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471 ECONOMIA POLITICA / a. XXI, n. 3, dicembre 2004 Struttura organizzativa e allocazione del potere decisionale di Maria De Paola 1. Introduzione Dal sistema Fordista o Taylorista, caratterizzato da forte divisione del la- voro e centralizzazione del processo decisionale, ampiamente diffuso fino agli anni ’70, si è recentemente passati ad un sistema meno gerarchicizzato, in cui ad una accentuata divisione del lavoro è andata sostituendosi la produzione in team, caratterizzata anche da una maggiore autonomia decisionale da par- te dei lavoratori. Le new work practices sperimentate dalle imprese, oltre alla minore gerarchicizzazione del rapporto di lavoro, includono anche l’affida- mento di molteplici mansioni ai lavoratori (multitasking) e l’uso diffuso di si- stemi incentivanti. Tale fenomeno, documentato a livello internazionale da diversi lavori (Caroli - Greenan - Guellec, 2001; Osterman, 1994; Rajan - Wulf, 2003), ha ricevuto molta attenzione anche da parte degli studiosi italia- ni, che attraverso una serie di analisi empiriche hanno esaminato le caratteri- stiche che esso assume nelle imprese nazionali (Evangelista - Sirilli, 1997; Origo, 2001; Leoni et al., 2001; Pini, 2002). Queste analisi mostrano che in Italia l’adozione delle nuove pratiche organizzative riguarda ancora un nume- ro limitato di imprese, ma confermano alcune tendenze individuate a livello internazionale, quali l’utilizzo congiunto (in cluster) delle stesse (Osterman, 1994; Ichniowski - Shaw, 1995) e una loro maggiore diffusione nelle imprese di grandi dimensioni. La letteratura economica ha fornito varie spiegazioni al cambiamento or- ganizzativo in atto. Alcune fanno riferimento ai cambiamenti tecnologici nel campo delle ICT che, avendo facilitato la trasmissione e l’acquisizione di in- formazioni, hanno permesso la sostituzione dei superiori con l’interazione di- retta tra i lavoratori (Bolton - Dewatripont, 1994; Garicano, 2000). Altre in- Pervenuto gennaio 2003, approvato febbraio 2004. Desidero ringraziare per gli utili commenti ricevuti Vincenzo Scoppa e i tre anonimi referee della rivista. Ogni responsabilità rimane ovviamente solo mia.

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471ECONOMIA POLITICA / a. XXI, n. 3, dicembre 2004

Struttura organizzativa e allocazione del potere decisionale

di Maria De Paola

1. Introduzione

Dal sistema Fordista o Taylorista, caratterizzato da forte divisione del la-voro e centralizzazione del processo decisionale, ampiamente diffuso fino aglianni ’70, si è recentemente passati ad un sistema meno gerarchicizzato, in cuiad una accentuata divisione del lavoro è andata sostituendosi la produzionein team, caratterizzata anche da una maggiore autonomia decisionale da par-te dei lavoratori. Le new work practices sperimentate dalle imprese, oltre allaminore gerarchicizzazione del rapporto di lavoro, includono anche l’affida-mento di molteplici mansioni ai lavoratori (multitasking) e l’uso diffuso di si-stemi incentivanti. Tale fenomeno, documentato a livello internazionale dadiversi lavori (Caroli - Greenan - Guellec, 2001; Osterman, 1994; Rajan -Wulf, 2003), ha ricevuto molta attenzione anche da parte degli studiosi italia-ni, che attraverso una serie di analisi empiriche hanno esaminato le caratteri-stiche che esso assume nelle imprese nazionali (Evangelista - Sirilli, 1997;Origo, 2001; Leoni et al., 2001; Pini, 2002). Queste analisi mostrano che inItalia l’adozione delle nuove pratiche organizzative riguarda ancora un nume-ro limitato di imprese, ma confermano alcune tendenze individuate a livellointernazionale, quali l’utilizzo congiunto (in cluster) delle stesse (Osterman,1994; Ichniowski - Shaw, 1995) e una loro maggiore diffusione nelle impresedi grandi dimensioni.

La letteratura economica ha fornito varie spiegazioni al cambiamento or-ganizzativo in atto. Alcune fanno riferimento ai cambiamenti tecnologici nelcampo delle ICT che, avendo facilitato la trasmissione e l’acquisizione di in-formazioni, hanno permesso la sostituzione dei superiori con l’interazione di-retta tra i lavoratori (Bolton - Dewatripont, 1994; Garicano, 2000). Altre in-

Pervenuto gennaio 2003, approvato febbraio 2004.

Desidero ringraziare per gli utili commenti ricevuti Vincenzo Scoppa e i tre anonimi refereedella rivista. Ogni responsabilità rimane ovviamente solo mia.

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terpretazioni collegano i cambiamenti organizzativi alla necessità per le im-prese di adattarsi alla accresciuta competitività dei mercati e alla maggiorevariabilità della domanda che impone di reagire rapidamente e senza eccessi-vi costi agli eventi imprevisti (Aoki, 1986). Una interpretazione alternativa in-dividua nella maggiore offerta di lavoratori istruiti il principale fattore espli-cativo dell’evoluzione sperimentata nel corso del tempo dalla struttura orga-nizzativa delle imprese (Caroli - Greenan - Guellec, 2001). Secondo altri au-tori, invece, un ruolo centrale nella spiegazione dei cambiamenti organizzativideve essere ricercato nel fatto che attualmente le imprese si rivolgono a mer-cati di nicchia e, di conseguenza, si vedono ridotte le economie di scala chescaturiscono da una forte divisione del lavoro (Greenan - Guellec, 1998). Al-tri ancora ritengono che questo cambiamento derivi dalla forte incertezza checontraddistingue i mercati in cui gli agenti si trovano ad operare. Il principa-le, non avendo informazioni sufficienti per controllare l’operato dell’agente,gli concede autonomia decisionale e utilizza contratti incentivanti per limitar-ne l’opportunismo (Prendergast, 2002).

In questo lavoro si intende offrire un’analisi del cambiamento organizza-tivo in relazione all’allocazione del potere decisionale all’interno dell’impresa.I contributi presi in esame sono molto variegati e includono sia quelli cheesaminano l’influenza esercitata dall’assegnazione del potere decisionale sullarisoluzione di problemi di incentivo, sia quelli che mettono in relazione ilgrado di centralizzazione del processo decisionale con la scelta tra specializ-zazione e multitasking nella sfera produttiva. Infatti, lo svolgimento da partedel lavoratore di molte mansioni rende poco rilevante il processo di comuni-cazione e di coordinamento e favorisce la delega del potere decisionale allostesso. Si è, invece, deciso di trascurare le analisi più tradizionali e meglionote che, mantenendo uno stretto legame tra potere decisionale e diritti diproprietà, esaminano il ruolo dell’autorità nella soluzione di problemi di in-completezza contrattuale (Grossman - Hart, 1986; Hart - Moore, 1990).

L’esame di questi lavori permette, come sarà chiarito in seguito, non solodi individuare gli elementi che incidono sul grado di discrezionalità concessaai lavoratori, ma anche di far luce sull’emergere di altre pratiche organizzati-ve e sull’adozione in cluster delle stesse (Aoki, 1986; Aghion - Tirole, 1997;Prendergast, 2002).

Una parte dei contributi esaminati assume l’esistenza di obiettivi conver-genti tra i soggetti e quindi nessun conflitto principale-agente. Nei lavori diBolton - Dewatripont (1994) e Garicano (2000) il ruolo dell’autorità consistenella soluzione dei problemi di coordinamento. Le relazioni gerarchiche defi-niscono dei network di comunicazione tra gli agenti e non stabiliscono unrapporto di autorità vero e proprio. La centralizzazione, se da un lato per-mette di avvantaggiarsi di economie di specializzazione, dall’altro comportadei costi in termini di lentezza del processo decisionale e di maggiori costi dicomunicazione.

Sah - Stiglitz (1986), partendo dall’ipotesi di agenti con obiettivi conver-genti e che hanno accesso alle stesse informazioni, individuano il sistema or-

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ganizzativo ottimale sulla base della minimizzazione degli errori del processodecisionale. Nel lavoro di Aoki (1986) l’allocazione del potere decisionale in-cide, invece, sull’uso delle informazioni disponibili a livello locale. La dispo-nibilità di potere decisionale da parte dei lavoratori a diretto contatto con lalinea produttiva permette di utilizzare in maniera efficace tali informazioni,ma comporta un costo dovuto alla loro scarsa conoscenza delle problemati-che complessive dell’impresa. Inoltre, si dimostra che la delega del poteredecisionale ai lavoratori è favorita dalla loro capacità di apprendimento e,quindi, dal possesso di un adeguato livello di istruzione.

L’importanza dell’istruzione nei processi di delega del potere decisionaleè evidenziato anche dal lavoro di Caroli - Greenan - Guellec (2001) in cui lascelta tra sistemi centralizzati e decentralizzati viene a dipendere dalle skillacquisite da parte della forza lavoro.

Aghion - Tirole (1997), abbandonando l’ipotesi di obiettivi convergentitra principale e agente, danno avvio ad un approccio alternativo all’esamedell’allocazione del potere decisionale all’interno dell’impresa che concentral’attenzione sui problemi di incentivo. Nella loro analisi l’interesse del princi-pale a delegare il potere decisionale ai lavoratori dipende dai maggiori incen-tivi che ne scaturiscono: i lavoratori si impegnano maggiormente nella ricercadi informazioni sui progetti da implementare poiché sono liberi di scegliere iprogetti che massimizzano i propri benefici privati. Si viene così a creare untrade-off tra incentivi all’impegno dei lavoratori nell’attività di acquisizione diinformazioni e perdita di controllo sulle azioni da essi intraprese. Si dimo-stra, inoltre, che l’uso di sistemi incentivanti, favorendo l’allineamento degliobiettivi delle parti, consente la concessione di una maggiore autonomia de-cisionale.

Baker - Gibbons - Murphy (1999), adottando un’impostazione molto si-mile a quella proposta da Aghion e Tirole, esaminano i problemi relativi allacredibilità della delega del potere decisionale. Essi ritengono, infatti, che taledelega possa essere solo informale (il detentore dei diritti di proprietà hasempre facoltà di revocarla) e debba, quindi, essere garantita da contratti im-pliciti self-enforcing.

Interessanti risultati emergono anche dal lavoro di Zabojnik (2002) in cuisi discute la convenienza ad utilizzare un sistema decisionale decentralizzatononostante il principale disponga di informazioni migliori: l’agente potrebbeesercitare un maggior livello di impegno sui progetti che ha selezionato auto-nomamente poiché ad essi attribuisce una elevata probabilità di successo.

Un altro tipo di analisi, proposto da Rajan - Zingales (2001a), considera irischi di espropriazione che possono originare da diverse strutture organizza-tive assumendo che l’autorità dia la possibilità di entrare in contatto con lerisorse su cui è basata l’attività dell’impresa. Il sistema decentralizzato in cuiogni lavoratore interagisce direttamente con l’imprenditore limita il rischio diespropriazione, ma può avere effetti perversi sugli incentivi dei lavoratori adacquisire le competenze necessarie per lo svolgimento dell’attività in cui sonocoinvolti. Al contrario, il sistema gerarchico, in cui solo alcuni lavoratori in-

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teragiscono con l’imprenditore, mentre altri fanno riferimento ad un superio-re, comporta un maggior rischio di espropriabilità della risorsa.

Nei contributi esaminati l’autorità può prescindere dai diritti di proprie-tà. Al contrario, secondo la teoria dei diritti proprietari, sviluppata da Gros-sman - Hart - Moore, esiste un legame diretto tra allocazione dei diritti deci-sionali e diritti di proprietà sull’asset alla base dell’attività produttiva. Laproprietà conferisce sia il diritto al reddito residuale, sia il diritto a deciderel’impiego del bene oggetto di proprietà ponendo il soggetto titolare del dirit-to di proprietà in una relazione di comando rispetto alle controparti contrat-tuali. In presenza di contratti incompleti, l’assegnazione dell’autorità può ser-vire a proteggere gli investimenti specifici dall’opportunismo post-contrattua-le. Tuttavia, come si è spiegato in precedenza e come recentemente sostenutodagli stessi Hart - Moore (1999), non sempre il titolare del diritto di autoritàè in grado o ha convenienza ad esercitarlo.

Il lavoro di rassegna è organizzato nel modo seguente. Il secondo para-grafo discute la letteratura che, adottando l’ipotesi di obiettivi convergentitra gli agenti, confronta i sistemi decisionali centralizzati e decentralizzati inrelazione ai costi di acquisizione, elaborazione e comunicazione delle infor-mazioni, agli errori del processo decisionale e all’uso delle informazioni di-sponibili localmente. Il terzo paragrafo analizza l’influenza esercitata dalladotazione di capitale umano dei lavoratori sulla scelta della struttura organiz-zativa. Nel quarto paragrafo assumendo divergenza di obiettivi tra gli agentisi esamina l’influenza esercitata dall’allocazione del potere decisionale sullarisoluzione dei problemi di incentivo. Nel quinto paragrafo si consideranoquei lavori che analizzano congiuntamente il problema degli incentivi con lamaggiore disponibilità di informazioni a livello locale. Nel sesto paragrafosono esaminati i rischi di espropriazione che possono originare da diversestrutture organizzative. Il settimo paragrafo offre alcune considerazioni con-clusive.

2. Il trade-off tra coordinamento e uso delle informazioni decentralizzate

In questo paragrafo consideriamo alcuni lavori che, partendo dall’ipotesidi agenti con obiettivi convergenti, confrontano i vantaggi che derivano dastrutture informative verticali o orizzontali.

Gran parte dei lavori che esaminano le strutture organizzative come siste-mi informativi concentrano l’attenzione sui problemi di coordinamento chescaturiscono dalla necessità di elaborare numerose informazioni, richiedentil’intervento di più soggetti. Questi lavori ipotizzano processi di comunicazio-ne perfetti, pur se costosi, e individuano il sistema organizzativo ottimale te-nendo conto, a seconda dei lavori, dei ritardi nel processo decisionale, deicosti di acquisizione e elaborazione delle informazioni, dei costi di comunica-zione e dei vantaggi della specializzazione (Radner, 1992; 1993; Radner - VanZandt, 1992; Bolton - Dewatripont, 1994; Garicano, 2000).

