tesi di adriano toccafondi
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Totematiche - Design dei Servizi Il Designer come Connettore di Competenze Applicazioni pratiche di progettualità diffusa e partecipata.TRANSCRIPT
L.A.B.A.LIBERA ACCADEMIA DI BELLE ARTI
TOTEMATICHE
Il designer come connettore di competenze,ipotesi di condivisione progettuale.
RelatoreProf. Angelo Minisci
Docente di indirizzoProf. Angelo Minisci
DiplomandoAdriano Toccafondi
Anno accademico 2011/2012
Matricola679FI
Introduzione
La tesi cerca di rispondere a tre domande.
Come possiamo definire il ruolo del designer oggi?
Può essere considerato un connettore di competenze?
Ha senso pensare ad un oggetto che lo aiuti ad interagire con le varie figure profes-
sionali?
Se la storia del Design italiano e mondiale è da considerarsi recente, la professione del
designer ha avuto invece, un cambiamento molto veloce.
Si è passati dalla mera necessità di un’espressione di stile a una figura che sia consapevole
di marketing e che soprattutto sappia mettere in relazione varie esigenze e figure profes-
sionali.
La figura del designer oggi deve prendere posizione circa il processo di costruzione e
realizzazione del prodotto o servizio. Se gli ingegneri o i tecnici fanno riferimento alla
tecnica necessaria per la risoluzione di un problema specifico il designer deve riuscire ad
avere un approccio al lavoro con visioni più ampie rispetto al puro metodo applicativo.
Deve cercare inoltre, di far riflettere le varie competenze sulla necessità di prendere strade
diverse da quelle convenzionali, spesso argomentando sugli aspetti peculiari.
Ciò che può risultare complicato è la sensibilizzazione tramite la comunicazione prima del
team di lavoro e successivamente degli utenti a cui è destinato il servizio o il prodotto.
Prendo ad esempio la parola sostenibile che vuol dire tutto e niente pur essendo oggi
molto abusata, per argomentarne la complessità.
Dietro questa parola nel progettare un oggetto ci sono concetti quali: la composizione
dei materiali e la loro modalità di estrazione, la durabilità, l’intercambiabilità, lo smalti-
mento, l’obsolescenza, e tanti ancora.
Avere il compito di spiegare quindi perché un oggetto è sostenibile è impresa ardua.
Una soluzione a questo problema può essere quella dell’utilizzo di alcuni indici, che
definiscono numericamente i concetti sopra elencati. 1
Il passo successivo è quindi quello di sensibilizzare il team e gli utenti finali in modo che
questi soggetti possano condividere la strada intrapresa dal designer.
Il designer assume inoltre, il ruolo di comunicatore prima durante e dopo il progetto.
Da qui nasce l’idea di un totem pensato come oggetto ausiliare, che svolga una funzione
di raccolta e comunicazione in uno spazio delimitato.
La figura fisica del designer trova ausilio nel totem che assolve alle funzioni informative
e restituisce poi l’idea del progetto nelle varie fasi di realizzazione.
Il totem può avere inoltre la funzione accessoria di disinibire l’utente a cui si rivolge.
L’approccio che si ha nei confronti di un “oggetto simbolo” può essere privo di filtri.
Cosa che normalmente non accade nelle forme di comunicazione personali.
Le informazioni e gli indici devono essere restituiti in forma numerica, per sensibilizzare
gli utenti.
La tesi è inoltre la sintesi personale del mondo dell’ Economia e del Design.
Ogni volta che compriamo votiamo.
Ogni volta che decidiamo mettiamo in pratica aspetti positivi e negativi.
Credo che l’abilità di un designer stia principalmente nel trovare un mix che permetta di
arrivare ad un risultato che abbia più vantaggi che svantaggi.
Non solo. Deve anche saperlo comunicare.
Noi come progettisti abbiamo senza dubbio una grande responsabilità.
Il mio è un approccio umile, ma anche consapevole di trattare temi di massima impor-
tanza. Credo inoltre che affrontare il tema in maniera critica preveda di mettere in discus-
sione i principi economici, uno su tutti l’importanza che in occidente diamo al valore del
P.i.l. e di conseguenza stabilire quale debba essere l’approccio del mondo del Design nel
momento in cui si mette in discussione questo valore.
Altri indici dovrebbero essere presi in considerazione come strumento
di conoscenza? Perché non arrivare a ipotizzare quindi un indice?
Potrebbe chiamarsi ISA: acronimo di indice di sostenibilità armonica.
Il progettista è stato catapultato in un mondo del tutto nuovo negli ultimi cinquant’anni. 2
Mai nella storia si era raggiunto un livello di tecnica così alto e anche questo comporta
ovviamente delle riflessioni in merito. Nello specifico gli oggetti possono essere prodotti
praticamente nella sua interezza da macchine.
Viviamo nell’era della tecnica e il ruolo di un progettista viene confinato alla model-
lazione tridimensionale dei programmi dei computer, oppure alla messa in pratica delle
conoscenze tecniche progettuali e al processo di produzione.
Ma perché non mettere l’accento anche sull’aspetto umano di questo lavoro?
Così come ogni altro artista il designer si approccia al mondo dell’arte con una sensibilità
maggiore che lo porta ad avere continuamente a che fare con le emozioni. Non esiste un
progetto se non è accompagnato da emozioni. Anche solo l’incipit, quella spinta iniziale
che un designer sente quando si approccia ad un progetto, quella scintilla che lo respons-
abilizza nel creare qualcosa che ancora non esiste.
Non solo. Le emozioni in questo lavoro pervadono anche ogni momento della progettazi-
one. Emozioni prima, mentre e dopo la realizzazione del progetto.
Un oggetto poi, deve emozionare anche l’utente finale. Se se ne riconosce l’ingegno, la
passione che il progettista ci ha messo per poterlo realizzare, ecco che l’oggetto acquista
un plusvalore.
E allora le emozioni vanno sapute vivere e il designer è colui che le deve saper gestire.
Nello specifico deve saper gestire le sue e quelle degli altri, e inoltre deve poter sempre
avere una visione ampia d’insieme che lo porti ad una critica costruttiva e ad un bilancio
positivo nel risultato finale del bene o del servizio.
La riflessione di tesi è quindi interdisciplinare e vuole essere un’occasione critica sul pro-
getto e sul modo di progettare da punti di vista multipli.
Progettare in un modo migliore è possibile, con la giusta consapevolezza.
Il raggiungimento di risultati, con particolare riguardo alle piccole realtà, è alla nostra
portata nell’immediato. Per farlo è necessario lo strumento della comunicazione.
Il designer può aiutarsi con un oggetto che comunichi in modo diretto tematiche che inter-
essano la società nei quattro temi che reputo fondamentali: l’energia, il trasporto, l’abitare
e l’agricoltura. 3
Mi aiuterò chiamando in causa il mondo della filosofia, della scienza, dell’economia e del
social design.
Sarà un viaggio in quello che già esiste ed è già stato detto e quello che potrà essere da
qui a qualche anno forse.
Perché alcune energie si stanno già muovendo, perché c’è voglia di cambiamento e per-
ché il cambiamento della società è inevitabile per la scarsità delle risorse.
È uno dei principi dell’economia, quello della scarsità delle risorse, che non ammette la
possibilità di una crescita infinita.
Con umiltà ho l’ambizione di conoscere e sperimentare, per capire ogni giorno di più,
cosa significa essere un designer.
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Lampada Filus Illuminazione - Oggetto Autoprodotto - Adriano Toccafondi (2010)
Adriano Toccafondi
“Il design è l’espressione della volontà di vivere in armonia.”
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Il designer come connettore di competenze,ipotesi di condivisione progettuale.
Totematiche
Prefazione
Nasco a Firenze, ma ho vissuto a Prato e la storia degli ultimi trent’anni di questa città fa
parte di me.
Prato negli anni ottanta non aveva uguali per ritmo economico nel settore tessile in Italia.
Lentamente, ma inesorabilmente, ha visto cambiare il suo tessuto sociale con la progres-
siva crisi del settore che ha portato cambiamenti importanti anche nella mia famiglia.
Quando io raggiungevo i 18 anni eravamo in pieno cambiamento.
Mentre i miei coetanei trovavano ancora il loro posto in fabbrica come operai tessili io
decidevo di proseguire gli studi in Economia.
Nel frattempo i ricordi dei camion pieni di pezze erano sempre più lontani ed io cominci-
avo con i primi contratti a tempo determinato; iniziavo ad entrare nel mondo del lavoro.
La spinta interiore a fare altro però diventava ogni giorno più pressante e la volontà di
realizzare le mie attitudini mi spingevano verso il mondo dell’arte. Iniziai a bussare alle
porte dei capannoni della città che pian piano si erano trasformati da fabbriche di tessuto
a laboratori artigianali.
Iniziai a collaborare con un artista, assistendolo nei processi di costruzione delle sue op-
ere che prevedevano l’utilizzo dei materiali più disparati, principalmente polimeri.
Continuavo a lavorare nel turismo, ma la passione per l’arte, i materiali e i processi indus-
triali diventava sempre più forte.
Mettere le mani sulla materia mi ha dato nuovi stimoli e importanti percezioni di come
questa sia a nostra disposizione per esser plasmata e trasformata.
Così la decisione di ricominciare.
Appassionarsi ad un nuovo percorso formativo, con la consapevolezza che la strada in
salita è sempre quella da scegliere.
Il passo ultimo, quello che mi ha portato a decidere alla fine del percorso triennale di af-
frontare questo tema di tesi è la volontà di cercare una sintesi, un punto d’incontro nelle
mie passioni e nella mia storia di vita.
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Nell’epoca della comunicazione e di internet, della diversa percezione della distanza e
della straordinaria possibilità di trovarsi sulla rete, le dinamiche di lavoro concettuale
hanno visto una metamorfosi d’approccio.
Il designer diventa una figura di connessione tra competenze, una figura chiave nel team
di lavoro.
Chissà quand’è il momento buono! Chissà quando lo sarà per me!
Spero di essere pronto a riconoscerlo quando passerà.
Il tempo va saputo gestire. Va ascoltato.
L’illuminazione spesso, arriva solo dopo un lungo periodo d’incubazione.
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“Non è tanto importante sviluppare il proprio stile quanto l’approccio.” – Massimo Vignelli
La sfida contemporanea sta nel capire che la condivisione è la strada giusta da
intraprendere.
Forse questo però, è il concetto più difficile da assimilare e da mettere in pratica.
Gli attori principali di questa sfida sono gli industriali e gli imprenditori, che dovrebbero
capire che la condivisione e il concetto di open data può avere delle immediate conseg-
uenze in termini di competitività, innovazione e utilizzo delle risorse umane e materiali.
La trappola del segreto industriale crea delle isole di alta specificità che non comunicano
con le altre realtà, spesso perché si pensa che l’apertura abbia un costo maggiore.
In realtà è il contrario. Si finisce così per fare quello che si sa fare pensando che vada bene
per un tempo infinito.
La realtà dimostra invece che le esigenze e la consapevolezza delle persone è in continuo
sviluppo.
L’apparato industriale occidentale deve aprirsi se vuole avere una speranza di una nuova
era di sviluppo. Le parole chiave: apertura e condivisione.
“Copyright is for Losers.” – Banksy
La storia personale di ognuno ci porta a vivere esperienze diverse, talvolta agli opposti.
Credo però che prima o dopo ognuno arrivi a percepire che abbiamo un legame con
l’ambiente in cui viviamo e che ciò di cui ci serviamo per soddisfare i nostri bisogni più
o meno primari ci è dato in una forma finita.
C’è una consapevolezza diffusa nel mondo che sia necessario avere un tipo di approccio
diverso, più parsimonioso.
Il compito del designer oggi è quello di trasformare la consapevolezza in progetti reali,
mettendo in pratica un processo talvolta articolato, talvolta difficile.
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“La natura può permettersi di essere prodiga in tutto, l’artista deve essereeconomo fino all’estremo” - Paul Klee
é l’approccio al progetto che deve essere economo. Niente è infinito.
“Le persone ignorano il design che ignora le persone” – Frank Chimero
Stesso concetto valido non a caso anche per la politica e nelle decisioni amministrative.Ognuno è parte del sistema.
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Indice
Capitolo I - Un approccio filosofico.
1.1 L’importanza di capire dove siamo.
1.2 La filosofia nel secolo della tecnica.
1.3 Scenari futuri di convivenza tra tecnica e progettualità.
Capitolo II - L’economia nel progetto.
2.1 La prospettiva di un’economia alternativa.
2.2 Verso un’economia della conoscenza e della condivisione.
2.3 Una società fluida.
2.3 Cosa si intende per produzione di valore reale, la lezione degli
anni dieci.
2.4.1 Lo sviluppo del coworking e codesign in Italia e i punti di aggregazione.
2.4.2 Il ruolo del designer nella prospettiva del fare insieme.
III - Ah il designer! Ma esattamente cos’è che fai?
3.1 Le varie fasi storiche del design.
3.2 Definizione del concetto di innovazione.
3.3 L’evoluzione del ruolo e un approccio di connettore di competenze.
3.4 L’importanza del processo.
IV - Come e con cosa comunica il designer.
4.1.1 L’ importanza degli indici nelle fasi di sviluppo progettuale.
4.1.2 Ipotesi di un nuovo indice applicativo. ISA. Indice di sostenibilità armonica.
4.2 Introduzione all’experience design.
4.3 Panoramica sull’interaction design.
4.4 L’emozione come conseguenza dell’interazione.
4.5 La percezione dello spazio pubblico oggi.
V - Totematiche: ipotesi di condivisione progettuale.
5. “Totematiche”. Un oggetto per il designer.
5.1 Varie ipotesi progettuali: il Totem e le possibili applicazioni.
5.2 Schizzi progettuali e conclusioni. Tavole tecniche.
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Capitolo I
Un approccio filosofico.
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1.1 L’importanza di capire dove siamo.
La filosofia nasce in Grecia in mezzo alla gente, con il nobile intento di inter-
rogarsi pubblicamente sui temi della vita. Dopo un paio di millenni di
evoluzione è giusto considerare che il ruolo della filosofia possa essere sem-
pre lo stesso, ammesso che i problemi su cui è chiamata a riflettere siano la
naturale evoluzione di quelli antichi.
Il design può essere considerato una conseguenza nella misura in cui dà delle
risposte, la realizzazione pratica delle idee che la filosofia eviscera.
Non può quindi esserci un approccio al design senza prima capire in che
contesto viviamo e definire lo scenario in cui ci muoviamo può esserci
d’aiuto.
La tesi inoltre deve avere anche uno scopo applicativo e per questo
contestualizzarsi in uno scenario reale.
Ma come possiamo ipotizzare un approccio futuro se non capiamo dove sia-
mo?
Il Novecento è stato un secolo denso di storia e innovazione; in cento anni la
tecnica dell’uomo si è evoluta ad un ritmo che non ha uguali.
Parto dall’assunto che siamo nell’età della tecnica quindi e che tutti condivi-
dano questo pensiero in quanto oggettivo.
Il dizionario definisce così la tecnica: applicazione delle conoscenze elaborate
dalla scienza a scopi pratici e alla produzione di strumenti per realizzarli.
Nel momento in cui la tecnica diventa il soggetto della storia, tutte le catego-
rie d’interpretazione della società, che mettono al centro l’uomo, perdono di
significato. Vivere nell’era della tecnica significa che l’uomo ha raggiunto un
grado evolutivo tale da demandare la realizzazione di qualsiasi oggetto alle
macchine. Mai nella storia l’uomo si è trovato a poter disporre di così tanta
conoscenza. Ma questo ha una serie di conseguenze.
Brevemente è utile affrontare il tema in uno scenario politico e in uno
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etico.
Nello scenario della politica, che era stata pensata da Platone come la
tecnica regia, non è più la classe dirigente che decide cosa e come produrre.
Nemmeno l’economia lo fa, perché anche questa si piega alla tecnica.
La tecnica si sostituisce ad altri organi decisionali. Chi è in possesso di ca-
pacità tecniche più elevate acquista automaticamente un ruolo di vantaggio
rispetto ai paesi che non la posseggono. È quindi l’uomo che viene messo in
secondo piano e con lui tutto ciò che è umanistico.
La tecnica destruttura l’approccio democratico nella misura in cui mette
costantemente in discussione la nostra competenza a valutare opportuni
alcuni possibili scenari. Ad esempio dovremmo essere dei fisici nucleari
per valutare l’opportunità della costruzione di una centrale nucleare, ma
siccome non abbiamo le competenze necessarie ci affidiamo al nostro
senso di appartenenza che ci fa direzionare da una parte o dall’altra sulla
spinta di fattori retorici persuasivi delle persone potenti.
Se pensiamo ad un cellulare, pensiamo ad un oggetto con il quale abbiamo
delle interazioni quotidiane ed è un oggetto che racchiude una competenza
tecnica molto superiore alle capacità progettuali comuni dell’uomo medio.
La capacità di persuadere quindi acquista un valore maggiore rispetto
alla vera conoscenza, e viviamo indiscutibilmente sulla nostra pelle gli
effetti dei mass media che hanno principalmente questo scopo.
Dal punto di vista dell’etica invece lo scenario attuale non è migliore.
Il mondo Occidentale ha avuto come riferimento l’etica cristiana, che
ha dato lo spunto per la costituzione di tutto l’ordine giuridico europeo.
Siamo di fronte all’etica delle intenzioni. Lo stesso sistema giuridico
appunto fa riferimento alle intenzioni per regolare svariati casi legislativi.
Si è sempre giudicato in base all’intenzione. La tecnica però destruttura anche
questo scenario. Conoscere le intenzioni delle persone non serve a
molto. Che intenzione avesse Enrico Fermi quando ha inventato la bomba
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atomica non è interessante, molto più interessante è conoscerne gli effetti.
La tecnica va di pari passo alla conoscenza, che una volta acquisita dall’uomo
viene messa in pratica.
È difficile se non impossibile infatti, dire all’uomo che non può mettere in
pratica una propria conoscenza. Se l’uomo conosce fa, indipendentemente
dalle intenzioni di chi ha contribuito a sviluppare la nuova conoscenza.
In questo scenario il progettista non ha il ruolo di porsi il problema se quello
che fa può essere eticamente giusto o meno, può limitarsi ad applicare cono-
scenze tecniche.
Il designer d’altronde, in quanto progettista, non può evitare di occuparsi dell’
utente per cui è pensato il prodotto o il servizio che intende sviluppare.
Ovvio che il contesto nel quale si muove è fondamentale nelle scelte che
dovrà sostenere. Pensare ad un progetto che abbia applicazione nella parte
di mondo raggiunta dalla tecnica per quella stessa parte di mondo, non è la
stessa cosa che pensarlo per la parte di mondo che non ha corrente elettrica.
I bisogni cambiano in base al contesto, ma sembra logico avvalersi della tec-
nica, come suggeritoci dalle riflessioni filosofiche.
La conoscenza la si deve applicare. Il progettista in questo senso ha la neces-
sità di confrontarsi con delle scelte eticamente forse discutibili, ma non può
far finta che la tecnica e la conoscenza non ci appartenga.
È importante perciò prendere coscienza delle potenzialità degli strumenti che
abbiamo per poterli applicare nei processi di produzione. È importante sapere
dove siamo per capire dove possiamo andare.
Moai - Isola di Pasqua - Scultura autoctona
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1.2 La filosofia nel secolo della tecnica.
La filosofia ha affrontato nel ventesimo secolo i temi del lavoro e del
cambiamento della società.
Nello specifico, Friederich Nietzsche, Immanuel Kant e Gunther Anders si
occupano delle cause e delle conseguenze sociali della rivoluzione industriale
e della diffusione della tecnica nel mondo occidentale.
Kant definisce un’etica laica, che prescindesse dalla fede in Dio.
