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147 Strutture musicali del cielo del Sole: Dante e Beatrice al centro della danza dei beati CHIARA CAPPUCCIO Universidad Complutense de Madrid RESUMEN: El artículo se centra en el análisis de las referencias a la música que caracterizan el cielo del Sole, y en particular en el estudio de la terminología musical de los dos símiles presentes en el canto X del Paradiso (Par. X). Se trata de versos muy estudiados tanto por la crítica filológica cuanto por la musicológica, de los que aquí se propone un análisis del léxico musical presente en ellos en una perspectiva orgánica con respecto a los otros símiles musicales contenidos en este cielo del Paradiso. Tendencialmente, la crítica musicológica ha tratado de separar las referencias musicales contenidas en estos dos símiles de aquellas otras que aparecen en los cantos siguientes al décimo y que, en su conjunto, forman la narración del cuarto canto del Paradiso. En este artículo se pretende demostrar que todas las referencias a la música que se encuentran en este lugar del texto dantiano están relacionadas entre sí y que una lectura orgánica de ellas puede llevar a interpretaciones musicológicamente distintas de las tradicionales sobre el uso y la función de la terminología relacionada con la polifonía en la tercera cantica. Palabras clave: Paradiso, similitud, polifonía, liturgia, musica mensurabilis, monodia.

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Strutture musicali del cielo del Sole: Dante e Beatrice al centro della danza dei beati

CHIARA CAPPUCCIO

Universidad Complutense de Madrid

RESUMEN:

El artículo se centra en el análisis de las referencias a la música que caracterizan el cielo del Sole, y en particular en el estudio de la terminología musical de los dos símiles presentes en el canto X del Paradiso (Par. X). Se trata de versos muy estudiados tanto por la crítica filológica cuanto por la musicológica, de los que aquí se propone un análisis del léxico musical presente en ellos en una perspectiva orgánica con respecto a los otros símiles musicales contenidos en este cielo del Paradiso. Tendencialmente, la crítica musicológica ha tratado de separar las referencias musicales contenidas en estos dos símiles de aquellas otras que aparecen en los cantos siguientes al décimo y que, en su conjunto, forman la narración del cuarto canto del Paradiso. En este artículo se pretende demostrar que todas las referencias a la música que se encuentran en este lugar del texto dantiano están relacionadas entre sí y que una lectura orgánica de ellas puede llevar a interpretaciones musicológicamente distintas de las tradicionales sobre el uso y la función de la terminología relacionada con la polifonía en la tercera cantica.

Palabras clave: Paradiso, similitud, polifonía, liturgia, musica mensurabilis, monodia.

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ABSTRACT:

The article focuses in the analysis of the music references that characterize il cielo del Sole and, in particular, in the study of the music terminology of two similes present in the chant X of the Paradiso (Par. X). These verses have been thoroughly studied by both the philological and the musicological critic. In the present manuscript we propose an analysis of the music lexicon present in both with an organic perspective with regards to other music similes from in this sky of the Paradiso. Traditionally, musicological critic has tried to separate the musical references of the two similes from the ones contained in the chants following the tenth and which overall form the narrative of the fourth sky of the Paradiso. In this article we want to demonstrate that all references to music located in this section are interrelated and that an organic reading might lead to different and new musicological interpretations on the use and function of the terminology regarding polyphony in the third cantica.

Key Words: Paradiso, simile, polyphony, liturgy, musica mensurabilis, monody.

Il cielo degli spiriti sapienti costituisce uno dei luoghi paradisiaci

caratterizzati dalla profonda articolazione cui il trattamento dell’ elemento musicale perviene al suo interno. Come già sottolineato da alcuni studiosi impegnati nell’interpretazione dei riferimenti musicali presenti nel poema, il cielo del Sole si configura come uno spazio interno al testo dantesco particolarmente ricco di immagini musicali, le più famose delle quali sono contenute nel X canto. La trama musicale che ritma la presentazione da parte di san Tommaso dei personaggi presenti nella prima delle corone danzanti intorno a Dante e Beatrice ha ricevuto una prevedibile attenzione da parte della critica specialistica di tipo musicologico, spesso però, unicamente rivolta alla messa in evidenza dell’uso colto, preziosistico, in ultima analisi ornamentale, delle articolate immagini musicali presenti al suo interno1. L’intero episodio ambientato nel quarto cielo del Paradiso richiede, invece, un’analisi di tipo organico di tutti i riferimenti musicali in esso contenuti, senza isolare al suo interno quelli, sicuramente più famosi, del X canto. Inoltre, merita

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un’attenzione privilegiata la complessa varietà cui perviene l’uso di tali riferimenti in funzione costitutiva e connotativa del discorso poetico.

I canti immediatamente successivi a quello in cui Dante e Beatrice diventano il centro di una danza a cerchio, accompagnata da un’intonazione vocale messa in atto dai beati, continuano il percorso di definizione del motivo coreutico-musicale ivi inaugurato e lo arricchiscono mediante l’inserimento di sempre nuovi dettagli2. Gli elementi musicali che l’autore organizza fino alle soglie del cielo di Marte non posseggono un carattere unicamente decorativo rispetto alla narrazione, ma contribuiscono in modo essenziale alla com-prensione dell’intero episodio musicale caratterizzato, invece, da una ricercata coerenza strutturale in funzione organica rispetto alla narrazione poetica.

Il fenomeno appena descritto credo costituisca la peculiarità di maggior rilievo dal punto di vista dell’analisi e dell’interpretazione musicale del gruppo di canti che narrano il viaggio di Dante e Beatrice nel quarto cielo paradisiaco, dal momento che un intervento melodico non si esaurisce nell’arco narrativo di un singolo capitulum, come suole accadere all’interno dello sviluppo della tematica musicale della Commedia, ma sviluppa lo stesso materiale melodico in modo unitario durante l’intero soggiorno del prota-gonista e della sua guida nel cielo in questione. Sarà solo al termine dell’esplorazione del regno dei sapienti che la sostanza melodica dell’intero episodio acquisterà non solo una sua definizione, ma anche il suo carattere di coerente organicità musicale e liturgica. Dante costruisce l’episodio musicale parallelamente a quello narrativo mediante il dispiegamento di una calibrata strategia compositiva organizzata e scandita intorno alla presenza di precisi riferimenti lessicali di tipo tecnico.

L’uso di una terminologia specialistica in senso musicologico da parte dell’autore concorre alla creazione di un orizzonte di attesa di tipo musicale che si risolverà solo al momento dell’agnizione melodica finale. Si tratta di un caso esemplare nell’organizzazione della trama sonora della Commedia e non solo per la mancata circoscrizione dell’intervento vocale delle anime all’interno dell’

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unità narrativa del canto, cosa che avviene altre volte anche se non in modo così esteso e sviluppato, come nell’allestimento dell’intreccio melodico di determinati episodi purgatoriali. Oltre probabilmente a trattarsi di un’unica intonazione che risuona dall’inizio alla fine dell’intero episodio, per la prima volta l’autore sembra provocare coscientemente l’attenzione auditiva del pubblico mediante l’uso mirato di una serie di citazioni tratte dal linguaggio tecnico-musicale che prenderanno una forma compiuta e melodicamente esplicita solo alla fine di un percorso narrativo che occupa quasi cinque canti. Tutti i riferimenti al lessico musicale di questo gruppo di canti sono leggibili come organizzati in funzione della rappresentazione di un unico intervento melodico e diventano interpretabili da un pubblico di entendedors “musicali” durante il loro progressivo dispiegamento all’interno della costruzione drammatica dell’intero episodio.