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Una analisi approfondita di questi contributi esula però dagli obiettivi diquesto lavoro, poiché essi non interpretano il sistema organizzativo in rela-zione a rapporti di autorità, ma solo come network di comunicazione tra gliagenti. Di essi si offre una analisi molto semplificata, basata sul lavoro di La-zear (1995), in cui non si considerano i problemi derivanti dalla numerositàdelle informazioni necessarie al processo decisionale. Maggiore attenzione è,invece, dedicata ai lavori di Sah - Stiglitz (1986), Aoki (1986) e Ferreira -Sah (2001). Essi presentano dei punti di connessione con la letteratura cheesamina i problemi di coordinamento, sia perché ne condividono l’ipotesi diobiettivi convergenti tra gli agenti, sia perché considerano la struttura orga-nizzativa come un sistema informativo. I processi decisionali ipotizzati sonoperò basati su un numero limitato di informazioni, che possono essere elabo-rate da un unico soggetto e, quindi, più si avvicinano a contesti in cui è rile-vante il problema gerarchico.

2.1. Vantaggi di specializzazione e costi di comunicazione

La relazione esistente tra i vantaggi derivanti dalla specializzazione e i co-sti di comunicazione può essere esaminato facendo riferimento ad un model-lo molto semplice proposto da Lazear (1995)1.

Si ipotizzi che ciascuna impresa sia vincolata ad un processo produttivoche necessita di due lavoratori e che richiede lo svolgimento di due mansio-ni. L’impresa può scegliere un sistema decentralizzato in cui ciascun lavora-tore svolge entrambe le mansioni, oppure un sistema in cui ad ogni lavorato-re viene assegnato lo svolgimento di una sola mansione. Il sistema di multi-tasking permette di ottenere una unità di prodotto e non implica costi di co-municazione. Invece, la specializzazione determina un output pari aq = (1 + �)(1 – t), con �, t > 0, dove �, rappresenta i guadagni derivanti dallaspecializzazione, mentre t denota i costi che la specializzazione comporta intermini di comunicazione. La scelta di un sistema di multitasking o di specia-lizzazione dipende dal valore assunto da � e da t.

L’impresa decide di specializzarsi quando l’output derivante dalla specia-lizzazione è maggiore di quello che si ottiene in regime di multitasking, cioèquando risulta soddisfatta la seguente condizione:

(1) (1 + �)(1 – t) > 1 Æ � >

tt1

1 Tale relazione è stata per la prima volta evidenziata da un lavoro di Becker - Murphy(1992), in cui si dimostra che il grado di specializzazione del lavoro non è solo limitato dalladimensione del mercato, come sostenuto da Adam Smith e da molti altri economisti, ma an-che dai costi derivanti dal coordinamento dei lavoratori specializzati. Infatti, al crescere delladimensione del team aumentano i problemi di coordinamento e di comunicazione, ponendocosì un limite alla specializzazione.

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Le strutture maggiormente gerarchicizzate tendono a prevalere in impre-se che godono di ampie economie di specializzazione. Tali economie riesco-no a compensare i costi di comunicazione che si presentano quando coloroche prendono le decisioni devono comunicare le informazioni necessarie aipropri subordinati e quando i subordinati devono comunicare a coloro chesono incaricati delle decisioni le informazioni di cui dispongono.

Coerentemente a questo risultato, Greenan - Guellec (1998) sostengonoche l’attuale propensione da parte delle imprese ad utilizzare sistemi organiz-zativi che concedono ampia autonomia ai lavoratori è dovuta al fatto che leimprese tendono sempre più a produrre per mercati di nicchia per i quali ivantaggi derivanti dalla specializzazione sono contenuti.

Una riduzione nei costi di comunicazione favorisce, invece, la prevalenzadei sistemi gerarchici. Ciò pur essendo coerente con quanto avvenuto finoagli anni ’70, in cui alla riduzione dei costi di comunicazione, derivante dalmiglioramento del sistema delle comunicazioni, si è accompagnata una cre-scente centralizzazione dei sistemi organizzativi, non riesce ad interpretare larecente inversione di tendenza a favore della decentralizzazione, anch’essaavvenuta contemporaneamente ad una riduzione nei costi di comunicazionedovuta alla diffusione delle tecnologie informatiche.

Tuttavia, come suggerito dall’analisi di Bolton - Dewatripont (1994), l’at-tuale riduzione nei costi di comunicazione potrebbe favorire l’interazione di-retta degli agenti e togliere importanza all’attività di coordinamento svoltadal superiore. Questi autori considerano i benefici della specializzazione e icosti di comunicazione nel caso di una impresa impegnata ad elaborare nu-merose informazioni (l’analisi proposta da Lazear, pur condividendo l’ideaalla base del lavoro di Bolton - Dewatripont, non considera l’ipotesi adottatada questi autori secondo cui le informazioni necessarie ai processi decisionalinon possono essere analizzate da un unico soggetto). Essi dimostrano che aseconda della forma assunta dai rendimenti della specializzazione, risultanoottimali sia situazioni in cui più agenti processano la stessa coorte di infor-mazioni, sia situazioni in cui ciascuna coorte di informazioni viene elaboratada un unico agente. Nei sistemi in cui è prevista comunicazione i costi dellastessa vengono minimizzati facendo in modo che ogni agente comunichi leinformazioni che ha elaborato solo ad un altro agente e che un unico agentericeva tutte le informazioni che sono state elaborate dagli altri agenti (centra-lizzazione), evitando così duplicazioni nella comunicazione. Se però i costi dicomunicazione si riducono in maniera considerevole può prevalere la comu-nicazione diretta tra gli agenti. Essendo considerati numerosi soggetti si pos-sono instaurare processi di comunicazione orizzontale tra gli stessi piuttostoche canali di comunicazione verticali con superiori incaricati di ricevere le in-formazioni.

L’influenza esercitata dai costi di comunicazione sui sistemi gerarchici èconsiderata anche dal lavoro di Garicano (2000). A differenza dei lavori diRadner - Van-Zandt e Bolton - Dewatripont, in cui l’unico compito dei lavo-ratori e quello di elaborare informazioni, nell’analisi di questo autore si ipo-

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tizza una funzione di produzione che richiede sia attività lavorativa diretta-mente impiegata nel processo produttivo, sia conoscenze necessarie a risolve-re i problemi che si presentano durante tale processo.

I lavoratori possono apprendere la soluzione dei problemi che si trovanoad affrontare acquisendo direttamente informazioni e sostenendo un costo diacquisizione, che dipende proporzionalmente dall’intervallo di problemi sucui si ricercano informazioni, oppure richiedere l’intervento di altri soggettiche dispongono delle informazioni necessarie, sopportando un costo dovutoall’individuazione del soggetto che conosce la soluzione del problema che siè presentato e alla comunicazione della soluzione. Si delinea così una distin-zione tra costi di acquisizione delle informazioni e costi di comunicazione.L’autore dimostra che una riduzione dei costi di comunicazione determinaun minore potere decisionale da parte dei lavoratori occupati direttamentenel processo produttivo e un maggiore intervento da parte dei manager. In-vece, minori costi di acquisizione delle informazioni comportano un aumentodelle decisioni intraprese dai lavoratori collocati ai livelli inferiori della gerar-chia e una riduzione delle decisioni intraprese dai superiori. Essendo menofrequente l’intervento dei superiori, è possibile accrescere il numero di su-bordinati cui ciascun superiore fa capo. Inoltre, l’autore dimostra che la ri-duzione del costo di acquisizione delle informazioni può determinare, in al-cune particolari circostanze, una riduzione nel numero dei livelli gerarchicinecessari per risolvere un determinato set di problemi.

Questi risultati sono coerenti con alcune ricerche empiriche che mostra-no la recente tendenza da parte delle imprese ad utilizzare sistemi organizza-tivi caratterizzati da un aumento nel numero di subordinati per manager(Batt, 1996) e da una riduzione dei gradini della scala gerarchica (Osterman,1996; Rajan - Wulf, 2003).

2.2. Struttura organizzativa e errori nel processo decisionale

L’analisi proposta da Sah - Stiglitz (1986) considera un contesto caratte-rizzato da processi di selezione e comunicazione imperfetti e da agenti conobiettivi convergenti che hanno la possibilità di accedere ad informazioniuniformi. Gli autori esaminano due sistemi organizzativi, denominati rispetti-vamente poliarchia e gerarchia, e ne confrontano i vantaggi e gli svantaggi intermini di errori nel processo decisionale. Mentre nel sistema poliarchico ledecisioni vengono prese autonomamente da più soggetti, nel sistema gerar-chico esse competono ad un gruppo ristretto di agenti che godono dell’attivi-tà di supporto di altri soggetti. L’aspetto che viene esaminato riguarda l’in-fluenza esercitata da ciascuna delle strutture organizzative sulla qualità delledecisioni intraprese misurata in termini di minimizzazione della probabilitàdi rifiutare progetti buoni e di accettare progetti scadenti (rispettivamente er-rori di prima e di seconda specie).

L’obiettivo delle organizzazioni considerate è quello di selezionare dei

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progetti di investimento da un pool di progetti ex ante identici. Ciascuna or-ganizzazione è composta da due soggetti: secondo le ipotesi di Sah e Stiglitzil sistema poliarchico è costituito da due imprese che decidono autonoma-mente, mentre la gerarchia è composta da un subordinato, che propone larealizzazione di un certo progetto, e da un superiore che ha l’autorità di ap-provare o rifiutare il progetto proposto. Nonostante, il lavoro sia orientatoad interpretare il funzionamento di economie centralizzate e di mercato, essosi presta anche all’esame delle strutture organizzative interne alle imprese. Atale scopo, la poliarchia è qui intesa come un sistema decisionale decentraliz-zato in cui due agenti appartenenti alla stessa organizzazione decidono inmaniera autonoma.

I due soggetti operanti nella stessa struttura organizzativa dispongono diuna unica forma di comunicazione possibile consistente nella manifestazionedel giudizio (che può essere buono o cattivo) assegnato ai progetti esaminati.Tale ipotesi serve a cogliere l’idea secondo cui gli individui non sono mai ingrado di comunicare perfettamente le informazioni di cui dispongono.

Il processo di valutazione dei progetti ne rivela solo imperfettamente laqualità. La probabilità che un dato progetto sia giudicato positivamente vie-ne denominata funzione di selezione ed è indicata con p(x), 0 < p(x) < 1,dove x rappresenta il profitto atteso dal progetto. La derivata prima di p(x),indicata con px(.), è positiva, poiché un progetto con profitti più alti ha unamaggiore probabilità di essere accettato.

Se la capacità di selezione fosse perfetta i due sistemi organizzativi sareb-bero equivalenti. Invece, con una selezione imperfetta il sistema organizzati-vo influenza il tipo di errore in cui si incorre con maggiore frequenza. In unsistema poliarchico la probabilità che un progetto venga accettato èp(x) + [1 – p(x)]p(x) (dove il primo termine rappresenta la probabilità che ilprogetto venga accettato dall’agente che per prima lo esamina e l’altro termi-ne indica la probabilità che il progetto, scartato dal primo agente, venga ac-cettato dall’altro), mentre in una gerarchia tale probabilità è pari a [p(x)]2

(cioè alla probabilità che il progetto venga prima selezionato dal subordinatoe poi approvato dal principale).

Confrontando le due probabilità si può notare che in poliarchia la proba-bilità che un progetto venga accettato è più alta che in un sistema gerarchi-co, dato che p(x) < 1. Di conseguenza, una poliarchia accetta un più alto nu-mero di progetti, siano essi buoni o cattivi. Ciò significa che l’incidenza deglierrori di seconda specie (accettare progetti scadenti) è maggiore nel sistemapoliarchico, mentre il sistema gerarchico presenta un maggior numero di er-rori di prima specie (il rifiuto di progetti buoni).

Se i progetti che possono essere selezionati sono solo di due tipi (buoni,con x > 0, o cattivi, con x < 0) è possibile individuare le condizioni sotto lequali l’output derivante da un sistema è migliore rispetto a quello che scaturi-sce dall’altro sistema. La scelta del sistema organizzativo ottimale dipendedalla qualità del portafoglio di scelte iniziali. Quando il portafoglio iniziale ècostituito da un eguale numero di progetti buoni e cattivi, la poliarchia de-

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termina un output migliore se la probabilità di scartare un progetto buono(errore di prima specie) è maggiore della probabilità di accettare un progettocattivo (errore di seconda specie). Infatti, se una funzione di selezione hauna maggiore probabilità di rifiutare un progetto buono che di accettarneuno cattivo, allora la poliarchia determina risultati migliori. Man mano che lafrazione di progetti buoni contenuti nel portafoglio iniziale cambia, si defini-scono delle regioni in cui ciascuno dei due sistemi permette il conseguimentodel miglior output. Ad esempio, con un portafoglio di progetti in cui la fra-zione di progetti cattivi è più alta di quella di progetti buoni, si ha una per-formance peggiore per il sistema poliarchico. Ciò perché il vantaggio compa-rato del sistema gerarchico è quello di rifiutare progetti cattivi, mentre il van-taggio comparato del sistema poliarchico è quello di accettare progetti buoni.Se il portafoglio iniziale peggiora, allora il vantaggio derivante del rifiuto diprogetti cattivi è più rilevante. Lo stesso risultato si ottiene anche nel caso diun peggioramento della qualità delle informazioni disponibili.

Ne deriva, quindi, che le strutture gerarchiche tendono ad essere meno in-novative di quelle orizzontali, poiché le nuove idee hanno una maggiore proba-bilità di essere respinte. In contesti soggetti a forti cambiamenti e caratterizzatida una accresciuta competitività tra le imprese, come quelli che dominano leeconomie moderne, i costi derivanti dal rifiuto di nuove idee profittevoli (erro-ri di prima specie) potrebbero essere maggiori di quelli che scaturiscono dal-l’implementazione di progetti scadenti (errori di seconda specie). Ciò potrebbespiegare l’attuale tendenza a favorire sistemi organizzativi in cui il potere deci-sionale è decentrato. Tale fenomeno, alla luce dei risultati ottenuti da Sah eStiglitz, può essere interpretato anche facendo riferimento al miglioramentonelle informazioni disponibili che accresce l’importanza derivante dall’accetta-zione di progetti profittevoli rispetto al rifiuto di progetti scadenti.

