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– tempo biologico e tempo numerico nella scienza
Non appena si stabilisce il contatto di un nuovo essere con il mondo esterno,
i suoi geni attivano un organo, la memoria, appositamente costruito durante
lo sviluppo dell’embrione.
Quest’organo ha funzione di registro degli eventi e come tale, prevede che la
registrazione avvenga mediante trasformazioni irreversibili.
Essa agisce come una cinepresa sempre accesa, che viene orientata
verso il mondo esterno per poter registrare tutto ciò che accade,senza
alcun comando volontario.
Questo organo non rappresenta il tempo, ma crea le condizioni da cui
deriva la consapevolezza della sua esistenza.
Essendo geneticamente previsti una costante ed ininterrotta attività della sua
memoria, la quale ha un funzionamento indipendente dalla sua volontà, risulta
impossibile per un individuo ignorarne la presenza o renderla inattiva anche
per un solo momento.
E’proprio da questa impossibilità che deriva l’inarrestabilità del nostro
tempo, con l’impressione conseguente che esso, pur appartenendoci,
ci sfugga come se fosse da noi indipendente.
Daquanto abbiamo esposto, sembrerebbe proprio che l’esistenza del tempo
debba avere una origine genetica.
Ebbene, nella realtà questo non è rigorosamente vero, in quanto i geni hanno
semplicemente fornito all’individuo un nuovo apparato materiale per dargli
la possibilità di trarre vantaggi, da ogni situazione presente, richiamando la
registrazione degli eventi già vissuti.
Il tempo, come noi lo intendiamo nel linguaggio comune, viene invece
avvertito come una entità affatto materiale, mentre i geni non sono in
grado di organizzare assolutamente nulla che non sia materia e per la
precisione le proteine che essi stessi hanno generato.
Il tempo è dunque una nostra creazione, che deriva unicamente dalla
elaborazione, da parte del cervello, dei dati registrati in memoria.
Esso è, in definitiva, solo pensiero, una pura secrezione del cervello.
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Prendiamo, per esempio, in considerazione il tempo futuro e cerchiamo di
capire se esso rappresenta una realtàoggettiva, valida cioè per tutti gli esseri
viventi, oppure se ha origine come interpretazione dei fatti che si verificano
nell’ambiente in cui essi si muovono.
Dal punto di vista genetico, sappiamo che il genoma esiste, fin dal momento
in cui un essere vivente viene concepito, come sequenza dei numerosi geni
che si dovranno attivare secondo un ordine ben preciso, senza però dover
seguire un vero programma temporale.
Gran parte di essi governa infatti operazioni che si realizzeranno a distanza
di decine oppure centinaia di anni dalla loro formazione.
Questo fatto ci potrebbe portare,erroneamente,alla conclusione che il
genoma sia stato costruito con la previsione di operazioni future.
Ebbene, non è così.
La sequenzialità con la quale vengono realizzate tutte le operazioni è propria
del sistema utilizzato.
Ciascun gene può essere, infatti, abilitato ad intervenire solo dalla presenza,
nell’ambiente, del prodotto fornito dal gene che lo ha preceduto.
Le operazioni che sono scritte nel genoma vengono così eseguite
certamente tutte e nella giusta sequenza, senza fare ricorso al tempo.
Tra una operazione e la successiva può passare un solo secondo oppure un
anno (del tempo misurato dal nostro orologio) a seconda delle condizioni
ambientali che si verificano e questo ci fà escludere l’esistenza di un tempo
futuro definito geneticamente.
Per i geni esiste solo una sequenza di operazioni che è stata predefinita con
tale e tanta precisione da non lasciare spazio al caso o agli imprevisti tipici
del futuro, come normalmente viene avvertito.
Per noi, esseri viventi, esso rappresenta quel periodo in cui si realizzeranno
tutti gli eventi che ciascuno " immagina " di dover vivere, ma che potrebbero
anche non realizzarsi.
Essoè dunque un tempo che noi ci costruiamo attraverso la elaborazione del
ricordo degli eventi passati.
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In altre parole, il futuro, per gli esseri viventi, non è altro che la proiezione del
passato o parte di esso, spesso dopo modifiche, in ambienti e circostanze
immaginarie. Esso non è dunque un tempo reale.
A differenza del passato, non esiste da nessuna parte una immagine
registrata del futuro.
Tuttavia, nel presente esiste il piacere oppure la paura del futuro, a seconda
che si stiano proiettando nel tempo eventi piacevoli o meno del passato.
Sono proprio queste paure che ci fanno apparire il futuro
come parte reale della nostra esistenza.
Il presente si identifica con il tempo in cui si svolgono gli eventi che si
stanno vivendo.
