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1 STUDIO TDL “TRACCE DI LUCE” Corso intensivo di formazione professionale per mediatori familiari 2015/2017 Corso riconosciuto da A.I.Me.F. n. 294/2015 “I FIGLI NEL VORTICE DELLA SEPARAZIONE” TURNI DI CURA E AFFIDO CONDIVISO : DISPOSITIVO DEL GIUDICE O ACCORDO DAVANTI AL MEDIATORE? Tesina di Laura Zecchi

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STUDIO TDL “TRACCE DI LUCE”

Corso intensivo di formazione professionale

per mediatori familiari

2015/2017

Corso riconosciuto da A.I.Me.F. n. 294/2015

“I FIGLI NEL VORTICE DELLA SEPARAZIONE”

TURNI DI CURA E AFFIDO CONDIVISO : DISPOSITIVO D EL

GIUDICE O ACCORDO DAVANTI AL MEDIATORE ?

Tesina di

Laura Zecchi

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TITOLO

I FIGLI NEL VORTICE DELLA SEPARAZIONE.

” TURNI DI CURA” E AFFIDO CONDIVISO : DISPOSITIVO DEL GIUDICE O ACCORDO DAVANTI AL MEDIATORE? “

INTRODUZIONE

CAPITOLO 1: LA FAMIGLIA E LA SUA EVOLUZIONE

CAPITOLO 2: LA CRISI DELLA COPPIA E LE CONSEGUENZE DELLA SEPARAZIONI SUI FIGLI

CAPITOLO 3: EXCURSUS STORICO: DALL’AFFIDAMENTO ESCLUSIVO A QUELLO CONDIVISO

CAPITOLO 4: ACCORDO IN MEDIAZIONE FAMILIARE, DISPOSITIVO DEL GIUDICE E P.A.S...QUESTA (S)CONOSCIUTA

CONCLUSIONI

BIBLIOGRAFIA

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INTRODUZIONE

Ho il piacere di iniziare questo elaborato evidenziando che, per comprendere un fenomeno particolare, ossia il percorso di riorganizzazione delle relazioni familiari a seguito della separazione di una coppia, sia necessario partire dal fenomeno generale, cioè la famiglia nella sua evoluzione. Questa mia riflessione non vuole dare giudizi di valore, ma solo esplorare un fenomeno in crescita, tenendo conto di:

“quella zona d'ombra di ogni vicenda umana, dove il bene e il male, le ragioni e i torti si confondono, una zona che per essere vista ed esplorata (in noi stessi come negli altri) richiede la sospensione del giudizio1.”

Per cercare di comprendere e darsi delle risposte è necessario dunque indagare il contesto in cui è collocato il fenomeno, mantenendo uno sguardo aperto alla complessità. Non è possibile generalizzare quando si parla di famiglia. Analizzarne l’evoluzione storica, inoltre, ci serve ad avere una chiave di lettura per spiegare gli eventi del presente.

Come si potrà evincere nel primo capitolo, la famiglia è un sistema in continua trasformazione, interdipendente dai fenomeni storici, sociali e culturali. La famiglia è capace di adattarsi e trasformarsi in funzione del contesto di appartenenza e iniziare i suoi membri alle relazioni nella società. La famiglia dunque è alla continua ricerca di equilibrio, anche se questo rappresenta dei rari momenti della sua esistenza, oggi così come nel passato.

Vedremo come nel passato, contrariamente al pensiero comune, la famiglia era più soggetta a disgregazione a causa delle guerre, delle carestie, delle epidemie, dell’alta mortalità e dell’emigrazione dei membri. La disgregazione che sta vivendo attualmente la famiglia è invece legata al fenomeno della separazione della coppia che, specie in presenza di figli, mette a dura prova le capacità genitoriali e la tenuta delle relazioni familiari plurigenerazionali.

Vengono inoltre analizzate, nel secondo capitolo, le dinamiche di coppia a partire dalla sua formazione e vedremo quante siano le dinamiche in gioco: l’esperienza di attaccamento maturata nell’infanzia, la ricerca nell’altro di parti di sé, i modelli acquisiti tramite i miti familiari e l’esperienza personale. La relazione di coppia è un incastro di storie generazionali e in quanto tale si struttura anche sulla base dei modelli appresi. La qualità della relazione coniugale è il frutto dell’incastro tra patto dichiarato e patto segreto, ma sappiamo anche che la stabilità del rapporto non è necessariamente collegata con una buona qualità della relazione, poiché entrano in gioco anche altre dinamiche che hanno a che vedere con la distribuzione del potere nella coppia e la dipendenza dall’altro.

L’entrata delle donne nel mercato del lavoro e l’acquisizione di un ruolo sociale nella società, assieme alla diffusione della famiglia nucleare, hanno sicuramente influito sul fenomeno in questione, mettendo in discussione il concetto di famiglia tradizionale basato sulla complementarietà dei compiti e sul valore della famiglia come fatto naturale.

1 Bernardini I. (1996), Finché vita non ci separi. Quando il matrimonio finisce: genitori e figli alla ricerca di una serenità possibile, Rizzoli, Milano, p. 59.

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La separazione coniugale è un evento critico che ha origini plurime e produce conseguenze a livello sistemico. Spesso si configura come occasione di smembramento da sé e dalla propria identità, attaccando la rappresentazione sociale costruita anche sulla base della posizione occupata nella famiglia. Questo processo di separazione richiede un grande dispendio di energie, assieme al processo di elaborazione del divorzio psichico, togliendo così risorse ai compiti genitoriali. In questa fase la coppia genitoriale deve poter garantire ai figli, nonostante il difficile momento, la continuità delle relazioni con entrambi i genitori e senza cancellare la storia della famiglia, in quanto riconoscere il passato serve anche a favorire la rielaborazione.

La famiglia è creatrice di legami, e anche dopo la separazione deve proseguire in questo compito; a volte è sufficiente il permesso emozionale del genitore alla relazione con l’altro perché ciò avvenga, senza dare per scontata la sua importanza, perché le relazioni che intratteniamo contribuiscono alla costruzione delle nostre identità e a quelle dei nostri figli. Esporre i figli al conflitto e fargli vivere una situazione di conflitto di lealtà non rappresenta una conseguenza solo per la loro salute, ma anche per la società di domani.

Nel terzo capitolo si tratterà l’evoluzione normativa riguardante l’affidamento della prole, “raccontata” tramite un significativo ed interessante excursus storico. La legge sull’affidamento congiunto ha fatto grandi passi avanti in tal senso, riconoscendo l’importanza della continuità genitoriale come interesse dei figli, e anche per l’intera società, che solo se mantiene vivo il legame con le sue origini può essere più sicura di sé in un momento di crisi dell’identità.

Un concetto che mi sta a cuore e sul quale vorrei soffermarmi, riguarda la necessità di maggior rispetto per la scelta di separarsi, spesso guardata con occhio giudicante e considerata scelta irresponsabile.

“C'é bisogno di una nuova cultura della separazione, che lasci maturare negli individui e nella società l'idea e il sentimento che la scelta del distacco ha lo stesso valore e merita lo stesso rispetto della scelta di unirsi. Se non altro perché l'una implica l'altra2.”

Questa scelta di rispetto passa anche riconoscendo la pari dignità delle famiglie plurinucleari, così come sono quelle separate; ciò che fa la differenza, infatti, non è tanto se i partner rimangono o meno a vivere sotto lo stesso tetto, quanto se sono capaci di garantire una circolarità di relazioni e gestire il conflitto senza coinvolgere i figli. A tal proposito lo strumento della mediazione familiare può essere uno strumento integrativo a disposizione delle famiglie che incontrano difficoltà nel gestire il conflitto di coppia, per il subbuglio di emozioni che normalmente prende il sopravvento.

2 Bernardini I. (1996), Finché vita non ci separi. Quando il matrimonio finisce: genitori e figli alla ricerca di una serenità possibile, Rizzoli, Milano.

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CAPITOLO 1

LA FAMIGLIA E LA SUA EVOLUZIONE

…E CHI MEGLIO DELLA «FAMIGLIA» PUO’ MEDIARE TRA LA DIMENSIONE ‘MACRO’ E LA DIMENSIONE ‘MICRO’?

La famiglia, oggi come sempre, è il primo spazio in cui inizia la vita di ognuno, pur in sua piena crisi: è il luogo per eccellenza “della costruzione sociale della realtà. E’dunque luogo di socializzazione e di produzione normativa, dialetticamente interagente con l’appartenenza ad un dato contesto culturale, che determina la variabilità dei significati delle norme sociali in essa prodotte3. La famiglia, nucleo fondamentale della società, si è evoluta, e il progresso sociale ne ha apportato significativi cambiamenti. Fino al 1950 ha continuato ad esistere una famiglia di tipo “tradizionale”, fondata sull’indissolubilità del matrimonio, su una precisa divisione dei ruoli tra i coniugi (sbilanciata a danno della donna) e sulla centralità dei figli. Nei decenni successivi è avvenuto invece un complesso mutamento sociale e culturale: il processo di liberalizzazione della sfera sessuale, ha reso meno necessario il legame istituzionale. In generale le donne hanno preso coscienza dei loro diritti e sono entrate in modo massiccio nel mondo del lavoro, per cui all’interno delle famiglie vi è ormai una maggiore condivisione con il coniuge delle responsabilità e delle cure della prole.

E’inoltre profondamente mutato l’atteggiamento delle coppie nei confronti della procreazione: se un tempo i figli erano un valore primario e un investimento cui sacrificare ogni cosa, oggi le coppie sono più orientate verso se stesse e la propria realizzazione, pertanto il numero dei figli, percepito anche come un costo, viene radicalmente controllato.

Si è così concluso il processo di trasformazione della famiglia dal modello patriarcale, caratteristico di una società contadina ed artigiana, nel quale l'uomo aveva il "dominio" sulla donna e a lui spettavano tutte le decisioni, al modello moderno, nel quale l'uomo e la donna sono considerati alla pari. L'uomo e la donna diventano quindi uguali sul piano dei valori e dei diritti umani e diventano complementari nello scambio dei compiti e nell'obiettivo di mantenere unita la famiglia. Ma al di là di qualsiasi ideologia, rimane una realtà: in tempi economicamente difficili, la donna non riesce più ad essere solo l’angelo del focolare. Anche se per aspirazione naturale ad un ruolo sociale, c’è proprio l’esigenza di dover aiutare l’uomo nel sostegno economico alla famiglia. Non più mamma e moglie a tempo pieno, la donna in carriera non ha molto tempo per il suo uomo e neppure per mettere al mondo figli, che molte volte vengono addirittura programmati se il desiderio di un figlio è diventa molto forte. E così uomini e donne, sempre di corsa, sempre in affanno, molto

3 Introduzione alla sociologia, contributo di Silvia Belleri

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spesso impegnati, anche dopo le ore di lavoro, in attività sportive o comunque sociali, non hanno tempo di seguire una famiglia come una volta.

E così sorge anche il problema dell’educazione dei figli, della funzione educativa dei genitori che in certi casi diventa complicata. Tanti i motivi, dunque, che hanno condotto all’evoluzione della famiglia tradizionale, mentre per i figli, per i ragazzi, per gli adolescenti il moderno stile di vita può essere anche deviante.

Alla base della famiglia c’è quindi l’evoluzione di una società, i cambiamenti di costume, di valori, di organizzazione delle relazioni sociali. Oggi, nel terzo millennio, sarebbe più opportuno parlare di famiglie, assumendo una prospettiva pluralistica, che tuttavia, nel mondo occidentale, rimane sempre legata a quella di nuclearità. Ma alla base dell‘evoluzione della famiglia ci sono anche le diverse ideologie socio-religiose sul matrimonio e la famiglia. La trasformazione rispetto al passato è dunque di notevole portata e sarà sempre più rilevante in futuro, anche considerando l’innalzamento dell’età pensionabile. Il ruolo ricoperto oggi dalle nonne sarà sempre più difficile da sostenere, mettendo definitivamente in crisi un modello di welfare che fa affidamento sull’aiuto vicendevole tra generazioni di madri e di figlie, e sul lavoro non retribuito fornito soprattutto dalle donne. Le future nonne saranno sempre più schiacciate tra il lavoro retribuito che durerà sempre più a lungo, la cura dei nipoti, il carico di lavoro all’interno della propria famiglia e l’assistenza dei genitori anziani, in molti casi non autosufficienti4.

Sta di fatto che oggi, contrariamente al passato, non esiste più la tradizionale sequenza fra matrimonio civile e matrimonio religioso: molte le coppie che decidono di unirsi in matrimonio solo davanti allo Stato e non più anche in Chiesa. Molte coppie, poi, decidono di non contrarre affatto il matrimonio, ma semplicemente di convivere, senza limiti di tempo.

