traduzione a cura di - the books we want to...
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Traduzione a cura di The Books We Want To Read
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Ai miei lettori
A chi mi ha mandato mail e messaggi che mi hanno fatto sorridere
A chi ha parlato dei miei libri ai propri amici
A chi è rimasto con questa saga dall’inizio alla fine
A chi mi conosceva già da prima,
e mi ha incoraggiata per tutti questi anni.
Ho scritto quest’ultimo libro per tutti voi.
- Elizabeth May
INDICE
CAPITOLO 1
CAPITOLO 2
CAPITOLO 3
CAPITOLO 4
CAPITOLO 5
CAPITOLO 6
CAPITOLO 7
CAPITOLO 8
CAPITOLO 9
CAPITOLO 10
CAPITOLO 11
CAPITOLO 12
CAPITOLO 13
CAPITOLO 14
CAPITOLO 15
CAPITOLO 16
CAPITOLO 17
CAPITOLO 18
CAPITOLO 19
CAPITOLO 20
CAPITOLO 21
CAPITOLO 22
CAPITOLO 23
CAPITOLO 24
CAPITOLO 25
CAPITOLO 26
CAPITOLO 27
CAPITOLO 28
CAPITOLO 29
CAPITOLO 30
CAPITOLO 31
CAPITOLO 32
CAPITOLO 33
CAPITOLO 34
CAPITOLO 35
CAPITOLO 36
CAPITOLO 37
CAPITOLO 38
CAPITOLO 39
CAPITOLO 40
CAPITOLO 41
CAPITOLO 42
CAPITOLO 43
CAPITOLO 44
CAPITOLO 45
CAPITOLO 46
CAPITOLO 47
RICONOSCIMENTI
CAPITOLO 1
Traduzione: Lella7692
Sono una ragazza alle sue origini: con la gola piena di cenere, cerca, aggrappandosi
con le unghie, una via d'uscita dal terriccio, le gambe che tremano e un messaggio
urgente sulle labbra.
Riesco a emergere. Apro gli occhi e vedo il cielo grigio e sconfinato. Un urlo
penetrante riempie l'aria. Realizzo che proviene da me.
Affondo le dita nel terreno umido mentre estraggo il resto del mio corpo da
sottoterra. Collasso sullo stomaco, la guancia pressata contro la polvere. Annaspo,
pronunciando parole che mi si bloccano in gola, la lingua recita una litania in
automatico, senza averne memoria, senza senso. Il messaggio diventa sempre più
rarefatto, come il mio respiro, sempre più incoerente mentre cerco di tornare in me.
Mentre i pensieri iniziano a prendere forma. Mentre mi affollano la mente, troppi tutti
assieme.
Dove sono? Come sono arrivata qui? Non lo ricordo.
Mi alzo barcollando, afferro un ramo vicino per riuscire a trovare stabilità. Sbatto
le palpebre per la luce, mentre riprendo possesso della vista e riesco ad osservare il
panorama che mi circonda.
Sono in una foresta rasa al suolo da un incendio, ogni albero è stato disboscato ed è
caduto al suolo. Rami contorti mi circondano minacciosi, sembrano mani ad artiglio
che si innalzano verso il cielo. L'intollerabile odore dell'incendio appena spentosi mi
fa tossire. L'aria ne è talmente satura, che devo mettermi una mano davanti al naso.
Le cose non migliorano di molto. Le mie braccia nude sono macchiate di fango e
sporcizia. Il vestito nero che indosso è ricoperto di polvere.
Passo una mano sul tessuto setoso. Come mai lo indosso? Non mi è nemmeno
familiare. Nulla mi è familiare. Non ho memoria della mia vita prima d'ora.
Respiro in modo agitato. «Pensa» la mia voce è spezzata, stridente. Mi porto una
mano al petto, come se così potessi rallentare il battito del mio cuore. «Deve esserci
qualcosa.»
Provo a ricordare, nel disperato tentativo di calmare il panico che torna alla carica.
Chi sono? Dove sono? Come sono arrivata qui? Ma niente. La mia mente è vuota. Li
dove dovrebbe esserci un oceano di ricordi, e so che dovrebbe esserci, c'è il nulla.
Qualcosa fruscia dietro di me. A pochi metri di distanza, un corvo atterra su un
ramo annerito e sbatte le ali. I suoi occhi piccoli e neri come l'inchiostro mi fissano
senza battere ciglio. Il suo verso è una via di mezzo tra un ringhio e uno starnazzo.
Faccio un passo indietro, ho la pelle d'oca.
Occhi neri come la pece. Pelle appassita tesa sopra bianche ossa.
Ti troverò. Ti troverò dovunque tu vada.
Sobbalzo davanti alla veloce, fugace immagine nella mia mente: una cacofonia di
ali d'ebano e risate stridenti che mi riempiono di terrore. Immagini di inquietanti
lunghi becchi grondanti di qualcosa. Sangue? Poi una voce risale dalle nebbie della
mia mente.
Una voce vecchia e tremula, ma piena di malizia.
Adesso hai i giorni contati.
A chi apparteneva quella voce? Non lo ricordo, ma qualcosa mi dice che devo, che
il suo messaggio, quello che recitavo mentre lottavo per venire fuori dalla terra, è
importante. E di qualunque cosa si trattasse, mi aveva spaventata a morte.
La voce ritorna, questa volta più debole. Si affievolisce, sta morendo.
Sono venuta per farti un'offerta.
Si dissolve come cenere tra le mie braccia.
I ricordi svaniscono tutto d'un colpo, facendomi sussultare. La cosa spaventa il
corvo. Si alza in volo in una raffica di piume e mi vola troppo vicino. Faccio di colpo
un passo indietro, così rapidamente che mi taglio la mano contro uno dei rami
appuntiti. Un sibilo di dolore mi sfugge dalle labbra, mentre fisso il sangue che cola
lungo le dita.
Prima che possa fermarlo, prima che possa rendermi conto di quello che succede, il
potere si risveglia nelle mie vene. Si precipita giù, lungo i polsi, dove si sta
accumulando il sangue che mi cola dalle dita.
L'energia è insistente, esigente. Si libra nell'aria come se aspettasse un comando,
tutto ciò che desidero posso renderlo reale.
Non desidero nulla. Vorrei solo trovare qualcosa di familiare. Un ricordo.
Scioccata, guardo il ramo che mi ha tagliata trasformarsi in metallo affilato come
la punta di un pugnale. È inquietante; il profondo vuoto della mia memoria ne ricorda
la forma. Mentre cerco di rievocare l'immaginare, il metallo cola lungo i rami
dell'albero, tramutandoli in migliaia di lame dalla forma contorta.
È un vero incubo, il ricordo di un luogo che non avrei mai e poi mai voluto
rivedere. Dove i mostri con denti seghettati si nascondevano nell'ombra di una foresta
oscura.
Torna come prima. Brucia di nuovo. Ti prego.
I rami neri e bruciati sostituiscono il metallo, ma il mio potere non si ferma.
Esplode e si trasforma in giganti fiamme blu che lambiscono l'aria e consumano gli
alberi morti e contorti intorno a me.
Chiudo gli occhi, boccheggio per la paura. Devo andarmene da qui. Devo
andarmene prima che le cose peggiorino. Devo...
Un rumore assordante spezza il silenzio. Apro gli occhi nell'esatto momento in cui
tutti gli alberi collassano a terra, facendo innalzare ceneri nel cielo che si spengono
gradualmente come mille stelle cadenti.
Ora resta solo un sentiero, tagliato a regola d'arte tra i rami attorcigliati.
Controllalo. Controllalo, ora. Il potere si placa e si deposita sul mio petto come un
macigno che quasi mi mozza il fiato. Come se si stesse stiracchiando tra le mie ossa,
cercando uno spazio che in realtà non ha, come se non fosse stato pensato per il mio
corpo.
Come se non mi fosse mai veramente appartenuto.
Sento di nuovo quella voce. Sembra uno scricchiolio che sta per spegnersi; una
vecchia strega nei suoi ultimi, preziosi momenti prima della morte. Sei l'unico sangue
che ho.
Cerca di ricordare, dico a me stessa. Cerco disperatamente nella mia mente, ma gli
unici ricordi che ho sono troppo fievoli.
«Non ce la faccio. Non ci riesco.» Quasi non riesco a pronunciare le parole. Non ce
la faccio. Non ci riesco. Non ci riesco.
Provaci di più.
Comincio a camminare lungo il sentiero, tra gli alberi, cercando di aggrapparmi a
ogni piccolo ricordo. Nulla, sembrano scivolarmi come granelli di sabbia tra le dita.
Concentrati. Cerco di indirizzare i miei pensieri su qualcosa di semplice. Come ho
fatto ad arrivare qui. Dove mi trovo.
Il mio nome.
Il mio nome. Non so come mi chiamo.
Mi faccio prendere dal panico. Non è possibile.
Chi può dimenticare il proprio dannatissimo nome?
Sembra così facile. È qui da qualche parte: le lettere, il suo suono, il modo in cui le
mie labbra ne formano le sillabe. Ma quando cerco di ricordarlo, non mi viene in
mente nulla.
La paura mi spinge a camminare più velocemente. I piedi nudi cozzano col terreno
ricoperto di cenere, le gambe bruciano per la fatica, ma sono troppo spaventata per
preoccuparmene.
Davanti a me, al limitare della foresta, un barlume di luce fa capolino dalla nuvole
e arriva a colpire la superficie di un lago.
Mi fermo, un'immagine di quel lago mi sfiora la memoria, leggera come un battito
d'ali. Stavo volando, no, cavalcavo veloce su di un cavallo, il paesaggio scorreva così
rapidamente che sembrava di volare. Cavalcavo dietro un uomo coi capelli neri e a
una donna, entrambi a cavallo. Stavamo andando in battaglia per difendere le persone
a cui volevo bene. Ma dove sono? Dove sono loro?
Forse se mi specchiassi nel lago riuscirei a ricordare.
Corro a perdifiato tra gli alberi morti, ignorando il dolore di quando i ramoscelli mi
tagliano la carne dei piedi. Corro fino al limitare della foresta, mi precipito verso la
spiaggia rocciosa, in direzione dei resti di un molo. Il legno sembra abbastanza
robusto da poterci camminare sopra.
Ho il mio nome sulla punta della lingua, cerco di articolarne il suono. È composto
da diverse sillabe, poi ce n'è un'altra versione. Più corta. Un'unica sillaba, diretta e
concisa.
È un nome legato all'uomo che cavalcava con me in battaglia. Dio, avverto un forte
dolore al petto quando penso a lui. A come sussurrava quel nomignolo, come se lo
adorasse. Come se mi stesse dicendo un segreto. Come se volesse dire ti amo, ti
voglio. Come se sulle sue labbra si formasse una promessa, una dichiarazione. Un
voto.
I miei piedi toccano il molo, che scricchiola sotto il mio peso. Cammino piano, in
modo che il legno non ceda. Poi mi sdraio prona e mi sporgo sull'acqua.
Quelli non sono i miei occhi.
È la prima cosa che noto. Dovrebbero essere differenti, color nocciola. Un misto di
marrone e verde. Ora sono color ambra con sfumature miele. Il colore è vibrante e
sconvolgente.
Quelli non sono i miei occhi. Non possono esserlo.
Studio le mie fattezze in cerca di qualche altro dettaglio fuori posto. Il mio riflesso
ricambia lo sguardo, e mi sembra familiare. Sotto lo strato di sporco, si intravedono le
lentiggini sparpagliate lungo il mio naso, sulle guance e sulle spalle lasciate nude
dallo scollo del vestito. I miei capelli color rame sono vicinissimi all'acqua, un
ricciolo ne sfiora la superficie. Riconosco il mio viso, ma non riuscirei a riconoscere
il mio nome se qualcuno lo pronunciasse.
Il resto della mia figura è normale, ordinario. Fattezze umane su un viso umano.
Rivolgo di nuovo l'attenzione ai miei occhi. Non sono miei. Non sono umani.
Rabbrividisco quando scorgo un luccichio sotto l'iride, come un'ombra che scorre
sull'acqua.
Attratta verso la mia immagine la sfioro. Nel momento in cui entro in contatto con
l'acqua, questa viene attratta dal mio potere. Dio, che male. Il dolore si attenua solo
quando lo libero nuovamente dalla prigione del mio petto.
Del ghiaccio si forma lungo le mie dita, ma non si ferma. Si espande velocemente
lungo la superficie dell'acqua, lasciando dietro di se dei tentacoli di brina. La
superficie diventa liscia come quella di uno specchio. È così bella che non posso fare
a meno di ammirarla.
Finché non mi rendo conto che il ghiaccio non si è arrestato. Cerco di riportarlo
indietro, ma è troppo tardi. Non posso. I miei poteri non si faranno ingabbiare, non
possono più essere contenuti o rallentati. Il ghiaccio continua a diffondersi lungo il
lago, raggiungendo le rocce della spiaggia.
Rallenta. Rallenta...
Dei tuoni rimbombano in lontananza e io sobbalzo. Sopra di me, la luce del sole
che illuminava le acque argentee del lago scompare dietro a nuvole tempestose che
sono apparse di colpo. Un vento ghiacciato si insinua tra le pieghe del mio vestito.
«Fermati» dico al mio potere in un sussurro, cercando di imprigionarlo
nuovamente nella piccola gabbia del mio petto. «Basta. Basta. Basta.»
Torna indietro così di colpo da far male. Urlo. Mi rialzo rapidamente in piedi, il
battito accelerato. Il lago e la spiaggia sono ricoperti da uno spesso strato di ghiaccio.
Che cosa ho fatto? Il potere è come i miei occhi, non sembra giusto. Non sembra
mio.
Come può essere? Non riesco a controllarlo.
Accettalo. Devi accettarlo adesso.
Una mano scheletrica si chiude attorno alla mia stringendola forte. Un corpo
bianchiccio mi abbraccia e di colpo provo un dolore fortissimo, agonizzante.
Mi ricordo di come avevo gettato indietro la testa e urlato e urlato.
Rabbrividisco al ricordo, e mi allontano di corsa dal molo prima che possa fare
qualcosa di peggio che ghiacciarne l'acqua e far arrivare una tempesta.
Che diavolo è appena successo? Cosa sono io?
Nei miei pensieri si forma una parola. Un suggerimento orribile che mi fa
immobilizzare per il disgusto. Fae.
No, non sono una fae. Mi guardo i piedi, gonfi e pieni di tagli per aver camminato
nella foresta scalza. Le fae non sanguinano così facilmente. Realizzare ciò mi porta
un leggero conforto.
Mi torna in mente un ricordo: io che mi pianto le unghie nei palmi per cercare di
ricordare il dolore.
Dolore che prova che sono ancora umana. Che sono ancora me stessa. Sono i
mortali che sanguinano.
Sono ancora mortale.
Il secco rumore di zoccoli interrompe i miei pensieri. Il ritmo è un costante
staccato sul terriccio. Non è solo il suono, posso sentirlo. Rimbomba nelle rocce, allo
stesso modo in cui il mio potere si collegava all'acqua. Viene dalla foresta vivente
all'estremità del lago.
Tre cavalli. Ciascuno con un cavaliere e. . .
Potere. Ha il peso dell'aria nei giorni umidi. Denso e pesante e accompagnato da
un profumo selvaggio e terroso, vagamente floreale. Richiama qualcosa dentro di me,
un qualcosa che sa con certezza che quei cavalieri sono miei nemici. Il loro potere si
avvicina, scivolando attraverso la terra in viticci oscuri come le ombre proiettate dagli
alberi.
Stanno cercando qualcuno.
Lancio un'occhiata alle mie mani ancora fredde e bagnate. Stanno sicuramente
cercando la fonte del potere. La persona che ha ridotto la foresta in cenere. Che ha
ghiacciato il lago.
Me. Stanno cercando me.
CAPITOLO 2
Traduzione: Persephone
Inizio a correre. I miei piedi nudi colpiscono le rocce lisce della spiaggia e la riva
finché raggiungo il suolo morbido e carbonizzato della foresta morta. Il potere sgorga
fuori da me in uno scoppio attraverso i rami, modellandoli in un sentiero arcuato per
lasciarmi passare. Corro verso gli alberi che torreggiano nella parte più remota della
spiaggia, dove la foresta non è stata scalfita dalle mie abilità distruttive.
I cavalieri si stanno avvicinando. Come se percepissero la mia vicinanza, il ritmo
degli zoccoli dei cavalli accelera, aumenta di volume. Eguaglia il battito del mio
cuore, l’affanno del mio respiro.
La foresta viva è piena di alti pini scozzesi, il posto perfetto per nascondersi, o
attaccare. Gli alberi erano cresciuti così vicini che poco era visibile oltre la prima
linea di boscaglia. La lussureggiante chioma di foglie vibranti assorbe avidamente la
luce del sole prima che possa toccare il terreno, lasciando i tronchi avvolti da ombre
impenetrabili. I rami scricchiolano e gemono, l’aria si raffredda al mio avvicinarsi.
Corro verso la copertura dell’oscurità, e un inspiegabile brivido mi attraversa.
Tutto questo è confortante, la sua familiarità, il modo in cui preparare
un’imboscata è una seconda natura. L’ho già fatto. Molte, molte volte.
Mentre mi avvicino alla linea degli alberi, i rami e le rocce nel terreno si fanno più
affilati contro i miei piedi scalzi. Accelero e copro gli ultimi pochi metri con un
balzo, gettandomi nella boscaglia come se mi stessi immergendo in un freddo
ruscello. Senza luce che raggiunga il suolo, persino l’aria è gelata e tagliente contro la
mia pelle.
Trovo uno spazio buio tra due pini, poi resto in attesa dell’arrivo dei fae.
I cavalli sono subito dietro di me all’ingresso della foresta. Uno dei cavalieri fae
rilascia il suo potere in una delicata, inquisitiva carezza mentre gli altri smontano da
cavallo e si dirigono verso gli alberi. Un rivolo di esso mi sfiora i capelli sulla nuca,
seguito da una voce nella mia mente che dice, Trovata.
Spero che senta la mia muta sfida: Allora vieni a prendermi.
Mi sposto contro un albero, schiacciando fermamente la schiena contro il tronco e
rallentando il respiro. Il potere arretra nelle mie vene e io lo spingo più all’interno,
ignorando quanto faccia male. Pulsa nel mio petto, irrequieto; lo spazio in cui è
contenuto è troppo piccolo, troppo confinante. Brama di essere liberato.
Non ancora. Presto.
In questa densa boscaglia con il mio potere trattenuto, non possono né vedere né
sentire dove sono. Sono invisibile. Sorrido all’eccitazione che cresce dentro di me.
Quasi. Sono molto vicini ora; riesco a sentirli.
Sbircio al di là del tronco per vedere i cavalieri. Le loro pelli brillano persino
nell’ombra del bosco. Nonostante i loro volti non inneschino nessun ricordo, i miei
poteri sentono i loro e li identificano facilmente. Daoine sìth, i più potenti fae delle
corti Seelie e Unseelie, capaci di controllare gli elementi. La loro specialità è entrare
nelle menti umane, e sono in grado di manipolarle con un solo pensiero.
Questi sono Unseelie. Posso dirlo. Anche mentre mi cercano, la loro fame di
energia umana è insaziabile, un insistente ruggito dentro le loro menti. Il mio potere
lo percepisce.
«Qui» dice uno di loro. Dal mio nascondiglio posso intravedere i suoi capelli rosso
sangue, la curva della sua forte mascella. «La traccia termina qui.»
«È la Regina?» Chiede un altro.
«Non sembra» risponde il primo a bassa voce. «Ma potrebbe aver mandato
qualcuno a uccidere per lei.»
La Regina. Un ricordo si agita dentro di me, ma scompare nel momento in cui i fae
si avvicinano al mio albero. Si muovono attraverso il bosco come fantasmi, ogni
passo così controllato da non emettere alcun suono.
Non sanno però che sono solo ad alcuni metri da loro. Lo capisco dal modo cauto
in cui si muovono, gli occhi che cercano lontano. Non mi percepiscono pressata
contro l’albero, come se ne fossi parte.
Mi guardo attorno cercando un’arma, fermandomi quando noto il fogliame ai miei
piedi. Penso a ciò che è accaduto al lago, il modo in cui il mio sangue si è mescolato
al potere per trasformare il legno in metallo. Posso crearmi la mia lama.
Un sorriso mi curva le labbra mentre raccolgo un ramoscello dal terreno per
aprirmi la pelle del braccio. Trattengo un sussulto al taglio. Il potere mi scorre lungo
il polso in una lieve vibrazione che i soldati fae non noteranno. L’anticipazione della
battaglia mi mantiene concentrata, decisa. Senza paura. Non c’è tempo per la paura.
Una sottile linea di metallo fuso si forma attorno al ramoscello, deformandosi e
schiacciandosi fino a formare una lama sottile. Poi si allunga in una punta abbastanza
tagliente da attraversare facilmente la pelle. La lama è bellissima, perfettamente
adatta a me, con il suo ardente bagliore interiore. Un oggetto di potere. Fatto dal mio
sangue. Creato per uccidere fae.
Mi muovo con la spada in mano, scivolando in avanti sul terreno con passi agili e
silenziosi. Non ho bisogno di ricordare il mio passato per sapere che l’ho già fatto
molte volte. Il corpo lo ricorda per me. Il modo in cui le mie ginocchia si piegano per
mantenere i movimenti rapidi. Il modo in cui le dita toccano il suolo e sostengono il
mio peso. Il modo in cui controllo il respiro per espirare silenziosamente, non più
rumorosa dell’aria attorno a noi.
Così il fae alle spalle del trio non realizza neppure che sono lì, fino al momento in
cui non passo un braccio attorno a lui, gli copro la bocca con una mano e gli faccio
scivolare la spada lungo la gola.
Muore prima di emettere un suono.
La sua energia mi riempie. Il mio sangue canta in risposta, un inno di morte che
solo io posso sentire. Gli altri due fae si fermano, come se sentissero qualcosa, ma
non si voltano. Sono sicuri che lui sia dietro di loro, pronto a coprirgli le spalle.
Pronto a proteggerli.
Questo è il loro errore.
Il primo fa segno con due dita di proseguire. Perfetto.
Appoggio gentilmente il corpo del fae a terra e giro attorno a un albero,
pressandogli la schiena contro mentre avvicino il secondo.
Mi ero sbagliata sull’avere cacciato così prima. È efficiente e brutale e familiare,
ma diverso. Il mio potere mormora. Attutisce i miei passi. Fa muovere le mie
articolazioni fluidamente come l’acqua attraverso le rocce. C’è un’ impetuosità che
sono sicura di non aver mai sentito prima, come se fossi consapevole dell’intera
foresta, e di ogni movimento che sta per fare il mio nemico.
Scivolo dietro di lui come un’ombra. Un palmo sulle sue labbra, come con l’altro.
Un gioioso, selvaggio sussurro nel suo orecchio che spaventa una parte di me che
fa parte della vita che ho dimenticato: Ti ho preso.
Serro il braccio attorno al fae come se lo stessi abbracciando, e poi spingo la
lama della spada attraverso le sue costole e nel suo cuore. Sento il suo urlo
strangolato contro il mio palmo. Sollevo la testa di scatto per vedere se l’ultimo
rimasto l’ha notato.
I nostri sguardi si incrociano.
Guarda con orrore mentre estraggo la spada dal suo compagno e lascio cadere il
suo corpo a terra. Il suo sangue sgocciola dalla mia spada, un tap, tap, tap contro il
suolo.
Mentre l’energia del secondo fae morto mi riempie, sorrido, in quel momento so di
sembrare la morte incarnata.
La sua espressione muta in una di riconoscimento. Riesce a dire soltanto: «Tu.»
Alcuni istanti fa, questo mi avrebbe fatto esitare. Sarebbe stato sufficiente a
diradare l’annebbiamento dei miei ricordi. Ma adesso sono andata troppo oltre. Il mio
potere è finalmente calmo, appagato: cantilena nelle mie orecchie le parole finiscilo
finiscilo finiscilo in un martellante ruggito sanguinolento. Dopotutto, non sta
scappando.
Quello è il suo secondo errore.
Le mie dita stringono l’elsa della spada. Piego il polso e la lama si libra nell’aria.
Attraversa il collo del fae. Le sue gambe si piegano sotto di lui, allo stesso modo in
cui quelle di una preda farebbero dopo essere stata uccisa in una caccia.
Siamo tutti prede.
Chi me l'aveva detto? Sussulto all’improvvisa vulnerabilità che mi attraversa con
queste parole. Basta. Non importa altro che la sensazione del suo potere nelle mie
vene. Mio adesso. Doveva morire. Mi avrebbe ucciso.
Piegando le labbra, mi avvicino ed estraggo la mia spada dal suo corpo.
Sollevo la testa quando avverto un’altra fonte di potere. È meno ricca; non è forte
come le precedenti, o con la stessa profonda, insaziabile fame. Somiglia più a dei
raggi di sole che fanno breccia nella nebbia del mio potere e si rivolgono a qualcosa
di vulnerabile dentro di me.
Qualcosa di umano. L’idea mi fa desiderare di piangere dalla gioia.
Mi volto, reggendo la spada mollemente. Eccolo: un piccolo bagliore nella
macchia di alberi. Un’aureola di luce che entrerebbe nel palmo della mia mano.
Sussurra un nome, non più di un mormorio. Come se pronunciarlo gli facesse
male.
«Aileana.»
CAPITOLO 3 Traduttore: JulietteFerrars
Aileana. Quel nome è un peso, è qualcosa di doloroso, affilato e spinoso. Sette
lettere e quattro sillabe che graffiano e graffiano e graffiano qualcosa dentro di me,
strappandolo via come uno strato di pelle per esporre il sangue sottostante.
Aileana.
I miei ricordi di questo fae sono così forti che riesco a sentire le sue piccole ali da
libellula frusciare sotto la punta delle mie dita, morbide e lisce come seta. La sua
risata melodiosa è nelle mie orecchie, forte e chiara.
Aileana.
No, non voglio. Qualsiasi cosa derivi da questo nome, qualsiasi sia questo peso
schiacciante, è troppo, è troppo opprimente. È un peso soffocante, è più di quanto una
persona dovrebbe sopportare.
«Aileana» ripete il pixie con gioia, «ho sentito un’esplosione di potere e mi
sembravate tu e…» Si ferma e inclina leggermente la testa. «I tuoi occhi sembrano
diversi. Come puoi...»
Dopodiché vola verso di me, i suoi movimenti sono così veloci da riscuotermi dai
ricordi. Ritorno al comfort dei miei istinti, della mia prontezza a battermi. È l’unica
cosa che conosco. È l’unica cosa che sembra giusta dopo essermi fatta strada con le
unghie dalla terra ed aver spalancato gli occhi ritrovandomi tutta sola in una foresta
bruciata.
Non ti conosco. Non conosco quel nome. Tu non c’eri. Nessuno c’era.
«Fermo!» La mia spada fende l’aria tra di noi, la punta è ferma a un millimetro dal
suo piccolo viso. «Fermo» dico di nuovo, questa volta abbassando la voce, «non ti
avvicinare.»
Lui alza le mani, ma i suoi occhi si stringono. «Abbassa quella spada. Ma che ti è
preso?»
Niente. Tutto. Non ricordo.
Prova ad aggirare la spada volando, ma la metto di nuovo tra di noi. «Ho detto di
non avvicinarti.» Il mio corpo è in posizione da combattimento. «Non costringermi a
farti del male.»
Per qualche incomprensibile ragione mi sento in colpa a dirlo.
«Sei impazzita?» Il pixie lancia uno sguardo alla vittima e sembra irritata. «Cosa
vuoi fare, vuoi pugnalarmi?» Quando non rispondo sospira. «Per l’amor del cielo. Ti
ho vista morire. Almeno fammi sedere sulla tua spalla e fammi intrecciare i tuoi
capelli prima di minacciarmi.»
Sedersi sulla mia spalla? Intrecciarmi i capelli? Cosa?
Poi assimilo le parole di prima: ti ho vista morire.
Un improvviso dolore immaginario si irradia nel mio petto, proprio sul cuore.
Sembra così reale che ci poggio una mano sopra, quasi aspettandomi una spada
fuoriuscire dalle mie costole. Invece trovo solo la pelle increspata da una cicatrice
fresca, lunga e sottile.
Abbasso lo sguardo e traccio il segno con le dita, valutando la forma e la
profondità della ferita che avrebbe causato una cosa del genere. Ci sono tre piccoli
segni intorno alla cicatrice che formano un semicerchio; è il disegno della parte
inferiore dell’elsa di una spada, che è stata spinta così forte da lasciare un segno.
Con abbastanza forza da lacerare pelle, ossa e cuore. Un fendente mortale.
«Sono morta?» Riesco a malapena a contenere il mio orrore. È questo il motivo per
cui ero sottoterra? Allora cosa mi ha riportata in vita?
Sento di nuovo un sussurro da un angolo remoto della mia mente, lieve come il
fruscio delle piume. Accettalo. Devi accettarlo adesso.
Lo sbuffo impaziente del pixie interrompe i miei pensieri. «Sì. Ora possiamo
arrivare alla parte in cui mi dai un dannato abbraccio?»
Sto quasi per sorridere, ma poi sento un’altra voce nella mia mente, veloce come
un battito. Le parole di una giovane donna piene di dolore: non riesco a guarirlo.
Cerco di trattenere le lacrime. «Per quanto tempo sono morta?»
Il pixie mette le mani sui fianchi, come se stesse resistendo all’impulso di
toccarmi. «Due mesi e diciannove giorni. Ho tenuto il conto.»
Due mesi e diciannove giorni. E non riesco a ricordare nulla di quel periodo o della
mia vita prima di esso.
Ispeziono di nuovo la mia mente, ma riesco a percepire solo impressioni, residui di
gioia e dolore. Della caccia ai mostri durante la notte. Di carezze intime e promesse
sussurrate. Niente che mi dica chi sono o come sono arrivata nella foresta, circondata
da chilometri di alberi morti, senza nessun ricordo.
Abbasso la spada e percorro con le dita le mie braccia nude ricoperte di sangue e
terriccio. Come se potessi trovare lì una risposta. Come se tutto potesse
improvvisamente diventare chiaro.
Niente.
Sotto la sporcizia c’è della pelle liscia e intatta. Eppure… sembra sbagliato. È vero
che ricordo solo dei frammenti, ma le mie dita ricordano la sensazione di una pelle
irregolare con segni a forma di mezzaluna. La forma di denti. Decine e decine di
morsi che parlano di perdita e solitudine.
«Non riesco a ricordare.» Sussurro.
«Dovrai essere più specifica» ribatte il pixie. Si mette le mani sui fianchi. «Ricordi
di essere morta?»
«No.»
«Di come hai avuto quegli occhi insoliti?»
«No.»
«Di come hai ricevuto il potere di abbattere un’intera foresta?»
Mi ritrovo a ridere un po' nonostante tutto. «Di nuovo no. Ascolta… »
«Ti ricordi di me, giusto?» Mi interrompe. Quando scuoto la testa, la sua faccia si
rabbuia. «Ma… sono Derrick. Vivevo nel tuo armadio. Sei la mia compagna.»
Muove le mani freneticamente. «Ho realizzato i tuoi vestiti!»
Guardo il mio vestito con un’espressione corrucciata. «L’hai fatto tu?»
Ora Derrick sembra offeso. «No, non ho fatto quel vestito. Quello è orribile. Ti ho
fatto delle cose con fiocchi e balze che ti facevano somigliare alla decorazione di una
torta costosa.»
Quando non faccio altro che battere le palpebre, lui approfitta del mio momento di
incertezza per volare da me. Poi, prima che io possa protestare, Derrick è
aggrovigliato tra i miei capelli.
Sto quasi per spingerlo via. Apro la bocca per dirgli Smettila di toccarmi, perché
inizio a sentire delle cose. Troppe cose. Uccidere è facile, è istintivo. Non servono
pensieri o ricordi o rimorsi nella mia mente vuota. Non porta con sé un nome che
sembra più un peso che altro.
Poi le mani della fata scivolano sulle ciocche di capelli proprio dietro il mio
orecchio, la sua guancia tocca brevemente la mia e non riesco a pronunciare quelle
parole. Ogni tocco è abbastanza da alimentare il forte desiderio di parlare con le parti
di me che ho dimenticato. Alla parte di me che sa che lui sta facendo questo per
assicurarsi che io sia davvero qui. Che io sia viva.
Per quanto tempo sono morta?
Due mesi e diciannove giorni. Ho tenuto il conto.
Un respiro, un altro, mentre lui inala il mio odore. Derrick aggrotta le sopracciglia.
«Hai un odore diverso.»
Le sue ali che svolazzano contro la mia pelle sono così familiari da farmi chiudere
gli occhi. Il mio corpo si rilassa. Tutti i miei istinti di combattimento e di forza si
calmano per il comfort immediato che deriva dal suo odore e dal suo tocco, un senso
di casa. Non riesco a fare a meno di accarezzare le sue ali. Sono a casa. Sono a casa.
Lui è la mia casa.
«Di cosa odoro?»
«Di te, ma non esattamente.» Derrick mi annusa di nuovo e si acciglia. «Non mi
piace. Mi ricorda troppo…» Chiude la bocca, mentre l’aura intorno a lui lampeggia di
cremisi.
«Aspetta, aspetta,» dico dolcemente. Lui sembra turbato e qualcosa mi dice che
una fata turbata non sia una cosa buona. Ma devo sapere. «Non puoi iniziare una
frase così e poi non finirla.»
«E va bene» dice, «odori di lui.»
All’improvviso deglutire è doloroso e non so perché. «Lui?»
Le ali di Derrick sbattono delicatamente, ha la mascella serrata. «Ti sei persa molte
cose. Ne parleremo dopo. Ti ho appena riavuta indietro.» Mi esamina, fermando lo
sguardo sul miscuglio di sporco e fuliggine sul mio volto. Improvvisamente la sua
luce impallidisce e lui sembra scosso. «Oddio. Per favore dimmi che non te ne sei
andata in giro per tutto questo tempo.»
«No» mi affretto a rispondere. Poi aggiungo più a bassa voce: «Sono uscita dal
terreno e non riuscivo a ricordare come fossi arrivata qui.» E non c’era nessuno a
ricordarmelo. «Non mi hai abbandonata?»
Lo sguardo scioccato di Derrick incontra il mio. «Certo che no.» Poi si rende conto
di ciò che ho appena detto. «Sei uscita dal…? Miseriaccia. Miseriaccia. Ecco perché
mi hai puntato quella spada addosso. Non c’era nessuno a parte quei dannati
Unseelie.»
Ora mi sta toccando la tempia con le sue piccole dita, cercando delle ferite. «Sei
ferita? Hai battuto la testa quando sei ritornata?» Chiede Derrick, ora tutto
preoccupato. «Voi umani avete una testa molto fragile. Non ti sta per uscire il
cervello dalle orecchie, giusto?»
Sussulto quando tocca un taglio superficiale lungo l’attaccatura dei capelli dove un
ramo deve avermi graffiata mentre correvo. «Umm. Non credo.»
«Bene. Riesci a contare fino a cinque?» Mi sventola una mano in faccia. «Quante
dita sono queste?»
Mi divincolo. «Smettila. Non sono un’idiota e non ho problemi alla vista.»
«Beh, come avrei dovuto saperlo?» Chiede, schioccando la lingua. Dopo un altro
minuto di controlli dice: «La buona notizia è che non hai nessuna ferita grave e che la
tua testa non è rotta. Congratulazioni.»
«E la cattiva?»
«Sei uscita dal terreno, non ricordi nulla e sei lì a fissarmi come una pecora
disorientata. E poi puzzi. Solo un pochino.»
Gli lancio un’occhiataccia. «Hai altre osservazioni utili da fare? Teorie sul perché
io non ricordi nulla?»
Derrick fa un passo indietro, tamburellandosi le dita sulle labbra. «Non ho mai
sentito di qualcuno che sia tornato in vita dopo così tanto tempo, soprattutto coloro
che non hanno un corpo da cui tornare. Questo, probabilmente insieme al tuo fragile
cervello umano è la causa della perdita di memoria.» Schiocca le dita. «Conosco
qualcuno che può aiutarti.»
«Chi?»
«Aithinne, ovviamente.» Quando lo fisso senza dire niente lui sospira. « È la
Regina dei Seelie. Parla un po’ come se fosse esageratamente ubriaca la maggior
parte del tempo, ma è innocua a meno che non voglia ucciderti. Ma procediamo con
ordine.» Fa un cenno ai corpi ai nostri piedi, come se sapessi cosa farne. «Dobbiamo
liberarcene. In fretta. Abbiamo già passato troppo tempo qui.»
Derrick si tuffa in direzione del terreno e inizia a scavare con le mani e piccole
sferzate di potere. Sposta la terra pesante e i sassi con una velocità ed efficienza
sorprendenti per una creatura così piccola, ammucchiandoli sul suolo della foresta. In
un attimo il buco diventa profondo e ampio circa un metro e lui continua a scavare.
Quando si accorge che lo sto fissando, dice con impazienza, «Allora? Non
rimanere lì senza far niente. Li hai massacrate tu, quindi tu devi aiutare a seppellirli.»
Scuoto la testa mentre afferro uno dei fae morti, grugnendo mentre lo trascino
lungo il terreno. Con tutta quell’armatura addosso, è più pesante di quanto pensassi.
«C’è un motivo per cui li stiamo nascondendo? Non possiamo lasciarli così e basta?»
«Perché, mia cara amica smemorata, diversamente dal resto dei sìtichean, i daoine
sìth non si decompongono. Ci troviamo nel mezzo di un accordo teso tra la Regina
dei Seelie e il Re degli Unseelie e una volta che quest’ultimo troverà i cadaveri dei
suoi soldati, le cose si metteranno male molto, molto velocemente.» Derrick lo dice
in modo imparziale, ma c’è una nota di preoccupazione nelle sue parole. Un’urgenza.
«Il Re darà per scontato che Aithinne gli abbia dichiarato guerra. Seppellire i suoi
scout ci darà abbastanza tempo per avvisarla.»
Sono appena tornata in vita e ho dato il via ad una guerra tra due sovrani.
Fantastico. «Non volevo.»
«Non devi scusarti» ribatte rapidamente, «uno di loro deve uccidere l’altro, ma
l’hanno rimandato sperando di trovare un’altra soluzione. Ma non l’hanno trovata.
Quindi era inevitabile.»
Ecco perché le altre fate parlavano di territori e della Regina che mandava altri ad
uccidere per lei; dobbiamo trovarci nel territorio del Re. Ciò stuzzica un ricordo in
fondo alla mia mente, un altro ricordo importante che non riesco a evocare.
Deve aver a che fare con i sovrani. Con il Re. Potrei non ricordare il suo nome, ma
se penso a lui le emozioni sono forti. Ci tenevo a lui. Così profondamente che le
parole di Derrick mi suscitano terrore.
Chiedi qualcos’altro. «Devono proprio?»
«Non hanno altra scelta.» Risponde.
«Allora devo parlare con il Re. Devo fargli sapere che sono viva. Gli dirò che sono
stata io. Non dev’essere inevitabile. Lo so per certo. Dev’esserci un altro modo.»
«No.» Dice Derrick.
«Derrick…»
«Non farà alcuna differenza» ribatte bruscamente, «non abbiamo più tempo.» La
terra rimbomba e il suo potere lancia così tanto terriccio che si schianta contro un
albero vicino. «Dobbiamo accettare che uno dei due morirà e lei è il sovrano
migliore, il più gentile. Dovrebbe essere lei a sopravvivere.»
Mentre trascino il terzo cadavere nella buca, mi blocco per le sue parole. Dovrebbe
essere lei a sopravvivere. Non abbiamo più tempo.
Lui vede l’espressione sul mio volto e smette di scavare. «Cavolo» borbotta,
«scusa. Non avrei dovuto dirlo.»
Non rispondo. Dei ricordi confusi affiorano. Sono un assalto di immagini e parole,
nessuna di loro è chiara, tranne una necessità che mi fa tremare. Una sensazione
disperata che non è troppo tardi, che possiamo salvarli entrambi. Ma quando provo a
capire come, un dolore si schianta contro le mie tempie così forte che mi si annebbia
la vista. Mi mordo la lingua per non urlare.
«Non abbiamo più tempo?» Chiedo con voce rauca. Scuoto la testa, frustrata. Che
senso ha ritornare in vita se non riesco a ricordare nulla?
«Vedrai. La terra si sta sgretolando proprio al di là del confine con la foresta.»
Derrick riprende a scavare con rapidità, ma questa volta i suoi movimenti sono più
agitati. Ora la buca è profonda almeno due metri, ma un fae riuscirebbe comunque a
sentire l’odore di morte. Lui continua a scavare. «Il nostro reame si sta distruggendo
perché si rifiutano di uccidersi. Se uno dei due non muore, allora moriremo tutti.»
Il nostro reame. Eccola di nuovo; una voce nella mia mente sta sussurrando
qualcosa riguardo maledizioni e poteri. Quando cerco di venirne a capo, la testa mi
inizia di nuovo a pulsare. Trasalisco e premo le dita sulle tempie.
Quando guardo Derrick, lui distoglie lo sguardo. Ma sono molto ostinata. Voglio
sapere chi è il Re degli Unseelie. Perché tengo così tanto a lui. «Se pensi che lui
debba morire» dico a bassa voce, «non pensi che dovrei almeno parlargli prima della
fine?»
Derrick serra le labbra. «Non hai visto le cose che ha fatto» dice sommessamente,
«è talmente andato che potrebbe non fregargliene niente di te.»
Impallidisco davanti a quelle parole, cercando di trattenere le lacrime che mi
pizzicano improvvisamente gli occhi. Non ho una risposta; non c’è nulla tra i miei
ricordi che possa dire che Derrick abbia torto. Solo ciò che sento. E non so neanche
se posso fidarmi di quello.
Quindi faccio rotolare i cadaveri nella buca e aiuto Derrick a coprirli con la terra.
CAPITOLO 4
Traduttore: SaraElle
Derrick mi guida attraverso la foresta a gran velocità. Se accenno a rallentare mi
forza ad andare più veloce. «Più ci allontaniamo da quei corpi prima dell’imbrunire,
meglio è» dice, «ho delle persone da avvisare.»
Rischio di inciampare nella radice di un albero. Respiro così affannosamente che
non riesco a dire nulla. Finalmente, ce la faccio: «Perché non voli avanti?»
La bocca di Derrick si chiude a formare una linea sottile: «No.»
«Ma…»
«Non ti lascio» Le sue ali iniziano ad agitarsi. «Non quando sono per metà
convinto che sei il prodotto di un folle sogno o della mia immaginazione iperattiva. E
ho appena rimesso a posto la mia imbracatura da spalla. Adesso, muovi il culo.»
Riprendo il ritmo, scattando finché i muscoli non bruciano.
Nessuno dei due parla, nemmeno ore dopo, quando troviamo un cottage
abbandonato nel profondo della foresta. Derrick decide che siamo abbastanza lontani
dalla foresta morta per fermarci per la notte.
Appena in tempo, perché ero sul punto di crollare.
Il tetto di paglia è abbastanza robusto da tener fuori la maggior parte della pioggia.
L’aria all’interno è viziata. Un singolo foro nella pietra lascia entrate abbastanza
pioggia da permettere ad acqua e muschio di diffondersi lungo le pareti.
Mi fanno male i piedi. Con cautela, lascio cadere il mio corpo dolorante sul
pavimento freddo di pietra e mi siedo mentre Derrick rovista in un baule sul lato
opposto della stanza. Le coperte che ci trova dentro sono sporche e mangiate dalle
tarme, la vecchia lana piena di buchi. Con un sospiro soddisfatto tira fuori dalla tasca
del cappotto ago e filo e inizia a ricucire il tessuto.
«Derrick» testo il peso del suo nome sperando che usarlo mi evochi un ricordo. La
sensazione di casa torna, il conforto, ma nessun ricordo. Nessuna immagine della mia
vita precedente.
«Aileana.» Provo con il mio nome, raggiungendo le parti oscure della mia mente.
Devo sapere perché sono tornata. Come sono tornata. Sussurro il mio nome ancora e
ancora finché è un respiro sulle mie labbra. Finché non è più di un suono. Quella
sensazione di immenso fardello ritorna e provo a resistergli. Mi abbandono alla
tempesta per vedere dove mi porterà, ma oltre ad essa non c’è ancora nulla.
Oh, al diavolo. Mi arrendo.
«Avevo un altro nome» dico, irritata dalla mia incapacità di ricordare anche le cose
più elementari. «No? Era più breve. Una sillaba.»
Derrick si zittisce e le sue mani si fermano. Sta evitando il mio sguardo. «Lo
avevi.» Inserisce l’ago attraverso la stoffa e si morde il labbro. Sta pensando
intensamente, è ovvio.
Stringo gli occhi «Posso non avere ricordi di te, ma conosco quello sguardo. Non
vuoi essere onesto con me.»
«D'accordo» si stringe nelle spalle, «se devo essere sincero, preferisco Aileana. È
distintivo, suona piacevolmente…»
«Dimmelo o non ti lascerò sedere sulla mia spalla.»
«Kam» dice infine con un breve sospiro. «Lui ti ha chiamata Kam, abbreviazione
del tuo cognome, Kameron. Ecco. Sei felice adesso?»
Kam. È quello. Ricordo il suo suono tra baci selvaggi, come se non si stancasse
mai di ripeterlo. Kam. Amo quel nome. Posso sentirglielo sussurrare contro la mia
gola. Significava tutto. Diceva tutto.
Ma con il riaffiorare dei ricordi mi torna in mente il messaggio urgente che sono
tornata a consegnare. Ha a che fare con lui. È per questo che sono qui.
«Derrick» dico sottovoce. Mi guarda, diventando cauto. «Lui è il Re Unseelie?»
Rimane in silenzio per un tempo lunghissimo. «Sì.»
«L’ho amato?»
«Più di ogni cosa.»
È doloroso deglutire. «Mi amava?»
Cascate d’acqua colpiscono il tetto. Una brezza fa tremare la porta di legno.
Quando Derrick parla la sua voce è così bassa che devo sforzarmi per sentirlo. «Ti ha
amata così tanto che quando sei morta è come se fosse morto con te.»
* * *
Il giorno dopo continuiamo il nostro viaggio attraverso i boschi, con un ritmo
altrettanto faticoso. La foresta era diventata così oscura che riuscivo a malapena a
vedere il terreno di fronte a me. Oltre le cime degli alberi, le nuvole grigie sono
cariche di pioggia, così scure da sembrare ombreggiate con l'inchiostro.
Noto con stupore che il cielo non è l’unica parte del paesaggio ad essere
monocromatica. Più ci allontaniamo più la foresta sembra prosciugata dei suoi colori,
come se stessi camminando attraverso un disegno a carboncino. Le minime tracce di
verde tra gli alberi sono sbiadite, come se fossero ricoperte da un sottile strato di
polvere. Le foglie sono tutte appassite, i rami fragili.
L’intera foresta sta morendo.
Quando sfioro con la punta delle dita i tronchi degli alberi, la forza vitale li fa
vibrare debolmente sotto il mio tocco, con un lento, morente battito. Il battito di un
essere vivente nei suoi ultimi giorni, come se si sforzasse di compiere gli ultimi
respiri. Proprio come la voce dalla mia memoria.
Accetta l’offerta, bambina.
Quel piccolo flash è sufficiente a farmi battere dolorosamente il cuore contro il
petto. Aveva una voce distruttrice. Una che posso ancora sentire visceralmente, una
carezza a opera di dita gelide lungo la schiena.
L’unica cosa che riesce a ridurre la mia agitazione è Derrick che parla del mio
passato. Di come ero cresciuta a Edimburgo come la figlia di un marchese. Di come
io e lui ci eravamo incontrati dopo che mia madre era stata assassinata. Mi intrattiene
con racconti delle notti che ho trascorso uccidendo fae, fino al giorno in cui insorsero
dai monticcioli ai piedi della città e presero d'assalto la Scozia. Distrussero tutti i
villaggi e i distretti, e poi continuarono la loro devastazione altrove. Tutto questo
mentre ero stata catturata e imprigionata nel loro regno.
Derrick racconta e racconta, ma nel suo resoconto della mia vita sta tralasciando i
dettagli del Re degli Unseelie. Chi era, come io e lui ci eravamo incontrati, come
arrivai ad amarlo. Le cose che ha fatto dopo la mia morte. Ogni volta che sembra
arrivarci, Derrick cambia argomento.
Quindi non lo menziono più. Derrick si accontenta di sedersi sulla mia spalla e
raccontare storie sulle nostre disavventure. Sembra divertito del fatto che la mia vita
precedente possa essere fondamentalmente riassunta con morte, distruzione e
omicidio, in questo ordine.
Che esistenza miserabile.
«Quindi credi che sia morta un'altra volta ancora, e poi sono morta di nuovo?»
Chiedo incredula, «È una cosa che faccio spesso? Morire e poi tornare?»
Adesso non sono più sicura di volere i miei ricordi. Non c’è da meravigliarsi che li
abbia bloccati tutti. Forse il mio fardello era diventato troppo pesante e avevo deciso
di dire addio e a mai più a Aileana Kameron. Era una ragazza che viveva per
vendicarsi e ne era stata accecata. Quando se n'è resa conto, era troppo tardi per poter
cambiare qualcosa.
Solo che lei non era un’altra ragazza. Lei ero io e ho avuto l’occasione di salvare il
mondo e ho fallito.
Forse volevo ricominciare.
Le mani di Derrick sono di nuovo tra i miei capelli, intrecciano, intrecciano, ancora
intrecciano. Aveva detto che avrebbe intrecciato una sola ciocca e ora ci sono una
quindicina di trecce tra i miei riccioli. Più tardi quando le disferò sono certa che i
miei capelli assomiglieranno ad un nido d’uccello, ne sono sicura.
Mi chiedo se è perché a Derrick piaccia farlo, oppure se mi tocca per ricordare a se
stesso che non sono frutto della sua immaginazione. O se sta deliberatamente
cercando di rendere i miei capelli ridicoli. Spero nella seconda opzione.
«Sai come fa un gatto ad avere nove vite?» Mi chiede.
Sospiro quando lo sento prendere una nuova ciocca. «No.»
«Beh, loro ne hanno nove e tu ne hai… Beh, non so quante a questo punto. Almeno
dodici. Più di ogni altro umano che abbia mai incontrato, sicuramente.» Le sue mani
sono abili mentre intreccia. «Così ho continuato a cercarti perché ho pensato che
magari, come un gatto, saresti ricomparsa un giorno e avresti iniziato ad avanzare
pretese.»
Salgo sul tronco di un albero abbattuto mentre attraversiamo una valle della
foresta. «Pensavi che sarei ricomparsa? Anche dopo che avevi bruciato il mio corpo e
seppellito le mie ceneri?»
Dopo aver saputo dei miei riti funebri, il modo in cui sono ritornata ha più senso.
Non c’era da stupirsi se la mia gola era stata piena di cenere, il mio corpo di fuliggine
e che mi ero dovuta dissotterrare dal terreno. Il mio corpo era stato bruciato su una
pira. Le mie ceneri erano state seppellite nella terra. La mia morte era stata definitiva.
Riportarmi indietro dopo tutto quello doveva aver richiesto un grande potere.
Dovevo essere ricostruita: ossa, muscoli, sangue, cuore e mente. Tutto quanto.
Derrick si zittisce. «Sì.» So che vuole dire di più ma invece si schiarisce la voce e
aggiunge rapidamente «dopotutto, sei la mia compagna. Posso sempre percepirti,
anche quando tu non puoi fare lo stesso, e anche quando odori di morte e sofferenza.»
I miei piedi sono silenziosi sul terreno mentre scivolo tra gli alberi, i miei
movimenti leggeri, il passo veloce. Potrò non sapere dove mi stia conducendo, e
potrò essere riluttante dal ricordare le parti difficili del mio passato, ma qualcosa nei
miei ricordi intima che io mi sbrighi. Ho bisogno di riavere i miei ricordi prima…
Prima di cosa?
Quella tremula, antica voce sussurra di nuovo nella mia testa, ma non riesco a
capire le parole.
Al mio secondo respiro frustrato, Derrick poggia il mento sulle mani e dice, « Mi
dirai cosa sta succedendo in quella tua sciocca mente o dobbiamo tirare a indovinare?
Si tratta di uccidere qualcosa?»
«No.» Mi fa male la testa. «Non ti chiedi cosa mi abbia riportata indietro? Perché
sono qui?»
«Certo che sì» replica, in un tono che sembra dire non sono un completo idiota.
«La tua memoria è uno schifo. Il tuo odore è strano, i tuoi occhi sono strani, le tue
cicatrici sono sparite, il che è strano, la tua pelle è...»
«Strana?» Provo a indovinare.
«Febbricitante.» Fa un verso esasperato. «Questo non è normale. Gli uomini non
muoiono se diventano troppo caldi?» Quando apro la bocca per rispondere, lui mi
zittisce. «Non importa. E smettila di fare altre domande, perché una volta che
avranno ricevuto risposta, si rovinerà tutto. Lo so e basta.»
«Va bene. Allora dimmi perché mi cercavi anche se sapevi che ero morta.»
Derrick trasalisce e distoglie lo sguardo. Non era mia intenzione portare a galla
qualcosa di così doloroso. E dev’esserlo, perché le sue ali si sono afflosciate e ha
finalmente smesso di intrecciare i miei maledetti capelli.
Dopo qualche minuto, finalmente dice: «L’ho desiderato. L’ho desiderato per due
mesi e mezzo. Di vederti un’ultima volta.»
«Prima di?»
«Ancora non lo so.»
Sono sul punto di dirgli che non sono la Aileana che si meritava, quella che lui
voleva. Lui sperava nella sua amica, e invece ha avuto me, una creatura non-
interamente-umana dalla mente vuota. Magari quando i morti tornano, sono sempre
sbagliati. Diversi. Forse non è qualcosa che Aithinne può aggiustare.
«Non so se credo nei desideri.» Mormoro, quasi a me stessa. È come credere nella
speranza. Ti fanno volere cose che non puoi avere. I desideri sono cose pericolose.
«Forse dovresti.» Sembra quasi sulla difensiva.
«I desideri hanno potere. Noi crediamo che se ami qualcuno e lo desideri
ardentemente, tornerà da te. Tu sei qui. Ti ho amato abbastanza, l’abbiamo fatto tutti.
Suppongo l’abbia fatto anche lui.»
Lui. Lui. Come se Derrick, non dicendo il suo nome, privasse il Re degli Unseelie
di quello che era, qualcuno che ho amato. Sono consapevole più di chiunque altro del
potere che hanno i nomi. Ieri, ero una ragazza senza un’identità, qualcuno sorto dalle
ceneri di una foresta morta.
Una ragazza i cui unici ricordi erano i movimenti del suo corpo mentre uccideva.
Adesso ho un nome. E con quello deriva l’aspettativa che io non sia cambiata,
sempre la stessa Aileana uccisa da una spada nel petto mentre cercava di salvare il
mondo. Derrick crede io possa essere aggiustata, e non ho il cuore di suggerire che
forse non puoi aggiustare qualcosa che è già morto.
Come forse non posso salvare il Re degli Unseelie. Forse Derrick ha ragione e le
parti dell’uomo che ho amato sono morte con me e nemmeno lui può essere
aggiustato.
Un altro ricordo si fa strada dagli angoli oscuri della mia mente, insistente,
esigente. Non posso evitare di seguirlo. Nella mia mente sono in piedi vicino a una
figura in ombra in una foresta come questa. Arrabbiata. Disperata. Non c’è niente che
tu possa fare. Uno dei due deve morire.
Qualcosa di quel ricordo è importante. Vitale. Quando provo a inseguirlo di nuovo,
mi scivola tra le dita. «Maledizione» respiro. «Derrick...»
Uno sfarfallio di qualcosa nel bosco mi fa rallentare. Come prima, quando l’altro
fae mi aveva trovata: un assaggio di potere.
Dannazione. È come ha detto Derrick: sono venuti a cercarci. Solo che non
pensavo ci avrebbero trovato così lontano e così velocemente. Devono aver seguito la
nostra pista, non abbiamo mai deviato dalla foresta. Hanno già trovato gli altri corpi?
Posso solo sperare di no.
Potranno essere silenziosi, ma riesco a sentirli spostarsi tra i boschi. La pressione
dei loro piedi sulla polvere. La cadenza dei loro respiri. Sono vicini.
Mormoro una maledizione e ripeto il nome di Derrick.
«Cosa?» Sbatte forte le ali contro la mia guancia. «Guarda, non finire la frase se
riguarda cosa ti ha riportata indietro. So che mi renderà infelice.»
Lo ignoro e scivolo dietro a un albero. La stoffa del mio vestito sbrindellato sfrega
contro la corteccia e suona come unghie che graffiano il legno. Rabbrividisco.
«Che cosa stai facendo?» Chiede Derrick.
Mi metto un dito sulle labbra e mimo con le mani a indicare che non siamo soli. Si
ferma, la sua espressione è concentrata.
È in ascolto.
Gli occhi di Derrick si dilatano di una frazione. Li percepisce anche lui.
«Soldati. A Dozzine» sussurra contro il mio orecchio.
CAPITOLO 5 Traduzione: Ire
«Se loro sono qui vuol dire che hanno trovato i corpi, dobbiamo sbrigarci e
avvisare Aithinne che stanno arrivando» dice Derrick.
« Possiamo raggiungerla prima che cali la notte?»
« Sì se ci sbrighiamo. Shh.» Derrick preme una mano sul mio collo, per dirmi di
rimanere ferma. Gli altri fae ci sono quasi addosso. Si muovono tra gli alberi,
disperdendosi in una veloce ed efficiente formazione. Sono vestiti di nero, la loro
pelle ha dei riflessi opalescenti nella debole luce. Si fermano qualche volta, come se
avvertissero qualcosa di sbagliato. Il loro potere serpeggia attraverso gli alberi, alla
ricerca… non solo di me, ma anche dei loro compagni. Quelli che ho ucciso.
«Siamo ancora nel territorio del Re?» chiedo in un sussurro leggero. Vedo Derrick,
con la coda dell’occhio, annuire. «Non li hanno ancora trovati. Percepisco che li
stanno cercando». A pochi passi da noi, il fae si ferma. Mi premo una mano sulla
bocca per attutire il mio respiro.
Derrick sussurra nel mio orecchio, la voce cosí bassa che faccio fatica a sentire.
«Ci nasconderemo. Niente uccisioni. Altrimenti in Re lo verrà a sapere, se così tanti
dei suoi non tornano.» Sbircia da sopra la mia spalla «Cammina furtivamente fino
all’altra parte del tronco. Adesso. Vai, vai.»
Non discuto. Mi muovo intorno al tronco, premendomi contro di esso. Poi il mio
piede fa scricchiolare un ramoscello. Derrick preme di nuovo la sua mano sulla mia
pelle. Aspetta. Fermati.
I fae non si sono mossi. Quando sbircio dall’albero, noto che sono in posizione
d’attacco, in attesa di un qualsiasi nemico. Sono così immobili, come se non
respirassero nemmeno.
Dispiego le mie abilità - niente più di una veloce ricognizione - e percepisco che
sono connessi. Una rete di potere collega ogni soldato in un’unica unità. Mantiene a
bada l'oscurità derivante dalla fame di energia umana di ognuno, condividendo il peso
con il gruppo.
Unseelie. Proprio come gli altri fae.
Posso provare a mandarli da qualche altra parte. Sfioro la loro mente con il mio
potere, un leggero suggerimento, una spinta: forse dovreste tornare indietro.
Come se percepisse cosa sto facendo, Derrick si gira di scatto verso di me . Passo
un dito sulle sue ali per rassicurarlo, ma lui scuote la testa velocemente, affondando
le sue unghie nel mio collo. Non posso controllare lo spavento che causa la mancanza
di controllo sui miei poteri. La piccola spinta che avrei voluto causare al fae diventa
uno spintone. Una dichiarazione ovvia: Sono proprio qui.
Oh, maledizione.
Un’ondata di consapevolezza si fa strada attraverso il gruppo. I loro poteri cercano
nell’aria, avvinghiandosi al mio, sforzandosi di trovare la fonte…
Il mio potere reagisce. Mi riempie, il dolore nel mio petto ringhia. Mi urla di
lasciarlo uscire lasciarlo uscire lasciarlo uscire.
Sono a malapena consapevole del fatto che Derrick mi sussurra qualcosa all'orecchio,
dicendo il mio nome per cercare di riportarmi indietro. Il suo potere tenta di
avvolgersi al mio.
Errore. Il mio potere spazza via il suo, e Derrick cade dalla mia spalla. Le sue ali
iniziano a battere appena in tempo per salvarlo dallo schiantarsi per terra.
«Aileana!»
Il suo grido sbalordito non è abbastanza per spezzare il potere inesorabile che
ruggisce per uscire fuori. Non posso fermarmi. Non riesco a controllarlo.
Lo lascio andare.
Mi avvolge in un mantello di oscurità, spesso ed impenetrabile. Sono
improvvisamente calma, il mio battito assume una cadenza regolare. La mia mente
torna indietro all’istinto di caccia. É così facile. Il mio potere mi rassicura che sono
perfetta. Sono intoccabile. Senza la mia memoria, è l’unica cosa che mi aiuta a farmi
sentire di nuovo completa.
Mi allontano dall’albero, ignorando il pixie che cerca di afferrarmi i capelli. Dice
un nome, il mio nome, ma la cosa non mi interessa minimamente. Non ricordo quel
nome. Io non ricordo quella ragazza. Lo mando via velocemente con il mio potere.
Poi mi muovo rapidamente. Verso un tronco, poi verso un altro ancora, un
predatore nascosto che insegue la sua preda. Mi muovo come se fossi parte delle
ombre. Languida e disinvolta come fumo attraverso gli alberi.
I fae non mi vedono nemmeno arrivare mentre vortico tra di loro. Non quando
sussurro nelle loro orecchie, contando i secondi che mancano alla loro morte. Prima
tu. Poi tu. Tu invece sarai l’ultimo.
Gli Unseelie si agitano, I loro respiri accelerano. La loro paura è un elisir.
Fino a quando un filo di energia, di paura, mi fa fermare. Derrick. Ha paura di me.
Solo il rancido e malsano sapore di esso mi fa perdere la concentrazione. Mi sposto
contro l’albero producendo un sonoro sfregamento, e il fae più vicino si gira con una
lama nelle sue mani.
La punta in alto e mi muovo appena in tempo per evitarla. Mi taglia sulla spalla.
Questo è tutto ciò che serve. Tiro indietro la testa con un ruvido, selvaggio sibilo.
Ho la lama tra le mani ancor prima che possa muoversi nuovamente. Sferro un colpo,
prendendolo alla gola. Sento gli occhi degli altri su di me, vedono la mia lama
gocciolante, le ombre che affiorano intorno a me, il corpo ai miei piedi.
Uno di loro urla… un urlo acuto che risuona attraverso la foresta. All’unisono, si
tuffano su di me.
La mia spada fischia attraverso l’aria, nient’altro che una macchia confusa. Della
pelle si lacera sotto la mia lama; sangue schizza sulla terra. Sono più veloce di quanto
possano mai sperare di essere. Mi muovo come una ballerina, in graziose giravolte,
calci e rapidi tagli.
Sono potente. Sono senza pietà. Ogni uccisione mi riempie, mi da più energia. Il
mio massacro è veloce come il diffondersi dell’oscurità.
Qualcosa viene verso di me, una luce all’angolo del mio occhio. La prendo prima
di sapere ancora cosa sia, un piccolo corpo nella mia mano, le mie dita si chiudono
sopra piccole ossa e soffici, vulnerabili ali.
«Aileana!»
É la voce di Derrick. Il grido di Derrick. Guardo verso di lui sconvolta, catturando
la sua espressione colpita prima che voli tra gli alberi. Faccio un respiro mentre
esamino le mie uccisioni. Io ho fatto questo. Derrick mi ha vista fare questo. Mi ha
vista perdere il controllo.
Perché non sento niente?
Nemmeno orgoglio o soddisfazione… e qualcosa mi dice che una volta erano
queste le cose che sentivo. E che poi invece, io abbia combattuto solo per necessità,
per sopravvivere. Uccidere o essere uccisa. In entrambi i casi, sentivo qualcosa.
Guardo la dozzina di fae morte sul suolo della foresta e capisco: non l’ho fatto per
necessità. Avrei potuto mandarle indietro. Avrei potuto correre e loro non mi
avrebbero catturata. Se li avessi disarmati, nessuno avrebbe potuto sconfiggermi. Li
ho massacrati tutti, perché potevo.
Avrei potuto uccidere anche Derrick.
Un suono strozzato sfugge dalla gola di Derrick. É sistemato su un ramo di un
albero vicino, esaminando la punta piegata della sua ala. Poi si gira e mi guarda
attraverso un luccicante velo di lacrime. Non dice niente, ma riesco a sentire ancora
la sua paura.
Il sapore è disgustoso, mi serra la gola.
Sono stata io, ho ferito le sue ali. Sono stata io.
«Mi hai fatto del male» dice, con la voce tremante di rabbia e … qualcos’altro.
Qualcosa che suona come tradimento. «Mi hai fatto del male.»
Capisco dalla sua voce che non l’ho mai ferito prima d’ora. Nemmeno una volta.
É tutto ciò che serve per frenare il mio potere. Rimetterlo nella sua custodia di ossa
troppo piccola e lasciarlo riposare dentro di me con il dolore che merito. E quando lo
faccio, sono improvvisamente consapevole dei pensieri di Derrick. Posso sentirli così
chiaramente, come se stesse dicendo le parole ad alta voce.
Ha assassinato una dozzina di fae in meno di un minuto.
Lei è un mostro travestito da ragazza.
É tornata sbagliata.
É questo quello che pensa di me?
Senza pensarci, mi spingo nella sua mente. I suoi pensieri sono come un prisma,
una cacofonia di colori ed immagini. All’inizio non sono chiari, sono troppo difficili
per me da capire. La mia mente non lavora in questo modo; anche ora, e ancora
troppo umana, troppo semplice.
Ogni pensiero è stratificato, non esistono i singoli. É una complessa mescolanza di
osservazioni e schizzi di sfumature oro e rosso e immagini. I suoni hanno sapori. I
sapori hanno una consistenza. I suoi colori evocano sentimenti e desideri.
Il colore che mi aveva dato, o meglio che aveva dato alla vecchia Aileana, era
quello dell’ambra; consistenza e sapore come miele. La sua cosa preferita al mondo
dopo di me. Una ragazza con selvaggi capelli color rame ed un sorriso subdolo come
il suo. Una ragazza di cui ammirava il coraggio. Una ragazza con cui si sentiva così
vicino che divenne la sua famiglia quando tutti gli altri erano morti.
Ho eclissato quell'Aileana e sono diventata qualcosa di meno umano.
Perché questo è quello che sono: una creatura. Non umana, non fae… una ragazza
nel mezzo, potente e formidabile. Qualcuno di pericoloso, qualcuno che potrebbe
facilmente ferirlo senza volerlo.
Trattengo un sussulto quando vedo me stessa attraverso gli occhi di Derrick. Vede
la sua amica, la ragazza che ha cercato negli ultimi due mesi, desiderando che
tornasse indietro dalla morte. Ed eccomi qui, di fronte a lui: gocciolante di sangue,
con il viso ricoperto di schizzi. Occhi che splendono fieri e luminosi ed inumani;
Occhi anomali. Inquietanti come quelli di qualsiasi fae. Le ombre si raccolgono
intorno a me come un mantello.
Ed oltre le immagini e i colori e le varie trame, un singolo pensiero di Derrick
suona chiaro come una campana: Lei non è la mia Aileana.
Quel pensiero mi fa male al petto. Non la sua Aileana. Non la sua amica. Sono
soltanto una mostro che non ricorda da dove arrivi o chi sia.
Non mi importa quale aspetto abbia, I suoi pensieri continuano. Non é la mia
Aileana.
«Esci. Fuori. Dalla. Mia. Testa» dice Derrick a denti stretti.
Non mi ero resa conto di averlo costretto a rimanere immobile mentre leggevo i
suoi pensieri. Ho usato il mio potere contro di lui senza sforzo, senza pensarci affatto.
Per prima cosa gli ho fatto del male, poi ho fatto irruzione nella sua mente.
Ha ragione: Tu sei un mostro. Chiudo gli occhi e mi ritiro.
Nel momento in cui i miei poteri lo abbandonano, il respiro di Derrick diventa
affannato, come se stesse cercando di riprendere fiato. Leviga la linea sottile dell'ala
sinistra. si raddrizza leggermente, guarendo.
Mi dispiace, cerco di dire. Ma ingoio le scuse perché non merito il suo perdono.
Ho letto i suoi pensieri senza il suo permesso. Avrei potuto ucciderlo.
Mi domando se, nel mezzo della battaglia, mi sarebbe persino importato.
«Sono diversa dalla ragazza che ero» dico, cercando di tenere a bada il tremore
della mia voce. Lei era in grado di controllarsi. Lei non ti ha mai fatto del male. Lei
ti voleva bene.
Senza ricordi, il sentimento di casa non è abbastanza. Senza di essi, è come se non
avessi imparato niente, come se non fossi stata da nessuna parte.
Non ho niente che mi ricordi cosa ho perso, cosa ho superato, chi sono, chi sono
stata.
Una scusa aleggia ancora sulle mie labbra. Mi dispiace, mi dispiace di essere
questa creatura oscura che non ricorda la ragazza che hai amato e perduto. Mi
dispiace se cercavi disperatamente lei ma hai trovato me al suo posto.
La paura di Derrick si trasforma in rabbia. Il suo potere è affilato come una lama
sulla mia lingua. «Come osi» scatta. «Potrei perdonarti per l’avermi ferito, so quanto
sia facile perdersi in battaglia. Ma come osi invadere la mia mente in quel modo?
Non hai nemmeno provato a fermarti.»
«Lo so». Le mie parole sono appena udibili, ma lui le ha sentite comunque. «Sono
dispiaciuta. Davvero.»
«No» sputa fuori. «Non lo sai, e non ti dispiace. Come diavolo potresti?» Mi
esamina con uno sguardo duro e accusatorio. «L'amica che conoscevo ha avuto
qualcuno che se li infilava nella testa giorno dopo giorno, per mesi. Se fossi stata lei,
non l'avresti mai fatto a nessuno. Non dopo quello che ha fatto Lonnrach.»
Dopo quello che ha fatto Lonnrach.
Denti che mi mordono ancora e ancora. Affondano così profondamente che il
sangue scivola sulla mia pelle e gocciola sul pavimento. Gocciola, gocciola,
gocciola. Trentasei denti umani. Quarantasei zanne discese dalle sue gengive, puntate
all’insù come quelle di un serpente.
Hanno lasciato un centinaio di cicatrici sulle le mie braccia, sulle spalle, sul petto e
sul collo. Erano una dichiarazione: Sei mia. Ti possiedo.
Ma quando provo a sentirle, le cicatrici non sono lì. Sono sull’altro corpo, quello
bruciato su una pira in riva al lago. Chiunque mi abbia riportato indietro ha lasciato
su di me l’unica cicatrice che conta: quella che mi ha uccisa.
Le altre cicatrici contengono ricordi. Contengono parti della vecchia Aileana e ora
tutto ciò che rimane di lei sono dei lampi nella mia mente, pezzi di un puzzle che non
riesco a rimettere insieme.
Incapace di fermarmi, dico di nuovo a Derrick «Mi dispiace.»
«Smettila di dirlo» sbotta.
Le sue ali vibrano agitate, veloci come quelle di una libellula. Si passa le mani tra i
capelli. «Dio ti sento ancora nella mia testa». Quando non rispondo, lui dice «Tu eri
vuota dentro, Come se fossi una cosa, non lei-»
«Non ho la mia memoria» esclamo. «Tu pensi che la mia mente sia vuota? Prova a
viverci.»
Stiamo entrambi respirando affannosamente, fissandoci come due estranei.
La luce di Derrick si è oscurata in un alone ombroso intorno a lui. Sembra colpito,
come se stesse realizzando il modo in cui mi ha chiamata.
Sei solo una cosa.
«Non so cosa sto facendo» gli dico, la mia voce quasi si spezza.
«Non so chi sono e da dove vengo; so solo che quando mi sono svegliata avevo
dentro di me questo potere che non potevo controllare. L'unica cosa che mi sembrava
giusta era ucciderli». Faccio un gesto verso i corpi ai miei piedi. «Quando mi hai
chiamata con il mio nome, una parte di me non voleva ricordare nient’altro.»
«Aileana.»
«Aspetta.» Trattengo le lacrime. Non voglio che lui mi veda piangere. «Lo so che
non sono la stessa. Ti ho ferito. Ho invaso la tua mente. Desideravi qualcun’altra ma
hai avuto me e sono tutta sbagliata. Ma nel momento in cui ti ho visto, ero a casa.
Non avevo bisogno di avere ricordi di te per sapere che mi fido di te ed ho bisogno
del tuo aiuto.» Quando Derrick non risponde, sussurro, «Per favore. Aiutami.»
Mi fissa, senza parlare. Ho l'impulso improvviso di tenerlo vicino, di accarezzargli
le ali con le mie dita come se ciò aiutasse a calmarlo. Perché non riesco a ripeterglielo
ancora e ancora, Io sono lei. L'unica differenza è che sono ritornata spezzata.
Sei solo una cosa.
«Mi dispiace,» dico. Ancora. Un dannato eco. Scusa scusa scusa. Scusa se sono
una delusione. Scusa se sono tutta sbagliata. Scusa se sono un’assassina spietata.
Scusa se sono una cosa. Non umana.
Guardo in basso i corpi disseminati sul suolo della foresta e provo un improvviso
senso di impotenza, un peso più opprimente del mio nome.
Trattengo il respiro quando sento lo svolazzare delle ali di Derrick. Atterra sulla
mia spalla, il suo tocco è gentile. «Non ho pensato a come fosse stato per te.» Alla
mia espressione sorpresa, lui spiega, «Ho desiderato che fossi tu, e tu sei ritornata, ed
io sono l’ingrato bastardo che non poteva accettare che tu non fossi esattamente la
stessa. Come potresti? Perché dovresti? Soltanto perché lo volevo io?»
«Questo non giustifica ciò che ho fatto.»
«No,» concorda Derrick. «Ma dopo tutto quello che hai passato. . .» Scuote la
testa.
Finalmente permetto ad una lacrima di cadere. «Sei adorabile. Adesso capisco
perché non ti ho mai ucciso.»
Il sorriso di Derrick è appena accennato. «Oh, per favore. Come se potessi.» Si
accorge delle mie lacrime e sospira, mormorando. «Dovresti saperlo, non posso
rimanere arrabbiato con te quando piangi.» La sua ala sfiora la mia guancia, ma
mantiene le distanze. Non è arrabbiato con me, ma qualsiasi cosa ha visto nella mia
mente lo ha spaventato. Quando provo a catturare il suo sguardo, lui si gira.
