tesi il colloquio con gli adolescenti
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PROVA FINALE
DI
SERGIO CHIEREGATO
IL COLLOQUIO DI COUNSELING
CON
GLI ADOLESCENTI
Anno 2008
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IL colloquio con gli adolescenti
La riflessione, oggetto di questa tesina, è il prodotto del tirocinio che hofatto partecipando al lavoro dell’Equipe, coordinata dal Professor M. Gasseau,
che opera presso il Dipartimento di Salute Mentale dell’ASL TO 2 ed ha come
scopo la “Prevenzione del disagio giovanile”. Il far parte dell’Equipe permette
a diversi tirocinanti in formazione di fare esperienza diretta presso alcuni
“Sportelli di Ascolto” presenti in molti Istituti Tecnici del territorio dell’ASL
stessa.
Non è mia intenzione affrontare, con questa tesina, il grande ed attuale tema
dell’adolescenza, ne dare risposte o ricette ai molti perchè, la letteratura in
merito è molto ampia. Altro elemento di riflessione è stato di recente fornitodalle neuroscienze, infatti, ulteriori studi sui neuroni specchio hanno
dimostrato che “L’adolescenza è il momento più tumultuoso di sviluppo del
cervello insieme con la fase da zero a tre anni” (M. Jacoboni Tuttoscienze del
14/05/08). Queste nuove scoperte d’altra parte non fanno che confermare
datate teorie psicologiche (M. Mahler) che individuano nell’adolescenza una
“seconda nascita”.
Con questo lavoro vorrei concentrare la mia attenzione sull’ esperienza che ho
fatto e mettere in evidenza le peculiarità che ho riscontrato nel colloquio con
l’adolescente.Per ciò che concerne il mondo adolescenziale, l’impressione che ho avuto
incontrando i nostri giovani è che mi sembrano decisamente meno peggio di
quello che i mezzi di informazione li descrivono. Oltre all’attività di ascolto, ho
fatto incontri in molte classi parlando di affettività e sessualità, se dovessi
fare un rapido profilo e delineare le caratteristiche dell’adolescente che ho
conosciuto direi che sono ragazze e ragazzi pieni di vita, di entusiasmo, e di
speranza verso il futuro; bei ragazzi che dimostrano un grande interesse e
curiosità verso l’altro genere, maturi per la loro età, ed abbastanza
consapevoli dei pericoli presenti, oggi, nella nostra società. Non ho incontrato“bulli”, ragazzi violenti, assenti e/o potenzialmente devianti. D’altra parte
questa impressione è confermata dalle più recenti ricerche che hanno come
oggetto adolescenti sia in Piemonte che nel Veneto (vedi bibliografia in calce).
A fronte di questo scenario vedo solo un grande pericolo: quello dell’
”etichettamento” che, come si sa, produce outsider.
Poiché l’adolescenza è soprattutto un prodotto culturale, costruito, va da sé
che, se il campione che viene pubblicizzato dal mondo degli adulti è quello
dell’adolescente “bullo”, violento, assente, interessato solo ai modelli di vita
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2) Difficoltà di rapporto con i pari.
3)
Difficoltà nel rapporto con il ragazzo/a, le prime esperienze
sentimentali.
4) Difficoltà di rapporto con gli insegnanti.
1) Nel rapportarsi con i genitori la difficoltà e la sofferenza più grande
che le ragazze/i raccontano è quella prodotta dalla figura paterna e dal
ruolo che essa gioca. Figura spesso colpevolmente ed affettivamente
distante, se non del tutto assente . Il bisogno di essere visti e
riconosciuti dal padre è fortissimo. La richiesta di essere sottoposti a
regole, di essere richiamati al dovere di figli, quasi in contraddizione
con il bisogno di differenziarsi e di distanziarsi dalla famiglia, è molto
presente. La speranza di essere considerati e premiati per gli sforzi
che lo studio richiede va di pari passo con la sofferenza prodotta daldisinteresse e dalla mancanza di richiami anche in presenza di brutti
voti . “Viene a mancare “l’attore competente” nella strutturazione e
ristrutturazione del mondo sociale che nell’adolescenza aiuta a
sviluppare ed a consolidare gli orientamenti e gli atteggiamenti verso le
norme, le leggi e le istituzioni” (P. Ronfani, 02/07).
Sono emersi, inoltre, diversi casi di padri alcolizzati e violenti.
Più facile il rapporto con la madre anche se non sempre viene
considerata un porto sicuro perché spesso non si presta alla pretesa e
segreta complicità necessaria a questa età, e spesso condivide con ilmarito i vissuti della figlia inibendone di fatto le confidenze. Il
risultato è che spesso le ragazze vivono questo periodo così carico di
novità affettive in solitudine o cercando nelle pari conforto e
comprensione, pur sottolineandone i limiti.