Ed ecco che abbiamo le “coppie di fatto”, aventi gli stessi diritti legali delle coppie regolarmente sposate, soprattutto se nascono dei bambini.

Si definiscono unioni civili tutte quelle forme di convivenza di coppia, basata su vincoli affettivi ed economici, alla quale la legge riconosce attraverso uno specifico istituto giuridico, ossia uno status giuridico analogo a quello conferito dal matrimonio. In Italia l'istituto giuridico dell'unione civile è regolato dalla Legge 20 maggio 2016 N 76. La classe delle unioni civili è molto variegata nel mondo e comprende un'estrema varietà di regole e modelli di disciplina: in particolare, le unioni civili possono riguardare sia coppie sia di sesso diverso che dello stesso sesso. E’opportuno precisare che, laddove le unioni civili sono un istituto riservato alle sole coppie formate da persone dello stesso sesso, l'espressione "unione civile" può essere usata impropriamente per riferirsi alla coppia omosessuale. Il diritto però non è rimasto indifferente all'evoluzione dei costumi ed esiste un gran numero di provvedimenti legislativi che disciplinano le nuove unioni.

4 Gestire e superare i conflitti familiari e sociali in un mondo che cambia, contributo di Isabella Buzzi

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Si definiscono invece coppie di fatto, quelle coppie che pur avendo una certa stabilità basata sulla convivenza non accedono volontariamente a nessun istituto giuridico (né matrimonio, né unione civile) per regolare la loro vita familiare. L'ordinamento può tuttavia ricollegare al semplice fatto della convivenza dei limitati effetti giuridici relativi alla regolazione della convivenza. Laddove gli ordinamenti statali prevedono esclusivamente il matrimonio quale unico istituto per regolare la vita familiare, l'espressione coppie di fatto può far riferimento anche a coppie che non possono accedere a nessun istituto giuridico familiare come nel caso delle coppie omosessuali o a coppie che non possono accedere a un istituto alternativo a quello matrimoniale, come nel caso delle coppie eterosessuali che scelgono di non sposarsi, ma vorrebbero accedere a un'unione civile.

Sempre più numerosi anche i single, indipendentemente dal sesso, per ragioni varie: per libera scelta o perché uno dei due partner si allontana volutamente, per separazione legale o divorzio, per la morte del partner; queste persone vivono sole, magari con uno o più figli.

Al giorno d'oggi ci sono pertanto nuovi tipi di famiglie: la famiglia ricostituita, ossia quando è composta da una coppia che decide di intraprendere un percorso di vita comune, dopo che uno o entrambi i suoi membri abbiano sperimentato precedenti esperienze di separazione da altri partner; le famiglie allargate per le quali Anna Oliverio Ferraris5, nella sua importante opera “Il terzo genitore”, offre alcuni suggerimenti per agevolare l’instaurarsi di una buona relazione con i figli del compagno/a e infine, le famiglie formate appunto, da single.

Questi cambiamenti fanno emergere nuovi bisogni e nasce a tal proposito l’esigenza di riconoscere nuovi diritti. Si assiste ad una specie di circuito ricorsivo tra cambiamento del costume, nuovi bisogni, nuovi diritti, nuovi servizi, nuovi cambiamenti di costume. Per ogni bisogno che viene riconosciuto come essenziale, gli stati devono organizzarsi per garantirne la soddisfazione. Nascono pertanto nuovi servizi per il soddisfacimento dei “nuovi bisogni”!

5 Anna Oliverio Ferraris, "Il terzo genitore. Vivere con i figli dell’altro", R. Cortina Editori

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CAPITOLO 2

LA CRISI DELLA COPPIA E LE CONSEGUENZE DELLA SEPARAZIONE SUI FIGLI

Alla mancanza di stabilità all’interno della famiglia gli studiosi associano spesso fragilità affettiva e sociale, che dal nucleo familiare propaga i suoi effetti pregiudizievoli sulla collettività di cui quel nucleo fa parte. È purtroppo scientificamente dimostrata la maggiore propensione, per i figli nati e cresciuti all’interno di uno stato conflittuale della coppia, a sviluppare comportamenti ed atteggiamenti psicologicamente alterati: Vittorio Cigoli6 afferma che: “Sono molti gli studi che sottolineano come la qualità della relazione tra ex coniugi influisca sul parenting e dunque sull’adattamento dei figli. In particolare, le ricerche convergono nel riconoscere nel conflitto distruttivo tra partner, sia prima che durante e dopo la separazione, una causa di negativa influenza sui figli” 7.

Sebbene non sia possibile individuare ex ante le conseguenze che il figlio potrebbe subire, i fattori principalmente impiegati dagli studiosi in materia sono: età del bambino, quantità e qualità dell'investimento affettivo delle figure genitoriali, figure di riferimento alternative (zii, nonni, amici, etc.), elementi caratteriologici del minore (caratteristiche personali) e, soprattutto la modalità di gestione del conflitto da parte dei coniugi. In primis, il fattore età è certamente uno dei più influenti: come affermato dalla dott.ssa Anna Oliverio Ferraris8: “L’età ha un ruolo rilevante nella comprensione della nuova realtà familiare e nella gestione degli stress a essa collegati. Ogni fase evolutiva ha le sue modalità di reazione, perciò al momento della divisione, gli strumenti di cui i figli possono disporre per fronteggiare la crisi sono correlati con l’età”. Nei primi tre anni di vita il bambino non ha contezza del rapporto che si instaura tra i suoi genitori; tuttavia, la sua conoscenza del mondo esteriore è essenzialmente sensoriale, ed è quindi piuttosto

6 Una visione centrata sullo scambio generazionale e sul divorzio come processo di transizione in cui tale scambio va salvaguardato non può che condividere tale orizzonte”: V. CIGOLI, La psicologia della separazione e del divorzio, cit., p. 82.

7 V. CIGOLI, La psicologia della separazione e del divorzio, cit., p. 29.

8 A. O. FERRARIS, Dai figli non si divorzia, Bur, Milano, 2008, p. 52. 21 Contra cfr. V. CIGOLI, La psicologia della separazione e del divorzio, cit., p. 25: “Alcuni studi hanno riportato che i bambini piccoli sono quelli che risentono più negativamente della separazione dei genitori. Per loro infatti la difficoltà di affrontare è relativa alla frattura di ciò che concepiscono come un’unità, vale a dire il padre e la madre come un insieme indiscusso.

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facile che il bambino percepisca le emozioni negative che turbano l’ambiente familiare, ed in particolare quelle della madre, con la quale si instaura un rapporto quasi simbiotico9.

Nell’età prescolare (dai tre ai sei anni) il bambino coinvolto in un conflitto familiare tende ad avere atteggiamenti di regressione allo stadio dell’infanzia, tentando di attirare l’attenzione e di ‘riconquistare’ l’amore dei genitori, che teme sia andato perduto10. Spesso si insinuano peculiari meccanismi psicologici nella mente del piccolo, che può attribuirsi la colpa dell’‘abbandono’ del genitore che ha lasciato la casa coniugale. Si tratta di una fase delicata, la “fase edipica”11 per il bambino che sta cominciando a formare la sua identità sessuale: può accadere che il bimbo, dopo un iniziale adattamento, mostri nel periodo adolescenziale difficoltà “emotivo-cognitive”12.

Tra i sette e i nove anni i bambini sentono particolarmente l’assenza del genitore che ha lasciato il tetto coniugale, e soffrono spesso di calo di attenzione e di rendimento scolastico, oltre a manifestazioni somatiche dello stato di tensione, quali inappetenza, emicrania, dolori intestinali13.

Tra i nove e i dodici anni il bambino tende a elaborare il conflitto dei genitori aderendo ad una dicotomia assolutistica di vittima-colpevole, ed alleandosi con chi ritiene abbia subito la scelta della divisione o, semplicemente, con chi non lo ha ‘abbandonato’. In particolare il maschio, data la prevalenza dei casi di affidamento esclusivo o prevalente alle madri14, subisce un’ulteriore

9 Contra cfr. V. CIGOLI, La psicologia della separazione e del divorzio, cit., p. 25: “Alcuni studi hanno riportato che i bambini piccoli sono quelli che risentono più negativamente della separazione dei genitori. Per loro infatti la difficoltà di affrontare è relativa alla frattura di ciò che concepiscono come un’unità, vale a dire il padre e la madre come un insieme indiscusso, come un “panorama di vita” unico.

10 Si tratta di un atteggiamento simile a quello della gelosia nei confronti dei ‘nuovi arrivati’: il bambino “bagna il letto la notte, non utilizza più il

vasino, si sporca le mutandine, parla più infantilmente o non parla affatto, si riattacca al biberon o al ciuccio che ormai aveva dimenticato, si comporta in generale in modo più infantile, perdendo quelle autonomie che aveva conquistato, come il vestirsi, il mangiare o il lavarsi da solo” cfr. R. SCALISI, La gelosia tra fratelli, Le comete, Milano, 2007, p. 34.

11 “Con l’attraversamento del periodo edipico si conferma l’identità sessuale, che consiste nel sentirsi profondamente uomo o donna. L’uomo assumerà il tipo virile prendendo a modello il padre e essendo amato dalla madre, apprenderà ad amare l’altro sesso. La donna assumerà il tipo femminile, prendendo a modello la madre e, se amata dal padre, che amandola la riconosce donna, potrà amare l’altro sesso”: cfr. G. PLERSICO, Bisessualità e dintorni, Le comete, Milano, 2009, p. 30.

12 V. CIGOLI, La psicologia della separazione e del divorzio, cit., p. 39.

13 A. O. FERRARIS, Dai figli non si divorzia, Bur, Milano, 2008, p. 55.

14 Non mancano tuttavia i casi di affidamento prevalente o esclusivo al padre: “Qualora tra coniugi legalmente separati, che hanno invano tentato la via della mediazione familiare, persista un’accesissima, esasperata, indomabile e irrazionale conflittualità con riferimento, in special modo, ai rapporti con i (due) figli ancora in età evolutiva, non va disposto l’affidamento condiviso, chiaramente inopportuno e, nella specie, allo stato, irrealizzabile, ma l’affidamento al padre, verso il quale i figli hanno manifestato una netta consolidata attitudine preferenziale - poiché, senza nulla togliere al legame materno, entrambi i figli si trovano con lui a proprio maggior agio fermo restando che i minori rimangono sotto la costante vigilanza del Servizio sociale - che curerà anche l’instaurazione di sempre più ampi e frequenti contatti e scambi affettivi con il genitore non affidatario - e che una condotta ostruzionistica od anche non collaborativa dei coniugi-genitori potrebbe, con ogni probabilità, provocare pesanti e radicali provvedimenti a loro carico”: cfr. Trib. Min. L’Aquila, 27.02.2008.

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destabilizzazione, determinata dall’assenza del modello sessuale di riferimento15; al contempo la femmina può percepire questa assenza come una svalutazione della sua femminilità ed avere difficoltà nelle primissime esperienze sentimentali. Per l’adolescente non è individuabile una massima valida per tutti: spesso la reazione è più ‘positiva’ rispetto a quella delle altre fasce d’età, in quanto è più consapevole di ciò che sta accadendo – anche se frequentemente gli sono ignoti i motivi16 – ed è più indipendente dai genitori. Può accadere, tuttavia, che il ragazzo reagisca aggressivamente, adottando comportamenti ribelli e spregiudicati17, o, viceversa, si chiuda in se stesso e si estranei dal contesto familiare ed anche dal gruppo di amici. La chiave è, in questo caso più che in altri, la modalità di gestione del conflitto e la capacità dei genitori di tener conto delle esigenze e dei desideri dei figli. Superato infatti lo shock iniziale, il nucleo familiare spezzato può, melius, deve raggiungere una diversa forma di equilibrio.

Un ulteriore aspetto di rilievo è il tempo dei genitori trascorso insieme ai figli, che dovrebbe essere un investimento, sia in termini di qualità che di quantità. in particolare per quelli non affidatari o collocatari, nella fase di separazione. Tale aspetto coinvolge sia il bambino in età prescolare che l’adolescente, per ragioni diverse. Il bambino soffre maggiormente l’allontanamento del genitore dalla casa familiare, e tale sofferenza si traduce spesso nel terrore di essere abbandonati anche dal genitore affidatario o collocatario, dal quale dipende affettivamente oltre che economicamente. Si instaura così un circolo vizioso, in forza del quale il piccolo aderisce sempre più alle aspettative del genitore dal quale dipende la sua ‘sopravvivenza’, e tende a rifiutare la figura genitoriale che considera ormai fuori dal tetto domestico18. Tale condizione, che è spesso sintomo di una grave sofferenza del minore, può portare anche a gravi manifestazioni psicopatologiche, quale l’alienazione genitoriale. Viceversa l’adolescente ha bisogno di instaurare una relazione, oltre che affettiva, educativa col genitore: necessita cioè del modello di riferimento, della guida da seguire, della autorità alla quale ribellarsi. La questione della quantità e della qualità del tempo trascorso può essere determinante non solo per la gestione del rapporto con il padre o la madre, ma anche per la costruzione della propria identità ed i propri tratti caratteriali e comportamentali: Sembra che gli effetti del divorzio si esprimano nella diminuita capacità dei figli di instaurare relazioni significative sia in famiglia, sia con i pari, sia con eventuali partner in età adulta” 19.

