italia rappresenta un paese di transi-
to per armi da fuoco dirette verso il Nord Eu-
ropa. Per esempio, la già menzionata opera-
zione antidroga “New Bridge”, condotta nel
2014 dalla Polizia di Stato in collaborazione
con l’FBI contro la ’Ndrangheta, ha riguardato
anche il traffico internazionale di armi.
In Italia un ruolo cruciale nel traffico delle
armi da fuoco in Italia è giocato proprio dal-
le organizzazioni mafiose, autoctone (Cosa
Nostra con base in Sicilia, ’Ndrangheta in
Calabria, Camorra in Campania, Sacra Coro-
na Unita in Puglia), ma anche straniere (ma-
fia russa, albanese, ecc.). Tali organizzazioni
operano sul lato dell’offerta, come venditori
(e mediatori) di armi e munizioni, e sul lato
della domanda, come acquirenti.
Molte armi da fuoco utilizzate dalle principa-
li organizzazioni mafiose provengono for-
malmente dal mercato legale. Si tratta, cioè,
di armi che vengono deviate dal mercato le-
gale e destinate a quello illegale, attraverso
varie strategie. Non di rado si tratta di armi
rubate nelle armerie o alle forze dell’ordine o
a privati cittadini che le detenevano regolar-
mente e che in questo modo entrano quindi
nei circuiti clandestini. È interessante notare
94 FEDERICA ANGELI, “Pistole, Kalashnikov, persino un
missile grandi affari al supermarket dei ‘Ferri’”, La Repubbli-
ca, 21 febbraio 2012.
54
che in Campania molte armi da fuoco non
vengono effettivamente rubate, ma sono ce-
dute volontariamente ai camorristi che, in
questo modo, si assicurano armi “pulite”.95
Inoltre, le armi possono essere trasferite nel
circuito illegale attraverso false esportazioni
sulla carta, conversione di armi da fuoco non
letali 96 o riattivazione di armi disattivate.
Un’altra potenziale modalità di approvvigio-
namento, emersa di recente, è costituita
dall’acquisto su internet, nel cosiddetto dark
web.97 A oggi la fabbricazione illecita attra-
verso la tecnologia di stampa 3D non sem-
bra essere un’opzione rilevante in Italia.98
Un’ulteriore modalità di approvvigionamen-
to delle armi utilizzata frequentemente è
quella che prevede lo scambio fra armi e altri
beni di natura illegale, prime fra tutte le so-
stanze stupefacenti. Per esempio, in Italia sia
la ’Ndrangheta sia Cosa Nostra hanno utiliz-
zato questa modalità per rifornirsi di armi
nell’Europa orientale e nei Balcani. In effetti,
la rilevanza di nessi esistenti tra traffico di
armi e traffico di droga è stata cruciale per le
mafie italiane per ampliare i propri arsenali.99
Nel complesso, secondo gli esperti, nessuna
organizzazione mafiosa italiana ha mai eser-
95 MONICA MASSARI, Guns in the Family. Mafia violence in Italy,
in Small Arms Survey 2013. Everyday Dangers, Small Arms Sur-
vey, Cambridge, Cambridge University Press, 2013, pp. 75-
101. 96 NICOLAS FLORQUIN, BENJAMIN KING, From Legal to Le-
thal: Converted Firearms in Europe, Small Arms Survey, Graduate
Institute of International and Development Studies, Gene-
va, 2018. 97 Cfr. GIACOMO PERSI PAOLI GIACOMO, JUDITH AL-
DRIDGE, NATHAN RYAN, RICHARD WARNES, Behind the cur-
tain: The illicit trade of firearms, explosives and ammunition on the
dark web, RAND Europe, Santa Monica, Calif. - Cambridge,
UK, 2017. 98 FRANCESCO STRAZZARI E FRANCESCA ZAMPAGNI, Between
organised crime and terrorism: Illicit firearms actors and market dy-
namics in Italy, in N. Duquet (a cura di), Triggering Terror: Illicit
Gun Markets and Firearms Acquisition of Terrorist Networks in
Europe, Brussels, Flemish Peace Institute, 2018, pp. 237-283
(p. 261). 99 MONICA MASSARI, Il traffico illecito di armi, cit.
citato un’assoluta egemonia sul traffico ille-
gale di armi, per quanto la ’Ndrangheta gio-
chi un ruolo di primo piano.100 A differenza
di quanto accaduto in passato, gli scambi di
armi tra associazioni mafiose autoctone sono
oggi infrequenti.101
In generale, il traffico di armi non è quasi
mai rientrato tra le attività del programma
delittuoso delle associazioni di stampo ma-
fioso italiane, ovvero finalizzato a produrre
profitto. La disponibilità di armi, anche da
guerra, ha avuto piuttosto una funzione
strumentale rispetto alle altre attività delle
organizzazioni, finalizzata soprattutto
all’obiettivo di mantenere quel controllo del
territorio che costituisce la precondizione
della loro operatività.102
Secondo le informazioni disponibili, la re-
gione maggiormente interessata dai sequestri
di armi è stata la Puglia, e in particolare il
foggiano, zona d’Italia in cui vi è, peraltro,
un’elevata concentrazione di gruppi criminali
armati per l’assalto ai portavalori. L’arma
preferita dalle mafie italiane sarebbe il fucile
d’assalto AK-47 (il celebre Kalashnikov).103
Dai Balcani le armi attraversano il Mar
Adriatico in imbarcazioni o, più frequente-
mente, viaggiano via terra attraverso il Nord
Italia. Le armi sono spesso occultate in cari-
chi legali, trasportate da camion o da jeep o,
talvolta, in piccole quantità, da auto private;
o, ancora, vengono nascoste momentanea-
mente in aree dismesse vicino alle autostrade
prima di giungere a destinazione.
100 SALVATORE DOLCE, Le organizzazioni di stampo mafioso
italiane e il traffico di armi da fuoco. Riflessioni su alcune esperienze
giudiziarie, in «Rivista di Studi e Ricerche sulla criminalità
organizzata», vol. 4, n. 2, 2018, pp. 49-64. 101 FRANCESCO STRAZZARI, FRANCESCA ZAMPAGNI, Between
organised crime and terrorism, cit., p. 267. 102 SALVATORE DOLCE, Le organizzazioni di stampo mafioso
italiane e il traffico di armi da fuoco, cit., pp. 50-51. 103 Ivi, p. 58.
55
Secondo le informazioni disponibili, è impor-
tante sottolineare che per quanto riguarda il
traffico delle armi in Italia il trasferimento via
mare e, ancor più, il transito attraverso struttu-
re portuali non rappresenta la modalità di tra-
sporto più frequente. Infatti, per i gruppi cri-
minali il rischio di ritrovamento dei carichi
grazie all’uso della tecnologia scanner è eleva-
to. Il trasporto avviene principalmente via ter-
ra, con l’occultamento delle armi in automobi-
le, furgoni e autocarri, spesso in doppi fondi. Il
Nord-est, in particolare, è da oltre vent’anni
un’importante area di transito – e di conse-
guenza di sequestri.
