streghe esseri fatati
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Streghe, Esseri Fatati
ed Incantesimi
nell’Italia del Nord
La magia popolare delle sagae
italiane dagli Etruschi all’800
Dall’autore di “Aradia, il Vangelo delle
Streghe”
Charles Godfrey Leland
[1892]
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Sommario
Prefazione pag. 5
Introduzione pag. 6
Prima Parte
Dei e Folletti
Capitolo 1 – Tinia – Teramo - Buschet - Impusa della Morte- - Siero
- Norcia, la Dea dei tartufi – Aplu – Turanna – Pano
pag. 16
Capitolo 2 – Maso – Mania della notte pag. 37
Capitolo 3 – Feronia – Silviano – Palò – Esta – Carmenta – Il
Sentiero
pag. 41
Capitolo 4 – Faflon – Lo Spirito della Contentezza – Corredoio –
Orco - Tesana – Spulviero – Urfia pag. 49
Capitolo 5 – Lari, Lasa e Lassi – Losna – Laronda – Lemuri – Tago –
Fanio – Querciola – Sethano pag. 60
Capitolo 6 – Carradora – Vira – Bergoia – Bughin – Ganzio – Alpena
pag. 78
Capitolo 7 – Tituno – Albina – Verbio – Dusio – Remle – Jano,
Meana, Montulga, Talena – Pico pag. 89
Capitolo 8 – Floria – Ra – Bovo – Attilio – La bella Marta – Diana ed
Erodiade – Offerte agli Spiriti pag. 101
Capitolo 9 – Lo spirito dello scaldino – Artemisia – Red Cap – La
stregoneria nell’arte antica – La Dea dei 4 venti, l’erba rosolaccio
– La Madonna del Fuoco pag. 118
Capitolo 10 – Cupra – Le streghe del noce – Le streghe e la
stregoneria – Gli uomini della grandine e delle nuvole – Storie di
streghe e goblin – Santi stregoni pag. 135
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Seconda Parte
Incantesimi, divinazione, talismani e cure,
medicina, amuleti
Capitolo 1 – La stalla del maiale – L’incantesimo dell’edera e della
statua – L’incantesimo del ragno pag. 186
Capitolo 2 – Uccelli e tesori – L’incantesimo della stella cadente –
L’incantesimo delle ghiande – L’incantesimo della rondine – Cure
minori da Marcellus – I tre Saggi dell’Est e le medaglie delle
streghe pag. 196
Capitolo 3 – L’esorcizzazione della morte – L’incantesimo della
culla – Divinazione con il piombo – Divinazione per mezzo
dell’olio – Piromanzia ed incenso – L’incantesimo della lampada
pag. 214
Capitolo 4 – Incantesimi negativi – L’incantesimo della pietra
forata e della salagrana – L’incantesimo della conchiglia e del
tono della pietra – Il canto del gallo – Divinazione con le ceneri
pag. 231
Capitolo 5 – L’ametista – L’incantesimo della campana –
L’incantesimo della bollitura degli abiti – Stregoneria con gli
anelli – Amuleti, presagi e piccole stregonerie – Piombo ed
antimonio pag. 245 pa
Turan, o Venere
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Prefazione
La versione originale di questo libro consta di alcune centinaia di pagine, di
cui molte solo di introduzione. Abbiamo ritenuto, nell‟interesse del lettore,
abbreviare l‟introduzione stessa togliendo tutte quelle ripetizioni sulla
difficoltà di reperimento delle informazioni ivi contenute e notizie minori,
nell‟ottica di ottenere un testo ugualmente interessante ma dando maggiore
importanza alle informazioni sostanziali sulle Divinità, gli spiriti e gli
incantesimi. Per quanto riguarda questi ultimi, abbiamo “tagliato”
esclusivamente le parti in cui venivano descritti incantesimi cruenti, in cui si
faceva scempio di vite animali, non ritenendole utilizzabili in alcun modo;
si sa che a tutt‟oggi non si è purtroppo ancora sviluppata del tutto un‟ottica
di rispetto verso le creature viventi non umane e che tantomeno vi era
alcuna forma di rispetto per esse nei secoli e nei millenni passati.
Culturalmente non riteniamo utile ricordare cose negative come se non lo
fossero ed è per questo che ci siamo visti costretti ad operare questi tagli.
Siamo certi che i lettori troveranno ugualmente interessante e valido questo
testo e non ne sentiranno la mancanza.
Come si potrà notare più volte nel corso del testo, l‟autore considerava la
Romagna e la Toscana un‟unica regione all‟interno dell‟Italia. Così talvolta
si trova nel testo “Toscana” e poche righe dopo, riferendosi alla stessa cosa,
“Romagna”.
Vi auguriamo una buona lettura!!
Gli Editori
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Introduzione
Nel Nord dell‟Italia vi è una zona
montagnosa conosciuta come Toscana
Romagnola, i cui abitanti parlano una forma
grezza di dialetto bolognese. Questi
Romagnoli sono evidentemente una razza
molto antica e pare abbiano conservato
tradizioni ed usi quasi immutati da un
periodo di tempo incredibilmente antico.
Negli ultimi anni si è disquisito sulla
possibile origine etrusca dei Bolognesi e
pare si sia deciso che non lo sono. Nulla da
dire, a questo riguardo: probabilmente loro
erano lì prima degli Etruschi. Ma questi
ultimi hanno in un certo periodo dominato
tutta l‟Italia ed è molto probabile che abbiano lasciato in zone remote quelle
tracce della loro cultura di cui parla questo libro. Il nome Romagna viene
applicato a quella zona perchè un tempo essa faceva parte del dominio
papale o romano. Per intenderci, la regione di cui parlo si può descrivere
come quella tra Forlì e Ravenna. Tra questa gente la stregheria o
stregoneria – o, come ho udito chiamarla, “la vecchia religione” – esiste ad
un grado tale che molti Italiani ne rimarrebbero stupiti. Questa stregheria, o
vecchia religione, è qualcosa di più della magia e qualcosa di meno di una
fede. Consiste nelle rimanenze di una mitologia di spiriti, i principali dei
quali conservano i nomi e gli attributi degli antichi Dei Etruschi come Tinia
– o Jupiter -, Faflon – o Bacco – e Teramo (in Etrusco Turms) – o Mercurio
-. Accanto ad essi continuano ad esistere, nei ricordi di pochi, le Divinità
rurali Romane più antiche come Silvanus, Palus, Pan ed i Fauni. A tutti loro
vengono tuttora indirizzate - o almeno conservate – le invocazioni o
preghiere in grezze forme metriche e vi sono molte storie attuali a loro
riguardo. Tutti questi nomi, con i loro attributi, le descrizioni di spiriti o
Dei, invocazioni e leggende si trovano in quest‟opera.
Strettamente unita alla credenza in queste antiche Divinità vi è la vasta
massa di curiosa tradizione, che dice per esempio che vi è uno spirito in
ogni elemento o cosa creata, come per esempio in ogni pianta e minerale, ed
un guardiano o uno spirito guida per tutti gli animali; o, come nel caso dei
bachi da seta, due: uno buono ed uno cattivo. Ed anche che i maghi e le
streghe talvolta rinascono dai loro discendenti; che tutti i tipi di goblin,
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brownies, red-cap ed esserini alti tre pollici vivono nelle foreste, nelle rocce,
nelle torri in rovina, nei focolari e nelle cucine o nelle cantine, dove
alternativamente fanno ammattire o deliziano le fanciulle – in breve, tutta
quella compagnia pittoresca di spiriti familiari che vengono considerati con
orgoglio di ascendenza nordica dagli archeologi tedeschi ma che
l‟investigazione indica fossero di casa in Italia quando Roma era ancora
giovane, o forse nemmeno era stata costruita. Che questa tradizione sia
teutonica o italiana o di origine ariana o asiatica o, come insegna la nuova
scuola, sia “cresciuta” da sé spontaneamente e sporadicamente dapperutto,
non pretendo di essere io a determinarlo; è sufficiente dire che sarò
soddisfatto se questa mia raccolta si dimostrerà essere di qualche valore per
coloro che si pongono questa domanda.
Collegata a questa credenza nei folletti, o spiriti minori, ed alle loro
osservanze e tradizioni vi sono moltissime cure magiche con incantesimi
appropriati, magie e cerimonie per attirare l‟amore, per eliminare ogni
influenza negativa o portare certe cose a compimento; per vincere un gioco,
per evocare spiriti, per assicurarsi buoni raccolti o un felice ritorno per un
viaggiatore e per fare divinazione o cose malvagie in molti modi curiosi –
tutte cose antiche, come dimostrato dalle allusioni degli scrittori classici che
hanno conosciuto questi incantesimi. Ed io credo che in certi casi ciò che ho
raccolto e scritto fornirà probabilmente molto di ciò che manca negli autori
precedenti – sit verbo venia.
Molti contadini nella Romagna e nella Toscana hanno familiarità con i resti
di questi incantesimi, ma la loro abile ripetizione ed esecuzione è nelle mani
di certe oscure streghe ed oscuri stregoni che appartengono a famiglie
mistiche, in cui l‟arte occulta viene preservata di generazione in
generazione con gelosa paura dei preti, della gente acculturata e di tutti
coloro che diffidano di tutto ciò che non è “sulla via”, tutta quella “gente
onesta”, così che non è esagerato dichiarare che i “viaggiatori” non hanno
fiducia nella verità di nessun uomo, perché li hanno beccati a dire delle
bugie. Come accadde a me un giorno a Bath, dove venne dichiarato in un
vasto accampamento di zingari che io dovevo essere o Rumeno o di sangue
rumeno, perché ero il bugiardo più grosso che avessero mai incontrato – la
bugia, in questo caso, era un‟arrogante quanto vanagloriosa asserzione da
parte mia in cui dicevo che, nonostante al momento fossi senza un penny,
avevo a casa 24 sovrane d‟oro, 18 scellini d‟argento e due pence in bronzo.
“Ed io non credo” aggiunse lo zingaro “che lui abbia sei dannati penny. Ma
lui è a posto.” Così questi viaggiatori della scura strada della magia
riconobbero nel portatore della Pietra Nera del Voodoo, il pupillo
dell‟Indiano rosso medaolin ed il rye zingaro (ed uno che aveva anche il
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borsellino sempre pieno di feticci in sacchettini rossi), qualcuno che era
degno di fiducia, anche se non era prodigo di caffè, piccole bottiglie di
rhum, sigari ed altri requisiti minori che generalmente favoriscono molto la
convivialità e la reciproca comprensione nella saggezza. Tra queste
sacerdotesse dell‟incantesimo nascosto una dama più anziana ha
generalmente in mano alcune ragazze più giovani, che istruisce prima
nell‟arte dello stregare o del colpire i nemici e poi nei procedimenti più
importanti per annullare o sciogliere gli incantesimi altrui, causare amore
reciproco e donare fortuna. E qui posso osservare che molti degli
incantesimi descritti in questo libro vengono considerati gelosamente come
segreti che, mi è stato assicurato, se uno non è in confidenza con coloro che
possiedono tale tradizione, potrebbe cercarla invano. Una grande parte di
essa è quasi estinta ed è in articolo mortis, vel in extremis, mentre altri
dettagli sono generalmente conosciuti. Una parte molto interessante e
curiosa di questo mio libro consiste in una quantità di rimedi occulti tuttora
conservati tra i contadini della montagna fin dall‟antichità. Marcellus
Burdigalensis, medico di corte dell‟Imperatore Onorio nel IV secolo,
raccolse un centinaio di cure magiche per le malattie più ricorrenti nelle
classi rurali del tempo. Come ci informa in un libro intitolato De
Medicamentis Empiricis, le ha raccolte “ab agrestibus et plebeis” (da
contadini e gente comune). Questa collezione è stata pubblicata da Jacob
Grimm in un lavoro intitolato Über Marcellus Burdigalensis, Berlin, 1849.
Questi “talismani” erano molto antichi anche ai tempi di Marcellus e, come
buona parte dell‟antica magia Romana, erano probabilmente di origine
etrusca o toscana. Di queste cento magie ne ho trovate circa metà di uso
corrente o almeno conosciute. Come vengono descritte da Marcellus sono
spesso imperfette, mancando molti incantesimi. Alcuni di essi sono stato in
grado di fornirli qui e penso che nessun lettore critico che li paragonasse a
quelli da me raccolti potrebbe dubitare che queste formule italiane
contengano almeno lo spirito degli originali antichi.
In aggiunta a questi ho incluso molte storie curiose, aneddoti ed esempi,
molti dei quali sono identici o simili a molti di quelli narrati da Ovidio,
Virgilio, Plinio, Catone, Varro ed altri – ne risulta che un‟attento paragone
tra essi può certamente convincerci che i contadini della Romagna Toscana,
che hanno vissuto fin dalla preistoria con pochi cambiamenti, hanno
conservato attraverso il dominio etrusco, latino e poi cristiano uno
sciamanesimo primitivo o un grezzo animiamo (l‟adorazione degli spiriti)
ed un sistema molto semplice di stregoneria che certamente interesserà gli
studenti di etnologia.
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Il risultato delle mie ricerche è stata la raccolta di un numero eccezionale di
formule magiche, storie e poemi che avrebbero oltrepassato limiti
ragionevoli sia come numero di pagine che come pazienza del lettore, se li
avessi pubblicati tutti. Ciò che è qui contenuto credo sarà molto interessante
per tutti gli studenti di tradizione classica di ogni genere ed estremamente
interessante in quanto illustra la sopravvivenza a tutt‟oggi degli “Dei in
esilio” in maniera più letterale e su scala più estesa di quanto Heine abbia
mai sognato. Ed io penso che spiegherà anche molte questioni minori: per
esempio, Müller nella sua grande opera sugli Etruschi difficilmente avrebbe
potuto dubitare che i Lasi fossero la stessa cosa dei Lari se avesse saputo
che gli spiriti degli antenati vengono tuttora chiamati in Romagna Lasii,
Lasi o LLasii.
Devo esprimere qui la mia grande riconoscenza al mio amico Professor (ora
Senatore) D.Comparetti di Firenze, che non solo ha messo la sua
ammirevole biblioteca a mia disposizione, ma mi ha anche aiutato
materialmente tramite “consigli, avvertimenti e critiche”. Ed anche suo
genero, il Professor Milani, direttore del Museo Archeologico ed Etrusco e
che come antiquario etrusco non è, io penso, secondo a nessuno. Ne
approfitto per dirigere l‟attenzione del lettore sul suo magnifico lavoro, che
sta per essere pubblicato con il titolo di Le Divinità e la Religione degli
Etruschi e che è un resoconto completo di tutto ciò che si conosce sulla
materia.