2) I pari diventano un’esigenza vitale . Quasi tutte le ragazze ed anche i
ragazzi, almeno per la prima volta, si facevano accompagnare da
un’amica/o. Ed anche se l’amica stava in silenzio la sua presenza era
ritenuta necessaria. Veniva spesso presentata come l’amica del cuore,
alla quale non si deve nascondere nulla. Il far parte del gruppo è moltoimportante, in un colloquio una ragazza mi disse che aveva chiesto al
gruppo delle ragazze delle quali voleva far parte, pur non
condividendone i comportamenti, come si sarebbe dovuta vestire e
comportare per poterne, comunque, far parte . In ogni classe vi è una
forte presenza di sottogruppi che spesso si confrontano e non
comunicano se non con reciproca disconferma. Sembra che si presenti
forte il bisogno di essere riconosciuti ed accettati dall’altro, individuo o
gruppo. Ho potuto notare ragazze già con una forte personalità ed altre
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più fragili e confuse ma entrambe con la necessità di “far parte di…”. Il
sentirsi out, solo, produce una sensazione di abbandono e di sofferenza
profonda. Il cercare conforto nel gruppo non cancella, comunque, la
personalità dei singoli, l’omologazione non è totale, almeno per quelli che
hanno interiorizzato dei modelli di comportamento familiare.3) Le prime esperienze sentimentali rispondono al bisogno di essere viste,
accettate per quello che si è, la necessità di avere un primo ragazzo è
la cosa più importante. Se c’è stato un primo, il secondo arriverà ma se
non c’è ancora stato allora perché? L’aspetto sessuale nelle relazioni
fra ragazzi rappresenta sicuramente la parte più marginale. In
presenza del ragazzino le questioni diventano la difficoltà di trovare il
modo di comunicare, uno dei due sembra essere sempre sopra le righe,
più insistente, bisognoso della presenza dell’altro, si chiedono
continuamente conferme. Cosa che mi ha molto meravigliato è la facilitàcon la quale si cercano contatti e conoscenze in chat, msn messenger è
il veicolo maggiormente utilizzato. Spesso si mantengono relazioni,
anche solo virtuali, con più soggetti e forse questo crea la convinzione
da parte delle stesse ragazze, cosa che mi ha stupito e preoccupato,
che il tradimento, seppur causa di sofferenza, debba essere
considerato come il male minore e debba essere accettato, quasi come
norma, all’interno di un rapporto . Vi è la sensazione della presenza di
una precoce dipendenza sentimentale, frutto di una scarsa autostima o
della paura della solitudine.4) Il problema nel rapporto con gli insegnanti è sempre stato posto in
modo molto curioso, quasi come un male necessario. E’ chiaro che
l’insegnante è vissuto come l’adulto che va per la sua strada e non si
chiede mai perché il ragazzo abbia delle difficoltà di apprendimento.
Tutto è già scritto, obbligato, ed è inutile discutere. Durante la mia
permanenza a scuola ho sentito spesso insegnanti urlare, come se l’unico
mezzo per farsi capire e far fare le cose ai ragazzi fosse l’imposizione,
l’autorità assegnata dal ruolo, e non la ricerca di un, seppur difficile,
dialogo. Il disagio che i ragazzi portavano, spesso come un problemamarginale, era proprio legato alla netta sensazione che agli adulti,
deputati ad insegnare loro, per la maggior parte non fregasse nulla di
come si sentissero come persona, della loro autostima, della voglia di
capire, magari anche perché fosse così difficile apprendere. Ho trovato
nei ragazzi uno spiccato senso della giustizia, ne reclamano
l’applicazione, ed in sua assenza la prima a farne le spese è l’immagine e
l’autorevolezza degli insegnanti che non la applicano.
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Il messaggio che veniva forte era: “Una volta fuori di qui farò vedere io
chi sono e quanto valgo, qui non ne vale la pena, a nessuno frega
qualcosa!”.
Il colloquio
Una premessa: la tipologia del colloquio che ho tenuto con i molti ragazzi
che ho incontrato si può assolutamente considerare all’interno di un
rapporto di couseling, e questo per diversi motivi.
a) Il setting non era terapeutico , le nostre basi psicologiche erano
necessarie solo per entrare in relazione con i ragazzi ed attivare le
capacità di ascolto, presenti in qualsiasi relazione d’aiuto.
b) I ragazzi erano assolutamente liberi di venire e decidere se tornare, gliincontri finivano con un: “Se vuoi tornare sappi che mi troverai!”.