L’analisi prima illustrata può essere soggetta ad una serie di estensioni.Gli autori considerano il caso in cui la probabilità che un progetto venga ac-cettato o rifiutato risulti endogenamente modificata in relazione al mix diprogetti alternativi. In genere, gli agenti che valutano i progetti fanno riferi-mento ad un profitto di riserva e accettano solo i progetti che raggiungonoquel livello di riserva. In tal caso, la probabilità che un progetto sia accettatoè crescente nella qualità del progetto e decrescente rispetto al livello di riser-va. Un aumento nel livello di riserva fa crescere la probabilità che un proget-to buono venga rifiutato e fa diminuire la probabilità che un progetto cattivosia accettato.

Gli autori dimostrano che il livello di riserva in una poliarchia è più altorispetto a quello scelto da un sistema gerarchico. Questo risultato dipendedal fatto che in un sistema gerarchico il lavoratore subordinato sa che le suedecisioni sono controllate dal superiore, che a sua volta tiene conto del fattoche i progetti che gli vengono proposti sono già stati esaminati da un altrosoggetto. Invece, in una poliarchia ciascun agente è consapevole che le pro-prie decisioni non sono sottoposte ad un ulteriore giudizio e che i progettisotto esame includono progetti rifiutati da altri agenti.

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Il confronto tra i due sistemi organizzativi risulta più complesso nel casoin cui la definizione dei livelli di riserva sia endogena in quanto essa puòneutralizzare alcuni degli effetti discussi in precedenza. Ad esempio, un peg-gioramento nella qualità delle informazioni, che può essere utilmente affron-tato attraverso il sistema gerarchico, può determinare un aggiustamento cosìsevero dei livelli di riserva per cui il vantaggio derivante dal sistema poliar-chico, consistente nella seconda possibilità che ciascun progetto ha di essereaccettato, è maggiore del vantaggio derivante dal secondo controllo offertodalla gerarchia2.

Oltre ad endogenizzare i livelli di riserva, gli autori discutono il caso incui le informazioni disponibili agli agenti sono endogene. Se si impegnanomaggiori risorse nell’acquisizione di informazione possono essere ottenuti se-gnali migliori relativamente alla qualità dei progetti. Una maggiore informa-zione ai livelli bassi della gerarchia migliora la qualità del portafoglio di pro-getti che deve essere valutato ai livelli gerarchici più alti, ma data la numero-sità dei progetti da valutare il costo che ne scaturisce è più elevato di quellonecessario per aumentare le informazioni ai livelli gerarchici più alti.

Un’ulteriore estensione può riguardare l’esame dell’influenza esercitatadal tipo di struttura organizzativa sull’impegno degli agenti nella selezionedei progetti: la probabilità che il progetto selezionato dal subordinato sia ef-fettivamente realizzato può influenzare gli incentivi dello stesso ad impegnar-si nell’attività di ricerca di informazioni relative ai diversi progetti. Questoproblema viene esaminato nel paragrafo 4, attraverso l’analisi dei lavori diAghion - Tirole (1997), e Baker - Gibbons - Murphy (1999). Invece, nelprossimo paragrafo, prescindendo da problemi di incentivo, consideriamo ilcaso in cui gli agenti facenti parte dell’organizzazione dispongano di informa-zioni eterogenee.

2.3. L’uso efficiente delle informazioni disponibili a livello locale

In molti casi le decisioni che devono essere prese da una organizzazionenecessitano di informazioni che sono disseminate in maniera eterogenea tragli individui che ne fanno parte. Alcuni lavoratori possono disporre di parti-colari informazioni poiché si trovano a più diretto contatto con le fonti dacui esse originano. Ad esempio, i lavoratori che curano le relazioni con iclienti possono essere meglio informati riguardo ai motivi di soddisfazione oinsoddisfazione degli stessi su un certo servizio o prodotto.

2 Una estensione del modello di Sah e Stiglitz è proposta da Ben Yashar - Nitzan (2001)in cui la selezione dei progetti è affidata ad un team che adotta una regola di maggioranzaqualificata. La regola decisionale è rappresentata dalla frazione K di agenti necessari per rifiu-tare un progetto. Ogni membro del team riceve un segnale ed ha un livello di riserva R cheindica la qualità del processo decisionale. Gli autori mostrano che K e R sono intercambiabili,suggerendo così una relazione inversa tra qualità delle decisioni e centralizzazione della strut-tura decisionale.

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L’uso efficiente di informazioni eterogenee è esaminato dalla teoria delteam proposta da Marschak - Radner (1972)3. Date le ipotesi di obiettivi con-vergenti tra gli agenti e di processi di comunicazione perfetti, questa teorianon esamina l’influenza esercitata dall’allocazione del potere decisionale tragli agenti sull’uso delle informazioni disponibili. Questa problematica è, inve-ce, stata recentemente esaminata sia in alcuni lavori che introducono l’ipotesidi obiettivi divergenti tra principale e agente (Prendergast, 2002; Zabojnik,2002), che illustriamo nel paragrafo 5, sia in analisi che considerano l’ipotesidi obiettivi convergenti, ma ipotizzano processi di comunicazione imperfetti(Aoki, 1986; Ferreira - Sah, 2001).

Il lavoro di Aoki (1986) confronta in termini di efficienza due diversestrutture informative tese a coordinare le decisioni intraprese da unità tecno-logicamente interdipendenti i cui costi sono incerti. Nella struttura informati-va di tipo gerarchico, il manager, che dispone del potere decisionale, ha co-noscenza perfetta sulle tecnologie adottate dalle diverse unità, ma non è ingrado di controllare in maniera perfetta e tempestiva il verificarsi di shockche influenzano queste tecnologie. Nella struttura informativa di tipo oriz-zontale le decisioni sono coordinate direttamente dalle singole unità. Questeultime, però, dispongono di conoscenza incompleta circa le tecnologie adot-tate dalle altre unità e diventano solo gradualmente capaci di utilizzare le mi-gliori informazioni di cui sono a conoscenza rispetto al verificarsi di shock.

L’autore considera un sistema composto da n unità tecnologicamente in-terdipendenti. Ad ogni unità viene assegnato un certo livello di produzionexi, i = 1 ... ... ..n, la cui realizzazione comporta un costo Ci(xi, �i) che dipen-de da xi e da una variabile casuale, �i, che rappresenta l’incertezza dei costi.L’obiettivo del sistema è quello di realizzare la produzione prefissata al mi-nor costo aggregato atteso.

Dopo aver individuato le condizioni ottimali sia nel caso in cui è possibi-le identificare perfettamente gli eventi imprevisti, che nel caso in cui talieventi non sono identificabili, l’autore procede all’esame di un sistema gerar-chico in cui colui che deve coordinare le decisioni dispone di un segnale im-perfetto degli shock. L’errore nella percezione degli shock modifica l’asse-gnazione della produzione a ciascuna unità e comporta un ritardo nell’imple-mentazione di questa decisione.

Il costo di produzione che ne scaturisce è confrontato con quello cheemerge da un sistema decisionale orizzontale. In questo caso, la capacità dicoordinamento delle singole unità è limitata sia a causa della carenza di co-

3 Questa teoria individua un sistema decisionale ottimale, data la disseminazione incom-pleta ed eterogenea dell’informazione. L’efficienza è valutata in termini di raggiungimento del-l’obiettivo dell’organizzazione nel suo complesso: gli agenti non fanno riferimento a funzionidi utilità individuali, ma massimizzano una unica funzione obiettivo di «team». I problemi dicoordinamento sono risolti grazie ad un processo di comunicazione perfetto, nel senso che èpossibile comunicare qualsiasi informazione, attraverso le istruzioni che un soggetto fornisceagli altri membri del team.

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noscenze sulle tecnologie utilizzate dalle altre unità, sia per la limitata capaci-tà iniziale di riconoscere gli shock che si manifestano. Solo attraverso un pro-cesso di learning by doing gli individui impegnati nell’attività di produzioneriescono ad identificare gli shock che si presentano e a formulare risposteadeguate.

L’efficienza relativa dei due sistemi dipende dal ritardo con cui i manageradattano le proprie decisioni all’emergere di eventi imprevisti, dal grado diimprecisione con cui tali eventi vengono percepiti, nonché dal tasso di ap-prendimento e dalla capacità iniziale dei lavoratori di riconoscere la naturadella tecnologia utilizzata nel processo produttivo e il modo in cui essa vieneinfluenzata dagli eventi che si manifestano.

Secondo l’analisi di Aoki le strutture organizzative meno gerarchiche emeno burocratizzate risultano più efficienti nel gestire situazioni caratterizza-te da una forte variabilità che richiedono alle imprese reazioni rapide. Inol-tre, la concessione di autonomia decisionale ai lavoratori, essendo favoritadalla loro capacità di apprendimento, dovrebbe essere più frequente nelleimprese che dispongono di forza lavoro con un elevato livello di istruzione oche partecipa ad attività di formazione on-the-job. Ciò potrebbe spiegare latendenza delle imprese, evidenziata da molti lavori empirici, ad accompagna-re i processi di decentramento del potere decisionale a programmi di forma-zione dei lavoratori (Cristini - Gaj - Leoni, 2003; Ichniowski - Shaw, 1995).

L’idea secondo cui i lavoratori appartenenti ad una organizzazione hannoaccesso ad informazioni e conoscenze diverse è presente anche nel lavoro diFerreira - Sah (2001). Questi autori ipotizzano che le conoscenze acquisitedagli individui possono essere misurate su due dimensioni: ampiezza e pro-fondità. Le limitate capacità cognitive fanno sì che coloro che vogliono ac-quisire conoscenze approfondite su qualche argomento debbano sopportareun sacrificio in termini di conoscenza su altri temi.

A partire da queste ipotesi viene esaminata una organizzazione che devedecidere se intraprendere o meno un certo progetto in base alle informazionifornite dai propri lavoratori. Quest’ultimi sono distinti in specialisti e genera-listi. I primi hanno conoscenze approfondite su una determinata area di atti-vità e riescono ad elaborare le informazioni che provengono direttamente daquell’area. I secondi, invece, hanno conoscenze riguardanti una ampia gam-ma di attività, ma poiché non sono in grado di elaborare direttamente le in-formazioni, fanno riferimento solo a quelle già elaborate dagli specialisti. Cia-scuno di questi lavoratori può inviare e ricevere informazioni su ogni attivitàsvolta dall’organizzazione; il processo di comunicazione è però imperfetto acausa delle conoscenze eterogenee. Mentre gli specialisti non sono in gradodi interpretare le informazioni relative ad aree diverse da quella in cui opera-no, i generalisti, pur se incapaci di osservare i segnali derivanti direttamenteda ciascuna area, sono in grado di elaborare e comunicare le informazioni ri-cevute dai lavoratori specialisti. Le conoscenze generali facilitano, quindi, ilprocesso di comunicazione.

Il problema della struttura organizzativa consiste nel decidere, con

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l’obiettivo di massimizzare i profitti attesi, quanti individui devono essere oc-cupati nell’organizzazione, il tipo di conoscenze che devono possedere, comedeve essere strutturato il processo di comunicazione e a chi assegnare il pote-re decisionale sui progetti da implementare.

In relazione al numero di attività di interesse per l’organizzazione e,quindi, del tipo di conoscenze rilevanti è possibile individuare il numero dispecialisti e di generalisti. L’informazione fluisce dagli specialisti ai generali-sti: i primi si trovano alla base della gerarchia, mentre i secondi si trovano alvertice.

Il modello proposto da Ferreira e Sah implica un trade-off tra centralizza-zione e decentramento delle decisioni. Nei sistemi centralizzati colui cheprende le decisioni ha informazioni poco approfondite su molte attività,mentre nel sistema decentralizzato colui che decide ha informazioni precisesu particolari attività. Il tipo di organizzazione che prevale dipende dall’im-portanza delle interazioni tra le diverse attività nella determinazione dei pay-off dell’organizzazione. La centralizzazione è più probabile quanto maggioreè l’incertezza sulle diverse attività (le informazioni a priori possedute daglispecialisti non sono sufficienti a intraprendere buone decisioni) e quanto mi-gliore è la tecnologia di comunicazione.

Questi risultati sono solo apparentemente in contrasto con quelli ottenutida Aoki in cui l’incertezza favorisce il decentramento. Si tratta, infatti, di undiverso tipo di incertezza: nel lavoro di Aoki essa coinvolge la singola attivitàproduttiva (e di conseguenza, favorisce la concessione del potere decisionaleagli agenti che hanno informazioni privilegiate sulla stessa), mentre nell’anali-si di Ferreira e Sah riguarda il complesso delle diverse attività intraprese dal-l’organizzazione (e di conseguenza, può essere gestita in maniera più adegua-ta dai soggetti preposti alle attività di coordinamento).

3. Decentralizzazione del processo decisionale e dotazione di capitale umano

Secondo Marsden - Ryan (1991) e Soskice (1993), l’autonomia decisiona-le dei lavoratori è facilitata quando essi godono di un livello di istruzioneelevato. Ciò perché in un sistema economico complesso, i lavoratori sono ingrado di decidere autonomamente solo se sufficientemente istruiti e, quindi,capaci di comprendere le informazioni rilevanti per il tipo di decisioni chedevono intraprendere. Solo le imprese la cui forza lavoro è sufficientementeistruita possono conferire potere decisionale ai propri lavoratori ed adottareuna struttura scarsamente gerarchicizzata4. Invece, le imprese in cui il livellodi istruzione dei lavoratori è basso adottano una struttura organizzativa cheassegna a questi lavoratori lo svolgimento di mansioni prevalentemente ese-

4 Inoltre, i lavoratori maggiormente istruiti tendono a prediligere sistemi di gestione mag-giormente improntati alla democrazia.

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cutive, mentre affida a soggetti maggiormente istruiti le mansioni che coin-volgono decisioni complesse.

Caroli - Greenan - Guellec (2001) sostengono che la disponibilità di mol-ti lavoratori istruiti sul mercato del lavoro, riducendone il costo salariale, in-centiva le imprese ad impiegarli sia nello svolgimento di mansioni esecutiveche di ideazione e decisione. L’economia considerata è composta da due tipidi lavoratori: skilled e unskilled. L’attività di produzione richiede lo svolgi-mento di due diverse mansioni da parte dei lavoratori: una di natura cono-scitiva e l’altra di natura esecutiva. Il sistema organizzativo è caratterizzatodal modo in cui i lavoratori skilled e unskilled sono combinati tra loro. Leimprese possono scegliere tra un sistema organizzativo centralizzato in cui leattività di iniziativa ed esecuzione sono separate (con i lavoratori skilled spe-cializzati nelle attività di ideazione e quelli unskilled in quelle esecutive) e unsistema decentralizzato in cui ciascun lavoratore, indipendentemente dal li-vello di skill, svolge sia attività di iniziativa che di esecuzione.

