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Toni «el Suizo» I ponti della speranza Marco Imperadori Politecnico di Milano 22 • Galileo 202 • Ottobre-Novembre 2011 A ppena diciannovenne (oggi ne conta 44, di anni), Toni lasciò Pontresina e l’Università di Ingegneria, alla quale si era appena iscritto, per portare il suo aiuto alle vittime del terremoto che nel 1987 devastò l’Ecuador. Non sapeva ancora come aiutarle, ma sapeva di vo- lerlo fare. Da allora sono passati quasi venticinque anni, e diventa impossibile calcolare quanta acqua sia passata, torrenziale, impetuosa, letale, sotto gli ol- tre 560 ponti che Toni e centinaia di uomini e donne hanno costruito insieme in Sudamerica e in Asia, se- guendo un percorso tracciato dalle emergenze – ter- remoti, alluvioni, calamità naturali che hanno reso ancora più difficili situazioni già insostenibili – tra E- cuador, Messico, Colombia, Argentina, Costa Rica, El Salvador, Honduras e Nicaragua, Vietnam, Laos, Cambogia, Indonesia e Myanmar. Si tratta per lo più di ponti pedonali, ma anche semi- veicolari, percorribili cioè dai mezzi di trasporto leg- geri, moto, motorette o carri tipici dei posti in cui si trovano. Oggi, a voler sommare tutte le luci, quello di Toni di- venta uno dei ponti più lunghi del mondo: quasi 30 km di speranza e dignità. Perché, se dal nostro punto di vista il ponte è un utilissimo strumento di ingegne- ria, dal punto di vista di Toni, e soprattutto dei conta- dini che dei suoi ponti hanno tanto bisogno, non a- verne uno significa rischiare la vita ogni volta che si tenta di attraversare il fiume su imbarcazioni di fortu- na cariche del raccolto di caffè, per esempio, e ma- gari bagnarlo durante il trasporto, riducendo all’osso i già miseri guadagni; significa non poter raggiungere le più importanti vie di comunicazione, il più vicino pronto soccorso, la scuola, i mercati, e dunque non una vita bella Cosa vuol dire costruire un ponte? Per Toni Ruttimann, che i campesinos ecua- doriani hanno ribattez- zato «el Suizo» in omag- gio alla Svizzera natale, significa cambiare il de- stino di migliaia di uo- mini, donne e bambini tra i più poveri del pia- neta, che quel ponte fa- ticano persino a imma- ginarlo. Team di saldatori a Savannakhet, Laos Chanevong, Saravane, Laos Toni Ruttiman Kouthin, Savannakhet, Laos Ognuno di quei ponti è i dove la prima regola da del ponte sia anche disp Oltre 560 ponti, una concreta possibi- lità di vita per oltre 1.500.000 persone

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Toni «el Suizo»I ponti della speranza

Marco ImperadoriPolitecnico di Milano

22 •Galileo 202 • Ottobre-Novembre 2011

Appena diciannovenne (oggi ne conta 44, dianni), Toni lasciò Pontresina e l’Università diIngegneria, alla quale si era appena iscritto,

per portare il suo aiuto alle vittime del terremoto chenel 1987 devastò l’Ecuador.Non sapeva ancora come aiutarle, ma sapeva di vo-lerlo fare. Da allora sono passati quasi venticinqueanni, e diventa impossibile calcolare quanta acquasia passata, torrenziale, impetuosa, letale, sotto gli ol-tre 560 ponti che Toni e centinaia di uomini e donnehanno costruito insieme in Sudamerica e in Asia, se-guendo un percorso tracciato dalle emergenze – ter-remoti, alluvioni, calamità naturali che hanno resoancora più difficili situazioni già insostenibili – tra E-cuador, Messico, Colombia, Argentina, Costa Rica, ElSalvador, Honduras e Nicaragua, Vietnam, Laos,Cambogia, Indonesia e Myanmar.Si tratta per lo più di ponti pedonali, ma anche semi-veicolari, percorribili cioè dai mezzi di trasporto leg-geri, moto, motorette o carri tipici dei posti in cui sitrovano.Oggi, a voler sommare tutte le luci, quello di Toni di-venta uno dei ponti più lunghi del mondo: quasi 30km di speranza e dignità. Perché, se dal nostro puntodi vista il ponte è un utilissimo strumento di ingegne-ria, dal punto di vista di Toni, e soprattutto dei conta-dini che dei suoi ponti hanno tanto bisogno, non a-verne uno significa rischiare la vita ogni volta che sitenta di attraversare il fiume su imbarcazioni di fortu-na cariche del raccolto di caffè, per esempio, e ma-gari bagnarlo durante il trasporto, riducendo all’ossoi già miseri guadagni; significa non poter raggiungerele più importanti vie di comunicazione, il più vicinopronto soccorso, la scuola, i mercati, e dunque non

un

avita

bella

Cosa vuol dire costruireun ponte?Per Toni Ruttimann,che i campesinos ecua-doriani hanno ribattez-zato «el Suizo» in omag-gio alla Svizzera natale,significa cambiare il de-stino di migliaia di uo-mini, donne e bambinitra i più poveri del pia-neta, che quel ponte fa-ticano persino a imma-ginarlo.