E’ per questa ragione che il presente viene ritenuto l’unico tempo del
quale si avverte realmente l’esistenza.
Vediamo in dettaglio come nasce questa convinzione.
Qualsiasi fatto completo si presenta con una sua durata nel tempo ( misurato
dal nostro orologio ) e quindi comprende un inizio ed una fine.
Quando si percepisce l’inizio, la fine non esiste ancora perchè è nel futuro e,
quando si vive la fine, l’inizio è già nel passato.
Anchese un evento viene interrotto, gli effetti del suo inizio restano comunque
nell’ambiente e costituiscono, a loro volta, degli avvenimenti da registrare.
Queste elementari considerazioni ci portano alla conclusione che non esiste
nessun evento interamente nel presente, per quanto breve noi riusciamo ad
immaginarlo.
In altre parole, il tempo presente sembrerebbe ridotto ad un istante
piccolissimo, incapace di contenere qualsiasi avvenimento completo
e significativo per la nostra esistenza.
Facendo riferimento alla figura 2, vediamo, in maniera molto schematica, un
meccanismo attraverso il quale si può formare la consapevolezza dell’istante
presente.
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Supponiamo che il mondo esterno abbia un suo orologio che misura il tempo
tm e segnala l’istante tm = 0 in cui si verifica l’evento (presente per il mondo
esterno).
Esso viene percepito dagli organi di senso dell’osservatore e trasferito nella
memoria che lo registra dopo averlo codificato.
Quando, dopo un tempo Δt, misurato con l’orologio del mondo esterno, tutte
le operazioni di registrazione sono state completate, l’osservatore acquista
la consapevolezza dell’esistenza dell’evento e lopercepisce nel suo presente
che indichiamo con t0 = 0.
E’ chiaro che lo stesso evento è nel presente per l’osservatore quando per il
mondo esterno è già nel passato in quanto i due tempi differiscono per Δt .
Normalmente tutti i processi biologici necessari per la registrazione vengono
realizzati in un intervallo Δt molto piccolo, dell’ordine di frazioni di secondo,e
questo consente al mondo esterno ed all’osservatore di comunicare tra loro,
confondendo i due presenti, anche se ognuno vive il suo.
Il presente che un essere vivente percepisce non è dunque un tempo
reale, ma costruito su eventi passati del mondo esterno.
Una delle conseguenze di questo fatto è che nessun essere vivente è capace
di modificare il suo presente.
Non solo, ma il presente che noi abbiamo l’impressione di vivere è un tempo
notevolmente dilatato dalla nostra necessità di compiere e valutare azioni ed
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avvenimenti completi e ben precisi, che mettono sempre in relazione stretta
ed inscindibile causa ed effetto.
Per esempio, la caduta di un oggetto è avvertita da un essere vivente come
un fatto unico, con la sua durata tutta al presente, e non è concepibile che si
verifichi, nell’unico tempo presente la sua divisione nelle tre componenti :
distacco dal supporto, fase di caduta e contatto con il suolo, in quanto, nella
normale percezione, causa ed effetto sono indivisibili e non è previsto che un
oggetto in caduta libera abbia la possibilità di fermarsi senza toccare il suolo.
Quando io dico " mangio ", intendo riferirmi ad una precisa azione, completa
e tutta al presente.
La realtàperò non è questa. L’operazione del mangiare si compone dialcune
centinaia di operazioni elementari consecutive, ciascuna delle quali, quando
si verifica, manda nel passato quella che l’ ha preceduta.
Queste osservazioni portano, inevitabilmente, a concludere che nemmeno il
tempo presente è una realtà oggettiva, anche se noi riusciamo a crearlo con
un artificio, confondendolo con il passato più prossimo.
I concetti che sono stati esposti ed in particolare i processi attraverso i quali
si giunge alla coscienza del tempo biologico, si possono rappresentare con
lo schema molto semplificato di figura 3.
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Se le osservazioni che abbiamo fatto finora sono corrette si arriva alla
drammatica e paradossale conclusione che l’unico tempo al quale
si potrebbe dare una base reale di esistenza è il passato,
proprio quello che sensibilità comune ritiene certamente perduto per
sempre e non più recuperabile.
Il passato si rivela dunque l’unico tempo reale e veramente essenziale
per la nostra esistenza e rappresenta la fonteche viene utilizzata dagli
esseri viventi per costruire il presente ed il futuro.
Tra il passato e il futuro s’inserisce il presente, che viene originato e diventa
apprezzabile solo grazie alla lentezza che presentano le strutture biologiche
nel trasferire alla memoria i segnali inviati dal mondo esterno.