“L’uomo va trattato sempre come un fine e mai come un mezzo.”- I.Kant
Ma questa etica non si è mai realizzata, così come non si è mai messo in pratica
l’idea di democrazia. Il cittadino è considerato tale solo nel momento in cui è
funzione di qualcosa, meccanismo di un sistema più grande di lui. Altrimenti
lo stato non lo riconosce come cittadino, oppure è costretto ai margini della
società. Il fatto stesso di essere uomo non dà diritto di cittadinanza. Ma anche
se si fosse realizzata l’etica Kantiana non funzionerebbe comunque, nella mi-
sura in cui l’uomo non è più l’unico soggetto da trattare come un fine.
L’acqua, l’aria, l’energia possono essere considerati “fine” e non mezzo
perché una loro conservazione e un buon utilizzo ci permetterebbero di vivere
in un ambiente migliore.
L’etica d’altronde funziona solo se è interiorizzata dalla società e da questo
punto di vista non siamo ancora pronti. L’evento tecnologico è stato troppo
rapido rispetto alla nostra evoluzione intellettuale. La nostra psiche ha dei
processi lentissimi.
Gunther Anders è autore di: “L’uomo è antiquato rispetto alle cose che uti-
lizza”. Era un ebreo perseguitato ed emigrò negli Stati Uniti per lavorare alla
Ford. Scrisse ad Heidegger suo maestro: “lei mi ha insegnato che l’uomo è
il pastore dell’essere, io qui invece sono il pastore delle macchine. Il mio
compito non è nemmeno più quello di lavorare, ma si riduce a sorvegliare le
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macchine.”
Nell’età della tecnica si è avuto in grande quello che il nazismo ha fatto vedere
in piccolo. Il nazismo è un teatrino di provincia rispetto all’età della tecnica.
Nel nazismo si è verificato che la responsabilità non è più in ordine agli effetti
delle azioni, ma solo nella perfetta esecuzione degli ordini del superiore.
Non si estendeva alla conseguenza dell’agire. I comandanti nazisti eseguiva-
no gli ordini.
Alla domanda “Cosa provava a fare quello che faceva?” gli ufficiali non ri-
spondevano, oppure dicevano che a loro si chiedeva solo di eseguire dei co-
mandi.
Erano soltanto gli esecutori di un metodo.
Si capisce bene quindi che se il lavoro diventa la perfetta esecuzione di un
ordine questo si ripercuote inevitabilmente a livello sociale.
Si assiste ad una deresponsabilizzazione diffusa nel mondo del lavoro, che
coinvolge gli attori principali solo nel momento in cui devono rendicontare
del proprio operato al proprio superiore
Si perde di vista quindi l’obiettivo finale. Poco importa se le pistole che ven-
gono prodotte nel bresciano andranno ad uccidere, l’importante per gli operai
che le producono è mettere bene insieme le spolette.
Il loro lavoro finisce lì e non sentono il peso morale di ciò che stanno facendo.
O non conoscono i fini ultimi oppure non sono di loro competenza. Conside-
rando inoltre la tecnica come l’anima della scienza, l’intenzione della tecnica
è già inscritta nello scenario scientifico.
La tecnica quindi non è buona o cattiva, ma ogni volta che l’uomo scopre una
nuova capacità tecnica questa verrà messa in pratica per il semplice fatto che
è a disposizione dell’uomo.
Come si può limitare l’uomo dal fare qualcosa che è capace di fare?
Heiddeger diceva che inquietante non è che il mondo si trasformi in un grande
apparato tecnico. Ancora più inquietante è che non siamo preparati a questa
trasformazione, ma ancora più inquietante è che non abbiamo un pensiero
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alternativo al pensiero che calcola.
Da qui dobbiamo partire per andare verso il futuro. Tutto in occidente è dis-
chiuso verso il futuro però Nietzche ci ha avvertito che Dio è morto. Dio era
vivo quando creava mondi e faceva storia. Non possiamo pensare al Medio-
evo senza il concetto di Dio, ma se tolgo la parola Dio dall’epoca contempo-
ranea la capirei comunque.
Non la capirei se togliessi il concetto di denaro e di tecnica.
Nietzsche parla di Nichilismo. Siamo in un’atmosfera altamente nichilista.
Tutti i valori si svalutano, manca la risposta al perché e non ci sono scopi
all’orizzonte. I valori si svalutano sempre a favore di altri. Ma quali sono i
valori del futuro. Se Dio è morto tutto l’ottimismo sia in chiave scientifica che
sociologica collassa. L’ottimismo del futuro è sempre stato un punto di forza
dell’Occidente, ma ora non lo è più. Manca la risposta al perché. Il futuro è
imprevedibile, quindi non retroagisce come motivazione e allora si vive in-
tensamente solo il presente.
Lo sguardo al futuro è pura angoscia. E qui arriviamo a un punto morto; ma è
senza dubbio migliore la prospettiva di prendere coscienza del punto storico
in cui siamo per agire di conseguenza.
Intendo dire che tutte le tematiche su cui il Design si può interrogare partono
da questi assunti imprescindibili e oggettivi. Conoscere è sempre meglio che
ignorare anche se la conoscenza prevede di dover prendere atto di situazioni
difficili e sfide importanti da affrontare. Così come l’esempio del pilota che
ha sganciato le bombe atomiche, o le decine di migliaia di militari che uc-
cidono obbedendo ad un ordine. Questo è lo scenario globale, qualcosa di
universalmente accettato, la palude nella quale sguazziamo e il punto da cui
ripartire.
La tecnica rischia di mettere in discussione anche la democrazia, che pur
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non essendosi mai concretizzata è rimasta sempre un’idea regolatrice della
società. Non viviamo nella prospettiva di un futuro migliore. Per la prima
volta nella storia forse guardiamo ad un futuro con preoccupazione e questo
si riscontra nella nuova generazione.
I giovani vivono in un presente schizofrenico nel quale la prospettiva più
interessante è quella di vivere intensamente senza la possibilità di progettare
un futuro.
I giovani sono emarginati, non vengono chiamati per nome, non sono attori
di niente.
E allora si rifugiano in identità sempre più provocatorie e ai margini della
civiltà, spesso in vite alternative on-line.
Il filosofo Umberto Galimberti riesce ad inquadrare benissimo tutti questi
temi nel suo libro: “L’uomo nell’età della tecnica.”
A tutte queste considerazioni devo far notare che viviamo anche nell’era di
internet, che oltre a permetterci di essere connessi in una rete comune, ci dà la
possibilità di avere accesso ad una grande quantità di notizie e conoscenze.
Per la prima volta nella storia con internet possiamo condividere la nostra
conoscenza potenzialmente con tutti i cittadini del mondo. Quindi se da un
lato la tecnica prevede che il potere sia concentrato in organizzazioni che de-
tengono il know-how dei processi atti a raggiungere uno scopo, dall’altro c’è
la possibilità della grande tentazione della condivisione.
Personalmente credo che la strada della condivisione sia quella da seguire,
pur essendo per ovvie ragioni più complessa.
La filosofia quindi ci apre la strada verso uno scenario che riguarda diretta-
mente l’ Economia e i metodi progettuali.
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1.3 Scenari futuri di convivenza tra tecnica e progettualità.
Riflettendo su come la progettualità possa ancora avere un ruolo, in
un’epoca in cui la tecnica ha preso il sopravvento, si aprono diversi scenari.
Il primo è quello della creatività.
I computer e le macchine non possono provare emozioni e allo stesso modo
non possono essere creative.
Le macchine sono fatte per interpretare stimoli e input che l’uomo concede,
ma non sono pensate per sostituirsi a noi.
L’altro aspetto imprescindibile è che l’uomo continuerà ad essere il fine ul-
timo. I servizi continueranno ad essere pensati per l’uomo.
Forse l’aspetto più inquietante è di dover convivere con dinamiche multi-
disciplinari. Dover essere sempre a passo con i tempi. Vivere al tempo delle
macchine infatti significa dover stare sempre aggiornati ed avere molte più
competenze specifiche.
Infine la questione etica.
Il mondo è cambiato con l’esplosione della bomba atomica.
Da quel momento l’umanità ha avuto la percezione netta che il livello tecnico
raggiunto era in grado, con la nostra volontà, di cancellarci dalla terra.
Niente è stato più come prima, il problema non poteva essere risolto nem-
meno con la distruzione delle bombe rimanenti, avremmo dovuto cancellare
le informazioni tecniche che ci permettono di costruirle, ma sulla conoscenza
non si torna indietro.
Possiamo solo accettare che è nelle nostre facoltà utilizzarla, sta a noi deci-
dere in che modo. Dobbiamo entrare nell’ottica che la tecnica non è né buona
né cattiva, provando ad avere un approccio possibilista.
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In questo senso non possiamo tornare indietro. In questo senso il designer
deve prendere coscienza di quello che c’è altrimenti rischia di diventare un
dinosauro attaccato a dei principi che non lo fanno vivere nella realtà.
Se le macchine permettono dei processi di costruzione e assemblaggio nuovi
è giusto farne uso.
Non dico che la questione etica non esista, ma forse è più giusto spostarla
sull’utente finale. Presupposto che l’utente finale non sia altro che l’uomo il
cerchio si chiude: sta a noi decidere.
Motociclista con il suo carico di taniche vuote - India 2012
“La felicità non si compra. Qualcuno ci ha provato, con scarsi risultati.”
Capitolo II
L’economia nel progetto.
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2.1 La prospettiva di un’economia alternativa.
Che strumenti ci offre l’Economia per l’interpretazione del tema del pro-
getto?
Si capisce che così com’è importante capire a chi si rivolge il progetto, è
importante capire come comunicare l’aspetto economico che è spesso il prin-
cipale strumento di giudizio sulla qualità dello stesso.
Se è vero che viviamo nell’era postmoderna nella quale le aziende cercano di
far percepire valori intangibili, è anche vero che si ha la necessità di quantifi-
care per dare forza a ciò che si promuove.
L’economia è fatta soprattutto di numeri e percentuali che devono essere co-
municate.
Il designer inoltre, nell’approcciarsi ad un progetto di prodotto deve
forzatamente confrontarsi con i materiali e la loro scarsità. Questa percezione,
per fortuna, è sempre più netta nella società e oltre a dare un valore aggiunto
a progetti che siano ben orientati sulla giusta ricerca di materiali; fa
pensare alla necessità di un ripensamento del sistema economico degli
ultimi cinquant’anni.
Dato per buono l’assunto che il sistema attuale abbia vita breve su temi come
l’obsolescenza programmata e lo spreco di risorse è utile cercare di focaliz-
zare l’attenzione sul legame che esiste tra economia e felicità ad esempio.
L’ indice economico di riferimento, spesso preso in considerazione per moni-
torare la crescita e lo sviluppo di un sistema, è il prodotto interno lordo.
Unico e indiscutibile strumento di misurazione del progresso di un Paese.
Ma si può mettere in discussione questo assunto?
Non sarebbe più logico prendere in considerazione un altro indice, magari
quello che misura la felicità delle persone?
Sono in molti a credere che mettersi in questa ottica di idee implichi un grosso
sforzo individuale di rinuncia.
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Questo è un concetto chiave che va sviluppato per essere ben compreso. Se è
vero che se pensiamo in grande, al sistema inteso come grande apparato che
muove tutto non abbiamo grandi possibilità di trarne un vantaggio immediato
e concreto; d’altra parte invece la nostra rinuncia ai comportamenti d’acquisto
ritenuti usuali, può portare ad un bilancio positivo anche nel breve termine.
Soprattutto se è attuata in un contesto multiplo, cioè se a muoversi nella giusta
direzione è un gruppo che agisce su un territorio specifico e non un singolo, ci
possiamo rendere protagonisti di un cambiamento proficuo e vantaggioso.
L’unione fa la forza, le decisioni compartecipate portano spesso ad un van-
taggio immediato. Per affrontare questo tema, le conoscenze economiche
e sociali di Stefano Bartolini e Serge Latouche possono aiutare a capire in
maniera critica e costruttiva.
Credo che quando si parla di design si debbano trattare temi concreti, ma
dopo aver preso coscienza che il ruolo del designer sia quello di disegnare
forme ed oggetti, reputo importante cercare di capire cosa deve fare un attimo
dopo avere staccato la matita dal foglio.
Nel momento in cui il designer esce dal suo ufficio, nel momento in cui si
confronta con la società credo che il suo ruolo abbia sicuramente a che fare
con dinamiche sociali.
Per questo motivo penso che i temi più importanti e basilari siano fondamen-
talmente quattro: i trasporti, il sistema agricolo, quello energetico e quello
dell’abitare. Parto da questi temi perché agendo in modo critico mi sento di
poter tranquillamente affermare, che qualora avessimo dei vantaggi positivi
in modo da rendere indipendenti o quasi i cittadini su questi aspetti poco ci
mancherebbe perché potessero vivere a ritmi più sostenibili con un bilan-
cio positivo dell’indice della felicità immediatamente riscontrabile. Non è un
caso che Stefano Bartolini imposti il suo pensiero proprio a partire da questi
temi.
Vediamo ora quali sono le priorità e le azioni che, se messe in pratica, por-
terebbero dei benefici immediati.
30
Il progetto di una casa ad esempio è molto complesso, ma così come nes-
suno può mettere in dubbio che se è pensato con un sistema di coibentazione
adeguato, ne conseguano dei benefici sulla tenuta termica, così nessuno può
dubitare del fatto che il progetto non si limiti alla metratura indoor, ma si es-
tenda fuori, nel quartiere in cui la casa è costruita.
Se si pensa al micro-sistema quartiere come dice Bartolini si deve pensare
sia a spazi pubblici per i bambini, in cui possano essere protetti e giocare in
tranquillità, sia ad una quantità di spazio verde adeguata alla densità di popo-
lazione adulta.
L’energia invece è un tema che vede come punto di partenza imprescindibile
l’assunto che il combustibile fossile sia finito sul pianeta e che la curva di
produzione di greggio sia in fase discendente già da qualche anno.
La mia generazione sarà destinata a vivere un calo vertiginoso della quantità
di energia disponibile, derivante dalla mancanza di petrolio con conseguenze
economiche molto gravi, a meno che non si decida di incentivare la forma di
produzione autonoma di energia dal vento e dal sole, oltre che a prevedere
l’installazione di pompe di calore che sfruttino la geotermia.
Sembra che la soluzione migliore sia un mix di energie rinnovabili che si pos-
sano interscambiare in fase di produzione.
Sul tema dell’agricoltura credo che un buon approccio di progetto sia pensare
che i sistemi idroponici possano sostituire i metodi tradizionali di coltura. La
coltura idroponica diminuisce la quantità d’acqua necessaria a far crescere la
stessa pianta di circa l’80 per cento.
Il suolo non viene danneggiato dall’uso di sostanze chimiche e i luoghi adibiti
alla produzione del cibo vegetale potrebbero essere integrati nel tessuto delle
città ed aiutare una distribuzione a chilometro zero.
Il sistema idroponico inoltre può essere gestito totalmente da un software che
monitora costantemente tutti i valori chimici ed ambientali.
31
Per quanto riguarda i trasporti, chiediamoci cosa penseranno di noi i posteri.
Ci stiamo spostando con delle auto che pesano intorno a una tonnelata con-
sumando in un tempo brevissimo il combustibile fossile che la terra ha pro-
dotto in millenni. Penseranno che le auto erano delle macchine brucia-petrolio
e che ci abbiamo basato l’economia di circa cento anni.
Credo che il futuro siano le bici elettriche o comunque un mezzo che pesi
molto poco.
Come può un designer astrarsi da questi temi?
Deve esserne protagonista, in prima fila. Nelle sfide future, nella ricerca del
giusto compromesso tra forma e materia affinché possa essere prodotto un
oggetto con un costo contenuto che sia in grado di produrre valore da ciò che
la natura ci offre in modo rinnovabile.
Ammesso e non concesso che questo avvenga il mondo deve sicuramente
prepararsi ad una scarsità di approvvigionamento di energia oltre che di ma-
teriali, e sarà costretto a ridurre i ritmi di produzione e consumo.
Su questo tema ci viene in aiuto Serge Latouche, che con la sua teoria della
rivoluzione della decrescita, mette in atto il circolo virtuoso della decrescita
serena che si sintetizza negli aspetti del: rivalutare, riconcettualizzare, ristrut-
turare, ridistribuire, rilocalizzare e ridurre.
Teorie che aprono la strada a tanti dubbi che però almeno ci mettono di fronte
ad una possibile risoluzione, senza lasciarci nel limbo dell’impossibilità di
azione.
Pensare a piccole realtà può quindi aprire la strada al cambiamento?
Si, questa può davvero essere la soluzione più immediata.
Un buon progetto cerca di mettere insieme ciò che l’industria può produrre,
ciò che i designer possono disegnare e ciò che la gente desidera.
32
È chiaro che queste tre cose devono andare insieme.
Oggi il problema ambientale è riconosciuto, d’altra parte cresce il numero di
persone che crede di poter e voler far qualcosa di concreto.
Il problema è che non esiste una risposta univoca. Il primo e fondamentale
punto è che la sostenibilità non è una parola che copre ogni direzione da un
punto di vista ambientale. Se vogliamo veramente prendere in
considerazione la parola sostenibilità, significa approcciarsi ad un cambia-
mento radicale. Passare da un’idea di benessere in cui per vivere meglio bi-
sogna consumare di più, all’idea di consumare di meno e condividere di più.
Sembrerebbe che siano temi legati ai grandi sistemi finanziari e alle grandi
politiche, ma in realtà non è così.
Possiamo fare qualcosa?
Si, anzi anche in termini teorici il cambiamento potrà avvenire solamente
se esistono già delle piccole realtà. Non c’è speranza di avere una società
sostenibile se non ci sono le persone che passano da un’idea usa e getta del
mondo ad un’idea di cura del mondo.
Non ci sarà nessun modo di sostenere tutti se la gente non avrà cura delle
proprie cose. I cambiamenti radicali sono a piccola scala e questa dimensione
non toglie nulla all’attitudine della cura degli oggetti.
Non può nemmeno essere sostenibile se non rallentiamo.
Le persone devono avere delle isole di lentezza in mezzo ad un mondo veloce.
Per questo l’esperienza di Slow-Food è il miglior esempio di sostenibilità in
Italia. Non implica della grandi insoddisfazioni e sacrifici. Si scontra con gli
strumenti globali, ma sono allo stesso tempo è contemporanea.
Non c’è sostenibilità se non ritroviamo il senso del luogo che non significa
ritornare al villaggio. D’altronde la gente nemmeno lo vuole il villaggio chiu-
so del passato però c’è e sta emergendo l’esistenza di globalizzazioni intel-
ligenti in cui più che immaginarsi questi flussi insensati di merci e persone si
vedono delle reti piccole che si collegano a reti più grandi che possono essere
33
autosufficienti.
La rete ha delle grandi possibilità, un sistema in cui tante realtà si uniscono è
la base di un qualcosa che in futuro sicuramente avverrà.
La distribuzione dell’energia e del saper fare è un tema interessante.
Nella produzione d’energia tante piccole e medie centrali si possono mettere
in rete per vendersi l’energia tra di loro. Ci sono già oggi dei centri di ricerca
ufficiali che si occupano dell’economia distribuita. Non sappiamo come sarà
la sostenibilità del futuro, ma abbiamo a disposizione dei dati che sono stati
raccolti in funzione d’esperienze vissute da gruppi di persone anche nel nos-
tro paese. Questo è un punto di partenza.
Le relazioni tra ciò che è globale e ciò che è locale saranno sicuramente di-
verse, non sappiamo se migliori o peggiori, ma saranno diverse.
Siccome esistono già dei sistemi locali che funzionano, la sfida è quella di
creare dei sistemi multipli che connettono i singoli.
Un mondo in cui si mescola la velocità e la lentezza, è lo stesso mondo in cui
la gente si auto-produce ciò di cui ha bisogno. Potrebbero essere i segni del
futuro, sono in molti ad avere delle aspettative in merito.
I designer devono prendere questa strada, a fronte di un mondo che sta an-
dando oggettivamente verso l’impoverimento delle risorse.
Il design è nato su un’etica che deve essere ritrovata?