15 Contra V. CIGOLI, La psicologia della separazione e del divorzio, cit., p. 31: “Nella gran maggioranza dei divorzi la madre è il genitore a cui

vengono affidati i figli. Hetherington nota come dalle ricerche emerga una maggiore continuità di parenting tra pre e post-divorzio da parte delle madri, mentre i padri tendono a coinvolgersi nella vita dei figli molto di più rispetto a prima del divorzio. Non a caso un gran numero di padri sostiene che la relazione coi figli è migliorata dopo il divorzio”.

16 A. O. FERRARIS, Dai figli non si divorzia, Bur, Milano, 2008, p. 56.

17 Tali comportamenti sono spesso manifestazione esteriore del cd. sentimento della perdita: perdita, ossia assenza, del genitore o della unità della coppia genitoriale; perdita della casa come radice, come luogo in cui si è cresciuti e vissuti insieme: cfr. V. CIGOLI, La psicologia della separazione e del divorzio, cit., p. 38.

18 I. MONTANARI, Separazione e Genitorialità. Esperienze europee a confronto, Voce & Pensiero, Milano, 2007, p. 4

19 Nello stesso senso v. V. CIGOLI, La psicologia della separazione e del divorzio, cit., p. 16 : “L’impatto del divorzio sull’esercizio delle funzioni genitoriali è scontato. Anche precedentemente al divorzio tale esercizio poteva essere critico; in ogni caso occorre considerare che il dolore della fine

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Certamente, in assenza della ‘bacchetta magica’ che possa ‘dilatare’il tempo, i migliori propositi si scontrano con la dura realtà di padri e madri assorbiti dai loro impegni professionali, dalle faccende domestiche e, talora, anche dalla gestione di nuove relazioni amorose e dalla creazione di nuovi nuclei familiari, che necessitano di altrettanta attenzione.

E’necessario a tal proposito riportare un passaggio dell’opera, “La psicologia della separazione e del divorzio”, p. 43. 36, di V. Cigoli:

“Ritengo infatti un’illusione l’idea che basti la sola qualità del tempo trascorso con il bambino ad assicurare anche una relazione affettiva qualitativamente migliore. Il tempo è tempo! Non c’è un tempo di qualità, c’è un tempo fatto di ore e giorni, di anni: un tempo fatto di esperienze condivise, partecipate. Il tempo è guardare insieme un bel paesaggio o restare in casa per fare i compiti, è correzione e consiglio. Il tempo, per dirla in breve, del bambino che diventa adulto”:

Il quesito amletico ‘quantità o qualità’ rinviene diverse soluzioni nel panorama degli studiosi della famiglia e della psiche: vi è chi assume posizioni estreme, asserendo che la qualità di brevi momenti col figlio non possono costituire un sufficiente contributo alla crescita del figlio e chi invece non ritiene che ci si debba limitare al dato numerico di ore trascorse, in quanto asettico, soprattutto alla luce del fatto che, con particolare riferimento alla figura paterna, “nell’indagare la paternità vi è un errore di fondo, quello di utilizzare modelli interpretativi intrapsichici per analizzare fenomeni sociali. I diversi ruoli familiari non vanno ridotti entro confini privati, ma studiati nei diversi contesti storici”.

Aderisce a quest’ultima tesi anche lo psichiatra statunitense Mevin G. Goldzband, che nella sua opera “Tempo di qualità” mette a frutto la sua esperienza professionale di oltre quaranta anni trascorsi a contatto con situazioni di divorzio, e sostiene che è più importante fare attenzione alla ‘qualità’ che alla ‘quantità’ del tempo che si dedica ai propri figli. È dell’avviso che sia possibile mantenere un rapporto felice, significativo e soddisfacente con i propri figli anche quando il divorzio impedisce di trascorrere con loro il tempo che si desidera, purché ci si ‘riadatti’ al diverso rapporto che inevitabilmente si instaura tra i genitori separati e tra questi e i propri figli20.

E’inoltre doveroso sottolineare che, secondo alcuni studiosi di psicologia, l’esperienza della rottura del legame coniugale può scatenare nel minore una reazione simile a quella del lutto, con le fasi di rifiuto, rabbia, contrattazione, accettazione.

Come precisato da Rodolfo Sabbadini:21 “Il processo di rielaborazione del lutto non riguarda solo la morte di persone care, a cui il termine potrebbe inizialmente far pensare, ma a una varietà di

della coniugalità (o della convivenza) abbisogna di un tempo di gestione. Essendo i legami intrecciati (coniugalità, genitorialità), è solo con non poco impegno e spazio di riflessione che l’esercizio può essere salvaguardato”.

20 Cigoli individua tra i criteri di salvaguardia della continuità dell’esercizio delle funzioni genitoriali proprio “l’accesso del figlio ai genitori ed alle loro stirpi”: cfr. V. CIGOLI, La psicologia della separazione e del divorzio, cit., p. 19.

21 R. SABBADINI, Manuale di counseling, Guida pratica per i professionisti, Franco Angeli, Milano, 2009, p. 125.

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situazioni piuttosto ampia con cui ogni essere umano si confronta nel corso della vita”, quali “la separazione dal partner o l’allontanamento dei figli ormai adulti”. La fase del rifiuto è caratterizzata da smarrimento, solitudine, incredulità, seguita da quella di rabbia, connotata da atteggiamenti rivendicativi verso gli altri o il destino, ma anche da senso di colpa; un’altra è quella della contrattazione con l’evento traumatico, la progressiva separazione interiore dallo stato di ‘blocco’ e ricattatorio del dolore; la fase di accettazione si caratterizza per l’apertura al nuovo, per la ricerca di un nuovo equilibrio e di nuovi interessi verso i quali direzionarsi22.

I tratti caratteriali dei figli influiscono certamente nel processo di rielaborazione in questione, che spesso opera da ‘catalizzatore’ di caratteristiche già presenti o latenti: il genere femminile tende a manifestare ansia, depressione, chiusura, depressione, tristezza, diminuzione dell’autostima; nel sesso maschile si osservano aggressività, iperattività, comportamenti antisociali.

“I figli sono in mezzo, nel bene e nel male. Quando nella coppia le cose vanno bene, infatti, il figlio è amato anche in quanto incarnazione dell'unione, come simbolo vivente della potenza e della creatività dell'amore23”.

Quando la coppia è unita, l’attaccamento del bambino all’altro genitore, persino con forme di alleanza e complicità, è visto con favore, perché inserito in una circolarità di relazioni e sentimenti. Quando il cerchio si spezza il flusso si blocca o inverte la rotta, le immagini dei genitori di cui il bambino è portatore escono distorte, e il figlio diventa il simbolo del fallimento e della solitudine. Il bambino è ancora in mezzo, ma nel senso più doloroso del termine. La rappresentazione del figlio, pertanto, è strettamente intrecciata con quella della coppia e con la rappresentazione che ciascun membro ha di sé in relazione all'altro. L’essere in mezzo al conflitto dei genitori può far vivere ai figli situazioni dolorose, di lotta interiore, c’è inoltre il rischio di essere strumentalizzati per diventare l’arma del genitore. Il divorzio provoca il delicato equilibrio della relazione onnipotenza-impotenza, mettendo a rischio l’onnipotenza dei genitori e l’impotenza dei figli. Pertanto ciò che conta, a seguito della separazione, è la capacità dei genitori di riuscire a mantenere la continuità genitoriale e a gestire il conflitto in modo costruttivo. A seconda di come la coppia gestisce la dinamica triangolare internucleare si possono presentare diversi scenari post-separazione.

Studi di Wallerstein e Kelly24 (1980) hanno evidenziato che, mentre gli adulti hanno opinioni diverse sul divorzio, i bambini sono generalmente concordi: quasi tutti vogliono che i loro genitori tornino insieme e, se impossibile, vogliono sapere che nessuno di loro li ha abbandonati.

22 52 Cfr. tra gli altri M.T. VERDRAMINI, Oltre l’evento, La morte nella relazione educativa, Franco Angeli, Milano, 2007, p. 77 ss 53 Cfr. AA.VV., La valutazione della famiglia, Dalla ricerca all’intervento, Franco Angeli, Milano, 2005, p. 47.

23 Bernardini I. (1996), op. cit., p.33

24 Parkinson L. (1995), op. cit

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“Quando […] questi ultimi (i figli) cominciano a rendersi conto che i loro genitori nutrono dei dubbi sull’amore che provano l’uno per l’altra, spesso dubitano di essere amati25”.

L’incertezza è legata ai numerosi cambiamenti da affrontare e dalle minori attenzioni ricevute, perché i genitori sono alle prese con altre preoccupazioni. Hanno dunque bisogno di essere rassicurati sul fatto che continueranno ad essere amati. Durante la separazione, come i genitori, anche i figli sono impegnati in una serie di compiti psicologici per il superamento di questa fase del ciclo vitale. Innanzitutto devono riconoscere la rottura della relazione dei propri genitori, riuscire a disimpegnarsi dalla sofferenza e dal conflitto e riprendere le proprie attività quotidiane. Naturalmente affinché questo compito possa essere affrontato è necessario l’aiuto dei genitori nel comprendere cosa sta accadendo con spiegazioni appropriate per la loro età, rassicurare i figli che loro non hanno alcuna responsabilità nella rottura e che entrambi continuano ad amarli allo stesso modo. I figli, come i loro genitori, devono affrontare il dolore della perdita, che è soprattutto perdita della quotidianità, che ad ogni modo gli dava sicurezza. Devono riuscire a superare i propri sentimenti di rabbia e autoaccusa ed accettare il carattere permanente della separazione. Infine, devono raggiungere una speranza concreta in termini di relazioni affidabili, in altre parole, continuare a credere nell’altro e nella forza dei legami, essenza della vita di ogni essere umano. I genitori devono aiutare i loro figli nell’assolvimento di questi compiti e lo possono fare solo se sono attenti ai loro bisogni.

In una situazione normale il genitore è in grado di porre attenzione ai bisogni dei propri figli, ma lo sconvolgimento emotivo provocato dalla separazione può limitare questa capacità. Può esserci un contrasto di percezioni circa i bisogni dei figli, madri e padri, infatti, possono interpretare i comportamenti dei figli nel modo per loro più conveniente o accettabile. Un esempio di contrasto di percezioni avviene quando il figlio prova riluttanza o addirittura si rifiuta di incontrare il genitore che vede meno (evento frequente tra i bambini dai nove ai dodici anni). Questo fatto è percepito dal genitore convivente come espressione della rabbia, avversione, insofferenza e frutto dei continui ritardi dell’altro; il genitore assente, invece lo interpreta come frutto dell’indottrinamento dell’altro genitore. Anche l’entusiasmo di vedere il genitore non convivente è interpretato in modo differente, il genitore convivente crede che sia dovuto alla mancanza di regole e alla corruzione tramite i regali che esercita l’altro genitore; il genitore non convivente, invece, lo interpreta come segnale di attaccamento a sé e addirittura sollievo dall’altro genitore. Infine, le lacrime o la scontrosità dopo le visite sono viste dal genitore convivente come prova del malessere durante la visita e dei suoi effetti nocivi sul bambino; il genitore assente, al contrario pensa che siano la prova che il bambino è infelice con l’altro genitore. In questi casi non si può dire chi dei genitori abbia ragione, probabilmente non ce l’ha nessuno dei due, poiché nessuno in realtà è attento al bisogno del bambino di mantenere le relazioni con entrambi.