Per quanto riguarda l‟autenticità delle mie informazioni, devo osservare che
le persone da cui le ho ottenute sono state in ogni caso troppo illetterate per
comprendere i reali motivi per cui le raccoglievo. Esse erano all‟oscuro di
qualunque classico ad un livello che supponevo insolito in Italia. Ho letto
molte volte le liste dei nomi delle Divinità Romane senza che ne fosse da
loro riconosciuta alcuna, fino a quando venivo fermato – solitamente su un
nome etrusco -, si prendevano un minuto di riflessione e quindi mi
fornivano i risultati. La stessa cosa è accaduta riguardo a superstizioni,
storie o altre tradizioni – spesso non le riconoscevano affatto o le
conoscevano con grosse differenze. Se mi avessero voluto mentire, mi
avrebbero detto di sì a tutto. Ma nella maggior parte dei casi i miei
informatori non mi rispondevano ma andavano a consultarsi con altre
streghe o scrivevano per chiedere informazioni ad amici che vivevano in
Romagna. Così è accaduto spesso che mi ci siano voluti da settimane ad
anni per raccogliere determinate informazioni. I veri pionieri del folklore
hanno sempre un compito ingrato. Devono superare difficoltà di cui pochi
lettore possono comprendere la portata e devono lottare con l‟imperfezione
della lingua, dei ricordi e dell‟intelligenza di vecchi ignoranti che hanno
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mezzo dimenticato le tradizioni o con ignoranti più giovani che le hanno
imparate solo a metà. Riguardo a questo io sono stato il più esatto possibile,
date le circostanze, e se qualcuno dovesse avere bisogno di ciò che nìhil est,
quod cura et diligentia perfici haud possit, posso solo rispondere che in
questo lavoro io ho esaurito la mia. Ed è sfortunatamente vero che nel
collezionare le tradizioni folkloristiche, come nel tradurle, il critico
potrebbe cogliere errori a non finire, se volesse, o mostrare come lui
avrebbe potuto migliorare l‟opera revisionando i migliori libri sulla materia
– ed ecco una delle cause principali per cui oggigiorno molti dei libri
migliori non vengono scritti affatto. Perché in verità non rendono molto
denaro e, se vi si aggiunge il discredito, si può solo dire come quel ministro
scozzese alla moglie: “Se tu non possiedi né fortuna né grazia, Dio sa quale
brutto fardello mi sono caricato prendendo te.”
Bisogna osservare che tutte queste superstizioni, osservanze, leggende,
nomi ed attributi degli spiriti sono attualmente lontani dall‟essere
generalmente conosciuti. Gran parte della tradizione è stata originariamente
confinata alle strege, le streghe, che sono poche e distanti tra loro, come
segreti della loro professione illegale. Nuovamente, in seguito le
generazioni più giovani hanno smesso di interessarsi a tali cose e, riguardo
ai nomi di certi spiriti, è difficile trovare anche pochi vecchi – magari uno
qua ed uno là – che se li ricordino. Mi è stato quindi molto difficile
verificare con ogni mezzo a mia disposizione l‟autenticità di ciò che mi
veniva detto, particolarmente i nomi e gli attributi di spiriti o Dei. La
persona più intelligente tra quelle che mi hanno aiutato in questo lavoro ha
fatto del suo meglio per intervistare più di una vecchia. Per fare questo è
stato impiegato in particolare un giovane contadino intelligente. Egli andava
al mercato nei giorni in cui i contadini scendevano a frotte dalle montagne e
chiedeva alle vecchie ed ai vecchi provenienti da vari luoghi se
conoscessero questo o quello spirito. Ebbe molto successo nel verificare
quasi tutti i nomi che fornisco qui, ma disse che aveva trovato difficoltà
riguardo ad alcuni, prima di tutto perché solo pochi anziani conoscevano i
nomi che ero particolarmente desideroso di confermare come Tinia, Faflon
e Teramo e, in secondo luogo, perché questa gente era molto restia a parlare
di ciò che sapeva, perché queste cose erano scongiurate (proibite dai preti).
Aderendo strettamente alla lettera alle sue istruzioni, tuttavia egli non solo
ottenne le verifiche ma indusse molti vecchi contadini a scrivere delle
dichiarazioni, o fogliettini, riguardo a quello che avevano affermato. Scritte
su strisce di carta di vari colori, queste dichiarazioni hanno un effetto
curioso ed appaiono come testimonianze del carattere delle antiche Divinità.
Ecco un esempio di questi documenti:
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“ I Lasii sono gli spiriti dei nostri antenati e vengono conosciuti a Santa
Sofia.” Augusto Fierrari, marzo 1891
“Fafflond (Faflon) o Fardel è lo spirito del vino. Viene conosciuto come
Politeo (Portico). Ottavio Magrini
“Tigna, il grande spirito del lampo, è conosciuto qui a Dovadola dai tempi
antichi.” V. Del Vivo
“Teramo è lo spirito dei mercanti, dei ladri e dei messaggeri. Viene
conosciuto a San Benedetto, dove le azioni di questi spiriti sono state
riferite per molti anni. Tito Forconi, marzo 1891
Enrico Rossi testimonia su Mania della Notte, l‟incubo, che “veniva
ricordata un tempo da molti ma ora è da molto tempo che nessuno a Galeata
parla più con lei.” Ho molte altre di queste dichiarazioni; basti dire che
questo giovane, con l‟aiuto del padre e degli amici, ha verificato con molto
successo tutti i nomi tranne 3 o 4. Dovrei tuttavia dire che questi agenti
erano eccezionalmente qualificati per questo obiettivo, avendo una donna
saggia – in realtà due – in famiglia. In alcuni rari casi l‟ortografia dei nomi
variava. Così Peppino dichiara in una lettera che il nome giusto di Faflon è
Faflo e che i Lasii sono llasie. Tengo a dire che ho fatto tutto ciò che era in
mio potere per verificare l‟autenticità e la reale esistenza dei nomi e degli
attributi di questi spiriti, così come delle altre materie del folklore trattate in
quest‟opera.
Bisogna notare un‟altra difficoltà o contraddizione. Molte superstizioni ed
osservanze vengono registrate come se fossero tuttora di uso corrente o ben
conosciute, mentre in realtà sono quasi dimenticate, mentre altre sono
ancora familiari alla massa. Ho parlato spesso di cose come viventi che
stanno rapidamente divenendo obsolete perché così hanno detto i miei
informatori, secondo la moda dei vecchi: ut est à nobis pauloantè
commemoratum. Mi è stato detto che queste storie e questi riti stanno
morendo molto rapidamente, che 20 anni or sono si sarebbe potuta
raccogliere una vasta e curiosa collezione di esse e che tra 10 anni
probabilmente sarà impossibile trovare i nomi delle vecchie Divinità o più
di un semplice frammento di ciò che io ho preservato e che gran parte di
esse è morta o svanita tra la gente da quando ho cominciato a raccoglierle.
Per tutto ciò desidero il giusto riconoscimento. Devo anche chiederlo per
ciò che qualche lettore potrebbe considerare come un difetto. Gran parte di
queste tradizioni popolari provengono da persone che le hanno imparate
molto tempo fa e che, consciamente o meno, hanno spesso solo un pallido
ricordo di una canzone o di un incantesimi e così, volontariamente o meno,
lo hanno ripetuto magari imperfettamente così come se fosse stato fatto tra
contadini, che non sono affatto accurati in tali cose e tuttavia possiedono il
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grande dono dell‟improvvisazione. Che il motivo o la tradizione siano in
ogni caso esistiti ed in questo senso conservati, di questo sono certo.
Semplicemente voglio dire che ho raccolto e pubblicato meglio che potevo,
facendo del mio meglio per operare una selezione tra una massa di materiale
terribilmente mescolata e confusa e non avrei potuto fare di più. Coloro che
sono più qualificati di me potranno fare un lavoro migliore.
Ciò che apparirà strano a molti lettori è che molti degli incantesimi ed altre
parti della narrazione che ho reso in rima sembrano in originale come mera
prosa. Richiamo una speciale attenzione su questo, perché ha rappresentato
per me una particolare difficoltà. Ciò che ho sentito cantare in arie, che
suonava melodiosamente, l‟ho reso in una forma quasi poetica chiamata
cantare alla contadinesca, che significa cantare la prosa in maniera
particolare. Per illustrare ciò potrei citare una canzoncina molto popolare:
“Ma guerda la Rusena afazeda a la finestra”
che non possiede né in romagnolo né in Italiano traccia di rima o ritmo e
che, datami per iscritto, sembra maggiormente in prosa rispetto alla
maggioranza degli incantesimi o poemi di quest‟opera. Sono grato al
Senatore Comparetti di Firenze per avermi fatto notare che questo avrebbe
potuto sembrare a molti lettori un errore ed ho quindi dedicato a questo una
spiegazione particolare. Ma devo anche alla sua vasta conoscenza il
riconoscimento che non è meno vero che in molti paesi, per esempio in
quelli slavi, vediamo incantesimi popolari che passano rapidamente dalla
poesia alla semplice prosa. Questo è il primo stadio del decadimento ed è
abbastanza naturale che coloro che hanno acquisito le tradizioni popolari in
questa incerta forma mezzo mutata la rendano in maniera imperfetta.
Quando verrà la prossima generazione, esse saranno interamente perdute e
magari gli antiquari saranno grati di libri come il mio, per quanto pieni di
difetti.
Tratto dal mio Gipsy Sorcery quanto segue:
“Negli ultimi anni è stato scoperto che in India, durante le migliaia di anni
di dominio brahmanico, buddhista e maomettano è sempre esistito tra il
popolo un grezzo sciamanesimo, un‟adorazione degli spiriti e delle pietre
che ricorda la stregoneria e che ha formato una religione di per sé, venuta
alla luce quando il governo inglese ha tolto l‟oppressione religiosa. Questa
religione consisteva nel porre piccole pietre a mo‟ di Stonehenge o altri
monumenti “druidici” ed in altri riti del tipo più primitivo. Ed è molto
evidente che dappertutto le antiche religioni sono fondate su tale fede.”
Ma io sono stato molto stupito di scoprire che in Toscana, la parte più
illuminata dell‟Italia, durante tutto il dominio dei Romani è esistita una fede
pagana, o qualcosa del genere, in grado straordinario. Perché non si tratta
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solo di una semplice possibilità di sopravvivenza delle superstizioni qui e là,
come in Inghilterra ed in Francia, ma di un sistema completo, com‟è
abbondantemente provato. Alcuni anni fa il Conte Angelo De Gubernatis
durante una conversazione informò Mr. Gladstone che tuttora tra i contadini
toscani vi è più paganesimo che cattolicesimo. Io ripetei questa
affermazione ad una donna che stavo impiegando per raccogliere le storie
tradizionali ed ella rispose: “Certamente vi è dieci volte tanto più fede nella
vecchia religione, perché i contadini hanno fatto ricorso ai preti ed ai santi
nelle grandi occasioni, ma usano la magia ogni giorno per qualunque cosa.”
In un altro momento, esprimendo stupore riguardo al fatto che una
determinata ragazza cresciuta nel paese ignorasse il nome degli spiriti e non
ricordasse nulla riguardo alla stregoneria, ella dapprima se ne risentì e poi,
eccitata, esclamò:
“E come dovrebbe una stupida sciocca come me, che teme i preti ed i santi,
sapere tutto? Io mi professo cattolica, sì, ed indosso una medaglia per
provarlo” e qui, agitata, tirò fuori la medaglietta di un santo appesa ad una
catenina – “ma non credo in nulla di tutto ciò- Tu sai in cosa credo.” “Sì, la
vecchia religione” risposi io, dalla quale ho tratto quella strana stregoneria
Etrusco-Romana che descrivo in questo libro. La magia era la sua vera
religione. Molta di questa magia è mescolata con riti e santi cattolici ma
anch‟essi sono spesso di origine pagana. Alcuni santi, come Antonio,
Simeone ed Elisha, appaiono come stregoni o folletti e ci si rivolge a loro
con antiche cerimonie pagane nelle cantine ed incantesimi. La credenza nei
folletti, un termine generico per indicare i goblin ed altri spiriti familiari,
trascende le fiabe tipo quelle dei fratelli Grimm per entrare nella credenza
popolare come parte della religione ed essi vengono invocati in buona fede.
In Toscana vi è una cultura di adorazione dei feticci che non è cattolica: per
esempio, quella di strane pietre e di molte curiose reliquie.
Tuttavia vi è, come ho sottolineato, molto mistero e segretezza in tutto
questo culto. Vi sono i suoi professori: uomini, ma principalmente donne,
che raccolgono incantesimi e magie e se li insegnano a vicenda e tengono
incontri; vi è quindi una sorta di scuola per le streghe e gli stregoni che, per
molte buone ragioni, elude l‟osservazione. Io ho avuto l‟occasione di
conoscere a Firenze un veggente, iniziato a quei segreti, la cui memoria
eccezionale non possedeva solo formule magiche ma anche canzoni e storie.
Una familiarità con la tradizione popolare e la stregoneria quale quella che
io posseggo grazie alla fiducia altrui in me, mi ha permesso di penetrare in
questa strana foresta oscura abitata da streghe ed ombre, Dei scomparsi e
goblin dimenticati dei tempi antichi, quando tradizioni popolari di ogni tipo
abbondavano a livello tale che avrei molto altro da pubblicare oltre a questo
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libro. Per far questo sono andato in strani luoghi ed ho fatto strane
conoscenze, così che il lettore potrà immaginarsi qualcosa molto fuori dal
comune e spesso selvaggio e davvero strano – per esempio profetico –
quando il veggente era sulle carte, come drammatico accompagnatore di
ogni incantesimo e leggenda di questo libro, facendo giustizia. So bene
uanto sia difficile raccogliere storie popolari tra gli Indiani rossi, molto
reticenti, ed i Rumeni, ma l‟estrarre la stregoneria dalle streghe italiane è
stato più difficile ancora. “Anch‟io ero tra le ombre.”
La straordinaria tenacità con cui i contadini toscani hanno conservato questi
frammenti della loro antica fede è in accordo con il loro antico carattere.
Livio dice di loro che erano “una razza che superava tutti in devozione ai
riti religiosi e nell‟arte di coltivarli (V, I, 6). Ma, come sottolinea Karl
Ottfried Müller nel suo Die Etrusker, un‟opera che mi è stata molto utile,
“mentre i Greci esprimevano i loro sentimenti religiosi con coraggio in
varie forme… i Toscani le univano nella maniera più intima ad ogni
interesse pratico domestico. La divinazione toscana ha conseguentemente il
tratto più caratteristico della nazione ed il Hauptpunkt o l‟inizio della loro
azione ed educazione intellettuale.” E questo spirito sopravvive tuttora. Tra
tutte le guerre e le convulsioni dell‟Italia i contadini della Toscana sono
rimasti la stessa razza. Inglesi e Francesi sono il risultato di mescolanze
moderne di popoli ma gli Italiani, come Marble Faun di Hawthorne, sono
assolutamente antichi, se non preistorici. In Italia vi sono famiglie che
ritrovano i propri cognomi nei monumenti etruschi delle loro dimore. E
Cicerone, Tacito, Livio, Virgilio e molti altri testimoniano che tutta la loro
divinazione e le loro pratiche religiose sono state tratte da e basate su
l‟autorità etrusca. “Questo” dice Müller “veniva condiviso dalla gente
comune. In Italia vi erano scuole, come quelle dei profeti Ebrei e dei Druidi
Gallici, in cui veniva insegnato il sistema.” E tuttora esiste tra le streghe
toscane un‟ultima reliquia di questo. In tempi posteriori i maghi caldei
presero piede a Roma con la loro astrologia, ma gli augures etruschi erano
ancora una potenza, tanto che ancora nel V secolo A.D. venivano consultati
per la nascita di Claudio. Nel 408 essi protessero Narnia invocando i
fulmini contro i Goti (Müller).
I libri di magia etrusca erano comuni tra i Romani. Al tempo di Cicerone
(Cic. De Div. I, 33) ve ne erano molti. Mi è stato assicurato che esiste
ancora una collezione scritta di incantesimi ed amuleti tuttora in uso – mi è
stata promessa in dono, ma non sono riuscita ad ottenerla. Ho tuttavia un
grosso manoscritto di questo tipo, scritto per me grazie a raccolte e ricordi e
che ho usato per scrivere questo libro.