I contenuti etici di oggi non sono gli stessi di quando è nato il design, quelli
attuali riguardano la democrazia del consumo.
Oggi non andiamo lontano su questo aspetto, perché qualcuno deve poter
consumare di più, ma non tutti i sei miliardi di persone possono farlo.
Siccome abbiamo la capacità di una cultura critica dobbiamo fare un salto di
qualità ed essere parte della soluzione, non del problema.
Nel momento in cui ci si accorge di essere una cultura critica dobbiamo cam-
biare direzione ed andare verso la produzione di oggetti intelligenti che
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sappiano interpretare i nuovi scenari.
Nessuno ha una risposta alla domanda “Cos’è la sostenibilità?” e se ce l’ha
risponde che dovremmo avere tutti un po’ di meno. Per farlo volontariamente
i designer devono esporsi e tracciare chiaramente le linee guida.
Rallentamento, cura e auto capacità di essere protagonisti della propria vita
potrebbero essere una chiave interpretativa.
Cose concrete che possono essere fatte già oggi.
Qualsiasi sia la trasformazione gli esseri umani avranno bisogno di
prodotti e servizi. Le imprese come i designer sono stati parte del problema,
ma possono essere parte della soluzione con una nuova cultura e magari
vivere bene e fare il suo giusto profitto.
Qualsiasi fenomeno innovativo dà dei vincitori e dei perdenti, ma avranno
successo solo quelle imprese che saranno coerenti con i giusti principi.
Chi produceva amianto, per esempio, ha dovuto cambiare mestiere.
Chi produce automobili dovrà farlo a breve se continua con l’approccio che
l’automobile possa essere un mezzo usato da ogni cittadino del mondo.
Devono passare da essere produttori di automobili a sostenitori della mo-
bilità. Una mobilità sostenibile e più complessa che avrà bisogno di sistemi
sofisticati.
Tutti quelli che si occupano di telecomunicazione dovrebbero capire che
questi sistemi hanno bisogno di tanta comunicazione e che cosa vuol dire
avere milioni di creativi con un uno strumento come il telefono che crea delle
forme di organizzazione e business stesso per le imprese.
Ogni oggetto può comunicare.
Il mondo dell’abitare sta cambiando a causa delle necessità nuove che la soci-
età frammentata deve poter soddisfare. Ma l’esperienza di questi ultimi anni
ci ha fatto capire che il singol non consuma mai quanto la metà di una coppia,
ma molto di più.
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Ogni volta che si divide si aumentano i costi, ogni volta che si unisce si ris-
parmia.
Non si deve essere pensatori di strutture abitative uguali a se stesse, ma
abitazioni con uno scopo, c’è tutto un mondo che deve essere in grado di sod-
disfare la realtà delle famiglie e della società del futuro.
Abitare sostenibile non è soltanto l’architettura bioclimatica, quanto piuttosto
interrogarsi su come si possa cambiare il modo di vivere perchè sia sosteni-
bile in ogni sua parte.
Le singole parti, le lampade, i mobili e tutti gli oggetti sono necessari, ma
questa non è una condizione sufficiente.
Solo questo non comporta il radicale cambiamento, perché deve esserci
il cambiamento anche nella quantità di ciò che consumiamo.
Stonehenge (Inghilterra) - Celebrazione del solstizio d’Inverno - 2008
“Copyright is for Losers.” – Banksy
37
2.2 Verso un’economia della conoscenza e della condivisione.
Parto anche qui da una distinzione oggettiva: quella tra lavoro cognitivo
e operativo. È chiaro a tutti che, nel momento in cui il lavoro operativo
può essere interamente eseguito dalle macchine, il campo su cui si confron-
tano le varie realtà economiche mondiali è quello della conoscenza.
Il lavoro è diventato cognitivo quindi. Significa in sintesi che una persona
lavora prendendo delle decisioni.
Anche l’operaio che preme un bottone rosso però, ha attuato un lavoro
cognitivo. Non è un anello in più. Il fatto che la conoscenza dell’operaio sia
attuata cambia tutto per un motivo semplice: la sua personale conoscenza ha
un valore.
Il contributo che dà la conoscenza è diverso da tutto ciò a cui comunemente
diamo valore.
È una risorsa diversa e ogni lavoratore produce conoscenza.
Se la conoscenza ha un valore, come si traduce?
La conoscenza codificabile ha un costo uguale a zero dal momento in cui può
essere trasmessa. È una risorsa moltiplicabile perché può essere divulgata in
modo illimitato. Questo concetto non può essere applicato per i prodotti, nella
misura in cui se ho bisogno di un’unità di materiale per produrre un tavolo,
avrò bisogno di dieci unità per produrne dieci.
Utilizzare la conoscenza mille volte significa produrre mille volte valore. La
conoscenza produce valore moltiplicando gli usi.
Ha un effetto moltiplicatore. È questo che ci ha permesso per la prima volta
nella storia di accrescere la produttività. Ogni anno la parte di mondo svilup-
pata ha prodotto di più per due secoli e mezzo perché ogni anno si avevano a
disposizione le conoscenze già acquisite in precedenza.
E ogni anno ne possono essere create di nuove. Lavorando direttamente
il ferro, ogni ora posso lavorare una certa quantità di materiale, ma se esiste
38
una macchina che fa la stessa forma se ne possono fare un milione invece di
una.
La moltiplicazione della conoscenza è un principio formidabile.
Per moltiplicare la stessa conoscenza si deve replicare quindi in modo
standard.
Il mondo quindi rischia di diventare artificiale?
Non necessariamente. Esisteranno sempre delle peculiarità che derivano da-
gli aspetti culturali e dalla storia del territorio.
Il disegno delle macchine e i processi produttivi possono essere condivisi e
condividendo scopro che posso non essere concorrente, ma compartecipe ad
uno sviluppo comune.
Oggi ciascuno, in Italia più che altrove, pensa che le cose che fa le fa da
solo proteggendosi dagli altri, ma nell’economia della conoscenza il principio
chiave è che condividere non ha un costo. La condivisione è di per se un va-
lore.
Si mettono più competenze insieme, si riducono i rischi di investimento e au-
menta il fatturato perché aumentano le possibilità di produzione con la cono-
scenza altrui.
La risorsa è moltiplicabile e condivisibile. Dal momento in cui il nostro lav-
oro è diventato cognitivo, grazie alla tecnica, ogni ora di lavoro è potenzial-
mente moltiplicabile e condivisibile.
Al contempo il nostro lavoro vale meno perché non abbiamo sfruttato questa
leva, cadendo nella trappola dell’egoismo di un approccio autoreferenziale.
Gran parte del lavoro del fordismo era sostituibile.
Cito una famosa frase dei tempi del fordismo: “Operaio non pensare perché
c’è qualcuno che pensa per te! C’è chi è pagato per pensare per te!”
39
I lavoratori immigrati europei avevano compiti semplici.
Le competenze degli operai erano quindi sostituibili. Questo portò infatti ad
una riduzione drastica dei salari.
Nell’epoca del fordismo si poneva il problema che l’auto prodotta doveva es-
sere rivenduta agli stessi operai. Per permetterlo si adottò un sistema pensato
su misura.
Il meccanismo che portava i salari al minimo però, si bloccò, perché veniva
prodotto di più di quello che veniva comprato.
A quel punto della storia c’è stata un’invenzione politica che ha portato ad
una correzione del fordismo: i sindacati.
Il sindacato che nell’800 era illegale, diventa legale, in modo che l’azienda
avesse come interlocutore un gruppo organizzato.
In questo modo i redditi degli operai sono cresciuti. Solo grazie a questa con-
dizione.
Ma questa situazione è cambiata negli anni settanta, dimostrando che i mo-
nopoli funzionano solo nel breve periodo.
Questa condizione iniziale, di aver spostato i rapporti dentro le fabbriche si è
tradotta nell’inflazione. La domanda che nasce dalla pressione dei redditi da
lavoro tende a superare la producibilità delle fabbriche. Dagli anni 70 in poi
è finito il secolo del fordismo ed è iniziato il processo per cui il lavoro nelle
fabbriche comincia ad essere sostituibile da altro lavoro, perché si trovano
metodi di produzione alternativi: ora si può pensare di decentrare la
produzione.
Questo processo è andato avanti in un modo travolgente in Italia.
Le medie imprese italiane oggi, circa quattromila, producono circa l’80% del
fatturato esternalizzando.
È una trasformazione completa che ha cambiato radicalmentemente il mer-
cato del lavoro. Se il sindacato aumenta le richieste il reparto chiude per pro-
durre fuori. Siamo tornati quindi, a domandarci se il lavoro esecutivo difende
o non difende il lavoro operaio.
40
Il secondo tema è la sostituzione delle macchine. Le macchine prima erano
rigide e ora hanno i software.
Gli operai quindi non fanno niente di preciso, le macchine sono regolate dai
computer. Anche per questo motivo il potere contrattuale diminuisce.
La terza condizione è la Cina, l’India e in genere tutte le economie emer-
genti. L’italiano viene sostituito con un lavoratore estero che viene pagato di
meno.
Il sindacato non può più mettere delle condizioni imperative altrimenti
l’impresa si rivolge a manodopera estera.
Negli ultimi anni l’Italia è stata teatro di questo scenario che è sotto gli occhi
di tutti. Si tocca con mano nella vita di tutti i giorni.
Non è insensato pensare che si possa arrivare anche da noi al livello del costo
cinese.
L’alternativa è quella di rendere meno esecutivo il lavoro. Come?
Dal momento che non tutta la conoscenza si può demandare alle macchine, si
può pensare a prodotti più complessi che richiedono una forma dell’intelligenza
umana che sa personalizzare il risultato, in una
parola: creare.
Questa è la nuova funzione del lavoro. È un lavoro generativo. Crea cono-
scenze che gestiscono problemi complessi.
Perché la Germania non ha paura della Cina oggi?
Perché i tedeschi sono quasi tutti laureati e fanno delle cose che non sono sos-
tituibili. Noi dobbiamo fare la stessa cosa. Le aziende devono essere in grado
di dare il giusto valore alla propria forza lavoro.
Cosa significa quindi difendere i diritti nel lavoro del futuro?
Diventa più importante difendere il diritto all’apprendimento e alla conoscen-
za, di pari passo all’applicazione delle competenze.
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Si deve andare inoltre, verso una concezione di lavoro più continuativa.
Sul lungo periodo infatti, l’intercambiabilità e il tempo determinato logorano
le competenze e il valore del personale di lavoro.
È finito il tempo in cui era giusto difendere la bandiera del lavoro insostitui-
bile. Il lavoratore viene difeso dalla sua capacità; dal fatto che alcune cose le
sa fare lui e l’altro no.
Se una fabbrica può essere riprodotta all’estero allora acquista più senso cer-
care di aumentare il valore delle persone che lavorano nelle aziende sul nos-
tro territorio.
L’Italia sembra essere oggi in un condizione di inconsapevolezza.
Viviamo in un contesto di arretratezza culturale.
La sinistra ha sempre rifiutato che il fordismo fosse finito perché per funzion-
are bene aveva bisogno di una sinistra ben radicata nelle istituzioni. Adesso la
sinistra vede una strada in salita.
Come fa il sindacato a trasformare gli operai in una risorsa e non in un
peso?
Il sindacato deve essere pensato in un’altra forma. Si dovrebbe riconoscere la
sua funzione nell’incentivo all’investimento personale.
Dovrebbero cambiare le leggi per cui le aziende dovrebbero avere dei van-
taggi a formare il personale.
Tutti questi investimenti implicano una maggiore predisposizione a mante-
nere i lavoratori in azienda e non necessariamente a trovare ogni occasione
buona per risparmiare con il meccanismo della sostituzione.
Dovrebbe diventare conveniente per l’azienda investire sui suoi dipendenti.
Nello scenario attuale i laureati sono disoccupati perché la loro conoscenza
acquisita fuori dagli ambienti di lavoro normalmente non viene riconosciuta.
Il diploma delle nostre università spesso non è sufficiente a giustificare che il
laureato sappia fare il suo lavoro.
I canali professionali inoltre dovrebbero essere chiari nel promettere qualcosa
che sia più definito.
Manifestazione sindacale Fiat : effetti della globalizzazione.
“Una delle cose più fantastiche riguardo al tempo e allo spazio è che è impossibile
prendersi in giro all’infinito.” M.Dooley
43
2.3 Una società fluida.
La comunicazione quindi, date le premesse della condivisione, assume un ruo-
lo centrale, e non si può non considerare l’evoluzione dei metodi d’emissione
dei messaggi.
Com’è cambiato il modo di comunicare e di relazionarci?
Istituzioni come la famiglia, la classe e il vicinato rischiano di diventare
delle condizioni ingessate diametralmente distanti dalla realtà quotidiana.
Se pensiamo al mondo come globale possiamo ipotizzare la cancellazione
di confini più o meno espliciti. Tutto diventa condivisibile e la capacità deci-
sionale può essere decentrata. Lo spazio non è più un limite, ma diventa qual-
cosa di fluido in cui immergersi e decidere se lasciarsi andare alla corrente
oppure muoversi autonomamente.
Qualsiasi dispositivo tecnologico, dal cellulare al tablet ci permette di entrare
nel mondo della rete. La rete ha stravolto la percezione della dimensione del
pianeta dando l’impressione di poter viaggiare pur restando seduti di fronte ad
uno schermo. Anche la geografia politica ha perso il significato di un tempo,
dal momento in cui le decisioni possono essere prese in una riunione in rete.
Lo stesso concetto dello spostamento e della necessità di movimento è stato
stravolto nell’arco di due generazioni.
Stiamo tutti vivendo, in questo senso, una forte crisi d’identità.
Si ha inoltre la percezione sfalsata di poter accrescere illimitatamente il nu-
mero di contatti e scambi, infatti è stato recentemente dimostrato che il nostro
cervello è strutturato per avere un numero limitato di relazioni.
Un altro indiscutibile effetto è la convergenza verso una globalizzazione e
la standardizzazione dei contenuti, dei prodotti e dei servizi in ambito mon-
diale. L’altra illusione è che le persone possano partecipare alle dinamiche
decisionali, in realtà si lascia solo l’impressione che questo possa realmente
essere attuato, salvo i casi delle recenti rivoluzioni di massa del Nord Africa
44
che sono esplose nella rivoluzione sociale denominata primavera araba.
La diffusione di internet in aree arretrate porta delle conseguenze eclatanti in
termini di opportunità.
Molti temi però sono ancora aperti. Si parla proprio in questi giorni della pos-
sibilità che la rete cessi di essere libera e inizi ad essere controllata.
Non solo la rete, ma anche gli altri media hanno un ruolo strategico nel nuovo
scenario mondiale.
Assumono infatti, una funzione di sensibilizzazione verso una cultura del sa-
pere che in molte realtà ha già superato la cultura del prodotto.
La società del futuro farà sempre più riferimento sui nuovi metodi di comuni-
cazione per creare in positivo una diversa etica di soddisfazione dei bisogni.
La rete, internet, la tecnologia, ci stanno allontanando geograficamente e ci
stanno velocizzando, ma è pur sempre vero che la presenza fisica, è un valore
che non può essere messo in secondo piano, dà modo di scambiare opinioni,
idee, di creare.
Se le persone condividono gli spazi sono portate ad interagire tra loro abbat-
tendo l’iniziale distacco emotivo, la condivisione degli spazi ha sempre un
ruolo sociale e sempre ce lo avrà indipendentemente dalle nuove dinamiche
di socializzazione.
Per questo motivo il mio progetto acquista valore, essere fisicamente in uno
spazio non è la stessa cosa di essere nella stessa lista di nomi in un hard disk.
Le persone e le idee vivono anche negli spazi.
Il lato “buono” della rete e delle nuove tecniche di comunicazione è la pos-
sibilità di condividere e compartecipare. Dei grossi passi avanti e impensabili
scenari si stanno aprendo. A noi la decisione se farne uso o meno.
45
2.3 Cosa si intende per produzione di valore reale, la lezione degli anni dieci.
Ora fondamentale è anche dare un’idea più precisa di quello che dobbiamo
intendere come bene reale.
Come e quando si crea valore reale quindi?
Si crea valore ogni volta che si trasforma la materia per la produzione di un
bene che possa soddisfare un bisogno. Oppure ogni volta che si creano le
condizioni per attuare un servizio.
Inoltre al di là di semplicistiche conclusioni, come ribadire il concetto che una
zucchina o una mela sono un bene reale perché sono cose che si mangiano, si
deve fare chiarezza su cosa produca realmente valore.
Tornando a considerare l’indice del prodotto interno lordo, consideriamo
che anche il fatturato derivante dalle operazioni chirurgiche, o in generale
quello delle prestazioni mediche è messo dentro il paniere di riferimento
dell’indice.
Ma una società che ha un maggiore bisogno di cure mediche è una società
malata. Sarebbe auspicabile che le persone avessero progressivamente sem-
pre minor necessità di cure mediche, ma questo non produrrebbe valore, sec-
ondo l’attuale paniere. Si pone la questione quindi se sia giusto o meno creare
valore in questi termini. La risposta è negativa nella misura in cui si deve
tener conto delle esigenze dell’utente finale che come sempre è l’uomo.
Il sistema finanziario ha fallito per la seconda volta nella storia dopo il 1929
nel 2008. In entrambi i casi si era dato valore a qualcosa che in realtà non ne
aveva.
In maniera forse semplicistica, ma assolutamente reale possiamo affermare
46
che un sistema basato sull’invenzione di valore non può funzionare sul lungo
periodo.
Inoltre nel mondo ci saranno sempre aree geografiche svantaggiate da essere
adibite alla produzione dei beni. Si tenderà ad una delocalizzazione del lavoro
in aree svantaggiate o in via di sviluppo.
Questo fenomeno ha avuto inizio in Europa dalla fine degli anni ottanta ed è
tutt’ora in espansione. È questo uno dei motivi primari della mancanza
del lavoro in Europa. Facciamo produrre altrove e compriamo altrove.
Il nostro valore è quindi, quello della conoscenza.
In Europa sono necessarie ormai solo figure in grado di progettare innovazi-
one per poi andare a realizzarle altrove, in luoghi in cui il costo del lavoro è
inferiore.
Chi meglio del designer può assolvere a tale ruolo?
Il designer immagina futuri scenari, ipotizza la soddisfazione di nuovi bisogni
oppure ripensa alla soddisfazione alternativa e ottimale di bisogni antichi. Il
designer deve avere il ruolo di rendere reali i bisogni che la gente percepisce
solo a livello inconscio.
Il designer osserva altre realtà che funzionano e cerca di replicarle su territori
arretrati.
L’innovazione può essere intesa anche in questo senso: prendere modelli
produttivi che funzionano in determinate realtà e trasferirli in realtà alterna-
tive, cercando di ottimizzarne gli aspetti più deboli.
In questo senso e con queste premesse si può capire meglio cosa si intenda
per produzione di valore. Si produce valore ogni volta che si realizza qual-
cosa che possa realmente essere utile a soddisfare un bisogno, ma si riesce a
47
produrre un valore aggiunto se lo si fa mettendo in pratica i giusti processi e
ancor di più se si contestualizza ad una determinata realtà sociale.
Il designer usa la visione olistica strutturando tutte le varie parti del progetto.
Strumenti come lo storyboard o il moodboard aiutano il designer in questa
ricerca e l’approccio sistematico a questi metodi lo rende sensibile a queste
tematiche.
Riesce inoltre a creare più facilmente valore nella misura in cui lavora in-
sieme agli utenti finali, creando un incontro fra culture interne ed esterne. Il
designer accompagna il progetto nell’organizzazione. Non può esserci azione
senza strategia e non c’è strategia senza un processo interattivo tra i diversi
attori dell’organizzazione.
Il processo è finalizzato a costruire significato in modo collaborativo.
Il designer inoltre dovrebbe facilitare i processi di trasferimento del know-
how e valorizzare il sapere collettivo interno ed esterno al territorio e alle
imprese.