Il processo di produzione combina le attività di ideazione e quelle di ese-cuzione nel seguente modo:

(2) yt = Am�l1 – �

dove y rappresenta la produzione, A un parametro legato al progresso tecni-co, m le attività di iniziativa e l le attività esecutive.

Si ipotizza che i lavoratori skilled siano più produttivi in entrambe le atti-vità, m e l: essi hanno non solo una maggiore capacità di concepire e adatta-re piani di produzione, ma sono anche più produttivi nello svolgimento diattività esecutive. Indicando con � e � rispettivamente la produttività dei la-voratori nelle attività m e l si ha:

(3) �s > �u e �s > �u

dove gli apici s e u identificano rispettivamente i lavoratori skilled e unskil-led.

Inoltre, si assume che i lavoratori skilled abbiano un vantaggio comparatonello svolgimento delle attività di ideazione m:

(4)

��

��

s

u

s

u>

Nel sistema centralizzato, indicato con C(u, s), i lavoratori skilled svolgo-no esclusivamente attività m, mentre i lavoratori unskilled sono impegnatinelle attività l. Al contrario, nel sistema decentralizzato ciascun lavoratorecompie sia attività di ideazione che di esecuzione. In questo sistema possonoessere occupati solo lavoratori unskilled D(u), solo lavoratori skilled D(s), op-pure sia lavoratori skilled che unskilled, D(u, s).

Per poter scegliere il sistema organizzativo da utilizzare l’impresa deveconfrontare il profitto derivante dalle alternative disponibili. Dal punto di vi-sta dell’efficienza tecnica risulta che:

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(5) D(u) < D(u, s) < C(u, s) < D(s)

Poiché i lavoratori skilled sono più produttivi sia nelle attività di esecu-zione che in quelle di ideazione è efficiente assegnare loro entrambe le man-sioni. Inoltre, il sistema D(u, s) è sempre dominato da quello C(u, s), poichéquest’ultimo permette di sfruttare il vantaggio comparato sia dei lavoratoriskilled che unskilled.

Tuttavia, per l’efficienza economica è necessario considerare il costo intermini salariali di ciascuna categoria di lavoratori. L’impresa adotta unastruttura gerarchica decentralizzata con soli lavoratori skilled, se il costo ad-dizionale in termini di salario wS/wu associato a tali lavoratori è minore delguadagno in termini di produttività sia nelle attività di esecuzione che inquelle di ideazione. Essa sceglie, invece, una struttura centralizzata quando ilvantaggio in termini di produttività è tale da compensare il costo addizionalein termini di salario per le attività di ideazione, ma non per quelle di esecu-zione. Infine, se i vantaggi di efficienza non compensano il maggior salariorichiesto dai lavoratori skilled in nessuna delle due attività si fa ricorso ad unsistema decentralizzato che impiega solo lavoratori unskilled.

A partire da questi risultati, è possibile individuare, in relazione all’offer-ta di lavoratori skilled, un pattern nelle strutture organizzative efficienti.Quando l’offerta di questi lavoratori è bassa, le imprese tendono ad utilizzareun sistema decentralizzato D(u). Man mano che l’offerta dei lavoratori skilledaumenta si determina una riduzione salariale per cui il maggior costo di que-sti lavoratori rispetto a quelli unskilled è compensato pienamente dal vantag-gio in termini di produttività ottenuto dal loro impiego nello svolgimentodelle attività di ideazione, portando così ad un sistema centralizzato, C(u, s).Solo un consistente aumento nell’offerta di questi lavoratori ne riduce il sala-rio in maniera sufficiente da renderne conveniente l’impiego in entrambe lemansioni secondo una struttura organizzativa decentralizzata, D(s).

Secondo gli autori questo pattern può efficacemente rappresentare i cam-biamenti intervenuti nel corso della storia nell’organizzazione del lavoro.Nella fase in cui il livello di istruzione della forza lavoro era basso, molteeconomie risultavano caratterizzate dalla presenza di piccole imprese, soprat-tutto agricole o artigiane, in cui i lavoratori godevano di ampia autonomia(sistema D(u)). Nel diciannovesimo e ventesimo secolo si è assistito ad un in-cremento del livello di istruzione accompagnato dalla diffusione di impresebasate sulla divisione verticale del lavoro C(u, s). Negli ultimi anni il livellodi istruzione della forza lavoro è ulteriormente cresciuta e si è assistito al-l’emergere di una nuova tendenza che favorisce il decentramento e l’autono-mia dei lavoratori5.

5 L’ipotesi secondo cui all’aumentare della quota di forza lavoro istruita aumenta la pro-babilità di adozione di new-work practices da parte delle imprese trova supporto nell’analisiempirica realizzata dagli autori utilizzando i dati di una indagine francese (REPONSE) sulcambiamento organizzativo.

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Quest’ultimo passaggio, dovuto anche alla diffusione di nuove tecnologieche facilitano l’acquisizione e la comunicazione di informazioni, è quello cherisulta più difficilmente interpretabile dal modello teorico esaminato, basatoesclusivamente sull’accrescimento del livello di istruzione della forza lavoro.Si noti anche che, una maggiore istruzione da parte dei lavoratori, non soloaumenta la loro capacità di formalizzare e codificare conoscenze, ma incidein maniera rilevante anche sui costi di comunicazione. Gli individui sono, in-fatti, in grado di recepire e trasferire con maggiore facilità le informazionicon cui vengono a contatto. Pertanto, come sostenuto dagli stessi autori, sa-rebbe interessante integrare il loro approccio basato sull’autonomia dei lavo-ratori in modo da tener conto dei costi di comunicazione6.

4. Obiettivi divergenti e trade-off tra incentivi e perdita di controllo

Aghion - Tirole (1997) propongono un approccio alternativo all’esamedei sistemi organizzativi basato sull’ipotesi che l’agente persegua obiettivi pri-vati che si discostano da quelli perseguiti dal principale. Gli incentivi diven-tano il punto centrale dell’analisi, poiché il comportamento dell’agente risultamodificato in relazione alla discrezionalità di cui dispone.

Questi autori definiscono il potere decisionale in termini di autorità for-male e sostanziale. L’autorità formale consiste nel diritto ad intraprendere al-cune decisioni e nell’approvare o modificare le proposte effettuate da un al-tro agente. Tale diritto si traduce in autorità sostanziale solo se il soggettoche ne gode dispone delle informazioni necessarie per intervenire effettiva-mente nelle decisioni. In caso contrario, l’autorità sostanziale è esercitata daun soggetto diverso rispetto a quello che ne ha il diritto formale. Ad esem-pio, in molte circostanze il superiore, pur avendo l’autorità formale, non di-spone di informazioni adeguate per valutare l’opportunità di alcune scelte e

6 Harris - Raviv (1999) individuano, invece, un pattern nella struttura organizzativa adot-tata dalle imprese in relazione al processo di crescita delle stesse. Questi autori esaminano lascelta della struttura organizzativa in relazione al costo delle conoscenze necessarie per coordi-nare le diverse attività intraprese dall’organizzazione e al beneficio che scaturisce dalla funzio-ne di coordinamento. Se il costo del coinvolgimento dell’imprenditore (o del CEO) viene inte-so in relazione alla dimensione e alla complessità dell’impresa è possibile individuare una sortadi ciclo di vita della struttura organizzativa: quando le dimensioni dell’impresa sono ridottetende a prevalere una struttura piatta e centralizzata (con pochi manager intermedi e fortecoinvolgimento del proprietario nelle attività di coordinamento), mentre man mano che l’im-presa cresce il coinvolgimento del proprietario si riduce e il numero dei manager intermediaumenta. La catena gerarchica ottimale viene esaminata anche da Hart - Moore (1999). Comenel lavoro del 1990 l’autorità decisionale viene assegnata ai proprietari dell’impresa, tuttaviaessi per mancanza di tempo o di capacità non sono in grado di esercitarla su tutte le questionirilevanti e la delegano ad altri soggetti. La catena gerarchica ottimale viene individuata facen-do riferimento all’ipotesi secondo cui la probabilità di concepire idee sull’utilizzo degli asset èdecrescente rispetto al numero di asset che l’individuo controlla.

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lascia decidere i propri subordinati limitandosi a ratificare le proposte cheessi avanzano.

La delega del potere decisionale all’agente viene esaminata da Aghion eTirole utilizzando un modello uniperiodale che ipotizza una struttura gerar-chica composta da un superiore e da un subordinato. Quest’ultimo si impe-gna nella raccolta di informazioni relative a progetti da proporre al principa-le che, a sua volta, può decidere quanto impegnarsi nella ricerca di informa-zioni relative ai potenziali progetti. Ciascun progetto incide sull’utilità delprincipale e dell’agente; quest’ultimo può derivare dalla realizzazione deiprogetti vantaggi privati da intendersi in termini di prospettive di carriera,piacevolezza delle attività da svolgere ecc. Poiché l’agente ha interesse a pro-porre i progetti che massimizzano il proprio pay-off privato, il progetto rac-comandato non comporta il maggior beneficio possibile per il principale.

L’autorità formale può essere detenuta dal principale (P-formal authority)o dall’agente (A-formal authority). Mentre nel primo caso il principale puòmodificare le decisioni dell’agente, nel secondo egli non può intervenire percambiarne le scelte.

L’autorità formale da parte del principale si traduce in autorità sostanzia-le quando egli è ben informato e può, quindi, scegliere il progetto che massi-mizza il proprio pay-off. Al contrario, il subordinato detiene l’autorità sostan-ziale quando il principale, non essendo ben informato, tende ad avallare lesue decisioni per paura di scegliere autonomamente progetti che determina-no un risultato peggiore7.

Il progetto preferito dal principale determina un pay-off pari a B, mentreil progetto preferito dall’agente determina un pay-off pari a b. Se viene sceltoil progetto preferito dal principale, l’agente riceve un pay-off atteso pari a �b,se, invece, viene scelto il progetto preferito dall’agente allora il pay-off attesodal principale è pari �B, dove i parametri � e � hanno valori compresi tra 0e 1 e rappresentano la congruenza tra gli obiettivi dei due soggetti.

Il principale è neutrale al rischio e ha utilità pari a Bk – w, dove Bk è ilpay-off derivante dal progetto k, mentre w è il salario pagato all’agente cheessendo infinitamente avverso al rischio percepisce un salario costante e coin-cidente con il proprio salario di riserva (per semplicità ipotizzato pari azero). L’utilità che egli riceve quando viene realizzato il progetto k è pari abk + w.

Si ipotizza che l’agente raccolga informazioni sui progetti realizzabili eche, con un costo privato pari a gA(e), egli riesca con probabilità e ad avereperfetta informazione sui pay-off di tutti i potenziali progetti, mentre con

7 Ciò dipende dall’ipotesi adottata nel corso del lavoro secondo cui almeno uno dei po-tenziali progetti determina, per ciascuno dei due agenti, un pay-off sufficientemente negativo etale da indurre la parte non informata ad ammettere le propria ignoranza e, quindi, nel casodell’agente a non suggerire la realizzazione di alcun progetto e nel caso del principale a nonscegliere autonomamente alcun progetto.

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probabilità 1 – e egli non riesce ad acquisire alcuna informazione utile allavalutazione dei progetti. Similmente, il principale sostenendo un costo pari agp(E) diventa, con probabilità E, perfettamente informato sui pay-off di tutti ipotenziali progetti, mentre con probabilità 1 – E non riesce ad avere alcuna in-formazione. Le funzioni gA(e) e gp(E) rispettano l’usuale ipotesi di convessità.

L’autorità formale è inizialmente assegnata ad uno dei due soggetti. Inseguito essi acquisiscono informazioni relative ai pay-offs dei diversi progettie colui che non ha autorità formale (se ha informazioni sufficienti), proponela realizzazione di un particolare progetto al soggetto che dispone di autoritàformale. Quest’ultimo decide, in base alle proprie informazioni e a quelle co-municate dall’altro agente, il progetto da implementare.

Nel caso in cui l’autorità formale sia in mano al principale (P-formal au-thority), egli ottiene la seguente utilità:

(6) up = EB + (1 – E)e�B – gp(E)

Con probabilità E il principale è informato e sceglie il progetto che ritie-ne migliore. Con probabilità (1 – E)e, il principale non è informato, mentrel’agente ha piena informazione e sceglie il suo progetto preferito, determi-nando un pay-off atteso di �B per il principale. Con probabilità (1 – E)(1 – e)nessuno dei due agenti è informato e non viene implementato alcun proget-to.

L’utilità per l’agente, se il principale dispone di autorità formale, è pari a:

(7) uA = E�b + (1 – E)eb – gA(e)

Infatti, con probabilità E il principale è informato e sceglie il progettoche preferisce, determinando un pay-off atteso per l’agente pari a �b, mentrecon probabilità (1 – E)e il principale non ha alcuna informazione, mentrel’agente è informato ed ottiene un pay-off pari a b.

Per comprendere quali saranno le scelte del principale e dell’agente in re-lazione al livello di impegno si possono individuare le curve di reazione defi-nite dalle seguenti condizioni di primo ordine:

(8) (1 – �e)B = g¢p(E)

(9) (1 – E)b = g¢A(e)

Si può notare che il principale decide di raccogliere maggiori informazio-ni quanto più alto è il beneficio, B, che può ottenere e quanto minore è ilparametro di congruenza, �, tra i propri obiettivi e quelli dell’agente. Invece,l’agente mostra maggiore iniziativa quanto maggiore è il proprio beneficioprivato, b, e minore l’interferenza del principale, (1 – E).