Team di saldatori a Savannakhet, Laos

Chanevong, Saravane, Laos

Toni Ruttiman

Kouthin, Savannakhet, Laos

Ognuno di quei ponti è idove la prima regola dadel ponte sia anche disp

Oltre 560 ponti,una concreta possibi-lità di vita per oltre1.500.000 persone

23 •Galileo 202 • Ottobre-Novembre 2011

El Carmen Bajo, Pichincha, Ecuador

El Jobo, Manabí, Ecuador

il frutto di un lavoro collettivo,a rispettare è che chi ha bisognoposto a realizzarlo

San Jacinto & Mocora Grande, Manabí, Ecuador

24 •Galileo 202 • Ottobre-Novembre 2011

un

avita

bella

poter affrontare un’emergenza medica, essereprivati dell'istruzione, tagliati fuori da un'eco-nomia di scambio… Dal 1987 a oggi i ponti diToni hanno ridato una concreta possibilità divita a oltre 1.500.000 persone.Ma non gliel’hanno regalata, questa possibi-lità: ognuno di quei ponti è il frutto di un lavo-ro collettivo, dove la prima regola da rispetta-re è che chi ha bisogno del ponte sia anche di-sposto a realizzarlo.Materialmente si collabora come si può, e avolte ci vuole lo sforzo congiunto di diversefamiglie per comprare un sacco di cemento.Nel concreto, però, alle popolazioni che vo-gliono il ponte si chiede di contribuire procu-randosi nei fiumi la sabbia e la ghiaia necessa-rie per le fondazioni e aiutando con le proprie

forze a trasportare cavi, tubi, impalcati e ametterli in opera. Un lavoro partecipato cherestituisce a queste popolazioni, spesso colpi-te da catastrofi, la possibilità di agire e ripren-dere in mano il proprio destino.Toni, che ha imparato a calcolare ponti daprofessionisti che operavano nella zona petro-lifera dell’Ecuador, per oltre vent’anni si è ser-vito di materiali di recupero: tubi e trefoli usa-ti, offerti per lo più dalle compagnie petrolife-re e dalle funivie svizzere; il legno perl’impalcato veniva ottenuto, invece, in loco.Oggi, grazie alle donazioni e al supporto logi-stico di Tenaris, tutti i suoi ponti vengono co-struiti con tubi nuovi e impalcati in lamierametallica.Avvalendosi di uno schema standard – unalama di impalcati di metallo, sospesa da trefo-li d'acciaio su una funicolare maestra sorrettada piloni tubolari che scaricano su solide fon-dazioni –, negli anni Toni ha sviluppato un si-stema di ottimizzazione delle fasi operative e

Wat Sor Saipoung, Siem Reap, Cambogia

Tra Kha B, Bac Lieu, Vietnam

Luong Phu, Ben Tre, Vietnam

Phuoc Da, Ben Tre, Vietnam

25 •Galileo 202 • Ottobre-Novembre 2011

Dietro tutto ciò non c’èuna NGO, una ONLUSo qualsivoglia struttura:Toni scherzosamentesi definisce un NGI,cioè un Non GovernativeIndividual

Veang Khan Cheung, Kampong Thom, Cambogia

Knoung Pous, Kratie, Cambogia

Nong Ien, Saravane, Laos

O Tyoun, Kratie, Cambogia

logistiche che gli permette di gestire contemporaneamenteil processo di costruzione di più ponti in diverse parti delmondo. Ancora oggi, però, quando può, Toni è il primo asalire sulla fune maestra per fissare i cavi di sospensione, ea lavorare gomito a gomito con i suoi fidati saldatori.La sua casa e il suo ufficio lo seguono ovunque: sono duevaligie, una per i vestiti di ricambio, l’altra per il computer,a coronamento di una scelta coerente ed essenziale.Dietro tutto ciò non c’è una NGO, una ONLUS o qualsivo-glia struttura: Toni scherzosamente si definisce un NGI,cioè un Non Governative Individual mosso solo dal desi-derio di donare la propria vita per gli altri.È anche per questo che, a chi gli domanda come può aiu-tarlo, lui risponde: trovando, ognuno di noi, il proprio mo-do di aiutare il prossimo.Una sintesi efficace del suo percorso e del suo pensiero èquella che segue, contenuta nella newsletter di agosto2010, dove Toni racconta la sua esperienza in Myanmar.