A livello pratico è necessario che varie figure competenti e decisionali pos-
sano finalmente ritrovarsi e decidere appunto di andare nella giusta direzione
con il comune obiettivo di tornare a produrre valore.
Tecnologia d’interazione touch. Ogni oggetto è una potenziale fonte di comunicazione e interazione.
“Non è tanto importante sviluppare il propio stile quanto l’approccio.” - Massimo Vignelli
49
2.4.1 Lo sviluppo del CoWorking e Codesign in Italia e i punti di aggre-gazione.
Il coworking e il codesign sono due ambiti sociali che si sono creati in ris-
posta a necessità di condivisione e ottimizzazione delle risorse.
Queste dinamiche sono sia il frutto della crisi del sistema economico
sia lo specchio dell’approccio di apertura.
Realtà di coworking si stanno manifestando in Italia, soprattutto al nord.
Un esempio valido è talent garden.
“Talent Garden è un ecosistema dove menti brillanti e creative, piene di entu-
siasmo e di passione, di coraggio e di fantasia, possano aiutarsi e competere
allo stesso tempo; sfidarsi e collaborare, confrontarsi e contaminarsi in modo
naturale dando consistenza ed humus imprenditoriale ad un ambiente nel
quale, dai boccioli di nuove idee, potranno fiorire e crescere nuove piantine,
nuove aziende che avranno il terreno migliore per poter crescere, svilupparsi
e diventare grandi.
Banalmente definito CoWorking, il modello di Talent Garden mira non solo
alla condivisione degli spazi di lavoro ma, attraverso una serie di eventi e
iniziative, a raccogliere tutto ciò che germoglia all’interno di un territorio per
svilupparlo tra persone che hanno interessi simili, stimolandone la collabora-
zione e creando un vero “Passion working space”.
Talent Garden è un network di campus locali aperti 24 ore al giorno che pos-
sono ospitare fino a 445 talenti in tutta Italia.
Le sedi vogliono ricreare un giardino immaginario dove, tra mobili ecocom-
patibili e scrivanie in cartone si trovano chaise-longues, mega schermi con
xbox e anche il biliardino per una partita di calcio balilla, perché l’atmosfera
lavorativa non può non avere elementi che possano stimolare la condivisione
e la creatività.
Così crediamo sia necessario fare, come già succede in altre parti del mondo.
50
Anche in Italia i talenti ci sono e sono tanti e cercano di dar vita alle loro idee
e di realizzare i loro sogni lavorando, completamente isolati, in uno scantin-
ato o nella propria casa.
É stato necessario aprire per loro uno spazio fisico, un luogo dove poter ospi-
tare persone capaci e permettergli di lavorare liberamente a ciò che
desiderano.
Un luogo che può ospitare competenze diverse ma contigue, quali il web e la
comunicazione, in cui le persone che risiedono all’interno sono selezionate
dalla stessa comunità che vive il luogo e che sceglie con chi condividere gli
spazi.
E’ fondamentale, riuscire a far connettere e collaborare questi talenti in uno
spazio comune.” (1)
Si parte da un concetto di condivisione degli spazi e delle conoscenze per
avere dei vantaggi in termini di operatività e di gestione.
Si paga una quota per potervi accedere in modo da ridurre le spese, ma per
le premesse dei capitoli precedenti è facile intuire come alle dinamiche di
condivisione degli spazi corrisponda una condivisione di altro tipo. Da una
necessità se ne fa una virtù.
Il CoDesign o design partecipato significa invece una maggiore sensibilità
del progettista a tutto ciò che può risultare sensibile all’azienda. Sempre più
difficilmente possiamo intuire dal mercato segnali inequivocabili, il designer
più di altre figure professionali può percepirne l’importanza.
In questo senso la collaborazione del designer è più importante rispetto ad
altre figure professionali. L’approccio a questa dimensione collaborativa ha
come scopo l’emersione di qualcosa che si deve ancora manifestare.
Il designer in questo contesto è una figura che annusa nuovi stimoli e situazio-
ni nella realtà e collabora con l’azienda nella ricerca e nello sviluppo di queste
tematiche. Più precisamente attraverso una relazione bilaterale tra l’azienda e
il mondo. Per figurare questo concetto potremmo visualizzare una membrana
(1) Dal sito di TalentGarden : http://www.talentgarden.it
51
che faccia da filtro e attivazione di un processo.
Altri possibili scenari vengono aperti nel momento in cui si include anche il
consumatore finale come compartecipante al processo di produzione e diffu-
sione dei prodotti o servizi.
Il designer può responsabilizzare quindi l’utente finale fino a farlo sentire
parte del processo di sviluppo aziendale.
Il CoMaking infine, può spingersi oltre andando a cercare particolari soggetti
che siano in grado di testare il prodotto.
La libertà del progetto e dei soggetti coinvolti genera la crescente partecipazi-
one necessaria in ogni atto progettuale realmente innovativo.
52
2.4.2 Il ruolo del designer nella prospettiva del fare insieme.
Il designer e il suo approccio alla progettazione è cambiato nella misura in
cui cinquanta, sessant’anni fa era sufficiente ispirarsi ad un segno per dar vita
ad un nuovo progetto. Adesso questa esperienza creativa rimane ovviamente,
ma acquista un ruolo più importante il processo di sviluppo che è caratteriz-
zato da un numero considerevole di decisioni, non solo creative ma anche
culturali, ecologiche, ergonomiche, sociali ed economiche.
Infine se si considerano questi aspetti come validi dobbiamo dare la
giusta importanza anche all’aspetto politico.
Le decisioni politiche sono spesso conseguenza di un processo di valutazi-
one.
Il designer spesso, utilizzando processi simili, è la figura professionale più
preparata a dare delle risposte in termini di amministrazione.
In che senso il designer è un mestiere nuovo?
La necessità di una figura specializzata si inizia a sentire con
l’introduzione dell’industria nella produzione di oggetti d’uso. È se voglia-
mo la necessità creata dall’evoluzione dell’artigianato artistico. Era un po’
l’intento del Bauhaus di mettere l’industria nella posizione decisionale di
definizione del rapporto ottimale tra decisioni tecniche ed estetiche.
Ci viene in aiuto Burdek che definisce il design una disciplina autonoma
perché si occupa di progettazione formale. È utile quindi dare una prospettiva
di interpretazione misurabile e quantificabile.
Dalla fine della seconda guerra mondiale, mentre gli effetti
dell’industrializzazione aprivano la strada alla globalizzazione, anche il dis-
egno industriale si è evoluto passando da un approccio emotivo alla razional-
izzazione schematica di processo delle fasi di costruzione e produzione.
53
Il metodo o processo è stato quindi materia di trasmissione orale e scritta,
qualcosa che poteva essere appreso come conoscenza e non solo limitata
all’idea della creatività.
Un designer si deve allenare a pensare in modo logico e sistematico.
Quali sono stati quindi gli sviluppi nella metodologia del design?
L’applicazione del metodo puro scientifico rischia di annebbiare il lato
dell’azione intellettuale o comunque di renderla poco individuabile.
L’agire fisico è in effetti ben documentabile, mentre quello concettuale può
rimanere più nascosto pur dando per buona la necessità dell’uso della semi-
otica, dell’ermeneutica e della fenomenologia; indirizzando verso una visione
delle scienze umane applicate al design.
Possiamo individuare gli anni sessanta come il periodo degli inizi della met-
odologia del design presso la HFG di Ulm. Questo era necessario perché
l’industria assegnava ai designer compiti di natura nuova.
Nel 1973 Horst Rittel definisce il metodo come: ricerca sistematica della pri-
ma generazione.
Veniva così individuata la seguente sequenza di processo:
Comprendi e definisci la mission.1.
Raccogli informazioni (condizioni attuali, possibilità tecniche).2.
Analizza le informazioni acquisite (le conclusioni si traggono dalle in-3.
formazioni confrontandole con la “mission”, ovvero le caratteristiche del
target).
Sviluppa soluzioni alternative (questa fase dovrebbe in ogni caso con-4.
cludersi con lo sviluppo di almeno una soluzione e la dimostrazione della
sua fattibilità).
Giudica i pro e i contro delle alternative e deciditi per una o più soluzioni 5.
(questa fase può prevedere simulazioni allo scopo di fornire un’immagine
54
della qualità delle soluzioni).
Prova e migliora. Si testano le soluzioni e si offrono al responsabile della 6.
decisione per disporre della loro realizzazione.
Se è la forma a rappresentare la soluzione del problema del design ed è il con-
testo che definisce la forma, allora la discussione comprende anche l’unità di
forma e contesto.
Con questa asserzione di Alexander si aprì il dibattito che ha acquistato at-
tualità negli anni novanta.
Fino agli anni ottanta infatti, con il termine di contesto si intendevano sempre
soltanto le richieste concrete che il designer doveva tenere in considerazione
progettando: le condizioni ergonomiche, le specifiche di costruzione, le alter-
native di produzione e così via.
I contesti sono diventati il vero e proprio tema del design.
Adesso prima deve essere formulato lo scenario sociale e descritto lo sfondo
sul quale
il prodotto può concretarsi, nell’ottica di un approccio all’utente finale.
I problemi della progettazione formale non sono più soltanto problemi di for-
ma nel momento in cui ci si interroga sull’applicazione reale in un contesto
socio economico, mettere in scena o almeno consegnare modelli interpretativi
per un progetto.
Non dovremmo chiederci come si fa una cosa, quanto piuttosto che signifi-
cato abbia e quali attuazioni pratiche ha nella realtà.
Capitolo III
Ah il designer! Ma esattamente cos’è che fai?
Bruno Munari 1907 - 1998 - Designer e Grafico italiano
“L’arte è ricerca continua, assimilazione delle esperienze passate, aggiunta di espe-rienze nuove, nella forma, nel contenuto,
nella materia, nei mezzi.” - Bruno Munari
58
3.1 Le varie fasi storiche del design.
Il design italiano ha saputo elaborare sin dal secondo dopoguerra una speci-
fica cultura critica che ha posto le basi per il successivo sviluppo a livello ac-
cademico di un approccio alla ricerca del tutto peculiare che solo oggi inizia
ad essere riconosciuto a livello internazionale.
Si può dire infatti che la ricerca di design Made in Italy ha preso progressi-
vamente le distanze sia dalla volontà di emulare le scienze nei metodi e negli
strumenti, sia dalla tentazione di rimanere nell’ambito artistico.
A partire dagli anni ’90 è divenuto invece un efficace strumento di elabora-
zione di metodi e strumenti scientifici per il design al servizio del sistema
professionale, delle imprese e delle istituzioni. È divenuto cioè il luogo da
un lato della codifica e diffusione di conoscenze e competenze contestuali,
patrimonio unico del territorio italiano, e dall’altro catalizzatore e diffusore
di conoscenze scientifiche elaborate a livello globale, nei luoghi di ricerca e
innovazione scientifica.
La crescente complessità della natura dei prodotti industriali e la maggiore
complessità dei processi deputati alla loro produzione e consumo rendono
oggi pressante la necessità di investire nella ricerca in design, supportandone
la crescita e lo sviluppo.
Ricerca in questo senso può essere intesa come sviluppo di processi
o applicazione di materiali che portano all’innovazione.
La ricerca nel campo del design mostra come possa essere strumento efficace
per produrre innovazione in molti ambiti strategici per il sistema nazionale,
ma in generale per le economie contemporanee, al di fuori dei comuni stereo-
tipi che accompagnano la visione di questa disciplina.
Questa consapevolezza deve guidare gli attori della ricerca e le istituzioni
59
che li devono sostenere a intraprendere una strada di azioni più strutturate e
soprattutto integrate a livello internazionale.
Quindici, venti anni fa, in tempi in cui, nel resto del mondo, il design sem-
brava ancora congelato nelle sue categorie classiche di design dei prodotti,
degli interni e della comunicazione grafica, il ramo italiano era stato in grado
di aprire nuovi filoni di ricerca: dal design dei materiali, al design delle inter-
facce da quello dell’interazione e dei servizi fino al design strategico.
In tempi più recenti, la ricerca Sistema Design Italia aveva messo sotto os-
servazione, e di fatto riconosciuto come design, delle attività rivolte a campi
di applicazione inusuali per il design del tempo come i prodotti alimentari, il
turismo e i sistemi territoriali.
In Italia, 20 anni fa quindi, l’incontro tra il design e le tematiche dell’ambiente
e della sostenibilità, era già stato spostato dall’angusto terreno dell’ecodesign
a quello del design strategico e dei nuovi servizi collaborativi.
Il presente invece è paradossale nella misura in cui tutti oggi invocano il
design come salvatore dell’economia italiana, ma l’idea di design che viene
proposta è uno stereotipo ormai troppo semplicistico.
Si dice che il design dovrebbe essere capace di trasformare la qualità italiana
in prodotti italiani di qualità, riconosciuti internazionalmente.
Ma quali sono le qualità italiane più importanti da valorizzare?
Cosa si deve intendere oggi parlando di prodotti italiani?
E infine, la nuova generazione di designer deve essere in grado di capire le
qualità italiane e di trasformarle in prodotti che siano coerenti con l’epoca
in cui viviamo?
I luoghi comuni sul design italiano salvatore dell’economia interna sono peri-
60
colosi. Nel momento stesso in cui esaltano il design, lo banalizzano. Ridu-
cono le qualità italiane ad una lista di marchi.
Vedono il design solo come uno strumento per competere sui mercati inter-
nazionali, e non, come è stato nella tradizione della nostra cultura del pro-
getto, come un operatore culturale orientato al miglioramento della qualità
della vita e dell’ambiente.
Così facendo, questo modo di proporre il ruolo del design non solo non
riconosce il valore italiano del passato, ma non ha neppure le possibilità di
comprenderne le potenzialità per il futuro, riducendolo a mero strumento di
spettacolarizzazione della produzione.
Un terreno questo non solo insostenibile sul piano ambientale e sociale, ma
probabilmente inefficiente anche su quello della concorrenza. Insomma il
paradosso del design italiano è che proprio quando il design viene finalmente
scoperto come possibile fattore di sviluppo, rischia di essere ucciso, schiac-
ciato da una retorica superficiale sulle qualità italiane.
Questo nasce da un malinteso sugli scopi.
Il design potrebbe aiutare l’Italia e la sua economia. Non perché diventa
l’interprete ed il propagandista di uno stile, lo stile italiano, ma come un op-
eratore che sa comprendere le qualità profonde che l’Italia può esprimere.
Pertanto, sa dare un senso all’espressione della qualità italiana.
Ma anche perché essendo aperto sul mondo e sulla contemporaneità, sa tra-
durre i temi emergenti a livello globale. Tutto ciò, però, racchiude un’attività
critica e riflessiva coordinata e capace di costruire un nuovo sapere proget-
tuale.
Richiede cioè una nuova stagione di ricerca progettuale.
Altre strade di pensiero possono aprirsi quindi se si capisce che il progetto
deve essere interpretato in maniera ampia.
61
Oltre ai già citati esempi come applicazioni nel settore del turismo o della
distribuzione dell’acqua nella rete idrica si può considerare il caso di Slow
Food.
Slow Food è una realtà tutta italiana e valorizza allo stesso tempo prodotti
comunità e territori. Inoltre tende promuovere un’idea alternativa di
qualità della vita.
Slow Food è un magnifico esempio di design italiano contemporaneo ed an-
che il risultato di un grande programma di ricerca progettuale. Un design
implicito, visto che nessuno dei protagonisti si definisce designer.
Ma anche un’attività esemplare di come oggi potrebbe essere il design e la
ricerca in design per lo sviluppo di qualità sostenibili applicate al territorio.
Il frutto e al tempo stesso il generatore, di un vasto intreccio di ricerche pr-
ogettuali che collegano il tema delle qualità dei prodotti e dei luoghi, con
quello del territorio e dei suoi modelli economici e sociali.
Credo che queste ultime osservazioni possano dare una chiave di lettura in-
teressante su ciò che la ricerca progettuale in Italia potrebbe fare e su ciò che,
per altro, in larga misura già comincia a fare: dal design del prodotto a quello
dei servizi, dal design della comunicazione a quello degli interni, fino al de-
sign strategico che è chiamato a promuovere l’identità e lo sviluppo sociale
ed economico di luoghi e comunità.
In questo modo si presentano nuovi possibili committenti: non solo imprese,
ma anche enti pubblici, associazioni e comunità.
Muoversi su questo terreno può rappresentare un grande punto di forza per la
ricerca progettuale in Italia tra valori ambientali, sociali, economici e culturali
dei luoghi.
E questo non solo per la qualità della vita in generale, ma anche per il valore
62
economico che, grazie ad essi, può essere generato.
Riconoscendo questo dato di fatto, in Italia più che altrove, la ricerca di de-
sign potrebbe avere su questi temi la sua specificità ed il suo punto di forza.
Un terreno di applicazione e di ricerca su cui ridefinire e consolidare il profilo
internazionale del design Italiano.
Un’attività che potrebbe portare un contributo originale e concreto ai grandi
temi sociali ed ambientali con cui non solo l’Italia, ma il mondo intero si
confronta.
63
3.2 Definizione del concetto di innovazione.
Credo che un’attenta analisi e una linea d’interpretazione sia doverosa anche
sul tema dell’innovazione.
Che cosa si intende per innovazione? La sua interpretazione è univoca op-
pure no?
L’innovazione può essere definita come un’attività di pensiero che elevando
il livello di conoscenza attuale perfeziona un processo migliorando il tenore
di vita dell’uomo.
Innovazione inoltre è un cambiamento che porta ad un progresso umano de-
finendo valori e risultati positivi.
Un’invenzione o un’idea creativa però, non costituisce innovazione fintanto
che non viene utilizzata per soddisfare un’esigenza concreta.
Il concetto di innovazione è spesso frainteso e interpretato in modo scorretto.
Inoltre si tende a farne un utilizzo smodato e inopportuno, spesso diventa la
bandiera da sventolare da parte di politici o amministratori che non ne padro-
neggiano il significato.
La parola innovazione potrebbe essere associata ad un progresso tecnologico
oppure ad una modifica che apporti dei vantaggi oggettivi su qualcosa di già
esistente.
Il concetto può estendersi però a qualcosa di immateriale.
Anche un’idea è innovazione. L’innovazione aziendale può avvenire a di-
versi livelli, può essere nella produzione di un nuovo prodotto, ma può anche
riguardare l’organizzazione stessa della forza lavoro, il posizionamento sul
mercato o la soddisfazione di altri bisogni.
64
L’innovazione inoltre è sempre da associare ad un aspetto culturale.
Difficilmente si può parlare di innovazione in contesti culturalmente arretrati.
Nell’epoca della globalizzazione le aree del mondo in cui si fa innovazione
tendono a decentrarsi.
Si tende a concentrare la cultura specifica in aree particolari. Di per se questo
non è un ostacolo al progresso, a patto che le conoscenze acquisite vengano
condivise.
È giusto specificare che una comunicazione innovativa non richiede neces-
sariamente mezzi innovativi. Il mezzo rimane tale. È piuttosto come viene
utilizzato il mezzo che fa la differenza. In questo senso non è necessario un
mezzo tecnologico, possiamo usare anche una penna e un foglio. Quello che
conta è il contenuto. È il messaggio che deve essere innovativo e il messaggio
si palesa tramite il mezzo.
L’innovazione quindi si misura sull’impatto che ha sulla società e sul suo tes-
suto economico.
Poco importa che un prodotto sia l’ultimo ritrovato di tecnologia se non può
essere utilizzato dalle persone o se per funzionare richiede standard applica-
tivi che l’ambiente in cui viene proposto non possiede.
Il totem può avere quindi una funzione di indagine, può essere utile per effet-
tuare dei sondaggi oppure per sensibilizzare le persone prima del lancio di un
prodotto o un servizio.
L’innovazione può essere il valore immateriale di un’idea, ma questa deve
essere poi messa in pratica perché si possa parlare di vera innovazione.
L’innovazione è un processo che richiede disciplina e metodo, fatica e rigore.
Spesso il processo è lungo e prevede di tenere in considerazione lo stato at-
tuale delle cose e le varie esperienze fallimentari precedenti.
65
L’innovazione va comunicata non solo sponsorizzando le qualità di un pro-
dotto, ma divulgando le potenzialità di un sistema industriale.
Nel caso specifico dell’Italia dovremmo essere più bravi a comunicare le
risorse di innovazione che derivano da un tessuto economico e sociale basato
sulla piccola e media impresa.
Dovremmo dare valore a qualcosa che troppo spesso è associato ad uno svan-
taggio.
Se pensiamo al mito della Caverna di Platone o pensiamo alla distanza che
le persone prendono inizialmente da un prodotto innovativo capiamo che ci
sono dei punti in comune.
Le persone hanno sempre paura di ciò che non conoscono, in questo senso la
comunicazione di qualcosa di innovativo acquista importanza.
Le persone vanno anche educate e i messaggi devono essere chiari e ben
comprensibili.
Perché la comunicazione su un tema innovativo possa essere efficace si deve
passare per un percorso attuativo temporale:
conoscenza primitiva.1.
persuasione.2.
decisione.3.
conferma.4.
L’innovazione deve essere compresa e spesso le persone hanno bisogno di
immagini o simboli primordiali che riportino l’inconscio a dei valori non im-
mediatamente associabili.
Per questo spesso sono utili simboli, oppure i colori a cui sono associate le
emozioni.
L’innovazione può essere definita conseguenza della creatività?
Si. Nella misura in cui si arriva a progettare qualcosa che prima non esist-
eva.
66
L’innovazione quindi è indissolubilmente collegata alla creatività. Si parte
sempre da qualcosa di esistente per arrivare tramite il mezzo della creatività
a soluzioni alternative oppure si arriva ad immaginare qualcosa che ancora
non c’è sfruttando la pura immaginazione. Entrambe le strade sono efficaci.
Spesso la mente umana funziona per associazioni di idee ed immagini, per-
cezioni uditive e sensoriali. Questi stimoli vengono associati per analogia o
opposizione.
Il processo della creatività che porta ad un’innovazione è talvolta inaspettato
e sorprendente.
L’idea può arrivare mentre stiamo pensando a tutt’altro o siamo immersi in
attività del tutto estranee al contesto.
La mente umana è creativa per definizione, ma ognuno sviluppa la capacità
di pensiero a modo suo.
Tuttavia un processo di massima può essere utile da tenere ad esempio o per
capire meglio in che fase ci troviamo. Uno strumento in più per il designer.
Il creative solution founding altro non è che un metodo per elaborare nuove
opportunità per il raggiungimento di un obiettivo.
Il primo passo è quello di individuare la sfida e il totem assolve chiaramente
a questa funzione. La raccolta dei suggerimenti e la successiva considerazi-
one è lo strumento giusto per aver chiaro almeno lo scopo.
Poi il designer passa alla produzione di idee che si palesano per analogia,
per matrice, per proiezione o per associazione.
L’ultimo passo è quello dell’azione che viene restituita graficamente dallo
schermo del totem.
Formulare la sfida
Produrre le idee
Pianificare l’azione
Identificare i bisogni
Analizzare lo stato delle coseIdentificare e formulare la sfida
Tecniche analogiche
Tecniche proiettiveTecniche associative
Tecniche matriciali
Classificare le idee
Selezionare le idee
Definire il progetto
Il processo del Creative Solution Founding.
68
3.3 L’evoluzione del ruolo e un approccio di connettore di competenze.
Affinché si possa parlare di design collaborativo, è necessaria una fase
di meta-progettazione che abiliti l’approccio ad un lavoro collettivo attraver-
so gli spazi, le regole e il metodo da seguire.
Da dove parte un progetto e cosa fa il designer?
Sicuramente da un senso comune, sul quale costruire il progetto. Si parte
quindi da un concetto, dalla delimitazione di questo in un perimetro di com-
petenza. Il nucleo è centrale, ma allo stesso tempo poroso, in modo che possa
quindi essere contaminato dai contributi dei singoli individui.
Al designer spetta il compito di guida.
È la figura che porta i partecipanti sulla giusta strada affinché la soluzione
possa essere partorita. Attorno al nucleo quindi potranno aggregarsi nuovi
progetti e significati.
In questo senso un totem serve da catalizzatore, qualcosa di visibile e tangi-
bile che comunica un’idea precisa. Più precisamente il nucleo dell’idea.
Il designer ha il compito però anche di incanalare le energie che altrimenti
andrebbero disperse.
Deve poter attuare una scelta, dare una direzione creativa a energie che
rischierebbero altrimenti di disperdersi.
Quando è giusto intraprendere questo genere di percorso?
Gli ambiti di applicazione del collaboration design sono molteplici; tre
dei più efficaci sono:
Quando si intende condividere una vision e disegnare insieme, intorno a 1.
questo polo di attrazione, una serie di scenari per rendere concreta l’idea.
Si voglia quindi dare importanza a nuovi nuclei di significato possibili.
Quando si ha la necessità di mettere a fattor comune un obiettivo strate-2.
gico e dare forma in modalità collaborativa agli specifici progetti che ne
69
costituiranno la parte di realizzazione per coinvolgere le persone nella
definizione degli obiettivi.
Quando si vuole portare a bordo di nuovi progetti ad alto tasso di in-3.
novazione, specie in materia di design dei servizi, il maggior numero di
persone, raccogliendone le idee e facilitandone così il metabolismo.
Scegliere l’ambito d’applicazione giusto per il collaboration design è un pun-
to cruciale; ma ancor più decisivo risulta il modo in cui attivarlo. L’approccio
efficace è uno solo: avere metodo.
Comunicare gli steps del processo nella maniera più chiara e semplice pos-
sibile, ad esempio: quali siano le fasi di un workshop collaborativo e quale sia
soprattutto l’obiettivo centrale.
Mantenere l’attenzione focalizzata sui sotto-obiettivi attraverso ritmi serrati e
un rigoroso rispetto dei tempi.
Definire con la massima precisione la natura dell’output che ne deve emerg-
ere. Stabilire esattamente i ruoli delle persone, in un’ottica di autorganizzazi-
one paritaria ma, al tempo stesso, funzionale al raggiungimento di singoli
obiettivi specifici.
C’è un ultimo ingrediente, fondamentale: l’accompagnamento del design del-
la collaborazione da parte di un team di facilitatori professionisti.
Un facilitatore capace di compiere il giusto passo indietro progettuale, infatti,
è la conditio sine qua non del buon funzionamento del processo collabora-
tivo, che potrà così contare su una visione sistemica dell’intero progetto dalla
corretta distanza. Per abbracciare la complessità in tutta la sua ampiezza, per
passare realmente dal senso all’azione.
“La serie di operazioni del metodo progettuale è fatta di valori oggettivi che
diventano strumenti operativi nelle mani dei progettisti creativi.” (2)
(2) Bruno Munari “Da cosa nasce cosa. Appunti per una metodologia progettuale” Laterza 1981
70
3.4 L’importanza del processo.
Si parla molto della definizione del ruolo del designer rispetto a quello
dell’architetto e a quello dell’ingegnere. Credo sia utile anche su questo avere
un atteggiamento di apertura piuttosto che di chiusura. Aldilà di semplicis-
tiche classificazioni e identificazioni di appartenenza ad albi professionali o
di meri aspetti legali, non possiamo non considerare che il metodo di lavoro
sia per molti aspetti simile.
Credo non esistano degli schemi universalmente validi e che nell’approcciarsi
al metodo ognuno debba seguire il suo percorso personale, ma credo anche
che fare riferimento a schemi esistenti sia un utile punto di partenza.
Come possiamo trovare una connessione tra queste figure professionali e la
creatività?
Sono tutte figure creative nella misura in cui pensano a qualcosa che ancora
non c’è.
Siamo quindi nell’ambito della creatività. Importante però è capire che cre-
atività non è sinonimo di “improvvisazione senza metodo”.
Progettare è facile quando si sa come si fa, ma prima si deve provare e ripro-
vare fino a quando non troviamo quello che fa per noi.
L’abito con le nostre misure, quello che indossiamo con disinvoltura.
Il metodo progettuale non è qualcosa di definitivo quindi, ma è qualcosa di
modificabile qualora si ipotizzino valori altri che migliorino oggettivamente
il processo. Esattamente paragonabile al concetto dell’open source.
Questo aspetto è assolutamente legato all’esperienza personale del proget-
tista, che può proporre nuovi metodi condividendo la sua esperienza con altri
professionisti.
Nella progettazione si può seguire un percorso Top-Down oppure Bottom-
Up.
Il primo parte da una visione generale per arrivare a studiare i dettagli, mentre
il secondo dallo studio dei particolari per poi connetterli e formare un sistema
71
completo.
A questo proposito è interessante citare il fisico Richard P. Feynman che af-
ferma: l’adozione di un metodo Bottom-Up avrebbe evitato l’esplosione dello
Space Shuttle Challenger nel 1986 causata da una guarnizione di gomma di
cui non si era testata la resistenza alle bassissime temperature.
Uno schema possibile:
Esigenza di mercato e sviluppo concettuale.1.
Progettazione di massima. 2.
Progettazione di dettaglio.3.
Prodotto e sue specifiche.4.
La progettazione di massima deve essere accompagnata da un’analisi dei cos-
ti, al fine di verificare che il costo dei sottoinsiemi sia adeguato.
Il progetto può essere migliorato e l’analisi dovrebbe essere effettuata consid-
erando ad esempio il rapporto costi e prestazioni.
Individuiamo le fasi distinte:
Identificazione delle esigenze. 1.
Ideazione della soluzione e sua definizione concettuale.2.
Progettazione di massima.3.
Progettazione esecutiva.4.
Realizzazione.5.
Esercizio.6.
Modifiche.7.
Obsolescenza.8.
Consideriamo proseguendo con l’analisi, tenendo fermo il concetto che non
72
esiste un procedimento esaustivo e universale, che non possiamo inoltre pre-
scindere dal singolo oggetto e dall’ambiente in cui andrà ad operare.
Teniamo presenti i momenti logici per analizzare le loro relazioni.
Nel 1990 Tim Brennan ad una presentazione del dipartimento Creative Ser-
vices di Apple spiegò così il modello: “Qualcuno ci chiama con un progetto,
noi facciamo un po’ di roba, i soldi ne conseguono.”
Partiamo quindi da questa definizione di processo provocatoriamente generi-
ca per capire cosa c’è nel mezzo.
In realtà Tim Brennan non aveva fatto altro che enunciare il modello definito
semplicemente complicato:
Input1.
Processo2.
Output3.
Semplicemente complicato con appendice invece, prevede anche un feed-
back:
Input 1.
Processo 2.
Output con feedback. 3.
Il diagramma dell’altalena: ci fa capire come è inutile pensare di progettare
qualcosa se prima non ci chiediamo cosa l’utente avrebbe voluto. Si rischia
di effettuare tutta una serie di passaggi inutili per ottenere un risultato non
condiviso.
Nel 1972 Don Koberg e Jim Bagnall espandono l’archetipo modello di pro-
gettazione two steps aggiungendo dei passaggi:
Accettazione1.
Analisi2.
73
Definizione3.
Ideazione 4.
Selezione 5.
Implemento 6.
Valutazione7.
Può essere utile anche non andare dritti al bersaglio. Il designer dovrebbe
avere un’oscillazione periodica tra analisi e sintesi. Il percorso per essere
compiuto dovrebbe andare ripetutamente in entrambe le direzioni.
Input 1.
Sintesi 2.
Analisi 3.
Output 4.
Nigel Cross nel 2000 nota che, benché nel suo complesso il percorso pro-
gettuale debba convergere verso la soluzione, ci siano in esso anche fasi di
deliberata divergenza con cui ampliare la ricerca o cercare nuove idee e punti
di partenza.
Quindi, in conclusione non esiste un metodo univoco e sportattutto le fasi non
devono essere rigide.
Il designer ha il difficile ruolo di facilitatore e allo stesso tempo regolatore del
sistema del processo che intende attuare.
Deve riconoscere le fasi e l’opportunità di tornare ad un punto temporalmente
precedente qualora vi siano i presupposti, ma deve anche saper dire di no
quando serve.
Il team di lavoro deve riconoscere e condividere questo ruolo, per cui il de-
signer deve essere bravo a comunicarlo.
1972. Don Koberg e Jim Bagnall espandono l’archetipo modello di progettazione two steps aggiungendo dei passaggi.
Accettazione
DefinizioneAnalisi
IdeazioneSelezione
ImplementoValutazione
1
23
4
5
6
7
Capitolo IV
Come e cosa comunica un designer.
77
4.1.1 L’ importanza degli indici nelle varie fasi di sviluppoprogettuale.
Credo che una panoramica sugli indici sia importante per due motivi. Il primo
è che in un ambito di progettazione la definizione di parametri di
riferimento possa dare delle indicazioni precise sulle strade da prendere.
Il secondo è che a questo punto dell’analisi, nel momento in cui diamo per
buono che il design e l’economia possono essere considerate sotto molteplici
aspetti sfere comuni, i numeri e i grafici possono restituire le informazioni
necessarie per una migliore comprensione.
Quando si parla di indici è d’obbligo una prima differenziazione tra indicatori
assoluti e indicatori relativi. I primi sono misurabili direttamente e spesso,
grazie alla tecnologia, in tempo reale. I secondi invece si estrapolano da un
rapporto tra due o più fattori. Molti fenomeni sono quantificabili in un ap-
proccio alla sostenibilità.
Un’ulteriore distinzione è tra indicatori fisici, dotati cioè di una unità di mi-
sura che individuano dei livelli ( classificabili con colori ) e indicatori multi-
dimensionali.
Quest’ultimi sono costituiti da un’aggregazione di altri indici dello stesso tipo
o di tipi diversi.
Esempio di indicatore fisico: stoccaggio mensile di rifiuti differenziati.
Esempio di indicatore multidimensionale: rapporto tra la quantità dei rifiuti e
il prodotto interno lordo di una regione. Gli indici multidimensionali hanno la
grande qualità di comunicare in modo più efficace un concetto.
Come si esprimono?
Possono essere espressi sia in percentuale sia in termini assoluti. Possono
essere individuate scale di valore. Quello che deve rimanere come punto fer-
mo è la necessità di comunicarli nella maniera più semplice e diretta.
78
Devono avere inoltre una funzione di comparazione fra sistemi o campi di
applicazione alternativi.
Può risultare utile un’ulteriore distinzione tra indici descrittivi e indici
prestazionali.
Indici descrittivi: sono piuttosto elementari e di immediata percezione.
Di solito misurano cosa sta succedendo relativamente alle varie componenti
ambientali.
Indici prestazionali: sono indicatori descrittivi associati a target, soglie di va-
lore o livelli individuabili. Questi misurano la distanza dall’obiettivo che ci
si è prefissati di raggiungere. Spesso sono i migliori da applicare in contesti
decisionali di amministrazione politica e di sviluppo sociale. Misurano quindi
quanto è efficace qualcosa in un tempo dato.
Sono gli indici che spingono all’azione ed entrano in contatto con l’utente
invogliandolo verso un’ interazione.
Anthony Friend definisce quindi il seguente modello denominato P.S.R.:
Pressioni 1.
Stato 2.
Risposte3.
Questo modello pone l’accento sulla relazione uomo ambiente.
Secondo questo modello prima le attività umane esercitano pressioni
sull’ambiente, cambiandone lo stato, poi rispondono per adattare il sistema
della biosfera.
Negli anni ‘90 l’OCSE prende il modello P.S.R. come riferimento e arriva a
ipotizzare la sostituzione del concetto di pressioni con qualcosa di più defini-
to: i punti guida.
I punti guida sono i fattori economici e ambientali che variano nel tempo.
79
I determinanti sono i fattori di sviluppo sociale ed economico significativi per
i loro risvolti ambientali.
Nella seconda metà degli anni ‘90 l’Agenzia Ambientale Europea finalmente
adottò uno schema di classificazione ancora più completo: D.P.S.I.R.
Determinanti 1.
Pressioni 2.
Stato 3.
Impatti4.
Risposte ambientali 5.
Lo schema D.P.S.I.R. è oggi uno schema molto noto, utilizzato per classifi-
care gli indicatori.
Gli indicatori determinanti descrivono le attività socio-economiche
che causano le pressioni ambientali.
Esempio di indicatori determinanti: numero di abitanti di un bacino territori-
ale.
Gli indicatori di pressione descrivono le azioni dell’uomo che direttamente
causano modifiche sullo stato delle componenti ambientali (cioè direttamente
impattanti per l’ambiente), come i prelievi di risorse naturali.
Esempio di indicatore di pressione: portata dei prelievi di acqua.
Il rapporto tra un indicatore di pressione con un indicatore determinante, tra
di loro correlati, fornisce un indice d’efficienza ambientale.
Ad esempio: il rapporto tra gli scarichi di reflui e gli abitanti presenti indica se
gli insediamenti hanno un’efficienza depurativa più o meno alta.
Gli indicatori di stato descrivono le condizioni di qualità delle varie compo-
nenti ambientali.
Esempio di indicatore di stato: la portata di un fiume.
80
Gli indicatori d’impatto descrivono le modifiche di stato per effetto delle
pressioni antropiche.
Esempio di indicatori d’impatto: la riduzione di portata fluviale a valle di un
prelievo.
Si rileva in particolare che gli indicatori d’impatto dovrebbero essere l’obiettivo
conoscitivo fondamentale di ogni studio sul territorio e sull’ambiente.
Il rapporto tra un indicatore d’impatto ed un indicatore di pressione,
tra di loro correlati, fornisce un indice di sensibilità ambientale della
componente interessata. Ad esempio: in un fiume il rapporto tra i nitrati pre-
senti e quelli scaricati indica una sensibilità ambientale più o meno elevata.
Gli indicatori di risposta descrivono le azioni umane intraprese per risolvere
un problema ambientale.
Esempio di indicatore di risposta: la depurazione degli inquinanti o la
riduzione dei consumi di risorse naturali.
L’OCSE ha individuato nel tempo diversi requisiti per la scelta di un indica-
tore.
Sono generalmente utili strumenti quali la rilevanza, la consistenza analitica,
la misurabilità.
Si è capito che altra condizione indispensabile è che l’indice deve essere
adatto a rappresentare qualitativamente una realtà.
Deve essere inoltre efficace nel senso che deve essere in grado di rappresen-
tare correttamente il fenomeno d’interesse e poi anche efficiente nel senso che
deve poter rispondere in tempo reale alle variazioni numeriche.
Quest’ultimo fattore dipende pesantemente dall’azione umana, dalle banche
dati con rilevamenti precedenti dello stesso fenomeno e dai costi delle strut-
ture di raccolta dati.
In questo ambito l’interazione proposta da un totem potrebbe diminuire
81
i costi di raccolta dati.
Un sistema di indici deve essere multidimensionale esaltandone l’armonia ed
evidenziandone i collegamenti.
Nella scelta va compiuto anche uno sforzo di sintesi, evitando la produzione
di liste con un numero eccessivo di indicatori, ma cercando di costruire in-
dicatori aggregati così da raggruppare il maggior numero di temi e dimen-
sioni.
Gli indici devono avere una funzione di sintesi. Ricordiamoci lo scenario di
società liquida e la velocità di comunicazione. Pensiamo a quanto è impor-
tante fissare dei punti grazie ad una corretta comunicazione.
Gli indicatori non hanno la stessa importanza a prescindere dal contesto so-
ciale ed economico. Da qui la necessità di una figura in grado di selezionarli.
Il designer in quanto progettista ha una visione ampia dei problemi e delle
possibili soluzioni.
Non dovrebbe essere questa figura professionale a scegliere gli indici di
riferimento? Se non il designer, chi?
Ad ogni sistema corrispondono degli indicatori chiave, capaci di riassumere
al meglio le condizioni del sistema.
Quindi riassumendo il designer fa suo un metodo di processo e stabilisce il
nucleo di interesse. Poi coinvolge gli attori del progetto e infine utilizza lo
strumento degli indicatori per restituire graficamente agli attori e agli utenti
finali i risultati.
Fondamentale è che la scelta degli indicatori sia il più possibile condivisa e
questo si può attuare in un contesto pubblico con delle indagini statistiche e in
un contesto privato più direttamente con i partecipanti preselezionati.
82
Inoltre la definizione del progetto finale deve essere il più possibile parteci-
pata.
La valutazione d’impatto ambientale quindi può essere presa in considerazi-
one per qualsiasi prodotto e servizio.
Questo criterio dovrebbe essere un asse portante di tutte valutazioni ambien-
tali: gli obiettivi ambientali associati ad un’ipotesi di sviluppo, organizzati
secondo una gerarchia d’importanza relativa, devono poter essere verificati;
quindi devono essere resi misurabili e controllabili attraverso la selezione di
una corrispondente gerarchia d’indicatori prestazionali.
A livello politico l’Agenda 21 Locale è uno strumento adottato da oltre 400
comuni italiani e si propone proprio grazie alla restituzione dei dati ai cit-
tadini di sensibilizzarne le opinioni e di preparare il terreno per le future ap-
plicazioni.
In generale il campo di applicazione degli indicatori di sostenibilità riguarda
il monitoraggio dei sistemi ambientali e le azioni relative alle politiche di
sviluppo.
Il monitoraggio di un sistema ambientale può essere esteso a livello locale,
ma anche nazionale e internazionale.
L’attenzione viene concentrata sui parametri che riguardano l’atmosfera,
l’acqua, il suolo, ma anche i settori economici e le variazioni di popolazione,
tendendo a una riduzione del consumo energetico e del degrado ambientale
anche mediante la sostituzione delle risorse non rinnovabili con le risorse
rinnovabili e alla difesa della biodiversità.
L’applicazione degli indici di sostenibilità agisce quindi, direttamente sugli
utenti finali. Sia che questi siano considerati come possibili compratori del
servizio o prodotto sia che questi siano chiamati a votare.
83
Hanno quindi una doppia valenza pubblica e privata. Sono potenzialmente
applicabili ovunque e sono un’espressione di maggiore consapevolezza ed
evoluzione sociale. Possono avere inoltre un forte impatto di sensibilizzazi-
one verso tematiche collettive come la qualità degli ambienti condivisi.
La valorizzazione dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, che por-
terebbe, in caso di successo, maggiori vantaggi in termini di introiti econo-
mici e attività turistiche.
Quest’ultimo ambito sta acquistando una sempre maggiore importanza negli
ultimi anni considerando il fatto che una buona valorizzazione dell’ambiente
porta vantaggi all’ambiente stesso, alla popolazione residente, il cui interesse
su questo argomento è in costante crescita, e ai rappresentanti governativi,
locali e non, che possono accrescere la propria popolarità e contemporanea-
mente introitare proventi economici per i governi che rappresentano.
La catena di montaggio - Computer Graphics 60 X 100 X 1 cm - 2012
85
4.1.2 Ipotesi di un nuovo indice applicativo. I.S.A. Indice di sostenibilità
armonica.
L’idea nasce dalla presa di coscienza dell’importanza degli indici come stru-
mento di comunicazione per il designer.
Di recente sono stati introdotti indici in varie tipologie di prodotto. Quelli
con cui abbiamo più a che fare sono quelli degli elettrodomestici e delle lam-
padine. La classificazione di valore secondo lettere, altro non è che una quan-
tificazione dell’energia consumata dagli oggetti.
L’indice ha la doppia funzione di sensibilizzare l’utente verso un acquisto
ponderato ed una valorizzazione dei prodotti classificati come migliori.
Perchè l’indice sia stato adottato per le lampadine e non per altri oggetti è
d’immediata comprensione.
Ma possiamo pensare di estendere l’identificazione di qualsiasi oggetto non
alimentare secondo una scala di valori che tenga in considerazione l’energia
necessaria per la sua produzione?
Si. Potrebbe chiamarsi I.S.A. ovvero indice di sostenibilità armonica.
I.S.A. nasce dall’idea di una comunicazione trasparente del valore di sos-
tenibilità ed è un’ipotesi di indicatore che è aperto a nuove dinamiche e stru-
menti di misurazione.
Ipotizzando una tabella di riferimento per ogni materiale questo potrebbe es-
sere messo in rapporto diretto con la quantità e la tipologia di energia con-
sumata per la produzione di ua unità di prodotto.
Si capisce quindi che I.S.A. è un indicatore multidimensionale, che sensibi-
lizza il consumatore al momento dell’acquisto e le imprese in fase di produzi-
one.
È chiaro inoltre che essendo uno strumento trasparente non ammetta false
promesse.
86
Una complicazione per le aziende forse, ed un costo aggiuntivo perchè dovreb-
bero essere predisposti organi atti a vigilare sul suo corretto utilizzo, ma senza
dubbio un segno di civiltà e di progresso sociale.
L’indice è inoltre messo inoltre in relazione con una scala di valori che fa
riferimento alla piramide di Maslow. Ovviamente più i bisogni che il prodotto
soddisfa non sono primari, più l’indice ne è influenzato negativamente.
Non sto proponendo niente di definitivo quindi, ma sto piuttosto facendo una
proposta d’intenti.
Come tutti gli indici anche I.S.A. dovrebbe essere aperto a possibili variazi-
oni qualora se ne ravveda l’esigenza con l’introduzione di altri strumenti di
misurazione.
I.S.A. = Energia cosumata X Tipologia di energia X Tipologia di bisogno
soddisfatto.
87
4.2 Introduzione all’Experience Design.
L’ Experience Design è un campo di studio e ricerca emergente, fortemente
connesso al design, al marketing ed agli aspetti di ergonomia ed usabilità di
un prodotto.
È inoltre una disciplina che progetta ambienti e scenari immersivi, in cui
l’utente, staccandosi dalla dimensione della quotidianità, vive e percepisce
un’esperienza non riproducibile uguale a se stessa.
Da Disneyland ai siti internet di un certo livello sono tutti luoghi esperien-
ziali.
A chi è rivolta l’esperienza?
L’effetto esperienziale è rivolto a chiunque spontaneamente decida di im-
mergersi con i sensi. Alcuni luoghi prevedono un costo d’entrata, altri sono
gratuiti, alcuni sono pensati per un utente generico, altri per un utente speci-
fico. L’evoluzione e l’applicazione di questo concetto da parte delle aziende
prevede che vengano applicati in questi luoghi principi ergonomici e di moni-
toraggio.
Spesso l’Experience Design è accostato a luoghi di intrattenimento, ma questi
stessi luoghi possono essere il punto di partenza verso altre espressioni dei
valori delle aziende. Ad esempio se la Ferrero decide di investire in un gioco-
esperienza da inserire in un parco giochi come Gardaland può in qualche
modo prolungare l’esperienza che l’utente già vive con i mass media ripro-
ponendone un’esperienza sensoriale.
Può essere utile anche una riflessione sul tempo. La nostra società dà un valore
al tempo, ma spesso lo dà in un modo sbagliato: attribuendogli cioè esclusiva-
mente un valore economico. Nella società occidentale tendiamo a rimandare
esperienze che vorremo fare subito, per motivi di priorità.
Nel momento in cui capiamo che possiamo avere un po’ di tempo per noi pen-
88
siamo di volerlo vivere intensamente e che possibilmente possa diventare un
piacevole ricordo. Associamo spesso un ricordo ad un’esperienza se questa è
radicalmente diversa dalla quotidianità.
Molti spazi adibiti ad intrattenimento all’interno delle città vengono vissuti
come luoghi esperienziali.
Che cos’è l’esperienza?
Il termine esperienza indica la componente sensibile della nostra conoscenza,
attraverso l’esperienza noi siamo in grado di intuire direttamente certe emozi-
oni. Anche nei metodi scientifici l’esperienza è considerata un’osservazione
sensibile guidata dalla ragione che consente la ripetibilità.
Si può in un certo senso contrapporre l’esperienza alla razionalità anche se
nell’utilizzo della ragione c’è un approccio esperienziale. Forse una più giusta
definizione è l’unione tra memoria e sensibilità.
L’esperienza è inoltre un evento soggettivo, percepito esclusivamente dalla
persona che la vive. È inoltre caratterizzata dall’essere effimera.
Le esperienze già vissute e percepite diventano memorie.
Le esperienze non vissute e non percepite vengono invece chiamate sogni. Il
momento è legato in maniera inestricabile alle memorie passate.
La mente tende a interpretare ciò che accade facendo riferimento alle nostre
esperienze passate.
Il momento è spesso unito ai sogni della nostra immaginazione. Interpretiamo
quello che ci accade intorno, anticipando le nostre speranze e paure per il
futuro.
Il primo passo nel processo di apprendimento del design esperienziale è ac-
quisire una nuova consapevolezza rispetto alle persone che comprano ed uti-
lizzano i prodotti ed i servizi.
Consapevolezza che diventa rispetto delle opinioni e rispetto della loro innata
creatività.
89
La nuova consapevolezza deriva da un campo conosciuto come design parte-
cipativo. La disponibilità alla partecipazione si basa sul principio che coloro
che sono coinvolti nell’uso e nella produzione di un prodotto dovrebbero es-
sere coinvolti direttamente nella progettazione.
Ogni aspetto dell’esperienza rivela una diversa storia.
Ascoltare cosa dicono le persone ci permette di sapere ciò che sono in grado
di esprimere a parole. Ma osservare quello che le persone fanno e quello che
utilizzano ci fornisce informazioni osservabili.
Scoprire quello che le persone conoscono aiuta a comunicare con loro.
Comprendere quello che percepiscono ci offre la possibilità di dare loro en-
fasi. Questa modalità di conoscenza offre la conoscenza tacita, che è quella
conoscenza che non può essere facilmente espressa a parole. Evocare i sogni
delle persone ci mostra come il loro futuro potrà cambiare in meglio. Ci può
rivelare i bisogni latenti, quelli non riconoscibili in un tempo presente.
Quando la gente comune viene accompagnata in un processo di scoperta
guidata e viene messa in contatto con i loro sentimenti e con i loro sogni si
stabiliscono le condizioni per il pensiero creativo e l’espressione.
Queste differenti modalità d’accesso all’esperienza delle persone è mutata
nel corso del tempo. I metodi tradizionali di ricerca nel campo del design si
basavano principalmente sull’osservazione delle persone. I tradizionali me-
todi per fare ricerche di mercato, d’altra parte, erano focalizzati molto più su
quello che le persone dicono e pensano.
I nuovi strumenti si basano su quello che le persone fanno, quello che ri-
escono a creare pertendo dagli input che vengono loro forniti per esprimere i
loro pensieri, i loro sentimenti, i loro sogni e le nuove idee.
90
Quando tutte le prospettive vengono esplorate simultaneamente, è possibile
capire il campo dell’esperienza delle persone comuni.
Quando vengono accompagnati attraverso la scoperta guidata e vengono dati
loro strumenti partecipativi, siamo nell’ambito in cui possono esprimere le
loro idee creative.
“Le nostre esperienze presenti acquistano valore quando possiamo dis-
tinguerle in tracce di persone, luoghi e sensazioni che hanno lasciato
un segno dentro di noi e ci spingono ad essere gli individui che siamo.”
Wendlinger, 1995
Intelligenze a confronto - Daniela Biganzoli - Olio Su Tela 40 X 50 - 2009
“La natura può permettersi di essere prodiga in tutto, l’artista deve essereeconomo fino all’estremo” Paul Klee
92
4.3 Panoramica sull’ Interaction Design.
L’Interaction Design ha a che fare con la tecnologia. Pur non potendo esclu-
dere altre forme possibili di interazione la tecnologia permette di operare in
ambiti specifici in tempi necessari, per attuare il processo, molto ridotti ris-
petto ad altri metodi tradizionali.
Questo perché se si vuole parlare di design dell’interazione è necessario che il
sistema di comunicazione riconosca chi sta dando o ricevendo l’input
tramite un codice d’identificazione.
Si può parlare di interazione anche se l’utente non si fa riconoscere, ma questa
avrà un valore inferiore. Questo tipo di interazione è infatti limitativa in una
seconda fase di raccolta dati e classificazione.
Ogni giorno, in ogni istante, milioni di persone inviano e-mail, parlano al
telefono cellulare, comunicano con sistemi di messaggeria istantanea, regis-
trano trasmissioni televisive, ascoltano musica con i lettori mp3.
Tutto ciò è reso possibile da una buona ingegnerizzazione dei prodotti, ma è
l’Interaction Design che li rende usabili, utili e divertenti.
Il design dell’interazione è passato da una piccola disciplina specialistica a
una pratica attuata da decine di migliaia di persone in tutto il mondo, molte
delle quali non si autodefiniscono interaction designer né, talvolta, sono con-
sapevoli che la disciplina esista.
Ora è possibile trovare professionisti di Interaction Design non solo in tutte le
più grandi aziende di software e di design , ma anche nelle imprese costrut-
trici di elettrodomestici.
Questo è un chiaro segno che può essere applicato alla sola condizione che
l’azienda ne riconosca un valore trasferibile.
La nascita della rete Internet commerciale nella metà degli anni ’90 e la sem-
93
pre più diffusa inclusione di microprocessori in macchine quali automobili,
lavatrici e telefoni, ha portato all’esplosiva crescita del numero di interaction
designer perché improvvisamente una moltitudine di gravi problemi di inter-
azione aveva bisogno di essere risolta.
Furono i primi professionisti dell’Interaction Design che ci aiutarono a dare
un senso al nuovo mondo digitalizzato.
Molto interaction design è invisibile, funziona dietro le quinte; ma perché
Windows e Mac, ci danno sensazioni diverse?
Perché l’Interaction Design riguarda il comportamento, e il comportamento è
molto più difficile da osservare e capire rispetto all’apparenza.
È molto più facile accorgersi e discutere di un colore vistoso che di una funzi-
one accessoria che può essere scoperta solo in un secondo momento.
L’Interaction Design, nella sua accezione generica, è l’arte di facilitare le
interazioni fra esseri umani attraverso i prodotti e i servizi.
Riguarda anche le interazioni tra esseri umani e quei prodotti che hanno qual-
che tipo di consapevolezza, cioè prodotti con un microprocessore che sono
capaci di percepire e rispondere agli stimoli.
L’Interaction Design è un’arte applicata, come l’arte dell’arredamento; non è
una scienza. È per sua natura contestuale: risolve problemi in un particolare
insieme di circostanze. Come nel Design del prodotto, l’Interaction Design si
può costruire con molti metodi, modi di lavorare diversi passano e ritornano
di moda e spesso competono per diventare dominanti. Attualmente è in voga
una metodologia di design realmente centrata sull’utente in cui si fa ricerca e
si provano i prodotti con gli utenti, ma non è sempre stato così e recentemente
questi metodi sono stati anche contestati. Microsoft esegue test e ricerche
sugli utenti; Apple, nota per il suo interaction design innovativo, non ne fa.
94
Quando nasce l’Interaction Design?
L’ Interaction Design ha probabilmente avuto inizio, sebbene non formaliz-
zato come disciplina, quando gli Indiani d’America e altre popolazioni tribali
usavano segnali di fumo per comunicazioni a lunga distanza, e i Celti e gli In-
uit usavano tumoli di pietra chiamati cairn, letteralmente tradotto con memo-
riali, oppure inukshuk come punti di riferimento, per comunicare nel tempo.
Molti secoli più tardi, nella metà degli anni trenta, Samuel Morse creò un
sistema per trasformare semplici impulsi elettromagnetici in un linguaggio
codificato e comunicare parole su lunghe distanze; nei cinquant’anni succes-
sivi, il codice Morse e il telegrafo si diffusero ovunque.
Morse non inventò solo il telegrafo, ma anche l’intero sistema per usarlo: dai
sistemi elettrici ai meccanismi per battere il codice, all’addestramento degli
operatori del telegrafo.
Fu quindi il primo esempio di una tecnologia di comunicazione.
L’era delle reti di calcolatori e dell’Interaction Design come disciplina
formale ebbe effettivamente inizio durante gli anni ’90.
Il World Wide Web, che permette a chiunque di pubblicare facilmente docu-
menti ipertestuali accessibili in tutto il mondo a chiunque abbia un modem,
e l’adozione di massa dell’e-mail portarono in primo piano la necessità di un
migliore Interaction Design.
In seguito, sensori e microprocessori vennero inseriti in oggetti che non veni-
vano considerati computer, come le automobili, che potevano monitorare i
loro stessi motori e mettere in allerta i guidatori sui problemi prima che si
presentassero; le lavastoviglie potevano allungare il ciclo di lavaggio in base
a quanto i piatti erano sporchi.
95
Altri ritrovati tecnologici facilitarono l’interazione fra persone, principal-
mente nel mondo dell’intrattenimento, come il Karaoke, che si diffuse dai bar
della Cina e del Giappone fino agli Stati Uniti.
I videogiochi da sala permisero di esprimersi di fronte alla folla. I giochi
multiplayer su computer e console, come la Play Station di Sony, facilitarono
nuove forme di competizione e collaborazione.
Con il maturare di internet, iniziava una fase di interazione a distanza con
tutta la gamma di giochi multiplayer.
Dalla fine degli anni novanta, Internet è usato meno per leggere contenuti
più per interagire: scambiare azioni in borsa, fare nuove conoscenze, vendere
oggetti, manipolare dati in diretta, condividere foto, stabilire connessioni per-
sonali tra parti di contenuti.
Fasi di un processo di Interaction Design
Un processo d’Interaction Design implica quattro attività:
Identificazione dei bisogni e definizione dei requisiti.1.
Lo sviluppo di una serie di proposte alternative in grado di soddisfare i 2.
requisiti individuali.
La costruzione di prototipi interattivi delle varie proposte.3.
La valutazione interattiva dei risultati del processo mano a mano che il 4.
lavoro va avanti.
Queste attività si influenzano vicendevolmente e vengono ripetute durante lo
svolgimento del processo.
Per esempio, la misurazione dell’usabilità delle proposte, in termini di facilità
d’uso permette di monitorare l’effettiva applicazione dell’idea originale.
1 - Scultura Inukshuk - Nativi Americani Inuit2 - Scultura Cairn - Totem Celtico
1
2
97
4.4 L’ emozione come conseguenza dell’ interazione.
Il cervello è la parte del corpo umano più sconosciuta.
La scienza però ci può aiutare a studiarne i funzionamenti, seppur parziali.
I neuroni si attivano nel momento in cui ricevono degli stimoli emotivi. Il
designer creando forme, crea emozioni.
Quindi possiamo certamente affermare che il designer ogni volta che si ap-
proccia ad un progetto non può esimersi dal considerare questo aspetto.
Si può ipotizzare quindi che la neuroscienza sia connessa con il design?
Certamente si.
Nel momento in cui si possono studiare le reazioni del cervello alle emozioni
allora possiamo pensare di progettare qualcosa che le provochi.
La disciplina scientifica che si occupa dello studio del cervello è la neurosci-
enza.
La neuroscienza è a sua volta scomponibile in altre discipline specifiche.
Il sistema nervoso può essere studiato infatti a vari livelli, da quello biochimi-
co a quello genetico per finire con l’approccio psicologico scientifico.
La neuroscienza ha tra gli altri lo scopo di capire il funzionamento del cervel-
lo nel momento in cui risponde a stimoli esterni.
Grazie al contributo della neuro-fisiatra Semir Zeki si è aperto anche lo
scenario della neuro-estetica che ha il nobile compito di capire il funziona-
mento cerebrale nel momento del godimento artistico.
Grazie a questi nuovi approcci possiamo pensare al design come una disci-
plina che studia l’ideazione, la progettazione e la realizzazione di artefatti che
perseguendo scopi specifici, provocano sensazioni con un significato etico e
non solo, suscitando emozioni e comunicazione di pensiero tra il progettista
98
e l’utente.
Quando il designer progetta un servizio deve pensare a questo aspetto?
Certamente si. Per due motivi.
Il primo è che i servizi vengono comunque espletati in un ambiente, reale o
virtuale che sia. Quindi il designer penserà all’ambiente o alla presentazione
del servizio.
Il secondo è che un servizio prevede comunque un contatto con l’utente fi-
nale. Questo contatto è un’esperienza che suscita emozioni.
Le emozioni sono generate in una parte del cervello chiamata amigdala.
Questa può deviare o meno lo stimolo esterno verso la parte razionale o quella
emotiva. (3)
Se il cervello elabora la necessità di agire in fretta allora lo stimolo sarà in-
viato alla parte corrispondente le emozioni.
La parte di cervello adibita a questa funzione di elaborazione emotiva è detto
sistema limbico. Questo sistema ha sia la funzione di reagire a stimoli di so-
pravvivenza, sia di elaborare le emozioni.
L’ipotalamo invece è la parte più complessa dell’intero sistema nervoso.
È in questa regione del cervello che si regolano fame, sete, ormoni ed equi-
libri chimici.
Quindi queste varie parti: la neuro-corteccia, l’amigdala e i lobi prefrontali
interagendo vicendevolmente formano quella che può essere chiamata la nos-
tra mente che non è strutturata come un computer.
Ci sono molti modi diversi per portare all’interno del processo di progetto
gli utenti: per esempio attraverso l’osservazione partecipata della loro attività,
la conduzione di test per valutare le loro prestazioni nel risolvere determinati
(3) “Quelle che spesso razionalmente ci sembrano essere nostre scelte sono in realtà regolate da meccanismi inconsci.” - Antonio Rosa Damàsio
99
compiti, l’uso di questionari, oppure attraverso un coinvolgimento attivo.
Una delle principali ragioni per perseguire un’approfondita conoscenza
degli utenti sta nel fatto che utenti diversi hanno bisogni diversi e il design
deve essere in grado di rispondere di conseguenza.
Per esempio i bambini hanno aspettative sull’apprendimento e il gioco,
diverse da quelle che possono avere degli adulti. Possono trovare quiz interat-
tivi e fumetti molto divertenti, capaci di motivarli, mentre la maggior parte
degli adulti li ritiene noiosi.
Proprio come i giochi i vestiti ad esempio sono disegnati in maniera diversa
per bambini, adolescenti o adulti.
Di nuovo l’utente ha un’importanza primaria.
Gli utenti finali sono il punto di partenza per capire chi consultare per indi-
viduare i requisiti e i bisogni da soddisfare.
Identificare gli utenti può sembrare un’attività diretta e immediata, ma esis-
tono diverse interpretazioni di utente.
Sono utenti quelle persone che interagiscono direttamente con un pro-1.
dotto per raggiungere un obiettivo.
Sono utenti quelli che ricevono i prodotti dal sistema, quelli che li testano, 2.
quelli che prendono le decisioni d’acquisto e quelli che usano prodotti
concorrenti.
Ci sono inoltre tre categorie di utenti: primari, secondari e terziari:
Gli utenti primari sono quelli che usano direttamente il sistema.•
Gli utenti secondari sono quelli che ne fanno un uso saltuario o mediato•
da altre persone.
Gli utenti terziari sono quelli che risentono, in qualche modo, •
100
dell’introduzione del nuovo sistema o quelli che influenzano la decisione
circa la sua acquisizione.
Possiamo a questo punto affermare che è necessario trovare un equilibrio tra
ragione ed emozione per far vivere in armonia i progetti.
Il designer deve esserne consapevole, indipendentemente dalla volontà di sp-
ingersi nell’una o nell’altra direzione.
È attraverso l’esperienza che il cervello vive emotivamente i suoni, le voci,
gli odori e i colori. Questo è infatti il motivo per cui tendiamo a ricordare
eventi dell’infanzia come irripetibili. Difficile se non impossibile ricreare il
mix di input sensoriali che si è provato proprio quella volta.
Sono proprio le esperienze emotive dei nostri sensi che ci fanno associare im-
magini o suoni a emozioni quali la paura, il piacere, il disorientamento.
Recentemente si è capito che la nostra mente ragiona in modo istintivo,
l’approccio è quindi diametralmente opposto a quello del computer.
La mente non aspetta di avere tutte le informazioni necessarie per agire, ri-
esce a farlo anche con un’informazione parziale. Spesso infatti agiamo ricon-
siderando precedenti esperienze e prendiamo decisioni in base al feedback
positivo o negativo che ne consegue.
Le emozioni sono definite come risposte fisiologiche che mirano ad ottimiz-
zare le azioni intraprese dall’organismo nel mondo che lo circonda, e consis-
tono in un insieme di risposte chimiche e neurali che formano uno schema.
È chiaro quindi che siamo in un ambito di soggettività ed è utile sapere che
esistono due livelli di emozione: conscio e inconscio.
Dal punto di vista fisiologico, un’emozione nasce prima che l’individuo
ne sia cosciente, ma nel momento in cui si fa strada nella consapevolezza,
101
è già stata registrata come tale nella corteccia prefrontale. (4)
Nell’ambito delle emozioni niente è controllabile, la volontà diventa uno stru-
mento inefficacie.
Inoltre l’emozione è di per se effimera. Possiamo si provare a inquadrare in
uno schema le emozioni, ma capiamo bene come molte siano al limite della
definizione e talvolta il risultato di una combinazione di emozioni plurime.
Possiamo immaginarci una tavolozza di colori principali alle quali associamo
una determinata emozione, la loro combinazione produrrà altri colori.
Aggiungiamo anche le variabili della trasparenza, della saturazione e della
luminosità e poi arriviamo inevitabilmente alla definizione di unicità delle
emozioni.
Tuttavia conoscere quelle più importanti può aiutare il designer in fase di
progettazione.
Altro aspetto importante è che gli esseri umani comunicano anche attraverso i
gesti e la restituzione gestuale di ciò che provano influenza gli altri spesso
portandoli a ripeterne i movimenti e gli intenti comunicativi.
Questo può essere interessante nella dinamica dello sviluppo del progetto di
tesi.
Se l’oggetto è infatti delimitato da segni grafici sulla pavimentazione, gli
utenti a cui il totem si rivolge, sono vicendevolmente condizionati a sentirsi
parte di una situazione comune.
Così come se si condividono gli stessi spazi siamo portati ad avere una mag-
giore interazione, anche se siamo accomunati da un oggetto che prendiamo
come simbolico allora pensiamo di essere più disponibili alla condivisione.
In una parola l’essere umano è empatico.
A questo aspetto dobbiamo addirittura dare un’importanza maggiore, noi sia-
mo prima connessi agli altri e poi agli oggetti.
In un’ipotetica situazione in cui il totem è inserito in un contesto di spazio
(4) Il nostro rapporto col mondo, prima ancora di essere un rapporto con le cose, è un rap-porto con l’altro. E’ un rapporto prioritario che la tradizione culturale occidentale ha celato nel tempo dando un sempre maggiore rilievo all’ego. - Emmanuel Lévinas.
102
definito, saremo maggiormente spinti ad interagirvi se un nostro simile ci
interagisce prima di noi.
Si tratta del meccanismo chiamato “Specchio”.
I neuroni che si attivano quando noi guardiamo un nostro simile sono gli
stessi siti nella stessa area cerebrale che si attiverebbe nel caso in cui fossimo
noi a compiere quella stessa azione.
L’apprendimento passa quindi anche attraverso l’imitazione delle azioni al-
trui, perché il nostro cervello entra in risonanza con quello della persona che
stiamo osservando.
Si tratta di un meccanismo cerebrale di importanza straordinaria, perché
permette una sorta di comunicazione non linguistica fra i cervelli. Si può
con ragione supporre che i neuroni specchio siano fondamentali nella genesi
dell’empatia, del comportamento sociale e dell’acquisizione del linguaggio.
Si è recentemente scoperto che c’è un sistema specchio anche per le emozi-
oni: se si prende in esame la sensazione di disgusto, sia facendo inalare odori
sgradevoli sia mostrando i volti di persone disgustate, in entrambi i casi ven-
gono provocate sensazioni spiacevoli, che addirittura portano a dare di stom-
aco.
“Per gran parte del ventesimo secolo le emozioni sono state escluse, così
come le relazioni tra gli aspetti formali di un’immagine e le risposte emo-
tive.” (5)
Singer, nel 2004, ha dimostrato che un soggetto che osserva attraverso uno
specchio un’altra persona soffrire per uno stimolo doloroso presenta, se è in
relazione affettiva con lui, l’attivazione delle stesse strutture affettive del do-
lore di colui che soffre realmente.
Il sistema specchio consente, in sostanza, una comunicazione extraverbale
inconscia, cioè emozionale, un’ identificazione proiettiva.
(5) D. Freedberg, Immagini della Mente. Neuroscienze, arte, filosofia, Raffaello Cortina editore 2007.
103
Il sistema specchio si applica non solo al mondo delle azioni, ma anche e più
in generale all’esperienza delle emozioni e delle sensazioni vissute da altri.
Non siamo alienati dal significato delle azioni, emozioni o sensazioni esperite
dagli altri non solo perché le condividiamo, ma anche perché abbiamo in co-
mune i meccanismi nervosi che le sottendono.
Grazie alla consonanza intenzionale, l’altro che ci sta di fronte è molto più
che un altro individuo: l’altro è un’altra persona come noi.
Il sistema dei neuroni specchio rappresenta il correlato nervoso di questa ar-
monia intenzionale.
Merleau-Ponty sosteneva che l’essere umano scopre se stesso nella propria
soggettività soltanto attraverso la relazione con l’altro.
In conclusione la capacità di monitorare istante per istante i sentimenti è fon-
damentale per la comprensione psicologica di sé stessi, mentre l’incapacità di
farlo ci lascia allo sbando, senza punti di riferimento.
L’obiettivo di un designer deve essere quello di fare in modo che le emozioni
siano appropriate, cioè proporzionate alle circostanze.
Interagire con le emozioni presuppone in primo luogo un contatto reale e
sensoriale con esse.
Questo indica che vengono usati tutti i canali percettivi: visivo, uditivo, cin-
estesico, gustativo, olfattivo. E’ molto importante questo contatto sensoriale
basato sulle emozioni e i nostri vissuti interiori, sentire come si manifestano
e quale parte del corpo risponde.
La contemporaneità si nutre di stimoli eterogenei che generano forme mul-
tiple di produzione creativa e che rendono l’interpretazione particolarmente
importante anche se complessa.
Nel corso della storia occidentale, filosofi e scienziati hanno sviluppato sem-
pre nuove teorie riguardanti la definizione, per l’essere umano, del pensiero
razionale e dell’emotività.
104
Gli antichi greci erano dell’avviso che emozione e ragione si contendessero,
in un’eterna lotta, la supremazia sulla psiche dell’uomo.
Dioniso e Apollo erano gli dei che ne incarnavano i concetti.
Agli inizi del ventesimo secolo gli scienziati si concentrarono sempre più
su razionalità e cognizione ignorando quasi completamente l’influenza della
sfera emotiva.
Più tardi la metafora più comunemente utilizzata per descrivere la funzione
del cervello sarà quella del computer.
Da alcuni anni, nuovi sistemi di visualizzazione hanno dato la possibilità agli
scienziati di osservare le attività cerebrali sul soggetto vivo, cosa che prima
non era possibile.
Un dialogo tra arte e scienza è già in corso, così come quello tra approccio
scientifico e analisi storica e sociale legata alle scienze umane.
Attualmente il dibattito neuro-scientifico sulla relazione tra l’apparenza delle
immagini e le modalità delle reazioni che suscitano, interessa sempre di più
l’area di ricerca delle scienze umanistiche.
Per gran parte del ventesimo secolo le emozioni sono state escluse dalla storia
e dalla filosofia dell’arte.
È stato solo con il lavoro di neuro-scienziati come Antonio Damasio, Joseph
Le Doux, Giacomo Rizzolatti e il suo gruppo di Parma che si è ottenuta una
qualche conferma che la strada intrapresa era quella giusta. Oggi più che mai
sembra legittimo indagare le relazioni tra gli aspetti formali di un’immagine
e le conseguenti risposte emotive.
È necessaria quindi, una rilettura critica della correlazione tra artista, opera
d’arte e fruitore, alla luce delle più recenti scoperte sul cervello umano e sulle
emozioni.
La scelta degli autori vuole essere un’esortazione a guardare sotto un’ottica
105
diversa, o forse nuova, su cosa faccia scaturire l’esperienza e la sua qualità.
Percepiamo le cose rappresentate dall’arte solo come un’esperienza di sec-
ondo grado.
È grazie all’empatia quindi che riusciamo ad instaurare un rapporto tra esse
e noi stessi, un rapporto che può farci riflettere sulla nostra esistenza, di-
ventando dunque, in un certo senso, noi stessi l’oggetto della nostra osser-
vazione.
D’altra parte però, lo spettatore deve essere disposto a compiere un atto cog-
nitivo, di lavoro d’intelletto, per comprendere l’intenzione dell’opera frutto
dell’ispirazione dell’autore.
Anche questa è un’esperienza fondamentale che può portare un individuo ad
aprirsi rispetto a cose che disconosce o che comunque sono lontane dalla sua
sfera abituale.
È questa apertura che può dar luogo a una partecipazione emotiva attraverso
una fruizione cognitiva legata alla conoscenza.
Comunque sono entrambe delle azioni che richiedono un impegno attivo
da parte del fruitore, un impegno che a sua volta diventa esperienza e che
entra a far parte integrante della costruzione della biografia e dell’identità
dell’individuo.
Il ruolo del designer consapevole che considera anche questo aspetto
nell’approcciarsi al progetto diventa ancora più complesso. La conoscenza
comunque si pone come base necessaria per sviluppi importanti.
Il designer quindi può avvalersi delle competenze di un professionista delle
emozioni che provenga dal campo della psicologia o della medicina.
Le emozioni - Fotografia - Maschere rappresentative.
“Le persone ignorano il design che ignora le persone” – Frank Chimero
107
4.5 La percezione dello spazio pubblico oggi.
Diventa interessante ai fini del progetto di tesi definire il concetto di spazio
pubblico, dato che quello privato per sua definizione è gestito da volontà ben
manifeste.
Nella società moderna e postindustriale, gli spazi pubblici non assolvono a
funzioni univoche loro assegnate dal senso comune, né c’è condivisione di
intenti sul loro uso.
La funzione del luogo della piazza sta cambiando forse nel modo più ap-
pariscente, ma sono anche tutti quegli spazi definiti come interstiziali che
mutano la loro destinazione spesso assolvendo a dinamiche più complesse di
quelle per cui sono stati pensati.
Nelle società odierne, lo spazio comunicativo rappresentato in passato
dall’agorà o dalla piazza rinascimentale assolvono funzioni distinte.
Gli spazi pubblici contemporanei presuppongono una serie di elementi distin-
tivi che corrispondono ad una specifica organizzazione sociale e al contempo
danno luogo a possibilità di negazione dell’altro, pur in situazioni di condi-
visione emotiva.
Sono esempi di questo tipo tutti gli spazi adibiti al parcheggio oppure i siste-
mi di seduta.
Gli spazi pubblici si caratterizzano in gran parte come luoghi di transizione
e di scambio.
Transizione perché presuppongono da parte degli attori, appartenenze non
definitive, percepite come temporanee e di passaggio tra i punti con potere di
attrazione più forte.
Uno spazio pubblico è inoltre caratterizzato dalla manifestazione dei bisogni,
108
che possono mutare nel tempo, talvolta essere contrapposti.
Cosa si intende quindi per spazio pubblico?
In termini generici, si potrebbe dire che spazio pubblico è tutto ciò che non è
spazio privato.
Ciò che non concerne le aree di competenza dei singoli cittadini e dei nuclei
familiari, dove si svolgono le attività di vita quotidiana e si realizzano gli in-
teressi non soggetti al controllo o alla regolamentazione della collettività.
Una definizione un po’ più ampia invece vede lo spazio pubblico come rap-
presentato da tutto il territorio che, in una città, è definito pubblicamente sia
rispetto al disegno delle forme urbane, sia rispetto alle funzioni che tramite di
esse devono essere assolte.
Uno spazio pubblico così definito trova la sua più naturale rappresentazione
su una mappa e si presta ad operazioni ed interventi che discendono diretta-
mente dalla natura stessa della sua connotazione fisica.
Oltre all’aspetto morfologico, esiste un altro approccio allo spazio pubblico,
fondato sull’analisi delle relazioni che vi si instaurano.
Ciò significa che gli aspetti decisivi per una sua qualificazione sono le ap-
propriazioni, temporanee o ricorrenti, che ne vengono fatte dai soggetti che
lo utilizzano.
A Firenze, ad esempio da qualche anno il parco delle Cascine è teatro di
riunioni di popoli diversi che spesso ne approfittano per allestire banchetti e
praticare sport.
Parto dall’assunto che è possibile parlare di spazi pubblici, in termini di spazi
di relazione, solo in riferimento ad una particolare morfologia degli stessi, la
109
quale costituisce appunto il principio di strutturazione delle relazioni che vi
si instaurano.
Nell’approccio della definizione di concetto di spazio pubblico inoltre si dis-
tinguono ambiti spaziali che si qualificano come pubblici o privati sulla base
del tipo di comportamento che gli attori sociali sostengono di fronte a un pub-
blico più o meno definito.
Esempi che fanno riferimento a questo approccio sono i venditori ambulanti
che sistemano i loro banchi di cartone per vendere di fronte alle vetrine, op-
pure mini concerti organizzati vicino a luoghi di interesse artistico.
Secondo alcuni studi di natura sociologica sugli spazi pubblici, l’accessibilità
è la loro caratteristica costitutiva. In base all’accessibilità i diversi attori ne
percepiscono l’usabilità.
Uno spazio accessibile è uno spazio fisico e sensibile dotato di una forma
più o meno esposta e, nello stesso tempo, d’un diritto d’uso più o meno mani-
festato.
Dunque gli spazi pubblici urbani sono spazi aperti alla libera circolazione,
che rendono possibile la casualità degli incontri.
Lo spazio pubblico diventa così, spesso, metafora della città e appare come
l’antitesi della comunità, proprio a causa del suo fondamentale carattere di
apertura.
Il territorio deve quindi essere messo in relazione con le abitudini dell’individuo
contemporaneo, per capire quali siano realmente gli spazi percepiti come
pubblici.
La dicotomia tra pubblico e privato sembra diventare ambigua e trasforma
gli spazi di natura privata in spazi della socializzazione; studiare queste realtà,
110
gli utenti che le frequentano e le differenti pratiche che vi si sedimentano, per-
mette di comprendere le necessità di una società sempre più frammentata e
fluida.
Le nuove e diverse definizioni di spazio pubblico sembrano rapportarsi con
un utente multiplo e specializzato.
Chi sono i protagonisti degli spazi pubblici?
L’esempio più importante di questo tipo sono i centri commerciali che sono di
natura privata, ma per certi versi sono vissuti come luoghi pubblici.
Spesso in questi luoghi ci sono dei bagni che possono essere utilizzati indip-
endentemente se si effettuano acquisti o meno. Sono caldi d’estate e freschi
d’inverno. Hanno sedute. Spesso distribuiscono servizi trasversali come il
taglio dei capelli e l’ufficio postale o l’agenzia di viaggi e il bar.
L’utente diventa nomade quindi nella misura in cui considera questi luoghi
come tappa del suo viaggio quotidiano.
Questi luoghi sono sparsi per il territorio delle nostre città e l’utente spesso
ne ha una considerazione elevata perchè costituiscono vere e proprie mete
temporanee che gli permettono di espletare al meglio i propri interessi.
Si arriva quindi ad ipotizzare che questi spazi debbano essere oggetto di studi
sempre più specifici e si possa arrivare a definirli spazi per un pubblico.
C’è un’ulteriore riflessione importante. In Italia come nel resto del vecchio
continente i centri storici hanno ancora la connotazione originale, e questi
luoghi si sono sviluppati per di più nelle periferie. Negli Stati Uniti invece,
dove si è costruito ex novo, questi luoghi si trovano più distribuiti sul territo-
rio cittadino.
Si è passati, in Italia, da uno spazio tradizionale e prospettico ad una dimen-
111
sione indefinita. É per questo motivo che si organizzano picnic intorno ad un
cantiere o si decide di vendere la propria merce tra un cestino di rifiuti e una
vetrina di un negozio di lusso.
Il singolo poi richiama altri che hanno gli stessi interessi o almeno lo stesso
approccio mentale e così si forma un gruppo che sfrutta lo spazio in modo
effimero, ma sistematico.
Sicuramente da menzionare è il fenomeno degli eventi organizzati sulla rete
in modo improvviso in un luogo pubblico come i flash mob.
Sono delle manifestazioni spontanee di condivisione e di espressione che
spesso riscuotono successo, e sono utilizzati dalle aziende per sponsorizzare
i propri prodotti.
Di specifico interesse per il mio progetto sono tutti quegli spazi interstiziali
tra edifici contigui che creano degli imbuti, o che comunque esortino il cit-
tadino a passarci per evitare di allungare il tragitto.
Inoltre gli spazi definiti come neutri. Ad esempio gli spazi ampi che sono
progettati proprio di fronte ai centri commerciali, pensati per dare aria che
vengono utilizzati in modo temporaneo su concessione privata.
Gli infraspazi sono invece dei luoghi che spesso si formano tra le infrastrut-
ture ed altri edifici. Sono luoghi che delimitano gli spazi dedicati allo sposta-
mento di persone o merci ed edifici privati.
Restano solitamente inutilizzati a causa dell’inaccessibilità o della scarsa
calpestabilità del terreno.
Anche questi però possono diventare spazi dove esporre la merce e intrat-
tenere relazioni.
Un tipico utilizzo di questi spazi è quello della preghiera. Sempre più fre-
quentemente infatti, vediamo le strade italiane invase da persone che sentono
questa necessità.
112
Per finire inoltre, gli stessi cimiteri si sono trasformati in alcune zone del
mondo in luoghi da abitare.
Spesso le cappelle delle famiglie ricche sono curate da persone povere che si
prendono cura delle stesse, fino ad occuparle fisicamente con i propri affetti
e gli oggetti personali che gli permettono di vivere la quotidianità. Questo
fenomeno, a dire il vero, è osservabile in Asia.
Possiamo credo quindi affermare che ogni definizione di spazio pubblico o
privato non possa essere considerata come definitiva nè possa essere interpre-
tata univocamente.
Fondamentale in questo senso il ruolo del designer che deve delimitare gli
spazi e dare delle chiare indicazioni semiologiche per un corretto utilizzo.
Le due sfere, però, sono strettamente interralate tra loro, molto più di quanto
una netta dicotomia possa lasciare intravedere, al punto che la storia della
modernità, sul piano delle idee e delle ideologie ha ruotato spesso attorno ad
una definizione dei rapporti reciproci tra spazio pubblico e privato.
Si pensi ad esempio alla tv o alla web cam di un computer ed alle dinamiche
che ne conseguono.
Il concetto di rifugio, della casa come nido protettivo ha acquistato un valore
crescente fin dal medioevo, ma mentre prima poteva essere una necessità di
divisione tra corpo e spirito, nel novecento si sente una maggiore necessità di
protezione all’interno delle proprie mura per una sicurezza laica.
Questa necessità ha ceduto il passo nel momento in cui si è riprodotto inter-
namente la freddezza logica dell’organizzazione del lavoro con una organiz-
zazione simile degli interni.
L’abitazione periferica, spesso contestualizzata in quartieri alienati dai centri
113
decisionali è capace di diventare protagonista solo tramite la tv che relega
gli utenti a spettatori passivi o il pc che invece rende possibile una connesione
ipotetica con i centri amministrativi.
Le esperienze che si possono vivere in uno spazio sono essenzialmente:
Di intrattenimento: nelle esperienze di intrattenimento le persone assor-•
bono passivamente gli stimoli attraverso i sensi.
Estetiche: nelle esperienze estetiche gli individui si immergono fisica-•
mente nell’evento, ma restano passivi.
Educative: nelle esperienze educative l’ospite assorbe gli eventi parteci-•
pando attivamente.
Di evasione: l’ospite di un’esperienza di evasione è attivo in un ambiente •
di immersione. L’individuo diviene attore, capace di agire sulla perfor-
mance.
Fabio Giampietro - Ende Neu - Pittura - Olio su tela 200 X 150 - 2011
Capitolo V
Totematiche: ipotesi di condivisione progettuale.
117
5.1 “Totematiche”. Un oggetto per il designer.
Gli scenari attuali e l’analisi fin qui condotta hanno portato quindi a delle ris-
poste affermative per le prime due domande proposte nell’introduzione.
Ipotizzo ora, che anche la terza possa avere una connotazione positiva.
Un totem può aiutare il designer a svolgere la propria funzione di connettore
di competenze.
Vediamo quali sono i punti di forza del progetto:
Il totem è un oggetto e in quanto tale non inibisce le interazioni.1.
È2. sempre visibile e presente.
È3. multimediale.
È4. interattivo.
È5. esperienzale.
Definisce il luogo adibito allo scopo.6.
Restituisce le informazioni in tempo reale.7.
Il mio approccio personale verso questo progetto consiste nella ricerca di
sintesi tra forma e funzione. Le funzioni cui il totem deve assolvere devono
essere poche e ben definite.
L’utente che io individuo come cittadino o professionista in base al contesto,
deve percepire il totem come un oggetto “amico” nel senso che non deve in
alcun momento essere considerato come un oggetto troppo complesso o peg-
gio, irridente.
Il totem deve poter essere esposto sia in-door sia out-door. La funzione della
visibilità sta nella definizione stessa di totem, un oggetto cioè, più alto che
largo.
118
Il totem crea un’esperienza di tipo educativo.
Storicamente i totem erano utilizzati come punti di riferimento da persone ap-
partenenti ad un gruppo. La questione dell’appartenenza si pone nella misura
in cui se l’utente non si sente coinvolto non sarà a suo agio nell’intereagire
con l’oggetto.
L’appartenenza al progetto dell’utente inteso come cittadino viene palesata da
una pavimentazione che ne delimita l’area d’interazione.
L’appartenenza in un contesto in-door su invito è ovviamente più facile e im-
mediata.
Anche in questo caso la pavimentazione aiuta e stimola l’interazione.
Qualora siano coinvolti più gruppi possono essere abbinati dei colori distin-
tivi.
In linea con quanto sostenuto nel capitolo dedicato all’economia credo sia
utile pensare che il totem si possa confrontare con i quattro temi che ritengo
principali.
Li elenco di nuovo:
Energia1.
Trasporti2.
Abitazione3.
Agricoltura4.
Proverò a creare un contesto virtuale e ipotizzarne gli sviluppi. I primi due
temi in-door, mentre per l’abitazione e l’agricoltura il totem sarà locato es-
ternamente.
Giuseppe PenoneIdee di Pietra - 2003/2008/2010 - Bronzo e Granito Grigio - Karlsaue (Germany).
120
5.1 Varie ipotesi progettuali: il Totem e le possibili applicazioni.
Prima ipotesi applicativa.
Si affronta il tema dell’energia che è di per se poco tangibile.
In questo senso acquista maggiore importanza la restituzione grafica degli
indici.
In questo tipo di applicazioni però si distingue sempre tra una prima fase in-
formativa e di sviluppo ed una seconda fase di proposta e applicazione.
Il luogo di lavoro è la Fortezza da Basso a Firenze.
Persone invitate al workshop:
Un ingengere informatico.
Un ingegnere meccanico.
Un sociologo.
Un’esperta di distribuzione energetica.
Due studenti in Design.
Il gruppo formato da 6 persone si riunisce nei locali adibiti per due giorni,
dedicando al workshop sei ore di lavoro al giorno.
I due giorni saranno intervallati da un giorno di riposo, utile per una rifles-
sione. Il gruppo è guidato dal designer.
Il totem risponde bene alle interazioni degli studenti che un po’ per rispetto,
un po’ per insicurezza, depositano le loro idee su carta nel totem.
Alla fine della prima giornata, le idee vengono raccolte, suddivise per com-
petenza e consegnate ai quattro professionisti.
Il secondo giorno, di pausa, serve per assimilare ed elaborare idee.
Il terzo giorno i professionisti si riuniscono ad un tavolo insieme agli studenti
che hanno avuto delle idee interessanti o comunque siano meritevoli di essere
considerate e valutate correttamente.
121
Risultati:
Si è stabilito l’importanza dell’integrazione delle fonti energetiche alternative
a quelle tradizionali.
Si è definito l’importanza di comunicarlo in modo efficace, in modo da sensi-
bilizzare gli organi decisionali.
Si è deciso quindi di iniziare il processo di coinvolgimento degli attori am-
ministrativi di alcuni quartieri periferici di Firenze.
Si è deciso inoltre di esporre il totem esternamente, con l’utilizzo specifico
di indici descrittivi e prestazionali, con l’integrazione di dati provenienti da
organi ufficiali come l’Istat.
Una volta che i cittadini saranno coinvolti nel processo d’integrazione il to-
tem avrà la funzione di tenere aggiornati i residenti sulla quantità di energia
prodotta con fonti rinnovabili.
In questo caso si utilizzano indici prestazionali. Questo sarà uno stimolo ulte-
riore a raggiungere degli obiettivi comuni.
Saranno evidenziate ricerche e statistiche.
Possibili alternative e miglioramenti:
Il luogo indoor è ottimo per l’ambientazione, ma l’attuazione dell’ipotesi ap-
plicativa può dare risultati ancora migliori se svolta contemporaneamente ad
eventi paralleli.
122
Seconda ipotesi applicativa.
Nella seconda ipotesi si affronta il tema del trasporto. Il tema è delicato e
molto sensibile. Il periodo storico che viviamo può aiutare i partecipanti
nell’operazione di sensibilizzazione. Il 2012 si è chiuso infatti, con un nume-
ro maggiore di bici vendute rispetto alle auto. La benzina inoltre costa cara.
Vediamone gli sviluppi.
Il luogo di lavoro è la Libreria Feltrinelli a Firenze.
Persone invitate al workshop:
Un ingengere meccanico.
Un ingegnere informatico.
Un sociologo.
Un’esperto di infrastrutture e territorio.
Quattro studenti in Design.
Il gruppo formato da 8 persone e si riunisce nei locali adibiti per quattro gior-
ni, dedicando al workshop sei ore di lavoro al giorno. Saranno dedicati due
fine settimana consecutivi. Il tempo di riflessione è quindi piuttosto lungo.
Il gruppo è guidato dal designer.
La libreria si dimostra subito un luogo stimolante, il totem posto in posizione
centrale attira gli sguardi e le opinioni dei frequentatori della libreria.
Le interazioni con gli utenti esterni sono tante e sono d’aiuto nella fase di
riflessione.
I partecipanti lavorano e discutono vicino al totem, creando un’atmosfera
stimolante e coinvolgente.
Gli studenti possono già integrarsi col gruppo di professionisti, ma hanno an-
che il compito secondario di fare da filtro tra i professionisti e i frequentatori
che preferiscono e cercano spontaneamente un contatto umano con il team.
123
Risultati:
La libreria visto il successo dell’evento e riconosciutone i vantaggi accessori
ha dato la disponibilità ad esporre il totem per un periodo ulteriore di due set-
timane. Gli utenti hanno espresso la volontà d’implementare e restaurare la
pista ciclabile, molti si sono detti disponibili a cambiare il modo di spostarsi.
Gli indici che devono essere utilizzati saranno soprattutto di tipo descrittivo
e multidimensionale.
L’obiettivo è di sensibilizzare i cittadini che sono già ben disposti verso la
scelta della bici come alternativa per i loro spostamenti in città.
Saranno messi a confronto i consumi e i costi di manutenzione e di utilizzo
dei mezzi.
Sarà messo l’accento anche sui comportamenti spesso socievoli dei ciclisti e
quasi sempre violenti degli automobilisti.
Possibili alternative e miglioramenti:
Si potrebbe pensare a fornire una lista di possibili alternative, alla soddisfazi-
one dei bisogni degli utenti. Si potrebbe inoltre allestire una parte di libreria
con libri e riviste di settore.
Ettore Sottsass - Totem - Oggetto d’ispirazione
“Io non credo di aver inventato niente, ho proposto un modo di essere.” - Ettore Sottsass
125
Terza ipotesi applicativa.
Nella terza ipotesi applicativa si propone una riflessione sul tema
dell’abitare.
Qui il totem ha la funzione di coinvolgere i cittadini in prima persona.
L’obiettivo è quello di rendere parte attiva, al progetto di riqualifica, gli abi-
tanti del quartiere numero tre di Firenze.
Il totem dovrà avere una collocazione ben visibile e facilmente raggiungi-
bile.
Il totem rimarrà esposto per un periodo continuativo di tre settimane.
Il luogo prescelto è la piazza di fronte al centro commerciale di Gavinana.
Il workshop non è esclusivo. Si invitano i cittadini a lasciare traccia della
propria opinione, purchè si identifichino dimostrando di appartenere al quar-
tiere.
In questa applicazione è fondamentale una segnalazione corretta della pavi-
mentazione e la presenza di una figura di riferimento, il designer o una per-
sona delegata che faccia da facilitatore.
Il totem raccoglierà tutti i suggerimenti e rimarrà esposto per un periodo di
tre settimane.
Al termine di questo periodo, si considerano tutte le informazioni e il de-
signer penserà alla comunicazione dei dati raccolti tramite l’utilizzo di indici
descrittivi.
126
Risultati:
Da questa esperienza è emerso che i cittadini sentono un forte disagio per la
gestione dei rifiuti e dei parcheggi auto, hanno fatto prorpi i concetti di es-
tensione dello spazio abitativo. I cittadini hanno dimostrato un approccio di
disponibilità alla risoluzione di problemi comuni.
Il totem ha restituito i dati quantitativi sulle persone che hanno espresso lo
stesso parere ed ha sensibilizzato l’opinione in una fase successiva sui pos-
sibili interventi del designer e sulle metodologie d’azione politica ed ammin-
istrativa.
I cittadini si sono organizzati con una raccolta firme. Si è raggiunta l’adesione
di settecentosessanta persone.
Si è nominato inoltre un portavoce che si occuperà di rappresentare la voce
degli abitanti del quartiere.
Si è richiesto all’amministrazione di provvedere alla sostituzione dei casson-
etti di superficie con i contenitori interrati.
Si è richiesto inoltre la rimozione di sei posti auto per una riqualifica dello
spazio adibito a verde e all’introduzione di panchine.
Possibili alternative e miglioramenti:
Si può pensare all’esposizione di materiale cartaceo ed esemplificativo di ma-
teriali. Si può fare riferimento inoltre a modelli esistenti che siano lo spunto
per una riproduzione sul territorio.
127
Quarta ipotesi applicativa.
Il totem qui lavora sul tema dell’agricoltura.
Il luogo prescelto è Piazza bambini e bambine di Beslan di fronte alla fortez-
za da Basso in occasione della manifestazione Terra Futura. Il totem rimarrà
esposto per una settimana.
Nel piano d’attuazione strategico si è pensato di sensibilizzare l’opinione pub-
blica con indici descrittivi sulla qualità del suolo in Italia e con indici di tipo
multidimensionale che mettano a confronto la superficie adibita a suolo agri-
colo con quella adibita a terreno edificabile in un arco temporale definito.
Altri indici descrittivi sono utilizzati per chiarire la quantità di cibo vegetale
prodotto, dall’introduzione degli agenti chimici ad oggi.
Sullo schermo del totem sono illustrati metodi alternativi alla coltura inten-
siva. Dalla coltura biologica fino ai sistemi idroponici ed aeroponici.
Gli utenti a cui è rivolto il totem sono in questo caso tutti i cittadini, ma si
ipotizza un contatto maggiore con gli addetti ai lavori e con i partecipanti
della manifestazione.
Il totem nella seconda fase restituisce le informazioni necessarie per gli utenti
che hanno deciso di auto prodursi il cibo con dei mini sistemi idroponici.
I video e le slide informative mirano a diffondere la conoscenza della tecnica
necessaria alla coltivazione, e indirizzano verso gruppi di aiuto sia online che
offline.
128
Risultati:
Il totem ha svolto correttamente la sua funzione anche nella seconda fase.
Gli utenti hanno fatto suoi i concetti di coltura alternativa ed hanno espresso
un’opinione favorevole allo sviluppo di ambienti adibiti alla coltura idropon-
ica.
Si è ipotizzato la riqualifica di un terreno periferico con annesso edilizio at-
ualmente in disuso.
L’interesse di un singolo ha trovato terreno fertile nelle volontà di un gruppo
di persone che si dice disponibile a far parte di una cooperativa.
La cooperativa si propone di produrre e distribuire il cibo in un raggio di
cinque chilometri dal punto di produzione.
Si è ipotizzato anche una forma di finanziamento alternativa.
Si può decidere infatti di partecipare alle spese con una quota annuale che
consente di adottare una parte di impianti produttivi e di ricevere periodica-
mente il cibo prodotto.
Possibili alternative e miglioramenti:
Si potrebbe pensare di attrezzare l’area con un sistema funzionante con uno
scopo didattico ed esperenziale.
Schizzi Progettuali - Totematiche
5.2 Schizzi progettuali e conclusioni. Tavole tecniche.
130
Conclusioni
Il totem non è un oggetto sconosciuto, anzi, se ne fa un uso sempre più fre-
quente. Non è quindi un oggetto innovativo che vuole stupire per la tecnolo-
gia intrinseca o per la tecnica di produzione.
La mia come più volte detto è un’analisi aperta a possibili soluzioni e svi-
luppi. Una ricerca sul metodo.
Lo scopo è quello di immaginare delle situazioni con intento un po’ provoca-
torio e innovativo. Estendere la professione del designer con un oggetto.
Credo che sia questo il campo sul quale soprattutto i giovani designer siano
costretti a giocarsi le proprie carte, visto che sono sempre più messi da parte.
Provare ad immaginare e proporre degli scenari possibili. Coinvolgere le per-
sone, ascoltandole e rendendole parte attiva del processo.
È una tesi che considera l’aspetto sociologico come centrale, che parte
dall’idea che il fine ultimo dei prodotti e dei servizi sia l’uomo.
Totematiche sensibilizza i cittadini e li avvicina ad una parte di mondo che nel
quotidiano sente distante, la parte che prende decisioni.
Totematiche deve aiutare ad esprimere idee e concetti che altrimenti rimar-
rebbero inespressi.
La rete è fortemente collegata al concetto di condivisione. Credo che le dir-
ezioni future di pari passo alle scelte saranno dettate sempre più dalle volontà
dei cittadini nel segno della trasparenza e della partecipazione.
Totematiche vuole essere uno strumento di unione, condivisione e opportu-
nità. Un oggetto e un luogo fisico itinerante in grado di suscitare interesse e
creare situazioni di sviluppo sociale.
Schizzi Progettuali - Totematiche
Render - Totematiche
Bibliografia essenziale.
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quella del benessere, Pomezia, Donzelli, 2011
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Gunther Anders, Il mondo dopo l’uomo. Tecnica e violenza. Mimesis, 2008
Latouche Serge, Breve trattato sulla decrescita serena, Gravellona Toce (VB), Bollati
Boringhieri, 2008
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Vitale G., Prima del progetto, Lupetti, Milano, 2009
Sitografia
Umberto Boccioni, La città che sale, testo a cura di E. Coen, in http://www.artonline.it/
xx_opera.asp del 14.09.2007
http://www.talentgarden.it
Ringraziamenti
Alla mia famiglia.
A Gaia e Ruben.
A tutti quelli che incrociandomi negli occhi, negli ultimi tre anni, hanno
capito che credo davvero in quello che faccio.