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Ho illustrato ampiamente la mia raccolta con esempi tratti dalla lettura e vi
ho aggiunto delle storie che hanno curiose connessioni con le superstizioni e
le tradizioni classiche. Vi sono anche alcuni dati riguardo a certe piante, che
mostrano in che modo la credenza che molte erbe e fiori possiedano un
essere fatato che vi dimora e siano essi stessi esseri fatati sopravviva tuttora,
con un livello di personificazione che è da molto tempo scomparso nella
maggior parte degli altri paesi europei.
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Prima Parte
Dei e Folletti
Capitolo 1
Tinia
“Tinia era la Divinità suprema degli Etruschi, analoga allo Zeus dei Greci
ad a Jupiter; era il centro del mondo divino etrusco, il potere che parla nel
tuono e discende nel fulmine. Egli solo aveva 3 diverse saette da lanciare.”
The Cities of Etruria, G. Dennis
Era una contadinella con un piccolo
carretto a mano per le strade di Firenze.
Se fosse stata a Londra avrebbe avuto da
vendere delle mele o delle noci, ma era in
Italia ed aveva uno stock di antichi
classici in pergamena; aveva molto
materiale teologico del tipo più tetro, il
frammento di un lituus Romano ed un
foglio di antiche medaglie di bronzo. Di
queste ne presi 12, pagandole 2 o 3 pence
ciascuna, come volevo e, quando il
pagamento venne accettato con un
sorriso, seppi che la venditrice dagli occhi
blu aveva realizzato il cento per cento di
profitto. Ad un esame vidi che avevo comprato:
1. la medaglia di bronzo che Pietro Aretino aveva coniato in proprio
onore con l‟iscrizione Divus p. Aretinus flagellum Principum, di
cui avevo spesso letto ma che non avevo mai visto e che avrei dato
ogni giorno due pence per possedere;
2. un bronzo molto buono di Giulio Cesare, con la facciata posteriore
appiattita con un martello ma con l‟immagine di quel grande uomo
perfetta;
3. Nerone Claudio Cesare. Un bronzo dorato in buono stato di
conservazione, con l‟occhio malvagio ed il collo taurino eseguiti a
perfezione;
17
4. una strana ed antica medaglia greca in bronzo bianco duro di Luson
Basileös, con sull‟altro lato apparentemente le Tre Grazie con la
scritta Apol ed accanto Dionuso Lares. Qui viene chiamata “denaro
delle streghe”;
5. una medaglia del 1544, perfetta, rappresentante un Cardinale che,
dall‟altro lato, è un giullare con cappello e campanelline con il
motto Et Stulti aliquando sapite.
Tutte erano interessanti e curiose ma non mi propongo di catalogarle. Ciò
che mi ha colpito è stata la notevole rassomiglianza di tutti questi
ritrovamenti – ed il modo in cui li ho avuti – con le leggende ed altre
tradizioni che ho raccolto in queste pagine. Anche queste discendono dai
tempi dell‟antica Roma; alcune sono tristemente rovinate ed altre, come il
Nerone, sono ricoperte con una spessa patina olivastra che è stata rimossa
per restaurarle, così come un curato inglese “restaura” una chiesa gotica;
altre ancora, come il Giulio, hanno solo una leggera ruggine; alcune
appartengono al rinascimento cattolico-pagano – una è una Leone I; in
breve, in una società come nell‟altra vi sono gli stessi elementi, i Lari
cristiani e pagano sono stati mutati in goblin, Dionysus-Faflon, denaro delle
streghe, volgarità e grandezza imperiale. E tutte sono state raccolte, le
medaglie come le cose varie, insieme alle loro leggende da povere
contadine che ignoravano beatamente le loro origini classiche eccetto per il
fatto che in esso vi era qualcosa di magico.
Se riflettete un istante su questi oggetti, capirete che il bronzo della mia
medaglia di Giulio Cesare può provenire dalla fusione di altre medaglie o
oggetti più antichi di quando nacque colui che, come un Colosso, fu
padrone del mondo. Più grezzo è un bronzo e più antico potrebbe essere;
perciò ne deriva che queste leggende toccano la notte dei tempi. Vero è
anche che vi sono cose grezze risalenti a date posteriori e nella mia
collezione ve ne sono alcune. Procederò ora con una delle mie prime
scoperte.
18
Aplu, Tinia, Teramo
Heine ha mostrato nel suo Gods in Exile come le antiche Divinità classiche
siano scese nel mondo dopo essere state detronizzate. Se lui fosse stato
consapevole dell‟umile condizione in cui erano stati ridotti in Toscana
avrebbe avuto conferma della sua opinione. Cominciamo con Jupiter:
“Gli Etruschi” scrive Ottfried Müller “adoravano un Dio che veniva
paragonato al Romano Jupiter, la Divinità guida, e che veniva spesso
chiamato in questo modo ma che in Toscano veniva conosciuto come Tina o
Tinia. Tina era quindi il più importante dei loro Dei, il punto centrale
dell‟intero pantheon di Divinità. Veniva onorato in ogni citta toscana ed
anche a Roma – almeno fino ai tempi dei re etruschi, insieme a Juno e
Minerva, nel tempio della cittadella. Nell‟arte toscana nelle sue mani vi era
sempre il fulmine; egli è il Dio che parla in esso e discende in esso sulla
terra.”
“Conosci il nome Tinia?” chiesi alla mia autorità stregonesca, che non
conosce solo i nomi popolari della mitologia toscana attuale ma anche i
termini più reconditi conservati tra le strege, le streghe.
“Tignia o Tinia? Sì; è un grande folletto (uno spirito, un goblin) ma
maligno. Procura molto danno. Sì, è grande ma cattivo.”
E quindi si prese una pausa per riflettere, quindi riprese:
“Tinia è lo spirito del tuono, del fulmine e della grandine. E‟ molto potente.
Se un contadino lo maledice, allora giunge un temporale o una grande
tempesta ed egli appare nel fulmine e brucia tutto il raccolto. Se il contadino
comprende ciò che è accaduto e chi ha rovinato i campi, capisce che è stato
Tinia. Va quindi a mezzanotte al centro del campo o della vigna e chiama:
„Folletto Tinia, Tinia, Tinia! A te mi raccomando che tu mi voglia
perdonare, se ti ho maledetto non l‟ho fatto per cattiva intenzione, l‟ho fatto
soltanto in atto di collera; se tu mi farai tornare un buon raccolto, folletto
Tinia, sempre ti benedirò!‟”
19
Questo, penso, stabilisce l‟identità del moderno Tinia con l‟antico Dio del
tuono. Secondo Müller, questo nome appare solo una volta come Tina. La
sua forma spesso si trova sugli specchi. E‟ molto interessante sapere che
tuttora esiste come reale un‟invocazione al Giove etrusco e che, quale umile
usanza, viene ancora adorato.
Esiste un‟altra invocazione al tuono ed al fulmine, ma non è collegata con
questa Divinità. E‟ la seguente:
“Quando vedi tuoni e fulmini devi dire:
„Santa Barbara benedetta, liberateci dalla saetta e dal gran tuono! Santa
Barbara e San Simone, San Simone e Sant‟Eustachio, sempre io mi
raccomando!‟”
Perché vi sono due distinte religioni in Romagna, “una è buona se l‟altra
fallisce” e molti credono ancora che gli spiriti o gli antichi Dei siano, in
complesso, quelli su cui contare maggiormente. E‟ vero che questo sta
scomparendo molto rapidamente e che solo pochi dei fedeli conoscono
ancora i nomi e le invocazioni, tuttavia essi esistono ancora. Tra dieci anni
alcuni dei più importanti di questi nomi di Dei saranno scomparsi; ora come
ora, essi sono conosciuti solo da pochi tra i più vecchi contadini o da una
strega, che mantiene questa conoscenza segreta.
Stranamente connessa con Tinia è l‟erba che porta lo stesso nome e che
viene considerata dal popolo con grande rispetto a causa delle sue qualità
magiche superiori. Essa stessa è, infatti, uno spirito. Un esemplare mi è
stato portato da Rocca San Casciano, con ciò che segue:
“La pianta di Tigna dovrebbe essere tenuta in gran conto perché, quando
uno è afflitto dallo spirito Tigna (Tinia) dovrebbe mettere questa erba in un
piccolo sacchettino rosso e portarlo sempre con sé, specialmente al collo dei
bambini. Quando Tigna comincia a molestare una famiglia è davvero
terribile. Con questa pianta ci facciamo ogni mattina il segno della croce e
diciamo:
„Padre, in pace se ne vada per mezzo di questa erba quella testa di Tigna.
Figlio, in pace se ne vada quello spirito maligno. Spirito in carne ed ossa, in
pace te ne possa andare; vattene e per mezzo di questa erba in casa mia tu
non possa entrare; e forza di farmi del male più non avrai.‟
E non dimenticate mai di benedirvi con questa erba.”
Questo incantesimo è stato ricordato non perfettamente ed è certamente una
forma spezzata, come nel caso di altri che non sono stati ricordati per molti
anni.
Tigna, come il lettore ricorderà dalla prefazione, viene descritto da V. Del
Vivo come “il grande folletto del fulmine, che da lungo tempo è a
Dovadola, dov‟è tuttora conosciuto.” La sua esistenza è ben confermata ma
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egli è una delle Divinità che stanno rapidamente scomparendo e che sono
orami conosciute solo da molto pochi. In complesso, è molto più temuto che
amato ed anche il Tinia degli Etruschi era una Divinità, al contrario di
Jupiter, orribile e spaventosa. Pressochè tutte le Divinità etrusche erano – se
paragonate a quelle Greco-Romane – di natura malevola e molte di esse
possedevano tuoni ed elargivano molte tempeste e grandinate. Tutto quello
che, con le debite proporzioni, il lettore troverà negli spiriti che esistono a
tutt‟oggi in Toscana ed in Romagna. Si deve osservare che il nome di Tinia
o il suo equivalente, si ritrova nelle leggende toscane come quello di un
grande signore, il più ricco di tutto il paese- Come nella storia La Golpe,
nelle Novelle Popolari Toscane di Pitré, il Marchese di Carabas nell‟italiana
“Il Gatto con gli Stivali” viene chiamato “il Sor Pasquale del Tigna”. Sia
nella storia inglese che in quella italiana il misterioso ed invisibile o
nascosto Marchese, come il Sor de Tigna, è un deus ex machina, un potere
superiore che viene sfruttato a beneficio del povero eroe. Non penso sia
forzare la questione il congetturare che abbiamo in lui un Dio in esilio o un
Dio disceso nel mondo. “Caduto dalla sua alta dimora.”
Teramo (Turus, Mercurio)
Teramo
Il racconto che segue riguardo a questo spirito è stato ottenuto da molte
persone autorevoli, ma specialmente da un‟anziana donna che viveva non
lontano da Forlì ed è per diverse ragioni molto interessante:
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“Teramo è uno spirito favorevole a ladri e mercanti. Quando una banda di
ladri di incontra in qualche luogo chiuso per progettare un furto, Teramo è
sempre presente per aiutarli, a meno che essi non intendano uccidere (se
non ragionano di spargere sangue). Ma se non progettano violenza di quel
tipo egli è sempre là, anche se essi non vedono che un‟ombra. Quindi egli
dice: „Giovanetti, presto all‟opera ed io verrò in vostro aiuto – lavorate in
pace e non sarete scoperti ma non dimenticate di aiutare i poveri che hanno
un grande bisogno. Fate questo ed io vi mostrerò cosa fare; ma se
dimenticate la carità allora verrete scoperti e così non godrete niente.‟ Ma
se essi intendono spargere sangue egli probabilmente metterà le loro vittime
in guardia e causerà il loro arresto. Con i mercanti o i commercianti, se uno
aveva del bestiame o qualcosa del genere da vendere Teramo era sempre
all‟opera. E talvolta giocava brutti scherzi, come quando uno che aveva una
bella moglie – o figlia che fosse – che tornò a casa per errore e la trovò a
letto con un bellissimo uomo. O se un mercante concordava di spedire della
merce ad un cliente in un certo periodo e mancava questo appuntamento,
Teramo faceva sparire la merce e l‟uomo cui era stata promessa se la
ritrovava in casa senza bisogno di pagare. Se avesse pagato, egli avrebbe
ripreso la merce. Teramo è anche uno spirito messaggero e porta notizie da
una città all‟altra o da una parte del mondo ad un‟altra molto velocemente.
Ma per ottenere questo aiuto si deve andargli a genio (bastava però farsi
prendere da lui a simpatia), così un piccolo proprietario terriero o un ladro
e simili sono suoi amici. Quando qualcuno, ladro o innamorato, desidera
mandare notizie ad un amico, deve entrare di notte in cantina e pregare
Teramo, dicendo:
„Teramo, Teramo, se è vero che tu mi sei amico io ti prego: che questo
messaggio che io mando possa raggiungere velocemente e sicuramente la
sua meta!‟
Quindi prende un piccione e lega il suo messaggio alla sua zampa, dicendo:
„Vai, vola lontano per me e che Teramo di faccia compagnia!‟
Ma non si deve mai dimenticare lo spirito Teramo (sempre però
rammentarsi dello spirito di Teramo).”
Quest‟ultima esortazione significa che non ci si deve mai dimenticare di
fare la giusta invocazione o di rivolgersi a lui nei tempi indicati.
Abbiamo qui piuttosto evidentemente Mercurio, “la Divinità guardiana dei
mercatores e dei collegii mercatorum così come dei ladri, che era il
messaggero dai piedi alati degli Dei”, nonostante coloro che mi hanno
raccontato questa storia non sapessero nulla del nome di Mercurio. Ma
potrebbe essere che abbiamo qui in Teramo l‟antico nome etrusco di
Mercurio, molto cambiato. “In Etruria” scrive Preller (Rom. Myth., pag.
22
597) “il Greco Hermes veniva chiamato Turms, che è formato dal nome
Greco così come Turan proviene da Urania.” Tutms o Turmus venne
italianizzato in Turmo, che nell‟accento romagnolo, con una R prolungata, è
diventato naturalmente Turamo.
Siccome il nome di Teramo era molto importante, mi sono premurato di
verificare in modo particolare che quanto mi era stato detto fosse autentico.
Come il lettore ha visto nella prefazione, Tito Forconi ha testimoniato che a
San Benedetto le azioni di Teramo come spirito guardiano di mercanti, ladri
e messaggeri “sono state riferite per molti anni”. E da allora anche altri
hanno testimoniato di conoscerlo. Egli è, tuttavia, uno di quelli che stanno
rapidamente divenendo sconosciuti o dimenticati, eccetto che tra gli anziani,
come ha dichiarato Peppino – questo perché, suppongo, i preti naturalmente
odiano avere rivali nel garantire il perdono a ladri, camorristi, eccetera.
“Fur ac nebulo Mercurius," dice Lattanzio "quid ad famem sui reliquit, nisi
memoriam fraudum suarum?”