«Aiutami a seppellirli. Se facciamo in fretta, raggiungeremo il campo di Aithinne
prima che cali la notte.»
Iniziamo a scavare.
CAPITOLO 6
Traduzione: Aestas
Non appena lasciamo la foresta, Derrick mi spinge verso una fenditura che si
estende per miglia.
Le onde si scontrano con le rocce sul fondo, infrangendosi contro la scarpata. Ogni
onda arriva con un leggero sibilo da parte della roccia scricchiolante, il respiro
costante dell’oceano. Non oso avvicinarmi troppo al ciglio instabile. A intervalli di
singoli momenti enormi frammenti di roccia si rompono e cadono nel baratro. La
terra sta cadendo a pezzi, poco a poco.
Il panorama è snervante: l’ho già visto da qualche parte, nei pezzi mancanti dei
miei ricordi. Ma non era qui. Si trovava in quel luogo, ricordo, vicino al lago, dove
c’erano foreste piene di demoni e alberi di metallo con rami affilati come lame.
Apro la bocca per chiedere a Derrick spiegazioni, ma lui vola via e io mi affretto a
seguirlo. Dovrei guardare avanti, ma la mia attenzione è attratta dal paesaggio. Dal
colore opaco del cielo e dagli alberi, ancora più evidenti qui che nella foresta.
Il cielo è un’unica, interminabile lastra plumbea. Le nuvole sono inconsistenti, non
un singolo raggio di sole o minaccia di pioggia. Al contrario, gli alberi hanno
striature nere e profonde, come se fossero stati bruciati dalle fiamme. In tutto il
paesaggio, oltre al grigio cenere, si scorge a malapena una vaga traccia di pigmento.
Anche le colline, che dovrebbero essere per lo meno marrone scuro in questo periodo
dell’anno, sono una cupa ombra di polvere.
Derrick sfreccia intorno ad alcuni massi verso una parte particolarmente rocciosa
del burrone e io lo seguo, arrampicandomi sulla grezza roccia granitica. «Dove
siamo?» Chiedo, infine, stanca del silenzio.
Derrick non ha più parlato dalla foresta in poi. Quando pensa che non sto
guardando, lo sorprendo a fissarmi, a studiarmi. Come se stesse pensando a quello
che ha visto quando la mia mente ha invaso la sua. Forse si sta chiedendo se potrò
mai essere aggiustata.
Non mi sfugge il modo in cui distoglie lo sguardo bruscamente, il senso di colpa
che lampeggia sul suo viso, come se si rendesse conto improvvisamente di quanto
fosse stato silenzioso. Potrà avermi perdonato per ciò che gli ho fatto nella foresta,
ma riesco a percepire quanto sia teso, come se stesse aspettando che io perda
nuovamente il controllo.
«Skye» risponde lui meccanicamente. «Siamo ancora su Skye. Non l’abbiamo mai
lasciato.»
«Ancora?» Chiedo con leggerezza, in modo da non turbarlo.
Durante le ore di cammino, ho fatto attenzione a non muovermi come ho fatto nella
foresta. Ho trattenuto i miei poteri così saldamente da provare dolore. Non voglio che
Derrick veda di nuovo quel mostro. Quella cosa.
Voglio che mi veda come un umano, come i vecchi tempi. La sua Aileana. La sua
amica.
«Sei morta sull’isola» dice. «Avremmo potuto andare da qualche altra parte, ma
non ha molto senso quando tutto sta cadendo a pezzi.» Mi sorride senza convinzione.
«Hai qualcosa in programma prima che accada? Potresti sempre ubriacarti con me.
Potremmo cantare canzoni sconce, vestirci da pirati e ballare sulle interiora dei nostri
nemici.»
Arriccio il naso. «Dovrebbe piacermi?»
«Non ancora. Ma solo perché non l’hai ancora provato. Te lo assicuro, viene
vivamente consigliato.»
«Da chi?»
«Da me.» Sbuffa. «Onestamente, Aileana, tutti almeno una volta dovrebbero
vestirsi da pirata ubriaco. È molto più divertente uccidere in costume.»
Non posso fare a meno di sorridere quando mi chiama per nome. È la prima volta
che lo dice, da dopo la foresta, e il suo suono mi avvolge come una coperta calda.
Nelle poche ore passate ho cominciato a ricordare sensazioni associate al mio nome.
Riaffiorano dei ricordi, tra cui il corpo di Derrick rannicchiato contro l’incavo del
mio collo, le mani tra i miei capelli perché si era addormentato intrecciandoli.
«Allora ci proverò» rispondo, avvicinandomi al ciglio del burrone, «ci vestiremo
da pirati e balleremo e tu mi canterai una canzone prima della fine. E magari
accoltelleremo qualcuno con le sciabole.»
Si libra sopra la spalla mentre mi avvicino al burrone, muovendomi con cautela per
timore che le rocce cadano. «Va tutto bene?»
Scuoto la testa. I miei ricordi si affacciano nuovamente, immagini di quel luogo da
incubo, così offuscate dalla paura che non riesco a vedere altro. Cerco di distrarmi
calciando un grande pezzo di roccia oltre il bordo della rupe. Rotola lungo la scarpata
e giù fino al mare.
Eccolo. La voce di un uomo da qualche parte nelle ombre del mio passato. La terra
era integra e ora è spezzata proprio al centro. Sta cadendo a pezzi.
Ero su un’isola galleggiando nell’aria sopra un grande abisso, come una foglia
sulla corrente di un fiume. Si estendeva all’infinito attraverso un paesaggio alieno,
ancora più incolore di questo. Era piena di edifici posti in cima a piattaforme fatte di
rocce frastagliate sospese nel vuoto.
Quel ricordo mi fa tornare in mente i denti. Mi porta un senso di impotenza che mi
fa dolere lo stomaco. Un nome affiora nella mia memoria. «Questo sembra Sìth-
bhrùth» dico tra me e me.
Derrick si gira di scatto. «Cosa te lo fa dire?»
Non lo so.
Quando cerco nei miei ricordi qualcosa su Sìth-bhrùth, l’unica cosa che emerge è
un opprimente senso di angoscia, dolore e disperazione. Qualunque fosse la ragione
per cui mi trovavo lì, non era stata di mia spontanea volontà. Ero intrappolata lì.
«Penso fosse così» dico, fissando il paesaggio incolore. «Non ha avuto sempre
questo aspetto, vero?»
«No. Ha cominciato subito dopo…» Derrick si morde un labbro e so cosa stava per
dire. Dopo la mia morte. Ma lui continua come se non si fosse mai fermato. «Prima si
è trattato solo del colore. Poi un giorno la terra ha cominciato a sgretolarsi in tutta
l’isola e la terraferma. Penso che sia solo questione di tempo prima che tutto questo
maledetto posto si sbricioli nel mare.»
Guardo il burrone, il mare sottostante. «E poi?»
La risata di Derrick è breve, stranamente amara. «E poi? La fine del mondo, a
meno che Aithinne non uccida Kia…il Re. Se lei non dovesse riuscirci, spero che la
mia fine sia rapida e indolore. A quel punto saremo crollati a terra con i nostri
costumi da pirata, spero.»
La fine del mondo. Il messaggio che mi sforzo di rievocare mi riporta di nuovo a
quell’oscura voce tremante. Ricorda, mi ripeto. Ricorda. Devi ricordare.
Accetta l’offerta, bambina.
E se non lo faccio?
Braccia scheletriche mi avvolgono in una morsa. Un dolore lancinante, come se
ogni osso del mio corpo fosse stato rimesso insieme, muscoli e tendini si fossero
formati di nuovo.
Una voce femminile in mezzo al tormento. I nostri regni saranno distrutti.
«Lei è morta» sussurro, realizzando finalmente il significato del ricordo. «La
donna nei miei ricordi. Quando lei morì, provocò tutto questo.» Non so come
spiegare chi lei fosse, eccetto il fatto che fosse qualcuno di importante. Qualcuno che
aveva potere su questi regni.
«Stai dicendo cose senza senso» dice Derrick. «Non sei disorientata, vero? È
qualcosa che ha a che fare con la tua mente difettosa?» Poi alza una mano in fretta.
«Non importa. Non rispondere. Continuo a dimenticare che hai…»
«Derrick.» La mia voce è affannata. Rispondo al suo sguardo interrogativo
dicendo: «Penso che mi abbia detto come salvare i regni.»
CAPITOLO 7
Traduzione: Aestas
L’accampamento di Aithinne è nel bel mezzo dei boschi, dove gli alberi sono così
incolori da sembrare quasi neri.
Le torce accese formano un grande cerchio attorno agli alberi, Le fiamme
tremolano, proiettate verso l'alto. Dietro queste luci ci sono tre cottage di pietra. Le
strutture sono state costruite in fretta e a casaccio, le pareti composte da pietre più
grandi intervallate da rocce più piccole, paglia sconnessa e irregolare a comporre i
tetti. Le abitazioni formano un arco intorno a un grande falò che brucia abbastanza
intensamente da inondare il campo di un tenue bagliore dorato. Anche se il sole non è
ancora tramontato, il resto della foresta è così scuro che potrebbe anche essere notte.
Ci sono tre persone sedute sui tronchi presso il fuoco che parlano in toni sommessi.
Uno di loro è una ragazza bionda, i suoi tratti delicati sono illuminati dalla luce. È
seduta vicino a un giovane uomo muscoloso con una benda sull’occhio, che si
avvicina e le sussurra in un orecchio. Lei ride, spingendo l’altro uomo con il gomito.
Lui le assomiglia molto. I miei amplificati sensi di fae possono scorgere i dettagli
dei suoi lineamenti fin da qui: lo stesso colore di capelli, gli stessi occhi blu. Posso
vedere le cicatrici che incorniciano un lato del suo volto attorno all’occhio. Quando
ride è più silenzioso, più contenuto.
Qualcosa di quella scena mi provoca un nodo in gola, mi fa venire voglia di
scusarmi, e non sono sicura per quale motivo.
Proprio quando sto per fare un passo avanti nella luce, Derrick svolazza davanti a
me e alza le mani. «Non ancora. Non finché non vedremo cosa si può fare per i tuoi
ricordi.» La sua espressione è decisa e severa. «Stai qui mentre io trovo Aithinne.»
Derrick vola via in una raffica di ali, passando oltre le persone intorno al falò.
Ignora i loro saluti sorpresi e tira dritto verso una delle abitazioni. Si fa strada
attraverso la traballante porta di legno che si chiude fragorosamente.
Dalle ombre della foresta, guardo i tre attorno al fuoco con un desiderio che fa
male. Li conosco. Sono sicura di sì.
Ti ho amata abbastanza; tutti lo abbiamo fatto.
Potrei essere la Aileana che ritorna dalla morte, ma non sono la loro Aileana. Non
ho ricordi di come ognuna di queste persone mi abbia amata. Non ricordo quanto io li
abbia amati.
Nonostante ciò, non posso ignorare l’impulso di dire loro che sono qui. Sono viva.
La sensazione è così forte che sposto il peso da un piede all’altro, in procinto di
avanzare, quando vedo una fae, forse la regina Seelie, spalancare la porta del cottage
dove era appena entrato Derrick. Il pixie sta dietro ad Aithinne mentre lei supera il
fuoco.
Uno degli umani chiede se va tutto bene. Aithinne risponde con un cenno del capo
veloce e distratto, e si affretta attraverso gli alberi seguendo le indicazioni di Derrick.
Io rimango sotto la scura copertura dei rami fino a quando mi vede.
I suoi occhi incontrano i miei, e un suono le fuoriesce dalla sua gola. «Trobhad
seo» dice. Prima che io possa fare o dire qualcosa, le sue braccia mi avvolgono in un
abbraccio mozzafiato. Poi sussurra in un’altra lingua, una che ho già sentito prima ma
che non capisco. «Chan eil mi tuigsinn, agus chan eil e gu diofar. Sei tornata! Sei
viva!»
Il potere di Aithinne attira il mio, mi avvolge e mi scalda come fisicamente fa il
suo abbraccio. È come un vecchio cappotto che ho indossato centinaia di volte. Ho
già usato quel potere prima, nella vita che non ricordo. Che so di avere.
Aithinne fa un passo indietro e mi sorride, accertandosi del mio stato. «Oh mio
Dio, guardati!» esclama divertita, «Sei meravigliosa per essere appena tornata dal
mondo dei morti. Tutti i tuoi arti sono esattamente dove dovrebbero essere.»
Derrick svolazza accanto a noi, facendo schioccare la lingua. «Lei non si ricorda di
te, sciocca. Puoi aggiustarla o no?»
Aithinne inclina la testa, senza smettere di sorridere. «Forse. Sai, non ho mai
aggiustato la mente di nessuno prima d’ora» dice radiosa. Quindi si sporge come per
raccontare un segreto. «Spero di non farti esplodere la testa. È abbastanza ben fatta.»
«Sì» dico seccamente, «Soprattutto perché ne ho bisogno.»
«Aggiusta il suo profumo» dice Derrick, «Non ha più lo stesso odore e non mi
piace. Il mio posto sulla spalla non è più così piacevole e questo mi rende triste.»
«Beh, il suo profumo potrà essere differente, ma la perdita di ricordi non ha
cambiato il suo cipiglio. Che magnifico bagliore omicida che hai» mi dice. «Lo
adoro. Insegnami.»
«Per l’amor di Dio, Aithinne» esclama Derrick, «Ammettilo, sei entrata nella mia
scorta di miele e ora sei completamente fatta, perché lei non è …»
«Possiamo concentrarci su una cosa alla volta?» Chiedo impazientemente «vorrei
avere i miei ricordi indietro.»
Aithinne si avvicina, il suo naso quasi a toccare il mio. I suoi occhi sono di un
bellissimo argento luminoso, e il colore vortica. Improvvisamente inspira e arriccia il
naso. «Profumi come mia madre.»
Derrick si ferma giusto nel mezzo di un altro agitato giro di perlustrazione attorno
agli alberi. «Tua mamma? Come Cailleach, l’ex regina squilibrata, tua madre?»
«Temo di sì.» Aithinne è in piedi così vicina che il mio primo istinto è fare un
passo indietro e preservare una parvenza di spazio personale. Fino a quando non dice:
«Dovrò entrare nella tua mente per questo. Me lo permetterai?»
Dopo la reazione di Derrick a quello che gli ho fatto, sono esitante. Posso solo
sperare che sia diverso se si dà il permesso. Non voglio di nuovo perdere il controllo
sui miei poteri. Ma se questo è l’unico modo per riottenere ciò che ho perso…
Chiudo gli occhi e annuisco.
Aithinne posiziona le mani su entrambi i lati della mia testa e sento il potere
estendersi attraverso di me. All’inizio il suo tocco è luce, delicato come una brezza
estiva. Tutto ad un tratto, mi punge con una puntura rapida e decisa.
Il mio potere spinge indietro il suo e Aithinne sobbalza.
«Accidenti.» La sua energia si srotola nuovamente verso di me, con maggiore
cautela questa volta. Accarezzandomi, danzando intorno alla mia con un tocco
incoraggiante. «Bene, questo…non è buono.»
Qualcosa nel modo in cui lo dice mi provoca una morsa di paura allo stomaco.
«Cosa?»
Aithinne scuote la testa. «Fammi entrare. Devo vedere.»
Inizialmente il mio potere oppone resistenza. È sulla difensiva: non gli piace che
qualcuno possa toccarlo o manipolarlo. Aithinne lo calma nel modo in cui si potrebbe
ammansire un animale selvatico: dimostrando che lei non è una minaccia. Lo
convince a rilassarsi con tocchi gentili. Poi, dopo alcuni istanti ci riesce, ed è dentro.
Esplosioni di memoria arrivano così velocemente che riesco a malapena a tenere il
passo. Io su una scogliera al tramonto, un tocco gelido sulla mia spina dorsale. La
donna accanto a me, il suo corpo che trema con i suoi ultimi respiri.
La donna sta parlando di un libro. Quale libro?
Scoppio a piangere quando Aithinne scava ulteriormente nella mia mente,
divorando i ricordi come se stesse scorticandomi la pelle. Fa male. Fa male. Fa male.
Il mio potere si impenna, tutto calore e furia, un chiaro messaggio che dice vattene.
Sento che Aithinne è aggrappata a me, le sue dita affondano nelle mie spalle così
forte da lasciarmi i segni. Riesce a estrarre il ricordo di cui abbiamo bisogno, quello
che ho cercato di ricordare tutto questo tempo.
Leabhar Cuimhne. Il Libro della Memoria.
Il mio potere entra impetuosamente in lei. Con un sussulto di sorpresa Aithinne
viene gettata in aria. Colpisce duramente un albero vicino, atterrando su un cumulo di
terra.
Derrick vola lì per aiutarla. «Cosa diavolo è successo?» Mi chiede.
Non lo so.
La testa mi pulsa. I ricordi lampeggiano nella mia mente, troppo veloci per poterli
afferrare. Come se Aithinne avesse aperto una porta e non l’avesse chiusa alle sue
spalle. Sono assalita da sensazioni e immagini e pensieri e parole, è troppo. Sono
troppi.
Io che corro attraverso le strade di Edimburgo di notte. Io in una stanza di specchi,
indifesa e in balia di Lonnrach. Io trafitta nel petto e la vista si affievolisce appena in
tempo per vedere…
Kiaran.
Kiaran. Questo è il suo nome. Lui. Il re degli Unseelie. Kiaran.
Ti ha amato così tanto che quando sei morta è come se fosse morto con te.
Debolmente, sento in lontananza un rumore di passi. «Aithinne?» Chiama una
voce familiare. Poi: «Diavolo. Che è successo?»
La ragazza bionda vicino al fuoco. Catherine, la mia migliore amica. Mi ricordo.
Mi ricordo.
Catherine mi vede e si immobilizza. La sua voce è rotta dall’emozione quando
finalmente dice: «Aileana?»
«Non avvicinarti a lei.» Derrick si interpone tra di noi, con la sua aura cremisi
lampeggiante. «Fino a quando Aileana non riavrà il controllo dei suoi poteri, potrebbe
farti del male. Quindi non muoverti.»
Il mio cuore si stringe alle sue parole. Potrebbe farti del male.
Derrick non aveva mai detto una cosa simile di me. Mai. Sono la sua compagna, la
sua amica. Rivedo la nostra storia passarmi davanti agli occhi e ogni scena è come
una lama che mi affonda sempre di più nello stomaco. Anche nei miei momenti più
bui, lui ha creduto in me. Lo ha sempre fatto. Finora.
Catherine sembra incerta fino a che i suoi occhi non incontrano i miei. La sua
espressione si addolcisce «Stai bene?»
«Ti sei persa la parte dove ha scagliato Aithinne su un albero?» Domanda Derrick.
«Vuoi anche tu essere gettata via come un sacco di patate?» Alza le mani in segno di
sconforto. «Umani. Non ascoltate mai.»
Faccio un passo indietro, desiderando di sapere cosa dire. Per poco non dico a
Derrick che ricordo tutto ora. Come ci siamo incontrati. Il giorno in cui ha preteso il
suo armadio. Io, lui e le nostre disavventure. Ma poi i ricordi di Lonnrach ritornano e
la tortura che ho sopportato nella sua prigione. Lonnrach si è fatto strada nella mia
mente. Ha letto i miei pensieri. Ha rubato i miei ricordi.
E io l'ho fatto. Ho fatto questo a Derrick.
«Mi ha solo colta di sorpresa» dice Aithinne prima che io possa parlare. Riesce a
tirarsi su seduta, con uno sguardo un po’ stordito. «Vedi? Sto benissimo.»
Aithinne deve avere un concetto strano di benissimo; non penso di aver mai visto
una fae provare per tre volte a restare in piedi e finire sempre con il sedere a terra.
«Ti ha colto di sorpresa?» Lo sguardo tagliente di Derrick valuta il suo stato. «Ti
sanguina il naso, e stai barcollando come un ubriacone da taverna.»
Aithinne si tocca il naso e le sue dita si macchiano di sangue. Non posso
trattenermi dal sussultare. Sono stata io, senza un motivo. Io ho ferito la regina
Seelie.
«Oh. Beh, questo è interessante» dice lei, «Non ho molte occasioni per vedere il
mio stesso sangue.» E lei non è affatto infastidita da ciò, né dalla sua incapacità di
stare in piedi.
«Sei veramente assurda» dice Derrick, scuotendo la testa. Poi guarda verso di me.
«Ora tu. Lei potrebbe…?»
«Mi ricordo» dico piano. Mi dispiace per quello che ho fatto, mi dispiace tanto.
«Tutto.» Derrick emette gridolini di gioia e sta per volare sulla mia spalla ma io lo
evito e mi accoccolo vicino ad Aithinne. Non posso affrontarlo ancora. «Mi giuri che
non ti ho fatto del male?»
Aithinne mi afferra la mano e io la tiro su in piedi. «Niente di peggio di quello che
ho sopportato in battaglia.»
«Qualcuno deve spiegarmi» dice Catherine. Poi solleva una mano prima che
qualcuno parli «Ma prima…» Si avvicina e mi stringe in un forte abbraccio. «Sono
così felice che tu sia tornata» sussurra.
«Lo sono anche io» mormoro.
Alla fine, Derrick perde la pazienza e piomba sulla mia spalla, la sua aura brilla più
luminosa dell’esplosione di un lampione. «Catherine, hai avuto il tuo abbraccio. Ora
vai al diavolo, è il mio turno.»
Catherine gira gli occhi al cielo. «Che esigente.»
Il rimorso è lancinante mentre accarezzo le sue ali. «Mi dispiace» sussurro. «A
proposito di ciò che ho fatto…»
«Gli abbracci ora, le scuse dopo.» Sorrido mentre mi si avvicina e mi annusa.
«Diavolo. Quell’odore è rimasto. Aithinne, perché quel terribile odore di tua madre
omicida continua ad appestare la mia compagna?»
Aithinne tentenna, come se fosse incerta. «Aileana ha il potere del Cailleach.»
Derrick si ammutolisce. Mi fissa con attenzione e tantissime emozioni attraversano
il suo volto contemporaneamente: un principio di consapevolezza, pietà e poi, infine,
tristezza. «Oh, merda» mugola. «Merda.»
I miei occhi incontrano quelli di Aithinne. Ha uno sguardo interrogativo. So cosa
sta pensando, cosa vuole chiedere.
Posso riportarti in vita, ma prima o poi i miei poteri ti uccideranno.
Non dirglielo. So che il mio messaggio è chiaro. Per favore, non dirgli che mi
perderanno di nuovo.
Insieme abbiamo visto il ricordo. Entrambe sappiamo che i poteri di Cailleach,
quelle abilità distruttive di cui non ho il controllo, mi stanno uccidendo a poco a
poco. È solo questione di tempo. Questa è la mia maledizione. Il dono della vita mi
verrà portato via nuovamente se non riesco a trovare quel libro. Ma almeno questa
volta posso salvarli tutti.
E se troviamo il libro, non dovranno mai saperlo.
«È il mio turno» mormora Aithinne, avvolgendo le braccia intorno a me. Non mi
muovo quando lei mi sussurra all’orecchio «Mia madre è morta, vero? Pensavo che
fosse successo quando la foresta ha cominciato a cadere nel mare, ma credevo che…»
Si allontana e intravedo un barlume di occhi umidi. «...che l'avrei vista almeno
un'ultima volta.»
Ho paura, mo nighean.
Il Cailleach mi trattenne fino a quando la sua pelle si staccò e si trasformò in
polvere. E lo ha fatto affinché potessi avere un’ultima possibilità di sistemare le cose.
Solo una.
Questo è il mio ultimo regalo per loro.
«Sapete qualcosa sul libro di cui parla?» Chiedo ad Aithinne.
Aithinne esita: «È una storia per bambini tra i miei simili. Tu sai meglio di
chiunque altro quanto distorti possono diventare questi racconti.» Scuote la testa.
«Alcuni tra i più anziani sìthichean nel mio territorio dovrebbero saperne di più. Non
ho mai creduto che fosse vero.»
«Tua madre sembrava pensare il contrario. Lei voleva che salvassi te» le dico
delicatamente. «Tutti voi.»
Salvarli da un inevitabile destino: due re nati per governare, uno con le regole dei
Seelie, l’altro con le regole degli Unseelie. Il più potente dei due avrebbe scatenato
una guerra, ucciso l’altro, e preso il posto dell’ultimo Cailleach… e così era sempre
stato, fino a quando Aithinne e Kiaran si rifiutarono di combattere e provocarono un
effetto a catena che sta frantumando sia i regni fae che quelli umani. Una distruzione
che si fermerà soltanto quando uno dei due diventerà il nuovo Cailleach.
A meno che io non trovi il maledetto libro.
Aithinne ha i nervi tesi. «Non so se Kadamach potrà essere salvato.»
La gola mi si stringe quando vedo un messaggio sulla sua faccia, tanto chiaramente
che è come se avesse parlato ad alta voce. Non so nemmeno se tu potrai essere
salvata.
CAPITOLO 8
Traduzione: Jex
I ricordi arrivano, accompagnati da un dolore lancinante alla testa, come se
qualcuno l'avesse spaccata in due per poi ricucirla insieme.
Catherine era andata via insieme all'uomo con l'occhio bendato, suo marito
Daniel, per cercare delle erbe che mi aiutassero col dolore. Aithinne era corsa a
controllare il confine in cerca di un qualunque segno della presenza dei fae dopo che
Derrick le aveva raccontato delle mie uccisioni nella foresta. Era sparita talmente in
fretta che non avevo avuto tempo di chiederle notizie di Kiaran.
E in quanto a me... Mi ero tolta di dosso la maggior parte della sporcizia e avevo
indossato dei pantaloni, una camicia sottile e gli stivali che Derrick era riuscito a
recuperare per me in tutta fretta. Ora sono seduta vicino al fuoco, facendo del mio
meglio per non vomitare.
Mi stringo addosso la coperta e sussulto quando altre immagini mi si affacciano
alla mente; risalgono a quando ero molto piccola e rivedo me e mia madre, le nostre
invenzioni, il modo in cui cantava durante le funzioni della domenica.
Piccoli dettagli che mi ricordano che l'ho persa.
Pensa a qualcos'altro. Pensa a qualcosa che faccia meno male.
Il cervello non ubbidisce. Questa volta il mio pensiero va subito a Kiaran. Rivedo
me stessa mentre lo bacio, come se non ne avessi mai abbastanza.
Faccio scorrere le dita sui marchi circolari che gli segnano il corpo, tracce fisiche
del giuramento che ha pronunciato. Il più grande simboleggiava il dolore con cui
conviveva per tutte le morti da lui causate.
Ripenso al modo in cui mi guardava mentre diceva, Aoram dhuit. Ti adorerò.
Ogni ricordo fa più male del precedente. Aithinne pensa che abbia perso la
memoria dopo che il mio corpo è stato distrutto. Pensa che quando la magia dei
Cailleach mi ha riportata indietro, la mia mente abbia impiegato più tempo a
rimettere insieme i pezzi. Quando poi i poteri di Aithinne si sono uniti ai miei, le
barriere sono crollate.
Il fratello di Catherine, Gavin, si sistema sul tronco accanto a me.
«Hai un aspetto orribile.»
I capelli biondi sono più lunghi adesso, gli arrivano quasi alle spalle. Si è fatto
crescere una barba corta, oscurando in parte la cicatrice che comincia proprio sotto
l'occhio.
Com'è diverso dal ragazzo che conoscevo. Non è più il Gavin perfetto
gentiluomo; ora è uno degli ultimi umani rimasti, grazie anche al dono della Vista,
l'abilità innata di vedere i fae. Abbiamo acquisito le nostre capacità nello stesso
modo: morendo e ritornando indietro.
Tutto sommato però, Gavin sta reagendo bene al mio ritorno. Quando mi ha visto,
ha semplicemente sorriso ed esclamato, «Vuoi davvero mettere alla prova il termine
morto fino a quando perderà ogni significato, vero?»
Che cosa direbbe invece se sapesse che a tenermi in vita è solo magia presa in
prestito? Che nessuno di noi sopravvivrà se non riesco a trovare il Libro della
Memoria?
Probabilmente risponderebbe nello stile di Derrick, qualcosa come: Hai più vite
di un gatto, te ne guadagnerai un'altra.
Sospiro. «Mi fa davvero male la testa, potrei vomitare.»
«Ah bé, allora questo non potrà che peggiorare le cose.» Gavin mi mostra una
bottiglia di whisky. «Sembra che tu abbia davvero bisogno di farti un goccio. Evita
solo di vomitarmi sulle scarpe.»
«Dio santo, Galloway» dico ridendo, «solo tu puoi trovare del whisky in questo
caos. Che cosa si festeggia?»
Gavin scrolla le spalle. «Sei viva. Probabilmente questa che vedi è l'ultima
bottiglia rimasta al mondo e vorrei che te la godessi insieme a me prima che tutto
finisca.»
Faccio una smorfia. «Inquietante.»
«Opportuno.»
Una voce risuona alle mie spalle. «Meglio che ce ne sia un po' anche per me.»
Derrick si libra in volo da una delle capanne e mi si posa sulla spalla. «Ho finito il
miele» borbotta, mentre il movimento delle sue ali mi sposta i capelli, «quella
schifezza puzzolente è l'unica che può aiutarmi a perdere i sensi.»
Con Derrick accanto a me, mi rilasso. Ora che i miei ricordi sono di nuovo
integri, sento di avere di nuovo il controllo della situazione. Non ci si rende conto di
quanto anche il più piccolo legame sia importante finché non te li dimentichi tutti. Mi
ero sentita come se non avessi mai vissuto.
Gavin osserva il folletto e inarca le sopracciglia. «Se vuoi che condivida il mio
whisky, non insultarlo.»
«Schifeeeezza» intona Derrick, «forza allora. Fai un brindisi.»
Gavin stappa la bottiglia e la solleva. «Al ritorno di Aileana, giusto in tempo per
la guerra imminente e la nostra probabile dipartita. Fino ad allora, slàinte.» Beve un
lungo sorso e dalla sua faccia intuisco che bruci. «Vi avverto» dice con voce roca,
passandomi la bottiglia, «non credo che andrà giù tutto d'un fiato.»
Afferro la bottiglia, ma non bevo. «Probabile dipartita? Ne deduco che tu o
Daniel non abbiate avuto una visione di una nostra vittoria?» Il mio sorriso è forzato.
«Se è così, allora che questa volta sia una morte relativamente indolore.»
Oltre a poter vedere le fate, coloro che possiedono la Vista hanno altre abilità;
Gavin ha delle premonizioni e Daniel sente voci di natura profetica: su di me, per
essere precisi. Secondo quelle voci, sono colei che ha il dono del caos, colei che può
salvare i regni o distruggerli.
Per quanto riguarda distruggere il mondo, finora sono stata all'altezza del mio
dono.
Gavin scuote la testa. «Niente visioni. E Daniel non ha sentito nessuna voce.
Negli ultimi tempi è stato tutto piuttosto tranquillo, il che probabilmente è un brutto
segno.» Mi fa l'occhiolino. «Bevi, tesoro. Meglio affogare le nostre sofferenze
nell'alcol finché possiamo.»
Il whisky mi brucia la gola e sono piuttosto sicura che la lingua abbia perso ogni
sensibilità. Quello che mi esce è una specie di suono strozzato. «È veramente
disgustoso» esclamo, restituendo la bottiglia.
«L'ultima bottiglia di whisky sulla terra» Gavin fa una smorfia prendendo un
altro sorso, «e sa di disperazione. Ringrazia il pixie per averla trovata.»
Derrick sembra offeso. «Sei un ingrato. Vediamo se la prossima volta che ne
trovo una te la porto di nuovo. Le darò fuoco davanti a te invece e ti guarderò
piangere.»
Gavin sorride. «Lagne, lagne, lagne.»
Mi offre un altro po' di whisky ma io rifiuto. «Dunque» guardo Gavin con
insistenza mentre mi sporgo in avanti per mettere un altro ciocco sul fuoco, «dal tuo
silenzio immagino che tu non possa dirmi niente di Kiaran.» Indico Derrick con la
testa. «Questo qui da due giorni si rifiuta persino di pronunciare il suo nome.»
«Se lo merita» brontola Derrick. Lascia cadere un ditale per il cucito sul mio
palmo. «Versami un po' di quel piscio qui dentro, ti spiace?»
Alzo gli occhi al cielo, ma faccio come mi ha chiesto. «Guarda che lo so che
cerchi di cambiare discorso.»
«Non ho cambiato discorso. Festeggio il tuo ritorno testando questa orribile
bevanda. Quindi bentornata! Mi devi ancora un ballo vestita da pirata.»
Gavin sembra interessato. «Vestita da pirata?»
Mi rilasso mentre il ciocco brucia e diffonde una piacevole ondata di calore.
«Non chiedere. Per l'amor del cielo, non chiedere.»
«Oh, ma voglio sapere. In effetti sono molto curioso.»
Derrick fa per aprire bocca, ma io lo zittisco. «Non ci provare. Gavin, smettila di
alimentare le sue fantasie folli o finirà per farti un abito da sera.»
Derrick si illumina. «Oh mia frivola amica, non ci avevo pensato.» Subito inizia
a scrutare Gavin con un lungo sguardo calcolatore, come se gli stesse prendendo le
misure. «Saresti bellissimo con balze e merletti. Credo che il blu sia il colore più
adatto a te. Potrei anche farti un corsetto...»
Gavin emette un suono strozzato.
«...con dei piccoli fiocchi. E poi potrei pensare a della biancheria raffinata.»
«Aileana, fallo smettere.»
«Sei stato tu a cominciare. Così impari a non parlarmi di Kiaran. Fallo ora:
raccontami tutto.»
Gavin esita e lancia un'occhiata a Derrick. «Aithinne forse non ha minacciato di
uccidermi» dice alla fine, «ma è stata molto chiara. Voleva essere lei a parlarti una
volta tornata.» Appoggia i gomiti sul tronco spostandosi indietro.
«Onestamente, speravo che avresti bevuto il whisky e saresti svenuta.»
«Speravo che non ti saresti ricordata affatto di Kiaran» brontola Derrick.
Emetto un verso di frustrazione. Bene. Ho un sacco di altre cose da chiedere.
«Allora raccontami cosa è successo con Lonnrach e Sorcha.»
Gavin scrolla le spalle. «Nessuno ha più visto Lonnrach dopo che...» Mi
accorgo di come i suoi occhi indugino proprio sotto la mia clavicola, come se stesse
cercando la cicatrice del colpo che mi ha uccisa. Poi distoglie lo sguardo. «Dopo che
lo hai ferito è fuggito. E anche Sorcha.»
«Non me lo ricordare» esclama Derrick, «mi piacerebbe scuoiare viva quella
strega dai denti a punta per ciò che ha fatto ad Aileana. E per quanto riguarda suo
fratello, mi accontenterei della testa.» Fa una pausa. Poi: «Sarebbe un'ottima
decorazione per il giardino.»
Gavin sembra confuso. «Quale giardino?» Indica intorno a noi con la bottiglia.
«Siamo nel bel mezzo della foresta sull'orlo di un’apocalisse.»
Ora l'aura di Derrick brilla di rosso. «Il giardino che intendo realizzare con i
corpi dei nostri nemici» sibila, «non è colpa mia se la tua mente umana manca di
creatività.»
Mentre continuano a discutere, le mie mani si chiudono a pugno. Quindi Sorcha
e Lonnrach sono fuggiti. Ovviamente. Sorcha pianificava l'attacco da mesi: trovare il
cristallo del Vecchio Regno e usare le sue proprietà per spezzare il legame di Aithinne
con il potere di Kiaran. Farlo diventare di nuovo il Re degli Unseelie. Sorcha mi ha
salvato più di una volta per assicurarsi che accadesse. Ha tradito il fratello. E poi mi
ha uccisa.
Non so chi dei due odiare di più. Lei, per avermi strappato la vita e mia madre. O
lui, per aver spezzato il mio spirito e avermi fatto desiderare la morte.
Li ucciderei entrambi se potessi. Ma uccidere Lonnrach spetta ad Aithinne, e non
potrei togliere di mezzo Sorcha nemmeno se ne avessi l'occasione. Migliaia di anni
fa, quando Kiaran regnava sul trono degli Unseelie, Sorcha era la sua consorte.
Avevano fatto un giuramento unendo le loro vite. Se Sorcha muore, muore anche lui.
«E gli altri fae?» Li interrompo. «Quelle agli ordini di Lonnrach e quelle con gli
umani nella città di Derrick. Notizie di loro?»
Derrick si zittisce e Gavin fissa il fuoco. Ombre gli danzano sul volto, sulle
cicatrici che si è procurato dopo un attacco fae mentre ero prigioniera di Lonnrach.
Non dimenticherò mai il suo volto tormentato quando lo rividi per la prima volta.
Quando fuggii dal regno dei fae, Gavin già da anni era in fuga e si nascondeva. La
persona che avevo conosciuto crescendo era pressoché sparita, sostituita da un uomo
indurito dal dolore e dalla guerra.
«Gli umani stanno bene» replica infine Gavin. «Alcuni dei fae sulla nave si
rivolgono a noi per le provviste, e per il momento resistono vicino alle isole
dell'ovest. Qui non è molto sicuro. Non con...» Mi guarda. «Alcuni fae che erano con
Lonnrach lo hanno abbandonato, ma la maggior parte ha preso una posizione. E non
ha scelto Aithinne.»
Derrick sembra infastidito. «Dopo il ritorno dei poteri di Kiaran, uno pensa che
chi è diventato di nuovo Seelie rimanga fedele alla propria Regina, ma le si sono
rivoltati contro. Non ho mai visto nessuno voltare le spalle alla propria Corte.»
Poi, brontolando, aggiunge: «Maledetti traditori.»
Quando Kiaran decise di cedere il trono degli Unseelie, Aithinne lo privò di
quella parte di potere che richiedeva di nutrirsi degli umani per sopravvivere. Una
volta aveva la stessa fame che ho percepito negli Unseelie che ho affrontato nella
foresta, ma il ruolo di Re lo rendeva insaziabile. Aithinne non aveva nessuno a cui
trasmettere quel potere, nessun altro fae disposto ad accettarlo o che potesse gestirlo,
come io avevo accettato quello dei Cailleach. Quindi quel potere venne trasmesso ad
ogni fae delle due Corti, fino a quando perfino i Seelie diventavano Unseelie.
Ora che i poteri di Unseelie di Kiaran sono tornati, quei fae torneranno a essere
Seelie. Ma tornare come prima non significa perdonare la propria Regina per averli
resi uguali a coloro che una volta disprezzavano, anche se non lo aveva fatto di
proposito, o per averli intrappolati per migliaia di anni in una prigione sotto
Edimburgo cosicché non potessero nuocere agli umani.
Gavin alza gli occhi al cielo rivolgendosi a Derrick. «Siamo onesti, d'? Hanno
voltato le spalle ad Aithinne per salvarsi la pelle.» Si appoggia all'indietro portandosi
la bottiglia di whisky alle labbra. «Noi siamo la fazione perdente, e tu lo sai.»
La fazione perdente. Quindi significa che Kiaran sta vincendo.
Derrick scuote la testa, facendo schioccare la lingua in direzione di Gavin.
Devi chiedere. Devi farlo. Ma prima... Afferro la bottiglia e ne prendo un lungo
sorso. Maledizione, quanto brucia.
«D'accordo» dico. «Raccontatemi di Kiaran. Tutti e due. Non voglio aspettare
Aithinne.» Quando rimangono in silenzio, esplodo: «Piantatela di cercare di
proteggermi, o di fingere di sapere cosa è meglio per me. È ridicolo e offensivo dopo
tutto quello che ho passato.»
Gavin e Derrick si scambiano un'occhiata. Derrick impreca sottovoce ed è sul
punto di parlare, quando la voce di Aithinne lo ferma. «Aspetta.»
Sollevo lo sguardo e la vedo al margine della foresta. I suoi occhi incontrano i
miei e scorgo un bagliore triste nel suo sguardo. «Prima c'è qualcosa che devi
vedere.»
CAPITOLO 9
Traduzione: Jex
Di qualunque cosa si tratti, sono sicura che non mi piacerà. «Riguarda il libro?»
Chiedo mentre mi guida fra gli alberi. Per favore, fa che sia per quel maledetto libro.
Camminiamo da circa dieci minuti, sempre più distanti dal piacevole calore
dell'accampamento, inoltrandoci nell'aria fredda della foresta. Non c'è nessuna luce
avanti a noi, nessun indizio su dove mi stia portando.
Aithinne scuote la testa. «Ho dato ordine alle sìthichean che mi sono ancora fedeli
di scoprire tutto il possibile sul libro. Sappiamo ancora troppo poco.» Indica di
svoltare su un altro sentiero. «Da questa parte.»
Il respiro si solidifica in nuvolette bianche. La primavera ormai dovrebbe essere
vicina: tra la neve che copre il tappeto di aghi dovrebbero esserci boccioli di fiori che
spuntano dal terreno ghiacciato. Un segno che il rigido inverno scozzese è quasi
finito.
Ma non ci sono fiori. Non ci sono foglie. Solo un vento freddo e pungente e rami
scuri incorniciati da un cielo senza stelle.
Aithinne si ferma all'improvviso e quasi le vado addosso. Sorpresa, sbircio da
sopra la sua spalla e intravedo una capanna più avanti, annidata nella parte più folta
della foresta, dietro una piccola e silenziosa radura. È più grande delle abitazioni
intorno all'accampamento ma chiaramente costruita con la stessa rapidità. La
differenza è che non c'è nessuna fonte di luce oltre all'uscio principale: non ci sono né
finestre né altri ingressi. La porta è stata ricavata da una roccia massiccia e decorata
con simboli fae incisi direttamente nella pietra.
La tentazione di andarmene è forte. Non è un posto accogliente. Non c'è un bel
fuoco scoppiettante, nessuno che ci venga incontro. Niente indica che sia qualcosa di
diverso dall'ennesimo luogo abbandonato in un paese che ne è ormai pieno.
Questo è ciò che noi scozzesi consideriamo un posto infestato. Infatti basta dargli
un'occhiata per farti correre un brivido lungo la schiena.
«Che cosa significano quei simboli?» Chiedo esitante.
«Foís do t'anam» mormora Aithinne, «simboli di pace». Fa un cenno in direzione
della capanna. «Vai. Ti aspetto qui. E poi ti racconterò tutto quanto.»
No, penso mentre muovo qualche passo incerto verso la porta. No, no, no. Girati.
Non entrare. Non guardare ciò che vuole mostrarti.
Cambierà tutto.
Ma devo farlo. Sento il mio stesso sangue rimbombarmi nelle orecchie mentre
apro la pesante porta di legno e varco la soglia.
La prima cosa che vedo sono dei letti... Ce ne sono una dozzina e occupano
quasi tutto lo spazio, come in un ospedale. L'unica zona libera è rappresentata da
dalle corsie che separano ciascuna fila, e c'è a malapena lo spazio per camminarci in
mezzo. Accanto a ogni letto c'è un tavolino con sopra una candela accesa, che
diffonde un bagliore fioco tutto intorno.
Su ciascun letto c'è un umano che riposa. Alcuni sono talmente immobili che mi
chiedo se questo non sia il luogo dove Aithinne tenga i propri morti, ma guardando
più da vicino vedo che in realtà sono vivi.
Sempre che questi dannati esseri si possano definire vivi.
Hanno gli occhi spalancati, ma il loro sguardo è spento. Nessuno sembra aver
notato la mia presenza, nemmeno quando gli passo accanto. L'espressione che hanno
in volto rimane fissa: una sorta di stupore contorto. Come se avessero visto qualcosa
di bellissimo... o di terrificante.
Qualcosa per cui valga la pena implorare. Per cui valga la pena morire.
Non ho mai visto nessuno tanto denutrito, debole ed emaciato da avere le ossa
delle guance così incavate da rassomigliare a delle lame. Se sollevassi le coperte, so
che potrei contare le costole. E i polsi... dio, sono così fragili. Si potrebbero spezzare
come ramoscelli. Non posso fare a meno di paragonarli alle ali di un uccellino: le dita
si contraggono e rilassano come se provassero dolore.
Accanto a ogni umano c'è una fae sistemata sul cuscino, le ali raccolte intorno al
corpo come se stesse dormendo, ma non è così. Ciascuna di loro ha i denti affondati
nelle gole delle vittime, abbastanza forte da far uscire il sangue.
L'istinto mi dice di attaccare, di prendere quelle creature e ucciderle. Ma quando
mi avvicino, una di esse si immobilizza, mi lancia un'occhiata e lascia con i denti la
presa sulla donna su cui era chinata.
La donna fa per afferrarla. Le braccia fragili catturano l'aria come per riportarla
vicino a sé. Fa un suono gutturale, un grido disperato come un animale caduto in
trappola. Comincia a tremare violentemente e ho paura che possa farsi del male.
Mi allontano, urtando con la caviglia uno dei letti lì vicino, ma nemmeno me ne
accorgo. Sussulto e mi copro la bocca con la mano quando vedo cosa c'è sotto il
lenzuolo scivolato via dal corpo.
Segni sulle braccia e sulle gambe: cicatrici troppo larghe perché siano state
provocate dalla fae. Segni di denti umani e di fauci animali ovunque, su tutto il corpo.
Oddio. Oh mio dio.
Gli occhi della piccola creatura incontrano i miei mentre affonda di nuovo i denti
nel collo della donna. Il morso è talmente profondo che il sangue inizia nuovamente a
scorrere dalla ferita sino alle clavicole.
E a quel punto la donna si sistema nuovamente contro il cuscino sospirando... e
con un sorriso sulle labbra.
Mi si rivolta lo stomaco. Mi giro, apro la porta di slancio ed esco dalla capanna.
Lontano da quei letti, da quelle creature, da quegli umani.
Non voltarti indietro. Dimentica tutto. Dimentica ciò che hai visto.
Inciampo in un sasso, ma riesco a recuperare l'equilibrio in tempo. Qualcuno mi
chiama mentre attraverso la radura e infine vomito tra i cespugli.
Appoggio i gomiti sulle ginocchia, mentre respiro affannosamente. Chiudo gli
occhi, come se quel semplice gesto bastasse a cancellare l'immagine di quella donna,
viva eppure assuefatta al morso di una fae.
Una volta Kiaran mi raccontò cosa succede agli umani che vengono catturati
dalle fae. Si indeboliscono rapidamente e bramano il loro morso. Quando un
sìthichean prende un umano, non lo lascia più andare. Mai più.
Non avevo mai assistito a una scena del genere prima. Non avevo mai visto un
umano talmente soggiogato dal tocco di una fae da restare in vita solo grazie a quello.
Ho visto la morte e la guerra, ma c'era qualcosa in tutta quella situazione... vedere
degli umani invecchiare e indebolirsi nel letto, la forza di lottare che li abbandonava.
Erano praticamente già morti.
«Aileana» la voce di Aithinne dietro di me è gentile, la sento avvicinarsi, «stai
be...»
«Fermati.» Mi pulisco la bocca con un angolo della camicia. «Per favore. Mi
serve un momento.»
Il suo sguardo è paziente, comprensivo. «D'accordo.»
Mi appoggio a un albero lì vicino e scivolo giù fino a sedermi sul terreno freddo.
Mi sento ancora da schifo, al punto che non riesco nemmeno a stare in piedi. Ci
vogliono diversi minuti prima che il senso di nausea passi e riesca a parlare.
«Voglio che tu sia sincera» parlo con voce piatta, meccanica. «Niente mezze
verità e niente indovinelli. Quelle...» Deglutisco con forza, perché le parole mi si
bloccano in gola. «Quelle sono le vittime di Kiaran?»
Aithinne non dice niente, e il suo silenzio è già una risposta. Ma alla fine
pronuncia comunque un flebile «Sì».
Mi copro la bocca con una mano. Il giuramento che Kiaran fece alla Falconiera
di cui si innamorò migliaia di anni fa gli impedisce di uccidere gli umani, o sarà lui
stesso a morire. Quando un fae pronuncia un giuramento, vi è legato per sempre.
Ma ora che Kiaran è di nuovo il Re degli Unseelie, il suo unico scopo è la morte,
la distruzione. Se non si nutre degli umani, morirà. Quando Kiaran chiese ad Aithinne
di rimuovere quella parte di lui che esigeva vittime umane, lei riuscì ad aiutarlo, ma
pagando un prezzo: dovette vincolare il potere che lo rendeva il re della Corte
Unseelie.
Quando Sorcha mi uccise, usò il cristallo del Vecchio Regno per prevalere
sull'incantesimo di Aithinne e ripristinare quel potere. E questo è il destino di Kiaran:
uccidere gli umani e morire, o nutrirsi di loro e lasciarli in quelle condizioni.
«Perché si trovano qui?» Premo le mani sugli occhi, come se questo mi potesse
far dimenticare tutto. Perché li tieni lì dentro?
«Il Kadamach li abbandona al confine fra i nostri territori» risponde con voce
bassa. «Derrick mi ha detto che ucciderli sarebbe un atto di pietà. Quello o potrei
allontanare le fae da loro e lasciare che muoiano, ma non posso. Semplicemente...
non posso.» Vedo della compassione nei suoi occhi. Compassione per me. «Puoi
provare a salvarlo, ma credo che non sia più il tuo Kiaran MacKay.»
Li abbandona lì. Come quando i sluagh portavano ad Aithinne doni da parte di
Kiaran. Una provocazione crudele, un messaggio: Sarò io a vincere.
No, lui non può essere diventato così. Non è possibile. Deve esserci una parte di
lui a cui posso fare appello, che può ancora essere salvata.
Un vortice di emozioni turbina dentro di me, peggiore del ricordo della lama di
Sorcha che mi attraversa il petto. Non avrei mai dovuto affezionarmi a Kiaran. Non
avrei mai dovuto permetterlo. Non riesco a essere obiettiva. Non posso abbandonarlo.
Lui è nel mio cuore e io nel suo, e questo ci distruggerà entrambi.
Aithinne sembra avermi letto nel pensiero, perché si inginocchia accanto a me e
copre la mia mano con la sua. «Cerca di capire» dice. «Il mio popolo ha imparato
molto tempo fa le conseguenze del legarsi troppo agli umani, perché siamo attratti
dalla loro bellezza. Dalla loro fragilità.»
«Mia madre diceva sempre che amare un umano era come amare una farfalla»
prosegue, «quando ero piccola, mi ripeteva la stessa domanda ogni giorno - «Cos'è
che gli umani sanno fare meglio?» e non era mai soddisfatta finché non davo la
risposta giusta.»
«E qual era?» Chiedo, temendo ciò che dirà.
Aithinne mi guarda. «Morire.»
Ovviamente. È una cosa che mi aspetterei di sentir dire alla Cailleach. Una volta
mi disse che avrebbe potuto perdonare Aithinne per aver creato le Falconiere, un
gruppo di donne dotate di poteri speciali con lo scopo di uccidere i loro nemici, ma
che non avrebbe mai perdonato Kiaran per essersi innamorato di un'umana.
Uno di loro deve morire, aveva detto. E deve essere il Kadamach.
Affondo le unghie nei palmi delle mani. Il dolore mi aiuta a schiarirmi le idee.
«Perché me lo stai raccontando?»
«Questo è il prezzo dell'immortalità. Siamo condannati a vedere morire gli
umani che amiamo e, ogni volta, ci viene portata via un po' della nostra empatia.» La
mano di Aithinne stringe la mia. «Ora capisci?» Sussurra triste. «Tu eri la sua
farfalla.»
La sua farfalla. La sua fragile ragazza umana. Una lama nel cuore e sono morta
come una farfalla a cui sono state strappate le ali. Facilmente. «Aithinne, lui dov'è?»
Aithinne distoglie lo sguardo. Rimane in silenzio talmente a lungo che ormai
sono certa che non dirà nulla. Poi però, molto debolmente le sento sussurrare: «Vieni
con me.»
CAPITOLO 10
Traduzione: Persephone
Aithinne apre un portale fatato, un modo facile per coprire lunghe distanze in un
istante. Quello che ha creato è un sentiero luminoso che emerge tra gli alberi come se
l’avesse creato con la volontà. Un minuto prima non c’era, quello dopo… eccolo.
Dopo averlo attraversato, ci troviamo in piedi sulla cima di una scogliera sopra un
mare agitato. Il panorama è familiare; riconosco la linea degli alberi appena oltre le
rocce e la forma delle colline in lontananza. Siamo sulla baia che faceva da confine al
regno dei pixie, di fronte a dove Sorcha mi uccise.
«Là» sussurra Aithinne, indicando verso l’acqua. «Lui è là dentro.»
Mi volto, aspettandomi di vedere il vecchio cristallo nelle rovine della città di
Derrick, il cristallo che Lonnrach desiderava con così tanta disperazione da
distruggere la città dei pixie per trovarlo. Quello che c’è al suo posto mi fa trattenere
il respiro per lo shock.
Da dove diavolo viene quello?
Subito oltre la costa c’è un’isola che supporta un palazzo scuro e acuminato. Il suo
aspetto fa sembrare che sia stato intagliato nella roccia, un singolo, massiccio
frammento di cristallo che si è arrotolato su sé stesso per formare un edificio alto,
contratto che torreggia sull’acqua. È affilato come una lama. Percepisco il suo potere:
una terribile, destabilizzante energia oscura, fredda come il morso del vento
invernale.
Non vi è quasi presenza naturale su quell’isola. La terra è bruciata e crepata,
completamente asciutta nonostante sia circondata dall’acqua. I pochi alberi sparsi
sull’isola sono fatti di rami spogli e affilati che si piegano verso il frammento di
cristallo ritorto che forma il palazzo. Sono come aghi, spinosi e affilati, minacciosi
tanto quanto qualcosa che potresti vedere nel reame dei fae. Altrettanto spaventosi.
Il palazzo dà l’impressione di essere stato eretto a mo di minaccia, di
avvertimento.
«Kadamach ha fatto emergere l’isola dal mare» dice Aithinne a bassa voce. «L’ha
costruita attorno al cristallo, una replica perfetta del suo palazzo nel regno degli
Unseelie.» Esita prima di aggiungere, «senza dubbio un deliberato messaggio per
dirmi che non sono la benvenuta. Ha anche creato nuovi soldati per rinfoltire i suoi
ranghi quando ne ho uccisi.»
Creato nuovi soldati? «Può farlo?»
«Usando il cristallo.» Il sorriso di Aithinne è aspro. «Perché pensi che lo volesse
così tanto da massacrare il regno del tuo pixie per trovarlo? Gli avrebbe garantito una
rapida vittoria su di me quando i nostri regni erano in guerra. Sarebbe stato
impossibile fermarlo.»
Il cristallo che Sorcha aveva usato per ripristinare i poteri di Kiaran. Mi ricordo che
era alto quanto un caseggiato di Edimburgo, torreggiante e minaccioso. Questo
castello è fatto dello stesso materiale scintillante: roccia scura illuminata dall’interno,
fuoco dentro ossidiana nera.
Come se la struttura non fosse abbastanza intimidatoria, dozzine di soldati le fanno
la guardia appena fuori dagli enormi cancelli. Sono in formazione perfetta. Pronti per
un attacco. È una fortezza maledetta.
«Hai provato a incontrarlo?»
«Certo.» La voce di Aithinne è amara. «Ho provato almeno una dozzina di volte a
convincere quell’idiota testardo a parlare con me, ma si rifiuta di farmi entrare.»
La guardo sorpresa. «Non vuole? Perché?»
«Si sta preparando a scendere in guerra contro di me» dice piano. «La prima cosa
che fa è chiudersi in sé stesso.» La sua espressione è impassibile, ma la tensione delle
sue spalle tradisce le sue emozioni. «L’ho già visto.»
Il mio cuore piange per lei. «Quando?»
«È ciò che fece nostra madre quando sviluppammo i nostri poteri.» Noto che le sue
mani tremano mentre si scosta i capelli dal viso. «Tra i daoíne sìth, non ci sono
differenze tra i Seelie e gli Unseelie in giovane età» spiega.
«Nasciamo con le stesse abilità rudimentali. Abbiamo persino tutti le zanne, anche
se i Seelie non hanno bisogno di usarle.»
I daoíne sìth sono i fae più potenti delle Corti. Sono anche quelli che più
somigliano agli umani, anche se la loro bellezza è oltre ogni paragone.
Non ho mai realizzato che avessero tutti denti come quelli di Sorcha e Lonnrach,
un secondo livello di zanne affilate che scendono dalle loro gengive per rendere più
facile cibarsi di sangue ed energia umani. Ho sempre supposto fosse proprio della
loro discendenza, ma forse la leggenda della fata vampiro chiamata baobhan sìth è
semplicemente derivata dai secoli in cui Sorcha ha massacrato esseri umani mentre
gli altri daoíne sìth erano intrappolati sotto Edimburgo, in una prigione creata da
Aithinne.
«Dato che mia madre non poteva sapere quale Corte avremmo poi guidato»
continua Aithinne, «io e Kadamach siamo stati cresciuti insieme per secoli. Quando
finalmente abbiamo sviluppato i nostri poteri e lui non ha potuto trattenersi
dall’uccidere il suo primo umano, seppi cosa era. Cosa avrebbe significato.»
«Che sareste stati separati» dico.
Aithinne annuisce. «Succede. Che i familiari appartengano alla stessa Corte è più
comune, ma le separazioni non sono insolite. Io e Kadamach all’inizio abbiamo
provato a nascondere le nostre rispettive abilità; non volevamo essere separati.
Uccideva essere umano dopo essere umano e ogni volta tornava ad essere sé stesso
abbastanza a lungo da farmi dimenticare cosa fosse… Poi si trasformava in qualcuno
che riconoscevo a malapena prima di cacciare ancora.» Alza le spalle. «Alla fine, non
ha potuto nasconderlo a nostra madre. Così lei ci portò alle nostre rispettive Corti e si
rifiutò di lasciarci mantenere i contatti. Disse che ci sarebbe stato più facile andare in
guerra un giorno se avessimo smesso di pensare a noi come a fratello e sorella.
Guardo di nuovo al palazzo oscuro costruito da Kiaran. «Quindi sta usando le sue
strategie» mormoro.
Mi avvicino al margine della scogliera e lancio un'occhiata allo strapiombo. La
caduta è dritta fino al fondo. Mi sono già lanciata da questa scogliera e sarei morta se
Kiaran non fosse stato con me. Non posso arrivare a quell’isola da sola. Anche con le
abilità della Cailleach, sono ancora umana. Le rocce sottostanti mi farebbero a pezzi.
«Apri un altro portale» dico ad Aithinne. «Parlerà con me.» Sarà meglio che parli
con me.
Aithinne studia il palazzo e i soldati che lo proteggono, valutando come potrei
aprirmi la strada per entrare. Scuote leggermente la testa. «L’ho creduto anch’io una
volta» mi dice. «Spero solo non ti faccia ciò che fece a me.»
«Cosa fece?»
«Accadde anni dopo che eravamo stati separati. Mia madre mi insegnò a
disprezzarlo ma non ci riuscii mai. Così andai da lui.» Gesticolò verso l’isola, la sua
espressione fredda. «Era esattamente così, persino con lo stesso numero di soldati.
Kadamach è una creatura abitudinaria.»
«Parlò con te?» Non vuoi saperlo, eppure lo chiedi ugualmente. Il prezzo che paghi
per la verità è la conoscenza.
«No» dice con voce piatta. «Cronometrò quanto a lungo stetti fuori dai cancelli.
Per ogni minuto della mia attesa per vederlo, fece catturare al suo sluagh uno dei miei
sudditi più deboli. Poi ogni giorno, per cinquecento giorni, mi mandò uno dei loro
corpi.» Le mani di Aithinne sono strette a pugno lungo i suoi fianchi. «Furono i suoi
primi doni.»
Sussulto. Ora lo sai. Sei una maledetta idiota.
«Perché pensi che lasci quelle persone sul mio confine?» Aithinne arrossisce dalla
rabbia. «Mi sta dicendo che li ucciderebbe se potesse. Mi sta provocando.»
La Cailleach mi ha mostrato alcune delle parti peggiori del passato di Kiaran, cose
che non potrò mai dimenticare. Non giustificherò ciò che ha fatto. Alcune azioni sono
così terribili che il prezzo del perdono diventa insormontabile.
Ma Kiaran ha passato due milioni di anni cercando di fare ammenda. Devo credere
che ci sia ancora una parte di lui che cerchi la redenzione, la parte di lui che scelse un
nome umano. La parte di lui che ho imparato ad avere a cuore.
Quando Lonnarch mi imprigionò, Kiaran non rinunciò mai a me. Nemmeno io
rinuncerò a lui.
Idiota che non sei altro.
«Mi ha salvato la vita» le dico. «Gli sono debitrice.»
Aithinne annuisce, con espressione combattuta. «D’accordo.» Si allontana di un
passo dalla scogliera. «Va bene. Quando avrò notizie del Libro, ti aprirò un portale.
Se hai ragione, e lui è ancora il tuo Kiaran, vorrà aiutare.»
«E se non lo è?»
Abbassa gli occhi, ma non prima che io veda il rimpianto in essi. Non dice nulla;
non ce n’è bisogno. Posso vedere la risposta nei suoi lineamenti chiara come se
avesse pronunciato le parole ad alta voce.
Allora dovrò ucciderlo.
CAPITOLO 11
Traduzione: Persephone
Quella notte, dormo vicino al fuoco, e sogno Kiaran.
Siamo in un letto in una stanza sconosciuta, opulenta quanto qualsiasi cosa che si
possa trovare in un palazzo reale. Sopra di noi pende un lampadario formato da
lacrime di opale nero, illuminato dall’interno da una fiamma rossa. Le scintillanti
pareti della stanza sono scolpite dentro l’ossidiana, incise con elaborati disegni come
quelli sulla pelle di Kiaran. Si estendono dal pavimento al soffitto, per poi allungarsi
in rami elaborati e appuntiti.
Il letto è un massiccio baldacchino scolpito dal legno bruciato di un ontano.
Profuma di cenere, fumo ed erica.
Sto tracciando le cicatrici che coprono la schiena nuda di Kiaran, le serie intricate
di vortici sospesi e linee e spirali che sembrano marchiate sulla sua pelle, poi incise
dolorosamente centimetro dopo centimetro. Rappresenta il suo Voto di non uccidere
umani, la penitenza per quelli che ha assassinato. Ciascuna delle sue vittime ha un
posto sulla pelle, un marchio specifico.
Questa era la sua espiazione. Questo era il Voto che l’aveva reso Kiaran.
«Sei ancora tu?» Gli chiedo. «O sei…» Kadamach. Qualcun altro. Qualcuno al di
là della redenzione.
Si irrigidisce al mio fianco, il suo braccio mi circonda la vita per avvicinarmi a sé.
Siamo premuti l'uno contro l'altra, pelle a pelle, e in quel momento, non c’è nessun
altro posto in cui vorrei trovarmi.
«A volte» dice «Dipende.»
«Da?»
«Se riesco a fingere o meno, per qualche minuto, che tu entrerai ancora nella
stanza per farmi domande irritanti.»
Rido. «Sembri proprio tu.»
«Sì. Finché non ricordo che non entrerai nella stanza. Mai più.»
Non dico niente. Lo stringo solo più forte perché non voglio lasciare andare questo
momento. Noi.
«Vorrei smettere di sognarti» mi dice in un sussurro contro la parte iniziale del mio
collo. Preme le labbra lì una, due volte.
«Lo vorresti?» Quando faccio scorrere le dita lungo la sua spina dorsale, un lieve
fremito lo attraversa. Quell’accenno di una risposta fisica rivela l’effetto che ho su di
lui, qualcosa che non può nascondere. «Stai cercando di dimenticarmi, MacKay?»
Kiaran solleva lo sguardo su di me, i suoi bellissimi occhi violetti stranamente
vulnerabili. «Dì di nuovo quel nome.» La voce roca dall’emozione. Prova dei
sentimenti. E se sente ancora qualcosa, allora è Kiaran. Ed è degno di essere salvato.
Sorrido. «MacKay.»
Fa scorrere le dita sulle mie costole. Più in basso. «Ancora.»
«Kiaran MacKay.»
Il suo nome ha a malapena lasciato le mie labbra e lui mi sta baciando, a lungo e
lentamente. Lo sospiro di nuovo, il suo nome. Un canto. Una preghiera. Ancora.
Un’altra volta.
Mi ricompensa con un altro bacio, e un altro ancora. Fa scorrere la punta delle dita
sulla mia pelle in lente carezze esplorative che mi lasciano insoddisfatta. Che mi
fanno desiderare.
Mentre copre il mio corpo col suo, prima che mi dimentichi di me stessa, gli dico
qualcos’altro. «Ti salverò.»
Kiaran si blocca. «Salvarmi, Kam?» La sua bassa, aspra risata è abbastanza fredda
da gelarmi il cuore. Le sue parole successive sono sussurrate contro il pulsare della
mia gola. «Se fossi ancora viva, desidereresti avermi ucciso.»
Poi affonda i denti nella mia pelle.
Mi sveglio con un rantolo bloccato in gola. Il dolore fantasma del morso di Kiaran
è così forte che non posso fare a meno di alzare la mano per toccarmi la pelle sopra la
clavicola. Il calore della sua lingua contro il mio battito era così reale. Troppo reale.
Col cuore che mi batte forte, mi siedo e mi guardo intorno, quasi aspettandomi di
trovarmi nel letto massiccio del mio sogno, ma sono ancora vicino al fuoco nel
campo di Aithinne.
Le pellicce sotto cui ho dormito mi scivolano in grembo e rabbrividisco per via
dell'aria fredda. Il falò si è spento ormai da tempo e ora ne rimangono solo le braci
luminose. I primi vestigi della luce dell’alba fanno capolino attraverso gli alberi della
foresta.
Gavin e Daniel sono dall’altro lato dei resti del falò, ancora profondamente
addormentati. Derrick è raggomitolato sul cappotto ai miei piedi, con le mani strette
sul tessuto. Sta russando molto rumorosamente per essere una cosetta così piccola.
Catherine e Aithinne. Dove sono?
Spingo via le pellicce e mi metto in piedi. Non so cosa mi spinga ad andare in
direzione del cottage che mi ha mostrato ieri Aithinne, ma mi ritrovo sul sentiero nel
bosco, muovendomi velocemente.
Mi rendo conto soltanto adesso che non ci sono uccelli tra gli alberi a salutare la
luce mattutina con le loro canzoni. Nessun animale si muove nella boscaglia. C’è solo
il solitario, snervante mormorio dei rami che si muovono per la brezza ghiacciata.
Allontanandomi dal campo riesco ancora sentire il fuoco nell’aria. Non posso fare
a meno di pensare a quel letto di legno scuro. Le mie mani che accarezzano i marchi
di Kiaran. Le sue parole sussurrate contro il mio collo. Se fossi ancora viva,
desidereresti avermi ucciso.
Mi muovo più velocemente, cercando di scacciare le sue parole dalla mente. Giuro
che sento ancora i suoi denti penetrarmi la pelle del collo, il calore del sangue che
scorre lungo la clavicola. Più veloce. I miei stivali rimbombano contro il sentiero.
Non dimenticherai mai ciò che hai visto. Perché vuoi andarci di nuovo?
Non so perché sono venuta al cottage che ospita le vittime di Kiaran. Non so
perché ho messo la mano sulla maniglia e mi sono fatta strada all’interno.
Catherine alza lo sguardo sorpresa al mio ingresso, poi la sua espressione si
tramuta in altro. Pietà? Tristezza? Non so dirlo. «Ciao.» Immerge uno straccio nella
bacinella al suo fianco.
È seduta accanto al letto della donna che ho visto ieri, ancora sdraiata con gli occhi
puntati sul soffitto. Sussulto quando noto che il disturbante sorriso sereno sulla sua
faccia non è cambiato. Il fae ha ancora i denti nel suo collo, anche se sembra che stia
dormendo profondamente. Ci sono tre segni accanto alla sua bocca. Ciascuno di essi
sanguina ancora.
Soggiogata, sfioro le cicatrici che mi ha lasciato Lonnrach. Ma quando passo i
polpastrelli sul polso, trovo solo pelle liscia, priva di marchi. Un foglio bianco. Le
mie cicatrici sono come quelle di Aithinne adesso: nella parte più profonda di me,
nascoste alla vista. Alcune cicatrici sono più profonde di quelle sulla pelle.
Non dimenticherò mai quanto mi sia sentita impotente.
Il mio sguardo si sposta sugli altri letti, sulle altre quindici persone. Le vittime
lasciate da Kiaran. Devo rimandare giù la bile che mi è salita in gola.
Sei ancora tu?
Non lo so.
Sussulto, incapace di guardarli ancora. «Cosa ci fai qui?» Chiedo a Catherine, a
bassa voce. Come se queste persone potessero sentirmi. Come se non si trovassero al
di là di qualsiasi preoccupazione. «Dovresti essere a letto.»
Catherine estrae lo straccio e lo appoggia sulla fronte della donna. «Non dormo più
molto. Non da quando il regno dei pixie è stato distrutto.»
Le poggio una mano sulla spalla per confortarla. Catherine è stata la mia migliore
amica sin da quando eravamo bambine; siamo cresciute insieme. Mentre ero
prigioniera di Lonnarch, lei si era presa cura dei sopravvissuti umani. È più forte di
quanto io abbia mai pensato che fosse.
Mi sorride gentilmente, ma non le restituisco il sorriso.
Penso a tutto ciò che ha passato. È stata testimone del massacro da parte dei fae
delle persone che amava. Poi ha provato a crearsi una nuova casa nel regno dei pixie,
finché non sono arrivati i fae e hanno distrutto anche quella.
Colpa mia. Il senso di colpa che ho provato quando Derrick ha detto il mio nome
per la prima volta ritorna a galla. Lo stesso schiacciante senso di responsabilità per
ogni dannata cosa accaduta. Come se fosse un peso fisico che mi schiaccia le spalle e
diventa più pesante per ogni momento che passa.
«Smettila» scatta Catherine, come se potesse leggermi la mente. «Smetti di
incolpare te stessa. Pensi che non me ne renda conto? Mi guardi come se fossi un
peso. Come se tutti lo fossimo.»
«Non sei un peso» dico. «Mai.» Sei più forte di me.
Catherine si allontana da me. «Non ti credo. Sei riuscita a convincere te stessa che
ogni cosa orribile avvenuta sia colpa tua. E sono tutte stronzate.»
Riesce sempre a vedermi dentro. Anche quando le nascondevo di essere una
Falconiera, lei sapeva che c’era qualcosa di sbagliato. «Una cattiva abitudine»
mormoro.
«La peggiore» concorda.
La mia risata è bassa, forzata. «Hai presente quelle storie dove l’eroe solitario salva
il mondo?» Chiedo. «Hai mai notato che non parlano di cosa succede se l’eroe
fallisce?»
Catherine sembra spazientita. «È così che è cominciato, non è vero? Pensando che
fosse tuo compito proteggerci tutti.» Scuote la testa. «Non siamo una tua
responsabilità, Aileana. Questo mondo non è un tuo compito. Appartiene a tutti noi.»
Fa un gesto per indicare i letti nella stanza. «Persino a loro.»
Tutto ciò che posso fare è fissare Catherine, osservare come immerge lo straccio
nell’acqua e lo passa di nuovo sulla faccia della donna. «E così stai facendo la tua
parte?» Chiedo.
Catherine sembra stranita dalla domanda. «Credo. Vengo qui ogni mattina e passo
un po’ di tempo con ognuno di loro. Non conosco i loro nomi, ma parlo con loro
come se li conoscessi.»
Studio la donna sul letto. Santo cielo, è così lontana, probabilmente potrei tagliarla
con un coltello e non reagirebbe.
«Perché?» Non posso evitare di suonare dura quando aggiungo, «Non hanno idea
che tu sia qui.» La donna è morta. Kiaran ha trovato un modo di uccidere gli umani
senza fermarne i cuori.
Se fossi ancora viva, desidereresti avermi ucciso.
Basta, mi dico. Smetti di pensarci.
Catherine non sembra offesa. Al massimo, sembra solo triste. «Queste persone non
l’hanno scelto» dice. «Non è questo che ci distingue da loro? Loro ci trattano come se
fossimo bestiame. Come se fossimo sacrificabili.» Stringe gentilmente la mano della
donna. «Se succedesse a me, vorrei che qualcuno mi trattasse con dignità prima di
morire. Vorrei che qualcuno pensasse che sono importante.»
Mi piacerebbe essere più come Catherine. Anche ora, dopo tutto quello che ha
passato, è ancora gentile. Le importa ancora. Non ha perso quelli che amava
votandosi alla vendetta.
La sua forza non è fisica. Non entrerebbe nel campo di battaglia per un massacro.
Verrebbe per aiutare i feriti, gli indifesi. Ci vuole un raro, eccezionale tipo di
coraggio per perdere tutto e dare ancora così tanto di se stessi. Questo è il tipo di
coraggio che la maggior parte delle persone perde in guerra.
Io l’ho fatto.
Mi siedo sul bordo di un letto dall’altro lato del corridoio, occupato da un giovane
uomo all’incirca mio coetaneo. Ha un sorriso tranquillo. I suoi occhi stanno
lacrimando, come se fosse perso in un ricordo emozionante.
Mi chiedo se, nel profondo, sa che sono qui. Mi chiedo se speri che a qualcuno
importi ancora.
Inspirando profondamente, mi abbasso e prendo uno straccio, lo immergo nella
bacinella d’acqua, e alzo lo sguardo per incrociare quello di Catherine. «Dimmi cosa
fare» sussurro.
Non mi ricordo come prendermi cura di qualcuno.
Catherine viene a sedersi accanto a me. «Non devi fare niente» mi dice. «Basta
solo essere qui.»
Un’ora dopo, Aithinne irrompe nel cottage. Gli umani devono percepire la sua
presenza, il potere o forse la luce della pelle che brilla come un faro nell’oscurità.
Iniziano ad agitarsi, inquieti. È la prima volta che vedo un segno di lucidità nel loro
sguardo, una qualche forma consapevolezza.
La donna nel letto vicino a me rantola piano alla vista di Aithinne. «Bellissima»
mormora. Allunga le mani verso Aithinne, cercando di afferrarla con le dita.
Aithinne ignora i loro lamenti. «Vieni con me» mi dice con tono pressante. «Ho
notizie sul Libro.»
CAPITOLO 12
Traduzione: Aestas
Seguo Aithinne fuori dal cottage, adeguandomi al suo passo mentre marcia
attraverso la foresta in direzione del campo.
«Veloce» dice Aithinne. Attraversa la radura quasi correndo. «Derrick è andato a
lanciare un altro incantesimo di occultamente su quei soldati che hai ucciso, e loro
non c’erano più.»
Il modo in cui lo dice mi riempie di terrore. «E ciò significa che Kiaran li ha
trovati.»
«Penserà che abbiamo dichiarato guerra. Se non ha ancora inviato i suoi soldati,
adesso lo farà.» Scuote la testa. «Dobbiamo prepararci.»
«Non puoi semplicemente rifiutare lo scontro?» Sta camminando così veloce che
devo correre per starle dietro.