Nel caso in cui l’autorità formale sia delegata all’agente (A-formal authori-ty) il suo pay-off e quello del principale sono rispettivamente:

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(10) upd = e�B + (1 – e)EB – gp(E)

(11) uAd = eb + (1 – e)E�b – gA(e)

Le condizioni di primo ordine sono:

(12) (1 – e)B = g¢p(E)

(13) (1 – �E)b = g¢A(e)

Dal confronto delle condizioni di primo ordine individuate nel caso di P-formal-authority e di A-formal-authority si può notare che l’effort scelto dalprincipale è maggiore nel primo regime di autorità, mentre l’impegno del-l’agente è maggiore nel secondo. La delega dell’autorità all’agente incrementala sua iniziativa: poiché il principale non può interferire nelle scelte, l’agenteè incentivato ad impegnarsi maggiormente nella raccolta di informazioni. Ilcosto di questa maggiore iniziativa è da individuarsi nella perdita di controllosulla scelta dei progetti.

Pertanto, in base a questa analisi, il principale è indotto a mantenerel’autorità formale quando è ben informato, poiché in questa circostanza l’ini-ziativa del dipendente è secondaria. La centralizzazione dell’autorità nellemani del principale è favorita anche quando i costi associati alla perdita dicontrollo sono elevati (la presenza di un elevato pay-off B per il principale neaumenta l’interferenza e riduce l’iniziativa dell’agente) e quando il principaleè affidabile (nel senso che effettua scelte che garantiscono un elevato pay-offanche per l’agente).

Coerentemente al risultato ottenuto da Riordan (1990) e Crémer (1995),si mostra che la disponibilità di buone informazioni da parte del principalepuò produrre risultati controproducenti poiché contribuisce a ridurre l’ini-ziativa dell’agente. Questo problema può essere evitato attraverso la conces-sione dell’autorità formale all’agente, oppure attraverso altri sistemi che, purlasciando la delega formale al principale, tendono ad aumentare l’autoritàreale dell’agente. Ad esempio, Aghion e Tirole dimostrano che per l’impresaè conveniente una situazione in cui il principale controlla un ampio numerodi subordinati poiché ciò le permette di vincolarsi a lasciare l’iniziativa al-l’agente e quindi a premiarne l’impegno. Infatti, gli elevati costi sopportatidal principale garantiscono un suo moderato controllo sulle attività svolte da-gli agenti. L’autorità sostanziale dell’agente viene favorita anche dall’urgenzadelle decisioni e dalla delega dell’autorità formale ad un terzo soggetto cheha obbiettivi intermedi tra quelli dell’agente e quelli del principale. L’inter-vento di questo soggetto permette al principale di aumentare gli incentividell’agente, poiché i costi attesi da esso in caso di privazione del potere deci-sionale si riducono, e allo stesso tempo di limitare i costi derivanti dalla per-dita di controllo sulle decisioni intraprese.

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Gli attuali cambiamenti nei sistemi organizzativi potrebbero, quindi, di-pendere dal fatto che le informazioni disponibili al principale non risultanoadeguate a formulare decisioni in situazioni caratterizzate da forte complessi-tà e in cui le variabili rilevanti sono soggette a mutamenti frequenti e scarsa-mente prevedibili. Come detto in precedenza, se le informazioni disponibilial principale sono scarse è conveniente che egli conceda potere decisionaleall’agente, poiché non sarebbe comunque in grado di modificarne utilmentele decisioni.

Il lavoro di Aghion e Tirole fornisce indicazioni anche per interpretarel’evidenza empirica secondo cui la maggiore autonomia dei lavoratori è spes-so associata all’uso di sistemi incentivanti. Si dimostra che nel caso in cuil’autorità formale competa al principale, l’uso di sistemi incentivanti è com-plementare ad una maggiore delega dell’autorità reale all’agente. Infatti, gliincentivi che fanno dipendere la compensazione dell’agente dall’implementa-zione di progetti graditi al principale, favorendo l’allineamento degli obiettividelle parti, consente la concessione di una maggiore autonomia decisionale

La delega dell’autorità all’agente, oltre ad esercitare un effetto positivosugli incentivi, può anche facilitare la partecipazione del lavoratore al con-tratto. Una maggiore discrezionalità, determinando un incremento nell’utilitàdell’agente, permette al principale di pagare un salario più basso o di recupe-rare autorità su altre decisioni. In questo caso, l’attribuzione dell’autorità for-male dipende dalla disponibilità a pagare da parte dei due agenti: se le deci-sioni sono relativamente poco importanti per il principale allora è opportunodelegarle all’agente, è preferibile, invece, non delegare le decisioni per cuinon è possibile dare fiducia all’agente (oppure per le quali l’agente può fi-darsi del principale)8.

4.1. Distorsioni strategiche nella comunicazione

I processi di comunicazione tra gli agenti, oltre a comportare dei costi ead essere imperfetti, possono essere soggetti a distorsioni strategiche. Ciò si-gnifica che gli individui possono decidere di non comunicare alcune informa-zioni o comunicare informazioni diverse da quelle raccolte se tale comporta-mento può essere utile al perseguimento dei loro interessi privati.

Aghion - Tirole (1997) mostrano che questo tipo di distorsione nel pro-cesso di comunicazione può essere influenzato dall’allocazione dell’autoritàtra gli agenti. Nell’ambito del modello prima presentato, gli autori ipotizza-no che l’agente possa comunicare informazioni che riducono i costi margina-

8 Questo risultato è coerente a quanto evidenziato dalla letteratura sociologica (Pfeffer -Salancik, 1978; Tushman - Romanelli, 1985). Rotemberg (1994) dimostra, invece, che vi pos-sono essere circostanze in cui non è ottimale concedere il potere decisionale all’individuo conla più alta disponibilità a pagare per ottenere questo diritto.

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li sostenuti da principale nella sua attività di valutazione dei progetti. La co-municazione di informazioni da parte dell’agente fa, quindi, spostare versol’alto la curva di reazione del principale, determinandone un più intenso im-pegno nell’acquisizione di informazioni. L’agente cui è stata assegnata auto-rità formale accoglie favorevolmente la disponibilità di maggiori informazio-ni da parte del principale, poiché essa permette di beneficiare del pay-off,�b, derivante dai progetti suggeriti dal principale quando l’attività di acqui-sizione di informazioni da parte dell’agente non ha permesso l’individuazio-ne di alcun progetto. Pertanto, egli è incline a fornire tutte le informazioniche possono essere utili al principale. Al contrario, se l’agente non disponedi autorità formale, avrà convenienza a fornire informazioni al principalesolo quando il vantaggio derivante dai progetti intrapresi dal principale, �b,è maggiore dei benefici attesi dalla disponibilità di autorità reale, eb. L’im-patto dell’assegnazione dell’autorità formale sulla comunicazione tra agente eprincipale dipende, quindi, dal grado di congruenza tra gli obiettivi perse-guiti dalle due parti.

L’effetto prodotto sulla struttura organizzativa dalle distorsioni che pos-sono caratterizzare il processo di comunicazione tra principale e agente vieneconsiderato anche in un lavoro di Prendergast (1993), il quale concentra l’at-tenzione sulle distorsioni che possono derivare da un meccanismo di valuta-zione soggettiva della performance come forma di incentivo all’acquisizionedi informazioni da parte dei lavoratori. Quest’ultimi vengono retribuiti inbase ad un sistema che confronta le informazioni che essi forniscono conquelle del manager9. Ciò però implica la tendenza da parte dei lavoratori,qualora dispongano di qualche segnale sulle informazioni disponibili al ma-nager, ad uniformarsi ad esse, generando così un processo decisionale ineffi-ciente. Infatti, i lavoratori distorcono le informazioni riferite al manager inbase a quello che loro credono il manager voglia ascoltare (il manager nonpuò inferire il segnale privato dei lavoratori). A causa della distorsione concui i lavoratori comunicano le proprie informazioni, si realizza un sistema or-ganizzativo più centralizzato in cui si riduce il peso assegnato alle opinionidei subordinati.

Mentre nel lavoro di Prendergast la struttura gerarchica è definita a prio-ri e la distorsione nei processi di comunicazione influenza solo il peso asse-gnato all’opinione di manager e subordinati, un’analisi più recente di Dessein(2002) considera la delega come alternativa alla comunicazione.

La distorsione nel processo di comunicazione in Prendergast è dovuta altipo di sistema incentivante utilizzato, mentre in Dessein il principale el’agente hanno obiettivi che si differenziano in maniera sistematica e prevedi-

9 Non sempre è possibile basare il sistema degli incentivi su una misura oggettiva dellaqualità delle informazioni raccolte dai subordinati: le informazione necessarie a tale scoposono solitamente disponibili solo dopo l’implementazione dei progetti e i contratti basati sul-l’informazione futura non sono facilmente realizzabili. Molto più frequente è l’uso di incentiviche dipendono dalla valutazione soggettiva dei managers.

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bile10. Il principale, conoscendo il tipo di distorsione che influenza le sceltedell’agente, non approva il progetto da questi raccomandato, ma agisce te-nendo conto della distorsione che ne caratterizza il comportamento. Ciò èanticipato dall’agente che in risposta rende la propria comunicazione strate-gica e disturbata. Il trade-off che si viene a stabilire è, quindi, tra perdita dicontrollo nel caso di delega e perdita di informazione nel caso di comunica-zione.

Se il principale mantiene i diritti decisionali e consulta l’agente per avereinformazioni, si viene a determinare un gioco di comunicazione strategica(Crawford - Sobel 1982). L’incongruenza tra le preferenze del principale equelle dell’agente fa sì che la comunicazione determini una perdita di infor-mazione: il processo di comunicazione migliora man mano che la differenzanelle preferenze si riduce. La delega dell’autorità comporta, invece, una per-dita di controllo poiché l’agente prende decisioni che sistematicamente diver-gono da quelle efficienti. Anche in questo caso, la perdita di controllo si ri-duce quando la divergenza tra le preferenze si attenua.

Se la distorsione nelle preferenze dell’agente è molto forte, non è possibi-le realizzare alcuna comunicazione che fornisca informazioni corrette; d’altraparte, neanche la delega è ottimale in quanto l’agente si discosta ampiamentedagli obiettivi del principale. Di conseguenza, il manager si trova costretto aintraprendere decisioni senza avere informazioni adeguate. Quando il biasdell’agente si riduce, il processo di comunicazione migliora ed è più probabi-le che la comunicazione tra gli agenti fornisca informazioni di supporto alledecisioni.

Questo tipo di analisi è strettamente collegata a quei lavori che esamina-no le diverse strutture organizzative tenendo conto delle distorsioni che pos-sono generare in termini di costi di influence. In base alle argomentazionifornite da Milgrom - Roberts (1990) e Meyer - Milgrom - Roberts (1992) lapresenza di sistemi fortemente gerarchici è accompagnata da ingenti costi diinfluence, poiché all’aumentare dei livelli gerarchici aumentano i soggetti suiquali è possibile orientare tali attività.

Inderst - Muller - Warneryd (2003) giungono, invece, alla conclusioneopposta: le strutture maggiormente gerarchicizzate sono caratterizzate da co-sti di influence inferiori rispetto a quelli presenti in organizzazioni scarsa-mente gerarchiche. Più precisamente, gli autori dimostrano che al fine di mi-nimizzare i costi di influence è preferibile un sistema che prevede due livelligerarchici piuttosto che uno. Nel caso in cui l’impresa abbia due livelli gerar-chici, ciascun individuo facente parte ad una certa divisione deve effettuareattività di influence sia a livello più alto (top manager), in modo da assicura-

10 Bias di questo genere sono ampiamente considerati dalla letteratura sulle relazioni diagenzia che ha sottolineato da un lato la propensione dei manager a far crescere le proprie di-visioni oltre la dimensione ottimale e a perseguire obiettivi di breve periodo e dall’altro la ten-denza dei lavoratori a preferire i progetti in relazione alle prospettive di carriera che ne scatu-riscono.

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re una ampia fetta del budget complessivo alla divisione di appartenenza, siaa livello più basso (manager divisionale) in maniera da ottenere una parteadeguata della porzione di budget assegnata alla propria divisione. Ciascunsoggetto ha convenienza a fare free-riding rispetto alle attività di influence ri-volte all’ottenimento di risorse comuni (destinate alla divisione): tali attivitàhanno effetto benefico non solo sul soggetto che le esercita, ma anche su tut-ti gli altri individui facenti parte della stessa divisione. Di conseguenza, incaso di un sistema gerarchico a più livelli le attività di influence dirette al li-vello più alto della gerarchia tendono ad essere inferiori a quelle che si osser-vano con un sistema gerarchico piatto.

4.2. Il problema della credibilità della delega

L’analisi proposta da Aghion e Tirole viene ripresa in un lavoro di Baker- Gibbons - Murphy (1999) che, utilizzando un modello multiperiodale, esa-mina il ruolo svolto dalla reputazione degli agenti nella delega dell’autoritàreale. A differenza di quanto ipotizzato da Aghion e Tirole, in questa analisil’autorità formale risiede sempre ai vertici aziendali: «The boss can restrictthe subordinate’s actions, overturn his decisions, and even fire him... unlessthe boss’s boss objects, in which case the boss herself may be fired... Formalauthority resides at the top» (Baker - Gibbons - Murphy, pp. 56). L’autoritàconferita ai managers o ai lavoratori subordinati è solo informale, in quantole decisioni prese da questi agenti possono sempre essere modificate dai ri-spettivi superiori. Poiché si tratta di una delega di tipo informale c’è il ri-schio che essa possa essere ritirata ex post. Per esaminare tale aspetto, gli au-tori considerano due circostanze caratterizzate rispettivamente da un princi-pale ex ante informato sui pay-off dei vari progetti e da un principale chesolo dopo l’implementazione dei progetti ne scopre il pay-off.

Quando il principale è ex ante informato può intervenire e bloccare lascelta dell’agente se essa non coincide con quella per lui ottimale; l’agenteanticipando questo comportamento esercita un impegno inferiore a quelloche avrebbe esercitato se avesse avuto autonomia decisionale. Questo proble-ma può essere risolto attraverso un meccanismo reputazionale basato sulla ri-petizione della relazione tra le parti. Il principale, allo scopo di incentivarel’iniziativa dell’agente, può delegargli l’autorità promettendogli di ratificaretutti i progetti che egli deciderà di proporre. Qualora il principale non ri-spetti la sua promessa, l’agente potrà sanzionarlo riducendo, nei periodi suc-cessivi, il suo impegno nella ricerca di informazioni. La promessa del princi-pale risulta credibile solo se il costo che egli sopporta in termini di perdita direputazione (scarso impegno dell’agente nei periodi futuri) è maggiore delcosto immediato derivante dall’implementazione di un progetto per lui nonottimale. La fattibilità della delega dipende dal costo e dal beneficio attesodalla stessa.