Questa libertà è stata molto apprezzata e l’ho trovata qualificante nel
rapporto. Mi sembra quasi che i ragazzi temano di essere invischiati in un
rapporto con un adulto, da sempre in una posizione “up”, e di perdere quel
piccolo spazio di decisione autonoma che stanno faticosamente
conquistando, il far scegliere a loro come procedere li fa sentire
“importanti” .
c) Gli incontri erano limitati nel tempo , avvenivano, generalmente, per due
o tre volte.d) I problemi che spingevano i ragazzi a venire erano circoscritti e ben
definiti , legati ad una situazione specifica: problemi di rapporto con i
genitori, con il ragazzo, il gruppo dei pari, la classe, l’insegnante.
L’hic et nunc era la norma del rapporto .
Anche le cose che mi appresto a scrivere sul colloquio rappresentano un
mio vissuto, sono più interessato in questa sede, sempre che ci riesca, a
trasmettere quello che questi splendidi ragazzi mi hanno fatto vivere,
l’esperienza che ho fatto, ed i cambiamenti che hanno prodotto in me.
Quindi nell’esposizione non andrò in ordine logico ma darò precedenza e priorità alla gerarchia delle sensazioni che ho provato, sulla base di quello
che hanno provocato in me emotivamente.
1)
Sicuramente l’aspetto che maggiormente mi ha meravigliato, e colpito, è
il bisogno che hanno i ragazzi di stare sempre, nel rapporto, al centro
dell’attenzione. Se durante l’esposizione di una situazione, anche
problematica che evidentemente coinvolgeva diversi attori, cercavo di
allargare lo sguardo e chiedevo loro di aiutarmi in questa direzione,
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chiamandoli a descrivermi ed a spiegarmi il perché di determinati
comportamenti di altri protagonisti, venivo fermato e riportato a
considerare quello che l’ambiente stesse producendo su di loro, sulle
loro emozioni, sulle loro ricadute, indipendentemente dal motivo che
potesse averlo determinato. Spesso, la mia necessaria analisi delsistema è stata vista come la ricerca di altri possibili attori ai quali
dedicare attenzione ed importanza, togliendola a loro, unici protagonisti
dell’incontro. Come se, per esempio, due genitori preoccupati per la
sicurezza di una figlia con problemi di salute non fossero
sufficientemente motivati a limitare il bisogno di libertà dell’altra figlia
che si sentiva per questo poco rispettata; o se un’altra ragazza
spaventata dal comportamento violento del padre, di fronte alla ricerca
di un perché ed alla sottolineatura che evidenziava la possibile
frustrazione vissuta dallo stesso nelle relazioni parentali come possibilecausa, avesse la netta sensazione che si stessero cercando alibi per il
padre, del tutto fuori luogo.
Il confine del mondo dell’adolescente è determinato dalle sue relazioni
prossimali e da quello che le stesse producono in lui, la ricerca del
perché ciò accada viene vissuto come la volontà di allontanare lo
sguardo da lui, fonte attiva ed attore passivo di emozioni. La ricerca e
la riflessione sulla presenza di emozioni nell’altro viene mal sopportata
quasi come una disconferma o la volontà di ridurre l’importanza del
protagonista. In considerazione delle cose dette, mi sono accorto che,sempre si pensi sia importante allargare lo sguardo per meglio capire la
situazione che ha determinato una particolare situazione, ciò debba
essere fatto a piccoli passi e questi debbano essere fatti in autonomia
dal ragazzo. Ci vuole grande pazienza e capacità di attesa, il rischio è
che il ragazzo pensi che tu voglia passare al nemico. Devo dire che
questa riflessione è stata prodotta ed ha trovato conferma nel
comportamento dei ragazzi e nel loro mancato secondo incontro. Lo
sguardo sistemico deve inizialmente fermarsi al microsistema del
ragazzo.
2) Altro aspetto molto importante è la necessità di avvicinarsi ed
esplorare le emozioni dei ragazzi con grande delicatezza e rispetto. Ho
avuto molte volte la sensazione di essere stato chiamato, volutamente,
a partecipare e condividere un grande carico emotivo. L’ostensione delle
emozioni era talmente forte, carica, che sembrava quasi ci fosse la
paura che non gli venisse riconosciuto, da me, il giusto valore, ed allora
mi si chiedeva di viverlo e condividerlo, ma se mi avvicinavo troppo
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l’incantesimo finiva. E’ fin troppo facile parlare di giusta distanza, certo
è che più forte è l’emozione più esiste la paura che la stessa, nel
condividerla, venga maltrattata. I ragazzi sono portatori di grandi
emozioni, sia quando parlano dei genitori che quando parlano del primo
amore, tutto viene veicolato dalle emozioni. Si ha l’impressione che siaun materiale nuovo, un linguaggio del quale non si conosce bene il
significato e del quale non si conosce neanche la sintassi.