26 •Galileo 202 • Ottobre-Novembre 2011

un

avita

bella

Thasengchan, Attapeu, Laos

Done Phai, Attapeu, Laos

Nonhang, Savannakhet, Laos

Khut Lamphong, Saravane, Laos

Houay Khao, Savannakhet, Laos

Chanevong, Saravane, Laos

Il Permesso

Myanmar, 20 agosto 2010

Nessuno mi dava molte speranze: né idiplomatici, né la gente delle NazioniUnite, né gli imprenditori, né i tanticommenti sui mezzi di comunicazioneinternazionali.«Toni, non puoi entrare in Myanmarsemplicemente con un ‘Buongiorno,io costruisco ponti per i contadini’, ecredere che il governo ti aprirà le por-te». Eppure, è proprio quello che èsuccesso.A Yangon ho presentato una lettera ele foto dei ponti a un membro del go-verno, e quattro giorni dopo ho ricevu-to l'autorizzazione dalla capitale, NayPyi Taw, che dista 320 km a nord.Quattro giorni. Due dei quali erano unfine settimana.Al vertice, mi dicono, hanno fatto unasola domanda dopo aver guardato ladocumentazione: «E questo pontierefa parte di qualche organizzazione?».«No, signore». Il Generale che facevala presentazione aveva indagato afondo. «Allora va bene.»

Una bella vita

Nel mondo di oggi è difficile credereche qualcuno possa vivere la sua vitasemplicemente costruendo ponti con ipoveri, senza una casa e un indirizzo,senza un business plan o senza ap-partenere a qualche organizzazione.Ma nel caso del Myanmar, questo puòspiegare perché mi abbiano aperto su-bito le porte.Il primo incontro con il vice ministro acui io riferisco non è durato i soliti 10minuti, ma un'ora. Faceva le sue do-mande e ascoltava con attenzione: co-me avevo fatto a lavorare in Cambo-gia, in Vietnam, in Laos, se e in chemodo questi governi avevano collabo-rato, e di cosa avrei avuto bisogno dalgoverno del Myanmar.Poi però ha detto: «Guardi Toni, io so-no un soldato, sono nato nello stato diKachin, e da lì mi sono spostato pertutta l'Unione. Conosco la campagna,so quanto è dura la vita per i contadini.Adesso lei mi dice che sta aiutando icontadini da quando aveva 19 anni. Egratis».

Soutavaly, Saravane, Laos

Beung Xai, Saravane, Laos

Ciascuno di noi può trovareil proprio modo di aiutareil prossimo

27 •Galileo 202 • Ottobre-Novembre 2011

Zee Taw, Magway, Myanmar

Mi ha guardato dritto negli occhi.«Mi dica, davvero: perché fa tutto que-sto?».«Per tre ragioni, Signore – ho dettolentamente – primo, perché vedo il do-lore della gente dietro i fiumi, e so co-me possiamo alleviarlo. Secondo, per-ché sono nato per fare ponti. Guardoindietro e riconosco il sentiero. Terzo,ed è la ragione più importante, perchédavvero voglio farlo. Ogni giorno. Per-ché uno può anche sapere come fare,e che quello è il suo destino, ma senon vuole farlo, non succede niente».Il vice ministro si è guardato le manipoggiate sul tavolo.Un minuto di totale silenzio intorno aun grande tavolo da riunione è un tem-po lunghissimo per tutti i presenti.Infine ha alzato lo sguardo e ha dettoserio, ma di cuore: «La sua è una bellavita, Toni. Me piacerebbe fare lo stes-so con la mia. Per favore, ci dica cosapossiamo fare per aiutarla. Ce lo dicadavvero».

Il risultato

Oggi, 20 mesi dopo, 25 ponti sono staticompletati e altri 12 sono in costruzio-ne, tutt i quanti a servizio di circa300mila contadini birmani di questovasto Paese.300mila persone. Tale è la densità del-la popolazione qui, e tanta l'utilità deiponti.Senza indugi le autorità birmane mihanno aiutato con i permessi di impor-tazione per 28 contenitori pieni di ac-ciaio e cavi da Argentina, Brasile, Ita-lia, Turchia e Svizzera, e anche per uncamion gru usato dalla Tailandia. Ciprestano uno spazio sicuro come de-posito e per saldare in un cantiere delgoverno a Yangon. E da lì ci aiutanoper il trasporto a lunga distanza all'in-terno del Paese con camion, nave etreno.Qui abbiamo altre 370 tonnellate dimateriale per altri 30 ponti e più. Quan-do lo avremo utilizzato tutto, potrà darea circa mezzo milione di birmani unponte per attraversare le acque.Il solo pensiero mi stupisce. Quantosarebbe stato facile non provarci, nonpresidiare la speranza, non fare il pri-mo passo e poi tutti gli altri.Meno male che ci ho provato.

Toni El Suizo

Materialmente si collabora come si può, e a volteci vuole lo sforzo congiunto di diverse famiglieper comprare un sacco di cemento