Un problema differente emerge qualora il superiore non sia ex ante infor-

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mato sul risultato dei progetti. In tal caso, il superiore può promettere di ra-tificare qualsiasi progetto proposto dal subordinato e minacciare di ritirare ladelega se i risultati conseguiti non sono soddisfacenti. La mancanza di infor-mazioni da parte del superiore modifica il soggetto che è sottoposto alla ten-tazione di rinnegare gli impegni presi. In tale contesto, diventa rilevante lareputazione del subordinato di usare correttamente il potere di delega con-cessagli: la sua tentazione di abusare dell’autorità conferita può essere frenatadalla paura di perderla in futuro. Tuttavia, poiché l’agente si vincola a sugge-rire solo i progetti ottimali per il superiore, viene meno ogni incentivo legatoalla possibilità di perseguire interessi privati. Di conseguenza, mentre nelcaso di perfetta informazione da parte del principale, prima discusso, cosicome nella formulazione di Aghion e Tirole, la delega del potere decisionaleall’agente ne favorisce l’impegno, pur comportando un costo in termini diperdita di controllo, adesso, poiché l’agente si vincola a perseguire solo gliinteressi del principale, tale costo non è più rilevante, ma viene meno anchel’incentivo dell’agente a prestare un elevato impegno. Tale problema è risoltodagli autori ricorrendo al pagamento di un salario di efficienza: per timore diperdere tale salario il lavoratore pur disponendo di delega non la esercita perperseguire interessi privati, ma si impegna per individuare i progetti che mas-simizzano l’utilità del principale.

5. Contratti incentivanti e informazione eterogenea

Alcuni recenti studi, dovuti a Prendergast (2002) e Zabojnik (2002), al-l’interno di un modello principale-agente, considerano l’ipotesi di agenti chedispongono di informazioni eterogenee, assumendo, come in Aoki (1986),che i lavoratori direttamente coinvolti nelle attività produttive dispongono diinformazioni migliori di quelle disponibili al principale.

Prendergast (2002), prendendo spunto dalla mancanza di evidenza empi-rica attestante la relazione negativa, individuata dalla teoria dell’agenzia, trauso di sistemi incentivanti e rischio11, esamina l’influenza esercitata dal gradodi incertezza ambientale sulla decisione di delegare il potere decisionale ai la-voratori e l’effetto prodotto da questa decisione sui contratti offerti dalle im-prese.

La delega del potere decisionale agli agenti non è però motivata dal mag-giore incentivo all’impegno che ne scaturisce, come nell’analisi di Aghion eTirole, ma dalla possibilità di utilizzare al meglio le informazioni di cui i la-voratori dispongono12. Il problema è, infatti, quello di scegliere l’attività più

11 Secondo alcune analisi non sussiste alcuna relazione tra rischio e incentivi (McLeod -Parent, 1999; John - Weitz, 1989), altre individuano una relazione negativa (Kawasaki - Mc-Millan, 1987) e altre ancora una relazione positiva (Leffler - Rucker, 1991; Mulherin, 1986).

12 Hvide - Kaplan (2002) ipotizzano asimmetria informativa rispetto all’idoneità dei lavo-ratori a svolgere alcune attività. Le imprese possono cercare di ottenere il match ottimale tra

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profittevole da svolgere quando il rendimento delle diverse attività è influen-zato da una variabile casuale la cui realizzazione è osservata dall’agente, manon è nota al principale.

Si ipotizza che il principale dia incarico ad un agente di impegnarsi nellosvolgimento di una attività che può essere scelta tra n attività possibili. Datal’attività i, il principale sceglie il livello di impegno ei che deve essere presta-to dal lavoratore. La produzione dipende dallo sforzo esercitato e da una va-riabile casuale �i, quindi yi = ei + �i. Il costo che il lavoratore sopporta in re-lazione all’impegno esercitato è indicato da C(ei), con C¢(ei) > 0, C≤(ei) > 0.Tutti gli agenti sono neutrali al rischio e hanno un salario di riserva pari azero.

La distribuzione di ciascuna delle n variabili casuali �i è indicata con �i edifferisce dalle altre solo rispetto alla media �i e la varianza �2. Una maggio-re varianza è da intendersi come una più alta incertezza del contesto ambien-tale.

Gli agenti dispongono di informazioni non note al principale: essi cono-scono l’effettivo valore di �i per ogni i, mentre il principale conosce solo lamedia di ciascuna distribuzione. Si ipotizza, inoltre, che l’agente possa impe-gnarsi nello svolgimento di una sola attività.

Il principale può scegliere di basare la retribuzione dell’agente sull’osser-vazione dello sforzo esercitato dallo stesso, che può essere controllato perfet-tamente sostenendo un costo me, oppure sulle informazioni riguardanti il li-vello di produzione, che possono essere ottenute sostenendo un costo my.

Se l’agente è indifferente rispetto alle attività da svolgere, con me < my, ilprincipale controlla l’impegno del lavoratore ed offre un contratto che stabi-lisce un salario pari al costo di tale impegno, w(ei) = C(ei) per ogni i. L’agen-te, conoscendo �i, sceglie l’attività che produce l’output maggiore ed esercitail livello di impegno ottimale. Tale livello di sforzo e* soddisfa C¢(e*) = 1.

Nel caso, invece, in cui l’agente non sia indifferente rispetto alle attivitàda svolgere, poiché da ciascuna di esse ottiene un differente beneficio priva-to, B, la soluzione diventa più complessa. Per esaminare questo caso, si ipo-tizza che i benefici privati siano abbastanza piccoli da non modificare la scel-ta dell’attività socialmente ottimale. Inoltre, si ipotizza che il principale sia in

abilità del lavoratore e abilità richieste dalle mansioni da svolgere concedendo discrezionalitàai lavoratori. Ciò comporta dei vantaggi poiché i lavoratori, disponendo di informazioni priva-te sulle proprie abilità, sono in grado di scegliere le mansioni più appropriate. D’altra parteperò, l’interesse verso le prospettive di carriera potrebbe spingerli a scegliere non in conside-razione del match ottimale, ma in relazione alle possibilità di guadagno derivanti dallo svolgi-mento di ciascun task, determinando una allocazione inefficiente dei lavoratori nei diversitask.

Il problema dell’assegnazione delle mansioni ai lavoratori è considerato anche da Itoh(2001) che concentra l’attenzione sui problemi che scaturiscono quando principale e agentedevono essere incentivati sulla base dell’output ottenuto attraverso l’azione congiunta. I pro-blemi che si presentano quando l’assegnazione delle mansioni ai lavoratori non viene decisadal residual claimant, ma dai manager sono discussi da Prendergast (1995).

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grado di pagare un salario che tiene conto del beneficio privato ottenuto da-gli agenti, di cui però non conosce le preferenze.

Il principale deve decidere sia l’attività da assegnare all’agente sia il siste-ma di compensazione. Se il principale offre il contratto w(ei) = C(ei) e lascialibero l’agente di scegliere l’attività che preferisce, quest’ultimo intraprendel’attività che gli garantisce il maggior beneficio privato. Questa soluzione nonè però ottimale. Infatti, per B sufficientemente piccolo e con �i π �j, per alcu-ni i e j, questa scelta è dominata da quella che restringe il campo di azionedell’agente. Se k è l’attività con media �k più alta, è ottimale imporre al-l’agente la scelta di questa attività.

Prendergast individua una relazione positiva tra concessione di autono-mia ai lavoratori e uso di sistemi incentivanti. Infatti, egli dimostra che la de-lega del potere decisionale all’agente, relativamente alle attività da intrapren-dere, può essere ottimale solo se si utilizza un sistema di retribuzione basatosulla performance. Lo scopo di tale sistema non è solo quello di incentivarel’impegno del lavoratore, ma anche quello di indurlo a scegliere l’attività piùproficua per l’impresa. Infatti, se retribuito in base all’output, egli sceglie larealizzazione �i più alta13.

Data la differenza di costo tra il sistema di compensazione basato sullaperformance e quello che presuppone il controllo dell’impegno lavorativo, larischiosità dell’ambiente costituisce una variabile cruciale nella scelta del si-stema retributivo14. Se la varianza del rendimento delle diverse attività è bas-sa, il costo atteso derivante dalla possibilità di incorrere in errore nell’asse-gnazione dell’attività k al lavoratore è molto contenuto e, di conseguenza,conviene adottare il sistema che comporta il minor costo (assegnazione del-l’attività da svolgere e controllo dell’effort). Al contrario, se la varianza delrendimento delle diverse attività è alta, il costo atteso derivante da errori nel-l’assegnazione delle stesse è elevato, rendendo opportuna la delega della scel-ta dell’attività da intraprendere al lavoratore che, anziché tener conto del va-lore medio, sceglie in relazione alla effettiva realizzazione di �i

15.I risultati ottenuti da Prendergast, assegnando il potere decisionale alla

13 Un altro lavoro che esamina il ruolo svolto dall’allocazione dell’autorità quando i con-tratti incentivanti sono rivolti al perseguimento di molteplici obiettivi è dovuto a Athey - Ro-berts (2001).

14 Un risultato simile è evidenziato anche da Rotemberg - Saloner (1993) i quali mostra-no che lo stile manageriale dell’impresa varia in relazione al contesto ambientale. La parteci-pazione dei lavoratori risulta ottimale in ambienti potenzialmente ricchi di idee innovative,mentre un sistema più tradizionale è ottimale in ambienti più statici.

15 La correlazione tra uso di contratti incentivanti e incertezza del contesto economico sibasa sull’ipotesi secondo cui la misura dell’output è attendibile e la sua attendibilità non di-pende dalla rischiosità dell’ambiente. Se la misura della performance non è attendibile, la desi-derabilità di contratti basati sull’output si riduce. Ciò però non costituisce un problema per lateoria proposta da Prendergast a meno che i problemi di multitasking siano più forti nei con-testi rischiosi (ad esempio, in questi contesti è più facile distorcere le misure della performan-ce). In tal caso, la relazione positiva tra rischio ed incentivi potrebbe venir meno.

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parte meglio informata confermano, sotto l’ipotesi di obiettivi divergenti, leconclusioni raggiunte da Aoki (1986) considerando convergenza di obiettivitra gli agenti. Ancora una volta le new work practice, introdotte negli ultimianni da molte imprese, possono essere interpretate facendo riferimento all’in-certezza che caratterizza il sistema economico e che rende inadeguate le in-formazioni disponibili al principale.

Un risultato più forte viene ottenuto da Zabojnik (2002) che, adottandol’ipotesi di obiettivi divergenti tra principale e agente e non verificabilità del-l’effort, dimostra come i sistemi centralizzati potrebbero risultare dominati daquelli decentralizzati anche nel caso in cui le informazioni disponibili ai su-bordinati siano peggiori di quelle cui ha accesso il principale. Questo risulta-to dipende dall’uso di un sistema di compensazione basato sull’output e dal-l’ipotesi secondo cui l’effort dell’agente è complementare alla capacità di sele-zione dei progetti da parte del principale.

Il modello proposto da Zabojnik ipotizza un principale e un agente, en-trambi neutrali al rischio, che devono implementare un progetto che può es-sere scelto tra due progetti disponibili. Ciascun progetto richiede un investi-mento il cui costo C > 0 è sostenuto dal principale; tale investimento è pro-duttivo solo se l’effort dell’agente è positivo. Una volta che il progetto è statoselezionato, l’agente deve decidere quale livello di impegno esercitare. Persemplicità l’effort dell’agente può assumere solo due valori e = 1 oppuree = 0. L’agente sostiene un costo H > 0 in caso di effort positivo. L’effort del-l’agente non è osservabile e, di conseguenza, si presenta un problema di az-zardo morale che può essere risolto adottando un sistema retributivo chelega la compensazione dell’agente al pay-off del progetto implementato.

Oltre che dall’effort, il pay-off del progetto dipende dalla appropriata se-lezione del progetto che deve essere adatto per il particolare stato del mondoche si verifica. Vi sono due stati del mondo egualmente probabili. Se vieneselezionato il progetto j = 1 si realizza un pay-off pari a V > 0 solo se si verifi-ca lo stato del mondo s = 1 e se l’effort esercitato dall’agente è positivo, altri-menti il pay-off che scaturisce dal progetto 1 è pari a zero.

Si ipotizza che il principale e l’agente abbiano abilità diverse nel distingue-re lo stato del mondo, s, che si verifica: il principale riesce a riconoscerlo conprobabilità q, mentre l’agente lo individua correttamente con probabilità p.

L’utilità che l’agente ottiene grazie al contratto offerto dal principaledeve essere almeno pari alla sua utilità di riserva, indicata con u. Si ipotizza,inoltre, che a causa di un vincolo di liquidità affrontato dall’agente, il paga-mento minimo corrisposto dall’impresa non possa essere inferiore ad unacerta soglia, indicata con D. Tuttavia, tale soglia può essere inferiore all’utili-tà di riserva, D £ u: il lavoratore può ricevere un salario inferiore all’utilitàche otterrebbe all’esterno della relazione lavorativa in cui è coinvolto, ma talesalario non può essere inferiore a D.

Nel caso di decentramento del processo decisionale l’agente sceglie inmaniera autonoma quale progetto implementare. Il contratto stabilisce chel’agente ottenga un ammontare pari a b in caso di successo e pari a D in caso

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di insuccesso. Poiché egli assegna probabilità p all’eventualità che il progettoselezionato risulti proficuo, il vincolo compatibilità degli incentivi è pari apb + (1 – p)D – H ≥ D. Il salario atteso dal lavoratore è pari a w = pb + (1 – p)De il vincolo di partecipazione è rappresentato da pb + (1 – p)D – H ≥ u. Datoche u – D ≥ 0, l’impresa paga un salario b tale per cui l’utilità del lavoratore èesattamente uguale al suo salario di riserva. Pertanto, in caso di delega il vin-colo di liquidità non influenza i profitti.

