tesi il colloquio con gli adolescenti

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  • 8/9/2019 Tesi IL Colloquio Con Gli Adolescenti

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    PROVA FINALE

    DI

    SERGIO CHIEREGATO

    IL COLLOQUIO DI COUNSELING

    CON

    GLI ADOLESCENTI

    Anno 2008

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    IL colloquio con gli adolescenti

    La riflessione, oggetto di questa tesina, è il prodotto del tirocinio che hofatto partecipando al lavoro dell’Equipe, coordinata dal Professor M. Gasseau,

    che opera presso il Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL TO 2 ed ha come

    scopo la “Prevenzione del disagio giovanile”. Il far parte dell’Equipe permette

    a diversi tirocinanti in formazione di fare esperienza diretta presso alcuni

    “Sportelli di Ascolto” presenti in molti Istituti Tecnici del territorio dell’ASL

    stessa.

    Non è mia intenzione affrontare, con questa tesina, il grande ed attuale tema

    dell’adolescenza, ne dare risposte o ricette ai molti perchè, la letteratura in

    merito è molto ampia. Altro elemento di riflessione è stato di recente fornitodalle neuroscienze, infatti, ulteriori studi sui neuroni specchio hanno

    dimostrato che “L’adolescenza è il momento più tumultuoso di sviluppo del

    cervello insieme con la fase da zero a tre anni” (M. Jacoboni Tuttoscienze del

    14/05/08). Queste nuove scoperte d’altra parte non fanno che confermare

    datate teorie psicologiche (M. Mahler) che individuano nell’adolescenza una

    “seconda nascita”.

    Con questo lavoro vorrei concentrare la mia attenzione sull’ esperienza che ho

    fatto e mettere in evidenza le peculiarità che ho riscontrato nel colloquio con

    l’adolescente.Per ciò che concerne il mondo adolescenziale, l’impressione che ho avuto

    incontrando i nostri giovani è che mi sembrano decisamente meno peggio di

    quello che i mezzi di informazione li descrivono. Oltre all’attività di ascolto, ho

    fatto incontri in molte classi parlando di affettività e sessualità, se dovessi

    fare un rapido profilo e delineare le caratteristiche dell’adolescente che ho

    conosciuto direi che sono ragazze e ragazzi pieni di vita, di entusiasmo, e di

    speranza verso il futuro; bei ragazzi che dimostrano un grande interesse e

    curiosità verso l’altro genere, maturi per la loro età, ed abbastanza

    consapevoli dei pericoli presenti, oggi, nella nostra società. Non ho incontrato“bulli”, ragazzi violenti, assenti e/o potenzialmente devianti. D’altra parte

    questa impressione è confermata dalle più recenti ricerche che hanno come

    oggetto adolescenti sia in Piemonte che nel Veneto (vedi bibliografia in calce).

    A fronte di questo scenario vedo solo un grande pericolo: quello dell’

    ”etichettamento” che, come si sa, produce outsider.

    Poiché l’adolescenza è soprattutto un prodotto culturale, costruito, va da sé

    che, se il campione che viene pubblicizzato dal mondo degli adulti è quello

    dell’adolescente “bullo”, violento, assente, interessato solo ai modelli di vita

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    2)   Difficoltà di rapporto con i pari.

    3)  

    Difficoltà nel rapporto con il ragazzo/a, le prime esperienze

    sentimentali.

    4)   Difficoltà di rapporto con gli insegnanti.

    1)   Nel rapportarsi con i genitori la difficoltà e la sofferenza più grande

    che le ragazze/i raccontano è quella prodotta dalla figura paterna e dal

    ruolo che essa gioca.  Figura spesso colpevolmente ed affettivamente

    distante, se non del tutto assente . Il bisogno di essere visti e

    riconosciuti dal padre è fortissimo. La richiesta di essere sottoposti a

    regole, di essere richiamati al dovere di figli, quasi in contraddizione

    con il bisogno di differenziarsi e di distanziarsi dalla famiglia, è molto

     presente. La speranza di essere considerati e premiati per gli sforzi

    che lo studio richiede va di pari passo con la sofferenza prodotta daldisinteresse e dalla mancanza di richiami anche in presenza di brutti

    voti . “Viene a mancare “l’attore competente”   nella strutturazione e

    ristrutturazione del mondo sociale che nell’adolescenza aiuta a

    sviluppare ed a consolidare gli orientamenti e gli atteggiamenti verso le

    norme, le leggi e le istituzioni” (P. Ronfani, 02/07).