E‟ importante sottolineare che ho avuto maggiori difficoltà a raccogliere
delle prove dell‟esistenza di alcuni nomi particolari quali Tigna, Faflon e
Teramo che erano, tuttavia, di grande importanza. “E‟ una buona cosa che
tu sia venuto quando ti sei cominciato ad interessare di queste cose” disse
un‟informatrice “perché nel giro di pochi anni la maggior parte di questi
nomi sarà dimenticata da tutti.” Ed io credo sinceramente che in dieci anni
non ne sopravviverà un decimo. Ed è stata una grande occasione quella in
cui mi sono imbattuto a Firenze: la persona che tra tutte aveva un amore
innato per la magia, le storie strane e le vecchie canzoni, che era essa stessa
una veggente ed a cui erano stati insegnati gli antichi nomi degli spiriti ed
innumerevoli incantesimi da una matrigna strega. Se non fosse stato per lei,
avrei potuto cercare invano la maggior parte di ciò che ho scritto in questo
libro.
E‟ forse importante citare la connessione tra Teramo – un tempo Teramus –
ed un antico Dio Sciita, Tharamis, di cui Lucano (1, I, Pharsal.) dice:
"Et Tharamis Scythicæ non mitior ara Dianæ."
Pare sia stato un Dio celtico, adorato dai Bretoni. Selden descrive
un‟iscrizione che collega Tharamis deabus matribus con le Divinità
materne, che lo identificano non con Giove ma con Mercurio. Ma di questo
Dio celtico e di qualunque sua possibile connessione con Teramo non vi è
in realtà alcuna prova. Sugli specchi etruschi, dice Dennis, il nome di questo
Dio è generalmente Turms o Thurms; in un caso egli viene chiamato Turms
Aitas o l‟infernale Mercurio (Gerhard, Etrus. Spiegel, II, tavola 182).
Veniva associato da Tarquinio ai tre grandi Dei (Serv. Ad, Aen., II, pag.
296).
23
Buschet
Questo racconto mi è stato fornito a conclusione di quello di Teramo con
cui, tuttavia, ha una connessione molto modesta:
“Lo spirito Buschet era sempre in compagnia di Teramo in tutto ciò che
faceva. Se un uomo aveva delle figlie graziose allora gli andava tutto bene,
se non ne aveva nessuna subiva dei danni. C‟era un mercante che aveva una
figlia molto bella ma Buschet non riusciva a persuaderla né ad entrare in
casa, perché ella aveva avuto un innamorato il cui corpo, quando egli morì,
ella tramutò in pietra e lo mise in una cassapanca, che teneva segretamente
sotto il suo letto. E Buschet non poteva entrare in una casa in cui vi era un
cadavere. Allora pensò di cantare una canzone che l‟avrebbe messa in
allarme, ma ella non si spaventava in alcun modo, tanto grande era l„amore
che provava per il morto. Ed egli cominciò a cantare:
„O rosa, o amabile rosa! Così io ti chiamo perché tu sei così bella che
sembri una rosa davvero; e siccome sei bella, o bellezza, vorrei premerti
contro le mie labbra e baciarti dolcemente. E mi pare una cosa malvagia che
tu abbia un innamorato morto sotto al tuo letto; non è una tomba adeguata e
se tuo padre sapesse che è lì cosa direbbe allora? Dimmelo, povera ragazza!
Ti do un consiglio, ora, e ti dirò cosa fare. Prendi il tuo innamorato morto da
sotto al tuo letto e portalo via. Se ne andrà anche il male. Sei in pericolo
mortale, perciò stai attenta; sei stata avvisata!‟
Ma ella non gli diede ascolto nè si spaventò, bensì andò a pregare sul corpo
del suo innamorato. Allora Buschet andò a cantare sotto la finestra del
padre:
„O buon mercante, sotto la tua finestra canterò un piccolo stornello e spero
che tu, con pazienza, ora ascolterai ciò che dirò; altrimenti ti garantisco che
te ne pentirai! Tu sai bene che tua figlia da un anno rimane nella sua stanza;
non pensavi che fosse così simile ad una santa o magari ad un vero angelo e
non hai mai parlato così bene di lei! Ma invece, buon mercante, sappi che
ella ti tradisce. Sono davvero spiacente di doverti dire che tutta la sua vita è
votata al male e che lei ti copre di grande disonore. Vai nella stanza di tua
figlia; vacci alle dieci e non la troverai dormiente nel suo letto, ma
inginocchiata sopra ad una cassa che contiene un uomo morto mutato in
pietra; oh, vergogna e dolore per te! Porta via quella bara, nascondila
velocemente, perché se la giustizia sapesse di essa saresti nei guai, come
sai, e ben presto, tutto a causa di quella tua figlia svergognata.‟
Nell‟udire questo il mercante, alzandosi, cercò la stanza della figlia, aprì la
porta e la trovò a pregare sopra il suo innamorato freddo come pietra; le
chiese quindi in che modo il morto fosse lì. Ed ella, tutta tremante, rispose:
„Questi è colui che mi ha amata così teneramente, ah, troppo teneramente –
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ogni notte dormivamo assieme fino al mattino ma una notte egli morì tra le
mie braccia. Ed io feci ciò che Dio mi ispirò: dalla mia stanza egli non
sarebbe mai rinato perché io lo avrei tenuto qui a pregare per lui, amandolo
sempre. Ora che è morto non è un peccato baciarlo.‟
Ma il padre non ascoltò il suo lamento nè la sua supplica; non si curava del
suo dolore, perciò portò fuori l‟innamorato e lo mise nel camposanto. Così,
naturalmente, Buschet fu felice. Il tempo passò ed ella udì di nuovo il suo
canto; nell‟udirlo, dimenticò il suo innamorato ed alla fine lo spirito
trionfò.”
Questa traduzione è molto simile all‟originale in quanto a parole e metrica,
nonostante non ne possieda la sua grazia delicate. Il lettore non potrà
tuttavia mancare di osservare lo spirito selvaggio ed inquietante della
stregoneria, il desiderio di una giusta morale o di un giusto sentimento
umano e la maniera straordinaria in cui questa “povera semplice Isabel”,
dopo tale squisita devozione all‟innamorato morto, lo dimentica per
Buschet. Ma alla strega tutto questo suggerisce qualcosa di così
completamente diverso che è pressochè impossibile da spiegare. La sua
simpatia va al goblin o al Dio; egli è per lei come la Divinità Indiana e la
baiadera del poema di Goethe. Nella ballata tedesca la ragazza deve passare
attraverso il fuoco per innalzarsi al cielo; così ella sopporta una pena per
divenire adatta allo spirito Buschet. E‟ il trionfo dell‟astuzia del mago senza
scrupoli che delizia il poeta romagnolo e che interessava alla donna che mi
fece il racconto.
Questa faccenda della ragazza che aveva conservato nella bara il suo
innamorato morto, su cui piangeva ogni notte, somiglia molto ad una storia
delle Mille e Una Notte “dove una bella principessa, che è anche una strega,
conserva il corpo di un amante negro, grazie alla sua arte magica, in stato di
vita apparente e lo copre dei baci della disperazione cercando, con la grande
magia dell‟amore, di risvegliarlo dal suo stato di mezza-morte alla vera
pienezza della vita”. A questo proposito Heine dice: “Anche da ragazzo,
leggendo questa storia araba, rimasi colpito da questa immagine di un
amore passionale ed incomprensibile.”
Rimane solo da sottolineare che “Hermes ed Apollo nei miti divennero
presto amici” (The Etruscans, by John Fraser, B.A.). Buschet, in quanto
compagno di Teramo, sarebbe altresì Aplu, Aplus o Apollo; ma non posso
stabilire alcuna identità tra i nomi. Schet è una terminazione romagnola ed
Apluschet è abbastanza possibile, nè è più remoto dall‟originale di quanto lo
sia Teramo da Hermes; ma un lavoro del genere difficilmente sarebbe
filologico. Apollo, come Buschet, provava una grande antipatia per i
cadaveri e la pestilenza.
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Impusa della Morte
“Vidi un Fantasma, in disusato aspetto, che richiamò dal suo furor la mente,
mirabil mostro, e mostruoso oggetto. Donna giovin di viso, antica d' anni.”
Satire di Salvator Rosa
Impusa della Morte è probabilmente l‟Empusa dei Greci. E‟ una strega
terribile, molto temuta. Vi è un breve detto o invocazione a lei rivolto:
“Impusa della Morte mi destavo! (o mi svegliavo!).” Ella appare come
mendicante errante, confuse con Feronia dei Mercati. Di lei sono venuto a
sapere:
“Impusa (chiamata anche Infrusa ed Infusa) era una strega così malvagia
che causava tutto il male che poteva ed era così avara che non avrebbe dato
un soldo a nessuno che glielo avesse chiesto. Questa vecchia strega
possedeva un bel castello ma non permetteva nemmeno ai suoi parenti più
stretti di entrarvi, per timore che potessero portarle via qualcosa. Infine morì
e, prima di morire, nascose tutte le sue ricchezze. Appena fu morta il
palazzo venne scosso da un terremoto e si sentì uno scuotere di catene come
se lì intorno vi fossero tutti i diavoli dell‟inferno; la finestra si aprì e dalla
sua mano volò via una cornacchia, che era la sua anima, che andò
all‟inferno. Venne seppellita in quell‟angolo della chiesa che viene tenuta
per i non battezzati. Il palazzo rimase vuoto, con solo pochi mobili,
nonostante si sapesse del grande tesoro che vi era seppellito in esso. Ed
alcuni di coloro che entrarono morirono di paura. Questa strega aveva un
nipote cui era attaccata e fu a lui che apparve una notte, a mezzanotte,
dicendo:
„Nipotino, bel nipotino, per il bene che t‟ho voluto levami da queste pene;
perché non avrò bene fino a che tu non avrai scoperto il mio tesoro. Io sono
la tua zia, la tua zia Infrusa; così mi chiamo, essendo sempre infrusa col mio
danaro, ma se tu avrai tanto coraggio da scoprire il tesoro che ho nascosto io
sarò felice e tu sarai ricco; ma ti raccomando che tu abbia coraggio e di non
spaventarti, perché tutti quelli che son morti sono morti per la paura.‟
Il nipote della Infrusa andò quindi a dormire nel palazzo; accese un bel
fuoco e si rifornì di buon vino e buon cibo, quindi si sedette presso il fuoco
a mangiare. Verso mezzanotte udì una voce ululare giù per il camino:
„Butto?‟ Ed egli rispose: „Butta via!‟ E venne gettata giù prima la gamba di
un uomo, poi un piede, un braccio, una mano e la testa e quindi tutte le parti
di dodici uomini. E quando furono tutte giù si riunirono e formarono dodici
uomini, che rimasero in piedi a guardarlo. Ma lui, calmo e tranquillo, chiese
loro se volessero mangiare o bere. Ed essi risposero: „Vieni con noi!‟ Ma lui
disse: „Ho mangiato e bevuto, non voglio andare via.‟ Allora essi se lo
caricarono sulle spalle e lo trasportarono lontano fin dentro ad una cripta,
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presero delle vanghe e gli dissero di sceglierne una e scavare. Ed egli
rispose: „Ho mangiato e bevuto e lo farò.‟ Così scavarono tutti assieme ed
infine giunsero al tesoro ed era molto grande. Quindi uno di loro gli disse:
„Va‟ a letto, tu che sei il padrone del tesoro e di questo bel palazzo e di tutte
queste ricchezze per il tuo gran coraggio; e la tua zia Infrusa starà in pace
ma sarà sempre un folletto che verrà tutte le notti a vedere i suoi danari,
essendo tanto egoista; ma tu ne sarai sempre il padrone.‟”
Questa è una variante di una ben nota storia di fate ma ha qualche valore
nell‟indicare il carattere della Impusa. E‟ possibile che questa sia, nella sua
rozzezza, un‟antica versione della storia. Va osservato, in questa come in
altre storie toscane del genere, che la strega viene liberata dalle sue
sofferenze non appena viene sollevata dalla responsabilità del proprio
tesoro. In altre narrazioni ella trova pace non appena passa il proprio potere
di strega a qualcun altro. In tutto ciò trovo che solo il nome sia in comune
con il racconto greco di Empusa, che aveva una gamba di un asino ed una di
ottone. Non è importante, dunque, che il nome sia greco, perché i Toscani
hanno fin dai tempi più antichi avuto rapporti con la Grecia ed il nome è
diventato popolare in Italia in data posteriore come nome di uno spirito orso
che era uno degli Dei animali minori. In un‟opera molto curiosa e rara,
tuttavia, intitolata Idea del Giardino del Mondo di Tommaso Tomai di
Ravenna (seconda edizione, Venezia, 1690), siano citati “demoni chiamati
incubi, succubi o empedusi ed altri lemuri che sono innamorati di uomini o
donne.” E‟ importante anche notare che di questi nomi toscani poco è
cambiato. E‟ poco importante che la Impusa non appaia nel racconto
moderno con un piede di ottone o come quello di un asino (alterum verò
habeat æneum aut asininum, Suidas); fin dal Medioevo questa parola veniva
spesso usata come sinonimo di Lamia, Lemure o strega di qualunque
genere.
Siero
Siero, nella moderna mitologia toscana, è un folletto cattivo e birbone. Vi è
anche il femminile dello stesso nome: Siera. Di lui abbiamo il seguente
racconto:
“Quando Siero è in collera con la famiglia di un contadino ed egli, incurante
di ciò, va a mungere il bestiame, munge ciò che appare del buon latte; ma
quando sta per essere usato esso si muta in acqua verde, che viene chiamata
siero dal nome del folletto. Allora il contadino, per far sì che le cose vadano
nuovamente bene in casa propria, implora Siero di essergli favorevole. Al
che il goblin viene a bussare alla porta della casa e, se il contadino ha una
figlia graziosa, grida: „Sì, ti farò felice, ma devi lasciarmi dormire una notte
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con tua figlia.‟ Ma, se ha una figlia bruttina, Siero ride e dice: „Se avessi
avuto una ragazza meno brutta e tu ti fossi burlato meno di me io ti avrei
reso ricco. Ma siccome tua figlia è così bruttina io non posso vendicarmi di
tutte le brutte cose che hai detto di me.‟ E se il contadino ha delle ragazze
né brutte né belle Siero grida: „Se ti ricorderai di benedirmi ogni giorno io ti
farò felice; ma se dovessi scordartene sarai infelice per tutta la vita.‟”
A Siero veniva associata Chuculvia, o Ch'uch'ulvia (con la ch fortemente
aspirata dei Toscani), di cui ho potuto sapere che sulla terra fu un grande
stregone ed ora è divenuto uno spirito maligno.
Non pretendo di suggerire che questi siano discendenti o forme delle
Divinità etrusche, ma vorrei sottolineare una coincidenza di nomi davvero
singolare in un passaggio dell‟ Etrusker di Müller (vol. II, pag. 110, note):
“Su un vaso vi è una Dea della morte, Asira, che sorregge un‟ascia sulla
testa di Anfiarao. Una furia, Tuxuxla (Tuchuicha) con un becco d‟uccello,
lega con dei serpenti Teseo, condannato al mondo di sotto, in un‟immagine
su un muro nella tomba dell‟Orco, a Corneto.”
Probabilmente in questa somiglianza di nomi non vi è null‟altro che la
somiglianza stessa, ma è interessante il notarlo.
.
Norcia, la Dea dei tartufi
“Ye elves of hills, brooks, standing lakes and groves,
And ye that on the sands with printless foot
Do chase the ebbing Neptune, and do fly him
When he comes back; you demi-puppets, that
By moonshine do the green-sour ringlets make
Whereof the ewe not bites; and you whose
pastime
Is to make midnight mushrooms.”