È importante notare che i consistenti flussi di
migranti clandestini dall’Africa (in particolare
dalla Libia) all’Italia non presentano legami
stretti con il traffico di armi, a differenza di
quanto avveniva negli anni ’90 con
l’immigrazione dall’Albania. Infatti, le imbar-
cazioni che attraversano la cosiddetta rotta
centrale del Mediterraneo sono intercettate
dalle autorità in mare e quindi eventuali armi
presenti sarebbero facilmente intercettate.104
A causa dei controlli, i trafficanti tendono a
evitare il transito delle armi attraverso i porti
italiani, persino nel caso di trasporto via ma-
re. Per esempio, in Puglia sono stati accertati
flussi illeciti di armi da fuoco, ritrovate anche
in gommoni utilizzati per il traffico di mari-
juana. I responsabili di queste attività illecite
sono generalmente soggetti albanesi, che
possiedono anche fucili Kalashnikov. Inter-
viste originali realizzate dagli autori di questo
rapporto hanno confermato che, analoga-
mente al traffico di droga (in particolare, ma-
104 Tra gli altri, FRANCESCO STRAZZARI, FRANCESCA ZAM-
PAGNI, Between organised crime and terrorism, cit.; Audizione del
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catan-
zaro Nicola Gratteri, Comitato parlamentare di controllo
sull’attuazione dell’Accordo di Schengen, di vigilanza sull'at-
tività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di im-
migrazione, Seduta n. 49 di martedì 23 maggio 2017, Reso-
conto stenografico.
rijuana) presente nell’area, le armi non giun-
gono nei porti, ma sulle coste e in punti di
approdo isolati che la morfologia del territo-
rio pugliese, con le sue coste frastagliate, of-
fre. Questa modalità di trasporto illecito di
carattere extra-ispettivo ha luogo soprattutto
nelle aree più distanti dal capoluogo pugliese,
a nord verso il Gargano o a sud verso il Sa-
lento. La costa della provincia di Bari infatti
è altamente urbanizzata, a causa della pre-
senza di strutture turistiche e ricettive, indu-
strie, ecc., per cui i punti di approdo liberi,
più difficili da controllare e pattugliare, sono
meno diffusi. Come già accennato, queste
rotte illecite sono spesso miste, combinando
il trasporto di droga con quello di armi op-
pure di migranti irregolari.105
La relativa vicinanza geografica delle coste
italiane alla regione balcanica permette
l’utilizzo dei cosiddetti “squali” da parte dei
trafficanti. Queste imbarcazioni piccole e ve-
loci rappresentano una sfida significativa per
i mezzi delle Autorità italiane, anche per la
Guardia di Finanza che pure è specificamen-
te equipaggiata per contrastare questo feno-
meno. 106 Inoltre, come è stato notato, se-
condo le forze di polizia italiane, una nuova
strategia prevede l’uso di container sigillati
trainati da motoscafi che vengono sganciati
vicino alla costa e recuperati successivamen-
te dal destinatario del carico. 107 Oltretutto,
specialmente a partire dai gravi attacchi ter-
roristici del 2015 in Francia, i controlli nei
porti, così come negli aeroporti, sono stati
intensificati anche in Italia.108
105 Intervista ad autorità, Bari, febbraio 2018. 106 Ibidem. 107 FRANCESCO STRAZZARI E FRANCESCA ZAMPAGNI,
Between organised crime and terrorism, cit., p. 263. 108 Intervista ad autorità, Genova, gennaio 2018. Con rife-
rimento al capoluogo ligure, cfr. MARCO GRASSO, “Armi e
passaporti falsi, boom di sequestri a Genova”, Il Secolo XIX,
8 gennaio 2018.
56
Può essere interessante notare che anche per
un recente caso di traffico illegale riguardan-
te non armi da fuoco, ma interi mezzi milita-
ri, opportunamente smontati per eludere i
controlli e trasportati via mare dall’Italia alla
Somalia, i responsabili avevano preferito ab-
bandonare i porti italiani proprio perché
l’imbarco era diventato sempre più difficile,
optando alla fine per il porto di Anversa, in
Belgio, dove i veicoli militari venivano con-
dotti via terra a bordo di tir, con il carico
coperto da teloni.109
Anche il Porto calabrese di Goia Tauro, così
rilevante per diversi traffici illeciti, a partire da
quello di cocaina (vedi apposita sezione del
rapporto), non occupa una posizione centrale
per il trasferimento di armi da fuoco. Di recen-
te è stato rilevato che «secondo gli organi inve-
stigativi, Gioia Tauro ha ceduto il passo a Rot-
terdam come porto di preferenza per i traffi-
canti di armi da fuoco, perché quando i seque-
stri superano il 20% dei beni trafficati, i mafio-
si preferiscono cambiare porto: come un
esperto italiano ha affermato, “i mafiosi pos-
sono sempre cambiare porti; questa è la forza
della ’Ndrangheta”».110
Nondimeno, una parte dei traffici illeciti di
armi da fuoco, per quanto minoritaria, tran-
sita effettivamente dai porti marittimi italia-
ni. Tra gli altri, il porto di Taranto risulta al
centro di numerosi traffici illeciti transnazio-
nali che comprendono, appunto, trasferi-
menti di armi, oltre che di droga.111
Gli autori di questo rapporto hanno esamina-
to alcuni casi, anche con apposite interviste a
esperti. Per esempio, nel Porto di Genova è
stato individuato un traffico illecito di auto- 109 Polizia di Stato, “Traffico illegale di mezzi militari, 4 ar-
resti”, 4 ottobre 2017. 110 FRANCESCO STRAZZARI, FRANCESCA ZAMPAGNI, Between
organised crime and terrorism, cit., p. 263. 111 Vedi Camera dei Deputati, Relazione sull’attività delle forze
di polizia, sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica e sulla
criminalità organizzata (Anno 2015), 2017, volume I, p. 490.
mobili provenienti dalla Libia, sul quale hanno
indagato i GICO (Gruppi di Investigazione
sulla Criminalità Organizzata) e il secondo
gruppo della Guardia di Finanza del capoluo-
go ligure. Queste automobili sembrerebbero
appartenere a un ex parco-auto del leader libi-
co Muammar Gheddafi, finite poi in mano a
militanti jihadisti. Nel paraurti sono state ritro-
vate numerose armi da fuoco.112
D’altra parte, la Calabria, insieme ad altre
aree del Mezzogiorno, rappresenta un centro
non trascurabile per la riattivazione delle ar-
mi da fuoco e, in particolare, secondo alcune
indicazioni, «il porto di Goia Tauro ospita
attività di modifica clandestina delle armi da
fuoco in container».113 Vale la pena di notare,
infine, che un’inchiesta giornalistica del 2016
ha prospettato un nesso tra traffico di armi e
il traffico di reperti artistici tra l’Italia e la Li-
bia, con il coinvolgimento rispettivamente
delle mafie italiane, a partire dalla ’Ndran-
gheta, e del cosiddetto Stato Islamico. Gioia
Tauro rappresenterebbe la base di smista-
mento per tale traffico (Quirico 2016). Non-
dimeno la notizia di cronaca non ha trovato
finora riscontri ufficiali.
