tecnica urbanistica lezioni
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Tecnica Urbanistica: Il Processo Pianificatorio Lezione 0: Introduzione al corso Utilità della tecnica urbanistica Per l’attività di un progettista:
1. per una ottimale interpretazione dei contesti insediativi
2. per la corretta comprensione dei parametri urbanistici
3. per instaurare e sostenere un rapporto con le Amministrazioni
Per l’attività di consulenza tecnica
1. su incarico di committenti pubblici e privati
2. in relazione a procedimenti giudiziari
Per l’attività di un tecnico di amministrazione pubblica
1. per ogni attività progettuale
2. per la valutazione dei progetti
3. per poter aspirare alla copertura di posti di dirigenza tecnica
Urbanistica:
Una definizione “L’urbanistica è la scienza che studia i fenomeni urbani in tutti i loro aspetti, avendo come proprio
fine la pianificazione del loro sviluppo storico, sia attraverso l’interpretazione, il risanamento, il
riordinamento, l’adattamento funzionale di aggregati urbani già esistenti e la disciplina della loro
crescita, sia attraverso l’eventuale progettazione di nuovi aggregati” Giovanni Astengo
1. Urbanistica in senso stretto, come scienza che studia i fenomeni urbani
Momento di studio e comprensione
2. Una urbanistica mirata alla pianificazione degli aggregati urbani, come tecnica di disciplina
della crescita e della gestione degli insediamenti
Momento di costruzione della città
Antitesi urbano/extra-urbano Cause:
La presenza del limite
L’antitesi antropico/naturale
La città come sede dei problemi insediativi
Eventi:
Il limite si dissolve
L’antropizzazione investe il territorio
I problemi insediativi investono il territorio
Articolazione del corso:
I temi 1. Struttura e articolazione del processo pianificatorio
2. Principi e modelli di geografia urbana
3. Elementi di urbanistica tecnica
4. Esercitazione progettuale
Le lezioni 1. Lezioni: trattazione degli argomenti del Corso
2. Esercitazioni:
Esercizi su temi trattati a lezione
Assegnazione dei temi della esercitazione individuale
Elaborazione guidata dei lavori assegnati
L’esame Una prova orale, cui avranno accesso gli studenti che avranno superato con esito positivo
l’esame delle esercitazioni annuali, precedentemente consegnate
Un esercizio numerico, svolto per scritto, sui temi trattati a lezione
Lezione 1: Il processo pianificatorio in Italia Definizione di Processo Pianificatorio Il processo pianificatorio è il complesso degli atti mediante il quale vengono programmate,
concepite e attuate decisioni riguardanti l’assetto del territorio e le sue trasformazioni.
Fattori della sua macchinosità 1. Esigenza di una gestione democratica del territorio
2. Esigenza della trasparenza del processo in ogni sua fase
3. Esigenza di tutelare i diritti delle comunità locali
4. Esigenza di tutelare i diritti del singolo cittadino
Le sue fasi 1. Programmazione urbanistica
A tempo indeterminato
In ambito sovracomunale
2. Definizione dell’assetto del territorio
A tempo indeterminato
In ambito comunale
3. Attuazione
A tempo determinato
In ambito infracomunale
I suoi strumenti 1. Strumenti direttori (Piani Territoriali Coordinatori)
Validi a tempo indeterminato
2. Strumenti Regolatori
Validi a tempo indeterminato
3. Strumenti Attuativi (Piani Particolareggiati)
Validi a tempo determinato
La sua struttura Legge 1150/1942 1° Fase PTC
2° Fase PF PRG PRGI
3° Fase PP
Lezione 2: Il Piano Regolatore in Italia dalla legge 2359/1865 alla LUN IL PRIMO PIANO REGOLATORE IN ITALIA Il piano regolatore edilizio
o ambito: aree interne alla città esistente
o finalità: risanamento urbanistico
Il piano di Ampliamento
o ambito: aree esterne alla città
o finalità: gestione della crescita urbana
Legge 2359/1865
Caratteristiche Legge 2359/1865 1. È facoltativo
2. È esteso al solo territorio urbano
o Esistente
o O in divenire.
3. è direttamente attuativo
4. Ha durata limitata nel tempo (25 anni)
5. La sua approvazione equivale a dichiarazione di pubblica utilità
Essendo finalizzato all’esproprio delle aree, il piano regolatore:
6. è soggetto a scadenza
7. è dettagliato fino alla scala architettonica
8. ha attuazione diretta
9. ha veste iconica
Lezione 3: Il Piano Regolatore Generale: Finalità e contenuti Il Piano Regolatore della Legge Urbanistica Nazionale
Non più finalizzato all’esproprio del suolo il Piano Regolatore della LUN assume un ruolo centrale nel
processo pianificatorio
1° Fase PTC
2° Fase PF PRG PRGI
3° Fase PP
LUN: Legge 1150 del 10 agosto 1942
Differenze col vecchio Piano Regolatore 1. PRG non è più uno strumento attuativo, ma è uno strumento quadro, che solo eccezionalmente
ha attuazione diretta
2. Non più soggetto a scadenza, il P.R.G. ha validità illimitata nel tempo
3. L’area di pertinenza del PRG copre l’intera estensione del territorio comunale
4. Il P.R.G. è obbligatorio (per i comuni compresi in un apposito elenco)
Finalità 1. Il P.R.G. nasce come strumento di disegno e di controllo della crescita della città
2. A partire dagli anni Settanta, assume la veste di strumento di gestione dell’assetto e dello sviluppo
del territorio
Limiti spaziali Il P.R.G. opera sull’intera estensione del territorio comunale, senza alcuna distinzione riguardo alla
densità insediativa
Cogenza (obbligatorietà) Il P.R.G. è facoltativo, tranne che per i Comuni compresi in un apposito elenco, redatto dal Ministero
dei Lavori Pubblici. (Dal 1971, l’elenco è a cura della Regione)
Validità Il P.R.G. è valido a tempo indeterminato, ovvero fino all’entrata in vigore di un nuovo P.R.G.
Contenuti (art.7) 1. la rete principale delle infrastrutture
2. la zonizzazione del territorio comunale
3. l’indicazione delle aree destinate a spazi di uso pubblico
4. l’indicazione delle aree destinate a fabbricati pubblici
Lezione 4: Il Piano Regolatore Generale: Nozioni ed elementi tecnici Il Piano Regolatore della Legge 1150/1942: i contenuti I contenuti del PRGC sono fissati all’articolo 7:
1. la rete principale delle infrastrutture
2. la zonizzazione del territorio comunale
3. l’indicazione delle aree destinate a spazi di uso pubblico
4. l’indicazione delle aree destinate a fabbricati pubblici
Infrastrutture: una definizione Si dicono infrastrutture gli impianti a rete, ovvero gli impianti che operano un servizio di distribuzione
(del gas, del traffico, dell’acqua,dei liquami, etc) Zonizzazione: una definizione Si dice zonizzazione (o azzonamento, o zoning) la suddivisione di un ambito territoriale in zone, e
l’attribuzione a ogni singola zona di proprie specifiche caratteristiche in ordine alle previsioni
insediative
Una distinzione 1. Zoning funzionale: Suddivisione in zone, con attribuzione ad esse di specifiche caratteristiche in
ordine alla destinazione funzionale
2. Zoning edilizio: Suddivisione in zone, con attribuzione ad esse di specifiche caratteristiche in
ordine ai connotati fisici dei fabbricati
Zoning funzionale
Le classi di destinazione solitamente individuate:
1. Residenze
2. Attività commerciali e direzionali
3. Attività produttive (industriali, artigianali,turistiche e grandi attività commericiali)
Zoning edilizio
1. Zoning qualitativo: Tipologie edilizie
2. Zoning quantitativo: Indici urbanistici
Indici urbanistici
1. Indice di edificabilità territoriale:
Si dice indice di edificabilità territoriale il volume edificabile massimo per unità di
superficie territoriale [mc/mq] (si dice superficie territoriale la superficie complessiva di
un’area del P.R.G. [mq])
2. Indice di edificabilità fondiaria:
si dice indice di edificabilità fondiario il volume edificabile massimo per unità di superficie
fondiaria [mc/mq](si dice superficie fondiaria la superficie complessiva di un’area del
P.R.G ., al netto dell’area destinata alle opere di urbanizzazione [mq])
Opere di Urbanizzazione
Si dicono opere di urbanizzazione le opere finalizzate a:
a. dotare un insediamento di servizi e di attrezzature
b. raccordare un insediamento all’aggregato urbano esistente
Distinzione:
a. si dicono opere di urbanizzazione primaria le opere finalizzate a rendere possibile
l’edificazione del suolo e l’uso degli edifici
(es. Consolidamento del terreno, strade, fognature, parcheggi, impianti di
illuminazione pubblica, verde attrezzato,…)
b. si dicono opere di urbanizzazione secondaria le opere finalizzate a rendere
possibile la vita di quartiere
(es. scuole, centri di quartiere, centri ricreativi per anziani, centri di assistenza
sanitaria, …)
3. Rapporto di copertura:
si dice rapporto di copertura (fondiario o territoriale) il rapporto fra la superficie coperta
di un fabbricato e la superficie (fondiaria o territoriale)[mq/mq o %] (si dice superficie
coperta l’area della proiezione del fabbricato sulla propria verticale [mq] )
4. Densità insediativa
5. Altezza in gronda
6. …
Una questione aperta Lo zoning è un mero strumento tecnico finalizzato alla razionale organizzazione del territorio
OPPURE
Lo zoning è uno strumento politico finalizzato al controllo dello spazio urbano
Lezione 5: Il Piano Regolatore Generale: Elaborati e Procedure La riforma parziale Legge 765/67 Alla metà degli anni ’60, la situazione del territorio nazionale mostra livelli di degrado tali da rendere
urgente un ripensamento del processo pianificatorio. Nella impossibilità di una integrale riscrittura
della legge 1150, viene emanata una sua norma integrativa, una riforma parziale finalizzata a
traghettare il sistema normativo verso la nuova L.U.N. (mai fatta in seguito). Per questa finalità, la
legge 765/1967 viene chiamata Legge Ponte
I punti del problema:
1. Scarsa qualità insediativa
Scarsa dotazione di verde pubblico
Scarsa dotazione di parcheggi
Insufficiente previsione di servizi pubblici
Eccessive densità insediative
2. Insufficiente numero di PRG approvati
Art 17: “In tutti i Comuni, ai fini della formazione degli strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti,
devono essere osservati limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati
(Standard edilizi), nonché rapporti massimi fra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi
e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggi(Standard
urbanistici)”
Ai fini della verifica del rispetto degli standard, il territorio comunale è diviso in 6 zone omogenee: Zona A: centro storico
Edifici e tessuto edilizio di interesse storico e architettonico
Zona B: zona di completamento
Rcf > 1/8 e Ift > 1,5 mc/mq
Zona C: zona di espansione
Rcf < 1/8 o Ift < 1,5 mc/mq
Zona D: zona per insediamenti produttivi
Zona E: zona agricola
Zona F: zona per impianti e attrezzature collettive
Gli standard edilizi Limiti inderogabili, variabili da zona a zona, di:
1. Densità edilizia (If e It)
2. Altezza dei fabbricati
3. Distanza fra i fabbricati
zona istruzione interesse comune verde attrezzato parcheggi totale
A C/2 C/2 C/2 C/2 C/2
B C/2 C/2 C/2 C/2 C/2
C 4,50mq/ab 2,00mq/ab 9,00mq/ab 2,50mq/ab 18mq/ab
D 0 - - - St/10
E - - 0 0 6,00mq/ab
F 1,50mq/ab 1,00mq/ab* 15,00mq/ab** 0 17,50mq/ab
Gli standard urbanistici Legge 765/67 DM 1444/68
*_ attrezzature sanitarie e ospedaliere
**_ parchi pubblici
Al fine di contenere i fenomeni di congestione e scarsa qualità abitativa, viene fissato un limite
inferiore alla volumetria a destinazione residenziale in insediamenti di nuova realizzazione
V = 80 mc/ab. (Abitativo)
V = 80 + 20 =100 mc/ab. (Abitativo + Commerciale)
Ora:
1 abitante ≡ 100 mc
Zoning e zonizzazione omogenea Il PRG contiene quindi al suo interno due forme di azzonamento
La zonizzazione prevista dalla L.U.N.: Finalizzata a specificare la destinazione (funzionale ed
edilizia) di ogni singola porzione del territorio
La zonizzazione prevista dalla legge Ponte: Finalizzata a verificare il rispetto degli standard, il cui
valore varia sul territorio
Gli elaborati 1. Tavola inquadramento regionale scala 1:50.000 - 1:25.000
2. Stralcio di PTC scala 1:25.000
3. Descrizione dello stato di fatto (generale) scala 1:25.000
4. Descrizione dello stato di fatto (particolare) scala 1:50.000 - 1:25.000
vincoli esistenti
edificazione esistente
proprietà demaniali
particolari impianti e infrastrutture
5. Progetto di PRG scala 1:5.000 – 1:10.000
Piano di azzonamento
Piano della viabilità
6. Delimitazione e computo delle aree scala 1:5.000
Destinate alla residenza
Destinate alle attività produttive
Destinate all’uso pubblico
7. Planimetria dei Piani Attuativi scala 1:5.000 – 1:10.000
8. Piano dell’edilizia scolastica DM 18.12.1975 scala 1:10.000
9. Norme Tecniche di Attuazione
Specificazione e dettaglio del piano di azzonamento
Regolamento modi e tempi di attuazione del PRG
Tramite la legenda, sono la chiave di interpretazione del PRG
10. Relazione tecnica illustrativa
Riferimenti:
Agli obiettivi della pianificazione iperscalare
Agli obiettivi dell’Amministrazione
Alla prospettiva temporale e al dimensionamento del piano
Alla metodica redazionale
Alle modalità attuative
11. Stima sommaria dei costi (non c’è ma dovrebbe esserci)
12. Tavola delle zone omogenee scala 1:5.000
13. Tabella di verifica del rispetto degli standard urbanistici
La procedura Legge 1150/1942 1. Adozione da parte del Consiglio Comunale
2. Pubblicazione all’Albo Pretorio e deposito per 30 giorni in segreteria comunale
3. Presentazione osservazioni (30+30 giorni)
4. Recepimento osservazioni da parte del C.C.
a. in caso di accoglimento, modifica il P.R.G
b. in caso di non accoglimento, lo lascia inalterato
5. Trasmissione alla Regione (in origine al Ministero dei Lavori Pubblici)
6. Recepimento da parte della Giunta Regionale (in origine il Ministero dei Lavori Pubblici)
a. non lo approva, motivando il rigetto
b. apporta modifiche sostanziali, e lo ritrasmette al Comune per le opportune correzioni
c. apporta modifiche non sostanziali, lo modifica e lo approva
d. lo approva senza modifiche
7. Pubblicazione della delibera della G.R. sul B.U.R. ed entrata in vigore
Le misure di salvaguardia Fra la data dell’adozione del PRG e quella dell’approvazione trascorre inevitabilmente un lungo
lasso temporale, nel quale le trasformazioni del territorio comunale sono soggette al vecchio PRG,
che resta in vigore fino all’approvazione del nuovo. Al momento in cui finalmente entra in vigore, il
nuovo PRG rischia pertanto di nascere già superato dagli eventi, operando su un assetto territoriale
già trasformato, addirittura in modo contrastante con le sue previsioni.
Il Sindaco ha la facoltà di sospendere ogni determinazione su richieste di licenza edilizia conformi al
PRG vigente ma difformi rispetto al PRG in itinere, per la durata di 5 anni dalla data di adozione
Legge 1150/1942
La facoltà diventa un obbligo Legge 765/67
Le varianti Un PRG resta in vigore a tempo indeterminato, e comunque per una durata normalmente superiore
ai 10-15 anni. Nel corso della validità di un PRG è frequente l’esigenza di introdurre modifiche, anche
significative, alle previsioni in esso comprese, a seguito di fatti imprevisti che modifichino la dinamica
evolutiva degli insediamenti. Ogni significativa trasformazione delle previsioni di un PRG avviene
tramite la redazione di una variante al PRG
La procedura per l’approvazione e l’entrata in vigore di Varianti al PRGC è identica a quella per
l’entrata in vigore del PRGC di origine Legge 1150/1942
Non è più richiesta l’approvazione da parte della Regione, ma la Variante al PRG è adottata,
depositata, osservata e infine approvata da parte del Comune stesso Legge 765/67
Lezione 6: Le Alternative al PRG:Il PRGI ed il PF Le alternative al PRG 1° Fase PTC
2° Fase PF PRG PRGI
3° Fase PP
La L.U.N. introduce due strumenti urbanistici alternativi al PRG: il PRGI ed il PF
Un particolare modello insediativo: La conurbazione Si dice conurbazione un aggregato insediativo che si estende senza soluzione di continuità sul
territorio corrispondente a più nuclei urbani, a formare un continuum urbanizzato indifferente rispetto
al perimetro dei rispettivi confini amministrativi
Problemi:
Coerenza generale della pianificazione dei comuni interessati
Pianificazione delle aree di contatto
Pianificazione del sistema di relazioni
Il Piano Regolatore Generale Intercomunale
Finalità Legge 1150/1942 Il P.R.G.I. è finalizzato a definire l’assetto del territorio e la sua gestione, in relazione alla presenza di
più Comuni contermini, o comunque in presenza di problemi di portata sovracomunale
Limiti spaziali, cogenza, validità Legge 1150/1942 Limiti spaziali: il territorio di più Comuni contermini
Cogenza: Il P.R.G.I. è facoltativo, e la sua redazione deve seguire una espressa autorizzazione dalla
Regione. La Regione può individuare i casi in cui la redazione del P.R.G.I. è obbligatoria.
Validità: Il PRGI è valido a tempo indeterminato
Contenuti Legge 1150/1942 sono gli stessi del P.R.G.C.
1. infrastrutture
2. azzonamento
3. spazi pubblici
4. fabbricati pubblici
Elaborati Legge 1150/1942 sono gli stessi del P.R.G.C.
La procedura Legge 1150/1942 1. La Regione (in origine il Ministero dei Lavori Pubblici) avvia la pratica d’autorità O uno o più
Comuni fanno richiesta alla Regione
2. La Regione stabilisce l’estensione dell’area e incarica un Comune (guida) della redazione del
PRGI
3. Il Comune incaricato elabora il PRGI e lo invia a tutti gli altri Comuni perché lo adottino
4. Il PRGI viene adottato con delibere dai vari CC
5. Pubblicazione all’Albo Pretorio di ogni Comune e deposito per 30 giorni nelle segreterie comunali
6. Presentazione osservazioni (30+30 giorni) presso ogni Comune
7. Recepimento osservazioni da parte del C.C.
in caso di accoglimento, modifica il P.R.G.
in caso di non accoglimento, lo lascia inalterato
8. Trasmissione al Comune incaricato
9. Il Comune recepisce il PRGI e lo trasmette alla Regione (in origine il Ministero dei Lavori Pubblici)
10. Recepimento da parte della Giunta Regionale (in origine il Ministero dei Lavori Pubblici)
non lo approva, motivando il rigetto
apporta modifiche sostanziali, e lo ritrasmette al Comune per le opportune correzioni
apporta modifiche non sostanziali, lo modifica e lo approva
lo approva senza modifiche
11. Pubblicazione sul B.U.R. ed entrata in vigore
Le questioni 1. La questione essenziale: È uno strumento quadro, preliminare alla redazione dei singoli PRGC?
Equivale ad un PRG valido su un territorio macrocomunale, sostitutivo dei singoli PRGC?
2. Una questione procedurale : L’estrema macchinosità del meccanismo di entrata in vigore, che
può essere arrestato da ogni Comune
3. Una questione politica : L’individuazione di un Comune dominante
Il PRGI è uno strumento urbanistico che non corrisponde ad una unità territoriale esistente e definita
dal punto di vista amministrativo; il PRGI si riferisce invece ad un mosaico di enti amministrativi diversi
ed autonomi, non necessariamente concordi sulle scelte previsionali, ciascuno con potere di veto
Il Programma di Fabbricazione
Uno strumento urbanistico di minimo intervento: il Programma di Fabbricazione Nel 1942, il Legislatore non ritenne opportuno rendere il P.R.G. obbligatorio per tutti i Comuni
Ritenne altresì realistico imporre l’obbligatorietà del P.R.G. ai soli comuni p iù importanti, compresi
all’interno di un elenco continuamente aggiornato, ritenendo che ai Comuni minori il solo
Regolamento Edilizio fosse sufficiente ad assicurare un ordinato sviluppo edilizio
All’art. 34, la legge 1150/42 stabilisce che, in assenza di un P.R.G., i Comuni debbano allegare al
P.R.G. un Programma di Fabbricazione
Finalità Legge 1150/1942
1. Ancorare al territorio le norme (astratte e date in modo discorsivo) del Regolamento Edilizio,
assegnando ad esse un riferimento spaziale
2. Assicurare agli abitati un minimo di disciplina edilizia
3. Differenziare spazialmente le tipologie edilizie
Limiti spaziali, cogenza, validità Legge 1150/1942 Limiti spaziali: il territorio del Comune
Cogenza: Il Programma di Fabbricazione è obbligatorio per i Comuni sprovvisti di P.R.G.
Validità: Il Programma di Fabbricazione è valido a tempo indeterminato
Contenuti Legge 1150/1942 1. azzonamento del territorio comunale
2. definizione dei tipi edilizi
Mancano gli elaborati che comportano l’indicazione della previsione di vincolo per spazi o
fabbricati di uso pubblico: per legge, il P.F. non ha titolo per porre vincoli di inedificabilità del suolo
Gli elaborati Legge 1150/1942 1. Tavola inquadramento regionale scala 1:50.000 - 1:25.000
2. Stralcio di PTC scala 1:25.000
3. Descrizione dello stato di fatto (generale) scala 1:25.000
4. Descrizione dello stato di fatto (particolare) scala 1:50.000 - 1:25.000
vincoli esistenti
edificazione esistente
proprietà demaniali
particolari impianti e infrastrutture
5. Piano di azzonamento (funzionale ed edilizio) scala 1:5.000 – 1:10.000
6. Tabella dei tipi edilizi scala 1:500 – 1:200
7. Norme Tecniche di Attuazione
8. Relazione tecnica illustrativa
9. Tavola delle zone omogenee scala 1:5.000
10. Tabella di verifica del rispetto degli standard urbanistici
La procedura Legge 1150/1942 1. Adozione da parte del Consiglio Comunale
2. Trasmissione alla Regione (in origine al Ministero dei Lavori Pubblici)
3. Recepimento da parte della Giunta Regionale (in origine il Ministero dei Lavori Pubblici)
a. non lo approva, motivando il rigetto
b. apporta modifiche sostanziali, e lo ritrasmette al Comune per le opportune correzioni
c. apporta modifiche non sostanziali, lo modifica e lo approva
d. lo approva senza modifiche
4. Pubblicazione della delibera della G.R. sul B.U.R. ed entrata in vigore
I motivi del successo Per la sua snellezza procedurale, il P.F. divenne assai utilizzato dai piccoli Comuni, e spesso adottato
anche dai più grandi, ai quali la LUN non lo precludeva
La legge 765/67 operò una sostanziale equiparazione dei due strumenti, tanto che il P.F. assunse le
caratteristiche di un PRG per piccoli Comuni. Vennero estesi al P.F. l’obbligo delle misure di
salvaguardia ed il rispetto degli standard
A partire dagli anni ‘80, il P.F. venne progressivamente bandito dalle legislazioni regionali, che hanno
imposto l’obbligatorietà del P.R.G. per tutti i Comuni
Il processo pianificatorio oggi Il P.R.G.C., di fatto, resta oggi l’unico strumento regolatore, l’unico strumento cui la legge affida la
funzione di definire l’assetto del territorio
Lezione 7: Il Piano Territoriale di Coordinamento Il piano territoriale di Coordinamento 1° Fase PTC
2° Fase PF PRG PRGI
3° Fase PP
La L.U.N. definisce un unico strumento di programmazione urbanistica, il Piano Territoriale di
Coordinamento Legge 1150/1942
Il P.T.C. è definito dalla L.U.N. libero da un predeterminato orizzonte spaziale
Opportunità di assegnare un ambito territoriale corrispondente ad un ente amministrativo territoriale
Delega alle Regioni del potere pianificatorio (art.117 Cost.) e nascita delle Regioni nel 1971
Il P.T.C. della legge 1150/42 divenne di fatto sinonimo di P.T.R., Piano Territoriale Regionale
Finalità Legge 1150/1942 1. Orientare e indirizzare la pianificazione iposcalare con linee generali di indirizzo
2. Coordinare l’attività pianificatoria degli enti locali, al fine di evitare contrasti e sovrapposizioni
Limiti spaziali, cogenza, validità Legge 1150/1942 Limiti spaziali: Per legge indefiniti, ma di fatto coincidenti con il territorio regionale
Cogenza: Il PTC è facoltativo (non può essere diversamente, in assenza dell’individuazione dell’ente
amministrativo di riferimento)
Validità: Il PTC è valido a tempo indeterminato
Contenuti Legge 1150/1942 1. l’individuazione dei grandi impianti e delle infrastrutture (strade, aeroporti, tracciati ferroviari,
ospedali, …)
2. i grandi obiettivi per gli azzonamenti
residenziale (nuovi insediamenti)
agricolo e forestale (aree di tutela e sviluppo)
paesistico (aree da tutelare e valorizzare)
industriale (aree industr. di int. regionale)
commerciale (grandi centri commerciali)
3. i metodi e le norme di intervento
Gli Elaborati Legge 1150/1942 1. relazione illustrativa dei caratteri fisici, morfologici e ambientali del territorio
2. relazione illustrativa degli obiettivi di sviluppo socio-economico della Regione e delle scelte di
assetto territoriale di supporto
3. progetto di P.T.R. scala 1:50.000 – 1:25.000
4. Norme Tecniche di Attuazione, con particolare riguardo ai criteri metodologici per la formazione
dei piani iposcalari
La Procedura Legge 1150/1942 Nato in assenza di un confine spaziale predeterminato, e quindi senza un ente amministrativo
territoriale di riferimento, il PTC non poteva avere una procedura fissata per legge. Con l’avvento
delle Regioni, a partire dal 1971, ogni regione ha disposto la sua procedura in modo autonomo, sulla
base dei propri ordinamenti.
I Problemi Legge 1150/1942 Il motivo principale viene individuato nell’ente amministrativo chiamato a redigerlo: la Regione :
1. troppo lontana dalle minute realtà comunali per poter recepire le loro istanze e avviare un
efficace rapporto dialettico
2. troppo “generali” le prescrizioni che la Regione può dare perché costituiscano linee di indirizzo
e di orientamento
3. troppo piccola la scala di rappresentazione per poter tradurre graficamente su carta vincoli e
prescrizioni
La Soluzione dei Problemi Legge 142/1990 Questa convinzione aveva fatto emergere un intenso dibattito sulla ricerca della cosiddetta “giusta
base territoriale”, ovvero sulla individuazione del più opportuno ambito territoriale di riferimento per
la programmazione urbanistica.