25 Cit. in Parkinson L. (1995), op. cit

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“Alcuni bambini sono così acutamente consapevoli della solitudine e della fragilità di un genitore che si fanno carico di responsabilità enormi per la loro età, sostituendosi al coniuge o al genitore in un rovesciamento dei ruoli che può danneggiare la psiche del bambino. Rispondendo alle opprimenti esigenze emozionali di un genitore abbandonato, i bambini possono arrivare a reprimere il loro bisogno di vedere l’altro genitore, respingendo talvolta quello che in realtà si prende più cura di loro26”. In questi casi è sufficiente il permesso emozionale del genitore di vedere l’altro. Quando i genitori, presi dal conflitto, bloccano la possibilità del figlio di avere rapporti con entrambi, questo può ammalarsi per distogliere la loro attenzione dal conflitto coniugale e unirli nella preoccupazione. Altre volte il bambino si offre inconsciamente come capro espiatorio che attira la rabbia dei genitori su di sé per deviare l’ostilità tra loro, ad esempio con le assenze scolastiche, comportamenti aggressivi e atti di bullismo, questi comportamenti diventano una strategia (inconscia) per mantenere la circolarità dei rapporti familiari. I bambini, infatti hanno bisogno di mantenere legami e relazioni con entrambi i genitori e le altre persone importanti della loro famiglia, devono inoltre essere informati sulle loro origini per poter costruire la loro identità. “Assecondare questo bisogno dei bambini di veder tutelata la storia d'amore da cui sono nati fa bene anche ai grandi27”, restituisce un senso al passato e favorisce la rielaborazione.

Il lavoro psichico di distinzione tra la coniugalità, che si divorzia, e la genitorialità, impossibile da interrompere, avviene riconoscendo il nesso tra la storia personale, la storia coniugale e la storia genitoriale, può sembrare un paradosso ma per operare la distinzione è necessario riconoscere i nessi e i legami. Proteggere i legami significa riconoscere il valore dello scambio tra le generazioni e rendere possibile la dinamica onnipotenza-impotenza, prima analizzata. “L'obiettivo é raggiunto quando, alla fine, i bambini possono contare su quella circolarità di emozioni, di esperienze, di conferme coerenti e univoche, su quella compattezza e continuità di vita che solo la comunicazione efficace tra i genitori può garantire28”.

La scelta del partner e il funzionamento della relazione di coppia sono influenzati da una serie di fattori che abbiamo visto: lo stile di attaccamento sviluppato durante l’infanzia con le figure di riferimento, le abilità personali dell’individuo e la capacità o meno di adattarsi all’altro mettendo in discussione parti di sé, i legami generazionali, che attraverso i miti familiari trasmettono prescrizioni di comportamento. La relazione di coppia, oltre a ciò, è frutto di un impegno reciproco, impegno che un tempo era rivolto all’istituzione matrimonio e rispondeva all’intera comunità, e che oggi è inteso come impegno di fiducia tra due individui.

Secondo Cigoli la relazione coniugale si fonda sull’incastro tra due patti che la coppia prende in carico e che egli definisce come patto dichiarato e patto segreto. Il patto dichiarato è la dichiarazione d’impegno formulata in modo esplicito, che richiama

26 Parkinson L. (1995), op. cit., p. 69.

27 Bernardini I. (1998), Una famiglia come un’altra. I nuovi rapporti tra padri madri e figli dopo il divorzio, Rizzoli, Milano , p. 85.

28 71 Bernardini I. (1996), op. cit., p. 143.

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l’importanza della promessa di fedeltà e di obbligo reciproco. Tale patto è assunto quando è profondamente voluto e interiorizzato da un punto di vista cognitivo e affettivo, si traduce nella formulazione di un progetto di vita condiviso e nella dedizione all’altro. Se invece il progetto di vita ha poca consistenza e la scelta reciproca è povera d’impegno siamo di fronte a un patto fragile, spesso frutto di scelte emotive poco calibrate e facilmente destinato a decadere. Il patto dichiarato può anche essere solo formale, quando si basa su un progetto ascritto socialmente e rischia la devitalizzazione. Il patto segreto non è comunicato e si trova nella linea di confine tra conscio e inconscio. Il patto segreto rappresenta i bisogni affettivi e psicologici, i desideri, le paure, le speranze che i coniugi ripongono nella relazione e che si aspettano ottenere dall’altro. Questo sistema di aspettative si struttura a partire dalle esperienze nella famiglia d’origine e da altre esperienze maturate nel corso della vita. Il patto segreto è praticabile quando i partner, attraverso il loro incontro, soddisfano i bisogni affettivi reciproci e quando è flessibile può essere rilanciato e riformulato a seconda del mutamento dei bisogni e delle attese e riesce a fronteggiare, superare le crisi e i compiti di sviluppo che la coppia può incontrare.

Questo patto inconsapevole è impraticabile quando i bisogni dell’altro vengono disattesi, non vi è intesa né scambio tra i partner. In questa situazione praticamente non esiste un patto segreto, ma solo la volontà di dominare e possedere l’altro. Infine, il patto è rigido quando nell’evoluzione dei bisogni reciproci l’intesa segreta si consuma e non può essere riformulato. Un esempio di patto rigido è il caso dei coniugi che riversano tutte le attenzioni sui figli, trascurando i compiti di sviluppo della coppia; una volta che i figli diventano adulti i genitori, che non riescono a riscoprirsi partner, si separano.

Affinché la relazione si sviluppi è necessario che ogni partner sappia prendersi cura dell’altro, uscendo da una prospettiva autoreferenziale. Cigoli, inoltre, afferma che la presenza di aspetti di collusione è caratteristica di tutte le coppie e non va intesa in senso patologico, come afferma la psicoanalisi. Per collusione egli intende l’idealizzazione dell’altro e l’appoggio sull’altro di aspetti fragili e teneri di sé, ha un’accezione positiva perché è un aspetto cruciale dell’incontro di coppia che attiva il patto segreto. Prendersi cura dell’altro e volerlo utilizzare per sé e per i propri bisogni rappresenta l’area ambigua di ogni relazione di coppia.

Il compito di sviluppo di ogni coppia è quello di costruire l’identità di coppia, secondo l’autore questa si realizza a due condizioni: la capacità di reciprocità, vale a dire che ciascuno deve sapersi prendersi cura dell’altro nella sua unicità e differenza; e il sacrificio narcisistico, cioè deve alimentarsi di una dimensione progettuale. La coppia, inoltre, acquista identità differenziandosi – distinguendosi dalle famiglie d’origine e costruendo con queste un nuovo tipo di legame. La coppia deve saper costruire autonomamente un proprio stile relazionale, a partire dalle modalità apprese, evitando la ripetizione e la controtendenza. Perché ciò avvenga è necessario avviare un processo di regolazione delle distanze, tracciando nuovi confini, tramite processi di negoziazione. Vittorio Cigoli ha individuato, attraverso uno schema che incrocia le variabili del patto dichiarato con quelle del patto segreto, i possibili scenari disfunzionali del patto coniugale.

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Il divorzio crea uno strappo, un divario, uno spazio vuoto che rimanda alla differenza di identità tra ciascun partner, che non è data in sé, ma costruita nella relazione con altri significativi, e fa venire meno quel senso di appartenenza che la coppia stava sperimentando. Allora separarsi non significa solo doversi dividere dalla persona con cui si è condivisa parte della propria vita, ma è anche "occasione di separazione/smembramento di se stesso, rispetto la propria storia e appartenenza familiare29". Il divorzio è il disincanto dal sogno di reciprocità e dal bisogno di comunione con l’altro. A livello individuale avviene una ridefinizione del proprio sé; il divorzio, infatti, mette in crisi la rappresentazione di se stessi. Si tratta di un processo di ridefinizione simile a quello sperimentato nell'adolescenza, in cui, come fa notare Erickson, ci si pone la domanda "chi sono io adesso?". Nella separazione coniugale, così come nell'adolescenza si sperimenta un senso di perdita e disorientamento: questi pertanto vengono superati solo quando si è in grado di far tesoro dell'esperienza e di reintegrarli nella nuova identità. L'esperienza del divorzio è dunque un'esperienza di crisi. Al termine crisi si può attribuire un duplice significato: pericolo, ma anche opportunità; è allora il modo in cui viene gestito il processo, che determina l'esito e può trasformare l'evento drammatico in un'opportunità di analisi e crescita personale.

Secondo Wallerstein e Blackeslee (1989)30 il processo di elaborazione della separazione si articola in tre fasi principali:

1. nella prima fase vi è una disorganizzazione familiare, caratterizzata dalla presenza di rabbia e angoscia;

2. dopo circa diciotto mesi iniziano ad esserci i primi mutamenti e progressi, ma sono presenti anche regressioni, in quanto i confini familiari sono ancora instabili;

3. infine, in genere dopo tre anni per le donne e due anni e mezzo per gli uomini, viene raggiunta una nuova stabilità.

La separazione, come abbiamo visto, è anche stata paragonata all’esperienza del lutto: la perdita nella separazione, così come la morte di una persona vicina, necessita un processo di elaborazione e accettazione. Nel processo di separazione possiamo distinguere 5 fasi: negazione, protesta/disperazione, depressione, rabbia, accettazione- distacco e rinascita.

29 Cigoli V. (1997), op. cit., p. 103.

30 Cit. in Fruggeri L. (2005), op. cit. .57 Emery R. (1998), Il divorzio. Rinegoziare le relazioni familiari, Franco Angeli, Milano.

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“C'è un grande, misconosciuto senso di morte nell'esperienza della separazione. Morte di una parte essenziale di sé che ciascuno, con serietà a volte insospettata, aveva proiettato non tanto o solo nel partner e nei figli ma nel progetto complessivo di vita che essi incarnano. Metter su famiglia, checché se ne dica, è ancora una cosa terribilmente seria.31”

Muore parte dell’identità che abbiamo costruito attorno all’appartenenza alla coppia e alla famiglia. Secondo la Teoria ciclica del lutto32 il processo di elaborazione della perdita, più che essere attraversato da fasi che si susseguono ordinatamente l’una dopo l’altra, si manifesta attraverso oscillazioni emotive, che portano ciclicamente le persone a provare di nuovo gli stessi sentimenti. Secondo questo approccio, le principali componenti del lutto sono: l’amore, inteso come la speranza di tornare insieme, le preoccupazioni verso l’altro e la nostalgia; la collera, manifestazione del risentimento, della frustrazione e dell’ira verso l’altro; ed infine il senso di solitudine e tristezza, che si manifesta attraverso la depressione e la disperazione, rivolte verso di sé. In ogni momento dato un’emozione prevale sulle altre, ma esiste sempre un’emozione latente, pronta a manifestarsi nella fase successiva. Il processo di elaborazione del lutto avviene per fasi, la cui durata varia da individuo a individuo. Kubler-Ross distingue 5 fasi: 1 negazione, 2 rabbia, 3 patteggiamento, 4 depressione, 5 accettazione33.

Secondo Emery, quando prevale un’emozione è bene far emergere anche le altre, e prenderne consapevolezza. Col passare del tempo le emozioni tendono a manifestarsi simultaneamente e a diminuire di intensità. Nel periodo di tempo necessario per rielaborare la separazione dall’altro, ma soprattutto da sé, si snodano una serie di processi rielaborativi, che riguardano le diverse fasi del divorzio e possono richiedere tempi molto differenti.

1. Il divorzio emozionale: può avvenire a prescindere da quello legale, prima o dopo di esso. Ha a che vedere con la disaffezione dall’altro e la volontà di lasciarsi. In molti casi non avviene in modo reciproco, perciò mentre un partner cerca di porre fine alla relazione l’altro tenta di tenerla in piedi, ad esempio negando la fine del matrimonio o protraendo il conflitto per mantenere vivo il legame.

2. Il divorzio legale: è quello che si svolge nelle aule del Tribunale e può avvenire con procedura consensuale o giudiziale. Nel primo caso è necessario che i coniugi si presentino davanti al giudice già con un accordo; nel secondo caso le parti, attraverso l’uso di prove, tenteranno di attribuire le responsabilità della rottura all’altro coniuge e ottenere le migliori condizioni possibili per sé e quelle che credono essere per i propri figli.

31 Bernardini I. (1996), op. cit., p. 11-12.

32 Emery R. (1998), Il divorzio. Rinegoziare le relazioni familiari, Franco Angeli, Milano

33 Il divorzio emotivo, contributo di Isabella Buzzi.

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3. Il divorzio economico: riguarda la divisione dei redditi e delle proprietà che segue la separazione. Sotto questo punto di vista, il divorzio accentua le divisioni economiche già esistenti nella società, poiché pone ulteriori ristrettezze alle famiglie.

“Le alte aspettative reciproche dei due coniugi, la ricerca del benessere personale unite al calo del controllo sociale, fanno sì che la coppia, assai più facilmente che in passato, si confronti e riveda più volte il patto a suo tempo stabilito e può accadere che da questo processo di revisione la relazione coniugale ne esca sconfitta34”.