A questo proposito, è opportuno precisare,
infine, che a oggi non esistono indicazioni
salienti di legami organizzativi tra associa-
zioni criminali attive in Italia e gruppi terro-
ristici di matrice jihadista, nemmeno rispetto
all’approvvigionamento e uso delle armi da
fuoco.114
112 Intervista ad autorità, Genova, gennaio 2018. 113 FRANCESCO STRAZZARI E FRANCESCA ZAMPAGNI,
Between organised crime and terrorism, cit., p. 265. 114 Vedi PETER R. NEUMANN PETER, RAJAN BASRA, The
Crime-Terror Nexus in Italy and Malta, The Crime Terror Ne-
xus, 2018; FRANCESCO MARONE, Terrorismo jihadista e uso
delle armi da fuoco in Occidente, in «Rivista di studi e ricerche
sulla criminalità organizzata», vol. 4, n. 2, 2018, pp. 65-87.
57
5. IL RISCHIO TERRORISMO
5.1 IL TERRORISMO MARITTIMO
Com’è noto, il terrorismo 1 costituisce una
delle principali minacce alla sicurezza nazio-
nale e internazionale. In particolare, il terro-
rismo transnazionale di matrice jihadista ha
suscitato grande preoccupazione negli ultimi
anni, almeno a partire dai catastrofici attac-
chi suicidi dell’11 settembre 2001. L’ascesa
del cosiddetto Stato Islamico, con la procla-
mazione del suo “califfato” il 29 giugno
2014, ha segnato un’ulteriore fase di recru-
descenza della minaccia. Dal 2014 decine di
attacchi terroristici hanno colpito anche i
paesi occidentali.2
Il terrorismo, specialmente di matrice jihadi-
sta, può rappresentare un pericolo serio an-
che per la sicurezza (nell’accezione di security)
dei porti marittimi e merita quindi attenzione
in questa sede.
È vero che storicamente i porti e, in genera-
le, i mari non hanno costituito luoghi e am-
bienti di cruciale importanza nelle attività
1 Non esiste una definizione comunemente accettata di ter-
rorismo. Sul punto si veda, tra gli altri, ALEX P. SCHMID (a
cura di), The Routledge Handbook of Terrorism Research, Abing-
don, Routledge, 2011, capitolo 2. In essenza, il termine fa
riferimento a un metodo utilizzato per ragioni politi-
che/ideologiche da un attore non-statale per piegare la vo-
lontà e la resistenza di uno Stato (o più Stati) attraverso
l’uso della violenza. 2 Vedi, in particolare, LORENZO VIDINO, FRANCESCO MA-
RONE, EVA ENTENMANN, Jihadista della porta accanto. Radica-
lizzazione e attacchi jihadisti in Occidente, Istituto per gli Studi di
Politica Internazionale (ISPI), 2017.
terroristiche. Per esempio, il Database GTD
START,3 il più ampio disponibile in materia,
registra soltanto 357 attacchi terroristici con-
tro obiettivi “marittimi” – avvenuti prevalen-
temente al di fuori dell’Occidente – sugli ol-
tre 180.000 realizzati nel mondo (0,2%) dal
1970 al 2017.
Il terrorismo marittimo può manifestarsi in
due ambiti diversi: l’alto mare, che si identi-
fica sostanzialmente con le “acque interna-
zionali”, e la zona costiera che tende a coin-
cidere con le “acque territoriali”. 4 Ai due
ambiti corrispondono logiche e dinamiche
differenti, sia sotto il profilo della minaccia
terroristica sia sotto il profilo della risposta
antiterroristica. Chiaramente in questa sede
l’attenzione si concentra principalmente sul
secondo ambito.
Le ragioni della scarsa rilevanza del terrori-
smo in mare – e, specialmente, in mare aper-
to, – sono probabilmente molteplici e ten-
dono a sovrapporsi.5 In primo luogo, guar-
dando ai responsabili della violenza, un nu-
mero significativo di organizzazioni terrori-
stiche non ha base in aree costiere (si pensi,
per esempio, ai numerosi gruppi attivi in Af-
3 Global Terrorism Database (GTD), National Consortium
for the Study of Terrorism and Responses to Terrorism
(START), https://www.start.umd.edu/gtd/. 4 MARCO BANDIOLI, Terrorismo nei porti. Minaccia da terra e dal
mare (protezione, difesa, contrasto), Roma, IBN, 2017, pp. 19-20. 5 PETER CHALK, The maritime dimension of international security:
Terrorism, piracy, and challenges for the United States, Report,
Rand Corporation, 2008, p. 19 e ss.
58
ghanistan, paese privo di sbocchi sul mare) e
non è in grado di estendere il proprio raggio
d’azione al di là degli originari contesti locali.
Inoltre, non molte organizzazioni terroristi-
che – e tantomeno singoli militanti – hanno
competenze e mezzi adeguati per operare
nello specifico ambiente marittimo (disponi-
bilità di imbarcazioni, esperienze nautiche,
ecc.). Oltretutto, come segnalato da numero-
si studiosi ed esperti, le organizzazioni terro-
ristiche tendono a essere piuttosto conserva-
trici nella selezione delle tattiche e delle armi
impiegate.6
In secondo luogo, sotto il profilo dei bersa-
gli, obiettivi in mare – e, specialmente, in
mare aperto, – tendono a essere meno visibi-
li e quindi interessano meno organizzazioni e
singoli militanti che generalmente adottano
la strategia del terrorismo proprio per ricer-
care pubblicità per la propria causa politica.7
Al contrario, attacchi eseguiti sulla terrafer-
ma di solito possono essere visti e seguiti da
un numero maggiore di persone, sia diretta-
mente sia indirettamente attraverso vari tipi
di media (per i quali, a loro volta, l’accesso
alla scena di un attacco risulta più difficolto-
so lontano dalla terraferma).
D’altra parte, tutto ciò non impedisce che
organizzazioni e singoli militanti possano es-
sere interessati a colpire in alto mare o, an-
cor più, in prossimità della costa. Si possono
indicare almeno tre ragioni distinte di tale
interesse. In primo luogo, l’ambiente marit-
timo offre un’ampia disponibilità di bersagli
potenziali, tanto più, per esempio, nell’am-
6 Nell’ampia letteratura disponibile si vedano, a titolo di
esempio, BRUCE HOFFMAN, Terrorist targeting: Tactics, trends,
and potentialities, in «Terrorism and Political Violence», vol. 5,
n. 2, 1993, pp. 12-29; NICOLE A. TISHLER, Trends in Terror-
ists’ Weapons Adoption and the Study Thereof, in «International
Studies Review», vol. 20, n. 3, 2018, pp. 368-394. 7 Tra gli, si segnala FRANCESCO MARONE, La politica del terro-
rismo suicida, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2013, capitolo
1.9.
bito di bracci di mare e canali (non di rado di
grande valore strategico, come lo Stretto di
Hormuz).