Nel 1990, la legge 142 risolse la questione: anziché inventare un nuovo ambito di riferimento,
individuò la giusta base territoriale in un ambito corrispondente ad un ente amministrativo esistente
da molto tempo, e da decenni relegato in un ruolo secondaria: la Provincia
Legge 142/1990
Il piano territoriale di Coordinamento Provinciale
Finalità Legge 1150/1942 - Legge 142/1990 1. Orientare e indirizzare la pianificazione iposcalare con linee generali di indirizzo
2. Coordinare l’attività pianificatoria degli enti locali, al fine di evitare contrasti e sovrapposizioni
Limiti spaziali, cogenza, validità Legge 1150/1942 - Legge 142/1990 Limiti spaziali: Il territorio della Provincia
Cogenza: In base alla normativa nazionale il P.T.C.P. è facoltativo; la gran parte delle legislazioni
regionali lo ha tuttavia reso obbligatorio all’interno dei propri confini.
Validità: Il PTCP è valido a tempo indeterminato
Contenuti Legge 1150/1942 - Legge 142/1990 1. l’individuazione dei grandi impianti e delle infrastrutture (strade, aeroporti, tracciati ferroviari,
ospedali, …)
2. i grandi obiettivi per gli azzonamenti
residenziale (nuovi insediamenti)
agricolo e forestale (aree di tutela e sviluppo)
paesistico (aree da tutelare e valorizzare)
industriale (aree industr. di int. regionale)
commerciale (grandi centri commerciali)
3. i metodi e le norme di intervento
Gli Elaborati Legge 1150/1942 - Legge 142/1990 1. relazione illustrativa dei caratteri fisici, morfologici e ambientali del territorio
2. relazione illustrativa degli obiettivi di sviluppo socio-economico della Regione e delle scelte di
assetto territoriale di supporto
3. progetto di P.T.C.P scala 1:50.000 – 1:25.000
4. Norme Tecniche di Attuazione, con particolare riguardo ai criteri metodologici per la formazione
dei piani iposcalari
La Procedura Legge 1150/1942 - Legge 142/1990 La procedura per l’entrata in vigore del P.T.C.P. non è definita dalla 142/90 (legge di natura
amministrativa), ma delegata alle singole legislazioni regionali
Lezione 8: Il Piano Territoriale Paesistico/Paesaggistico Il piano territoriale paesistico In realtà, la legge 1150 trova già esistente uno strumento urbanistico di livello sovracomunale, il Piano
Territoriale Paesistico, introdotto 3 anni prima.
La nuova L.U.N. ignora il P.T.P. e non lo menziona mai:
non lo abroga, lasciandolo in vigore
né lo inserisce in modo organico nel processo pianificatorio che va a disegnare
Il Piano Territoriale Paesistico, quindi, sopravvive alla riforma operata dalla 1150, pur rimanendo
estraneo al corpus dei nuovi strumenti di gestione del territorio.
Legge 1497/1939
l beni tutelati (Art.1) Legge 1497/1939 1. le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale
2. le ville, i giardini e i parchi che si distinguono per la loro “non comune bellezza”
3. i complessi di cose immobili che costituiscono un caratteristico aspetto avente valore estetico e
tradizionale
4. le bellezze panoramiche considerate come “quadri naturali” e quei punti di vista accessibili al
pubblico dai quali si gode lo spettacolo di quelle bellezze
ll vincolo di tutela Legge 1497/1939 Apposizione del vincolo di tutela – Viene compilato un elenco dei beni da tutelare (corrispondenti
a ciascuna delle 4 categorie indicate dalla legge), elenco approvato dal Ministero dell’Ambiente e
della Tutela del Territorio e del Mare (in origine dal Ministero dell’Educazione Nazionale, e
successivamente ad opera di ministeri con diversa denominazione).
Effetti del vincolo di tutela :
1. I proprietari di un immobile compreso negli elenchi dei beni tutelati non possono “distruggerlo,
né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio a quel suo esteriore aspetto” tutelato dalla
legge
2. Ogni intervento dovrà avvenire previo nulla-osta rilasciato dalla Sovrintendenza ai Monumenti
3. I beni di cui alle categorie 3 e 4 diventano oggetto di Piani Territoriali Paesistici
Le finalità Legge 1497/1939 Il P.T.P. è finalizzato alla tutela e alla valorizzazione dei beni paesaggistici e ambientali, così come
questi sono definiti dalla legge 1497/1939, con lo scopo dichiarato di “impedire che le aree di quelle
località siano utilizzate in modo pregiudizievole alla bellezza panoramica”
Limiti spaziali, cogenza, validità Legge 1497/1939 Limiti spaziali: Il territorio corrispondente ai soli beni descritti ai punti 3 e 4 dell’art. 1della legge
1497/1939
Cogenza: Il PTP è facoltativo, ed è redatto dal Ministero dei Beni Culturali e Ambientali ( in origine dal
Ministero dell’Educazione Nazionale)
Validità: Il PTP è valido a tempo indeterminato
I contenuti Legge 1497/1939 Il P.T.P. deve tracciare i lineamenti dell’assetto territoriale, impedendo usi che pregiudichino la
bellezza “panoramica” dei luoghi e dei beni da tutelare. Pertanto, i contenuti di un P.T.P. sono, per
legge, i seguenti:
1. la rete principale delle infrastrutture
2. gli obiettivi generali della zonizzazione del territorio
zone di rispetto
rapporto fra aree libere ed edificabili
3. le norme per i vari tipi di costruzione
4. l’indicazione della distribuzione della flora
Gli elaborati Legge 1497/1939 1. Planimetria dello stato di fatto, in scala variabile in relazione all’estensione dell’area
2. Relazione sullo stato di fatto, con illustrazione delle caratteristiche dei beni da tutelare e dei
problemi connessi a tale necessità
3. Progetto di P.T.P., in scala variabile in relazione all’estensione dell’area
4. Norme Tecniche di Attuazione
5. Programma dei modi, dei tempi e dei costi
La procedura Legge 1497/1939 La legge 1497/1939 non stabilisce una procedura per l’entrata in vigore del Piano Territoriale
Paesistico
Le questioni delle aree tutelate Legge 1497/1939 I 4 punti dell’art.1 prefigurano una descrizione dei beni da tutelare di tipo “cartolinesco”, legato alla
percezione delle immagini della bellezza italiana accreditate dalla tradizione
I beni da tutelare sono individuati sulla base di valutazioni discrezionali e soggettive
La legge prefigura la tutela dell’ambiente e del paesaggio per singoli punti, corrispondenti a
specifici, limitati ambiti territoriali, non tendendo in considerazione la necessità di garantire una tutela
dell’ambiente e del territorio, inteso come sistema organico
Le questioni dello strumento Legge 1497/1939 Il PTP, fin dall’inizio escluso dalla LUN dal processo pianificatorio, rimane estraneo alla concreta
pratica urbanistica: negli anni Settanta viene ormai considerato uno strumento obsoleto ed “estinto”,
da anni privo di applicazioni.
Nel 1985, una legge, la 431 (legge Galasso), di poco successiva alla prima legge sul condono edilizio,
inaspettatamente riscopre il PTP, resuscitandolo dall’oblio e restituendolo, opportunamente
modificato, alla pratica pianificatoria
Legge 431/1985 Legge Galasso
Le modifiche ai contenuti Legge 431/1985 Legge Galasso 1. La tutela ad opera del P.T.P. viene estesa ai beni di cui all’art.1 l. 1497/39 comma 1
2. La tutela ad opera del P.T.P. viene estesa ad un elenco di 11 categorie di immobili, che
divengono salvaguardate e vincolate ope legis
Le 11 categorie tutelate ope legis
1. I territori costieri per una fascia di 300 m dalla linea di battigia
2. I territori contermini ai laghi fino a 300 m dalla linea di battigia
3. I territori contermini ai fiumi fino a 150 m da ciascuna sponda
4. Le montagne oltre i 1600 m (Alpi) o 1200 m (Appennini)
5. I ghiacciai
6. I parchi e le riserve nazionali o regionali
7. I territori coperti da boschi o foreste, ancorché percorsi dal fuoco
8. Le aree assegnate alle università agrarie
9. Le zone umide
10. I vulcani
11. Le zone di interesse archeologico
Le modifiche alla procedura Legge 431/1985 Legge Galasso 1. La redazione del P.T.P. passa dal Ministero alle Regioni
2. Il P.T.P. diviene obbligatorio; in caso di inadempienza della Regione, dopo 3 anni il Ministero
esercita un ruolo sostitutivo
3. al posto del PTP, la Regione può redigere un PTR con specifica considerazione dei problemi
paesaggistici e ambientali
Le questioni irrisolte Legge 431/1985 Legge Galasso Il territorio resta comunque frazionato in un complesso frammentario e non organico di immobili:
1. Beni punti 3 e 4 art.1 L. 1497/39
2. Beni punto 1 art.1 legge 1497/39
3. Beni legge 431/85
La richiesta di un PTR con specifica considerazione dei problemi paesaggistici è pleonastica: un PTR
deve comunque interessarsi ai problemi paesaggistici e ambientali.
Dopo la Legge 142/1990 la specifica considerazione dei problemi paesaggistici è richiesta al P.S.T.
Legge 352/1997
Il Nuovo Testo Unico in materia di beni culturali e ambientali Il Testo Unico, emanato nel 1999 in ossequio alla legge 352/97, raccoglie al suo interno, modificate,
le leggi esistenti in materia di beni culturali e ambientali
Legge 1089/1939
Legge 1497/1939 >> Testo Unico D.L. 490/1999
Legge 431/1985
DL 42/2004
Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (Codice Urbani) Nel 2004 viene emanato il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, che sostituisce il Testo Unico
del 1999, ricomprendendo le leggi preesistenti in materia di beni culturali e ambientali
Il nuovo Codice stabilisce che il patrimonio cultural del Paese è costituito da due componenti
1. I beni culturali L. 1089/1939
2. I beni paesaggistici L. 1497/1939 - L. 431/1985
Il Codice Urbani in materia di beni paesaggistici: i beni tutelati
Il nuovo codice dichiara oggetto di tutela i seguenti beni paesaggistici:
1. I beni individuati ai punti 1, 2, 3 e 4 dell’art. 1 della legge 1497/39
2. I beni individuati ope legis, in quanto ricadenti nelle 11 categorie definite dalla legge 431/85
3. I beni sottoposti a tutela dai Piani Paesaggistici
I piani Paesaggistici
Il Piano Paesaggistico è redatto e approvato dalla Regione, a seguito di intese con il Ministero
Il Piano ripartisce il territorio in ambiti omogenei, in relazione al grado di rilevanza e di integrità dei
valori paesaggistici
Il Piano attribuisce a ciascun ambito specifici obiettivi di qualità paesaggistica
1. Il mantenimento delle caratteristiche morfologiche e tipologiche dei fabbricati
2. La previsione di linee di sviluppo urbanistico
3. Il recupero e la riqualificazione del patrimonio edilizio degradato
Il Codice dei Beni Culturali: alcune novità Con l’introduzione del Piano Paesaggistico, si superano alcuni problemi del Piano Paesistico, e in
particolare:
1. La frammentarietà e la disorganicità del territorio oggetto di pianificazione: non più a macchie
di leopardo, ma definito organicamente in base a caratteristiche di omogeneità
2. I rapporti con la pianificazione degli enti locali, non più segnati dall’incertezza della 431/85 e
della 142/90: province, città metropolitane e comuni devono adeguare ad esso i propri strumenti
Lezione 9: Il Piano Territoriale di Area Metropolitana Gli effetti della legge 142/1990 La legge 142/90 individua nella scala provinciale la nuova base territoriale della pianificazione:
Il Piano Territoriale di Coordinamento diviene PTCP
La Regione viene espropriata del potere pianificatorio, trasferito alle Province
Alla Regione viene lasciato il solo potere programmatorio, da esercitare a mezzo di Programmi di
Sviluppo Territoriale
Viene istituito il Piano Territoriale di Area Metropolitana
La pianificazione degli agglomerati macrocomunali Conurbazione Legge 1150/1942 PRGI
Metropoli Legge 142/1990 PTAM
La metropoli: una definizione Si dice metropoli un insediamento territoriale caratterizzato da alcuni connotati
1. sotto il profilo fisico-morfologico, presenza di un continuum urbanizzato di tipo conurbativo,
ovvero presenza di più nuclei urbani preesistenti e tessuto urbano interstiziale a bassa densità
(città diffusa)
2. sotto il profilo strutturale, presenza di una intensa trama di relazioni fra le parti del tessuto, e
presenza di una città-madre, nucleo di gravitazione, con marcati fenomeni di pendolarismo
3. sotto il profilo funzionale, affermazione e prevalenza di servizi di rango elevato (terziario avanzato
ad alto contenuto tecnologico) sulle attività industriali e terziarie
L’area metropolitana Legge 142/1990 La legge 142 riconosce che il problema della gestione delle aree metropolitane è diverso e
autonomo rispetto al problema delle conurbazioni e al problema della giusta base territoriale
La legge 142/90 inventa un nuovo ente di amministrazione del territorio, corrispondente a tale ambito
territoriale e lo definisce Area Metropolitana
La legge 142 assegna all’Area Metropolitana un proprio strumento di gestione del territorio: il P.T.A.M.
Il Piano Territoriale di area metropolitana
Le finalità Legge 142/1990 Orientare e indirizzare la pianificazione iposcalare con linee generali di indirizzo
Coordinare l’attività pianificatoria degli enti locali, per evitare contrasti e sovrapposizioni
Definire l’assetto del territorio per quanto si riferisce alle questioni di rilevanza sovracomunale che lo
caratterizzano come Area Metropolitana
a. trasporti, infrastrutture e fenomeni di pendolarismo
b. rapporti fra città-madre e nuclei satellite
c. diffusione del tessuto urbanizzato
d. attività di terziario avanzato
Limiti spaziali Legge 142/1990 La legge 142/90 individua 9 aree metropolitane intorno alle città-madri di:
1. Torino
2. Milano
3. Venezia
4. Genova
5. Bologna
6. Firenze
7. Roma
8. Napoli
9. Bari
La Regione ha il compito di individuare e definire i limiti del territorio di ciascuna Area Metropolitana;
il P.T.A.M. avrà vigore all’interno di tale perimetro
La legge consente alle regioni a statuto speciale la possibilità di individuare altre Aree Metropolitane,
oltre alle 9 già stabilite
Vengono così ad aggiungersi le aree metropolitane di
10. Trieste
11. Cagliari
12. Sassari
13. Catania
14. Messina
15. Palermo
Cogenza e validità Legge 142/1990 Cogenza: Per ogni Area Metropolitana il PTAM è obbligatorio
Validità: Il PTAM è valido a tempo indeterminato
Contenuti Legge 142/1990
I contenuti di un P.T.A.M. sono quelli di un P.T.C.P., arricchiti però da alcune spettanze tipiche della
pianificazione comunale su alcune questioni
1. l’individuazione dei grandi impianti e delle infrastrutture
2. i grandi obiettivi per gli azzonamenti
3. gli obiettivi, i metodi e le norme di intervento
La Regione è chiamata a definire i contenuti della pianificazione comunale che si ritiene opportuno
trasferire, caso per caso alle varie Aree Metropolitane, all’interno del proprio P.T.A.M..
La procedura Legge 142/1990 – Legge 42/2009 La procedura per l’istituzione delle città metropolitane e per l’entrata in vigore del P.T.A.M. non è
definita dalla 142/90 (legge di natura amministrativa), ma delegata alle singole legislazioni regionali
La legge 42/2009 ha introdotto una disciplina transitoria che consente, in via facoltativa, una prima
istituzione delle città metropolitane situate nelle regioni a statuto ordinario, alle quali è aggiunta
Reggio Calabria
La proposta di istituzione spetta al comune capoluogo e alla provincia, congiuntamente tra loro o
separatamente
Successivamente si svolge un referendum confermativo, indetto tra tutti i cittadini della provincia
interessata, previo parere della regione
Le province nel cui territorio sono situate le città metropolitane saranno soppresse dopo
l’insediamento degli organi della città metropolitana
I comuni all’esterno potranno scegliere se confluire nella città metropolitana o in un’altra provincia,
contigua alla precedente
Le questioni Legge 142/1990 1. La questione della definizione dei limiti fisici della città metropolitana: la legge 142/90 stabilisce
implicitamente che il territorio dovrà essere più ampio di quello Comunale (altrimenti si perde la
ragion d’essere dell’ente A.M.) ma più ridotti di quelli della Provincia (altrimenti si crea un inutile
doppione della Provincia
2. La questione della definizione dei limiti della parte del potere pianificatorio dei Comuni che si
intende trasferire all’A.M. (ovvero i contenuti del PTAM): la legge 142/90 fissa implicitamente due
limiti, uno inferiore e uno superiore
Le soglie 1. la soglia inferiore : non dovrà essere vanificato il disegno di un ente territoriale intermedio con
poteri rafforzati rispetto alle delle province ordinarie: pertanto, dovranno essere individuate delle
materie di pianificazione comunale in cui la A.M. definirà l’assetto con il PTAM
2. la soglia superiore : non dovrà essere compressa l’autonomia pianificatoria dei singoli Comuni
compresi nel perimetro dell’A.M., tanto da relegarli al ruolo di semplici circoscrizioni: dovranno
pertanto rimanere temi di assetto territoriale che risultano definiti autonomamente dai vari PRGC.
Lezione 10: La normativa regionale: gli strumenti urbanistici in Toscana Dalla normativa nazionale al quadro pianificatorio regionale La Costituzione italiana delega dallo Stato alle Regioni la gestione, la tutela e lo sviluppo del territorio,
affidando ad esse la potestà pianificatoria. In base a tale delega, che è divenuta pienamente
operativa solo a partire dal 1971, rientra fra gli obblighi delle Regioni, oltre a quello di redigere
programmi, piani e progetti relativi all’assetto del territorio di propria competenza, dettare norme,
legiferare in materia urbanistica.
Naturalmente, tali norme non possono essere in contrasto con le corrispondenti norme valide sul
territorio nazionale
Hanno la facoltà di precisare le leggi nazionali, adattandone i contenuti alle specifiche esigenze di
ogni singola regione e alla volontà dei rispettivi abitanti
Ciascuna delle regioni italiane, a partire dal 1971, ha dettato una propria normativa urbanistica che
va a dettagliare e integrare sul proprio territorio le leggi nazionali, e in particolare la legge 1150
A titolo di esempio, e anche per motivi di pertinenza geografica, verrà qui menzionata la normativa
regionale della Toscana, e più in particolare la sua L.U.R., legge n. 5 del 16.1.1995, modificata
dall’attuale legge n. 1/2005
Il processo pianificatorio in Italia e in Toscana: uno schema PST PIT
PTCP PTCP Programmazione
PS
PRG RU Definizione dell’assetto del territorio
PII
Piani Attuativi Attuazione
Gli strumenti di programmazione: il PIT
Legge Regionale Toscana 5/1995
Le finalità 5/1995
Il Piano di Indirizzo Territoriale è l’atto di programmazione mediante il quale la Regione Toscana
definisce gli obiettivi della propria politica territoriale
Limiti spaziali, cogenza, validità 5/1995
Limiti spaziali: Il territorio della Regione Toscana
Cogenza: Il P.I.T. è obbligatorio
Validità: Il P.I.T. è sottoposto a verifica da parte del Consiglio Regionale ogni 3 anni
La procedura 5/1995
1. La Giunta Regionale, ai fini della formazione del P.I.T. elabora un documento preliminare sui
contenuti del P.I.T. e lo trasmette a
il Consiglio Regionale
le Provincie
i Comuni
2. Ogni Provincia, per un esame congiunto del documento preliminare di PIT, convoca una
conferenza di programmazione, cui partecipano
I Comuni
Le comunità Montane
Un rappresentante della GR
3. Entro 120 giorni, il Consiglio Regionale convoca una conferenza di programmazione conclusiva,
cui partecipano le Province
4. Ogni 3 anni il C.R. sottopone il P.I.T. a verifica di attualità
Gli strumenti direttori: il PTCP
Legge Regionale Toscana 5/1995
Le finalità 5/1995
Il P.T.C.P. è lo strumento direttore toscano, in attuazione della legge 142/1990. Le finalità sono
pertanto immutate rispetto a quelle del P.T.C. della LUN
Limiti spaziali, cogenza, validità 5/1995
Limiti spaziali: Il territorio della Provincia
Cogenza: Il PTCP è obbligatorio
Validità: Il Il P.T.C.P. è valido a tempo indeterminato
La procedura 5/1995
1. La Giunta Provinciale, ai fini della formazione del PTCP, convoca una conferenza di
programmazione, cui viene esposto un documento preliminare di PTCP; alla conferenza
partecipano
I Comuni
Le Comunità Montane
Un rappresentante GR
2. al termine di una conferenza di programmazione conclusiva la Provincia redige e il P.T.C.P. e lo
adotta
3. il P.T.C.P. è depositato nella sede della Provincia per 30 gg.
4. entro i 30 giorni successivi, gli enti locali e ogni altro soggetto interessato hanno la facoltà di
presentare osservazioni
5. La Provincia approva il P.T.C.P.
6. Entro 60 giorni dalla conferenza, la G.R., i Comuni e le Comunità Montane trasmettono al
Presidente della Giunta Provinciale pareri e osservazioni sul documento preliminare di P.T.C.P.
Gli strumenti regolatori
Legge Regionale Toscana 5/1995
Il P.R.G. è lo strumento di definizione dell’assetto del territorio secondo la legge 1150/42, e la legge
regionale toscana non può che assumerlo come tale
Tuttavia, in base alla legge 5/95, il P.R.G. è articolato in tre distinti momenti e costituito di fatto da tre
elementi
1. Il Piano Strutturale
2. Il Regolamento Urbanistico
3. Il Programma Integrato di intervento
il Piano Strutturale
Legge Regionale Toscana 5/1995
Le finalità 5/1995
Il Piano Strutturale “definisce le indicazioni strategiche” per il governo del territorio comunale, tramite:
la specificazione dei contenuti specifici del P.T.C.P
l’integrazione di questi con gli indirizzi di sviluppo espressi dalla comunità locale
Cogenza, validità 5/1995
Cogenza: Il PS è obbligatorio
Validità: Il PS è valido a tempo indeterminato
I Contenuti 5/1995
1. la specificazione a livello comunale delle prescrizioni del P.T.C.P.
2. gli obiettivi da perseguire nel governo del territorio comunale
3. Le U.T.O.E.: Unità Territoriali Organiche Elementari
4. la valutazione degli effetti ambientali delle trasformazione previste
La procedura 5/1995
1. Adozione da parte del Consiglio Comunale
2. Pubblicazione all’Albo Pretorio e deposito per 30 giorni in segreteria comunale
3. Presentazione osservazioni (30+30 gg.)
4. Recepimento osservazioni da parte del C.C.
in caso di accoglimento, modifica il P.R.G.
in caso di non accoglimento, lo lascia inalterato
5. Trasmissione alla Provincia
6. Ottenimento del parere di conformità al PTCP e approvazione dal parte del Comune
il Regolamento Urbanistico
Legge Regionale Toscana 5/1995
Le finalità 5/1995
Il Regolamento Urbanistico è lo strumento mediante il quale il Comune disciplina gli insediamenti
esistenti e la realizzazione di quelli previsti sul territorio
Cogenza, validità 5/1995
Cogenza: Il Regolamento Urbanistico è obbligatorio
Validità: Il Regolamento Urbanistico è valido a tempo indeterminato
I Contenuti 5/1995
1. la individuazione del perimetro dei centri abitati
2. la individuazione delle aree, entro tale perimetro, ove è possibile l’edificazione di
completamento o di espansione
3. la individuazione delle aree destinate ad opere di urbanizzazione primaria e secondaria
4. la individuazione delle aree su cui è possibile intervenire con attuazione diretta
5. la determinazione degli interventi consentiti all’esterno dei centri abitati
6. la disciplina per il recupero del patrimonio edilizio esistente
La procedura 5/1995
1. Adozione da parte del Consiglio Comunale
2. Pubblicazione all’Albo Pretorio e deposito per 30 giorni in segreteria comunale
3. Presentazione osservazioni (30+30 gg.)
4. Recepimento osservazioni da parte del C.C.
in caso di accoglimento, modifica il P.R.G.
in caso di non accoglimento, lo lascia inalterato
5. Approvazione da parte del Comune
il Programma Integrativo di Intervento
Legge Regionale Toscana 5/1995
Le finalità 5/1995
Il P.I.I. è lo strumento mediante il quale l’Amministrazione Comunale, in attuazione del P.S., individua
le trasformazioni del territorio da attuare nel periodo corrispondente al proprio mandato
amministrativo
Cogenza, validità 5/1995
Cogenza: Il P.I.I. è facoltativo
Validità: Il P.I.I. è valido a tempo determinato: la sua validità ha termine non oltre 18 mesi dall’entrata
in carica della nuova Giunta Comunale a seguito di nuove elezioni
Le previsioni contenute nel P.I.I. decadono se entro il termine di validità non sono state richieste le
concessioni edilizie, oppure non siano stati approvati i piani attuativi
I Contenuti 5/1995
1. la rete delle vie di comunicazione e degli impianti da realizzare nel periodo di validità del P.I.I.
2. le aree destinate alla riorganizzazione urbana e alla edificazione da sottoporre, nel periodo di
validità del Piano, ai piani attuativi
3. le aree destinate a spazi pubblici (o di uso pubblico) o ad edifici pubblici (o di uso pubblico)
La procedura 5/1995
1. Il Comune, entro 60 giorni dall’insediamento della Giunta, approva un documento
programmatico preliminare di P.I.I., esponendolo al pubblico, ed aprendo un apposito ufficio
2. Nel termine di 90 giorni, gli operatori pubblici e privati che intendono realizzare interventi previsti
dal P.S. nel periodo di validità del P.I.I. presentano proprie proposte, con indicazione degli
immobili interessati, dei tempi e modi di attuazione e dei dati utili ad attestare la fattibilità degli
interventi
3. Entro 6 mesi dalla scadenza, il Comune adotta il P.I.I
4. Il P.I.I. è depositato 30 giorni nella sede comunale; nei 30 giorni e nei successivi 30 chiunque può
presentare osservazioni
5. il Comune, si pronuncia sulle osservazioni e approva il P.I.I.
il PRG in Toscana: un commento Il P.R.G. della legge 1150 è stato così disaggregato, in Toscana, in tre documenti distinti
1. Di questi il primo, il P.S., costituisce l’elemento di raccordo con la pianificazione iperscalare e di
indirizzo della strategia della gestione territoriale
Rispetto alla legislazione nazionale, il P.S. riveste il ruolo del piano-quadro, ovvero della parte di
P.R.G. che si prendeva carico di dettare le linee guida della pianificazione comunale, i suoi
grandi obiettivi, gli indirizzi di sviluppo del territorio
2. Il secondo, il R.U., è quello che maggiormente appare assimilabile al vecchio PRG: contiene in
dettaglio la prescrizione delle destinazioni d’uso del suolo, gli indici urbanistici, le misure di tutela
e di recupero.