Invece, nel sistema decisionale centralizzato il vincolo di liquidità giocaun ruolo rilevante. In tale sistema, il manager sceglie il progetto da imple-mentare e l’ammontare dell’investimento C. Una volta che il manager ha de-ciso il progetto da implementare, il lavoratore forma una aspettativa ex postsulla probabilità di successo del progetto selezionato. Nell’ipotesi che il ma-nager selezioni il progetto 1, si possono verificare due casi: l’agente disponedello stesso segnale ricevuto dal principale, oppure riceve il segnale 2.L’agente, una volta osservato il progetto selezionato dal manager, rivede laprobabilità assegnata alla realizzazione dello stato del mondo 1 e, quindi, laprobabilità di successo di tale progetto: se il suo segnale a priori coincidecon quello osservato dal principale formula una probabilità a posteriori, indi-cata con p(1, 1), se, invece, egli ha osservato il segnale 2, tale probabilità èindicata con p(1, 2). Nel primo caso la probabilità a priori dell’agente risultarafforzata poiché egli rileva che il principale ha ottenuto lo stesso segnale.Nel secondo caso, invece, la sua probabilità a priori risulta indebolita, poichéil segnale ricevuto dal principale è diverso da quello su cui tale probabilità sibasa. Pertanto, p(1, 1) è maggiore sia di p(1, 2) che di p.

Il vincolo di compatibilità degli incentivi deve essere calcolato tenendoconto delle probabilità a posteriori formulate dall’agente. Queste probabilitàsono, infatti, quelle che determinano il rendimento atteso dello sforzo del la-voratore. Si avranno così due diversi vincoli di compatibilità degli incentivi,uno relativo al caso in cui il segnale ricevuto dall’agente coincide con quelloricevuto dal principale e un altro relativo alla situazione in cui i segnali rice-vuti da questi due soggetti sono divergenti. Se l’impresa ha interesse ad in-centivare l’impegno dell’agente qualsiasi sia il segnale ricevuto dallo stesso, ilvincolo di compatibilità degli incentivi rilevante è quello che si basa sullaprobabilità a posteriori formulata in caso di segnali divergenti. Indicandocon dS il bonus ottenuto dal lavoratore quando il progetto implementato èproficuo e con D quello corrisposto in caso di insuccesso è possibile scrivereil vincolo di compatibilità degli incentivi, valido qualsiasi sia la probabilità aposteriori formulata dal lavoratore, come p(1, 2)(dS – D)– H ≥ 0.

Da tale vincolo è possibile calcolare il salario minimo, indicato con ds1 ,

da corrispondere in caso di successo del progetto. Esso è uguale a ds1 = H/

p(1, 2) + D. Inserendo questo valore nel vincolo di partecipazione, che sibasa sulla effettiva probabilità da parte del principale di implementare unprogetto profittevole, si ottiene q[H/p(1, 2) + D]+ (1 – q)D – H ≥ u, che puòessere scritto come H[q – p(1, 2)] ≥ (u – D)p(1, 2).

Poiché la probabilità di successo del progetto formulata a posteriori dal

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lavoratore, in caso di segnali divergenti, è inferiore a quella effettiva, q, se Dassume un valore vicino ad u, il vincolo di partecipazione può risultare verifi-cato con segno di diseguaglianza stretta. Ciò significa che il lavoratore perce-pisce una rendita. Di conseguenza, il livello di profitto di first best non è piùraggiungibile e ciò può far sì che il sistema di delega domini quello di cen-tralizzazione anche quando il principale dispone di informazioni migliori diquelle disponibili al manager.

L’autore dimostra che ciò accade quando l’informazione posseduta dalprincipale è solo lievemente migliore di quella fruibile dall’agente. In talcaso, l’agente assegna al progetto selezionato dal principale una probabilità aposteriori di successo che è inferiore alla probabilità p che avrebbe orientatole sue decisioni in caso di decentramento. Ciò rende più costoso incentivarelo sforzo del lavoratore. Infatti, a causa del vincolo di liquidità, gli incentividevono essere implementati attraverso il pagamento di un bonus, il qualedeve essere tanto maggiore quanto minore è la probabilità di successo asse-gnata dal lavoratore al progetto da implementare.

6. Sistemi organizzativi e costi di espropriazione

Il lavoro di Rajan - Zingales (2001a) parte dalla considerazione che molteimprese devono il proprio successo alla disponibilità di alcune risorse criti-che, quali l’ideazione di un nuovo prodotto, la definizione di un efficace si-stema organizzativo, l’esistenza di buone relazioni con i clienti ecc. Tuttavia,per poter mettere a frutto queste risorse è necessaria la collaborazione di al-tri soggetti che però, una volta entrati in contatto con esse potrebbero cerca-re di espropriarle, ad esempio, imitando lo stile organizzativo e managerialedell’impresa, portando via i suoi clienti ecc.16.

La definizione della struttura organizzativa deve così tener conto del ri-schio di espropriazione. Per analizzare questo problema si considera un im-prenditore che dispone di una risorsa (ad esempio, ha messo a punto unatecnologia che permette di ridurre i costi di produzione) che può essere resaproduttiva solo grazie all’intervento di altri agenti, dal cui numero dipendedirettamente il livello di produzione. Questi soggetti sono però in grado diprodurre solo se messi a contatto con la risorsa alla base della produzione.

Per facilitare la comprensione del problema è opportuno considerare il

16 Indicativa dell’importanza di questo problema è il caso della Intel costituita da R.Noyce e G. Moore che in precedenza erano rispettivamente General Manager e direttore dellaboratorio di R&D della Fairchild. La nuova impresa nasce per sfruttare una scoperta fattada uno scienziato occupato nel laboratorio di Moore consistente in una nuova tecnica perprodurre semi-conduttori. Secondo una ricerca condotta da Bhide (2000) questo caso nonrappresenta un’eccezione: il 71% delle imprese incluse nella INC500 (una lista di giovani im-prese in fase di crescita) risultano essere fondate da soggetti che hanno replicato o modificatoun’idea sviluppata nel corso del loro precedente lavoro.

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caso di due soli lavoratori, denominati A e B. L’imprenditore può sceglieretra due sistemi gerarchici diversi. Il primo prevede l’interazione diretta del-l’imprenditore con A e B ed esclude l’interazione tra i due lavoratori (sistemagerarchico orizzontale). Il secondo, invece, permette l’interazione diretta conl’imprenditore ad un solo lavoratore, per ipotesi al lavoratore A, mentre l’al-tro, B, interagisce solo con A (sistema gerarchico verticale).

A e B possono decidere se tentare di espropriare la tecnologia e compe-tere con l’impresa madre, oppure se svolgere le mansioni loro assegnate nel-l’impresa e specializzarsi. L’espropriazione è solo parziale e può essere tenta-ta solo dai lavoratori che sono a diretto contatto con la risorsa chiave (cioèquelli che interagiscono direttamente con l’imprenditore). Si ipotizza che,una volta espropriata la tecnologia, l’agente competa direttamente con l’im-presa madre in un mercato caratterizzato da forti economie di scala in cuisolo chi produce la quantità più alta riesce a sopravvivere. L’output prodottodal team vincente viene suddiviso attraverso un sistema di contrattazione cheattribuisce a ciascun lavoratore metà di quello che lui stesso produce e metàdi quanto prodotto dal proprio subordinato.

Il lavoratore che decide di specializzarsi deve sostenere un costo derivan-te dall’attività di training che gli permette di collaborare con il proprio supe-riore e risultare produttivo all’interno del team. Una volta specializzati, i la-voratori possono essere produttivi solo in un team che include il loro supe-riore. Quest’ultimo, infatti, assegna ai subordinati mansioni complementarialle proprie, rendendoli così incapaci di produrre autonomamente.

A seconda del sistema gerarchico, gli incentivi all’espropriazione e allaspecializzazione sono differenti. Si consideri l’ipotesi di costi di specializza-zione nulli. Con un sistema organizzativo piatto, i lavoratori A e B, non aven-do stabilito tra di loro interazioni dirette, non sono in grado di creare unnuovo team. Colui che espropria la tecnologia deve produrre da solo e com-petere con l’impresa madre. Tuttavia, non essendo la tecnologia perfettamen-te espropriabile, non ci sarà convenienza ad uscire dall’impresa poiché l’im-presa madre si aggiudicherebbe la competizione. I lavoratori sono, quindi,incentivati a specializzarsi e a restare leali all’impresa che li occupa.

Nel caso di organizzazione verticale, il lavoratore B non ha possibilità diespropriare la tecnologia e competere, mentre A può decidere di competerepoiché questa scelta gli permette di fare un team con B (che senza le istru-zioni di A è improduttivo nell’impresa madre) e ottenere un vantaggio mag-giore di quello che otterrebbe attraverso la specializzazione. In questo caso,infatti, poiché il team dell’impresa originaria si riduce al solo imprenditore,la competizione volge a favore del team costituito da A e B.

Pertanto, l’organizzazione verticale soffre di un incentivo all’espropriazio-ne della risorsa chiave più forte rispetto a quello che caratterizza l’organizza-zione orizzontale: il lavoratore A non solo viene a contatto con la risorsachiave, ma può anche contare sulla collaborazione dei propri subordinati.

L’analisi formale di questa problematica è affrontata dagli autori avvalen-dosi di un modello con generazioni sovrapposte dove gli agenti sono attivi

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per due periodi: nel primo periodo sono giovani e nel secondo sono vecchi.Dopo i due periodi, gli agenti si ritirano e possono solo svolgere attività dicontrollo sulla risorsa chiave alla base dell’attività produttiva. La tecnologiadi produzione è lineare nel numero degli agenti occupati. All’inizio del pri-mo periodo l’agente che controlla la risorsa decide il sistema gerarchico. Imanager, cui è permesso l’accesso alla risorsa, possono decidere di specializ-zarsi o di competere. Se il manager decide di competere la gerarchia inizialesi divide in due team concorrenti e la competizione viene aggiudicata dalteam che produce l’output maggiore.

Gli autori dimostrano che se la specializzazione è costosa17, l’organizza-zione gerarchica orizzontale, pur impedendo la competizione, può determi-nare scarso incentivo alla specializzazione. Infatti, i lavoratori potrebbero nontrovare vantaggioso effettuare l’investimento che li rende produttivi nell’im-presa (a causa dell’elevato costo dello stesso e del suo basso rendimento). Lastruttura organizzativa orizzontale potrebbe, quindi, risultare inattuabile (perpoter collaborare con l’imprenditore i lavoratori devono specializzarsi). Poi-ché in questa struttura organizzativa i lavoratori non ottengono mai beneficiposizionali, l’unico elemento che può incentivarli alla specializzazione è costi-tuito dalla possibilità di divenire proprietari della risorsa chiave. La promessada parte dell’imprenditore di cedere la risorsa su cui si basa l’attività produt-tiva, nel caso di forte espropriabilità della stessa, è credibile, data la difficoltàcon cui egli riuscirebbe a dirigere la gerarchia come agente inattivo dopo chei due periodi di vita attiva si sono conclusi. Questo tipo di struttura gerarchi-ca prevede l’interazione diretta di tutti i subordinati con l’imprenditore. Per-tanto, quando l’imprenditore si ritira la stessa struttura organizzativa può es-sere mantenuta solo se la proprietà viene trasferita a qualcuno dei subordina-ti che essendo entrato a contatto con la risorsa chiave dispone delle cono-scenze necessarie per gestire l’impresa. Inoltre, per mantenere elevata la pro-babilità di ciascun lavoratore di prendere parte al nuovo assetto proprietario,l’imprenditore tende a limitare il numero di soggetti che hanno accesso allarisorsa chiave. In questo modo, il modello proposto da Rajan e Zingales rie-sce a spiegare i frequenti cambiamenti di proprietà che caratterizzano lestrutture organizzative orizzontali (Bhide, 1986), quali studi legali e di consu-lenza, e ad interpretare le limitate dimensioni che queste organizzazioni ten-dono ad assumere.

I costi di specializzazione determinano un peggioramento anche nei risul-tati ottenuti dall’organizzazione gerarchica verticale, poiché accentuano l’in-centivo all’espropriazione. Un manager decide di non competere solo se si

17 L’ipotesi secondo cui la specializzazione del lavoratore comporta un costo che, invece,non viene sostenuto in caso di espropriazione è piuttosto debole. Il costo di specializzazionederiva dal training necessario affinché il lavoratore risulti produttivo nel team costituito con ilproprio superiore. Tuttavia, difficilmente il lavoratore riesce ad espropriare la risorsa senzaaver sostenuto un costo di training che lo rende capace di utilizzare in maniera produttivaquella risorsa.

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aspetta di risultare perdente nella competizione (Vincolo di Competizione) ose, pur risultando vincente, si aspetta di avere un surplus inferiore a quelloche otterrebbe restando nell’impresa madre (Compatibilità Condizionata de-gli Incentivi). Tenendo conto di questi due vincoli gli autori individuano lastrategia organizzativa ottimale per l’impresa che consiste nell’occupare ununico lavoratore nel primo periodo, poiché un numero maggiore prevarrebbenella competizione con l’imprenditore, e di assumere, nel secondo periodo,un numero di lavoratori che dipende dal grado di espropriabilità della risor-sa18. Quanto più la risorsa è espropriabile tanto più è conveniente mantenerepiccolo il sistema gerarchico, al fine di contrastare il tentativo di espropria-zione.

Si individua, quindi, una relazione inversa tra espropriabilità della risorsaè dimensione della gerarchia. Se i diritti di proprietà non sono adeguatamen-te protetti la dimensione della gerarchia è piccola e il livello di produzionebasso. Inoltre, le imprese basate su asset intangibili, soffrendo di un rischiodi espropriabilità più alto, tendono a preferire sistemi gerarchici di piccoladimensione.

Questo risultato trova conferma nell’analisi empirica condotta da Kumar- Rajan - Zingales (1999) in cui si evidenzia che nei settori a forte intensità dicapitale fisico, dove il rischio di espropriabilità è minore, le imprese di gros-se dimensioni sono più numerose. Inoltre, la dimensione delle imprese ap-partenenti a settori basati su risorse intangibili aumenta quanto maggiore èl’efficienza del sistema di protezione dei diritti di proprietà.