La critica specialistica ha tradizionalmente privilegiato lo studio del X canto isolandolo dalla narrazione melodica che attraversa l’intero episodio ed evidenziandone in special modo l’uso di un lessico musicale, ricercato ed aggiornato, dispiegato all’interno di due ampie e importanti similitudini musicali presenti una a metà del canto e una alla fine3. La prima descrive le modalità del movimento rotatorio perfettamente armonico delle anime degli spiriti sapienti intorno a Dante e Beatrice, la seconda, una delle più celebri della cantica, instaura un lungo paragone tra questo movimento e quello che regola il meccanismo dell’orologio. In entrambe le figure retoriche la musica è presente come elemento fondamentale. Il fulcro narrativo del canto, costituito dalla presentazione di san Tommaso delle anime che formano la prima corona di spiriti sapienti, si distende all’interno di due interventi musicali rappresentati da due similitudini. Nella prima si descrive l’interruzione del moto e del canto delle anime per permettere il discorso di san Tommaso e nella seconda tale discorso viene concluso dalla ripresa della musica e della danza.

Si tratta di due immagini musicali a pieno titolo rappresentative delle peculiari qualità che distinguono la descrizione dell’elemento musicale nella terza cantica: costantemente e sinesteticamente legata alla raffigurazione della luminosità tipica del paradiso, programma-

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ticamente congiunta al moto armonico delle anime, usata con frequenza in funzione di rappresentazione retorica e, infine, spesso arricchita dal ricorso all’avanguardistico lessico della polifonia misurata. Quest’ultimo costituisce l’elemento forse più vistoso del trattamento del materiale descrittivo di tipo melodico del Paradiso; si tratta, infatti, di un parametro completamente assente dalla maestosa rappresentazione liturgico-musicale della cantica di mezzo. Gli unici due accenni al lessico polifonico presenti nel Purgatorio non riguardano la descrizione del fatto musicale lì rappresentato, ma sono usati all’interno di figure comparative per significare un tipo di percezione sperimentato dal protagonista4. Purgatorio e Paradiso rappresentano, infatti, due mondi musicali legati a culture scienti-fiche linguisticamente antitetiche: quella dell’ortodossia monodico-liturgica e quella della sperimentazione polifonica. Cantus planus e musica mensurabilis costituiscono l’opposizione ideologica su cui si fonda la costruzione musicale delle due cantiche. Inoltre, nel Purgatorio la musica ha sempre una funzione realistica all’interno della narrazione mentre nel Paradiso essa assume spesso connotati evocativi e retorici ed entra nella costruzione della grande rap-presentazione allegorica dell’armonia celeste. Al contrario di ciò che avviene nel regno dei beati, le intonazione salmodiche e innodiche che il protagonista ascolta durante l’ascesa della montagna pur-gatoriale sono sempre da lui riconoscibili e classificabili all’ interno del repertorio sacro e appaiono descritte mediante l’uso di riferimenti tecnici precisi che traducono perfettamente la sostanza melodica dell’esecuzione liturgica. La musica del Purgatorio, inoltre, in quanto espressione liturgica realisticamente descritta, è sempre legata alla parola mentre quella paradisiaca è legata alla raffigurazione della luce e del moto delle anime e acquista una sempre maggiore indipendenza rispetto alla rappresentazione della fedele riproduzione melodica del testo sacro.

Queste, in grande sintesi, le differenze tra la musicalità del secondo regno oltremondano e quella dell’ultimo. Nella terza cantica, come già pienamente evidente nel canto X, si inaugura un processo di astrazione nella descrizione musicale che da raffi-gurazione concreta si trasforma in un altro dei parametri retorico-espressivi funzionali alla narrazione del viaggio oltremondano5.

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Un altro elemento di distinzione rispetto all’uso del lessico musicale della seconda cantica riguarda il ricorso alla terminologia della danza, assente invece dal Purgatorio ma non dall’Inferno6. Non più ridde e tresche, termini tutti molto bassi atti a descrivere la deformità dell’elemento umano e la degradazione delle espressioni fisiche e motorie tipiche dell’Inferno, ma sempre danze a cerchio, carole e rote organicamente rappresentate come figure del raggiunto e perfetto equilibrio. Così come la corona di spiriti raccolta intorno a Tommaso ricorda specularmente quella degli spiriti magni riunita nel Limbo intorno ad Aristotele, così ritorna l’uso rovesciato, in senso positivo, della danza, a marcare il carattere di contrasto tra le cantiche collocate alle estremità del poema.

Le due celebri similitudini musicali sono poste a metà e a fine canto, come appena accennato, e inquadrano il discorso di Tommaso. La prima descrive una danza a cerchio intorno a Dante e Beatrice, mentre la seconda raffigura due cori che ripetono una melodia la cui essenza liturgica risulterà forse meno oscura al lettore solo alla fine dell’intero episodio ambientato nel cielo del Sole. In questo luogo del Paradiso, infatti, tutti gli interventi verbali, cinque, si svolgono all’interno di una cornice musicale formata da sei descrizioni melodiche intrinsecamente relazionate l’una con l’altra.

La seconda immagine musicale instaura il famoso paragone tra il movimento delle anime e quello dell’orologio. Dante, in questo caso, si serve di un meccanismo che determina con precisione la fissità della durata del tempo proprio quando usa il linguaggio della musica mensurabilis, della polifonia, che inventa il concetto di fissità e precisione nell’individuazione della durata relativa dei suoni7.

Seguiamo la costruzione della prima immagine. Io vidi più folgór vivi e vincenti far di noi centro e di sé far corona, più dolci in voce che in vista lucenti (Par. X, 64-66)

Gli spiriti, più luminosi dello stesso pianeta la cui presenza caratterizza il cielo in questione, si muovono facendo cerchio intorno a Dante e Beatrice e accompagnano il moto circolare con un canto la

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cui dolcezza è talmente forte da superare in intensità la loro lucentezza.

Ne la corte del cielo, ond’ io rivegno, si trovan molte gioie care e belle tanto che non si posson trar del regno;

e ‘l canto di quei lumi era di quelle; (Par. X, 70-73)

Tale canto appartiene alle esperienze paradisiache intraducibili in termini terreni; il lettore resta all’oscuro della sostanza melodica che informa il canto degli spiriti sapienti.

Poi, sì cantando, quelli ardenti soli si fuor girati intorno a noi tre volte, come stelle vicine a’ fermi poli,

donne mi parver, non da ballo sciolte, ma che s’arrestin tacite, ascoltando fin che le nove note hanno ricolte. (Par. X, 76-81)

Le anime si muovono in modo circolare intorno a Dante e Beatrice, ripetendo il moto per tre volte per poi fermarsi in un atteggiamento ancora da ballo, come in una pausa tra l’esecuzione di una strofa e la successiva, attendendo la ripresa della musica su cui riprendere la danza8.

Tutta l’immagine è costruita sul movimento circolare delle anime e sulla sua triplice reiterazione. L’ultima terzina, però, instaura un inatteso paragone tra il movimento degli spiriti sapienti e quello delle donne nell’atto di sospendere il movimento del ballo. La possibilità di considerare tale riferimento come segno della presenza di un’indicazione ulteriore circa la probabile, ed ancora misteriosa, natura melodica dell’esecuzione, costituisce il primo dei problemi ermeneutici di tipo musicologico offerti dall’episodio e affrontati dalla critica specialistica. Si tratta del primo indizio musicale fornito dall’autore per l’identificazione della natura melodica dell’ esecuzione che accompagna l’episodio verbale-coreutico?

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La corona di anime ha, infatti, sospeso momentaneamente il ballo per permettere a san Tommaso di presentare le illustri figure che costituiscono la ghirlanda danzante dei sapienti. La ripresa del ballo sarà descritta, alla fine del canto, dalla seconda immagine musicale.