3. Il P.I.I. costituisce invece il momento più prettamente politico della pianificazione comunale,
ovvero lo strumento in base al quale la Giunta ha modo di selezionare, fra gli interventi previsti
nel P.S., quelli che sottoscrive, magari avendoli preventivamente inseriti nel proprio programma
elettorale. Il PII è quindi il documento urbanistico della Giunta, quello che rappresenta la propria
strategia rispetto ai problemi dell’assetto territoriale, e del quale la Giunta stessa è pronta a
rispondere davanti agli elettori alla scadenza del proprio mandato
Il processo pianificatorio Toscana: uno schema riepilogativo PIT
PTCP Programmazione
PS
RU Definizione dell’assetto del territorio
PII
Piani Attuativi Attuazione
Il PRG in Toscana: la normativa attuale
Legge Regionale Toscana 5/1995 - Legge Regionale Toscana 1/2005 Nel 2005, la legge regionale toscana n. 5/1995 è stata riformata dalla legge regionale n. 1/2005
Tale legge, nel confermare le linee fondamentali della legge 5 (tanto da essere chiamata super5),
integra in un unico testo di legge la normativa sulla pianificazione urbanistica con quella riguardante
la tutela dell’ambiente e la disciplina degli interventi edilizi
Fra le modifiche che apporta alla legge 5, la legge 1 trasforma il P.I.I. nel Piano Complesso di
Intervento
Lezione 11: L’attuazione del PRG: il Piano Particolareggiato La fase attuativa del processo pianificatorio secondo la LUN 1° Fase PTC
2° Fase PF PRG PRGI
3° Fase PP
L’attuazione delle previsioni di PRG Il Piano Regolatore Generale definisce le previsioni di assetto del territorio, ma non può (se non in
casi eccezionali) essere attuato direttamente, ossia attraverso l’iniziativa dei singoli proprietari dei
terreni interessati
Soltanto laddove le condizioni dell’urbanizzazione (primaria e secondaria) siano già soddisfacenti,
può procedersi all’attuazione diretta del P.R.G.
In tutti gli altri casi (la gran parte delle trasformazioni) occorre invece un ulteriore livello di
pianificazione, in cui svolgono il proprio ruolo gli strumenti attuativi
L’attuazione delle previsioni di PRG: Il Piano Particolareggiato La legge 1150/42, stabilendo questa necessità, ha affidato il ruolo di coprire la fase attuativa ad un
solo strumento; successivamente, le difficoltà da esso incontrate hanno suggerito l’opportunità di
introdurne altri, con l’obiettivo di risolvere i problemi che questo aveva incontrato e sollevato
La legge 1150/42 all’art. 13 stabilisce che le previsioni contenute nel P.R.G. “si attuano a mezzo di
Piani Particolareggiati”
In base alla L.U.N., quindi, il Piano Particolareggiato ha il ruolo di normale strumento di attuazione del
P.R.G.
Legge 1150/1942
Le finalità 1150/1942
Il P.P. è finalizzato a rendere concretamente possibile la realizzazione degli interventi previsti nel
P.R.G.
1. attuare le previsioni del P.R.G.
2. consentire l’esproprio delle aree necessarie alla attuazione delle previsioni di P.R.G.
3. regolare l’attività edificatoria nell’area interessata, con funzione di dettaglio a scala
infracomunale delle previsioni del P.R.G.
Limiti Spaziali, cogenza, validità 1150/1942
Limiti spaziali: Limitate porzioni di territorio costituenti sottoinsiemi del territorio di un Comune
Cogenza: Il P.P. è uno strumento facoltativo; tuttavia la legge prevede che sia lo strumento cui va
fatto ricorso per dare attuazione al piano. In definitiva è lo strumento facoltativo che si è obbligati a
redigere per dare attuazione al P.R.G.
Validità: Il P.P. ha una scadenza prefissata in 10 anni. Trascorsi questi, le sue previsioni perdono ogni
validità. Tuttavia, restano validi a tempo indeterminato i suoi contenuti normativi e regolamentari
riguardanti l’attività edilizia, che essendo di dettaglio e specificazione delle previsioni di P.R.G., ne
diventano parte integrante e integrativa.
I Contenuti 1150/1942
I contenuti di un P.P. sono quelli di un progetto edilizio a scala urbana
1. la rete delle infrastrutture viarie, dalla maglia delle principali, desunte dal P.R.G., fino ai
collegamenti secondari e di penetrazione nel tessuto edilizio
2. la suddivisione del terreno in aree fabbricabili e non fabbricabili, con indicazione della proprietà
(LOTTIZZAZIONE)
3. la suddivisione del terreno edificabile in lotti edificativi, con i relativi indici (LOTTIZZAZIONE)
4. la specificazione di dettaglio delle tipologie edilizie
Elaborati 1150/1942
1. stralcio del P.R.G. vigente con indicazione del perimetro del Piano Particolareggiato (scala
1:5.000)
2. stralcio delle N.T.A. del vigente P.R.G., relative alla zona oggetto del Piano Particolareggiato
3. planimetria della consistenza attuale dell’area oggetto di Piano Particolareggiato (scala 1:1.000-
1:500)
4. progetto di Piano Particolareggiato, redatto su mappa catastale (scala 1:500)
5. tavola della lottizzazione delle aree fabbricabili, con indicazione di superfici e volumi (scala
1:500)
6. Norme Tecniche integrative di Attuazione del P.P.
7. tipologie edilizie e prof. Regolatori (scala 1:500-1:200)
8. elenchi catastali delle proprietà da espropriare, con planimetrie, superfici interessate e redditi
corrispondenti
9. piano finanziario, che
indichi la stima economica delle opere pubbliche e degli espropri da eseguire
attesti la copertura finanziaria dell’operazione
10. relazione tecnica illustrativa sulle metodologie della attuazione del PRG e del loro dettaglio ad
opera del PP
11. tabella di verifica degli standard con allegata planimetria
La procedura 1150/1942
1. Adozione da parte del Consiglio Comunale
2. Pubblicazione all’Albo Pretorio e deposito per 30 giorni in segreteria comunale
3. Presentazione osservazioni (30+30 giorni)
4. Recepimento osservazioni da parte del C.C.
in caso di accoglimento, modifica il P.P.
in caso di non accoglimento, lo lascia inalterato
5. Trasmissione alla Regione (in origine al Ministero dei Lavori Pubblici)
6. Recepimento da parte della Giunta Regionale (in origine al Ministero dei Lavori Pubblici)
non lo approva, motivando il rigetto
apporta modifiche sostanziali, e lo ritrasmette al Comune per le opportune correzioni
apporta modifiche non sostanziali, lo modifica e lo approva
lo approva senza modifiche
7. Pubblicazione della delibera della G.R. sul B.U.R. ed entrata in vigore
Le misure di salvaguardia Anche il P.P. è tutelato durante il suo iter amministrativo dalle misure di salvaguardia
Il Sindaco ha la facoltà di sospendere ogni determinazione su richieste di licenza edilizia difformi
rispetto al PP in itinere, per la durata di 3 anni dalla data di adozione Legge 1902/1952
La facoltà diventa un obbligo Legge 765/67
Le questioni 1. La legge detta l’obbligo di redigere e allegare al P.P. un piano finanziario: la difficoltà a garantire
la copertura finanziaria per gli interventi si traduce nell’impossibilità a redigere Piani
Particolareggiati
2. La procedura per l’entrata in vigore del P.P. è assai macchinosa, del tutto analoga alla
procedura di entrata in vigore del P.R.G.
3. L’acquisizione dei terreni da parte del Comune, preliminare alla realizzazione del P.P., avviene di
norma con l’esproprio, procedura lunga e onerosa
Le soluzioni 1. La soluzione della questione amministrativa Legge 765/67
L’obbligo di allegare un piano finanziario viene trasformato nel più tenue obbligo di allegare una
relazione sommaria di stima, con un piano di massima delle spese che il P.P. comporterà
2. La soluzione della questione procedurale Legge 47/85
Si elimina il passaggio del P.P. adottato dal Comune alla Regione, stabilendo che sia il Comune
a deliberarne infine l’approvazione
3. La soluzione della questione economica
???
La situazione attuale
1. Obbligo di procedere alla attuazione dei P.R.G. a mezzo di piani attuativi
2. Estrema difficoltà dei Comuni nel redigere P.P.
Necessità di inventare e introdurre nel processo pianificatorio altri, e diversi, strumenti urbanistici,
di fatto sostitutivi del P.P. in alcuni, specifici settori
Tali strumenti non avrebbero avuto ragion d’essere, qualora lo strumento ideato dalla 1150 per
tutti i casi possibili (il P.P.) si fosse rivelato efficace e concretamente utilizzabile
Oggi, il P.P. resta presente nella normativa e nel processo pianificatorio, ma di fatto relegato al
ruolo di strumento eccezionale, cui si fa ricorso raramente
Lezione 12: La questione dell’esproprio in Italia Le difficoltà nella fase di attuazione del PRG Abbiamo in precedenza trattato delle difficoltà concrete incontrate nella fase attuativa del
processo pianificatorio, e abbiamo visto come queste difficoltà abbiano gravato sul P.P.,
ostacolandone la utilizzazione. Al momento di concretizzare le previsione a livello infracomunale il
Piano Particolareggiato non funziona a causa di alcuni problemi.
Ai problemi amministrativi e procedurali hanno dato risposta la legge 765/67 e la 47/85
I problemi economici restano ancora irrisolti, legati alla onerosità dell’acquisizione del terreno
La questione dell’esproprio ancora oggi costituisce l’ostacolo alla attuazione del PRG
La difficoltà dei Comuni ad acquisire i terreni rende necessario ricorrere alla delega ai privati per
l’attuazione delle previsioni di PRG, tramite il P.L.(?ancora non si sa cos’è?)
Qualora tali previsioni non presentino sufficienti attese di remuneratività la delega non si concretizza,
e resta al Comune il compito di realizzare gli interventi
Per tutti questi interventi, si rende comunque necessario acquisire preventivamente i terreni
Per tutti questi interventi, l’esproprio resta il nodo irrisolto della gestione pubblica del processo
pianificatorio
La prima normativa sull’esproprio: la legge 2359/1865 Legge 2359/1865 Con questa legge viene introdotto il Piano Regolatore proprio per consentire l’esproprio, lo Stato
appena formato ha necessità di beni immobili per trasformare le città.
La prima legge che detta norme sull’esproprio è la prima legge urbanistica nazionale, la 2359/1865.
Si può dire che la regolamentazione dell’esproprio costituisce la finalità essenziale della legge, nella
quale altri argomenti (ad es., il Piano Regolatore) hanno importanza secondaria.
La regolamentazione dello stesso Piano Regolatore è finalizzata ad assicurare la possibilità di
espropriare i terreni per la trasformazione della città.
La procedura per l’esproprio è articolata in base alla legge nelle seguenti fasi
1. l’ottenimento della dichiarazione di pubblica utilità delle opere per cui si richiede l’esproprio:
l’ente pubblico può espropriare un immobile purchè la finalità sia la realizzazione di un’opera
utile alla collettività intera.
2. l’ottenimento della approvazione
del piano particolareggiato di esecuzione dei lavori da eseguire:
vero e proprio progetto riguardante l’opera (non proprio lo strumento urbanistico)
del piano particellare dei beni da espropriare
3. la determinazione dell’indennità da versare al proprietario:
la cosiddetta indennità di esproprio, è il punto più delicato.
4. l’ottenimento del decreto di espropriazione degli immobili:
viene emanato un provvedimento che cambia la proprietà del bene.
La dichiarazione di pubblica utilità La procedura per l’esproprio di immobili può essere avviata per opere di cui sia stata accertata, e
dichiarata, la pubblica utilità. Ottenimento della dichiarazione di pubblica utilità:
1. presentazione della domanda, con allegati
la natura e lo scopo delle opere da eseguire
la spesa presunta con il piano finanziario
il termine temporale previsto per l’ultimazione dei lavori
2. Pubblicazione della domanda all’albo comunale e deposito per 15 giorni, per consentire la
presentazione di osservazioni
3. Rilascio della dichiarazione di pubblica utilità da parte del Prefetto, contenente i termini di inizio
e fine dei lavori
Oltre che richiesta e ottenuta secondo tale procedura, la dichiarazione di pubblica utilità può anche
essere:
1. espressa per legge: quando, nei casi di grandi opere, le leggi che ne dispongono l’esecuzione
ne dichiarino espressamente la pubblica utilità
2. implicita: quando la legge che dispone l’esecuzione dei lavori, senza menzionare direttamente
la pubblica utilità, autorizza l’esproprio di beni privati
In questi casi, la approvazione del progetto assume valore ed efficacia di dichiarazione di pubblica
utilità
L’accertamento dei beni da espropriare Per procedere all’esproprio per l’esecuzione di un’opera di pubblica utilità, va accertata la
consistenza dei beni da espropriare:
1. Presentazione al Prefetto dei seguenti elaborati (già muniti di approvazione)
Piano Particolare (o Particolareggiato) di Esecuzione, consistente in un piano esecutivo
che consenta l’identificazione dei beni da espropriare
Piano Particellare di tali beni, con l’indicazione delle superfici, dei dati catastali e dei
proprietari
2. Pubblicazione e deposito degli elaborati per 15 gg. presso la segreteria del Comune per
accogliere eventuali osservazioni
3. Il Prefetto, dopo essersi pronunciato sulle eventuali osservazioni, emana l’ordine di esecuzione
del piano particolareggiato.
L’indennità di esproprio L’accertamento e il versamento dell’indennità di esproprio costituiscono il momento più delicato e
foriero di contrasti
1. Al momento della richiesta, l’espropriante compila un elenco in cui risultano, accanto alle singole
proprietà (e ai proprietari) anche i rispettivi prezzi offerti per l’acquisizione dei beni.
2. Entro 15 giorni dal deposito, i proprietari interessati e il Sindaco possono concordare
amichevolmente l’ammontare dell’indennità.
3. Scaduto il termine, il Comune trasmette al Prefetto l’elenco di proprietari che hanno accettato
l’indennità offerta.
4. Il Prefetto trasmette al Tribunale l’elenco dei proprietari che, invece, non hanno accettato
l’indennità offerta.
5. Il Tribunale, nei 3 giorni seguenti, nomina uno o tre periti per procedere alla stima dei beni da
espropriare. Si assume come criterio di stima “il giusto prezzo che l’immobile avrebbe in una
libera contrattazione di compravendita” (prezzo di mercato o valore venale)
Il decreto di esproprio Il decreto di esproprio costituisce la fase conclusiva della procedura di acquisizione forzosa di un
immobile
1. Il Tribunale trasmette al Prefetto la relazione di stima dei periti
2. Il Prefetto ordina all’ente espropriante di depositare presso la Cassa Depositi e Prestiti gli importi
risultanti dalla perizia
3. Il Prefetto pronuncia il decreto di espropriazione e autorizza l’occupazione dei beni
4. L’ente espropriante notifica ai proprietari espropriati il decreto
5. I proprietari, nei 30 giorni seguenti, possono presentare opposizioni contro la stima dei periti; in
questo caso, si ritorna in Tribunale
6. Trascorsi 30 giorni senza opposizioni, l’importo dell’indennità resta fissato come dalla stima
peritale
L’esproprio: casi particolari – L’esproprio parziale In alcuni casi si rende necessario procedere alla acquisizione forzosa di una sola parte di un immobile
In questi casi, si parla di esproprio parziale
L’indennità stabilita dai periti dovrà essere pari alla differenza fra il giusto prezzo che l’immobile
avrebbe spuntato prima dell’esproprio e quello che invece risulterebbe dopo la parziale
espropriazione
L’indennità di esproprio risarcisce il proprietario della diminuzione del valore venale dell’immobile a
seguito dell’esproprio
L’esproprio: casi particolari – L’occupazione provvisoria
1. L’occupazione provvisoria di un immobile, per agevolare l’esecuzione di opere pubbliche, può
verificarsi in due casi, ed è dichiarata dal Prefetto su richiesta degli interessati
2. per agevolare l’esecuzione di un opera già dichiarata di pubblica utilità
3. quando ricorrono particolari motivi di urgenza, che non consentono l’attesa di un decreto di
esproprio
In entrambi i casi, l’indennità è stabilita per legge in misura pari alla perdita di rendita del bene per
il periodo dell’occupazione
L’esproprio: casi particolari – Il contributo di miglioria Con il “contributo di miglioria” l’ente pubblico aveva la facoltà di imporre ai proprietari di immobili
contigui a un’opera di p.u. il pagamento di un contributo, pari alla metà del maggior valore risultante
ai propri beni a seguito dell’esecuzione dell’opera
Il contributo di miglioria ha lo scopo di perequare benefici ed oneri per i cittadini
Un’opera pubblica inevitabilmente reca vantaggi e comporta costi; con il contributo di miglioria si
dà facoltà di chiedere ai cittadini che risultino particolarmente beneficiati dall’opera il pagamento
di un contributo superiore a quello chiesto a tutti gli altri
I problemi Uno dei problemi maggiori della prima normativa sull’esproprio sia rappresentato dalla estrema
macchinosità procedurale e dalla conseguente lentezza dell’iter di esproprio
Qualora un proprietario interessato da una procedura di esproprio non si ritenga soddisfatto dell’
offerta, né adeguatamente compensato dall’indennità stimata dai periti, la possibilità che egli
mantiene di ricorrere nuovamente al Tribunale mediante le opposizioni pone a rischio la possibilità
di condurre in porto l’acquisizione del bene in tempi accettabili per l’esecuzione di un opera
pubblica
L’esproprio: La legge di Napoli Legge 2892/1885 I problemi di lentezza procedurale dell’iter dell’esproprio emersero con drammaticità alla metà degli
anni ’80 a Napoli
A Napoli devastanti e ripetute epidemie di colera resero urgente un intervento di risanamento
igienico del centro storico, le cui condizioni di degrado erano state riconosciute cause del flagello
L’intervento richiedeva la preventiva acquisizione degli immobili al Comune
A Napoli, nel centro storico, alcuni elementi contingenti rendevano particolarmente difficile
procedere speditamente all’esproprio degli immobili in ossequio alla legge 2359/1865
Gli alloggi, particolarmente degradati, erano infatti caratterizzati da un valore venale talmente
modesto che i proprietari avrebbero ostacolato con dinieghi e opposizioni ogni tentativo di
acquisizione forzosa
Si rese quindi necessario predisporre per il caso del risanamento del centro storico di Napoli una
legge speciale, al fine di convincere alla cessione degli immobili i proprietari più riottosi
La legge 2892/1885 per il caso del centro storico di Napoli (da allora meglio nota come “legge di
Napoli”) verteva su un escamotage
1. Gli immobili da espropriare, pur vecchi e degradati, a causa della penuria di alloggi spuntavano
sul mercato degli affitti valori anche elevati, garantendo buone rendite ai proprietari
2. La 2892/1885 stabiliva l’indennità di esproprio pari alla media fra il valore venale degli immobili e
il coacervo dei fitti dell’ultimo decennio
3. Tale nuovo criterio avrebbe pertanto elevato il valore di stima dell’indennità di esproprio,
scoraggiando i ricorsi avverso le procedure di esproprio e abbreviandone i tempi
La legge di Napoli fuori Napoli Se la legge 2892/1885 dette a Napoli i risultati sperati, se ne decise l’applicazione in tutta Italia per
motivi diametralmente opposti a quelli che ne avevano determinato l’emanazione
La gran parte delle procedure di esproprio riguardava, nel XX secolo, la acquisizione di terreni non
urbanizzati, in vista dell’opera di infrastrutturazione e di sviluppo del Paese
In questo caso, il problema che rendeva ardua ogni procedura di esproprio era l’onerosità
dell’operazione, connessa all’elevato valore venale dei terreni
I terreni non urbanizzati, di valore venale relativamente elevato, presentavano fitti molto modesti:
l’estensione al loro caso della legge 2892/1885 avrebbe abbattuto l’importo dell’indennità fino a
quote accettabili per l’ente espropriante
Ciò determinò così la progressiva sostituzione del criterio della 2359/1865 basato sul solo valore
venale con quello introdotto a fine Ottocento per Napoli, sfruttato questa volta per l’esito favorevole
che garantiva economicamente alle amministrazioni esproprianti
Legge 429/1907 : Esproprio di terreni per la realizzazione di linee ferroviarie
Legge 302/1939 : Esproprio di terreni per la realizzazione di impianti sportivi
Legge 645/1954 : Esproprio di terreni per la realizzazione di impianti scolastici
Legge 904/1965 : Esproprio di terreni per la realizzazione di Piani di Zona
La riforma dell’esproprio del 1971 Legge 865/1971 Nel 1971 la legge 865 (“legge per la casa”) riforma la procedura di esproprio degli immobili,
innovando in particolare le disposizioni riguardanti la stima dell’indennità
aree esterne ai centri abitati : l’indennità è stabilita in base al VAM, valore agricolo medio
corrispondente al tipo di coltura in atto nell’area da espropriare
aree interne ai centri abitati : l’indennità è stabilita in base al VAR, valore agricolo della coltura più
redditizia, fra quelle che, nella regione agraria ove ricade il terreno, coprono una superficie superiore
al 5 % dell’area
Il VAR Il portato della legge 865 va ben al di là del semplice artificio contabile, che comunque consente
alle casse pubbliche consistenti risparmi, e quindi in sostanza la diffusa utilizzazione dell’esproprio. Si
riconosce che la rendita di un terreno risulta dalla somma di due componenti
1. una quota parte “naturale”, la rendita agricola
2. una quota “artificiale”, la rendita differenziale, dipendente dalla destinazione urbanistica che la
collettività gli assegna
In area urbanizzata il secondo termine è di norma largamente prevalente rispetto al primo
Si stabilisce che è connaturata al terreno la rendita agricola, cui è connesso il suo “valore naturale”,
mentre la rendita differenziale non è data dalla posizione del terreno, dalle sue qualità o dal l’opera
del proprietario, ma dall’attività della collettività
dagli investimenti in opere di urbanizzazione
dalle specifiche scelte localizzative
Si stabilisce che, in caso di esproprio, spetti al proprietario il riconoscimento di un valore commisurato
alla sola rendita naturale, e quindi deprivato della quota addizionale di valore venale derivante al
terreno dalla attività della collettività
Per determinare l’indennità di stima all’interno del perimetro dei centri abitati, il V.A.R. deve essere
moltiplicato per un coefficiente k
Entro il centro storico
comuni con pop. < 100.000 ab. : 2<k<4
comuni con pop. > 100.000 ab. : 4<k<5
Fuori dal centro storico
comuni con pop. < 100.000 ab. : 1<k<2
comuni con pop. > 100.000 ab. : 2<k<2,5
La legge 865 intende con il VAR eliminare le rendite parassitarie, di cui la proprietà fondiaria
beneficia a spese della collettività
La misura di tale decurtazione viene mitigata , grazie al coefficiente k, nelle aree urbane nelle quali
si presume che l’uso effettivamente agricolo dei terreni sia più remoto, ovvero nelle città più grandi
e in particolare all’interno dei loro centri storici
La cancellazione Legge 865/1971 C.Cost n°5/80 Nel 1980, la Corte Costituzionale stabilì con la sentenza n° 5 la illegittimità del criterio per la
determinazione dell’indennità di esproprio fissata dalla legge 865/71 per i terreni compresi entro il
perimetro dei centri abitati
Motivazione addotta era la incongruenza fra l’ammontare di tale indennità e l’entità del danno
subito dall’espropriato, non misurabile in termini di valore agricolo dei terreni
Il diritto di proprietà, riconosciuto dalla Costituzione, non può essere leso pagando una indennità
dall’importo “non congruo”, perché irrisorio rispetto al valore venale del bene
A seguito di tale pronunciamento, il criterio per la determinazione dell’indennità di esproprio in Italia
si trovò sdoppiato
fuori dai centri abitati: restava valido il criterio ancorato al V.A.M., in base alla legge 865/71
entro i centri abitati : si tornava al criterio stabilito dalla antica legge di Napoli
L’indennità di esproprio: la legge Amato Legge 359/1992 DPR 327/2001 Il criterio sulla determinazione dell’indennità stabilito dalla legge 359/1992 (legge Amato) è recepito
all’interno del Testo Unico sull’esproprio, contenuto nel DPR 327/2001
Per le aree agricole e per quelle non edificabili: resta valido il criterio ancorato al V.A.M., in base alla
legge 865/71
Per le aree edificabili : se il soggetto espropriato accetta la cessione volontaria del bene (e può farlo
in ogni fase del procedimento espropriativo), non si applica l’abbattimento del 40 %
La sentenza della Corte Costituzionale n°348/2007 Nel 2007 la Corte Costituzionale emette una ulteriore sentenza, la n° 348, che ancora una volta
sconvolge la normativa sull’esproprio
Viene sancita l’incostituzionalità del criterio per la determinazione dell’indennità di esproprio dei
terreni edificabili, contenuto nella legge 359/1992 (e quindi nel DPR 327/2001)
Per tali aree, si torna ad una situazione di vuoto normativo, e quindi all’esigenza di una nuova legge
L’indennità di esproprio: il nuovo Testo Unico Legge 244/2007 C.Cost. n°348/07 La legge 244/2007 sistema nuovamente la materia dell’esproprio, modificando il T.U. al suo art. 37
(aree edificabili)
Per le aree agricole e per quelle non edificabili : resta valido il criterio ancorato al V.A.M., in base
alla legge 865/71
Per le aree edificabili : se il soggetto espropriato accetta la cessione volontaria del bene, si applica
un incremento del 10 %
L’indennità di esproprio:le questioni Questo si riflette sul processo pianificatorio, traducendosi nella difficoltà a realizzare i piani attuativi
di iniziativa pubblica, ovvero quelli che non presentano per il privato attese di fruttuosità economica
e per cui il Comune non ha modo di beneficiare dell’apporto collaborativo dei privati
Lezione 13: L’attuazione del PRG: il Piano di Lottizzazione L’attuazione del PRG senza PP Il ricorso al P.P., previsto dalla L.U.N. come regola, per vari motivi si è trasformato in una prassi
infrequente. Secondo quale prassi allora si affronta la trasformazione del territorio urbano, in
un’epoca storica, l’ultimo dopoguerra, caratterizzata da una espansione urbana senza precedenti?
E’ uno strumento che la 1150 in effetti non prevedeva ma che venne “inventato” dalla prassi sulla
base di un sostanziale equivoco contenuto nella 1150: si tratta del Piano di Lottizzazione.
La lottizzazione nella LUN Il termine “lottizzazione”, come già si è visto, era contenuto nella 1150: Suddivisione del terreno
edificabile in singole parcelle, non ulteriormente scomponibili, dette “lotti”.
La lottizzazione era prevista dalla L.U.N. come operazione da effettuarsi all’interno del P.P., e
finalizzata ad assicurare una razionale utilizzazione del suolo. Tuttavia la L.U.N. non conteneva un
esplicito divieto di lottizzazione in assenza di P.P. (o addirittura di P.R.G.)
Situazione dell’immediato dopoguerra 1. forte pressione espansiva della città, con elevata domanda abitativa
2. assenza diffusa di P.R.G. vigenti
3. difficoltà, in presenza di P.R.G. vigenti, ad allestire Piani Particolareggiati
4. mancanza del divieto di lottizzazione in assenza di P.P.
La lottizzazione diviene il normale strumento di espansione della città utilizzato dall’imprenditoria
edilizia per assecondare il processo di urbanizzazione delle aree contermini alle città esistenti.