    Sono emersi, inoltre, diversi casi di padri alcolizzati e violenti.

    Più facile il rapporto con la madre anche se non sempre viene

    considerata un porto sicuro perché spesso non si presta alla pretesa e

    segreta complicità necessaria a questa età, e spesso condivide con ilmarito i vissuti della figlia inibendone di fatto le confidenze. Il

    risultato è che spesso le ragazze vivono questo periodo così carico di

    novità affettive in solitudine o cercando nelle pari conforto e

    comprensione, pur sottolineandone i limiti.

    2)  I pari diventano un’esigenza vitale . Quasi tutte le ragazze ed anche i

    ragazzi, almeno per la prima volta, si facevano accompagnare da

    un’amica/o. Ed anche se l’amica stava in silenzio la sua presenza era

    ritenuta necessaria. Veniva spesso presentata come l’amica del cuore,

    alla quale non si deve nascondere nulla. Il far parte del gruppo è moltoimportante, in un colloquio una ragazza mi disse che aveva chiesto al

     gruppo delle ragazze delle quali voleva far parte, pur non

    condividendone i comportamenti, come si sarebbe dovuta vestire e

    comportare per poterne, comunque, far parte . In ogni classe vi è una

    forte presenza di sottogruppi che spesso si confrontano e non

    comunicano se non con reciproca disconferma. Sembra che si presenti

    forte il bisogno di essere riconosciuti ed accettati dall’altro, individuo o

    gruppo. Ho potuto notare ragazze già con una forte personalità ed altre

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    più fragili e confuse ma entrambe con la necessità di “far parte di…”. Il

    sentirsi out, solo, produce una sensazione di abbandono e di sofferenza

    profonda. Il cercare conforto nel gruppo non cancella, comunque, la

    personalità dei singoli, l’omologazione non è totale, almeno per quelli che

    hanno interiorizzato dei modelli di comportamento familiare.3)  Le prime esperienze sentimentali rispondono al bisogno di essere viste,

    accettate per quello che si è, la necessità di avere un primo ragazzo è

    la cosa più importante. Se c’è stato un primo, il secondo arriverà ma se

    non c’è ancora stato allora perché?   L’aspetto sessuale nelle relazioni

    fra ragazzi rappresenta sicuramente la parte più marginale. In

    presenza del ragazzino le questioni diventano la difficoltà di trovare il

    modo di comunicare, uno dei due sembra essere sempre sopra le righe,

    più insistente, bisognoso della presenza dell’altro, si chiedono

    continuamente conferme. Cosa che mi ha molto meravigliato è la facilitàcon la quale si cercano contatti e conoscenze in chat, msn messenger è

    il veicolo maggiormente utilizzato.  Spesso si mantengono relazioni,

    anche solo virtuali, con più soggetti e forse questo crea la convinzione

    da parte delle stesse ragazze, cosa che mi ha stupito e preoccupato,

    che il tradimento, seppur causa di sofferenza, debba essere

    considerato come il male minore e debba essere accettato, quasi come

    norma, all’interno di un rapporto . Vi è la sensazione della presenza di

    una precoce dipendenza sentimentale, frutto di una scarsa autostima o

    della paura della solitudine.4)  Il problema nel rapporto con gli insegnanti è sempre stato posto in

    modo molto curioso, quasi come un male necessario. E’ chiaro che

    l’insegnante è vissuto come l’adulto che va per la sua strada e non si

    chiede mai perché il ragazzo abbia delle difficoltà di apprendimento.  