L’ultimo segnale riesce a produrre la sensazione del presente proprio
prolungando la sua azione fino al momento in cui giunge in memoria
quello successivo.
Tutte le osservazioni vengono fatte comunque sempre nel presente e dunque
anche la sensazione del tempo che scorre viene acquisita nel presente,
osservando le tracce degli eventipassati che si allontanano man mano
che se ne aggiungono dei nuovi.
La nostra aspettativa di vita e la nostra formazione ci impongono di guardare
comunque sempre verso il futuro e quindi di vedere il tempo scorrere nella
sua direzione.
In realtà il problema è posto in termini non corretti.
Il tempo non ha affatto una sua origine ed una direzione lungo laquale
scorre, sempre nello stesso verso, " realizzando la trasformazione del
futuro in presente ". Questa è solo una percezione.
Secondo il nostro schema, il tempo non ha un inizio, ma una sua "sorgente"
nel presente, che lo genera senza alcun comando volontario, con continuità,
già come tempo passato.
E’ dunque questo l’unico tempo che viene realmente generato e che, per gli
esseri viventi, può solo aumentare, essendo inarrestabile il flusso dei segnali
che giungono alla memoria.
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Finora non abbiamo preso in considerazione che tutte le strutture biologiche
sono in realtà degli aggregati di molecole e come tali non hanno alcuna idea
del "prima " e "dopo ", mentre percepiscono perfettamente il "qua " e " là "
in quanto le forze di legame, attraverso le quali interagiscono, e che stanno
alla base di tutti i processi fisici, agiscono sempre qua oppure là allo stesso
modo ed in qualsiasi momento.
Diventa dunque importante capire se e in che modo queste strutture possano
passare dalla percezione spaziale a quella temporale.
Si deve innanzitutto osservare che la varietà di eventi che possono verificarsi
nell’universo è infinitamente grande, mentre, certamente, la tipologia delle
strutture biologiche che memorizzano tali eventi, negli esseri viventi, è unica
o comunque molto limitata.
Ne deriva che, quando il segnale esterno arriva all’osservatore, dovrà essere
suddiviso necessariamente in poche componenti fondamentali, comuni a tutti
gli eventi possibili .
Questo vuol dire che le componenti sono realtà oggettive, mentre invece gli
eventi, che nascono da una loro elaborazione, sono soggettivi.
Per semplificare il linguaggio, indichiamo come evento elementare ciascuna
componente echiamiamo punto di memoria la singola struttura biologica che
viene da esso modificata irreversibilmente.
Riprendiamo ora il nostro universo, facendo riferimento alla figura 4.
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Supponiamo che il segnale che viene inviato dal mondo esterno siacostituito
da un singolo evento elementare S1 che verrà registrato in un singolo punto
di memoria M1.
Se anche l’universo invia i segnali con continuità, l’osservatore potrà essere
in condizioni di ricevere un nuovo segnale S2 e memorizzarlo nel punto M2
solo quando avrà terminato la memorizzazione in M1 del primo segnale.
Fino a quel momento non avrà possibilità di farlo, perchè le vie metaboliche
sono impegnate.
Dato che la memoria ha ragione di esistere solo se può essere utilizzata, per
una esperienza qualsiasi dovrà essere possibile controllare se si è verificata
prima o dopo un determinato comportamento.
Solo in questo caso sarà possibile modificarlo oportunamente nel presente,
reagendo alla stessa situazione ( oppure ad una analoga ) con una risposta
sempre più conveniente.
Per questo motivo, la scelta del punto di memoria che si dovrà utilizzare per
ogni singolo evento non può essere lasciata all’osservatore, ma deve essere
definita da un processo automatico già previsto geneticamente dal progetto
dell’organismo che dovrà utilizzare la memoria.
Del resto, sappiamo che l’ indipendenza dalla volontà è stata prevista
geneticamente per qualsiasi azione che sia necessaria per assicurare
la continuità della vita.
Se un individuo avesse la possibilità di intervenire nella scelta dei punti di
memoria da utilizzare per la registrazione dei segnali, anche la scelta stessa
sarebbe un evento da registrare e questo renderebbe praticamente difficile,
se non impossibile, la ricostruzione diqualsiasi fenomeno attrverso l’uso della
memoria.
Possiamo, per esempio, immaginare che sia proprio il punto di memoria M1
che, quando viene " occupato ", abilita il punto M2 a ricevere il segnale in
arrivo. Terminata la seconda memorizzazione, M2 abilita M3 e così via.
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In questo modo, il segnale in arrivo andrà certamente ad occupare sempre
l’unico punto abilitato a riceverlo.