È stato già notato come la descrizione sembri molto simile all’esecuzione musicale e danzata di una ballata in cui i partecipanti appaiono al protagonista come delle donne durante l’esecuzione del genere in questione9. Che cosa cantano, quindi, i beati? Molto probabilmente una melodia strutturata secondo i dettami della musica misurata, come lo erano abitualmente, sottolinea Bacciagaluppi, le melodie di danza. Gli elementi che spingono verso un’ interpretazione polifonica dell’esecuzione riguardano il riferimento a una melodia di danza e la mancata comprensione del messaggio musicale da parte del protagonista, che non sa descriverne le caratteristiche e invoca in soccorso il motivo dell’ineffabile.

Dante dichiara l’impossibilità di tradurre in parole ciò che ascolta forse perché la sua capacità di comprensione è stata messa a dura prova da un’esecuzione polifonica? Egli non solo non è in grado di definire il canto ma anche solo di riconoscerlo ed, infatti, non specifica di che melodia si tratti. Solo all’interno della comparazione l’autore potrebbe, secondo Bacciagaluppi, riferirsi a una probabile melodia di danza. Utilizzando il paragone con cui si conclude la descrizione dell’immagine musicale per illuminare retroattivamente il contenuto melodico della performance degli spiriti sapienti, si può interpretare l’intonazione in questione come il primo caso di rappresentazione musicale profana del Paradiso? Nel paradiso terrestre l’autore allude in alcune occasioni al registro musicale profano ed in quel caso si può pensare alla presenza di una strategia di motivi musicali “velati” probabilmente legata all’apparizione di Beatrice, figura dai connotati erotici sia profani che sacri10. Nel cerchio degli spiriti sapienti, quale significato musicale potrebbe avere il paragone con l’immagine delle donne non da ballo sciolte e la presenza di una melodia profana? Le anime del paradiso uniscono sempre l’espressione musicale a quella della danza ma, in tutti i casi identificati da Dante personaggio, esse intonano musica liturgica. L’unione tra l’espressione del moto dei corpi luminosi e la musica

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non significa che le anime cantino costantemente musica profana. L’intonazione potrebbe, quindi, essere sacra e Dante si servirebbe del paragone profano solo in funzione retorica per descrivere l’atteggiamento motorio delle anime. Se, d’accordo con la più recente critica specialistica, si considera l’immagine di ballata presente nel paragone come un riferimento alla sostanza musicale del canto degli spiriti, si dovrebbe valutare il significato relativo a un’incursione musicale di tipo profano a questo punto del viaggio paradisiaco. Se, invece, si legge il paragone come una descrizione retorica unicamente rivolta alla rappresentazione del moto delle anime ed estranea a quella dell’esecuzione melodica del canto si potrebbe, allora, interpretare l’intervento canoro degli spiriti sapienti come un esempio di musica liturgica non meglio specificato dal poeta ed a conferma della presenza dell’elemento polifonico rimarrebbe solo il riferimento musicale alla retorica dell’inneffabile applicato al trattamento narrativo del motivo musicale.

Tali problemi interpretativi derivano dalla dimensione retorica e dalla funzione strutturale che il trattamento del motivo musicale assume in questa cantica. La creazione di una fitta rete di corrispondenze tra i momenti musicali della liturgia terrena e le singole condizioni delle anime, sulla quale si costruiva la narrazione musicale del Purgatorio, viene abbandonata; l’autore del Paradiso non descrive quasi mai in modo chiaro ciò che il suo protagonista ascolta. Inoltre, si può notare come anche nei casi in cui il testo fornisce l’episodio musicale di una descrizione circa il suo contenuto, tale riferimento si trova in un’immagine retorica priva di una funzione esplicativa relativamente all’esecuzione. Del resto, la grande presenza di riferimenti alla musica polifonica all’interno di tali immagini, insieme alla dichiarata incapacità del protagonista ad intendere i canti che ascolta, diventano i parametri interpretativi spesso invocati dalla critica proprio per commentare le parsimoniose descrizioni musicali delle intonazioni ascoltate da Dante-personag-gio. L’autore fornirebbe, dunque, alcune indicazioni sulle qualità e sulle modalità musicali che caratterizzano il regno celeste all’interno delle frequenti immagini retorico-musicali che segnano molte delle tappe del viaggio paradisiaco.

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Nel caso specifico in questione, la natura dell’esecuzione ascol-tata da Dante non viene specificata dall’autore anche se nella raffigurazione del moto delle anime, e non del loro canto, si trova un possibile riferimento a un genere danzato profano e polifonico. All’interno della prima immagine del cielo del Sole si configurano, dunque, due elementi rilevanti all’interno della trama musicale della cantica: l’eventuale presenza di un’esecuzione polifonica e l’inserimento di un’allusione ad un elemento profano all’interno della comparazione che descrive il movimento delle anime.

Nel seguire l’analisi degli altri motivi musicali organizzati in immagini presenti in questo cielo del Paradiso si osserverà la costante evoluzione di tali parametri compositivi al fine di seguire le tracce della costruzione della struttura musicale e di un orizzonte d’attesa di tipo melodico che caratterizzano i canti in questione.

L’identificazione del contenuto melodico del canto degli spiriti sapienti rimane ancora oscuro sino alla fine del X canto, ma l’inserimento, nei canti successivi, di alcune tracce per la sua identificazione riproporrà lo sviluppo della questione musicale appena inaugurata. La costruzione melodica del cielo del Sole non si risolve, come già accennato, all’interno di un unico riferimento ma si struttura nel percorso melodico interno ai cinque canti di cui si costituisce. Le strategie musicali riguardano l’elaborazione della reiterata presenza di interventi melodici associati al movimento circolare delle anime. Il carattere di tali incursioni musicali rimarrà volutamente misterioso sino quasi alla fine di tale percorso e —anche quando il pubblico di entendedors avrà in suo possesso una serie di elementi per potere avanzare almeno delle ipotesi sulla natura melodica della rappresentazione musicale— non sarà mai descritto in modo esplicito.

Ricapitolando gli elementi in nostro possesso ricordiamo che, a quest’altezza narrativa del viaggio attraverso il cielo degli spiriti dottori, il lettore sa che le anime intonano un canto di ineffabile bellezza accompagnato da un movimento rotatorio intorno al viaggiatore e alla sua guida. Che si tratti di un’elaborazione vocale polifonica lo si può supporre per il riferimento al ballo presente nella similitudine finale —oltre che per la presenza del topos paradisiaco

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dell’incomprensibilità del messaggio musicale— ma non vi sono elementi tali, all’interno del testo, da permettere una loro interpretazione come sicuri indizi della presenza della componente musicale polifonica in funzione di elemento distintivo del paesaggio musicale dell’episodio.

Al contrario di recenti contributi di tipo musicologico sulla Commedia, come quello già citato di Bacciagaluppi, la critica dantesca, compresa quella dei commenti antichi, ha però tradizionalmente interpretato il richiamo alla ballata come un riferimento al genere lirico e, quindi, alla musica monodica. Riportiamo, su tutti, tre commenti significativi per l’interpretazione del termine in questione. Il commento di Jacomo della Lana si riferisce chiaramente alla ballata come canzone monodica e quello di Sapegno parla esplicitamente di musica monodica. Anche Borghini, in una nota pubblicata sul Bullettino della Società Dantesca Italiana, citata dalla maggior parte dei commenti moderni al passo in questione, si esprime sull’uso monodico delle ballate:

Qui esemplifica che sì come le donne che sono in ballo s’astallano per intender la ripresa della loro ballata ovvero canzone, così fenno quelle alme beate mettendo in posa suo movimento circolare (Jacomo della Lana, Par. X, 79-81).

donne ecc.: intendi: si fermarono quasi sospese nell’attesa di riprendere il movimento interrotto, e mi apparvero simili a donne ecc. -non da ballo sciolte: conservando, sebbene immobili, la figura della danza e seguitando a misurare mentalmente il tempo nella pausa della monodia (N. Sapegno, Par. X, 79-81).