    Tutto è già scritto, obbligato, ed è inutile discutere. Durante la mia

    permanenza a scuola ho sentito spesso insegnanti urlare, come se l’unico

    mezzo per farsi capire e far fare le cose ai ragazzi fosse l’imposizione,

    l’autorità assegnata dal ruolo, e non la ricerca di un, seppur difficile,

    dialogo. Il disagio che i ragazzi portavano, spesso come un problemamarginale, era proprio legato alla netta sensazione che agli adulti,

    deputati ad insegnare loro, per la maggior parte non fregasse nulla di

    come si sentissero come persona, della loro autostima, della voglia di

    capire, magari anche perché fosse così difficile apprendere. Ho trovato

    nei ragazzi uno spiccato senso della giustizia, ne reclamano

    l’applicazione, ed in sua assenza la prima a farne le spese è l’immagine e

    l’autorevolezza degli insegnanti che non la applicano.

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    Il messaggio che veniva forte era: “Una volta fuori di qui farò vedere io

    chi sono e quanto valgo, qui non ne vale la pena, a nessuno frega

    qualcosa!”.

    Il colloquio

    Una premessa: la tipologia del colloquio che ho tenuto con i molti ragazzi

    che ho incontrato si può assolutamente considerare all’interno di un

    rapporto di couseling, e questo per diversi motivi.

    a) Il setting non era terapeutico , le nostre basi psicologiche erano

    necessarie solo per entrare in relazione con i ragazzi ed attivare le

    capacità di ascolto, presenti in qualsiasi relazione d’aiuto.

    b) I ragazzi erano assolutamente liberi di venire e decidere se tornare, gliincontri finivano con un: “Se vuoi tornare sappi che mi troverai!”.

    Questa libertà è stata molto apprezzata e l’ho trovata qualificante nel

    rapporto. Mi sembra quasi che i ragazzi temano di essere invischiati in un

    rapporto con un adulto, da sempre in una posizione “up”, e di perdere quel

     piccolo spazio di decisione autonoma che stanno faticosamente

    conquistando, il far scegliere a loro come procedere li fa sentire

    “importanti” .

    c)  Gli incontri erano limitati nel tempo , avvenivano, generalmente, per due

    o tre volte.d) I problemi che spingevano i ragazzi a venire erano circoscritti e ben

    definiti , legati ad una situazione specifica: problemi di rapporto con i

    genitori, con il ragazzo, il gruppo dei pari, la classe, l’insegnante.

    L’hic et nunc era la norma del rapporto .

    Anche le cose che mi appresto a scrivere sul colloquio rappresentano un

    mio vissuto, sono più interessato in questa sede, sempre che ci riesca, a

    trasmettere quello che questi splendidi ragazzi mi hanno fatto vivere,

    l’esperienza che ho fatto, ed i cambiamenti che hanno prodotto in me.

    Quindi nell’esposizione non andrò in ordine logico ma darò precedenza e priorità alla gerarchia delle sensazioni che ho provato, sulla base di quello

    che hanno provocato in me emotivamente.

    1) 

    Sicuramente l’aspetto che maggiormente mi ha meravigliato, e colpito, è

    il bisogno che hanno i ragazzi di stare sempre, nel rapporto, al centro

    dell’attenzione.  Se durante l’esposizione di una situazione, anche

    problematica che evidentemente coinvolgeva diversi attori, cercavo di

    allargare lo sguardo e chiedevo loro di aiutarmi in questa direzione,

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    chiamandoli a descrivermi ed a spiegarmi il perché di determinati

    comportamenti di altri protagonisti, venivo fermato e riportato a

    considerare quello che l’ambiente stesse producendo su di loro, sulle

    loro emozioni, sulle loro ricadute, indipendentemente dal motivo che

    potesse averlo determinato. Spesso, la mia necessaria analisi delsistema è stata vista come la ricerca di altri possibili attori ai quali