«No.» Risponde semplicemente Aithinne. «Kadamach non mi sta dando scelta. Se
non uccido i soldati, loro massacreranno i miei sudditi. Alcuni campi che si trovano
nel mio territorio hanno protezioni contro i portali. Non sarò in grado di raggiungerli
in tempo.»
Raggiungiamo il confine del campo e ci dirigiamo verso la fila di cottage. «Quanto
tempo abbiamo?»
«Qualche ora al massimo» dice. «Speriamo che sia abbastanza per inviarvi
attraverso un portale per vedere Kadamach.» Mi lancia uno sguardo. «Fate qualsiasi
cosa per contattarlo. Usate le minacce se necessario.»
E se non riuscissi a parlargli? E se quel sogno fosse solo una vana speranza?
Non parlo ad Aithinne dei miei dubbi. Cerco, invece, di essere disinvolta.
«Minacce? Troppo facile. Se non ascolta, lo sfiderò a duello e lo sconfiggerò un paio
di volte con qualcosa di non affilato. A lui piacciono questo tipo di cose.» Infatti, mi
sembra di ricordare che questa è l’idea di corteggiamento di Kiaran.
Aithinne sorride. «Prego un giorno di incontrare una donna che mi sfidi a duello
per dirmi ti amo. Mi vengono le palpitazioni al sol pensiero.»
Alzo un sopracciglio. Avevo conosciuto donne che si desideravano, ma tali desideri
non venivano mai espressi ad alta voce. «Una donna, hai detto?»
La sua risata è breve. «Pensavi che Kadamach fosse l’unico ad avere un debole per
le donne in armatura? Se non fossi sua, ti chiederei di essere mia.»
«Aithinne, penso che questa sia la cosa più bella che tu mi abbia mai detto.»
«Non osare dirlo a mio fratello. Non la smetterebbe più di stuzzicarmi.» Fa un
cenno della testa verso il suo cottage. «Qui dentro. Ho un paio di cose da darti e poi ti
dirò quello che so sul Libro.»
Aithinne apre la porta spingendola e afferra alcuni vestiti dal letto. «Metti questi.»
Do un’occhiata ai miei vestiti, quelli che Derrick aveva cucito insieme
frettolosamente quando sono arrivata al campo. «Cosa c’è che non va con quello che
indosso ora?»
Aithinne sta legando con una cinghia le sue armi: piccole lame attaccati ai suoi
polsi, una allo stivale. «Sono terribili» dice, controllando la punta della sua lama.
Oh, per l’amore del cielo. «Mi sto preparando a combattere contro Kiaran o contro
un plotone di soldati. Non a partecipare a un ballo.»
Aithinne mi squadra dalla testa ai piedi e sogghigna come per dire sì, ma stai da
schifo. «Quando mio fratello ti vedrà, vuoi indossare questi sporchi abiti puzzolenti
pieni di buchi?» Arriccia il naso, «Aspetta, non rispondermi. Potrebbe ancora essere
abbastanza folle da trovarlo romantico.»
Alzo gli occhi al cielo, ma inizio a togliermi la camicia di lana e i pantaloni. Quelli
che mi ha dato Aithinne sono fatti della pelle più morbida, e si adattano alle mie
gambe come se fossero stati fatti apposta per me. Si abbinano anche agli alti stivali di
morbida pelle che mi ha fornito.
Il cappotto è forse il migliore che abbia mai visto: un broccato mozzafiato con un
disegno in stile fae di spirali intricate, con ricami dorati cuciti all’interno. Si stringe in
vita, chiudendosi con bottoni fatti di pregiato oro lucente. È un cappotto fatto per dei
reali, fatto per una regina.
Esito prima di metterlo. «Derrick lo ha fatto per te, vero?»
«Sembra nutrire l'erronea speranza che io debba indossarlo per un’incoronazione
che non avverrà mai.» L’alzata di spalle di Aithinne è irriverente, ma noto comunque
un pizzico di preoccupazione. «Probabilmente lo indosserò al mio funerale se non
troviamo il Libro.»
«Aithinne…»
«Aileana» dice lei con un sospiro, «è solo un cappotto. Metti quella dannata cosa.»
Faccio come dice, restando in silenzio quando mi passa il fodero con la mia spada
insanguinata già all'interno. La appoggio sul letto vicino ai miei pantaloni
abbandonati. «E se Kiaran non mi ascoltasse? Abbiamo un piano b?»
«Usa i tuoi poteri su di lui.» Aithinne assicura un'altra lama al polso. «Scaraventalo
contro un albero come hai fatto a me.»
«Non avevamo già stabilito che Kiaran trova eccitanti questo tipo di cose? Penserà
che sia…» Sventolo la mano, non riuscendo a farmi venire in mente una parola fine
per quello che intendo. Oh, per l’amor del cielo. Come posso pensare al decoro
adesso?
«Che sia un incoraggiamento a strapparti i vestiti di dosso?»
«Aithinne!»
Un sorriso lampeggia sul suo volto. «Quando mi hai visto nella radura, il mio
potere chiamava il tuo, non è così?» Annuisco e lei dice: «Con Kadamach sarà lo
stesso. Il potere del Cailleach riconosce sé stesso.» Poi, abbassando la voce: «Ed è
più facile perché lui è il tuo amante.»
Non posso fare a meno di toccarmi il collo, pressandovi le dita contro. Il ricordo
del sogno non è ancora svanito. Il calore delle labbra di Kiaran sulla mia gola. La
pressione dei suoi denti che affondano nella mia pelle. Le sue parole sussurrate contro
il mio collo.
Se fossi ancora viva, desidereresti avermi ucciso.
«Mi stai distraendo Aithinne. Basta con le folli idee di romanticismo di tuo
fratello.» Non posso pensare a Kiaran, non dopo quel sogno. Non posso. «Dimmi del
Libro. Il tuo contatto ti ha detto dove si trova?»
Aithinne sembra pensierosa. «Qualcosa del genere.» Fa una smorfia. «A quanto
pare, non è da nessuna parte.»
Una pausa mentre si abbottona il cappotto. «Come scusa?»
«Vale a dire, non è da nessuna parte qui. Il Libro» ora sorride e dovrebbe essere
positivo «è altrove.»
Sono confusa. La ucciderò. La passione dei fae per gli enigmi è qualcosa che non
capirò mai. «Stai intenzionalmente cercando di infastidirmi?»
«Lo sapevi che quando diventi impaziente fai un rumore con i denti simile a quello
di un gatto infastidito? È alquanto adorabile.» La mia occhiataccia sarebbe sufficiente
a scuoiare viva una persona normale, ma Aithinne è tutt’altro che una persona
normale. «Ciò che intendo è che il Libro è in un regno esterno al nostro.»
«Non il regno dei fae?» Chiedo, pensando a dove Lonnrach mi ha tenuta. Non è un
posto che vorrei visitare. Ne sono a malapena riuscita a venire fuori la prima volta.
«No. Secondo la mia fonte che, bada bene, è un fae molto anziano e ubriacone, con
con una dipendenza da miele più grave del tuo pixie, il Libro era stato nascosto in un
altro regno per proteggere sé stesso. Secondo le nostre storie, qualunque fae riesca a
mettere le mani sul Libro acquisterebbe un potere ineguagliabile. Sarebbe in grado di
alterare il tempo.»
Mi raggelo. «Alterare…» Afferro il polso di Aithinne. «Può farlo o no?»
«Non lo so. Io…»
«Cosa ha detto il fae?» Domando.
Sembro mezza fuori di testa, ma devo sapere. Non se ne rende conto? Se questo
fosse vero, cambierebbe tutto. Potremmo cambiare il corso del destino, impedire che
tutta la Scozia e qualsiasi altro luogo vengano distrutti. Potremmo riportare indietro
tutti. Mio padre. La madre di Gavin e Catherine. Mia madre.
«Aileana.» La voce di Aithinne è calma. «So cosa stai pensando e non lo so per
certo. L’unica cosa che lui ha potuto dirmi è stato che se qualcuno controllasse il
Libro, questo lo renderebbe più potente di mia madre.»
La prima Cailleach si riteneva avesse creato i regni, sia quello umano che quello
fae. L’impressionante paesaggio della Scozia era nato dal suo incredibile potere;
alcuni sostengono che abbia creato le montagne e i corsi d’acqua, che abbia benedetto
il popolo scozzese con terre fertili.
Quel potere è stato tramandato attraverso le sue progenie fino all’ultima Cailleach,
che diede il suo potere a me, un’umana che lei disprezzava. E lo aveva fatto perché
stava morendo: lei doveva passarlo a qualcuno, ed entrambi i suoi figli la odiavano.
Quindi per caso mi ritrovai a essere un contenitore adatto ad accogliere i suoi
poteri, che mi stanno uccidendo lentamente. Lascio il polso di Aithinne. «Dimmi tutto
ciò che ti ha detto.»
«Ha detto che molto tempo prima che la prima Cailleach diventasse regina dei fae,
il Vecchio Regno era governato da un’altra regina. Era la sorella della Cailleach.»
Mi siedo sul letto per allacciare gli stivali. «Perché ho la sensazione che non ci sia
un lieto fine?»
Aithinne sembra divertita. «La mia specie si vanta tanto di essere migliore degli
esseri umani, ma quando si tratta di potere, gli immortali non sono immuni
all’avidità. Non siamo come le aragoste.»
Questo ha senso. Dopo tutto, ho incontrato un sacco di fae che… «Aspetta! Cosa?»
«Aragoste.» Ripete Aithinne, nel caso in cui avessi sentito male. E avevo sperato di
sì. «Ho sentito che sono biologicamente immortali» spiega, «e avulsi da ogni forma
di egoismo. E hanno un aspetto buffo quindi ho deciso che sono le mie preferite.»
«Prima di tutto» replico, «non penso che sia vero. E poi…»
«Magari non è vero ma che ne pensi di un’aragosta come animale domestico?»
chiede Aithinne improvvisamente, come se ci avesse riflettuto a lungo. «Io avevo un
falco…»
«Aithinne.» Mi pizzico la base del naso. Quei duemila anni che ha passato
sottoterra hanno davvero influito sulla sua attenzione. Un minuto è concentrata, un
minuto dopo parla di aragoste e mi fa diventare pazza. «Mi stai distraendo ancora.
Quale era il suo nome?»
«Del falcone? Oh, il suo nome era…»
«Della sorella del Cailleach.» Al diavolo tutto. «Soldati in avvicinamento. Una
guerra imminente. La nostra probabile dipartita. Parla velocemente.»
Aithinne agita una mano, come se fosse un dettaglio di poco conto. Quel nome non
merita uno sventolio della mano, come a dire oh, è pinco pallino proveniente da quel
posto-e-quell'altro ancora.
Quel poco che so su Morrigan appartiene alle leggende, ma sono di certo
abbastanza per lasciare un’impressione terrificante. Come la Cailleach, la Morrigan è
considerata una dea, una potente creatura della guerra. Nonostante la Cailleach fosse
esperta di brutalità, esistevano un sacco di storie che parlavano dei suoi piccoli atti di
gentilezza.
La Morrigan non compiva atti di gentilezza. Era rinomata nelle storie per la morte
e la distruzione che provocava.
Era lei la fata che ha quasi spazzato via la razza umana.
CAPITOLO 13
Traduzione: Aestas
«Ricordi quella brutta sensazione?» Chiedo ad Aithinne.
«Quella che hai avuto pochi istanti fa?»
«Esatto. Quella sensazione. È peggiorata.» Mi avvicino con un lungo respiro.
«Lasciami indovinare. E lo dico esclusivamente considerando il peggiore scenario
possibile, dal momento che ho l’abitudine di attirare i disastri. La Morrigan ha scritto
il dannato Libro, è così?»
«Temo di sì.» Aithinne mi guarda, preoccupata. «Non stai per vomitare di nuovo
vero? Vuoi un secchio?»
«Parlami di Morrigan e del Libro.»
Si sposta per sedersi vicino a me sulla branda. «È iniziato come una storia sui fae.
Come siamo stati creati, le nostre grandiose famiglie, la geografia del Vecchio Regno.
Quando la Morrigan diventò regina, iniziò a usarlo come un libro di incantesimi.»
Sorride tristemente. «La Morrigan fu la prima regina Seelie, sai? Amava la
conoscenza. Ma più scriveva, più il Libro diventava una creatura indipendente dal
suo creatore.»
Deglutisco rumorosamente. Non mi piace il suono delle sue parole. «Cosa
significa?»
«Noi crediamo» dice Aithinne, «che se infondi abbastanza potere e importanza in
un oggetto, dopo un po’ questo possa prendere vita. Può diventare una forza in grado
di essere usata per grandi cose, o terribili.» Ci guardiamo intensamente. «Lo hai visto
con il cristallo. Come Sorcha è stato capace di proiettargli dentro abbastanza potere
da superare il mio. Se questo viene fatto svariate volte, l’oggetto viene pervaso da
quello stesso potere.»
Il cristallo. Una volta era una parte del Vecchio Regno, l’unica reliquia rimasta del
suo genere. Si credeva fosse andato perduto, in realtà era stato sepolto al di sotto del
regno dei pixie. Era così potente che i pixie erano stati capaci di creare un piccolo
mondo dentro la loro città, costruito secondo i capricci dei loro creatori.
Non posso fare a meno di andare a toccare la cicatrice sotto la mia camicia, la
punta delle dita che graffia la pelle sopraelevata. Quando Lonnrach ha scoperto dove
fosse il cristallo, ha demolito il regno dei pixie per dissotterrarlo, sperando di usare il
suo potere per rubare il mio. Invece, Sorcha lo ha usato per far tornare Kiaran a
essere il re Unseelie.
Ho provato a distruggere il cristallo la notte in cui sono morta. Ho fallito.
«La Cailleach ha usato il cristallo contro la Morrigan?» Chiedo, cercando di tenere
a bada l’emozione nella mia voce. A volte i ricordi sono troppi da sopportare. «L’ha
detronizzata?»
«No.» Aithinne scuote la testa bruscamente. «Finché aveva il libro, la Morrigan era
troppo forte. Lei divenne più crudele, con un insaziabile desiderio di guerra. I poteri
Seelie che aveva si erano trasformati in qualcosa di più oscuro e lei diventò la prima
Unseelie. Omaggiò i sudditi a lei leali con le sue stesse abilità. Loro divennero la
Corte Unseelie.»
«So che hai pensato che mia madre fosse spietata ma è stata considerata da molti
come una regina giusta. Nonostante i suoi difetti, ha portato prosperità a entrambe le
corti quando ha preso il potere. Il regno della Morrigan è stato forgiato nell’oscurità.
Le sue regole erano assolute. E con il Libro al suo fianco, nessuno poteva
contrastarla.»
«Ma la prima Cailleach lo ha fatto.»
«Non aveva scelta» spiega Aithinne. «Il dissenso crebbe nei regni. Si parlò di
ribellarsi e i miei antenati sapevano che sarebbero stati tutti massacrati se avessero
provato. La Cailleach era l’unica abbastanza forte da uccidere la Morrigan.»
La sua stessa sorella. Proprio come ogni altro Cailleach dopo di lei, fratelli che si
uccidevano a vicenda. Esattamente come Kiaran e Aithinne dovrebbero fare. «E lo
fece?»
«Questo è il punto in cui la storia diventa poco chiara. Non è noto se il consorte
della Morrigan l'abbia tradita o sia stato usato dalla Cailleach per attirare la Morrigan
in una prigione tra i mondi, ma il Libro era nascosto da qualche parte in quel luogo.
Alcuni dicono che la Morrigan trovò il Libro ed è ancora viva laggiù. Altri dicono
che la scomparsa della Morrigan significhi che la Cailleach debba essere riuscita a
ucciderla.» Aithinne scrolla le spalle. «Il fuoco fatuo non era certo. Sapeva solo
che…»
Aithinne distoglie lo sguardo. Non ho bisogno di vedere la sua espressione per
sapere che ha gli occhi lucidi. «Aithinne? Sapeva che?»
«Prima che il Libro scomparisse, la Morrigan lo ha usato per far soffrire la
Cailleach» dice Aithinne seccamente. «L’ultima cosa che ha scritto era una
maledizione: ogni Cailleach darà alla luce due figli del potere, uno con il dono della
morte, l’altro con il dono della vita. Il più potente erediterà il trono solo quando avrà
ucciso l’altro. Ancora e ancora, per sempre. E se cercheranno di sfuggire al destino
scritto per loro nel Libro, faranno a pezzi i regni.»
Aithinne si alza in piedi, furiosa, dandomi le spalle. Le mani chiuse a pugno lungo
i fianchi. «In ogni versione della storia, le ultime righe che ha scritto sono state le
stesse.» Aithinne mi guarda, la mascella serrata. «Iniziando con la morte, così si
finirà con la morte, fino al giorno in cui un figlio di Cailleach affronti il proprio
destino con una vera bugia sulle labbra e sacrifichi ciò che hanno di più caro: il
proprio cuore.»
Una vera bugia sulle labbra. Niente raggiri. Niente manipolazione. E i fae non
possono mentire. «Quindi mai» dico. «Tanto valeva dire che nulla può annullare
questa maledizione.»
«Per creare una maledizione, devi fornire un modo di romperla» ribatte Aithinne
aspramente. «Come hai già ipotizzato, noi sìthichean dobbiamo trovare dei modi
creativi per aggirare i nostri limiti. La Morrigan era molto intelligente.»
«I fae peggiori lo sono di solito.»
«Quindi lo troveremo.» Aithinne afferra la mia spada riposta nel fodero e la preme
sul mio palmo. I suoi occhi sono intensi, color argento fuso. Proprio come quelli di
Kiaran prima di una battaglia. «Troveremo quel maledetto Libro e riporteremo il
regno così com’era, e riscriveremo quella maledizione.»
Guardo in basso, verso la mia spada, ho paura di fare la prossima domanda. «E se
non riuscissimo?»
Aithinne sussulta. «Se si tratterà di lui o di me, la maledizione impone che sarò io»
dice. Poi, più sommessamente: «Ma ho trascorso duemila anni imprigionata e sotto
tortura. Non sono pronta a morire. Non quando mi sento come se avessi vissuto a
malapena.»
«Non lascerò che accada» le dico con convinzione. «Il fae ti ha detto come
trovarlo?»
Esita. «Questo non ti piacerà.»
Prima di poter domandare cosa volesse dire, Derrick si fionda attraverso la porta.
Si ferma di colpo, la punta delle ali accesa di rosso. «I soldati hanno attraversato il
confine e stanno arrivando troppo veloci per mandare avanti Aileana prima che
arrivino qui.» Mi guarda. «Ora è un buon momento per scatenare quegli spaventosi
poteri e ucciderli tutti.»
Aithinne sta già fissando la spada alla cintura. «Kadamach è con loro?»
Le ali di Derrick stanno ronzando, così freneticamente come quelle di una libellula.
«Non lo so. Di sicuro spero di no.»
Non mi sfugge il modo in cui Aithinne mi lancia un’occhiata, un’ombra di
preoccupazione. Se Kiaran è laggiù con i suoi soldati, questo significa che la guerra
inizia qui. Proprio adesso. Potrei essere l’elemento sorpresa e la mia presenza
potrebbe essere sufficiente affinché li richiami, ma il momento in cui mi vedrà, con
Aithinne, viva e pronta per la battaglia, penserà che abbia scelto da che parte stare.
«Non c’è niente da fare se lui è qui» dice Aithinne.
«Dovremmo portare Catherine, Gavin e Daniel da qualche altra parte al sicuro»
dico.
Aithinne si sfila il cappotto e mi guarda divertita. «Dove dovrebbero andare?» Mi
chiede. «Se inizia la guerra, nessun posto è al sicuro dalla Caccia Selvaggia.» Non
dico niente, lei afferra la mia spalla. «Gli umani stanno per fare uscire i cavalli e
attirare i soldati lontano dagli altri campi. Questa è la loro battaglia tanto quanto la
nostra.»
Questo mondo non è un tuo fardello. Appartiene a tutti noi.
Lo so. Lo so. Ma se sono costretti a combattere, non sopravviveranno. Guardo
Derrick, disperata.
Il suo volto si addolcisce, «Li riporterò qui vivi. Va bene?»
Allungo le braccia e gli accarezzo le ali per ringraziarlo.
«State attenti.» «Se parti prima che io ritorni, tu sta attenta.» Sospira prima di
aggiungere: «Non farti ammazzare cercando di salvarlo.»
Gavin ci aspetta fuori dal cottage. Noto che sta trasportando delle armi, come se si
fosse preparato a farlo.
Dà un’occhiata alla mia spada e le sue labbra si curvano leggermente. «Questo sì
che è uno spettacolo che mi riporta piacevoli ricordi. Anche se devo ammetterlo, mi
mancano gli abiti strappati. I pantaloni non hanno lo stesso tocco di spericolata
follia.»
Alzo gli occhi al cielo. «Davvero stai flirtando con me appena prima di una
battaglia? Cosa è successo al cupo Gavin?»
«Il cupo Gavin aveva una città da proteggere» dice. «Tutto ciò che ho ora è il mio
posteriore. E questo whisky.» Apre il cappotto e la bottiglia è proprio lì nella tasca
interna. È davvero determinato a salvare quella merda al singolo malto.
«Ridicolo» gli dico.
Aithinne, invece, si illumina quando lo vede. «Grazie al cielo!» dice «Lascia un
goccio per me. Mi piace sempre un po’ di whisky dopo aver ucciso qualcosa.»
Dio aiutami. O uccidimi all’istante. Metti fine alla mia sofferenza.
Sento il clamore scalpitante di zoccoli dietro di me. Sono Catherine e Daniel che
corrono fuori dagli alberi con tre cavalli fae sellati e pronti a partire. «Attaccati a me»
dice Daniel a Gavin. «Non fare niente di terribilmente stupido, va bene? Non come
l’ultima volta.»
«Mi conosci, vecchio mio» dice Gavin, saltando in sella al suo cavallo. Derrick si
sistema sulla spalla con le ali ripiegate. «Terribilmente stupido è il mio piano b.»
Daniel mi guarda, con il suo unico occhio giudicante. «È bello riaverti qui» è tutto
ciò che dice. Poi monta sul suo cavallo e Catherine fa lo stesso. Ci salutiamo tutti
prima che i cavalli fae partano, così veloci da diventare presto una macchia sfocata.
Non li sento nemmeno mentre si dileguano nel bosco oscuro.
Io e Aithinne aspettiamo e ascoltiamo.
Nell’arco di minuti, sento i soldati muoversi attraverso la foresta. Estendo una
punta incerta di potere. Alcuni soldati vanno nella direzione presa dagli umani e
Derrick, ma Kiaran non è con loro. Grazie a Dio.
I soldati devono sentirmi, però, perché il loro potere spinge contro il mio, un
avvertimento: Stiamo venendo a prenderti.
Fuori dal mio campo visivo, vedo il triste sorriso di risposta di Aithinne. Siamo
pronti.
CAPITOLO 14
Traduzione: Ire
Mentre i soldati si avvicinano, sento che il loro potere arde contro la mia pelle, una
combinazione di energia che rende l’aria torrida, pesante.
A differenza degli altri fae incontrati nei boschi, non stanno cercando di
nascondere la loro presenza. La fanno notare a ogni passo. L'annunciano a gran voce.
É l’arrivo impertinente di un fae che non sa a cosa stia andando incontro. Non hanno
idea del fatto che saranno le prime vittime di guerra. Saranno la dichiarazione di
guerra.
Il mio potere si dispiega, un'oscurità radicata nel profondo della mia mente che
aspetta di essere rilasciata. Aspetta di uccidere.
Avvicinati.
Quando il fae raggiunge i confini dell'accampamento, il mio potere ruggisce.
Esige. Si agita nella sua gabbia di ossa troppo piccola. Quando finalmente
attraversano gli alberi, riesco a malapena controllarlo.
Non ancora. . . non ancora . . .
Aithinne mi posa una mano sul braccio come se avvertisse il mio sforzo. Il suo
potere avvolge il mio per controllarlo. C'è una fermezza nel suo sguardo, una
pazienza che non mi sarei aspettata prima di una battaglia. Resisti.
I fae nella foresta ci circondano, i loro occhi brillano come segnali luminosi nella
notte. Il mio potere riesce a percepire il suono di venti battiti. Venti respiri che
inspirano ed espirano, respirando come un’unica persona.
Venti stupidi, fae suicidi che non vivranno abbastanza a lungo da vedere
l'indomani.
Faccio un passo in avanti ma Aithinne serra la presa. «Aspetta» mi dice a bassa
voce. Poi più forte così che anche gli altri possano sentirla: « State oltrepassando i
confini del mio territorio.»
Un Unseelie che si trova in prima linea ride. La sua risata é bassa e graffiante. «Lo
sappiamo.»
«Capisco.» Aithienne sembra tranquilla. Troppo tranquilla. Come se quasi si
sentisse in colpa per loro. «Allora dovreste essere al corrente che Kadamach vuole
che veniate uccisi.»
Loro rimangono impassibili. Forse ancora non hanno imparato a provare emozioni.
Forse Kiaran gli ha insegnato cose che lui stesso ha imparato nella Corte degli
Unseelie: le emozioni sono una debolezza.
«Siete giovani» continua Aithinne con voce sprezzante. «Appena fatti.»
«E questo cosa dovrebbe significare?» Chiede uno di loro.
« Non è colpa vostra se vi ha spediti dritti verso la morte. Può sempre creare altri
soldati. Siete sacrificabili.» Replica Aithinne con un'alzata di spalle.
Guardo Aithinne freddamente. Che cosa stai facendo?
La sua espressione lascia capire tutto. Sta dando loro l'opportunità di passare dalla
nostra parte. Di risparmiarsi dal prendere parte a una guerra che non hanno mai
iniziato, une guerra cominciata migliaia di anni fa.
Aithinne é un sovrano più benevolo. Lei é il sovrano migliore. Lui é soltanto quello
più forte. Quello destinato a vivere.
Nessuno dei fae risponde. La loro compostezza non vacilla; sono pronti a morire se
necessario. Kiaran li ha addestrati bene. A quanto pare non ha ancora perso la sua
spietatezza.
Una fae che si trova in prima linea sguaina la spada e gli altri la imitano. Hanno
dichiarato la loro alleanza. Il soldato donna marcia verso Aithinne come un dannata
idiota con un desiderio di morte.
Aithinne non esita. Afferra il collo della soldatessa come se fosse una bambina
capricciosa e la tiene ferma sul posto senza il minimo sforzo. Sussulto al gorgoglio
strozzato che emette la fae.
« Ultima possibilità» dice agli altri. «Scegliete di allearvi con me e vivere oppure
di morire qui. Adesso. Come carne da macello.»
Il loro silenzio è la risposta. Quando nessuno di loro fa un passo in avanti, Aithinne
contrare la mascella. «Bene.»
Spezza il collo della soldatessa, la infilza nelle viscere e poi si lancia verso gli altri
fae. Aithinne é spettacolare in combattimento. Ne fa a pezzi uno e poi un altro ancora.
Prendo posto vicino a lei ed é come se fossi tornata a casa.
La morte é nel mio sangue. La respiro come se fosse ossigeno. L'oscurità dentro di
me ruggisce infondendo potere in ogni affondo della mia spada, aiutandola a
trapassare tendini ed ossa. La loro energia mi riempie, uno dopo l’altro. Mi sazio a
ogni uccisione. Ognuna di esse mi rende più forte, più potente.
La battaglia é troppo veloce, come se il tempo fosse rallentato. Derrick voleva che
io diventassi la creatura che ero nella foresta, ma con i miei ricordi sono un’altra
persona. Sono me stessa, ma più veloce ed efficiente. Uccido con la velocità di un
incendio attraverso i boschi e nessuno può fermarmi. Non hanno nemmeno il tempo
di urlare.
L'oscurità dentro di me cresce, ogni affondo della mia spada la fa ruggire in
risposta, urlare a squarciagola.
Il potere del Cailleach è un grido di battaglia nel mio sangue e nelle mie ossa. Il
mio cuore è in giubilo.
Ho l’ultima creatura a tiro, con la mia lama puntata alla sua gola...
«Aileana! »
Qualcosa in quella voce mi fa fermare.
«Aileana» dice ancora, lentamente. Con cautela. Come se fossi un animale
selvaggio, letale.
Respiro affannosamente mentre l'oscurità si dirada, rendendomi la visuale più
chiara.
Aithinne è premuta contro un albero. Sto per uccidere Aithinne. Aithinne che è
dall’altra parte della mia lama con un rivolo di sangue che le scorre lungo il
collo...un promemoria di quando fossi andata vicina a ucciderla.
«Va tutto bene» dice, quando si accorge del mio sguardo. « Va tutto bene, tu stai
bene.»
No. No, non è vero. Ti ho quasi uccisa ed ho anche quasi ucciso Derrick e non mi
sento affatto bene. Non sto...
Un dolore bruciante esplode nelle mie tempie. Faccio un passo indietro. L’ossigeno
lascia i miei polmoni e all’improvviso non riesco a respirare.
«Aileana!»
Cado a terra, le unghie che si conficcano nel terreno mentre cerco di ritornare in
me. La vista mi si schiarisce dopo un momento.
Un’improvvisa sensazione di bagnato attraversa le mie labbra. Tiro fuori la lingua
e assaggio il sapore metallico del sangue che sgorga dal mio naso. «Aithinne» dico
cercando di respirare, è tutto quello che riesco fare mentre la paura fa accelerare il
mio battito.
Posso riportarti in vita ma alla fine i miei poteri ti uccideranno.
É iniziato, posso sentirlo dal modo in cui il mio corpo si sta indebolendo. Adesso
che l'oscurità è sparita e il mio potere é sotto controllo provo una sensazione di
tremolio dovuta al suo utilizzo, sono stanca. Così stanca che non riesco neanche a
muovermi.
Qual è la cosa che gli umani sono più bravi a fare ? Morire.
Aithinne si inginocchia vicino a me e gentilmente mi solleva il mento per vedere
meglio. «Devi stare più attenta quando andrai alla ricerca del Libro. Usa i tuoi poteri
con parsimonia o ti farà a pezzi»
Mi allontano dal suo tocco. «Quanto tempo mi rimane?»
«Dipende» risponde, con cautela. «Se continui a usare i tuoi poteri in questo modo,
non molto. Se li usi in maniera differente, potresti averne di più.»
«Aithinne.» Respira, ragazza. Cerca soltanto di respirare. «Quanto mi rimane?»
Distoglie lo sguardo. «Pochi giorni» replica.
Pochi giorni e sarò morta di nuovo.
Risi in faccia alla Cailleach quando mi disse che i suoi poteri mi avrebbero uccisa
in un modo o nell’altro. Ovviamente questo è il prezzo da pagare per essere ritornata
in vita. C'é sempre un prezzo. Non avevo però considerato che, questa volta, le
ripercussioni per non aver trovato il Libro non avrebbero comportato solo la mia
morte: avrebbero anche comportato che tutti quelli che amavo avrebbero dovuto
soffrire per la mia morte ancora una volta.
Forse questa è la tua maledizione, Aileana Kameron. Chiunque ti ami è
condannato a vederti morire ancora e ancora.
CAPITOLO 15
Traduzione: Dawny
CONCENTRATI su qualcos’altro. Qualcosa che puoi controllare. Guardo i fae che
io e Aithinne abbiamo appena massacrato. «Era vero quello che hai detto prima? Che
Kiaran li ha creati solo per vederli ammazzati?»
«Pensavi davvero che solo perché ora ha il titolo di Re avrebbe messo fine a
duemila anni di persecuzione verso la sua stessa specie?» Mi acciglio e l’espressione
di Aithinne si indurisce. «Li odia.»
Ti ho fatta diventare come me. Kiaran me lo disse una volta, e ora mi chiedo se si
stesse sbagliando. Forse non ero uguale a lui. Forse ero io ad avergli fatto odiare i fea.
«Non deve per forza essere Re,» dico. Odio quanto sembri infantile. Quanto sembri
ingenuo. So più di chiunque altro cosa significhi essere obbligata ad avere un ruolo
che non hai mai voluto. Lui non ha scelto di essere Re. Io non ho scelto di essere una
Falconiera. Non è stato nient’altro che una disgrazia, sin dalla nascita. Dallo sguardo penetrante di Aithinne, scommetto che anche per lei sono ingenua.
«Quando Sorcha gli ha restituito i poteri, gli ha tolto la facoltà di scegliere. Io e lui
non possiamo ignorarlo più di quanto possiamo ignorare il fatto che uno di noi debba
morire.» Si alza in piedi e mi tende la mano. «E ora ho bisogno che ritardi la nostra
guerra.»
Prendo la sua mano e la seguo nel bosco. Nonostante il ritmo di Aithinne sia
veloce e sicuro, il suo cipiglio tradisce la sua preoccupazione. Sto quasi per dirle che
mi dispiace. Se avessi avuto i miei ricordi quando la Cailleach mi ha riportato
indietro, non avrei mai ucciso quei fae. Ora ho costretto Aithinne a dichiarare guerra
a Kiaran.
Lei è la ragazza il cui dono è il caos. Dovunque vada, porta la morte con sé.
Immagino di non poterci fare niente, no? Ho distrutto il mondo, e ora ho dato
inizio alla guerra. È il mio dono. Il mio scopo. È quello per cui sono stata creata.
«Dimmi cosa devo fare,» dico. Ignoro il brivido di debolezza che mi scorre lungo
il corpo e metto da parte il dolore.
«Avrai l’attenzione di Kadamach. Dovrebbe essere dell’umore giusto per
ascoltare.» Si ferma, pensierosa.. «Credo.»
«Tu credi?»
Aithinne sospira e distoglie lo sguardo. «Mi ha lasciato un altro umano questa
mattina. Quindi si è nutrito di recente.» La sua voce è bassa, roca. «Sarà più…
controllato.»
Un umano in più. Un’altra vita perduta. «Per quanto tempo?»
«Potrebbe durare di più perché ti ama, o per niente perché sei umana. Non sono
sicura.» Lo sguardo di Aithinne incontra il mio. «Non importa quanto normale possa
sembrare all’inizio, la sua fame l’avrà sempre vinta. Sempre. Ricordatelo.»
Ignoro i brividi di paura che mi causano le sue parole. Devo concentrarmi
sull'obbiettivo. «Come catturo la sua attenzione?»
Il sorriso di Aithinne è lento, sfavillante; è chiaramente sollevata di tornare ad un
argomento più confortante. «Beh, se proprio me lo chiedi, massacra i suoi soldati.
Sarà costretto a notarlo quando saranno tutti morti fuori dalle sue mura. Probabilment
ti vedrà e si innamorerà di te nuovamente.»
«Porca miseria, non ti chiederò più consigli d’amore in futuro. ‘Basta che uccidi
tutti i soldati, Aileana’» la imito in falsetto, alzando gli occhi. «Dimmi come trovare
il Libro.»
Sembrava divertita. «La buona notizia è che la strada per il Libro è attraverso il
palazzo. Puoi usare il potere del cristallo per aprire il portone.»
«E quella cattiva?» Non mi piacerà questa.
Aithinne prosegue. «Dovrai trovare un modo per rapire Sorcha. Solo la sua stirpe
può trovare il portale che conduce al Libro.»
«Aithinne.» Pronuncio il suo nome molto, molto attentamente. «Mi stai dicendo
che devo costringere - contro la sua volontà - la stessa fata che mi ha ucciso per
aiutarmi a trovare questo Libro?»
«Beh, sì. La consorte di Morrigan era discendente delle stirpi di Sorcha e di
Lonnrach. Il fuoco fatuo è stato molto chiaro, il suo sangue è la chiave per la
prigione. Hai bisogno di lei… viva, purtroppo.»
Impreco. A gran voce. Certo che sarebbe stata una sua parente. Ma certo. A me.
Succedono. Sempre. Cose terribili.
«Anche se Kiaran accettasse questo piano, non riuscirei mai a convincere Sorcha
ad aiutarmi.»
«Non hai bisogno di convincerla. Incatenala. Trascinatela dietro.» Aithinne alza le
spalle. «Se inizia ad essere fastidiosa, dalle un pugno in faccia. Quando sarà il
momento, usa il tuo potere per mandarmi un messaggio e ti aiuterò con lei. Sono
abbastanza impaziente di prenderla a pugni.»
«Anche io» borbotto.
Sia Sorcha che Lonnrach mi hanno distrutta in modi diversi. Sorcha ha ucciso mia
madre e poi anche me. Una volta avevo gli incubi su di lei. Tenevo traccia delle sue
uccisioni. Lei è il motivo per cui ho abbandonato tutto per diventare quello che sono.
Ma Lonnrach… è quasi riuscito a fare quello che lei non è riuscita a fare: ha
cercato di distruggermi l’anima, e c’era quasi riuscito. I segni dei suoi denti possono
essere spariti dalla mia pelle, ma i loro effetti decisamente no.
Ho passato solo due mesi imprigionata da lui nel regno fae, l’equivalente di tre
anni nel mondo umano. Ma ogni giorno si allungava così tanto che non avevo la
cognizione del tempo. Entrò nella mia mente per ottenere informazioni da usare
contro di me, un’operazione che richiedeva il mio sangue. Mi perforava la pelle con i
denti, giorno dopo giorno, più e più volte, continuamente. I suoi morsi mi hanno
lasciato centinaia di cicatrici lungo le braccia e sulla gola.
Cicatrici che contenevano preziosi ricordi.
Con il tempo, quei ricordi erano svaniti dalla mia mente, come vecchie incisioni
che vengono levigate. Per riportarli indietro ho dovuto graffiare le cicatrici con le
unghie, affondandole nella carne solo per cercare di ricordare chi ero. Era tutto ciò
che mi era rimasto.
Chiudo gli occhi. Devo fare questo per Kiaran e Aithinne. Per Catherine e Gavin e
quelle persone nel cottage di Athinne che non avevano potuto scegliere il loro
destino. Devo fare tutto il necessario per trovare il Libro e ridargli indietro le loro
vite. Non li deluderò di nuovo.
«Odio tutto questo» borbotto.
«Davvero? Io mi sto divertendo un sacco,» dice Aithinne vivacemente.
«È perché sei pazza.»
«Credo che tu abbia sbagliato a pronunciare magnifica.»
Mi conduce di nuovo sul bordo della scogliera. Questa volta, quando mi sporgo a
vedere il castello di Kiaran, i soldati sono ancora in assetto di guerra. Come se
stessero aspettando istruzioni. Dobbiamo agire ora.
«Non hai intenzione di aprire il portale a mezz'aria, giusto?»
Aithinne sembra prenderlo in considerazione. Alla mia espressione indignata, mi fa
un occhiolino. «Lo aprirò qui.» Indica i soldati. «Preparati. Non appena percepiscono
del potere, attaccano. Cerca di non perdere il controllo e rischiare di uccidere mio
fratello come hai quasi fatto con me.» Sorride. «Semplice.»
Giusto. Semplicemente, combattere una cinquantina di soldati per ottenere
l’attenzione del mio amante, che potrebbe essere malvagio oppure no, in base
all’umore del momento.
«Sai,» dico in un sussurro, «penso che dovremmo riconsiderare il tuo uso della
parola semplice. Solo un suggerimento.»
«Ho preso in considerazione il tuo suggerimento e ho deciso di ignorarlo.» Fa un
passo indietro sorridendo. «Pronta?»
Mi ricordo di un altro portale che Aithinne ha aperto per me per attraversare le
isole. «Non hai intenzione di farmi finire in cima ad un albero di nuovo, giusto?»
«No, no. Solo in mezzo all’acqua.»
Detto questo, alza una mano come se stesse facendo un cenno. L’acqua si alza dal
mare, sempre più su fino al cielo, fino a che inizia a scorrere con la forza di una
cascata. La corrente mi avvolge, l’acqua scorre come un fiume sospeso a mezz’aria.
Mi racchiude completamente, le goccioline mi si appiccicano ai vestiti, alla pelle.
Appena prima che si chiuda completamente, Aithinne dice «Buona fortuna.
Attenderò il tuo messaggio.»
Poi sono circondata dall'acqua. La corrente è così assordante che qualsiasi suono al
di fuori è ovattato. Stringo la spada forte, pronta ad attaccare. Il mio corpo è pronto
per combattere.
Poi, all’improvviso, l’acqua si apre. Aithinne mi ha trasportato proprio nel mezzo
dei soldati, non ci sono dubbi su questo. Il silenzio li attraversa. Sono tutti tesi.
Il mio potere gli dà una beffarda pacca sulla spalla. Sono qui.
Attaccano come se fossero un corpo unico. Dio, sono veloci. Più veloci dei fae
nella foresta. Questi devono essere i migliori soldati di Kiaran, perché si muovono
come me. Come se fossero stati addestrati per questo… addestrati per me.
I poteri della Cailleach mi esortano ad usarli. Tutto quello che dovrei fare è
lasciarmi andare e potrei distruggere questi soldati in un minuto… qualche secondo,
se voglio fare un’esibizione. Tutto quello che devo fare è…
Usa i tuoi poteri con parsimonia.
Le istruzioni non più senza senso di Aithinne mi riportano indietro dal baratro.
Resta concentrata, Aileana. Non arrenderti. Non morire, non ancora.
Potrei anche essere più lenta senza, ma non ho mai avuto bisogno dei poteri della
Cailleach per vincere le mie battaglie nel passato. Ho bisogno di ricominciare ad
usare il mio corpo con le sue limitazioni umane.
Ogni movimento è una scoperta. Lo sono anche i miei arti infuocati mentre blocco,
affondo e colpisco.
È il mio respiro nei polmoni che scoppiano di eccitazione. È il mio primo colpo
sulla faccia della fata che è così forte da farmi sanguinare le nocche. È ricordare cosa
posso fare con una spada e quanto sono aggraziata. E mi sto mettendo in mostra per
Kiaran. Ti ricordi? Ti ricordi di noi? Una volta mi hai detto che ero fantastica in
battaglia. Lascia che te lo mostri. Lascia che te lo faccia ricordare.
La mia spada risuona. Combatto come se fossi in una danza, mentre lo sto
invitando, richiamando. Per Kiaran, per noi, è questa la seduzione. E riesco a sentirlo
mentre guarda.
Questa sono io. Mentre entro in una stanza. Pronta a farti delle domande che non
ti piaceranno.
Quando è tutto finito, guardo in alto il castello, con il respiro accelerato. Ora
fammi entrare, cocciuto cazzone.
Le porte del castello si aprono con un rimbombo che probabilmente è udibile
dall’altro lato del mare. Sorrido. Sono qui, Kiaran MacKay.
CAPITOLO 16 Traduzione: Jex
Dalla scogliera il castello aveva un aspetto da incubo, ma visto da vicino
trasmetteva un senso di desolazione ancora maggiore.
I miei stivali scricchiolano sul terreno arido, quando oltrepasso il cancello; è una
struttura imponente, con un grande portone ricavato da una roccia scura che conduce
in un interno buio.
Un vento freddo mi scompiglia i capelli e a stento reprimo un brivido. È un
posto inquietante. Sembra impossibile che sia stato ricavato da quella che era
l’abitazione di Derrick, un luogo un tempo pieno di vita. Questo castello è stato eretto
direttamente sulle sue macerie.
Non è rimasto niente della costruzione precedente: è come se non fosse mai
esistita.
Dentro, assomiglia a una caverna. L’atrio è piuttosto ampio, con grandi colonne
che arrivano fino al soffitto, illuminato da candele tremolanti sospese a mezz’aria. I
muri di roccia nera sono interamente ricoperti da simboli fae. C’è una strana
atmosfera nell’aria, una sorta di energia luminosa che diffonde un luccichio attraverso
gli archi in pietra, come quando l’acqua riflette la luce del sole.
Le pareti sembrano vive, come se quel luogo fosse una creatura addormentata. È
un po’ snervante, ma anche affascinante, terribile eppure stranamente piacevole.
Suscita emozioni contrastanti, come del resto tutto quello che riguarda i fae.
«MacKay?»
Nessuna risposta.
Mi hai lasciata entrare, e ora sei bloccato qui con me, Kiaran MacKay. Se vuoi
che me ne vada, prima dovrai parlarmi.
Attraverso l’atrio fino a una grande porta di quercia che conduce dal salone a
un’altra stanza, altrettanto grande e ugualmente vuota. Sul lato più lontano c’è una
pedana vuota: è la sala del trono. Eppure non c’è nessun trono, nessun indizio che
qualcuno governi da lì. Mentre mi avvicino, sento la pelle d’oca sulle braccia.
Riesco a percepire l’età di questo posto, come se fosse scritta sulle mura, un
quadro che racconta l’ascesa e la caduta del palazzo originale da cui proveniva il
cristallo. Questa dimora non è un rimpiazzo, bensì un ampliamento del Vecchio
Regno, una casa nuova di zecca per la Morrigan.
Sussulto quando sento l’eco dei miei stessi passi sul pavimento; è un rumore
assordante, forse perché l’unico. Nonostante le candele, l’aria è fredda. Sembra di
stare tra le rovine di una cattedrale, un luogo deserto e pieno di ricordi perduti da
tempo.
Un antico regno sorto sulle rovine di un altro.
«MacKay!» Chiamo di nuovo, sempre senza ottenere risposta. «Va bene, se non
vuoi parlare allora tocca a me. Ho ucciso io i tuoi soldati nella foresta, non è stata tua
sorella.» Niente. Nessun rumore. «Potrei anche scusarmi, ma non sono pentita.»
Mi lascio sfuggire un verso di frustrazione quando ancora una volta non c’è
risposta. Dannazione, MacKay.
E va bene. Se non vuole parlare con me, mi metterò comoda. Se dovrò urlare
perché mi senta, lo farò.
Percorro la sala del trono e raggiungo un’altra stanza, fermandomi appena oltre
la soglia. Questa ha un’aria più vissuta. È un ambiente intimo, ben arredato. C’è una
bella finestra che va dal pavimento al soffitto, e di fronte c’è una sedia in pelle nera.
Mi viene da sorridere al ricordo dell’appartamento di Kiaran a Edimburgo, sembra
passata un’eternità. Lì aveva solo una sedia, un tavolo e un letto con alcune coperte di
lana sopra. Pragmatismo e comodità, nessuno sfarzo.
Aithinne aveva ragione: Kiaran è una creatura abitudinaria.
Mi avvicino alla finestra. La vista abbraccia le scogliere della terraferma fino al
punto dove le onde si infrangono contro le rocce proprio sotto il palazzo. Sfioro la
sedia con la punta delle dita. È facile immaginarlo seduto qui, mentre ascolta il
rumore del mare. Kiaran ha sempre trovato conforto nella tranquillità, proprio come
me. È uno dei motivi per cui riuscivamo ad allenarci bene insieme.
Alla mia sinistra c’è il letto. Il letto. È identico a quello del mio sogno, persino le
incisioni sulla testiera sono uguali. Com’è possibile?
Mi tornano in mente le parole di Aithinne. I poteri della Cailleach gli
permettono di riconoscere i propri simili. Ed è più facile per te dato che lui è il tuo
compagno.
Quando i miei ricordi sono tornati, il nostro legame deve essersi rafforzato. Mi
sfioro il collo; anche se la pelle è liscia e priva di marchi, riesco ancora a sentire la
pressione dei suoi denti. E ricordo perfettamente anche questa stanza. Quindi,
dopotutto non era stato un sogno. In qualche modo il mio potere si era legato a quello
di Kiaran ed ero riuscita a visualizzare questa stanza ancora prima di mettervi piede.
L’unica differenza è un grosso tavolo in legno di quercia sul lato opposto,
proprio di fronte al caminetto e vi sono sparpagliati sopra alcuni oggetti.
Mi avvicino lentamente.
Noto subito una mappa, realizzata in cuoio scuro e sulla quale sono posizionati
diversi pezzi degli scacchi fatti di avorio. Seguo le linee della mappa e riconosco la
forma dell’insenatura proprio dietro il castello; la foresta che ho attraversato con
Derrick si estende lungo l’isola verso est. Ogni pezzo è posato con precisione sulla
mappa.
E poi li vedo…Tre pezzi sono rovesciati come alberi abbattuti in una foresta.
Deglutisco forte quando mi rendo conto che rappresentano alcuni accampamenti
nel territorio di Aithinne. Quelli che ha intenzione di attaccare per primi.
E al centro c’è la Regina.
La sua corona è a pezzi.
La pesante porta di legno alle mie spalle si chiude e mi immobilizzo. Lo
percepisco lì in piedi, quasi come se mi stesse toccando. Trattengo il fiato e poi mi
volto.
Kiaran.
CAPITOLO 17 Traduzione: Jex
Kiaran ha un’aria ancora più misteriosa di quanto ricordassi, il Re degli Unseelie in
tutto e per tutto. La pelle pallida è in netto contrasto con gli splendidi capelli scuri. La
luce delle candele getta su di lui aloni rossi e dorati, il che gli conferisce un aspetto
quasi angelico. Tuttavia, gli angeli non sembrano così pericolosi, di una bellezza
letale. Un angelo non avrebbe uno sguardo diviso fra desiderio e violenza, fra brama
e… qualcos’altro.
C’è qualcosa di oscuro in lui. Qualcosa di primitivo.
Quando i nostri sguardi si incontrano, non riesco a muovermi. I suoi occhi un
tempo lilla ora hanno una sfumatura nera, come macchie di inchiostro sparse su dei
petali.
Non ricordo quando è stata l’ultima volta che mi sono sentita così insicura di
fronte a lui, in preda a diverse emozioni: desiderio di combattere, di
fuggire…desiderio e basta. Improvvisamente mi assale il ricordo delle sue labbra
sulle mie. Mi ricordo tutto alla perfezione ora. Baci infuocati e mani tremanti che mi
accarezzano le braccia, la schiena, i fianchi. I suoni che emetteva, il modo in cui
sussurrava contro la mia pelle.
Kiaran si lascia sfuggire un sospiro. Mi chiedo se anche lui stia ricordando le
stesse cose. Se stia ricordando tutto quello che ci siamo detti, tutte le promesse che ci
siamo fatti. Mi domando se sappia che una parte di me appartiene a lui e sarà così per
sempre. E che non mi ha forzata o ingannata in nessun modo. Si è impadronito del
mio cuore talmente in fretta che mi aveva completamente conquistata ancora prima di
rendermene conto. Gli avevo donato tutta me stessa, corpo e anima.
Kiaran volta la testa di scatto, teso. Sembra che riesca a mantenere il controllo…
o comunque ci sta provando.
Mi guarda di nuovo, e questa volta la sua espressione è indecifrabile. Mi
aggrappo al tavolo con forza. Non ho il coraggio di fuggire senza voltarmi indietro,
ma ho anche paura di avvicinarmi.
Nella mente risuona la voce di Aithinne che mi incita a essere prudente. Non
importa quanto appaia normale, la sua fame avrà sempre la meglio. Sempre.
È Kiaran quello che ho di fronte adesso? O è il Kadamach? «Ciao» dico piano.
Ed eccolo che marcia verso di me con sguardo duro, determinato. Minaccioso?
Non lo so. Non lo so. Porto la mano all’elsa della spada in segno di avvertimento, ma
lui ignora il gesto.
La sua fame avrà sempre la meglio. Sempre.
Estraggo la spada. E un attimo dopo gliela punto alla gola.
Kiaran si immobilizza. Il suo sguardo incrocia di nuovo il mio, e sembra
leggermente più calmo. «Kam» sussurra.
È sufficiente. Quell’unica sillaba è una dichiarazione, una confessione. È un Mi
sei mancata e Sono qui e Sono sempre io.
Allento la presa sulla spada, che cade a terra, dimenticata.
Parlo con la voce rotta dall’emozione: «sono entrata qui dentro per farti delle
domande. Sei proprio tu?»
Kiaran borbotta qualcosa sottovoce. Una preghiera? Poi si avvicina, la sua fronte
contro la mia e mi prende tra le braccia. «Non ne sono sicuro. Fammi un’altra delle
tue domande irritanti. Fammene quante ne vuoi.»
Emetto una specie di risata. «Oh grazie a Dio. Credevo che avrei dovuto sfidarti
a duello.»
«Sei ancora in tempo.» Chiude gli occhi, come per assorbire il suono della mia
voce. «Mi piacciono i duelli, a te no?»
«Preferisci le spade o una bella rissa, MacKay?»
Il suo sorriso è la cosa più bella del mondo. «Entrambi, nessuno. Non mi
interessa: voglio solo te.» Mi accarezza la guancia.
«Kam» pronuncia il mio nome come se fosse sacro. Un’invocazione, come se fossi
la sua salvezza. Poi, in un sussurro «Toccami.»
Gli accarezzo la mascella e con il pollice sfioro le sue labbra. Mi prendo del
tempo prima di raccontargli tutto. Ho così tanto da dirgli. «Ti starai chiede...»
«Lascia perdere» dice lui, spingendomi dolcemente contro il tavolo. Sposta il
colletto della camicia e mi stampa un bacio sulla spalla. «Preferisco fare questo.»
«Non sai nemmeno cosa stavo per dire.»
«Qualcosa su come tu faccia a essere viva, perché hai quello sguardo e perché il
tuo potere sembra diverso.» Kiaran mi dà un altro bacio, sulla clavicola, e inizia a
sbottonarmi la camicia. Mi bacia più giù, finché trova la cicatrice sopra il cuore.
Quando si scosta per osservarla meglio, il cerchio nero nei suoi occhi si allarga e
sento la pelle d’oca su tutto il corpo. Non ho mai visto i suoi occhi così. «E anche
qualcosa sui nostri regni in guerra, le nostre vite in pericolo e una battaglia all’ultimo
sangue. Ho ragione?»
«Temo di sì.»
Le iridi di Kiaran tornano lilla. «Per ora non dirmi niente. Preferisco fingere,
anche solo per un momento, che il mondo sappia cavarsela.» Si avvicina, le sue dita
accarezzano la cicatrice e scendono sempre più giù. «Toccami. Baciami. Dì il mio
nome.» Accompagna ogni richiesta con il tocco delle sue labbra, delle mani e nel
frattempo continua a spogliarmi, un bottone alla volta. «Devo essere sicuro.»
«Di cosa?»
«Che tu sia reale.» Poi mi bacia dolcemente, un tocco leggerissimo. E poi un
altro, più profondo.
«Dimmi che sei reale.»
«Sono reale» sussurro, «sono ancora qui. Posso farti altre domande, se vuoi.»
«Dopo» risponde.
E poi le nostre labbra si incontrano. È un bacio appassionato, disperato. È come
se non ne avesse mai abbastanza, come se potessi sparire. Come se potesse svegliarsi
improvvisamente da un sogno e scoprire che non ci sono più.
Kiaran mi sta baciando come se stesse per perdermi un’altra volta.
Non è gentile; non c’è delicatezza o esitazione. Non che le voglia. Non voglio
niente di tutto ciò. Provo il suo stesso forte desiderio, la stessa esigenza. Lo afferro
per la camicia. Di più.
Voglio di più. Ne ho bisogno. Ho bisogno di lui.
Mi allontano per togliermi la camicia, il resto dei miei vestiti. I suoi. E poi siamo
pelle contro pelle, a baciarci, morderci, graffiarci. È un bisogno fisico, divorante, un
sì, ti prego, ancora.
Kiaran mi solleva sistemandomi sul tavolo. Le pedine si sparpagliano sulla
mappa; la Regina cade a terra con un tonfo.
E poi Kiaran si preme contro di me, la presa sulle mie cosce ferrea. Quando mi
appoggia le labbra contro la gola, rivivo brevemente il mio sogno. Rivedo i suoi denti
affondare nella pelle, il sangue fuoriuscire. Mi irrigidisco, nervosa.
Ma lui si limita a sussurrarmi, «non sparire un’altra volta, Kam. Non sparire.»
CAPITOLO 18 Traduzione: Aestas
Più tardi, con gli occhi pesanti dal sonno, dico a Kiaran: «Posso finire quella frase
ora?»
Kiaran mi abbraccia da dietro, passando lentamente la punta delle dite sulle mie
scapole. Siamo nel suo letto e sembra di essere tornati nel mio sogno. Come se nulla
di tutto ciò fosse reale e noi fossimo in un luogo sicuro distanti dal mondo. Avvolti da
una bellissima bugia.
Dall’altra parte della stanza, entra dalla finestra un raggio di luce proveniente dalla
luna piena all’esterno. Il ruggito ovattato delle onde che si infrangono contro e rocce
riempie lo spazio vasto e silenzioso. Ed è così rilassante. Potrei rimanere così con lui,
in questo letto, per sempre.
Se avessimo così tanto tempo. Vorrei che lo avessimo.
«MacKay?» Lo guardo al di sopra della mia spalla. Quando i miei occhi incontrano
i suoi, qualcosa nella sua espressione mi fa irrigidire. Fame.
Lui si alza di scatto e si allontana da me con il respiro corto. Kiaran non risponde.
Guardo mentre lotta contro sé stesso, il volto teso. Le labbra si muovono come se
stesse contando. Riprende nuovamente il controllo.
«Stai bene?» Sussurro incerta.
«Bene.» Scuote la testa una volta, e poi la tensione lascia il suo corpo. «Sto bene.
Non finire ancora la tua frase. Potrei distruggere qualcosa.»
«A te piace distruggere le cose.»
«Rispetto a questo? No.» Mi tocca di nuovo, le sue dita mi sfiorano il braccio.
Titubante, esitante. Quando gli ricordo che di solito è lui quello pratico, replica:
«Deve essere la tua influenza. In realtà sto per fare diverse proposte e ognuna di esse
non è affatto pratica.»
Sorrido. «Oh, diverse proposte? Dio mio, questo Kiaran MacKay poco pratico è…
posso dirlo? Adorabile.»
Kiaran mi guarda disgustato. «Non lo sono.»
«Lo sei e nemmeno lo sai. Adorabile.»
«Adorabile è come noi chiamiamo gli stupidi umani prima di ucciderli.»
«Adorabile è come noi chiamiamo uomini adulti che amano fare le coccole ma
giurano sulla loro vita di non sapere neanche cosa siano.» Kiaran emette un suono
gutturale. «Puoi ringhiarmi quanto vuoi. Conosco le tue debolezze, MacKay.
Coccole. Baci sul collo. Quel punto dove soffri il solletico appena sopra il tuo…»
Rido quando mi afferra dalla vita e mi attrae contro di sé. Mi bacia ferocemente
tanto da farmi arricciare le dita dei piedi. Poi mi spinge via con un’espressione
compiaciuta di chi ha avuto migliaia di anni per perfezionare le proprie capacità
seduttive e sa esattamente come usarle contro di me.
Tra i suoi tocchi, sussurro che presto dovremo tornare nel mondo reale e affrontare
i nostri destini. Kiaran non risponde. Si limita a baciarmi come se dovessi morire
nuovamente. Non sono ancora riuscita a dirgli che questo potrebbe succedere ancora.
«Lascia che ti racconti una storia» dico invece, «c’era una volta una ragazza la cui
vita fu salvata dal re delle fate…»
«Questa storia suona decisamente familiare. Penso di averla sentita da qualche
altra parte prima.»
Lo zittisco e gli chiedo di non interrompere. «Se qualcuno le avesse chiesto che
cosa provasse per quel re, lei avrebbe detto che lo detestava. La addestrò senza pietà a
combattere la sua stessa specie. Le insegnò a uccidere. Imparò dalle sue lezioni come
placare la rabbia che bruciava dentro di lei. Ma aveva già deciso che un giorno,
quando fosse diventata abbastanza forte e avesse imparato tutto quello che poteva
sulla battaglia, lo avrebbe ucciso.»
Kiaran si irrigidisce, gli occhi luccicanti nell’oscurità. Non dice niente.
«La sua opportunità arrivò una notte quando lui decise che era pronta a cacciare il
suo primo fae. Era un nemico che aveva terrorizzato un villaggio vicino, massacrando
i bambini nella notte. Il re consegnò alla ragazza la sua spada e le ordinò di uccidere
la creatura simile a un goblin.»
«Vinse per un soffio. Ma alla fine, mentre affondava la spada in profondità
nell’intestino del mostro, sentì qualcosa di così intenso che pensò l’avrebbe
consumata. Così parlò al re. Sussurrò le parole e le caricò di significato con ogni
parte della sua anima piena di rabbia: “Ti odio. Odio tutto di te.” Quando sollevò di
nuovo la spada, voleva trafiggere il suo cuore.»
«Quella fu la prima volta in cui la ragazza vide il re dei fae sorridere.»
Alzo la mia mano e poggio il palmo sulla guancia di Kiaran. «Tu dovrai finire la
storia. Lei non seppe mai perché lui sorrise. Ma solo che un giorno avrebbe voluto
vederlo accadere di nuovo. Quindi abbassò la spada e gli risparmiò la vita. E non
raccontò mai al re cosa provò veramente quella notte.»
Kiaran sembrava divertito. «Il re conosceva il piano della ragazza già da tempo.
Sorrise perché decise che gli piaceva. Ha reso le cose interessanti.»
Lo fisso. «Quindi il re dei fae è un tipo squilibrato. Come la ragazza ha sempre
sospettato.»
«Che ne pensi della sua versione di questa storia?» Mi avvicina a sé, le labbra
morbide sulla mia spalla. «Non disse mai alla ragazza che durante la caccia, quando
lei correva al suo fianco con il vento tra i capelli e il riflesso della luna alle sue spalle,
quella fu la cosa più incantevole che avesse mai visto e la voleva.»
Poi la mano di Kiaran tra i capelli, le labbra a un soffio dalle mie. «E quando il re
la guardò in battaglia, lei lo guardò con un sorriso e lui la desiderò.»
«Non è mai stato immediato» continua, «è stato dopo tutto quello che avevano
passato e poi il re e la ragazza si trovarono di fronte all’intero esercito insieme. E
seppe la verità. Il suo cuore era suo. Lo era sempre stato. Lo sarà sempre.»
Un’ombra attraversa gli occhi di Kiaran. Un promemoria del fatto che continua a
lottare. Solo per essere qui. Con me. Chiude gli occhi, teso. Prima che io possa
chiedere se stia bene, mi attira a sé e mi stringe forte.
Le sue prossime parole sono pronunciate sottovoce, così piano che mi chiedo se le
ho sentite davvero. «La ragazza aiuta il re a tenere a bada l’oscurità.»
Nelle ore prima del tramonto, so che è il momento di dirgli tutto. «Non andare
in guerra contro Aithinne.»
Sospira. «Kam…»
«Lei non lo vuole» lo interrompo, «sono stata io a uccidere i tuoi soldati.»
«L’ho capito quando lo hai annunciato nel mio salone» dice Kiaran seccamente, «e
quando hai fatto piazza pulita delle guardie là fuori.» Sta contando le mie vertebre, le
dita le percorrono una alla volta, centimetro dopo centimetro. Il suo tocco è delicato.
Quando mi bacia la schiena, le sue labbra sono leggere come le ali di una falena.
«Ho dovuto farlo per ottenere la tua attenzione. È stata un’idea di Aithinne.»
«Pensavo che l’entrata a effetto fosse opera sua.» La punta delle dita scende giù,
lungo la spina dorsale. Così lentamente da darmi i brividi. «Riesco a sentire le
pulsazioni di un potere scorrere sotto la tua pelle» mormora lui, «so che non è il tuo.
Hai preso una terribile decisione, non è così?»
«Come lo sai?»
«Facile. Tu hai un talento per attirare guai.»
«Penso che sia stata una decisione meravigliosa, tutto sommato. Sono qui, giusto?»
«Stai usando il mio affetto per guadagnarti la mia empatia. Non funzionerà.» Si tira
indietro e guarda verso di me, ora serio. «Dimmi cosa hai fatto.»
«Quello che dovevo fare» dico.
Non c’era altra opzione. La decisione tra la morte e un ultimo saluto non è
veramente una scelta. La Cailleach ha scommesso su di me dicendo sì.
Ha fatto la sua puntata e ha vinto.
Gli racconto cosa è successo dopo che Sorcha mi ha ucciso. «Se troviamo il Libro,
non dovrai uccidere Aithinne» dico sommessamente, «spezzerà la maledizione.
Possiamo riportare ogni cosa a come era prima di tutto questo. Tutte le persone che
non siamo riusciti a salvare avranno la loro vita indietro e di nuovo le loro case.»
Quando lui non risponde, mi avvicino, sussurrandogli nell’orecchio: «Tu e io
correremo nuovamente attraverso la notte. Balleremo nella pioggia e guarderemo il
sole sorgere dal mare. Questa volta non mi dispiacerà nemmeno se ti presenterai
senza preavviso in casa mia a meno che tu non rompa di nuovo i vasi di mio padre.»
Kiaran non ricambia il mio sorriso. Mi scosta delicatamente, i gli occhi che
cercano i miei. «Cosa non mi stai dicendo?»
Il mio cuore perde un battito. Sospiro. «La Cailleach mi ha dato i suoi poteri come
una soluzione a breve termine. Il mio corpo non è destinato a trattenerli.»
Mentre mi fissa, so che capisce. Ma devo dirlo ad alta voce. Le parole mi restano
bloccate in gola all'inizio, così chiudo gli occhi.
Fuori le onde si infrangono nuovamente sulla roccia. Il vento fa tremare le finestre.
Poi tutto torna calmo e tutto ciò che sento è il mio battito pulsare nelle orecchie. «Sto
morendo, MacKay» sussurro, «se non troviamo il Libro…»
Kiaran non mi lascia finire. Mi bacia, spingendomi contro i cuscini, e le parole
svaniscono dalle mie labbra.
Non ho mai avuto l’opportunità di dirgli che ogni volta che uso i poteri della
Cailleach, questi mi uccidono un po' di più. Non ho mai avuto l’opportunità di dire a
Kiaran che abbiamo bisogno di Sorcha per trovare il Libro. Ogni bacio interrompe le
mie parole. La sua mano traccia un sentiero di calore lungo il mio corpo. Mi tocca
come se volesse dimenticare il mondo. I nostri destini. Come se volesse annegare in
questo, in noi, in me.
Glielo lascio fare.
E anch’io mi lascio annegare in lui.
CAPITOLO 19 Traduzione: Aestas
Mi sveglio e mi ritrovo da sola nella stanza di Kiaran. Il lato del letto su cui
dormiva è freddo al tatto; manca da ore. Anche il piumone è intatto, come se avessi
sognato tutto.
È mattina presto. Le prime tracce di luce si riversano attraverso la finestra aperta e
posso sentire il debole schianto delle onde dell’oceano quando arriva la marea,
l’unico suono nella grande stanza immobile.
Mi alzo dal letto e afferro i miei vestiti abbandonati sul pavimento. È così pieno di
spifferi in quello spazio vuoto che mi infilo il cappotto e gli stivali mentre vado verso
la porta. Non so nemmeno se Kiaran vuole che vaghi tra le vaste sale di questo
palazzo da incubo, ma non mi sento a mio agio a stare nella sua stanza da sola.
Apro la porta e scivolo nella grande sala.
«MacKay?»
Alla mia chiamata risponde il silenzio. Le candele che stavano galleggiando sopra
le nostre teste quando sono arrivata non ci sono più; l’unica luce proviene dalle torce
tremolanti che ricoprono i muri di ossidiana. Non ho notato prima che le pareti sono
state lucidate con una perfezione tale da sembrare profonde piscine scure. I miei passi
riecheggiano quando attraverso la grande sala e percorro un altro corridoio.
Sono accolta da una fila di porte che sembra non finire mai. Decine di loro, e
ognuna fatta dello stesso legno scuro come cenere, come il letto di Kiaran. Non avrò
mai il tempo di cercare in tutte.
C’è qualcosa di inquietante in questo posto, nel modo in cui le stanza sembrano
chiudersi su sé stesse. Non aiuta l’aria pesante e stantia. Il mio respiro si lega a un
ricordo della stanza di specchi dove Lonnrach mi ha tenuto prigioniera dopo aver
distrutto Edimburgo. Come questi specchi sembravano chiudersi, soffocandomi. Fino
a quando mi è sembrato di non avere abbastanza spazio per respirare.
È così che sembrano i muri anneriti. Come se non fosse un palazzo, ma una tomba,
una che apparteneva alla Morrigan.
Smettila di perdere tempo. Trova Kiaran. Parlagli di Sorcha. Poi fai in modo che
lei ti aiuti a trovare il Libro.
Inizio dal fondo del corridoio, determinata. Se faccio abbastanza rumore, è
obbligato a sentirmi. Almeno fino a quando non mi rendo conto di quanto sia
dannatamente vasto e vuoto questo castello. Così attingo al mio potere per trovare
Kiaran. Il suo potere chiama il mio come una corda che mi attira a sé. Un legame che
non riesco a descrivere completamente. Mi metto a correre, i tacchi che battono
contro il pavimento. Le pareti si estendono sempre di più, girando e svoltando, un
labirinto di ossidiana.
Seguo il suo potere oltre un’altra camera da letto, poi in un corridoio altrettanto
lungo. Nulla di questo posto cambia, come se ogni porta fosse stata replicata mille
volte, come se ogni dettaglio si specchiasse perfettamente. Poco prima di fare un’altra
svolta, individuo un fascio di luce su una delle pareti. Laggiù. Una porta aperta, la
prima da quando ho lasciato la camera da letto di Kiaran. Rallento, avvicinandomi
con cautela. Mi fermo quando vedo cosa c’è dall’altra parte.
Non è un’altra stanza, ma un prato al calar della notte. Una luna piena bassa
sull’orizzonte, striata di viola e blu, in un cielo crepuscolare. Color cannella, zaffiro
ed ebano brillano in una sfumatura che inizia all’orizzonte e si estende verso l’alto.
Sotto il bel cielo, il prato è vasto come l’oceano.
Kiaran si trova a una certa distanza da me, strigliando un cavallo fatato. L’animale
è semitrasparente, il metallo del manto è così sottile che i suoi organi sono visibili.
Anche da qui posso vedere il suo sangue dorato che pompa attraverso le vene, il
pulsare rapido del vero cuore del cavallo. So per esperienza che, pur essendo fatta di
metallo, la creatura è morbida al tatto, come niente creato dall’uomo. Guardo come
Kiaran spazzola lentamente la sua schiena. Più e più volte.
Con i miei sensi da fae, noto piccole cose della reazione di Kiaran che non avrei
notato senza i poteri della Cailleach. Il suo respiro è così costante, ma sussulta
leggermente quando si rende conto che sono dietro di lui. Mormora una maledizione.
Continua a spazzolare il cavallo con leggeri colpi. Fa finta che io non ci sia. Non
c’è dubbio che sia venuto qui per prendersi del tempo da solo dopo quello che gli ho
detto prima. Kiaran ha la tendenza a prendere le distanze quando i suoi sentimenti
sono troppo forti, e mi ha già visto morire due volte.
Beh, dovrà avere a che fare con me. Sono qui adesso. Sono tornata. Dobbiamo
trovare il Libro. E ora ho bisogno di Sorcha.
Attraverso il prato, camminando svelta. L’erba si spezza sotto i miei stivali e le dita
sfiorano gli alti fiori quando mi dirigo verso Kiaran. L’aria qui è umida ma
piacevolmente calda, come la costa in una nebbiosa mattina d’estate. Il profumo di
erica e pioggia diventa più forte man mano che avanzo.
Kiaran non alza lo sguardo mentre mi avvicino, ma noto il modo in cui le sue dita
stringono più forte la spazzola. Il suo respiro lento come se stesse controllando
attentamente il suo inspirare ed espirare.
«Fammi indovinare» dice, non appena lo affianco, «hai seguito la mia traccia.»
Alzo le spalle. «Ti serva di lezione per tutte le volte che l’hai fatto con me a
Edimburgo. Presentarsi inaspettatamente al parco, a casa mia…»
Il sorriso di Kiaran è lieve mentre passa la spazzola lungo il collo del cavallo. «Mi
hai offerto il tuo terribile tè umano. Volevo toglierti quei ridicoli vestiti che indossavi
e tu invece mi hai chiesto di distruggerli.» Finalmente mi guarda da sotto le sue
ciglia. «Credimi, ricordo. Ti volevo allora. Ti ho desiderata per molto tempo.»
Lo guardo sorpresa. «Davvero?» Sono sospettosa. «Continuavi a dirmi che ero una
stupida ragazza umana. Eri così altezzoso e superbo.»
«Beh, eri una stupida ragazza umana che volevo» alza le spalle, «e non voglio
discutere il resto.»
Il cavallo spinge sulla mia spalla con il muso in una chiara ricerca di attenzione.
Mi rivolgo verso di lui delicatamente per accarezzarlo sul naso con la punta delle
dita. Fa un suono di appagamento e sorrido, fino a quando noto la sella a terra
accanto al cavallo.
Kiaran stava per andare via.
«Mi stai evitando?» Gli chiedo, incurante di nascondere la mia irritazione. «È per
questo che stavi per andartene da qualche parte? Sii onesto.»
La sua mascella si irrigidisce. «No» dice Kiaran. «Stavo partendo per essere pronto
a trovare quel Libro.»
«Per essere pronto…?»
Guardo bruscamente il cavallo fae e di nuovo la sella. È coperta da segni familiari.
Dove ho già visto quei simboli? Mi ricordo le scanalature sotto la punta delle dita…
Durante la battaglia per Edimburgo. Questi sono i simboli della Caccia Selvaggia.
«Stavi andando a caccia di vittime umane.» Quando non risponde, chiedo più
aspramente: «Non è così?»
Quando Kiaran mi guarda, la sua espressione è distante. Quasi fredda. «Quindi
Aithinne te lo ha mostrato. E sei venuta lo stesso.»
Trattengo un sussulto al ricordo dell’esile donna nel cottage, le urla di panico
quando il fae vicino a lei aveva estratto i denti dal suo collo. «Certo che sono venuta»
dico. «Sono io quella che avrebbe dovuto fermare Sorcha dall’usare il cristallo…»
«No» scatta Kiaran. «Non parlare come se questo fosse qualcosa che hai permesso
mi succedesse. Questo è ciò che sono. Ciò che sono stato per migliaia di anni prima
di incontrarti. Ciò che sono nato per essere.»
Le unghie affondando nel mio palmo. «Ciò che sei stato costretto ad essere.»
«Semantica, Kam.» Ricomincia a spazzolare il cavallo. «Se non lo faccio, non sarò
in grado di aiutare nessuno, nemmeno te.»
Penso alle vittime nel cottage e a come le ha ridotte. Ma l’essere fatato di fronte a
me sembra pacifico, non cattivo. Fino a poco prima, Kiaran rideva nel letto con me.
Abbiamo fatto l’amore e ha lasciato che gli raccontassi una stupida storia. Lui non è
Kadamach.
O così credo fino al momento in cui tocco la sua spalla e il vento del prato soffia
sul colletto del mio cappotto. Mi osserva, lo sguardo tremolante sulla pelle nuda della
gola.
E vedo la fame nei suoi occhi.
Il corpo di Kiaran è teso. Distoglie lo sguardo e spazzola il manto del cavallo
fatato. Sta cercando di controllarsi. Un colpo di spazzola. Controllo. Un altro colpo.
Controllo.
Il nero intorno alle sue iridi comincia a espandersi e a coprirne il colore. A
differenza dei fae nella foresta, non percepisco il suo insaziabile desiderio di nutrirsi.