I problemi 1. Assenza di P.R.G. vigenti
2. Mancanza di coordinamento delle iniziative
Assenza di controllo della collettività sugli interventi
3. Realizzazione di sole destinazioni residenziali, prive di servizi pubblici
Scarsa qualità insediativa
4. Onerosità della successiva realizzazione delle opere di urbanizzazione
Problemi economici per la collettività: profitti privati, oneri collettivi
Il problema della periferia italiana negli anni ‘50 e ‘60, gli anni del boom economico del dopoguerra.
La soluzione dei guasti della lottizzazione: la legge Ponte Legge 765/67 Obiettivi:
1. migliorare la qualità insediativa delle aree di nuovo sviluppo delle città
Introduzione degli standard
2. risolvere i problema della carenza di P.R.G
3. evitare i problemi causati dalla realizzazione di lottizzazioni in assenza di P.R.G.
Divieto di procedere alla lottizzazione in assenza di P.R.G. o di P.F.
Dalla lottizzazione al PL: gli effetti della legge Ponte 1. Introduzione degli standard
2. Divieto di procedere alla lottizzazione in assenza di P.R.G. o di P.F.
l’obbligo per i Comuni a darsi un P.R.G. , pena la sostanziale atrofia dell’attività edilizia
la sostanziale equiparazione fra P.R.G. e P.F.
la regolarizzazione del Piano di Lottizzazione come strumento urbanistico attuativo, equiparato ad
un P.P. di iniziativa privata.
La legge Ponte e il nuovo processo pianificatorio PRG
PL PP
Il Piano di Lottizzazione viene affiancato al Piano Particolareggiato come strumento di attuazione del
PRG
Il Comune delega i privati ad attuare le proprie previsioni urbanistiche, purché rispettino determinate
condizioni
Il Piano di Lottizzazione: Legge 1150/1942 Legge 765/67
Le finalità
1. Attuare le previsioni del P.R.G.
2. Regolare l’attività edificatoria nell’area interessata, con funzione di dettaglio delle previsioni del
P.R.G.
Il P.L. non ha invece la terza finalità del P.P. (ovvero il consentire l’espropriazione delle aree), mentre
in più ne ha una essenziale:
3. Consentire la realizzazione delle opere di urbanizzazione a corredo degli interventi, in anticipo
rispetto ad essi e senza costi aggiuntivi per la collettività.
Limiti spaziali e cogenza
Limiti spaziali: Limitate porzioni di territorio costituenti sottoinsiemi del territorio di un Comune
Cogenza: Il Piano di Lottizzazione è uno strumento facoltativo
Validità
Il P.L. ha una scadenza prefissata in 10 anni. Trascorsi questi, le sue previsioni perdono ogni validità.
Tuttavia, restano validi a tempo indeterminato i suoi contenuti normativi e regolamentari riguardanti
l’attività edilizia, che essendo di dettaglio e specificazione delle previsioni di P.R.G., ne diventano
parte integrante e integrativa.
Contenuti I contenuti di un P.L. sono analoghi a quelli di un Piano Particolareggiato
1. la rete delle infrastrutture viarie, dalla maglia delle principali, desunte dal P.R.G., fino ai
collegamenti secondari e di penetrazione nel tessuto edilizio
2. la suddivisione del terreno in aree fabbricabili e non fabbricabili, con indicazione della proprietà
3. la suddivisione del terreno edificabile in lotti edificativi, con relativi indici
4. la specificazione di dettaglio delle tipologie edilizie
Gli Elaborati 1. stralcio del P.R.G. vigente con indicazione del perimetro del Piano di Lottizzazione (scala 1:5000)
2. stralcio delle N.T.A. del vigente P.R.G., relative alla zona oggetto del Piano di Lottizzazione
3. planimetria della consistenza attuale dell’area oggetto di Piano di Lottizzazione (scala 1:1000 –
1:500)
4. progetto di Piano di Lottizzazione, redatto su mappa catastale (scala 1:500)
5. tavola della lottizzazione delle aree fabbricabili, con indicazione di superfici e volumi (scala
1:500)
6. Norme Tecniche integrative di Attuazione del P.L.
7. tipologie edilizie e profili regolatori (scala 1:500 – 1:200)
8. elenchi catastali delle proprietà interessate
9. relazione tecnica illustrativa sulle metodologie della attuazione del PRG e del loro dettaglio ad
opera del PL
10. tabella di verifica degli standard con allegata planimetria
11. schema di convenzione fra Comune e lottizzante
Rispetto al PP:
1. Il P.L. manca di un piano parcellare di esproprio delle aree comprese negli elenchi catastali: i
terreni sono e restano di proprietà privata
2. Il P.L. manca di un piano finanziario: i privati non devono rendere conto alla collettività dei costi
e dei profitti dell’operazione
3. Il P.L. ha in più uno schema di convenzione: la convenzione è infatti il documento che regola i
rapporti fra pubblico e privato
L’elaborato tipico del PL: lo schema di convenzione
Sottoscrivendo la convenzione, il lottizzante:
1. Si impegna a realizzare le opere previste nel P.L. nel rispetto di predeterminate scadenze
temporali, e comunque entro dieci anni
2. Fornisce al Comune congrue garanzie finanziarie per gli obblighi derivanti dalla
Convenzione, attraverso la presentazione di una fideiussione bancaria per l’importo degli
oneri relativi
3. Si impegna a sollevare il Comune dagli oneri connessi alla realizzazione delle opere di
urbanizzazione.
Il Piano di Lottizzazione: le opere di urbanizzazione
1. cedere gratuitamente al Comune le aree necessarie per la realizzazione delle opere di
urbanizzazione primaria.
2. cedere gratuitamente al Comune parte delle aree necessarie per la realizzazione delle
opere di urbanizzazione secondaria
3. realizzare a proprie spese le opere di urbanizzazione primaria, o pagare gli oneri
corrispondenti
4. realizzare a proprie spese parte delle opere di urbanizzazione secondaria, o pagare gli
oneri corrispondenti
La Procedura
1. Il proprietario presenta al Comune la domanda di autorizzazione alla Lottizzazione, allegando:
il progetto di Piano di Lottizzazione
lo schema di convenzione fra Comune e lottizzante
2. Autorizzazione e adozione da parte del C.C.
3. Pubblicazione all’Albo Pretorio e deposito per 30 giorni in segreteria comunale
4. Presentazione osservazioni (30+30 giorni)
5. Recepimento osservazioni da parte del C.C.
in caso di accoglimento, modifica il P.L
in caso di non accoglimento, lo lascia inalterato
6. Trasmissione alla Regione*
7. Recepimento da parte della Giunta Regionale*
non lo approva, motivando il rigetto
apporta modifiche sostanziali, e lo ritrasmette al Comune per le opportune correzioni
apporta modifiche non sostanziali, lo modifica e lo approva
lo approva senza modifiche
8. Pubblicazione della delibera della G.R. sul B.U.R. ed entrata in vigore.
Con la Legge 47/85 anche l’iter del P.L. si conclude in Comune, senza necessità di trasmissione alla
Regione. Anche il P.L. è tutelato durante il suo iter amministrativo (al massimo per 3 anni) dalle misure
di salvaguardia. Il P.L. entra in vigore. I lavori di realizzazione dovranno aver termine entro una data
prestabilita (comunque mai superiore ai dieci anni), e comunque prima del certificato di abitabilità
dei singoli edifici.
Le Questioni Con il P.L. si aprì un nuovo tipo di rapporto fra Comune e singolo proprietario, che sembra risolvere il
problema della attuazione del PRG: il Comune, anziché realizzare direttamente tale fase, la delega
ai privati, stabilendone peraltro le modalità. Tuttavia, resta evidente che una tale procedura di
coinvolgimento del privato risulta praticabile nel caso della attuazione di interventi che presentino
attese di remuneratività per l’operatore, tali cioè da indurlo alla collaborazione con il Comune: in
particolare, insediamenti residenziali e commerciali. Restano pertanto esclusi da tale novero, in
sostanza, tutti gli interventi urbanistici finalizzati alla realizzazione di insediamenti che non risulteranno
appetibili sul mercato della produzione edilizia, in quanto privi di remuneratività
Lezione 14: L’attuazione del PRG: il Piano di Zona
L’attuazione del PRG senza PP PRG
PL PP ?
Al Piano Particolareggiato viene affiancato, come strumento di attuazione del PRG, il Piano di
Lottizzazione. Tale strumento tuttavia non è utilizzabile per interventi che non presentino attese di
remunerazione economica.
L’attuazione del PRG senza PP: L’edilizia sociale Fra gli interventi deprivati di prospettive di remuneratività (e quindi esclusi dalla possibilità di utilizzo
del P.L.) sono, inevitabilmente, sono gli interventi di realizzazione di edilizia sociale
Questa, destinata alle fasce sociali più deboli, deve infatti essere messa sul mercato a prezzo
calmierato; in altre parole, per rendere gli alloggi disponibili per classi sociali non abbienti, il loro
prezzo è politico, ovvero è stabilito esogenamente, fuori dalle regole di mercato, legate alla
domanda e all’offerta di abitazioni.
Per questi motivi, la realizzazione dell’edilizia economica e popolare resta a carico dell’ente
pubblico, che non trova un partner privato cui delegare l’iniziativa; e lo strumento di cui l’ente
pubblico dispone resta il P.P., segnato peraltro dalle note caratteristiche problematiche
Per questo motivo, agli inizi degli anni Sessanta si rese necessario creare un altro strumento,
appositamente elaborato per l’attuazione delle previsioni di P.R.G. in sostituzione del Piano
Particolareggiato relativamente all’edilizia economica e popolare.
La vicenda dell’edilizia economica e popolare in Italia Il problema della casa per le classi a basso reddito, nato in Gran Bretagna agli inizi dell’Ottocento,
si pone in concreto in Italia alla fine del secolo scorso, in relazione al fenomeno dell’urbanesimo nelle
grandi città del Nord
Legge 254/1903 (legge Luttazzi) Istituzione degli I.C.P. (poi I.A.C.P. poi A.T.E.R. poi Edilizia
Provinciale)
RD 1165/1938 Stabilisce la differenza fra edilizia economica e edilizia popolare
L’immediato dopoguerra è caratterizzato dalla esplosione demografica delle città e da una
elevatissima disoccupazione.
Legge 43/1949 (legge Fanfani) realizzare alloggi a basso costo, destinati alla locazione e al riscatto per lavoratori dipendenti
incentivare l’occupazione, tramite l’utilizzazione di manodopera nella realizzazione dei fabbricati
La sezione immobiliare dell’Istituto Nazionale delle Assicurazioni (I.N.A.) viene incaricata di gestire e
distribuire agli IACP i fondi per la realizzazione delle case, drenati con trattenute in busta paga.
Nasce l’INA-Casa, che per due settennati governa il problema dell’edilizia economica e popolare
in Italia
Caratteristiche degli interventi INA-Casa:
1. devono predisporre edifici a costo contenuto
2. devono rispettare determinati standard costruttivi
3. operano in deroga alle previsioni di P.R.G.
Contengono i costi, acquistando terreni poco costosi:
1. terreni collocati in posizione periferica
2. terreni collocati in posizione penalizzata
3. terreni non destinati dai PRG alla edificazione
Realizzazione tipica INA-Casa è il “quartiere autosufficiente”, realizzato in posizione marginale
nell’illusione della autonomia, e destinato a rimanere un ghetto sociale, con sola destinazione
abitativa per classi deboli.
Problemi:
1. Aree di insediamento periferiche
2. Scelte insediative difformi rispetto al P.R.G.
Nel 1962 la legge 167 mette mano a questi problemi, istituendo un apposito strumento di attuazione
del PRG per gli insediamenti di edilizia sociale: il Piano di Zona.
Legge 167/1962
La legge 167/1962, il cui titolo è “Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per
l’edilizia economica e popolare”, ha due finalità dichiarate
1. reperire, nell’ambito delle previsioni degli strumenti urbanistici, le aree per l’edilizia economica e
popolare
2. acquisire queste aree ad un prezzo equo, ovvero non gravato da plusvalori legati
all’urbanizzazione o alla destinazioni d’uso
A tale scopo, la L. 167 istituisce il Piano di Zona.
Un nuovo strumento di attuazione del PRG: il Piano di Zona Legge 167/1962
PRG
PL PP PZ
Il Piano di Zona si affianca al Piano Particolareggiato come strumento di attuazione del PRG per
quanto riguarda le sole previsioni di edilizia economica e popolare
Le finalità
1. attuare le previsioni del P.R.G. per quanto riguarda gli insediamenti di edilizia economica e
popolare
2. regolare l’attività edificatoria nell’area interessata, con funzione di dettaglio delle previsioni del
P.R.G.
3. consentire l’espropriazione delle aree necessarie alla attuazione delle previsioni di P.R.G.
Limiti Spaziali Limitate porzioni di territorio costituenti sottoinsiemi del territorio di un Comune. La dimensione di un
P.Z. non è pertanto prefissata per legge. Tuttavia, la legge prevede che il dimensionamento delle
previsioni di edilizia economica e popolare (da affidare a P.Z.) rispetti limiti predeterminati:
Legge 167/1962 dimensionamento commisurato alle esigenze dell’edilizia economica e
popolare e al suo prevedibile sviluppo
Legge 865/1971 dimensionamento non superiore al 60 % del fabbisogno complessivo di edilizia
abitativa
Legge 10/1977 dimensionamento compreso fra il 40 % e il 70 % del fabbisogno abitativo
complessivo
Cogenza
In base all’art. 1, sono obbligati alla formare un P.Z.:
1. i Comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti
2. i Comuni capoluogo di Provincia
3. i Comuni che la Regione inserisce in un apposito elenco, in quanto:
hanno un elevato indice di affollamento
sono limitrofi a quelli obbligati ope legis
hanno forte (> 8 %) presenza di abitazioni malsane
hanno almeno 20.000 abitanti
sono riconosciuti come stazioni turistiche
hanno in atto un incremento demografico straordinario
Per tutti gli altri Comuni, il P.Z. è facoltativo
Validità
La legge 167 prevedeva l’efficacia dei P.Z. per una durata di 10 anni, portata a 15 anni dalla legge
865/71 e a 18 anni dalla 457/78, durata valida attualmente.
Tuttavia, restano validi a tempo indeterminato i suoi contenuti normativi e regolamentari riguardanti
l’attività edilizia, che essendo di dettaglio e specificazione delle previsioni di P.R.G., ne diventano
parte integrante e integrativa
Contenuti I contenuti di un P.Z. sono analoghi a quelli di un Piano Particolareggiato
1. la rete delle infrastrutture viarie, dalla maglia delle principali, desunte dal PRG, fino ai
collegamenti secondari e di penetrazione nel tessuto edilizio.
2. la suddivisione del terreno in aree fabbricabili e non fabbricabili, con indicazione della proprietà
3. la suddivisione del terreno edificabile in lotti edificativi, con relativi indici (2+3=lottizzazione)
4. la specificazione di dettaglio delle tipologie edilizie
Gli Elaborati 1. stralcio del P.R.G. vigente con indicazione del perimetro del Piano di Zona (scala 1:5000)
2. stralcio delle N.T.A. del vigente P.R.G., relative alla zona oggetto del Piano di Zona
3. planimetria della consistenza attuale dell’area oggetto di Piano di Zona (1:1000 – 1:500)
4. progetto di Piano di Zona, redatto su mappa catastale (scala 1:500)
5. tavola della lottizzazione delle aree fabbricabili, con indicazione di superfici e volumi (scala
1:500)
6. Norme Tecniche integrative di Attuazione del P.Z.
7. tipologie edilizie e profili regolatori (scala 1:500 – 1:200)
8. elenchi catastali delle proprietà da espropriare, con planimetrie, superfici interessate e redditi
corrispondenti
9. relazione sommaria di spesa
10. relazione tecnica illustrativa sulle metodologie della attuazione del PRG e del loro dettaglio ad
opera del PZ
11. tabella di verifica degli standard con allegata planimetria
La Procedura
1. Adozione da parte del Consiglio Comunale
2. Pubblicazione all’Albo Pretorio e deposito per 10giorni in segreteria comunale
3. Presentazione osservazioni (10+20giorni)
4. Recepimento osservazioni da parte del C.C.
in caso di accoglimento, modifica il P.P
in caso di non accoglimento, lo lascia inalterato
5. Trasmissione alla Regione*
6. Recepimento da parte della Giunta Regionale*
non lo approva, motivando il rigetto
apporta modifiche sostanziali, e lo ritrasmette al Comune per le opportune correzioni
apporta modifiche non sostanziali, lo modifica e lo approva
lo approva senza modifiche
7. Pubblicazione della delibera della G.R. sul B.U.R. ed entrata in vigore.
Con la Legge 47/85 anche l’iter del P.Z. si conclude in Comune, senza necessità di trasmissione alla
Regione. Anche il P.Z. è tutelato durante il suo iter amministrativo (al massimo per 3 anni) dalle misure
di salvaguardia.
L’Attuazione
1. Acquisizione dei terreni, di norma mediante esproprio (più spesso tramite cessione bonaria)
2. Realizzazione da parte dell’ente pubblico delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria
3. Cessione delle aree:
in proprietà, per una volumetria compresa fra il 20% e il 40%
in diritto di superficie, per una volumetria compresa fra il 60 e l’80%
La cessione in diritto di superficie agli enti pubblici per la realizzazione di impianti e servizi è a
tempo indeterminato.
La cessione in diritto di superficie ha durata compresa fra 60 e 99 anni, in tutti gli altri casi.
La cessione dei terreni: terreni in diritto di superficie
Alla concessione, deliberata dal C.C., è allegata una convenzione che stabilisce:
il costo della concessione
le caratteristiche costruttive e tipologiche degli edifici da realizzare
i termini di inizio e di ultimazione degli edifici
i criteri per la determinazione e la revisione periodica del canone di locazione, o del prezzo
di vendita
i criteri per la determinazione del corrispettivo, in caso di rinnovo della concessione
La cessione dei terreni: terreni in proprietà
All’atto di cessione delle aree, vendute a soggetti cui la legge consenta l’assegnazione di alloggi
di edilizia economica e popolare, è allegata una convenzione che stabilisce:
il prezzo di vendita, pari al costo di acquisizione, maggiorato degli oneri di urbanizzazione
le caratteristiche costruttive e tipologiche degli edifici da realizzare
i termini di inizio e di ultimazione degli edifici
L’alloggio posto su area ceduta in proprietà non può essere alienato per 10 anni dalla data del
rilascio della abitabilità.
L’alloggio posto su area ceduta in proprietà solo dopo 20 anni dalla abitabilità può essere
venduto a chiunque
Le Questioni Il conseguimento degli obiettivi della legge 167/62 dipende dal grado in cui le Amministrazioni hanno
inteso, nella propria discrezionalità, sfruttarne le potenzialità:
1. all’atto della redazione del PRG, nel dimensionamento del fabbisogno abitativo da soddisfare
tramite P.Z.
2. in fase attuativa con il dimensionamento delle aree cedute in proprietà e in diritto di superficie
3. ma soprattutto con la scelta della localizzazione del P.Z. rispetto all’aggregato urbano e alle
altre scelte insediative
L’Esito
In alcuni casi, i Piani di Zona hanno costituito l’elemento più importante dell’intero strumento
urbanistico generale, sia per la dimensione che per la localizzazione, determinando la realizzazione
di quartieri di edilizia economica e popolare vasti e ben integrati nella città, in posizione di
accettabile pregio. Riferimento d’obbligo è il caso di Bologna, il cui PZ nel 1965 è localizzato
all’interno del centro storico, costituendo l’occasione per la sua riqualificazione.
In altri casi, le amministrazioni hanno scelto una via diversa, dimensionando l’edilizia popolare al
minimo consentito dalla legge, ma soprattutto mantenendo la consuetudine storica di una sua
localizzazione in aree decentrate e penalizzate sul mercato fondiario. In questi casi l’esito
dell’applicazione del P.Z. può definirsi fallimentare rispetto agli obiettivi della legge 167.
Lezione 15: L’attuazione del PRG: il Piano degli Insediamenti Produttivi Le zone industriali in Italia prima della 1150 Una “zona industriale”, secondo la comune accezione del termine, è una porzione di territorio
destinata ad accogliere attività produttive, nel rispetto delle previsioni e delle norme di uno
strumento urbanistico. Fino alla 1150, in Italia non esistevano strumenti idonei alla istituzione di zone
industriali: né, infatti, il Piano di Ampliamento, né, tanto meno, il P.R.E. della 2359/1865 contenevano
disposizioni su temi del genere.
Nel corso della prima metà del XX secolo, una discreta quantità di zone industriali venne realizzata
sulla base di due possibilità diverse:
sulla base di Piani Regolatori redatti in rispondenza di altrettante “leggi speciali” (ben 62 dal
1928 al 1941)
sulla base di “piani speciali” delle zone industriali: 16 dal 1900 al 1950 (Napoli, Bolzano, Porto
Marghera,…)
Questi interventi avevano carattere episodico: erano finalizzati a consentire la localizzazione di
impianti industriali nella adiacenza di alcune aree urbane, ed erano per lo più connessi alle intenzioni
delle grandi aziende che manifestavano la volontà di insediarsi in ambito urbano; aziende con cui
le amministrazioni in genere concordavano le modalità del loro insediamento sul territorio.
Le zone industriali in Italia con l’emanazione della 1150 Con l’introduzione del principio dello zoning, la L.U.N. stabilisce che in sede di formazione di PRG
debbano essere individuate le aree da destinare all’insediamento di attività produttive. La
realizzazione di tali previsioni dovrà avvenire a seguito della predisposizione di Piani Particolareggiati.
Nel 1967, la legge Ponte perimetra le aree interessate dalla previsione di insediamento di attività
produttive come una particolare zona omogenea, la D, assoggettandole a specifici standard edilizi
e urbanistici.
Per la bassa redditività unitaria delle attività produttive, il differenziale fra il valore del terreno come
suolo agricolo e il valore risultante dalla destinazione ad impianti industriali e artigianali resta
inevitabilmente basso. Nella difficoltà di redigere P.P., ciò rendeva poco remunerativa la
realizzazione di aree industriali, e quindi improbabile la collaborazione degli operatori privati a mezzo
di P.L., e quindi difficile procedere ad una urbanizzazione delle aree razionale e non onerosa per la
collettività.
Un nuovo strumento di attuazione del PRG: il Piano degli Insediamenti Produttivi
Legge 865/71 (Legge per la casa) PRG
PL PP PZ PIP
1. modesta remunerabilità degli insediamenti produttivi
2. difficoltà a redigere P.P.
La legge 865/71 (legge “per la casa”) introduce per tale destinazione uno specifico piano
attuativo: il P.I.P.
Le Finalità
1. attuare le previsioni del P.R.G. per quanto riguarda gli insediamenti di attività produttive
2. regolare l’attività edificatoria nell’area interessata
3. consentire l’espropriazione delle aree necessarie alla attuazione delle previsioni di P.R.G.
Due finalità particolari:
garantire la disponibilità a basso costo di aree per insediamenti produttivi
promuovere per tali insediamenti una organica pianificazione attuativa
Limiti spaziali e validità
Limiti spaziali: Limitate porzioni di territorio costituenti sottoinsiemi del territorio di un Comune. La
dimensione di un P.I.P. non è pertanto prefissata per legge.
Validità: Il P.I.P. ha una scadenza prefissata in 10 anni. Trascorsi questi, le sue previsioni perdono ogni
validità. Tuttavia, restano validi a tempo indeterminato i suoi contenuti normativi e regolamentari
riguardanti l’attività edilizia, che essendo di dettaglio e specificazione delle previsioni di P.R.G., ne
diventano parte integrante e integrativa.
Cogenza
Il P.I.P. è uno strumento facoltativo; tuttavia la legge prevede che sia lo strumento cui va fatto ricorso
per dare attuazione al Piano in ordine alla localizzazione delle attività produttive.
In definitiva è lo strumento facoltativo che si è obbligati a redigere per dare attuazione alla
previsione di localizzazione delle attività produttive.
La Regione, per legge, può negare l’autorizzazione alla redazione del P.I.P. nel caso di zone non
correttamente pianificate, localizzate o dimensionate.
La Regione si riserva così la possibilità di governare lo sviluppo industriale del territorio, anche nel caso
che sia assente un Piano Territoriale di Coordinamento.
Contenuti I contenuti di un PIP sono analoghi a quelli di un Piano Particolareggiato
5. la rete delle infrastrutture viarie, dalla maglia delle principali, desunte dal PRG, fino ai
collegamenti secondari e di penetrazione nel tessuto edilizio.
6. la suddivisione del terreno in aree fabbricabili e non fabbricabili, con indicazione della proprietà
7. la suddivisione del terreno edificabile in lotti edificativi, con relativi indici (2+3=lottizzazione)
8. la specificazione di dettaglio delle tipologie edilizie
Le Attività insediate
E’ opportuno specificare quali siano le attività produttive, la cui localizzazione è finalità di un PIP
1. Attività industriali
2. Attività artigianali
3. Attività commerciali
4. Attività turistiche
Gli Elaborati 1. stralcio del P.R.G. vigente con indicazione del perimetro del P.I.P. (scala 1:5000)
2. stralcio delle N.T.A. del vigente P.R.G., relative alla zona oggetto del P.I.P.
3. planimetria della consistenza attuale dell’area oggetto di P.I.P. (scala 1:1000-1:500)
4. progetto di P.I.P., redatto su mappa catastale (scala 1:500)
5. tavola della lottizzazione delle aree fabbricabili, con indicazione di superfici e volumi (scala
1:500)
6. Norme Tecniche integrative di Attuazione del P.I.P.
7. tipologie edilizie e prof. regolatori
8. elenchi catastali delle proprietà da espropriare, con planimetrie, superfici interessate e redditi
corrispondenti
9. piano finanziario, che
indichi la stima economica delle opere pubbliche e degli espropri da eseguire
attesti la copertura finanziaria dell’operazione
10. relazione tecnica illustrativa sulle metodologie della attuazione del PRG e del loro dettaglio ad
opera del P.I.P.
11. tabella di verifica degli standard con allegata planimetria
La Procedura
1. Autorizzazione da parte della Regione
2. Adozione da parte del Consiglio Comunale
3. Pubblicazione all’Albo Pretorio e deposito per 30 giorni in segreteria comunale
4. Presentazione osservazioni (30+30 giorni)
5. Recepimento osservazioni da parte del C.C.
in caso di accoglimento, modifica il P.P.
in caso di non accoglimento, lo lascia inalterato
6. Trasmissione alla Regione
7. Recepimento da parte della Giunta Regionale
non lo approva, motivando il rigetto
apporta modifiche sostanziali, e lo ritrasmette al Comune per le opportune correzioni
apporta modifiche non sostanziali, lo modifica e lo approva
lo approva senza modifiche
8. Pubblicazione della delibera della G.R. sul B.U.R. ed entrata in vigore
Con la legge 47/85 anche l’iter del P.I.P. si conclude in Comune, senza necessità di trasmissione alla
Regione. Anche il P.I.P. è tutelato durante il suo iter amministrativo (al massimo per 3 anni) dalle
misure di salvaguardia.