Si forma così una sequenza " spaziale " M1, M2, M3, ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ⋅ ecc., che
non dipende da agenti esterni.
A questo punto la memoria risulta perfettamente utilizzabile senza la
necessità di aggiungere altro.
Se si accetta questo meccanismo, diventa facile definire il "prima" e "dopo",
non in termini di tempo, che non è stato ancora definito, ma solo come eventi
osservati.
Possiamo infatti affermare che l’evento registrato nel punto M1accade prima
di quello registrato in M2 che accade dopo, e questo assume un significato
oggettivo, indiscutibile, dal momento che tutti gli osservatori della comunità
locale registrano la stessa sequenza.
Se, a questo punto, vogliamo introdurre la definizione di tempo ( biologico ),
possiamo dire che il punto di memoria che si sta utilizzando per il segnale in
arrivo rappresenta l’istante presente.
Quello che lo precede nello spazio di memoria definisce l’istante passato più
prossimo.
Tra due istanti consecutivi esiste una relazione spaziale precisa e costante,
caratteristica propria dell’osservatore, indipendente dalla posizione che essi
occupano nella memoria.
Per indicare questa relazione costante, diciamo che i due punti di memoria,
e dunque i due segnali registrati, sono separati in memoria da un elemento
di tempo t0 = Δt (ricordiamo che non è un tempo numerico, ma biologico).
E’ chiaro che un fatto completo occuperà un tempo t = n ⋅ t0
dove n dipende dalla sua complessità e dal numero di dettagli registrati.
Possiamo, a questo punto, concludere il discorso dicendo che :
Il tempo è una successione di istanti t0 associati ad altrettanti punti di
memoria che ne costituiscono il supporto materiale, il quale è formato
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da trasformazioni irreversibili indotte dagli eventi vissuti.
Tale supporto ne definisce anche l’esistenza.
Secondo questa definizione, il tempo è in ogni caso indissolubilmente legato
al supporto materiale costituito dalla nostra memoria e l’unico riferimento che
abbiamo per poter collocare nel tempo gli eventi è il punto spaziale occupato.
Gli eventi stessi non esistono come tali, ma rappresentano il risultato di una
interpretazione propria dell’osservatore che egli ottiene decodificando la
sequenza dei punti della memoria che sono stati occupati dall’evento durante
la registrazione .
Nel mondo esterno non esistono i fenomeni ben definiti, ma soltanto i
segnali elementari, per cui, gli esseri viventi che utilizzano un diverso
sistema di memorizzazione e decodifica, visualizzeranno avvenimenti
e mondi completamente differenti tra loro.
Avendo chiarito il significato di tempo biologico, possiamo, a questo punto,
dire che esiste tutto ciò che dura nel tempo, ossia esiste tutto ciò che occupa
almeno un punto di memoria.
Qualsiasi essere vivente, confrontando tra loro gli eventi che si verificano nel
mondo esterno, si rende subito conto che essi hanno una diversa durata nel
suo tempo biologico, nel senso che occupano una quantità di spazio diverso
nella sua memoria.
Se l’individuo considerato vive la sua esistenza senza dover comunicare con
gli altri, non ha alcuna necessità di misurare la durata degli avvenimenti che
registra in memoria, in quanto l’operazione non gli offrirebbe alcun vantaggio
per la sua sopravvivenza.
Se però egli vive in una comunità, la comunicazione gli potrà offrire,
certamente,vantaggi importanti nella definizione delle strategie di lotta
e, più in generale, nella scelta dei comportamenti.
Gli enormi vantaggi che la vita sociale comporta hanno dato agli animali una
grande spinta nel tentare di comunicare per organizzarla.
Vita sociale vuol dire però ordine, disciplina, coordinazione, ecc., tutte
cose che non si possono realizzare senza il supporto di un comune o
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confrontabile tempo biologico.
Purtroppo però, non esiste alcuna possibilità di comunicare agli altri membri
della società la propria durata biologica di un avvenimento e comunque, se
anche ciò fosse possibile, le diverse durate non sarebbero confrontabili tra
loro e quindi risulterebbero di nessuna utilità pratica.
Tutti gli animali, per poter organizzare la vita sociale, hanno dovuto assumere
come riferimento un evento ciclico comune, normalmente il periodo giorno –
notte, noto a tutti i membri della comunità, ed hanno così adattato tutti i loro
ritmi a questa scelta.
Anche l’uomo ha, naturalmente, seguito questa via, attraversando un periodo
iniziale in cui non esisteva un tempo veramente misurabile, ma una notevole
" confusione " tra tempo biologico e cicli del mondo esterno.