In secondo luogo, attacchi a porti o a vie di
comunicazioni marittime (sea lines of communi-
cation, SLOC) possono produrre significativi
danni al sistema commerciale marittimo, ba-
sato su meccanismi “just in time just enough”. Il
traffico marittimo (di merci innanzitutto, ma
anche di persone) – basato essenzialmente
su navi, porti e interconnessioni – è chiara-
mente un pilastro fondamentale dell’architet-
tura del trasporto globale e rappresenta un
fattore assai rilevante per il benessere e la
prosperità di numerosi stati. Un’operazione
di terrorismo marittimo può quindi produrre
danni molto seri, tanto più considerando che
il sistema commerciale si fonda su meccani-
smi “just in time just enough”. La causazione di
gravi costi economici rientra, peraltro, per-
fettamente nelle finalità o quantomeno nella
retorica di diverse organizzazioni terroristi-
che, come quelle di matrice jihadista, almeno
a partire dall’11 settembre: gruppi come al-
Qaeda hanno persino ostentato più volte
l’intenzione di portare alla bancarotta gli Sta-
ti nemici, e persino la superpotenza america-
na.
In terzo luogo, com’è noto, numerose orga-
nizzazioni terroristiche hanno indirizzato de-
liberatamente i propri atti di violenza contro
il sistema dei trasporti. A questo riguardo, i
trasporti su acqua non fanno totalmente ec-
cezione. In particolare, mezzi di trasporto
come battelli e traghetti, usati anche per il
servizio pubblico, possono rappresentare
bersagli interessanti per questi gruppi armati,
specialmente se essi sono disposti a ricorrere
alla violenza indiscriminata contro civili
inermi: tali imbarcazioni possono contenere
un ampio numero di persone in spazi relati-
vamente ridotti e spesso non sono protetti
da misure di controllo molto stringenti.
59
Si può ricordare a questo proposito
l’attentato perpetrato da un gruppo jihadista
contro il traghetto “Superferry 14” il 27 feb-
braio 2004 nella baia di Manila, di fronte alla
capitale filippina. L’esplosione di una bomba
a bordo provocò l’affondamento dell’imbar-
cazione e la morte di 116 passeggeri: si è
trattato probabilmente del più letale attacco
terroristico mai compiuto sull’acqua. Anche
navi da crociera potrebbero attirare l’atten-
zione di gruppi estremistici, anche in virtù
della loro valenza simbolica (per esempio,
come simbolo dello stile di vita e
dell’opulenza occidentali od “occidentalizza-
ti”); basti pensare al caso, ben noto, del di-
rottamento dell’“Achille Lauro” nel 1985.
Un numero ridotto di attacchi terroristici,
anche di alto profilo, è stato eseguito diret-
tamente all’interno di strutture portuali o
nelle loro immediate vicinanze. In generale, i
porti, per la loro struttura complessa, per il
continuo transito (o sosta) di diversi tipi di
persone, merci, navi, natanti e mezzi, per la
loro collocazione all’interno del tessuto ur-
bano o in stretto collegamento con città, co-
stituiscono bersagli vulnerabili. Inoltre, se il
controllo ininterrotto di un sito sensibile
“terrestre” risulta impegnativo al tempo di
un terrorismo di portata globale e protei-
forme, sempre pronto a cambiare obiettivi,
metodi e armi, lo è a maggior ragione per i
porti marittimi. Infatti, in questo caso la mi-
naccia può giungere dalla terra, ma anche dal
mare. Si possono ipotizzare, per esempio,
infiltrazioni di nuotatori o sommozzatori nei
porti, uso di veicoli subacquei semoventi per
il posizionamento di ordigni esplosivi nelle
acque interne o nelle darsene oppure utilizzo
di navi gasiere o petroliere da scagliare con-
tro obiettivi prefissati.8
Tra i più importanti attacchi terroristici pres-
so un porto marittimo si segnala l’attacco
8 MARCO BANDIOLI, Terrorismo nei porti, cit.
suicida ai danni del cacciatorpediniere “USS
Cole”, per alcuni versi preludio dell’11 set-
tembre, avvenuto il 12 ottobre 2000 nel Por-
to di Aden, capitale dello Yemen. Una picco-
la imbarcazione guidata da due membri di al-
Qaeda con a bordo decine di chilogrammi di
esplosivo C4 esplose a poca distanza dal
cacciatorpediniere, ormeggiato nel porto per
un rifornimento di routine dopo una naviga-
zione nel Golfo Persico. L’azione causò la
morte di 17 marinai statunitensi e il ferimen-
to di altri 39.
Peraltro, nello stesso porto pochi mesi prima
l’organizzazione di Bin Laden aveva già cer-
cato di distruggere il cacciatorpediniere lan-
ciamissili “USS The Sullivans (DDG-68)”: il
3 gennaio 2000, un barchino pieno di esplo-
sivo affondò per il peso eccessivo prima di
potere colpire la nave da guerra statunitense.
Il porto di Aden fu il teatro di un altro attac-
co suicida eseguito con modalità simili il 6
ottobre 2002 ai danni della petroliera “MV
Limburg”, battente bandiera francese.
L’operazione, organizzata di nuovo da al-
Qaida, provocò la morte di un membro
dell’equipaggio e il ferimento di altri dodici.
La nave subì un grave incendio, nel corso
del quale riversò in mare migliaia di metri
cubi di petrolio, ma non affondò.
L’incidente provocò il collasso del commer-
cio marittimo nel Golfo di Aden nel breve-
medio periodo.
A differenza di altri gruppi armati, come le
Tigri Tamil dello Sri Lanka, al-Qaida non
possedeva una vera e propria struttura dedi-
cata al terrorismo marittimo né tantomeno
una flotta d’altura o costiera. Inoltre, non
aveva elaborato una dottrina in materia.
L’attacco allo “USS Cole” nel 2000 ha rap-
presentato un punto di svolta nel pensiero
strategico dell’organizzazione e dell’intera
galassia jihadista, segnando un salto qualita-
tivo e l’avvio di quello che può essere chia-
60
mato il “jihad marittimo”.9 L’incarico di or-
ganizzare le tre operazioni citate fu presumi-
bilmente affidato al saudita Abd al-Rahim al-
Nashiri, un esperto di esplosivi che per la
sua specializzazione in questo ambito si è
guadagnato il nome di Ameer al Bahr (“Prin-
cipe dei mari” in arabo).
Anche nell’ambito del conflitto israelo-
palestinese si sono registrati significativi at-
tacchi terroristici in strutture portuali. Il 14
marzo 2004, nel corso della cosiddetta Se-
conda Intifada (2000-2005), due attentatori
suicidi palestinesi si fecero esplodere
nell’importante porto israeliano di Ashdod,
dopo esser riusciti a superare le misure di si-
curezza. L’azione, rivendicata congiunta-
mente da Hamas e dal braccio armato di Fa-
tah, provocò 10 morti e 16 feriti. Secondo
informazioni raccolte dalle autorità israelia-
ne, i due attentatori si sarebbero nascosti
all’interno di un container.