Ma riesco a sentire il modo in cui il suo respiro è diventato irregolare. Agitato.
«Torna dentro, Kam.» La sua voce è tagliente. Il lilla dei suoi occhi non è che un
piccolo anello.
Stai fermo. Stai calmo. Il cuore mi batte forte. Il modo in cui mi guarda è così
famelico che a stento lo riconosco. «Ho bisogno di qualcosa da te.»
L’aria si fa più fredda. «Quindi ti sei presentata qui con dei secondi fini.»
Odio il modo in cui lo dice, come se fossi venuta qui e avessi riso con lui e lo
avessi baciato solo per ottenere un favore. «Basta MacKay.»
«Dimmi cosa vuoi.»
Esito. «Ho bisogno di Sorcha.»
Quando mi guarda, i suoi occhi sono neri. Brutali. L’aria fredda mi punge la pelle e
i miei polmoni si comprimono. «No» dice con una voce che avevo sentito solo una
volta prima d’ora.
Quella voce fredda e tagliente come un fiume in inverno, una in cui potrei
annegare. La voce di Kadamach. La voce del re Unseelie.
Non mi muovo. Non sbatto nemmeno le palpebre. «Non te l’avrei chiesto se non
fosse importante. Tu lo sai. Non quando si tratta di lei.»
«Ho detto di no.» Le sue parole sono un pericoloso avvertimento.
Non costringermi a usare i miei poteri su di te. «Il suo antenato era il marito della
Morrigan» dico, «ho bisogno del suo sangue per trovare il Libro.»
«Allora prendi il suo sangue. Prosciugala, per quello che mi importa.» Odio quella
voce. Odio il modo in cui scivola su di me, mi fa rabbrividire di terrore. «Ma lei resta
dove è.»
Deglutisco, ho paura di chiedere. «Perché l’hai messa lì, MacKay?»
Il sorriso di Kiaran mi da i brividi lungo la schiena. «Esattamente nel posto a cui
appartiene. È dove avrei dovuto tenerla duemila anni fa, e si merita ogni secondo.»
L’aria è così spietatamente ghiacciata che fa male. Posso sentire il mio potere
ribellarsi, vuole difendersi. Ma lo tengo a bada. Abbraccio il dolore perché so quanto
facilmente potrei arrendermi ad esso, e quanto facilmente Kiaran potrebbe fare lo
stesso. Proprio ora i suoi poteri sono contenuti a stento. I suoi occhi sono diventati
duri e oscuri come ossidiana, senza emozioni. Inflessibili.
Quando Kiaran sente il mio potere agitarsi, il suo aumenta in risposta. Le ombre si
radunano lungo il terreno ai suoi piedi. La mia pelle è ricoperta da un sottile strato di
gelo, così pallida dal freddo che è quasi blu.
«Fermati» sussurro, «non voglio farti del male.»
Vedo il momento in cui le mie parole fanno breccia. Kiaran sobbalza, voltandosi.
Tutta un tratto la temperatura aumenta, così veloce che la mia pelle formicola per il
calore. Le ombre si allontanano nel terreno e il prato sembra come prima: accogliente
come una mattina d’estate.
«Parleremo di Sorcha più tardi.» Sento la tensione nella sua voce. Le nocche sono
bianche intorno alla spazzola. «Devo andare. Non intralciarmi.»
«Aiutami a capire. Più tempo passa tra un pasto e l’altro, e più stai peggio?»
Kiaran getta la spazzola al suolo e prende la sella. I suoi movimenti sono rigidi
quando la posiziona sul cavallo e la mette in sicurezza. «Non mi riconosceresti nel
mio momento peggiore. Non voglio che tu mi veda così.»
Sta per salire in sella quando mi muovo per fermarlo ma lui si tira indietro dal mio
tocco. Lascio cadere la mano. «Quante persone dovrai cacciare prima di decidere che
sei pronto per trovare il Libro? Una?» Le dita strette sulla sella, ma non risponde.
Non una. Di più. «Quante persone mi stai chiedendo di lasciarti uccidere, MacKay?»
«Io non…»
«Sì, invece» dico a denti stretti. «Li ho visti. Potresti non fermare i loro cuori, ma
prendi le loro vite. Quello che fai a loro è peggio della morte. Quanti?»
Kiaran distoglie lo sguardo, ma non prima che io possa vedere la sua espressione.
Vergogna. Colpa. Rimorso. Non risponde, nemmeno quando metto la mia mano sulla
sua. «Non devi farlo. Quando troveremo il Libro, lo useremo per rompere questa
maledizione.»
La sua risata è dura, amara. «Tu pensi che sia importante per me? Ero pronto ad
uccidere Aithinne e farla finita. Hai visto la mappa sul mio tavolo. Poi sei tornata e
mi hai detto che stavo per perderti di nuovo.» Questa volta, quando i suoi occhi
incontrano i miei, sono così tetri che quasi non posso sopportare il suo sguardo. «Mi
hai chiesto quante persone sono pronto ad uccidere? La risposta è quante ne servono.
Quante ne servono per salvarti.»
Faccio un passo indietro. «Non osare dire che lo stai facendo per me. Non scaricare
questo fardello su di me, MacKay.»
«Tu non sai cosa stai chiedendo. Vuoi che venga con te a cercare il Libro e posso a
stento starti vicino al momento.»
«Perché…?»
«Perché non mi fido di me stesso con te» sbotta lui. Quando mi guarda, il lilla dei
suoi occhi è quasi completamente coperto. «Continui a essere umana» dice a bassa
voce, «e il mio autocontrollo non è illimitato. Devo ricordarti cosa è successo
all’ultima donna che si è fidata di me, che pensava che non le avrei mai fatto del
male?»
Chiudo la bocca. Catrìona. La falconiera di cui si innamorò migliaia di anni fa.
Smise di nutrirsi di esseri umani e non riuscì a fermarsi dall’ucciderla.
Adesso, quando Kiaran si avvicina, il suo tocco è freddo. Terribilmente freddo.
«Devo dirti la verità? Quello a cui non sono riuscito a smettere di pensare da ieri?»
Le sue dita accarezzano la vena sul collo. «Quando ti bacio in questo punto, posso
sentire il sangue che si muove nelle vene. Ho percepito il potere dentro di te. Corre da
qui» mi preme un palmo freddo sul petto, «fino a qui.» La scia di tocchi di Kiaran
scivola lentamente lungo le mie braccia fino alla punta delle dita. Chiudo gli occhi al
brivido che mi attraversa. «E dovrebbe essere un deterrente, ma non lo è. È come
fuoco.» Poi abbassa la testa e preme le sue labbra sulla mia gola. Ansima. «Qui. Ti
morderei proprio qui.»
Quando sento i suoi denti raschiare lungo il mio collo, mi raggelo.
No. Per favore no. Non questo.
Con un basso gemito, Kiaran si allontana bruscamente. «Ed è per questo che non
mi fido di me stesso con te. Ecco perché ho bisogno di andare.»
Allungo le braccia per prendergli la mano, notando come i suoi occhi si scuriscano
leggermente. Non come prima, ma quanto basta per dirmi che devo stare attenta.
«Quando ho visto le tue vittime umane nel cottage» dico, «Aithinne disse che non
sapeva se fossi ancora il mio Kiaran MacKay.»
Eccolo, il barlume di colpevolezza nel suo sguardo. Così veloce che quasi non me
ne accorgo. Stringo la sua mano più forte, sapendo di aver ragione stavolta. «Ho
pensato ai tuoi doni. Come eri solito avere degli sluagh che consegnavano i corpi
delle Falconiere ad Aithinne. E ho pensato che avesse ragione. Ho pensato che volessi
tormentarla di nuovo come eri solito fare.»
«Bene» dice freddamente. «È più facile così.»
Alzo la mano sul suo viso. «Ma poi ho ricordato quella volta in cui ti sei sentito in
colpa, quando hai ucciso Catrìona, e gliela hai portata tu stesso. Sei stato tu a
prendere quegli uomini al cottage di Aithinne, vero? Perché lei non è l’unica che stai
tormentando.» Stai tormentando te stesso. Credo. È così. Come se leggesse nella mia
mente, non dice nulla. Ma noto come il suo sguardo si ammorbidisce. Perché è ancora
il mio Kiaran MacKay. Lo è. «Non farlo per salvarmi, MacKay. Non quando sei tu
quello che mi ha insegnato che devo salvarmi da sola.»
«Kam» sussurra.
Continuo, perché so di avere solo pochi secondi per farmi ascoltare. «Quando l’hai
fatto, mi hai insegnato a resistere» dico dolcemente. «Ti sto chiedendo di fare lo
stesso. Ti sto chiedendo di essere più forte della tua maledizione.»
Quando mi guarda ora, so che ha preso la sua decisione. «Allora ho bisogno che tu
mi faccia una promessa prima di fare qualsiasi altra cosa. Prima di portarti da
Sorcha.»
Deglutisco. «Va bene.»
«Se vengo con te e divento qualcuno che non riconosci, non lasciarti fare del male.
Lasciami indietro se devi.» Quando esito, lo ripete: «Promettimelo.»
Quindi faccio qualcosa che non ho mai fatto da quando ho conosciuto Kiaran: gli
mento. «Prometto.»
CAPITOLO 20
Traduzione: Persephone
Ho a malapena oltrepassato l'ingresso della stanza in cui Kiaran tiene Sorcha che
vengo attraversata dall’impulso di correre nella direzione opposta. Ora capisco cosa
intendesse Kiaran dicendo che Sorcha si trovava esattamente nel luogo a cui
apparteneva. Un posto dove avrebbe pagato per tutto ciò che aveva fatto.
Dal tempo trascorso nel Sìth-bhrùth mi sono familiari i modi creativi con cui i fae
imprigionano le loro vittime. Utilizzano i loro poteri. Tutto ciò che fanno è studiato
per distruggerle un po’ di più ogni giorno, ora, secondo. Puoi solo scegliere: la morte
o cedere la tua anima.
«Cosa diavolo è questo?» sussurro tra me e me.
La prigione di Sorcha è una specie di incrocio, immerso nell'oscurità. È incatenata
tra due alberi, uno da ciascun lato della strada, le catene sono così tese che il suo
corpo è teso e quasi del tutto immobile. Gli alberi si piegano verso di lei, come per
intrappolarla. L’insieme degli odori mi fa quasi vomitare. Ferro. Carne. Qualcosa che
brucia.
Sembra distrutta.
Sulle braccia e sulle gambe di Sorcha ci sono lunghi tagli frastagliati da cui il
sangue sgocciola lungo la sua pelle pallida fino al suolo – dove si raccoglie in una
pozza così profonda che le arriva fino alle caviglie.
Dovrei essere soddisfatta di vedere Sorcha soffrire – allo stesso modo in cui lei ha
fatto soffrire mia madre quando le ha strappato il cuore e l’ha lasciata a morire sul
ciglio della strada. Lo sarei stata, una volta, nei mesi successivi alla morte di mia
madre, quando mi interessava solo la vendetta. L'Aileana non avrebbe provato nessun
tipo di compassione. Non per Sorcha.
Ma ora…
Forse erano i giornisettimanemesianni in cui ero stata prigioniera di Lonnrach.
Indifesa. Quando mi aveva imprigionata nella stanza degli specchi, torturandomi,
controllandomi, isolandomi. Una punizione che rispecchiasse i miei crimini. Avevo
trascorso un anno cacciando i fae e durante il tempo passato con lui, non ero più io il
cacciatore. Ero la preda. Si era assicurato che non me ne dimenticassi mai.
Le parole di Lonnrach echeggiano nella mia mente, un promemoria orribile dei
miei giorni peggiori. Ora sai cosa si prova esattamente ad essere così indifesi.
Nessuno merita di essere sotto il completo controllo di qualcun altro, incapace di
reagire anche se lo vorrebbe.
Forse mi sono ammorbidita troppo. Forse sono solo stanca di vedere morte
ovunque. Forse è la compassione che ci distingue dai mostri. Questo mi rende
migliore di loro o mi rende un’ingenua?
«Kam?» Il tocco di Kiran è lieve sul mio braccio, ma mi allontano. Come se
leggesse i miei pensieri, il suo sguardo si scurisce. «Non guardarmi così.»
«Vieni qui solo per…» farla sanguinare? Come faceva Lonnrach quando veniva a
visitarmi?
Alcune punizioni sono così terribili che sono oltre ogni possibile giustificazione.
Ma i fae operano secondo un codice morale che dà poco spazio all’empatia.
Specialmente quando si parla del Re degli Unseelie.
«Ho molte colpe,» dice Kiaran con voce dura, «ma non torturo per divertimento.»
«Lo facevi.»
Come se ti piacesse. Come se vivessi per quello. Perché credevi che i sentimenti
fossero una debolezza.
La sua espressione è di pietra. «Se mai dovessi raggiungere di nuovo quel punto»
una rapida occhiata verso di me «quello sarà il momento in cui saprai che sono
perduto.» Indica Sorcha con un movimento della testa. «Questi sono i suoi ricordi. La
sua tortura è autoinflitta.»
«I suoi ricordi?»
«Questo è ciò che faceva lei alle persone quando le catturava, di notte.» Kiaran si
appoggia allo stipite della porta, i suoi lineamenti in ombra sotto la luce della luna.
«Le catene sono imbevute di acqua infusa con seílgflùr così che i suoi poteri siano
vincolati. La magia la costringe a sopportare le morti di coloro che ha ucciso. Mi
sembra una punizione equa.»
Si alza una brezza, che soffia gentilmente sugli alberi che costeggiano la strada, e
il lieve odore di sangue mi raggiunge. Le catene di Sorcha tintinnano piano, un suono
inquietante.
Non ha ancora alzato lo sguardo.
Non realizzo di essere indietreggiata finché non mi scontro con Kiaran. «Pensi che
sia crudele.» Quando non rispondo, dice, «questo è ciò che ha fatto per centinaia di
anni alla tua specie. Ogni notte. Non merita alcuna pietà.»
«E ciò che tu hai fatto?» Non posso fare a meno di chiedere. Può portare la
punizione dei suoi omicidi sulla pelle, ma non è paragonabile a questo. «Quale è stata
la tua punizione?»
È illeggibile, in modo frustrante. Odio quando non riesco a capire cosa sta
pensando.
Kiaran lascia scivolare le mani via dalle mie braccia. «Ho donato il mio cuore a
un’umana.» Si allontana prima che possa rispondere.
Dopo un attimo di esitazione, lo seguo.
Sorcha non solleva mai lo sguardo nemmeno mentre ci avviciniamo. I suoi capelli
scuri brillano sotto la luce lunare, ondeggiandole lungo i suoi fianchi. Nascondono la
sua faccia come un sudario. Indossa un sottile vestito nero che la copre dai polsi alle
caviglie, qualcosa che una donna indosserebbe ad un funerale. Sembra così piccola;
le sue spalle curve in avanti, le mani che pendono senza peso. Le catene sono l’unica
cosa che la tiene in piedi.
È una visione così macabra che un altro lampo di compassione mi attraversa.
Cresce man mano che ci avviciniamo e posso sentire i suoi brevi, affaticati respiri.
Sussulto.
Odio quel suono.
Sono i brevi, affannati respiri di un animale in un’agonia tale da essere l’unica cosa
a cui riesce a pensare. Se li avessi sentiti durante una caccia, avrei ucciso rapidamente
la creatura. Sarebbe stata la cosa giusta da fare. Sarebbe stata un’azione
misericordiosa.
Conosco quel dolore di persona. Respiravo così dopo gli interrogatori di Lonnrach.
Ci fermiamo di fronte a lei e attraverso la cascata di capelli, vedo le labbra
insanguinate di Sorcha incurvarsi in un sorriso. Un sorriso che non riesce ad
ingannarmi.
«Sei venuto a gongolare, Kadamach?» La sua voce è roca, come se avesse urlato.
«O sei qui solamente per guardare la mia punizione e divertirti? Non capisco perché
mai hai abbandonato la corona. Sei l’Unseelie perfetto.»
«Pensi che mi diverta?» Kiaran suona stanco. «Non ho mai voluto essere il vostro
Re.»
«Lo volevi, un tempo.» La risata di Sorcha è soffocata. «Eri disposto a uccidere per
esserlo. Il vecchio te avrebbe guardato tutto questo sangue e mi avrebbe detto che era
uno spreco. Che avrei dovuto dissanguarli.»
Un’immagine improvvisa mi attraversa la mente. Sorcha e mia madre. I denti
piantati nella sua pelle. Lei che si allontana, le labbra coperte del sangue di mia
madre. Spiccava nettamente sulla sua pelle pallida come olio su una porcellana.
Non posso trattenere il suono che mi esce dalla gola.
Sorcha solleva la testa, i suoi occhi puntati su di me attraverso il velo dei suoi
capelli neri. Poi abbandona la testa all’indietro e ride, un suono graffiante di gola che
echeggia nella notte, un suono folle.
«Per essere un’umana, non sai come rimanere morta, vero?» Il suo sorriso mi
attraversa come una spada. «Avrei dovuto strapparti il cuore e mangiarlo. Come ho
fatto con tua madre.»
Vengo colpita dai ricordi di tutto ciò che ha fatto Sorcha. La notte in cui ha ucciso
mia madre. Il dolore della spada con cui mi ha trafitto il petto. L’irritante, orribile
raschiare del metallo attraverso i tendini, i muscoli e le ossa del mio corpo per
arrivare ad attraversarmi il cuore. E Kiaran che mi guarda per tutto il tempo. Gli ha
portato via la sola scelta che aveva fatto per sé stesso: non essere Re.
Quello che mi attraversa la mente deve trasparire del mio volto; Sorcha ride più
forte, una risata arrogante, canzonatoria che dice: Non sento niente per ciò che ti ho
fatto. Non mi importa. Non ho rimorsi.
«Avevi ragione,» dico bruscamente a Kiaran. «Se lo merita.»
La rauca risatina di Sorcha è soddisfatta. «Oh, non mi dire,» dice. «Mi hai visto
appesa qui e ti sei sentita dispiaciuta per me. Che dolce.»
«Una temporanea mancanza di memoria, giudizio e saggezza che non si ripeterà.»
«È una così sfacciata la tua piccola umana, Kadamach. E io che pensavo preferissi
che i tuoi animaletti stessero in silenzio.»
«Non sono mai stati in silenzio,» replica Kiaran con noncuranza. «Non potevi
sentirli attraverso il costante rumore che usciva dalla tua boccaccia.»
«Non silenziosi allora,» dice con un dolce sorriso. «Ma sempre inginocchiati.»
Faccio un brusco passo verso di lei, ma Kiaran mi ferma trattenendomi con una
mano sulla spalla. E' tornato ad essere il Kiaran calmo e pacato che conosco. «Sta
cercando di farti arrabbiare. Sorcha e la pietà non vanno d'accordo.»
«Cosa suggerisci?»
Porta un dito sotto il mio mento così che sono costretta a incrociare il suo sguardo.
Non posso fare a meno di trasalire. Quei bellissimi occhi violetti non torneranno più
come erano una volta. Mai più così chiari. Sono un promemoria che l’Unseelie dentro
di lui è sempre lì, a malapena contenuto. «Non lasciarle vedere le tue debolezze.
Scopri ciò che vuole.»
Stringo i denti e do un’occhiata a Sorcha, che ci osserva con evidente interesse.
«Come sei diventato debole, Kadamach. Parlare al tuo animaletto come se lei fosse
una tua pari. Dovrebbe aggrapparsi ai tuoi piedi come l’inutile animale che è.» Il suo
sguardo mi soppesa. «A meno che non sia un gradino più in alto di un tuo animale. Il
che la renderebbe la tua puttana.»
La mano di Kiaran stringe la mia in un messaggio silenzioso: Non ne vale la pena.
Lo stringo a mia volta e poi lo lascio per avvicinarmi a lei. Sorcha raddrizza la
testa, come se si aspettasse un colpo che non arriverà. «Commetti l’errore di
giudicarmi come una sua proprietà,» dico dolcemente. «Sembri non capire che lui è
mio quanto io sono sua.»
Il sorriso arrogante di Sorcha si assottiglia per un momento appena sufficiente a
farmi scorgere qualcosa di fragile nella sua espressione. Qualcosa che brama lui.
Come se realizzasse cosa mi ha quasi mostrato, serra i denti. «C’è un motivo per
cui sei qui, Falconiera? A meno che tu non sia qui per godere della mia miseria.
Lascia che ti rassicuri: preferirei essere torturata qui per un centinaio di anni che
ascoltarti per un altro minuto.»
«Il Libro della Rimembranza,» dico, la voce secca. «Dimmi come trovarlo senza i
tuoi soliti commenti cinici. Adesso.»
Sorcha si immobilizza, come se fosse sorpresa dalla domanda. Se non fossi stata
intenta ad osservare la sua reazione, non avrei notato l’emozione fugace nel suo
sguardo. Anche così, se n’è andata talmente velocemente che mi chiedo se me la sia
immaginata.
La sua armatura di compiaciuta indifferenza torna al suo posto. «Oh. Quello,» dice,
nello stesso tono noncurante che uno potrebbe usare per dire, Oh quella vecchia cosa
da niente. «Avevo saputo che era andato perso molto tempo fa.» Il suo lento sorriso
ha senza dubbio lo scopo di irritarmi. «Ma potrei essere persuasa ad aiutarti a
trovarlo. Per il giusto prezzo, ovviamente.»
Ti aprirò da parte a parte e ti costringerò ad aiutarmi.
Forse quando la Cailleach mi ha resuscitato e ceduto il suo potere, un piccolo
pezzo di lei ha cominciato a vivere dentro di me. O forse mi ha reso meno umana e
più fae. È l’unica spiegazione che ho per ciò che faccio dopo: afferro Sorcha per la
gola e stringo finché so che non può più respirare.
Dietro di me, sento Kiaran avvicinarsi. «Kam – »
«No,» dico secca, senza distogliere lo sguardo da Sorcha. «Stiamo esaurendo
tempo e opzioni e sto iniziando a perdere la pazienza. Hai detto di scoprire cosa
vuole. Lasciamelo fare.»
È il mio turno di sorridere compiaciuta. È il mio turno per avere potere.
È il mio turno.
«Fare cosa?» Posso sentire l’insicurezza nella sua voce.
Questa volta, quando il mio potere lascia la gabbia e l’oscurità mi sommerge,
lascio che mi consumi. Lascio che cancelli le mie emozioni, le mie preoccupazioni, i
miei dubbi. Lascio che cancelli anche la mia compassione. Se la compassione è per
gli umani, la brutalità è per i fae.
E io sono entrambi.
Il mio sguardo incrocia quello di Sorcha. «Niente che lei non mi abbia già fatto.»
CAPITOLO 21
Traduzione: Persephone
So che Sorcha riesce a sentire il mio potere nell'aria , pungente come elettricità.
Emana un odore di ferro e ozono che dà alla testa.
Ha paura di me. Glielo leggo negli occhi; posso assaporarlo. Bene.
Quando appoggio le dita sulla sua tempia, si agita, come se sapesse ciò che sto per
fare. La sua gola sussulta nella mia presa mentre cerca di respirare, risvegliando la
mia parte umana. Qualcosa che mi costringe a ricordare le dure parole di Derrick,
nella foresta.
L'amica che conoscevo ha avuto qualcuno che si infilava nella sua testa giorno
dopo giorno, per mesi. Se fossi stata lei, non l'avresti mai fatto a nessuno.
Non posso più essere quell’Aileana. Non posso essere lei e trovare il Libro. Non
posso preferire la mia umanità quando il mio mondo si sta riducendo in polvere e ci
sono così tante vite in gioco. La compassione non mi aiuterà ora – Sorcha non
saprebbe che farsene della pietà. La userebbe contro di me.
Una parte di me è ancora dubbiosa. Fallo, e non ci sarà modo di tornare indietro.
Sarai la creatura oscura che Derrick ha visto nella foresta, e stavolta non avrai
scuse. I tuoi ricordi sono intatti. Fallo e non sarai migliore di lei. Non sarai migliore
di Lonnrach.
Sorcha mi guarda e vedo quanto mi odi. Prendo la mia decisione. Così sia.
Entro nella sua mente come una spada trapassa la carne. È così sorpresa che non
prova a resistere. Vedo le prime scintille di colore tra i suoi pensieri, simili a quelle di
Derrick. Solo che i suoi sono tutti striati di rosso con affilati margini neri, ci sono
spinosi rami di edera che circondano i suoi ricordi, come uno scudo protettivo.
Sorcha si riprende dal suo shock iniziale e la sua mente si lancia sulla mia. Si butta
contro di me con così tanta forza che vedo le stelle dietro alle palpebre. Stringo i
denti. Il suo potere è come un assalto di denti e artigli che mi assale senza pietà.
Dovrai uccidermi prima che te lo permetta, sta pensando. Dovrai uccidere
Kadamach.
Il suo potere è forte – ma non è niente in confronto al mio. Ci passo attraverso,
intravedendo i ricordi dietro alle spine. Posso vederne i limiti esterni – immagini così
veloci che non riesco a starci dietro.
Riprende a combattere, ora freneticamente. Disperata. No.
Le dita attorno alla gola si serrano. Arrenditi, penso. Sembro la Cailleach.
Entro di nuovo nella sua mente proprio mentre con le unghie le graffio la pelle. Ho
detto, arrenditi.
Il dibattersi di Sorcha si fa più debole, le sue difese si indeboliscono. Non posso
fare a meno di provare un’ondata di trionfo al sentirla finalmente impotente contro di
me. Finalmente. Finalmente.
Non farlo, penso mentre la repulsione mi annoda lo stomaco. Non diventare così
simile a Lonnrach, non dimenticare il tuo scopo.
Mi concentro sul mio compito: trovare l’informazione. Come con Derrick, la mia
mente umana non può comprendere il susseguirsi di immagini che narrano le
esperienze di Sorcha nell’arco della sua vita. Ci sono migliaia di anni di pensieri,
eventi ed emozioni tra cui cercare. Ognuno perfettamente intatto, tutto che accade
contemporaneamente. Come se il tempo per lei fosse diverso, privo di significato.
Quando Lonnrach l’ha fatto, ha richiamato i miei ricordi con cura e precisione,
come se stesse infilando un filo attraverso la cruna di un ago. Provo la sua tattica per
richiamare i ricordi, estraendo dalla cortina di immagini quelli riguardanti ciò che
voglio.
Il Libro della Rimembranza. Mostrami ciò che non vuole farmi vedere.
Mostramelo. Mostramelo.
Sorcha usa le sua ultime forze per resistermi e mandarmi in un’altra direzione, ma
la trattengo con fermezza. La piego al mio volere. Le ultime vestigia della sua
risoluzione svaniscono sotto la forza del mio comando, del mio potere. Sento il suo
corpo abbandonarsi alle catene e allento la stretta sulla sua gola.
La sua mente si apre e io cammino nella sua memoria.
Sono in piedi in una valle appena dopo il tramonto, accanto a un albero che si
allunga verso il cielo coi suoi spogli rami affilati. Il bellissimo e fresco profumo di
fiori primaverili è nell’aria. Gocce d’acqua si sono raccolte lungo la corteccia, segni
di una pioggia recente. Inciso nell’albero c’è un simbolo fae che non ho mai visto
prima. Quando mi allungo per toccarlo, le dita passano attraverso il tronco.
Sembra reale, ma è solo un ricordo – così perfettamente intatto che posso vedere
ogni solco nella corteccia.
Sorcha è in piedi accanto a me e rimango scioccata dal suo aspetto. Cosa c’è che
non va in lei?
Sembra malata e troppo magra. Sotto l’impalpabile scintillio della sua pelle da fae
c'è un rossore febbrile. Il sudore le scivola sulla fronte e le tremano le mani mentre
spinge indietro i capelli. I suoi occhi sono pieni fin nel profondo di un’emozione che
non ho mai visto in lei. Disperazione?
Sussulto alla voce di Lonnrach dietro di me. «Non posso venire con te.»
Mi giro, aspettandomi lo stesso sguardo duro che ho visto così spesso mentre ero
sua prigioniera. Ma, come Sorcha, non sembra il Lonnrach che ho conosciuto. Questo
non è il distaccato fae che mi ha morso ogni giorno solo per leggere i miei ricordi e
scoprire i miei segreti.
A differenza di sua sorella, la pelle di Lonnrach è sorprendentemente bella,
splendente nella luce lunare. I suoi capelli chiari sono raccolti alla base della nuca,
come un'aureola.
Mentre guarda la sorella, l’espressione di Lonnrach è severa, ma comprensiva.
Sono sorpresa da quanto sembri sincero, aperto. Ha spesso cercato di nascondermi i
suoi sentimenti nella stanza degli specchi, specialmente mentre frugava nella mia
mente. A volte, quando estraeva ricordi di me e mia madre insieme, penso si sentisse
dispiaciuto per me. Quegli scorci del vero sé stesso sempre oscurati da ciò che aveva
fatto a me e Aithinne.
Ma in questo ricordo… i suoi occhi non sono gli stessi occhi, stanchi per le
battaglie, che si posavano sdegnati su di me ogni giorno di tortura
La mente di Sorcha mi dice perché. Questo successe prima che Lonnrach fosse
imprigionato. Prima che entrambi i regni cadessero. Prima che Kirian uccidesse la
sua Falconiera e abbandonasse il trono.
«Bheil thu Eagal?» La domanda di Sorcha è canzonatoria. All’improvviso lo
sguardo di Lonnrach si fa affilato, e lei sorride. «Quindi hai paura. È solo un libro.»
«Bí sàmhach,» scatta Lonnrach. Si guarda attorno, come se si aspettasse di essere
attaccato. Alla risata di Sorcha, Lonnrach aggrotta la fronte. «Ho sentito che la
Cailleach non ha mai veramente ucciso la Morrigan. Farai meglio a sperare che non
sia intrappolata lì.»
«Oh, smettila. Quelle sono storie per bambini.» Sorcha agita la mano sbrigativa.
«Anche se fossero vere, la Morrigan è stata indebolita. Finchè è imprigionata, è –»
«Comunque più forte di te,» la interrompe Lonnrach. «Non hai idea della
situazione in cui ti stai cacciando.»
«Se sei così preoccupato, allora vieni con me.» Suona di nuovo canzonatoria, ma
sento un accenno di paura nelle sue parole. Posso percepire dai suoi pensieri che a lei
serve il Libro, non lo vuole solo per il potere.
Perché allora?
«Ho promesso che ti avrei aiutata a trovare la porta. L’ho fatto,» dice. «Se vengo
con te, la mia Regina –»
«Ti giustizierebbe per tradimento.» Arriccia le labbra disgustata. Quindi detestava
Aithinne anche allora. «Lo so. Me l’hai detto.»
Lonnrach fissa l’albero per un momento, come se fosse tentato di aiutarla anche
rischiando la morte. «Forse dovresti lasciarlo morire,» dice Lonnrach, la sua voce
così bassa che lo sento a malapena.
Sorcha lo guarda duramente. «No,» dice. «È mio amico e il mio consorte.»
«Sorcha –»
«Mo chreah!» Getta in aria le mani. «Capisci cosa mi stai chiedendo? Non mi farò
da parte a guardare Aithinne diventare la Cailleach.» Sorcha sputa il nome di
Aithinne come se fosse una maledizione. «Mi giustizierebbe a vista.»
L’espressione di Lonnrach diventa fredda. «Supplicherò per la tua vita.»
«Non servirà a niente e lo sai.» Sorcha scuote la testa. Sento i suoi pensieri: Sei
così ingenuo Lonnrach, lo sei sempre stato. «Siamo in guerra. Se Aithinne vince la
corona, massacrerà la mia gente finché quelli rimasti non si inchineranno a lei. Non
posso lasciare che accada.»
«Però non si tratta di questo, vero?» chiede. «Pensi che non abbia sentito i
pettegolezzi? Che non possa vedere che stai deperendo?» a queste parole Sorcha si
irrigidisce e suo fratello ride amaramente. «Puoi anche ammettere la verità. Il tuo
amico e consorte sta lasciando marcire il suo regno perché si è innamorato di una
qualche umana e non la vuole più uccidere.»
«Tha sín gu leòr,» ringhia.
«No. Non ho finito.» Espira, i suoi lineamenti si addolciscono. «Per cosa stai
rischiando la tua vita Sorcha? Pensi che se rompi la sua maledizione sceglierà te al
posto di lei?»
La sua maledizione. Oddio, stava cercando un modo per salvare Kiaran?
«Trovare il Libro non cambierà niente.» Le parole di Lonnrach sono
sorprendentemente gentili. Si allunga per stringerle il braccio, come per costringerla a
capire. «Non ricambierà il tuo amore. Lo capisci?»
Sorcha si irrigidisce, ma non si allontana. «È il mio Re.» «Non è quello che ti ho
chiesto.»
Sorcha rimane a lungo in silenzio. Diverse emozioni le attraversano il volto:
dolore, incertezza e infine desiderio. Come se l’avesse già perso. Non avevo capito
che provasse sentimenti così forti per Kiaran.
«Capisco,» sussurra. «Lui vale tutto.»
Lonnrach la fissa incredulo – e quando la sua espressione conferma la verità delle
sue parole, fa una smorfia.
Poi, nelle profondità di questo ricordo, avverto un pensiero, limpido: Non faccio
una promessa se non intendo mantenerla.
Quasi esco dal ricordo imprecando per la sorpresa. Sorcha non ha mai detto a
Lonnrach del voto che ha fatto a Kiaran, quello che ha legato le loro vite. Una volta
Kiaran ha detto che era un voto che i fae facevano ai propri consorti, ma forse era
rispettato solo nel Regno Unseelie.
Avevo supposto che lei avesse fatto il voto per le stesse ragioni per cui l’aveva
fatto Kiaran, per obbligo e tradizione. Ma lei non l’aveva fatto – lei aveva inteso ogni
parola con ciascun pezzo della sua anima.
Sorcha amava Kiaran. Lo amava una volta nel modo in cui io lo amo ora. Si
percepisce nel suo ricordo, puro e incontaminato.
Non c’è da stupirsi che guardi me e Kiaran in quel modo; la ferisce vederci così.
Non c’è da stupirsi che abbia tradito Lonnrach durante la battaglia per il cristallo.
Ha scelto Kiaran piuttosto che il suo stesso fratello. Perché lo ama ancora. Ho
sempre supposto che quello che sentiva per lui non fosse reale. Mi ero sbagliata –
forse questo è ciò che migliaia di anni di affetto non ricambiato, tragedie e guerre
fanno all’amore. Lo distruggono. Lo trasformano in qualcosa di brutto, oscuro e
corrotto.
«Non puoi pensarlo davvero,» dice Lonnrach.
«Invece sì,» dice convinta. «Ma non deve essere solo per me. Se troviamo il Libro,
possiamo usarlo per far finire la guerra. Facile.»
«E poi cosa?» La voce di Lonnrach è fragile. «Pensi che Aithinne e Kadamach
regneranno felici, fianco a fianco? Che le Corti possano dimenticarsi di migliaia di
anni di massacri e vivere insieme in pace?»
«Si deve iniziare in qualche modo. Perché non può iniziare con noi?» La sua
espressione è implorante. «Non abbandonarmi Lonnrach. Fai questo con me e ti
perdonerò per tutto.»
Ti perdonerò per tutto. Cosa significa? Lonnrach guarda in su verso i rami e per un
momento penso che dirà di sì. Posso vedere i suoi lineamenti ammorbidirsi, si vedono
i primi segni di stanchezza, che vidi quando ero nella stanza degli specchi, lasciati da
secoli di aspra guerra tra i loro regni.
Ma poi Sorcha sussurra, «Aiutami a salvarli entrambi.»
«No.» Lonnrach arretra. «Non li vuoi salvare entrambi, vuoi salvare lui. E non lo
aiuterò a vivere. Non tradirò la mia Regina e la mia Corte, specialmente non per –»
chiude la bocca.
«Per cosa?» Gli occhi di Sorcha si adombrano. «Un lurido Unseelie? Proprio come
nostra madre.»
Il suo respiro è lieve ma affannato. Quando parla di nuovo, lo fa attraverso i denti.
«È così che deve essere, Sorcha. Non possiamo cambiarlo.»
«Non vuoi cambiarlo,» sibila. «Avrei dovuto saperlo quando mi hai voltato le
spalle la prima volta. Te ne pentirai.»
«Ne dubito.»
«Te ne farò pentire.»
«Sorcha –»
«Suddito ubbidiente,» lo deride. «Schiavizzato dalla sua amata Regina. Spero di
liberarla dalla sua maledizione e salvarle la vita, solo per guardare Kadamach
strapparle il cuore.» I suoi denti appuntiti si stendono nel sorriso da incubo che
conosco fin troppo bene. «E quando lo farà, lo supplicherò di risparmiarti. Così che tu
sappia, per il resto della tua patetica eternità, che è stato il tuo fuorviato senso del
dovere ad ucciderla.»
«Se non fossi mia sorella,» ruggisce Lonnrach, «ti ucciderei per questo.»
Sorcha fa lampeggiare i denti in un ghigno. «E se tu non fossi mio fratello, ti avrei
ucciso dopo che mi mostrasti come trovare la porta.» Gli si avvicina. «No, molto
tempo prima. Ti avrei dovuto cacciare e uccidere quando guadagnai la mia libertà.»
Guadagnai la mia libertà. Deve essere successo qualcosa nel loro passato.
Qualcosa di terribile. Qualcosa di impossibile da superare. Non era libera? Il sussulto
di Lonnrach è così rapido che lo noto appena.
«Meglio morire là dentro che essere come te.» Estrae il suo coltello, ma lo tiene
lungo il fianco. «Sei un piagnucoloso codardo senza cervello. Questa volta, non me
ne dimenticherò.» Poi si taglia la pelle del palmo e la appoggia contro il tronco
dell’albero.
Prima che possa vedere altro, Sorcha mi sorprende strappandomi via e gettandosi
contro la mia mente. La forza è così potente che singhiozzo e indietreggio
barcollando, cacciata dai ricordi di Sorcha.
Quando apro gli occhi, sono inginocchiata nella polvere della strada.
CAPITOLO 22
Traduzione: Eloise Tocco il liquido che mi sta scorrendo dal naso alle labbra. Sangue. Il rimprovero di
Aithinne si fa strada nella mia mente. Dovrai essere più attenta, cercando il Libro.
Usa i tuoi poteri con parsimonia.
«Kam? Stai bene?»
Kiaran si inginocchia di fianco a me e mi passo la manica sul naso prima che veda.
«Sto bene» dissi, allontanandolo per alzarmi da sola. Non voglio che Sorcha veda lui
aiutarmi a rialzarmi.
È andata a cercare il Libro per salvarlo.
«Nighean na galla,» scatta lei, sputando a terra. «Spero che abbia fatto male. Non
dimenticherò mai la sensazione della tua piccola disgustosa mente umana…»
«Ah, non ti è piaciuto?» Incrocio le braccia. «Una cosa terribile, vero? Avere
qualcuno nella tua testa che manipola i tuoi pensieri.»
Sorcha ringhia. «Qualsiasi potere in prestito tu stia usando non ti rende un fae,
ragazzina. Toglimi queste catene così ti faccio mangiare le tue interiora prima di
ucciderti…»
I miei poteri la zittiscono e la sua frase si spegne in un soffio incomprensibile
mentre si strangola. L’avvertimento di Aithinne non ha speranza contro l’ondata di
oscurità che si innalza dentro di me, pretendendo di essere rilasciata. Pretendendo
uno spargimento di sangue. Pretendendo la battaglia.
Solo un altro po’ di dolore.
Ruoto le dita per toglierle il fiato. Il potere mi scorre nelle vene, pronto ad
uccidere.
Solo un altro po’…
Kiaran mi afferra la spalla. «Fermati.»
Me lo scrollo via. «Non dimenticherò mai la sua spada.» Stringo le mani a pugno e
dalla bocca di Sorcha inizia ad uscire sangue. «Mi sono sentita così.»
«Kam.» Kiaran mi volta per guardarlo. Le sue mani sono sul mio viso, la sua voce
è gentile. «Guardami. Guardami.» Parla attraverso l’oscurità, rivolto a qualcosa di
umano dentro di me.
«È andata a cercare il Libro, MacKay. Sa dov’è la porta.» Non riesco ad evitare il
potere nella mia voce, quell’intonazione bassa e pericolosa che non sembra neanche
mia. Non sembra neanche umana. «Posso fare in modo che mi aiuti.»
Posso farle fare tutto. Potrei farla ballare fino a farle sanguinare i piedi. Qualsiasi
cosa io desideri.
«Non se è morta.»
Storco le labbra. «Lo so.»
«Lo sai? Perché la stai uccidendo,» mi dice lui con voce rauca. «Lo sento.»
Lo shock mi attraversa, donandomi abbastanza chiarezza da forzare i miei poteri a
ritirarsi. Da rinchiuderli nello spazio ristretto del mio petto per impedire che
fuoriescano di nuovo.
Sorcha boccheggia immediatamente in cerca di aria, col petto pesante per lo
sforzo.
Fa così tanto male, trattenere tutto quel potere. Mi sento come se stessi morendo.
Sto morendo. Ma Kiaran mi sta osservando troppo attentamente, quindi allontano il
dolore. Lo ignoro. Vista la sua disponibilità a uccidere altre persone per salvarmi, non
posso dirgli che, ogni volta che uso i miei poteri, muoio più velocemente. Non posso
rischiare che faccia ciò che potrebbe fare.
Non farglielo vedere.
«Mi dispiace,» gli dico, scuotendo la testa. «Non posso… mi dispiace.»
«Fai bene ad essere dispiaciuta,» ansima Sorcha dietro di noi. La sua voce è poco
più di un sussurro. «C’era una piccola possibilità che vi aiutassi prima, ma ora me la
rimangio. Preferisco restare qui per l’eternità.»
Faccio un passo verso di lei per minacciarla, ma Kiaran mi ferma. Sta fissando
Sorcha con un’espressione intensa e assorta. Conosco quello sguardo: sta prendendo
una decisione. Soppesando le alternative. Kiaran è fin troppo prudente.
Per questo so che qualsiasi cosa proponga sarà incredibilmente stupida o
estremamente pericolosa, e probabilmente entrambe.
«MacKay…»
«Hai detto che l’avresti fatto per un prezzo,» dice infine a Sorcha, evitando il mio
sguardo. «Dicci quale.»
«No.» Metto le mani sul suo petto per spingerlo indietro. «Non azzardarti.»
Ma lo stronzo testardo non mi guarda neanche. Dice a Sorcha: «Basta che mi dici
quello che vuoi.»
Il sorriso di Sorcha è lento. Mi lacera più velocemente e in modo più doloroso di
qualsiasi lama. E quando mi guarda in modo arrogante e beffardo, un canino che si
intravede tra le labbra, lo so. So a cosa sta pensando.
Qualsiasi cosa mi faccia il maggior male possibile.
«Lei sa esattamente cosa voglio,» dice Sorcha con quella sua voce allegra e
cantilenante. Quella dei miei incubi. «Non è vero?»
Kiaran. Lei vuole Kiaran.
Le mie dita si stringono in un pugno. «Vai all’inferno.»
Sorcha ride, un suono seducente e gutturale. «Ci sono già passata,» dice. «E sono
pronta a tornarci. Per questo, il mio prezzo è salato.»
Io sbianco. E sono pronta a tornarci. Attraverso la porta. Cos’ha vissuto dall’altra
parte?
La Morrigan. L’espressione di Sorcha la dice lunga. La Morrigan è ancora viva.
Sorcha non aspetta la mia risposta. «Ti servirà anche il mio sangue per aprire il
Libro. Lo puoi avere quando lo troviamo. Ma tu, Kadamach? Tu sarai mio,
completamente e per sempre. Lei non ti vedrà mai più. Queste sono le mie
condizioni.»
La fulmino con lo sguardo. «È un patto disgustoso, persino per una come te.»
«Oh, ma sono stata così commossa e ispirata dalle tue parole prima.» La sua voce
melodica è tornata a farsi gioco di me. «Lui è tanto mio quanto io sono sua. Hai detto
che non potevo capirlo. Adesso lo capirò, vero? Kadamach non sarà più tuo, sarà
mio.»
Il mio controllo si sta consumando quasi del tutto. La mano di Kiaran sul braccio è
l’unica cosa che mi trattiene da staccare il collo a Sorcha. Poi lui fa scorrere le dita
lungo il mio braccio e preme il suo palmo contro il mio con un tocco rassicurante.
Mi sussurra nell’orecchio. «Non farglielo vedere. Ricordi?»
Ci provo. Ci provo così tanto a nascondere tutto. Quell’impotenza orribile che non
provavo da quando ho perso la memoria sta tornando e mi sta trascinando di nuovo
giù, giù, giù.
I denti di Sorcha lampeggiano in un ghigno. «Cosa dici, Falconiera? Salvare il
mondo conta di più per te che il tuo prezioso Kiaran? Quanto disperatamente ti serve
il mio aiuto?»
Sa che abbiamo poche alternative. E ci sta prendendo in giro per questo.
Quando Kiaran mi guarda, vedo che lo sta davvero prendendo in considerazione. E
il pensiero di ciò che dovrebbe sopportare in un’eternità accanto a lei mi fa sentire
male. Sono sul punto di lasciare che i miei poteri prendano il sopravvento, sul punto
di ferirla, di ucciderla…
«Kam.» La voce di Kiaran fa breccia nell’oscurità.
Il mio nome. Solo il mio nome. Come se mi stesse chiedendo di capire che è
disposto a sacrificare sé stesso… no, la sua anima, a Sorcha per salvarmi.
È tutto ciò che serve per farmi concentrare di nuovo. Non posso lasciare che lo
faccia. No. Kiaran non è un oggetto, da possedere a proprio piacimento. Non fai in
modo che qualcuno ti ami possedendo la sua anima.
E Sorcha lo sta facendo perché sa che lui possiede tutto il mio cuore.
Lo sta facendo perché lo ama tanto quanto odia me.
«Sì, che ne pensi, Kam?» Le mie unghie affondano nel mio palmo quando Sorcha
dice il mio nome. «Abbiamo un accordo?»
«No,» dico a denti stretti. «No, non abbiamo un cazzo di accordo.»
Ma quando gli occhi di Kiaran incontrano i miei, tutto ciò che vedo è che lui ha già
preso la sua decisione. Ha soppesato le opzioni e le nostre alternative.
E ha deciso che siamo davvero così tanto disperati.
Quando parla, lo fa con una voce bassa che uccide qualcosa dentro di me. «Se lo
faccio, devi accettare le mie condizioni. Nessun raggiro. Devi promettere di non fare
del male a Kam.»
«Lo stesso vale per voi. Se lei cerca di usare il Libro per rompere il giuramento, tu
muori. Se cerca di modificarlo, tu muori. Se ti vede dopo che lo troviamo, considera
nullo il mio voto di non farle del male. Mi conosci, Kadamach. Ho imparato la
lezione sul linguaggio delle promesse.»
Le lancio uno sguardo tagliente. E questo cosa significa?
Kiaran annuisce una volta. «Il Libro è di Kam. E non pensare neanche di eludere il
divieto di ucciderla facendola finire in uno stato di sonno perenne. Niente giochi. Non
si aggirano le condizioni.» La studia con uno sguardo severo. «Ho imparato anche io
la lezione sul linguaggio delle promesse. Da te.»
La risata di lei è un’altra spada nel mio petto. «Credimi, voglio che viva una vita
molto, molto lunga. Pienamente consapevole e conscia che non ti vedrà mai più.»
Questo è troppo. Afferro la maglia di Kiaran per allontanarlo da Sorcha prima che
qualcosa scatti dentro di me. «Devo parlarti. Adesso.»
Kiaran lascia che lo conduca abbastanza lontano da Sorcha da sapere che il suo
udito superiore da fae non posso cogliere le nostre parole. L’unico suono tra di noi è
la brezza che soffia tra gli alberi che costeggiano la strada e lo scrosciare lontano di
un ruscello nei paraggi.
Kiaran non dice niente quando ci fermiamo; si limita a guardarmi con
quell’espressione silenziosa e stoica.
Nascondendo i suoi sentimenti. Nascondendo tutto.
Un tempo, quello era l’unico modo in cui mi guardava. Quando cacciavamo
insieme, quando vivevo metà della mia vita in segreto. Al tempo pensavo che tutti i
fae fossero privi di emozioni, che fossero incapaci di avere sentimenti. Dopo che lui e
Aithinne mi avevano salvato dalla prigione di Lonnrach, Kiaran era cambiato. Non
era più riservato. Il suo desiderio rispecchiava il mio.
Ma ora Kiaran nasconde le sue emozioni da me quando i suoi sentimenti sono al
massimo. Quando non vuole che veda quanto soffre.
Smettila di cercare di proteggermi, MacKay.
«Cosa stai facendo?» Sibilo io.
La sua espressione non cambia e questo mi fa arrabbiare ancor di più. Voglio
vedere le sue emozioni. Desiderio, rimorso, dolore, senso di colpa… qualcosa.
«Quali alternative ho, Kam?» Chiede. «Che Aithinne muoia? Che tu muoia?
Sorcha è in vantaggio e lo sa.»
«Allora daremo la caccia a Lonnrach.»
Gli occhi di Kiaran incontrano i miei. «Quanto tempo ci resta prima che tu
muoia?»
Rischio di vacillare per la domanda. «Non mettere in mezzo…»
«Non chiedermi di passarci sopra,» scatta lui. «Non abbiamo tempo per trovare
Lonnrach, vero?»
Distolgo lo sguardo e scuoto lentamente la testa. Lui sospira, un segno di
frustrazione e di stanchezza profonda che capisco fin troppo bene. Mi chiedo se stia
pensando al nostro momento a letto insieme, quando sembrava così facile
dimenticare tutto il resto. Se sia tentato di tornare lì e lasciare che anneghiamo l’uno
nell’altra un’altra volta.
Sono tentata anche io.
«Offrile qualcos’altro,» sussurro. «Qualsiasi cosa.» Premo il palmo contro il suo
petto, dove so che si nasconde il marchio di Sorcha sotto la maglietta. «Poi quando
troveremo il Libro non sarai più legato a lei dal tuo voto.»
«Non accetterà un’altra offerta. Non quando sa che non le chiederemo niente se
avessimo un’altra scelta.»
«Tu non sei una sua proprietà,» gli dico bruscamente. «Solo perché porti il suo
marchio non vuol dire che ti possegga.»
A queste parole, la sua espressione si addolcisce e lui mi tocca. Le sue dita
scorrono lungo il mio braccio, lasciando una scia finché non raggiunge il dorso della
mia mano. «Sai cosa mi mancherà di te, Kam?»
Scuoto la testa. Non dirmelo adesso. Non mentre stai considerando di sacrificare
la tua vita a lei.
Ma lui solleva la mano per poggiarla sulla mia guancia e costringermi a guardarlo.
«Non ho mai dovuto portare il tuo marchio per sapere che sarò sempre tuo.»
Poi mi bacia, le sue labbra soffici contro le mie. «Un giorno, racconterai alla gente
la storia del re delle fate e della ragazza umana,» sussurra Kiaran. «E di come lui l’ha
guardata da lontano mentre lei viveva duemila giorni da umana. E se stava a sentire
attentamente in inverno, quando il vento era così freddo e le notti erano le più lunghe,
riusciva a sentirlo sussurrare che lui l’adorava così tanto che sarebbe stato disposto a
darle il mondo.»
Chiudo gli occhi, trattenendo le lacrime. «E se io non volessi il mondo?» Gli
chiedo. «E se volessi solo te?»
«Mi hai già. Questo non cambia.» Un altro bacio, poi lui si scosta e io sento la sua
assenza come un dolore fisico. «Non ti sto chiedendo il permesso. Ti sto dicendo di
lasciarmi andare.»
Lasciami andare.
Me l’ha già detto prima, sul campo di battaglia a Edimburgo. Ero stata disposta a
farlo all’epoca. Ma adesso?
Una parte di me vorrebbe che lui non fosse cambiato. Che gli fosse rimasta un po’
di insensibile spietatezza, tanto da dire a Sorcha di prendere il suo accordo e
bruciarlo.
Ma in quel caso non sarebbe Kiaran. Non sarebbe il mio Kiaran.
Non dirlo. Quando lo dirai, lo perderai.
Non posso. Ogni istinto dentro di me grida. Potrei usare i miei poteri. Potrei
renderla più disponibile. Ma ogni volta che uso i poteri so che ho meno tempo. Meno
tempo con lui.
«Kam,» dice lui dolcemente. «Devi lasciarmi andare.»
«Lo so.» A malapena riesco a parlare. «Ma non posso stare qui ad ascoltare mentre
le vendi la tua anima.»
Gli volto la schiena e mi allontano.
CAPITOLO 23 Traduzione: Eloise
Kiaran mi trova nella camera da letto, più tardi, seduta sulla sedia di pelle accanto
alla finestra. Il camino arde, una piccola comodità che mi sono concessa.
Non lo guardo mentre si avvicina. Guardo le onde dell’oceano intorno all’isola
crescere e poi ritirarsi, crescere e ritirarsi. Sincronizzo il mio respiro con quel suono,
sentendo il bisogno di prendere il controllo di qualcosa. Qualsiasi cosa. Perché so
che, se non lo facessi, uscirei dalla stanza per cercare Sorcha e la ucciderei.
Percepisco il suo calore proprio dietro di me, ma non fa nessuna mossa per
toccarmi. «Hai fatto il giuramento.» Non è una domanda. La mia voce suona più
calma di come mi sento. Mantengo il respiro costante, così come quelle onde.
«Sì.» Dice Kiaran sottovoce.
Le mie unghie affondano dolorosamente nella pelle del palmo. «E Sorcha?»
«Sta riposando. Ci porterà alla porta domani.»
Mi alzo, lottando per mantenere il poco controllo rimasto. «Non le serve riposare»
dico, voltandomi verso di lui. «Facciamolo e basta.»
Quando cerco di superarlo, la mano di Kiaran scatta e mi afferra il braccio. «Kam.»
Non farglielo vedere. Controlla il respiro. Controlla l’espressione. Non farglielo
vedere.
Se non me ne vado adesso, non riuscirò a trattenere le lacrime. Non appena i miei
occhi incontreranno i suoi, cederò. «Lasciami, MacKay.» I primi segni di emozione
iniziano a trapelare dalla mia voce. «Prima troviamo il Libro…»
«Ho bisogno di un’ultima notte con te.»
Lo guardo, sorpresa di vedere la sua espressione, nuda e vulnerabile. Come se mi
stesse pregando. Resta. Resta con me.
Un’ultima notte insieme prima di andare a cercare il Libro e prima di perdere
Kiaran, in un modo o nell’altro. Quel giuramento che ha fatto a Sorcha è da qualche
parte sul suo corpo. Lei l’ha marchiato. Due volte.
«Fammelo vedere» gli dico con voce roca. «Fammi vedere il suo giuramento.»
«No» sussurra lui «non farlo.»
«Fammi vedere.»
Con la mascella serrata, Kiaran si toglie bruscamente il giubbotto e lo fa cadere a
terra. Poi la camicia.
Trattengo il fiato quando vedo i nuovi marchi su di lui.
Il busto di Kiaran è una mappa di segni vorticosi incisi sulla pelle e diventati
cicatrici. Quello che attraversa tutta la schiena è il voto fatto a Catríona, la Falconiera
di cui si è innamorato migliaia di anni fa: il voto di non uccidere mai umani.
Il marchio di Sorcha come sempre è sul suo cuore in un caos di rami spinosi che
attraversano la pelle espandendosi fino alla sommità delle spalle come se volesse
ricoprire ogni centimetro di lui. Come se volesse consumarlo.
E ora è così.
Il suo voto a Sorcha è intrecciato intorno e all’interno dell’altro voto, attorno alla
sua cassa toracica fino a salire intorno alla muscolatura degli avambracci e delle
spalle. Giro intorno a lui per vedere che continua attraverso la schiena, scomparendo
sotto l’elastico dei pantaloni e continuando verso l’alto fino al collo dove si immerge
nell’attaccatura dei capelli.
Kiaran si irrigidisce quando lo tocco, ma non si muove, non dice niente. Cerco di
percepire i suoi poteri, ma riesco a sentire solo quelli di Sorcha. Come se avesse
avvolto sé stessa intorno a lui, facendosi strada sotto la sua pelle.
Questo non è solo un voto. È un marchio proprietà. Dice, Sei mio per sempre e non
ti lascerò mai andare.
Mi allontano da lui di scatto, come se la sua pelle bruciasse. «Troverò un modo per
togliertelo di dosso» gli dico rigidamente, «a ogni costo.»
In un batter d’occhio, Kiaran mi prende tra le braccia e mi bacia. All’inizio è lento
in modo straziante, le sue labbra leggere, incerte. Ma io voglio di più. Lo bacio con
più forza. Ci metto tutto ciò che provo, ogni parte di me. Tutto quello che non riesco
a dire a parole.
«Sono tuo» gracchia contro le mie labbra.
Mi pressa contro di sé, le sue dita che si infilano freneticamente sotto la mia
camicia per sentire la pelle sottostante. Mi allontano solo per lasciare che me la
sollevi sopra la testa e poi le sue mani sono dappertutto, toccando, accarezzando.
«Sono tuo» dice di nuovo.
Le sue labbra tracciano una scia fino al collo, alla spalla. Ogni tocco brucia. Le sue
labbra disegnano un sentiero di fuoco sul mio corpo mentre lui continua a ripetere
quelle due parole. Un promemoria. Una promessa. Un voto a me, questa volta
marchiato nell’anima.
«Sono tuo.»
Sembra che mi stia dicendo addio.
CAPITOLO 24 Traduzione: Eloise
Il mattino dopo, Kiaran e Sorcha stanno aspettando nell’anticamera del palazzo.
Hanno la testa china e sono impegnati in una discussione accesa. Le loro voci sono
basse, urgenti. Alzano entrambi lo sguardo quando i miei passi echeggiano sul
pavimento di onice scura.
Sorcha indossa un abito di broccato rosso mozzafiato e degli stivali con il tacco a
punta, come se fossimo diretti a un ballo. Sembra quasi che indossi dei gioielli.
Buon Dio, è così. Una collana elaborata ricoperta di rubini. Qualcosa che
indosserebbe una regina.
«Abbiamo intenzione di combattere un male antico o di andare a un ricevimento?»
Chiedo, mentre mi avvicino.
Il sorriso di Sorcha è lento, pigro. Vittorioso. Dice, Io ho tutto ciò che voglio e non
mi interessa cosa pensi. «Vado in guerra vestita per il risultato.»
Osservo la sua collana di rubini. Spero che la Morrigan ti ci strozzi.
Sorcha guarda la mia spada e sento i suoi pensieri: Spero che la Morrigan ti ci
infilzi.
Se non la odiassi tanto, riderei. Un giorno ti distruggerò. Penso, rivolta a lei.
Distruggerò la tua vita.
Lei ghigna. «Qualcuno è irascibile questa mattina. Devi aver riposato bene. A
differenza di Kadamach, che sembra a tanto così…» solleva il pollice e l’indice, «dal
tagliarti la gola.»
Sposto lo sguardo. Quando gli occhi di Kiaran incontrano i miei, rischio di fare un
passo indietro, in allarme. La parte scura delle sue iridi si è estesa ancora di più nel
lilla. Peggio, ha uno sguardo selvaggio, una ferocia contenuta a malapena. Sta
lottando per controllarsi vicino a me.
Avrei dovuto percepirlo la scorsa notte quando ha lasciato il letto. Appena prima
dell’alba, l’ho sentito mormorarmi qualcosa con un tono che mi ha fatto tornare nel
mondo dei sogni. Mi ha stampato un bacio sulla spalla e poi mi è sembrato di sentire
il leggero graffio dei suoi denti contro la pelle.
Quando mi sono mossa, lui si è allontanato bruscamente. «Falbh a chadal» ha
sussurrato dal lato del letto, col respiro pesante. «Vai a dormire.»
Il letto mi è sembrato freddo dopo.
Come leggendomi nel pensiero, Kiaran distoglie lo sguardo. Sorcha ride. «Ah,
allora rinneghi te stesso a causa sua. Avrei dovuto immaginarlo. Così nobile. Così
virtuoso. Così tanto umano.»
«È meglio che essere una megera priva di morale» dico.
«I suoi bisogni non hanno niente a che fare con la morale, piccola ragazzina
ingenua.» Alza gli occhi al cielo e poi si studia le unghie. «Se la Morrigan non ti
ucciderà prima di trovare il Libro, probabilmente lo farà Kadamach. Non riuscirà a
trattenersi. Come pensi che sia morto il suo primo cucciolo di Falconiera?»
Kiaran socchiude gli occhi. «Stare tre secondi senza dire qualcosa di vile e spietato
ti ucciderebbe all'istante, vero?»
«Ciò che tu chiami vile e spietato per me è onesto.» Sorcha alza le spalle.
«Continui a darmi la colpa per la sua morte, ma non ho fatto niente. Mi è bastato
gettarla in una stanza da sola con te.»
Questa volta, lui fa lampeggiare i denti in un sibilo e vedo un accenno delle zanne
che sporgono dalle gengive… finché non nota il mio piccolo sussulto. Non riesco a
nascondere interamente il mio disagio di fronte a quelle zanne, uguali a quelle che mi
hanno marchiato le braccia, il collo, le spalle, il petto. Uguali a quelle sulla donna nel
cottage.
«Kam» sussurra lui. Poi chiude la bocca.
Scuoto la testa. «Mi dispiace di averti chiesto di coinvolgerla.»
«Mi pento di averti ascoltato, ma ormai siamo qui.»
La risata di Sorcha è una melodia, abbastanza snervante da farmi rabbrividire. «Oh,
andiamo. Pensavo fossimo tutti amici.»
«Divertente» dico, «pensavo fossimo acerrimi nemici.»
«Non è quello che ho detto?» Solleva i polsi dove il suo voto le ha marchiato la
pelle in un disegno uguale a quello di Kiaran. «Ora hai il mio voto di aiutarti a
trovare il Libro e Kadamach non apparterrà a me finché non sarà tuo. Non dovrai più
avere paura che ti pugnali. Direi che questo ci rende più che amici.»
«Portaci alla porta prima che ti strangoli» dice Kiaran, indicando la soglia che
porta alle sale labirintiche.
Con un rapido movimento del lungo vestito di broccato, Sorcha si avvia verso
l’ingresso. Non appena Kiaran si volta per seguirla, lo fermo. «Aspetta.» Quando si
acciglia, dico: «Porto Aithinne.»
«Ah, una riunione» dice Sorcha con gioia. «Adoro rincontrare tutte le persone che
ho cercato di uccidere. È così catartico, non trovate?»
Mi pizzico il naso. «MacKay? C’è speranza che tu possa riformulare il voto per
obbligarla a stare zitta per il resto della sua lunghissima vita?»
Kiaran lo ignora. «Non ho acconsentito a portare Aithinne.»
«Non hai neanche obiettato. Non ne abbiamo mai discusso.»
Kiaran lancia uno sguardo a Sorcha, che ci sta fissando divertita. Mi prende per il
braccio e mi porta dall’altro lato della vasta anticamera per cercare di avere un po’ di
privacy. «Il pixie. Non Aithinne.»
«Se Sorcha sta dicendo la verità sulla Morrigan, avremo bisogno di tua sorella con
noi.»
La presa di Kiaran sul mio braccio aumenta. «Se perdo il controllo lì dentro e ti
ferisco, non mi fido del fatto che Aithinne farà la scelta giusta. È troppo debole,
Kam.»
Mi acciglio. «Che scelta, esattamente?»
«Tu hai già giurato di lasciarmi lì.»
«Non è questo che intendi veramente, no?» Al suo silenzio, la mia voce si abbassa
di un tono. «Cosa, MacKay? Vuoi che ti uccida?»
«Qualsiasi cosa sia necessaria.» La sua voce è un sibilo roco. «Il Libro è la nostra
priorità. Se si dovesse arrivare a una scelta tra me e il Libro, mi fido che tu prenderai
la decisione giusta.» Mi lascia andare. «Mia sorella sceglierebbe me. L’ha sempre
fatto. A volte sospetto che lascerebbe che il mondo si autodistruggesse per me.»
Non si arriverà a quello. Non lascerò mai che succeda.
Ma stiamo facendo questo anche per fermare la maledizione di Aithinne. Deve
essere lì, al nostro fianco. Deve essere lì per aiutarci, a far finire tutto. E se muoio
prima di trovare il Libro, deve essere lei a fermare la distruzione dei nostri regni. Non
sono certa che il Libro potrebbe resuscitarmi se morissi coi poteri della Cailleach, ma
almeno Aithinne potrà restituire a Catherine, Daniel e Gavin tutto ciò che hanno
perso in guerra. Meritano una vita migliore.
Mi allontano da lui. «E se succedesse il peggio e mi attaccassi? Che si fa?»
Abbasso la voce. «Ti aspetti che io ti sottometta? Ho avuto la meglio su di te solo una
volta. Ed è stato prima…»
Prima di te. Prima di noi. Prima di tutto.
«Se pensi che sarò più obiettiva di Aithinne» dico invece, «allora sei un idiota. E
non è una parola che userei per descriverti.»
Ho cercato di non lasciare che i miei sentimenti per Kiaran mi accecassero, ma è
troppo tardi. È già così. Non sa che farei di tutto per salvarlo? Come farebbe lui per
me? Nessuno dei due è obiettivo. Siamo andati troppo oltre.
Invece, cerco di appellarmi allo spirito pratico di Kiaran: «Derrick non ha
abbastanza potere per combattere la Morrigan ed è meglio che stia al campo dove può
aiutare gli altri nel caso tutto cada a pezzi. Lo sai.»
Fine della questione. Kiaran fa un passo indietro, le sue emozioni di nuovo
nascoste. «Va bene. Manda un messaggio ad Aithinne.»
Esito prima di accedere al mio potere, facendo attenzione a non farlo diventare
troppo travolgente. Lasciarlo prendere il sopravvento, perdermici dentro... è una
tentazione troppo forte.
Scorre nelle mie vene e nel mio palmo e lo dirigo con un movimento veloce del
polso. Trova Aithinne.
La risposta è quasi immediata. È tornata al campo con Derrick e gli altri… mi
concedo un momento di sollievo sapendo che sono illesi. Le fiamme del falò
bruciano verso l’alto e sono tutti seduti a terra con delle vecchie coperte di lana sulle
spalle. Gavin ha ripreso a bere quel whisky orribile mentre Derrick parla con
Catherine e Daniel di niente in particolare.
Aithinne alza la testa quando mi percepisce. Lascio una traccia di potere per
suggerirle di seguirlo. «Era ora, cavolo» dice lei con gioia, «creo un portale. Di’ a
Kadamach di aprire i cancelli.»
Mi ritiro e riferisco il messaggio a Kiaran. Lui attraversa la stanza per afferrare una
leva enorme vicino alle doppie porte che non avevo visto. Con uno strattone veloce,
la sposta di lato e il pesante ingresso in quercia si apre.
Derrick attraversa il portale per primo. «Ma guardati» dice, fermandosi per
studiarmi. «Viva. Illesa. Bene. Se non lo fossi stata, gli avrei tagliato le dita.»
Kiaran si sposta per mettersi al mio fianco. «Ti avrei strappato le ali.»
«Ignoralo, pixie.» Aithinne entra nella stanza, il suo lungo cappotto ondeggia
dietro di lei. «Avrei dovuto immaginare di trovarlo imbronciato e scontroso.»
Lo sguardo impassibile di Kiaran si sposta su di lei. «Phiuthair.»
«Bhràthair.» Lei si ferma e lo studia. «Hai un aspetto orribile. Immagino che non ti
nutra da giorni, a giudicare dal tuo disinteresse.»
«Smettila.» La voce di Kiaran è bassa, in segno di ammonimento.
«Io sto benissimo, comunque» continua lei, come se lui non avesse parlato. «Ti
piace il mio cappotto? Non ho un aspetto adorabile? Non sono una sorella perfetta
dato che me ne sto qui, ancora disposta a parlarti dopo che mi hai ignorato per mesi,
bastardo di un testardo?»
«Beh, che spasso» dice Derrick, «riesco proprio a sentire l’amore in questa stanza.
È bellissimo. Non è così, Aileana?»
«Sei qui perché Kam voleva il tuo aiuto. Non io.»
«Diavolo, MacKay…»
«Forse non lo vuoi» dice Aithinne, ignorando il mio tentativo di mettermi tra di
loro, «ma guarda quanto sono venuta in fretta. Perché ci tengo ancora a te. Anche se
Dio solo sa perché, visto che sei un rompipalle ostinato.»
«Adoro quando Aithinne impreca contro la gente» mi dice Derrick. «direi di
lasciarli litigare. Un round di pugilato. Senza uccidere. Io vado a cercare delle
libagioni.»
«Oh, per l’amor di Dio» dice Sorcha dietro di noi, «se avete intenzione di
bisticciare, preferirei tornare in prigione. Non era una tortura. Questa è tortura.»
Derrick sbircia attraverso i miei capelli. «Cosa ci fa qui quella stronza assassina?»
Sorcha lo guarda sconvolta. «Come mi hai chiamato?»
«Mi hai sentito, strega dai denti appuntiti.»
«Sorcha può trovare il Libro» lo interrompo, «e ci serve il suo sangue per arrivarci.
Dovevamo scegliere tra lei e Lonnrach.»
«Quindi dovendo scegliere tra due stronzi assassini scegli quella che ti ha ucciso.»
La risata di Derrick è secca. «È interessante.»
«Ho scelto quella che era comodamente incatenata, piuttosto che quello che si
nasconde.»
Derrick non sembra convinto. «E noi dovremmo credere che ci stia aiutando per la
bontà di quel pezzo nero di pietra nel petto che lei chiama cuore?»
«Sono proprio qui» ribatte Sorcha con tono tagliente.
«Vorrei che tu non fossi qui» canticchia Derrick. Poi, rivolto a me: «Lascia che ti
dia un consiglio, amica. Se vuoi portartela dietro, falla andare per prima. Così non
devi avere paura che ti ficchi una lama nella schiena.»
«Piccolo dolce pixie» dice Sorcha, «se c’è una cosa che devi avere imparato, è che
sono perfettamente capace di pugnalarla anche nel petto.» Ruota sui tacchi e si avvia
verso il salone, il tessuto del suo vestito di broccato che striscia per terra come un
mantello. «Se volete seguirmi, la porta è da questa parte.»
Derrick inizia a seguirla, ma lo fermo. «Ho bisogno che tu stia al campo.»
«Ma non posso uccidere niente lì» si lamenta lui.
«Ti porterei con me se potessi, ma non posso lasciare gli altri senza protezione.
Non con il regno che cade a pezzi.»
Derrick sospira. «Va bene. Va bene. Stai attenta, ok? Non fare niente di stupido. E
qualsiasi cosa tu faccia, non lasciare che Sorcha prenda in mano una lama.»
«Non lo farò.» Mi abbraccia e appoggio la guancia su di lui per un attimo. «Fammi
un costume da pirata.»
Sento il suo sorriso sulla mia pelle. «Solo se mi riservi un ballo.»
Con ciò, Derrick vola via dal palazzo e io mi volto per seguire Sorcha.
CAPITOLO 25 Traduzione: Eloise
Kiaran resta vicino a Sorcha, sicuramente per tenerla d’occhio, mentre io cammino
con Aithinne. Il lungo corridoio di ossidiana è ancora spaventosamente silenzioso. Le
luci sembrano più soffuse, il corridoio è immerso nell’ombra che sembra crescere,
muoversi. Respirare.
Accanto a me, Aithinne rabbrividisce. «Odio questo posto» sussurra, «Solo per una
volta, vorrei attraversare un portale sotto un arcobaleno o vicino a un mucchio di
gattini.»
Faccio una risatina.
Sorcha si ferma e preme il palmo sui mattoni, i polpastrelli che indugiano quasi
come in una carezza amorevole. Scuote la testa una volta e continua a muoversi, i
tacchi che colpiscono con decisione il pavimento.
Aithinne si china su di me. «Sono ancora convinta che ci stia portando verso la
nostra rovina.»
«Ha fatto voto di aiutarmi a trovare il Libro» dico, «Lo ha giurato.»
Kiaran è un maestro delle manipolazioni e mezze verità delle fate. Si sarà
assicurato che i termini del voto siano più severi possibile. Ma so anche questo:
Sorcha cercherà un modo per ritorcermelo contro. Solo perché i fae non possono
mentire non significa che siano onesti e le limitazioni di un voto non li rendono
incapaci di ingannare. Non ho conosciuto nessuno che Sorcha non abbia tradito,
neanche quelli che ama.
In questo momento, è in pieno vantaggio. Ha trovato la porta per prima; ne
conosce i segreti; ha visto la Morrigan. E in qualche modo è ancora viva.
«Alla mia Corte abbiamo un detto per persone come lei.» Aithinne fa una piccola
risata. «Penserai di aver vinto la battaglia finché non farai un passo indietro e lei ti
taglierà le caviglie.»
«Posso sentirvi.» Sorcha preme i palmi contro un’altra parete. Fa un sorrisino.
Probabilmente le piace il detto. Probabilmente è stato fatto apposta per lei.
«Puoi?» Chiede Aithinne con gioia. «Oh, bene. Ora che ho la tua attenzione,
aggiungo che spesso mi diverto a immaginare come sarebbe se venissi gettata nel
mare da una scogliera. A proposito, bel vestito.»
«A cosa serve averti qui?» Gli occhi verdi di Sorcha risplendono di irritazione.
«Oltre a essere un piccolo fardello impazzito che ha perso la testa da qualche parte
nei meandri di Edimburgo.» Il sorriso di Aithinne vacilla e Sorcha se ne accorge.
«Dimmi, quanto ci ha messo mio fratello a portarti via la salute mentale? Quante
volte ha dovuto spezzarti le ossa e bruciarti il corpo prima che diventassi così
patetica? Ci sono voluti cento anni? Cinquecento?» Il sorriso di Sorcha è spietato, «o
è troppo?»
Nel bel mezzo delle crudeli domande di Sorcha, lo sguardo di Aithinne diventa
vuoto. Morto. Non l’avevo mai visto prima.
Le prendo la mano con delicatezza. «Aithinne.» Mormoro di nuovo il suo nome,
finché non vedo un segno di ripresa nei suoi occhi.
«Non dovresti disturbarti» mi dice Sorcha. «Aithinne è debole. La Morrigan la
distruggerà facilmente.»
Kiaran strattona Sorcha verso di lui. «Basta così.» C’è qualcosa di selvaggio nella
sua espressione, qualcosa di folle. Qualcosa di oscuro. «Parla così a mia sorella
un’altra volta e la prossima tortura che mi verrà in mente ti farà implorare di morire.»
Il coltello è nella sua mano in meno di un secondo. «Forse dovrei cominciare adesso?
Che ne pensi di uno di questi adorabili occhi verdi?» Preme sulla sua guancia con la
punta della lama.
Io mi allontano. La sua voce è irriconoscibile. Estranea. Quella voce è come mi
immagino il suono della morte: una voce bassa e pericolosa che mi congela fino al
midollo.