Dimostra l’uso delle ballate, nelle quali quella che guida il canto dice la prima stanza [il ritornello o ripresa] stando ferma; la qual finita, il ballo tutto volgendosi la replica cantando, e finita, si ferma; e la madonna della canzone, pur ferma, dice la stanza nuova, la quale finisce nella rima della prima, e, subito finita, il ballo si muove in cerchio cantando pur la stanza che si chiama il ritornello (Borghini, 1897: 180).

In effetti, nella trattatistica medievale sulla prosodia del verso, la ballata viene sempre considerata ed analizzata, dal punto di vista

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metrico-melodico, come componimento lirico ad intonazione monodica, così come il genere aulico del De vulgari eloquentia. Per trattatisti come Dante, Francesco da Barberino, Antonio da Tempo, autore della Summa artis rithimici vulgaris dictaminis o per l’anonimo autore del Capitolum de vocibus applicatis verbis, il rimando alla musica e al canto monodico è da ricondurre alla struttura metrica dei testi. Antonio Da Tempo, nella sua Summa, scrive:

In linea generale, per quanto riguarda la disposizione delle rime e il modo di sillabare, parlando sia dei versi che delle rime, possono essere composte con quelle forme e quelle rime con cui si compongono i sonetti e le ballate; e questo vale per ogni componi-mento volgare11.

All’interno del genere della ballata, inoltre, Pirrotta e Zuliani evidenziano come il Capitolum de vocibus applicatios verbis distingua tra le ballade «ossia ballate più semplici e popolari, finalizzate alla danza, sunt verba applicata sonis, mentre i soni sive sonetti, cioè in questa particolate terminologia le ballate più ampie che ... venivano cantate senza danza ed erano affini alle canzoni, sunt verba applicata solum uni sono» (Cappuccio-Zuliani 2006: 347).

La spiegazione della musica per danza come di sicura matrice polifonica non solo non è vincolante per l’analisi del brano intonato dalla corona dei beati, per il fatto di non riguardare un parametro descrittivo della musica ma dell’azione coreutica, ma non è neanche univoca dal punto di vista dell’interpretazione musicale dell’episodio, se si considera la tradizione delle pratiche intonative della lirica volgare.

Ritorniamo all’analisi del canto X. La sospensione del moto in attesa di una sua ripresa indica l’imminente ritorno dell’azione coreutico-musicale che avviene appena terminata la presentazione degli spiriti che compongono la corona ad opera di san Tommaso e che caratterizza l’immagine musicale conclusiva del canto:

Indi, come orologio che ne chiami ne l’ora che la sposa di Dio surge a mattinar lo sposo perché l’ami,

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che l’una parte e l’altra tira e urge, tin tin sonando con sì dolce nota, che ‘l ben disposto spirto d’amor turge;

così vid’ ïo la gloriosa rota muoversi e render voce a voce in tempra e in dolcezza ch’esser non pò nota

se non colà dove gioir s’insempra. (Par. X, 139-148)

Nella famosa similitudine tra il movimento dell’orologio e quello degli spiriti (e delle loro rispettive sonorità) si produce l’altro riferimento del canto X alla musica, e forse in questo caso più esplicitamente, a quella polifonica. Nell’allestimento di quest’ampio paragone —che a sua volta contiene al suo interno un’altra immagine retorica di tipo musicale, quella del canto del Mattutino, vv. 140-141— Dante si serve di due tecniche per lui recenti, una artistica ed una scientifica. La polifonia e l’orologio si basano sul concetto del tempo e della sua misurazione, idea presente anche nella metafora interna al paragone con il richiamo all’ora della sveglia e della preghiera. Il tempo e la musica si uniscono nella similitudine che descrive il moto e la dolcezza del suono prodotto dall’intonazione degli spiriti sapienti.

In questo caso pochi dubbi dovrebbero resistere sulla natura polifonica del canto descritto da Dante. I versi finali della similitudine non potrebbero essere più espliciti al riguardo: «rendere voce a voce in tempra». Dante richiama la tecnica della corrispondenza tra le voci melodiche di una composizione polifonica e della loro fusione armonica («tempra»). Il tempo misurato, caratteristica delle composizioni a più voci, viene reso visivamente dalla figura dell’orologio, ed il «tin tin» e la «dolce nota» stabiliscono il collegamento musicale tra il tempo dell’oggetto meccanico e quello della polifonia. I due diversi esempi di innovazione tanto scientifica quanto artistica si uniscono nella similitudine per rendere l’idea della perfetta sincronia temporale e della compiuta corrispondenza tra le parti legata alla produzione del suono. L’effetto prodotto è legato alla rappresentazione di una

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perfetta ed eterna armonia. La corona degli spiriti viene definita «gloriosa rota», richiamando termino-logicamente la rota polifonica, composizione a canone in cui le diverse linee vocali si inseguono reciprocamente lungo il percorso di un’unica melodia comune a tutte le voci che «al tempo debito ricominciano ciascuna dal principio in ciò che potrebbe virtualmente diventare un moto perpetuo circolare» (Pirrotta, 1994: 34).

La precisa descrizione delle modalità tecnico-esecutive è inversamente proporzionale alla concreta identificazione musicale del canto; ancora una volta, infatti, l’autore non ne specifica il contenuto melodico. Si tratta, come già accennato, di una tecnica descrittiva riguardante la rappresentazione musicale costante nel Paradiso; in questa cantica la dimensione retorica e astratta dell’immagine musicale è più forte della sua riproduzione realistica e spesso essa è carente di connotazioni precise riguardanti la sua identificazione nel repertorio sacro. Il soggetto melodico-liturgico del canto rimane ignoto ma, allo stesso tempo, similitudini e metafore ne evocano concrete modalità di sviluppo. La presenza del movimento circolare, le nuove tecniche della musica misurata esplicitate dalla precisa corrispondenza tra le voci, la probabile allusione alla rota polifonica, sono tutti elementi descrittivi di una concretezza musicalmente viva. La sostanza melodica del canto, però, rimane misteriosa perché tali precisazioni avvengono all’interno della costruzione del discorso retorico riguardante l’im-magine coreutico-musicale ma non all’interno di una descrizione riguardante la concretezza dell’esecuzione. Le chiare allusioni terminologiche al lessico della polifonia non informano una rap-presentazione musicale di tipo realistico —come succede, invece, nel Purgatorio— ma concorrono alla creazione di un livello retorico della comunicazione letteraria in cui la raffigurazione musicale perde spesso i connotati di rappresentazione tangibile per assumere altri valori di definizione stilistica. L’armonia prodotta dall’incontro delle voci, quindi, pur essendo descritta con una tecnica terrena, produce un suono incomparabile con qualsiasi esperienza acustica sperimentabile e non sembra, almeno fino a questo punto della narrazione, essere riconoscibile dal protagonista.