Lo Stato Islamico ha espresso più volte inte-
resse per attività in mare, ma è rimasto, an-
cor più che al-Qaida, una realtà essenzial-
mente legata alla terraferma, con un baricen-
tro fissato in Iraq e Iraq, nonostante il fatto
che alcune sue branche siano attive in aree
costiere, in Libia e in altri paesi.10
5.2 IL RISCHIO TERRORISMO NEI
PORTI ITALIANI
Per quanto riguarda l’Italia, come detto,
un’influente operazione terroristica in mare
ha coinvolto direttamente il paese nel 1985:
la nave da crociera italiana “MS Achille Lau-
ro” venne dirottata, il 7 ottobre, al largo del-
le coste egiziane da quattro militanti del
Fronte per la Liberazione della Palestina, sa-
9 NORMAN CIGAR, The Jihadist Maritime Strategy: Waging a
Guerrilla War at Sea, MES Monograph, Marine Corps Uni-
versity, 2017. 10 Ibidem.
liti bordo a Genova, utilizzando documenti
falsi. Il dirottamento si concluse con trattati-
ve tra le parti, non prima che un cittadino
statunitense, Leon Klinghoffer, fosse ucciso
dal commando palestinese.
In aggiunta agli attacchi, i porti possono
rappresentare luoghi di transito rilevanti per
le attività terroristiche, in particolare per i
militanti. Sebbene si possa affermare che i
terroristi prediligano generalmente altri mez-
zi di trasporto per i loro spostamenti, non
mancano i casi di soggetti transitati da porti
marittimi, anche in Italia.
Si può ricordare innanzitutto il caso di Salah
Abdeslam, uno dei terroristi coinvolti negli
attacchi del 13 novembre a Parigi, divenuto
oggetto di una vastissima caccia all’uomo in
tutta Europa fino alla sua cattura il 18 marzo
2016 a Molenbeek, nell’area di Bruxelles;
Abdeslam era, infatti, l’unico terrorista della
cellula ad essere ancora vivo, insieme a Mo-
hamed Abrini. Il 1° agosto 2015 Abdeslam a
Bari è salito su un traghetto turistico per Pa-
trasso, in Grecia, per poi transitare nuova-
mente nel porto pugliese 4 giorni più tardi,
diretto verso il Belgio. 11 All’epoca l’uomo,
cittadino francese nato e cresciuto in Belgio,
non era formalmente ricercato e apparente-
mente ha esibito i propri documenti. Duran-
te il viaggio di andata, con Abdeslam, a bor-
do di un’utilitaria a noleggio, vi sarebbe stato
anche Ahmed Dahmani, considerato il “ba-
sista” del commando di Parigi12 e arrestato in
Turchia alcuni giorni dopo gli attacchi.13
11 “Caccia a Salah, il terrorista transitò da Bari: ad agosto si
imbarcò per la Grecia”, La Repubblica, 20 novembre 2015. 12 FIORENZA SARZANINI, “Carte di credito e auto: jihadisti
in fuga e le tracce del passaggio in Italia”, Corriere della Sera,
23 novembre 2015. 13 “Suspected Paris attacker Abdeslam was in Italy in Au-
gust”, Reuters, 23 November 2015; BARBIE LATZA NADEAU,
“Did Paris Terrorist Move Freely Between Italy and
Greece?”, Daily Beast, 23 November 2018.
61
Dopo gli attacchi nell’area portuale di Bari è
stato attivato un nuovo protocollo che pre-
vede serrati controlli prima dell’ingresso nel-
la stazione marittima, con il contributo di
militari dell’Esercito, posizionati intorno al
cancello che delimita la zona.14
Secondo diversi resoconti giornalisti, altri
estremisti sarebbero transitati da porti pu-
gliesi, diretti verso est.15 Tra questi casi po-
trebbe rientrare quello di Ridha Shwan Jalal,
cittadino iracheno, arrestato una prima volta
presso il porto di Bari, mentre tentava di im-
barcarsi per la Grecia con documenti falsi, il
5 agosto 2015 (stesso giorno in cui Abde-
slam e Dahmani salivano sul traghetto diret-
to a Patrasso). Jalal, successivamente scarce-
rato, era in contatto con Muhamad Majid,
cittadino iracheno già condannato in Italia
per terrorismo internazionale.16
Altri porti italiani, fuori dalla Puglia, sono
stati associati al transito di militanti radicali.
Si segnala, ad esempio, la vicenda di due ji-
hadisti stranieri che alla fine del 2016 hanno
tentato, senza riuscirvi, di imbarcarsi nel
porto di Ancona, presumibilmente con
l’obiettivo di recarsi in Siria. Si tratta di Lu-
tumba Nkanga cittadino congolese di 27 an-
ni, arrestato con l’accusa di associazione con
finalità di terrorismo internazionale e di Sou-
fiane Amri, cittadino marocchino di 22 anni,
espulso dal territorio nazionale. Secondo gli
inquirenti, i due facevano parte di una cellula
salafita operante a Berlino e avevano aderito
alla causa dello Stato Islamico. Soufiane sa-
14 BEPI CASTELLANETA, “Il terrore sull’asse Bari-Grecia.
Tre i jihadisti passati dal porto”, Corriere del Mezzogiorno, 29
marzo 2016. 15 Cfr. CRISTINA GIUDICI, “Il varco italiano del jihad”, Il
Foglio, 19 luglio 2016. 16 “Terrorismo, due stranieri arrestati a Bari: ‘La città è una
base per foreign fighters’”, La Repubblica, 24 marzo 2016;
IVAN CIMMARUSTI, “Fino a 20 anni di carcere per lo stragi-
sta di Parigi. Faro sulle cellule logistiche in Italia”, Il Sole 24
Ore, 5 febbraio 2018.
rebbe anche stato in contatto con il tunisino
Anis Amri, responsabile del grave attacco a
un mercatino di Natale di Berlino del 19 di-
cembre 2016.17
Altra questione degna di nota è quella relati-
va ai movimenti dei cosiddetti foreign fighters
jihadisti, individui che si recano, appunto, in
aree di conflitto all’estero per unirsi a gruppi
armati. Le informazioni disponibili indicano
che nel loro viaggio verso l’Iraq e la Siria (e,
secondariamente, verso la Libia), i foreign
fighters jihadisti legati all’Italia (pochi più di
130, secondo le Autorità italiane) 18 hanno
preferito avvalersi dell’aereo, di solito imbar-
candosi su voli diretti in Turchia.19 Nondi-
meno non meno di cinque individui hanno
impiegato una nave o un traghetto per alme-
no una parte del loro viaggio. Interessante è,
in particolare, il caso di Laura Passoni, citta-
dina italiana residente in Belgio, che nel giu-
gno del 2014, insieme al marito e al figlio, ha
raggiunto Venezia in treno, passando da Pa-
rigi, per imbarcarsi su una nave da crociera.