L’Attuazione
1. Acquisizione dei terreni, di norma mediante esproprio (più spesso tramite cessione bonaria)
2. Realizzazione da parte dell’ente pubblico delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria
3. Cessione delle aree
in proprietà, per una volumetria non superiore al 50 %
in diritto di superficie, per una volumetria non inferiore al 50 %
4. La cessione in diritto di superficie agli enti pubblici per la realizzazione di impianti e servizi è a
tempo indeterminato
5. La cessione in diritto di superficie ha durata compresa fra 60 e 99 anni, in tutti gli altri casi
La cessione dei terreni: terreni in diritto di superficie
Alla concessione, deliberata dal C.C., è allegata una convenzione che stabilisce:
il costo della concessione
le caratteristiche costruttive e tipologiche degli edifici da realizzare
i termini di inizio e di ultimazione degli edifici
i criteri per la determinazione del corrispettivo, in caso di rinnovo della concessione
La cessione dei terreni: terreni in proprietà
All’atto di cessione delle aree, è allegata una convenzione che stabilisce:
il prezzo di vendita, pari al costo di acquisizione, maggiorato degli oneri di urbanizzazione
le caratteristiche costruttive e tipologiche degli edifici da realizzare
i termini di inizio e di ultimazione degli edifici
Lezione 16: L’attuazione del PRG: il Piano di Recupero La questione dell’intervento sul patrimonio edilizio esistente La legge 1150/42 era implicitamente finalizzata alla costruzione del processo pianificatorio nel nostro
Paese in un momento di forte e perdurante espansione urbana
Gli strumenti che tale legge confeziona (PRG, PP) sono finalizzati a gestire e a disciplinare la crescita
della città. Mai, come si è visto, appare menzionato il problema della conservazione e della tutela
dell’ambiente (problema di cui si era fatta carico la precedente legge 1497/39). Mai appare
menzionato il problema della conservazione e della tutela del patrimonio immobiliare esistente.
L’intervento sul patrimonio edilizio esistente prima della 1150 In tema di intervento sul patrimonio edilizio esistente preesisteva alla LUN una legge, la n°1089 del
1939. (legge Bottai)
La legge 1089 individuava 3 categorie di beni artistici degni di tutela e valorizzazione.
1. le cose, immobili e mobili, che presentano valore artistico, storico e archeologico
2. gli immobili di importanza storica
3. le collezioni
Le “cose” appartenenti a una delle 3 categorie di beni degni di tutela e valorizzazione vengono
identificate mediante una “Dichiarazione di Importante Interesse”, emessa dal Ministero
dell’Educazione Nazionale e notificata ai rispettivi proprietari.
Legge 1089/39 1. I beni notificati non possono essere demoliti.
2. I beni notificati non possono essere modificate, o anche solamente restaurate, senza
l’autorizzazione specifica da parte del Ministero.
3. I proprietari hanno l’obbligo di sottoporre alla Sovrintendenza il progetto per ottenere la relativa
autorizzazione.
4. il Ministero può imporre al proprietario l’esecuzione degli interventi necessari ad assicurare la
conservazione del bene.
5. Qualora il bene sia di proprietà di un ente pubblico, il Ministero può effettuare l’intervento
d’ufficio, direttamente, chiedendo poi all’ente proprietario il rimborso dei costi sostenuti
6. Qualora il bene sia di proprietà dello Stato, esso non può essere alienato
7. Qualora il bene sia di proprietà privata, il bene può essere venduto, ma al Ministero è riservato il
diritto di prelazione.
I connotati dell’intervento La legge 1089/39 impronta l’intervento sul patrimonio immobiliare esistente a due connotati
caratteristici.
Un connotato di merito, ovvero sono degni di conservazione, tutela e valorizzazione i singoli immobili
depositari di un riconosciuto valore storico e artistico.
un connotato di metodo, ovvero la disciplina non si pone l’obiettivo di promuovere il riuso dei
fabbricati esistenti, ma ha esclusivamente finalità vincolistiche sui beni da tutelare, e si esplica
pertanto in un complesso di vincoli, obblighi e dinieghi.
DaI dopoguerra a oggi: un nuovo approccio all’intervento I decenni del dopoguerra introducono sostanziali trasformazioni al tema del patrimonio edilizio
esistente.
A partire dagli anni ’70, emerge la convinzione che non siano meritevoli di attenzione e
conservazione i singoli immobili storici, ma tutti gli edifici del nucleo antico delle città, ancorché
singolarmente privi di interesse
Inoltre, a fronte dell’insorgenza del problema della dissipazione del territorio e di un diffuso spreco
delle risorse (costruite e naturali) si manifesta l’opportunità di operare un più corretto sfruttamento
delle risorse edilizie esistenti, consistenti nel patrimonio immobiliare, che sia o non sia di interesse
storico.
A partire dagli anni ’70 emerge il tentativo di far fronte alle esigenze abitative utilizzando il volume
edilizio esistente, recuperato all’uso contemporaneo. Possiamo sintetizzare questo nuovo
atteggiamento in un duplice salto di scala, da monumentale-edilizio a urbanistico.
spostamento dell’interesse dal singolo manufatto edilizio al complesso degli edifici utilizzabili posti
all’interno dei nuclei storici
spostamento dell’interesse dai fabbricati di rilievo storico e artistico a tutto il patrimonio edilizio
esistente
Nel 1978 la legge n°457 recepisce questo nuovo orientamento, introducendo nel quadro
pianificatorio un nuovo strumento attuativo, il Piano di Recupero.
Il Piano di Recupero Legge 457/1978
Le finalità 1. attuare le previsioni del P.R.G. per quanto riguarda il recupero del patrimonio edilizio degradato
2. regolamentare l’attività edificatoria nell’area interessata
3. consentire l’espropriazione delle aree necessarie alla attuazione delle previsioni di P.R.G. (nel
caso di un PR di iniziativa pubblica)
3. consentire la realizzazione delle opere di urbanizzazione a corredo degli interventi, in anticipo
rispetto ad essi e senza costi aggiuntivi per la collettività (nel caso di un PR di iniziativa privata)
Limiti spaziali Limiti spaziali: Limitate porzioni di territorio costituenti sottoinsiemi del territorio di un Comune.
Il P.R. disciplina interventi in aree comprese entro “zone di recupero”, individuate in sede di
formazione di PRG. Entro le zone di recupero, gli interventi sono subordinati:
alla semplice concessione edilizia, nel caso di interventi che si esauriscano alla scala edilizia
all’inclusione in un Piano di Recupero, qualora si rendano necessari interventi alla scala
urbanistica
Cogenza e validità Cogenza: Il P.R. è uno strumento facoltativo
Validità: Il P.R. ha una scadenza prefissata in 10 anni. Trascorsi che siano questi, le sue previsioni
perdono ogni validità. Tuttavia, restano validi a tempo indeterminato i suoi contenuti normativi e
regolamentari riguardanti l’attività edilizia, che essendo di dettaglio e specificazione delle previsioni
di P.R.G., ne diventano parte integrate e integrativa
I Contenuti I contenuti di un P.P. sono analoghi a quelli di un Piano Particolareggiato
1. la rete delle infrastrutture viarie, dalla maglia delle principali, desunte dal P.R.G., fino ai
collegamenti secondari e di penetrazione nel tessuto edilizio
2. la suddivisione del terreno in aree fabbricabili e non fabbricabili, con indicazione della proprietà
3. la suddivisione del terreno edificabile in lotti edificativi, con i relativi indici
4. la specificazione di dettaglio delle tipologie edilizie
Gli Elaborati stralcio del P.R.G. vigente con indicazione del perimetro del Piano di Recupero (scala 1:5000)
stralcio delle N.T.A. del vigente P.R.G., relative alla zona oggetto del Piano di Recupero
planimetria della consistenza attuale dell’area oggetto di Piano di Recupero (1:1000 – 1:500)
progetto di Piano di Recupero, redatto su mappa catastale (scala 1:500)
tavola della lottizzazione delle aree fabbricabili, con indicazione di superfici e volumi (scala 1:500)
Norme Tecniche integrative di Attuazione del P.R.
tipologie edilizie e prof. Regolatori (scala 1:200)
elenchi catastali delle proprietà da espropriare (PR di iniziativa pubblica)
relazione sommaria di spesa (PR di iniziativa pubblica)
relazione tecnica illustrativa
Schema di convenzione (PR di iniziativa privata)
tabella di verifica degli standard con allegata planimetria
La Procedura PR iniziativa Comune
1. Individuazione, in sede di PRG di zone di recupero
2. Adozione da parte del C.C.
3. Pubblicazione e deposito per 30 gg in segreteria comunale
4. Presentazione osservazioni (30+30 ggi)
5. Recepimento osservazioni e controdeduzioni da parte del C.C.
6. Approvazione da parte del C.C.
PR iniziativa Privata
1. Richiesta di autorizzazione al Comune e proposta di PR
2. Adozione da parte del C.C.
3. Pubblicazione e deposito per 30 gg in segreteria comunale
4. Presentazione osservazioni (30+30 ggi)
5. Recepimento osservazioni e controdeduzioni da parte del C.C.
6. Approvazione da parte del C.C.
Le Zone di recupero In sede di formazione di PRG, vengono individuate le parti del territorio comunale interessate dalla
presenza di condizioni di degrado, tali da rendere necessario un intervento di recupero: si dicono
zone di recupero
1. Degrado edilizio
Ammaloramento degli edifici e delle loro finiture
2. Degrado urbanistico
Deterioramento degli spazi pubblici, dei servizi e dell’arredo urbano
3. Degrado socio-economico
Precarietà delle condizioni di vita degli abitanti (povertà, disoccupazione, criminalità, etc.)
Il Piano di Recupero di iniziativa privata: Le condizioni per l’Autorizzazione 1. La proprietà da parte dei richiedenti di almeno i ¾ del valore degli immobili interessati,
accertato sulla base del valore catastale
2. La presenza negli immobili interessati dalla proposta di P.R. di effettive condizioni di degrado
Le categorie dell’intervento sul patrimonio edilizio esistente La legge 457/78 classifica in 5 categorie i possibili interventi sul patrimonio edilizio esistente
1. Manutenzione ordinaria:
opere di rinnovamento, riparazione e sostituzione degli elementi di finitura degli edifici, oltre a
quelle necessarie a mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti.
2. Manutenzione straordinaria:
opere necessarie per mantenere l’edificio in condizioni di efficienza e di rispetto della normativa,
mediante interventi che possono interessare parti anche strutturali degli edifici, nonché gli
impianti igienico-sanitari e tecnologici, senza alterare volumi, superfici, sagome edilizie e
destinazioni d’uso.
3. Restauro e risanamento conservativo:
opere finalizzate a ricondurre l’organismo edilizio ad uno stato pregresso, precedente l’aggiunta
di elementi estranei alla consistenza di origine e ritenuto meritevole di conservazione.
4. Ristrutturazione edilizia:
opere finalizzate a trasformare l’organismo edilizio, mediante interventi che possono condurre
alla realizzazione di un organismo del tutto o in parte diverso dall’esistente.
5. Ristrutturazione urbanistica:
opere finalizzate a modificare o sostituire l’intero tessuto edilizio esistente, anche mediante il
ridisegno di lotti, isolati, rete stradale, e lo spostamento dei volumi presenti.
L’attuale pianificazione attuativa: Schema Sinottico PRG
PL PP PR PZ PIP
La legge 352/1997: il nuovo Testo Unico in materia di beni culturali e ambientali
Legge 352/1997 Il Testo Unico, emanato nel 1999 in ossequio alla legge 352/97, raccoglie al suo interno, modificate,
le leggi esistenti in materia di beni culturali e ambientali
Legge 1089/1939
Legge 1497/1939 Testo Unico D.L. 490/1999
Legge 431/1985 Alle 3 categorie di beni tutelati dalla 1089/39 sono aggiunte 2 categorie di beni:
1. I beni archivistici
2. I beni librari
Inoltre, sono ammessi fra i beni tutelati dalla 1089/39 come beni di interesse storico i seguenti:
1. Affreschi, stemmi e iscrizioni
2. Manoscritti, autografi carteggi
3. Beni e strumenti scientifici con più di 50 anni
4. Carte geografiche, spartiti e fotografie di interesse storico
5. i mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni
6. le aree pubbliche di valore archeologico, storico e artistico
7. ……..
I vincoli sui beni notificati ai sensi del TU del 1999 1. I beni notificati non possono essere demoliti
2. I beni notificati non possono essere modificate, o anche solamente restaurate, senza
l’autorizzazione specifica da parte del Ministero
3. I proprietari hanno l’obbligo di sottoporre alla Sovrintendenza il progetto per ottenere la relativa
autorizzazione
4. Il Ministero può imporre al proprietario l’esecuzione degli interventi necessari ad assicurarne la
conservazione
5. La vendita dei beni da parte di privati è soggetta a diritto di prelazione da parte del Ministero
6. La vendita dei beni da parte di enti pubblici è soggetta ad autorizzazione del Ministero
Il DL 42/2004: Il Codice dei Beni Culturali e del paesaggio
DL 42/2004 Nel 2004 viene emanato il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, che sostituisce il Testo Unico
del 1999, ricomprendendo le leggi preesistenti in materia di beni culturali e ambientali (Codice
Urbani)
Il nuovo Codice stabilisce che il patrimonio cultural del Paese è costituito da due componenti
I beni culturali ex L. 1089/1939
I beni paesaggistici ex L. 1497/1939 - ex L. 431/1985
Il Codice Urbani in materia di beni culturali: i beni tutelati Il nuovo codice conferma, con lievi modifiche, le categorie già oggetto di tutela ai sensi del Testo
Unico
Fra le modifiche, sono ammesse a tutela le opere di architettura contemporanea di particolare
valore artistico
I vincoli sui beni notificati ai sensi del Codice del 2004 I beni notificati non possono essere demoliti
I beni notificati non possono essere modificate, o anche solamente restaurate, senza l’autorizzazione
specifica da parte del Ministero
I proprietari hanno l’obbligo di sottoporre alla Sovrintendenza il progetto per ottenere la relativa
autorizzazione
Il Ministero può imporre al proprietario l’esecuzione degli interventi necessari ad assicurarne la
conservazione
La vendita dei beni da parte di privati è soggetta a diritto di prelazione da parte del Ministero
La alienabilità dei beni di proprietà pubblica è soggetta ad autorizzazione da parte del Ministero
La alienabilità dei beni di proprietà pubblica I beni tutelati, di proprietà pubblica, sono oggetto di verifica dell’interesse culturale da parte del
Ministero
In caso di esito negativo, tali beni sono liberamente alienabili
La procedura per la alienabilità dei beni è soggetta alla disciplina di silenzio-assenso in sede di
verifica dell’interesse culturale
Il Codice dei Beni Culturali: una novità Allo scopo di superare l’approccio vincolistico tipico della legge Bottai, il codice Urbani introduce
misure tese alla fruizione e alla valorizzazione dei beni culturali
La valorizzazione dei beni di proprietà pubblica è affidata ad accordi fra Stato, Regioni ed enti
locali, che ne disciplinano le forme di gestione
Lo Stato, le Regioni e gli enti locali assicurano il sostegno alle iniziative di valorizzazione dei beni
culturali di proprietà privata. Tale sostegno, nonché le modalità di gestione dei beni, sono
concordati tramite accordi
Il Codice dei Beni Culturali: alcuni problemi Alcune questioni riguardano la disciplina del silenzio-assenso, che il Codice applica in due fasi
procedurali
La verifica dell’interesse culturale del bene di proprietà pubblica: qualora non sia espressa entro
120 giorni, l’immobile è liberamente alienabile
L’estensione della DIA agli interventi su beni tutelati: Qualora la Soprintendenza non si esprima in
senso avverso entro 60 giorni, l’intervento può essere realizzato
Data l’enorme entità del patrimonio artistico nel nostro Paese e le ristrettezze di personale delle
Soprintendenze, il silenzio-assenso rischia di diventare una pratica obbligata
Lezione 17: La crisi della pianificazione e la deregulation urbanistica La crisi dell’urbanistica moderna Il 12 luglio 1972 è una data importante nella storia moderna dell’urbanistica
All’alba il complesso residenziale di Pruitt-Igoe, circa 30 edifici in linea nell’area metropolitana di St.
Louis, venne demolito con la dinamite
Pruitt-Igoe era stato realizzato nei primi anni ’50 come centro residenziale per classi disagiate e
salutato come una grande realizzazione architettonica di impronta lecorbuseriana, e un’opera
urbanistica illuminata
Dopo pochi anni le sue condizioni di degrado (in particolare degrado sociale, per l’assenza di
strutture diverse alla residenza e per l’omogeneità sociale degli abitanti) ne avevano fatto un
quartiere fatiscente, temuto per le condizioni di insicurezza e abbandonato dalla popolazione
Quella data segnò per molti la fine del sogno dell’urbanistica moderna, la morte del razionalismo e
dell’illusione di creare una città nuova, da realizzarsi in opposizione rispetto alla città storica, secondo
tipologie nuove, in ossequio al dominio della razionalità e alla conformità fra gli spazi e le funzioni
La data della demolizione di Pruitt-Igoe è per molti la data di nascita dell’urbanistica post-moderna,
ovvero di quell’articolato approccio alla progettazione degli spazi urbani che, in opposizione
dialettica con l’urbanistica moderna, cerca di ricucire il filo spezzato con la continuità della città
storica
Le cause A partire dagli anni ‘80, il processo pianificatorio è investito da una crisi epocale
Varie sono le cause che concorrono a determinare tale crisi:
1. La crisi economica e sociale degli anni Settanta
2. La crisi della visione positivista dello sviluppo socio-economico
3. La crisi del modello urbanistico razionalista
4. L’evidenza dei guasti urbanistici del territorio
5. L’interruzione della dinamica espansiva della città
6. La trasformazione dell’assetto funzionale della città
Il processo all’urbanistica moderna A partire dai primi anni Settanta, venne celebrato un lungo processo all’urbanistica moderna
il rapporto con la storia
la morfologia
la tipologia
l’urbanistica quantitativa
gli elementi della sintassi dello spazio urbano
lo zoning
il Piano e la pianificazione
Sul banco degli imputati, tutti gli autori che avevano promosso la nascita e la prosperità di circa 50
anni di razionalismo, ma soprattutto i principi cui si erano ispirati
La crisi del Piano Imputato principale, nel processo alla pianificazione urbanistica, è il suo strumento principe: il Piano
Regolatore
I principali capi di imputazione sono i seguenti:
È uno strumento costruito per rispondere a problemi di quantità, ed è incapace di fornire qualità
urbana
È uno strumento costruito per disegnare la crescita della città, ed è incapace di gestirne la
trasformazione
È uno strumento autoritario, fondato su un processo deterministico, in cui ogni strumento si
adegua a quello di livello iperscalare
È uno strumento rigido, costruito per lunghe prospettive temporali e incapace di adattarsi alla
mutevolezza delle situazioni economiche e sociali
Emergono pertanto alcune istanze di revisione del Piano
Si nega l’opportunità di utilizzare lo strumento dello zoning, responsabile della compartimentazione
urbana
Si nega l’opportunità di gestire il territorio con gli indici urbanistici, incapaci di cogliere la qualità
insediativa
Si nega l’opportunità di applicare gli standard, incapaci di tutelare la qualità insediativa
Si nega l’opportunità di affidare la trasformazione urbana ad uno strumento di livello generale,
superando la distinzione fra PRG e strumenti attuativi
La crisi del Piano. Gli effetti sulla prassi pianificatoria: la deregulation La crisi degli anni Ottanta comporta effetti sul modo di concepire la pianificazione:
1. Una diffusa disaffezione verso il Piano Regolatore, considerato un ostacolo al libero
espletamento delle attività economiche e imprenditoriali sul territorio
2. La considerazione del PRG come uno strumento facilmente emendabile con varianti, riferimento
tenue e non prescrittivo
3. L’introduzione del cosiddetto “pianificar facendo”, ovvero la sostanziale rinuncia al Piano
territoriale e la sua sostituzione ad opera di una miriade di progetti urbani di limitate dimensioni.
Si afferma una visione secondo cui è opportuno lasciare che “fioriscano i fiori” dell’iniziativa
privata e confidare che da tale fioritura di operazioni eterogenee e non coordinate scaturisca
l’interesse collettivo e, a posteriori, emerga il Piano
La crisi del Piano. Gli effetti sulla progettazione Al Piano Urbanistico si contrappone il Progetto Urbano
Piano Urbanistico
previsioni immutabili, dipendenti dalla pianificazione sovracomunale
da attuarsi in tempi lunghi
di livello generale, non dettagliato
sull’intero territorio comunale
Progetto Urbano
previsioni modificabili, in relazione al mutare delle condizioni locali
da attuarsi in tempi brevi
dettagliate a scala architettonica
su limitati contesti territoriali
La crisi del Piano. Gli effetti sugli strumenti urbanistici Le istanze di revisione del Piano comportano a partire dagli anni Novanta 3 effetti:
1. Una diffusa rivisitazione della tecnica redazionale dei Piani Regolatori Generali, ad opera dei
Comuni
2. La modifica della concezione del Piano Regolatore Generale, ad opera delle singole Regioni
L.R. Toscana n.5/95
3. L’introduzione di nuovi strumenti urbanistici, detti strumenti complessi, mirati a superare la
distinzione fra disegno dell’assetto urbano e fase attuativa
La crisi del Piano. Le nuove tecniche redazionali del PRG Nel tentativo di controllare la qualità morfologica degli insediamenti, il PRG a partire dagli anni ‘90
assume connotati che in precedenza erano tipici dei piani attuativi
Le tecniche di rappresentazione simboliche e convenzionali vengono sostituite con rappresentazioni
di tipo iconico
Il dettaglio delle previsioni si spinge fino alla morfologia architettonica dei fabbricati ed alla
precisazione di volumi e superfici sui singoli lotti
Le difficoltà del processo pianificatorio Punto debole del processo pianificatorio è la fase attuativa, resa difficile dalla onerosità degli
interventi, e in particolare dal costo della acquisizione dei suoli
Per ovviare a tali problemi, è stato introdotto in normativa il Piano di Lottizzazione, con l’obiettivo di
coinvolgere nella attuazione delle previsioni del P.R.G. gli operatori privati, eliminando in tal modo la
necessità di acquisire i terreni
Tuttavia, ciò risulta praticabile solo se gli interventi da attuare presentano evidenti margini di
remuneratività, tali da indurre i privati a collaborare alla attuazione del PRG. Altrimenti l’ente
pubblico non può far altro che attuare in proprio il Piano, affrontando le difficoltà legate all’esproprio
delle aree
In particolare, la questione si presenta complessa per gli ambiti urbani degradati, di proprietà privata
o mista, con destinazione a servizi, impianti e infrastrutture
Il caso più tipico e ricorrente è quello delle aree dismesse (industriali o infrastrutturali), deprivate dalla
originale funzione e abbandonate all’incuria e al degrado
Le difficoltà del processo pianificatorio: una ipotesi alternativa Agli inizi degli anni ’90, si è affacciata sul panorama urbanistico una diversa possibilità, fino a quel
momento ritenuta estranea ad un corretto procedimento pianificatorio
Rendere di fatto remunerativi per gli operatori privati anche gli interventi che, in base al PRG, non lo
sarebbero
A tale scopo si utilizza la pratica della concertazione (leggi contrattazione) dell’intervento stesso,
eventualmente in variante delle previsioni del P.R.G
La concertazione urbanistica In sostanza, l’ente pubblico si dichiara disponibile ad accordare modifiche alle previsioni del P.R.G.
purché l’operatore privato si accolli gli oneri anche della attuazione delle previsioni non
remunerative
in pratica introduzione di destinazioni d’uso remunerative sul mercato (residenziale o
commerciale) oppure premi di cubatura alle destinazioni già previste
servizi, impianti, opere di urbanizzazione, opere di riqualificazione urbana, risanamenti e
miglioramenti ambientali
I “nuovi strumenti” della pianificazione La pratica della concertazione urbanistica, illecita, era entrata in uso in modo non convenzionale e
fuori da un contesto normativo negli anni ‘80
Successivamente, anche a seguito di processi ad amministratori e imprenditori, la concertazione è
stata introdotta nel quadro pianificatorio con una serie di strumenti che, a partire dal 1993, hanno
segnato l’avvio della stagione della cosiddetta deregulation urbanistica
Sono i “nuovi strumenti” della pianificazione, detti anche, per l’articolazione dei soggetti interessati
e della procedura, “programmi urbanistici complessi”
Natura L’introduzione di tali strumenti avviene non a seguito di provvedimenti legislativi di natura
specificatamente urbanistica ma in leggi di natura essenzialmente economica, (in genere
all’interno delle leggi di bilancio)
A ciascuno di tali strumenti sono infatti correlati specifici finanziamenti di sostegno pubblico cui i vai
progetti accedono in base ad una apposita graduatoria. Sono quindi strumenti urbanistici “a
termine”, nel senso che la loro redazione e presentazione è vincolata al rispetto di scadenze
temporali prefissate e non dilazionabili
Perché i programmi complessi A partire dagli anni ‘80 emergono istanze di revisione del processo pianificatorio, che si concentrano
sul Piano
Fra i motivi di inadeguatezza del Piano sono da ricercare le cause dell’affermazione dei programmi
complessi:
1. La necessità di strumenti urbanistici flessibili e adattabili alla mutevolezza delle condizioni
economiche
2. La ricerca di strumenti idonei a controllare l’assetto morfologico e la qualità insediativa degli
abitati
3. La difficoltà dell’acquisizione dei suoli da parte dei Comuni e la necessità di coinvolgere i privati
4. La necessità di strumenti idonei a gestire la trasformazione (fisica e funzionale) della città
Cosa sono i programmi complessi I programmi complessi sono una serie di strumenti urbanistici che si affermano a partire dai primi anni
‘90
Nonostante le differenze che li distinguono, è possibile riconoscere alcune caratteristiche comuni:
1. Prevedono la partecipazione congiunta di operatori pubblici e privati
2. Non prevedono l’esproprio per l’acquisizione delle aree
3. Si riferiscono ad aree già urbanizzate
4. Consentono la concertazione delle previsioni progettuali fra gli operatori privati interessati e gli
enti pubblici
5. Prevedono in genere la possibilità di operare in variante al PRG, riunendo così in sé la fase
pianificatoria e la fase attuativa
6. Dispongono di specifiche forme di finanziamento pubblico
Quali sono i programmi complessi I vari programmi complessi vengono introdotti nell’ordinamento nazionale secondo una concitata
successione temporale
1993 PRU
1994 PRIU
1996 CdQ
1997 STU
1998 PRUSST
La struttura del processo pianificatorio
Lezione 18: Gli strumenti complementari della pianificazione urbanistica Gli strumenti complementari A fianco degli strumenti urbanistici, tramite i quali ha compimento il processo pianificatorio, troviamo
nella pratica urbanistica altri strumenti, o Piani, che si interessano a singole questioni settoriali del
territorio, non investendolo nella sua interezza.