The Tempest, Atto V, s. I
“Nortia era la Dea del destino.” History of
Etruria, T.Emilton Gray
C‟è uno spirito rurale toscano di cui ho
potuto sapere poco, eccetto che essa ha la
predisposizione a portare guai. Una delle
sue specialità è quella di distrarre e
disturbare i cani quando cercano i tartufi.
E‟ possibile che in altri momenti ella abbia
da fare cose più dignitose. Il suo nome è
Norcia, o Nortia. Nortia era nei tempi
antichi una Dea etrusca molto importante –
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una Fortuna, secondo Müller. Il suo tempio era famoso presso gli archeologi
romani per il calendario con dei chiodi infissi. Una iscrizione in esametri
proveniente da Volscinium (Burmann, Anthol. Lat., cl. I, cap. XIX, pag. 57)
comincia con: “Nortia te veneror lare cretus Volsiniensi”. Ma in tutto ciò io
non trovo tartufi, bensì solo la riflessione che dovunque i contadini riducono
gli Dei a fare piccole cose. E‟ vero che abbiamo due Dee con lo stesso nome
nello stesso paese e questo è qualcosa. Nello scrivere questo ho scoperto
che, quando un cercatore di tartufi non ha fortuna nello scoprire i suoi
preziosi tuberi, si rivolge al suo cane in questo modo:
“O cane, cane che da me sei tanto amato, la fortuna mi hai levato non
trovandomi più i tartufi. Dunque, cane, mio bel cane, alla folletta di Norcia
vatti a raccomandare che i tartufi ti faccia ritrovare e così io la portò tanto
ringraziare; che la fortuna mi voglia ridare!”
Per una straordinaria coincidenza, i tartufi vengono anche chiamati chiodi,
perché le loro teste sono tonde e piccole. E Norcia è stata identificata con i
chiodi (Preller, Myth., pag. 231).
“E, dopotutto, è possibile – o anche probabile – che questa Norcia dei tartufi
non abbia nulla a che fare con Nortia, ma prenda il proprio nome dalla città
di Norcia o Norchia, famosa per i suoi maiali ed i suoi tartufi.” Così mi ha
suggerito un amico molto colto. Tuttavia, tutti gli Dei principali degli
Etruschi hanno dato il nome alle città. Di questo troviamo nella Etruria di
Dennis (vol. I, pag. 204) che “Orioli suggerisce che la città di Norchia sia
identica a Nyrtia, citata dall‟antico scoliasta su Giovenale (X, 74) come la
città nativa di Seiano, che ha dato il suo nome o ha derivato il proprio dalla
Dea Nortia, o Fortuna.” Come ho detto, questa Dea veniva identificata con i
chiodi perché nel suo tempio a Vulsinii ogni anno il sacerdote piantava un
chiodo nella porta, che aveva la funzione di una sorta di registro (Preller).
Può sembrare ridicolo collegare questo con il nome volgare dato a funghi ed
a tartufi; ma tali similitudini sono comuni tra la gente e non muoiono mai.
Potremmo ricordare qui che Sant‟Antonio viene invocato dai contadini
cattolici quando vanno in cerca di tartufi. Ma Norcia, come Dea della terra,
si potrebbe supporre conosca meglio dove si trovano; perché ella era
indubitabilmente una Dea di sotterra, una forma di Persefone.
Nortia è tuttora generalmente conosciuta in Romagna, come attestano i
contadini. Di una cosa non vi è alcun dubbio: la sua specialità è quella di
fare “funghi a mezzanotte”.
29
Nortia
Dal museo etrusco di Gori
Aplu
“Triste guarda Febo Apollo,
il giovane; la sua lira non suona più
che un tempo suonava con gioia alle feste degli Dei.”
Which once rang with joy at the feasts of the gods."
The Gods of Greece, H.Heine
“Il nome del Dio Greco Apollo appare frequentemente sugli specchi di
bronzo etruschi come Aplun, Apulu, Aplu.” - Über die Sprache der
Etrusker, W. Corssen, vol. I, pag. 846.
Quando, nel novembre del 1891, ritornai a Firenze, dopo qualche ricerca
ritrovai la mia autorità principale nelle antiche tradizioni installata in ciò
che, 300 o 400 anni prima, era stato un palazzo. Chiesi alla strega se
conoscesse il nome di Aplu. Ella lo conosceva e le risvegliava alcuni ricordi
nebulosi; ma disse che doveva consultare una vecchia di sua conoscenza, a
quel riguardo. “Arriverà parlando.” E questo fu il risultato della
consultazione:
“Aplu è uno spirito che ama molto i cacciatori. Ma se loro, quando sono
sfortunati nella caccia, parlano male di lui, allora durante la notte lui va a
togliergli le coperte dal letto e fa loro sognare di essere all‟aperto e di avere
avuto una caccia prosperosa. Quindi fa loro avere un incubo e la preda pare
perduta. Ed essi si svegliano con il desiderio di cercare per i boschi e se gli
esprimono il loro desiderio (per esempio invocandolo) ritorneranno quella
30
mattina con molte prede.” Ed aggiunse qualcosa di simile: “E con lo spirito
di Aplu sempre nella mente.” Fece quindi una pausa, poi disse:
“Aplu è il più bello tra tutti gli spiriti maschili. E‟ anche uno spirito della
musica e quando qualcuno vuole diventare un buon cacciatore o un buon
musicista o un uomo istruito - un uomo dotto e di talento - deve ripetere:
„Aplu, Aplu, Aplu! Tu che sei buono e tanto sapiente, e sei dotto e di
talento, Aplu, Aplu, Aplu! Tu che sei tanto buono e da tutte leparti del
mondo sei rammentato e da tutti si sente dire: Aplu, Aplu, Aplu! Anche lo
spirito deve essere generoso e darci fortuna e talento. Aplu, Aplu, Aplu! Io
ti prego di darmi fortuna e talento!‟
Questa formula mi è stata fornita in uno stato così confuso ed irregolare,
dovuto all‟imperfetto ricordo della narratrice, che ho trovato delle difficoltà
a renderla in questa forma.
Aplu, come viene descritto in dettaglio da tutti gli scrittori che parlano di
mitologia etrusca, era Apollo. E‟ una delle figure più comuni su vasi e
specchi. La mia informatrice non ha mai udito il nome “Apollo”, come ho
scoperto grazie a domande specifiche. Le chiesi se avesse mai visto la sua
statua agli Uffizi ma, nonostante ella vivesse da molti anni a Firenze, non
era mai stata in una galleria, così le diedi un franco e le raccomandai di
investirlo in una lezione pratica di mitologia. Né lei ricordava di avere mai
sentito parlare di Venere, il cui nome è molto familiare a tutti gli Italiani del
sud e del centro, nonostante sapesse tutto di Turana, il suo originale etrusco,
come appare in un altro capitolo. Ad alteram jam partem accedamus, come
dice Gladstone.
Turanna
“Turan è il nome etrusco di Venere ed appare così frequentemente insieme
alle più indubitabili rappresentazione della Dea che è tempo perso il
ricercare le sue origini etrusche,come ha fatto Müller, nalla latina Venus
Fruti o di identificarla, secondo Schwenck, con Hera.” (Über die Gottheiten
der Etrusker. Ed. Gerhard, Akademische Abhandlungen, Erster Band, pag.
324).
Occorse molto tempo per trovare questo nome ora quasi dimenticato, ma un
giorno esso spuntò come per caso o per ispirazione e quindi mi vennero
raccontati i seguenti dettagli:
“Turanna è uno spirito che, quand‟era in vita (o sulla terra), era una fata
molto bella e buona e fece del bene a tutti quelle che erano come lei. Vi era
in una terra una madre con un figlio che vivevano in grande miseria. Questa
fata, con la sua bacchetta magica trasportò questo giovane tutto stracciato in
un luogo lontano. Lei era là e gli chiese perchè egli si fosse
31
Aplu (Apollo) ed Artemisia
spinto così lontano in una contea dove non vi erano erbe per nutrirlo. Il
giovane rispose che uno spirito benevolo lo aveva trasportato lì per fare la
sua fortuna. La fata rispose: „Quello spirito sono io e farò di te un re.‟ Il
giovane la guardò meravigliato e disse: „Signora, è impossibile che un
miserabile quale io sono possa mai diventare un re.‟ „Vai, giovane, a
quell‟albero che vedi. Vai sotto all‟albero. Là troverai delle noci, che
porterai al re. La tua fortuna è promessa e la tua fortuna arriverà quando
sarai sotto l‟albero. L‟albero che vedi là sotto. Porta le sue noci al re.‟
Egli si scoprì vestito come un signore e trovò un cesto di noci, tutti diamanti
brillanti e perle preziose, ed una corona, su cui loro danzavano e cantavano.
„Porta queste cose al re‟ disse la fata „e digli che desideri sua figlia in
moglie. Egli inveirà contro di te con malevolenza. In quel momento, per
magia farò apparire la principessa come se fosse incinta ed ella dirà che tu
sei il suo sire. Allora il re, per evitare uno scandalo, la darà a te. E
nell‟istante in cui sarete sposati ella non apparirà più incinta.‟ Così accadde.
Quando il re montò in collera Turanna era in una foresta oscura, con in
mano la carta del re di cuori - che era il povero giovane -, il re di picche -
che era il re – e la regina di cuori, che era la principessa. Il suo incantesimo,
ciò che cantò per incantare il re:
“Io sono Turanna la fata. Fino a che vivrò, la fata Turanna io sarò. E quando
morta io sarò lo spirito di Turanna diverrò, sempre scongiurata, e chi lo
meriterà molte grazie da me riceverà! Io, Turanna, bene e fortuna per quel
giovane voglio fare, tre diavoli benigni vengo a scongiurare: uno per il re,
che lo faccia convertire; uno per il povero, che fortuna gli faccia avere; uno
32
per la figlia, che la faccia presentare al padre incinta e dire che è incinta del
giovane che ha chiesto la sua mano. Questi tre diavoli scongiuro che piglino
il re per i capelli e lo trascinino forte forte, gli diano le pene della morte, che
non possa vivere e non possa stare fino a che la figlia a quel giovane non
acconsentirà a dare.‟ E così il re acconsentì e, quando vide che in un istante
sua figlia non era incinta, disse: „Sono stato gabbato dalla fata Turanna e mi
sentivo come se stessi morendo e mi sentivo strappare via i capelli dalla
testa.‟ Ma la sua parola era data ed egli non poteva ritirarla, così essi si
sposarono e furono felici. E così il povero giovane, grazie alla protezione di
Turanna,, conquistò un regno ed una moglie, si prese cura della madre e, a
tempo debito, ebbe un bel figlio.”
L‟intera storia è in realtà una canzone. Appare molto antica e viene riportata
in una forma evidentemente abbreviata o quasi mutilata. L‟anziana donna
che la ripetè non la ricordava bene. E di Turanna mi venne detto anche che:
“E‟ uno spirito degli innamorati, di pace ed amore ed è la Dea della
bellezza. Quando un giovane è innamorato, dovrebbe andare in un bosco e
dire: „Turanna, Turanna, che di beltà sei la regina, del cielo e della terra, di
felicità e di buon cuore! Turanna, Turanna! In questo folto bosco mi vengo
ad inginocchiare perché tanto infelice e sfortunato sono. Amo una donna e
non sono corrisposto. Turanna! Turanna! A te mi vengo a raccomandare, le
tue tre carte a volere scongiurare che quella giovane mi possa amare.
Turanna! Turanna! Fallo per il bene che hai sempre fatto; sei sempre stata
tanto buona e generosa, sei buona quanto bella, che di beltà sei la stella!‟”
Vorrei sottolineare che Turanna esegue i suoi miracoli e conferisce la
fortuna per mezzo delle tre carte vincenti. Le carte sono i successori dei
dadi in questa mitologia modernizzata ed è significativo che tra i Romani il
lancio dei dadi più alto, i tre sei, era conosciuto come il lancio di Venere.
Nuovamente mi dolgo di non possedere una copia di Pascasius Justus de
Alea, un piccolo Elzeviro che ricordo comprai a 16 anni con l‟unico denaro
che avevo. Ma potrei altrettanto dispiacermi per l‟opera perduta De Alea
Lusu (Del gioco dei dadi) dell‟Imperatore Claudiano, di cui parla Svetonio.
Ma la Real Encyclopædia di Pauly ci dice che lo jactus Veneris, o lancio di
venere, era di tre sei quando venivano gettati tre dadi (Marziale, 14, 14) o 1,
3, 4 e 6 quando ne venivano gettati quattro. Da qui Venere come Regina di
cuori ed anche con tre carte.
Turanna è perciò probabilmente Turan, la Venere etrusca di cui Corssen, nel
suo Sprache der Etrusker, cui sono fortemente indebitato per questo
soggetto così come a Gerhard, Inghirami e Lanzi: “Turan è il nome di una
Dea che viene spesso rappresentata sugli specchi etruschi come una bella
donna completamente nuda o nuda fino ai fianchi, o con un aspetto da
33
donna greca, i capelli inanellati o acconciati in maniera artistica e con
indosso molti ricchi gioielli. Evidentemente lei è il duplicato etrusco della
greca Afrodite.”
E‟ molto caratteristico dei giocatori d‟azzardo e dei veggenti italiani
l‟amministrare il destino dell‟umanità con le carte, caratteristica di Turanna.
Il concetto della sua padronanza del destino con i dadi è probabilmente
familiare al lettore come lo era a Rabelais, che faceva decidere con essi i
casi al vecchio giudice.
Rimane da dire che gli antichi consideravano i dadi cose sacre, ispirati
misteriosamente e mossi dallo Spirito del Caso o, quando favorevoli, dalla
Signora Venere con il suo gentile modo di fare; il grande, buono e glorioso
Imperatore Claudiano scrisse un libro a lode dei dadi. Ma i cristiani
posteriori li ebbero in odio, perchè I soldati Romani si giocarono con essi I
panni del Cristo; e Bartolomeo Taegis, nel suo Risposte (Novara, 1554),
dice che sono stati inventati dal diavolo e che “questo gioco è una tempesta
dell‟anima, una nebbia della fama, un improvviso crollo della fortuna –
come dimostrato dal re dei Parti, che inviò ad un altro monarca dei dadi
dorati per ricordargli la sua incostanza.”
A proposito di Turanna e delle sue carte ho qualcosa da dire. Diverse
settimane prima del fallimento e della fuga del banchiere di Firenze
Emanuele Fenzi, nel gennaio del 1892, la donna cui mi riferisco in
particolare in queste pagine come veggente, consultando le carte per
scoprire se avrei ritrovato i libri perduti di Livio o gli Annali di Claudiano o
qualcos‟altro con la sua cartomanzia trascendentale, si imbattè in certi
incidenti o predizioni che non erano collegate con la domanda e che
continuavano a ripresentarsi come ospiti inattesi: come spesso accade
quando i 25 demoni che vengono sempre invocati per tale divinazione sono
più amichevoli del solito e non solo vengono di persona, ma portano con sé
tutti i loro amici. L‟intruso principale in questa occasione era un uomo
distinto, grande o ricco, da cui stavo per avere o riguardo a cui vi sarebbe
stato un gran disturbo, cioè un grande guaio ed un grande parlare. A causa
sua io stavo per perdere una piccola somma, ma avrei evitato per un soffio
una grossa perdita. Non diedi peso a questo suggerimento di Turanna,
sebbene non me ne dimenticassi, fino a quando alcune settimane dopo il
fallimento del banchiere Fenzi fece un grande scalpore nella bella Firenze.