34 Scabini E., Cigoli V. (2000), op. cit., p. 199.

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CAPITOLO 3

EXCURSUS STORICO: DALL’AFFIDAMENTO ESCLUSIVO A QUELLO CONDIVISO

La questione che più mi sta a cuore e su cui vorrei soffermarmi in questo mio elaborato, riguarda la “cura dei figli” nel quadro dell’evoluzione legislativa del nostro Paese e nella sua giurisprudenza. Un breve e utile excursus storico mi permetterà di ricostruire un percorso normativo, alquanto necessario e significativo che ci consentirà di comprendere le peculiarità del suo sviluppo. E’ opportuno sottolineare che qualunque trattazione dell'evoluzione del diritto di famiglia, non può essere soltanto un’esposizione del succedersi di regimi normativi, ma è innanzitutto una storia del fenomeno sociale famiglia. Se la famiglia, quale microcosmo esistenziale, è il luogo di svolgimento di conflitti incessantemente moderati e fomentati dai consociati in base ai bisogni contingenti della quotidianità, e se tale intreccio costituisce il quadro di riferimento privilegiato nell’applicazione del diritto, ne deriva che l’interprete, ed in particolare il giudice, è stato costantemente sottoposto ad una sollecitazione valutativa che, per la sua naturale mutevolezza, ha reso problematica la giustificazione razionale delle più elementari decisioni.

E' stato efficacemente osservato che: “La famiglia disegnata dal codice del 1942 è una famiglia che nasce già vecchia, perché viene ad essere modificata, nella struttura, nei principi, nei valori e nelle scelte ideologiche allorquando, con la caduta del fascismo, si affermano e vengono normativizzati i valori che inaugurano la nuova repubblica costituzionale” (Ruscello)35. Nell'interpretazione del testo codicistico, dunque, è emersa da subito la necessità di adeguare tali norme al dettato della Costituzione, con tutte le difficoltà che derivavano dal fatto che nel testo del codice non vi fosse stato un sufficiente livello di maturazione interpretativa, stante la brevità del lasso temporale. Quindi, nel codice civile del 1942, secondo il principio dell’indissolubiltà del matrimonio, si pronuncia la separazione solo in caso di colpa di uno dei due coniugi; è importante ricordare che, in tale contesto, il minore viene pertanto affidato al coniuge “senza colpa”. Nel 1970, con Legge n° 898, viene introdotto l’Istituto del divorzio nella realtà giuridica italiana: si gettano quindi le basi per un nuovo assetto riguardante l’affidamento della prole, al fine di tutelare maggiormente l’interesse morale e materiale dei figli.

La Legge n° 151 di Riforma del Diritto di Famiglia, del 21 maggio 1975, è innovativa poiché introduce l’inaspettato criterio per cui la separazione, che si può pronunciare a prescindere da una “condotta colposa”, diventa solo funzione ‘curativa’ di un rapporto coniugale ‘malato’; pertanto il giudice deve considerare solo l’interesse del minore, laddove disponga un provvedimento di affido della prole.

35 Lineamenti di diritto di famiglia, Francesco Ruscello Giuffrè 2005

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Lo sguardo del Legislatore, nello scenario giuridico italiano fino al 2006, si è rivolto verso la tutela di tale interesse. L’articolo 6 della L. 898/70 e l’art 155 del codice civile, prevedono un affidamento legale mono-genitoriale: il minore viene affidato al genitore considerato più idoneo a favorirne il pieno sviluppo della personalità ed ha potestà esclusiva circa la sua educazione, istruzione e cura; il genitore non affidatario mantiene la potestà per le scelte più importanti e di straordinaria amministrazione. La realtà e la prassi nelle aule di giustizia, consolidano però l’affido esclusivo alla madre, come si evince dalle indagini ISTAT del 2000, per cui la percentuale di affidamento si aggira intorno all’87% dei casi. Con la Legge n° 151del 1975 del diritto di famiglia, si modificano gli articoli del Codice Civile riguardanti la famiglia, le successioni ereditarie e le posizioni dei coniugi dei loro rapporti patrimoniale e personali: la società italiana assimila il principio che vuole l’uomo e la donna titolari di pari diritti, specialmente tra le mura domestiche. Viene pertanto superato il principio della patria potestà, per cui solo il padre aveva potestà genitoriale, ossia più adatto a regolare la crescita e l’educazione dei figli. La Riforma ha finalmente rimodellato il nucleo familiare: dall’esclusivo ruolo di pater familias all’eguaglianza morale e giuridica dei due coniugi, titolari entrambi della potestà sui figli. La dottrina non prevedeva né l’affido condiviso né quello alternato; la giurisprudenza però, dopo un iniziale diniego ha iniziato a considerare e a disporre queste forme di affido36.

Grazie poi all’influenza europea e statunitense, si delinea in Italia l’assetto dell’odierno affido condiviso. Si giunge pertanto ad una Riforma epocale per il nostro Paese, nel 2006, con la L. n° 54 dell’8 febbraio che tutela e prevede, appunto, l’affido condiviso. Viene affermato il principio della bi genitorialità, ergo il diritto del figlio ad un rapporto completo e stabile con entrambi i genitori, anche laddove la famiglia attraversi una fase patologica, con conseguente scioglimento del legame giuridico e sentimentale dei genitori. Il novellato art 155 del Codice Civile, intitolato “Provvedimenti riguardo ai figli”, disciplina pertanto il contenuto delle disposizioni della citata Riforma.

Importanti novità introdotta dalla L 54/2006 riguardano: la possibilità che il giudice rinvii l’assunzione dei provvedimenti, affinché i coniugi possano tentare una mediazione familiare, al fine di tutelare maggiormente gli interessi morali e materiali del minore; l’audizione del minore che abbia più di 12 anni e la tutela de figli disabili. Resta residuale l’ipotesi dell’affido esclusivo, perché scelto e motivato dal giudice, laddove lo ritenga essenziale e opportuno nell’interesse del minore. Non viene esclusa, tuttavia, l’eccezione dell’affido ad un solo genitore quando il comportamento dell’altro genitore nei confronti del figlio sia contrario all’interesse del minore stesso. Finalità dell’affido condiviso è la parità di condivisione del ruolo genitoriale, inteso come maggiore responsabilizzazione di entrambi i genitori. L’affido condiviso consente l’esercizio della potestà anche in modo disgiunto cosicché ciascun genitore è responsabile in toto quando i figli sono con lui.

36 J. Haynes e I. Buzzi, Introduzione alla mediazione familiare – Prospettive di psicologia giuridica, cit. pp 3007-315.

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La nuova Legge n. 154/2013, in materia di affidamento del minore, procede sulle orme tracciate dalla precedente Legge n. 54/2006 che ha introdotto in Italia l’affido condiviso. Oggi, il legislatore ha previsto una disciplina unitaria sia per i procedimenti di separazione dei coniugi sia per quelli relativi ai figli nati al di fuori dal vincolo di coniugio.

I nuovi artt. 337 bis e ss. c.c. hanno sostituito gli artt. 155 e ss. c.c. dettando norme relative ai provvedimenti riguardo a tutti i figli, senza alcuna distinzione tra legittimi e naturali . Essi ribadiscono il principio della bigenitorialità sancendo ancora una volta il diritto del minore di mantenere un rapporto equilibrato e costante con entrambi i genitori A tal fine, l’art. 337 ter c.c. stabilisce che il giudice nei procedimenti di cui sopra debba adottare i provvedimenti relativi alla prole con “esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”. Tale forma di affido è considerata ormai lo strumento più idoneo per assicurare l’interesse del minore ad un sereno ed equilibrato sviluppo. Ne consegue che, in caso di separazione e crisi della coppia, grava sui genitori un vero e proprio obbligo di adempiere ai propri doveri adoperandosi affinché gestiscano responsabilmente l’affidamento condiviso della prole. Infatti, è importante ricordare sempre che, anche nei casi più gravi di crisi della coppia, il principale interesse/dovere dei genitori è la salvaguardia del benessere psico-fisico dei figli, a prescindere dalle responsabilità dell’uno o dell’altro nell’aver reso intollerabile la convivenza e dalla conflittualità sussistente tra loro.

Solamente l’esistenza di una circostanza non trascurabile può consentire al giudice di derogare al suddetto principio: l’inidoneità genitoriale. Può accadere pertanto che si verifichino delle circostanze talmente gravi da rendere inevitabile l’affidamento del minore ad un solo genitore perché di fatto il comportamento dell’altro risulta pregiudizievole per il figlio. Di fatto, la sussistenza della conflittualità, di per sé superabile, può costituire, in alcuni casi, un vero e proprio indice di inidoneità genitoriale qualora sia espressione di un atteggiamento connotato da immaturità e irresponsabilità, tale da rivelare palesemente carenze educative da parte del genitore. Altre volte, la distanza tra i genitori e la conseguente incapacità di gestire tra loro l’affidamento del minore può rivelarsi decisiva per l’affido ad un solo genitore. Occorre, tuttavia, considerare che la giurisprudenza è divisa sul punto in questione. Non a caso, la nuova riforma del diritto di famiglia attuata con Legge n. 154/2013 ci parla di “responsabilità genitoriale” e non più di potestà.

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CAPITOLO 4

ACCORDO IN MEDIAZIONE FAMILIARE, DISPOSITIVO DEL GIUDICE E P.A.S….QUESTA (S)CONOSCIUTA

L’obiettivo sostanziale della mediazione familiare è aiutare la famiglia nella riorganizzazione delle relazioni familiari e in particolare la coppia separata o in via di separazione, a trovare un accordo soddisfacente per sé e per i figli.

Quando la coppia coniugale è anche genitoriale, aggiungerei che tutto questo si traduce nel riuscire a mantenere vive le relazioni dei figli con entrambi i genitori e con le altre generazioni passate. Nell’approccio relazionale - simbolico alla famiglia, la perdita, che può avvenire anche a seguito della separazione, “si configura nei termini di mancato accesso all’altro” e costituisce un indicatore cruciale delle situazioni di rischio; i rapporti generazionali, infatti, costituiscono una componente fondamentale per la costruzione dell’identità.

Come afferma Irene Bernardini37:

“L’obiettivo sostanziale del lavoro di mediazione, mancando il quale ogni decisione e accordo rischia di avere vita breve e stentata, è che i genitori riescano a ripristinare un canale di comunicazione tra loro che consenta, nel presente e nel futuro, il costituirsi di una sorta di zona franca, di area della relazione sgombra dal conflitto, in cui insediare e alimentare la necessità e la possibilità di occuparsi insieme dei figli malgrado il disgiungersi delle storie personali”.

Solo con la costruzione di questa zona franca il figlio potrà sentirsi libero, senza sensi di colpa o conflitti di lealtà, di mantenere relazioni significative con entrambe le generazioni che l’hanno preceduto e di cui, in qualche modo, è il frutto. Affinché questo processo produca i risultati sperati il mediatore deve aderire a una serie di principi, necessari per la valorizzazione delle parti e il riconoscimento delle reciproche competenze.

Prima di tutto la mediazione deve essere un percorso volontario, non può perciò essere un intervento forzato. La volontarietà è elemento fondamentale dato che a fare la contrattazione è la coppia stessa e per arrivare a un accordo è necessaria la volontà di raggiungerlo. In questo percorso, il mediatore deve mantenere neutralità e imparzialità, concetti collegati all’equidistanza, cioè al riporre la stessa attenzione a entrambe le parti. La mediazione vuole restituire alle parti il potere decisionale, che spesso è delegato al tribunale. Per poter fare ciò il mediatore riconosce le capacità e le potenzialità delle parti e lavora per favorire l’empowement, attraverso la condivisione delle

37 Bernardini I. (1996), op. cit., p. 8.

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conoscenze ed evitando il prevaricare di una parte sull’altra. I partecipanti devono essere trattati con uguale rispetto, a prescindere dalla diversità culturale. Data la delicatezza delle tematiche affrontate, il mediatore si impegna a non rivelare a nessuno le informazioni in possesso senza il consenso scritto delle parti, eccetto i casi di obbligo di dichiarazione.

Nel corso della mediazione vi è una focalizzazione sul futuro anziché sul passato e vengono raccolte solo le informazioni passate che hanno rilevanza nel presente. Il mediatore, inoltre cercherà di porre enfasi sugli interessi comuni piuttosto che sui diritti individuali, favorendo un risultato win-to-win anziché win-to-lose. Inoltre, i figli e la volontà di crescerli al meglio, rappresentano l’elemento comune per eccellenza; oltre a ciò devono essere presi in considerazione i bisogni di tutti gli interessati, compresi i bambini, che rappresentano la parte più debole del sistema.