P
PT
PR
Sono gli strumenti complementari della pianificazione, che, in base a specifiche leggi di settore, si
affiancano agli strumenti urbanistici veri e propri con lo scopo di risolvere problemi e questioni
settoriali
Caratteristiche Gli strumenti complementari della pianificazione, fra loro eterogenei, hanno in comune alcune
caratteristiche:
Hanno l’obiettivo di fornire soluzioni a singole tematiche riguardanti il territorio
Impegnano competenze fortemente caratterizzate in senso tecnico sulle singole discipline
Elenco P.U.T. Piano Urbano del Traffico
P.U.P. Programma Urbano dei Parcheggi
P.C.P. Programma della Rete Ciclopedonale
P.R.V. Piano della Rete di Vendita
P.E.C. Piano Energetico Comunale
P.R.A. Piano Risanamento Acustico
P.S.U. Piano Servizi Urbani
P.V.U. Piano Verde Urbano
P.C.E. Programma di Colorazione degli Edifici
La questione del traffico: Il PUT Il traffico è la risposta alla domanda di movimento determinata dall’interazione fra le attività
insediate
Per intensità e distribuzione, il traffico è funzione
dell’entità e della localizzazione delle attività
della articolazione della rete dei percorsi
Il problema del traffico nei centri urbani ha da tempo assunto dimensioni tali da
condizionare il normale svolgimento delle attività
costituire una minaccia per la salute dei residenti
D.Lgs 285/1992 - Codice della Strada
Il PUT: Le finalità Miglioramento della circolazione
Potenziamento dell’accessibilità
Disincentivazione dell’attraversamento
Diminuzione degli incidenti stradali
Regolamentazione della velocità
Eliminazione dei punti pericolosi
Riduzione dell’inquinamento
Limitazione del traffico
Disincentivazione combustibili inquinanti
Il PUT: Limiti spaziali, validità e cogenza Limiti spaziali: L’intero centro abitato. Possono essere redatti P.U.T. distinti per il capoluogo e per le
varie frazioni
Validità: Il P.U.T. è valido per 2 anni
Cogenza: Il P.U.T. è obbligatorio per i Comuni che:
hanno una popolazione residente superiore a 30.000 abitanti
Registrano in alcuni periodi dell’anno, per turismo o pendolarismo, una popolazione superiore a
30.000 unità
hanno centri abitati di particolare valore ambientale, o particolari problemi di traffico pesante
Per tutti gli altri il P.U.T. è facoltativo
Il PUT: gli elaborati 1. Planimetrie descrittive dello stato attuale (scala 1:5000-1:10000)
2. Piano Urbano del Traffico
Schema rete viaria (scala 1:5000-1:10000)
Delimitazione zone soggette a particolari condizioni di traffico (ztl, pedonali, etc.)
Individuazione incroci da sistemare
Adeguamento segnaletica verticale e orizz.
Interventi a sostegno della sosta (parcheggi)
Riordino della rete di trasporto collettivo
Il PUT: la procedura 1. Adozione da parte della Giunta Comunale
2. Approvazione da parte del Consiglio Comunale
3. Il PUT resta in vigore per un biennio, trascorso il quale deve essere adeguato
La questione del parcheggio: Il PUP La gran parte delle città del nostro Paese hanno un impianto antico, risalente ad un’epoca di gran
lunga antecedente l’avvento del trasporto motorizzato
Ciò comporta la carenza di spazi e strutture per la sosta e il parcheggio dei veicoli, soprattutto nelle
zone di più antica urbanizzazione
Difficoltà a parcheggiare i veicoli, con costi economici e ambientali
Utilizzazione per il parcheggio di una parte delle sedi destinate al transito dei veicoli, con effetti
negativi sulla circolazione
Legge 122/1989 – Legge Tognoli
Il PUP: Le finalità liberare dalla sosta degli autoveicoli alcune strade e restituirle alla funzione essenziale della
circolazione
individuare le zone di “particolare rilevanza urbanistica” dove proibire la sosta gratuita e
regolamentare la sosta a tempo indeterminato
incentivare la realizzazione di parcheggi di scambio e l’uso conseguente dei mezzi pubblici
incentivare la realizzazione dei parcheggi pertinenziali riservati ai residenti (1 mq / 10 mc)
Il PUP: Limiti spaziali, validità e cogenza Limiti spaziali: Le aree comprese entro il perimetro dell’aggregato urbano
Validità: Il P.U.P. è valido a tempo indeterminato
Cogenza: Il P.U.P. è obbligatorio per 15 grandi città (Torino, Milano, Genova, Roma, Bologna, Firenze,
Bari, Napoli, Palermo, Cagliari, Venezia, Trieste, Reggio Calabria, Messina e Catania) e per altri
Comuni stabiliti dalla Regione fra quelli che
presentano una particolare affluenza turistica
presentano fenomeni di pendolarismo
presentano particolari problemi di traffico
Per tutti gli altri comuni il PUP è facoltativo
Il PUP: gli elaborati 1. Planimetrie descrittive dello stato attuale (1:5000-1:10000)
2. Relazione relativa alla situazione dei parcheggi in atto, ai rilevamenti di traffico, alla
individuazione di centri attrattori, alla individuazione di punti problematici
3. Progetto di P.U.P., contenente la localizzazione e il parcheggio di ciascuno dei parcheggi previsti,
oltre quelli esistenti da ampliare o da modificare
4. Relazione tecnica illustrativa
5. Relazione sommaria di spesa
Il PUP: la procedura 1. Adozione da parte del Consiglio Comunale
2. Trasmissione alla Regione
3. Approvazione da parte della Giunta Regionale
N.B.: l’approvazione da parte della Regione ha valore di variante al PRG vigente, qualora il PUP
contenga previsioni in contrasto con esso
N.B.: inoltre, la stessa approvazione ha valore di dichiarazione di pubblica utilità in relazione alla
esigenza di reperibilità delle aree interessate
Il PUP: le questioni Un aspetto fondamentale inficia gli strumenti complementari: la considerazione di parcheggi,
traffico, rumore, etc. come variabili indipendenti, da gestire agendo sui rispettivi impianti e
infrastrutture
Tali fenomeni non sono invece variabili indipendenti, ma gli effetti della presenza e della distribuzione
delle attività insediate, e della loro reciproca interazione
Solo agendo sulle cause di tali fenomeni è possibile controllarli, e mitigare gli effetti che penalizzano
la qualità insediativa
Mediante il P.R.G. e gli strumenti che ad esso danno attuazione sarebbe possibile localizzare le
attività urbane in modo tale che il traffico, la scarsità dei parcheggi, le emissioni rumorose, etc., non
costituissero gravi elementi di degrado
L’introduzione degli strumenti complementari, pertanto, può dirsi una sostanziale resa di fronte alla
difficoltà di controllare, mediante una attenta pianificazione, le cause della congestione da traffico,
i problemi dei parcheggi, del rumore e della distribuzione commerciale
Ci si limita invece, assai modestamente, alla mitigazione dei loro rispettivi effetti mediante il semplice
potenziamento dei servizi e delle attrezzature ad essi finalizzate
A valle del processo pianificatorio
Lezione 19: Gli strumenti della disciplina edilizia: i titoli abitativi Dallo strumento urbanistico al permesso edilizio Abbiamo fin qui trattato del processo pianificatorio, che conduce in successione dalla formulazione
degli obiettivi di trasformazione e gestione del territorio alla elaborazione di piani e di strumenti
urbanistici, caratterizzati dalla duplice natura progettuale-prescrittiva
essi sono progetti territoriali, a varia scala di rappresentazione e di dettaglio
sono anche norme cui devono uniformarsi i redattori di progetti di livello iposcalare e, da ultimo,
i progettisti delle singole opere edilizie
A valle del processo pianificatorio
P
R
P
P
P
PI
P
PT
PTA
PT P
P
P
R
P
PR
USS
C
S
…
Gli strumenti della disciplina edilizia: il permesso edilizio Al termine di questa trattazione, ci occupiamo di quest’ultimo aspetto, ovvero di quali strumenti
dispongano le amministrazioni (e in particolare le amministrazioni comunali) per disciplinare la
realizzazione delle opere edilizie, e più in particolare per:
1. verificare la conformità dei relativi progetti agli strumenti urbanistici esistenti
2. prescrivere modi e tempi per la realizzazione delle opere
3. imporre il pagamento di eventuali oneri
La licenza edilizia La subordinazione di ogni trasformazione del territorio a un permesso rilasciato dal Comune è
relativamente recente: Il suo primo riconoscimento legislativo avvenne nel 1935, con l’introduzione
della licenza edilizia,con il R.D.L. n. 240 sulle zone sismiche.
Ma solo con la legge 1150/42, esso trovò una definitiva sistemazione: La licenza era obbligatoria per
tutte le nuove costruzioni da realizzare nell’ambito dell’aggregato urbano
L’estensione alle zone agricole avvenne con la legge 765/67:La licenza divenne obbligatoria
sull’intero territorio comunale.
Dalla licenza edilizia alla concessione Nel 1968 la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 55, sancì la incostituzionalità dell’art. 7 della
legge 1150
C.C. n.55/68
Sono incostituzionali i Piani Regolatori quando vincolano come inedificabili dei terreni, determinando
di fatto, a danno dei proprietari, una sorta di “esproprio senza indennizzo”
I vincoli di inedificabilità possono essere legittimamente posti solo a tempo determinato, essendo
altrimenti necessaria la previsione di un indennizzo
La logica della sentenza n. 55 :
i proprietari hanno il diritto a costruire sul proprio terreno (naturalmente alle condizioni fissate dal
PRG)
questo diritto è tutelato dalla Costituzione in quanto facente parte del diritto di proprietà
il divieto di edificazione senza termini temporali a mezzo di uno strumento urbanistico diviene una
limitazione del diritto di proprietà, e come tale è riconosciuto incostituzionale
La sostanza della sentenza n. 55 :
La Corte Costituzionale porta in questo modo al pettine uno dei nodi più problematici della
pianificazione urbanistica:
P
R
P
P
P
PI
P
PT
PTA
PT P
P
P
R
P
PR
USS
C
S
…
contemperare le esigenze della collettività (in ordine alla disponibilità di scuole, strade, verde,
parcheggi, …) con la necessaria tutela del diritto del singolo, e in particolare con il diritto del
proprietario dei terreni necessari a soddisfare queste esigenze
Le conseguenze della sentenza n. 55 :
La sentenza della C.C. fece epoca e scalpore, determinando scompiglio nelle amministrazioni che
si trovarono con strumenti urbanistici delegittimati
Per tamponare la falla, restituendo validità ai PRG vigenti, venne immediatamente emanata la
legge 1187/68, detta appunto “legge tampone”
I vincoli di inedificabilità perdono validità se entro 5 anni dalla data di approvazione del PRG non
sono stati approvati i relativi piani attuativi
Leggi successive prorogarono poi ulteriormente tale termine fino al 1977, quando il problema della
legittimità dei PRG venne infine risolto
La soluzione della questione della sentenza n. 55:
La sentenza n. 55/68 suggeriva implicitamente un rimedio, facile ma radicale, alla questione:
separare il diritto di edificare (jus aedificandi) dal diritto di proprietà e assegnarlo alla collettività.
l’apposizione di vincoli su terreni che non siano per il proprietario “naturalmente edificabili” non
comporta la necessità di alcun indennizzo, ogni vincolo alla edificabilità dei suoli non lede pertanto
alcun diritto dei proprietari.
La concessione edilizia
Legge 10/1977
Lo strumento per materializzare la separazione fra diritto di proprietà e diritto di edificare è la
concessione edilizia, introdotta dalla legge 10/1977 (legge “Bucalossi”)
il Comune è titolare del diritto di edificare (ovvero del diritto di trasformare il territorio mediante
interventi sul patrimonio immobiliare)
Il Comune, qualora ravvisi la conformità delle richieste di un intervento con le previsioni degli
strumenti urbanistici vigenti, concede tale diritto al singolo
Concessione vs licenza Al di là della affermazione di principio sullo jus aedificandi, alcune caratteristiche distinguono
concretamente la concessione edilizia dalla precedente licenza
non viene necessariamente rilasciata al proprietario dell’area
è revocabile a determinate condizioni
ha durata ragionevolmente contenuta
è richiesta anche per interventi su edifici esistenti
in genere è onerosa
Cogenza L’art. 1 della legge 10/77 stabilisce che la concessione è obbligatoria “per ogni attività comportante
trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale”
A fronte di tale genericità, appare corretto interpretare la concessione edilizia come obbligatoria
per gli interventi qui elencati:
1. Tutte le nuove costruzioni edilizie
2. La ricostruzione di edifici
3. Gli ampliamenti degli edifici esistenti
4. Le modifiche sostanziali agli edifici esistenti
5. Le opere di urbanizzazione
6. Le modifiche al territorio non urbanizzato
Soggetti La legge 10/77 stabilisce che la concessione edilizia può essere richiesta dal proprietario dell’area o
da “chi abbia titolo per richiederla”
In sostanza, ai fini del rilascio della concessione è sufficiente la dimostrazione del godimento della
piena disponibilità dell’immobile, ovvero ad esempio:
1. La qualifica di proprietario
2. La qualifica di promittente acquirente
3. La qualifica di usufruttuario
4. La qualifica di titolare di affitto poliennale
Procedura Il rilascio della C.E. segue le seguenti fasi:
1. la domanda di C.E. è corredata da un progetto esecutivo, che descriva in dettaglio (scala 1:100)
i lavori da effettuare e dalla attestazione del titolo di possesso del bene
2. l’U.T.C. esegue l’istruttoria della pratica, verificando l’esattezza delle misure e dei conteggi
contenuti nel progetto e la conformità di questo a norme, strumenti e regolamenti
3. l’U.T.C. trasmette alla Commissione Edilizia una relazione
4. il Sindaco raccoglie i pareri obbligatori
della Comm. Edilizia
della A.S.L.
degli enti di tutela
5. il Sindaco rilascia la Concessione, subordinandola al pagamento degli oneri di concessione
Oneri Il rilascio della concessione è subordinato al pagamento di un contributo di concessione, composto
da 2 quote
1. quota di urbanizzazione, proporzionalmente commisurata all’incidenza delle opere di
urbanizzazione p. e sec.
La quota di urbanizzazione è stabilita dal C.C. sulla base di tabelle parametriche regionali, che
fissano dei “minimi” inderogabili
2. quota di costruzione, proporzionalmente commisurata al costo dell’intervento
La quota di costruzione è fissata dalla Regione fra il 5% e il 20% del costo di costruzione del
fabbricato, pari a
quanto stabilito annualmente dal Min. LL.PP. come costo convenzionale, per fabbricati nuovi
quanto risulta dal computo metrico estimativo allegato alla richiesta di concessione e
verificato in sede di istruttoria, per fabbricati esistenti
Edifici per attività produttive
Per gli edifici industriali e artigianali la quota di costruzione non è dovuta, ma è sostituita da due
quote:
quota di tutela ecologica, commisurata all’incidenza delle opere necessarie allo
smaltimento dei rifiuti
quota di tutela ambientale, commisurata all’incidenza delle eventuali opere di risistemazione
dei luoghi
L’ammontare di entrambi i contributi è stabilito dall’amministrazione comunale sulla base di
tabelle parametriche emesse dalla Regione
La concessione edilizia agevolata La legge 10 specifica vari casi in cui la concessione edilizia è agevolata, parzialmente o totalmente,
con la riduzione o l’esonero del pagamento degli oneri. Esempi:
Il contributo concessorio non è dovuto per gli interventi in zona agricola, finalizzati alla
conduzione del fondo
Il contributo concessorio non è dovuto per gli impianti e le opere di interesse generale
Il contributo concessorio non è dovuto per gli interventi da realizzare a seguito di pubbliche
calamità
Il contributo concessorio per interventi su immobili di proprietà dello Stato è limitato alla sola
quota di urbanizzazione
Validità La legge Bucalossi stabilisce i termini temporali di validità della concessione edilizia:
I lavori dovranno avere inizio entro 1 anno dalla data del rilascio della concessione
L’amministrazione comunale, in relazione a specifiche esigenze, può adottare diversi termini
temporali
I lavori dovranno avere termine entro 3 anni dalla stessa data
L’amministrazione comunale, su richiesta e in relazione a specifiche motivazioni, può concedere
deroghe e procrastinare il termine per l’ultimazione dei lavori
Assenza o difformità I lavori effettuati senza concessione edilizia, o realizzati con concessione edilizia scaduta, o in
difformità, totale o parziale, da essa, sono considerati abusivi
La esecuzione di interventi edilizi abusivi dà luogo a sanzioni penali e amministrative. Fra queste:
La riduzione in pristino delle opere eseguite abusivamente
La demolizione delle opere eseguite abusivamente
La acquisizione delle opere eseguite abusivamente al patrimonio immobiliare pubblico
Un commento E’ vero che la concessione rilasciata ai proprietari di aree non vincolate è soggetta al pagamento
di oneri, spesso pesanti
Tuttavia, si rileva che tali oneri vengono correntemente trasferiti all’acquirente dell’alloggio, e non
eliminano le sperequazioni fra proprietari di terreni vincolati e proprietari di aree edificabili
In sostanza, il tanto dibattuto scorporo del diritto di edificare dal diritto di proprietà corrisponde in
concreto a poco più di una affermazione di principio
L’introduzione dell’istituto della concessione si traduca in effetti in un mero cambio nominalistico
In altre parole, la disciplina dell’attività edilizia è ancora strutturata, in base alla legge 10, secondo
la logica dell’autorizzazione da rilasciare al proprietario: di fatto, può sostenersi che la concessione
edilizia altro non è che una licenzia edilizia onerosa
Dalla concessione alla autorizzazione edilizia La legge 10/77 imponeva l’obbligo della concessione edilizia per tutti gli interventi su edifici esistenti
Nel 1978 la legge 457 alleggerisce quest’obbligo, introducendo la autorizzazione edilizia per i soli
interventi di manutenzione straordinaria
Rispetto alla concessione, la autorizzazione edilizia presenta essenzialmente le differenze qui di
seguito enumerate:
1. il suo rilascio da parte del Sindaco segue direttamente l’istruttoria da parte dell’U.T.C., senza
l’obbligo del parere della Commissione Edilizia
2. l’autorizzazione edilizia non è soggetta a scadenza temporale, salvo diverse indicazioni comunali
3. il suo rilascio non comporta esborso di contributi (aut. gratuita)
Dalla concessione alla denuncia asseverata Nel 1985 la legge 47 introdusse per la prima volta in Italia l’istituto del condono edilizio, consentendo
alle opere abusive esistenti la concessione edilizia in sanatoria
Per limitare la continuazione del ricorso al “piccolo abusivismo”, fu deciso di alleggerire
(proceduralmente ed economicamente) le pratiche relative alle opere edilizie di modesta entità
La legge 10/77 imponeva infatti l’obbligo della concessione edilizia per tutti gli interventi su edifici
esistenti, con l’eccezione delle sole opere di manutenzione straordinaria
Nel tentativo di rendere più agevole e snello l’intervento sul patrimonio edilizio esistente, una parte
di tali opere venne sottratta con l’art. 26 all’obbligo della concessione edilizia a vantaggio di uno
strumento più snello e non oneroso: la denuncia asseverata
La denuncia asseverata
Legge 47/1985
Con l’art. 26 della legge 47, le pratiche relative alle opere edilizie di modesta entità vennero
assoggettate alla semplice presentazione, da parte del proprietario, di una denuncia, corredata da
una relazione asseverata firmata da un tecnico.
Con la denuncia asseverata, un progetto di intervento non è soggetto ad approvazione da parte
del Comune: è il tecnico che, con la propria firma e sotto la sua responsabilità attesta (assevera)
che le opere:
sono conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti
rientrano nelle opere previste come opere di modesta entità
I Termini temporali Nella originaria stesura della legge, i lavori potevano avere inizio contestualmente alla presentazione
della denuncia asseverata
Successivamente, al fine di consentire un minimo di controllo su possibili abusi, il termine minimo per
l’inizio dei lavori venne determinato nella misura di 30 giorni a partire dalla presentazione della
denuncia
Condizioni Rientrano nella fattispecie delle opere ammesse ad utilizzare tale strumento le opere su edifici
esistenti che:
Non comportino aumento di volume
Non comportino aumento di superficie
Non comportino modifiche alla destinazione d’uso dell’immobile
Non comportino alterazioni alla sagoma dell’edificio e ai suoi prospetti
Non comportino aumento del numero delle unità immobiliari
Non insistano su un fabbricato che ricade in zona A
Non insistano su un fabbricato che ricade in zona soggetta a particolari vincoli territoriali
Non comportino pregiudizio all’assetto statico e strutturale dell’immobile
La denuncia di Inizio Attività
Legge 493/1993 – Legge 662/1996
Con le stesse finalità della legge 47/85, alcuni provvedimenti legislativi degli anni Novanta hanno
ulteriormente snellito l’intervento sui fabbricati esistenti, sostituendo alla denuncia con asseverazione
la D.I.A., che è al solito una denuncia corredata da una relazione asseverata, ma che si differenzia
dalla prima per due motivi:
1. un motivo di ordine procedurale :
il termine di attesa prima dell’avvio dei lavori venne fissato in 20 giorni, con la consueta intesa
del silenzio-assenso
2. un motivo di merito :
sono ammesse a DIA anche le opere che comportano trasformazioni “non sostanziali” della e
dei prospetti
Il TU del 2001 sull’edilizia
DPR 380/2001
Nel 2001 viene emanato con il D.P.R. n. 380 il Testo Unico in materia di edilizia, che, nel raccogliere e
organizzare i provvedimenti normativi vigenti in materia, comporta alcune rilevanti modifiche:
1. La concessione edilizia scompare e viene sostituita dal permesso di costruire
2. L’autorizzazione edilizia viene soppressa
3. Viene introdotta una nuova regolamentazione della DIA : L’attesa minima fra denuncia e inizio
lavori viene portata a 30 giorni
La “legge obiettivo” e le ultime modifiche al TU
DPR 380/2001 – Legge 443/2001 – D.Lgs 301/2002
Nel dicembre 2001 viene emanata la cosiddetta “legge obiettivo”, legge 443/2001, che contiene la
previsione di estensione delle categorie di interventi assoggettati a D.I.A., che il T.U. subordinava a
Permesso di Costruire
In attuazione della legge 443, il D.Lgs. n. 301/2002 modifica in tale senso il Testo Unico sull’edilizia,
ancora prima che questo entri in vigore
Viene introdotta la cosiddetta super D.I.A.
Il titolo abitativo allo stato attuale
DPR 380/2001 – D.Lgs 301/2002
A seguito della riscrittura del T.U., lo opere edilizie sono così classificate nei riguardi del titolo abilitativo
necessario per la loro esecuzione:
1. Attività edilizie libere, non assoggettate ad alcun titolo abilitativo
2. Attività edilizie assoggettate al Permesso di Costruire
3. Attività edilizie assoggettate alla D.I.A.
Le attività edilizie libere Sono considerate interventi di attività edilizia libera, eseguibili senza alcun titolo abilitativo, le
seguenti opere:
1. Gli interventi di manutenzione ordinaria
2. Gli interventi volti alla eliminazione delle barriere architettoniche, purché non comportino la
realizzazione di rampe o ascensori che alterino la sagoma dell’immobile
3. Le opere temporanee per attività di ricerca geognostica nel sottosuolo, all’esterno dei centri
abitati
Le attività soggette a PdC Sono assoggettate al possesso del Permesso di Costruire, rilasciato dal Sindaco, le seguenti opere:
1. Gli interventi di nuova costruzione
2. Gli interventi di ristrutturazione urbanistica
3. Gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino:
Un aumento del numero delle unità immobiliari
Modifiche al volume o alle superfici del fabbricato
Modifiche alla sagoma o ai prospetti del fabbricato
Modifiche alla destinazione d’uso, se in zona omogenea A
Le attività soggette a DIA Sono assoggettate alla presentazione della Denuncia di Inizio Attività le seguenti opere:
1. Gli interventi che non rientrano fra le attività edilizie libere e che non sono soggetti a Permesso di
Costruire
2. Le varianti in corso d’opera a progetti muniti di Permesso di Costruire, purché non incidano su
volume, superficie, sagoma, prospetti e destinazione d’uso
Altre attività soggette a DIA Possono essere eseguite a seguito di presentazione di D.I.A., in alternativa al rilascio di Permesso di
Costruire, le seguenti opere:
1. Tutte le opere di ristrutturazione edilizia
2. Gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica, purché disciplinati da Piani
Attuativi vigenti forniti di prescrizioni planivolumetriche di dettaglio
3. In altri termini, occorre che il P.R.G. non rimandi, per le precisazioni di dettaglio delle previsioni,
ad un successivo strumento attuativo
Gli interventi sugli immobili vincolati Anche gli interventi su immobili soggetti a vincolo di tutela (es. L.1089/39, L.1497/39, L.431/85) sono
assoggettati a D.I.A., purché questa sia corredata da parere di nulla osta da parte dell’ente
preposto alla tutela
In questo caso, l’attesa di 30 giorni decorre dalla data del rilascio di tale parere
Considerazioni L’ampliamento dell’elenco delle opere soggetta a D.I.A. ha valso ad essa l’attribuzione
dell’appellativo di D.I.A. allargata o super D.I.A.
Con l’introduzione della super DIA si consuma la fase della deregulation, con il passaggio da un
regime autorizzativo, nel quale le opere escluse dal permesso comunale costituiscono una
eccezione alla regola, che prescrive ovunque l’obbligo della concessione edilizia, ad un regime
asseverativo, nel quale l’eccezione è invece costituita dagli interventi che restano soggetti
all’esplicito permesso comunale.
Lezione 20: Gli strumenti della disciplina edilizia: il Regolamento Edilizio Il Regolamento Edilizio
Generalità Il Regolamento Edilizio è un corpo di norme finalizzate alla regolamentazione di ogni settore
direttamente connesso con l’attività fabbricativa e con l’ordinato sviluppo urbanistico nell’ambito
del Comune
Le norme del R.E. sono a-spaziali, prive di riferimento con il territorio: Per essere ancorato al territorio,
il R.E. necessita di un P.R.G. o, in sua assenza, di un P.F.
Il R.E. non contiene previsioni riguardo alla destinazione del territorio, né alla definizione del suo
assetto: Non è pertanto uno strumento urbanistico. E’ uno strumento di disciplina edilizia, e non fa
parte del processo pianificatorio
La disciplina edilizia esistente prima della 1150 Fino dagli ultimi decenni del XIX secolo, i regolamenti igienico-sanitari del Comuni dettavano norme
di natura edilizia finalizzate ad assicurare la salubrità agli aggregati urbani
Nel 1915 il Regolamento Edilizio viene introdotto nella normativa con il Testo Unico sui Comuni e le
Province e con il Codice Civile
Nel 1942 la legge 1150 accoglie il Regolamento Edilizio strutturandolo come il principale strumento
di disciplina edilizia dei Comuni
Legge 1150/1942
Finalità Erede, da una parte, dei regolamenti igienico-sanitari ottocenteschi e, dall’altra parte, delle
disposizioni civilistiche del primo Novecento, il R.E. ha 2 finalità:
1. assicurare un ordinato sviluppo edilizio dell’abitato nei riguardi della funzionalità, dell’estetica,
dell’igiene
2. assicurare il contemperamento degli interessi privati che possono trovarsi in contrasto, mediante
la disciplina dei rapporti di vicinato, che integra in ambito comunale le disposizioni del Codice
Civile
Limiti spaziali, cogenza, validità Limiti spaziali: L’intero territorio di un Comune
Cogenza: Il Regolamento Edilizio è obbligatorio per ogni Comune : I Comuni sprovvisti di P.R.G.
devono anche allegare al R.E. un P.F.