L’organizzazione sociale sempre più complessa e le sue capacità analitiche
sempre più sviluppate, hanno portato l’uomo ad abbandonare il legame
con il tempo biologico.
Egli ha così iniziato a confrontare direttamente fra loro i
fenomeni esterni .La durata degli eventi acquistava così, gradualmente, un significato sempre
meno soggettivo per tutti i membri della società.
Un salto di qualità importante è stato fatto quando è stato assunto un
preciso evento di riferimento al quale rapportare tutti gli altri.
Questo voleva dire considerare la durata di tutti fenomeni che si verificavano
nell’ambiente pari a qualsiasi altra caratteristica " misurabile ".
I riferimenti scelti inizialmente, come il susseguirsi del giorno e della notte, si
sono presto rivelati inadeguati e sono stati sostituiti da altri sempre più stabili
e rispondenti ai requisiti richiesti ai campioni di riferimento.
Siha così un tempo che viene espresso dal numero di cicli del fenomeno che
è stato assunto come campione ed indica la "durata oggettiva" di qualsiasi
avvenimento.
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Il tempo "numerico " così introdotto non ha quindi alcuna particolare
caratteristica e nessun privilegio rispetto alle altre grandezze fisiche
come, per esempio, la lunghezza o la massa.
In tutti e tre i casi, gli esseri viventi percepiscono le differenze che giungono
loro dal mondo esterno, ma non riescono a comunicarle ad altri se non dopo
aver scelto per ciascuna di esse un riferimento che consenta di esprimerle
con numeri, i quali rendono oggetive le "misure " rilevate attraverso gli organi
di senso.
Seal pendolo che è stato assunto come riferimentoper la misura della durata
degli avvenimenti viene associata una grandezza che si incrementa di una
unità ad ogni ciclo, essa non esprime nulla di reale oltre alla indicazione
che il pendolo esiste.
Tuttavia, avendo noi assunto tale riferimento per la misura di durata, quando
essa non viene riferita adun avvenimento specifico,possiamo dire che dopo
ogni oscillazione,che comunque avviene, la durata di tutto ciò
che esiste si incrementa di una unità.
Questa grandezza (non riferita ad un fatto specifico), che
comunque si incrementa di una unità ad ogni ciclo, viene
indicata genericamente come " tempo ".
Il tempo che abbiamo definito si incrementa ( ed in questo senso scorre )
indipendentemente dagli eventi che si verificano nell’ambiente.
In definitiva, possiamo riassumere l’analisi che abbiamo fatto, dicendo
che il tempo " biologico " nasce e si sviluppa come caratteristica degli
esseri viventi, utile per la loro sopravvivenza.
Il tempo " numerico ", esterno, è stato, invece, introdotto allo scopo di
rendere oggettiva, dunque utilizzabile, la durata degli avvenimenti che
vengono registrati nella memoria.
Il tempo che non è legato ad alcun fatto specifico, ma che viene comunque
indicato dall’esistenza del pendolo che continua ad oscillare, si può pensare
che indichi l’aumento della durata della vita di tutto ciò che esiste.
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Sinteticamente, diciamo quindi che :
Il tempo non è altro che la grandezza fisica che misura lo spazio della
memoria occupato dagli avvenimenti che si verificano nell’ambiente.
Essendo intimamente legato alla memoria, la quale è, per sua definizione,
indelebile, il tempo non potrà mai diminuire, in quanto lo spazio di memoria
occupato non può che aumentare.
L’ipotesi di tornare indietro nel tempo non ha alcun significato reale e non è
nemmeno possibile in quanto possiamo soltanto aggiungere dei fatti nuovi a
quelli già registrati.
Se un essere vivente adulto si sviluppa ritornando bambino, non si è invertita
la direzione del tempo, ma si è semplicemente aggiunto un nuovo evento al
tempo già trascorso.
Possiamo concludere questa breve indagine sul tempo,dicendo che esso ha
origine con gli esseri viventi ed essi soltanto riescono a dargli un significato.
Va sottolineato che, nonostante l’uomo abbia acquisito oggi una razionalità e
capacità analitiche sorprendenti, sarà forse per la paura della morte, sempre
presente, oppure per la consapevolezza che il ritaglio di tempo che ci è stato
assegnato possa giungere improvvisamente al termine, ma risulta comunque
sempre difficile riuscire a imbrigliare il tempo in un simbolo o in una semplice
formula capaci di descrivere qualcosa che non abbia sempre quell’alone di
mistero con il quale siamo abituati a percepire il tempo.
Anche se lo inseriamo in una formula, come qualsiasi altra grandezza, rimane
sempre qualcosa del tempo che non riusciamo a comprendere a fondo.
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