A causa di quella bancarotta fraudolenta, io persi 460 franchi, ma ero stato
sul punto di depositare con Emanuel – che non aveva che un piccolo credito
a suo nome – una somma molto maggiore, il che mi avrebbe causato seri
problemi; la mia colpevole pigrizia nel lavoro in questo caso mi risparmiò
più denaro di quanto avrei guadagnato in tutto l‟inverno tenendovi dietro
34
con diligenza. Mi ricordai quindi della predizione della mia Sibilla e ne
riporto qui un resoconto accurato di quanto mi ricordo. Nel chiedere alla
divinatrice se ricordasse ciò che aveva detto ed in che modo erano “venute”
le carte, ella rispose: “Sì” e mi scrisse queste parole:
“Quando si fecero le carte esse annunciarono che tu avresti dovuto avere
del denaro da (o con ) un gran signore e per questo avresti avuto dei grossi
dispiaceri, ma il dispiacere veniva a essere non tanto grande ed in questo
disagio era coinvolto un viaggio, tra te e l‟altro signore. E tu ne uscirai bene
ma vi saranno lacrime e grande dispiacere per lui.”
Vi fu in effetti un viaggio – uno sparo verso la Luna ed uno spostamento di
due giorni – a Corfù, come è stato detto, da parte del banchiere. I due
racconti – il mio e quello della strega – sono interessanti in quanto
descrivono esattamente la predizione come entrambi la ricordiamo. Si
osservi che l‟interpretazione delle carte fu perfettamente esatta.
“Hæc ita clara, ita explorata sunt, ut frustra sit qui testium nubem in fidem
vocaverit.” “E‟ tutto così provato, esplorato, ben provato e chiaro che chi ne
dubita lo fa invano.”
Manoscritti del Medioevo come l‟“Othea” di Christina de Pisa dicono di
Venere che amministra i cuori ed è collegata alle carte fortunate. Ella
divenne la Regina di Cuori in un periodo molto primitivo. E‟ importante
notare in questa connessione che il venerdì, il dies Veneris, era sempre un
giorno fortunato, specialmente per il matrimonio, fino a quando i preti lo
hanno invalidato. I Turchi insistono tuttora su questa grande verità, perché
essi credono che fu di venerdì che Adamo sposò Eva, Salomone Balkis,
Joseph Zuleika (cfr. Mrs. Potiphar), Mosè Sisera e Maometto Chadidscha
ed Ayesha.
Pano
“Pan! oh, Pan-we sing to thee! Hail, thou king of Arcady!” - Wilson
“Eca súthi nési Pan . . . Hanc (cellam) mortale posuit Pan.”
Über die Sprache der Etrusker, Von W. Corssen, 1874
Tutti i lettori di queste pagine ricorderanno di avere sentito dire molto
tempo addietro che “il grande Pan è morto” ed il modo in cui questo fatto è
stato rivelato a Thamnus, un Egiziano che lo proclamò una mezzanotte sotto
comando, laddove venne udito un lamento di ninfe, satiri, driadi, oreadi e
tutti gli spiriti che vivono nei boschi e nei corsi d‟acqua, come se tutto il
popolo fatato dei tempi antichi - mortem obversari ante oculos – si fosse
visto la morte davanti agli occhi “perché era in Pan che avevano riposto
tutta la loro vita”. Di questo fatto Eusebio e, in tempi più recenti, un poeta
inglese troppo dolce hanno discusso, mentre altri dicevano che egli non era
35
affatto morto ma vive in eterno in tutta la Natura. “Queste cose hanno
spesso occupato i miei pensieri”, nonostante mi portassero una strana
sensazione, come di uno che, nell‟aprire una tomba etrusca, avesse visto per
un solo istante un antico guerriero – perfetto come in vita – e poi abbia visto
andare il suo volto in cenere, scoprii che in Romagna ed in Toscana vi è una
soluzione perfetta a questa questione, che riconcilia le diverse opinioni.
Perché là il grande Pan in effetti un tempo morì, pare per l‟amore che
nutriva per qualche bella ninfa, ma ora vive come spirito oltremodo gentile
ed amabile per tutti coloro che lo avvicinano con il giusto incantesimo o
inno in nome di lei, scongiuro che io, con mia grande gioia, sono riuscito ad
ottenere. Ciò che mi fu detto di lui fu questo – chiamandolo Pano:
“Pano è uno spirito benigno per la campagna e per chi gli chiede del bene.
Quando era in vita aveva un amore che amava grandemente. Chiunque
implori da lui un favore deve andare di sera in un campo ed inginocchiarsi a
lui sotto la luce della Luna, dicendo:
„Pano, Pano, Pano! In ginocchio in un campo sono a lume della Luna, in
nome della tua bella che tanto amavi e che da un campo, di sera, ti fu
portata via e ti fu uccisa; per le pene di quella ti prego di farmi questa
grazia!‟ Quindi gli si chiede qualche favore, come che la campagna diventi
bella (questa è dunque una preghiera per un buon raccolto) o ciò che si
desidera.”
Da tutto ciò possiamo osservare che anche alla fine della coda di questo
grande serpente-secolo Pan vive. E di coloro che lo piangono e
simpatizzano per lui e lo invocano si può dire con Salvator Rosa:
“Non è con loro una voce Etrusca.”
Ma non ve ne sono molti, perché Pan è ora uno degli spiriti più oscuri e
meno conosciuti. E‟ significativo che l‟antico Pan era noto per la sua
sfortuna in amore. Si strusse per Eco e Siringa si mutò in una canna per
sfuggirgli, così lui fabbricò il flauto di Pan, su cui pianse la sua scomparsa.
Ella venne in ogni caso rapita da lui in un campo e fu la sua voce che da
allora egli evocò sempre con i flauti di Pan, che in questi giorni sono
divenute le canne dell‟organo della chiesa. Ma Pan è l‟unico amante
sfortunato tra gli Dei. In queste circostanze il nome è stato un indizio. Non
so se Pan venisse ricordato ai tempi dei Latini per Siringa ed Eco, ma è
significativo che la tradizione contadina abbia conservato le caratteristiche
peculiari della sua storia. Pan, il grande Dio della terra, ha fatto del suo
ricordo una tomba eterna. Dio della terra, dei campi e dei raccolti, Pan è uno
spirito benevolo ma se viene offeso ha il potere di distruggere il raccolto ed
è per questo anche temuto. Da un‟altra persona
36
Pan
autorevole in Romagna sono venuto a sapere che “i vecchi di Premilcuore lo
considerano uno spirito maligno, perché quando il grano è alto egli arriva
nei venti che ruggiscono e lo piega fino a terra. Se non si rialza non può
essere venduto e per questo i contadini lo maledicono.”
Un certificato firmato da C.Placidi del 12 dicembre 1891, ora di fronte a
me, attesta che: “Qui a Premilcuore ci si ricorda molto dello spirito Pano.”
Si può osservare che Pan era temuto anche nell‟antichità come spirito del
vento e del timor panico (Gazaus, pag. 174) e gli venivano spesso offerti
sacrifici (Ovidio, Fasti, I, pag. 425).
Secondo Firedrich, che ha dedicato un intero capitolo alla materia (Die
Weltkörper, &c., 1864), Pan e le sue sette canne suonano la musica delle
sfere e questo Dio è il capo del coro delle danze celesti che, suonando il suo
flauto, ispira le Sette Sfere e l‟armonia divina (Serv. a Virgilio, Ecloghe II,
pag. 31). Pan viene anche invocato in un inno orfico (XI, 6) come:
“ispirato tra le stelle, colui che suona le armonie della creazione sui flauti
scherzosi”.
L‟idea che avevano del Dio-Tutto della Natura e dei sette pianeti suggerì, io
pendo, un verso ad Emerson:
“Sono il governatore delle sfere, delle sette stelle e dell‟anno solare.”
37
Capitolo II
Maso
“Omnia transformat sese in miracula rerum.”Virgilio, Georgiche 1, 4.
“Di ciò che fu dell‟antico Dio della guerra Marte dalla vittoria dei cristiani
non posso dirvi molto. Sono incline a credere che durante il Medioevo egli
abbia esercitato la legge del più forte. Il nipote del boia di Münster una
volta lo incontrò a Bologna” - Heine, Die Götter in Exil.
Di Maso non ho potuto sapere altro, se
non che era un folletto molto grande, uno
spirito che protegge o presiede ai raccolti
ed un patrono particolare delle fanciulle o
delle “donne che fanno l‟amore”.
“L‟antica radice di Marte” sottolinea
Preller “appare essere Mar o Mas ed
indica la forza virile di una Divinità
generatrice ed ispiratrice che,
originariamente, era un Dio della natura
ma in epoche più tarde si è ridotto ad un
semplice Dio della guerra. Da mar
provennero per duplicazione Marmar e
Marmer, nomi con cui egli viene invocato
nella canzone dei Fratelli Arval per
proteggere e benedire i campi. Nei tempi
antichi egli veniva onorato come Divinità
protettrice del matrimonio e della vita matrimoniale. Qui gli viene associata
Martea come Dea dell‟amore e del desiderio.” Se Maso fosse Marte, è
probabile che lo avremmo riconosciuto qui solo grazie al suo primo nome
ed ai suoi attributi più antichi. Si osservi che nella preghiera a Marte fornita
da Catone (De Re Rustica, cap. 141), che è molto antica, questa Divinità,
come osserva Panzer (Bayerische Sagen, pag. 525), viene invocata solo
come Dio dei raccolti, “ist ganz als Ärntegott dargestellt” e le offerte
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tributategli indicano che egli fosse un Dio dei raccolti. Questa visione di
Marte, secondo Panzer viene confermata da passaggi delle tavole
Eugubeane, per quello che sono state decifrate. Elias Schedus (De Dis
Germanis) ha messo insieme molte prove che Mars autem nullus alius nisi
Sol (“Marte non è altro che il Sole”), come a dire il principio fruttificatore e
vivificante della Natura. Ed è così che egli appare nell‟antica mitologia
etrusca.
Marte alato/Maso
Mania della Notte
“Il vero Dio dell‟oltretomba tra i Toscani” scrive Ottfried Müller “veniva
chiamato Mantus e veniva paragonato al Dis Pater. Insieme a lui veniva
adorata una Dea dei regni di sotterra, la Mania… Questa era una vera
Divinità etrusca… Mantus e Mania appartengono agli strani e terribili Dei
cui i Toscani libri fatales facevano sacrifici umani... Agli antichi Italiani
pareva terribile Mania… che è inseparabile dalla fede toscana nei Lari,
essendo alleata ai Mani. Ella era una Divinità terribile a cui venivano offerti
dei ragazzi, secondo Tarquinio il Superbo. La sua spaventosa immagine –
che in seguito divenne un giocattolo per bambini – veniva nell‟antichità
appesa alle porte per evitare la contaminazione. Questa Mania era madre o
nonna dei Mani ed anche madre dei Lari.” Müller indulge in ulteriore
speculazione su questa Dea ctonia o Dea dell‟oscurità.
Ed ella live ancora in Toscana e viene chiamata Mania della Notte, ma
viene considerata semplicemente come un Incubo ed una Succube e come
un misterioso spirito notturno che ispira sogni licenziosi. Mi è stato
39
suggerito che “la parola greca mania, che significa follia o pazzia, non ha
nulla a che vedere con il latino mania”, che risveglia in un certo senso la
connessione tra l‟incubo e lo spirito della notte. Lascio questa discussione
ad altri; a me basta avere mostrato qui che vi era una Mania della Notte
etrusca nell‟antichità e che oggigiorno, in Romagna e Toscana, l‟incubo
viene chiamato nel medesimo modo.
Marte
Si può osservare che sia Mania della Notte che Marta del Giorno, o il suo
prototipo Mater Matuta, si diceva fossero madri dei Lari. Questo indica
l‟esistenza di una Dea primeva della notte e del giorno. “Mania” scrive Mrs.
Hamilton Gray (History of Etruria) “era uno spirito molto temibile per gli
antichi Italiani. Essi erano soliti appendere la sua immagine alle porte come
spaventapasseri per spaventare il male.” Questo è pressoché identico alle
osservanze degli antichi Assiri, riportate da Lenormant, di porre immagini
di entità maligne o spaventose in certi luoghi per spaventare i demoni
stessi.”
Nella prefazione ho citato il fatto che Enrico Rossi ha testimoniato riguardo
a Mania della Notte che ella “veniva ricordata un tempo da molti ma ora è
molto tempo che nessuno parla di lei a Galeata”. Da cui si può capire che
questo nome sta scomparendo rapidamente e, se non fosse per le mie
40
ricerche, sarebbe stato tra quelli “tra gli Dei che hanno avuto il proprio
tempo ed i cui fuochi non bruciano più”.
41
Capitolo III
Feronia
“L‟etrusca Feronia – l‟Alba – è anche la Dea del commercio.” The
Etruscans, John Fraser
“Vividi gaudens Feronia luco.” Virgilio, Eneide VIII, 800.
“Ora manusque tus lavimus, Feronia, lympha.” Orazio, Sat. I, V. 24
Esiste una Dea sulla cui identità con uno spirito
moderno, o folletto, difficilmente si può
dubitare. Feronia, secondo Müller, era l‟antica
Dea dei mercati e delle fiere. Questo la
identificherebbe naturalmente con, e farebbe di
lei la patrona di tutte quelle figure che
frequentano tali luoghi. Müller esprime il
dubbio se ella fosse realmente un membro della
Heiligthum – o mitologia – etrusca, siccome
Varone la chiama Sabina. Ma siccome ella
aveva dei templi in Etruria, egli reputa possibile
che fosse comune ad entrambe le razze.. Gli
antichi erano indecisi su dove collocarla tra le
Divinità; ella appare tuttavia essere una dea della terra ed associata a Mania,
“il che rende comprensibile quanto fosse in suo potere dare al Praenestic
Herilus tre anime dal mondo di sotterra.” Ma la cosa più importante per il
mio scopo è che ella era temuta e che la gente le portava delle offerte.
Feronia è, al giorno d‟oggi, “una strega-folletto che vaga per la campagna
travestita, chiedendo l‟elemosina. Quando i contadini sono generosi con lei,
tutto va loro bene, ma se non le dovessero dare nulla, soffriranno per questo.
Ella strega i bambini, i bovini, i cavalli e tutti gli animali che tengono nella
stalla.” Una strega che gira, che esige offerte e che è più maligna che
positiva è una discendente legittima di una dea dei mercati ed è, come una
sorta di Mania, pronta a fare dei danni ed a vendicarsi. Non ci può essere
dubbio sul fatto che l‟antica Feronia fosse Persefonica o ctonia o una regina
42
del regno di sotto – nonostante ora sia una strega che, se non propiziata,
infligge ai contadini ciò che temono maggiormente – perdita dei figli e del
bestiame. Sabina od Etrusca, ella vive ancora ed è molto temuta in Toscana.
Nello scrivere quest‟ultima riga sono venuto a conoscenza del fatto che
Feronia infesta i mercati, specialmente “perché è lo spirito del mercato”.