Validità: Il Regolamento Edilizio è valido a tempo indeterminato
Contenuti I contenuti di un Regolamento Edilizio sono determinati dall’art. 33 della legge 1150/42
1. la definizione della disciplina dell’attività edilizia, mediante norme igienico-tecniche
estetica dei fabbricati
decoro urbano
2. la definizione delle norme organizzatorie e procedurali
sicurezza degli edifici e degli impianti
salubrità interna degli alloggi
Norme relative al calcolo degli indici edilizi e urbanistici
Norme relative alla procedura per le pratiche edilizie e il rilascio dei permessi
Elaborati Gli elaborati di un Regolamento Edilizio sono costituiti da un complesso di norme definite in forma
discorsiva, come articoli di un corpus disciplinare
Procedura 1. Adozione da parte del Consiglio Comunale
2. Trasmissione alla Regione
3. Recepimento da parte della G.Regionale
non lo approva, motivando il rigetto
apporta modifiche sostanziali, e lo ritrasmette al Comune per le opportune correzioni
apporta modifiche non sostanziali, e lo approva
lo approva
4. Pubblicazione della delibera della G.R. sul B.U.R. ed entrata in vigore
Questioni Strumento di derivazione ottocentesca, oggi il R.E. è talvolta considerato arcaico e superato.
Nei Comuni italiani si manifestano oggi in linea generale 3 tendenze
1. Lo si abolisce, lasciandolo atrofizzato e inserendo le misure normative in esso tradizionalmente
contenute all’interno delle N.T.A. del P.R.G.
2. Si inseriscono nelle N.T.A. le sole norme tecnico-igieniche, lasciando al R.E. la funzione di
strumento di definizione dell’assetto organizzativo e procedurale
3. Si continua ad utilizzarlo nel modo tradizionale
Tecnica Urbanistica: Il Processo Pianificatorio Lezione 1: I modelli per la pianificazione urbana e territoriale Cos’è un sistema: Si dice sistema un insieme di elementi fra loro interagenti sulla base di una predeterminata
relazione, in cui l’intensità di tale interrelazione sia sensibilmente più forte della interazione del
sistema stesso con l’esterno
Si dice metasistema, o ambiente, tutto ciò che non trova definizione del sistema, e che ha una
possibile relazione funzionale con esso
Si dice sistema chiuso un sistema che non ha relazioni con il metasistema
Si dice elemento di un sistema la minima parte non scomponibile di un sistema
Si dice variabile di un sistema ogni proprietà di un suo elemento o di una sua relazione che muta
nel tempo
Si dice variabile di ingresso, o input, ogni grandezza il cui valore è determinato da eventi che si
svolgono nel metasistema
Si dice variabile di uscita, o output, ogni grandezza il cui valore è determinato da eventi che si
svolgono nel sistema, in conseguenza dei valori delle variabili di ingresso
Si dice stato di un sistema l’insieme dei valori assunti dalle sue variabili in un dato istante; tali
variabili si dicono variabili di stato
La complessità del territorio: L’analisi e la pianificazione della città e del territorio hanno ad oggetto un campo
straordinariamente complesso, che presenta una grande quantità di questioni e al quale afferisce
un’ampia varietà di discipline e di competenze
problematiche morfologiche competenze architettoniche
problematiche sociali competenze sociologiche
problematiche economiche competenze economiche e finanziarie
problematiche geologiche competenze geologiche
problematiche ambientali competenze ingegneria idraulica
problematiche giuridiche competenze giuridiche
problematiche storiche competenze storiche e archeologiche
Il territorio come sistema: Il territorio, e in particolare il territorio urbano, costituisce un sistema complesso, ovvero un sistema
risultante dalla sovrapposizione e dall’intreccio di vari sistemi, afferenti a diversi ambiti disciplinari
Esempio:
Intervento sul sistema morfologico Intervento sul sistema morfologico (sistema economico)
Perché un operatore possa affrontare una tale complessità, si ha la necessità di ricondurre di volta
in volta il fenomeno osservato ad un unico sistema Utilizzazione dei modelli
Cos’è un modello: Un modello è una rappresentazione di un sistema, consistente in una formulazione semplificata e
generalizzata delle sue caratteristiche poste sotto analisi. Un modello è quindi una astrazione della
realtà, usata per raggiungere la massima chiarezza concettuale, ovvero per ridurre la complessità
del reale ad un livello che si possa comprendere e specificare. L’utilità di un modello consiste nel
fatto che esso può essere usato per migliorare la nostra conoscenza del comportamento di un
sistema in circostanze in cui non è possibile sperimentare direttamente sulla realtà.
Esempio:
REALTA’ SISTEMA MODELLO
Edificio residenziale Elementi strutturali Schema statico
Edificio residenziale Impianto elettrico Schema linee elettriche
Edificio residenziale Elementi morfologici Piante e prospetti architettonici
L’importanza del modello risiede nel fatto che la sua utilizzazione consente di prevedere e verificare
la funzionalità di una soluzione senza procedere per tentativi, mediante la costruzione diretta
dell’oggetto.
I modelli: una classificazione strutturale 1. Modelli fisici:
I modelli fisici consistono in riproduzioni semplificate e in scala ridotta della realtà in studio. Es.: i
modelli semplificati (senza motore) delle automobili da testare nella galleria del vento. Es.: un
plastico di un progetto architettonico o di un progetto a scala urbanistica.
2. Modelli astratti
I modelli astratti sono invece quelli in cui una situazione reale è rappresentata con simboli, anziché
con apparati fisici. Esempio: Una rappresentazione cartografica è un modello astratto di una
porzione di territorio. Una particolare tipologia dei modelli astratti è rappresentata dai modelli
matematici, nei quali la rappresentazione dei fenomeni indagai avviene a mezzo del linguaggio e
delle espressioni matematiche. Nella pianificazione urbana e territoriale, tali modelli sono in genere
quelli più utili, in quanto consentono il controllo di variabili diverse dai semplici aspetti fisici, fino a
giungere alle relazioni funzionali fra gli elementi insediati.
I modelli: una classificazione funzionale 1. Modelli descrittivi:
Finalizzati essenzialmente alla rappresentazione di una situazione reale.
2. Modelli previsionali:
Modelli descrittivi riferiti a una situazione non reale, ma assunta come ipotesi; finalizzati alla
simulazione delle ipotetiche situazioni future
3. Modelli normativi (planning):
Modelli previsionali finalizzati a rendere possibile l’assunzione di decisioni in relazione a determinati
obiettivi.
I modelli descrittivi: alcuni esempi
1. il plastico di un edificio o di una parte di città è un modello fisico descrittivo
2. una cartografia è un modello simbolico descrittivo
3. un algoritmo che riproduce una correlazione fra il tasso di occupazione e il reddito familiare è un
modello simbolico matematico descrittivo
I modelli previsionali: alcuni esempi
1. il plastico di un progetto è un modello fisico previsionale
2. un metodo per determinare l’estensione dei bacini di utenza dei centri commerciali in progetto
è un modello matematico previsionale
3. un algoritmo che determini la distribuzione delle correnti di traffico a seguito della realizzazione
di trasformazioni urbane in progetto è un modello matematico previsionale
I modelli previsionali: alcuni esempi
1. un fotomontaggio che rappresenti l’impatto di una infrastruttura sul paesaggio, finalizzato a
scegliere il progetto meno stravolgente, è un modello fisico di planning
2. un metodo per determinare il costo di uno strumento urbanistico, finalizzato a scegliere il piano
più economico, è un modello di planning
3. un algoritmo per determinare l’attrattività delle singole parti della città, finalizzato alla
localizzazione delle attività, è un modello di planning.
I modelli come black box La bontà di un modello non si esaurisce nella sua capacità di fornire previsioni attendibili e simili al
vero. È necessario che l’intero processo logico che sta alla base dell’algoritmo del modello sia
comprensibile e credibile sotto il profilo concettuale. Va evitato il rischio del “black box”, ovvero di
un modello caratterizzato da un meccanismo di calcolo indecifrabile, che recepisce gli input
richiesti e produce i risultati senza fornire una spiegazione delle ragioni concettuali in esso strutturate.
I modelli per la pianificazione urbana e territoriale L’uso di modelli per l’analisi della città e a supporto della pianificazione urbana presuppone
l’assunzione della città stessa come sistema complesso, formato da singoli elementi, fra loro
interconnessi a mezzo di relazioni interne, che ne costituiscono le leggi di funzionamento. I modelli
appaiono pertanto finalizzati alla comprensione e alla descrizione della geografia interna del
territorio e delle relazioni fra le sue singole parti.
I principi della geografia urbana I princìpi della geografia urbana utilizzano modelli per rispondere alle questioni essenziali della
geografia della città e del territorio:
Perché esiste la città?
Dove si collocano le attività nella città?
Come interagiscono le attività nella città?
Come si evolve la città?
Come si organizzano fra loro le città?
Lezione 2: Il principio di agglomerazione Il principio di agglomerazione: Il principio di agglomerazione è il principio genetico della città: i metodi e i modelli che vi afferiscono
mirano a rispondere alla questione fondamentale della formazione di un centro abitato. Perché
esiste una città?
Perché esiste una città? Le economie di agglomerazione: Le città esistono perché gli uomini da sempre hanno trovato conveniente organizzare le proprie
attività in modo spazialmente concentrato. I vantaggi derivanti a una attività da una localizzazione
spazialmente concentrata si dicono economie di agglomerazione. Le economie di agglomerazione
sono i fattori essenziali della formazione delle città.
Per evidenziare l’importanza delle economie di agglomerazione si ipotizzi la loro assenza. Le attività,
in assenza di vantaggi da una localizzazione concentrata, tenderebbero a disporsi sul territorio in
modo perfettamente diffuso. Ogni attività produrrebbe limitate quantità di beni, al solo servizio del
mercato locale.
Si ipotizzi adesso la comparsa di economie di agglomerazione in un qualsiasi settore (anche
marginale) di attività. Progressivamente, i vantaggi di una localizzazione concentrata vanno a
interessare tutti i settori di attività. Tutte le attività tendono a collocarsi in un unico punto dello spazio,
per beneficiare delle economie di agglomerazione.
Esempio:
Si ipotizzi la comparsa di economie di agglomerazione nell’attività di produzione di stringhe per
scarpe. I produttori di stringhe per scarpe si dispongono in un unico punto dello spazio. I produttori
di scarpe si dispongono in quel punto dello spazio. Gli occupati nelle produzioni di quei settori, con
le loro famiglie, si dispongono in quel punto dello spazio. I negozi di generi alimentari, di vestiti, le
scuole, i servizi, trovano convenienza a disporsi in quel punto dello spazio. Il processo continua in
modo cumulativo, toccando progressivamente attività sempre più indirettamente legate alla
produzione delle stringhe per scarpe, fino ad interessare tutte le attività. Tutte le attività vanno così a
collocarsi in un unico punto dello spazio, o nelle sue immediate prossimità, per beneficiare della
presenza delle economie di agglomerazione.
Le diseconomie agglomerative:
Un simile processo determinerebbe la formazione di un unico centro, sede di tutte le attività. Questo
non avviene, perché il processo cumulativo trova un limite nella formazione di diseconomie di
agglomerazione, ovvero di svantaggi connessi alla localizzazione concentrata di attività. Le
diseconomie di agglomerazione costituiscono un ostacolo alla concentrazione spaziale delle
attività, arrestando la crescita urbana ad un livello oltre il quale gli svantaggi localizzativi superano i
benefici.
costi di congestione traffico, inquinamento, stress, criminalità
costi di produzione prezzo del terreno, costo di trasporto.
Economie e diseconomie agglomerative: Presenza di soli costi di trasporto Produzione perfettamente diffusa, in prossimità della
localizzazione dei singoli individui.
Presenza di sole economie di agglomerazione Produzione di ciascun bene concentrata in un solo
luogo dello spazio.
Copresenza di economie di agglomerazione e di costi di trasporto Presenza di concentrazioni di
attività intercalate ad aree a bassa densità: “diffusione concentrata”
Queste porzioni del territorio le chiamiamo città.
Il costo di trasporto Il costo di trasporto va qui assunto non come spesa monetaria connessa allo spostamento, ma come
metafora di tutti gli elementi di frizione spaziale
Costo monetario di trasporto
Costo di opportunità del tempo di trasporto
Costo psicologico del viaggio
Difficoltà delle comunicazioni a distanza
Rischio di perdita di informazioni essenziali
Scadimento informazione dai canali diretti a canali indiretti
Le economie di agglomerazione Le economie di agglomerazione sono riconducibili a 3 categorie:
1. Economie di scala :
Economie interne all’attività, dipendenti dalle sue dimensioni
2. Economie di localizzazione
Economie esterne all’attività, ma interne al rispettivo settore
3. Economie di urbanizzazione
Economie esterne all’attività e al rispettivo settore
Le economie di scala Le economie di scala sono i vantaggi che derivano a una attività dal raggiungimento di dimensioni
sufficientemente elevate per migliorare l’efficienza dei processi produttivi: abbassamento dei costi,
aumento dei profitti. Le attività non possono essere riprodotte in miniatura (Es.: una fabbrica che
produce 1 automobile l’anno, una scuola per 5 studenti non possono esistere) Aumentando le
dimensioni di un’attività, si osserva in genere un aumento più che proporzionale della sua efficienza.
Le economie di scala e l’area di mercato di un’attività
Si ipotizzi un mercato disposto lungo una linea retta, su un territorio lineare omogeneo, e 6 attività
che producono lo stesso bene, disposte uniformemente
p = prezzo di mercato del bene/servizio
d = distanza
t = costo di trasporto
p* = prezzo franco fabbrica
p = p* + t d
D = ampiezza dell’area di mercato
La curva della domanda spaziale e l’area di mercato di un’attività individuale x = x (d) di beni e
servizi
La curva della domanda spaziale complessiva di beni e servizi p = p* + t d = a - b x x = (a - p*) / b - t/b d
X = ∫0-dmax [(a - p*) / b - t/b d] dd mercato lineare
X = q [dmax (a-p*) / b – d²max /b ]
X = ∫0-2π ∫0-dmax θ [(a - p*) / b - t/b d] dd dθ mercato spaziale
dmax = (a - p*) t
x, X = f (p*, t) La domanda spaziale di beni e servizi dipende solo dalla presenza di economie di
scala (p*) e dai costi di trasporto (t)
Dalla curva spaziale della domanda alla disposizione delle attività sul territorio
Struttura ad honeycomb (alveare)
Cono di Lösch
Le economie di localizzazione Sono fattori che determinano l’agglomerazione di attività simili, per beneficiare di vantaggi esterni
alle singole imprese ma interni al loro settore
L’instaurarsi di rapporti di acquisto/vendita fra le imprese Economie di tipo “pecuniario”
La riduzione dei costi di transazione all’interno dell’area Economie “transazionali”
La disponibilità di un bacino di manodopera specializzata Economie “di apprendimento”
La presenza di servizi di valorizzazione della produzione Economie “di marketing”
La presenza di una cultura industriale diffusa nell’area Economie da “industrial atmosphere”
Le economie di urbanizzazione Sono fattori tipici dell’ambiente urbano: determinano l’agglomerazione di attività che mirano a
beneficiare di vantaggi esterni alle singole imprese e al loro settore, ma derivanti dalle caratteristiche
e dalle funzioni della città:
Concentrazione dell’intervento pubblico nella città
Natura della città come vasto mercato
Natura della città come incubatore di fattori produttivi
Accesso a un mercato di grande dimensione
Presenza di nicchie di specializzazione nel mercato
Accesso a un ampio e diversificato mercato del lavoro
Presenza di capacità manageriali e direttive
Economie di comunicazione/informazione
Economie di scala nella fornitura dei servizi
Presenza di impianti e infrastrutture
Economie e diseconomie urbane dei residenti
Anche gli households, oltre alle attività, sono sensibili nelle loro scelte localizzative alla presenza di
economie e diseconomie di agglomerazione
Economie di agglomerazione urbana
Presenza di più efficienti servizi pubblici
Ricchezza di servizi culturali e ricreativi
Maggiori possibilità di scelta (lavoro, shopping, ricreazione)
Diseconomie di agglomerazione urbana
Elevati costi delle abitazioni
Congestione e inquinamento
Le economie di urbanizzazione Platone (IV secolo a.C.) 7! Abitanti (oltre a bambini, stranieri, schiavi e donne)
R. Owen (1820) 1.200 abitanti
C. Fourier (1825) 1.600 abitanti
E. Howard (1899) 32.000 abitanti
T. Garnier (1910) 35.000 abitanti
Le Corbusier (1925) 3.000.000 abitanti
J. Sert (1955) 80.000 abitanti
Lezione 3: Il principio di accessibilità Il principio di accessibilità (o della competizione spaziale): Il principio di accessibilità è posto alla base della organizzazione interna dello spazio urbano
I metodi e i modelli che vi afferiscono mirano a rispondere alla questione della localizzazione delle
attività in un centro abitato
Dove nella città?
Spazio urbano e accessibilità: L’organizzazione dello spazio urbano è determinata dalla competizione fra le diverse attività
economiche per assicurarsi al suo interno la localizzazione più vantaggiosa. Una localizzazione “più
vantaggiosa” significa la collocazione in una parte del territorio avente più elevata accessibilità.
Cosa si intende per accessibilità?
Della accessibilità: L’accessibilità, in senso del tutto generale, è definibile come il superamento della barriera imposta
dallo spazio al movimento di cose e persone, ovvero il superamento della frizione spaziale. In
concreto, l’accessibilità è, per esempio:
per una attività, è la presenza di un bacino di mercato raggiungibile senza elevati oneri
per una attività, la pronta ed economica disponibilità di fattori produttivi
per un’azienda, la disponibilità di informazioni strategiche in tempi rapidi rispetto alle attività
concorrenti
per una persona, è la possibilità di visitare musei, portare i bambini a scuola, fare acquisti,
frequentare cinema, ricrearsi nel verde senza sobbarcarsi tempi e costi di spostamento
L’accessibilità è quindi una risorsa pregiata, la cui ricerca governa le scelte localizzative, sia a livello
macro- che micro-territoriale
A scala macroterritoriale Storicamente, le città si sono insediate in luoghi che garantivano i
massimi vantaggi localizzativi: la foce di un fiume, la vicinanza a miniere, la prossimità a nodi di
trasporto, a bacini di mercato, etc.
A scala microterritoriale Le attività si dispongono in ambito urbano in modo da beneficiare dei
vantaggi della accessibilità: l’organizzazione interna della città ne risulta determinata
Per disporre in misura massima della accessibilità, risorsa limitata, sulla scena urbana si accende fra
le attività una competizione, che si traduce in una elevata domanda di aree centrali
In tale competizione, emerge come arbitro l’elemento ordinatore delle attività sul suolo urbano : la
rendita fondiaria
La rendita urbana alloca le diverse porzioni dello spazio urbano alle attività che più sono in grado di
pagare per la loro disponibilità
Gli inizi della teoria della localizzazione: il modello di Von Thunen Nel 1836 Johan Von Thünen studiò l‘ottimale localizzazione delle attività agricole, assumendo le
seguenti ipotesi
Un territorio pianeggiante, omogeneo e isotropo, anche riguardo alle infrastrutture di trasporto
La presenza di un unico centro, sede del mercato dei prodotti
La disponibilità diffusa dei fattori produttivi, che non devono essere trasportati
Una funzione di produzione specifica per ogni prodotto
Il prezzo definito esogenamente, su un mercato più ampio
Il costo di trasporto costante, variabile linearmente con la distanza
Le notazioni p - prezzo di vendita unitario del prodotto
c - costo unitario di produzione del prodotto
x - quantità di prodotto ottenibile per unità sup. del terreno
d - distanza dal centro
τ - costo di trasporto unitario
r - rendita per unità di superficie
La rendita è l’importo corrisposto al proprietario del terreno al netto dei costi di produzione e del
normale profitto
r (d) = (p - c - τd) x
Rendita e uso agricolo del suolo Ad ogni attività corrisponde una specifica funzione di produzione
r (d) = (p - c - τd) x
Si ipotizzi la presenza di più (3) usi agricoli alternativi, ciascuno fornito di una propria funzione di
produzione. Ogni porzione di terreno verrà allocata alla produzione che consentirà l’offerta di rendita
più vantaggiosa. Le produzioni si disporranno secondo cerchi concentrici attorno alla sede del
mercato.
Le conclusioni
Nella competizione per il terreno più accessibile, ogni porzione è attribuita alla produzione in grado
di offrire la rendita più elevata. Produzioni la cui funzione è una retta più bassa di altre verranno
escluse dalla allocazione delle porzioni di terreno. Le produzioni si disporranno secondo cerchi
concentrici attorno al mercato. I terreni esterni alla circonferenza più ampia saranno esclusi dalla
coltivazione: qui i costi di produzione superano infatti il ricavo. La rendita fondiaria complessiva è
data dall’inviluppo delle curve di rendita.
Fin qui si è parlato di curve di offerta di rendita. E la domanda di rendita?
Anch’essa è pari all’inviluppo delle curve di offerta di rendita. Il proprietario del terreno, infatti,
cederà ogni sua porzione alla attività che sarà in grado di pagare per la sua disponibilità la rendita
più elevata, e appunto tale rendita massima, che quindi risulta dalla capacità di spesa del mercato,
sarà l’importo che egli chiederà per la cessione dell’uso del suolo.
L’estensione del modello di Von Thunen: Le attività urbane.
Le ipotesi Una città localizzata su un territorio pianeggiante, omogeneo e isotropo, anche riguardo alle
infrastrutture di trasporto, perfettamente percorribile in senso radiocentrico.
La presenza di un unico centro, assunto come la localizzazione più appetibile per tutte le attività.
La disponibilità diffusa dei fattori produttivi, che non devono essere trasportati.
Il prezzo dei beni prodotti definito esogenamente.
Il costo di trasporto costante, variabile linearmente con la distanza.
Le notazioni p - prezzo di vendita unitario del prodotto
c - costo unitario di produzione del prodotto
x - quantità di prodotto ottenibile per unità di superficie del suolo
d - distanza dal centro
z - margine di profitto medio
r - rendita per unità di superficie
Rendita e uso del suolo urbano
L’offerta di rendita, cioè la rendita che ogni attività sarà in condizioni di offrire per la disponibilità di
una unità di suolo, sarà:
r (d) = [p - z - c(d)] x(d)
Se (1) solo una delle due variabili c ed x dipende dalla distanza d, allora la curva di rendita è lineare.
La retta è inclinata negativamente.
Se sia c che x dipendono da d, la curva assume una forma convessa, con pendenza decrescente
con l’allontanarsi dal centro (2)
Si ipotizzi una curva di rendita di tipo lineare (solo una delle variabili c ed x dipende da d)
r (d) = [p - z - c(d)] x(d)
Si ipotizzi la variabilità del profitto z: per ogni attività si ottiene una famiglie di curve di offerta di
rendita, lineari e fra loro parallele, ciascuna delle quali caratterizzata da un diverso valore del
margine di profitto z
A parità di distanza d (e quindi di c ed x) una attività può offrire una rendita più elevata trattenendo
un profitto più basso
La localizzazione ottimale dell’impresa può essere stabilita confrontando la famiglia di curve di
offerta di rendita con la curva della effettiva domanda di rendita fondiaria espressa dal mercato
locale. La localizzazione ottimale della attività sarà in corrispondenza del punto di tangenza della
curva di domanda di rendita con la più bassa curva di offerta di rendita. Analogamente, una
impresa potrà rinunciare a una parte del proprio margine di profitto per ottenere la disponibilità di
suolo in una collocazione più centrale.
Reddita fondiaria e centralità
Attività di tipo diverso esprimono famiglie di curve di offerta di rendita con diversa inclinazione
L’inclinazione esprime l’apprezzamento che l’attività manifesta nei confronti della vicinanza al
centro (accessibilità). Attività per le quali la centralità offre vantaggi comparativamente più elevati
presentano curve più inclinate. Attività che non hanno particolari benefici dalla vicinanza al centro
hanno curve piatte o comunque quasi orizzontali Sulla base della inclinazione delle curve di offerta
di rendita è quindi possibile costruire una sorta di tassonomia delle attività urbane nei riguardi del
rispettivo livello di centralità.
Una classificazione delle attività urbane r (d) = [p - z - c(d)] x(d)
r’(d) = [p - z - c(d)] x’(d) - c’(d) x(d)
c’(d) > 0
x’(d) = 0
attività orientate su un mercato urbano centrale o le attività che usano strutture o fattori di
produzione centrali
Rientrano fra queste gli spedizionieri che utilizzano il trasporto ferroviario, gli avvocati e gli agenti di
borsa e di cambio
c’(d) = 0
│x’(d)│ >> 0
per queste attività per le quali la distanza non influisce sui costi, ma la domanda si riduce
rapidamente al crescere della distanza dal centro
attività ad alto contenuto di interazione, orientate alla densità della domanda: attività commerciali,
grandi magazzini
c’(d) = 0
x’(d) < 0
[p - z - c(d)] >> 0
attività monopolistiche o oligopolistiche, che possono garantire elevati extraprofitti per la natura non
perfettamente concorrenziale del mercato. Rientrano fra queste attività le attività politiche e
amministrative, le attività bancarie e assicurative, il terziario professionale.
c’(d) > 0
x’(d) < 0
x >> 0
attività che utilizzano in modo particolarmente efficiente ed intensivo il fattore spazio a parità di
valore del bene prodotto. Rientrano fra queste le attività di ufficio, le attività legate all’informatica,
le agenzie di viaggio, i negozi di generi di lusso.
L’ offerta complessiva di reddita fondiaria Date le attività e le relative funzioni di produzione, è possibile ricavare il valore dell’offerta di rendita
complessiva.
ri (d) = [pi - zi - ci (d)] xi (d)
R (d) = ∫0-2π ∫0-dmax θ [p - z - c(d)] x(d) dd dθ
La localizzazione delle attività residenziali
La domanda di abitazioni poste in prossimità del centro (assunto come la localizzazione più
appetibile) determina anche per l’uso residenziale il consueto andamento della curva di offerta di
rendita. Nel caso dell’uso residenziale, ogni household possiede però un grado di libertà in più, dato
dalla flessibilità delle dimensioni dell’alloggio. A parità di reddito (1) o (2), ogni famiglia può scegliere
un alloggio centrale di minori dimensioni (A) o periferico ma di dimensioni più grandi (B).
Preferenze per categorie sociali e per aree geografiche Alcune categorie di persone (tipicamente i singles, gli artisti, gli young urban professionals)
preferiranno a parità di reddito speso per l’abitazione residenze centrali (A), sacrificando le
dimensioni dell’alloggio alla prossimità ai luoghi di relazione e di svago. Altre categorie (tipicamente
le famiglie) preferiranno invece localizzazioni marginali (B), pagando con una minore accessibilità
la disponibilità di spazio e una minore densità insediativa. Esistono anche tipiche differenziazioni sulla
base della collocazione geografica: mentre in Europa è ancora forte la domanda di aree centrali
anche per la destinazione abitativa (A), nel Nord-America è tradizionalmente diffusa l’aspirazione
alla residenza suburbana (B). In epoca recente (a partire dagli anni ‘80) anche nelle grandi città
nord-americane è cresciuta la domanda di alloggi in posizione centrale, e la conseguente
riqualificazione di aree centrali degradate per la residenza di classi agiate.