L’approccio sviluppato da Rajan e Zingales si differenzia da quello basatosui diritti di proprietà, proposto da Grossman - Hart (1986) e Hart - Moore(1990), in cui il potere dell’imprenditore scaturisce dal diritto di proprietàsulla risorsa critica e dalla possibilità di cedere in futuro tale diritto. Mentrequest’ultimo approccio è fortemente basato sul funzionamento del sistema le-gale, l’analisi sopra illustrata può essere applicata anche qualora i diritti diproprietà non siano adeguatamente protetti e quando la risorsa critica siastrettamente legata al capitale umano. Gli autori dimostrano che l’attuale ca-pacità da parte dell’imprenditore di controllare l’accesso alla risorsa criticapuò essere sufficiente a proteggere il diritto di controllo futuro. Si è visto, in-fatti, che con appropriate strategie l’imprenditore può evitare l’espropriazio-ne della risorsa. Di conseguenza, anche la presenza di risorse per le qualinon è possibile assegnare o far rispettare i diritti di proprietà, ma su cui è

18 L’imprenditore inizialmente assume un solo lavoratore, A, e solo dopo che questi si èspecializzato provvede ad arruolare un altro lavoratore, B, che diventa subordinato del primo.Il lavoratore A decide di specializzarsi poiché se decidesse di competere risulterebbe perdente.Inoltre, anche se la specializzazione è costosa, egli può trovare conveniente sopportare tale co-sto anticipando il vantaggio posizionale che ottiene nel secondo periodo, quando il lavoratoreB sarà suo subordinato ed egli potrà avvantaggiarsi di parte dell’output da questi prodotto.Una volta specializzato il lavoratore A non può più espropriare l’impresa madre, poiché la suaattività è diventata complementare a quella svolta dall’imprenditore.

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possibile esercitare il controllo, offre diritti residuali simili a quelli derivantidalla proprietà.

7. Conclusioni

La letteratura economica ha esaminato la scelta della struttura organizza-tiva da parte delle imprese seguendo approcci diversi, alcuni centrati sui pro-blemi di coordinamento, altri sulla funzione di supervisione dei superiori,nonché sul raggruppamento ottimale delle diverse attività svolte dall’organiz-zazione e sul match tra lavoratori e mansioni. Un ulteriore approccio consi-dera i sistemi organizzativi come un nesso di diversi contratti. Infine, negliultimi anni si è sviluppata una letteratura che interpreta la struttura organiz-zativa come sistema di autorità.

L’autorità, derivante secondo la teoria di Grossman, Hart e Moore daidiritti di proprietà sugli asset, può essere delegata dal proprietario ad altrisoggetti per motivi di natura diversa: la possibilità di ridurre i costi di comu-nicazione, di utilizzare le informazioni disponibili a livello locale, di fornireincentivi adeguati agli agenti, ecc. La delega del potere decisionale all’internodell’impresa determina catene di autorità diversamente strutturate e di varialunghezza in cui ciascuna categoria di lavoratori può godere di un differentegrado di autonomia.

Mentre nell’approccio di GHM l’autorità è soprattutto volta a risolvereproblemi di hold-up ed è strettamente legata alla proprietà, nei contributiesaminati in questa rassegna il legame tra autorità e diritti di proprietà risultaallentato. A differenza delle analisi tradizionali (si veda ad esempio, Simon,1951) in cui si presuppone che il principale abbia informazioni sufficientiper esercitare l’autorità, in questi lavori si tiene conto del fatto che in molticasi l’azione dell’agente è richiesta proprio in funzione delle migliori infor-mazioni di cui egli dispone. L’interesse ad usare adeguatamente tali informa-zioni o a perseguire altri obiettivi può far sì che l’autorità venga delegata daltitolare del diritto di proprietà ad altri soggetti. Il concetto di autorità vienecosì a coincidere con il potere discrezionale concesso ai lavoratori, riguardan-te a seconda dei casi il diritto a: intraprendere progetti (Fama - Jensen, 1983;Sah - Stiglitz, 1986; Aghion - Tirole, 1997; Hart - Moore, 1999), ricevere in-formazioni da altri lavoratori (Radner, 1992; Bolton - Dewatripont, 1994),scegliere le mansioni da svolgere (Hvide - Kaplan, 2002), intervenire nella ri-soluzione di problemi complessi (Harris - Raviv, 2001; Garicano, 2001), lavo-rare con alcuni assets (Rajan - Zingales, 2001).

I contributi analizzati si inseriscono in due diverse impostazioni. La pri-ma prescinde dai problemi derivanti dalla presenza di interessi divergenti tragli agenti e esamina la scelta del sistema decisionale (centralizzato o decen-tralizzato) in relazione agli aspetti che caratterizzano i processi di acquisizio-ne, elaborazione e trasmissione delle informazioni. La seconda impostazioneipotizza, invece, divergenza di obiettivi tra il principale e l’agente e esamina i

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vantaggi e gli svantaggi derivanti dalla delega del potere decisionale ai subor-dinati in relazione all’influenza che essa esercita sugli incentivi, sull’uso delleinformazioni disponibili, sui tentativi di espropriazione delle risorse, ecc.

Entrambi gli approcci forniscono delle interessanti indicazioni per spiega-re il cambiamento sperimentato negli ultimi anni nei sistemi organizzativiadottati da molte imprese e evidenziano il ruolo svolto da numerose variabili.Alcuni contributi, considerando processi decisionali che necessitano di nu-merose informazioni, che non possono essere elaborate da un unico agente,analizzano l’influenza esercitata dalla struttura organizzativa sui costi di ela-borazione e trasmissione dei dati, sulla lentezza del processo decisionale,nonché sulle economie di specializzazione. In questa ottica, autori come Bol-ton - Dewatripont (1990) e Garicano (2000), interpretano il cambiamento or-ganizzativo facendo riferimento alle innovazioni tecnologiche che, avendo ri-dotto considerevolmente i costi di trasmissione e acquisizione delle informa-zioni, hanno permesso una maggiore partecipazione dei lavoratori ai processidecisionali. I lavori di Radner (1992; 1993), Radner - Van Zandt (1992), VanZandt (1999), che esaminano la scelta della struttura organizzativa ottimalefacendo riferimento alla minimizzazione dei ritardi e dei costi relativi al pro-cesso di elaborazione delle informazioni, evidenziano, invece, quei cambia-menti intervenuti nei sistemi economici che hanno accentuato l’importanzadi decisioni tempestive. Queste ultime possono essere adottate solo da queisoggetti che, godendo di accesso diretto alle informazioni, sono in grado dievitare i ritardi connessi ai processi di comunicazione.

Il ruolo svolto dai cambiamenti intervenuti nei sistemi economici sullescelte organizzative è stato evidenziato anche da molti altri lavori. In base al-l’analisi di Sah - Stiglitz (1986), la tendenza a preferire sistemi che decentra-no il potere decisionale potrebbe dipendere da un accrescimento nei costi as-sociati alla mancata implementazione di progetti profittevoli. Infatti, secondoquesti autori se i processi di comunicazione, oltre che costosi, sono imperfet-ti, nel senso che non tutte le informazioni disponibili ad un agente possonoessere trasmesse ad un altro, la scelta della struttura organizzativa può dipen-dere dalla rilevanza degli errori in cui si può incorrere nel processo decisio-nale (la mancata adozione di progetti profittevoli piuttosto che l’accettazionedi progetti scadenti). Nelle economie caratterizzate da continui cambiamenti,la capacità di innovazione può essere la principale chiave di successo per leimprese e, di conseguenza, i costi derivanti dalla mancata adozione di inno-vazioni possono essere molto consistenti. Al contrario, in sistemi economicipiù stabili in cui le posizioni già raggiunte sono difficilmente minacciate dal-l’entrata di nuove imprese può essere rilevante soprattutto evitare di intra-prendere progetti negativi.

Aspetti simili sono evidenziati da Aoki (1986) e da Ferreira - Sah (2001),secondo cui la maggiore incertezza del sistema economico può rendere ina-deguate le informazioni disponibili al principale e richiedere il coinvolgimen-to dei lavoratori nel processo decisionale. Inoltre, la delega del potere deci-sionale ai lavoratori negli ultimi anni potrebbe essere stata favorita dal mag-

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gior livello di istruzione degli stessi: maggiori competenze e conoscenze, per-mettendo una migliore comprensione delle problematiche su cui si è chiama-ti ad intervenire, fanno sì che i lavoratori incorrano in un minor numero didecisioni sbagliate.

La rilevanza della disponibilità di informazioni da parte del principale edell’incertezza caratterizzante il contesto ambientale nell’allocazione del pote-re decisionale è confermata anche da Prendergast (2002). Se gli agenti hannoinformazioni migliori del principale rispetto alle caratteristiche che contrad-distinguono l’ambiente in cui opera l’impresa può risultare ottimale delegareloro il potere decisionale. Una conclusione che rafforza i vantaggi della dele-ga è raggiunta da Zabojnik (2002) nel caso in cui l’effort dell’agente non siaverificabile e sia complementare alla capacità di selezione dei progetti da im-plementare da parte del principale. Egli dimostra, infatti, che i sistemi deci-sionali centralizzati possono risultare dominati da quelli decentralizzati anchequando le informazioni possedute dal principale sono migliori di quelle di-sponibili agli agenti.

Aghion - Tirole (1997) dimostrano che in presenza di obiettivi divergentila delega dell’autorità ai lavoratori può essere utile per incentivarne l’impe-gno. L’agente, se libero di scegliere le attività che massimizzano i propri be-nefici privati, si impegna maggiormente nella ricerca di informazioni sullaprofittabilità delle stesse. La scelta del grado di discrezionalità da concedereal lavoratore deve tener conto da un lato dei benefici derivanti dal maggiorimpegno profuso nella ricerca di informazioni sulle diverse alternative di in-vestimento e dall’altro dei costi derivanti dalla perdita di controllo sulle scel-te da essi intraprese. Pertanto, la scelta di concedere maggiore autonomia de-cisionale ai lavoratori potrebbe dipendere da un cambiamento nel tipo dimansioni svolte che, rendendo più difficile il controllo dell’impegno lavorati-vo, assegna una maggiore rilevanza agli incentivi.

I lavori di Aghion e Tirole e di Prendergast evidenziano, inoltre, che ladelega del potere decisionale ai lavoratori è complementare all’adozione disistemi retributivi incentivanti. Ciò può essere utile per interpretare l’usocongiunto, osservato da molte analisi empiriche, di sistemi di decentramentodel potere decisionale e di forme retributive incentivanti.

Altri interessanti risultati sono ottenuti da Rajan - Zingales (2001a) cheesaminano le strutture organizzative in relazione al rischio di espropriazionedelle risorse su cui è basata l’attività dell’impresa. Il sistema decentralizzato,in cui ogni lavoratore interagisce direttamente con l’imprenditore e diventacomplementare ad esso, limita il rischio di espropriazione, ma può avere ef-fetti perversi sugli incentivi dei lavoratori. Al contrario, il sistema gerarchico,in cui solo alcuni lavoratori interagiscono con l’imprenditore, mentre altrifanno riferimento ad un diretto superiore, comporta un rischio di espropria-bilità della risorsa che l’imprenditore può affrontare con una politica di cre-scita graduale dell’impresa.

I lavori esaminati presentano, quindi, numerose interpretazioni del diver-so grado di discrezionalità concesso ai lavoratori. Si tratta però, di una lette-

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ratura ancora in evoluzione che non ha individuato un approccio unitario ingrado di tener conto congiuntamente degli aspetti che più sembrano rilevantiin questo tipo di scelta. Infatti, una parte dei contributi considerati sottolineasoprattutto l’importanza del coordinamento e dei fattori che contraddistin-guono i processi di comunicazione tra gli agenti, mentre un’altra focalizzal’attenzione principalmente sull’influenza esercitata dall’allocazione dell’auto-rità sulla risoluzione dei problemi tipici della teoria dell’agenzia e trascuracompletamente i problemi di coordinamento, la cui soluzione sembra riman-data a routines (Nelson - Winter, 1982; Dosi - Coriat, 1998). Non si trattaperò di problematiche disgiunte. Infatti, l’organizzazione dell’acquisizionedelle informazioni e i processi di comunicazione tra gli agenti incidono sul-l’allocazione dei diritti decisionali all’interno dell’impresa e viceversa. Adesempio, come visto in precedenza, la divergenza di obiettivi tra principale eagente può distorcere il processo di comunicazione che si instaura tra questisoggetti (Aghion - Tirole, 1997; Prendergrast, 2001). Inoltre, lo svolgimentodi numerose mansioni da parte di un lavoratore può facilitarne la capacitàdecisionale e, quindi, favorire la delega dell’autorità allo stesso.

Queste connessioni sono state esaminate dalla letteratura economica mar-ginalmente e la loro analisi può originare interessanti sviluppi. L’ipotesi diagenti che perseguono obiettivi divergenti è introdotta in analisi molto sem-plici in cui il ruolo del principale non risulta ben definito, nel senso che eglinon gode di conoscenze o abilità che ne evidenziano il ruolo di coordinatoreche tipicamente svolge. Altre interessanti questioni, ancora scarsamenteesplorate, riguardano la credibilità della delega del potere decisionale agliagenti. Nelle analisi presenti in letteratura essa è contrattabile, oppure basatasu variabili prevedibili. Tuttavia, l’impossibilità di prevedere gli eventi futuripuò minacciare la credibilità di tale promessa. Inoltre, man mano che le po-sizioni di lavoro diventano polivalenti e richiedono numerose competenze, ilproblema dell’autonomia dei lavoratori e sempre più difficilmente riconduci-bile ai problemi di agenzia e possono diventare rilevanti variabili quali il ca-pitale sociale dal qual dipende strettamente il grado di fiducia esistente tragli agenti economici.

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Summary: Organizational Structures and Allocation of Decisional Power (J.E.L. D23, L22, J330)

The aim of this paper is to examine the factors influencing the allocation of decisional power insidethe firm. While decisional rights are conferred directly through the ownership of assets, the owners oftenchoose to delegate some decisional power to other subjects inside the organization, such as managers,workers etc. In relation to this choice different organizational structures emerge, characterized by differ-ent degrees of workers’ autonomy. In this paper the firms’ tendency, observed in the last decades, to fa-vor decentralization is examined through a review of the economic literature that interprets the organiza-tional form in relation to the allocation of decisional rights. We distinguish between two main approach-es. The first, abstracting from incentive problems, focuses on co-ordination problems taking into accountthe costs of acquisition, processing and communication of information, the delays and errors in decision-making, the advantages from specialization etc. The second, based on the hypothesis that the principaland the agent have divergent objectives, analyses benefits and costs of delegating the decisional power toagents in relation to the influence that this choice produces on incentives, on the use of information andon expropriation costs.