L’espressione di Sorcha non cambia, ma un piccolo tremore le attraversa il corpo.
«Andiamo, Kadamach. Hai fatto un voto…»
«E non entra in vigore finché non troviamo il Libro. Ora muoviti.» Poi la spinge
bruscamente in avanti.
Sorcha si limita a guardare Aithinne, solleva il mento e continua a cercare. Potrà
anche essere un’esperta nel nascondere i sentimenti, ma non mi prende in giro.
Kiaran l’ha appena spaventata a morte.
Ha spaventato a morte anche me.
Mentre procediamo lungo il corridoio, Aithinne non parla. Ogni tanto, le sue dita
afferrano e rilasciano l’impugnatura della spada: ciò che ha detto Sorcha ha lasciato il
segno. Mi sporgo verso di lei e le sussurro nell’orecchio che essere vulnerabili non
significa essere deboli. La mano di Aithinne afferra la mia e la stringe in segno di
comprensione. Lonnrach ha cercato di spezzare entrambe.
Dopo un po’, Sorcha si ferma di nuovo, i polpastrelli che sfiorano la parete. Sento
il suo potere nell’aria solo per un momento, prima che lei si allontani di nuovo con
un’imprecazione frustrata a bassa voce.
«Se hai trovato la porta prima che questo castello esistesse, perché stiamo cercando
qui adesso?» Chiedo.
«Quando Lonnrach ha trovato la prigione della Morrigan la prima volta» dice
Sorcha, «è stato attraverso il sìth-bhrùth. E dato che il sìth-bhrùth è praticamente
svanito, dobbiamo trovarla qui. Sto usando il cristallo per dirigere i miei poteri, ma
quella dannata porta si muove.»
«Si muove?» Chiedo con scetticismo.
«Perché pensi che abbia dovuto chiedere aiuto a mio fratello la prima volta?» Ora
suona infastidita. «Dato che serve il nostro sangue, era più facile con tutti e due.»
«Oppure per trovarla serviva qualcuno lei cui uniche competenze non fossero
tradimenti e sotterfugi» mormora Aithinne, tornando a sembrare se stessa.
Sorcha apre la mano e sento il suo potere crescere. Un momento prima di colpire,
Aithinne spalanca la mano e disintegra il potere di Sorcha con la facilità con cui si
strappa un foglio di carta.
«Non renderti ridicola» dice Aithinne con un sorriso dolce. «Sarò anche debole, ma
se volessi potrei farti esplodere il cuore nel petto.»
Con una smorfia, Sorcha svolta in un altro lungo corridoio. Tiene le mani protese
in avanti, coi polpastrelli che sfiorano le pareti di pietra, e riesco di nuovo a sentire il
suo potere nell’aria. Sa di ferro ed è come carta vetrata, ruvido come la pomice.
Preme i palmi contro il muro, il volto una maschera di concentrazione. «La porta
esiste tra i nostri mondi,» mormora. «Nel giusto spazio, posso evocarla, nello stesso
modo in cui abbiamo viaggiato tra questo regno e il sìth-bhrùth.»
«Perché non hai trovato il Libro?» Chiedo, «se lo volevi così tanto, cosa ti ha fatto
andare via?»
Perché rinunciare a porre fine alla sua maledizione e salvarlo? Se lo ami così
tanto?
Quando Sorcha mi guarda, i suoi occhi sono annebbiati, il suo potere ancora
impegnato nella ricerca. «È qui che ti sbagli, Falconiera. Non sono andata via, mi
sono messa in ginocchio e ho strisciato. Per la mia vita.»
Le sue sopracciglia si aggrottano e si allontana di qualche passo da noi. Poi si
ferma all’improvviso, con la testa che si volta di scatto verso sinistra. Sta fissando il
muro, come se vedesse qualcosa che noi non vediamo.
La raggiungo con i miei poteri e percepisco l’ombra di… qualcosa, lì. Ma è così
sottile che non riesco a definire cosa. Potere, ma solo un barlume… leggero come
l’odore dell’erica nell’aria.
«Kadamach» dice Sorcha con voce bassa, «veloce.»
Prima che possa protestare per il fatto che Sorcha tenga in mano qualcosa di
appuntito, Kiaran tira fuori un coltello dalla fodera sul polso e glielo passa per il
manico. Senza altre spiegazioni o esitazioni, Sorcha fa scorrere la lama lungo
entrambi i palmi con due passate veloci. Poi riconsegna la lama e spalma il suo
sangue sulla parete di ossidiana.
Sbatte i palmi contro le pietre. Io guardo il sangue raggrupparsi lungo la roccia
liscia, scintillante come melassa. Solo che non cola come dovrebbe. Invece, disegna
una curva sulla pietra per formare un disegno. Come uno dei marchi di Kiaran, un
disegno vorticoso che si arrotola su sé stesso, diventando sempre più piccolo e
intricato.
«Ecco qui» sussurra Sorcha, «Fosgail.»
Il suono spaventoso di una spaccatura rimbomba nel corridoio, così forte che la
mia mano si sposta immediatamente sull’impugnatura della mia spada. Davanti a noi,
si forma una fessura sulla parete, che si estende dal pavimento fino al soffitto. Le
pietre si disintegrano, spaccandosi per rivelare una cavità buia in cui non si riesce a
vedere oltre… un’apertura abbastanza larga da far passare una persona.
Sorcha sbatte le palpebre e si allontana dalla fessura. «Eccolo qui. Un portale per
l’inferno.»
Fisso l’apertura oscura con un senso di preoccupazione incombente. Cosa può aver
fatto la Morrigan per far decidere a Sorcha che Kiaran non ne valesse la pena?
«Non hai mai detto cosa ti ha spinto a rinunciare» le dico.
Il breve accenno di umanità nelle profondità dei suoi occhi verdi solitamente freddi
mi stupisce. L'ho vista provare emozioni prima d'ora, quando guarda Kiaran con
desiderio. Ma questo è qualcosa in più, un senso di perdita che riconosco perché l’ho
provato intensamente per molto tempo.
«La Morrigan farà qualsiasi cosa per scappare da lì» mormora, «non appena
entriamo, deciderà chi tra noi sarà una pedina e chi la chiave per poter scappare.»
Deglutisco forte. «Tu qual eri?»
Il sorriso di Sorcha è brutale e amaro. «Nessuna delle due. Ero il suo
intrattenimento.»
Con ciò, fa un passo indietro e mi lancia uno sguardo come per dire: Cosa ne dici,
Falconiera? Lui ne vale la pena?
Gli occhi di Kiaran incontrano i miei. La sua espressione è sconosciuta, spiazzante.
Un barlume di oscurità e brama si cela sotto la superficie, tenuto a bada a malapena.
La sua maledizione. Ho solo una possibilità per spezzarla.
Salvarmi, Kam? Rimpiangerai di non avermi ucciso.
Distolgo lo sguardo bruscamente ed entro nel portale.
Il corridoio dall’altro lato è simile a quello che abbiamo lasciato… un passaggio
ampio e oscuro. Solo che non ci sono porte… o almeno nessuna che riesca a vedere
attraverso i rami di edera morta che si attorciglia sulle pietre dal pavimento al soffitto.
Non rimane neanche una sola foglia verde nell'intreccio, solo viti marroni appassite
che si estendono fino alla fine buia del corridoio.
Tremo per il gelo che proviene dalle vecchie pietre umide, il mio respiro che si
condensa in una nuvola bianca. Il freddo ti entra nelle ossa e non viene dalla
temperatura ma dall’atmosfera. Le pareti sembrano troppo vicine e troppo lontane
allo stesso tempo. Mentre sto lì in piedi, il corridoio diventa sempre più buio, più
freddo e più lungo.
Da qualche parte nell’edera, in questo posto vuoto e morto, qualcuno mi sta
guardando.
Mi volto terrorizzata. Kiaran, Sorcha e Aithinne escono dal portale… e questo
sparisce, chiudendosi come una ferita che guarisce in fretta. Poi si sigilla come se non
ci fosse mai stato.
«Beh, non è un buon segno» dice Aithinne, studiando l’edera. Fa scorrere le dita su
un ramo. «Questo posto sembra sbagliato. Morto» poi mormora: «perché non
potevano essere gattini? Per una volta?»
Sorcha fissa il corridoio, sbiancando per la paura. «Non era così prima.»
Un’imprecazione sottovoce sulle labbra. Ha realizzato qualcosa. «La Cailleach teneva
insieme questo posto. Ora che è morta e i suoi poteri sono nel corpo di
un’incompetente umana, questo regno sta cadendo a pezzi proprio come il nostro.»
Lancia uno sguardo tagliente ad Aithinne. «Dovrei spingerti io stessa contro la lama
di Kadamach. Non morirò perché lui è diventato troppo tenero per ucciderti.»
«Non sei d’aiuto» scatto.
«Non mi importa. Questo cambia le cose. Non capisci quanto disperatamente vorrà
scappare la Morrigan? Questa è la sua ultima occasione.» Fa un passo indietro verso
il portale che abbiamo appena attraversato. Quando lo trova chiuso, chiude gli occhi.
«Kadamach, uccidi quell’idiota di tua sorella e diventa il prossimo Cailleach.
Risparmiaci la fatica.»
«Preferirei uccidere te. Ora trova il Libro.»
Sorcha si raddrizza. «Se fosse così facile, non saremmo ancora qui, non trovi?»
Scatta lei. Poi, rivolta a me: «Prega di sopravvivere, Falconiera.»
Ci sorpassa e noi la seguiamo. Mentre procediamo attraverso le viti morte, il
corridoio continua a distendersi di fronte a noi. Non cambia mai. Le viti si
confondono in un ramo che pare infinito, appassito e morto. Le foglie sono
ammucchiate a terra, l’unico segno che questo posto prima fosse pieno di vita.
Le piante erano una provocazione crudele della Cailleach rivolta alla Morrigan per
ricordarle che non avrebbe mai più rivisto la vera natura o il mondo? O magari erano
una piccola gentilezza che la Cailleach aveva concesso a sua sorella prima di
rinchiuderla qui dentro buttando via la chiave: un giardino per abbellire i muri della
prigione.
Mentre ci facciamo strada in un groviglio di foglie, riattivo cautamente i miei
sensi, abbastanza da perlustrare il corridoio senza sfiancarmi o essere consumata dai
miei poteri. Un brivido improvviso mi scorre sulla pelle e mi fermo. Su di me sento
di nuovo degli occhi, nelle pareti al di là delle foglie.
Una voce striscia nella mia mente… una simile a quella della Cailleach, ma non
vecchia e spaventata e morente. Questa voce è potente. Suona come una promessa di
morte.
Ti vedo.
L’aria nel corridoio diventa più pesante, increspandosi come quando si lancia un
piccolo sasso in una pozza d’acqua. Ci fermiamo tutti all’improvviso. Accanto a me,
Kiaran sussurra un’imprecazione orribile.
«Suppongo che tutti lo abbiate sentito?» Chiede Aithinne. Annuiamo. «Nessun
altro si sente come se stesse per essere sventrato e appeso per le budella?» Dice lei.
Quando annuiamo ancora, aggiunge, «non mi sono mai sentita così spaventata da
pisciarmi addosso prima.»
Kiaran afferra la spada. «Aithinne» mormora, gli occhi sulle viti morte. «Non
volevo saperlo.»
«Sei così delicato» dice Aithinne con leggerezza, ma si avvicina a me anche lei con
la spada sguainata.
Il rumore del metallo che graffia la roccia da qualche parte nel corridoio ci fa
sobbalzare. Il respiro di Sorcha si fa irregolare. «Io dico di uccidere la Falconiera»
dice. Non mi perdo il tremore nella sua voce. «La magia antica adora un bel
sacrificio.»
Le lancio un’occhiataccia. «Davvero? Ti rendi conto che qui tutti odiano te, sì?»
Prima che possa rispondere, il corridoio trema di nuovo, questa volta in modo più
violento. La pietra intorno a noi scricchiola. Qualcosa si schianta. Mi volto e vedo
che un pezzo di soffitto è caduto e si è frantumato al suolo. E quando guardo in alto…
Delle viti spesse sfondano il soffitto, ricoperte da spine affilate come lame.
CAPITOLO 26 Traduzione: Eloise
Kiaran mi afferra il braccio e mi strattona così forte che rischio di perdere
l’equilibrio. «Corri!»
Voliamo lungo il corridoio, i nostri stivali che calpestano le foglie morte. Qualcosa
mi tira il piede per trattenermi, ma io mi spingo in avanti. Un altro strattone, più forte.
Un altro. Un altro. Qualcosa mi afferra con forza la caviglia e quando guardo in
basso, il mio stomaco si contorce per la preoccupazione.
Viti. Che irrompono dalle piastrelle di onice e crescono in fretta intorno alle mie
gambe. Mi immobilizzano.
Oh, dio. Un attacco di panico mi fa tornare in mente ricordi indesiderati della
stanza con gli specchi in cui mi teneva Lonnrach. Lì le viti mi tenevano ferma e si
stringevano se lottavo. Mi tenevano mentre i suoi denti mi mordevano i polsi. Le
spalle. Il collo…
«MacKay» riesco solo a sussurrare.
«Merda» Kiaran mi afferra di nuovo la mano con un brusco strattone.
Le viti si spezzano, ma non riesco comunque a muovermi, a pensare, non riesco a
fare niente. Se mi muovo farà solo più male. Se mi muovo le viti mi copriranno la
bocca per mettere a tacere le mie urla…
Le mani di Kiaran mi prendono con violenza i fianchi strattonandomi. «Kam, devi
correre!»
Non sei lì. Non è la stanza con gli specchi. Vai!
Ci provo. Dio, ci provo. Le viti germogliano intorno ai miei piedi, sollevandosi dal
pavimento. Vanno per afferrarmi le caviglie, ma mi libero. Le strappo. Le graffio. Le
rompo. Ma quando si attorcigliano intorno ai miei polsi, non riesco più a lottare. Mi
cedono le gambe.
Non posso. Non posso, non posso, non posso. Denti sul mio polso. Denti sulla mia
gola. Marchi a forma di mezzaluna. Non muoverti o farà più male.
Sono consumata dai ricordi. Non riesco a combattere. Sembra reale. È reale.
Denti sul mio polso. Mordono. Succhiano il sangue. Irrompono nella mia mente.
Non posso muovermi. Non posso urlare. Non posso pensare…
Kiaran mi strattona in avanti, squarciando con la lama le piante che crescono.
«Kam!» Le sue mani sono sul mio viso. «Sono qui. Sono qui con te.»
«È la sua paura» ansima Sorcha dietro di noi. «La Morrigan lo sa.»
«Sono qui» sussurra lui di nuovo, «sono qui.»
È tutto ciò che serve per farmi muovere di nuovo. Il tocco di Kiaran mi ancora alla
realtà. Mi ricorda che posso ancora combattere. Non sono una prigioniera.
Da qualche parte dietro di noi, un altro pezzo del soffitto di onice si schianta al
suolo. Un altro e un altro ancora. Le viti spuntano da ogni lato, rinchiudendoci.
Intrappolandoci.
Aithinne si pulisce il taglio sanguinante sul viso. «Se qualcuno ha qualche idea,
sarebbe un buon momento per condividerla con gli altri.»
Kiaran scuote la testa bruscamente. «Dobbiamo farci strada con la forza.» Guarda
dietro di noi, valutando.
«Kadamach» dice Sorcha, alzando un palmo, «aspetta…»
Kiaran si volta e sbatte il palmo contro il muro. Un impatto che avrebbe dovuto
sbriciolare i mattoni. Il suo sibilo di dolore mi coglie di sorpresa. Quando Kiaran
ritira la mano, le nocche sanguinano. Il muro ha aperto la sua pelle di fae quasi
indistruttibile. Come diavolo è possibile?
In mezzo al caos, fissa Sorcha con un’espressione dura. Anche se il suo sguardo è
calmo, noto qualcosa che bolle al di sotto. Qualcosa di selvaggio. La sua espressione
è scura e leggermente tesa.
«Kam» dice lentamente, «puoi fare esplodere questa parete?»
Aithinne si mette davanti a me. «Lo faccio io…»
«No» la voce di Kiaran è severa. Mi indica con la testa. «Deve essere Kam.» La
sua espressione non lascia spazio ad altre domande.
Aithinne comprime le labbra e, come se stesse proiettando i suoi pensieri verso di
me, riesco a sentirla nella mia testa. Diglielo.
Scuoto la testa in modo quasi impercettibile.
Se lo dicessi a Kiaran, la sua attenzione si dividerebbe tra trovare il Libro e temere
che qualsiasi piccola manifestazione di potere possa essere quella che mi uccide. Mi
impedirebbe di usare le mie abilità per trovare il Libro… e contro la Morrigan, non
avrò scelta. Mi serviranno.
«State indietro.»
I miei poteri sono una tempesta che accresce dentro di me. L’elettricità crepita
nell’aria. Butto indietro la testa quando l’energia mi scorre nelle vene, attraversa il
mio sangue. Il mio cuore batte sempre più forte, riempiendo le mie orecchie di un
rombo monotono.
Le viti irrompono dalla pietra intorno ai miei piedi e faccio un sorriso macabro.
Ferme. Quando le viti si interrompono, ordino loro di morire. Iniziano a spezzarsi
intorno a noi, cadendo a terra e appassendo. Questo ci dovrebbe dare abbastanza
tempo per uscire da qui prima che la Morrigan attacchi di nuovo.
I secondi sembrano minuti. I peli sottili sulle mie braccia si rizzano e la sensazione
di tempesta cresce e cresce nel mio petto finché non diventa una pressione dolorosa.
Buttala fuori come aria, mi dico. Facile.
Rilascio il mio potere in un’esplosione che trasforma il muro in macerie… e dietro
c’è solamente un corridoio identico a questo. Beh, tanto sforzo per niente.
Un’altra vite irrompe dalla parete dietro di noi con un fragoroso crack. Con la coda
dell’occhio, vedo delle foglie crescere sotto quelle morte. Fanno breccia attraverso i
muri e il pavimento più velocemente di prima, frantumando la muratura in pietra
intorno a noi. Il fogliame diventa più grosso, più spesso e più forte, con spine
abbastanza lunghe da trapassare un arto.
«Bel lavoro, Falconiera» commenta Sorcha, «hai fatto arrabbiare la Morrigan.»
Dovremo tentare la sorte nel prossimo corridoio. Le arcate dietro di noi si stanno
sgretolando, colpite dalle spine. Un muro accanto a me crolla e una vite enorme si
dirige proprio verso di noi.
«Andate!» Urlo.
Ci arrampichiamo attraverso il buco nel muro appena prima che il corridoio dietro
di noi ceda e le piante comincino a chiudersi. I mattoni si distruggono a terra, i detriti
alzano un polverone per aria. Il mio respiro diventa tosse. Non riesco a vedere…
Ricostruisci. Veloce.
Stringo il pugno e alzo la mano, concentrando il mio potere sull’impilare le pietre,
disponendole in modo da creare qualcosa di stabile che resista, almeno per il
momento. Ci serve solo del tempo per scappare. Il muro improvvisato copre le crepe
da cui le viti potrebbero passare e poi… silenzio. L’unica cosa che riempie lo spazio è
il nostro respiro forzato e stremato.
Una scarica di energia mi fa quasi cadere. Dio, la Morrigan è così forte…
«Resisti, Kam.»
Resisti? È impazzito? Chiudo gli occhi, il corpo in tensione mentre il potere della
Morrigan si scontra col mio, spingendo con forza contro il mio muro improvvisato.
«MacKay» dico «non è un buon momento…»
«Mi serve un attimo» dice. Un’emozione fredda e brutale oscura la sua
espressione. «Aithinne, richiama il tuo potere.»
Aithinne chiude gli occhi. Quasi subito, si acciglia. Quando apre gli occhi, è la
prima volta che la vedo spaventata. «È lì ma non riesco… non riesco a raggiungerlo.»
Aithinne stende la mano, come se si aspettasse che succedesse qualcosa. «Non riesco
neanche a evocare una fiamma. Un trucchetto da bambini del cavolo.» Guarda Sorcha
con aria accusatoria. «Cosa ci hai fatto?»
«I nostri poteri sono bloccati» dice brevemente Kiaran. Tira Sorcha verso di sé.
Ansimo quando i poteri della Morrigan si schiantano di nuovo contro i miei. Il
corridoio trema. Sopra di noi, una piccola porzione del muro si sgretola e precipita.
Resisti. Resisti, diavolo.
«MacKay» dico allarmata.
Ma Kiaran ignora il caos intorno a noi. Il suo sguardo è focalizzato su Sorcha, la
sua presa lascia dei lividi sul braccio di lei. «Lo sapevi, vero?»
Sorcha cerca di apparire disinvolta. «Io sapevo che alla ragazzina serviva il Libro.»
Kiaran la fa schiantare contro il muro e Sorcha ansima per il dolore. «Spiega. Per
ogni risposta che non mi soddisfa, perdi un dito. Prova a fartele ricrescere senza
poteri.»
La paura attraversa lo sguardo di Sorcha. «Va bene» dice lei bruscamente, «va
bene.»
Il potere della Morrigan colpisce il mio e mi mordo le labbra per trattenere un urlo.
Il mio corpo sta tremando, la vista si annebbia. Il corridoio inizia a ondeggiare. Un
mattone cade dall’alto della pila improvvisata. «MacKay, muoviti.»
Kiaran lascia andare Sorcha. «Parla, veloce.»
«Fa parte della struttura della prigione. La Cailleach è riuscita a uccidere il corpo
della Morrigan, ma lei è troppo forte. La prigione smorza le sue abilità abbastanza da
impedirle di ricostituire il proprio corpo e scappare.» Sorcha mi guarda, guarda il
punto in cui ho rattoppato il buco nel muro. «La Falconiera deve essere immune
perché la prigione non è stata creata per contenere un umano. L’effetto su fae meno
potenti è quasi completamente vincolante.»
«Cosa vuol dire?» La mia voce è roca per lo sforzo di tenere in piedi il muro.
Chiudo brevemente gli occhi contro un’altra spinta. Un’altra. Inizio a barcollare,
stordita.
L’imprecazione di Kiaran è rumorosa nel corridoio silenzioso. Si allontana da
Sorcha e si studia le nocche. Dei tagli sottili macchiano la sua pelle pallida da quando
ha colpito il muro. Il sangue cola lungo il dorso della mano gonfia.
La ferita non sta guarendo.
«Vuol dire» dice Kiaran a denti stretti, «che tutti possiamo morire qui. E Sorcha
non ha pensato di dircelo.»
«Si è presentata l’opportunità e l’ho colta.» il suo sorriso era familiare, terribile e
oscuro. «Non sarei stata io se non l’avessi fatto. Io ti volevo e odio lei.»
La risata di Kiaran è bassa, pericolosa. Mi fa rabbrividire. «Ah, laoigh mo chridhe»
le mormora, sfregando due dita sul suo collo. «Vivrò il resto della mia vita
immaginandomi tutti i modi possibili in cui ti massacrerei se potessi.» La sua voce
diventa più bassa. «Ti suona familiare? Come ci si sente a non essere migliori dell’ex
maestro?»
Cosa vuol dire?
Sorcha trattiene il fiato. «Kadamach» sussurra. La sua mano trema quando si
allunga per prendergli il braccio. «Ascolta…»
La Morrigan sbatte contro lo scudo di potere che cerco di mantenere con tanta
forza da farmi urlare. «Mi dispiace interrompere…» Spinge di nuovo e questa volta
stringo i denti per l’assalto.
Le viti strisciano attraverso le crepe nelle macerie. Il potere della Morrigan sta
crescendo attorno a noi come una tempesta imminente, imponendosi sul mio e quasi
prendendomi in giro.
Una voce sussurra nella mia testa, fredda come un vento di ghiaccio. Un’umana
con i poteri di mia sorella. Questo è interessante.
Ora conosce le mie debolezze. Sa che morirò se continuerò a provarci.
Kiaran è accanto a me. «Kam?»
Cerco di concentrarmi ma mi fanno male i muscoli. Il mio corpo è affaticato per lo
sforzo di tenere a bada la Morrigan, di tenere su il muro. «Non riesco a reggerlo.»
«Lascialo andare e corri quando te lo dico» mi dice. Poi conta nel mio orecchio.
Uno. Due. Tre. Via.
Lascio andare i miei poteri e corriamo lungo il corridoio, i miei stivali che
colpiscono con forza il pavimento di onice. Dietro di noi, il muro esplode. Le viti
strisciano lungo il soffitto, ora più spesse. Le spine lacerano i mattoni come carta.
Mentre sorpassiamo le crepe che si formano lungo i muri, la Morrigan è nella mia
mente, che scava, scava, scava. Mi legge. Valuta i miei poteri e cerca altre debolezze.
Non posso fermarla. Non riesco a tenerla fuori completamente, non dopo aver tenuto
a bada il suo potere. Lei lo sa e…
Giuro che posso sentirla sorridere.
Il corridoio vibra e perdo l’equilibrio. Qualcosa si schianta contro i mattoni. «Lo
senti?» Dico a Kiaran, ansimando.
Lui scuote la testa una volta come per schiarirsi le idee. La sua risposta è tesa.
«Sì.»
Un attimo dopo, il terreno sotto di me cede.
CAPITOLO 27 Traduzione: Eloise
Il mio stomaco sobbalza. Trattengo un urlo mentre sprofondo attraverso il
pavimento, nell’oscurità. I mattoni rotti si schiantano contro i muri sotto di me. Sento
la presa brusca delle dita di Kiaran sui miei vestiti, che mi tira a sé. Dice il mio nome,
che echeggia intorno a noi.
Riesco ad aprire gli occhi, guardo in basso e… non c’è niente, niente. Solo una
buca, un nero senza fine, senza un fondo visibile. Avevo corso un rischio, avevo
scommesso che avrei trovato il Libro e ora il mio unico pensiero è che morirò e
deluderò le persone a cui tengo. Solo che questa volta me ne andrò per sempre.
Questa volta, non potrò tornare indietro.
«Kam.» La voce secca di Kiaran mi strappa dai miei pensieri. La sua presa sul
braccio mi lascia un livido e lui mi tira a sé in un abbraccio violento mentre l’aria
scorre intorno a noi. Quanto in fondo siamo caduti? Quanto manca ancora?
«Tieni il corpo dritto.»
Come diavolo può sembrare così calmo in un momento simile? Ora è mortale, per
l’amor di dio.
«Cosa?»
Le mani di Kiaran scivolano sulla mia vita, le dita che scavano nel mio giubbotto
per impedirmi di lottare. Come posso smettere di lottare? Stiamo cadendo in fretta,
con leggerezza, giù, giù, giù…
«Non lo senti?»
Concentrati. Calmati.
Prendo un respiro. E attraverso l’odore stantio della pietra intorno a noi, sento
anche il profumo secco e puro dell’acqua. Come se stessimo cadendo in un pozzo o
una cava. È una possibilità di sopravvivere. Una fortuna sotto forma di lago
sotterraneo. Se cadiamo bene, possiamo anche sopravvivere. Se cadiamo male,
moriamo.
«Ti ricordi le scogliere a Skye?» Il respiro di Kiaran è delicato sulla mia gola.
Riesco a malapena a sentirlo al di sopra dell’aria che sfreccia intorno a noi mentre
cadiamo, cadiamo, cadiamo. «Usa i tuoi poteri per attutire l’impatto.» Tremo quando
le sue dita si posano appena sotto le mie costole. «Da qui. Lo senti?»
Lo sento. Un impulso sulla pelle. Un mantra: Fidati del tuo corpo. Fidati della tua
mente. Fidati del tuo potere.
Ma come posso farlo? Stiamo ancora cadendo. La cava è infinita. Come se
stessimo precipitando dalle stelle, dallo spazio, nell’oceano. Cerco di non farmi
distrarre dal mio corpo tremante, dai miei pensieri terrorizzati. Mi concentro sulla
sensazione dei miei poteri, attorcigliati e pronti come se stessero solo aspettando un
mio comando. Lascio che mi calmino.
Sono senza paura. Sono potente. Fidati.
«Ora buttalo fuori, Kam.»
Rilasciai tutto quel potere. Prima, era come cercare di respirare attraverso il fuoco,
con il fumo nei polmoni. Ogni volta diventa più facile, meno doloroso. Adesso è
come cercare di inspirare in una fredda giornata invernale. Solo una pressione sui
polmoni e poi… dentro e fuori. Dentro e fuori.
«Ecco fatto.» Come se Kiaran non potesse trattenersi, mi stampa un bacio sulla
parte inferiore della mascella. «Ora crea una corrente ascensionale che ci rallenti.»
Faccio esattamente ciò che dice. Non avevo mai realizzato quanto il potere di un
fae consistesse nel manipolare gli elementi esistenti, come l’aria o l’acqua o la terra.
Piegandoli al proprio volere e usandoli a proprio vantaggio.
Il mio potere comanda l’aria intorno a noi di addensarsi e creare un vento
ascendente così forte da rallentarci, proprio come ha fatto Kiaran quando siamo
caduti dalle scogliere a Skye. Solo che quando l’ha fatto lui, è stato aggraziato. Lo ha
fatto sembrare facile.
In pochi secondi, il mio controllo comincia a vacillare. Fidati dei tuoi poteri.
Fidati del tuo corpo. Fidati…
Mi si stringe il petto. Faccio un respiro affannoso ma non riesco a prendere aria. La
mia cantilena mentale non è abbastanza quando i miei polmoni bruciano per lo sforzo
di controllare tutto quel potere. La mia vista comincia ad appannarsi.
Kiaran deve percepire che qualcosa non va. «Kam?»
Concentrati sull’acqua. La tua rete d’emergenza.
La tua unica possibilità di sopravvivere.
Un ultimo respiro. Un’ultima spinta. Un debole impulso di potere prima della fine.
La mia concentrazione si sgretola il momento prima che colpiamo l’acqua.
Non posso muovermi. I miei arti sono troppo pesanti all’improvviso, pesi morti
che mi trascinano sempre più nell’acqua fredda. Non c’è nessuna corrente che mi
trascini, niente se non una pozza immobile, senza fondo.
Devo aver perso coscienza, perché un attimo dopo sento la voce di Kiaran che dice
il mio nome. Lo ripete come una preghiera. Le sue dita mi premono sul collo in modo
goffo un paio di volte per sentirmi il polso. E sento che annaspa in cerca d’aria,
tradendo il suo solito atteggiamento tranquillo.
«Kam» sento la paura nella sua voce.
Non serve che Kiaran me lo dica. Riesco a sentire le pulsazioni lente e pesanti
nelle mie orecchie. Un rombo irregolare che mi ricorda: Stai morendo. Stai morendo.
Stai morendo.
Apro gli occhi. Con i miei sensi da fae, riesco a vedere i tratti di Kiaran
nell’oscurità della caverna, il modo in cui l’acqua fa brillare la sua pelle pallida.
«Cosa diavolo è stato?» La sua voce è dura come la pietra.
Menti. «Niente» dico con voce roca. Menti meglio. «Ci vuole un po’ per abituarsi
al potere della Cailleach, tutto qui.»
Kiaran mi fissa intensamente, il pollice che sfiora dolcemente il mio labbro
superiore. «Ti sanguina il naso.» Le sue parole sono sconnesse. All’improvviso si
allontana, nuotando velocemente per mettere distanza tra di noi. Quei pochi metri di
distanza sembrano tantissimi.
Non so che altro fare se non tamponarmi il naso. Con i miei occhi da fae
potenziati, posso vedere il sangue mischiato all’acqua. Per un umano sarebbe stato
quasi indistinguibile, ma vista la natura da Unseelie di Kiaran…
Kiaran sussulta e distoglie lo sguardo. I suoi tratti sono tesi, la mascella serrata. I
miei movimenti sono lenti mentre immergo la testa nell’acqua e tampono il sangue.
Come se avessi incontrato un predatore allo stato brado: nessun movimento
improvviso. Indietreggia poco per volta.
Non apparire come una preda.
«Essere mortale ora non fa differenza?»
Scuote la testa una volta. «I miei poteri sono bloccati, non inesistenti. Essere
temporaneamente mortale non mi rende umano così come avere i poteri non ti rende
sìthiche.»
Le parole di Kiaran sono costanti, prive di emozioni e quasi severe. Come se mi
desse la colpa per il sangue… ma non è così. Abbiamo cacciato insieme per così tanto
che posso leggere i suoi pensieri come se fossero miei: Kiaran si dà la colpa per
essere tentato.
Qui. Ti morderei proprio qui. Per questo non mi fido di me quando sono con te.
Dopo un lungo momento di silenzio tra di noi, decido di parlare. «Stai bene ora?»
La mia voce è debole, esitante. Attenta. Sa cosa sto chiedendo. Sei Kiaran o sei
Kadamach?
«Non ancora. Parla. Distraimi.»
Cerco di concentrarmi sull’ambiente circostante, guardando in alto verso il buco da
cui siamo precipitati. È così in alto che sembra una piccola stella luminosa in mezzo
all’oscurità. «Pensi che siano ancora lì sopra?»
Sento Kiaran inspirare leggermente mentre guarda in alto. «Se lo fossero, mia
sorella sarebbe tanto stupida da buttarsi insieme a noi.»
«Pensi che stiano bene?»
«Lo spero.» Quando non rispondo, gracchia, «Dimmi cosa vedi.»
I miei occhi si adattano alla caverna quasi completamente buia e glielo dico.
L’unica luce proviene dal buco tanto in alto, uno squarcio così piccolo nella roccia
spessa che ci circonda. Nuoto fino a una piccola nicchia e mi muovo con cautela
intorno a un masso sollevato dal lago sotterraneo. La crepa nel muro da questo lato
del lago è scura; per quanto ne so dovrebbe condurre più a fondo in un sistema di
grotte sotterranee. Sembra pericoloso e troppo stretto perché Kiaran possa passarci.
Le mie mani scorrono sulle mura scivolose. Non c’è modo di arrampicarsi, in ogni
caso. E oltre alle parti di roccia liscia all’interno del lago, non ci sono altri tunnel… o
almeno, nessuno al di sopra dell’acqua.
Non c’è via d’uscita.
Esitando, guardo Kiaran. Dovrei dirglielo? I suoi occhi sono chiusi, come se si
stesse facendo cullare dal suono della mia voce. «Continua a parlare. Solo per
qualche altro minuto.»
«Cosa dovrei dire?»
«Qualsiasi cosa» la sua voce è roca, «qualsiasi cosa. Raccontami un’altra storia.»
Mi sforzo di respirare e di dire la prima cosa che mi viene in mente. «Il re delle
fate e la ragazza si allenavano di prima mattina» dico, mantenendo un tono dolce e
costante, «si allenavano con le spade finché le prime luci dell’alba non si innalzavano
sul Mare del Nord. In alcuni rari momenti, quando il cielo era privo di nubi, la
ragazza osservava il re proprio quando i primi raggi risplendevano attraverso gli
edifici e immergevano la città in un bagliore dorato bellissimo.
Perché, sai, in quel momento il re piegava la testa all’indietro e chiudeva gli occhi
e la ragazza si concedeva di pensare, per quei brevi momenti, a cose che non avrebbe
mai potuto dirgli ad alta voce. Come il modo in cui, col passare del tempo, lo odiasse
sempre di meno. Fino alla mattina in cui lo guardò dare il benvenuto al sole e seppe
di non odiarlo affatto, non più. Capì poi che un giorno, si sarebbe trovata lì al sorgere
del sole sul mare e avrebbe spostato lo sguardo su di lui, realizzando che lo amava.»
Per un pelo non lo dico. Le parole solo sulle mie labbra e l’oscurità sembra
trattenere il respiro, aspettando, aspettando che io le dica.
Ti amo, ti amo, ti amo.
Poi sento qualcosa. Un respiro accanto al mio orecchio, quasi inaudibile. Volto la
testa di scatto e Kiaran alza lo sguardo, sul punto di parlare.
Mi premo un dito sulla bocca, ascoltando attentamente. «Shh.»
Un sussurro, debole… come se venisse da molto lontano. Mi volto bruscamente,
ma non c’è niente. Me lo sono immaginato? Sto impazzendo?
No, eccolo di nuovo. Una voce così bassa che non riesco a distinguere le parole,
pronunciate in una lingua sconosciuta.
Mi volto di nuovo, la mia mano si allunga, ma non c’è altro che aria. «MacKay,»
dico allarmata. «Hai…»
Kiaran è al mio fianco in un istante, la spalla contro la mia. Impreca, in modo lento
e orribile. «Non lo so.»
C’è un altro mormorio sulla mia destra, quieto e oscuro, e mi avvicino ancora di
più a Kiaran. «Questo l’ho sentito» dice lui.
Restiamo ancora in ascolto, ma la cava è silenziosa. Troppo silenziosa. Non c’è
nessun leggero tap tap tap dell’acqua che cola o nient’altro che indichi che siamo in
una grotta. È come se fossimo precipitato nello spazio, alla deriva in un lago desolato
senza luce o suoni… nient’altro che il nostro respiro.
E qualcos’altro. Qualcosa nella cava che non riesco a vedere, che ci fissa
nell’ombra. Qualcuno che definitivamente può vedere noi. I miei sensi saranno anche
amplificati adesso, ma sono comunque umana. Il mio corpo ha dei limiti. E i poteri di
Kiaran sono bloccati.
Siamo entrambi vulnerabili. Entrambi mortali. Entrambi quasi umani.
Dietro di noi si sente un piccolo tonfo. Qualcuno si sta muovendo nell’acqua. Un
sospiro alla mia sinistra, poi un improvviso dolore lancinante alla guancia. Grido, più
per lo spavento che per il dolore, e mi premo il palmo sulla pelle.
Lo ritrovo sporco di sangue.
CAPITOLO 28 Traduzione: Jex
«Non muoverti.» Kiaran parla con voce bassa, stanca. Emette una specie di ringhio
e io mi irrigidisco.
Sente l'odore del mio sangue.
«Respira» dico bruscamente. «Maledizione, respira!» Lo afferro per un braccio e
trascino entrambi nell'acqua finché ci ritroviamo nascosti nella rientranza di una
roccia.
Solo un minuto. Se la Morrigan ci attacca, abbiamo solo un minuto.
«Qualche idea?» Quando Kiaran non risponde, lo strattono per la camicia e lo
obbligo a guardarmi. «Non costringermi a usare la forza, Kiaran MacKay. Ci serve un
piano. Subito.»
Si concentra su di me, ma parla a denti stretti, l'espressione tesa. «La Morrigan
era famosa per la sua capacità di influenzare la mente degli altri fae. Poteva penetrare
nei loro pensieri e indurli a fare qualunque cosa.»
Annuisco. Va avanti. Continua a parlare. «Se la Cailleach ha distrutto il suo corpo,
allora forse potrebbe riuscire a manipolare solo ciò che ci circonda o assumere la
forma di un altro fae.»
La Morrigan farà qualunque cosa per fuggire da qui. È lei a decidere chi sono
le pedine e chi la chiave di tutto.
La domanda è: noi cosa siamo?
«Se assumesse un'altra forma, allora dobbiamo capire quali sono le creature che
vivono nell'acqua, a cui piace il buio, creature che...»
«Vuoi continuare con questo elenco?»
«Continuerò finché non mi avrai risposto. Rifletti!»
Alla mia sinistra sento un sussurro e poi una risata, proprio dietro di me. Mi
giro... e la vedo girare in cerchio, un predatore pronto a colpire.
«MacKay...»
Lancio un grido quando la Morrigan mi colpisce il braccio con un fendente.
Questa volta il dolore è maggiore, come se avesse usato un coltello rovente. Mi
allontano da Kiaran prima che possa sentire l'odore del sangue. Studio attentamente
l'acqua, ma non vedo o sento nulla. Percepisco il richiamo invitante del mio potere,
ma se lo uso rischio di perdere nuovamente i sensi.
Nessuna via d'uscita. Nessun posto dove andare.
«MacKay» dico con tono disperato, «che forma ha?»
Qualcosa si sta muovendo nell'acqua. Ormai non riesco più a vedere nemmeno
le sue tracce; è come se l'oscurità si stesse addensando, è tutto sfocato. L'aria è calda
e umida.
Kiaran fa un respiro profondo e so che la Morrigan lo ha colpito. «Dev'essere
una creatura marina.» L'indizio è pronunciato con disprezzo, come se stesse dicendo
qualcosa di terribile. Poi continua: «Ci sono Fuath, Fideal, Afanc...»
Grido ancora quando sento degli artigli lacerarmi la schiena, in profondità. Ed
ecco di nuovo la voce della Morrigan all'orecchio: «È passato molto tempo
dall'ultima volta che ho visto un umano.»
Mi muovo di scatto per attaccare, sfiorando delle lunghe ciocche di capelli che
svaniscono come fumo. Poi, prima che la Morrigan si rifugi nuovamente nell'ombra,
intravedo quei brillanti occhi color zaffiro. La sua risata risuona tutto intorno a me e
improvvisamente un'ondata di freddo si fa strada nell'umidità della caverna.
«Ha artigli e lunghi capelli» dico a Kiaran. «È appena svanita nell'oscurità e...»
Kiaran si volta di scatto verso di me. «Che cos'hai detto?»
«Giuro che la ucciderò...»
«È svanita nell'oscurità?» Prima che possa reagire, Kiaran mi afferra il polso.
«Dobbiamo andarcene. Subito.»
«Te l'ho già detto, MacKay. Non ci sono vie d'uscita.»
Mi risponde in un sibilo. «Allora vorrà dire che ti farò strisciare attraverso quella
maledetta galleria, se sarà necessario.»
Kiaran mi trascina dall'altra parte del lago con tanta forza che devo mettermi a
nuotare o finirò per ingoiare tutta l'acqua. «Aspetta...»
La Morrigan mi strappa via da Kiaran e mi getta in acqua con tanta forza che
evito di colpire la parete solo per un soffio. Riemergo annaspando in cerca d'aria.
«Kam!» Kiaran si tuffa per raggiungermi.
Qualcosa lo colpisce duramente e lui finisce contro la parete con uno schianto
tremendo. Si volta rapidamente, ma l'oscurità è assoluta. Mi muovo per raggiungerlo
e le sue mani trovano le mie stringendole forte.
Una risata echeggia intorno a noi e intravedo qualcosa con la coda dell'occhio,
ma si muove troppo in fretta. Poi sento di nuovo quel sussurro all'orecchio, mentre gli
artigli mi accarezzano il collo. «Che cosa ne dici? Ti ama abbastanza, umana?»
Decido di rischiare. Attingo al mio potere, lo sento crescere dentro di me come
una tempesta e allo stesso tempo cerco di lottare contro la vista annebbiata.
Tuttavia, prima che possa fare qualunque cosa, la Morrigan mi sferra un altro colpo
al braccio e il potere mi abbandona, lasciandosi dietro solo un lieve pulsare alle
tempie.
Kiaran inspira bruscamente e mi lascia andare.
«MacKay.» Quando faccio per toccarlo, non c'è più.
«Non avvicinarti. Lo sta facendo apposta. È uno spettro dell'acqua.»
«Cosa?»
Percepisco la smorfia sul suo volto mentre parla. «Sta giocando con noi.»
Non riesco a ricordare quello che mi ha insegnato, non ora. Non con questa
oscurità soffocante che si chiude su di noi. I muscoli delle mie gambe sono in fiamme
per lo sforzo di spostarmi in acqua. «Uno spettro dell'acqua?» ansimo.
«Attirano gli amanti e poi li mettono l'uno contro l'altro. Sta utilizzando questa
forma per scoprire i nostri punti deboli. Lei vuole che io ti faccia del male.»
Sento la risata della Morrigan nell'orecchio. «Farti del male?» Sussurra, sempre
ridendo, «lui vuole ucciderti.»
Sferro un pugno puntando al suo volto, ma lei è troppo veloce. Si sposta alle mie
spalle e il suo tono stavolta è freddo. «Non può nascondere i suoi pensieri. Io sono
stata la prima Unseelie. Il suo sangue è anche il mio.»
Mi volto rapidamente, sferrando un altro colpo.
Lei è nuovamente dietro di me, come un demonio che mi riempie la testa di
dubbi. Dov'è Kiaran?
Come se la Morrigan avesse percepito che lo sto cercando, la nebbia che invade
la caverna si solleva un poco per permettermi di scorgere il suo profilo. È immobile.
Sta ascoltando?
«È nella sua natura dare la caccia a quelli come te.» La sento muoversi intorno a
me, avvicinarsi. «Non resisterà al mio incantesimo ancora a lungo. Non può
combattere il desiderio di nutrirsi di te.»
E in quel momento capisco che la Morrigan non sta parlando solo con me, ma
anche con lui.
Lo chiamo con tono basso, ma urgente. E poi mi guarda... Oddio.
Mi irrigidisco. Kiaran mi sta osservando con uno sguardo intenso ma
impenetrabile.
Sei Kiaran o il Kadamach?
Vedo un guizzo nel suo sguardo. Non lo so.
«Vedi come ti guarda?» La Morrigan parla con voce trionfante, come un
generale vittorioso sul campo di battaglia. «La tentazione di bere il tuo sangue è
talmente forte che a stento riesce a respirare. Questa è la mia maledizione.» Ora è
vicinissima. «Questa è la punizione per quelli della sua stirpe.»
Con un ringhio, mi giro per afferrare la Morrigan, ma quando penso di avercela
fatta lei si dissolve nella nebbia, scivolando via con una risata.
«MacKay.» Mi sollevo nell'acqua per andare verso di lui. «Ascoltami» dico
bruscamente quando lo raggiungo, «ascolta la mia voce. Sei il Re degli Unseelie.
Perciò concentrati e aiutami. Come la uccidiamo?»
Kiaran scuote la testa, ma l'oscurità non lascia i suoi occhi. Nuotiamo verso un
altro gruppo di rocce che spuntano dall'acqua; mi sta vicino, ma senza toccarmi.
Parla con voce molto bassa, affinché solo io possa sentirlo, ma il tono è forzato.
«Se diventasse solida, potresti riuscire a sopraffarla e fare in modo che non si
dissolva un'altra volta.»
«Come facciamo a farla diventare solida?»
Kiaran si lascia andare a un respiro tremante, poi mi accarezza la guancia.
«Fidati di me.»
Mentre si avvicina, riesco a vedere la fame nel suo sguardo. Le sue pupille sono
dilatate come quelle di un predatore pronto a catturare la preda.
Poi, con una dolcezza quasi dolorosa, mi bacia.
Faccio uno sforzo immenso per rimanere immobile, per impedirmi di attirarlo
ancora più vicino. Mi conficco le unghie nei palmi. Rimani ferma. Non muoverti. Non
pensare. So che il suo autocontrollo è fragile. Lo so perché sento le sue labbra
tremare contro le mie. Lo percepisco nel modo in cui respira, lento e cauto, come se
stesse cercando di mantenere la calma.
È un bacio casto. Non riesco a capire come un semplice tocco possa avermi
lasciato in preda ai brividi, ma non vale solo per me.
Le dita di Kiaran percorrono i miei vestiti impregnati d'acqua, un tocco caldo
contro il freddo della stoffa. Poi le sue dita scivolano al di sotto per accarezzarmi il
fianco. Nella mente pronuncio una sola parola. Sì, penso. Sì.
Degli artigli mi lacerano la schiena, strappando il tessuto e affondando nella
pelle, e lancio un grido. Ma l'istinto non mi tradisce. Mi allontano da Kiaran, sollevo
le mani e rilascio il mio potere.
Ferma, comando con tutta la forza della Cailleach. Non muoverti.
La forma spettrale si fa solida, e la Morrigan sparge acqua dappertutto. Questa
volta i suoi occhi color zaffiro sono pieni di rabbia e disgusto. «Umana schifosa.»
«Questa umana schifosa ti ha appena intrappolata» dico, «MacKay.» Quando non
reagisce, lo guardo. «MacKay?»
Impreco sottovoce.
Kiaran mi sta fissando... no, non sta fissando me. Il suo sguardo è puntato sulla
mia schiena, dove gli artigli della Morrigan hanno lacerato la pelle così in profondità
che anche io riesco a sentire l'odore del sangue.
Le labbra di Kiaran si schiudono. Poi vedo spuntare le zanne. Quando il suo
sguardo incrocia il mio, il lilla dei suoi occhi è dominato da qualcosa di oscuro.
Qualcosa di famelico.
«Eccola» sussurra la Morrigan, «la maledizione degli Unseelie.»
«Zitta!» Le intimo con voce brusca.
L'energia che serve per mantenerla in uno stato fisico richiede un prezzo. Mi
sento in preda alle vertigini, stordita. Le tempie mi pulsano e la vista si offusca. Il
mio corpo non riesce a reggere lo sforzo e l'ultima volta che ho usato il potere non ho
avuto modo di riprendermi completamente.
Se cercassi di ucciderla, temo che potrei svenire di nuovo.
Fidati di lui. Fidati di lui.
La Morrigan si avvicina, lottando contro l'influsso del mio potere. Sente che è la
sua occasione. «Riesco a leggere i suoi pensieri. Vuoi conoscerli anche tu?»
«Smettila.» Ormai non riesco a vedere quasi niente.
«È diviso fra ciò che prova per te e l'istinto di sopravvivenza. Quale credi che
avrà la meglio? Pensi che possa combattere ciò per cui è stato creato? Quello per cui
io l'ho creato? La maledizione vince sempre.»
La sua fame avrà sempre la meglio. Sempre.
«MacKay» pronuncio il suo nome in un sussurro, mentre lotto per non perdere i
sensi, «guardami. Ascolta la mia voce.»
Sei Kiaran o il Kadamach?
Ora è più vicino, si sposta nell'acqua come un'ombra. Sembra più grosso,
maestoso. Anche se i suoi poteri sono limitati, Kiaran non è umano. È una creatura
dell'oscurità, una fae in tutto e per tutto. Il suo lato Unseelie, che ho sempre intravisto
sotto la superficie, ora è uscito allo scoperto.
E la sua attenzione, l'attenzione di questa creatura imponente, con quegli occhi
scuri, è tutta per me. Niente nel suo sguardo indica che mi veda come qualcosa di
diverso da un mezzo per sopravvivere.
Fidati di lui. Fidati di lui.
Pronuncia il mio nome a fior di labbra, un sussurro implorante. Guardami. Torna
da me.
La Morrigan ride.
Fidati di lui. Fidati di lui.
È così vicino ora. Le sue zanne brillano, è pronto ad afferrarmi, a succhiarmi via
la vita...
Kiaran afferra lo spettro per la gola e con uno scatto del polso, gli spezza il collo.
Sussultando, fisso quel corpo senza vita mentre richiamo il potere dentro di me.
Ignoro il dolore pulsante alla testa e osservo Kiaran, ma lui non mi guarda.
Non ce n'è bisogno.
Alla mia sinistra, la parete della caverna inizia a sgretolarsi e sotto il fango secco
intravedo un passaggio. Le pietre stanno cadendo in acqua tutto intorno a noi. Mi
ripulisco la faccia dall'acqua sporca, pronta per un altro combattimento, pronta al
ritorno della Morrigan. Ma quello che vedo attraverso l'apertura nella parete è solo
una foresta, incorniciata da un cielo stellato. Una via d'uscita dalla caverna.
Appena oltre la linea degli alberi, sono sicura di aver intravisto una ragazza con
lunghi capelli e la carnagione pallida illuminata dalla luce della luna.
Quando però guardo di nuovo in quella direzione, lei non c'è più.
CAPITOLO 29 Traduzione: Jex
Fuori dalla caverna, gli alberi della foresta dominano il paesaggio, i tronchi spessi
e scuri simili a colonne coperte di fuliggine. La luna splende alta nel cielo, rivestendo
i rami più alti di una foschia luminosa. Sollevo il viso verso la fredda brezza,
rabbrividendo nei miei vestiti fradici.
Chi era quella ragazza?
«Hai visto...» la mia voce si spegne quando mi volto verso Kiaran.
Il suo respiro è lento e regolare, sta cercando di calmarsi. Con mano tremante si
ravvia i capelli. «Ho visto cosa?» Parla con voce strana.
«Niente, lascia perdere.» Resto in silenzio, incerta su cosa dire. «Non dovremmo
andare nella foresta?» Chiedo alla fine. «La Morrigan potrebbe trovarci più
facilmente qui, non credi?»
«Perfino una come lei ha bisogno di tempo per riprendersi da un attacco del
genere» risponde, «assumere una forma solida deve aver richiesto molta energia.
Sfrutteremo il tempo per riposarci.» Kiaran mi dà il suo cappotto. «Prendi questo.
Nella tasca interna c'è un po' di pane. Devi mangiare.»
Il pane è avvolto in alcune foglie per tenerlo asciutto. Ringrazio mentalmente
Kiaran per il suo solito pragmatismo. Fra lo scontro con la Morrigan e la
preoccupazione per il Libro, solo in quel momento mi rendo conto di quanto fossi
affamata.
Kiaran raccoglie della legna per il fuoco, che accendo poi con il mio potere.
L'energia richiesta è davvero minima, senza contare che sono maledettamente stanca
e persino Kiaran sembra parecchio scosso.
Ora sai come mi sento, penso sarcastica mentre mi sistemo vicino al fuoco.
Nessun corpo fae invulnerabile a proteggermi, nessuna guarigione immediata.
Solo una mortalità che ti scuote fin nelle ossa.
Kiaran si siede il più lontano possibile da me. Evidentemente l'odore della legna
bruciata copre quello del mio sangue, almeno un po'. Mi lancia una rapida occhiata
per valutare il mio stato. «Bisogna fasciare quelle ferite.»
Non riesco a trattenere un sorriso. «Prima il pane e ora le ferite. È il modo di
Kiaran MacKay di mostrarmi la propria premura?»
«Non sono premuroso» risponde, «mi limito a dare delle istruzioni chiare: fascia
quelle maledette ferite.»
«Non mi piacciono i tipi prepotenti.»
La sua bocca mostra un accenno di sorriso. «Invece a me piacciono le ragazze
risolute e testarde.»
Rido, sorpresa, «Dio, quanto ti adoro.»
Sollevo il cappotto per dare un'occhiata alle ferite. Ci sono una serie di tagli
superficiali lungo le braccia. Quelli più profondi, sulle spalle, avranno bisogno di
punti, cosa che al momento non posso permettermi. Ho solo il cappotto. Il broccato
non è il tessuto ideale in questa situazione, ma meglio che morire dissanguata.
Mentre me lo tolgo, la voce di Kiaran mi sorprende, brusca. «Brucialo.»
Lo guardo sconcertata. «Come, scusa?»
«Brucia. Quel. Cappotto.» Questa volta parla quasi ringhiando. «Indossa il mio,
così coprirà il tuo odore. Percepisco il sangue e mi sta facendo impazzire.» E poi dice
una cosa che mai mi sarei aspettata da lui:
«Per favore.»
Per favore. Da quando lo conosco, è la prima volta che glielo sento dire.
Credevo che insieme a Mi dispiace semplicemente non facesse parte del suo
vocabolario.
Eppure eccole lì, due parole che rimangono nell'aria e che sottolineano la
disperazione che sta provando. Per favore. Solo ora mi rendo conto che il suo modo
di guardarmi nella caverna, prima che uccidesse lo spettro in cui si era trasformata la
Morrigan, non era una messinscena. Non era una finzione per farle credere di aver
vinto.
Lei ce l'aveva quasi fatta.
«D'accordo» dico calma.
Lo spettro ha fatto a brandelli il cappotto, per cui è facile ricavarne delle bende.
Sistemo la più grande sulla spalla e la tengo ferma usandone un'altra che annodo con i
denti. Ripulisco al meglio la schiena dal sangue, strofinando la pelle con forza.
Infine, getto quel che resta del cappotto nel fuoco e indosso quello di Kiaran. E'
piuttosto grande per me e devo arrotolare diverse volte le maniche.
Sollevo le mani sorridendo leggermente. «Dì la verità: sembro ridicola, vero?»
Vedo che ora è leggermente più calmo. «Kam» scuote la testa, ridendo, «sei
adorabile.»
Ora il mio sorriso è più ampio. «Oddio. Mi hai appena definita adorabile nel
giusto contesto. E io che pensavo usassi quell'aggettivo per tutt'altro motivo.»
«Per un secondo fine, intendi? Tu. Con quel cappotto. Con quel sorriso.»
«Cosa ne dici di questo invece?» Mi alzo e mi muovo verso di lui. «Tu. Io.
Abbracciati...»
«Fermati.» Kiaran solleva una mano per bloccarmi. Mi immobilizzo quando
vedo le sue pupille dilatate. «Fermati» dice di nuovo, «resta lì.»
Rimango immobile mentre lo osservo. Quanto tempo ci resta prima che tu vada
troppo oltre, MacKay? Quanto tempo prima che di Kiaran non rimanga nulla?
In quel momento noto la ferita sul suo braccio: un lungo taglio, abbastanza
profondo perché il sangue gli inzuppi la camicia. Probabilmente la Morrigan lo ha
ferito per fare in modo che perdesse il controllo. Dal momento che i suoi poteri sono
bloccati, non può guarire.
Lentamente, mi chino per raccogliere alcune bende. «Il tuo braccio sanguina.»
«Sto bene. Non devi preoccuparti.»
È lo stesso tono che usava quando andavamo a caccia insieme. Indicava la
fredda distanza fra insegnante e allieva, fra esperto e principiante. Un tono di
sufficienza, di superiorità che mi faceva sempre venire voglia di picchiarlo.
Mi muovo verso di lui, ma mi fermo al suono della sua voce brusca. «Non
voglio farti del male.»
Lo osservo pazientemente, perché gli benderò quel braccio anche se dovessi
usare la forza per tenerlo fermo. «Non mi interessa cosa tu voglia. Non hai mai
sperimentato la perdita di sangue prima d'ora. E non stai bene: sei pallido, tremi e hai
un aspetto tremendo.» Mi lancia un'occhiataccia, e a quel punto incrocio le braccia.
«Scommetto che se provassi ad attaccarmi, riuscirei a metterti al tappeto in pochi
secondi. Lascia che dia un'occhiata a quella ferita, o rischi di svenire durante il
prossimo combattimento. A te la scelta.»
Dopo un istante di silenzio, finalmente annuisce. Bene. Questo mi risparmia la
fatica di cercare un ramo per inculcargli un po' di buon senso a suon di bastonate.
Lo raggiungo lentamente, con passo cauto. Quando vedo le sue mani stringersi a
pugno, mi fermo finché non si rilassa leggermente.
Poi mi inginocchio accanto a lui e stendo la mano a palmo in su. Aspetto il suo
permesso.
«Va bene?» Chiedo, tenendo la voce bassa, misurata.
Annuisce di nuovo.
Sposto la stoffa lacerata per dare un'occhiata. A differenza della mia, la sua ferita
ha già iniziato a guarire, il che significa che anche se i suoi poteri sono bloccati, il
processo di guarigione è comunque rapido. Il solito bastardo fortunato.
Uso una delle strisce per tamponare il taglio. Kiaran resta in silenzio, anche
quando avvolgo la benda intorno alla ferita e passo a quella successiva.
«Ti dà fastidio?» Chiedo, «sapere che la guarigione non sarà istantanea?»
«No. È..» fa una pausa, «a volte è facile dare tutto per scontato, soprattutto
quando sai che non morirai.»
Rifletto sulle sue parole, chiedendomi come sarebbe se fossi immortale, al punto
che la vista del mio stesso sangue risulterebbe una vera scoperta.
«Non saprei» rispondo, «non mi dispiacerebbe poi molto andare in battaglia
sapendo che non devo preoccuparmi di ferite mortali. A volte vorrei essere una fae.»
«No, non lo vuoi» risponde con una risata amara.
Lo guardo, sorpresa, «non vorresti vedermi vivere per sempre?» Insieme a te?
Kiaran fissa il fuoco, e dalla sua espressione intuisco che le mie parole lo hanno
messo a disagio.
«No» la sua risposta è come una pugnalata.
«Oh » Forse è meglio non rigirare il coltello nella piaga.
Mi giro per allontanarmi un po' da lui, ma la sua voce risuona dietro di me.
«Quelli della mia specie accumulano anni su anni perché siamo egoisti per natura»
dice quasi arrabbiato, «li aggiungiamo alla nostra collezione finché ne abbiamo così
tanti che la vita non ha più nessun significato. Diventa qualcosa di irrilevante, senza
importanza, e noioso. È questo quello che vuoi? Quello che io dovrei desiderare per
te? Non illuderti, una morte umana è di gran lunga migliore.»
All'improvviso, mi sento gelare dentro. Questi sono il suo futuro, vita ed
esistenza. Se sopravvivo e trovo il Libro, lui continuerà a vivere.
Quando io sarò ormai sepolta da lungo tempo, lui vivrà ancora.
I fae non vivono sul serio. Esistono semplicemente.
Quando incrocio il suo sguardo, il nero ha quasi sovrastato il lilla. Odio quella
parte di oscurità in lui, mi ricorda il suo lato Unseelie, il divario fra noi.
Il bisogno di stare pelle contro pelle con lui è quasi insopportabile. Ho appena
avuto una visione del nostro futuro, un promemoria di quanto poco tempo abbiamo.
Se troviamo il Libro, tutto finirà. Se non troviamo il Libro, tutto finirà. Questi sono
solo piccoli momenti fra una battaglia e l'altra.
«Ti voglio» gli sussurro, deglutendo prima che la mia voce si spenga. Non glielo
avevo mai detto prima. Mai. Guardo lo spazio di fianco a lui. «Posso sedermi?»
Vedo ancora quell'oscurità nel suo sguardo, ma poi lentamente si ritira. Fa un
respiro profondo e annuisce. Lentamente mi sistemo accanto a lui, la mia coscia
sfiora la sua. Mi mette una mano sul ginocchio e il gesto è rassicurante e minaccioso
al tempo stesso. Non so se lo faccia per toccarmi o per spingermi via.
«Se vuoi che mi fermi, lo farò» gli accarezzo la guancia e lui chiude gli occhi.
«Basta che tu me lo dica.»
Mi avvicino ancora e lo bacio dolcemente. «Va tutto bene?»
Mi stringe leggermente il ginocchio, ma annuisce di nuovo.
Abbasso la testa per baciarlo sulla spalla. «Va tutto bene?» Sussurro ancora.
Lui rimane immobile, e poi lo sento deglutire. «Sì.» Il suo tono è una preghiera,
e sento il desiderio nella sua voce.
Il bisogno. Come lo sento io.
Lo mordo delicatamente sul collo e sento il suo respiro tremante sulla lingua.
Sembra più umano che mai. Più vulnerabile. Più...tutto.
Quando la mia mano scivola giù per sollevargli la camicia, mi afferra il polso.
Vedo i suoi sforzi per contrastare la propria natura e capisco che anche se sembra
umano, non lo è. Lui è un Unseelie. E io sto giocando col fuoco.
Quando riapre gli occhi, vedo che il suo sguardo è limpido, ma so che è esausto,
lo sforzo per tenere a bada l’Unseelie che è in lui sta iniziando ad avere la meglio.
«Dormi» gli dico, «questa volta ne hai bisogno.»
Faccio per alzarmi, ma lui non mi lascia andare. «Resta» mi dice. «Non andare
via.»
Mi tira giù con lui e mi bacia dolcemente, sussurrando ancora quella parola.
Resta. E ancora. Resta. E ancora. Come se fosse l'unica cosa che lo tiene in vita.
Perché sa che non abbiamo anni a disposizione.
Accumuliamo i minuti, le ore preziose insieme, perché è tutto ciò che ci resta.
CAPITOLO 30 Traduzione: Eloise
Quando mi rigiro e tocco il terreno accanto a me, noto che è freddo. Vuoto. Nelle
vicinanze qualcosa si schianta e spalanco gli occhi, con la mano che cerca una lama.
Sorcha e Aithinne mi stanno fissando.
«Stavi russando» dice Aithinne, inclinando leggermente la testa. «E graffiavi il
pavimento come un cagnolino. Gli umani sono così strani quando dormono.»
Sorcha sbuffa. «Sei in grado di dire qualcosa che non sia completamente ridicolo?»
«Lo farò quando tu dirai qualcosa che non faccia venire voglia alle persone intorno
a te di staccarti la testa.»
Mi metto a sedere così in fretta che mi gira la testa. Nella foresta è ancora notte…
o forse è sempre così. Esamino il bosco in cerca di Kiaran, ma di lui non c’è traccia.
L’unico segno che indica che è stato qui è l’erba appiattita accanto a me e il suo
cappotto che mi avvolge come una coperta. Deve avermi coperto prima di andarsene.
«Dov’è Kiaran?»
Aithinne si irrigidisce. «C’eri solo tu qui. Abbiamo attraversato una porta ed eccoti
qui. A russare.»
Perché dovrebbe andarsene in giro da solo con la Morrigan ancora in
circolazione? Il mio stomaco si attorciglia dalla paura. Spero che non l’abbia
adescato. È stata in grado di manipolare la sua natura di Unseelie fin troppo
facilmente.
«La Morrigan ci ha attaccato» dico loro, alzandomi in piedi. Infilo le braccia nel
cappotto di Kiaran e recupero la mia spada. «Dobbiamo trovarlo. Adesso.»
Aithinne sembra confusa. «Sei caduta in quel buco solo pochi minuti fa, come…»
«Non essere idiota, Aithinne» dice Sorcha con irritazione. «Qui il tempo funziona
diversamente, dipende da dove ti trovi. È lo stesso nel sìth-bhrùth.»
Ovunque sia, Kiaran è ferito, stanco e sta perdendo il controllo. Potrebbe essere nei
guai.
Mi allaccio il fodero della spada in vita e mi avvio verso gli alberi. «Se volete
venire, muovetevi.»
Loro si scambiano uno sguardo, ma mi seguono. Aithinne mi sta al passo,
guardandomi di traverso. «Non sai neanche dove stai andando, vero? Non stai solo
andando incontro a una battaglia, ci stai andando a tutta velocità con una benda sugli
occhi e con le orecchie tagliate e…»
«Grazie» dico, «non serviva che portassi avanti la metafora.»
Corro il rischio di usare un po’ del mio potere, un impulso per perlustrare tra gli
alberi intorno a noi. Trova Kiaran.
Niente. Non un movimento, non un fiato, non un sussurro.
Aithinne agita la mano con fare sprezzante. «Sai cosa voglio dire.»
Scuoto la testa una volta. «Nessuna di noi sa dove stiamo andando» ribatto, «o tu
sì?» Lancio uno sguardo a Sorcha, che mi sta fissando con sospetto… sicuramente
perché sembro mezza pazza. «O lei?»
Trova Kiaran. Trova il Libro. Uccidi la Morrigan. Concentrati su queste tre cose
con la volontà di ferro di qualcuno che ha tutto da perdere. Qualcuno a cui
potrebbero restare solo delle ore.
Se pensassi troppo a ciò che sta succedendo a Kiaran, potrei fare qualcosa di
avventato. Ma ho bisogno di lui. Che metta a tacere i miei dubbi. Che mi dica che
posso farcela. La mia battaglia finale. È il mio ultimo tentativo per sistemare le cose.
«Falconiera» la voce di Aithinne è paziente. «Dovremmo pianificare le
prossime…»
«Non ho tempo per questo e lo sai.»
Aithinne mi afferra il braccio per fermarmi. «Hai idea di come appari in questo
momento?» Chiede con tono aspro. «Mar theine beumach. Come se fossi diretta
verso la distruzione. Non stai pensando lucidamente.»
«È umana» ribatte Sorcha, «pensano mai lucidamente?»
Mi volto verso di lei, sfoderando la spada. Il metallo fischia mentre disegna un
arco, con la punta che preme contro la sua gola. «Tu sai come trovare il Libro, vero?»
«Aileana.»
Ignoro Aithinne. Il mio sguardo totalmente concentrato su Sorcha. «Rispondimi.»
Gli occhi verdi di Sorcha scintillano. «Non mi piace parlare con una spada alla
gola.»
La sua pelle si lacera sotto la mia spada e un piccolo rivolo di sangue le cola sul
petto. Penetra nel broccato rosso del vestito, formando un abbinamento perfetto.
«E a me non piace essere manipolata. Hai trovato il Libro?»
Niente. Nessun segno di risposta. Lo sguardo di Aithinne incontra il mio e so che
riesce a percepire la mia domanda.
Annuisce una volta. Fallo.
Faccio scorrere la lama sul braccio di Sorcha. Lei urla e si allontana, ma io sono
troppo veloce. Le mie dita si serrano sulla sua gola, facendo pressione sulla pelle.
«Sembri essere convinta che, tra me e Kiaran, io sia la più debole, ma ti sbagli. Posso
assicurarti che non è vero.» Stringo più forte per enfatizzare e le manca il respiro.
«Aileana…» dice Aithinne indecisa.
«Parla o mi farò strada tra i tuoi ricordi strappandoli come carta.» Sorcha mormora
qualcosa, ma con un tono troppo basso perché riesca a capire. «Più forte. Prima che
mi scappi la mano e ti spezzi la trachea.»
«Sì,» rantola, «ho trovato quel dannato Libro.»
«Come? Dov’è?»
Sorcha scopre le zanne. «Non mi ricordo.»
Un’affermazione diretta, che non lascia spazio a bugie…
No. Deve mentire in qualche modo. Sorcha è abbastanza manipolativa da sapere
come aggirare la verità. «Non ti credo» ringhio, «hai un’ultima possibilità per dirmi
la verità.»
Lei serra le labbra, con gli occhi stretti a fessura. «Non. Mi. Ricordo.»
Non esito. Entro nella sua mente. Non come prima… questa volta sbando tra i suoi
pensieri, rumorosa ed esigente. Lotto per trovare i pensieri giusti, le immagini giuste,
i ricordi giusti.
Fammi vedere.
Sorcha non è pronta per la mia furia. Graffio e spingo con urgenza e disperazione
nella sua mente. Con smania e determinazione, setaccio le immagini: di lei e
Lonnrach accanto a un albero, di lei che corre, di una ragazza coi capelli lunghi e la
palla pallida che porta un marchio, ma è troppo buio per vedere.
Proseguo finché non trovo un ricordo che mi fa fermare. Un’immagine tanto
terribile che devo trattenere le lacrime.
Sorcha è in un mucchio di sangue in una foresta uguale a quella in cui ci troviamo.
Non so cosa sto guardando; non sapevo che le membra potessero essere contorte in
così tanti modi diversi, piegate, mutilate. Alcune non erano più attaccate. Attorno a
lei, sangue in una spessa pozza scura. Il suo respiro è un brusco rantolo come se i suoi
polmoni fossero in parte collassati.
Canta nel linguaggio dei fae, con le parole che si incastrano in gola. La canzone
stridente di una ragazza spezzata.
Come poteva essere viva? Come? Con le abilità di guarigione bloccate…
Ricevo la risposta un momento dopo, quando una donna coi capelli neri e la pelle
pallida si avvicina.
Aithinne?
Rischio di lasciar cadere Sorcha per la sorpresa, ma poi Aithinne si volta e vedo i
suoi occhi. Occhi blu che risplendono come zaffiri… nessuna traccia dell’argento
fuso e vorticoso degli occhi di Aithinne. Questa è la Morrigan con l’aspetto di
Aithinne. Oh, dio. La Morrigan ha tenuto Sorcha in vita.
Fa scorrere un dito lungo la guancia di Sorcha insanguinata e segnata dalle lacrime.
«Mi piace questa canzone. Hai una voce così bella, uccellino.» Poi afferra Sorcha per
i capelli e dice, «Vieni, ora. Ricomponiamoti e proviamo qualcos’altro.»
La Morrigan trascina il corpo spezzato di Sorcha attraverso gli alberi scuri. Sorcha
non smette mai di cantare.
CAPITOLO 31 Traduttore: Eloise
Spingo via Sorcha e vomito. Considerando il suo ricordo, dubito che avrei potuto
tenermi dentro qualcosa. La mia mente continua a ripensare a quell’immagine; le
articolazioni spezzate di Sorcha. La sua canzone sconnessa.
Io ero il suo intrattenimento.
«Non ti è piaciuto quello che hai visto?» Chiede con tono beffardo da dietro di me.
Sotto però percepisco un fremito nella sua voce, un accenno di vulnerabilità. «Prima
lezione, Falconiera. Non irrompere nei pensieri di qualcun altro se non li puoi
sopportare.»
Aithinne mi prende il braccio per alzarmi. «Cos’hai visto?»
Tutto. Chiudo gli occhi per un attimo. Tutto. «Mi dispiace.»
Alzo lo sguardo verso Sorcha e vedo che si sta aggrappando al tronco di un albero
come per sostenersi. Come se stesse recuperando i resti dell’armatura che le sono
rimasti e la stesse ricostruendo. Un’armatura che avevo fatto a pezzi come se non
significasse nulla.
«Mi dispiace» ripeto.
Gli occhi di Sorcha lampeggiano di rabbia. «Non voglio la tua pietà» storce le
labbra, «vuoi sapere perché ti odio così tanto, Falconiera? Non è per la tua patetica
relazione con Kadamach. Tu sei una ragazza con un viso decente e un minimo di
capacità in battaglia e lui è un uomo e gli uomini sono stupidi. No, ti odio perché
credi di essere così tanto al di sopra della mia razza, quando la verità è che tu sei
spietata quanto tutti noi.»
Non so come replicare, non ho nessuna risposta intelligente. Perché è vero. Sono
una ragazza temprata dalla guerra la cui disperazione le sta consumando l’anima.
Sono entrata nella sua mente due volte.
«Lascia che ti ripeta ciò che ho detto prima, ora che non ho una spada alla gola.
Non. Mi. Ricordo.» Dice l’ultima parola in un ringhio. «Quando sono venuta qui la
prima volta e sono stata catturata dalla Morrigan, mi ha mandato a cercare il Libro
dato che le serviva il mio sangue per aprirlo. L’ho trovato. Ma non ricordo come o
che aspetto avesse. So solo che in qualche modo l’ho perso e la Morrigan si è
divertita da matti a punirmi per il mio fallimento.»
Mi ha mandato a cercare il Libro. «Mi stai dicendo» dico con cautela, «che la
Morrigan non ha il Libro?»
Sorcha mi guarda con impazienza. «Qualcuno dia a quest’umana una medaglia per
le sue doti investigative. Sei un prodigio, Falconiera.» Quando le lancio
un’occhiataccia, lei mi spiega, «il Libro era nascosto qui e, quando la Morrigan è
venuta a cercarlo, la Cailleach l’ha intrappolata. La Morrigan continua a cercare il
Libro e una via d’uscita da quel momento.»
La storia secondo cui la Morrigan aveva trovato il libro era falsa, allora. Ciò
significa che abbiamo ancora la possibilità di rivendicarlo.
Fisso Sorcha, ora a disagio con tutto ciò che ho visto nella sua testa. Mi sta dicendo
la verità. Lo so. Ho tantissime domande, ma prima… «Se non ricordi come l’hai
trovato, allora magari Aithinne può…»
«No» fa una smorfia, «se la Morrigan non è riuscita a ripescare quel ricordo dalla
mia mente, cosa ti fa pensare che questa sempliciotta incompetente possa farlo?»