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L’implicita riflessione sul tempo e sulla sua misurazione avviene, dunque, nel primo canto del cielo del Sole, in cui, al v. 30, era già stata specificata la funzione del pianeta relativamente alla scansione temporale:

Lo ministro maggior de la natura, che del valor del ciel lo mondo imprenta e col suo lume il tempo ne misura

(Par. X, 28-30)

Il legame tra la misurazione del tempo permessa dal sole e quella caratteristica della musica polifonica viene quindi stabilito già dagli esordi del canto: «il coro dei savi si muove a misura e in imitazione polifonica, rimandando con ciò all’ordine del tempo e quindi all’armonia numerica della Trinità» (Bacciagaluppi 2002: 326). Il tempo viene distinto nella similitudine finale tra quello sacro e quello profano, ed è la polisemia implicita nel verbo «mattinare», termine sia profano che della liturgia delle ore —nonché presente in tutta la metafora interna alla similitudine sul rapporto tra l’amore e la preghiera— a indicare tale dicotomia12. Il linguaggio musicale del cielo del Sole, con la sua allusione alla musica da ballo profana prima ed alla composizione canonica poi, ha anticipato, in base ad un procedimento già utilizzato precedentemente, la dialettica che la similitudine finale mostra in tutta la sua chiarezza. Va, inoltre, sottolineato che si tratta della prima danza a cerchio della cantica: il movimento è organizzato in forma circolare intorno a Dante e Beatrice e in funzione della loro presenza come centro, «come se essi fossero il motivo per l’avvio di una danza di gioia perfetta, in quanto circolare, con il particolare, inoltre, della preminenza dell’ impressione acustica su quella visiva» (Schurr 1994:155). I primi due interventi musicali, dei sei che incorniciano i cinque momenti “parlati” in cui si struttura l’intero episodio, sono, dunque, quelli appena analizzati, all’interno dei quali si inserisce il discorso di san Tommaso. Quando il movimento della prima danza si smorza, il Doctor Universalis presenta gli altri spiriti dottori e dopo la conclusione, incentrata sulla risplendente figura di Sigieri, comincia la descrizione dell’immagine musicale della «gloriosa rota» che conclude la cantica.

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L’inizio del canto successivo si apre, dopo l’invettiva contro l’affannosa rincorsa umana ai beni terreni, con la descrizione della conclusione della danza che era cominciata alla fine del canto precedente, dopo il primo discorso di san Tommaso. La danza si arresta e l’Aquinate riprende a parlare per risolvere i dubbi che le sue parole hanno prodotto nel viator:

Poi che ciascuno fu tornato ne lo punto del cerchio in che avanti s’era, fermossi, come a candellier candelo. (Par. XI, 13-15)

Il canto XII comincia con un’altra immagine musicale di tipo polifonico che descrive la ripresa del canto e della danza dopo l’ultima parte del panegirico di san Francesco:

Sì tosto come l’ultima parola la benedetta fiamma per dir tolse, a rotar cominciò la santa mola;

e nel suo giro tutta non si volse prima ch’un’altra di cerchio la chiuse, e moto a moto e canto a canto colse;

canto che tanto vince nostre muse, nostre serene in quelle dolci tube, quanto primo splendor quel ch’e’ refuse.

(Par. XII, 1-9)

Durante la ripresa della danza un’altra corona di beati si aggiunge alla prima e si unisce ad essa nel moto e nel canto dopo averla incorniciata all’interno di un cerchio più ampio. La descrizione dell’esecuzione continua a servirsi del lessico della polifonia. L’effetto di dolcezza sonora ora raggiunto, considerata l’annessione di un’altra corona di spiriti, diventa ancora più forte, ma il contenuto melodico-liturgico del canto continua a rimanere poco chiaro. All’espressione «voce a voce in tempra» risponde ora la definizione «canto a canto colse» che conferma l’uso della terminologia tecnica della musica misurata e ne potenzia portata ed effetti. Anche in quest’immagine si registra la presenza di un elemento profano

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all’interno della sua descrizione: il riferimento alle sirene, simbolo esplicito nella Commedia dell’ingannevolezza del piacere dei sensi legato alla sensualità femminile. È il terzo richiamo ad una componente profana in tre descrizioni musicali: l’immagine delle «donne non da ballo sciolte», quella della sposa che sveglia lo sposo per essere amata — con il richiamo al termine profano mattinare — ed infine il riferimento al canto delle sirene, figura mitica della pericolosità collegata al potere di seduzione femminile per un desiderio maschile i cui sensi non sono orientati dalla ragione13.

A sottolineare l’accresciuta bellezza del canto polifonico, raddoppiato dopo l’aggiunta della nuova corona di beati, si trova il paragone terreno tra il piacere materiale indotto dal canto delle sirene e quello provato da Dante nel paradiso, corrispondenti il primo allo splendore di un riflesso ed il secondo a quello del raggio vero. Ancora una volta Dante non specifica sostanza e qualità melodiche del canto intonato dalle anime, né la sua possibile collocazione liturgica, e ritorna, come appena specificato, la presenza forte di un elemento profano all’interno della descrizione musicale.

Di seguito, si ripete ancora una volta l’alternanza parola-musica: la danza e la musica si fermano e ricomincia il discorso verbale che questa volta è rivolto all’elogio di S. Domenico:

Poi che ‘l tripudio e l’altra festa grande, sì del cantare e sì del fiammeggiarsi luce con luce gaudïose e blande,

insieme a punto e a voler quetarsi, pur come li occhi ch’al piacer che i move conviene insieme chiudere e levarsi;

del cor de l’una de le luci nove si mosse voce, che l’ago a la stella parer mi fece in volgermi al suo dove; (Par. XII, 22-30)

L’accordo delle voci e del moto nel momento della sospensione del canto, sottolineata anche nelle altre due occasioni, viene reso visivamente dall’immagine di simultaneità caratteristica del

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movimento delle palpebre14. Con una totale sincronia tra esse, le anime sospendono la «festa grande» espressa dal canto, dalle movenze circolari e dalla loro sfavillante luminosità ed una di esse, proveniente dal nuovo coro appena aggiuntosi al primo («l’una de le luci nuove»), manifesta il desiderio di parlare col viaggiatore. Si tratta dello spirito di san Bonaventura, come si saprà alla fine, che, francescano, proporrà il panegirico di san Domenico.

Nella descrizione dell’ultimo intervento coreutico-musicale il principio di corrispondenza armonica diviene proprio anche della descrizione visiva; l’immagine della relazione di simultaneità —espressione del principio di perfetta armonia tradotta in assoluta sincronicità— che aveva poco prima caratterizzato il rapporto tra le voci e tra i movimenti dei beati viene estesa all’elemento luminoso. La corrispondenza perfetta tra le voci è accompagnata dal completo equilibrio che regola il rapporto tra le manifestazioni legate alla luminosità e al moto circolare dei beati. Quando tale principio viene descritto come applicato al canto delle anime, l’autore si serve di un riferimento lessicale alla tecnica polifonica, necessaria per armonizzare più linee vocali differenti. Ciò che appare come una costante descrittiva dell’accordo perfetto tra tutte le manifestazioni espressive delle anime acquista un significato più specifico all’interno del linguaggio musicale in cui tale sincronia indica la presenza di un’armonizzazione polifonica tra le diverse linee melodico-vocali. Se ancora non è chiaro che cosa cantino le anime, sembra però probabile a questo punto della narrazione —data la nutrita presenza di elementi lessicali e sintagmi verbali allusivi ad una terminologia ‘arsnovistica’— che esse stiano intonando un testo musicale organizzato polifonicamente.

Dopo l’ultimo intervento verbale, il canto successivo si apre con la nuova descrizione della doppia danza e del canto delle due corone di anime intorno a Dante e Beatrice. Si tratta, quindi, di un ulteriore sviluppo della prima immagine coreutico-musicale inaugurata nel X canto che nel percorso conoscitivo del cielo del Sole va assumendo una struttura sempre più complessa e articolata:

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e l’un ne l’altro aver li raggi suoi, e amendue girarsi per maniera che l’uno andasse al primo e l’altro al poi; e avrà quasi l’ombra de la vera costellazione e de la doppia danza che circulava il punto dov’ io era: (Par. XIII, 16-21)

Lì si cantò non Bacco, non Peana, ma tre persone in divina natura, e in una persona essa e l’umana. Compié ‘l cantare e ‘l volger sua misura; e attesersi a noi quei santi lumi, felicitando sé di cura in cura. (Par. XIII, 25-30)

Nella lunga e difficile similitudine con cui si apre il canto XIII ritorna la descrizione delle voci e del moto delle anime. Imme-diatamente viene ribadita l’impossibilità di tradurre in parole l’esperienza sonora sperimentata e il testo ricorre ad una similitudine che inizia con un appello al lettore. Le corone sono simili a costellazioni composte dalle ventiquattro stelle più lucenti del firmamento. Si tratta di costellazioni immaginarie in quanto, pur trattandosi di una similitudine, l’autore non riesce a trovare una comparazione familiare all’esperienza terrena per spiegare gli eventi sperimentati ed invoca l’immaginazione del lettore:

Imagini, chi bene intender cupe quel ch’i’ or vidi — e ritegna l’image, mentre ch’io dico, come ferma rupe —, quindici stelle che ‘n diverse plage lo ciel avvivan di tanto sereno che soperchia de l’aere ogne compage; imagini quel carro a cu’ il seno (Par. XIII, 1-7)

Descritta la doppia danza che le due ghirlande di luci conducono intorno al viator e a Beatrice, l’autore specifica che il canto da esse prodotto non è di tipo pagano («non Bacco, non Peana..»), ma

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riguarda i due misteri della fede relativi alla Trinità ed all’ incarnazione del Verbo. La danza si ferma e ricomincia il discorso e nella descrizione dell’arrestarsi del moto e del canto risuona un’altra volta un’espressione di tipo polifonico: «Compié ‘l cantare e ‘l volger sua misura». L’insistente presenza della terminologia polifonica anche nella descrizione di quest’altra immagine musicale sembrerebbe confermare la presenza di un’organizzazione musicale basata sulle regole della musica misurata.

L’allestimento della nuova scena musicale che l’autore sperimenta nella costruzione dell’azione drammatica ambientata nel cielo del Sole si fonda sullo sviluppo di una serie di riferimenti lessicali intradiegetici relativi all’ambito musicale sia sacro che profano. La creazione di un orizzonte d’attesa musicale si struttura sulla gradualità che caratterizza il disvelamento dei connotati melodici delle intonazioni presenti in quest’episodio. Gli impliciti e “velati” riferimenti ad elementi musicali profani fanno parte dello sviluppo del percorso conoscitivo in senso musicale che il protagonista compie in un cielo in cui si è inizialmente colpiti dalla presenza allusiva di un linguaggio musicale che ricorda le esecuzioni profane, di cui viene lasciata intendere la natura esecutiva di tipo polifonico e che sembra, invece, definirsi alla fine del processo conoscitivo in questione come musica sacra che riguarda l’esaltazione dei misteri della Trinità e dell’incarnazione, tema centrale del cielo del Sole sin dall’incipit del X canto. Il processo di agnizione melodica è stato organicamente calibrato in base all’inserimento nel testo di una serie di elementi profani presenti all’inizio della costruzione di tale motivo narrativo.

Il canto XIV comincia con il discorso di Beatrice alle anime sapienti affinché risolvano un dubbio che si è creato nella mente di Dante; per la felicità del compito loro assegnato le anime ricominciano il canto e la danza:

Come, da più letizia pinti e tratti, a la fïata quei che vanno a rota levan la voce e rallegrano li atti,

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così, a l’orazion pronta e divota, li santi cerchi mostrar nova gioia nel torneare e ne la mira nota. (Par. XIV, 19-24)

È in questo punto della descrizione musicale che l’esecuzione si definisce non solo come genericamente liturgica, ma viene indivi-duata, con un alto grado di probabilità, nel canto del «Gloria»:

Quell’ uno e due e tre che sempre vive e regna sempre in tre e ‘n due e ‘n uno, non circunscritto, e tutto circunscrive,

tre volte era cantato da ciascuno di quelli spirti con tal melodia, ch’ad ogne merto saria giusto muno. (Par. XIV, 28-33)

Il processo di definizione dell’esecuzione vocale delle anime si compie per gradi e con una certa lentezza all’interno delle rappresentazioni musicali presenti in questo cielo. Che abbiano cantato le anime fino all’intonazione del Gloria non è specificato e solo nella descrizione della penultima immagine musicale Dante sottolinea il carattere sacro dell’intonazione, mentre in tutte le altre aveva invece alluso alla presenza di un linguaggio melodico profano. Immediatamente dopo averne chiarito la natura liturgica, arriva la probabile citazione del Gloria, il canto di lode alla Trinità che identifica con maggior precisione i contorni musicali dell’ intona-zione. La presenza degli elementi profani nelle precedenti immagini musicali ha prodotto la necessità di ribadire, a questo punto della narrazione musicale, prima la natura genericamente sacra del canto e poi l’indicazione più precisa circa la sua materia, l’esaltazione della Trinità. Che cosa le anime avessero cantato fino a questo punto rimane taciuto dal testo, ma si può ora affermare con un certo margine di verisimiglianza che si è trattato in tutti i casi di materiale liturgico e, probabilmente, dell’intonazione del Gloria che ha ritmato musicalmente e liturgicamente l’intero episodio. Nel séguito del canto XIV troveremo l’esecuzione di un altro canto appartenente a tale repertorio, un inno di cui Dante comprenderà, però, solo stralci

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del testo verbale. Anche la descrizione di quest’ultimo canto è inserita all’interno di un’elaborata immagine musicale, la prima del cielo di Marte, ripresa poi all’inizio del canto XV.

Dopo l’esecuzione del Gloria si era aggiunta una terza corona di beati al movimento delle altre due e si completa così il movimento ternario delle corone degli spiriti sapienti:

parvemi lì novelle sussistenze cominciare a vedere, e fare un giro di fuor da l’altre due circunferenze. (Par. XIV, 73-75)

Il canto del Gloria costituisce una presenza melodica costante e un motivo intradiegetico interno alla struttura del percorso musicale del protagonista attraverso il Purgatorio e il Paradiso. Il canto XXVII si apre con la maestosa intonazione del brano liturgico in questione cantato da tutte le anime del Paradiso così come, nella cantica precedente, lo stesso canto era stato intonato da tutte le anime del Purgatorio per indicare e festeggiare l’ascesa di un’anima al regno celeste:

‘Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo’, cominciò, ‘gloria!’, tutto ‘l paradiso, sì che m’inebrïava il dolce canto.

Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso de l’universo; per che mia ebbrezza intrava per l’udire e per lo viso.

Oh gioia! Oh ineffabile allegrezza! Oh vita intègra d’amore e di pace! Oh sanza brama sicura ricchezza! (Par. XXVII, 1-9)

Poi cominciò da tutte parti un grido tal, che ‘l maestro inverso me si feo, dicendo: «Non dubbiar, mentr’ io ti guido». ‘Glorïa in excelsis’ tutti ‘Deo’ dicean, per quel ch’io da’ vicin compresi, onde intender lo grido si poteo.

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Noi stavamo immobili e sospesi come i pastor che prima udir quel canto, fin che ‘l tremar cessò ed el compiési. (Purg. XX, 133-141)

L’esecuzione del Gloria, condotta dalle distinte ghirlande di spiriti sapienti ruotanti intorno a Dante e Beatrice che ripetono per tre volte la melodia liturgica, rappresenta, dunque, un tappa interna importante nella costruzione della trama musicale del poema. L’insistenza lessicale sulla terminologia trinitaria ha, infatti, portato a identificare con l’Hymnus angelicus il canto che illustra musical-mente il viaggio dantesco attraverso il cielo del Sole. In tutte e tre le occorrenze dell’inno all’interno del poema l’autore insiste sulla particolare densità vocale dell’intonazione: nella cantica di mezzo eseguita da tutte le anime che popolano la montagna purgatoriale («tutti»), nell’ultima prima dalla serie concentrica delle ghirlande e poi nel cielo delle Stelle Fisse da «tutto ‘l paradiso».