Scesi a terra durante una sosta nella città tur-
ca di Izmir (Smirne), i tre si sono poi recati
in Siria, per unirsi allo Stato Islamico.20 Pas-
soni è poi ritornata in Belgio e ha abbando-
nato la causa jihadista.
I porti marittimi, infine, possono essere im-
portanti crocevia di attività terroristiche per
il trasferimento di denaro e di beni. In rela-
zione al caso italiano, i casi registrati negli
ultimi anni appaiono in numero ridotto e,
soprattutto, presentano talora tratti ancora
17 “Terrorismo, contatti con Amri. Un arresto e un espulso
in Italia”, Corriere della Sera, 28 aprile 2017. 18 Ministero dell’Interno, Dossier Viminale Ferragosto
2018. 19 FRANCESCO MARONE, LORENZO VIDINO, Destinazione
jihad. I foreign fighters d’Italia, Rapporto, Istituto per gli
Studi di Politica Internazionale (ISPI), 2018, p. 73. 20 FRANCESCO MARONE E LORENZO VIDINO, Destinazione
jihad, cit.; ANNE SPECKHARD E ARDIAN SHAJKOVCI, “Be-
ware the Women of ISIS Part I: Dreamers”, Clarion Pro-
ject, September 20, 2017.
62
poco chiari. Si è già fatto cenno a
un’inchiesta giornalista del 2016 su un pre-
sunto scambio tra mafie italiane e gruppi
armati. Più recentemente, secondo resoconti
apparsi sui media italiani nel 2018, reperti ar-
cheologici trafugati dallo Stato Islamico sono
stati scoperti dalla Polizia di frontiera di Sa-
lerno in un container proveniente dall'Egit-
to.21 Infine, sono state anche avviate indagini
in merito all’ipotesi di complesse operazioni
di importazione clandestina di petrolio via
mare da aree sottoposte al controllo di orga-
nizzazioni terroristiche (in particolare, lo Sta-
to Islamico), destinate a raffinerie italiane.22
In queste vicende i porti italiani sarebbero
stati associati, loro malgrado, ad attività di
finanziamento di gruppi armati estremisti,
21 NELLO FERRIGNO, “Il tesoro trafugato dall'Isis custodito
in una caserma campana”, Il Mattino, 21 maggio 2018. 22 GIULIANO FOSCHINI, FABIO TONACCI, “Il petrolio
dell’Isis finisce in Italia: la Guardia di Finanza indaga sulle
‘navi fantasma’”, La Repubblica, 31 luglio 2017.
anche a causa della collocazione geografica
del paese.
Se, come detto, non vi è alcuna indicazione
di una saldatura tra tradizionali associazioni
mafiose italiane e gruppi armati stranieri,
non si può escludere del tutto la possibilità
che si instaurino contatti e occasioni di
scambio, basati su vantaggi reciproci, tra so-
dalizi criminali attivi nel paese e organizza-
zioni terroristiche all’estero.23
In conclusione, il terrorismo costituisce po-
tenzialmente una minaccia significativa per la
sicurezza dei porti marittimi, anche in Italia,
in relazione al rischio di attacchi, al transito
di militanti e al trasferimento di denaro e
beni provenienti da o diretti a gruppi armati.
23 Cfr. MARIO CALIGIURI, ANDREA SBERZE, Il pericolo viene
dal mare. Intelligence e portualità, Soveria Mannelli, Rubbettino,
2017.
63
6. RACCOMANDAZIONI
Dall’attività di ricerca sul campo e dalla di-
samina delle fonti sono emerse alcune critici-
tà meritevoli di attenzione. Queste, a loro
volta, hanno suggerito una serie di racco-
mandazioni, qui di seguito evidenziate.
Si ritiene che, se messe a frutto, tali racco-
mandazioni siano in grado di apportare mi-
glioramenti alla sicurezza portuale, in primis
nell’ottica di un concreto rafforzamento al
contrasto ai traffici illeciti, ma anche in dire-
zione di una maggiore competitività delle in-
frastrutture portuali italiane sia su scala eu-
ropea che mondiale.
LA COOPERAZIONE
La ricerca ha fatto emergere come il princi-
pio fondante e comune denominatore del
contrasto alle attività criminose analizzate sia
la cooperazione, sia di tipo transfrontaliera
(o interstatale) che interna.
Cooperazione transfrontaliera
Ai fini del presente report, si vuole eviden-
ziare l’importanza del ruolo della coopera-
zione con stati cruciali che costituiscono
punti di transito (come la Grecia) o di par-
tenza (come il Marocco e Turchia) della
merce illecita.
La cooperazione transfrontaliera Italia-
Grecia, ad esempio, è diventata un modello
da seguire. Per quanto si riscontrino delle
fragilità nel sistema della sicurezza, il forte
legame storico tra i due Paesi crea delle con-
dizioni di lavoro assai favorevoli al contrasto
dei traffici illeciti. Da qui anche il ruolo chia-
ve di organismi come Europol, Frontex, In-
terpol, Eurojust.
In maniera simile, si segnalano anche i forti
legami con l’Albania. L’Italia ha svolto e
svolge importanti funzioni di sostegno del
paese balcanico. Inoltre a ciò si aggiunge la
preziosa collaborazione anche con gli organi
di law enforcement albanesi permette di proteg-
gere meglio le frontiere marittime nazionali.
E ancora, i forti legami con i corrispondenti
sudamericani hanno permesso alle autorità
italiane di sequestrare beni, smantellare clan
e cosche, individuare nuovi porti di arrivo e
di conquista della ’Ndrangheta calabrese.
La cooperazione con stati cruciali, dunque,
appare di vitale importanza per garantire la
sicurezza alle frontiere marittime. Legami
ancor più stretti risultano necessari con molti
altri paesi nordafricani, punti di transito o di
partenza di grossi quantitativi di merce illeci-
ta, grazie a varie connessioni o con la crimi-
nalità organizzata italiana o con altri gruppi
criminali di etnia straniera residenti in Italia.
Anche laddove la cooperazione è storica e
duratura, si avverte la necessità di investire
più risorse in termini forze di polizia per un
presidio più solido e per un potenziamento
nei processi di identificazione di persone e di
controlli alle frontiere.
Cooperazione interna: la sinergia
Come visto nell’apposita sezione, Guardia di
Finanza e Agenzia delle Dogane sono i prin-
cipali attori in materia di contrasto dei traffi-
ci illeciti. Ad essi si aggiunge la Polizia di
Frontiera, in prima linea nel contrasto
all’immigrazione clandestina.
Le operazioni analizzate hanno messo in lu-
ce come tutte le operazioni di controllo della
merce avvengano necessariamente alla pre-
64
senza di doganieri e finanzieri in primis, e poi
della polizia frontaliera a seconda dei casi (ad
esempio, quando sia rilevata la presenza di
persone all’interno di navi tramite il rileva-
mento dei battiti cardiaci e dell’anidride car-
bonica). Questo perché ciascuno nella pro-
pria sfera di competenza ha compiti specifici
che spesso sono complementari/sussidiari
all’altro corpo.