Come adulti ci si rende conto di quanto ci si dovrebbe impegnare ad
educare l’adolescente nel riconoscimento, nel fare buon uso, nella
regolazione delle proprie emozioni. Quando vengono a trovarmi,
soprattutto la prima volta, sono titubanti, non sanno da cosa cominciare
poi, se riesco a trasmettere loro fiducia, al proferire delle poche
parole: “Dimmi pure tutto quello che vuoi…ti ascolto.” Si comportano
come un torrente in piena, raccontano di tutto, hanno come il piacere di parlare, di usare la parola, di essere ascoltati da un adulto . Quando
vengono da me più volte, ci troviamo a parlare lungamente e liberamente
di molte piccole cose e spesso mi sono chiesto quale valore potesse
avere ascoltare anche quelle piccole cose, ma ho capito che per loro è
comunque importante.
3) Riuscire ad entrare in sintonia con il loro linguaggio emotivo non è
sempre facile, per contro mi sono accorto che è molto difficile che ti
venga data una seconda possibilità. Ho incontrato alcune ragazze solouna volta e poi, pur essendo convinto che ci fosse molto di cui parlare,
non sono più venute. In quelle occasioni ho avuto la netta sensazione di
avere sbagliato qualcosa, forse di avere indagato troppo, forse di aver
cercato subito una spiegazione non richiesta, forse di aver prospettato
una soluzione non condivisa, altre volte di voler aspettare troppo e
pretendere da loro una spiegazione o una riflessione che loro
preferivano dessi io. Comunque qualcosa non ha funzionato. L’attesa
inutile di un secondo incontro mi è servita a farmi riflettere sul fatto
che è necessario essere sempre concentrati e accordati, pronti acogliere ogni tipologia di linguaggio che ti permetta di comunicare,
anche quando questo è dodecafonico. L’adolescente ti da una sola
chance per costruire l’alleanza, e non devi mancare l’appiglio. Quando le
cose vanno bene, quando entro in sintonia, provo una certa pressione sul
plesso solare ed è il segnale che ci sono. Certo non deve diventare una
sensazione autoreferenziale, egosintonica, (Mauro dixit). Sarà perché
sono un principiante e il mio arausal deve essere sempre un po’ sopra le
righe, il timore è quello di non essere abbastanza coinvolto.
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5)
Spesso mi capita di rispecchiarmi in loro, sono anche convinto che per
fare bene questa attività devi aver fatto bene i conti con la tua
adolescenza, se è stata felice è ancora meglio (in questo
l’autonarrazione è indispensabile), devi essere comprensivo e tolleranteper poter accettare i loro limiti e le loro piccole provocazioni. La
collusione è un grosso rischio, sempre in agguato, quando ci caschi vieni
simpaticamente commiserato. Essere troppo comprensivo e far credere
che, dopo tutto, a loro tutto si giustifica viene visto con sospetto come
fosse una mela avvelenata. Pretendono di essere sottoposti a regole e
di essere ripresi quando le stesse vengono eluse od infrante, e lo
pretendono anche da chi, pur offrendosi per un ascolto, rappresenta
per loro un adulto con il quale confrontarsi.
4)
Ho potuto notare che un’altra caratteristica particolare, rispetto aicanoni del colloquio “classico”, è la richiesta da parte dei ragazzi di
essere proattivo. L’attesa ed il silenzio, alla ricerca di una qualche
interpretazione o spiegazione di fatti, vengono spesso mal sopportati. I
ragazzi ti chiedono di sporcarti le mani, di provare con loro a trovare un
significato a certi fatti, per poi magari negare con coraggio e
determinazione la tua versione. Ti vogliono attivo, anche se non
prevaricatore o risolutore, ti vogliono sentire vibrare, attento ed
interessato al caso. Accettano con simpatia paradossi e piccole
provocazioni, tutto quello che può mantenere alto il tono dell’incontro.“La giusta distanza con, e per, i ragazzi è quella più vicina…ma non
troppo!”
Per finire, vorrei dire che noi adulti abbiamo una grande responsabilità nei
confronti di questi ragazzi, ed al di là del futuro che gli stiamo
preparando, problema più grande di noi, mi sono reso conto di come
sarebbe importante offrire loro un momento, un luogo, uno spazio, nel
quale, in un rapporto “originale” pieno di rispetto e comprensione, loropossano sentirsi ascoltati in qualità di attori principali e non di comparse.
Bibliografia
Bonino S. (2005), Il Fascino del Rischio negli Adolescenti , Giunti Editore,
Firenze.
Caprara G.V., Fonzi A. (2000), L’Età Sospesa, Giunti Editore, Firenze.
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Galimberti U. (2007), L’Ospite Inquietante , Il nichilismo e i giovani ,
Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano.
Matarazzo O. (2001), Emozioni e Adolescenza , Liguori Editore, Napoli.
Polmonari A. (1993), Psicologia dell’Adolescenza , Il Mulino, Bologna.