In quest’ultima esecuzione del Gloria tutte le anime si uniscono nell’esecuzione corale. All’interno della descrizione musicale incipi-taria del XXVII canto sono due gli elementi che distinguono la nuova azione musicale: il carattere di solenne potenza sonora del canto, dal momento che esso viene intonato da «tutto il paradiso», e gli effetti di ebbrezza, rapimento e allegria che producono sul protagonista. Anche il Gloria intonanto nel cielo del Sole sortisce esiti straordinari e indimenticabili nel viaggiatore —«ch’ad ogne merto saria giusto muno»— ma gli effetti generati dalla sua ultima esecuzione sono così forti da essere incomparabili con quelli precedenti. La descrizione del canto si risolve nella rappresentazione degli effetti da esso prodotti. Il sentimento di ebbra allegria —l’inebriarsi è verbo biblico (Ps. XXXV, 9: «Inebriabuntur ab ubertate domus tuae et torrente voluptatis tua potabis eos»)— è nuovo nella Commedia e accentua la straordinaria forza emotiva dell’esecuzione. L’ultima interpretazione dell’inno rappresenta, dunque, il momento culminante dell’esecuzione di un canto che ha accompagnato il protagonista durante il suo viaggio oltremondano, del quale ha registrato costanti e diversità relativamente alle qualità intonative e agli effetti prodotti dalle distinte esecuzioni.

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Nel caso della scelta operata dall’autore per definire musicalmente il cielo del Sole sembra intervenire la considerazione della funzione del brano nel corpus liturgico. Nelle altre due occorrenze l’insistenza descrittiva sembra maggiormente concentrata sulla profondità dell’impatto sonoro e nell’ultimo caso sugli effetti di gioia prodotti dall’ascolto del Gloria. Le capacità percettive del protagonista si sono raffinate anche dal punto di vista dell’ intelligenza uditiva e la reiterazione dell’esecuzione dello stesso brano ne registra le tappe e i progressi.

In un cielo che segna il definitivo passaggio ad un zona del Paradiso “altra” rispetto a quella costituita dai primi tre cieli che il protagonista ha appena attraversato con Beatrice —una zona più “alta” del regno celeste rispetto a quella precedente sulla quale si allungava ancora il cono d’ombra della terra— l’autore comincia a sperimentare nuove forme di rappresentazione anche musicale e inaugura un uso nuovo della terminologia tecnica adeguata. Il trattamento del motivo sonoro si arricchisce di più complesse strategie narrative esibendo una trasformazione linguistica che è anche nella materia e nello stile di un insieme di canti che raffigurano un cambiamento nel personaggio-Dante, nei luoghi e nei suoi abitanti. Si registra, dunque, una tappa importante nella trasformazione di un protagonista che, come notato da Luca Curi nella sua lectura del canto, comincia a parlare di sé in modo diverso, attraverso i suoi auctores non delle lettere ma della filosofia, sui quali si è formato non come poeta ma come «pensatore» (De Libera 2000:70). Ed ora, da intellettuale laico, come sottolinea De Libera, si spinge ad accostare nella stessa ghirlanda e a distanza più che ravvicinata il Doctor Angelicus e Sigieri di Brabante (Curi 2002: 145)15. Con l’arrivo del protagonista, grazie allo sguardo di Beatrice, nel cielo del Sole si passa definitivamente dalla terra al cielo, dalla discordia all’armonia e gli stacchi formali, di voce e di timbro, che caratterizzano l’esordio del canto rispetto alla chiusura del precedente —«oscurato da figurazioni sinistre» (Curi 2002:145), come tutto il cielo di Venere — sembrano esserne emblematici. L’incipit del canto si apre, infatti, insieme allo sguardo contemplativo del poeta sull’ordine della creazione e sulla sua armonia, sul processo interno alla Trinità nell’atto creativo. Trinità e

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armonia suprema che l’autore traduce melodicamente nell’esecuzione dell’Hymnus Angelicus —la cui esecuzione rappresentata in termini espliciti la chiusura dell’intero episodio— e nella descrizione di immagini musicali permeate di lessico polifonico, il più adatto a rendere l’idea della perfetta armonia nella corrispondenza tra le voci.

Si inaugura un percorso nuovo che riprende e continua quello purgatoriale ma ne riforma sostanza e obiettivi. Si inaugura una bio-grafia diversa, come nota ancora Curi, fatta di altri «eroi» e che rappresenta, in una complessa danza musicale, la nuova genealogia del sapere dell’autore (Curi 2002:145). La scelta melodica che illustra questo momento di passaggio non viene rappresentata dall’autore come un parametro esterno agli eventi di cui costituirebbe un momento puramente decorativo. Si tratta del testo liturgico trinitario, come si diceva, ma anche di un brano che è già risuonato nel Purgatorio, chiamato ad indicare la coerenza interna di un viaggio anche melodico, a scandire il suo sviluppo musicalmente organico e a marcarne le sue progressive modulazioni. Dante, per rappresentare i contenuti del cielo del Sole, sceglie un canto liturgico già ascoltato nel regno precedente, probabilmente quello che al suo interno è risuonato in modo acusticamente più potente. Inserendone la sua descrizione all’interno delle complesse similitudini e immagini retoriche in cui il parametro sonoro si fonde con quello del moto e della luce, lo trasforma nella rappresentazione di un’esperienza estetica completamente nuova e con essa inaugura quel processo di costruzione dell’orizzonte d’attesa melodico sul quale costruisce il percorso musicale dell’episodio. Ad un nuovo inizio —indicato nel testo dalla solennità dell’ incipit del canto— ad una trasformazione della materia trattata, a un passaggio ad un luogo diverso e ancora sconosciuto della geografia paradisiaca, corrisponde, anche dal punto di vista musicale, una novità nell’organizzazione del motivo sonoro e nella descrizione delle forma e della sostanza melodica che tale motivo va poco a poco acquisendo. Le strategie intertestuali ed intermelodiche messe in campo dall’autore mediante l’incursione di un lessico polifonico e la sovrapposizione dell’ambito di riferimento sacro-liturgico con quello lirico-profano diventano il segno distintivo

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di un episodio melodico che ritma e illustra acusticamente quello narrativo.

È interessante, in conclusione, notare come sia proprio all’interno della messa in scena dell’azione edenica coreutico-musicale che l’autore aveva sperimentato quella fusione tra registro sacro e profano che, mettendo costantemente alla prova la musicale attenzione del lettore, è diventata il motivo conduttore della trama musicale del cielo del Sole. In entrambi i casi Beatrice costituisce il centro della rappresentazione musicale. Nel paradiso terrestre —in cui si verifica la sua apparizione nel poema e si produce l’atteso incontro che segna la fine della prima parte del viaggio— la presenza del nuovo personaggio viene sottolineata da una costante immissione di elementi lessicali che traducono un tentativo laicizzante degli elementi melodico-liturgici culminanti nella processione simbolica. Nel cielo del Sole la figura della donna amata costituisce il vero centro e punto di riferimento per la danza dei beati «che’ntorno vagheggia/la bella donna ch’al ciel t’avvalora».