    dedicare attenzione ed importanza, togliendola a loro, unici protagonisti

    dell’incontro. Come se, per esempio, due genitori preoccupati per la

    sicurezza di una figlia con problemi di salute non fossero

    sufficientemente motivati a limitare il bisogno di libertà dell’altra figlia

    che si sentiva per questo poco rispettata; o se un’altra ragazza

    spaventata dal comportamento violento del padre, di fronte alla ricerca

    di un perché ed alla sottolineatura che evidenziava la possibile

    frustrazione vissuta dallo stesso nelle relazioni parentali come possibilecausa, avesse la netta sensazione che si stessero cercando alibi per il

    padre, del tutto fuori luogo.

    Il confine del mondo dell’adolescente è determinato dalle sue relazioni

    prossimali e da quello che le stesse producono in lui, la ricerca del

    perché ciò accada viene vissuto come la volontà di allontanare lo

    sguardo da lui, fonte attiva ed attore passivo di emozioni. La ricerca e

    la riflessione sulla presenza di emozioni nell’altro viene mal sopportata

    quasi come una disconferma o la volontà di ridurre l’importanza del

    protagonista. In considerazione delle cose dette, mi sono accorto che,sempre si pensi sia importante allargare lo sguardo per meglio capire la

    situazione che ha determinato una particolare situazione, ciò debba

    essere fatto a piccoli passi e questi debbano essere fatti in autonomia

    dal ragazzo. Ci vuole grande pazienza e capacità di attesa, il rischio è

    che il ragazzo pensi che tu voglia passare al nemico. Devo dire che

    questa riflessione è stata prodotta ed ha trovato conferma nel

    comportamento dei ragazzi e nel loro mancato secondo incontro. Lo

    sguardo sistemico deve inizialmente fermarsi al microsistema del

    ragazzo.

    2)  Altro aspetto molto importante è la necessità di avvicinarsi ed

    esplorare le emozioni dei ragazzi con grande delicatezza e rispetto. Ho

    avuto molte volte la sensazione di essere stato chiamato, volutamente,

    a partecipare e condividere un grande carico emotivo. L’ostensione delle

    emozioni era talmente forte, carica, che sembrava quasi ci fosse la

    paura che non gli venisse riconosciuto, da me, il giusto valore, ed allora

    mi si chiedeva di viverlo e condividerlo, ma se mi avvicinavo troppo

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    l’incantesimo finiva. E’ fin troppo facile parlare di giusta distanza, certo

    è che più forte è l’emozione più esiste la paura che la stessa, nel

    condividerla, venga maltrattata. I ragazzi sono portatori di grandi

    emozioni, sia quando parlano dei genitori che quando parlano del primo

    amore, tutto viene veicolato dalle emozioni. Si ha l’impressione che siaun materiale nuovo, un linguaggio del quale non si conosce bene il

    significato e del quale non si conosce neanche la sintassi.

    Come adulti ci si rende conto di quanto ci si dovrebbe impegnare ad

    educare l’adolescente nel riconoscimento, nel fare buon uso, nella

    regolazione delle proprie emozioni. Quando vengono a trovarmi,

    soprattutto la prima volta, sono titubanti, non sanno da cosa cominciare

     poi, se riesco a trasmettere loro fiducia, al proferire delle poche

     parole: “Dimmi pure tutto quello che vuoi…ti ascolto.” Si comportano

    come un torrente in piena, raccontano di tutto, hanno come il piacere di parlare, di usare la parola, di essere ascoltati da un adulto . Quando

    vengono da me più volte, ci troviamo a parlare lungamente e liberamente

    di molte piccole cose e spesso mi sono chiesto quale valore potesse

    avere ascoltare anche quelle piccole cose, ma ho capito che per loro è

    comunque importante.