«Non sono incompetente» ribatte Aithinne con leggerezza, «è solo che ti odio.»
Sorcha solleva gli occhi al cielo, afferra le gonne e mi passa di fianco. «Sentite,
troviamo Kadamach e facciamola finita così posso liberarmi di voi due.»
Non fa in tempo ad andare lontano che un sonoro crack ci fa paralizzare.
Afferro la spada, con gli occhi che scrutano gli alberi. «Cosa diavolo è stato?»
«Cosa darei per avere i miei poteri» mormora Aithinne, voltandosi di scatto a un
altro debole fruscio di cui non riesco a capire la provenienza.
«Che ne dici di una spada?» Dice Sorcha a voce bassa. «Ho già giurato di non
piantartela in mezzo alle costole…»
Pop! Pop pop!
Ci voltiamo proprio mentre una quercia enorme dietro di noi si inclina in avanti.
Mi sposto di lato, cercando di togliermi di mezzo prima che cada. Non cade. Quel
dannato albero si muove.
I rami cercano di afferrarci come dita nodose e scricchiolanti. Le radici si
avvolgono intorno alle caviglie di Aithinne e la strattonano all’indietro. Cade a terra e
l’albero la trascina a forza sul terreno umido.
«Andate!» Urla Aithinne. Usa la sua spada, menando fendenti per liberarsi. Si alza
in piedi e inizia a correre. Corriamo attraverso il bosco fitto. Con i nostri stivali che
calpestano il fango e l’acqua, è difficile muoversi velocemente. Le foglie scivolose a
terra ostacolano ulteriormente la nostra corsa, ma andiamo avanti. Non rallentiamo.
Dietro di me sento i rami che schioccano, c’è uno schianto quando una radice pesante
colpisce il terreno.
Lancio uno sguardo a Sorcha e vedo un movimento alla mia sinistra. «Dietro di
te!»
È troppo tardi. I rami avvolgono il busto di Sorcha, sollevandola da terra. Gli alberi
la trascinano indietro nel fango, sbattendo dolorosamente il suo corpo a terra.
Non posso fare a meno di pensare per un attimo: Lasciala lì.
Ma, anche se Sorcha non può aiutarmi a trovare il Libro, ho comunque bisogno di
lei per aprirlo. È l’unico motivo per cui mi prendo la briga di salvare la sua vita
inutile. Ha ragione: sono spietata.
Mi lancio in avanti, tagliando l’albero. Il metallo fae lo lacera facilmente… ma un
ramo mi afferra la caviglia. Lo colpisco, staccandolo prima che abbia una presa
ferma. Poi barcollo per afferrare il braccio di Sorcha.
«Dannazione, era ora, Falconiera.»
La mia spada sibila nell’aria quando la libero. «Ho pensato di abbandonarti.»
«Lo sapevo.»
La trascino con me e comincio a correre. «Questo non significa niente. Mi servi
per aprire il libro. Ti odio lo stesso.»
«Credimi, Falconiera, so che le tue ragioni sono tutto tranne che nobili.»
Dov’è Aithinne? Guardo a sinistra e la vedo lottare con un albero imponente… e
altri cominciano ad avvicinarsi. La Morrigan ha riportato in vita tutta la dannata
foresta.
Aithinne fa un salto per evitare un ramo, ma un altro viene proprio verso di lei. Si
rannicchia, con la spada che colpisce in alto. Con una lingua rincorsa, ci raggiunge.
La sua espressione è cupa; la sua spalla sanguina.
Ci apriamo un varco tra i rami che cercano di raggiungerci, lottando e graffiando
per uscire. La foresta è fitta… troppo fitta. Non riesco a vedere dove finisce e questo
assalto è esagerato e troppo veloce. Mi bruciano i muscoli. Mi sto affaticando.
Quando recido un ramo, un altro prende il suo posto. E un altro. La loro presa è forte,
violenta, mi lascia dei lividi rossi sui polsi e sulle braccia.
«Lì» ansima Sorcha.
Attraverso la fila di alberi c’è un portale scintillante.
L’urlo di Aithinne cattura la mia attenzione. Agita la spada con movimenti veloci.
Quando mi raggiunge, Aithinne mi spinge con violenza. «Attraversa il portale! Trova
il Libro!»
I suoi occhi argento sono luminosi. «Lascia che ti faccia guadagnare tempo.»
«Ma…»
«Idiota» ringhia Sorcha, afferrandomi per la maglia. Mi tira con forza e comincia a
correre. Scattiamo verso il portale, i rami intorno a noi che si fanno sempre più vicini.
Non ce la faremo. È troppo lontano.
Troppo lontano.
No, siamo quasi lì. Concentrati. Trova Kiaran. Trova il Libro. Uccidi la Morrigan.
Solo un altro po’…
Un ramo si avvinghia intorno al mio polso e lancio un urlo, squarciandolo con la
spada. Un altro mi toglie la terra da sotto i piedi. Colpisco il terreno e il ramo mi
trascina senza pietà, ma artiglio il fango per raggiungere la spada e tagliarlo. Riesco a
rimettermi in piedi, ma poi mi afferra di nuovo con una stretta dolorosa al braccio.
Sorcha è lì. Sfila un piccolo pugnale dal fodero che ho al polso e sorride mostrando
le zanne. «Immagino di doverti far guadagnare tempo anche io. Questo non cambia
proprio niente.»
Recide il ramo, mi afferra per il cappotto e mi spinge con forza attraverso il
portale.
CAPITOLO 32 Traduzione: Eloise
Il portale mi spedisce al margine di un campo buio illuminato dalla luna. I miei
occhi ci impiegano un attimo per abituarsi abbastanza da notare che ci sono delle
sagome a terra. Delle forme che non riesco a distinguere….
Dei passi scricchiolano sul prato dietro di me. Dalla foresta di alberi, il basso
mormorio della voce di Sorcha viene trasportato fino al limite del campo.
Poi: «Uff! Aithinne, puoi lasciarmi…»
«Il tuo braccio non è muscoloso come pensavo.»
«Quello non è il mio braccio, idiota.»
Mi volto proprio mentre incespicano fuori dagli alberi. Aithinne si sta staccando i
rami e le foglie dai capelli e Sorcha sta strattonando il tessuto pesante del suo vestito.
I suoi tacchi affondano nel campo mentre procedono verso di me.
«Sono contenta che ce l’abbiate fatta» dico.
«Certo che ce l’ho fatta» risponde Aithinne allegramente, «sono fantastica.»
«Un albero ti ha bloccata» dice Sorcha con un grugnito. «Ho dovuto liberarti e
trascinare il tuo culo pesante nel portale proprio quando si stava chiudendo…»
Aithinne per poco non va a sbattere contro Sorcha, che si è paralizzata sul posto.
Guarda dietro di me e le manca il fiato. «Oh, dio.»
Seguo il suo sguardo e un brivido gelido mi attraversa. Le sagome a terra, che non
ero riuscita a distinguere, sono parti umane. A miliardi. Nessuna è intera o attaccata:
solamente un campo di arti e cuori e altri organi che spuntano dal terreno come se
fosse un giardino.
Questa non era una battaglia. Non era neanche un massacro. Era solo un
divertimento. C’è della premeditazione, un senso perverso di piacere nel modo in cui
il campo è stato coltivato e le parti del corpo separate le une dalle altre. Cuori. Arti.
Organi. Teste. Allo stesso modo con cui si separano le aiuole in base alla loro specie.
Ogni parte è perfettamente intatta. Non ci sono segni di putrefazione, non c’è
neanche il cattivo odore. Come ha detto Derrick, i daoine sìth non deperiscono. Per
questo le loro teste vengono bruciate, altrimenti finiscono così. Non riesco a guardare
la pila di teste, i tratti così immacolati che sembrano ancora vivi.
C’è solo una forte puzza di sangue nell’aria. Come se la Morrigan l’avesse usato
per fertilizzare la terra. È così pesante che devo deglutire per non vomitare.
Barcollo all’indietro finché non sfioro la spalla di Sorcha. Dio, anche attraverso il
vestito e il cappotto, percepisco che la sua pelle è gelida in modo allarmante. Non si è
mossa di un centimetro.
«Che diavolo è questo?»
Sorcha mi lancia un’occhiata furiosa. «Cosa pensi che sia?» Chiede in un sibilo,
«sono tutti quegli sciocchi che sono venuti a reclamare il Libro. Erano inutili senza il
sangue della mia stirpe che lo aprisse. La Morrigan gioca con loro per qualche
centinaio d’anni e alla fine si stufa. Allora li uccide e li aggiunge al suo giardinetto.»
Al di sotto del rancore di Sorcha si percepisce un leggero fremito che rivela la sua
paura. Ho visto il suo ricordo; Sorcha deve aver vissuto nel terrore di essere aggiunta
un giorno alla disgustosa collezione della Morrigan, di essere fatta a pezzi un’ultima
volta e non resuscitata. La sua voce deve essere stata l’unica cosa che l’ha salvata.
Sento il battito rimbombarmi nelle orecchie quando do un’altra occhiata. Il campo
si estende come l’oceano. Devono esserci voluti migliaia di anni in cui le fate sono
passate dal portale per creare un campo così grande.
«Pensavo che non si potesse trovare il portale senza il tuo sangue» dico.
Sorcha distoglie lo sguardo dal panorama davanti a noi. La sua espressione torna
ad essere sdegnosa. «Che osservatrice, Falconiera. I miei antenati conducevano altri
fae alla porta, riscuotevano il pagamento e poi li lasciavano lì alla mercé della
Morrigan. Perché pensi che abbia ucciso tutti i miei parenti? Non l’ho fatto solo
perché li trovavo irritanti.»
«A parte me» dice una voce bassa accanto a noi.
Mi blocco. La sua voce. La voce che ho sentito per settimane nella stanza degli
specchi. I denti sulla mia pelle, sulla mia gola, che mi mordono più e più volte. Che
mi indeboliscono sempre di più finché non smetto di contrastarlo. Finché non lo
lascio fare. E non mi perdonerò mai per questo.
Lonnrach. Non si sta nascondendo. Non più. È qui.
Quando prendo la mano di Aithinne, la sua pelle è fredda e sudata. Quello che
Lonnrach ha fatto a lei è stato peggio. L’ha torturata per duemila anni in una prigione
fatata al di sotto di Edimburgo, uccidendola più e più volte anche se non poteva
ammazzarla definitivamente.
Lonnrach l’ha fatto solo perché Aithinne e Kiaran hanno rinunciato ai loro troni e i
regni sono andati in pezzi. Aithinne è colei che ha creato la prigione che ha
intrappolato lui e gli altri fae sottoterra. Ha passato secoli a vendicarsi su di lei per
quel tradimento.
«Mia Regina» dice piano. Poi: «Falconiera. Sei tornata dal regno dei morti e
combatti al fianco di chi ti ha uccisa.» Fa una risata profonda e intensa, e il suono mi
fa rabbrividire. «Sei stata impegnata, eh, Sorcha?»
Sento che mi sta fissando, come se sussurrasse nel mio orecchio: Guardami.
Guardami, adesso.
Alzo gli occhi. È bellissimo, quasi come il principe di una fiaba, con i capelli color
sale, la pelle pallida e gli occhi di un grigio chiaro… ma freddi, duri e pungenti.
Lonnrach è un diavolo dal bell’aspetto.
Sorcha avanza, mettendosi leggermente davanti a me. Mi sorprende come quel
gesto sembri quasi… protettivo. «Cosa diavolo ci fai qui?»
«Potrei farti la stessa domanda.» Lonnrach non sembra intimidito mentre cammina
con disinvoltura nel campo disseminato di organi. «Ma penso di sapere già la
risposta, vero? Sei venuta qui per lui» storce le labbra, «Kadamach.»
Sorcha allunga la mano dietro le gonne e poggia le dita sul mio polso. Cerco di non
mostrarmi sorpresa quando inizia a sfilare il mio pugnale dal fodero, lentamente e
con cautela, perché lui non noti il movimento.
Quindi è per questo che si è messa davanti a me.
«E tu?» La sua voce è tesa. «Sei l’ultima persona che mi aspettavo di vedere alla
ricerca del Libro. Mi avevi detto che ero una stupida a provarci.»
«Avevo un regno e una Regina da proteggere all’epoca» guarda Aithinne con
disgusto, «ora non più.»
«Eh, sì, come cambiano le cose.» Sorcha ha tirato fuori la lama di un centimetro.
«Un giorno sei un cavaliere, il giorno dopo tua sorella infrange le tue fantasie
deliranti sul diventare un monarca. Quindi che complotto arrogante ti ha portato
qui?» Un altro centimetro di spada. Sorcha inclina la testa, come assurta nei suoi
pensieri. «La Morrigan ti ha promesso un patetico piccolo regno tutto tuo? No, è
troppo egoista. L’offerta di essere il suo consorte, allora.» Al suo silenzio, lei ride.
«Oh, sei patetico.»
«Meglio essere il consorte della Morrigan che il cavaliere di questa stronza.» Gli
occhi di Lonnrach si spostano su Aithinne, lei diventa inespressiva. Lui sorride
quando vede la sua mancanza di reazione. «La Morrigan mi ha promesso che potevo
averti. Non ti mancano i nostri momenti insieme, nei tumuli? A me sì.»
Aithinne ha il respiro affannoso. Scuote una volta la testa, bruscamente, e giuro
che la sento pronunciare una parola. No.
«Posso dirti una cosa che ho imparato, fratello?» Sorcha tira fuori del tutto la mia
lama dal fodero e la nasconde dietro la gonna. «L’utilità è ciò che ti tiene in vita. La
Morrigan ha bisogno di uno solo della nostra stirpe per aprire il Libro. Quindi l’altro
dovrà morire.» Solleva l’arma e ringhia, «E non sarò io.»
Lancia il pugnale, che affonda proprio nel petto. Lonnrach urla, ma non lo vedo
cadere; Sorcha mi afferra per il braccio. «Correte! Se ha fatto un patto con la
Morrigan, lei sarà…»
Qualcosa mi afferra con violenza la gamba e barcollo in avanti. Guardo in basso
inorridita e vedo che una delle braccia recise di fae mi tiene per la caviglia, con le
unghie che si conficcano nei miei vestiti per tenermi ferma. È viva. Quella dannata
cosa è viva.
Sorcha mi afferra e mi strappa dalla sua presa. «Aithinne» ringhia, «smettila di
fissare, deficiente. Andiamocene via da qui!»
L’intero campo prende vita come in un incubo. Gli arti recisi si contorcono intorno
a noi, afferrandoci e stringendoci per buttarci giù. Corriamo sul terriccio dissodato,
ogni movimento è reso più difficile dalla molteplicità di membra dei fae; ci
arrampichiamo su di loro, strappandocele dai vestiti per liberarci. Una mano si stringe
sul mio braccio lasciandomi un livido e riesco a liberarmi, ma viene rimpiazzata da
un’altra, poi un’altra e un’altra ancora. Non riusciremo ad andare lontano così.
Un suono attira la mia attenzione sulla fila di alberi dall’altra parte del campo,
dove ci sono altre sagome che si stagliano al chiaro di luna. Il suo cimitero non
comprendeva solo un giardino. La Morrigan teneva cadaveri interi nel bosco.
E ora ha un esercito fae morti.
Fae di ogni tipo sono in fila, ognuno con brillanti occhi blu zaffiro. Gli stessi occhi
che ho visto nella cava. Gli occhi della Morrigan.
Lei parla attraverso la bocca di una fata in primo piano. «Non c’è un posto in cui
nasconderti dove io non possa seguirti. Arrenditi, uccellino.»
Per un pelo Sorcha non mi cade addosso. «Mai.»
Si volta e corre, trascinando con violenza me e Aithinne insieme a lei. Ora ci
facciamo strada nel campo con urgenza, più disperate che coordinate. Qui, nel punto
più profondo del campo, gli arti ci afferrano, con le mani e con le unghie che
strappano i nostri vestiti.
Aithinne schiaccia una mano con lo stivale, ansimando. «Questa fuga fa parte di un
piano?»
«Il piano» risponde Sorcha, «è arrivare al bosco.»
«Al bosco?» Ripete la voce di Aithinne mentre procediamo sbandando per il
campo, scalciando e tagliando la pelle con le nostre spade. «Per caso è un bosco
magico anti-Morrigan?»
«In questo momento vorrei che fosse un bosco magico anti-idiota» sbotta Sorcha,
spezzando le dita di una mano mozzata per liberarsi. «Falconiera, perché non ti rendi
utile e non ci liberi il passaggio?»
«Non dovrei proprio.»
«Cosa diavolo vuol dire?»
L’esercito di fae si sta precipitando verso di noi. Non produce neanche un suono;
neanche un respiro che possa farci capire quanto sono distanti; neanche il rumore di
un passo sul suolo arato. Si sente solo un gelo insopportabile che si avvicina, come se
fosse un’ombra imponente che cala sul paesaggio.
Una mano afferra Sorcha per la caviglia e lei vola a terra con un sospiro
terrorizzato. La prendo per il braccio e tiro, squarciando la mano con la spada.
«Vuol dire…» Schiaccio un altro arto con lo stivale e mi libero il cappotto, «che
questi poteri mi uccidono più in fretta ogni volta che li uso.»
Aithinne si unisce, recidendo gli arti mozzati per crearci un passaggio verso gli
alberi.
«Inutile» sbuffa Sorcha, «se raggiungiamo la foresta, vi ammazzo entrambe con le
mie mani.»
«Non obbligarmi a lasciarti indietro, ingrata…» I fae stanno cominciando ad
avvicinarsi in fretta da entrambi i lati. Troppo in fretta. «Maledizione» mormoro, «e
va bene.»
Mi volto, stendo la mano verso l’esercito di fae in avvicinamento, e rilascio il mio
potere. Non è sufficiente a creargli un danno permanente, cosa che richiederebbe
troppa energia, ma basta per rallentarli. Faccio diventare il giardino una palude che
inghiotte i loro corpi nella terra. I fae cominciano ad affondare fino alle ginocchia,
poi fino alle cosce, in un fango così denso che diventa difficile muoversi.
Gli occhi blu della Morrigan incontrano i miei e dice, «Questo non ti salverà.»
Non rispondo. Sfreccio dietro a Sorcha verso la fila di alberi. Se fosse un qualsiasi
altro posto, il riparo della foresta sarebbe un sollievo… ma la Morrigan può
controllare il paesaggio. Ha tutte le carte a sua favore e noi aspettiamo solo che ci
faccia fuori uno per volta.
«Non possiamo continuare a correre» dico.
«Zitta, zitta, zitta» dice Sorcha, liberando il suo vestito da un ramo. «Smettila di
parlare. So quel che faccio.»
Aithinne e io lasciamo che ci guidi attraverso il bosco oscuro. Corriamo oltre le
radici dei vecchi alberi che si attorcigliano, i nostri respiri che si sono fatti pesanti.
Dove ci sta portando? Siamo così immerse nel bosco che faccio fatica a vedere il
terreno davanti a me, c’è solamente un raggio di luce in lontananza. Sorcha si dirige
proprio lì.
Siamo quasi arrivate. Quasi arrivate. Sorcha ci spinge nella radura e ci fermiamo
all’improvviso sulla sponda di un fiume, dove un’enorme cascata si getta da una rupe
fino alla foresta sottostante.
Sorcha fa un sorriso macabro. «Ora saltiamo.»
Mi volto di scatto a guardarla. «Stai scherzando?»
«Ti sembro il tipo che scherza su queste cose?»
Aithinne si sfrega le mani. «Oh, grazie a dio. Adoro saltare giù da grandi altezze.
Spero di non morire.»
Sorcha si pizzica il naso. «Non capirò mai perché Kadamach non ti abbia ucciso»
mormora. Aithinne fa un ghigno e salta giù dal bordo della rupe. Sparisce nella
nebbia sul fondo della cascata. «Beh, va bene allora.» Sorcha mi guarda con un
sopracciglio alzato. «Tocca a noi. Pronta?»
Chiudo gli occhi e salto con lei.
CAPITOLO 33 Traduzione: Eloise
Atterro perfettamente in piedi, stupita di trovare un terreno solido sotto di me. Apro
gli occhi. Sono in una grotta… asciutta questa volta, grazie a dio, e
sorprendentemente calda. Nel mezzo è stato allestito un focolare con una pila di legna
da ardere. Altri ceppi e bastoni sono ammassati verso il fondo della caverna.
Il posto è una stanza quasi della misura del mio soggiorno a Edimburgo. Ma la
vista di un posto relativamente sicuro è un sollievo tale che potrei buttarmi a terra e
baciare il pavimento, a questo punto.
Sorcha inizia a raccogliere la legna e ad aggiungerla al falò. «Beh?» Dice, «avete
intenzione di sedervi o volete continuare a fissare la parete come due stupide? È una
caverna. Non è niente di che.»
Aithinne fa scorrere le dita sulle pareti con le sopracciglia aggrottate. «Questo
posto è strano. Dove siamo?»
«Una piccola tasca tra due mondi» dice Sorcha, formando una pila ordinata di
legno al centro. «Esistono dappertutto nella prigione della Morrigan e sono gli unici
posti in cui non ci può seguire. Falconiera, smettila di startene lì con la bocca aperta e
accendi questo.»
Accendo il fuoco con un piccolo flusso di potere e sospiro di piacere quando
prende vita. Mi sistemo accanto a lei, grata di poter riposare. «Non potevi scappare
qui quando ti teneva prigioniera?»
Si stringe nelle spalle. «Sono come la porta. Si muovono. E non sono mai più
grandi di una cella delle prigioni degli umani. In ogni caso, sarei stata comunque
prigioniera.»
«Si muovono?» La fisso, «mi stai dicendo che non sapevi se questa grotta fosse
ancora qui quando abbiamo saltato?»
«Ho pensato che se avessimo sentito Aithinne spiaccicarsi su qualche roccia…»
«Avrei dovuto capirlo che avevi in mente qualcosa quando non hai saltato per
prima per salvarti il culo» dice Aithinne, sedendosi accanto a me. Passa una mano tra
i capelli neri annodati. «Alla prossima rupe che incontriamo, ti butto di sotto.»
Sorcha alza gli occhi al cielo e si sdraia a terra. «Se volete scusarmi, mi godrò il
silenzio, dormirò un po’ e non ascolterò voi idiote per le prossime cinque ore.»
Sospiro e guardo Aithinne. «Probabilmente dovremmo dormire anche noi.» Chissà
quando potremo farlo di nuovo?
Nella notte, mi sveglio e trovo Sorcha seduta vicino al fuoco ancora acceso, che
fissa le fiamme, pensierosa. Non so per quanto ho dormito, ma Sorcha ha dei cerchi
neri sotto gli occhi che rivelano la sua stanchezza. Non mi guarda quando mi alzo e
mi siedo silenziosamente accanto a lei.
«Dovresti dormire un po’ di più» dico, «sembri esausta.»
Sorcha inarca un sopracciglio. «Ti preoccupi per me, Falconiera?»
«Per la mia sopravvivenza, sì.»
Fa un piccolo sorriso. «Mi chiedevo quando avresti ammesso che agisci solo per
egoismo, proprio come me.»
«Non è vero, però, no?» Le chiedo sottovoce, «volevi che Kiaran fosse il Re.
Avresti potuto prenderti il trono.»
Lei si stringe nelle spalle. «Non sono nata per questo.»
Fissiamo entrambe il fuoco e mi rendo conto di quante domande desideri farle.
Quanto poco so del passato di lei e Kiaran. So solo ciò che ho ottenuto dal ricordo di
lei e Lonnrach e dalle conversazioni tra lei e Kiaran.
«Perché lo ami?» Non riesco a trattenermi dal chiederle. «Se lui non ricambia?»
Pensavo che Sorcha potesse offendersi per la domanda. Sembra solo pensierosa,
forse un po’ triste. «Non capiresti.»
«Mettimi alla prova.»
Non mi risponde con rabbia. Forse è per la stanchezza. Forse è per i ricordi che
abbiamo condiviso. Forse è qualcos’altro. È l’unica spiegazione che ho quando lei
ammette tranquillamente, «Ci sono delle cose che vanno oltre l’amore. Kiaran è
l’unico che non mi ha mai…» Distoglie lo sguardo.
Deglutisco con difficoltà. «Cosa?»
Il suo sguardo si solleva per incontrare il mio. «Usata.»
«E nonostante questo l’hai obbligato a fare quel voto.» Mantengo una voce calma,
ma non riesco ad evitare un accenno di amarezza. Gli hai comunque tolto la
possibilità di scegliere.
«Non ha torto» dice lei, fissando di nuovo il fuoco. «Non sono migliore del mio
vecchio maestro. Sono diventata proprio ciò che odio, lo ammetto.»
«Cosa vuol dire?»
«La bontà non dura, Falconiera. Diventiamo tutti dei bastardi crudeli e senza cuore
col passare del tempo e se le persone ci feriscono.» Mi fissa intensamente. «Sarebbe
così anche per te, se gli umani vivessero abbastanza a lungo.»
Stringo le labbra. «Aithinne non è così.»
Sorcha sbuffa. «Pensi che Aithinne sia tanto speciale perché crede che gli umani
non siano totalmente inutili. L’avrai anche vista combattere, ma io l’ho vista in
guerra. Credi che sia incapace di essere crudele? Ho attraversato campi di battaglia
formati interamente dalle sue vittime.»
Sussulto e distolgo lo sguardo, fissandolo sulla sagoma addormentata di Aithinne.
«Stava difendendo quelli che ama.»
«Non è così per tutti?» Il tono di Sorcha è beffardo. «All’inizio cerchiamo sempre
di fare gli eroi, Falconiera. Rende più facile giustificare il peggio di ciò che facciamo
dopo.» Poi, dopo un attimo di considerazione: «Forse dovrei fartelo vedere.»
Mi afferra con una presa sicura. I suoi palmi si posano sulle mie tempie e, prima
che possa fermarla, la sua mente si connette alla mia.
CAPITOLO 34 Traduzione: Eloise
Sono in una caverna illuminata dalla flebile luce di una sola lanterna a terra. La
prima cosa che noto è la vastità della grotta, così scura e infinita, con ombre spesse e
soffocanti. La seconda è la puzza, così forte che rischio di perdere l'equilibrio. Morte.
Putrefazione. La sensazione ferrea del sangue versato mi brucia i polmoni. Mi premo
la manica del cappotto sul viso per reprimere l'odore, ma non funziona… è un
ricordo. Non è reale.
C'è una figura seduta accanto alla lanterna, con un secchio al fianco.
Avvicinandomi, noto che è piccola, abbastanza da essere una bambina. Canticchia
mentre si alza, una lunga ciocca di capelli neri scappa dal cappuccio sul retro del suo
vestito mentre lei fa qualche passo e si abbassa…
Mi allontano di scatto quando realizzo che ciò che credevo fosse un cumulo di
rocce scure al di là della luce della lanterna in realtà non è una parte della grotta. È
un'enorme pila di corpi. Centinaia. Migliaia. Si estendono fin dove la luce non può
illuminarli, file e file di soldati fae morti con ancora indosso l'armatura.
La ragazza afferra un corpo per il braccio e lo trascina via dalla pila. Rimuove in
fretta l'armatura, sposta il corpo in un'altra pila, poi trasporta l'armatura verso la luce.
Tira fuori una spugna bagnato dal secchio e toglie il sangue e lo sporco dal metallo
con movimenti veloci ed efficienti. Le sue dita sono aggraziate come quelle di un
pianista, lunghe e affusolate. Tamburellano contro il metallo mentre lei canticchia. La
canzone è familiare; l'ho sentita una volta, sulla sponda di un lago nel sìth-bhrùth.
No, non può essere lei. È troppo piccola per essere…
Ma è lei. Sorcha. Chi altri potrebbe essere? Questo è un suo ricordo.
Mi accovaccio accanto a lei, guardando le sue dita che si muovono agilmente
sull'armatura mentre sfrega e sfrega e sfrega. Se avevo pensato che sembrasse malata
nel ricordo con Lonnrach, non è niente in confronto a questo. Dei cerchi scuri
segnano la pelle pallida sotto i suoi occhi. La pelle che spunta dalla lana nera
malconcia del suo vestito col cappuccio è più pallida del solito, bianca e livida come
uno spettro.
È fragile e gracile come un puledro appena nato e altrettanto instabile. Barcolla
leggermente quando si alza in piedi con l'armatura, facendo cadere nella pila dall'altra
parte della caverna la corazza pesante, l'elmo e altri pezzi scintillanti. Poi ritorna.
Prende un altro corpo. Lo sveste dell'armatura. Pulisce il metallo. E ancora. E ancora.
Ogni tanto, getta l'acqua e riempie di nuovo il secchio di legno da una fonte
sotterranea.
Ancora. E ancora. E ancora.
Rabbrividisco mentre canticchia lavorando, anche mentre le sue mani tremano.
Anche se la sua voce diventa rauca. Anche se il suo respiro diventa affannoso,
irregolare per lo sfinimento. È così stanca che deve sedersi a terra mentre pulisce.
Questo non è il lavoro di una consorte reale. Questo è il lavoro di una…
La sua canzone è interrotta dallo scatto metallico di una serratura. Alzo lo sguardo
quando la pesante porta di legno che conduce alla grotta viene aperta. Compare un
uomo, la sua figura si staglia nella luce del sole pomeridiano. Sorcha chiude gli occhi,
feriti dalla luce. Trattiene il respiro. Nella sua mente, percepisco che brama di uscire.
È rimasta in questa grotta così a lungo. A pulire. A preparare i morti per i loro riti
funebri. A recuperare le loro armature per nuovi soldati che moriranno indossandole
sul campo di battaglia contro i Seelie. È rimasta tra i morti così a lungo. Così a lungo.
È in questa grotta da centinaia di anni.
L'uomo chiude la porta e si avvicina a Sorcha con l'ombra di un sorriso sul volto.
Come il resto degli Unseelie, è bellissimo.
Il rame brunito dei suoi capelli risplende nella debole luce della lanterna di Sorcha.
I suoi occhi sono due pozze nere, resi taglienti dalla malizia e… da qualcos'altro. Una
soddisfazione che non comprendo.
Lei si paralizza quando lui le sfila il cappuccio tessuto grossolanamente dalla testa
e fa scorrere una mano sulle lunghe ciocche scintillanti. «Sei rapida, ban-òglach. Fai
il tuo lavoro in modo così efficiente. Sono soddisfatto di te.»
Sorcha rimane immobile a terra, ma noto che i suoi occhi si riempiono di odio. Il
modo in cui le sue dita si conficcano nel fango ai suoi piedi come se si stesse
trattenendo dal fargli del male. Perché non lo fa? Non è incatenata o legata…
Lui accarezza ancora i suoi capelli, come se la stesse stuzzicando. Qualcosa dentro
di me si stringe per il disgusto, per la rabbia. Per lei.
«Non sono stato giusto? Non sono misericordioso?» Le chiede lui gentilmente. «Ti
ho dato quattrocento anni. Quando prenderai il tuo posto accanto a me?»
Sorcha si allontana di scatto dalla sua presa e sputa ai suoi piedi. «Né ora» sibila
«né mai.»
Le labbra del fae si stringono in una linea crudele mentre tira fuori un fazzoletto
dalla tasca della giacca e glielo porge. «Pulisci.»
Con un grugnito, Sorcha afferra il fazzoletto e pulisce la saliva dai suoi stivali.
«Soddisfatto?» Pronuncia la parola come un'imprecazione.
«No.» Prende la lama che ha in vita e la butta a terra. «Tira su il pugnale e
premitelo sul cuore.» La mano di Sorcha trema, ma fa quello che lui le chiede. I suoi
occhi sono duri, micidiali. «Conficcalo dentro» dice con un sibilo.
Mi premo una mano sulla bocca quando Sorcha spinge la lama attraverso il tessuto
del vestito e poi la pelle. Il suo respiro è rapido, gli occhi si chiudono con forza, ma
lei non urla mai. Percepisco che vorrebbe. Un piccolo lamento esce dalle sue labbra,
ma si morde duramente il labbro inferiore.
«Fermati» dice finalmente il fae. «Proprio lì. Un'ultima spinta e posso obbligarti a
mettere fine alla tua vita. Ogni volta che pensi di sfidarmi, ricordati questo momento.
Ricordalo bene.» Le ordina di rimuovere la lama e Sorcha la estrae con un sospiro
brusco. «Devo chiedertelo di nuovo?» Domanda, mentre lei preme una mano sulla
ferita. «Vuoi prendere il tuo posto accanto a me?»
Lei gli lancia un'occhiataccia. «Preferirei ficcarmi il pugnale nel cuore.»
Il fae non risponde. Si inginocchia accanto a Sorcha e le prende il mento con
violenza. «Hai più grinta persino di tua madre. Un centinaio d'anni qui sotto e
avrebbe fatto qualsiasi cosa le avessi chiesto. Ogni tanto mi pento di aver accettato la
tua offerta di prendere il suo posto. Rimpiango di averti voluto così tanto fin
dall'inizio.»
Sorcha scopre le zanne. «Bene.»
Le dita di lui si stringono sulla sua mascella. «Poi penso a come sarà quando
finalmente accetterai.» Con l'altra mano, percorre il contorno della sua gola, giù fino
alla base del collo dove vedo dei marchi che non avevo notato prima. Marchi che
Sorcha non ha più. La fisso aspramente. Un voto? A lui? «Un giorno lo guarderai e
non lo vedrai più come un peso. Verrai da me di tua spontanea volontà.»
La risata di lei e roca, di scherno. «Un giorno questo marchio sparirà e la prima
cosa che farò sarà squarciarti la gola.»
Gli occhi di lui si induriscono. «Mi obblighi ad essere crudele. Per tua fortuna,
sono anche molto, molto paziente.» La lascia andare e si alza. «Un altro centinaio
d'anni, allora. Questa volta, non ti porterò neanche un umano morente per nutrirti.
Vediamo quanto resisti prima di essere disposta a implorare per averlo.»
La porta si apre mostrando una luce bellissima e poi si chiude brutalmente per
lasciarla nell'oscurità, coi morti.
Il ricordo cambia. I muri scuri svaniscono in una stanza sfarzosa e opulenta in una
tenda enorme. Una grande branda, con delle lenzuola bianche di seta, sembra in realtà
minuscola sul fondo. La tenda è formata da arazzi intricati che rappresentano delle
battaglie. I fae d'ombra contro quelli di luce. Kiaran contro Aithinne.
Al centro della tenda, occupando quasi tutto lo spazio, c'è un ampio e solido tavolo
di quercia. Kiaran è lì, accanto al padrone di Sorcha. No, non Kiaran. I suoi occhi
posseggono lo stesso sguardo oscuro, profondo e privo di speranza che ho imparato a
riconoscere. Questo è Kadamach.
Sta fissando una mappa che copre quasi l'intera larghezza e lunghezza del tavolo,
una riproduzione intricata delle terre dei Seelie e degli Unseelie.
«Se mandiamo una flotta navale» sta dicendo l'altro fae, «possiamo conquistare
facilmente i villaggi portuali. Interrompere le loro vie di rifornimento da lì e
obbligarli a ritirarsi.»
Sorcha è accovacciata ai piedi di Kadamach e gli sta allacciando una protezione di
metallo alla tibia. Lo prepara per la battaglia. Lavora con calma, facendo scorrere con
agilità la cinghia di cuoio. Diavolo, ha un aspetto orribile. Molto peggio di prima. Le
macchie viola sotto gli occhi sono diventate più scure e quei bellissimi occhi verdi
sono accecati dalla fame. È così magra che sembra una delle vittime di Kiaran, così
vicina alla morte che non so come lui non se ne sia accorto.
Quando lei si sposta per allacciare la protezione intorno all'altra gamba di Kiaran e
lui si limita a stendere la gamba senza guardare in basso, capisco perché.
È una serva. Lui non la vede neanche.
Kiaran dà un colpo secco ai pezzi sulla mappa che indicano le loro navi e ne butta
giù uno dopo l'altro. «È questo che pensi, Stratega? Sto perdendo tempo attaccando il
fronte orientale?» Alza gli occhi e rabbrividisco per la freddezza nel suo sguardo.
«Dimmi, perché pensi che lasci i miei soldati sulle nostre terre invece di mandarli in
mare?»
«Mi perdoni. Ho parlato a sproposito.» La voce dello Stratega trema leggermente
per la paura.
«No» dice Kiaran, «non è vero. Rispondi alla domanda.»
Sorcha prende la corazza sul letto. Indebolita per non essersi nutrita, barcolla sotto
il suo peso e poi fa cadere il pezzo di metallo a terra facendo un gran baccano. Si
raggela, facendosi scappare un sospiro terrorizzato.
Kiaran sposta lo sguardo su di lei, come se l'avesse notata per la prima volta.
«Stupida ragazza» ringhia lo Stratega a Sorcha. Le afferra con violenza il braccio.
«Questa volta ti lascio in quella grotta finché non puoi neanche muoverti…»
«Toglile le mani di dosso.» La voce di Kiaran è bassa, pericolosa. Quando lo
Stratega esita, aggiunge, «Ora.» Kiaran indica con la testa la sedia dall'altra parte
della tenda. «Siediti lì e stai in silenzio. Se emetti un suono, ti taglio la lingua e te la
faccio ingoiare.»
Sorcha resta immobile, lo sguardo basso, quando Kiaran le si avvicina.
«Guardami» comanda.
Gli occhi di lei incontrano i suoi. Anche se sembra chiaramente spaventata, il suo
atteggiamento è di sfida. Come se stesse dicendo, Fa’ quello che vuoi. Puniscimi. Non
supplicherò per la mia vita.
Le labbra di Kiaran si contraggono e so che lo vede anche lui. «Perché non mi dici
ciò che non ha saputo dirmi il mio Stratega?» gli chiede, quasi con gentilezza.
«Perché tengo i soldati sulla terraferma?»
Sorcha increspa le labbra. «I Seelie…» La sua voce trema e prende fiato prima di
riprovarci. «Possono parlare con il mare, venire a conoscenza dei segreti dall'acqua.
Saprebbero che stiamo arrivando.» Notando Kiaran in attesa, gli spiega con un
accenno di amarezza, «Ho un fratello. È un Seelie.»
Vedendo il modo in cui brillano gli occhi di Kiaran, so che ha risposto
correttamente. «Cosa proporresti invece?»
«Non sono una Stratega.»
Kiaran agita la mano verso la mappa. «Accontentami.»
Guardo Sorcha osservare in silenzio gli elementi geografici. La sua mente esamina
le possibilità, gli attacchi, i contrattacchi. Si immagina scene di battaglia così come io
pianifico le mie invenzioni, come se fosse una seconda natura.
Alla fine, fa scorrere il dito sulla mappa e si ferma sul passo di montagna. «Lì. È
talmente vicino al mare che la Regina considererà la posizione un vantaggio. Le
scogliere su entrambi i lati sono abbastanza alte perché i nostri soldati possano
sfruttare le ombre per nascondere il loro vero numero.» Alza lo sguardo su Kiaran.
«Potremmo mandare dei soldati che abbiamo sulla costa per condurre i Seelie verso
questo passo.»
«Mi stai suggerendo di sacrificarli.»
Sorcha solleva una spalla. «L'ho detto; non sono una Stratega.» Kiaran guarda la
mappa, guarda Sorcha, guarda il suo Stratega. «Io penso che tu lo sia. Penso che tu
abbia deciso che la vittoria valga la loro morte.» Lei non dice niente mentre lui si
siede al tavolo e la osserva. I suoi occhi notano i disegni sul suo collo. «Porti un
marchio di schiavitù.»
Sorcha si irrigidisce. «Sì.»
«Non mi sembri così stupida da fare quel voto senza un motivo convincente.
Dimmelo.»
«Prima l'ha fatto a mia madre con l'inganno» dice Sorcha. «Io ho visto cosa le ha
fatto. Come il marchio la obbligasse a obbedire a ogni suo comando,
indipendentemente da quanto male le facesse. Non sarebbe vissuta ancora a lungo se
fosse rimasta con lui» solleva il mento, «quindi mi sono offerta di prendere il suo
posto, perché ero stupida. Ero una bambina.»
L'espressione di Kiaran non cambia. «Ti ha ordinato di ucciderla.»
Le labbra dell'altra fae si stringono, ma non emette nessun suono. Non vuole
rischiare che Kiaran faccia buon uso delle sue minacce.
«Sì» dice Sorcha, questa volta con la voce che trema dalla rabbia. «Ovvio che sì.
Non era lei che voleva.»
La voce di Kiaran è quasi dolce quando le chiede, «Quando è stata l'ultima volta
che ti sei nutrita?»
Lei emette un respiro rabbrividendo. «Quasi duecento anni fa.»
Percepisco la sorpresa di Kiaran. La sua faccia rimane impassibile come sempre,
ma c'è qualcosa che cresce nel suo sguardo, qualcosa di rabbioso. Qualcosa di
spietato. «Vorresti ucciderlo?»
Nell'angolo della tenda, lo Stratega emette un basso suono strozzato.
Sorcha fa un piccolo sorriso, come la punta di un pugnale. «Ogni giorno.»
Gli occhi di Kiaran si spostano sullo Stratega. «Liberala dal suo voto.»
La voce dello Stratega trema quando parla. «Ma, mio Sire…»
«Non era un suggerimento» dice Kiaran con freddezza. «Non farmelo ripetere.»
L'altro fae guarda Sorcha e chiude gli occhi sconfitto. Le sue parole sono poco più
di un sussurro. «Ti libero dal tuo voto.»
Sorcha si piega in due con un urlo tagliente mentre il marchio intorno al suo collo
si illumina di rosso come metallo fuso. Il marchio va in polvere sui suoi vestiti. Si
raddrizza, le dita che toccano la clavicola con uno sguardo attonito sul viso. Quando
guarda Kiaran, lo fa con sollievo e gratitudine. «Grazie, mio Re. Grazie.»
«Non ringraziarmi. Non faccio niente per gentilezza.» Kiaran prende la lama che
tiene sul fianco, tira fuori il pugnale e glielo passa per il manico.
«Hai detto che desideri la sua morte. Prenditi la tua vendetta.»
Il sorriso di Sorcha si allarga. «È quello che ho in mente.»
Lo Stratega è in piedi e si avvia verso l'uscita della tenda, ma Sorcha arriva per
prima. Non ha possibilità. Si lancia su di lui, rilasciando il suo potere con una forza
sorprendente per tenerlo fermo. Poi prende la lama e gli squarcia la gola. Non si
ferma lì. Lo pugnala più e più volte, lanciando un urlo ogni volta. Va avanti così a
lungo che chiudo gli occhi per non guardare.
Quando finisce, ha il respiro pesante e gli arti che tremano. È ricoperta di sangue.
Gli occhi bagnati dalle lacrime.
Non nota neanche Kiaran che si avvicina. «Dimmi il tuo nome.»
«Sorcha» sussurra.
«Sorcha.» Lei chiude gli occhi, come se il suono del suo nome sulle labbra di lui
fosse una canzone che solo lei può sentire. «Pare che abbia bisogno di un nuovo
Stratega. Sei interessata?»
«Sì.» Il suo sorriso mostra i denti, cosa che mi è familiare. «Oh, sì.»
Quando Sorcha mi tira fuori dai suoi ricordi, stiamo tremando entrambe. I suoi
occhi sono spalancati, leggermente bagnati. «Lascia che ti chieda una cosa: se avessi
potuto uccidermi la notte in cui ho ammazzato tua madre, come l'avresti fatto?»
Chiede.
«Sarebbe stato veloce, per pietà? O mi avresti tagliato la gola e pugnalato un
centinaio di volte come ho fatto col mio padrone?»
Non incontro il suo sguardo. So quale avrei scelto. Lo sa anche lei.
«Vedi?» Ansima. «Dovresti essere grata che lui ti perderà prima che la sua preziosa
Falconiera si trasformi nel mostro spietato che vedo nel tuo cuore. Diventeresti
proprio come me se ne avessi l'opportunità. La vendetta ci rende tutti dei mostri alla
fine. Ricordatelo.»
«Sorcha…»
«Basta.» Si alza e si allontana. «Basta così. Torno a dormire.»
La guardo mentre si rannicchia sul fondo della grotta, da sola.
CAPITOLO 35 Traduzione: Eloise
Un grido affannato mi sveglia. «Kam!»
Mi metto a sedere in fretta, col cuore che batte all'impazzata. «Kiaran?»
Sorcha e Aithinne stanno ancora dormendo accanto ai tizzoni morenti del falò.
Nessuna delle due si è svegliata. Me lo sono immaginata? Era così forte, come se
fosse appena fuori dalla grotta.
«Kam!»
Barcollo in piedi. Direi proprio che non me lo sto immaginando.
Potrebbe essere un inganno.
Sento di nuovo la chiamata di Kiaran, così vicina, e sembra così addolorata che il
mio petto si stringe al sentirla. Prendo da terra il cinturone con la spada e me lo
allaccio sui fianchi mentre mi dirigo verso l’apertura della grotta. Lui chiama di
nuovo, più concitato. Mi trasmette così tanta paura che non riesco neanche a pensare
lucidamente. Il mio istinto mi dice di correre fuori e cercarlo.
Fa’ solo un passo fuori e, se non lo vedi, torna dentro.
«Kiaran?» Chiamo, uscendo dalla grotta. Un solo passo.
Si apre un portale e vengo trascinata all'interno.
All'improvviso, sono in una sala da ballo. Uomini e donne ballano un valzer
serrato intorno a me, come in uno di quei saloni di di Edimburgo…
Mi si blocca il respiro in gola. Sono nel Salone delle Assemblee di Edimburgo.
Riconosco il grande lampadario, che immerge la sala in un bagliore luccicante. Le
lanterne di vetro colorato che fluttuano sul soffitto, diffondendo luci rosse, verdi,
gialle e blu sulle pareti dorate. Attorno a me c'è un fruscio di gonne mentre gli uomini
fanno piroettare le loro compagne per la stanza, ognuna in perfetta sincronia con i
violini dell'orchestra che suonano una melodia pimpante. Quella che ricordo nei miei
incubi.
Quella che suonavano quando mia madre è stata uccisa.
Stordita dall'orrore, guardo il mio vestito. Il mio vestito. Il vestito. Le mie dita lo
strappano per assicurarsi che sia…
Reale. È reale. Ma non può esserlo.
L'ultima volta che ho indossato questo vestito, è stato per il mio debutto. Persino le
scarpette rosa imperlate che fanno capolino da sotto le gonne sono le stesse. Il mio
respiro si blocca in gola.
«Posso avere l'onore?» La mano guantata di un gentiluomo entra nella mia visuale.
Questo non è reale. Non è reale. Non è…
«Milady?»
Il gentiluomo ha un sorriso perplesso sul volto anonimo. Sembra innocuo, ma c'è
qualcosa di sbagliato in lui. C'è qualcosa di innaturale nel suo aspetto. Il suo sorriso è
un po' troppo amichevole. La sua pelle un po' troppo pallida. Un lampo di colore
attraversa i suoi occhi e sparisce così in fretta che potrei essermelo immaginato.
Poi un guizzo sulla sua pelle, come un'ombra che passa sulla superficie dell'acqua.
Mi chiedo per un attimo se me lo sto immaginando, ma quando tocco la sua mano, è
calda. Solida.
Prendo un respiro. «Devo andare.»
Quando mi giro, mi afferra con forza il braccio. Le sue dita fanno pressione sulla
mia pelle, lasciando il segno. «Non vai da nessuna parte.»
«Lasciami o ti spezzo le dita.»
Senza aspettare risposta, mi libero dalla sua presa e corro verso l'uscita. Un altro
gentiluomo mi blocca la strada, alto e biondo, ma con un viso altrettanto indefinito.
Lo stesso viso? «Milady, credo che mi spetti questo ballo.»
Devo uscire da qui.
«No» dico. «Lasciami passare…»
Lui mi afferra la mano. La sua presa è così forte che lancio un urlo.
«Basta!»
Lotto, ma il gentiluomo mi trascina in mezzo alla pista. Lo attacco con il piede,
prendendolo al ginocchio, ma non fa una piega. Avvolge le lunghe dita intorno al mio
polso e mi strattona così forte che inciampo.
«È più facile se non lotti.» Per poco non mi blocco per il suono simile alla voce di
una donna che si cela sotto la sua voce maschile da baritono.
Muoviti!
Afferro la sua mano, gli romperò tutte le dita se devo… ma lui mi trascina in un
valzer.
Appena prima che gli pieghi le dita all'indietro, una scossa dolorosa mi attraversa.
Potere, denso e opprimente, mi stordisce. Non ho il controllo sul mio corpo. Non
importa quanto mi sforzi, i miei piedi non ascoltano. Non corrono. Non scalciano,
non colpiscono, non fanno niente di tutto quello che la mia mente sta urlando di fare.
Ballo come un burattino accondiscendente. Una pedina.
Sono io la pedina? Poi penso alle parole di Sorcha. Magari sono l'intrattenimento.
Sono così appiccicata a questo sconosciuto che riesco a sentire il suo calore
attraverso il mio vestito, e non è un calore normale. Brucia. Il potere brucia così forte
nell'aria che rischio di vomitare. Sa di fumo nella mia gola, di carbone nei miei
polmoni. Riesco a malapena a respirare. A malapena a pensare.
La Morrigan. Mi ha attirato qui e sono completamente, totalmente sola.
L'immagine fugace di Sorcha mi attraversa la mente. Dei suoi arti maciullati e della
sua voce tremante mentre cantava.
Ricomponiamoti e proviamo qualcos'altro.
«Ferma» sussurro, «ferma.»
«Vuoi che mi fermi?»
Le mani della Morrigan si stringono su di me e sento l'accenno inconfondibile
degli artigli che graffiano il tessuto del vestito. Il suo respiro è sul mio collo e
percepisco il rapido morso dei suoi denti. Finisce così in fretta. Un avvertimento. Un
sorso. Uno che dice, Sei mia.
«Ma ti sto solo restituendo il favore, piccola umana. Una piccola vendetta per
avermi ucciso nella grotta. Come ci si sente?»
Ora è la sua voce, chiara e distinta. Un sussurro rauco che mi fa pensare alla
distruzione e al caos imminente.
«Va all'inferno.»
La sua risata mi gela il sangue. «Quanto mi mancavano gli umani. Così espressivi
e tremendamente stupidi.» La sua voce mi travolge come un'onda crescente
d'inverno. Veloce, spietata. Fredda. «Perché sei qui, Aileana Kameron?»
Corro il rischio di fare una domanda con tono beffardo. «Non mi puoi leggere la
mente?»
«A tratti. Come questa sala da ballo e questo ricevimento monotono. Ma a
differenza dei tuoi amici, hai ancora il potere di proteggere i tuoi pensieri.» I suoi
artigli si stringono sui miei fianchi. «Adesso dimmi perché sei venuta qui, prima che
affondi gli artigli nelle tue budella.»
«Sai perché sono qui. Voglio il tuo Libro.»
«Tutti vogliono il mio Libro per i propri scopi. Potere, avidità, deliri di
onnipotenza. Quali potrebbero essere i tuoi?»
Mi allontano abbastanza da vedere la sua faccia, quelle ciglia scure e fuligginose
che incorniciano degli occhi color zaffiro luminosi e feroci. «Voglio salvare il mio
regno.»
Il potere della Morrigan mi scorre sulla pelle, affondando nelle mie vene e
sfiorandomi le ossa. Forte, così simile al mio. È la sorella della Cailleach. Si
attraggono.
«Tu sapevi già cosa fare per salvare il tuo regno» dice lei. «È parte della mia
maledizione. Tutto ciò che serviva era che uno dei due morisse. E invece, li hai
portati entrambi da me. Che fortuna inaspettata.»
Chiudo gli occhi per un attimo mentre realizzo il significato delle sue parole. Li ho
portati entrambi dal loro nemico più grande… indeboliti, coi poteri bloccati,
praticamente umani.
«Li ucciderai?»
Le sue labbra si arricciano in un sorriso. «Non sacrifico le mie pedine finché non
sono sicura di poter vincere.»
Io non sono una pedina, allora. Sono la chiave. Sempre la chiave.
«Cosa vuoi da me?» Sussurro. Non sarebbe qui, a ballare con me, se non volesse
qualcosa.
Gli occhi della Morrigan risplendono. «Sai qual è il lato peggiore di ciò che mi ha
fatto mia sorella?» Chiede, invece di rispondermi. Il suo pollice mi sfiora la guancia.
«Non il fatto di avermi tradito e neanche di aver provato a distruggermi. È il modo in
cui mi ha lasciato: senza un corpo. Né morta, né viva, bloccata in questo stato a
metà.» Si piega in avanti, la voce che mi sfiora la pelle come un soffio di seta. «Cosa
voglio da te, Aileana Kameron? Voglio il tuo aiuto. Voglio il mio Libro.»
Ovvio. Vuole che io faccia ciò che Sorcha non è riuscita a fare: portarle il Libro. E
se non lo facessi…
Le parole di Sorcha mi riecheggiano nella mente. Io ero il suo intrattenimento.
Se la Morrigan non sa dov'è il Libro, c'è ancora una possibilità di rubarlo, farlo
aprire a Sorcha e renderlo mio.
Il piano regge ancora. Trova Kiaran. Trova il Libro. Uccidi la Morrigan.
«Ti consiglio di non considerarla un'ammissione di debolezza» dice la Morrigan
con tono acceso. «Se non farai ciò che voglio, ti farò a pezzi. Senza sforzi.»
«Se potessi farmi del male così facilmente, l'avresti già fatto.»
«Ti ho quasi fatto uccidere dal tuo amante nella grotta.»
«Ma non è successo. Alla fine non ci sei riuscita.»
Adesso sorride. È come la lama di un rasoio. «Che ragazzina intelligente che sei.
Capisco perché mia sorella abbia passato a te i poteri e non a uno dei suoi inutili figli.
Peccato per il tuo corpo da umana.»
«Perché mi chiedi di trovare il Libro?» Dico, ignorando la sua frecciatina sulla mia
mortalità. «Perché ho i poteri della Cailleach? Solo perché è stata lei a nascondertelo
non vuol dire che io sappia dove si trova.»
Un lampo di irritazione le attraversa il volto. «Mia sorella? Per favore. Non
sarebbe mai riuscita a farlo senza che lo individuassi.» La sua voce è tagliente. «È
stata quella ragazza… la mia consorte. Ho sempre saputo che era troppo debole. Ha
rubato il Libro, l'ha portato a mia sorella e l'hanno nascosto qui insieme. Quando le
ho seguite, la Cailleach ha ucciso il mio corpo e mi ha intrappolata.» Storce le labbra
con disgusto. «Spero che la mia maledizione l'abbia fatta soffrire.»
Aithinne aveva ragione a non fidarsi delle storie che aveva sentito. Persino il fae
più anziano con cui aveva parlato probabilmente non era in vita quando la Cailleach
originale aveva tradito la Morrigan. Mi balena in mente un pensiero: forse Sorcha ha
cancellato i suoi stessi ricordi per proteggerlo.
Per assicurarsi che la Morrigan non potesse leggere la sua mente per trovarlo.
Mantengo un'espressione neutrale. «Non hai risposto alla mia domanda. Perché
io?»
Le sue dita mi sollevano il mento e incontro i suoi occhi. Il loro blu brillante non li
rende meno profondi, tanto quanto un abisso. C'è qualcosa di vendicativo nel suo
sguardo, qualcosa di furioso che è stato alimentato per secoli e secoli. «Il mio
uccellino era come te un tempo. Testardo, ostinato. Gironzolava con le sue ali
sgargianti e le sue canzoni selvagge e io pensavo tra me e me: quelle ali starebbero
meglio dipinte del rosso cremisi del sangue e la sua voce sarebbe ancora più bella da
una gabbia ideata da me.»
Sorcha. Sta parlando di Sorcha. Uccellino.
Arti rotti come ali strappate. Una voce inquietante come una ninna nanna in
gabbia. Il guscio vuoto di una ragazza.
«Era così bella. Mi sarebbe piaciuto averla al mio fianco a cinguettare, sotto il mio
controllo. Ma non sapeva usare il mio Libro e questo la rendeva inutile.»
Non sapeva usare il mio Libro. Le sue parole mi ronzano in testa. Sorcha non
sapeva comunque usare il Libro. Non mi stupisce che abbia giurato di darlo a me…
come se fosse una concessione, uno scambio. Kiaran per il Libro. Me l'ha dato così
facilmente, e io non mi sono mai fermata, neanche per un momento, a chiedermi
perché.
Perché sono una stupida. Una stupida facilmente manipolabile che aveva tutto da
perdere. E quando hai tutto da perdere, per gli altri è sufficiente scegliere che arma
usare contro di te.
Cerco di non far trapelare niente dalla mia espressione, ma evidentemente non ci
riesco. Le labbra della Morrigan si contraggono. «Non te l'ha detto.» Butta indietro la
testa e rido. «Oh, il mio uccellino intelligente. Sempre così creativa.»
Distolgo lo sguardo. «Dimmi perché me lo chiedi e basta.»
«Certo.» Il suo sorriso sparisce alla stessa velocità di un fendente. «È stata la
precauzione di mia sorella: solo coloro che appartengono alla stirpe della mia
consorte possono aprire il Libro, ma non lo possono usare. Non si è mai fidata di
nessuno per davvero. Non l'ho mai saputo finché non ho letto i ricordi del mio
uccellino.»
«Sorcha mi ha detto che sono stati cancellati» replico, senza pensare. Non cedere
informazioni facilmente. Lascia che lei ti dica tutto.
Gli occhi della Morrigan si infiammano di rabbia. «Sì, quella stupida ha cancellato
quello che ha potuto. Tutto ciò che mi è rimasto sono frammenti. Solo i suoi pensieri.
Abbastanza per scoprire che ha cercato di usare il Libro, fallito e poi perso. All'inizio
l'ho punita, ma alla fine sono stata obbligata a lasciarla volare via. Non ho mai
superato la perdita del mio uccellino. Era la mia preferita.»
Uccellino. Ali strappate. Canzone inquietante. Ragazza vuota.
Smettila. Concentrati.
La mia mente è una baraonda di domande, ma riesco a farne solo una. «Perché non
trovare tu stessa il libro e usarlo?»
«Anche se lo trovassi, non ho un corpo» dice brevemente. «E possedere qualcun
altro non funziona. Un'altra precauzione per impedirmi di usarlo.» La sua espressione
diventa amara. «Mi serve comunque il sangue del lignaggio del mio uccellino per
aprire il Libro e ho comunque bisogno di qualcuno che possa veramente usarlo. Tu.»
«Avresti potuto chiedere a Kiaran e Aithinne.» Quando i suoi occhi si stringono,
capisco perché. «Ah, ho capito. Temi che se uno dei due lo usasse potrebbe diventare
più potente di te.»
«Tu sei umana.» La Morrigan sembra spazientita. «Hai il potere di mia sorella e
stai morendo. Sei la scelta più ovvia.»
«Quindi sono la persona che ha più ragioni di aiutarti.» Non risponde; non ne ha
bisogno. «Cosa mi offri in cambio?» Chiedo, pensando al patto di Lonnrach.
La Morrigan sorride. «Bene, bene. Hai imparato parecchio dai miei simili, eh?
Molto bene. Cosa vorresti?»
Percepisco qualcosa di brutale dentro di me, come se mi stessi consumando agli
angoli. Cosa voglio? Kiaran.
Non dirglielo. «Il mio mondo» blatero, dicendo la prima cosa che mi passa per la
testa. «Intatto.»
La Morrigan mi fissa, come divertita. «Il cuore umano non è abbastanza grande per
farci stare un mondo intero. Qualunque sia la cosa più importante per te, è piccola.
Qualcosa per cui moriresti.»
Serro la mascella. «Come lo sai?»
«Siamo tutte creature egoiste, ragazzina. Anche gli umani.» Si avvicina. «Ecco la
verità: tu vuoi il re maledetto. E se troverai il Libro, sarà legato al mio uccellino per
l'eternità.»
Non dico nulla. Distolgo lo sguardo e lo fisso sulle altre coppie che ballano intorno
a noi. Sono come marionette viventi. Le stesse facce, gli stessi abiti, gli stessi vestiti
di colori diversi. Sono solamente lo scenario di questo incontro per dimostrarmi che,
se vuole, la Morrigan può prendere i miei ricordi e usarli contro di me.
La Morrigan mi afferra per la mascella. «Dammi ascolto.» I suoi lunghi artigli mi
graffiano il collo, non tanto da farmi uscire sangue, ma abbastanza da farmi male.
«Posso farlo tuo. Posso liberarlo dal suo voto se mi aiuti. Lo libererò dalla
maledizione.»
«Non sono ingenua» dico con voce piatta. «Tu vuoi qualcos'altro. Per cosa vuoi
che usi il Libro?»
Le sue labbra si arricciano in un sorriso. «Capisco perché lui ti ama.» Si sporge
verso di me. «Usa il Libro per resuscitare il mio corpo. Fallo, e ti darò tutto ciò che
desideri. La sua maledizione annullata. Il suo voto al mio uccellino svanito.» I suoi
occhi sono taglienti, indagatori. Valutano le mie debolezze. «L'immortalità. Non lo
vorresti? Stare con lui per sempre?» Una morte umana sarebbe una fortuna, aveva
detto Kiaran.
Una fortuna per me, ma non per lui. Ho la possibilità di cambiarlo,
indipendentemente da cosa voglia lui da me. Le parole di Sorcha riecheggiano nella
mia mente. Sei spietata proprio come tutti noi.
Sono spietata. La guerra mi ha corrotto e a volte mi ha resa crudele, non
completamente umana. Per poco non dico di sì. La parola è sulla punta della lingua,
sulle labbra, nella mente, e apro la bocca per sussurrare il mio destino in un singolo
soffio. Sì. Sì, sì, sì.
Finché non ricordo il marchio di Sorcha sul corpo di Kiaran. Un segno di possesso.
Sei mio.
Ce lo stiamo passando come un oggetto. Come se non avesse sentimenti. Come se
fosse un dannato pezzo di proprietà, un possesso, un premio. Sarò anche spietata e
crudele, ma non lo tratterò così; non assomiglio così tanto a Sorcha da privarlo di una
scelta. Non voglio che lui sia mio così disperatamente da ridare alla Morrigan il
potere che aveva un tempo. Non posso permettere che rinasca. Non ne sarò
responsabile.
Quando parlo, la mia voce è dura e decisa. «No.»
Lo sguardo della Morrigan è tagliente come la punta di un coltello. «Pensaci bene
prima di dirmi di no.»
«L'ho fatto. Sempre no.»
La Morrigan agisce in fretta. Mi afferra il braccio, spinge il suo peso sul mio
corpo, e mi sloga la spalla con uno scatto veloce. Un dolore agonizzante esplode dal
mio braccio. Un urlo sconnesso erutta dalla mia gola e mi mette la mano sulla bocca.
«Shh» mormora, premendomi con forza contro di sé. «Non ho detto che potevi
urlare.» Le sue labbra sono sul mio orecchio. «Dimmi di sì, e ti guarirò. Ti libererò
del dolore.»
Quando la sua mano si sposta dalla mia bocca, ringhio, «No.»
Le mie dita trafficano con le armi vicino il polso del mio braccio buono. Veloce.
I suoi artigli si conficcano nella mia spalla, provocandomi un'altra scossa di dolore.
«Distruggerò tutto ciò che ami» sibila. «Farò in modo che tu lo odi. Alla fine ti
spezzerò, proprio come il mio uccellino. Ti farò dire di sì.»
Mi faccio scivolare il pugnale nel palmo. «Troverò il Libro» dico alla Morrigan.
«E lo userò per ucciderti.»
Spingo la lama tra le sue costole.
La Morrigan nel corpo del gentiluomo crolla a terra.
Corri! Fuggo, ma la Morrigan è già in un altro corpo e mi blocca la strada. «Tu mi
aiuterai» insiste, gli occhi che si rabbuiano.
Le squarcio la gola con la spada e la spingo con forza. Prendendo la rincorsa, mi
dirigo verso le doppie porte, con un braccio che pende inutile su un fianco.
Ignora il dolore. Vai avanti.
Un altro uomo mi trascina in un valzer con una presa stretta sulla mia spalla ferita.
La musica dei violini aumenta e diventa stridente, perforandomi le orecchie. Non
riesco a sentire altro, né il mio respiro, né il mio cuore, né i miei pensieri. La
Morrigan mi afferra per i fianchi, le unghie che mi artigliano per tenermi ferma.
Mi passa a un altro gentiluomo. Poi un altro. Un altro. Tutti sotto il suo controllo,
semplici marionette che usa a suo vantaggio. Io volteggio, la vista che si appanna, ho
troppo caldo. Non riesco a prendere aria. Devo andare, devo scappare, ma ovunque
mi giri ce n'è uno e poi un altro. La loro risata è uguale a quella della Morrigan. È il
suono di una lama che sfrega sul metallo. È pungente e violento e disumanamente
melodico.
«Ti lascio pensare» dice la Morrigan attraverso un altro corpo. Poi mi prende il
braccio e lo rimette a posto con la forza. Guarisce la ferita con un rapido flusso di
magia. «Goditi il ballo. Ti spezzerò di nuovo dopo.»
Sono trascinata via in un altro giro. Delle mani salde mi impediscono di scappare.
Il mio respiro si fa più rapido, sono nel panico adesso.
Esci. Vai all'uscita.
Disperata, guardo oltre la spalla del gentiluomo che mi sta trattenendo verso la
porta e…
C'è una ragazza lì in piedi.
CAPITOLO 36 Traduzione: Eloise
Avevo rischiato di non notarla nemmeno. È come se si confondesse con le pareti.
La sua pelle riflette la luce. Le sue piccole spalle ossute sono piegate in avanti e la
sua espressione è ombrosa, come se volesse dirmi: Non mi vedi, non mi stai notando,
io sono qui.
Mentre vengo fatta volteggiare, rischio di perderla di vista. Mi faccio strada a forza
tra la folla per guardarla di nuovo.
Eccola lì, in piedi davanti all'uscita. Noto il suo sguardo apprensivo, l'intensa
tonalità ambrata dei suoi occhi.
Ha un corpo da ballerina, forte, snello e atletico. Il vestito che indossa mostra le
sue forme con un taglio scandaloso, la scollatura che scende sul suo seno arriva quasi
fino al busto. Anche le maniche sono praticamente inesistenti, lasciando scoperte le
sue braccia forti e muscolose.
Trattengo il fiato. La sua pelle è ricoperta di inchiostro. È lei. L'avevo vista di
sfuggita nella mente di Sorcha, ma il resto era vuoto. Ha lo stesso aspetto della figura
di donna che ho visto stagliarsi alla luce della luna, quando ero nella cava.
Chi è?
Quando vengo fatta passare al prossimo gentiluomo, non resisto. Non voglio
toglierle gli occhi di dosso, non voglio distogliere lo sguardo da quegli strani tatuaggi
che sembrano brillare alla luce, perché ho paura che scompaia se lo faccio.
I marchi della ragazza non sono come quelli di Kiaran… non sono cicatrici, non
sono stati incisi nella pelle. Quelli di lei sono scuri come ombre, che strisciano come
viti rampicanti fino ai polpastrelli. Qualcosa in quei marchi mi attira a lei. Senza
ragione, senza logica.
So solo che devo andare da lei.
I suoi occhi si alzano di scatto e incontrano i miei. Ciò che vedo mi spaventa: ha
paura. L'ho vista e ora ha paura di me. Perché? Chi è?
Vengo trascinata in un altro giro di valzer e, quando mi volto, vedo un guizzo di
capelli neri come la mezzanotte mentre lei corre via dalla sala, come un cervo che
scappa nel bosco.
Trovala. In fretta. Ora.
Mi avvio verso l'uscita, spingendo via un gentiluomo con la mano tesa verso di me.
Ma un altro mi afferra il braccio così forte da lasciarmi il segno. Non penso proprio.
Lo colpisco sul viso con un pugno e sento un crack soddisfacente prima di vedergli
sanguinare il naso. Bene.
Raggiungi la porta. Vai. Muoviti!
Inizio a correre, ma un altro gentiluomo mi blocca la strada. Non mi fermo. Non
rallento. Sollevo la gamba e lo colpisco con la scarpa proprio in mezzo alle gambe.
Lui barcolla all'indietro.
Le mie braccia vengono bloccate da altri due uomini.
Li spintono, lottando con forza, ma sono troppo forti. Non riesco a muovermi. Le
loro mani mi stringono con violenza.
Mi faccio strada a graffi. Mordo, tiro pugni. Le mie urla vengono ignorate mentre
si affrettano a tenermi ferma. È un mare di facce vuote con vestiti da sera, marionette
con fattezze umane per intrappolarmi, ingabbiarmi, finché non dirò di sì. Finché non
darò la mia risposta.
Disperata, cerco l'uscita. Cerco di scrollarmeli di dosso. Il mio pugno colpisce la
carne e le mie stupide scarpette inefficaci fanno del loro meglio, ma le suole non sono
abbastanza dure da fare così male. Tiro gomitate. Rompo nasi. Spezzo dita. Eppure,
continuano a venire verso di me, come se non ci fosse una fine. Niente li ferma. Sono
schiacciata dalla folla e da qualche parte giuro che sento gli occhi della Morrigan su
di me. Dimmi di sì. Dimmi di sì.
No. Devo trovare quella ragazza. Devo uscire.
Delle unghie affondano nel mio braccio, entrandomi nella carne. Gli uomini fanno
una risata melodica e disumana come quella della Morrigan e qualcosa scatta dentro
di me.
«Mi. Dovete. Lasciare!»
Il mio potere esplode, una palla di energia che li riduce in cenere. Mi sento come
se il potere mi piegasse le ossa, bruciando attraverso il mio flusso sanguigno. È una
luce accecante, un flusso turbinoso di potere con la forza di una tempesta. Devo
chiudere gli occhi.
Quando li apro, tutti i gentiluomini sono svaniti. Sento il mio battito impazzito
nelle orecchie. Il silenzio è così pesante che il mio respiro debole e rapido è l'unico
suono nella sala da ballo.
La mia testa è colpita dall'emicrania, tanto dolorosa da farmi ansimare. Tutto il mio
corpo trema così tanto che faccio fatica a stare in piedi. Qualcosa di umido mi cola
sulle labbra.
Lo tocco con il dito. Sangue.
Stai morendo. Non hai molto tempo. Trova la ragazza!
Disperata, scuoto la testa per schiarirmela e mi affretto verso la porta da cui è
uscita. Mi pulsano gli occhi. Vado a sbattere contro la parete del corridoio e per poco
non perdo l'equilibrio.
Non cadere. Non riuscirai ad alzarti.
Correndo e zoppicando, seguo il corridoio fino all'uscita sul giardino posteriore. È
notte. Non c'è nessun suono… o forse è perché non riesco a sentire niente per via del
mio battito accelerato, al ritmo bum bum bum bum nelle mie orecchie.
All'improvviso mi gira la testa e devo appoggiare di scatto la mano alla colonna
dell'edificio per stare in piedi.
Poi lo sento.
Un sospiro basso, racchiuso in un urlo. Un suono familiare, uno che sognavo quasi
ogni notte. Uno che Lonnrach mi aveva obbligato a ricordare nella stanza degli
specchi.
È così che comincia il mio incubo.
Il mio battito rallenta fino a raggiungere un ritmo pesante, simile a quello di un
tamburo. Cammino lentamente lungo il sentiero tra le aiuole, tremando per la brezza
invernale. È tutto familiare. È esattamente uguale, persino il numero di passi che
faccio, il fruscio delle mie gonne mentre mi avvio verso la staccionata che costeggia
la strada.
Mentre mi avvicino al cancello, la mia mente continua a gridarmi di trovare la
ragazza. Di concentrarmi. Di focalizzarmi su qualcos'altro. È un battito costante di
Non guardare. Non guardare. Non guardare. Non è reale. Non guardare.
Ma sono soggiogata. Devo guardare.
Faccio un passo e supero l'angolo.
Eccole lì, mia madre e Sorcha. Sorcha non la tiene con dolcezza, non come
un'amante, ma nel modo in cui un gatto randagio terrebbe un topo: una presa violenta,
tutte le unghie affondate nella pelle, le labbra sulla sua gola. Poi Sorcha butta indietro
la testa per prendere fiato, le sue zanne che risplendono di sangue.
«Basta» sussurro, incapace di trattenermi. «Basta.» Spalanco il cancello del
giardino.
Non sono la ragazza terrorizzata che si è nascosta dietro il muro per non farsi
vedere dal mostro. Non sono più la stessa Aileana che non ha lottato. Non sono più la
stessa Aileana che ha guardato sua madre morire.
«Sorcha!» Il mio potere ruggisce dentro di me, pronto per essere scatenato…
Sorcha alza lo sguardo su di me. Solo che i suoi non sono di quel verde familiare
che scintilla di malizia.
No, sono gli strani occhi luminosi color zaffiro della Morrigan. Scorgo un lampo di
quelle iridi inquietanti, di un piccolo sorriso tagliente, appena prima che strappi il
cuore di mia madre.
Un urlo soffocato mi esce dalla gola prima che possa evitarlo. Mi si stringe il petto
e non riesco a prendere fiato e sta succedendo di nuovo e sembra reale e io sono qui e
l'aria è fredda e lei sta cadendo a terra con un tonfo raccapricciante…
Poi sono in ginocchio accanto a mia madre. Il mio potere si riavvolge
dolorosamente dentro di me mentre tengo il suo corpo immobile tra le braccia e il suo
sangue è caldo, i suoi occhi vuoti.
Proprio come la prima volta. Esattamente come la prima volta.
Il suono di un respiro lento e leggero mi fa alzare gli occhi. Sorcha.
Osservo le iridi azzurre della Morrigan diventare verdi, poi Sorcha si guarda
intorno sorpresa. «Ma che…»
La Morrigan ha posseduto il corpo di Sorcha e ha fatto tutto questo per punirmi.
Deve aver ottenuto abbastanza informazioni dai miei ricordi nella sala da ballo per
farlo. Il ricordo che mi ha legato a Sorcha per sempre.
Il ricordo di quando il suo prezioso uccellino ha distrutto la mia vita.
Quando Sorcha abbassa lo sguardo su di me e sul corpo moribondo di mia madre
tra le mie braccia, si blocca. E giuro di vedere qualcosa di simile al rimorso nei suoi
occhi.
Poi le mie braccia diventano molli. Quando guardo giù, mia madre è sparita…
l'illusione della Morrigan è svanita.
Era una minaccia. Un avvertimento. Ucciderò tutti quelli che ami se non mi
aiuterai.
Resto inginocchiata sui ciottoli. Ignoro il continuo dolore alla testa che mi ricorda
la mia morte imminente e fisso la fata che mi ha portato via mia madre. Che mi ha
usata. Che mi ha manipolata. Che mi ha derubata. E ora so esattamente come ha fatto
a scappare la prima volta.
Alla fine, sono stata obbligata a lasciarla volare via. Non ho mai superato la sua
perdita. Era la mia preferita.