Lezione 4: Il principio di interazione spaziale Il principio di interazione spaziale è posto alla base del funzionamento del sistema urbano. I metodi
e i modelli che vi afferiscono mirano a rispondere alla questione dei rapporti che intercorrono fra le
attività localizzate entro un determinato sistema insediativo. Come nella città?
Spazio urbano e rapporti tra attività Ogni attività posta in un sistema sviluppa con i suoi elementi una complessa rete di relazioni: relazioni
di attrazione, di repulsione, di cooperazione. Reciprocamente, tutte le attività del sistema esercitano
su di essa analoghe relazioni, di vario genere. Esempi:
Spostamenti fisici (movimento pedonale o veicolare)
Compravendita di beni o servizi
Scambio di informazioni (telefono, Internet, …)
L’ ipotesi gravitazionale Questi rapporti sembrano organizzarsi sulla base di campi gravitazionali, la cui intensità appare
sensibile alla dimensione delle attività e alla loro mutua distanza. Ogni attività sembra subire (ed
esercitare) da parte delle altre attività una influenza proporzionale all’entità delle grandezze in gioco
e inversamente proporzionale alla distanza che le separa. Una tale evidenza ha suggerito di studiare
tali rapporti mediante modelli costruiti in analogia con le leggi newtoniane sulla fisica dei gravi,
assimilando le attività a corpi fisici di massa proporzionale alla propria entità.
Utilità dei modelli gravitazionali I modelli gravitazionali si rivelano particolarmente utili per lo studio dei fenomeni urbani e territoriali.
Di tale modello si prospettano due possibili utilizzazioni, frequentemente praticate:
1. una utilizzazione come modello di flusso, finalizzato a misurare l’intensità delle relazioni di
interazione fra attività insediate
2. una utilizzazione come modello di potenziale, finalizzato a misurare l’influenza determinata da
tutte le attività insediate in un qualsiasi punto dello spazio
I modelli gravitazionali Secondo la legge di gravitazione universale, due corpi A e B posti nello spazio si attraggono con una
forza la cui intensità varia in ragione delle loro masse M e in ragione inversa del quadrato della
distanza che li separa. L’estensione di una tale formulazione allo studio dei fenomeni spaziali è stata
da decenni sperimentata con successo in vari campi di analisi, come i movimenti pendolari, i
rapporti commerciali, le spese telefoniche.
Tij = K (Pi Pj
) / d
In tali sperimentazioni, si è assunto come valore dell’intensità di interazione fra due attività i e j
insediate, di consistenza (fisica, demografica, economica, etc.) P i e Pj quello Tij risultante
dall’espressione. Dove l’esponente esprime il peso della frizione spaziale nel fenomeno in studio,
ovvero il peso della specifica deterrenza che la distanza pone alla interazione nel caso in specie.
Il modello di Reilly Una delle prime sperimentazioni del principio di interazione gravitazionale risale agli anni ‘30, quando
William Reilly presentò la sua “law of retail gravitation”.
È un’estensione del modello gravitazionale per l’analisi dei movimenti finalizzati all’acquisto di beni
al dettaglio. Secondo tale legge, dati due centri urbani A e B, con popolazione residente
rispettivamente pari a PA e PB, la vendita di beni al dettaglio in A e in B effettuata nei due centri dai
consumatori residenti nei diversi centri intermedi C risulta dalla espressione.
VA / VB = (PA/PB
) / (dBC / dAC
)
1 1,5 - 2,5
Una Applicazione Una applicazione del modello di Reilly consiste nella individuazione dei limiti delle aree di mercato di
2 centri.
Poiché sulla frontiera fra le due aree di mercato le vendite si equivalgono (VA= VB) è possibile definire,
ponendo ad es. = 1 e γ = 2, il punto di frontiera C sul segmento AB.
VA/VB = (PA /PB
)/(dBC /dAC
) = 1
(PA/PB )/(dBC/dAC)2 = 1 (PA/PB )= (dAC /dBC)
(PA/PB )= (dAB- dBC) /dBC (PA/PB )= (dAB /dBC) - 1
dBC = dAB / [1 + (PA/PB )]
I modelli di interazione spaziale Si consideri un sistema territoriale, in cui siano insediate n attività
Chiamiamo Tij l’intensità della relazione di interazione fra l’attività i-esima e l’attività j-esima
Naturalmente, il flusso totale in uscita dall’area di origine i è
Oi = Σj Tij
Mentre il flusso totale in entrata nell’area di destinazione j è
Dj = Σi Tij
In analogia alla fisica dei gravi, l’entità dell’interazione Tij fra l’attività i-esima e l’attività j-esima, fra
loro distanti dij sarà proporzionale al flusso totale in uscita da i, al flusso totale in entrata in j e ad una
funzione dell‘impedenza spaziale: Tij = k Oi Dj f (dij)
L’interazione fra i e j deve tuttavia tenere conto anche della presenza delle altre attività concorrenti
nella ripartizione dei flussi, per cui può dirsi che essa è proporzionale alla taglia (o al potere attrattivo)
delle due zone, e inversamente proporzionale alla attrazione esercitata dalle altre zone: Tij = k Oi Dj f
(dij) / k Σj Dj f (dij)
Tij = Oi Dj f (dij) / Σj Dj f (dij)
Se nella espressione noi poniamo:
Ai = 1 / Σj Dj f (dij) Tij = Ai Oi Dj f (dij)
Se poi in essa sostituiamo:
Prij = Ai Dj f (dij) Tij = Oi Prij
Ovvero, l’interazione dell’origine Oi con la destinazione Dj può essere vista come il prodotto del flusso
in uscita Oi per la “probabilità” che tale flusso sia indirizzato proprio alla destinazione Dj
I modelli di interazione spaziale a vincolo unico Si dicono “a vincolo unico” i modelli gravitazionali progettati in modo che i risultati del modello
rispettino una sola delle seguenti condizioni.
Σj Tij = Oi
Σi Tij = Dj
I modelli di interazione spaziale a vincolo unico sono finalizzati a ricavare, dato il flusso Oi in uscita,
l’entità del flusso in entrata Dj (o viceversa), oltreché l’intensità delle interazioni Tij
Un esempio: il modello di Lakshmanan-Hansen
Il modello di Lakshmanan-Hansen, studiato nel 1965 per ottimizzare la localizzazione degli shopping
centers di Baltimora, è anche detto: “modello di Baltimora”
È un modello gravitazionale a vincolo unico che assume ad oggetto il flusso per gli acquisti al
dettaglio fra le zone residenziali ed i centri commerciali. Il modello suddivide le residenze del sistema
in n zone e considera la presenza di m centri commerciali. Sarà dij la distanza fra la i-esima zona
residenziale ed il j-esimo centro commerciale.
L’ipotesi di lavoro è che l’ammontare degli acquisti effettuati dai residenti nella i-esima zona nel j-
esimo shopping center sia:
proporzionale all’ammontare della spesa complessiva
proporzionale al potere attrattivo dello shopping center
inversamente proporzionale alla distanza fra la residenza e lo shopping center
inversamente proporzionale al potere attrattivo degli altri shopping centers
Si assumono le seguenti notazioni:
Pi - popolazione della i-esima zona residenziale
ci - spesa media pro-capite nella i-esima zona
Fj - taglia del j-esimo shopping center
dij - distanza fra la i-esima zona residenziale e il j-esimo shopping center
Sij - acquisti dei residenti nella i-esima zona nel j-esimo shopping center
Il modello funziona secondo la seguente espressione:
Sij = ciPi Fj f (dij) / Σj Fj f (dij)
Il modello di Baltimora è un modello di interazione spaziale che utilizza come fattore di attrazione,
indicatore della taglia dello shopping center, la sua superficie di vendita Fj
Al solito, tale espressione può essere scritta in modo conciso
Sij = CiPrij
Ponendo:
ciPi = Ci
Fj f (dij) / Σj Fj f (dij) = Prij
La sperimentazione del modello su Baltimora venne condotta assumendo la seguente espressione
dell’impedenza spaziale:
f (dij) = dij-α
E fornì risultati affidabili ponendo α = 1,5-2,5. Ovvero:
Sij = ciPi Fj dij-2 / Σj Fj dij
-2
Sij = ciPi Fj f (dij) / Σj Fj f (dij)
Finalità del modello è determinare l’ammontare totale degli acquisti effettuati in ogni shopping
center, ovvero:
Sj = Σi Sij
Eventualmente scartando soluzioni che comportino valori di Sj inferiori a una determinata soglia
assunta come valore minimo per la sopravvivenza dello shopping center.
I modelli di interazione spaziale a vincolo doppio Si dicono “a doppio vincolo” i modelli gravitazionali costruiti in modo che i risultati del modello
rispettino entrambe le seguenti condizioni
Σj Tij = Oi
Σi Tij = Dj
I modelli a doppio vincolo assumono pertanto come noti sia i valori delle origini O i che quelli delle
destinazioni Dj, e sono utilizzati per determinare il valore delle interazioni Tij fra le coppie di zone.
Un modello a doppio vincolo, naturalmente, non è libero di fornire la localizzazione di arrivo degli
spostamenti, giacché sia le origini Oi che le destinazioni Dj sono vincolate.
Un modello a doppio vincolo è così caratterizzato:
1. Tij = K Oi Dj f (dij)
2. Σj Tij = Oi
3. Σi Tij = Dj
Le incognite Tij sono n².
Le equazioni (2) e (3) sono n
Si può dimostrare che l’unico modo per risolvere le (1) nel rispetto delle (2) e delle (3) consiste
nell’utilizzare, al posto di K, 2n costanti, che chiameremo Ai e Bj
Tij = AiBjOiDj f (dij)
Sostituendo, otteniamo:
Ai = 1/ ΣjBjDj f (dij)
Bj = 1/ ΣiAiOi f (dij)
Nelle espressioni delle interazioni Tij, notiamo che le costanti Ai contengono le Bj, e le Bj contengono
le Ai. Per tale motivo il calcolo di entrambi i gruppi di costanti deve essere effettuato per via iterativa
Si pone, ad esempio Ai= 1 (i = 1,2, .., n)
Si ricavano i valori Bj, che, sostituiti nelle (4), forniscono nuovi valori di Ai; e così via fino a convergenza
Il potenziale economico-spaziale
Definizione Anche il concetto di potenziale economico-spaziale discende dall’analogia con la fisica dei gravi
Dato un insieme di masse Mj, il potenziale gravitazionale da esso indotto in un punto a è definito
come:
Ea = k Σj Mj / daj
L’estensione ai fenomeni territoriali è immediata, con l’unica differenza nella possibilità di apprezzare
diversamente l’impedenza spaziale, in relazione alla effettiva deterrenza allo spostamento relativa
a diversi fenomeni
Ea = k Σj Pj / dajα
Significato Il potenziale economico-spaziale può essere definito come una sorta di accessibilità generalizzata
Nel principio di competizione spaziale ad ogni punto dello spazio circostante un determinato
“centro” viene riconosciuto un certo livello di centralità, funzione dell’impedenza spaziale rispetto a
questo
Allo stesso modo, ogni punto di un sistema formato da attività interagenti è caratterizzato da un
livello di “accessibilità generalizzata”, il cui valore dipende dall’entità delle attività e dalla frizione
spaziale rispetto ad esse.
In altri termini, la relazione localizzazione/rendita viene qui generalizzata mediante il superamento
dell’unitarietà del centro e la disaggregazione dello spazio geografico nelle sue componenti
elementari: le attività insediate.
Utilizzazione Il concetto di potenziale economico-spaziale è utile per spiegare e comprendere:
Una scelta localizzativa (orientata al luogo a più elevato potenziale)
L’insieme dei flussi diretti verso tale localizzazione e in uscita da essa
Il valore posizionale di tale localizzazione (anche valore economico del suolo)
Lezione 4: Il principio di competitività
Il principio di competitività studia le condizioni che sono all’origine dello sviluppo e della crescita
della città. Come si evolve la città?
La teoria della base economica Il principio di competitività scaturisce dalla necessità di distinguere, all’interno delle funzioni urbane,
fra quelle che si rivolgono ad una domanda esterna e quelle che al contrario si rivolgono a soddisfare
i bisogni della popolazione residente. La città viene in certo modo interpretata come una grande
“macchina per produrre” beni e servizi, e il bacino di mercato dei beni prodotti viene individuato
essenzialmente al suo esterno; tuttavia, tale macchina necessita per il suo funzionamento di molte
attività e funzioni al servizio delle attività e della popolazione impegnata nella produzione.
Attività di base: Attività che producono beni e servizi destinati all’esterno del sistema
Attività di servizio: Attività destinate al sostentamento della popolazione residente e delle attività
esistenti
Secondo la cosiddetta “teoria della base economica” urbana, la forza che determina le condizioni
per lo sviluppo e la crescita di una città, il motore della dinamica urbana, risiede nelle attività di
base, mentre le attività di servizio ne assicurano il semplice sostentamento.
Attività di base, attività di servizio e popolazione:
Notazioni P - popolazione residente
E - occupazione totale
B - popolazione occupata in attività di base
S - popolazione occupata in attività di servizio
β= 1/α - tasso di occupazione
P = α E = α (B + S) = αB + αS
Ad un aumento di una unità dei posti di lavoro corrisponderà un aumento α della popolazione
residente. Questa dinamica, nella teoria della base economica, è innescata dalla creazione di posti
di lavoro in attività di base, e solo successivamente sostenuta dalle attività di servizio. Sulla teoria
della base economica sono fondati alcuni modelli territoriali di grande importanza, fra cui una
posizione centrale merita senza dubbio il modello di Lowry.
Il modello di Lowry Il modello di Lowry venne elaborato nel 1964 da Ira Lowry e presentato all’interno di uno studio
finalizzato alla pianificazione dell’area urbana di Pittsburgh. Soggetto nei decenni successivi ad
alcuni significativi raffinamenti (Garin, Wilson), è sicuramente il più diffuso e utilizzato modello di
analisi dello spazio urbano. La logica operativa del modello consiste nella elegante fusione di due
ipotesi teoriche.
la teoria della base economica urbana, che mette in relazione attività di base, attività di servizio
e residenze
il principio di interazione spaziale, che viene utilizzato per allocare la popolazione attorno ai
luoghi di lavoro e le attività di servizio attorno alle residenze
Input e output
Il modello di Lowry assume come dato di input l’entità e la localizzazione delle attività di base in un
sistema urbano, e fornisce su tale base stime riguardanti.
la dimensione della consistenza totale della popolazione insediata e la sua localizzazione nel
sistema urbano
la dimensione dell’occupazione nel settore di servizio e la sua localizzazione nel sistema
la distribuzione della domanda di trasporto a servizio degli spostamenti casa-lavoro
La logica operativa
L’occupazione di base determina, attraverso l’uso di un tasso di attività, la dimensione della
popolazione
Mediante un modello gravitazionale a vincolo unico la popolazione viene allocata alle zone di
residenza
La popolazione insediata determina, attraverso l’uso di un altro tasso di attività, l’occupazione nei
settori di servizio
Mediante un altro modello a vincolo unico l’occupazione di servizio è allocata alle zone di
occupazione
L’occupazione di servizio determina una aliquota addizionale di popolazione insediata
E così via, iterativamente, fintantoché gli incrementi diventano irrisori e trascurabili
Le notazioni
Sia dato un sistema insediativo suddiviso in n zone
Cij - costo di trasporto fra la zona i e la zona j
f(cij) = d-α - funzione che esprime l’impedenza spaziale
Ei - l’occupazione di base nella zona i
α - inverso del tasso di occupazione, ovvero il numero di persone mantenute da un posto di lavoro
β - tasso di servizio, ovvero l’occupazione di servizio richiesta da una popolazione data
Si - occupazione di servizio nella zona i
Il problema
Il problema che il modello si pone di risolvere è l’evoluzione di un sistema insediativo in seguito ad
una perturbazione, consistente nell’introduzione di occupazione in attività di base
In concreto, supponendo una dei cambiamenti nella localizzazione delle attività di base, il modello
è in grado di prevedere
quanta popolazione si insedierà nel sistema
dove andrà a vivere e a lavorare in relazione alle opportunità di lavoro offerte
La allocazione delle residenze
Si determina la quantità delle interazioni fra la zona i ove sono localizzate le attività di base e la zona
residenziale j
Tij = Ai Ei Pj dij –α dove Ai = 1 / Σj Pj dij
-α
Ovvero, ponendo Prij = Ai Pj dij -α
Tij = Ei Prij
Si ricava così la quantità totale di popolazione residente in ogni zona j a seguito della localizzazione
delle attività Ei
ΔPj = α ΣiTij
La allocazione delle attività di servizio
La popolazione residente ΔPj esprime una domanda di servizi che produrrà una occupazione di
servizio così definita
Dj = β ΔPj
Questa occupazione viene attribuita alle varie zone i come sommatoria delle interazioni
Tji = BjDj Si dji-α dove Bj = 1 / Σi Si dji
-α
Ovvero, ponendo Prji = BjSidji-α
Sji = Dj Prji
Così si ricava ΔSi = ΣjSji
La iterazione del calcolo
La localizzazione della occupazione ΔSi nella zona i determina un incremento di popolazione ΔP che
si redistribuisce fra le zone j, come già visto nella fase iniziale
Si procede in tale modo fino a quando gli incrementi di popolazione e del numero di occupati in
attività di servizio diventano di entità trascurabile
Un diagramma di flusso
Lezione 5: Il principio di gerarchia La città e le città I modelli fin qui esaminati danno ragione dell’esistenza della città, della sua strutturazione interna,
dei rapporti che intercorrono fra le sue parti e del suo sviluppo
Una città così strutturata vive però in uno spazio astratto, definito in soli termini dicotomici
Città non-città
Città campagna
spazio della concentrazione spazio della dispersione
Il principio di gerarchia Il principio di agglomerazione non spiega inoltre perché si sviluppino sul territorio città con differenti
specializzazioni funzionali. Usciamo quindi adesso dal perimetro dello spazio urbano e
interroghiamoci sui rapporti che intercorrono fra la città ed il territorio circostante, fra la città e le
città ad essa prossime. Come si organizzano fra loro le città?
La teoria delle località centrali La teoria delle località centrali venne elaborata nel 1933 da Walter Christaller sulla base delle
seguenti ipotesi.
uno spazio omogeneo ed isotropo, sia in termini di densità demografica che di caratteristiche
fisiche e infrastrutturale
la efficienza di una struttura economica caratterizzata da aree di mercato esagonali (struttura ad
honeycomb “alla Lösch”)
Definizioni e notazioni località centrale: è il punto centrale di un agglomerato urbano in cui si producono servizi, ovvero il
luogo di produzione di beni centrali. Il concetto di località centrale non coincide pertanto con quello
di città, e la sua grandezza non corrisponde alla sua dimensione demografica
bene centrale: è il prodotto delle attività di servizio offerto dalla località centrale
regione complementare: è la zona di influenza della località centrale, ovvero l’area di mercato in
cui l’offerta di servizio prodotto da essa è soddisfatta
portata (range): la distanza massima a cui può essere venduto un bene, ovvero la distanza massima
che la popolazione è disposta a percorrere per acquistare un bene centrale. Il range è strettamente
correlato al costo di trasporto
soglia (threshold): la distanza (ovvero l’area) corrispondente alla quantità minima di ciascun bene
producibile in modo efficiente. La threshold è strettamente correlata alle economie di scala
Condizioni e ipotesi Ogni bene è prodotto se e solo se la sua portata supera la soglia territoriale minima, ovvero se il
range è maggiore della threshold
Ogni bene è collocato lungo una scala gerarchica di beni sulla base dell’entità del proprio range
Ogni centro produce il bene relativo al suo livello gerarchico e tutti i beni di ordine inferiore
La logica Per ogni centro di ordine superiore esiste, in cascata, una pluralità di centri di ordine inferiore, fino al
livello più basso, corrispondente al villaggio, di cui esiste il numero più elevato, ed in cui si producono
beni di più limitata portata. Per Christaller esistono tre condizioni che vincolano l’assetto localizzativo
delle città determinandone l’ottima disposizione. Queste condizioni sono i principi ordinatori.
il vincolo del mercato
il vincolo del traffico
il vincolo della amministrazione politica
Christaller: il vincolo del mercato
Si consideri una località centrale C che produce un bene 1 di un determinato ordine r1
La distribuzione delle aree di mercato corrisponderà ad una struttura a nido d’ape, con i centri C ai
vertici
Si consideri la produzione in C del bene 2 di ordine inferiore r2< r1
Ampie porzioni di territorio restano scoperte dall’accesso al bene 2; è necessaria la localizzazione di
una nuova località centrale
E così via con il bene 3, con il bene 4, etc.
La articolazione gerarchica corrispondente alla struttura spaziale è, in base al vincolo del mercato:
La gerarchia dei centri risulta articolata in steps con K = 3
Il numero dei nuovi centri varia nel modo che segue: 1, 2, 6, 18, 54,..
La regione complementare di ogni centro è articolata in 3 regioni complementari di ordine
immediatamente inferiore
il vincolo del traffico
L’ottimale localizzazione dei centri, rispettando il vincolo del traffico, comporta la localizzazione in
corrispondenza del punto intermedio fra due centri di ordine superiore
La articolazione gerarchica corrispondente alla struttura spaziale è, in base al vincolo del mercato:
La gerarchia dei centri risulta articolata in steps con K = 4
Il numero dei nuovi centri varia nel modo che segue: 1, 3, 10, 32,...
il vincolo del amministrazione pubblica
L’ottimale localizzazione dei centri, rispettando il vincolo della amministrazione pubblica, comporta
per ogni centro una localizzazione tale che la regione complementare sia interamente compresa
entro quella del centro di ordine superiore
La articolazione gerarchica corrispondente alla struttura spaziale è, in base al vincolo della
amministrazione pubblica:
La gerarchia dei centri risulta articolata in steps con K = 6
Il numero dei nuovi centri varia nel modo che segue: 1, 5, 30, 180,...
La central places theory: i Pregi Christaller verificò l’attendibilità del suo modello nel contesto territoriale corrispondente alla
Germania meridionale, fra Monaco, Norimberga e Francoforte.
L’eleganza del modello di Christaller consiste nel fatto che sulla base di una limitata quantità di
assunzioni esso riesce a dare ragione dei fenomeni indagati.
Assunzioni:
Range (costi di trasporto)
Threshold (economie di scala)
Output:
Ruolo funzionale dei centri urbani
Dimensione dei centri urbani
Distribuzione spaziale dei centri urbani
I Pregi Tuttora, il modello appare ancora adatto ad interpretare e a descrivere una struttura di centri urbani
basata sulla distribuzione di servizi. In questo caso i costi di trasporto sono infatti sopportati
prevalentemente dai consumatori e incidono in modo notevole sul costo dei servizi stessi.
Nel caso della produzione industriale, invece, i costi di trasporto incidono poco sul prezzo del bene:
ciò inficia la verosimiglianza del modello per strutture insediative fondate sul settore secondario. Nel
caso di centri caratterizzati dalla distribuzione dei servizi è verosimile anche l’ipotesi che ogni centro
accolga oltre alla produzione di un bene anche la produzione di tutti i beni di ordine inferiore. Ciò
non vale sempre, invece, nei centri industriali, ove si evidenziano fenomeni di elevata
specializzazione funzionale e compartimentazione produttiva. Nei consumi di beni industriali è
comune la domanda di “varietà” da parte del consumatore; ciò genera la frequente
sovrapposizione delle aree di mercato. Questo fenomeno è invece assai più debole nel caso nella
fornitura di servizi. Il modello concepisce i centri urbani come la sede della produzione di servizi e
della loro distribuzione alla regione all’intorno. Non tiene in conto però che una città è anche una
concentrazione di attività residenziali, un grande mercato del lavoro, un modo di organizzazione
della società. Questi aspetti non sono presenti nel modello di Christaller, modello che pertanto, agli
occhi dei suoi detrattori, sembra costruire “una gerarchia di città senza città”.
La rank-size rule Presentata nel 1913 da Felix Auerbach, la rank-size rule è una regola empirica riguardante la
distribuzione degli insediamenti urbani, ricavata sperimentalmente, per via induttiva,
dall’osservazione della realtà. Tale “regola”, pur priva di basi teoriche, appare significativa per la sua
sorprendente rispondenza alla realtà, tanto che, a posteriori, è doveroso tentarne una giustificazione
concettuale.
La logica Si considerino gli insediamenti urbani posti in un ambito territoriale dotato di omogeneità politica e
economica. Si ordinino tali insediamenti nel senso della decrescente consistenza demografica P, e
si attribuisca a ciascuno di essi la posizione (rank) che questo occupa in tale graduatoria. Si osserva
sperimentalmente l’evidenza della espressione:
P x r = cost. = P1
Ovvero: il prodotto della popolazione dell’i-esimo centro per la sua rank è costante, e pari alla
popolazione del centro più popoloso, detto centro primate.
La rappresentazione La rank-size rule si presta ad una efficace rappresentazione grafica
su un diagramma r, P
su un diagramma log r, log P
Una revisitazione Più di recente, negli anni ’40, la rank-size rule è stata oggetto di revisitazione da parte di George Zipf,
che ne ha fornito una versione così modificata P x r = cost. = P1
che, in notazione doppio-logaritmica, assume la forma: logP = log P1 - log r
La rank-size rule nella versione di Zipf: rappresentazione Anche nella versione di Zipf, la rank-size rule si presta ad una efficace rappresentazione grafica,
soprattutto su un diagramma doppio-logaritmico
La distribuzione dei centri abitati: tipiche dissonanze rispetto alla rank-size rule Non sempre la distribuzione dei centri abitati collima perfettamente con la curva di Zipf
Alcuni tipi di dissonanza rispetto ad essa sono talmente ricorrenti da risultare caratteristici
La distribuzione di tipo antiprimaziale descrive i sistemi di centri abitati organizzati intorno ad una città
primate sottodimensionata rispetto al resto del sistema. È la distribuzione tipica dei sistemi risultanti
dalla confederazione di ambiti territoriali di minori dimensioni: Germania, Svizzera, …
La distribuzione di tipo oligarchico descrive i sistemi di centri abitati organizzati intorno ad una città
primate sovradimensionata rispetto al resto del sistema, sotto alla quale è tuttavia presente un
gruppo di città di dimensioni simili. Esempio tipico è il sistema degli insediamenti urbani della Gran
Bretagna
La rank-size rule: utilità La rank-size rule si presta ad essere utilizzata come strumento di
analisi sincronica: mirata a studiare le specificità dei sistemi di città che emergono come
dissonanze dalla rank-size rule esempio: il sistema insediativo del Trentino Alto Adige, che si
rivela composto da due sistemi diversi (Trentino e A.Adige), organizzati intorno a 2 città primati
analisi diacronica: mirata a studiare la dinamica temporale dei sistemi di città esempio: il
sistema insediativo delle città italiane, caratterizzato nel 1861 da una distribuzione di tipo
antiprimaziale, e successivamente evoluto verso una distribuzione “alla Zipf”
Giustificazione concettuale Anche se la rank-size rule è priva di basi teoriche, è possibile cercare di comprendere “a posteriori”
il suo significato
Il coefficiente angolare rappresenta la preponderanza ( >1) o la debolezza ( <1) delle economie
di agglomerazione rispetto alle diseconomie di agglomerazione
Il coefficiente angolare dà quindi conto della tendenza a distribuzioni urbane concentrate o diffuse
sul territorio
logP = log P1 - log r