Fin dal primo incontro il mediatore può creare uno spazio di ascolto e accoglienza attraverso un buon uso della comunicazione non verbale: il sorriso, il contatto con gli occhi, l’attenzione individualizzata, una mimica facciale rilassata e una posizione corporea stabile e bilanciata sono comportamenti utili per creare un clima di rispetto e fiducia. È bene che il mediatore utilizzi un linguaggio semplice, evitando i tecnicismi, e verifichi la reciproca comprensione riassumendo di volta in volta i contenuti trattati e così rallentando il ritmo. Quando la coppia che si separa ha dei figli, deve imparare a mantenere attiva la relazione co-genitoriale, riuscire cioè a sviluppare relazioni sociali come individui e non più come coppia. Ma il problema principale è che spesso regna la confusione e vi è un’alternanza di emozioni. Il mediatore deve allora cercare di gestire il setting emotivo della coppia aiutando i clienti nell’espressione delle emozioni. Il mondo emotivo delle persone rappresenta un’importante risorsa: tutte le persone hanno bisogno delle loro emozioni per superare il processo separativo e un modo per gestirle è imparare a conoscerle meglio.

Il percorso di mediazione è comunque un percorso che richiede un’elaborazione abbastanza veloce, visti i tempi e gli argomenti da negoziare. Il mediatore, pertanto, deve possedere capacità di ascolto e comunicazione emotiva, saper mantenere la giusta distanza emozionale, mantenere la consapevolezza della differenza tra il problema portato e la persona nella sua complessità38. Per poter creare un setting collaborativo il mediatore deve accogliere le persone, non solo il problema. Per separare il problema dalla persona è utile far definire il problema singolarmente alle parti, facendo emergere la sofferenza emotiva e mettendo in evidenza che la sofferenza che sentono e ciò che la produce non sono la stessa cosa. Nel fare tutto ciò è importante mantenere separate le proprie emozioni da quelle dei clienti: leggendo le proprie emozioni, individuando l’evento della propria vita personale collegato alle emozioni provate, concentrandosi sull’emozione dell’altro e rispettandone il centro emozionale, sapendo che stiamo entrando nella storia di un’altra persona.

Nel corso del processo il mediatore formula alcune domande allo scopo di chiarire la situazione, far emergere i bisogni sottesi alle posizioni e per far riflettere su comportamenti e atteggiamenti. Tra gli 38 Biagini S. (2005/2006), “Mediazione Familiare e competenze emotive del mediatore”, – rivista semestrale.

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strumenti del mediatore rientra l’attività del reframing che consiste nel riformulare le affermazioni accusatorie e che ha lo scopo di modificare gli schemi di lettura della realtà, proponendo una prospettiva più positiva, ad esempio durante una discussione accesa sui figli; il mediatore pertanto può far emergere come questa sia la dimostrazione che entrambi tengono molto ad essi, saranno perciò motivati a trovare la soluzione migliore per loro.

Nella mediazione può essere utile tracciare una mappa della famiglia, questo può essere facilitato attraverso l’uso di uno strumento, il genogramma, che ha lo scopo di rappresentare la famiglia lungo l’asse generazionale e permette di affrontare il tema delle famiglie d’origine e della continuità nelle generazioni. Questo strumento ha un forte impatto emotivo sui componenti, in quanto permette di visualizzare anche le persone che non ci sono più o che son state escluse dalla famiglia.

Il processo di riorganizzazione delle reti e dei confini familiari è un percorso complesso e impegnativo che non coinvolge solo la coppia, ma inevitabilmente anche i figli. Abbiamo visto come alcune ricerche abbiano fatto emergere le conseguenze della separazione dei genitori sui figli e abbiamo anche visto che ciò che più conta è come viene gestito il conflitto. Quando il conflitto prende il sopravvento i figli possono prendere le difese di un genitore e vivere un conflitto di lealtà, con tutta la sofferenza e le problematiche che seguono. I figli fanno parte del sistema famiglia, perciò vogliono essere informati su ciò che sta accadendo e vogliono poter esprimere la loro opinione, ma è il caso di coinvolgerli nella mediazione? Quale posto per i figli in mediazione?

“In condizioni normali gli interlocutori privilegiati di un bambino sono i suoi genitori, che prendono decisioni per lui. I genitori che si separano sono genitori normali che, semmai, non devono confondere il proprio fallimento coniugale con il venir meno delle loro prerogative genitoriali.39” La mediazione familiare, pertanto, si configura come scelta di assunzione di responsabilità verso i propri figli!

Il coinvolgimento dei bambini nella mediazione, naturalmente non può avvenire in qualunque momento e richiede una fase di preparazione in cui vengono spiegate le finalità e le necessità. Il coinvolgimento deve avvenire in una fase in cui la coppia ha già superato parte delle conflittualità, ossia in un clima di collaborazione. A seconda dell’età, la partecipazione avverrà in modo differente; per i più piccoli è vivamente consigliata la lettura di fiabe e favole, al fine di favorirne un “morbido e attento coinvolgimento”. Il percorso della mediazione offre un tempo e uno spazio per riaprire i canali di comunicazione interrotti dal conflitto e per aiutare i propri figli, e se stessi, a vivere e superare la difficile transizione della separazione, negoziando soluzioni concrete e condivise in base alle esigenze di ciascun componente della famiglia. Le decisioni prese in prima persona a tal riguardo, si riferiscono ai cambiamenti di vita vorranno che apportare con la separazione. Quindi, tra gli obiettivi della mediazione vi è quello di definire accordi, il cui raggiungimento però passa necessariamente 39 Bernardini I. (1996), op. cit., p.140.

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attraverso un cambiamento del clima relazionale e delle modalità di comunicazione e di gestione del conflitto. Il risultato della mediazione è quindi un programma di accordi che viene steso in forma scritta ed è denominato “Accordi raggiunti in Mediazione”; una volta firmato, avrà valore di una scrittura privata. L’avvocato deve sapere la natura precisa degli accordi e la logica delle decisioni prese dalla coppia. Nella fase in cui i clienti si consultano con l’avvocato, l’accordo viene rivisto e il cliente ha una seconda opinione sul lavoro fatto in mediazione. L’accordo deve essere vantaggioso per tutti, in tal modo potrà avere maggiori probabilità di essere rispettato. Nella fase in cui si riduce l’accordo ai documenti legali formali, si otterrà un documento pubblicamente riconosciuto a cui i coniugi faranno riferimento in caso di una futura lite legale40. L’obiettivo della fase di mediazione familiare riguardante la “gestione dei compiti educativi”, è proprio quello di stabilire come gestire i compiti educativi e di allevamento dei figli, nonostante la separazione. Le coppie pertanto dovranno assumere una serie di impegni concordati insieme, che vanno oltre le scelte di affidamento dei figli e gli spazi per le visite del genitore non collocatario. Ma cosa s’intende per gestione dei compiti educativi? Nient’altro che l’insieme delle decisioni che influiscono sulla crescita della prole: l’abitazione, i compiti di cura dei genitori e l’educazione dei figli, l’istruzione, la salute e le relazioni con le famiglie allargate. Il mediatore si concentra sulle esigenze dei genitori e su quelle dei figli; illustra e discute insieme alla coppia il nuovo ruolo di genitori. Con quest’ultima, condivide inoltre le proprie informazioni psico-pedagogiche sulle famiglie separate, affinché siano esse le responsabili delle decisioni che prenderanno41.

Una delle cose su cui ho il piacere di mettere l’accento, è il differente uso del linguaggio usato tra le diverse figure di professionisti: mentre nel vocabolario legale si utilizza il termine “visita”, in mediazione familiare si parla invece di “turni di cura o di responsabilità”. A tal proposito, pertanto, il mediatore chiederà alla coppia: “Come deciderete di dividere i turni di cura, in modo tale da riuscire ad essere entrambi presenti come vorreste, nella vita dei vostri figli?”42

E’ noltre doveroso ricordare che, con Legge 54 del 2006, tra le diverse novità, è stata introdotta la possibilità che il giudice rinvii l’assunzione dei provvedimenti per consentire ai coniugi di tentare una mediazione familiare, per la maggior tutela dell’interesse materiale e morale dei minori. Ciò in coerenza con la chiave di lettura del recente intervento normativo, in cui rilievo primario è attribuito al minore ed al diritto alla bigenitorialità.

Come puntualizzato dal dott. Giovanni Manera, Presidente del Tribunale per i minorenni dell'Abruzzo, nel commentare l’ordinanza del 5 aprile 2007 del Tribunale di Messina43, “la Novella

40 J. Haynes e I. Buzzi, Introduzione alla mediazione familiare – Prospettive di psicologia giuridica, cit. pp 467-469.

41 J. Haynes e I. Buzzi, Introduzione alla mediazione familiare – Prospettive di psicologia giuridica, cit. p. 287.

42 Op. cit. p.315.

43 Nell’ordinanza de qua del Tribunale di Messina si sono adottate le misure sanzionatorie ex art. 709 ter c.p.c.: “In tema di separazione dei coniugi,

l'affidamento condiviso del figlio minore non è escluso dalla pur fortissima conflittualità tra i coniugi (nella specie, è stato disposto l'affido

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ha riconosciuto al minore un vero diritto (soggettivo perfetto) alla bigenitorialità” attuando “appieno il diritto del minore ad un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, prevedendo un meccanismo che consenta loro di partecipare attivamente alla vita del figlio anche dopo la disgregazione del nucleo familiare, così abbandonando la tradizionale distinzione di ruoli tra genitore che si occupa del figlio e genitore del tempo libero. In questa prospettiva, la bigenitorialità non costituisce una legittima rivendicazione del genitore, ancorché le richieste dei padri separati abbiano pesato non poco, bensì un diritto soggettivo del minore, da collocare nell'ambito dei diritti della personalità”.

Nella prospettiva di gestire la separazione dei coniugi al fine di pervenire ad una “genitorialità cooperativa e consensuale”, viene favorito l’impiego della mediazione familiare, che “tende a ridurre la conflittualità ed a favorire la concreta applicazione dell'affido condiviso”. Nell’ordinanza de qua il Giudice di Messina ha incaricato gli uffici del servizio sociale di verificare che i coniugi intraprendessero ‘seriamente’ una terapia psicologica individuale, “provvedendo, se del caso, ad indicare alla coppia un percorso di mediazione familiare”. Il legislatore è stato quindi troppo cauto – e d’altra parte poco attento, in quanto non ha inserito esplicitamente il rinvio anche al rito divorzile44– e non ha deciso di ‘investire’ in questa utile risorsa, che potrebbe rappresentare una rivoluzione copernicana della prospettiva impiegata nella separazione giudiziale, atteso che l’adozione ‘asettica’ di provvedimenti in materia di affido dei figli non dà voce, in quanto adottata ‘unilateralmente’ dal giudice, ai coniugi, che, viceversa, nella mediazione familiare sarebbero ‘artefici’ delle scelte, i protagonisti nella ricerca, con la guida del mediatore, della soluzione più adeguata.

Giunta quasi al termine di questo mio elaborato, mi sovviene una domanda: “Ma il contenuto del provvedimento del Giudice, tutela sempre e in ogni circostanza il minore?” L'art. 155, comma II c.c., sostituito dall’art. 337 bis-ter, disciplina il contenuto del provvedimento giudiziale ed è certamente più “invasivo” e dettagliato rispetto al passato45. Il Giudice infatti dovrà: a) “determinare i tempi e le modalità della loro (dei figli) presenza presso

condiviso di un minore preadolescente, con previsione dell'esercizio disgiunto della potestà genitoriale e della domiciliazione privilegiata presso la madre, pur se quest'ultima, originaria affidataria esclusiva - allo scopo di marginalizzare la figura paterna - aveva indotto il minore ad avversare il padre, fino a determinare l’insorgere di uno stato patologico, sicché le sono state anche inflitte misure sanzionatorie ai sensi dell'art. 709 ter c.p.c).

44 “Risulta applicabile in via analogica anche al rito divorzile la norma di cui all'art. 155 sexies, comma 2, c.c., secondo la quale si riconosce al

Giudice un nuovo potere discrezionale consistente nel rimettere le parti in causa dinnanzi ad un collegio di esperti affinché in quella sede tentino una mediazione per raggiungere un accordo inteso a regolamentare il nuovo menage familiare successivo alla crisi coniugale. L’estensione dell'istituto anche al rito divorzile, può, dunque, essere postulata in forza del ricorso allo strumento dell'interpretazione adeguatrice o costituzionalmente orientata, o teleologica, o sistematica, in virtù del richiamo al principio di ragionevolezza ex art. 3 cost. Considerato che l’interesse preminente e primario alla tutela della prole, in particolare dei figli minori, possa essere realizzato attraverso la mediazione, escluderla creerebbe un vulnus agli art. 3, 30, 31 cost”: cfr. Trib. Lamezia Terme, 28.11.2007.

45 mentre nel passato il Giudice esauriva la propria funzione nello scegliere il coniugegenitore cui affidare la prole minorenne e nel fissare i

pomeriggi nonché i periodi delle ferie estive e invernali, che quest'ultima poteva trascorrere con l'altro genitore, previa quantificazione dell'assegno periodico che quest'ultimo era tenuto a corrispondere all'altro, attualmente – in pratica – è compito del Giudice organizzare la vita, quotidiana, della prole” Ancora: M. Finocchiaro, in Guida al diritto, n. 11 del 18/03/06 pag. 30.

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ciascun genitore”; b) fissare la “misura e il modo” con cui entrambi i genitori dovranno contribuire non solo dal punto di vista economico, ma anche fattuale, in concreto, con il loro apporto/presenza fisica e supporto morale al “mantenimento, alla cura all'istruzione e all'educazione dei figli”; c) prendere atto (dandone ovviamente cenno e riscontro nel suo provvedimento) degli accordi intervenuti tra i genitori; d) adottare ogni altro provvedimento inerente alla prova. Quest'ultima disposizione è certamente quella di più facile interpretazione, quand'anche di più difficile applicazione pratica per l'operatore (nonché fonte di preoccupazione e responsabilità), giacché rappresenta una norma di chiusura, volta a “tamponare” le inevitabili lacune che la legge non può colmare in relazione alla pluralità e imprevedibilità delle fattispecie concrete da regolare. Certo è che il legislatore non poteva e non può prevedere una standardizzazione delle regolamentazioni che possano attagliarsi a tutti i casi concreti. Meglio, insomma, lasciare che sia il Giudice, in presenza delle particolarità che gli si presentano, a svolgere quei correttivi impartendo quelle istruzioni che possano preservare “l'interesse morale e materiale dei figli”. Norma, quindi, volutamente generica, stante la genericità dei casi concreti che solo l'operatore giuridico sarà in grado di disciplinare. Merita, invece, un maggiore sforzo interpretativo la prima delle lettere in elenco. Ora, se è vero che “la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori”; se è vero che i figli “restino affidati a entrambi i genitori”; se è vero che le decisioni sulle questioni di straordinaria e di ordinaria amministrazione vengano di regola esercitate sempre da entrambi46, ciò significa che i figli dovranno in linea di principio “permanere” (id est: vivere) con entrambi i genitori, in modo paritario. Tale volontà viene confermata anche dai nn. 3 e 4, del comma IV dell'art. 155 cc., sostituito dall’art.377 ter del cc.

La norma dispone che il Giudice, nello stabilire, “ove necessario, la corresponsione di un assegno economico” deve considerare “i tempi di permanenza presso ciascun genitore” nonché “la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”. Se, quindi, vanno calcolati i “tempi di permanenza” e i “compiti domestici e di cura” di entrambi i genitori, va da sé che i figli con questi genitori ci debbano pure stare, permanere e convivere. Resta da stabilire in che misura! Si rende pertanto esplicita e manifesta la ratio di tutte le disposizioni sopra richiamate. Il principio generale ricavabile è che, in tema di affido condiviso, i figli debbano prioritariamente vivere e passare uguale tempo con i singoli e rispettivi genitori, e solo laddove ciò sia materialmente impossibile, ecco entrare in campo la norma sussidiaria e di chiusura di cui all'ex art. 155, modificato dall’art 337 ter c.c., con l'adozione da parte del Giudice di “ogni altro provvedimento relativo alla prole” che disciplini altrimenti questa delicata materia Alla luce di quanto sopra, risulta più agevole esplicitare quale debba essere il contenuto delle disposizioni giudiziali che devono regolamentare il singolo caso di specie. Nella loro redazione si dovranno disciplinare paritariamente i tempi di permanenza della prole con ciascuno dei due genitori, con un calcolo temporale settimanale, feriale e festivo, egualitario per entrambe le parti

46 Salvo diversa decisione del Giudice, evidentemente in caso di impossibilità pratica dell'applicazione dell'esercizio congiunto delle decisioni sulle sole questioni di ordinaria amministrazione: art. 155, II c., ult. periodo

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coinvolte. Andranno regolamentati la “misura e il modo” con cui entrambi i genitori dovranno contribuire al “mantenimento, alla cura all'istruzione e all'educazione dei figli” e, infine, disciplinare l'aspetto relativo alle decisioni circa “la cura, l'istruzione ed educazione dei figli”, sia per l'ordinaria, sia per la straordinaria amministrazione. Tutto ciò, si ripete, laddove possibile, in modo perfettamente paritario, come voluto dallo spirito della legge, e nella più totale assenza di ogni volontà prevaricatrice. E sarà proprio questa ispirazione paritaria, egualitaria, che meglio servirà ad eliminare in radice, per il futuro, le ipotesi di ulteriore conflitto tra le parti che, invece, diversamente, saranno altamente probabili, a discapito ancora una volta degli interessati più deboli: i minori. Una diversa disciplina dei tempi di permanenza finirebbe per fare dei figli un interminabile oggetto del contendere, con una continua rivendicazione del diritto, vissuto come negato, di una maggiore loro presenza nella vita di entrambi. Senza contare la impossibilità di realizzare concordemente degli “scambi” di turno, in caso di necessità e comunque con la certezza di un riverbero negativo della incrementata conflittualità dei genitori sui figli. E se quindi uno dei due genitori dovesse, per qualsiasi ragione (in genere per ripicca, dispetto, rabbia, conflittualità) opporsi agli “scambi di turno”, cosa potrebbe accadere? La risposta vien da sé: il genitore non collocatario (in genere), naturalmente “salta il turno”, e ciò, in ogni caso, a discapito della prole che invano attenderà la visita del genitore! La modifica dei provvedimenti relativi alla separazione può essere richiesta nel caso in cui sopraggiungano nuove circostanze di fatto o di diritto rispetto a quelli esistenti al momento della sentenza, ovvero nel caso in cui sussistano delle circostanze già esistenti ma che non sono state considerate dal giudice in sede di emanazione della sentenza. Pertanto: il ricorso davanti al giudice, ex art 710 cpc, per modificare i provvedimenti riguardanti la prole (nella fattispecie le condizioni relative ai turni di cura) nella circostanza per cui si presenti la reale necessità, come nei casi in cui il genitore non collocatario sia improvvisamente impossibilitato per motivi lavorativi, di salute o trasferimento in altra città, a rispettare le disposizioni del giudice contenute in sentenza, è iter lungo e complesso. Mi domando spesso (trovo purtroppo scarse risposte): ”Ma finché non perviene la pronuncia da parte del magistrato in prima udienza, riguardante le disposizioni transitorie, il genitore non collocatario come dovrà comportarsi per poter proseguire i suoi incontri con la prole, laddove l’ex coniuge non agevoli un scambio di turnazione e col quale inoltre ha un’elevata conflittualità?

A tal proposito può rivelarsi il rifiuto del figlio di frequentare il genitore “inadempiente”, espresso in modo esplicito e nella più assoluta serenità. È ovvio che la volontà del minore non deve essere il risultato di veri e propri condizionamenti attuati più o meno consapevolmente dall’altro genitore; oppure non deve costituire manifestazione della PAS (Parental Alienation Syndrome) ossia la Sindrome di Alienazione Parentale, consistente in quel “disturbo che insorge essenzialmente nel contesto di controversie per l’affidamento dei figli”.Trattasi appunto di un disturbo psicoaffettivo di personalità, causato dall’elevata conflittualità genitoriale. La sua principale manifestazione è la campagna di denigrazione da parte del bambino nei confronti di un genitore, una campagna che non ha giustificazione. Essa deriva dall’associarsi dell’indottrinamento da parte di uno dei genitori che programma e il contributo personale del figlio alla denigrazione del genitore che costituisce

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l’obiettivo di questa denigrazione. Trattasi di una sorta di “lavaggio del cervello” realizzato da un genitore “alienante” contro l’altro, “alienato” e tendente a svilire il rapporto con il figlio, favorendo nel minore lo sviluppo di disprezzo e astio nei confronti dell’altro genitore. Tale Sindrome è stata così definita dallo psicologo forense Richard Gardner47, che nel 1985 per primo ha individuato questa sindrome analizzando e monitorando il comportamento dei figli di genitori separati. Essa può essere definita come il comportamento di uno o più figli che nel contesto del conflitto intergenitoriale diventa ipercritico e denigratore nei confronti di uno dei genitori, perché l'altro lo ha influenzato in questo senso, indottrinandolo adeguatamente. Ma Gardner, divergendo parzialmente da tale prima definizione, ritiene che la Sindrome di Alienazione Genitoriale (PAS), sia effettivamente un disturbo che insorge quasi esclusivamente nel contesto delle controversie per la custodia dei figli, in cui un genitore (solitamente indicato come “alienatore”, o “genitore alienante”), attiva un programma di denigrazione contro l’altro genitore (generalmente indicato come “genitore alienato” o “genitore bersaglio”). Tuttavia, Gardner ritiene che la PAS non consista in una semplice questione di “lavaggio del cervello” o “programmazione”, poiché il bambino fornisce il suo personale contributo alla campagna di denigrazione. E’proprio questa combinazione di fattori, secondo Gardner, che legittima una diagnosi di PAS. Ovvero, essa deriva dall’associazione tra l’indottrinamento da parte di uno dei genitori che programma (che fa il lavaggio del cervello) e il contributo personale del minore alla denigrazione dell’altro genitore. Occorre tuttavia rilevare la natura indispensabile del ‘contributo’ reso dal bambino all’alienazione dal genitore: “tale disturbo accoglierebbe in sé sia la programmazione del minore da parte di un genitore contro l’altro genitore ex coniuge, ma anche i contributi attivi dello stesso bambino a sostegno del genitore alienante. Secondo Gardner (1998) quindi, la PAS non può essere solo sinonimo di lavaggio del cervello (programmazione) in quanto l’elemento chiave appare il personale contributo del bambino alla vittimizzazione del genitore ‘bersaglio48’.

Gardner individua otto sintomi primari di PAS: la campagna denigratoria, la razionalizzazione debole, la mancanza di ambivalenza, il fenomeno del pensatore indipendente, l’appoggio automatico al genitore alienante, l’assenza di senso di colpa, gli scenari presi a prestito, l’estensione dell’ostilità alla famiglia allargata ed agli amici del genitore alienato49. A questi otto sintomi sono aggiunti da un’altra studiosa, Colliva50, altri quattro criteri: difficoltà di 47 R. A. GARDNER, Family evaluation in child custody mediation, arbitration, and litigation, Cresskill, New Jersey, 1989; ID, The parental alienation syndrome, a guide for mental health and legal professionals, Cresskill, New Jersey, 1998; ID, Should Courts Order PAS Children to Visit/Reside with the Alienated Parent? A Follow-up Study, The American Journal of Forensic Psychology, 2001, consultabile in originale su internet all’indirizzo http://www.fact.on.ca/Info/pas/gard01a.html ed in traduzione italiana sul sito http://lnx.papaseparati.org/psitalia/images/stories/File/pdf/studioPAS.pdf; ID – S.R. SAUBER – DEMOSTHENES LORANDOS, The international handbook of parental alienation syndrome: conceptual, clinical and legal considerations, Charles C. Thomas Publisher, Springfield, 2006.

48 G. GIORDANO – R. PATROCCHI – G. DIMITRI, La sindrome, cit.

49 Nello stesso senso G. GIORDANO – R. PATROCCHI – G. DIMITRI, La sindrome, cit.

50 COLLIVA L., Gli aspetti patologici nella separazione conflittuale, Aigitalia, Roma, 2005

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transizione nei periodi di visita presso il genitore non affidatario; il comportamento del minore durante il periodo di permanenza presso il genitore non affidatario; il legame del minore con il genitore alienante; il legame del minore con il genitore alienato, riferito al periodo precedente il processo di alienazione e, quindi, prima della fase di separazione giudiziale51. L’alienazione genitoriale può inoltre manifestarsi in tre diversi gradi (lieve, moderato, grave) in un continuum delineato da confini particolarmente labili. Colliva distingue tra queste tre modalità affermando che nella prima, la più ‘superficiale’, può ancora permanere una relazione affettuosa tra il bambino ed il genitore alienato, relazione minata dai costanti interventi denigratori del soggetto alienante; nella seconda, di gravità media, si osservano tutti gli otto sintomi, ma con un’intensità meno forte ogni qualvolta il bambino sia distante dalla forza motrice dell’alienazione, appunto dal genitore alienante; nella terza c’è piena condivisione da parte del bambino del sentimento di alienazione, che diventa esso stesso fonte ‘autonoma’ di carica aggressiva nei confronti del genitore alienato52.

Le motivazioni dei genitori programmanti nascono dal loro bisogno di vendicarsi dell’altro, o dal profondo rifiuto che sentono nei confronti dell’altro genitore, peggiore se a causa di un tradimento o una profonda umiliazione personale. È presente un forte auto-convincimento delle proprie ragioni cui si affianca un meccanismo simile a quello del nemico, che porta a innalzare la propria autostima grazie alla lotta per la dimostrazione di essere moralmente migliori dell’altro, e quindi educativamente migliori. A ciò si aggiunge sovente una forte gelosia nei confronti dell’eventuale nuovo partner dell’altro, il quale è spesso identificato come un rimpiazzo di sé. In questa tempesta emotiva sovente i genitori programmanti finiscono col perdere di vista i sentimenti personali dei figli e col proiettare su di essi i propri sentimenti per assicurarsene il sostegno.

C’è stata una svolta epocale della Corte di Cassazione, in tema di Alienazione genitoriale, con la sentenza della prima sezione civile n. 6919 dell’8 aprile 2016. Con la sentenza n. 6919 /2016 la Cassazione statuisce che non compete alla Corte dare giudizi sulla validità o invalidità delle teorie scientifiche sulla PAS ( Sindrome di alienazione parentale ), ma spetta ai giudici invece capire e adeguatamente motivare sulle ragioni dell’ostinato rifiuto del padre da parte della figlia, utilizzando i comuni mezzi di prova tipici e specifici della materia – incluso l’ascolto del minore – e anche le

51 Nello stesso senso G. GIORDANO – R. PATROCCHI – G. DIMITRI, La sindrome, cit.; G. FAVA VIZIELLO, Paternità in cerca d’autore, cit., pp. 132 e 133.

52 “Nella PAS di grado grave i bambini condividono le fantasie paranoiche del genitore alienante nei confronti del genitore bersaglio. Inoltre tutte e otto le manifestazioni primarie della PAS sono presenti ad un livello più significativo rispetto al grado moderato. Infatti nell’incontrare il genitore bersaglio il bambino prova terrore: urla da far raggelare il sangue, è in balia del panico e le sue esplosioni di rabbia possono essere così violente da rendere impossibile l’incontro. Gardner ha rilevato che in questi casi gravi il mantenimento di questa relazione esclusiva con il genitore alienante può essere considerato un potentissimo e diretto fattore di rischio per la salute mentale del minore, in particolare per l’insorgenza di una psicopatologia permanente di stampo paranoideo. In questi casi gravi i genitori alienanti attuano dei comportamenti “tipici” ed alcuni dei quali sono: Dichiarazioni false sul comportamento dell’altro genitore o sulla sua storia passata; Inclusione del minore come vittima del comportamento giudicato pericoloso o estremamente scorretto dell’altro: “tuo padre non ci ama più” ovvero “tuo padre ci ha abbandonato per sempre”; Manifesto ipercriticismo verso l’altro, anche su cose di poca importanza; Al minore viene chiesto di mantenere assoluto segreto sulla sua quotidianità di fronte all’altro genitore: “ non dire a tuo padre dove sei stato, con chi sei stato, chi hai visto…..”; Minacce rivolte al minore di ‘rottura’ o ‘cancellazione’ del legame affettivo; Totale assenza di cortesia, benevolenza verso l’altro genitore (Giorgi, 2001)”: cfr. L. COLLIVA, Gli aspetti patologici nella separazione conflittuale, cit..

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presunzioni , qualora un genitore denunci comportamenti ostativi dell’altro genitore affidatario o collocatario , che provocano l’allontanamento morale e materiale della prole da sé, condotte indicate come significative della presenza di una PAS . In una situazione così insopportabile e grave per un genitore rifiutato costantemente dalla propria figlia e che vedeva violato sia il suo diritto ad essere padre ex art. 29 della Costituzione che, soprattutto, il diritto alla bigenitorialità della minore, non rimaneva altro da fare che proporre ricorso per Cassazione, con cui si denunciava, in primis, la violazione e falsa applicazione dell’art. 155 c.c. – sostituito dopo la riforma con l’art. 337 ter c.c. – la inosservanza pertanto di quel fondamentale ed imprescindibile principio della bigenitorialità , cioè del diritto della figlia di poter crescere avendo accanto costantemente ed in maniera significativa entrambe le figure genitoriali , che si prendano cura di lei, la assistano, la mantengano e la educhino. Inoltre veniva contestato l’omesso esame di fatti decisivi , cioè del non aver preso il giudicante in seria ed adeguata considerazione la condotta della madre, che aveva impedito in tutti i modi il rapporto della figlia con il padre e che, altresì, mai era intervenuta in maniera adeguata quando la minore esternava atteggiamenti ostili nei confronti della figura paterna e, altresì, di non aveva ritenuto la convivenza della figlia con la madre quale insanabile impedimento al suo riavvicinarsi alla figura paterna. Tale gravissima situazione pertanto andava a ledere il diritto alla vita familiare tutelato dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, perché in una situazione così delicata l’ omesso l’espletamento di accertamenti specifici volti ad individuare l’esistenza di una PAS era sintomatico nel giudice di merito di una ingiustificata ed aprioristica posizione negazionista dell’alienazione genitoriale, che aveva l’ effetto preclusivo di tutelare in primis il diritto alla bigenitorialità della minore ed il diritto-dovere del padre in quanto tale. Denunciava lo stesso che in conseguenza di ciò la Corte di merito non aveva effettuato quelle opportune e doverose indagini sulle cause del rifiuto manifestato dalla figlia nei suoi confronti , attribuito , senza alcun fondamento e in mancanza anche di una prova indiziaria, ad ipotetici “comportamenti inadeguati ” tenuti dal padre nei confronti della figlia e, pertanto, non aveva adottato le idonee misure finalizzate a ristabilire i contatti della stessa con la figura genitoriale paterna, disponendo sic et simpliciter l’interruzione dei rapporti con il padre adducendo che la minore era ” a rischio evolutivo”. È essenziale infatti secondo la Suprema Corte tenere conto che tra i requisiti di idoneità genitoriale ricopre una grande importanza la capacità di garantire la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore , onde tutelare in maniera effettiva e concreta il diritto del minore alla bigenitorialità e ad una sana crescita equilibrata ; infatti è fondamentale per la prole poter intrattenere rapporti costanti e significativi con entrambe le figure genitoriali , che sono importanti per un sereno e idoneo sviluppo della personalità in itinere.

È una sentenza molto importante, perché evidenzia come finalità fondamentale delle pronunce sull’affidamento della prole è preservare il diritto alla bigenitorialità, inteso come esigenza primaria e fondamentale del minore di ricevere affetto, cura, attenzione, educazione e istruzione da entrambi i genitori, che, anche in situazioni altamente conflittuali, devono deporre le armi di belligeranza e attenzionare gli interessi primari dei loro figli, avendo costantemente la consapevolezza che genitori responsabili si dovrà essere per tutta la vita e, soprattutto , negli anni nei quali i figli , essendo

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minori, ancora di più avranno bisogno di rapporti affettivo-relazionali equilibrati e sereni con i loro genitori per una loro sana e armoniosa crescita psicofisica53 .

A fronte delle difficoltà, della tempistica, delle conseguenze psico-emotive per le parti e dei costi elevati di un giudizio, a cui spesso si ricorre nelle ipotesi sopra menzionate, ritengo realmente utile, necessaria e alquanto rapida e risolutiva la mediazione familiare. Nel caso infatti gli ex coniugi vogliano o debbano ‘rivedere’ le condizioni stabilite nel Verbale degli Accordi di separazione, in merito ai turni di cura dei figli, possono riaprire la procedura di mediazione familiare e partecipare a qualche seduta al fine, appunto, di concordare le nuove disponibilità e gli aspetti logistici con l’aiuto del mediatore.

53 www.ami-avocati.it

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CONCLUSIONI

“Dai figli non si divorzia”: non si tratta soltanto del titolo di un interessante libro di Anna Oliviero Ferraris, in materia di mediazione familiare, ma anche di un aforisma particolarmente significativo nella sua lapidarietà.

È una verità scontata quella dell’‘impossibilità’ di ‘divorziare’ legalmente dai propri figli, proprio perché la genitorialità è costituita da quell’inscindibile connubio di amore viscerale e dovere naturale ed ineluttabile verso quell’essere che è il frutto fisico e spirituale della propria persona.

La mediazione familiare costituisce un importante strumento per aiutare la coppia in crisi a gestire la conflittualità della separazione attraverso la partecipazione dei partner stessi in prima persona nel raggiungimento degli accordi economici e la riorganizzazione del nucleo familiare, secondo l’interesse primario dei figli. Proprio quest’ultimo saliente aspetto del percorso di mediazione meriterebbe maggiore ‘sponsorizzazione’, atteso che il provvedimento presidenziale di definizione delle misure circa l’affido dei figli – pur fondato sulle informazioni assunte dai coniugi e sulla CTU, laddove disposta, ed ispirato alla tutela dell’interesse primario della prole – è adottato unilateralmente, senza la ‘partecipazione’ della volontà dei genitori. Anche la legge pertanto si è allineata ed ha distinto questi diversi aspetti, riconoscendo “l’interesse morale e materiale del bambino” e dividendo i ruoli educativi in famiglia. Il bambino non è più una proprietà del genitore, qualcuno da sfamare e vestire in attesa che possa contribuire al sostentamento della famiglia, ma diventa un bene affettivo, cioè il soggetto centrale all’interno delle dinamiche familiari, che ha dei bisogni specifici, che va tutelato nel suo sviluppo emotivo e messo al centro in caso di separazione dei genitori. L’atteggiamento dei genitori che si separano nei confronti dei figli è fortemente condizionato dai personali sentimenti di colpa e inadeguatezza, e spesso attivano dei comportamenti che riflettono il loro malessere. A volte i genitori “trascurano” i figli, in quanto rapiti da forti sensi di colpa. Molti genitori affidatari discutono della separazione con amici e parenti alla presenza dei figli piccoli. Il genitore che non vive con i figli sovente perde i contatti con i propri figli, in quanto il loro senso di colpa per aver spezzato l’unione familiare li allontana e non collaborano più con il genitore affidatario. Questa distanza produce un’inevitabile alleanza tra i figli e il genitore che resta accanto. In un quadro così compromesso, che all’interno delle dispute giudiziarie si può prolungare anche per molti anni, l’astio e il desiderio di rivalsa dei genitori contribuisce a rendere fertile il terreno per l’insorgere della Sindrome da Alienazione Parentale. Sembra non essere presente alcuna differenza di genere tra l’essere genitore alienante o alienato, quindi il genitore alienante può essere indistintamente il padre o la madre; fondamentale è piuttosto la variabile genitore affidatario o non affidatario, per cui il genitore alienante è sempre quello affidatario. La Sindrome di Alienazione Parentale è considerata quindi come un disturbo che emerge quasi esclusivamente nel contesto delle controversie per la custodia dei figli: un genitore “alienatore” pone in essere un vero e proprio programma di denigrazione contro l’altro genitore

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“alienato” fino ad allontanarlo totalmente, ad alienarlo appunto, dalla vita del figlio. Perché possa parlarsi di vera Sindrome di Alienazione Parentale è però necessario sussistano alcune precise condizioni. In primo luogo, il genitore alienato deve essere “innocente”, cioè non deve sussistere la presenza di reali abusi o di un effettivo atteggiamento di trascuratezza e disinteresse. In secondo luogo, occorre che il bambino rivesta un ruolo attivo nel processo di alienazione: il bambino fornisce un suo personale contributo alla campagna di denigrazione. Viceversa, la mediazione familiare rende i partner stessi protagonisti della ricerca delle soluzioni più adeguate alle esigenze della famiglia e potranno valorizzare le proprie funzioni genitoriali. Attraverso la mediazione familiare, le relazioni familiari saranno trasformate e non spezzate: sarà possibile guardare al futuro con una prospettiva più positiva e ricca di speranza.

In conclusione, osservando il panorama europeo, ancora una volta il cittadino italiano non può che riscontrare con rammarico l’ignavia del legislatore, che non ha ancora provveduto a regolamentare compiutamente la figura del mediatore familiare. Sono fiduciosa in un futuro più roseo, poiché c’è già chi sta lavorando per favorire la creazione della ‘cultura’ della mediazione familiare, attraverso la promozione di questo importante servizio, aiutando le coppie in difficoltà senza imporre sentenze o valutazioni, diagnosi o pareri, ma semplicemente fornendo la propria preparazione nella guida verso l’‘Obiettivo’: nuove regole per una nuova vita, altrettanto felice di quella precedente.

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