«Hai fatto un giuramento alla Morrigan, vero?» Chiedo con voce piatta. Sorcha
distoglie lo sguardo e ottengo la mia risposta. La mia risata è brusca e asciutta.
«Niente scuse? Niente risposte sarcastiche, uccellino?»
Gli occhi di Sorcha lampeggiano. «Non osare chiamarmi così.»
Mi alzo in piedi, notando che indosso di nuovo i vestiti da caccia. Indosso il
cappotto di Kiaran. Il vestito e le scarpe sono spariti e il sangue è scomparso dalle
mie mani. Non c'era niente di reale; l'ha rubato dai miei ricordi, dai ricordi di Sorcha.
«Perché no? È quello che sei. L'uccellino in gabbia della Morrigan.»
Sorcha mi tira uno schiaffo così forte che mi fa voltare la faccia. «Ho fatto quello
che dovevo» ringhia, «per sopravvivere. Per uscire da qui. Così le ho giurato che un
giorno le avrei portato qualcuno che potesse aprire il Libro. Tu me l'hai chiesto. Tu lo
volevi.»
Si è presentata l'opportunità, quindi l'ho colta. Queste erano parole sue.
«E se ci mettesse su le mani? Ci ucciderà tutti.»
Sorcha fa una risata acuta e amara. «Non sono stupida. Tu sei la mia assicurazione.
Perché pensi che abbia fatto un giuramento? Finché ha bisogno del mio sangue per
aprirlo, il Libro è mio. E io l'ho promesso a te. Hai tutti i motivi per tenerlo lontano
da lei.»
«E sono quella che soffrirebbe di più.»
Le sue mani si stringono a pugno sui fianchi. «Aye. Lo ammetto.»
«Allora deve essere stato bellissimo rivivere il tuo momento di gloria grazie alla
Morrigan. Quando mi hai portato via mia madre.»
«Non ho nessun desiderio che il mio corpo diventi una marionetta. Soprattutto non
la sua.»
Adesso basta. Devo trovare la ragazza, e Kiaran, e Aithinne. «Dov'è Aithinne?»
«Mi sono svegliata da sola nella grotta» risponde semplicemente Sorcha. «E mi
sono trovata qui quando ho cercato di andarmene.»
Reprimo le mie emozioni. Non riesco a pensare lucidamente se provo troppe
emozioni e la Morrigan lo userebbe contro di me. Concentrati sul compito che hai.
Quella ragazza. «C'era una ragazza che è venuta da questa parte. L'ho vista nei tuoi
ricordi. Piccola, ricoperta di tatuaggi.»
Giuro di vedere qualcosa lampeggiare nello sguardo di Sorcha. Confusione? «Non
ricordo nessuna ragazza.»
«Eccovi!» Sento la voce di Aithinne dietro di me. Mi volto e la vedo uscire dalla
porta di un edificio, sollevata nel vederci. Fa una pausa. «Sono felice di vedervi
entrambe. Persino te» dice a Sorcha, «anche se ti odio ancora.»
«Oh, grazie a dio» dice Sorcha «per un minuto ho pensato che mi abbracciassi per
davvero.» Suona acida come sempre, ma mi sembra quasi felice di vedere Aithinne.
«Potrei. Solo per torturarti.»
«Aithinne» dico, «hai visto…»
La ragazza sta sgattaiolando dall'altra parte della strada proprio dietro ad Aithinne,
i capelli neri che scintillano sotto le luci della città. Quando vede che la noto, fa un
piccolo sussulto e fugge.
Prima che possa inseguirla, Lonnrach esce dall'ombra dietro gli edifici e l'afferra.
CAPITOLO 37 Traduzione: Eloise
Corro in strada con Aithinne e Sorcha appena dietro di me.
Lonnrach sta cercando di trascinare la ragazza attraverso la porta di un altro
edificio, dove deve esserci un portale, ma lei si batte bene. Lo colpisce al ginocchio
con lo stivale, si libera dalla sua presa e inizia a correre.
Quando Lonnrach ci vede arrivare, impreca e le corre dietro.
Aithinne mi afferra la manica. «Cosa stiamo facendo? Chi è quella?»
«Non lo so» ansima Sorcha, «ma se mio fratello la vuole così tanto, dobbiamo
raggiungerla per prime.»
Corriamo lungo la fila di edifici bianchi di George Street e tagliamo per una via
secondaria sbucando vicino ai giardini. Le luci della Città Vecchia sono scure, la città
lugubre e ombrosa quando ci fermiamo bruscamente davanti a un ponte. «Aithinne,
vai da quella parte» Indico il lato ovest della strada. «Sorcha, prendi il North Bridge.
Io gli starò dietro e gli taglieremo la strada a High Street. Andate!»
Ci avviamo in direzioni diverse. Io seguo Lonnrach oltre il Waverly Bridge fino
alle tortuose e scure case popolari della parte antica della città. Gli edifici sono alti,
tutti ravvicinati e costruiti parzialmente sottoterra. Se perdessi di vista Lonnrach e la
ragazza, non riuscirei più a trovarli. Questa parte di Edimburgo è composta da un
elaborato labirinto di tunnel, vicoletti e stradine.
Mentre seguo Lonnrach lungo un'altra strada secondaria, gli edifici intorno a noi
sembrano diventare più scuri, ombrosi. La Morrigan ha costruito la città dai miei
ricordi. Deve essere da qualche parte, per aiutarlo. Chi è la ragazza? È un'altra fata in
cerca del Libro?
La vedo poco più avanti, i lunghi capelli che svolazzano dietro di lei come un velo.
Sfreccia attraverso un vicolo buio. Sta cercando di sfruttare la luca soffusa e le strade
labirintiche della Città Vecchia. Lonnrach la insegue.
Io gli sto dietro, ma gli edifici cominciano ad avvicinarsi, come se si stessero…
Muovendo. Si stanno davvero muovendo.
La ragazza lancia uno sguardo dietro di sé con un'espressione terrorizzata e
accelera. Si volta e poggia le mani sul muro, aprendo una porta che non avevo notato.
Lonnrach la sfonda e la segue. Quando raggiungo la porta, si chiude e scompare.
Come se non ci fosse mai stata.
Dannazione!
Mi affretto verso la fine del vicolo, ma i muri sono così stretti adesso che devo
girarmi su un fianco. Disperata, sollevo il palmo e rilascio un impulso di potere.
Colpisce gli edifici e crea un buco che mi permette di scappare.
Mi precipito in strada appena in tempo per vedere Lonnrach e la ragazza più
avanti. Li inseguo, ma sono troppo veloci. Li perderò.
Sorcha sbuca da un angolo e si lancia sul fratello. Cadono a terra, colpendosi a
vicenda. Sorcha gli tira un pugno sulla mascella e gli fa colpire il terreno con la testa.
Quando li raggiungo, Sorcha lo tiene con una presa d'acciaio e la ragazza è sparita giù
per un'altra strada.
«È andata» ansimo, «diavolo.»
«Chi è?» Ringhia Sorcha al fratello.
Il sorriso di lui la schernisce. «Non lo sai?»
Lei gli dà un pugno in faccia, un colpo forte che sparge sangue a terra. Quando lui
si rigira, il suo labbro sta sanguinando.
«Dimmelo» scopre le zanne, «avrei dovuto restare indietro per finirti quando
eravamo al campo. Avrei dovuto farlo molto tempo fa.»
Lonnrach si lancia su di lei, ma arrivo prima io. Lo afferro per il braccio e glielo
piego con un'angolazione dolorosa. Il suo urlo è così soddisfacente. Se lo merita dopo
tutto quello che mi ha fatto. Si merita di peggio. Si merita di perdere la memoria. Di
perdere le speranze. Di perdere la forza di volontà.
Dio, quanto vorrei finirlo. L'altra mano è così vicina alla mia spada che mi
basterebbe tirarla fuori.
Poi sento dei passi dietro di me. Quando mi giro, Aithinne è lì, osservando
Lonnrach in ginocchio, sanguinante. Mortale.
Non spetta a me ucciderlo. E neanche a Sorcha.
«È tuo» dico ad Aithinne. Lui lotta contro la mia presa, ma lo tengo fermo.
«Ricorda quello che ti ho promesso. Che l'avremmo fatto insieme, ma sarebbe stato
tuo.»
«Sorcha» ora Lonnrach suona disperato. «Sorcha. Mi dispiace…»
«Adesso ti dispiace?» Sorcha ride e le sue zanne risplendono di bianco
nell'oscurità. Poi, rivolta a me: «Falconiera, quando hai visto i miei ricordi, non ti ho
fatto vedere che avevo chiesto a Lonnrach di aiutarmi a salvare nostra madre, ma che
si è rifiutato perché eravamo Unseelie.» Fa un grugnito con i denti scoperti. Quando
parla di nuovo, la sua voce è fredda, calma e arrabbiata. «Cos'è che mi hai detto,
fratello?»
Lonnrach stringe le labbra e scuote la testa.
Sorcha lo afferra per la maglia. «Dillo. Ricordamelo.»
Il sussurro di lui è così basso che lo sento a malapena. Sussulto per le sue parole,
ricordandomi improvvisamente come si sentiva Sorcha sotto il controllo dello
Stratega. Lonnrach le ha detto questo. È suo fratello, e l'ha abbandonata.
«Giusto» dice Sorcha con un sorriso. «Come mi ricordo bene quelle parole.» Fa
scorrere un'unghia sulla guancia di lui. «Adesso permettimi di ricambiare: Non sei un
mio problema.»
Poi si fa indietro e annuisce fa un cenno di assenso ad Aithinne. Un messaggio
silenzioso: non farà nulla per fermarci.
Lonnrach si agita sotto la mia presa mentre Aithinne si fa avanti, ma lo butto a
terra, tenendolo stretto. Non può nulla contro la mia forza, non da mortale. È il
momento. È il momento di finirla.
Il respiro di Aithinne trema mentre lo guarda, ma quando parla la sua voce è
decisa. «Se fossi crudele anche solo la metà di te, lo renderei il più doloroso
possibile. Mi assicurerei di farti soffrire come tu hai fatto con me. Per farti morire ci
metterei duemila anni.»
Sfila la spada dal fodero e resta in piedi davanti a lui. Mi guarda, per farmi segno
di lasciarlo.
Lascio andare Lonnrach e lui cade in ginocchio. Quando cerca di scappare, lo butto
di nuovo a terra con i miei poteri. Di nuovo. Di nuovo. Finché non ansima per la
stanchezza e la paura, inginocchiandosi davanti ad Aithinne.
«Mia Regina» sussurra.
«Lo sono?» Aithinne poggia le dita sotto il suo mento e sembra quasi gentile.
«Dopo tutto questo, mi giureresti di nuovo fedeltà?»
«Sì» dice lui, quasi disperatamente. «Sì.»
«Allora consideralo il mio ultimo atto da Regina. Ti darò una morte migliore di
quella che meriti.»
Conficca la spada nel suo cuore.
Io e Sorcha concediamo ad Aithinne alcuni momenti per riprendersi e ritirare la
spada. Le metto una mano sulla spalla. «Stai bene?»
«No. Ma starò meglio.» Guarda Sorcha. «Grazie.»
Sorcha sta fissando il corpo di suo fratello con un'espressione indecifrabile. «So
cosa si prova a voler vendicarsi dell'uomo che ti ha ferito, e tu gli hai mostrato
compassione. È stata una morte più compassionevole di quella che gli avrei procurato
io.» Poi i suoi occhi incontrano i miei e mormora una sola parola, che so essere per
me: «Diversa.»
Diversa. Aithinne è diversa. Non è come Sorcha… non è come me. Io volevo che
Lonnrach soffrisse per ciò che ha fatto; volevo che fosse una morte lunga. Ma
Aithinne? Lei è compassionevole. Anche quando non è necessario.
Questo cosa dice di me, se un'altra fae è capace di più umanità?
Il suono leggero di passi mi distrae. Guardo in alto e vedo la ragazza tatuata
correre in strada uscendo da un edificio. Incontra il mio sguardo e, senza un attimo di
esitazione, scappa di nuovo.
«Aspetta!» Corro dietro di lei.
«Falconiera!»
Non mi fermo. Devo catturare la ragazza. Qualcosa in lei mi attira.
Uno scorcio dei suoi capelli, un po' più avanti. Accelero il passo. Entra in una
schiera ombrosa di case popolari e la seguo. Sto guadagnando terreno, sono
abbastanza vicina da sentire il suo respiro mentre corre.
Fa il giro di un edificio e la seguo, chiamandola di nuovo. Ma, appena svolto, mi
ritrovo in un altro portale.
Sono in una stanza. Una stanza piena di specchi.
CAPITOLO 38 Traduzione: Eloise
Mi volto per scappare, ma il portale si chiude. Gli specchi mi circondano. Non c'è
via d'uscita.
Non sono qui. Aithinne ha appena ucciso Lonnrach. Mi giro e corro lungo la
schiera di specchi, odiando i miei riflessi. Non guardare. Esci. Devi uscire.
Sbatto contro uno specchio con un tonfo doloroso, ma lo noto a malapena. Il mio
battito è accelerato, il mio respiro veloce. La mia vista si appanna.
È un'illusione. Colpisco lo specchio coi pugni. Ho il potere adesso. Colpisco di
nuovo. Lui è morto. Evoco i poteri della Cailleach, finché non diventano un grande
vortice tempestoso nelle mie vene, creato dall'esasperazione e dalla disperazione
assoluta. Lancio tutta quell'energia verso gli specchi.
Non si rompono. A malapena tremano. Mi scappa un urlo umiliante e patetico. Poi
un singhiozzo profondo e tremante. Un'altra volta. Poi un'altra, se serve.
Un'altra.
Un'altra.
Un'altra.
Mi cola il sangue dal naso, dagli occhi, dalle orecchie, ma non mi importa. Mi
trema la vista e vedo le stelle, ma lo ignoro. Non fermarti. Non puoi fermarti. Mi
slancio in avanti per colpire di nuovo lo specchio col mio potere. Non succede niente.
I pensieri mi affollano la testa. Sono troppo agitata per pensare lucidamente.
«Puoi ancora cambiare idea.»
Mi raggelo al suono della voce di Lonnrach. Il mio stomaco si stringe per il terrore.
Il sangue mi ruggisce nelle orecchie e chiudo forte gli occhi. «Non sei reale. Non sei
reale. Sei un ricordo. Aithinne ti ha appena ucciso e sei morto.»
«Voltati, Aileana Kameron.»
Non lo faccio. Non posso. Non posso guardarlo, non in questa stanza.
«Girati.» La sua voce è tagliente, autorevole. Non mostrargli le tue paure. Sollevo
il mento e mi volto. Il volto di Lonnrach mi sta fissando, ma invece delle sue iridi di
un grigio tempestoso, i suoi occhi sono due pozze scintillanti di liquido color zaffiro.
Gli occhi della Morrigan.
«Ti volevo da sola» dice lei, fissando le mani di Lonnrach. «Ho visto questa stanza
nei suoi ricordi, quello che ti ha fatto qui. Lonnrach era un ragazzo intelligente, ma
troppo arrogante. Pretendeva troppo.» Storce le labbra con disgusto. «Non cantava
neanche.»
«Quindi ci hai permesso di ucciderlo.»
Sbatte le ciglia. «Certo. È stato un regalo. Non ti è piaciuto?»
Stringo la mascella. «La mia risposta è sempre no.»
«Ah, sì?» I suoi occhi diventano freddi. Senza aspettare la mia replica, dice:
«Bene. Questo è utile comunque. Questo posto, questo corpo. Dato che i tuoi poteri
proteggono i tuoi pensieri, le sue abilità mi aiuteranno a scoprire tutto ciò che mi
serve.»
Devo solo usare il tuo sangue per vedere.
Mi allontano di scatto. So cosa vuole fare con lui. Con il suo corpo. «No.»
Evoco di nuovo il potere. Si avvolge dentro di me. Riscalda le mie ossa, le mie
vene…
Caldo. Troppo caldo. La mia vista si appanna. Mi esce sangue dalla bocca e si
sparge sul pavimento coperto di viti.
Sono troppo debole per reggermi in piedi e cado a terra. Alzati! Alzati!
Il tonfo degli stivali sull'edera attira la mia attenzione. La Morrigan si sporge verso
di me con un'espressione tranquilla. Come immagino che apparirebbe la Morte prima
di prenderti l'anima. «Il potere di mia sorella ti sta facendo a pezzi. Trova il Libro,
dallo a me e lo userò per salvarti.»
«Hai la mia risposta.» La mia voce è debole.
La Morrigan si inginocchia accanto a me. «Sei una stupida, Aileana Kameron.
Quando avrò il Libro da te, ti metterò in gabbia. Proprio come il mio uccellino.»
Mostra le zanne e mi afferra il braccio. Resisti. La mia mente urla, ma il mio corpo
non si muove. Non riesco più a lottare.
Chiudo gli occhi quando mi morde.
Non è come con Lonnrach. La Morrigan non entra nella mia testa lentamente. Lo
fa come un'onda anomala che si schianta sulla roccia, veloce, potente e distruttiva.
Si fa strada tra i ricordi di me e Kiaran. Osserva le nostre battute di caccia, ci
osserva correre sotto le stelle per le strade buie. Ci osserva lottare come se stessimo
ballando. Lo osserva salvarmi. Lo osserva sussurrare sulle mie labbra, ripetendo:
Sono tuo.
Porta a galla i segreti oscuri e profondi del mio cuore. Il mio desiderio di vivere per
sempre, se potessi… con lui. Il modo in cui facciamo tesoro dei minuti, delle ore,
perché è tutto il tempo che abbiamo.
Perché lui è tutto ciò che conta. Perché lui è tutto.
Poi la Morrigan estrae i denti dal mio polso. Quando mi guarda, lo fa con un
sorriso soddisfatto. Un sorriso vittorioso.
Quando parla, tremo dalla paura. «Ecco, Aileana Kameron, come otterrò un sì.» La
sua risata mi attraversa come un'ombra fredda. «Non gliel'hai mai detto, vero? Non
hai mai detto quelle parole»
Quelle parole. Due semplici parole che cambierebbero tutto.
Ti amo.
Non posso dirlo sapendo che io e lui non abbiamo un futuro insieme. Perché anche
se riuscissi a sopravvivere a questo, lui mi guarderebbe invecchiare, mi guarderebbe
appassire, mi guarderebbe svanire. Questo è il nostro destino.
Preferirei che Kiaran pensasse a me tra un centinaio di anni o duecento, trecento,
quattrocento, cinquecento, con la stessa malinconia con cui pensa a Catriona, la sua
Falconiera, e mi ricordasse come un sorriso mesto. Il bacio di un amante. Un
"chissà". Un "Avrebbe potuto essere".
Avere risparmiate quelle due parole dalle labbra di una ragazza morente, renderà il
mio ricordo meno doloroso da sopportare.
Eri la sua farfalla.
Come se mi leggesse nella mente, l'espressione della Morrigan si indurisce. «Così
tante emozioni. Se tu e lui non ne aveste, tutto questo non sarebbe così facile.»
Per un momento sembra quasi se stessa, riesco quasi a distinguere la sua sagoma
attraverso il volto di Lonnrach, quei tratti bellissimi che assomigliano così tanto a
quelli della Cailleach da giovane. «Lui rinuncerebbe a tutto, sai.» Si tocca la tempia.
«Lo vedo nella sua testa. Rinuncerebbe alla sua immortalità per diventare un
semplice umano immondo. Per te.»
Poi la Morrigan si sporge verso di me. Le sue dita si sollevano per graffiarmi la
faccia. C'è una minaccia evidente nel suo tocco, una promessa di morte.
La sua voce dura è come ghiaccio nelle vene. «Dimmi di sì.»
Chiudo gli occhi. «No» sussurro.
Quando apro gli occhi, lei è a tre metri di distanza, la sua espressione è fredda e
distante. «Il nostro tempo sta finendo e io otterrò quel sì, ragazzina.» Sorride
lentamente, con fare vittorioso. «Una parola. Ci vuole così poco.» Sparisce come
fumo.
Sono rimasta sola nella stanza dei miei incubi. E comincio a pensare di non esserne
mai uscita.
È così facile. Così facile temere e pensare di essere ancora sotto il controllo di
Lonnrach. Quando abbasso lo sguardo sulle tracce di sangue che ha lasciato la
Morrigan, devo ricordarmi che non è il suo. Che non sono qui.
Questo è il cappotto di Kiaran, mi dico. Ricordi? Hai strappato il tuo dopo che la
Morrigan si è trasformata in uno spettro d'acqua e l'hai usato per fasciarti le ferite.
Ecco, vedi? Toccati la schiena. Questi sono i segni dei suoi artigli. Questi sono reali.
Tu sei reale. Stai bene. Sei reale e sei viva e questo è il cappotto di Kiaran.
Mi sfilo il giubbotto dalle spalle e me lo premo sul viso, chiudendo gli occhi.
Profuma di lui. Anche con tutto il mio sangue, profuma di lui. Di vento e pioggia e
mare, qualcosa di selvaggio e indomabile. Di sale nell'aria. Di corse attraverso gli
alberi, col vento tra i capelli.
Poi sento un suono dall'altra parte della stanza e, quando alzo lo sguardo, lui è lì.
CAPITOLO 39 Traduzione: Eloise
Il mio primo impulso è di andare da lui, ma qualcosa mi blocca.
Kiaran non sembra lo stesso.
Le ombre aleggiano intorno a lui un po' troppo da vicino. Lunghi filamenti di
oscurità si innalzano da terra e si avvolgono intorno alle sue gambe come viti. La sua
pelle sembra più pallida. Anche con i suoi poteri bloccati, sembra illuminarsi
internamente, come se brillasse. Bellissimo. Finché non guardo le sue mani.
Sono coperte di sangue.
I miei occhi incontrano i suoi e il mio petto si contorce dalla paura. Le sue iridi
sono profonde pozze nere… nessuna traccia di lilla. Si posano su di me e scorgo un
lampo di appetito.
Sei Kiaran o Kadamach?
Scuote la testa come se volesse schiarirsela e l'inchiostro nei suoi occhi inizia a
retrocedere finché non faccio un passo avanti. «Sta' indietro.» La sua voce è acuta.
Alzo le mani. «Stai bene?»
«No. Sei di nuovo ferita.» Lo sento prendere un respiro. Riesco a sentire l'odore
del mio sangue. Credo che neanche un falò potrebbe nasconderglielo adesso. Ne sono
ricoperta.
«La Morrigan» dico, come se spiegasse tutto. Guardo le sue mani insanguinate. «È
tuo?»
Le dita di Kiaran si stringono a pugno. «Non lo so.»
Si guarda intorno e nota sé stesso in uno specchio. Poi chiude gli occhi scuri. Sta
peggiorando, si sta consumando a poco a poco.
«Non lo so» dice di nuovo. «Lei mi ha obbligato a ucciderti. Pensavo di averti
uccisa. Non so più cos'è reale.»
Deglutisco a fatica. La Morrigan l'ha torturato, togliendogli il controllo poco per
volta. Quando alza di nuovo lo sguardo su di me, i suoi occhi sono neri come un cielo
senza stelle.
«Come faccio a sapere che sei reale?» Kiaran viene verso di me, con gli stivali che
martellano il pavimento. «Come faccio a sapere che non sei lei?»
Oh, dio. Le ombre si avvolgono ai suoi piedi formando spesse scie. Ha il passo
rapido di un predatore. Veloce, tanto veloce. Non posso andare da nessuna parte. Non
posso correre da nessuna parte.
Indietreggio finché non sono schiacciata contro lo specchio e lui continua ad
avvicinarsi. «MacKay.»
Kiaran si ferma a pochi centimetri da me. I suoi occhi d'ebano mi fissano. Tra le
sue labbra scintilla una zanna bianca. Inclina la testa, un leggero cipiglio sul viso.
«MacKay» sussurro di nuovo.
Poi, qualcosa brilla nel suo sguardo. Mi ha riconosciuto? È andato troppo oltre?
La sua fame prenderà sempre il sopravvento. Sempre.
No. Non succederà. Posso riportarlo indietro. Devo riportarlo indietro.
Mormoro di nuovo il suo nome, allungando lentamente la mano. Le mie dita
insanguinate e scivolose incontrano le sue. Inspira bruscamente e, per un momento,
ho il dubbio di aver fatto un errore toccandolo.
Ma poi, con quella piccola parte di sé che ha ancora il controllo, sussurra, «Come
faccio a sapere che sei reale?»
«Vuoi che ti faccia domande irritanti? O dovrei raccontarti un'altra storia stupida?»
Sopprimo il tremolio della mia voce. «Perché lo posso fare.»
Kiaran fa un piccolo sorriso. Vederlo è come vincere una guerra. «Non fa niente.»
Sfioro con le dita la sua guancia e gli dico una cosa che non ho mai dimenticato.
«Dieci mesi dopo che il re e la ragazza si erano incontrati, si ritrovarono sotto un
acquazzone di prima mattina fuori dalla Città Vecchia. Era metà autunno e faceva più
caldo del solito. Tagliarono per i Giardini sulla strada del ritorno alla città, dove le
pozzanghere erano così profonde che l'acqua arrivava alle caviglie.» Faccio scorrere
la mano sulla clavicola, poi più in basso, fino a posargliela sul cuore. «La ragazza era
così esaltata per la caccia che pensava di scoppiare dalla gioia. Si tolse gli stivali e
corse per il prato. Si mise a girare su stessa sotto la pioggia. Per poco non chiese al re
di ballare. Ma quando spostò lo sguardo su di lui, la stava guardando con
un'espressione strana.» Mi sporgo in avanti e premo le labbra sulle sue. Un bacio
dolce. Delicato. Attento. «Di notte lei si sdraiava a letto cercando di capire il mistero
dietro quello sguardo, ma non trovava mai una risposta soddisfacente. Si chiedeva
sempre cosa stesse pensando.»
«La stessa cosa che sto pensando adesso.» Kiaran apre i suoi occhi di ossidiana.
«Ti amo.»
Poi mi bacia, la sua bocca premuta forte sulla mia. Esigente. Brutale. Il suo bacio è
tenebra e amore e dolore e gioia e mille altre cose in conflitto, perché sta lottando con
sé stesso e sono tutto ciò che resta a trattenerlo. Le sue dita tracciano una scia di
fuoco fino alla mia vita, fino ai fianchi.
«Ti amo» ansima Kiaran contro le mie labbra, tenendomi più stretta. «Ti amo.»
Le sue dita mi tirano i vestiti, ora con urgenza. Mi sussurra di nuovo che mi ama,
una cantilena quasi disperata. Mi sfila il cappotto dalle spalle. Le sue dita tracciano
l'arco della mia colonna e scendono fino al mio stomaco. Mi adora con tocco leggero
come se non ne avesse mai abbastanza, come se fossi l'unica cosa che può salvarlo.
Mi bacia così forte che le sue zanne mi perforano il labbro inferiore.
Mi allontano di scatto, sobbalzando. Quando alzo lo sguardo su Kiaran, lui mi sta
fissando la bocca, dove il sangue cola fino al mento. E i suoi occhi sono neri e
predatori.
Kiaran non può aiutarmi così. Un'altra mossa della Morrigan, e parlargli non lo
riporterà indietro. Devo offrirgli quella cosa che so che gli serve: abbastanza energia
che lo sostenga finché non troviamo il Libro. Abbastanza da saziare la sua fame e
ridargli un po' di controllo.
Se vengo con te e divento qualcuno che non riconosci, non lasciare che ti faccia
del male. Lasciami indietro se devi. Promettimelo.
Ho mentito. Sapevo che saremmo arrivati a questo punto. Non manterrò la
promessa.
Afferro l'angolo della mia maglia per scoprirmi il collo. «Non voglio perderti.»
Gli occhi di Kiaran sono profondi e impenetrabili. Profondi come l'oceano, come le
aree più scure dello spazio. La sua mano si posa sulla mia nuca e mi attira a sé.
Quando mi guarda di nuovo, lo fa con l'ultimo residuo di controllo. Un modo
silenzioso di chiedermi: Sei sicura?
«Sono sicura» sussurro.
Le sue labbra sono sul mio collo, stampandoci un bacio leggerissimo prima di
morderlo.
Il morso di Kiaran non è come quello di Lonnrach. Non è brutale. Non è violento.
Mi stringe come quando mi bacia. Quando siamo a letto e si preme contro di me.
Poi mi stende a terra e si mette sopra di me. Il veleno del suo morso mi attraversa e
il mio corpo riconosce il dolore. Riconosce cos'è e divento un peso morto tra le sue
braccia.
Chiudo gli occhi.
Non è Lonnrach. Questo non è Lonnrach. È Kiaran e tu stai bene. Stai bene. Stai
bene. Stai…
Il suo controllo si sgretola e mi morde con più forza. Stringo le labbra per non
emettere nessun suono. I miei poteri ruggiscono dentro di me. Cerco di trattenerli. Ma
comincia a girarmi la testa. La mia vista si sta appannando.
«MacKay» sussurro. «Devi fermarti adesso.»
Mi sento svenire e devo mordermi la lingua per non urlare. «MacKay.» Cerco di
mantenere la voce ferma. Cerco di dire il suo nome per riportarlo indietro. Non
funziona.
Le forze mi stanno lasciando più in fretta di quello che posso sopportare. Non
riesco più a sussurrare, né il suo nome né nient'altro. Kiaran mi sta uccidendo. E se lo
facesse, spezzerebbe il giuramento a Catriona. Morirebbe con me.
Sono abbastanza disperata da usare i miei poteri, ma è troppo tardi. Sono troppo
debole per richiamarli, per fare qualsiasi cosa. Non riesco neanche a muovermi. Il suo
nome è un sospiro sulle mie labbra. Ma lui non mi sente neanche. Non mi sta
ascoltando. È andato troppo oltre per poterlo raggiungere.
Dall'altra parte della stanza, vedo una ragazza negli specchi, una con dei tatuaggi.
Se ne sta lì in piedi, come se non sapesse cosa fare.
I suoi occhi incontrano i miei. Sono così disperata che mimo una parola con le
labbra: Aiuto.
Quegli occhi scuri color ambra diventano più intensi e mi sembra quasi di sentirla
connettersi alla mia mente. È un tocco esitante, una carezza penetrante… e poi una
voce sussurra tra i miei pensieri come una brezza leggera: Vorrei aver saputo prima
che non eri come gli altri che sono venuti in passato. I tuoi ricordi mi hanno mostrato
un posto sicuro. Spero che tu possa ritrovare qualcosa di simile.
Poi preme un palmo sullo specchio e scompare. Sul muro si apre un portale e vedo
il fuoco del campo di Aithinne coi miei amici radunati intorno.
Derrick è seduto sulla spalla di Gavin.
«Derrick» sospiro. Mi servono tutte le mie forze solo per dirlo. «Derrick.»
Lui alza lo sguardo come se mi sentisse. «Aileana?»
Gli altri non se ne accorgono quando vola oltre il fuoco, avvicinandosi agli angoli
del portale. Deve averlo notato attraversando gli alberi, perché i suoi occhi si
spalancano. «Aileana?» Incredulo, come se non capisse cosa sta vedendo.
Proietto un pensiero perché è l'unica cosa che riesco a fare: Ho bisogno di te.
«Diavolo.» Derrick sfreccia oltre gli alberi e attraverso il portale un attimo prima
che si chiuda. Si ferma di colpo quando si accorge di ciò che sta succedendo. Io a
terra. Kiaran sul mio collo. La mia mano che afferra la maglia di Kiaran come se
quello potesse farlo fermare. Non posso.
Aiuto.
Derrick estrae una piccolissima spada dal fodero. «Togliti da lei, disgustoso…» Si
proietta in avanti agitando le ali e ferisce Kiaran sulla schiena. Kiaran solleva la testa
con un ringhio feroce, mostrando i denti affilati come rasoi. Quando i suoi occhi
incontrano i miei, sono di un nero pesto. Non c'è traccia di Kiaran in quello sguardo.
Poi, con orrore, osservo le sue iridi illuminarsi di un puro blu zaffiro luminoso.
Mi raggelo. La Morrigan. Ha approfittato della sua perdita di controllo per
impossessarsi del suo corpo.
Farò in modo che tu mi dica di sì.
Ho solo un attimo. Raccolgo i miei poteri e spedisco Kiaran dall'altra parte della
stanza. Cerco di alzarmi. Derrick è al mio fianco, il suo respiro è pesante. «Cosa stava
facendo? Cosa diavolo sta succedendo?»
«Non. È. Lui.» Riesco a malapena a formulare delle parole. Tra i miei poteri e
l'energia presa da Kiaran, sono prosciugata. Il mio naso e il mio collo stanno
sanguinando. La mia pelle è appiccicosa, calda e umida.
Derrick mi guarda allarmato. «Oh, dio» dice. «Aileana.»
Mi gira la testa e devo appoggiarmi allo specchio per un attimo finché non mi si
schiarisce la vista. Osservo Kiaran rimettersi in piedi e lo stomaco mi si attorciglia
dalla paura. «MacKay, devi combatterla. So che puoi farlo.»
«Vuoi che smetta?» La voce della Morrigan si mescola a quella di lui. «Dimmi di
sì.»
«No» ringhio.
«Allora sacrificherò la mia prima pedina.»
Kiaran fa un balzo verso di me e lo evito appena in tempo. Mi volto per
affrontarlo, sfilando la spada dal fodero. «Dannazione, MacKay, non farmelo fare.»
Derrick atterra sulla mia spalla. «Sei impazzita? Non puoi combatterlo. A malapena
stai in piedi.»
Non ho tempo per rispondere. Kiaran si lancia di nuovo verso di me, la sua spada
che disegna un arco. La mia lama colpisce la sua con il frastuono del metallo sul
metallo. La forza del colpo attraversa dolorosamente il mio corpo facendomi finire in
ginocchio.
Alzati!
«MacKay, combattila!»
Gli occhi blu zaffiro lampeggiano quando si slancia verso di me. Mi attacca con la
spada, ogni colpo rapido come un fulmine. Dio, è veloce. I suoi movimenti sono
sinuosi, eleganti. Come un ballerino con una spada, solo colpi aggraziati e calci e
parate. La sua lama canta. La sua canzone è distruzione.
Mi fa indietreggiare verso gli specchi. Se ci finisco contro, sono finita. La
Morrigan sta cercando di obbligarmi a ucciderlo.
Non sacrifico le mie pedine finché non sono sicura di poter vincere.
«Stai perdendo» sibila Derrick nel mio orecchio. «Se fossi ancora più lenta, ti
taglierebbe un arto.»
«Non sei d'aiuto.»
Kiaran non si muove prima che Derrick dica, «Colpisci a sinistra!»
Per una volta, lo ascolto… appena prima che Kiaran colpisca con la spada. Le
nostre lame si scontrano e mi tolgo di mezzo.
«Continua a dirigermi» dico a Derrick.
Derrick si siede sulla mia spalla, dicendomi come Kiaran colpirà prima che lui lo
faccia. Il pixie sa prevedere i suoi movimenti, dal modo in cui il suo corpo si
posiziona prima di attaccare. Presto comincio a far indietreggiare Kiaran, ma i miei
movimenti stanno diventando più lenti, più impacciati.
«Kiaran, fermati!»
«Affonda!»
Mi spingo in avanti per far scontrare la mia spada con quella di Kiaran, ma
all'ultimo momento mi colpisce in faccia con un pugno. Faccio un giro su me stessa e
cado a terra con forza, lottando per non svenire.
«Alzati» mi dice Derrick. «Diavolo, Aileana, alzati.»
Ascoltalo. Muoviti!
Passi. Stivali pesanti che colpiscono il pavimento. La voce della Morrigan sotto
quella di Kiaran suona trionfante. Vincerò io. «Devo sacrificare la mia pedina? O mi
dirai di sì?»
«No» sospiro. «No.»
«Sta' lontano da lei,» ringhia Derrick.
Devo sacrificare la mia pedina? Vedo gli occhi della Morrigan scintillare quando
guarda il pixie. Derrick sta volando verso Kiaran, la spada sguainata e pronta ad
attaccare.
Non è Kiaran la pedina.
«Derrick» urlo. «Aspetta!»
Kiaran afferra Derrick a mezz'aria e stringe il pugno con uno scricchiolio
nauseante. Poi butta il pixie a terra.
Non ricordo di aver detto niente. Non ricordo di aver urlato. Non ricordo di
essermi messa in piedi o di aver barcollato fino al corpo spezzato di Derrick,
sdraiandomi accanto alle sue ali staccate e maciullate.
Tutto ciò che ricordo è di aver raccolto il suo corpo rotto e senza ali nella mia
mano e di aver detto il suo nome. Derrick.
Lui si muove. «Non piangere» sussurra Derrick con voce debole. «Non mi piace
vederti piangere. Sei la mia preferita.» Non si muove più.
«Derrick? Derrick!»
Ripeto il suo nome più e più volte. Non è morto. Si sveglierà a momenti con una
battuta stupida sul fatto di avermi ingannato e poi mi intreccerà i capelli. Mi cucirà un
nuovo cappotto. Minaccerà di farmi un altro vestito. Perché Derrick è immortale e i
fae non muoiono. Vivono per sempre. Loro vivono per sempre.
Derrick non è morto. Non è morto, non può…
I suoi occhi non si aprono. Le sue ali non guariscono. Il suo sangue cola dalle mie
dita.
Butto indietro la testa e urlo. Il mio potere esplode, selvaggio e furioso e violento.
Tutti gli specchi nella stanza si disintegrano. Il vetro cade a terra intorno a me.
La stanza è silenziosa dopo tutto questo. Si sente solo il suono del mio respiro,
accelerato e doloroso. Mi stringo il corpicino di Derrick al petto e alla fine noto che il
sapore del suo potere è sparito. Se n'è andato e non tornerà. Non tornerà. Non
tornerà.
«Kam.» Un sussurro soffocato dall'altra parte della stanza mi paralizza.
Apro gli occhi. Kiaran è lì in piedi, i suoi occhi sono tornati normali. Sta fissando il
corpo immobile di Derrick.
Ma io non provo niente. Sono insensibile. Il corpo di Derrick sta perdendo il suo
calore e io ho bisogno, ho davvero bisogno di… non lo so. Non so cosa fare.
«Kam» dice di nuovo Kiaran.
Barcollo in piedi e raccolgo ciò che rimane del mio potere. Il dolore fisico che
provo mi purifica. Per un singolo, bellissimo momento, lava via tutta la mia
sofferenza, disperazione. Tutto. Il dolore è la cura. Lo sento nel mio petto, nelle mie
vene, nelle ossa. Nei resti distrutti dello specchio vedo i miei capelli sollevarsi come
tirati su da una brezza. I miei occhi sono accesi del bagliore inquietante color ambra
di qualcosa che non è affatto umano, non è affatto fae.
La voce ironica di Derrick sorge dai miei ricordi. Occhi da brividi.
Allungo una mano e la luce guizza tra le mie dita. Raccolgo l'energia dentro di me
finché il mio corpo non sembra sul punto di distruggersi. Trattienilo. Trattienilo.
Resisto, perché devo farlo. Perché non lascerò il suo corpo in questa stanza. Non
lascerò Derrick, così come lui non ha lasciato me.
Perlustro la stanza finché non trovo i resti del portale che la ragazza ha aperto sul
campo di Aithinne. È poco più di un frammento sottile, appena sufficiente.
Abbastanza per uscire di qui.
Rilascio tutta l'energia e spalanco un buco gigantesco verso il mondo esterno. E lo
attraverso vacillando.
Mentre l'oscurità mi avvolge, cado a terra e stringo a me il corpo di Derrick. Lo
tengo accanto a me dov'è sempre stato. Al suo posto.
La sua voce è l'ultima cosa che ricordo prima che tutto diventi buio.
Ho espresso un desiderio per rivederti. Ho passato due mesi e mezzo a
desiderarlo. A desiderare di vederti un'ultima volta.
Prima di cosa?
Non lo so ancora.
CAPITOLO 40 Traduzione: Eloise
Mi sveglio in un letto caldo con la sensazione irritante delle coperte di lana sul
corpo. Quando cerco di muovermi, il dolore è così agonizzante che la mia pelle
sembra andare a fuoco. Sensibile al tatto, febbricitante e madida di sudore. Cos'è
successo?
Un'immagine mi attraversa la mente. Kiaran che mi morde. La ragazza tatuata. Gli
occhi azzurro zaffiro della Morrigan che mi fissano attraverso il volto di Kiaran.
Derrick… Derrick è morto. Derrick è morto. Derrick è morto.
Delle calde lacrime improvvise mi bagnano le guance. Un fruscio alla mia sinistra,
appena fuori dalla mia visuale, mi fa aprire gli occhi. Catherine si sporge verso di me,
le sue lunghe trecce che mi sfiorano il braccio.
Ha pianto. I suoi occhi sono contornati di rosso e umidi. «Ehi, eccoti,» dice, con
voce roca.
«Dove sono?» Gracchio. Mi fa male la gola.
È importante? Derrick è morto.
Allontano il pensiero e cerco di sollevare la testa, ma il dolore è troppo forte. Vedo
solo la muratura in pietra di un cottage. Un tetto di paglia. Una finestra aperta sulla
parete opposta mostra dei rami secchi all'esterno. Gemono come se il legno stesse
marcendo, debole e pronto a cadere.
Al di là, il cielo ha perso il suo splendore. Anche nei giorni nuvolosi, il cielo aveva
un bagliore argentato unito a sfumature di nero e blu per spezzare la monotonia.
Adesso è del grigio pallido e uniforme della carne morta. Come se la terra stesse
esalando l'ultimo respiro. Come se stesse combattendo per stare in vita e fallendo.
Proprio come me.
Catherine distoglie lo sguardo. «Sei tornata al campo. Sei al sicuro. E anche gli
altri.»
Non tutti gli altri. Derrick è morto.
Lotto contro le lacrime. «Come ci sono arrivata?»
Catherine prende un respiro. «Abbiamo sentito un rumore simile a un tuono.
All'inizio ho pensato che fosse il terreno che continuava ad aprirsi, ma eri tu. Hai
creato una crepa tra i regni. Tu e gli altri ne siete usciti e tu sanguinavi dappertutto.
Sei crollata a terra.» Deglutisce. «Derrick è… non ce l'ha fatta.»
Derrick è morto.
Chiudo gli occhi.
Persino i fae muoiono.
«Non era previsto che piangessi la sua morte» le dico. «Lui doveva vivere più a
lungo di me. Doveva vivere per sempre.»
«Lo so» dice lei.
«È colpa mia.» Non avrei mai dovuto chiedergli aiuto.
Lo sguardo di Catherine si fa più aspro. «È morto facendo quello che ha sempre
fatto.»
«Quello che gli ho chiesto di fare.»
«Oh, Aileana.» Sospira e mi prende la mano. «Voleva salvare la persona che amava
di più.»
Sollevo la mano e mi tocco la spalla, l'assenza del suo corpo minuscolo fa male.
Vorrei potergli accarezzare le ali un'ultima volta. Vorrei poter sentire la sua voce. «Si
è sacrificato per una persona che morirà.»
«Non essere stupida» dice Catherine con gentilezza. «Si è sacrificato perché tu
potessi vivere.»
Ho espresso un desiderio per te. Ho passato due mesi e mezzo a farlo.
Probabilmente Derrick era l'unica creatura in questo mondo morente e dimenticato
da Dio che credeva ancora che i desideri avessero qualche potere. Avrà anche perso la
sua città e la sua famiglia, ma questo non l'ha reso più duro. Non ha cambiato il fatto
che avesse ancora della bontà dentro di sé. È stato lui a insegnarmi che non tutti i fae
sono malvagi.
Non potrò mai ringraziarlo per avermi rattoppato tutti i cappotti strappati, i
pantaloni distrutti. Per tutti gli stupidi vestiti che mi ha fatto, con le loro balze, i loro
lacci e i loro fiocchi, che indossavo non perché mi importasse qualcosa di tutto
questo, ma perché a lui piaceva farli. Non lo sentirò più cantare le sue canzoncine
sconce nel mio armadio.
Mi ha salvato così tante volte e ora non potrò mai più ripagarlo per questo. Non gli
accarezzerò mai più le ali né sentirò più le sue battute stupide. Non si siederà mai più
sulla mia spalla.
È vuota. Io sono vuota.
«Catherine.» Mi si spezza la voce. «Mi manca così tanto.»
Poi le sue braccia sono intorno a me in un abbraccio che mi stritola e io singhiozzo
sulla sua spalla. Le mie lacrime sono calde e bagnate e il mio corpo trema.
«Moriremo tutti, vero?» Sussurro. «Cosa abbiamo che valga la pena di essere
salvato?»
Cosa ci resta? Un mondo pieno di mostri da cui dobbiamo nasconderci. Una guerra
infinita. Non c'è un posto sicuro. Ci preoccupiamo che le persone che amiamo vadano
in battaglia per non tornare più indietro.
Questa è la nostra verità. Questo è quello che rimane: un posto incolore che sta
cominciando ad andare in pezzi; una vita in cui ci chiediamo in che modo moriremo e
chi sarà il prossimo.
Cosa resta?
«Noi» mi dice, «ci siamo noi e, quando troveremo il Libro, faremo tornare tutto
come prima. Possiamo far finire tutto. Possiamo riportarli tutti indietro.»
«Non credo che possiamo riportare indietro Derrick» sussurro. Quando i fae
muoiono, non ci sono seconde opportunità. Non c'è ritorno. Le loro anime non sono
come le nostre.
«Magari il Libro può» dice, ma non penso che ci creda.
Non ci credo neanche io.
Io e Catherine stiamo così per un po'. In silenzio, perse nei nostri pensieri. Il dolore
per la perdita di Derrick è così forte. Ho perso una parte di me e non ho tempo per
abituarmi. Non ho tempo per piangerlo. Devo salvare il mio mondo distrutto e
invertire tutto.
Restituirò a Catherine e a tutti gli altri le loro vite. Tutto ciò che è stato rubato loro
dai fae.
E, per Derrick, la farò pagare alla Morrigan. Desidererà non avermelo mai portato
via.
«Devo tornare indietro.» Mi tolgo le coperte dalle gambe.
Catherine mi afferra una mano. «Prima riposati.»
Il mio tempo sta finendo. «Non posso. Non finché non ho ucciso la Morrigan e
usato il Libro.»
«Aileana» dice Catherine con fermezza. Quando fa così, è difficile ribattere.
Catherine è tanto testarda quanto me. «Non sei nelle condizioni di andare di nuovo in
battaglia, e se lo facessi…» Distoglie lo sguardo di scatto.
«Cosa?»
«Se lo facessi» sussurra, «temo che non ti vedrei prima della fine.»
«Non lascerò che succeda.» Dimmi che mi credi. Catherine ha espresso ad alta
voce i miei dubbi, le mie paure di non riuscire a sconfiggere la Morrigan. Devo
sapere che ti fidi di me. «Ma non posso starmene a letto. Non quando abbiamo così
poco tempo.»
Distoglie lo sguardo con un sospiro. «Va bene. Allora devo farti vedere una cosa.
Se non mi vuoi ascoltare e riposarti, allora devi vederlo prima di andartene.»
Quando mi alzo in piedi, il dolore è così forte che rischio di cadere. Non mi sono
mai sentita così debole. Neanche quando Lonnrach mi ha rubato il sangue e i ricordi.
O quando Catherine ha dovuto curarmi dopo essere stata attaccata dai fuochi fatui e
sono dovuta rimanere a letto per molti giorni.
Neanche in quel caso.
Non è lo stesso tipo di dolore. Questo è il dolore profondo dei miei ultimi respiri. Il
dolore della consapevolezza di star finendo il tempo.
Quando rischio di nuovo di cadere, Catherine mi afferra e mi avvolge un braccio
intorno alla vita per tenermi su. Mi appoggio su di lei, arrossendo dall'imbarazzo per
la mia debolezza.
«Ti tengo» dice Catherine, «ti tengo.»
Usciamo lentamente dal cottage. Chiudo gli occhi alla luce esterna. Il mal di testa
mi martella attraverso le tempie e Catherine aspetta pazientemente che faccia un
passo avanti.
Quando riapro gli occhi, vedo Gavin e Daniel seduti accanto al fuoco tenendo
d'occhio Sorcha, che appare insolitamente passiva. Kiaran e Aithinne devono essere
andati da qualche parte. E Derrick…
Derrick è morto.
Ricordo questa sensazione. Ricordo quanto fa male. Dopo la morte di mia madre,
mi svegliavo e andavo in salotto, aspettandomi ancora di trovarla seduta sul divano
col tè in mano. Alzava lo sguardo con un sorriso dolce e diceva sempre la stessa cosa:
Buongiorno, tesoro. Cosa facciamo oggi?
Ma lei non era lì. Non c'era nessun sorriso ad aspettarmi. Nessuna parola di
benvenuto. Solo un divano vuoto e freddo in una stanza vuota e fredda. Ogni giorno
era un promemoria della sua morte.
Proprio come questo. Proprio come ora.
Derrick è morto.
Gli occhi di Catherine si riempiono di lacrime, come se mi leggesse nella mente.
Mi guida attraverso il campo e sul sentiero tra gli alberi, finché non raggiungiamo gli
estremi della foresta. Noto a malapena il tempo che ci impieghiamo.
Alla fine, mi prende il gomito e dice: «Guarda.»
Apro gli occhi e tutto il mio corpo si paralizza per lo shock. Quando me n'ero
andata per cercare il Libro, questa foresta era così folta che la luce penetrava a
malapena. Gli alberi si stagliavano nel cielo, così alti che le stelle si vedevano a
malapena. Ricordavo la loro mancanza di colore, il modo in cui la foresta sembrava
un disegno sbiadito invece di una foresta vera.
Adesso è sparita. È sparito tutto.
Non è rimasto niente.
CAPITOLO 41 Traduzione: Eloise
Catherine mi guida attraverso l'ultima schiera di alberi e ciò che vedo mi provoca
un altro brivido di terrore. La foresta si è staccata ed è precipitata in un crepaccio
enorme simile a quello nel Sìth-bhrùth. È così profondo che non riesco a vedere la
fine.
Non c'è nessuna traccia di terra neanche dall'altro lato.
La scarpata si estende a perdita d'occhio, tanto quanto l'oceano. Un profondo buco
nero nel nulla.
È come se il campo fosse l'unico posto rimasto al mondo, un'isola immersa in un
posto oscuro.
E cosa resta del campo? Qualche capanna di paglia e un falò? «Quanto è sparito?»
La domanda mi si incastra in gola.
Catherine sembra a disagio. «Siamo proprio al centro. L'unico motivo per cui
questo campo non è finito sul fondo della fossa è lo scudo protettivo di Derrick. Ora
che lui è morto…» Fa una pausa. «Immagino che non durerà molto.»
«E per quanto riguarda la terraferma?» Stai in equilibrio. Stai tranquilla.
«Aithinne ha aperto un portale e se n'è andata poche ore fa per controllare i danni.
Ha detto che finora ha visto sempre la stessa cosa. La terra che crolla, i laghi che si
prosciugano.» Catherine si allontana di un passo, con uno sguardo ardente. «So che
sei in lutto, ma devi vincere questa battaglia. Devi.»
«Lo farò.» Devo.
Trova il Libro, uccidi la Morrigan. Per Derrick. Per questo piccolo, triste regno
bruciato. Così da far tornare tutto com'era.
Mi allontano dal burrone e i miei occhi pulsano quando un altro mal di testa mi
colpisce le tempie. Barcollo e Catherine mi afferra. «Dovresti davvero riposare
adesso. Parlerò con Aithinne per sostituire le tue armi.»
Catherine mi lascia accanto al fuoco. Gavin e Daniel sono andati da qualche parte,
ma Sorcha è ancora lì, che guarda le fiamme con un'espressione indecifrabile.
Alza lo sguardo quando mi sistemo su un tronco vicino a lei. Lei è seduta a terra, le
sue gambe lunghe distese con le caviglie incrociate. Sta facendo del suo meglio per
sembrare a proprio agio. «Hai un aspetto orribile» dice.
«Non obbligarmi a tirarti un pugno in faccia.»
Giuro che quasi sorride. «Bene, bene. Qualcuno sta accettando la propria natura.»
La mia risata è cupa, asciutta e acuta. «Vuoi sapere quanto posso essere crudele?
Ci sono momenti in cui penso a ciò che ha fatto la Morrigan e a quanto voglio
punirla. Penso a prendere il Libro e a restituirle un corpo così da poterlo torturare.
Squarciarle la gola, strapparle il cuore, e farla soffrire. E poi realizzo che…» Guardo
Sorcha. «È proprio da questo che mi avevi messa in guardia. Mi renderebbe
esattamente come te. Eppure, sono così tentata.»
Sorcha resta immobile. Qualcosa nel suo sguardo è brutale, messo a nudo. Quando
parla, la sua voce è rude. «Sia la Morrigan che lo Stratega mi hanno messo in gabbia.
Lui mi ha marchiato e ha cercato di rendermi sua. Lei mi ha spezzato il corpo, mi ha
portato via il mio nome e mi ha obbligato a cantare finché non ho finito la voce. Ha
ucciso chi ero e ha lasciato questo…» Si guarda le mani. «Questo guscio. So che ti ho
detto che è inevitabile, ma combattilo. Non cedere, non diventare come me. Non
lasciartelo fare.»
La fisso, le sue parole che rigirano nella mia testa. «Perché?» Sussurro. Hai detto
che ero spietata. Non penso di poter essere clemente, non come Aithinne.
Sorcha distoglie lo sguardo. «Perché non gli darà un senso. Non troverai mai pace.
Quei ricordi dolorosi non spariranno solo perché tu avrai distrutto la responsabile.
Uccidere ti rende solo vuota.»
Si alza e si avvia verso la foresta, fermandosi solo quando la chiamo per nome.
«Non posso perdonarti» le dico, «Mi hai portato via mia madre e hai fatto fare a
Kiaran quel giuramento. E non potrò mai perdonarti.»
Quando Sorcha si volta, la sua espressione è oscurata dagli alberi. «Il perdono non
è qualcosa che si dà» dice lei sottovoce, «è qualcosa che si guadagna. Cosa potrei fare
per guadagnarmelo, Aileana? Niente. Farei le stesse scelte. Non merito il perdono.»
Sussulto sorpresa quando realizzo che ha detto il mio nome.
Ha detto il mio nome per la prima volta.
Prima che possa rispondere, si allontana senza dire altro.
Gavin esce da uno dei cottage di paglia. La osserva ritirarsi nell'ombra e mi guarda.
«C'è qualcosa che dovrei sapere?»
«No» dico sottovoce.
«Dovrei mandare Aithinne a minacciarla?»
Non ci sono già state abbastanza minacce? Sento le lacrime accumularsi negli
occhi. Il perdono non è qualcosa che si dà. È qualcosa che si guadagna.
«Non è necessario.» La mia voce è piatta, estranea anche alle mie orecchie.
Cos'è che so ancora? Pensavo che i fae fossero tutti malvagi. Era semplice, senza
complicazioni. Ora i miei pensieri e sentimenti sono incasinati e caotici. L'unica
persona che rendeva facili le cose era Derrick.
E lui non è qui.
Gavin si sistema dietro di me. «Vuoi stare da sola?»
Fisso il fuoco. «No.» non riesco a reprimere il singhiozzo che mi esce dal fondo
della gola. «Gavin, non sto bene.»
«Shh. Vieni qui.» Gavin mi stringe a sé.
«Non penso di farcela ancora.»
Non posso continuare a perdere le persone che amo. Non posso continuare a
lottare. Non posso continuare ad andare in battaglia con sempre meno motivi per
vincere.
Gavin mi accarezza la schiena e, quando lo guardo negli occhi, vedo che sono
bagnati di lacrime anche i suoi. «Da quando ti dichiari sconfitta? Sei testarda quanto
lo era Derrick.»
«E ora è morto» sussurro «ho visto la Morrigan ucciderlo, usando la persona che
amo come suo carnefice. Solo perché voleva farmi pagare il mio rifiuto.» Chiudo gli
occhi, cercando di scacciare il ricordo della morte di Derrick. «Senti, possiamo
parlare d'altro?»
Gavin resta in silenzio per un attimo. Poi: «Sapevo che ci tenevi a Kiaran. Non
sapevo che fossi innamorata di lui.»
Questo non migliora le cose. Gavin non è capace. Ma mi accontenterò di questo
cambio di argomento.
«Non sono sicura che lo sappia neanche lui. Non gliel'ho mai detto.»
Gavin mi stringe leggermente. Mi sistemo contro di lui. Ora che Derrick è morto,
lui è l'unica consolazione che mi è rimasta di casa mia. Lui e Catherine.
«Credevo che i fae non potessero amare nessuno» dice, «ma quando lo vedo con
te, penso…» La sua risata e bassa, asciutta. «Un tempo ti amavo. E non ti ho mai
guardato come fa lui.»
Mi tornano in mente le parole di Derrick di quando eravamo nella città dei pixie.
Come se desiderasse essere mortale.
Reprimo il ricordo della voce di Derrick. «Non mi hai mai detto che mi amavi.»
Gavin si stringe nelle spalle. «Volevo dirtelo la sera prima di andare a Oxford. Te
lo stavo per dire quando mi hai fatto entrare di nascosto in camera tua e mi hai
baciato.»
«Cosa ti ha fatto cambiare idea?»
«Speravo che mi chiedessi di restare a Edimburgo. Non l'hai fatto.»
Gavin non sarebbe mai andato a Oxford e non si sarebbe ammalato. Non sarebbe
morto per poi tornare indietro con la Vista e io non sarei andata a quel ballo nel
Salone delle Assemblee come debuttante. Forse mia madre non sarebbe stata uccisa
quella notte. Forse quella singola decisione avrebbe cambiato tutto.
«Quindi te ne sei andato?» Faccio un piccolo sorriso triste. «Non ti sei fermato a
pensare che fossi una sedicenne frastornata dal suo primo bacio e con troppa paura di
dire Ti amo?»
Ho ancora paura di dire quelle parole. Alcune cose non cambiano.
«Era il tuo primo bacio?»
«Certo che lo era. Ho aspettato anni per quel bacio.»
«Avrei aspettato anni per sposarti» mi dice Gavin «lo volevo, molto prima che
fossimo obbligati a fidanzarci. Se mi avessi voluto anche tu. Anche se ora non
importa.»
Fisso le cicatrici sulla sua guancia e sulla clavicola. «Immagino che niente sia
andato come speravamo, no?»
«Neanche in un migliaio d'anni» il suo sorriso è rapido e forzato «ma mi piace
pensare che, se le cose fossero andate diversamente, saremmo stati felici. Tu no?»
Quando mi immagino come sarebbero potute andare le cose, la mia mente è vuota.
La mia vita è così legata alla guerra che tutto il resto sembra più un sogno che realtà.
Ricordo a malapena la ragazza che ero.
Mi guardo le mani. Catherine ha lavato via il sangue, ma riesco ancora a vederlo,
secco sotto le unghie. Ora che ci penso, le mie unghie non sono quasi mai pulite.
Sono sempre un promemoria dei fae che ho ucciso.
Sono una creatura del caos e della morte e forse è così che devo morire. In
battaglia. Alla fine di una lunga guerra.
Se le cose fossero state diverse e Kiaran non fosse mai entrato nella mia vita,
magari avrei sposato Gavin. Magari avremmo potuto essere felici, vivendo a
Edimburgo con i nostri figli.
«Non lo so» gli dico onestamente, «ma mi piace pensarlo.»
Anche lui si guarda le mani, come se stesse pensando le stesse cose. «Se
riusciremo a sopravvivere a tutto questo, cosa farete tu e Kiaran?»
Kiaran sarà con Sorcha. Lei passerà i primi mille anni a consumare pezzi della sua
anima finché non resterà più nulla del Kiaran che conosco. Un'eternità di servitù a lei
così che io possa avere un libro… un libro per cui il mio amico ha perso la vita.
«Non ci ho pensato» mento.
«Aileana.» Prende un respiro per dire qualcos'altro, ma lo interrompo.
«Sto morendo.» Le parole escono dalle mie labbra rapidamente. «Sto morendo.»
Dico, con voce più calma. «Ogni volta che uso i miei poteri, mi uccidono sempre di
più. Quindi non posso pensare ad altro. Devo trovare il Libro o…»
Qualcosa mi fa alzare lo sguardo sulla schiera buia di alberi. È Kiaran.
I suoi occhi incontrano i miei e so che ha sentito tutto.
CAPITOLO 42
Traduzione: Lella7692
Mi alzo in piedi. «MacKay. Aspetta…»
Lui non si guarda indietro mentre si allontana entrando nel bosco.
Gli corro dietro. «Cavolo, MacKey fermati» e quando il testone continua a
camminare aggiungo, «non puoi continuare a camminare, a meno che tu non voglia
cadere dalla scogliera. Quindi smettila di fare il coniglio e parla con me.»
Le mie parole fanno finalmente effetto. Kiaran si ferma, continua a darmi le spalle,
«Cosa vuoi Kam?»
Dico la prima cosa che mi viene in mente. «Te lo avrei detto.» «Quando?» Kiaran si gira. Il suo viso è così in ombra che non riesco a decifrarne
l’espressione. «Quando?» Vedendo che non rispondo aggiunge con tono amareggiato,
«Fammi indovinare, sarebbero state le tue ultime parole?»
I suoi occhi viola luccicano nel buio. Per un attimo non posso fare a meno di
pensare agli occhi blu dei Morrigan. Non riesco a cancellare il ricordo di Kiaran che
afferra Derrick in aria per stritolarlo. Come se si fosse trattato di una libellula. Di un
insetto. Di un microbo.
Dovrei forse sacrificare la mia pedina?
Come se potesse sentire quello che penso, Kiaran allontana lo sguardo, fissa con
vergogna gli alberi. Quando parla, la sua voce è così leggera che quasi non sento
quello che dice. «Ti ho vista morire due volte Kam, sei appena tornata.»
«Io sono mortale» dico gentilmente. «Devi riuscire ad accettare il fatto che non
vivrò per sempre. Dubito che il Libro possa cambiare le cose.» Quando non risponde,
inizio a singhiozzare. «Cosa avresti fatto se te lo avessi detto? Avresti cercato di
impedirmi di usare i miei poteri?»
Resta in silenzio per un po'. «Non lo so.»
Non riesco a sopportare di stargli lontana. Mi avvicino e lo circondo con le
braccia. Mi lascia appoggiare la guancia contro la sua schiena. Ascolto il suo battito.
Quando anche lui curva le braccia e mi stringe chiudo gli occhi.
Voglio dimenticare tutto. Voglio restare qui con te e dimenticare il mondo intero.
Voglio…
Gli dico la verità. «Vorrei poter trascorrere ancora mille anni con te. Di più» «Non mille anni, Kam. Ho già vissuto mille anni, e non sono stati belli.»
«Quanto allora?»
Kiaran lascia scorrere un dito lungo la mia guancia, lungo la mascella, fino alle
sopracciglia. Come se stesse cercando di bloccare un ricordo, il ricordo di questo
momento assieme. Piccoli frammenti per quando non ci sarò più. «Io voglio una vita
intera con te. Non cento anni, non mille, non l’eternità. Voglio solo una vita con te.»
Quando mi chino per posare le mie labbra sulle sue, mi accorgo che l’oscurità dei
suoi occhi sta cominciando a tornare. Non sono così scuri come quando ero nella
stanza dello specchio, assomigliano all’ombra che piano piano ricopre i campi in
primavera.
Il suo bacio è cauto. Così cauto. So che sta ricordando quello che ha fatto. So che
sta pensando ai suoi denti sul mio collo, ai suoi denti che mi mordono.
Quanto tempo ci resta? Quanto mi resta da vivere?
Perché amare una farfalla quando si sa che comincia a morire nel momento stesso
in cui comincia a volare?
Più tardi quella notte, viene accesa una pira per il funerale di Derrick.
Aithinne ha cosparso la terra di foglie secche, ramoscelli e rami, gli unici resti
della natura del posto, formando spirali e disegni.
Ci dovrebbero essere petali di ogni colore, mi aveva detto Aithinne mentre la
aiutavo. Fiori sparpagliati per miglia intere, come abbiamo fatto per te. In modo che
tutti possano sapere che lo abbiamo amato. Meriterebbe i fiori. Meriterebbe molto di
più di questo. Era scoppiata a piangere, l’avevo abbracciata finché la luna non era apparsa in
cielo.
Mentre raggiungo il campo dove Aithinne e gli altri si sono raccolti vicino al falò,
il petto mi fa di nuovo male.
Non piangere. Lo sai che non mi piace vederti piangere. Sei la mia preferita. Sorcha non è con gli altri e Kiaran se ne è andato. Avrei dovuto immaginare che il
senso di colpa sarebbe stato troppo per lui. Aveva ucciso la famiglia di Derrick. E,
anche se era sotto il controllo della Morrigan, era stato lui a uccidere Derrick. Come riesci a non odiarmi per quello che ho fatto? Mi aveva chiesto Kiaran prima
che lo lasciassi nel bosco. Perché è quello che lei vorrebbe facessi.
Aithinne si alza in piedi quando mi vede, Catherine fa un passo avanti e mi cinge le
spalle con un braccio. Mormora parole consolatorie, ma non riesco a sentirle. La mia
attenzione è tutta per la scatola di legno che Aithinne tiene in mano.
Una scatola. Una scatola. Quello che resta del mio amico, del mio compagno
d’avventura ora è in una scatola. Aithinne me la porge, ma non riesco a prenderla. Non riesco a muovermi. Se la
tocco diventerà tutto reale. Derrick sarà davvero morto.
Derrick è morto.
Catherine mi spinge in avanti. «Ci sono io con te» sussurra.
Prendo la scatola, ma non sento le lacrime scendere. La scatola è stata intagliata,
sia all’interno che all’esterno, ci sono simboli fatati ovunque. Chiunque l’abbia fatto
deve averci impiegato delle ore.
Aithinne dice, «non avevamo i petali. Quindi ho fatto questa.» Si avvicina e alza il
coperchio.
Il piccolo corpo è coperto da una copertina di seta. I suoi occhi sono chiusi, sembra
vivo. Come se stesse solo dormendo.
Non tornerà, rammento. Non sta dormendo. Non sta riposando. Non tornerà.
Ovunque va, la morte la segue.
Chiudo gli occhi mentre le lacrime iniziano a scendere. Fermatevi. Vi prego
fermatevi. «Che cosa c’è scritto sulla scatola?»
«Racconta tutta la sua vita.» Aithinne traccia con le punte delle dita i mille simboli.
«La sua nascita, le sue battaglie, gli anni passati, fino alla sua morte.» Mi guarda.
«Vorresti vedere la parte che parla di te?»
Senza aspettare la mia risposta, Aithinne mi prende la mano e la poggia nella
scatola. Accompagna le mie dita fino a un punto sul legno, dove il corpo di Derrick
riposa sotto la seta. I simboli sono più intricati e ancora più belli. Come se avesse
vissuto di più durante quest’ultimo periodo, più di quanto non lo avesse fatto nei
secoli precedenti.
«Sei qui» sussurrò Aithinne. «Il simbolo più vicino al suo cuore. Così quando
raggiungerà la sua famiglia dall’altra parte, lo vedranno decorato da queste parole,
dal tuo nome.»
«Che parole? »
Sorride, ma con un sorriso triste. «Ho vissuto per te e per te sono morto.» Guarda
Derrick. «Noi crediamo che una volta morti, i nostri spiriti vadano nel Tir na nòg. La
terra dell’eterna giovinezza. Dove la guerra non esiste.» Quando mi guarda ha gli
occhi pieni di lacrime. «Un giorno lo troverai lì. Lo troveremo lì tutti.» Fa un cenno alla piccola piattaforma vicino al falò. Quando appoggio la scatola, il
vuoto in me cresce. Aithinne cammina nelle fiamme, senza bruciarsi, e solleva la
scatola per posizionarla in mezzo ad esse. Guardiamo tutti le fiamme che consumano
la scatola: abbiamo perso un altro amico.
CAPITOLO 43 Traduzione: Eloise
Quando nel cielo pallido e morente sorgono le prime luci dell'alba, indosso i miei
vestiti per la caccia. Ho dovuto combattere le lacrime quando li ho visti sul letto nel
cottage di Aithinne.
Sapevo cos'erano.
Fammi un costume da pirata.
Solo se mi riservi un ballo.
Aveva fatto come avevo chiesto e me l'aveva cucito per combattere. Solo Derrick
non si sarebbe accontentato di farmi un semplice costume. È la cosa più bella che
abbia mai fatto.
Mi manchi, penso, immaginandolo sulla mia spalla. Mi manca vederti cucire. Mi
manca ascoltare le tue canzoni stupide.
I pantaloni sono fatti di pelle morbida, calda al tatto. Quando li indosso, sono
aderenti e agevolano i movimenti. Sono stati creati per rendermi agile e rapida in una
lotta. Pratici. Perfetti.
La specialità di Derrick erano sempre stati i cappotti. Ci metteva più impegno.
Trattengo il fiato e faccio scorrere le dita sulla stoffa raffinata. L'indumento è
simile a quello che mi aveva dato Aithinne, ma è del rosso intenso di un tramonto
estivo. Si abbina perfettamente ai miei capelli. Il davanti del cappotto è coperto di
intricati filamenti dorati che formano centinaia di piume cadenti.
Attraversano tutto il petto fino al retro, dove si separano diventando stelle.
Costellazioni.
Ognuna di esse proviene dalle lezioni di mia madre. Polaris. Alderamin. Gamma
Cassiopeiae.
E poi noto l'interno del cappotto. C'è una pezza di stoffa cucita sulla tasca interna,
dove dovrebbe stare il mio cuore.
Il tessuto scozzese di mia madre. Quello che era stato distrutto con il regno dei
pixie. Derrick si è ricordato il motivo e l'ha ricreato.
Come se non fosse abbastanza, c'è un messaggio.
Non è l'originale, ma ho pensato che dovessi indossarlo.
Smettila di preoccuparti di non essere all'altezza.
È stupido e lo sai. -D
P.S. non distruggere il cappotto la prima volta che lo indossi. Questi fili d'oro sono
stati una rottura di palle. Non mi stupisce che i pirati non li indossino.
Le lacrime mi annebbiano la vista. Quando leggo l'ultima riga, faccio una risata
soffocata e sollevo il cappotto per indossarlo. Il profumo di Derrick mi travolge. Mi
lascio scappare un singhiozzo. Mi siedo sul pavimento, premendo il cappotto sul
naso, e assaporo la sensazione del potere di Derrick che aleggia nell'aria. Caprifoglio,
dolcezza, natura.
«Non so se posso farcela senza di te,» sussurro.
Derrick si sarebbe messo sulla mia spalla e avrebbe detto: Certo che no; non
potresti mai cucirteli da sola.
Quasi mi spunta un sorriso. Avvolgo le braccia intorno al suo cappotto e inspiro di
nuovo il suo profumo. «Sono stanca,» sussurro. «Sono così stanca di combattere.»
Derrick avrebbe saputo esattamente cosa dire. Quindi cosa vuoi fare? Stare col
culo per terra indossando i miei bei vestiti? Piangerti addosso finché quei poteri non
ti uccidono?
Sento dei passi appena fuori dal cottage e, quando alzo lo sguardo, Aithinne è in
piedi sulla soglia con le mani sui fianchi. «Cosa dici?» Mi chiede. «Ci buttiamo in
un'ultima battaglia?»
Fisso il messaggio di Derrick e me lo immagino di nuovo parlare. Alzati. Prendi la
spada. Trova il Libro. Uccidi quella stronza malvagia. Smettila di piagnucolare e
riprenditi la tua vita, sciocca.
Perché ho dei vantaggi sulla Morrigan: ho Sorcha. Posso usare il Libro e la
Morrigan non può, non finché non ottiene un nuovo corpo. E lei ha ancora bisogno
che io ne crei uno per lei. Devo solo trovare quel dannato Libro.
La ragazza.
Quella dei ricordi di Sorcha. Lei era al ballo. Era nella foresta. L'avevo intravista
nella grotta subito dopo la comparsa del portale.
Era nella stanza degli specchi. E ha aperto quel portale per far passare Derrick. Mi
ha aiutato.
«Conosco quello sguardo» dice Aithinne con un sorriso. «È lo sguardo di chi ha un
piano.» Si acciglia. «Oddio, non è un piano stupido, vero?»
Non rispondo. Mi alzo in piedi e le passo di fianco. Devo trovare Sorcha subito.
Dov'è?
Quando vedo la baobhan sìth vicino al fuoco, mi affretto verso di lei. «Tu
conoscevi quella ragazza.»
Sorcha mi guarda come se fossi pazza. «Come, scusa?»
«La ragazza. Quella con i tatuaggi che abbiamo visto a Edimburgo. L'avevo già
vista nella tua mente. Chi è?»
Per una volta, sembra senza parole. Guarda Aithinne come per chiederle aiuto, ma
l'altra fata si limita a stare accanto a me con le braccia incrociate. «Ne dubito, non ho
ricordi di lei prima di averla inseguita. Ti immagini le cose. È comune tra gli umani,
temo.»
«Oh, smettila. Non mi immagino le cose» insisto «ho bisogno che tu mi faccia
entrare di nuovo nella tua mente.»
Aithinne aggrotta la fronte. «Cosa pensi?»
«Penso che quelle storie non hanno mai parlato di quello che è successo alla
consorte della Morrigan. Quella ragazza che mi ha aiutato… credo che sia la
consorte. E lei sa dov'è il Libro.» Faccio un passo verso Sorcha. «Se mi lasciassi
entrare, potrei essere in grado di vedere qualcosa che ci aiuti. Qualcosa che la
Morrigan si è persa.»
Sorcha stringe le labbra, alquanto spazientita. «Quindi stavolta me lo chiedi.»
Quando annuisco, sospira. «Spero che sia l'ultima volta che ti metti a scavare nella
mia testa. Muoviti e basta.»
Metto le mani sulle sue tempie e chiudo gli occhi. La mia mente si connette con
facilità alla sua. Ora che sono già stata nei suoi pensieri e ho visto i suoi ricordi, i loro
colori e la loro spinosità non mi sconvolgono più di tanto. È più facile farmi strada.
Sorcha mi guida nel flusso dei suoi ricordi come se mi stesse tenendo per mano.
Torno agli eventi della sua prigionia. La pelle di Sorcha diventa fredda quando
scorrono le immagini della sua tortura. Trema leggermente. Le do una spintarella,
mettendole fretta per arrivare dove ho visto la ragazza per la prima volta.
Lì. L'immagine è così flebile che quasi non la vedo. Torno indietro e la studio. Il
ricordo è solo un frammento. Il resto è annerito ai margini, come un quadro quasi
interamente bruciato. Resta solo un piccolo accenno dell'immagine.
La ragazza con le sue dita sotto il mento di Sorcha. La testa di Sorcha è inclinata
all'indietro, spontaneamente. Si è fatta rimuovere il ricordo di sua spontanea volontà.
I lunghi capelli della ragazza penzolano tra di loro, coprendole quasi gli occhi.