    3)  Riuscire ad entrare in sintonia con il loro linguaggio emotivo non è

    sempre facile, per contro mi sono accorto che è molto difficile che ti

    venga data una seconda possibilità. Ho incontrato alcune ragazze solouna volta e poi, pur essendo convinto che ci fosse molto di cui parlare,

    non sono più venute. In quelle occasioni ho avuto la netta sensazione di

    avere sbagliato qualcosa, forse di avere indagato troppo, forse di aver

    cercato subito una spiegazione non richiesta, forse di aver prospettato

    una soluzione non condivisa, altre volte di voler aspettare troppo e

     pretendere da loro una spiegazione o una riflessione che loro

     preferivano dessi io.  Comunque qualcosa non ha funzionato. L’attesa

    inutile di un secondo incontro mi è servita a farmi riflettere sul fatto

    che è necessario essere sempre concentrati e accordati, pronti acogliere ogni tipologia di linguaggio che ti permetta di comunicare,

    anche quando questo è dodecafonico. L’adolescente ti da una sola

    chance per costruire l’alleanza, e non devi mancare l’appiglio. Quando le

    cose vanno bene, quando entro in sintonia, provo una certa pressione sul

    plesso solare ed è il segnale che ci sono. Certo non deve diventare una

    sensazione autoreferenziale, egosintonica, (Mauro dixit). Sarà perché

    sono un principiante e il mio arausal deve essere sempre un po’ sopra le

    righe, il timore è quello di non essere abbastanza coinvolto.

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    5) 

    Spesso mi capita di rispecchiarmi in loro, sono anche convinto che per

    fare bene questa attività devi aver fatto bene i conti con la tua

    adolescenza, se è stata felice è ancora meglio (in questo

    l’autonarrazione è indispensabile), devi essere comprensivo e tolleranteper poter accettare i loro limiti e le loro piccole provocazioni. La

    collusione è un grosso rischio, sempre in agguato, quando ci caschi vieni

    simpaticamente commiserato. Essere troppo comprensivo e far credere

    che, dopo tutto, a loro tutto si giustifica viene visto con sospetto come

    fosse una mela avvelenata. Pretendono di essere sottoposti a regole e

    di essere ripresi quando le stesse vengono eluse od infrante, e lo

    pretendono anche da chi, pur offrendosi per un ascolto, rappresenta

    per loro un adulto con il quale confrontarsi.

    4) 

    Ho potuto notare che un’altra caratteristica particolare, rispetto aicanoni del colloquio “classico”, è la richiesta da parte dei ragazzi di

    essere proattivo. L’attesa ed il silenzio, alla ricerca di una qualche

    interpretazione o spiegazione di fatti, vengono spesso mal sopportati. I

    ragazzi ti chiedono di sporcarti le mani, di provare con loro a trovare un

    significato a certi fatti, per poi magari negare con coraggio e

    determinazione la tua versione. Ti vogliono attivo, anche se non

    prevaricatore o risolutore, ti vogliono sentire vibrare, attento ed

    interessato al caso. Accettano con simpatia paradossi e piccole

    provocazioni, tutto quello che può mantenere alto il tono dell’incontro.“La giusta distanza con, e per, i ragazzi è quella più vicina…ma non

    troppo!”  

    Per finire, vorrei dire che noi adulti abbiamo una grande responsabilità nei

    confronti di questi ragazzi, ed al di là del futuro che gli stiamo

    preparando, problema più grande di noi, mi sono reso conto di come

    sarebbe importante offrire loro un momento, un luogo, uno spazio, nel

    quale, in un rapporto “originale” pieno di rispetto e comprensione, loropossano sentirsi ascoltati in qualità di attori principali e non di comparse.

    Bibliografia

    Bonino S. (2005), Il Fascino del Rischio negli Adolescenti , Giunti Editore,

    Firenze.

    Caprara G.V., Fonzi A. (2000), L’Età Sospesa, Giunti Editore, Firenze.

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    Galimberti U. (2007), L’Ospite Inquietante , Il nichilismo e i giovani ,

    Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano.

    Matarazzo O. (2001), Emozioni e Adolescenza , Liguori Editore, Napoli.

    Polmonari A. (1993), Psicologia dell’Adolescenza , Il Mulino, Bologna.