A livello pratico, dunque, se l’Agenzia delle
Dogane ha giurisdizione nelle aree doganali,
occupandosi dei controlli delle merci in en-
trata e in uscita dai varchi portuali, la Guar-
dia di Finanza ha competenza sia in aree do-
ganali, sia all’esterno di esse. Quest’ultima
detiene un ruolo di polizia giudiziaria, dotata
di una propria intelligence. La parola chiave
che emerge chiaramente è la necessità di
avere una perfetta “sinergia” tra gli attori del
sistema. Solo cooperando, mettendo insieme
le proprie forze e poteri si può perseguire al
meglio il comune obiettivo che è quello del
contrasto delle attività criminose.
Pur avendo poteri e sfere di competenza
propri, è inevitabile che in talune situazioni
si creino delle situazioni di sovrapposizione
in cui una stretta cooperazione è assoluta-
mente necessaria. A tal riguardo, in più occa-
sioni è stata messa in evidenza la mancanza
di veri e propri protocolli e norme di coor-
dinamento efficaci che mettano a sistema,
con limiti ben definiti, la sinergia di cui so-
pra. Quest’ultima, infatti, sembra essere tal-
volta garantita solo laddove le relazioni inter-
personali tra i vari soggetti funzionano. È
stato fatto presente come questa lacuna ab-
bia qualche volta avuto anche un impatto
sulla fluida conduzione di talune operazioni.
DATABASE COMUNICANTI
La sezione precedente ha sottolineato la dif-
ferenza dei vari corpi, sia nel loro atto istitu-
tivo e ragion d’essere che nelle funzioni e nei
poteri. Da ciò deriva che ogni corpo agisce
seguendo le informazioni raccolte e posse-
dute, che confluiscono in una propria banca
dati. La diversità dei ruoli fa sì che ciascun
database contenga informazioni diverse
dall’altro, con la conseguenza che le infor-
mazioni dell’uno possano essere cruciali per
l’altro.
Ci si potrebbe aspettare che nella conduzio-
ne di operazioni, tutte le informazioni siano
accessibili a tutti gli attori del sistema. Du-
rante l’attività di ricerca è stato messo in evi-
denza come, in realtà, non esistano banche
dati comunicanti con informazioni fruibili a
tutti gli addetti alla sicurezza. E, in diverse
occasioni, tale deficit ha comportato gravi
malfunzionamenti e rallentamenti.
L’istituzione di una banca dati comunicante
e fruibile a tutti gli attori in carico della sicu-
rezza portuale e contenente le informazioni
riguardanti passeggeri e merci in transito da
un determinato varco portuale potrebbe co-
stituire un importante contributo aggiuntivo
nella lotta ai traffici illeciti. L’obiettivo, se-
condo molti esperti, sarebbe quello di creare
un vasto archivio di tracciabilità di tutto ciò
che transita nelle frontiere portuali.
Un precursore di quello che potrebbe effet-
tivamente essere un database di questo tipo è
il sistema GAIA (Generalized Automatic Ex-
change of Port Information Area) presso il porto
di Bari, il quale aspira a creare un vero e
proprio Port Community System. Esso infatti ha
sviluppato un sistema di alert attraverso il
quale il personale abilitato di Autorità por-
tuale e Agenzia delle Dogane con pochi e
semplici passaggi, attiva ricerche automati-
che di nominativi di persone e targhe im-
messe nel sistema. All’occorrenza di alcuni
eventi prescelti (generazione di un biglietto,
un transito al varco, ecc.), il sistema invia in
tempo reale delle notifiche agli operatori.
Ciò permette sicuramente una più sicura
65
tracciabilità di persone e veicoli che sono di
interesse per le autorità.179
Altri sistemi sono in utilizzo in altri porti, ma
con finalità diverse e non prettamente foca-
lizzate sulla sicurezza. Sicuramente progetti
di questo tipo, tanto più a livello nazionale,
potrebbero offrire un valido aiuto per il con-
trasto di attività criminose che si servono dei
porti.
IL CAPITALE UMANO
La lunga attività di ricerca ha portato alla lu-
ce un’altra importante questione. In ogni
paese la sicurezza è composta da due ele-
menti principali: strumenti ed infrastrutture,
da un lato, risorse umane istruite ad hoc,
dall`altro. In taluni casi e contesti, l’esigenza
di capitale umano è particolarmente avverti-
ta. Negli ultimi anni si è assistito a una forte
diminuzione di concorsi di accesso alle car-
riere delle forze dell`ordine a causa di tagli di
bilancio. Garantire una solida attività di sicu-
rezza, svolta da personale istruito e addestra-
to, sia nel presente che nel futuro è un prin-
cipio cardine per il sistema paese.
Questa limitatezza di risorse umane a dispo-
sizione è stato fatta notare in relazione ad
almeno tre situazioni particolari:
La conduzione di operazioni. Taluni
esperti hanno rilevato come alcune opera-
zioni di carattere sensibile necessitino di un
ingente dispiegamento di risorse umane, tal-
volta anche per tempi piuttosto prolungati.
Inevitabilmente questo comporta che in quel
frangente diverse altre necessità e incom-
benze non possano essere assolte, creando
quindi delle difficoltà interne in termini di
priorità.
Le prospettive nel futuro. Si è segnalato
come la scarsità di risorse umane nel presen-
179 http://www.shippingtech.it/presentazioniPST2012/
PortiamoSviluppo/MarioMega.pdf
te potrebbe acuirsi ancor di più nel futuro se
non si agisce in tempo. In particolare, si se-
gnalano la mancanza di giovani leve, di fron-
te ad un’età media del personale attuale piut-
tosto alta, e l’impellente necessità di investire
ora nell’addestramento delle risorse presenti
e future.
L’ampliamento della filiera portuale. È
stato fatto notare, inoltre, come la necessità
e volontà di ampliamento di zone portuali
sia contrastata dalla carenza di personale di
sicurezza da posizionare ai varchi. In molti
contesti, a prescindere da un’aspirazione di
ampliamento, si avverte l’esigenza di esten-
dere i tempi di apertura dei varchi al fine di
a) ottenere benefici commerciali; b) “spalma-
re” il movimento di merci e persone
nell’arco di tutta la giornata, evitando conge-
stioni nel traffico cittadino e agli imbocchi
autostradali.
LA CORRETTA IMPLEMENTAZIONE DEL
PIANO DI SICUREZZA “CRISTOFORO CO-
LOMBO”
Il piano di security portuale battezzato come
Piano “Cristoforo Colombo”, analizzato in
precedenza richiede, per rendersi effettivo
ed efficiente all’occorrenza, di esercitazioni e
simulazioni sul campo. Poiché esso prescrive
le procedure da seguire, le misure da attuare
e le azioni da intraprendere, una corretta im-
plementazione è essenziale.180
Molti hanno fatto notare come tali esercita-
zioni non sempre trovino una realizzazione
concreta sul campo, correndo piuttosto il ri-
schio di limitarsi alla teoria e a regole scritte.