I suoi occhi sono completamente neri; non c'è traccia di bianco. I tatuaggi sulla sua
pelle brillano, la luce risplende attraverso la stoffa sottile del suo vestito. Le sue
labbra mimano qualcosa. Un messaggio. Riesco a capirne solo una parte.
«… dimenticati come mi hai trovato. Dimenticati cosa sono.»
Come mi hai trovato.
Cosa sono.
Non chi. Cosa.
Barcollo all'indietro. La mia mente si disconnette da quella di Sorcha. Aithinne mi
afferra per le spalle. «Che cosa…»
«La consorte della Morrigan è il Libro» la interrompo, «è il dannato libro. Quei
marchi su di lei devono essere gli incantesimi.» Per questo Lonnrach la voleva.
Doveva aver capito chi fosse. Ma, senza i ricordi di Sorcha, non poteva sapere quello
che aveva quasi ottenuto.
Il Libro è la ragazza.
Aithinne mi fissa. «Beh, è un bel modo per nasconderlo.»
«Non mi stupisco che mi abbia cancellato la memoria» dice Sorcha, strofinandosi
le tempie. «La Morrigan starà pensando di cercare un oggetto.»
E la ragazza è ancora intrappolata lì dentro con lei. Troviamola. Possiamo trovarla
e far finire tutto. Finirla.
Una parte di me sembra fuori di testa. Derrick non è sulla mia spalla a
consigliarmi. Non ho un piano adeguato. I miei pensieri sono un casino aggravato
dalla mia fretta. Ogni secondo che passa è tempo prezioso andato perso. Ogni minuto.
Ogni ora. Dobbiamo farlo adesso.
«Qual è il tuo piano?» Chiede Aithinne.
«Tornare indietro, trovare la ragazza e uccidere la Morrigan.»
«Semplice. Concreto. Scarse probabilità di successo» sorride, «mi piace.»
«Beh, io penso sia un suicidio» dice Sorcha con un ghigno.
«Hai un'idea migliore?» Le chiedo.
«Ho detto che è un suicidio, non che ho qualcosa di meglio. Una volta che questo
posto comincerà a svanire, qualunque cosa sia rimasta dietro quel portale farà la
stessa fine. Francamente, il suicidio è la nostra unica opzione adesso.»
Aithinne lancia un'occhiata al limite della foresta, dove la terra sta franando nella
fossa buia e senza fine. «Dobbiamo andarcene in fretta Non terrà. Dobbiamo portare
gli umani con noi.»
La risata di Sorcha è tagliente. «Gli umani contro la Morrigan? Non è un rischio di
morire, è una garanzia.»
«Se non hai intenzione di dire qualcosa di utile, chiudi il becco» dico. Guardo
Aithinne. «Trova Kiaran, raduna gli altri e tutte le armi che riesci a trovare. Ce ne
andiamo.»
Questa volta, Sorcha impiega minuti preziosi per trovare la breccia tra i due mondi.
Quella che avevo spalancato si era già spostata quando avevamo cominciato a
cercare.
A differenza di quando eravamo nel palazzo senza fine di Kiaran, abbiamo solo la
nostra minuscola isola su cui trovare un portale per la prigione della Morrigan.
Pochissimi chilometri quadrati. Per quanto ne so, è tutto ciò che resta del nostro
mondo. Mentre si restringe e cade a pezzi, lo stesso portale diventa sempre più
piccolo.
Sorcha sfiora con le dita i tronchi mentre avanza. «È molto piccolo» dice, quando
finalmente lo trova. «Come un foglio di carta.» La sua mano preme con più forza
contro l'albero e scuote la testa. «È meglio che funzioni. Perché la soluzione più
semplice è sempre che Kiaran infili una spada nel petto di sua sorella risparmiandoci
il viaggio.»
«Non è qui per aiutare, vero?» Chiede Catherine.
«È qui per i suoi giochetti» dice Gavin. «Non per aiutare.»
Kiaran incrocia le braccia. «E una soluzione migliore sarebbe tagliarti la lingua per
non farti più parlare.»
«Sei così ostile» Sorcha allunga la mano, «dammi la tua spada, splendore.»
Sorcha fa scorrere la punta del pugnale di Kiaran sul palmo e preme la mano
sull'albero.
Dall'altra parte del portale c'è la versione di Edimburgo della Morrigan. Siamo
sulla Prince Street, la zona commerciale principale della Città Nuova. I lampioni
lungo la strada sono tutti accesi, ma la città è una città fantasma. Immersa nel
silenzio, eppure piena di luce. Ogni finestra di ogni edificio risplende della luce di
una lampada o di candela, dai colonnati bianchi dei negozi della Città Nuova fino alle
case popolari scure e imponenti della Città Vecchia. Persino i giardini tra le due parti
della città, solitamente chiusi e bui di notte, risplendono di una luce inquietante e
crepuscolare.
Poi noto che non ci sono stelle. Non c'è una luna. Non ci sono nuvole. Solamente
un cielo buio pesto e infinito. Un vuoto gigantesco nel nulla al di sopra della città
scintillante.
«Dio mio» mormora Catherine.
Gavin fa un passo avanti sconcertato. «Dovrei sentirmi a casa, eppure sono
fottutamente terrorizzato.» Si abbassa per toccare il selciato. «È reale.»
«Alla Morrigan piacciono le cose drammatiche, eh?» Dice Kiaran con freddezza.
Cammino per la strada e faccio un giro su me stessa.
«Questo l'ha preso dalla mia mente.» Indico gli edifici intorno a noi, ognuno di essi
illuminato. «Lo sta usando ancora per snervarmi.» Lo sta usando per ricordarmi ciò a
cui sto rinunciando non dicendole di sì.
«Ci vorrebbero secoli per trovare la ragazza qui» mormora Catherine, «ho sentito
che le case popolari sulla High Street si estendono anche sottoterra.»
Anche Kiaran sembra incerto. «Ha ragione, Kam. Forse dovremmo dividerci.»
«Ho cambiato idea. Non è un suicidio, è stupido» commenta Sorcha.
Aithinne alza gli occhi al cielo. «Sei così negativa.»
«Non ci dividiamo» dico, «Catherine, Gavin e Daniel non possono competere coi
poteri della Morrigan.»
Sorcha posa gli occhi su di loro. «Non la biasimerei se li uccidesse in fretta. Gli
umani sono irritanti.»
«Deve essere difficile» dice Gavin, «siamo rimasti in sette sulla terra, e sei ti
odiano.»
Sorcha gli fa una smorfia.
Se Derrick fosse qui, potrebbe perlustrare velocemente tra gli edifici per noi. Se lui
fosse qui…
Non è qui, ti devi concentrare. Cerco di reprimere i dubbi e il rumore degli altri che
sussurrano tra di loro. Perlustro la città con i miei sensi, arrischiandomi ad usare un
piccolo flusso di potere. Viaggia per il paesaggio, setacciando le strade tranquille e
luminose. Non si sente il ronzio dell'elettricità, non ci sono uccelli sugli alberi, non ci
sono cavalli. Edimburgo è immersa nel silenzio.
Se fossi in lei, dove andrei?
I miei poteri continuano a cercare nel labirinto di strade. Tra gli strati di edifici e la
rete sotterranea di tunnel. Deve essere qui da qualche parte.
Quando i miei poteri indugiano sulla George Street, sento qualcosa. Piccolo.
Sottile. Musica?
Il Salone delle Assemblee.
Apro gli occhi. «Seguitemi.»
Li guido oltre i negozi, diretti a George Street. Oltre le belle case di Charlotte
Square; tengo lo sguardo avanti mentre superiamo la mia vecchia casa. Non
guardarla. Non distrarti.
«Percepisci qualcosa?» Mi chiede Kiaran.
«La musica del Salone delle Assemblee. È dove l'ho vista sul serio la prima volta.
Quando ho rivissuto la notte in cui…» Non riesco a evitare di guardare Sorcha, le mie
mani si stringono a pugno. «La notte in cui Sorcha ha ucciso mia madre.»
Ho quasi detto: La notte in cui mia madre è morta, ma perché dosare le parole?
Non c'è bisogno di educazione. Sorcha l'ha uccisa. Lei sa di averlo fatto.
Sorcha sembra divertita. «Vai dritta al punto, eh? Se non ti disprezzassi, lo
rispetterei.»
La città è tranquilla in modo inquietante. Ricordo che, quando uscivo di notte, la
città sembrava trattenere il fiato finché non uscivo dal giardino. Quando correvo per
strada col cappotto che svolazzava dietro di me, Edimburgo pulsava come se fosse
viva. Non smetterò mai di sentirne la mancanza; il mio cuore è ancora qui. È una città
di mostri, una città di segreti. Non importa cosa succede, continuo a tornare qui, dove
tutto è cominciato. Sarà anche un buco sottoterra nel mondo reale, ma continua a
vivere attraverso me.
L'aria è così immobile mentre sorpassiamo i negozi vuoti di George Street. È raro
che la città sia così tranquilla, così priva di vita. Sono abituata alla brezza costante. Al
profumo di luppoli e fuochi a legna e a un accenno di whisky nell'aria.
Ma quando mi avvicino al Salone delle Assemblee, i lampadari sono accesi. Le
arcate sono illuminate, traballano come fiamme. Dall'interno, sento il la melodia dei
violini mentre suonano una canzone familiare che mi fa fermare.
«Flowers of the Forest.» La canzone che suonavano al funerale di mia madre. Non
avevo partecipato, non avrei potuto, ma ero sgattaiolata fuori per vedere la
processione fino a St. Cuthbert. Giuro che quella canzone rimbombava per tutta la
città.
«Kam?» La voce di Kiaran è sottile.
«Quella canzone» dico, «conosco quella canzone.»
Cammino lentamente fino all'ingresso del Salone delle Assemblee e spalanco il
pesante portone in quercia. All'interno è completamente vuoto. La musica è svanita,
come se l'avessi immaginata. La pista è vuota; i nostri piedi echeggiano
rumorosamente sul parquet. L'unico segno di musica è il suo eco nelle mie orecchie,
che mi chiama, mi attira. Un messaggio? Dalla Morrigan o dalla sua consorte?
«Beh, non è qui» dice Sorcha, infastidita. «Altre idee? Magari è andata al bar.»
«Ti impegni davvero per essere una rompipalle o ti viene naturale?» Chiede
Aithinne.
«Mi sto semplicemente chiedendo quando potrò prendere uno di questi umani,
squarciargli la gola e bere fino alla fine del mondo.» Sorcha guarda Aithinne. «O puoi
inciampare sulla spada di tuo fratello così il resto di noi, sperando di sopravvivere,
potrà tornare a un mondo intatto.»
Aithinne stringe le labbra e distoglie lo sguardo. «Lo farò. Se arriveremo a quel
punto.»
«No, non lo farai» taglia corto Kiaran.
Chiudo gli occhi per pensare. Quando ero nella stanza degli specchi, la Morrigan
aveva usato le sembianze di Lonnrach per entrare nella mia mente. Quindi, se la sua
consorte fosse stata davvero lì nascosta tra gli specchi, avrebbe visto tutti i miei
ricordi, non solo di Edimburgo ma della mia vita qui. Forse la musica era solo una
distrazione per la Morrigan o un messaggio per me dove l'ho vista la prima volta.
I tuoi ricordi mi hanno mostrato un posto sicuro. Spero che tu possa ritrovare
qualcosa di simile.
Sicuro. Un posto sicuro. Dove andrei per sentirmi al sicuro? Se la consorte ha visto
questa città nei miei ricordi, dove può essere andata a nascondersi dalla Morrigan?
Non ci sono molti posti in questa città in cui potrebbe avermi visto trovare riparo.
Tranne…
Ho un'idea.
Mando di nuovo un piccolo impulso con il mio potere, cercando dove penso che
potrebbe essere, e la trovo. Leggera, a malapena riconoscibile, come la brezza che
soffia tra le foglie. «So dov'è.»
Mi sto già dirigendo fuori dal Salone delle Assemblee con Kiaran subito dietro di
me. «L'ultimo ricordo dello specchio era di noi due a Edimburgo. Avrà visto il posto
in cui mi sentivo più al sicuro dai fae e si sarà nascosta lì quando la Morrigan ha
creato la città.»
«Dov'è?»
Lo guardo. «Nella mia camera.»
CAPITOLO 44 Traduzione: Eloise
Ripercorro di corsa George Street, senza prestare attenzione agli edifici che supero.
Non controllo se gli altri mi stanno seguendo. Il mio battito frenetico e accelerato mi
rimbomba nelle orecchie, spingendomi ad andare più veloce. Più veloce. Non mi
sento me stessa. Mi sento come nel bosco quando Derrick mi ha trovato, senza
ricordi. Feroce, selvaggia. Disperata.
Trovala. Sta per finire il tempo.
Uno schianto assordante alla mia sinistra mi fa quasi rallentare prima di
raggiungere Charlotte Square.
«Kam!»
Guardo indietro. Dietro Kiaran, gli edifici stanno cominciando a crollare, come
colpiti da qualcosa di enorme. I detriti franano in strada. La polvere della muratura
esplode nell'aria mentre passo oltre.
La Morrigan? No, non è la Morrigan. Non sento il suo potere, non ancora. Il regno
sta cadendo a pezzi.
Attraverso la strada e raggiungo il centro di Charlotte Square. La mia casa è
silenziosa quando mi avvicino. L'ultima volta che ho visto questo posto, era
fatiscente, parte delle rovine provocate dalla Caccia Selvaggia. Quando ho lottato
contro i mortair, la mostruosa costruzione di metallo di Aithinne usata da Lonnrach,
l'arma della creatura l'ha completamente distrutta. La vera casa di Charlotte Square è
in polvere adesso.
Atterro sul pavimento e salgo i gradini della porta. Kiaran mi raggiunge e gli altri
sono appena dietro di noi. Esito e guardo Catherine, Gavin e Daniel. «Se arriva la
Morrigan» dico loro, «non affrontatela. Lasciate fare a noi.»
Catherine apre la bocca come per ribattere, ma dice solo: «Va bene.»
Sorcha fa per parlare, ma Aithinne la interrompe. «Non farlo. La mia pazienza è
poca e sono pronta a infilzarti con la punta della spada.» Aithinne mi guarda. «Vai
avanti.»
È aperto. Entro, ma la casa è vuota e immobile. Un boato distante mi ricorda che
questo posto potrebbe sparire da un momento all'altro come gli altri edifici.
Muoviti.
Mi volto verso gli altri. «Forse è meglio se vado da sola. Se sono migliaia di anni
che è in fuga per nascondersi dalla Morrigan, probabilmente non si fiderà di nessuno
che non abbia una mente protetta.»
Kiaran annuisce. «Stai attenta.»
Mi avvio su per le scale. Solo quando arrivo in cima realizzo che sto trattenendo il
fiato, per non fare rumore. Esito fuori dalla mia camera, poi apro la porta. Le luci
sono spente. Non ci sono movimenti nella stanza e, per un momento, mi chiedo se mi
sono sbagliata… finché non vedo un flebile raggio di luce provenire dall'armadio.
Deglutisco a fatica e afferro la maniglia. Questa è la vecchia casa di Derrick. Il
solo ricordo mi fa male al cuore.
La casa trema. Uno scoppio enorme risuona in lontananza. Le fondamenta
stridono.
Muoviti.
La porta dell'armadio si spalanca, rivelando una ragazza.
Sembra più giovane di quello che pensavo all'inizio, forse più giovane di me. I suoi
lunghi capelli neri scendono lisci fino ai fianchi. Le ciocche cadono in avanti quando
lei si accovaccia sotto una fila di vestiti appesi. Il baule che tengo lì dentro è aperto e
la stoffa scozzese di mia madre è nelle sue mani.
Trattengo il fiato vedendola. È andata distrutta quando la città dei pixie è stata
demolita. La pezza cucita nella mia giacca è una replica.
La ragazza solleva la stoffa per guardarla meglio. «L'ho ricreata dai tuoi ricordi.
Non è per niente uguale. Non penso di aver messo bene i punti.»
Mi schiarisco la gola e mi inginocchio accanto a lei. «Ci sei riuscita. È perfetta.»
«Bene» dice piano la ragazza. «Non vedevo un ricordo così pieno d'amore da tanto
tempo. Significa davvero molto per te. Sono contenta che finalmente la indossi.»
Deglutisco a fatica, sentendo le lacrime pungermi gli occhi. «Non so ancora se ne
sono degna.» Ho un cuore spietato. Sorcha aveva ragione su questo.
«È questo che pensi?» La ragazza sembra pensierosa. «Ho visto i tuoi ricordi. Ti
consideri un mostro.» Il suo sguardo così scuro si alza per incontrare il mio. I suoi
occhi sono neri come lo spazio tra le costellazioni. «A me non sembri un mostro.
Quando ho visto i tuoi ricordi, ho capito che eri diversa dagli altri che sono venuti per
il Libro. Non è così?»
Un altro rombo in lontananza. Il lampadario nella mia stanza traballa. Qualcosa
all'esterno si schianta.
Non spaventarla. Non hai tempo di trovarla se scappa di nuovo.
Fai in fretta.
Prendo un bel respiro per mantenere il controllo. «A volte i mostri hanno l'aspetto
di ragazze innocenti» dico. E poi penso a Lonnrach. «E a volte di uomini bellissimi.
Magari io non sono da meno.»
Le sue labbra si sollevano in un mezzo sorriso. «Sarebbero entrati in questo
armadio e mi avrebbero catturata come un premio una volta realizzato cosa fossi. So
che vuoi le parole sulla mia pelle, ovviamente. Posso sentire la tua disperazione
nell'aria. Eppure, stai aspettando il mio permesso mentre il mondo crolla.»
Fa un piccolo sorriso. «Diversa.» Diversa. Una piccola parola. Una parola
importante. Forse in fondo è possibile che io non diventi come Sorcha.
Faccio una risata secca e forzata. «So cosa si prova ad essere catturati contro la
propria volontà. Voglio solo il tuo aiuto per salvare i miei amici.» Aiutami a salvare
tutti. Aiutami a porre fine alla guerra.
«Il mio aiuto?»
La casa trema e devo sostenermi allo stipite della porta per non cadere. Poi realizzo
che non so neanche come si chiama. «Qual è il tuo nome?»
«Libro della rimembranza» dice, come se l'avesse detto ogni giorno della sua vita.
Un oggetto. Non una persona. Una proprietà.
«Non sei sempre stata un libro. Eri una fae. Eri la consorte della Morrigan, vero?»
Si allontana di scatto al ricordo, un'espressione affranta le attraversa il volto. «Una
volta» sospira, «prima che diventasse così potente da non farsene nulla di una
consorte. Allora sono diventata solo mo laòigh.» La sua voce è aspra. «Il suo
cerbiatto.»
Il cerbiatto della Morrigan.
L'uccellino della Morrigan.
Qual è il modo più veloce per strappare a una persona la propria identità e
plasmarla a proprio piacimento? Privarla della cosa più semplice: il suo nome.
Si strofina il braccio con le dita. «Quando mi sono scritta il Libro sulla pelle, è
diventato parte di me.» Fissa i marchi sulle braccia, gli scarabocchi d'inchiostro che
formano delle parole. «È stato in vita così a lungo che io non sono più chi ero. Come
un oggetto che ha vissuto troppo, forse non sono più degna di un nome.» Alza lo
sguardo su di me, gli occhi spalancati e scuri e vulnerabili. «Ma un tempo mi
chiamavano Lena.»
La casa trema di nuovo. La pietra scricchiola intorno a noi. Il battito nelle mie
orecchie è frenetico.
Muoviti.
«Lena» dico. Lei chiude gli occhi, come se le mancasse quel suono. Mi chiedo per
quanto tempo non l'abbia sentito. «Uno dei tuoi incantesimi può davvero invertire il
tempo?»
«Con qualche restrizione.» Mi preoccupo di ciò che dirà finché Lena non si sporge
in avanti con un sorriso. «Non potrei invertire l'esistenza del Libro, per esempio.»
Ricambio il sorriso. «Ho anche bisogno di informazioni sulla maledizione della
stirpe della Cailleach. Ne sai qualcosa?»
La maledizione che ha causato così tanta sofferenza. Innumerevoli guerre. Fratelli
che si sono uccisi tra di loro, piuttosto che causare la fine del mondo. Potrei sistemare
tutto se solo riuscissi a farmi aiutare da questa ragazza… questa ex-consorte.
Il sorriso di Lena sparisce. «Per quelle pagine ho tradito la Morrigan.»
«Potremmo distruggere la maledizione?» Deglutisco forzatamente. «Riscriverla?»
Un violento boom in lontananza. Qualcosa che cade e si disintegra al piano di
sotto. Kiaran che mi chiama per mettermi fretta.
Muoviti.
Lo sguardo che mi rivolge Lena mostra così tanta sofferenza che quasi non posso
sopportarlo. «È iniziata con la morte, quindi deve finire con la morte, fino al giorno
in cui un figlio della Cailleach non affronterà il suo destino con una vera bugia sulle
labbra e sacrificherà ciò che conta di più: il suo cuore.»
«Lo so.» Cerco di mantenere un tono paziente.
«Allora sai cosa bisogna fare» dice, «cosa devi fare. Era chiaro nei tuoi ricordi.»
Aggrotto la fronte. «Di cosa stai parlando?»
Prima che Lena possa rispondere, le finestre della camera si infrangono. Il vetro si
schianta a terra e tutto l'edificio oscilla. Vengo spinta con violenza all'indietro e la mia
spalla sbatte contro il muro.
Lena si alza in piedi con uno sguardo agitato. Per poco non perde l'equilibrio.
«Dobbiamo andare.» I suoi occhi sono due pozze profondissime. «Sta arrivando.»
CAPITOLO 45 Traduzione: Persephone
Afferro la mano di Lena e la trascino giù per la scala traballante.
Pezzi d’intonaco cadono dai soffitti e un’improvvisa spaccatura nelle fondamenta
mi fa quasi scivolare. Lena cade in avanti e la tiro indietro. I dipinti dondolano sulle
pareti attorno a noi. Da qualche parte lungo il corridoio, uno specchio si infrange a
terra.
Kiaran solleva lo sguardo sollevato quando entriamo nell’ingresso. Noto
confusamente che gli altri non sono lì; devono essere rimasti fuori. «Appena in
tempo, Kam» dice.
«Mi conosci. Se non è l'ultimo secondo, non è eccitante.» Inclino la testa a indicare
la ragazza. «Questa è Lena. Lena, lui è Kiaran. Quella è la porta d’ingresso.
Andiamocene da qui.»
Corriamo fuori dalla casa e giù per i gradini dell’ingresso. La preoccupazione mi
attraversa quando vedo che le altre case attorno alla piazza stanno cadendo,
sbriciolandosi. Una dopo l’altra, come fossero castelli di sabbia e non edifici di
pietra.
Bam! Guardo da sopra la mia spalla mentre il Numero Sei, la mia bellissima casa
d’infanzia, collassa al suolo. Polvere e detriti esplodono attorno a noi. Trascino Lena
con me attraverso la strada dove gli altri ci stanno aspettando e ci guardano con occhi
terrorizzati.
Sembrano solo lievemente sollevati quando ci vedono arrivare – ad eccezione di
Sorcha, che sembra irritata, ma cosa c’è di nuovo?
«Siete giusto in tempo per l’apocalisse» dice Sorcha.
«È un tale tesoro» borbotta Gavin.
Estraggo un coltello dalla mia guaina da polso e lo lancio a Sorcha. «Sta zitta e
tagliati prima che lo faccia io.»
Sorcha sta per tagliarsi il palmo quando viene scagliata da una forza invisibile che
la manda a sbattere sul ciottolato. Mi giro, ma non c’è nessuno dietro di me tranne gli
altri.
Gli occhi sbarrati di Catherine guizzano verso qualcosa accanto a me. «Aileana!»
Qualcosa sbatte contro di me. Vengo lanciata in aria, il mio corpo rotola e scivola
dolorosamente sull’acciottolato. Il mio braccio sbatte forte contro un detrito di pietra.
Quando guardo in su, sconvolta, confusa, con la visione offuscata, vedo solo
Aithinne.
Quando incrocio i suoi occhi, sono del chiaro, vivido blu della Morrigan. Sta
controllando il corpo di Aithinne.
E sta andando dritta verso Lena. «Tutto ciò che ho dovuto fare è stato seguirla
finché non ti ho trovato» dice a Lena con la voce di Aithinne. Lena si allontana
tremando, la schiena premuta contro un lampione. «Per tutto il tempo ho pensato che
ti stessi nascondendo qui col mio Libro. Ma riconosco i miei incantesimi sulla tua
pelle, mia ambigua piccola cerbiatta. Come sei intelligente.»
Kiaran si scaglia verso la Morrigan con la spada sguainata, e la colpisce al braccio
solo per distrarla. «Corri!» Dice a Lena.
La Morrigan allontana la spada e gli tira un pugno in faccia. Lo tiene bloccato coi
suoi poteri. Lena prova a scappare, ma dall’acciottolato sbucano viticci spinosi, così
velocemente che non ha il tempo di fuggire. Si avvolgono attorno a lei e la tengono
ferma. I suoi occhi sono sbarrati dal panico mentre lotta contro i rampicanti.
Al limite della piazza, Catherine si muove per intervenire, ma Gavin e Daniel la
trattengono. Scuoto selvaggiamente la testa. Non farlo. È troppo potente.
La Morrigan sembra più alta nel corpo di Aithinne, incredibile. Una dea che
indossa la pelle di una creatura inferiore.
«Tu.» La voce della Morrigan è tagliente quando si rivolge a Sorcha. «Mi servirà il
tuo sangue.» Poi guarda me. «E tu mi darai il mio sì oppure ho tre spaventati, patetici
umani da sacrificare.»
Fai qualcosa!
Chiamo il potere dentro di me, spingendolo attraverso le mie vene disperatamente.
Non riesco a concentrarmi. La mia mente mi sprona ad agire ma fa così male. Il mio
potere mi lacererà, mi smembrerà se glielo permetto.
Non puoi permetterti di perdere il controllo. Fallo uscire come un respiro.
Tiro fuori tutto quel potere e lo scaglio contro la Morrigan, ma lo allontana con uno
schiaffo, colpendomi con un lampo di potere così forte che vengo di nuovo scagliata
all’indietro. Atterro duramente sulla strada, le ossa doloranti mentre mi alzo. Mi
sanguina il labbro. Mi pulsa la testa. Lotto per non svenire.
Non puoi vincere. Non quando hai tutto da perdere.
Kiaran è lì, mi aiuta a rialzarmi. «Forza, Kam. Alzati!»
«Vai con gli umani.» La mia voce è roca, tesa. «Portali fuori da qui.»
La sua stretta sul mio braccio è sicura. «Non c’è nessun posto dove andare, e non ti
lascio.»
Il potere della Morrigan lo colpisce e sfuggo alla sua presa. Kiaran atterra
duramente al suolo.
Sento la sua voce dietro alla bellissima risata di Aithinne e la odio per questo.
«Nessun nascondiglio. Ti voglio qui per assistere.»
La Morrigan si gira verso Sorcha e usa il suo potere per attirarla verso di sé. Poi
afferra il braccio di Sorcha e lo piega in un angolo doloroso, trascinandola sopra
Lena. Sorcha si lamenta quando la Morrigan le taglia la guancia con la lama. «Shhh.
Ti ricordi, vero? Non urlare se non ti dico di farlo, uccellino. Questa era la mia
regola.» Preme il coltello sul palmo dell’altra donna. «Adesso sanguina.»
Dietro la Morrigan, Catherine si libera della presa di Gavin e Daniel. Raccoglie la
spada di Kiaran e si lancia verso la Morrigan.
«Catherine, no!» Urla Daniel.
Catherine colpisce la Morrigan al petto, ma lei non batte ciglio. Allunga le dita
verso Catherine.
Tutto ciò che sento è l’orrendo suono del collo di Catherine che si rompe. La vedo
colpire duramente il suolo. Non si muove più.
Un urlo erompe da me, Daniel e Gavin fissano il suo corpo accartocciato, increduli
e scioccati.
Catherine Catherine Catherine...
Portala indietro. Finisci questo e potrai portarla indietro.
Non ho tempo di piangere. Le lacrime mi offuscano gli occhi mentre colpisco la
Morrigan con un duro concentrato di potere. La sua testa si gira e lei sorride.
«Un’altra pedina abbattuta.» Quando si gira, vedo la striscia di sangue sulla sua
bocca. «Ultima possibilità, Aileana Kameron. Dì di sì prima che gli altri due la
raggiungano.»
Daniel perde il controllo. Attacca, ma la Morrigan fa volare lui e Gavin all’indietro
con un movimento delle dita. Colpiscono il suolo nel centro della piazza.
Non ce la faccio più. Non posso veder morire anche loro. «Smettila!»
Il suo potere mi sfiora la pelle in una carezza beffarda mentre stringe la sua presa
su Sorcha. «Arrenditi. Tutto ciò che devi fare è dire di sì. Chi dovrei sacrificare ora?
Sarà il Re? Potresti essere in grado di riportare indietro gli umani col mio Libro, ma
non lui.»
Deglutisco rigida, guardando il corpo di Catherine sulla strada. Ricorda. Finisci
questo e puoi portarla indietro. «No» sussurro, chiudendo gli occhi.
Continua come se non avessi parlato. «Ti guarda come se potessi salvarlo. La sua
bellissima ragazza umana morente.» I suoi occhi blu zaffiro incontrano i miei. «Dì sì
e la mia offerta è ancora valida. È tuo.» Dà una scossa a Sorcha. «Cancellerò il
marchio che il mio uccellino ha posto su di lui. Ti darò l’immortalità. Tutto ciò che
devi fare è dire la parola e resuscitare il mio corpo. Sì.»
«Kam, non farlo!» L’urlo di Kiaran si interrompe quando il potere della Morrigan
attraversa l’aria. Quando lo guardo, Kiaran ha un lungo profondo taglio che gli
attraversa lo zigomo.
La Morrigan stringe ancora la presa sul braccio di Sorcha. «Sanguina.» Quando
Sorcha non lo fa, la Morrigan le rompe il polso. «Ho detto, sanguina.»
Sorcha stringe una mano attorno alla lama del coltello, e, con uno sguardo
dispiaciuto a Lena, preme il palmo insanguinato sul braccio tatuato di Lena. Lena
piega la testa all’indietro in un urlo muto. Le scritte su tutto il suo corpo brillano e lei
pulsa di pallida luce argentea.
Il Libro è stato aperto.
La Morrigan è compiaciuta. I suoi occhi luminosi si fissano nei miei. «Aileana
Kameron» canticchia, «cosa succederà? Un sì o un sacrificio?»
Sorcha solleva lo sguardo. «Non farlo. Il Libro è tuo adesso...»
La Morrigan colpisce Sorcha in faccia con un pugno e lei collassa al suolo. Mi
chino per prenderla, ma la Morrigan si allunga verso di me col suo potere. Mi
colpisce con la forza di un’onda. I miei denti si scontrano e il gusto ferroso del
sangue è stridente sulla lingua. Ho a malapena avuto il tempo di usare il mio potere
per evitare che rompesse ogni osso nel mio corpo.
«Dì di sì, ragazza.»
La voce di Catherine risuona chiara nella mia mente, tepore nel dolore.
Riporteremo tutto com’era.
E Derrick: Muovi il culo e finiscila. Finiscila, Aileana.
«Aithinne» sussurro, «mi spiace.»
Lancio il mio potere contro la Morrigan. Si separa da me come un fulmine che
colpisce, attraversando il mio corpo con un dolore che mi lascia boccheggiante. Lo
combatto e la faccio cadere. I nostri corpi si scontrano. Ci lanciamo l’una sull’altra,
pugni e graffi e duri colpi intrisi di potere.
Il mio corpo non è immortale. Il mio corpo è una cosa fragile, fallace, fatta di carne
e sangue, e ogni colpo mi fa arretrare finché lei non mi sovrasta con un duro colpo
finale. Perderò questo combattimento perché non posso lanciarle contro tutto ciò che
ho. Perché altrimenti ucciderei Aithinne.
«Kam!» il richiamo di Kiaran attraversa la confusione del dolore. «Usa uno degli
incantesimi di Lena!»
Gli incantesimi. Certo.
La Morrigan è in piedi ma la trascino di nuovo a terra, il mio potere che sbatte
contro di lei. La sua forza è abbastanza da farmi vedere le stelle. Mi accovaccio
vicino a Lena ed erigo uno scudo per proteggerci dagli attacchi della Morrigan. È
eretto maldestramente ma dovrebbe darci abbastanza tempo.
Lena è abbandonata nella stretta delle viti. Le stringo il braccio. «Lena. Dammi un
incantesimo.»
«Non posso» mormora, «ti ucciderà.»
Il potere della Morrigan si abbatte sullo scudo. L’elettricità sfrigola nell’aria, lampi
che vibrano attorno a noi. I resti dei pochi edifici rimasti attorno a noi stanno
tremando, crollando. Gavin, Daniel, Sorcha e Kiaran schivano pezzi di roccia che
cadono e usano la distrazione della Morrigan che è concentrata su di me, cercando di
penetrare il mio scudo.
«Dico di preparare un ultimo attacco.» Dice Daniel torvo, la voce roca.
«Uccidiamola e facciamola finita.»
«Sono d’accordo» dice Gavin, «un lampo di gloria. Morire con dignità.»
«Vi aiuterò.» Sorcha asciuga il sangue sulla sua faccia. «Non sono sfuggita alla
Morrigan solo per nascondermi come una codarda.»
«E io non fuggo dalla battaglia» dice Kiaran, «specialmente non quando il regno si
è degradato abbastanza che posso finalmente sentire di nuovo i miei poteri.»
Il potere della Morrigan si abbatte di nuovo sul mio scudo. Sussulto, faticando a
tenerlo in piedi. Continua a tenerlo su. Se non agiamo in fretta...
La dolce voce di Catherine nella mia testa mi sussurra: Questo mondo non è un tuo
fardello. Appartiene a tutti noi. Anche a loro.
«Aspettate» dico agli altri. «Lena? Se Kiaran e Sorcha combinassero i loro poteri
col mio?»
Lena sorride. «Questa sì che è un’idea.»
«Allora dobbiamo farlo tutti insieme» dico, guardandoli. Siamo tutto ciò che
rimane. «Insieme. Abbiamo una sola possibilità.»
La mascella di Gavin è ferma, determinata. «Se avete una sola occasione, vi servirà
una distrazione.» Guarda verso Daniel. «Cosa ne pensi, vecchio mio?»
Daniel fa un cenno di assenso. «Aye. È il momento per il tuo stupido Piano B.»
No. Tutto dentro di me sta urlando di dire no. Non lasciarli andare. E se morissero
e non potessi vincere?
Ma è una loro decisione. Quando gli occhi di Gavin incontrano i miei, ci vedo un
guizzo di paura. «Distruggila e riportaci indietro» dice, «o dovrò perseguitarti per
sempre, intesi?»
Questo mondo non è un tuo fardello. Appartiene a tutti noi.
«Intesi, Galloway.»
Do un’occhiata a Sorcha e allungo la mia mano, palmo all’insù. «Questo non
cambia niente» le dico, «ti odio ancora.»
«Ovviamente.» Mette la mano sulla mia con un rapido sorriso. «Anche io ti odio.»
Sul mio altro fianco, le dita di Kiaran si intrecciano con le mie. «Ora, Kam.»
Lascio cadere lo scudo e Gavin e Daniel si lanciano verso la Morrigan. Li guarda
come farebbe un cacciatore che ha intravisto la preda. I suoi poteri crescono, pronti
ad attaccare.
«Chiudi gli occhi, Kam» sussurra Kiaran, «non guardare. Non ascoltare.»
Chiudo gli occhi. Accanto a me, Sorcha inizia a cantare. La sua bellissima, alta,
melodica voce mi riempie le orecchie e blocca i suoni. Mi dà pace. Un ultimo
momento di pace così non devo sentire i miei amici che vengono massacrati.
Lena preme le mani sulle mie spalle e bisbiglia, «Dì queste parole.»
Mi sussurra nelle orecchie un linguaggio, una canzone. Incontro lo sguardo della
Morrigan mentre canto con Lena. Le nostre voci si intrecciano con quella di Sorcha,
poi di Kiaran. Il potere cresce e cresce attraverso l’insieme delle nostre voci, i nostri
corpi, le nostre mani. Lotto per stare con loro. La canzone assume una vita propria
circondandoci come se fosse trasportata dal vento.
Poi si chiude sulla Morrigan. Lei combatte contro di noi, la sua voce che si leva in
risposta. Ma la respingo. La piego.
Le energie di Sorcha e Kiaran mi attraversano così forte e dolorosamente che quasi
cado in ginocchio. Le mie vene sono in fiamme. Le ossa pesanti. Il sangue comincia a
uscirmi dal naso, dalle orecchie. La mia voce esce a fatica, mi raspa la gola, ma
continuo a cantare. Spingo giù tutta l’agonia e la uso per concentrarmi. Devo farlo.
Per Derrick. Per Caterine e Gavine e Daniel.
La voce divertita di Derrick si alza dai miei ricordi. Stai uscendo per un massacro?
Esco per salvare vite.
Hai alzato la posta in gioco. Mi piace.
Nel bel mezzo di tutto, quasi sorrido.
Apro gli occhi mentre il corpo di Aithinne sussulta. La sua bocca si apre in un urlo
selvaggio e la schiena le si inarca come se le stessero strappando qualcosa. Lo
sconvolgente blu zaffiro degli occhi della Morrigan brucia di un chiarore accecante
mentre il potere esplode attorno a noi in ogni direzione. Gli edifici ancora in piedi
crollano fino alle fondamenta.
Poi tutto diviene immobile, silenzioso e calmo.
Aithinne collassa al suolo, sbattendo confusamente le palpebre. Gli occhi sono i
suoi. La Morrigan è andata. Andata. Non riesco più a percepirla.
«Ce l’abbiamo fatta» sussurro a Kiaran. Mi afferra mentre cado, adagiandomi
lentamente al suolo. Ordina a Sorcha di andare ad aiutare Aithinne, la voce affilata.
«Tu ce l’hai fatta.» Il suo tocco gentile mentre asciuga il sangue sulla mia faccia.
Appoggio la guancia contro il suo petto. «Kam. Kam, tieni gli occhi aperti.»
Un improvviso rumore attira la mia attenzione. Attorno a noi, i pochi edifici rimasti
iniziano a disgregarsi, cadendo sulla strada.
«È quasi finita» dice Lena dolcemente. «Non rimane molto tempo per salvare il
vostro mondo.»
«Dimmi cosa fare» dice Kiaran.
«Non cosa tu devi fare. Lei. È l’unica che può rompere la maledizione.»
Io? Ma non sono...
Una scossa mi attraversa quando ricordo le sue parole.
Hai il sangue di mia figlia in te, i suoi poteri. Il mio sangue, aveva detto la
Cailleach. Sono parte del suo lignaggio.
Sono una figlia della Cailleach. Una figlia della Cailleach che può mentire.
Anche Kiaran deve averlo realizzato. Quando guarda verso di me, la sua
espressione è determinata. Decisa. «Mentimi, Kam.»
«Cosa?»
«Mentimi.»
Sacrificano ciò a cui tengono di più: i loro cuori.
Cerco di liberarmi dall’abbraccio di Kiaran. «No.»
So cosa mi sta chiedendo di fare. Cosa mi sta chiedendo di sacrificare.
Kiaran mi stringe contro di sé, la sua fronte contro la mia. «Dimmi una bugia che
non può essere una verità distorta. Abbiamo quest’unica occasione. Solo una.»
«Per favore» sussurro, «non posso. Non chiedermi di farlo.»
Mi sta accarezzando i capelli e vedo quanto mi ami. Posso vederlo così
chiaramente. «Racconta storie su di noi, Kam» sussurra, «racconta alla gente che
quando il re dei fae e la ragazza umana si incontrarono per la prima volta, lui vide
quanto lei fosse intelligente. Quanto folle e coraggiosa e magnifica. E che sapeva che,
un giorno, innamorarsi di lei non sarebbe stata una scelta. Sarebbe diventato per lui
facile come respirare.» Le sue labbra toccano le mie. «Racconta alle persone come
resistettero fino alla fine di tutto e salvarono il mondo. Insieme.»
Mi lascia mentre i palazzi attorno a noi iniziano a cadere. Mentre il regno inizia a
crollare.
Un altro bacio, questo così leggero. «Sono stato vivo per quattromila anni e non ho
mai fatto nulla che non fosse egoista. Quindi lasciami fare questo con te. Lasciami
fare una cosa buona» preme l’elsa della spada nel mio palmo. «Ora dimmi una
bugia.»
Prendere la spada da lui è la cosa più difficile che abbia mai fatto. Poggio la mano
sulla sua guancia e gli dico la bugia più vera che abbia mai detto, una che mi spezza il
cuore. «Non ti amo» sussurro, premendo le mie labbra tremanti contro le sue.
Poi gli trafiggo il petto con la spada.
CAPITOLO 46 Traduzione Lella7692
Sto ancora cullando il corpo di Kiaran, quando il mondo torna alla normalità. La
prigione del reame di Morrigan si dissolve e compaiono i resti del mio mondo, il
piccolo isolotto di roccia vicino a campo di Aithinne è ancora in piedi. La terra
comincia a formarsi. Roccia dopo roccia. Pietra dopo pietra. Albero dopo albero.
Tutto torna al suo posto, come se fosse stato dipinto da un’abile mano.
I primi raggi di sole spuntano tra le nubi, mentre il sole si erge sopra gli alberi.
L’aria porta con sé un fresco aroma di pino, chiudo gli occhi e mi estranio.
Non posso sentirmi sollevata, non circondata da così tanta morte.
Sono qui, sono l’unica umana sopravvissuta a una guerra che non ho mai voluto e
sto andando in pezzi. Ho perso una parte troppo grossa di me stessa. Sono vuota,
come la fossa creatasi quando il mondo stava crollando.
Stringo Kiaran come se stessi cercando di tenere uniti gli ultimi pezzi di me, una
ragazza in rovina.
Che non può essere riparata.
Ti amo. Avrei dovuto dirti che ti amavo. Avrei dovuto dirtelo prima di essere
costretta a mentirti.
Dei passi mi distraggono dai miei pensieri. Quando apro gli occhi Aithinne è
inginocchiata vicino a me. Le sue guance sono arrossate e bagnate di lacrime mentre
guarda il fratello. «Dopo tutto questo tempo hai dovuto andare, hai dovuto fare
l’eroe,» gli dici. Gli accarezza i capelli. «Stupido fratello. Avresti dovuto lasciarmi
morire.»
«Hai ragione. Avrebbe dovuto.» Sorcha è in piedi sopra di noi, le mani strette a
pugno. Il suo viso è ottenebrato dal lutto e da una rabbia cieca. Si gira verso Lena,
quasi come volesse accusarla. «Perché sono ancora viva se lui è morto? Cosa ci
faccio qui?»
«Il suo sacrificio è stato più forte del tuo voto. È magia antica, più potente di una
promessa obbligata.»
Sorcha le chiude la bocca. «È una…»
«Basta!» dice Lena con freddezza. Mi guarda. «Aileana, restituisci I poteri della
Cailleach alla regina dei Seelie prima che ti uccidano,» mi porge una mano. «Forza,
non lasciare che il suo sacrificio sia inutile.»
Ho vissuto per mille anni, e mai una volta ho fatto un qualcosa che non fosse
mosso dal puro egoismo. Lascia che lo faccia con te. Lasciami fare qualcosa di
buono.
Accarezzo con le dita le guance di Kiaran. la sua pelle è ancora calda. Solo per te.
Solo perché era quello che volevi.
Prendo la mano di Lena e dico ad Aithinne. «Dopo tutto questo, gli incantesimi
sono tuoi e di Lena. Assieme.»
L’incantesimo si forma nella mia testa, come il ritornello di una canzone. Per la
prima volta da quando ho ereditato i poteri della Cailleach, non soffro. Non mi sto
sforzando, mi sento più leggera. Provo un senso di sollievo che non riesco a spiegare,
come se il mio corpo non avesse più un peso, come se fosse di nuovo intero. Tranne il
mio cuore. La maledizione richiedeva un sacrificio. Non lo riavrò indietro.
Il sibilo di dolore di Aithinne è poco più di un singhiozzo. Il suo corpo si accascia,
non c’è più alcuna tensione. Poi apre gli occhi.
Sono chiari e lucenti come argento liquido. Quando Aithinne mi guarda, è
consapevole.
I poteri della Cailleach sono dentro di lei, così come gli antichi reami. Ma,
diversamente da sua madre, lei non è fredda.
È calda e calma. Se Kiaran fosse qui, direbbe che la sua è stata la scelta giusta. Lei
sarà una regina migliore.
«Mi sento come se fossi in debito con te per avermi salvato la vita, per aver cercato
di salvare la sua.»
«Non c’è alcun debito tra di noi Aithinne». E' davvero la mia voce? Sembra vuota.
«Sei mia amica. Lo sarai per sempre.»
Guarda dietro di me, dove so che i corpi di Gavin, Daniel e Catherine giacciono
senza vita. Non riesco a guardare. Riesco a malapena a sopravvivere così.
Sono vuota. Non mi è rimasto nulla.
«Allora non pensare che il mio tempo sia un pagamento, consideralo un regalo.
Dopo tutto quello che tu e loro avete sacrificato, meriti una vita diversa, la meritate
tutti voi. Meritate di più»
Con uno degli incantesimi di Lena, Aithinne sarà in grado di modificare il tempo e
riportarci tutti indietro. Come se nulla fosse mai successo. Gli altri se lo sono
guadagnato.
Ma io? Come posso fare a finta che non sia mai successo nulla? Come posso fare a
finta di non aver mai conosciuto Kiaran? A cosa potrò mai ritornare?
Gli occhi di Aithinne sono lucenti e argentati. Pieni di potere e conoscenza, e sì,
anche di tristezza. «Non puoi passare la tua vita in lutto per lui, Aileana. Non lo
avrebbe mai voluto.»
Visto che non rispondo continua. «Niente più battaglie, niente più guerra.
Approfittane.»
Il mio cuore sobbalza e guardo Lena. «Puoi riportare indietro Kiaran e Derrick?»
chiedo anche se so già la risposta. Devo solo sentirla.
Lena singhiozza. «Con le fate non funziona così. Riportarle indietro necessita un
sacrificio. Una vita per una vita.»
Una vita per una vita. Guardo Kiaran, gli accarezzo le guance ormai pallide con le
dita. Non riesco ad evitare alle prime tracce del lutto di farsi avanti, nonostante
l’intorpidimento. A cosa potrò mai tornare, se lui non ci sarà?
Come se riuscisse a leggermi nel pensiero Sorcha fa un passo avanti. «Non farlo,»
abbaia. «Non ti azzardare a rinunciare alla tua stupida vita da umana per
resuscitarlo.» Fa fatica a deglutire, e posso giurare di aver visto delle lacrime nei suoi
occhi. «Merita di meglio.»
Ha ragione. E poi ho promesso a Catherine che l’avrei rivista. L’ho promesso.
Deglutisco a fatica e guardo Kiaran.
Devo lasciarti andare. Come ho lasciato andare Derrick.
«Cosa farai ora che sei regina?»
Aithinne sorride triste. «Creerò nuove fate. Ricostruirò il regno con l’aiuto di
Lena.» Guarda l’altra fata che annuisce. «Ho un sacco di lavoro da fare. Sicuramente
riceverai un invito ad un’incoronazione uno di questi giorni. Non azzardarti a
rifiutarlo. Altrimenti mi presenterò alla tua porta e esigerò una torta e un ballo.»
Prende la mano di Lena e si china in avanti, come per toccarmi. «Sei pronta?»
Chiudo gli occhi e annuisco.
Aithinne mi tocca la tempia e mormora formule nella sua lingua, sembrano le note
di una ninnananna. La voce di Lena si aggiunge alla sua, calma, fiduciosa e
bellissima. Non mi accorgo del mondo che si trasforma. Non noto il tempo che si
riavvolge.
Sento solo la voce di Aithinne che mi sussurra qualcosa mentre il mio cuore
comincia a battere forte: Vivi una vita piena, Aileana. La vita che lui ha dato per te.
Quando apro gli occhi, sono seduta sul pavimento della mia camera a Edimburgo,
ma non la stanza ricoperta di pannelli che mi sono lasciata alle spalle. Non c’è
nessuna mappa con le uccisioni di Sorcha. Non ci sono le armi ammazza-fate. Non ci
sono vestiti da caccia coperti di fango sul pavimento.
La stanza è decorata come quando mia madre era ancora viva, con la carta da
parati color crema, le tende dorate che luccicano alla luce del sole.
La stanza di quando la mia vita era semplice e…
E normale.
Aithinne mi ha portata indietro a quando avevo diciassette anni.
Studio l’abito blu di mussola, le mie mani senza calli. Non sono coperte di sangue.
Sono le mani di una signora. Non sono quelle di un guerriero.
«Aileana?»
Mi immobilizzo quando sento quella voce. Le lacrime mi annebbiano la vista.
«Mamma?» mi alzo e mi dirigo alla porta, non sono sicura di aver sentito bene.
Ma è davvero lei, sta camminando nel corridoio che porta alla mia stanza.
«Aileana,» dice. «Non dimenticarti che abbiamo ospiti a pranzo e…» si ferma
quando vede le mie lacrime. «Che succede?»
«Mamma.» La raggiungo con due passi. Le lancio le braccia al collo e la stringo in
un forte abbraccio. Così forte che mi chiedo come faccia a respirare ancora.
Mi accarezza dolcemente la schiena mentre singhiozzo sulla sua spalla.
«Shh. Cosa è successo?»
«Che giorno è mamma?» La mia voce trema. «Che anno è?»
«Aileana.» Ora sembra preoccupata. «Devo chiamare un dottore? Sei…»
«Dimmi che giorno è per favore.»
«Il sei novembre milleottocento quarantatré.» Mi accarezza i capelli. «Dimmi, va
tutto bene?»
Aithinne mi ha riportata ad un mese dalla morte di mia madre. Potrebbe morire
ancora. Cambierà anche quello? «Non lo so,» le dico onestamente. «Non lo so
ancora.
CAPITOLO 47
Traduzione: Dawny
Una settimana dopo, mia madre mi chiede, «Sei sicura che sia tutto a posto?»
Siamo in giardino a lavorare all’ornitottero. Al corpo del veicolo è parzialmente
attaccata un’ala, ma la macchina volante è ancora ben lontana dal poter essere in
grado di volare. Ci vorranno ancora quattro mesi di lavoro ininterrotto prima di
finirla.
Mia madre cerca di incrociare il mio sguardo, ma faccio finta di essere distratta. Mi
stringo più forte nel cappotto. «Certo. Perché non dovrebbe?»
«Sembri… diversa.» Si acciglia. «Più tranquilla del solito.»
Ultimamente, quando mi sveglio, devo sforzarmi per ricordami dove sono. Guardo
il soffitto della mia stanza chiedendomi se sono in un sogno. Se aprirò gli occhi e
l’illusione alla fine si finirà, rivelandosi un inganno delle fate.
Chino la testa sotto l’ala dell’ornitottero, trafficando tra gli ingranaggi.
«Davvero?» chiedo, con un tono spensierato. «Sono solo distratta da tutti gli
incontri in programma.»
«Non è quello. A volte mi guardi e…» la sua voce si affievolisce, come se fosse
insicura.
«E cosa?»
Si zittisce. Poi, «Sembri da qualche altra parte. Non stai mangiando. Parli in modo
diverso. A volte sembra che tu abbia perso qualcuno di importante.»
Chiudo forte gli occhi. Respirare diventa improvvisamente difficile. «Che
stupidata. Chi dovrei avere perso?» La mia voce è sorprendentemente piatta. «Non
sto mangiando perché non ho fame. E prenditela con la mia generazione per il mio
modo di parlare.»
Ho bisogno di vedermi con Catherine, Gavin e Daniel. Noi quattro siamo gli unici
con i ricordi di ciò che è veramente accaduto – delle fate che hanno distrutto
Edimburgo. Aithinne si è assicurata che fossi così, in modo che non dovessi
affrontare tutto questo da sola. Sarei impazzita, altrimeni.
Lancio la chiave inglese nella cassetta degli attrezzi prima che mamma possa
rispondere. «Vado a fare un salto dagli Stewarts. Ritorno per il tè del pomeriggio.»
Sento i suoi occhi addosso, ma esco senza guardarmi dietro.
Il mio armadio è vuoto.
Alcune notti accendo la luce, chiudo la porta, e tiro giù tutti i vestiti dalle grucce.
Mi stendo nel groviglio di seta e mussolina e immagino un piccolo corpo accucciato
sulla mia spalla. Mi immagino delle ali che solleticano la guancia. Mi ricordo una
canzone volgare e una voce che ridendo mi chiama per nome. Se chiudo gli occhi
abbastanza forte, riesco a sentire la sua voce. Guarda questi vestiti orribili. Hanno
pochissimi nastri.
Sorrido. Poi apro gli occhi, e mi ricordo che non c’è più.
Un mese dopo il mio ritorno, continuo a correre tra le strade di notte. Continuo a
guardare in cerca di mostri appostati nei vicoli scuri. Cerco Aithinne. Cerco Kiaran.
Mi arrampico in cima all’Arthur Seat sotto la luce della luna e appoggio l’orecchio al
terreno, chiedendomi se questa volta sentirò il martellare sotterraneo della danza delle
fate.
Cammino per la città e sento i suoni di tutti gli altri che vivono le proprie vite; per
loro, non è successo niente. Le strade non sono mai state distrutte, e le vite non sono
mai state spezzate. Aithinne ha riportato indietro ogni città che era stata distrutta,
ogni casa, ogni paese, ogni vita. La Scozia, e il mondo, sono di nuovo completi.
Non ci sono mostri. Non ci sono fate. Non c’è musica. Non ho niente per cui
lottare.
Forse il prezzo da pagare per aver salvato il mondo è dimenticare come si fa a
viverci.
Catherine, Gavin e Daniel sono qui per una delle loro visite bisettimanali.
«Cristo, Catherine» sta dicendo Gavin. «Perché semplicemente non ti prendi tutti i
pasticcini da tè? Forza, buttali nella tua borsetta come una ladra.»
Ho iniziato ad apprezzare questi momenti di leggerezza. Non devo recitare con
loro tre. Nessuno di noi deve. Mia mamma ogni tanto mi guarda ancora come se non
sapesse chi sono. Sono un soldato esausto dalle battaglie nel corpo della sua bambina.
Le uniche persone che si ricordano delle fate sono sedute in questa stanza. E stanno
cercando di imparare a convivere con i loro ricordi della guerra. La verità è che il
mondo potrà anche essere guarito, ma nessuno di noi lo ha fatto.
«Aileana» dice Gavin, interrompendo i miei pensieri. «Sai che Catherine sta
rubando del cibo da tutte le feste a cui abbiamo partecipato nell’ultimo mese? Sta
accumulando dolci nella sua stanza.»
«Perché siete tutti così interessati dalle mie abitudini alimentari?» Guardò Daniel.
«Se anche dovessi prendere qualche chilo? Non ho mangiato dei pasticcini da tè
degni di questo nome per tre anni. E Daniel mi incoraggia, giusto tesoro? Piacciono
anche a te i pasticcini da tè.»
Alla domanda di Catherine, Daniel alzò le mani. «Non ho intenzione di mettermi
in mezzo ad un litigio tra fratelli. Per la mia sopravvivenza.»
Daniel è ritornato in questo nuovo mondo avendo fortunatamente ereditato, in
modo sospetto, un titolo di conte da qualche lontano parente che non aveva mai
sentito nominare, che probabilmente non esisteva, e un’improvvisa, incredibilmente
enorme fortuna. Merito di Aithinne. Per essere una fata, era piuttosto romantica.
Daniel e Catherine ora dovevano risposarsi. Per avere un fidanzamento veloce,
Gavin doveva parlare con la loro madre e insinuare che aveva scoperto Catherine in
una qualche posizione compromettente.
«Oh, per l’amore del cielo» gli interrompo. Scuoto la mano. «Gavin, smettila di
tormentare Catherine e lasciale mangiare quei maledetti pasticcini da te. Anzi,
prendine altri cinque.»
Catherine ne prende altri cinque e guarda direttamente Gavin mentre se ne infila
uno in bocca. «Mmmm» dice chiudendo gli occhi. «Questi chili in più ne varranno
assolutamente la pena. Mi mancavano i pasticcini da tè. E il tè. E i biscotti.»
Mi manca Derrick. Mi mancano le sue canzoni. Mi manca averlo seduto sulla
spalla.
Mi manca Ki…
No. Non pensare a lui.
È leggermente più facile respirare oggi. Questa mattina sono riuscita a buttare giù
del pudding e delle uova. Ma se pensassi a lui, inizierei a sentirmi sopraffatta di
nuovo. Mi perderei nei miei sentimenti.
«Non ancora con questa storia» si lamenta Gavin e mi dice «Catherine ha una lista
di cose che le sono mancate, sono tipo un centinaio. Me le ha elencate tutte alle tre
del mattino e non ho dormito…» Si zittisce all’improvviso sguardo severo di
Catherine. «Scusa» sussurra.
La guardo. «Stai facendo ancora gli incubi?»
Catherine gioca con il suo vestito. «Nonostante apprezzi i pasticcini, la città e tutte
il resto, alcune cose mi…» Deglutisce. «Sembro un’ingrata.»
Daniel la avvolge con un braccio. «Sono stati tre anni, Cat. Non scusarti per non
sentirti a posto dopo un solo maledetto mese.»
«Lo so. È che…» Catherine guarda la porta aperta.
Mi alzo dal divano e chiudo la porta. Non vogliamo che i domestici ascoltino le
nostre conversazioni, non quando quello di cui discutiamo sembra appartenere ad un
sogno. Un sogno collettivo dove tutto il mondo è bruciato in cenere.
«Neanche io riesco a dormire» dico. C'è di più. «A volte vado ancora in giro.»
Gavin aggrotta le sopracciglia. «Cosa ti aspetti di trovare? Non ci sono più fate in
città ormai.»
«Grazie per avermelo ricordato. Ne sono ben consapevole.» Dico leggermente
troppo bruscamente.
«Allora perché?»
«Non lo so» mento.
Più tardi, Gavin si attarda mentre Catherine e Daniel se ne vanno. Sono in piedi
vicino alla finestra, guardando il sole che splende attraverso le nuvole sopra i palazzi
dall’altro lato della piazza.
La spalla di Gavin sfiora la mia mentre si avvicina al mio fianco. «Stai cercando
lui, non è vero?» mi chiede a bassa voce. «Mentre esci la notte.»
«A volte» ammetto. «A volte quando sono in questa casa, mi sembra di non
riuscire a respirare.»
Sento gli occhi di occhi di Gavin su di me, e non riesco a capire se è perché mi
capisce o stia cercando qualcosa che non è qui. «Sì,» sospira. «Succede anche a me.
Penso che sarebbe lo stesso anche per quei due se non si supportassero a vicenda.»
Indica Catherine e Daniel che sono in piedi sul marciapiede fuori casa. Catherine
ride per qualcosa che ha detto Daniel, e il rumore passa attraverso la finestra.
Distolgo lo sguardo. «Come fai…» ad affrontare tutto questo?
«Mi perdo in una donna.» Gavin tamburella distrattamente le dita sul davanzale.
«Mi aiuta per qualche ora.» Quando non reagisco, sospira. «Non puoi continuare a
vivere così.»
«Come fa ad essere diverso quello che faccio io? Ci stiamo entrambi perdendo in
qualcosa.»
«È vero.» Mi guarda. «La mia offerta è ancora valida, sai?»
«Matrimonio?» Scuoto la testa con un sorriso. «Vuoi sposare qualcuno che è
innamorato di un altro? Quella non sarebbe vita.»
«E se lo volessi?»
Fisso Gavin. È strano vederlo di nuovo come era una volta. I suoi capelli sono
tagliati e acconciati come un signore ora, la barba rasata con cura. Non ci sono
cicatrici sul suo volto. Nessun richiamo alla vita che ha vissuto, tranne per quelli nei
nostri ricordi, per quelle cose orribili che non possiamo dimenticare.
Mi avvicino e traccio un dito i contorni della sua guancia, sulla sua pelle liscia.
«Non accontentarti a vivere una vita con me, Galloway. Ti meriti di meglio di quello
che posso darti. Ti meriti qualcuno che ricambi il tuo amore.»
Annuisce una volta, capendo. «E tu invece?»
La mano mi ricade sul fianco. «Continuerò ad uscire la notte.»
Due giorni dopo è la sera del ballo delle debuttanti.
La notte in cui Sorcha uccise mia madre.
«Perché mai sei così agitata?» mi chiede Mamma mentre mi aiuta a mettermi il
vestito. Questo dovrebbe essere il compito della mia dama, ma questa sera mia madre
ha insistito per poter essere lei ad aiutarmi. Proprio come aveva fatto l’ultima volta.
Indossa l’abito che ricordo: il tessuto di seta tinto di un rosa così chiaro che sembra
quasi avorio. Un colore insolito per una matrona di Edimburgo, ma si abbina alla sua
pelle chiara e i suoi capelli rossi tirati all’insù.
L’ultima volta che ho visto questo vestito era ricoperto di sangue.
Il cremisi ti sta meglio.
Sussulto. «E se non andassimo?» La mano mi trema mentre liscio il vestito. «Non
ci sarebbe problema, no?»
Mamma mi sorride, come se stessi dicendo una stupidata. «Sei nervosa, vero?»
«No. Mamma…»
«Ecco qua.» Mi allaccia l’ultimo bottone e fa un passo indietro per guardarmi. «Sei
bellissima. Devo fare solo un’ultima cosa e poi sarai perfetta.»
Mamma si avvicina al comò e prende un pacchetto di lana. Il cuore inizia a
martellarmi quando guardo quel tessuto familiare. Ti prego no.
Lo apre e lì, protetto dalla lana, c’è il familiare stelo del cardo blu. Seilglùr.
Il cuore mi rimbomba nelle orecchie e mi si appanna la vista. Fisso il fiore e i
ricordi mi ritornano in un attimo nella mente.
Mia mamma per strada, il vestito zuppo di sangue. Come premo le mani sul suo
petto vuoto, come se potessi rimetterla insieme di nuovo. Come se potessi ridarle un
cuore… in quel momento, le avrei dato il mio stesso cuore.
«Non è deliziosa? Sarà l’unico colore su di te.»
Sarà l’unico colore su di te. L’unico colore.
Mi allontano da lei spintonandola, quasi sbattendo sul tavolino da toelette. «Dove
l’hai preso?»
Mamma sembra leggermente presa in contropiede dalla violenza delle mie parole.
«Me l’ha dato una signora.»
Una signora. Non un signore. La prima volta, Kiaran li aveva dati a mia madre per
proteggermi. Li aveva intrecciati tra i miei capelli e il loro potere mi aveva permesso
di vedere Sorcha.
«Chi? Che aspetto aveva?» Sono consapevole del terrore che mi traspare dalla
voce, ma non riesco a soffocarlo.
Mamma sembra spaventata. «Non mi ricordo. Perché ti interessa?»
Sorcha disse che avrebbe fatto le stesse scelte - di nuovo. Avrebbe ucciso mia
madre di nuovo. Aveva espresso chiaramente che non stava cercando di guadagnarsi
il mio perdono. E io non sono più una Falconiera. Non ho più poteri per combatterla.
Sono semplicemente un’umana.
Ora, la domanda è: Chi era la donna? Era Sorcha, o Aithinne?
«Aileana? Perché ti interessa?» chiede di nuovo.
«Non mi interessa,» dico sbrigativamente. «Non è niente.» Le ho mentito così
tante volte. Su di me. Su tutto. «Davvero, non è niente.»
Ho lo stomaco in subbuglio per il resto della sera. Quando usciamo per andare
nella Sala degli Incontri, sto tremando così tanto che devo avvolgermi la borsetta
attorno al polso per non farla cadere. Il cuore continua a battermi contro la cassa
toracica; mi sorprende che nessun altro riesca a sentirlo.
Mentre ci mettiamo in fila davanti ai portoni, mia mamma ride e mi dice che è
normale essere nervosi. Ma io non sono nervosa. Sono fottutamente terrorizzata.
Riesco a malapena ad annuire quanto la gente mi saluta. Non presto attenzione ai
vestiti attorno a me, o agli uomini vestiti elegantemente nei loro abiti da sera. È tutto
un turbinio di colori, un’esplosione di risate e violini, tra i miei pensieri in preda al
panico.
I ricordi mi investono troppo velocemente. Le canzoni sono le stesse. I vestiti sono
gli stessi. Ci mettono lo stesso numero di passi per raggiungere le porte della sala da
ballo e la stessa cazzo di canzone sta suonando mentre entriamo.
Quando il mio nome viene annunciato, riesco a sentirlo a malapena sopra il mio
respiro affannoso.
Una mano mi prende il braccio delicatamente ma saldamente e mi conduce al
centro della pista da ballo. Respiro il profumo di sigaro e whisky. «Vieni» dice papà.
Nell’ultimo mese ho fatto di tutto per avvicinarci. I nostri progressi sono stati lenti,
ma incoraggianti. Non parla più così duramente, e ora mi sta guardando con
preoccupazione. «Stai bene?»
«Dov’è la mamma?» chiedo, cercandola disperatamente.
Niente. Non riesco a vedere attraverso il turbinio di vestiti e lampadari scintillanti,
il miscuglio di colori mentre mio padre mi fa girare ballando. Perché non ho insistito
per restare a casa?
La risposta di papà mi congela. «Doveva andare nel salotto delle signore per…»
«Mi dispiace, devo andare,» dico lasciando perdere le buone maniere. Mi allontano
dalle sue braccia con uno strattone e mi allontano. «Ho mal di testa. Devo andare.»
Ignoro l’espressione scioccata di mio padre, mentre mi faccio strada a spintoni tra
le file di danzatori e mi affretto sulla pista da ballo verso le doppie porte. I discorsi
delle persone si fermano attorno a me; sussurrano tra di loro per il mio
comportamento. Non mi interessa. Esco nel salone e corro verso l’entrata posteriore.
Ho i battiti accelerati. Non riesco a prendere abbastanza aria.
Tutto sta succedendo nello stesso ordine dell’altra volta. Con la sola eccezione
della persona che ha dato a mia madre il cardo, è tutto uguale. È tutto esattamente
uguale. Sono di nuovo qui e sto per vederla morire di nuovo.
Le porte sbattono dietro di me mentre esco in giardino. Non aspetto nemmeno di
sentire quel rantolo indicatore della morte di mia madre. Mi fiondo tra gli arbusti,
spalanco il cancello e…
La strada è completamente vuota.
Con il respiro affannato, entro negli sprazzi di luce create dai lampioni dove ho
trovato il corpo di mia madre la prima volta. Nessun suono, nessun sussurro,
nemmeno un alito di vento. Guardo fisso nella gelida, tranquilla notte e non c’è
nessuno qua fuori tranne me.
Fino a che sento dei passi dietro di me, precisi e lenti. Poi una voce che mi fa
battere il cuore a mille.
«Kam.»
Chiudo gli occhi. La sua voce. Non oso guardare fino a che non pronuncia il mio
nome di nuovo, turbato e pieno di desiderio.
Mi giro, e lui è lì. Bagnato dalla luce dorata dei lampioni, solo a pochi metri da me.
Dio, quando mi è mancata la piccola curva del sorriso, il modo in cui i suoi bellissimi
capelli scuri gli soffiano sulla fronte. Quando i suoi chiari occhi lilla incrociano i
miei, inclina la testa come a dire, Beh? Non stare lì impalata.
Sei tu? Sei davvero tu?
Con cautela mentre mi avvicino, noto che la sua pelle non brilla della straordinaria
luce fatata. Una leggera chiazza di colore, gli colora le guance di rosso e il suo petto
si alza e si abbassa seguendo la veloce cadenza del suo respiro… come se avesse
corso fin qui. Ci vuole un attimo per realizzare cosa significhi.
Umano. Kiaran è umano.
«Sto sognando.»
Lui ride e il suono è così dolce. «Non è un sogno.»
«Ti ho ucciso.» Mi fa male il petto e la voce mi trema mentre aggiungo, «Tu sei
morto.»
«E tu sei morta due volte,» mi ricorda. «Credo che dovrei avere almeno altre due
possibilità prima che ti rifiuti di credere che sono davvero io.» Poi si avvicina e mi
racchiude la guancia con il palmo. Chiudo gli occhi al suo tocco. «Questo lo senti?»
mormora. «È reale.»
«Lo dici anche nei miei sogni,» sussurro.
«Quindi devo dimostrartelo?» sembra divertito. «Tocca a me farti delle domande
irritanti?»
Le lacrime mi bruciano gli occhi. «Mi piacerebbe più di qualsiasi cosa.»
«Ne ho solo una: Come cazzo facevi a starmi dietro durante i nostri inseguimenti?
Non ho mai provato niente di più fastidioso che essere senza fiato prima di stanotte.»
Scoppio a ridere. È lui. È lui. Gli getto le braccia al collo e lo avvicino per un
abbraccio stritolatore. «Dio, mi sei mancato? Come? Come fai…»
«Te l’ha detto Lena,» dice una voce da dietro le ombre. Aithinne. «Richiede un
sacrificio. Una vita per una vita.»
Mi giro e vedo Aithinne che ci sorride appoggiata al cancello del giardino.
Sembra radiante nel suo cappotto di broccato, una replica esatta di quello che
Derrick le aveva fatto. Quello che avevo quando sono andata alla ricerca del Libro.
Immagino che alla fine lo potrà indossare come un indumento regale.
«Tra l’altro, Sorcha voleva che ti dessi un messaggio,» dice Aithinne. «Dice,
Questo non cambia niente e che ti odia ancora.»
Sorcha. Sorcha ha sacrificato la sua vita per quella di Kiaran.
Si merita di meglio.
Sorcha ha torto. Questo cambia tutto. Tutto.
Aithinne sorride affettuosamente al fratello. «Avrebbe potuto scegliere di restare
una fata, ma ha deciso essere umano come te. E dice che non è romantico.»
«Oh, lui lo è,» lo prendo in giro. «Lo nasconde dietro gli sguardi furiosi e le
minacce. Lo adoro.»
«E io credo…»
«Aithinne, non devi andare da nessuna parte?» chiede Kiaran rapidamente. «Da
qualche parte dove hai detto che saresti dovuta andare?» Poi le sussurra, Vai via.
Aithinne sogghigna. «Ohhhh, Giusto! Vado a mangiare qualche dolce e a danzare
con qualche umano. Le donne possono ballare con le donne? Non importa: andrò solo
a cercare una donna, o una torta. Ma spero entrambi. Me ne vado.» Corre attraverso il
cancello con le risate che la seguono.
«Oh cielo,» dico. «Torneremo dentro e ci sarà il caos più totale, vero?»
«Probabile.»
«Dovremmo…»
«No. Non dovremmo. Non finire quella frase.» Poi affonda la testa e preme le sue
labbra sulle mie.
Rispondo al bacio con tutto quello che sto provando. Quel bacio è una promessa.
Un messaggio. Un segreto. Credo nei desideri ora. I nostri baci sono pieni di mille
possibilità di un futuro completamente scelto da noi. Lui ed io. Insieme.
Poi mi tiro indietro e sospiro sulle sue labbra, «Ti amo, Kiaran MacKay.» Gli
sorrido e sento il mio cuore ricomporsi. «Vuoi ballare con me?»
La sua voce è un respiro tra i baci. «Sempre.»
Mentre giriamo danzando lì tra le vie, giuro che mi sembra di sentire le ali di
Derrick che mi scompigliano i capelli, un accenno dei suoi poteri nella fugace brezza
invernale, e sorrido.
Kiaran appoggia la guancia sulla mia e balliamo insieme sotto le stelle, con la luce
scintillante della città attorno a noi.
RICONOSCIMENTI
Traduzione: Persephone
Mentre scrivo questo, sono ancora incredula che la serie, alla fine, sia conclusa. Ho
lavorato su questi personaggi e questa storia in diversi momenti, per tutta la mia vita,
e vederla arrivare all’ultimo libro è stata un’immensa benedizione. Non sarebbe mai
potuta arrivare così lontano senza l’aiuto lungo la strada di alcuni formidabili
individui.
Il mio agente, lo straordinario Russell Galen, che ha visto del potenziale nella
prima bozza che gli ho mandato di The Falconer – bozza per cui rabbrividisco
ripensandoci! Gli sarò per sempre grata per aver scelto me tra tutti i suoi manoscritti e
avermi guidata attraverso questi anni. E Heather Baror-Shapiro, la mia incredibile
agente per i diritti all’estero, per aver portato questa serie alle case editrici di altri
paesi e avermi aiutato a far crescere il numero dei lettori.
Il gruppo di Gollancz, il mio editore nel Regno Unito, e specialmente la mia
correttrice di bozze Gillian Redfearn. Non sono sicura di cosa avrei fatto senza il
supporto di Gillian, i suoi suggerimenti azzeccati, e il gentile incoraggiamento di tutti
questi anni. Mi considero profondamente fortunata ad aver potuto lavorare con lei
durante questa così lunga, ed a volte difficile, esperienza editoriale.
Il gruppo della mia casa editrice Statunitense, Chronicle Books, per gli immensi
sforzi che hanno investito in questa serie. L’occhio attento per le descrizioni e i
dettagli della mia correttrice Ginee Seo ha aiutato la mia scrittura e l’arco narrativo di
questa storia immensamente, e per questo sarò sempre grata. Da aggiungere, le sue
idee per la presentazione di questa serie hanno creato alcuni dei più bei libri che abbia
mai visto, e ancora non posso credere che siano per le mie parole. Sono anche così in
debito con Lara Starr e l’intero gruppo vendite alla Chronicle per essere andati ben
oltre il necessario per poter mettere questo libro nelle mani di un maggior numero di
lettori. Grazie mille.
Sarei stata un completo disastro senza il supporto che i miei genitori mi hanno dato
mentre scrivevo questa serie. Non posso descrivere quanto sia difficile vivere ad un
oceano di distanza dalla famiglia, e quelle telefonate settimanali sono l'unica cosa che
abbiamo.
Non posso dire abbastanza quanto significhi il sostegno di altri autori,
specialmente quando si parla di prime bozze. Tess Sharpe, la mia meravigliosa
compagna critica e amica, ogni giorno mi alzo grata per te. Sei la persona più bella e
brillante che ho mai avuto il piacere di conoscere. E non posso ringraziare abbastanza
Wendy Higgins e Laura Lam per il loro conforto e le loro rassicurazioni quando
pensavo veramente di non riuscire a finire. La verità è, non avrei potuto finirla senza
di voi.
E per Mr. May, dubito di poter esprimere a parole quanto ti ami e ti adori. Ma so
che a prescindere da cosa scrivo, mi rivolgerai il tuo migliore e più bel sorriso, e io
mi scioglierò in una pozzanghera al suolo. Così, al posto di parole elaborate, vieni a
cercarmi dopo che avrai letto questo. Pianifico di baciarti.