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NOTE

1 Sia nell’analisi delle similitudini musicali presenti nel cielo in questione che in quelle più generali riguardanti le immagini musicali della terza cantica la critica musicologica ha privilegiato lo studio del lessico legato alla polifonia. Sul canto X si veda: Bacciagaluppi 2002 e Schurr 1994. Sul problema più generale relativo ai riferimenti polifonici del Paradiso si veda almeno Pirrotta 1984: 37-51, Ciliberti 1986, Gatto 1992, Besutti e Mortara 2004. 2 Juan Varela-Portas, nel suo fondamentale studio sulle similitudini del cielo del Sole fa notare, a proposito all’analisi del paragone della doppia danza dei beati — ed in particolare dei vv. 64-69 di Par. X — come, in realtà, il vero centro della danza sia costituito dalla figura di Beatrice, più che da quella di Dante. Il personaggio di san Tommaso ai vv. 92-93 definisce la sua corona come: «questa ghirlanda che ‘ntorno vagheggia / la bella donna ch’al ciel t’avvalora», per cui la corona sembrerebbe girare principalmente intorno alla figura di Beatrice, con la quale si identificherenne anche la figlia di Latona della similitudine (Varela-Portas 2002: 134). Il protagonismo assunto da Beatrice in questo canto — ed in generale nei cinque che compongono il cielo del Sole — raffigurato dalla sua centralità rispetto alle ghirlande danzanti dei beati, quasi motore, oltre che centro e direzione, del loro movimento, è esplicitata nel canto anche dalle tre occorrenze del nome in posizione incipitaria al v. 37 (È Beatrice quella che sì scorge), al v. 52 (E Beatrice cominciò: «ringrazia) e al v. 60 (Che Beatrice eclissò nell’oblio). 3 Gli studi più aggiornati sull’argomento sono quelli citati nella nota 1 relativamente all’analisi del canto X. 4 Le uniche due presenze relative al linguaggio polifonico nel Purgatorio sono contenute nei vv. 144-145 di Purgatorio IX e al v. 18 di Purgatorio XXVIII. In entrambi i casi Dante utilizza il linguaggio della “nuova musica” non per descrivere un’esecuzione, ma come elemento interno di una similitudine in cui si compara un certo tipo di percezione acustica con alcune caratteristiche della musica misurata. Per un’analisi musicologica dei

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vv. 144-145 di Purgatorio IX si veda Cappuccio 2007. 5 Le melodie ascoltate nel paradiso dal protagonista del viaggio ultraterreno delineano un’esperienza musicale che solo parzialmente e a grande fatica potrà essere descritta dall’autore del poema. La musica della terza cantica è connotata da precise caratteristiche di organizzazione formale che rendono il discorso musicale ben diverso da quello sviluppato nella precedente tappa del percorso dantesco. La struttura liturgica che aveva scandito col suo messaggio di penitenza e speranza l'ascensione del «sacro monte» lascia ora spazio ad un’organizzazione formale che sin dal primo canto risulta profondamente distinta da quella purgatoriale. Nella seconda cantica le incursioni musicali liturgiche sono caratterizzate da un forte legame interno non solo tra il testo del brano sacro e l'azione narrativa, ma anche tra le modalità esecutive e quelle della penitenza. Inoltre, in determinati momenti del racconto purgatoriale gli episodi melodici sono strutturati in forma di azioni drammatico-liturgiche. Sull’argomento si veda Salvetti 1971. 6 Anche dal punto di vista dell’uso del lessico liturgico si possono registrare significative trasformazioni tra la seconda e la terza cantica. I salmi, che costituivano il genere purgatoriale, quasi spariscono, mentre abbondano melodie che Dante riconosce come genericamente innodiche ma sulle quali non è in grado di fornire ulteriori precisazioni. Sono molti gli Osanna e frequenti le presenze di sequenze di giubilo della liturgia della messa. 7 Per un’analisi esaustiva di questa similitudine si veda ancora Varela-Portas 2002: 65-94. 8 A. M. Chiavacci Leonardi, Commedia, Bologna, Zanichelli, 2001, rist. 2006, p. 183. 9 Vid. Bonaventura 1904: 182-183 e Bacciagaluppi 2002: 326-327. 10 Si tratta di tutte le incursioni legate alle modalità di canto profano che preparano l’apparizione di Beatrice mediante le figure di Lia e Matelda (Purg. XXVII, 97-99/XXVIII, 5-6) e che continuano nella descrizione della processione simbolica del paradiso terrestre (Purg. XXIV, 121-132), caratterizzata dalla presenza di nuove tecniche di rappresentazione musicale utilizzate in funzione neutralizzante rispetto all’azione liturgica. Dante si serve di tale novità della costruzione del discorso musicale purgatoriale —incentrato sulla laicizzazione degli elementi musicali-liturgici— per sottolineare l’atteso incontro con Beatrice.

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11 «Et generaliter quantum ad rithimos et sillabicandi modum, sive loquamur de versibus sive de consonantiis, possunt compilari ex illis rithimis et consonantiis ex quibus compilantur soneti et ballatae, et sic de quolibet rithimo vulgari (cap. XLVI, De cantionis extensis et earum forma»), in Cappuccio – Zuliani 2006: 350. Il testo e la traduzione della Summa sono stati gentilmente forniti da Zeno Lorenzo Verlato, che ne sta preparando un’edizione tradotta. 12 È stato già notato come Dante descriva l’effetto prodotto dal suono dell’orologio sulla comunità monastica utilizzando una terminologia propria della mistica ma allo stesso tempo legata alla tradizione profana grazie alla sostituzione dell’espressione ecclesiastica “dir mattutino”con quella di “mattinare”, che, come specificato nel commento di Bosco-Reggio (1979), ma anche in tutti quelli più recenti, significa il «far mattinata cioè quei suoni e canti, che all'alba si facevano sotto le finestre dell'amata, analoghi alle serenate». Per la sostituzione tra le due espressioni etimologicamente identiche tutti i commenti recenti rimandano a E. G. Parodi, Bullettino della Società Dantesca Italiana, XII, p. 328. 13 Sull’argomento, imprescindibile lo studio di Pinto 2001: 64. 14 Come autorevolmente sottolineato da Juan Varela-Portas, la similitudine rappresenta le due ruote dei beati che si fermano nello stesso istante e con la stessa volontà e tale rappresentazione si serve della comparazione con il movimento all’unisono compiuto delle palpebre nel loro aprirsi e chiudersi. Ogni ruota è, quindi, un occhio e l’atto di aprirsi e chiudersi rappresenta il movimento unitario (Varela-Portas 2002: 153). Inoltre, va notato che già ai vv. 34-36 compare una similitudine che raffigura l’assoluta immediatezza nella sincronicità di un atto, quella del formarsi del pensiero, di cui se ne coglie la nascita che corrisponde al suo formarsi. Sono tutte immagini che traducono l’idea del perfetto equilibrio, della armonia suprema, concetti rinforzati dall’idea musicale polifonica, la cui terminologia costituisce la struttura portante delle due similitudine musicali del X canto. Si coglie la nascita di un pensiero come le voci che si raccolgono e si fondono l’una con l’altra «voce a voce canto a canto colse». La rappresentazione della perfezione dell’accordo si serve della concezione polifonica della musica che fa dell’accordo il suo fulcro di innovazione del linguaggio melodico. 15 De Libera 2000 : 69-70. La presenza di Sigieri, accostata a quella del Doctor Universalis, ha sempre costituito un elemento di grande interesse

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nelle interpretazioni del canto X. Le due terzine che Dante dedica alla complessa e problematica figura del grande continuatore della teoria averroistica dell’intelletto, concludendo la presentazione di san Tommaso, portano a compimento anche il cuore narrativo del canto che culminerà nell’ultima grande similitudine musicale. Che Sigieri rappresenti una figura centrale nella struttura del canto lo si può riscontrare anche dall’anticipazione della sequenza rimica usata ai vv. 136-141 (nel passaggio dall’ultima terzina di Sigieri alla prima della similitudine musicale conclusiva) ai vv. 41-45, in cui Dante descrive l’impossibilità di rendere accettabile al ragionamento, mediante una sua riduzione concettuale e linguistica, l’intensità della luce del cielo del Sole che il lettore può solo credere e desiderare di vedere ma non sperimentare con la ragione. (Ma creder puossi e di veder si brami). Mediante la forte allusione ai rimanti entra’mi/chiami/brami (vv. 41-45) all’interno della sequenza Strami/ chiami/ami (vv. 136-141) l’autore sembrerebbe richiamare la teoria della “doppia verità” (verità della ragione e verità della fede), per la quale, sotto forma di vulgata, rimarrà famoso il pensiero di Sigieri. Il riferimento pre-sente in queste terzine potrebbe, quindi, introdurre intertestualmente e proletticamente il personaggio dalla fama controversa.

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