L’importanza delle esercitazioni risiede nel
fatto che, nel caso in cui incidenti di security si
materializzino, il personale incaricato sia
180 A tal riguardo, vedasi il Decreto Legislativo 6 novembre
2007, n. 203 "Attuazione della direttiva 2005/65/CE relati-
va al miglioramento della sicurezza nei porti". Allegati II-
III.
66
preparato al meglio a fronteggiarli. Se si tiene
conto di tutti i pericoli rappresentati da ma-
teriali e strutture all’interno dell’infra-
struttura portuale, dalla moltitudine di per-
sone che quotidianamente frequentano le
zone portuali, ecc., si comprende che i danni
che un incidente di security è in grado di cau-
sare possono essere enormi.
A ciò si aggiunge la necessità di avere veri e
proprio piani particolareggiati. Seppur essi
siano stati implementati, si avverte la man-
canza di correttivi che tengano conto delle
specificità di ogni porto e terminal.
INVESTIRE NELLA TECNOLOGIA
Le raffinate tecniche di occultamento della
merce illecita da parte di organizzazioni cri-
minali pongono sfide complesse e impegna-
tive per le autorità. In questi anni delicati, tra
crisi migratorie e minacce estremiste, la ne-
cessità di un potenziamento di strumenti
tecnologici all’interno dei porti è sempre più
evidente.
Per esempio, il potenziamento di scanner a
presidio fisso, in grado di condurre le attività
di controllo in tempi rapidi, potrebbero sicu-
ramente facilitare il contrasto ai vari feno-
meni illeciti senza ostacolare quelle che sono
le esigenze di procedure di controllo e sdo-
ganamento in tempi rapidi.
L’ADDESTRAMENTO DELLA
SORVEGLIANZA SUSSIDIARIA
Il meccanismo, già analizzato, volto alla de-
finizione dei criteri di selezione e dei pro-
grammi di formazione della sicurezza sussi-
diaria 181 (in ausilio alle autorità operanti
all’interno delle aree portuali) è di assoluta
importanza.
181 DM n. 154/2009.
Il ruolo svolto da questo personale è crucia-
le, specialmente in alcune zone dell’area por-
tuale, come i punti di aggregazione e sosta
dei trasportatori. Non è impossibile immagi-
nare come tali aree possano costituire dei fa-
cilitatori per la creazione di contatti, reti, or-
ganizzazioni per lo svolgimento di attività
irregolari o persino criminali.
Come illustrato nella sezione ad hoc, questo
sistema di sorveglianza è emerso dalla
preoccupazione della minaccia del terrori-
smo internazionale nei confronti di porti e
navi. Ne è derivata l’esigenza di avere un si-
stema di sicurezza rafforzato, avvalendosi di
ulteriori figure, in aggiunta alle autorità pub-
bliche già operanti. Ragionevole pensare che
la selezione del personale fosse caratterizzata
da competenze e conoscenze specifiche.
Durante l’attività di ricerca, è stata messa in ri-
salto la necessità che i criteri di selezione siano
rigorosamente rispettati al fine di avere perso-
nale di sorveglianza altamente preparato.
Si nota come alcune strutture portuali hanno
provveduto a u’ulteriore attività di aggior-
namento e addestramento del personale in
house, in aggiunta quindi a quanto richiesto
dal decreto del 2009. Stante una valutazione
dei costi che la security comporta (che grave-
rebbe sulle autorità portuali), iniziative di
questo tipo potrebbero sicuramente offrire
un valore aggiunto alla sicurezza di un porto.
CONSIDERAZIONI FINALI:
CONCILIARE BUSINESS E SICUREZZA
Oltre a costituire una frontiera marittima, i
porti sono principalmente hubs del commer-
cio, del trasporto di merci e persone capaci,
di mettere in relazione ogni giorno aree geo-
grafiche agli antipodi.
La tutela della sicurezza nei porti non può e
non deve esser binomio di lentezza e scarsa
efficienza nella circolazione di merci e per-
67
sone. Le best practices qui delineate non devono
esser interpretate come una spinta alla “milita-
rizzazione” dei porti. Diversamente, essi non
asservirebbero più alla principale funzione per
la quale essi sono stati concepiti e creati. Per tal
motivo, sebbene le presenti raccomandazioni
non entrino in contrasto con le necessità del
commercio, la loro implementazione – come
qualsiasi tipo di misura – non può essere con-
dotta escludendo dal tavolo di confronto e la-
voro quelli che costituiscono attori fondamen-
tali della filiera portuale, ovvero i rappresentan-
ti del settore privato.
Per concludere, la centralità geografica
dell’talia fa sì che i suoi porti abbiano una
forte rappresentativà non solo nell’area del
Mediterraneo ma ben oltre. La grande per-
formance raggiunta da molti porti italiani
negli ultimi anni li rendono validi competitors
per i grandi porti europei.
Alla luce di un trasporto marittimo in conti-
nua espansione, i porti italiani con tutte le
loro potenzialità dovrebbero cercare di trarre
i più grandi vantaggi da questo florido mer-
cato che richiede competitività, innovazione,
sicurezza e strategia.
68
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Regolamento recante disposizioni per
l’affidamento dei servizi di sicurezza sussidia-
ria nell’ambito dei porti, delle stazioni ferro-
viarie e dei relativi mezzi di trasporto e deposi-
ti, delle stazioni delle ferrovie metropolitane e
dei relativi mezzi di trasporto e depositi, non-
ché nell’ambito delle linee di trasporto urbano,
per il cui espletamento non è richiesto l'eserci-
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IL PROGETTO
Italian Port Security è un progetto della
Turtle Group Consulting. Il presente pro-
getto e` supportato da PMI IMPACT, un
programma di azione globale della Philip
Morris International che prevede il finan-
ziamento di diversi progetti aventi come
scopo primario il contrasto dei traffici ille-
citi.
La Turtle Group Consulting mantiene un
rapporto di totale indipendenza dalla Philip
Morris International sia nella conduzione
dei lavori che nella realizzazione del pre-
sente rapporto. La Turtle Group, inoltre, si
assume ogni tipo di responsabilità editoria-
le per tutto ciò riportato in tale lavoro di
ricerca.
RINGRAZIAMENTI
La produzione del presente rapporto e della
relativa pubblicazione non sarebbe stata
possibile senza uno scambio informativo
ed indirizzamento da parte delle Autorità
Portuali Italiane, Polizia di Stato, Magistra-
tura Anti-Mafia e Anti-Terrorismo, Dire-
zione Investigativa Anti-Mafia, Guardia di
Finanza, Agenzia delle Dogane e dei Mo-
nopoli e del Comando Generale delle Capi-
tanerie di Porto. Si ringraziano, inoltre, tut-
ti coloro che a vario titolo hanno contributo
all`inizio dei lavori e alla realizzazione di
questo lungo lavoro di ricerca. Si ringrazia,
inoltre, l`Ammiraglio Alberto Cervone per
il suo contributo alla produzione del pre-
sente rapporto.
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di contattare: