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TEORIA DELL' IMPETO, MECCANICA NEWTONIANA E MECCANICA RELATIVISTICA : UNA SORPRENDENTE COESISTENZA NELLA FISICA DI FINE SECOLO XX°.
Riassunto: Sulla base dei risultati di un test sulle teorie del moto somministrato a scolaresche delle scuole medie superiori e ad un gruppo di adulti colti e alla luce dell' analisi dell' impostazione metodologicodidattica oggi predominante nell' insegnamento della meccanica nei corsi di Fisica dell' istruzione secondaria superiore, si perviene alla conclusione che l' insegnamento della meccanica newtoniana non esce vincente nella competizione, sostenuta inconsapevolmente, con le teorie medievali dell' impeto possedute spontaneamente da studenti ed adulti colti, perché esso in realtà non rompe con la tradizione assolutistica ed empirica del buon senso comune e non muta il paradigma culturale preesistente su Spazi e Tempi assoluti e sull' osservatore "assoluto". Si afferma l' opportunità di adeguare, sin dai primi approcci, una moderna didattica della Fisica ai principi della meccanica relativistica ed alla consapevolezza epistemologica che il sapere scientifico procede non per accumulo, bensì per ristrutturazioni (Bellone 76) "ed il nuovo risulta essere una pura negazione dell' antico" (Bitsakis, 92). Pertanto si sostiene la necessità di cominciare lo studio della Fisica procedendo dapprima ad una demolizione consapevole e radicale sia delle teorie sul moto prenewtoniane, sia delle concezioni tanto diffuse nella didattica circa il metodo induttivosperimentale, considerato come il metodo per antonomasia, per poi impostare immediatamente lo studio della meccanica in funzione di un' introduzione precoce delle idee relativistiche, anteponendo per questo scopo all' intera cinematica il principio d' inerzia del quale si propone una nuova enunciazione.
PREMESSA.
Una didattica moderna della Fisica deve reggersi su due gambe: una è il possesso di un quadro chiaro dell' epistemologia della disciplina, l' altra è la conoscenza della psicologia dell' apprendimento alla luce delle più recenti acquisizioni delle scienze cognitive. La testa cioè il sapere fisico può poi camminare su queste gambe seguendo un percorso didattico che deve tenere
conto delle possibilità offerte da quei determinati strumenti di locomozione e dei limiti ad essi connaturati (non fare il passo più lungo della gamba...). Una discussione approfondita di questo approccio multidisciplinare alla didattica della Fisica sarà oggetto di un lavoro dedicato, in preparazione, dal titolo provvisorio "La Nuova Fisica deve essere insegnata con una Nuova Didattica" che sarà inviato successivamente. Qui, per gli scopi di questo articolo, è sufficiente assumere due importanti conclusioni, significativamente convergenti, tratte dai lavori di De Bono (72), il primo a proporre nuovi metodi per l' apprendimento innovativo (vedi "Imparare il futuro", 79), e di Chalmers (79, volume di rassegna), sull' epistemologia. La prima è che le modalità di funzionamento della mente sono tali da portare alla formazione rapida di uno schema rigido di interpretazione della realtà che in seguito è rinforzato da percezioni selettive a scapito di altri schemi susseguenti. La seconda è che l' epistemologia ha raggiunto la consapevolezza che un certo tipo di teoria precede tutte le proposizioni osservative e che quindi la posizione epistemologica tanto diffusa nella didattica della fisica secondo la quale la base della conoscenza scientifica sia costituita dalle osservazioni eseguite da un osservatore imparziale e libero da pregiudizi è assurda ed insostenibile. Queste due affermazioni di principio forniscono un quadro teorico in base al quale si può prevedere: (i) che gli studenti cui ci rivolgiamo non sono delle "tabulae rasae" o, peggio ancora, dei "buoni selvaggi", a digiuno di ogni impostazione scientifica nella osservazione della realtà, ma, anzi, sono, in modo naturale, degli scienziati cui dobbiamo il massimo rispetto, poiché la nostra mente, senza la necessità di un sistema di istruzione formale, possiede già una metodologia scientifica, cioè una grammatica ed una sintassi per mettere ordine nelle percezioni e ricavarne delle previsioni per il futuro; (ii) che, poiché gli schemi teorici interpretativi delle esperienze percettive si formano molto precocemente la mente non aspetta la scuola! e si consolidano autoalimentandosi per anni a causa di un atteggiamento inconscio di rigetto di ogni modello contrastante lo schema stereotipato formatosi per primo, non ci sono possibilità di successo per un insegnamento della Fisica quale è quello tradizionale: formale, limitato nel tempo, molto "tardo" rispetto alla crescita mentale, soprattutto non consapevole di quali siano i paradigmi scientifici con cui deve confrontarsi e quindi all' oscuro dei concetti che si debbano enfatizzare e di quelli che si debbano scientemente distruggere. Si può quindi prevedere che, lasciata la scuola superiore, adulti di cultura superiore alla media che si laureino in settori culturali non strettamente scientifici "ritornino" agli schemi teorici di interpretazione dei moti che
possedevano da adolescenti. Questo "ritorno" sarà tanto più agevole, si prevede, quanto più il paradigma scientifico che la scuola sovrappone a quello preesistente entra meno in conflitto con quest' ultimo. Io sostengo che, per avere buone probabilità di successo nel sostituire permanentemente le teorie corrette sul moto a quelle precedenti di natura prenewtoniana, sia necessario massimizzare lo "scontro" teorico fra i due schemi, quello "antico" e quello "il più moderno", rendendolo il più esplicito ed il più "largo" possibile. E' per questo motivo che in questo articolo si pongono le basi per una ristrutturazione radicale dell' insegnamento d' approccio fondamentale della fisica, quello della meccanica, poiché quella del moto è la prima e più fondamentale esperienza e caratteristica del mondo.
GLI SCOPI DI QUESTO LAVORO La scoperta che quattro studenti su cinque, prima di iniziare un apprendimento sistematico e formale in fisica, possiedono "naturalmente" un quadro teorico di tipo medievale sul moto dei corpi in situazioni molto semplici e familiari (Mc Closkey, 83) è il punto di partenza e non può essere liquidata come il prodotto ingenuo e primitivo di menti non ancora sviluppate. Al contrario, essa stimola un necessario approfondimento allo scopo di rendere esplicito il quadro teorico posseduto in tutti i suoi particolari ed in tutta la sua coerenza. La comprensione epistemologica che il sapere scientifico non procede per accumulo bensì per ristrutturazioni (Bellone, 76) o addirittura negando l' "antico" (Bitsakis, 92), aggiunge ulteriore complessità al problema dell' interazione fra le teorie in competizione nelle menti degli alunni. In altre parole, la didattica dei moti non può essere insegnata a degli studenti che possiedono la teoria dell' impeto prescindendo dalla conoscenza che il sapere che vogliamo far assimilare deve confrontarsi con quel determinato sapere precedente, tutt' altro che remissivo e tutt' altro che rozzo nei suoi connotati teorici. Le esigenze cui risponde questo articolo sono quindi le seguenti:1) precisare il complessivo quadro teorico sui moti posseduto dalla maggior parte degli studenti prima di iniziare i corsi di Fisica delle Scuole Medie Superiori (SMS), mettendone in evidenza la non banalità e la coerenza con il paradigma socioculturale più diffuso;
2) spiegare la formazione di questo quadro teorico fuorviante, come conseguenza naturale delle modalità percettive degli studenti e del contesto socioculturale in cui gli studenti sviluppano le loro idee sulla realtà;3) indagare negli studenti effetti e conseguenze della competizione fra vecchia e "nuova" teoria dei moti (quella newtoniana), così come è tradizionalmente insegnata, cioè senza porsi palesemente in contrasto con il vecchio modello, anzi adeguandovisi per certi aspetti (assolutezza dei moti);4) indagare negli adulti acculturati il risultato conclusivo di questa competizione, allo scopo di trarre indicazioni sull' efficacia dell' attuale didattica dei moti. Il quadro teorico delineato nella premessa consente già di prevedere il risultato di quest' indagine: non può esservi competizione seria fra anni ed anni di esperienze interpretate sulla base della teoria medievale dell' impeto e qualche ora di insegnamento teorico di tipo dichiarativo; pertanto si prevede una clamorosa sconfitta delle idee newtoniane sul moto, anche perché esse non riescono ad essere, almeno nel modo tradizionale con cui sono presentate, veramente rivoluzionarie rispetto alla teoria precedente;5) proporre un radicale cambiamento della didattica dei moti al fine di sostenere con buone probabilità di successo una competizione vittoriosa rispetto allo schema medievale;6) inserire tale radicale cambiamento di impostazione didattica in un contesto più vasto di altrettanto radicale cambiamento del paradigma epistemologico sul "metodo" della fisica, privando l' esperienza del suo valore euristico a favore dell' argomentazione teoricomatematica.
LA "DOTAZIONE" NATURALE DELLE TEORIE SUL MOTO: UN PRODOTTO DELLE MODALITÀ PERCETTIVE E DEI CONDIZIONAMENTI CULTURALI.
Uno studio scientifico dei principi fisici di funzionamento del mondo viene iniziato nel nostro Paese nei corsi di Scuola Media Superiore (SMS) a 14 anni di età nell' istruzione tecnica e professionale o a 16/17 anni nell' istruzione liceale. Si tratta di età già molto "avanzate" ai fini dell' apprendimento di metodi e contenuti della scienza. Il lavoro pionieristico di De Bono (72) già sottolineava l' importanza di un approccio corretto e precoce nell' apprendimento per l' esistenza di meccanismi simili all' "imprinting" che condizionano in modo molto
profondo gli sviluppi successivi alla "prima impressione" conoscitiva su di un determinato argomento. La mancata consapevolezza di quanto siano "tarde" le età scolastiche, ha causato una scarsa preoccupazione di determinare quali conoscenze dei principi fisici del funzionamento del mondo possiedano gli studenti di codeste età, dando per scontato che, poiché nei curricoli scolastici dell' obbligo non esiste un percorso specifico di fisica, gli studenti non possano avere acquisito teorie fisiche che nessuno ha loro insegnato. Infatti, tutti i libri di testo ed i programmi delle SMS in fisica partono da zero, immaginando uno studente "tabula rasa". In realtà nei programmi ministeriali della Scuola Media (SM) alla voce "scienze sperimentali", si elencano, fra gli altri, obiettivi molto ambiziosi: "imparare a conoscere strutture e meccanismi di funzionamento della natura" "scoprire l' importanza di formulare ipotesi, non solo per spiegare fatti e fenomeni, ma anche per organizzare correttamente l' osservazione". Questi obiettivi, se raggiunti, significherebbero che l' alunno possiede già l' idea di legge fisica (per il primo) e di metodo scientifico (il secondo), almeno nell' accezione più tradizionale del termine. Tutto ciò rende particolarmente interessante una verifica dell' inquadramento teorico in fisica che, almeno nelle intenzioni, l' alunno dovrebbe già possedere prima di iniziare le SMS. Ad ulteriore motivo di curiosità si aggiunge la considerazione che lo studente di 14 anni, o ancora di più quello di 16/17 anni, possiede già un patrimonio di esperienze, di percezioni e di pregiudizi sul funzionamento della realtà che potrebbero costituire di per sé ed indipendemente dall' insegnamento nelle SM un quadro organico teoricamente determinato (Mc Closkey, 83). Se ne potrebbe dedurre che il curricolo scolastico in fisica delle SMS si innesta quindi in un contesto complesso di interazioni già avvenute fra esperienze individuali ripetute e consolidate ed un primo insegnamento formalizzato. Le domande che ne seguono sono allora: qual è il risultato di questa interazione, e quale efficacia ha l' attuale modo di insegnare i fondamenti della fisica la teoria dei moti in un contesto di competizione non consapevole con delle teorie preesistenti? E' a queste due prime domande che mi sono proposto di rispondere sottoponendo sia alunni all' inizio dei loro studi superiori, sia studenti con uno o due anni di studi compiuti, sia adulti colti (laureati o equivalenti) ad alcune richieste appositamente formulate per saggiare le teorie sul moto di cui erano in possesso. Il Test (fig. 1) è stato predisposto nella versione definitiva qui presentata con 7 richieste per l' inizio dell' anno sc. 9394 ed usato anche per l' anno sc. in corso.
Per l' anno ancora precedente era stato formulato in versione più limitata, simile nell' impianto alle domande poste nelle indagini di Mc Closkey (83). Le richieste di questo Test più "primitivo" sono comunque assimilabili alle richieste 1, 3, 6 e 7 del questionario attuale. Le tabelle 1 e 2 riassumono la statistica relativa all' esperimento effettuato negli ultimi tre anni scolastici, informando sulla composizione del campione esaminato e sulle percentuali di risposte errate.
TABELLA N. 1
Liceo Classico anno scol. 94/95 classe iniz. 17 anni n. alunni: 22
Numero quesito
1 2 3 4 5 6 7
% ris. errate
68 73 59 0 59 41/46 68
Liceo Classico anno scol. 94/95 classe term. 18 anni n. alunni: 24
Numero quesito
1 2 3 4 5 6 7
% ris. errate
29 46 8 0/4 58 46/92 58
Liceo Scientifico anni scol. 92/93, 93/94 e 94/95 (2 cl)
classi iniziali, 14 anni
n. alunni: 24, 25 e 27/25 (2 classi)
numero quesito
1 2 3 4 5 6 7
% ris. errate *
75 50 92 79
idem * 68 64 60 0 64 68/80 68idem * 93 85 78 0 59 50/63 78idem 80 88 56 24/32 76 76 81
Liceo Scientifico anno scol. 94/95 classe iniz.le 16 a. n. alunni: 21
numero quesito
1 2 3 4 5 6 7
% ris. errate
81 52 62 24 48 o (72)
48/100 62
Liceo Scientifico anno scol. 92/93 classe sec. 15 anni (1 anno seguito)
n. alunni: 19
numero quesito
1 2 3 4 5 6 7
% ris. errate *
63 68 21 89 84 89
Liceo Scientifico anno scol. 92/93 classe terza, 16 a. (2 anni seguiti)
n. alunni 26
numero quesito
1 2 3 4 5 6 7
% ris. errate *
46 38 38/69 31
Adulti laureati età media dal diploma di SMS: 23 anni
n. adulti esaminati: 22
numero quesito
1 2 3 4 5 6 7
% ris. errate
73 73 36 0 59 77 45
DIDASCALIA TABELLA N. 1. Le classi marcate con l' asterisco sono classi dell' Autore. Si tratta di classi sperimentali del P.N.I. che iniziano i corsi di Fisica in prima Liceo Scientifico e li proseguono fino in quinta a tre ore la settimana. L' Autore ha assunto questa cattedra e le classi relative nell' anno scolastico 9293 per la prima volta. Le classi seconda e terza hanno quindi avuto altri insegnanti di Fisica nei periodi precedenti. La classe iniziale di 16 anni è una classe normale che inizia i corsi di fisica in terza Liceo Scientifico. Le classi del Liceo Classico sono una seconda e una terza Liceo (2 e 3 ore settimanali di fisica, rispettivamente). Il doppio dato per il quesito 6 si riferisce rispettivamente alle traiettorie ed all' angolo di massima gittata. Il dato in parentesi nel quesito 5 comprende come errate le risposte corrette dovute ad una teoria errata, in base alle giustificazioni degli alunni stessi. Il gruppo di adulti cui trattasi è costituito dai colleghi d' Istituto dell' Autore, che si sono gentilmente prestati, seguendo le stesse istruzioni date ai ragazzi, per rispondere al test.
TABELLA N. 2
Alunni esaminati nelle classi iniziali.
Per fasce di età: 14 anni 16 anni 17 anni Totali101 alunni 21 alunni 22 alunni 144 alunni4 classi 1 classe 1 classe 6 classiPer tipo di Liceo: Scientifico: 122 alunni Classico: 22 alunni
Alunni esaminati con un corso annuale di fisica seguito. Per fasce di età e tipo di Liceo: 15 anni 18 anni TotaliLiceo Scientifico: 19 alunni
Liceo Classico: 24 alunni
43
Alunni esaminati con due corsi annuali di fisica seguiti.
Liceo Scientifico età: 16 anni n. alunni: 26 Totale: 26
Totale alunni esaminati, distinti per fasce di età:
14 15 16 17 18 Totale gen. 101 19 47 22 24 213
Adulti esaminati, distinti per tipo di diploma secondario e per tipo di laurea.
dipl. sec. class. 13 magis. 4 L. Sci. 3 ITC 1 sconos. 1 Tot. 22laurea lettere 12 l. str. 3 ISEF 2 Filos. 3 Ps. Ped. 2 Tot. 22
DIDASCALIA TABELLA N. 2. Gli adulti esaminati si sono auto selezionati, poiché hanno risposto al test solo coloro che lo hanno voluto su 63 colleghi di discipline non scientifiche che erano stati invitati dal Preside della Scuola dell' Autore a rispondere. Il test era anonimo e le uniche informazioni richieste per la elaborazione era l' anno di conseguimento del diploma secondario, oltre che il tipo. Ne è risultata un' anzianità media di diploma di 23 anni.
Come si vede dalle tabelle, scorporando i dati per fasce di età, si ottiene il 79% di risposte errate a 14 anni, l' 81% a 16 anni ed il 68% a 17 anni al Liceo Classico, con un anno di studi filosofici alle spalle. Non escono dalle SM senza sapere, ma con un sapere errato! E' questa una prima importante deduzione. Gli alunni con un anno di studio si differenziano nettamente a seconda dell' età, a causa della ben diversa esperienza scolastica esistente fra un alunno che ha solo terminato il primo anno di studi superiori e l' alunno che è arrivato all' ultimo anno del Liceo Classico. Se poniamo in grafico (FIG. n. 2) i risultati in rapporto all' età ed agli anni di studio, inserendo anche il gruppo degli adulti colti esaminati, appare molto evidente anche solo in riferimento alla prima domanda del test il tipo di risposte alle due domande in precedenza formulate.
classi iniziali 1 anno di studio 2 anni di studio adulti0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
classi iniziali 1 anno di studio 2 anni di studio adulti
DIDASCALIA FIGURA N. 2. In ordinata vi è la percentuale di risposte errate alla prima domanda del test. Le tre colonne del primo gruppo si riferiscono rispettivamente alle tre diverse età delle classi iniziali: 14, 16 e 17 anni, con quest' ultima che ha già svolto un anno di studi di filosofia. Le due colonne del secondo gruppo si riferiscono ad età molto diverse, rispettivamente 15 e 18 anni, con quest' ultima che ha già svolto due anni di studio della filosofia. La colonna isolata del terzo gruppo si riferisce all' età di 16 anni, ma con nessun corso di filosofia svolto. Appare evidente che due anni di studio della fisica a 16 anni e senza l' "aiuto" della filosofia hanno una minore efficacia nel produrre un miglioramento delle risposte di quanto non si realizzi con un solo anno di fisica ma a 18 anni e con due anni di studi filosofici. In tutto il grafico solo la prima colonna del primo gruppo si riferisce ad un campione di quattro classi esaminate, mentre tutte le altre colonne del grafico illustrano i dati di una sola classe.
Esempi di risposte errate alla prima domanda sono mostrati nella FIG. 3.
RIFLESSIONI SUGGERITE DAI DATI.Le percentuali di risposte errate alle altre domande sono molto simili e suggeriscono le seguenti considerazioni:1) Prima di iniziare uno studio sistematico della Fisica a 14 anni, come a 16 dopo un biennio normale di studi superiori, quattro studenti su cinque osservano il moto e ne prevedono gli sviluppi sulla base di teorie medievali di tipo prenewtoniano, assimilabili alla cosiddetta teoria dell' "impeto".2) Tale altissima percentuale di risposte errate è in pieno accordo al di là dell' oceano! con le risposte a domande analoghe date al gruppo di Mc Closkey per la realtà statunitense e per simili fasce di età. 3) Il campione di popolazione esaminato non è un campione scelto a caso, ma è costituito da studenti di famiglie che hanno scelto studi liceali, quindi di un livello culturale superiore alla media, o addirittura, per gli alunni delle classi dell' Autore, si tratta di un campione di studenti fortemente interessati e motivati ad uno studio scientifico della realtà, avendo scelto corsi ad indirizzo sperimentale scientifico di un Liceo scientifico! E' legittimo pertanto aspettarsi che all' interno di un campione scelto totalmente a caso, tali percentuali possano essere ancora più elevate, dimostrando che la quasi totalità delle persone ha esperienza e ragiona sulla realtà dei moti con le stesse modalità di pensiero di alcuni secoli fa! 4) Gli alunni del Liceo Classico ottengono risultati lievemente migliori, beneficiando, a mio parere, più che della generica circostanza di una maggiore età, di un anno di insegnamento, o anche due nella classe terminale, dei corsi di filosofia, nei quali si tratta della teoria dei moti.5) E' impressionante che l' effetto di tali studi venga totalmente perso nel tempo, come si osserva dal grafico della FIG. 2 riferito agli adulti laureati che non hanno poi compiuto studi scientifici all' Università: tali laureati, ad una ventina d' anni di distanza dal diploma secondario, pur potendosi considerare nettamente più colti della media della popolazione, risultano rispondere sostanzialmente nello stesso modo dei ragazzi di 1416 anni che non hanno svolto alcuno studio formale di fisica! Questi risultati testimoniano la piena sconfitta di metodi e contenuti dell' insegnamento della fisica nell' istruzione classica, scientifica e magistrale, proprio quella che dovrebbe fornire un insegnamento formativo, cioè non nozionistico e quindi durevole nel tempo. Accade invece che 3 adulti colti su quattro, laureati in discipline non scientifiche, possiedano teorie di tipo prenewtoniano sui moti più elementari e familiari, il livello più fondamentale di
uno studio fisico della realtà. Se poi comprendiamo la laurea in filosofia ed il diploma ISEF fra quelle che hanno attinenza con la scienza e quindi escludiamo tali laureati dal campione, la percentuale di risposte errate alla prima domanda del test sale dal 73 al 93%! Come è possibile che capiti, e perché, che adulti laureati nel pieno della maturità culturale rispondano sulla teoria dei moti non solo come dei ragazzi d' oggi adolescenti, ma anche come la popolazione colta del Cinquecento? Un esame approfondito delle motivazioni delle risposte fornisce un quadro preciso delle teorie possedute da alunni ed adulti e permette anche di interpretare e spiegare tutti i risultati del test qui esposti, con conseguenze di notevole portata sulla didattica della Fisica.
LE TEORIE SUI MOTI NATURALMENTE POSSEDUTE, O RIESUMATE, DA STUDENTI ED ADULTI COLTI.
Il quadro teorico che emerge dalle risposte errate si basa su due principi o postulati fondamentali:Primo Principio: Il Moto è assoluto.Secondo principio: Il Moto è sempre causato da una forza agente non equilibrata. Discutiamoli, dimostrando la loro esistenza nelle menti di studenti ed adulti attraverso le giustificazioni date alle risposte errate al test. 1) Vi è l' assunzione di un punto di vista assoluto nell' osservazione dei moti e dei fenomeni in generale: in nessun caso nelle risposte dei 144 alunni ed dei 22 adulti esaminati si parla di moti o traiettorie relative rispetto ad un determinato e definito osservatore. Non si può neanche parlare di un disconoscimento del concetto di sistema di riferimento, ma di una totale ignoranza della sua esistenza. L' osservatore è completamente tolemaico: il proprio sistema di riferimento non è uno dei sistemi equivalenti dai quali si può osservare l' Universo, ma è "il" sistema di riferimento "centro" di tutte le osservazioni significative. L' insieme di osservazioni e misure viene descritto ed interpretato come un complesso di osservazioni e misure assolute, sulle quali quindi ogni altro osservatore deve essere d' accordo in qualsiasi punto dello spazio si trovi e, soprattutto, qualsiasi condizione di moto relativo abbia rispetto all' osservatore stesso. Il famoso astrofisico Arthur S. Eddington nel 1920 (Prefazione al proprio "Spazio, Tempo e Gravitazione") scriveva: " Con la sua Teoria della Relatività, Einstein ha
provocato una rivoluzione di pensiero nella Fisica. Il risultato cui perviene consiste essenzialmente in questo: egli è riuscito a chiarire, molto più completamente di quanto non sia mai stato fatto finora, la funzione dell' osservatore e quella della natura esterna nelle cose che vediamo.... Ora, però, risulta evidente che le correzioni apportate per tenere conto del moto dell' osservatore sono state finora troppo approssimative;" La sottolineatura è di chi scrive, il corsivo per la parola "moto" è di Eddington. A 75 anni di distanza tali idee non sono ancora entrate nella cultura scolastica. Nelle risposte errate, infatti, al quesito 5 (stesso fenomeno osservato da due diversi sistemi di riferimento SRI ): "arriva prima a terra la pietra lasciata dalla persona ferma", le giustificazioni fornite sono inequivocabili: "perché la sua traiettoria è meno lunga" " " " dovrà percorrere un tragitto minore rispetto all' altra" " " " per percorrere la traiettoria perpendicolare ci vuole meno tempo" " " " l' altra ha una traiettoria più lunga a causa dell' inerzia" " " " deve compiere un percorso più breve" " " " dovrà percorrere meno strada" " " " descriverà una traiettoria più corta (retta a 90°) rispetto al terreno" " " " tocca terra prima quella (pietra) che deve compiere il cammino più breve" " " " avrà una caduta perpendicolare e non perderà il tempo di una curva" " " " l' altra (pietra), essendo in movimento, deve fare un percorso curvo, impegnando più tempo" Queste risposte testimoniano una chiarissima concezione di uno Spazio Assoluto sul cui palcoscenico si svolgono moti che sono essi stessi assoluti nella loro forma e nei loro accadimenti. Questa concezione è ancora più evidente quando, in alcune "sofisticate" risposte al quesito 5, viene fornita la previsione esatta sulla base della teoria sbagliata: (i) "Il tempo impiegato ( a cadere) è lo stesso perché le pietre (quella lasciata da ferma e quella in movimento) compiono sempre una traiettoria perpendicolare al terreno" (vedi FIG. 4), oppure: (ii) "La pietra in moto ha più forza, quella ferma ha meno strada e le due cose si compensano". In queste risposte si evidenzia una identificazione fra l' idea di forza e quella di velocità estremamente dannosa per la comprensione dei moti e che ha la sua origine, oltre che nel secondo principio errato della teoria posseduta, dall' "abuso" della statica come approccio elementare alla fisica.
Ritorneremo in seguito, nell' ambito della discussione sul secondo principio, su questo punto. La prima (i) di queste risposte "sofisticate" ha generato molte risposte corrette alla domanda n. 5 (si confronti sempre la FIG. 1, con le domande e le istruzione del test) sulla base di una teoria sbagliata che assegna la stessa traiettoria assoluta alle due pietre, a prescindere da uno loro precedente condizione di moto, nonostante la circostanza che la domanda n. 4 fosse stata posta proprio per attirare l' attenzione sulla diversità fra le situazioni di moto relativo o non dell' uomo con la pietra. La ragione per cui venga assegnata la stessa traiettoria assoluta è probabilmente bene espressa dalla seguente giustificazione: "Cadono assieme (le due pietre) perché, nel momento in cui la persona le lascia andare, partono dalla stessa posizione ferma" , nella quale appare evidente l' esistenza dell' altro principio teorico posseduto dagli studenti che spiega il complesso delle risposte errate: la ignoranza del principio d' inerzia, cioè della caratteristica naturale e spontanea dei moti, la caratteristica più "primitiva", insieme alla relatività, dei moti stessi e che viene ignorata nella didattica tradizionale che svolge tutta la cinematica senza parlarne. E' evidente che lo studente presuppone che la pietra, lasciata dalla mano, non possa più partecipare del moto dell' uomo in quanto "portata" dalla mano e quindi si trovi "assolutamente" ferma. Poiché la pietra, poi, non è "lanciata", ma è solo "lasciata", nessun "impeto" o forza di movimento viene ad essa impressa e pertanto, da sola, essa sarà in quiete assoluta! Quando invece l' attenzione dell' alunno non è sul "lasciata", piuttosto che sul "lanciata", allora è normale sempre per una ristretta minoranza di alunni pensare che la pietra possa proseguire il moto, MA NON PER INERZIA , bensì con una forza che lo sostiene: "Arriva prima (a terra nella caduta, dom. 5) la pietra che cammina, dato che questa pietra ha in sé anche la forza presente nel movimento dell' uomo". Questa concezione di uno Spazio e di un Tempo assoluti, nonché del valore assoluto delle stesse semplici descrizioni cinematiche dei moti, è sostenuta e confermata, oltre che da un' esperienza superficiale del mondo del tipo, per intenderci, del "credo a ciò che vedo" , anche da un contesto culturale sia sociale, sia scolastico, in cui i messaggi a favore di un sistema di pensiero privilegiato il nostro, l' Occidentale, sono di gran lunga quelli dominanti. Il termine "relativo" non è quasi mai associato al concetto di moto neanche nei libri di testo scolastici, men che meno nella divulgazione o nei discorsi quotidiani.
Le trattazioni introduttive al moto non enfatizzano i due aspetti più importanti e fondamentali per una corretta descrizione scientifica dei moti: (i) il concetto di SISTEMA DI RIFERIMENTO come punto d' inizio l' unico significativo dell' osservazione scientifica, e (ii) l' idea che qualsiasi tipo di moto è sempre descritto relativamente ad un determinato osservatore, cioè che IL MOTO É RELATIVO . Gli approcci più diffusi nei testi di fisica consistono nell' iniziare o con la Statica (a) o con la Cinematica (b). L' approccio (a), caldeggiato anche in alcuni ambienti universitari, è di gran lunga il peggiore agli effetti della comprensione del moto e delle velocità, per tre ragioni: (i) perché si studia la condizione di quiete che è relativa dei corpi nel nostro SR senza specificare che è solo una nostra descrizione di una quiete non assoluta, presentandola come frutto dell' azione e della reazione di due forze che si presentano in coppia (esempio di un corpo appoggiato su di un tavolo) e che producono un equilibrio che si traduce in un assenza, che viene interpretata come assoluta, di moto. Nella mente degli alunni è così formata l' associazione: forze che si equilibrano = quiete assoluta, forza non equilibrata = moto assoluto, pertanto formulano la legge: "il moto per sussistere ha bisogno di una forza non equilibrata;(ii) introducendo le forze come vettori prima del concetto di velocità, si ottiene il risultato che quando si discutono i moti, i vettori che rappresentano le velocità vengono confusi con le forze per assimilazione del concetto di vettore e questo rafforza il collegamento errato del punto precedente che presuppone una forza per poter avere una velocità;(iii) infine, ma di questo si parlerà più diffusamente in un successivo articolo in preparazione, iniziando con la Statica, si effettua una pessima modellizzazione della realtà fisica e della struttura della disciplina, poiché si inizia lo studio non dai caratteri essenziali dell' una e dell' altra il perpetuo dinamismo, l' eterno trasformarsi ma da aspetti relativi, contingenti e grossolani come è la condizione di quiete relativa per un particolare SR. L' approccio (b) è perlomeno più rispettoso della qualità essenziale della Realtà il movimento , ma nella quasi totalità dei casi non sottolinea il carattere di relatività della nostra descrizione dei moti, anzi tende a dimenticarla, omettendo di trattare le trasformazioni delle velocità fra un SR ed un altro (moti nelle correnti d' aria o d' acqua) ed il calcolo delle velocità relative o, addirittura, definendo moto "composto" come se questa fosse una sua natura assoluta la caduta di un oggetto che partecipa del moto relativo di un altro SR, classico il caso della bomba sganciata dall' aereo! Superflua e fuorviante è tutta l'
attenzione dedicata all' attrito dell' aria, mentre nelle menti di quasi tutti i discenti si forma l' idea che la traiettoria parabolica risultato del moto "composto" sia una traiettoria assoluta e non solo una traiettoria relativa all' osservatore a terra, che è invece concepito come lo Scienziato in posizione Assoluta e privilegiata nel registrare il comportamento della Natura. Si "spaccia" l' idea che ciò che lo scienziato osserva nel suo laboratorio sia ciò che succede in assoluto. E' questo un punto cruciale dell' impostazione didattica, che sarà oggetto dell' articolo che seguirà sull' esigenza di una radicale rivoluzione di metodo e di contenuti nella didattica della Fisica. Il risultato di tali errori di impostazione didattica evidenti anche nel linguaggio, vedi l' uso di "composizione dei moti", al posto di "trasformazione dei moti" è che, per quanto tutti i testi contengano le fotografie stroboscopiche, prese dal PSSC, sulle palline che cadono "assieme", descrivendo traiettorie perpendicolari o paraboliche, il 60% ed anche oltre di alunni con alle spalle uno o più anni di corso o di adulti laureati ritenga che debba arrivare prima la pallina che cade da ferma PERCHÉ HA MENO SPAZIO DA PERCORRERE. E' evidente che la traiettoria parabolica è ritenuta una traiettoria "composta" da un moto orizzontale rettilineo uniforme (RU) e da un moto verticale di caduta, come "recitano" tutti i testi, ma altrettanto chiaramente la traiettoria è presentata come un "fatto" oggettivo valido per tutti gli osservatori, cioè un "evento", invece che solo una descrizione relativa dello stesso. Si induce una completa confusione fra la misura di grandezze relative, come lo Spazio ed il Tempo, che determinano perciò traiettorie del moto relative, e l' evento "caduta alla superficie della Terra", che è invece qualcosa che accade indipendentemente dal SR e quindi qualcosa di assoluto. In altre parole le traiettorie vengono "spacciate" per elementi assoluti del moto, come se fossero leggi della Fisica che valgono per ogni SR.
2) Il secondo postulato fondamentale, che abbinato al primo spiega tutte le risposte errate fornite sia dagli studenti "iniziali", sia da quelli che hanno già uno o due anni di studio alle spalle, sia dagli adulti, consiste nell' assumere che il moto di un corpo possa esistere solo se causato da una forza agente su quel corpo. A prima vista sembra molto sorprendente che alunni di 1416 anni e adulti colti esibiscano (alla fine del XX° secolo!), senza certamente averne mai fatto oggetto di studio, la medesima teoria dell' impeto "in vigore" nel Medioevo nell' interpretare le situazioni più semplici e familiari dei moti. Pensandoci bene,
invece che sorprendente potrebbe essere considerato "naturale", cioè frutto di modalità percettive che sono rimaste sicuramente le stesse e di condizionamenti culturali che anch' essi devono essere rimasti sostanzialmente gli stessi da allora! Questa mia interpretazione permette anche di spiegare come sia possibile che gli alunni riproducano figure identiche alle stampe medievali nel descrivere le traiettorie dei moti dei proiettili (FIG. 5). Le figure tracciate dagli adulti, per quanto più rozze, non sono molto diverse. Le traiettorie disegnate hanno una loro precisa struttura e non a caso sono perfettamente identiche a quella della stampa medievale che illustra la teoria dell' impeto. Gli alunni che le hanno disegnate l' hanno fatto senza conoscere l' evoluzione storica delle teorie sul moto, ma col solo intento di accordare il disegno con la propria precisa teoria del moto. Solo, l' hanno fatto quasi nel 2000, invece che nel Cinquecento! Sul fatto che le modalità percettive siano rimaste le stesse, perché determinate dalla fisiologia, siamo tutti facilmente d' accordo. I condizionamenti culturali hanno, a mio parere, agito su tre fronti: (i) nel Cinquecento non sapevamo quasi nulla di modalità percettive, ma oggi ne sappiamo molto di più, senza però che questa consapevolezza dei limiti intrinseci della percezione, in questo caso visiva, arrivi alla coscienza degli studenti, poiché di ciò, per il condizionamento culturale che presuppone che i nostri sensi siano dei registratori asettici di una realtà oggettiva "là fuori", non si parla in nessun contesto di istruzione scolastica; (ii) il secondo condizionamento è molto più sottile e riguarda la tendenza, tipica della cultura occidentale, ad assolutizzare la propria visione del mondo, la propria cultura ed il proprio sistema di valori, compensando così la "perdita" del sistema tolemaico; (iii) un terzo condizionamento culturale consiste nella "pretesa" ossessiva di "oggettività" insita nel metodo scientifico tradizionalmente inteso, che veicola anche il messaggio implicito che l' osservatore non debba contare assolutamente nulla in una metodologia scientifica, perché introdurrebbe l' elemento della soggettività, tanto aborrito dalla scienza! Così, a forza di trascurare l' osservatore, si è portati a dimenticarsi completamente della sua esistenza imprenscindibile e del fatto che è lui che definisce il SR e quindi la base dell' osservazione scientifica!!
Tutti questi condizionamenti culturali sono ben evidenti nella formulazione tradizionale con cui il principio d' inerzia viene espresso in quasi tutti i libri di testo di fisica: UN CORPO PERSEVERA NEL SUO STATO DI QUIETE O DI MOTO RETTILINEO UNIFORME FIN TANTO CHE NON INTERVIENE UNA FORZA A MODIFICARE TALE STATO.
Non esito a dire che la parte sottolineata ed in corsivo è la più sbagliata, se così si può dire, di tale formulazione, che contiene numerosi elementi di confusione e di incongruenza. Innanzitutto la sottolineatura della distinzione fra stato di quiete o di moto RU fa presupporre che valga la pena di distinguerli perché c' è qualcosa di intrinsecamente diverso in essi, il che non è vero. Allora perché distinguerli? A ciò si aggiunga l' ulteriore confusione dovuta alla circostanza che l' idea di quiete non può che essere relativa ad un unico SR, mentre lo stato con V = costante è giudicato tale, ovviamente con valori diversi di V, da tutti i SRI, quindi è assoluto. Se fosse ben presente la consapevolezza che il moto è relativo, non ci sarebbe alcun bisogno di parlare in modo particolare dello stato di quiete, rilevato da un solo osservatore, mentre sarebbe ben chiaro che quel corpo che appare a noi in quiete è in questo stesso punto spaziotemporale partecipe del moto relativo del SR in cui si trova rispetto a qualsiasi altro osservatore in condizioni di moto relativo diverse dalle nostre! Mentre noi camminiamo fianco a fianco con un amico chiacchierando, non c' è alcun dubbio che lui si trovi in quiete rispetto a noi, perché altrimenti non potremmo continuare a parlargli, mentre è altrettanto vero che per una persona seduta in una panchina del parco egli si sta muovendo ben concretamente. Che senso ha, in una legge fisica così importante, parlare di uno stato di quiete, senza neanche aggiungere l' aggettivo "relativa", che almeno limiterebbe i danni? Questa formulazione fa pensare che la condizione di moto non sia poi così naturale che tutti i corpi possano possederla; anzi, se uno la possiede, allora la mantiene, ma se non la possiede (come se potesse non possederla), allora ci vuole una forza per metterlo in moto!! E' questo il punto cruciale: poiché da questa espressione del principio d' inerzia si capisce che se un corpo è in quiete, allora ci vuole una forza per metterlo in moto, ne consegue, nella mente degli alunni, ma anche in quella degli adulti, che il moto in senso assoluto debba essere causato da una forza! Mentre in realtà il moto di quel corpo esiste già per tutti gli osservatori dell' universo, tranne me!! NON c' è la consapevolezza che il moto, sempre relativo, è una condizione NATURALE posseduta da TUTTI i corpi, nessuno escluso, anche quelli che sono "fermi" nel mio SR! Tutto quanto sopra dimostra che il principio d' inerzia, formulato nell' ambito ancora di una meccanica newtoniana quasi totalmente assolutistica e quindi non rivoluzionaria rispetto alle teorie precedenti, non ha alcuna speranza di rimpiazzare nella mente degli studenti e degli adulti colti il secondo principio da loro posseduto nella forma " Il moto è sempre causato da una forza agente non equilibrata". Questo, sia perchè nella sua formulazione maldestra il
principio d' inerzia non sembra portare alcun elemento veramente nuovo per la comprensione dei moti, sia perchè, quando è presente una soluzione adeguata, la naturale rigidità degli schemi di pensiero si oppone ad un cambiamento immotivato (De Bono), sia infine perchè l' esperienza quotidiana rinforza comunque il vecchio schema.
LE "SPIEGAZIONI" DEGLI ALUNNI.
La dimostrazione che hanno agito nelle menti degli alunni i meccanismi di pensiero descritti, è fornita dalle motivazioni fornite per giustificare le loro risposte errate:a) "Dal momento in cui la pietra si stacca dalla mano, il moto della persona non ha più effetti su di lei". Cioè il moto, per permanere, deve avere una causa visibile e poiché l' oggetto non è "lanciato", ma "lasciato", non ha in sé alcun "impeto" o forza che spieghi come il moto possa permanere. Il moto è identificato con la velocità ed essa, e quindi il moto, sussiste per effetto di una forza, quella che ai tempi medievali era chiamata impeto, come spiegano nel caso dei proiettili: b) "Quando la forza data dallo sparo (dom. 6) diminuirà, essi cominceranno a scendere"; c) "Poiché la persona è in movimento [considerato assoluto], la pietra arriva al suolo (dom. 2) dietro all' uomo che continua a camminare" [perché essa non è più "portata", cioè causata nel suo moto, dall' uomo]. Questa forza associata al moto è talmente connessa alla velocità da giustificare anche i moti rotatori: (d) "l' oggetto, grazie alla forza datagli dalla rotazione, (dom. 7) proseguirà il suo moto rotatorio finché la forza si esaurirà", o (e) "descriverà una spirale per effetto del precedente moto rotatorio [si vede bene che è l' impeto che si esaurisce]. L' omologazione del principio che solo una forza può giustificare il moto e "sostenerlo" è particolarmente evidente in : (f) "Durante il volo i proiettili sono spinti dall' inerzia". E' questa la sconfitta che la teoria corretta subisce nello scontro con la teoria dell' impeto: il nome, il concetto di inerzia, evidentemente mal spiegato, è solo il sostituto moderno del termine medievale "impeto", è solo un altro nome per lo stesso concetto! Questa totale confusione fra qualità del moto, come la velocità, e la causa dello stesso in termini di forza è ben illustrata nelle spiegazioni del moto di lancio verso l' alto, in cui il punto di massima altezza è descritto come: (g) "punto in cui la forza impressa alla pietra viene superata dalla forza di gravità", ed il moto di salita e discesa è visto come un tiro alla fune, una specie di tira e molla fra forze
(colpa dell' approccio con la statica): (h) "tornerà verso terra quando la forza gravitazionale supererà la forza di lancio", o salirà: (i) "fino a quando la forza di gravità non vince la forza di spinta". E' evidente il ruolo fortemente negativo svolto dalle trattazioni di statica precedenti lo studio del moto: in esse si parla tanto del fatto che la quiete, interpretata come assoluta, è dovuta all' equilibrio di forze, che il punto di momentanea quiete nel moto uniformemente accelerato di caduta è descritto dai ragazzi come un punto di equilibrio fra le due forze, quella di spinta e quella di gravità. Sentiamo ancora gli alunni: (l) "il proiettile continua la sua traiettoria per forza d' inerzia, finché questa non viene contrastata dalla forza di gravità". Non è una questione solo di linguaggio: è qui chiaro che il moto esiste perché c' è una forza che ne è la causa, è responsabile, una forza che deve poi fare i conti con quella di gravità e che tende a consumarsi, equiparando il concetto di impeto a quello di forza d' inerzia. Le "spiegazioni" sono esaurienti: (m) "Per un certo periodo avrà una spinta sufficiente per contrastare e vincere la forza di gravità e quindi andare verso l' alto [totale identificazione di velocità con forza: se il moto è diretto verso l' alto, vuol dire che ho vinto il tiro alla fune con la forza di gravità; questo è ciò che si ottiene svolgendo la statica prima dei moti]; quando questa spinta sarà pari alla forza di gravità la pietra sarà ferma. E quando la spinta sarà minore, la pietra inizierà la ricaduta". Si consideri il disegno dell' alunno (FIG. 6) e la sua didascalia: (n) "Forza che c' è nei tre momenti per muovere il sasso". Più chiaro di così! Anche le traiettorie medievali dei proiettili sono ben spiegate dagli alunni: (o) "Il proiettile riceverà una spinta per cui fino ad un certo punto formerà una linea retta [ci vuole una "spinta" duratura per produrre e mantenere un moto in linea retta] e dopo [quando la spinta si è esaurita] inizierà a fare una caduta verso il basso". Nella caduta di confronto fra la pietra "ferma" e quella in moto relativo, l' identificazione fra forza e velocità è massimamente esplicito: (p) "Questa diversità di forze è appunto dimostrata dalla diversità di velocità"; (q) "Sul sasso agisce la forza di movimento (inerzia) impressagli dalla persona che cammina". Questo spiega la stravaganza delle traiettorie semicurve: (r) "Durante l' ascensione (dom. 2) è presente la forza impressa dal movimento della persona, nella discesa, no" (FIG. 7). Ancora per le traiettorie dei proiettili dei cannoni: (s) "Quando la forzapeso supererà la forza con cui è stato lanciato, che man mano diminuisce, inizierà a scendere in senso verticale". Dopo due anni di corso di Fisica: (t) "Sul masso agiscono due forze, una d' inerzia che lo porta avanti, e una verso il basso. La composizione delle due forze sarà un moto parabolico [ancora perfetta identità fra velocità e forza]"; altre risposte:
(u) "la spinta verso l' alto della pietra man mano decresce"; (v) "La pietra cadrà perpendicolare al suolo perché l' uomo non l' ha lanciata";(w) "la forza impressa alla pietra al momento del lancio va via via perdendosi fino ad un momento di equilibrio, in cui uguaglia la forza di gravità, dopo di che la pietra inizia a cadere, dato che la forza di gravità prende il sopravvento"(x) "arriva prima la pietra che cammina, dato che questa pietra ha in sé anche la forza presente nel movimento dell' uomo"(y) "i proiettili sono soggetti a due forze, quella impressa dal cannone e quella di gravità. Appare superfluo continuare con altre esempi di risposte che esprimono il medesimo concetto e che sono molto numerose. E' quanto mai evidente che l' impeto medievale è stato sostituito nelle menti degli alunni dall' idea di "forza d' inerzia", espressione molto infelice che compare così diffusamente da far pensare che essa sia disinvoltamente usata anche in contesti scolastici. Oltre che dalla confusionaria definizione che ne viene data, il concetto d' inerzia è ulteriormente inquinato dalla trattazione di moti rispetto a SR non inerziali, trattazione in cui compaiono le cosiddette forze inerziali, chiamate anche apparenti o fittizie, rafforzando l' idea che forza ed inerzia costituiscano la medesima giustificazione o causa del moto. Come in precedenza, le spiegazioni degli alunni costituiscono l' incontrovertibile testimonianza dei guasti prodotti dal fondamentale fraintendimento riguardante l' inerzia. Quest' idea della forza che deve essere sempre presente per giustificare il moto vale ovviamente anche per il moto circolare, indagato con l' ultima richiesta del test: (z) "la traiettoria sarà leggermente curva e si scaglierà (sic!) verso l' esterno causa la forza centrifuga, sarà curva perché conserverà ancora la spinta del moto curvilineo" (FIG. 8). E' molto interessante l' interpretazione che si può dare di questa ed altre seguenti risposte. Invece che descrivere la situazione dopo il taglio come un ritorno al moto libero, spontaneo e naturale per la rimozione di un vincolo, gli alunni sentono di dover giustificare il moto rettilineo successivo al taglio nella settima domanda come dovuto ad una forza non più equilibrata che infatti, ancora suggerendo l' immagine di un ipotetico tiro alla fune, agisce per molti di loro lungo il raggio si vedano le figure (FIG. 9) provocando, appunto, un moto "centrifugo" nel senso letterale del termine. Gli alunni sono quindi nel linguaggio più rigorosi di buona parte dei testi scolastici. I ragazzi dicono: "spinto dalla forza centrifuga", è un' espressione quanto mai chiara, pare quasi
di vederla, questa forza che "spinge" all' infuori ed allora non è permesso ridere degli alunni che disegnano le figure presentate, perché non l' hanno inventato loro l' infelice termine "forza centrifuga" per denominare qualcosa che in Natura non esiste. "Spiegare" dovrebbe voler dire rendere le cose più semplici, senza alterare la verità. Einstein disse: "Everything should be made as simple as possible, but not simpler", ogni cosa dovrebbe essere spiegata nel modo più semplice possibile, ma non troppo semplice. Ne segue che alterare la verità e per giunta rendere le cose ancora più complicate è il massimo della inefficienza didattica e tale palma spetta senz' altro all' uso delle cosiddette "forze inerziali" nello spiegare la Fisica. Gli alunni infatti scrivono: "Staccandosi il filo, la forza centrifuga prevale su quella centripeta". Dopo due anni di Fisica: "La forza centrifuga è bilanciata dalla forza esercitata dal filo, quando viene tagliato non c' è più niente che si opponga". Ancora: "Il sasso è spinto da una forza centrifuga verso l' esterno "; e: "dopo il taglio è un moto centrifugo". E' fin troppo chiaro che in questo contesto teorico è poi molto difficile spiegare agli alunni la traiettoria tangenziale del corpo libero! Tale ansia di descrivere le situazioni in termini di forze contrastanti fra di loro a coppie è frutto, probabilmente, dell' enfasi data nella scuola dell' obbligo alla statica come approccio fondamentale alla Fisica. E' un errore didattico colossale. Tale approccio è quello che più rafforza l' identificazione quiete assoluta = forze equilibrantesi a coppie e moto assoluto = forze non più equilibrate. Perciò favorisce il permanere del pregiudizio sul moto possibile solo se causato da una forza non equilibrata.
CONSEGUENZE DELL' INTERPRETAZIONE DELLE RISPOSTE.
L' insegnamento estemporaneo della fisica nella scuola dell' obbligo, i messaggi socioculturali, l' esperienza percettiva individuale concorrono, assieme ai meccanismi naturali di funzionamento della mente (De Bono), a generare nei discenti una teoria logicamente coerente ed organica del moto dei corpi, valida per le situazioni più comuni e familiari e molto difficilmente falsificabile. Tale teoria è sostanzialmente identica a quella medievale dell' impeto, ed è condivisa anche dagli adulti colti del nostro tempo. Essa si fonda su due pilastri largamente confermati dalle esperienze percettive:
1) Il moto dei corpi è assoluto (e pertanto non c' è bisogno di un SR o di ricordarsi che c' è un osservatore);2) Il moto ha bisogno di una causa, chiamata forza, per essere giustificato (quindi quando un corpo si muove, non importa come, è perché possiede un' intrinseca forza o spinta che lo sostiene nel moto). Come "contorno" si possono accompagnare alcuni corollari. Quando c' è equilibrio fra forze non c' è moto, così come se non c' è nessuna forza. Durante il moto, le forze si "consumano" nel contrasto con altre forze, generando la quiete supposta assoluta naturalmente quando si esauriscono completamente. Le forze si identificano con le velocità e sono tutte assolute. Più forze agenti in direzioni diverse danno luogo ad una forza "composta" e portano a "moti composti", con confusione completa fra forze e velocità. Tutti devono essere d' accordo su tutto ciò che osservano nei moti, traiettorie e velocità sono assolute, così come la quiete. I postulati epistemologici di questa teorie sono: "Ciò che vedo è ciò che è", abbinato a "Credo solo a ciò che vedo". Naturalmente nessun progresso nella fisica dell' ultimo secolo è avvenuto applicando questi principi. Questa teoria è molto economica e piena di senso comune (che è quello strato di pregiudizi che si deposita nella mente fino ai diciotto anni, come disse Einstein) e quasi infalsificabile perché confortata, oltre che dalla propria annosa esperienza individuale, anche dalle conferme del contesto socioculturale, in cui si generano le stesse osservazioni sul mondo perché identico è il paradigma culturale, cioè lo schema interpretativo, con cui si raccolgono e si classificano i dati. Il risultato di tutto ciò è detto poi essere il frutto dell' "oggettività" del metodo scientifico. Tale teoria è rafforzata dalla coerenza rispetto ad alcuni miti o luoghi comuni molto diffusi anche negli ambienti scientifici. Il primo di essi è che la scienza sia un' impresa tanto più affidabile, quanto più prescinde dal soggetto, dalla soggettività, per occuparsi dell' oggetto (lo fa a tal punto che ha dimenticato che l' osservazione scientifica ha senso solo se riferita al soggetto, che ne costituisce il fondamento e punto di partenza). Nello stesso tempo, e questo è un secondo mito, il soggetto è gratificato dalla circostanza che ciò che lui afferma, stabilisce, misura e descrive è una verità assoluta per tutto l' Universo: la fame di verità assolute è soddisfatta, nel modo peggiore, sin dalle prime misure di laboratorio. Il Laboratorio, infatti, secondo questo moderno mito, è una specie di "sancta santorum": quello che si misura e si stabilisce in esso, con tutti i crismi ed i rigori dell' "oggettività" scientifica, è verità assoluta per tutti gli osservatori dell' Universo. Si pensi solo alla mistificazione del magnetismo,
presentato ancora oggi come un campo assoluto, invece che un semplice effetto relativistico del campo elettrico. E' bene quindi comprendere che il costrutto teorico appena descritto non può essere trattato alla stregua di una concezione infantile ed ingenua, visto che è la concezione posseduta sopravvissuta attraverso i secoli ancora oggi dalla maggior parte delle persone, così come era prima di Galileo e Newton. In ogni epoca culturale la nostra mente è naturalmente portata, da un' esperienza non consapevole dei propri limiti percettivi, a costruirsi una tale teoria del funzionamento del mondo fisico. Non vediamo forse noi tutti i vari oggetti star fermi, a meno che non li si spinga, continuando a farlo se vogliamo mantenere il moto? Una cultura che ancora oggi sottolinea le basi sperimentali della fisica non fa altro che confinare tale scienza alla sua prima infanzia, ignorando le rivoluzioni dell' adolescenza (la relatività) e dell' età adulta (la meccanica ondulatoria), per non parlare del raggiungimento della maturità (le grandi unificazioni); è logico quindi che gli studenti possiedano le teorie della prima infanzia della fisica e che ad esse ritornino in età adulta, dopo l' infarinatura goffa ed ancora prerelativistica ricevuta nella scuola che insegna ancora solo la meccanica newtoniana. Il successo della teoria medievale dell' impeto nella competizione con la meccanica newtoniana è dimostrato non solo dal grafico delle percentuali di risposte errate dopo uno o due anni di studio ed in età adulta, ma in modo ben più eclatante dai disegni degli studenti e degli adulti riportati in questo lavoro. L' approccio didattico tradizionale alla meccanica newtoniana sottovaluta la presenza di teorie consolidate nelle menti dei discenti, quando non le ignora del tutto, credendo di avere a che fare e questo è un altro mito dell' epistemologia induttivista che ha l' effetto di rafforzare il permanere delle vecchie teorie con uno studente modello di scienziato induttivistasperimentale, "tabula rasa" di fronte alla "realtà esterna", scevro e libero da ogni pregiudizio e preconcetto. A tutto ciò si aggiungano le caratteristiche di funzionamento della mente. E' qui adottato il modello di De Bono. In base a tale modello la mente possiede un naturale schematismo conservatore ed è quindi estremamente sensibile alla sequenzialità "giusta" nell' apprendimento. Perciò la mente tende a rafforzare i percorsi di pensiero del passato ed a tralasciare le "novità" contrastanti, se esse non vengono grandemente enfatizzate. Di tutto ciò la didattica tradizionale pare all' oscuro e ne conseguono una serie di errori. Mi riferisco in particolare: (i) alla scarsa o pressoché nulla enfasi che viene posta nella totalità dei libri di testo sul concetto di Sistema di Riferimento
Inerziale (SRI), come unico punto d' inizio di un' osservazione scientifica degna di questo nome; (ii) la scarsa o pressoché nulla enfasi data di conseguenza aulla relatività dei moti, di ciò essendo responsabile anche la scelta di insegnare la meccanica newtoniana nella quale sopravvivono vari elementi della fisica medievale: per Newton lo Spazio ed il Tempo sono ancora assoluti palcoscenici degli eventi, l' inerzia è definita in modo tautologico e connessa strettamente alle forze che sono esse stesse assolute, contribuendo tutto ciò alla confusione fra i concetti di inerzia, forza e velocità. Nella didattica tradizionale, quando non si commette l' errore fatale di cominciare dalla statica e dagli equilibri delle forze, tutta la cinematica dei moti viene svolta senza mai parlare del principio d' inerzia, quindi senza la percezione che la condizione di moto stazionario, oltre che essere relativa, è naturale e spontanea e non ha bisogno di cause per essere giustificata. Quindi, proprio i due principi più in contrasto con le false teorie preesistenti vengono sottovalutati, posposti o addirittura vengono presentati in modo infelice come per esempio nella trattazione dei moti composti tale da rafforzare i pregiudizi sul moto assoluto. Potrebbe sembrare fin troppo banale scoprire che gli studenti imparano poco dai corsi scolastici e che poi quel poco venga anche rapidamente dimenticato. In questo caso però, non si tratta solo di nozioni, ma di atteggiamenti mentali verso il mondo di cui tutti facciamo parte che hanno profonde conseguenze sulle coscienze individuali dei futuri cittadini. In più c' è un forte problema di finalità della scuola, perché questo è un caso in cui gli studenti vengono "disimparati" dalla scuola stessa che fallisce nel suo obiettivo più importante il decondizionamento . Voglio dire che non dovrebbe proprio capitare che gli alunni si facciano delle idee sbagliate sul mondo con la complicità della scuola stessa che poi non è più in grado di produrre una conoscenza corretta e stabile nel tempo. Lo scopo di questo lavoro non si riduce solo alla scoperta che la cultura scientifica diffusa fra la popolazione anche colta è ancora di tipo medievale. Si vuole soprattutto spiegare perché sia logicamente così e nel contempo suggerire in base ad un preciso modello teorico di apprendimento e ad una nuova concezione del sapere fisico nel suo complesso, il modo di superare con successo l' enorme "gap" culturale fra le due culture, quella scientifica e quella umanistica.
CIÒ CHE SI È STABILITO E CIÒ CHE SI SUGGERISCE. 1) Mediante il test che non è una banale richiesta di cosa si ricordi, bensì una richiesta di espressione delle proprie teorie sul funzionamento del mondo si è stabilito che gli studenti "resistono" al tentativo di insegnare loro la meccanica newtoniana, perché possiedono una valida teoria alternativa preesistente (De Bono); si è anche stabilito che adulti colti (laureati in discipline non scientifiche) ragionano sul mondo fisico in termini medievali ed alla stessa stregua dei 1416enni che devono ancora iniziare uno studio scientifico della realtà. Così, mentre la visione scientifica del mondo è andata ben oltre una visione newtoniana, la cultura "non scientifica" della fine del XX° secolo è di stampo prenewtoniano, determinando il "gap" culturale più vasto e profondo di tutta la storia umana. Una lacerazione tale che potremmo definire schizofrenica la società che la vive. 2) Le ragioni della "sconfitta" non sono, come spesso si sente dire per altri contesti, dovute genericamente ad una didattica noiosa, libresca, scolastica, arida, ripetitiva, astratta, ma della mancata consapevolezza che le nuove teorie (che poi sono modestamente solo quelle newtoniane) debbono entrare in competizione nelle menti degli studenti con forti e consolidate teorie precedenti, quelle che potremmo chiamare dell' "impeto assoluto". Mai un progetto didattico è stato elaborato in funzione della necessità di dover distruggere prima i condizionamenti del discente. Tale è invece la nuova esigenza suggerita da questo lavoro. 3) La didattica tradizionale della Fisica obbedisce più o meno consapevolmente ad un vecchio paradigma epistemologico: quello secondo cui il sapere scientifico progredirebbe per accumulo di conoscenze, mattone su mattone, per successivi approfondimenti, con nuove teorie che si dipinge inglobano indolorosamente le vecchie come propri casi particolari e limitati, ma senza crisi e stravolgimenti nella concezione della struttura della Realtà. Tale paradigma viene assunto anche per l' ontogenesi individuale delle conoscenze scientifiche degli alunni, sui quali si immagina comunque di poter aggiungere mattoni su mattoni senza problemi di "innesto" e quindi senza porsi la problematica di eventuali ristrutturazioni radicali del sapere. Una moderna epistemologia è da tempo (Bellone, Chalmers) giunta a conclusioni opposte sul progredire del sapere scientifico: esso avviene tramite crisi e ristrutturazioni profonde, durante le quali i vecchi paradigmi vengono scientemente distrutti e sostituiti "ed il nuovo risulta essere una pura negazione dell' antico" (Bitsakis).
Non si tratta certo di cambiare la formula fisica da usare (si vede scrivere:"... secondo il formalismo relativistico...", come se si trattassa solo di cambiare la forma della formula!), ma, molto più profondamente, di cambiare mentalità sullo Spazio ed il Tempo, per esempio. Una didattica consapevole di ciò deve quindi determinare le strategie utili ad individuare i contorni esatti dei vecchi paradigmi come il test qui presentato per poi procedere alla loro demolizione esplicita, prima di costruire il nuovo paradigma. 4) La didattica tradizionale della Fisica "pensa" l' alunno scienziato secondo il proprio modello di scienziato adulto elaborato all' interno del vecchio paradigma epistemologico dell' induttivismo ingenuo. Ancora oggi la maggior parte dei libri di testo parla della Fisica come della "scienza sperimentale" per antonomasia. Quindi immagina che la moderna ricerca in Fisica agisca sostanzialmente con la stessa metodologia galileiana. Le rivoluzioni metodologiche avviate ancora dai tempi di Maxwell e Bolztmann e proseguite da Einstein e da tutta la Fisica di questo secolo rimangono purtroppo estranee al mondo scolastico. In un prossimo lavoro questi aspetti strettamente epistemologici che influenzano profondamente le scelte didattiche saranno dettagliatamente discussi. Per gli scopi di questo lavoro è sufficiente ricordare che secondo l' induttivismo più o meno ingenuo (e quello scolastico è molto ingenuo) lo scienziato opera come un osservatore obiettivo completamente scevro da pregiudizi e preconcetti (Chalmers, op. cit. pag. 21) e nell' ambito del medesimo paradigma la didattica tradizionale considera l' alunno una specie di "tabula rasa", con una disponibilità totale nei confronti delle formalizzazioni teoriche che gli vengono presentate con anche l' implicita presunzione che nessuna precedente idea prescientifica, proprio perché tale, possa poi competere con le argomentazioni scientifiche. La concezione induttivista della scienza è oggi un programma degenerato (espressione di Lakatos) e come tale abbandonato, ma è ancora quello che informa cioè dà la forma alla didattica della fisica attualmente predominante. In conseguenza di tale errore epistemologico, nessuna particolare enfasi è posta nel confrontarsi, nell' entrare esplicitamente in competizione con le teorie medievali sull' impeto e sul moto assoluto che poggiano su solide basi sperimentali e che proprio per questo sono macroscopicamente errate. 5) E' proprio la mancata enfasi data alla relatività dei moti ed all' importanza fondamentale e di valore cinematico del principio d' inerzia che mette la teoria newtoniana in condizioni di sudditanza rispetto alla forza con cui i principi opposti il moto è assoluto e causato da forze sono affermati nell' esperienza
degli alunni e degli adulti nella vita post scolastica. Ad indebolire ulteriormente l' efficacia didattica ed il potere di convinzione della "nuova" (si fa per dire, perché tale non è la meccanica newtoniana) teoria contribuisce in modo decisivo il mito della "sperimentalità" della scienza fisica, cioè il mito del metodo induttivosperimentale come "il" metodo per eccellenza, con cui avverrebbero le scoperte scientifiche e quindi quello sul quale si deve fondare una didattica della Fisica. Ecco perciò che la didattica tradizionale enfatizza il valore dell' esperienza e dell' osservazione nello stabilire la conoscenza scientifica ed è ironia della sorte! precisamente ciò che fanno gli alunni e gli adulti colti per costruire il loro sistema organico e coerente di un mondo fisico fatto di moti assoluti e causati da forze! Le risultanze del test effettuato costituiscono anche un' esercitazione pratica di epistemologia che verifica la confutazione del valore euristico del metodo induttivista. Esse illustrano la seguente frase:" le proposizioni osservative sono permeate di teoria e quindi fallibili" (Chalmers, op. cit. pag. 45). L' induttivista non è consapevole di ciò, come non lo è dei limiti intrinseci della percezione attraverso i sensi o attraverso gli strumenti, nonché dell' infondatezza logica del principio d' induzione. Si deve essere coscienti del fatto che ai postulati epistemologici del vecchio paradigma si devono sostituire quelli del nuovo pradigma che sostengo: "si vede solo quel che si è preparati a vedere" e che "il peggior scienziato è colui che crede solo a ciò che vede". Tutto ciò spiega splendidamente, fra l' altro, come sei gruppi su sette composti di quattro studenti, dopo quattro ore di lavoro di laboratorio in cui sono stati liberi di organizzarsi secondo le loro idee, hanno concluso che doveva arrivare a terra per prima la pallina caduta da ferma perché: "ha da percorrere meno spazio"! 6) Le risultanze del test suggeriscono fortemente che sia un errore didattico iniziare un approccio formale alla fisica con la Statica, mentre l' essenza della realtà è il perpetuo movimento, dinamismo e mutamento di ogni suo aspetto fenomenico. Ne deriva una resistente confusione fra le idee di forza e velocità, (associate nelle menti degli alunni dalla comune rappresentazione vettoriale) che compromette irrimediabilmente la comprensione dei moti. ugualmente costituisce grave errore didattico introdurre nelle trattazioni dinamiche le forze inerziali per le quali non esiste corrispettivo fisico e che costituiscono un pericoloso rafforzativo omogeneo alla teoria del moto assoluto e "sostenuto dall' impeto". 7) E' questa il più importante suggerimento. Non vi è dubbio che sia necessario ristrutturare dalle fondamenta il curricolo didattico tradizionale della Fisica. Ciò sarà oggetto di un ampio successivo lavoro. Ma un aspetto merita una
prima notevole anticipazione. Abbiamo detto che la competizione con la vecchia teoria deve essere massimamente enfatizzata ed estremizzata per avere speranza di rimpiazzare il vecchio paradigma sui moti assoluti e causati da forze (impeto) con il nuovo paradigma che potremmo chiamare finalmente e totalmente relativistico. Solo con Einstein la meccanica diviene veramente relativistica e "rompe" con la tradizione assolutistica che pervade anche la meccanica newtoniana. E' quindi logico dedurre la necessità di operare "un salto quantico", una specie di "transizione proibita" (solo per la tradizione conservatrice) e passare a presentare una meccanica totalmente relativistica sin dall' inizio, propedeutica ad un' introduzione quanto mai precoce della relatività speciale einsteniana. A fondamento di tale rivoluzione si propone un nuovo ruolo per il principio d' inerzia, che viene "scorporato" dalla dinamica per diventare il primo articolo della Costituzione dell' Universo, cioè la prima legge assoluta, invariante per ogni SRI dell' Universo, da presentare all' inizio dello studio della cinematica con una nuova formulazione non ambigua. La formulazione proposta è la seguente:
"Il Moto è Relativo all' osservatore e, nella sua forma più semplice, che è quella con velocità costante, è assolutamente incausato, cioè spontaneo e naturale".
Questa è la prima legge di Natura assoluta che gli alunni devono imparare. Dovrebbero essere evidenti i vantaggi didattici di tale nuova espressione. Viene posto l' accento sulla relatività del moto sin dal primo approccio allo studio dei moti, soprattutto sul fatto che ciò che sembra essere in quiete, lo è solo perché si trova nel nostro stesso sistema di riferimento, mentre per qualsiasi altro osservatore che identifichi un SRI, cioè un sistema in cui risulta soddisfatto tale principio, quegli stessi oggetti sono in moto rettilineo uniforme e, affrancati da ogni contatto fisico con il SR originale, continuano nel loro moto naturale, moto che gode della completa simmetria temporale, l' unico tipo di moto "stazionario"! In questa formulazione manca ogni riferimento alle forze, sia perché per tutta la descrizione cinematica dei moti non ce n' è bisogno, sia perché sappiamo che tale concetto non è più fondamentale in una visione moderna della disciplina. Ricordiamo che Einstein ha rivoluzionato l' intera fisica su basi puramente cinematiche. Corrispondente deve essere la rivoluzione
della didattica della fisica. Di ciò parleremo diffusamente nel prossimo lavoro, in cui si costruirà il nuovo paradigma di cui al punto 3 di queste conclusioni. 8) E' sin troppo ovvio e banale che si suggerisca di ripetere l' esperienza del test, sia con gruppi di adulti colti, sia con le classi che iniziano l' iter scolastico scientifico, sia con le classi che hanno svolto un solo anno di corso. Il test deve svolgersi secondo le istruzioni riportate nella FIG. 1 che lo rappresenta. 9) La situazione qui delineata dell' insegnamento attuale della fisica potrebbe essere sintetizzata dal seguente aforisma che giustifica il titolo di questo lavoro:" Gli studenti che entrano nelle scuole e gli adulti che ne sono usciti ragionano con la teoria medievale dell' impeto, la scuola insegna la meccanica newtoniana, mentre la Natura funziona con la meccanica relativistica! ". Si ringraziano per la gentile collaborazione le colleghe docenti di Fisica che hanno proposto il test nelle loro classi: Miriam Ronchetti e Annabella Manessier, nello stesso mio Liceo, e Fernanda De Rigo nelle sue due classi al Liceo Classico di Lecco. Si ringraziano altresì i colleghi della mia scuola rimasti anonimi che si sono gentilmente prestati a rispondere allo stesso test somministrato agli studenti.
RODOLFO DAMIANI
BIBLIOGRAFIA.
AA.VV., "Imparare il futuro", settimo rapporto al Club di Roma, Mondadori, Milano 1979BELLONE, E. "Il mondo di carta", Mondadori, Milano 1976BITSAKIS, E. "Basi della fisica moderna", Ed. Dedalo, Bari 1992CHALMERS, A.F. "Che cos' è questa scienza?", Mondadori, Milano 1979DE BONO, E. "Il cervello e il pensiero", Le Scienze, Aprile 1972MC CLOSKEY, M. "Fisica intuitiva", Le Scienze, Giugno 1983