Riguardo ad essa ho anche quanto segue, che veniva attribuito ad Impusa
ma che, sono pressoché certo, è stato un errore del copiatore:
“Feronia era una vecchia che andava in giro a mendicare per il paese, ma
era sempre stata una gran politica – che significa che era intelligente o che
aveva un modo di fare molto astuto – ed era una strega. Tutti coloro che le
davano l‟elemosina erano molto fortunati ed i loro affari prosperavano. E se
la gente non le dava nulla a causa della loro povertà, quando ritornavano a
casa dopo il tramonto trovavano abbondanti doni, bastanti per aiutare tutta
la famiglia, e da allora tutto andava loro bene; ma se qualcuno che era ricco
non le dava nulla ed aveva un cuore cattivo ella lo malediva così:
„Siate maledetti da me, che vi maledico di tutto cuore! E così i vostri affari
possano andare a rotta di collo, fame e malattie; così non avrete più bene!‟
Da questo essi sapevano che era una strega. Ma quando morì divenne
terribile e fece molti danni. Tuttavia, quando coloro che l‟avevano
innervosita, sapendo di averlo fatto, andavano alla sua tomba e chiedevano
perdono erano sempre certi di ottenerlo.”
La faccenda dell‟elemosinare, lo stile elegante e l‟aria distinta indicano una
figura simile a Giunone e Cerere combinate. La maledizione a lei attribuita
ha un grande potere e potrebbe essere molto antica. La connessione di
Feronia con Mania spiega il perché ella venisse temuta come strega. Ed è
davvero notevole che, mentre Müller pone l‟accento sul fatto che le
venivano portate delle offerte, il racconto toscano moderno lo considera un
puro caso. In definitiva, Feronia appare esattamente come una Dea nella
mente della gente che credeva in lei e la temeva e prima di divenire un mero
ricordo in una Märchen. E‟ la Märchen, la storia per bambini, l‟unica che
hanno cercato quegli studiosi di tradizioni popolari che non hanno alcuna
idea dell‟importanza dell‟esistenza di un mito tuttora vivo.
La Feronia Etrusco-Romana era molto famosa per le grandi offerte che le
venivano fatte. “Tutti coloro che dimoravano nei paraggi le portavano i
primi frutti e molte offerte, così che col tempo nel suo tempio si formò un
immenso tesoro in oro ed argento, che venne portato via dai soldati di
Annibale” (Livio, XXVI, II; Silius Italicus, Pun. XIII; Preller, Rom.Myth.
377). Questo concorda con la storia moderna del suo esigere tributi. Ella era
anche la patrona speciale degli schiavi liberati, un‟amica dei poveri ed i
liberti di Roma le facevano offerte (Livio, XXII, 1). Curiosamente, questo è
43
identico alla leggenda. Se, come afferma Müller, Feronia era un duplicato di
Persefone, che spesso era una controparte della caritatevole Cerere, questo
spiegherebbe l‟affermazione alquanto singolare che i poveri ricevevano
sempre doni da lei “dopo il tramonto”: giungevano o venivano loro dati
durante la notte. Anche il suo mercato ed i suo tempio era una grande
risorsa per mercanti e commercianti, cosa che getta luce sull‟affermazione
che ella fosse una gran politica – molto abile. Anche la moderna Feronia è
una grande amica dei poveri. Ma vi è anche un‟altra ragione Feronia
potrebbe avere conservato una reputazione di strega o operatrice di
meraviglie. Nell‟antichità veniva particolarmente identificate con il grande
miracolo, di cui tanti se ne sono operati nel Medioevo, di camminare sui
carboni ardenti, come appare dal seguente passaggio di Strabone, Lib. 5:
“Sub monte Soracte urbs est Feronia, quo nomine et Dea quædam
nuncupatur, quam finitimi miro dignantur honore. Eodem in loco ipsius
templum est, mirificum sacrigenus habens. Nam qui ejus numine afflantur,
nudis pedibus prunas calcant. Eò ingens mortalium multitudo convenit, et
celebritatis ipsius, quæ quotannis celebratur, gratia, paritur et spectaculi.”
L‟ordalia sui carboni ardenti veni va applicata comunemente alle streghe e
non è improbabile che le accusate si appellassero a Feronia per proteggerle,
come da alcune tradizioni. Sia la moderna che l‟antica Feronia appaiono
essere amiche dei poveri, degli schiavi e dei rifugiati. L‟identificazione
della Dea antica con l‟ordalia indica protezione e benevolenza. Su questo
interessante argomento il lettore può consultare: I. Roth, De more quo apud
plerosque Europæos populos per ferrum candens ardentes prunas
rogumque probatur, Ulm, 1676; Lescher, De probatione rerum dubiarum
per ignem facto, Leipzig, 1695; Eckard, De ritu antiquissimo per ignes et
carbones candendes incedendi, 1791; Nork, Sitten und Gebräuche der
Deutschen. Si vedrà quindi che la moderna Feronia corrisponde in molti
modi alla figura antica che porta il suo stesso nome. E vorrei richiamare
l‟attenzione sul fatto che oltre al nome non è stato da me chiesto o suggerito
altro.
Secondo Fraser (The Etruscans) “Feronia aveva in Etruria una posizione
onorevole, perchè non solo era la Dea dei Falerii, ma aveva anche un
santuario nella città etrusca di Losna (in Latino Luna). Il nome di questa
città, Losna, è un‟altra prova che Feronia è la Dea dell‟alba, perché esso
proviene dal greco los o las, luce.” Monti ha scritto un poema molto bello,
sebbene piuttosto fiacco, chiamato la Feroniade in cui l‟eroina come Dea si
avvicina molto più alla figura della leggenda popolare moderna che alla
precedente Feronia della tradizione classica. Ella è per lui inizialmente solo
una piccola Divinità silvana etrusca, la regina delle viole, che vaga tra le
44
foreste e le gole, una ninfa: “Ella per fiere balze e foreste errò gran tempo.
Una ninfa già fu, delle propinque selve leggiadra abitatrice, ed era il suo
nome Feronia.” Questa è la nostra Feronia e non la grande Dea dei tempi
antichi.
Silviano
“Silvanus”(il Dio dei campi e del bestiame) “conserva ancora il dominio
sulla terra”. The Cities of Etruria, Gorge Tennis, vol. I. pag. 229
“Quin et Silvanos Faunusque et deorum genera silvis ac sua numina
tanquam et cœlo attributa credimus.” Plinio, Hist. Nat., XII, 2.
“Fama est, Cyparissum puerum ab ipso fuisse amatum, quare ubi in
arborem sui nominis mutatus fuisset, Cupressum manibus semper gestasse
Sylvanus dictus finit.” De Hermaphroditorum, Monstrosorum, &C.,
Caspari Bauhini, 1614.
Silviano mi è stato descritto come “lo spirito dei boschi” e le sue
caratteristiche peculiari sono state descritte come segue:
“Silviano ama molto stuzzicare i contadini che fanno le cataste di carbone –
letteralmente, che impilano il carbone e quindi lo bruciano. E quando sono
tutte impilate, allora arriva Silviano e le mette sottosopra ed i contadini
cominciano a litigare tra loro, accusandosi a vicenda dell‟accaduto. Così
devono ricominciare daccapo il loro lavoro. Allora Silviano scoppia a ridere
e gli uomini cominciano ad imprecare e magari a lottare, ognuno pensando
che l‟altro stia ridendo di lui. E mentre accade tutto questo Silviano impila
nuovamente la legna, con loro grande meraviglia di quando tornano al
lavoro. Questo accadde una volta a due uomini ed essi pensarono che
dovesse essere un miracolo operato da qualche santo. Così andarono dal
parroco del luogo e gli narrarono l‟accaduto. Egli andò ad esaminare il
luogo, ma non trovò nulla di notevole e disse loro che erano degli sciocchi,
quindi ritornò con tutta la sua processione, convinto che non fosse accaduto
nulla di meraviglioso. Ma Silviano è di natura buona ma altrettanto
vendicativo e da quel giorno nulla andò più loro bene, né nella macchia né
nel bosco. Altri uomini trovarono il loro lavoro già bell‟e pronto, mentre
quello dei due veniva vanificato. E questa volta andarono da una vecchia
strega, che comprese la faccenda e seppe cosa fare. Ella disse:
“E‟ il folletto Silviano che avete indispettito e ora vi fa tutti i dispetti; ma
dell‟erba che vi darò vi farà tornare nella sua buona grazia.”
Quindi prese dell‟erba chiamata silvestra (o anche ginestra) e ne fece un
piccolo involto quadrato, quindi, mettendolo sulle loro schiene disse:
“Questo è invero lo spirito di Silviano che mi protegge!”
45
Ed esso ritornarono nuovamente nelle sua grazie e non fecero mai più nulla
per offenderlo. E da questo trassero una lezione: di non andare a chiamare
preti quando è presente uno spirito.”
Silvanus (Silviano) e Ninfa
Silvianus è abbastanza chiaramente l‟antico Romano Silvanus, di cui Preller
dice: “Egli era come Fauno, un buono spirito, ma talvolta era anche uno
spuk Geist che spaventava la gente. Veniva identificato con tutto ciò che era
bello, romantico e rurale. Laddove venivano piantati dei bellissimi campi,
dove venivano praticate aperture nella foresta, dove vi era un buon riparo,
una grotta ombrosa o dove un ruscello mormorante attirava i pastori nella
calura del mezzogiorno vi era sempre una zona sacra a Silvanus.” Così egli
diventò molto caro a tutta la gente di campagna; era come uno di loro e
tracce di questo amore si vedono in questa storia toscana. Per ragioni che
non ho qui spazio di spiegare, affermo che l‟antica identificazione di
Silvanus con il cipresso spiega completamente il suo collegamento con la
bruciatura del legno da carbone e con chi la esegue. E, in qualità di spirito
che ha a che fare specialmente con questo tipo di uomini, Silviano è
identico al Rubezahl della Germania. Preller dichiara che le Silvane, o le
ninfe Silvie dei boschi, appartengono piuttosto alle razze germaniche,
celtiche e slave che alle latine. Ma perché? Non potrebbe lo stesso Rubezahl
essere di nascita italiana? Silvanus era figlio di un Dio fluviale e di una
capra e tutto ciò che è in relazione con lui è molto più suggestivo dell‟Italia
pastorale che della selvaggia Germania.
46
L‟assoluto paganesimo di questa storia e la sua “morale” non possono
essere sfuggiti al lettore. La narratrice era assolutamente pagana come
chiunque abbia vissuto ai tempi di Tarquinio e non ha mai perso occasione
per dimostrare che considerava l‟adorazione degli spiriti antichi e tutte le
cerimonie e gli incantesimi correlati molto superiori al cattolicesimo
romano, per il quale aveva una particolare avversione. Per le vecchie
streghe dei tempi antichi questo non è folklore ma una fede vivente ed io
sono stato spesso trasportato in questa realtà come se fossi stato portato
indietro di 2000 anni.
Questo ed altri capitoli suggeriscono dunque la possibilità che la mitologia
nordica sui goblin possa essere stata di origine italiana o provenire da una
fonte comune.
Palò
Questa Divinità mi è stata descritta con le seguenti parole:
“Palò è uno spirito dei campi, delle vigne, dei prati, di tutti i tipi di raccolto
e quando gli uomini lavorano, sia che stiano piantando il mais o che
lavorino nelle vigne, non devono mai dimenticare di dire:
“Lo spirito Palò sarà quello che mi farà la buona fortuna!”
Ed il contadino sarà così certo di avere sempre buona fortuna.”
Non è difficile riconoscere in Palò il Pales dei Romani o le antiche Divinità
dell‟agricoltura di tutti i tipi. A lui o lei – i Pales pare fossero sia maschio
che femmina – venivano fatte offerte dai contadini, che bevevano anche
molto e saltavano oltre le fiamme. Preller scrive che al mattino i pastori
pronunciavano per 4 volte una invocazione al Pales, quindi bevevano una
miscela di latte e vino nuovo e poi saltavano oltre alla paglia in fiamme.
L‟invocazione deve essere stata molto breve, visto che veniva ripetuta tante
volte. Sarebbe strano – anche se non impossibile – che nelle 4 righe qui
scritte vi sia almeno una eco dell‟invocazione primitiva. In queste tradizioni
toscane vi è molto di incontestabilmente antico, tanto che io trovo talvolta
impossibile da credere che vi sia in esse qualcosa di moderno. I critici
potrebbero molto ragionevolmente indicare molti errori ed incoerenze nei
dettagli, ma una visione dell‟intero lascia l‟impressione dell‟antichità. Un
singolo nero non prova assolutamente l‟esistenza di una razza nera ma molti
di loro la renderebbero estremamente probabile.
Come nel caso della maggior parte delle Divinità, in onore di Pales è stato
dato il nome ad una città. E‟ la moderna Palo, a metà strada tra Roma e
Civitavecchia. Cito questo perché si potrebbe pensare, come nel caso di
Norcia, che la moderna Divinità toscana sia stata chiamata in tal modo a
causa della città.
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Esta
“Nec tu aliud Vestam quam vivam intellige flammam, Nataque de flammis
corpora nulla vides.” Ovidio, Fasti, 6
Quando una luce si estingue misteriosamente ed all‟improvviso o si muove
apparentemente di propria volontà, specialmente quando due innamorati
siedono assieme, si dice comunemente che “lo ha fatto Esta”. Si crede che
Esta sia uno spirito che pone particolare attenzione alle luci ma oltre a
questo non ho potuto sapere nulla di lei. Hestia era l‟antico nome di Vesta e
Cicerone pensò che Vesta derivasse da Εστήα (in Greco Estia). In ogni
caso, l‟improvviso spegnimento di una luce o di un fuoco pare indicare
l‟allusione alla Dea della castità ed alla sua luce.
Carmenta
Quando chiesi se il nome di Carmenta fosse noto, esso venne prontamente
riconosciuto come quello di uno spirito che dona, veglia ed ama i bambini,
che aiuta il parto e che è cara alle madri. Quindi mi fu ripetuto quanto
segue:
“Carmenta, Carmenta, che tanto bella sei e innamorata sei tanto dei
fanciulli! Tante spose sono venute a te a raccomandarsi che dei figli tu
facessi loro fare e tu, buona quanto bella, i loro voti hai ascoltato; ascolta
pure i miei, ti prego di volerli ascoltare perché sono molto infelice. Mio
marito non mi ama più, che tanto m‟amava, perché figli crear non so; ma da
te, o bella Carmenta, mi vengo a raccomandare che un figlio tu mi possa far
fare e la pace con mio marito possa ritornare!”
Questa figura corrisponde sia nel nome che in ogni dettaglio alla Latina
Carmenta o Carmentis, che era un‟altra forma di Fauna o Bona Dea. Di lei
Preller dice: “La Dea della nascita, Carmenta, veniva adorata con molto
zelo vicino alla Porta Carmentalis, che aveva preso il nome da lei; vi era un
Flamen Carmentalis e due giorni del calendario, l‟undicesimo ed il
quindicesimo di gennaio, erano chiamati Carmentalia ed erano dedicati alla
sua adorazione. Queste erano tra le festività più particolari delle matrone
romane. Ella era peculiarmente la Dea della gravidanza.”
Il Sentiero
In Toscana si credeva che le pietre di confine che determinavano i limiti dei
campi possedessero al loro interno o attaccati a loro degli spiriti chiamati
“spiriti dei sentieri”. Veniva affermato distintamente che essi vivevano
all‟interno di queste pietre. “E se qualcuno le rimuove lo spirito lo condurrà
alla rovina.” Lo spirito singolo viene detto “sentiero”.
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Questo spirito corrisponde esattamente al Terminus dei Romani, la Divinità
dei confini. Alla rimozione di tali contrassegni corrispondevano punizioni
spaventose. L‟iscrizione su un terminus dice: Quisquis hoc sustulerit aut
læserit, ultimus suorum moriatur (“Se qualcuno dovesse rimuovere o
danneggiare questa pietra, che possa morire quale ultimo della sua razza”).
Vi è quindi una sorta di litania di antiche maledizioni Latine, quasi uguali
alla scomunica cattolico-romana ed applicate a questi “ladri di terre”. Che il
ricordo di questi spiriti sia sopravvissuto è evidente dall‟unico commento
fatto dalla mia informatrice: Lo spirito li guasta (lo spirito li rovina).
Lattanzio, nel mettere in ridicolo i pagani per la loro adorazione a molteplici
Divinità di cui ognuna ha pochi compiti, specifica Terminus come rozzo e
selvaggio. “Egli era la pietra che Saturno trangugiò credendo che fosse
Giove. Quando Tarquinio desiderò costruire il Campidoglio e trovò questi
altari di molti Dei antichi, si consultò con un augure sulla loro dedicazione a
Giove. Tutti furono concordi nel salvare Terminus, che fu fatto rimanere.
Da allora i poeti la chiamano la roccia inamovibile del Campidoglio. E cosa
posso dire di coloro che adorano tali materiali e tali pietre (lapides et
stipites) eccetto che esse sono materiali e pietre?” (Adversus Gentes, libro I,
cap. XX) E‟ un peccato che Lattanzio non sia vissuto alla fine del XIX
secolo, quando avrebbe visto tra i cristiani una moltitudine di santi delle
piccole cose, paragonati ai quali gli Dei pagani che lui cita come ridicoli
sono Divinità solenni e rispettabili. Terminus, una roccia, quale simbolo di
stabilità (perché in realtà non era nulla di più) è un‟immagine notevole, ma
cosa dovremmo pensare di Antonio, santo dei maiali e dei tartufi; di
Simeone, delle lotterie; o di Rocco, santo dei cani; o perché la Latina
Cunina, che vegliava sui bambini nella culla e che Lattanzio chiama a
irridere dovrebbe essere più ridicola di Santa Anna, che fa la stessa cosa o
anche della Madonna stessa – l‟incarnazione della maternità? Ma i santi –
ed anche la Vergine – non c‟erano ancora a quei tempi! Le condanne più
catastrofiche e terribili della tarda chiesa cattolica e della sua agiologia si
ritrovano nelle discussioni dei Padri contro i Gentili e specialmente nella
vigorosa satira del “Cicerone cristiano”.
49
Capitolo IV
Faflon
“Oh, Fufluns! Fufluns! Divinità terribile!” Pumpus di Perusia nel
Gaudeamus, W. Scheffel
“Ma andò meglio con Bacco di quanto fosse andato con Marte o Apollo
dopo il grande ritiro degli Dei” Heine, The Gods in Exile
L‟Arno, che scorre rombante davanti alla
finestra della stanza in cui sto scrivendo, in
piena per la molta pioggia primaverile è ora
un grande fiume, molto fangoso e piuttosto
incontrollabile. L‟ho visto in estate, quando
era limpido e pulito, ma allora era solo un
rivolo che andava da una fossa nel terreno
ad un‟altra, come un filo di seta percorso da
perle illuminate dal Sole o come un
pellegrino che vaghi da un altare all‟altro.
Sarebbe stato semplice, allora, per un
centinaio di persone portarlo tutto via dentro
a dei barili o per tutta la popolazione del
luogo berlo – cosa che avrebbero
sicuramente fatto come “MacPherson”, se
fosse stato vino. Ora tutti gli uomini della Toscana, con tutti i loro secchi,
non potrebbero fare una stima della sua acqua. Questo mi ricorda l‟obiettivo
che mi sono posto. Se fosse stato solo di raccogliere, unire e correggere una
collezione di storie di fate o proverbi o parabole o giochi, o anche esempi,
sarebbe stato facile o almeno un lavoro definito. Ma questa massa di antica
ed oscura mitologia non scritta giunge versata e schiumante come l‟Arno
dalle fonti della Romagna, nei cui recessi misteriosi tuttora dimora “l‟antica
covata del drago e le rocce che cadono nel fiume che scorre rombando”.
Bene, è uno strano paese poco conosciuto – così dice Goethe – e mi ha
inviato, nella sua freschezza primaverile, oscure Divinità di nome e fama
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dubbi, stregonerie, rime, leggende – diamanti e polvere – tutti confusi e
misti. Cosa tenere? Cosa eliminare? Se paragonato a tutto ciò che ho
incontrato finora nelle tradizioni popolari, questo è stato più come il contare
i fantasmi di Ossian che altro. Molte volte mi sono quasi disperato e molte
volte sono stato preso dallo sgomento. Ma la speranza sboccia eternamente
nel petto umano e così andrò avanti a discutere della mia ultima scoperta di
una Divinità che generalmente si suppone sia morta circa 2000 anni fa,
mentre tuttora vive come un vero folletto tra le poche vecchie streghe della
Romagna. Intendo Faflon.
Aplu, Fufluns e Semele
Fuflunus era l‟Etrusco Bacco. “Il suo nome” scrive Müller (Die Etrusker,
vol. II, pag. 79) “veniva pronunciato (lautet) Fuflunu, Fufluns,
generalmente Fufluns.” (Gerhardtm I, 83, 84, 87, 90 ecc.; Corssen, I, pag.
313-315). Troviamo sui calici Fufunl (Fahr P., Spl. n° 453) e Fuflunsl
(Corssen, I, pag. 430). Egli fa derivare il nome del Dio dalla radice indo-
germanica fu, generare, la qual cosa è molto dubitabile.
Chiedendo alla mia migliore autorità se vi fosse in Romagna ed in Toscana
uno spirito delle vigne o del vino, venni prontamente informato che vi era
un essere del genere chiamato Fardel o Flavo ma, tra le streghe o coloro
che erano meglio informati di tali misteri, Faflon. E mi venne narrata una
leggenda:
51
“Faflon è uno spirito che vive nelle vigne e, quando le donne o gli uomini
hanno raccolto l‟uva e ne hanno riempito le ceste, allora arriva questo
Faflon e le rovescia tutte sul terreno; ma guai ai contadini che si
arrabbiassero per questo, perché allora Faflon li picchierebbe da tutte le
parti e calpesterebbe i grappoli, così essi non ne trarrebbero alcun profitto.
Ma se prendono la cosa senza problemi egli li raccoglie e li ripone
nuovamente nelle ceste. Ora, c‟era un contadino che amava molto gli spiriti
e spesso li benediceva. Un anno tutto gli andò male, il suo raccolto di uva e
di tutti gli altri frutti andarono a male, tuttavia egli amava ancora Faflon e lo
benediva. Una mattina egli si alzò per andare a cogliere quel poco che c‟era
sulle viti, ma scoprì che anche quel poco era svanito. Il povero contadino
cominciò a lamentarsi e disse: „Non mi resta che morire, perché ho perso
quel poco di raccolto che avevo nella mia piccola vigna.‟ All‟improvviso
apparì Faflon, tanto bello di una bellezza da fare incantare, e disse: „O
contadino con le scarpe grosse e ruvide ma con il cervello buono, mi hai
amato così tanto che io ti ricompenserò. Vai nella tua cantina e là una gran
quantità d‟uva mostata troverai e gran vino tu farai.‟ Ora, ciò che Faflon
aveva detto pareva un sogno, per il contadino, ma andò nella sua cantina ed
invero il vino che fece quell‟anno lo rese ricco e non ebbe più bisogno di
fare il contadino.”
Nessuno può dubitare che questo Faflon – scritto talvolta nei manoscritti
come Flaflon – sia il Fufluns o Fufunal degli Etruschi. Il suo aspetto molto
bello è in perfetto accordo a quello di Bacco. E‟ esattamente in questo modo
che Bacco appare in un lampo, togliendosi il travestimento per rivelare la
sua bellezza, nelle storie classiche. Eccovi ora, parola per parola, una storia
raccontatami da una strega riguardo ad una moderna Ariadne:
“Vi era un contadino che aveva molte vigne, ma per diversi anni gli andò
tutto così male che non aveva abbastanza vino da bere per la sua famiglia.
Ora egli aveva una figlia di una bellezza da fare incantare ed una sera in cui
egli sedeva disperato sua figlia disse: „Padre caro, non sapevi che sarebbe
accaduto tutto questo? Hai dimenticato quello strano bel giovane che una
volta venne da te e mi chiese perché era così innamorato? E quando tu gli
negasti ciò che chiedeva egli disse: „Se io non potrò averla, voi non avrete
vigne.‟‟ Allora il contadino si arrabbiò molto e colpì la figlia ed ella dovette
andare a letto. Il padre andò quindi in cantina ma cosa vide! Su tutti i barili
vi erano dei diavoli che giocavano, con gli occhi che mandavano fuoco e le
bocche che mandavano fiamme e mentre danzavano cantavano: „Dai a
Faflon quella tua ragazza e da allora avrai il vino. Se negherai la fanciulla,
morirai mendico.‟ Allora l‟uomo diede la propria figlia a Faflon e
52
meraviglia! Tutti i barili furono pieni e da quel momento le sue vigne
furono abbondanti.”
L‟immagine della cantina piena di Baccanali e Fauni giocosi è buona.
Sospetto che sia stata un‟influenza cattolica a renderli “diavoli col fuoco
che esce dalla bocca”. Ma forse era solo “il vino divino che fiammeggia nel
Sansovino.”
Mi sarebbe dispiaciuto se, alla fine di tutte queste storie su Bacco, non
avessi trovato un inno a lui dedicato. Ed eccolo. Quando un contadino vuole
un buon raccolto nelle vigne può pregare in chiesa per averlo ma, per
esserne certo, ripete quanto segue al Dio gioviale:
“Faflon, Faflon, Falon! A voi mi raccomando chè l‟uva nella mia vigna è
molto scarsa; a voi mi raccomando che mi facciate avere buona
vendemmia! Faflon, Faflon, Faflon! A voi mi raccomando! Che il vino nella
mia cantina facciate venire abbondante e molto buono, Faflo, Faflon,
Faflon!”
Ecco, lettore, l‟ultimo inno reale e sincero a Bacco che sia mai stato cantato
in Italia – e probabilmente l‟ultima canzone dei Baccanali che verrà mai
udita sulla Terra. Vi sono state intere biblioteche di tali inni – Della Cruscan
Redi ha scritto un Bacco in Toscana – ma quella era arte: questa è religione.
Ed è possibile che questo inno bacchico fosse, in una qualche forma non
molto diversa, il primo mai composto. Potrei aggiungere che i miei due
amici contadini, che mi hanno aiutato lavorando nei giorni di mercato per
raccogliere le testimonianze dei vecchi contadini provenienti da tutte le parti
della Romagna, hanno confermato pienamente l‟esistenza di questo spirito,
con questa variante – che Ottavio Magrini ha scritto il nome Faflond,
mentre Peppino dichiara: “Il nome legittimo di questo spirito è Faflo”. Era
uno degli Dei che venivano invocati particolarmente o gridati al mercato e
dappertutto con risultati soddisfacenti.
Fufluns era anticamente conosciuto anche come Vertumnus. “Sua
compagna,” dice Dennis “probabilmente più che nel nome era Voltumna, la
grande Dea sul cui altare i principi confederati dell‟Etruria tenevano i loro
concilii.” (Cities, &c., of Etruria, vol. I, pag. lvii).
Lo Spirito della Contentezza
Lo Spirito della contentezza è certamente uno spirito buono ed io auguro
con tutto il cuore che possa dimorare con il mio lettore non solo per quanto
riguarda questo libro, ma che possa essere nelle sua vita in tutto. Per gli
Italiani è molto plausibile che, in un paese super-tassato come quello, possa
trattenersi uno spirito simile; tuttavia, è certo che essi lo invocano quando
intraprendono un viaggio in cerca di fortuna. E dicono quanto segue:
53
“Quando qualcuno sta per mettersi in viaggio in cerca di fortuna dice agli
amici: „Vado in viaggio per fare fortuna.‟ Ed essi rispondono: „Che lo
Spirito della contentezza ti possa guidare sempre!‟”
Non ci sono dubbi che questo Spirito sia la Fortuna Redux, “la Dea dei
viaggi felici e dei ritorni prosperi ai cui templi ed altari, dopo la lunga
assenza dell‟Imperatore Augusto, vennero fatti sacrifici.” Quando Augusto
(19 A.C.) ritornò, il 12 ottobre, da una lunga assenza in Asia, questo giorno
venne fissato come celebrazione annuale dell‟evento e venne innalzato un
altare, che venne consacrato il 15 dicembre seguente. Non deve sfuggire
all‟attenzione del lettore che il racconto italiano su questa Dea conclude con
un‟esortazione a non dimenticare mai che la propria fortuna personale è
dovuta allo spirito che è stato invocato; come a dire che è ad un‟antica
Divinità Romana sotto un altro nome che dovete il successo e che il
viaggiatore deve essere grato alla Fortuna Redux. In verità questa è una
vestigia inconscia molto naïf del paganesimo. “Nelle nostre ceneri brillano
ancora i fuochi abituali.”
Schedio pone in relazione a questa Divinità la seguente iscrizione di un
monumento:
“FORTUNÆ
REDUCI. LARI
VIALI. ROMÆ
AETERNÆ
Q. AXIS. AELIA.
NUS. VE. PROC.
AUG.
C.”
54
Corredoio
Si può considerare un fatto singolare che tutti
questi spiriti toscani delle foreste e dei campi, dei
focolari e delle vigne, siano di una perfetta e
fresca semplicità ed incarnano la Natura reietta da
cui derivano. E differiscono completamente e
radicalmente da qualunque personificazione della
chiesa cattolica romana, a partire dalla Trinità
stessa – che è un “mistero” – fino al Cupido-
Cherubino, alle luci dorate, ai martelli ed ai
chiodi, ai cuori in fiamme, alle Madonne vestite
di seta con oro che le circonda ed all‟intera massa
di proprietà mistiche teatrali che invero fanno
parte in parte della natura popolare, ma non del
tutto. Questa semplicità naturale era propria dei pagani antichi e la sua
esistenza nella tradizione popolare è sempre prova di determinati elementi,
almeno per quanto riguarda l‟antichità. Nel mio Gipsy Sorcery ho
sottolineato che se il Papa ed i Cardinali del 1891 fossero vissuti nel 1484
ed avessero osato esprimere ciò che loro tutti (con forse l‟eccezione di
quelli Spagnoli) pensano ora della stregoneria sarebbero stati tutti torturati
orribilmente e quindi bruciati vivi come eretici. Così possiamo osservare
che l‟intera organizzazione moderna della chiesa sarebbe stata condannata
completamente dai Padri per il suo carattere immensamente artificiale e
teatrale. Per molti sarebbero stati disgustosi la sua deprimente malinconia
miserabilmente affettata, il suo ideale infelice di una vita senza risate ed
innocenza senza sorrisi. Ed a questo proposito giungiamo all‟affascinante
spirito Corredoio, che è puramente pagano.
In Romagna vi è uno spirito, una fata o una Dea (maschio o femmina) che è
di natura gaia e festaiola. Viene chiamata Curedoia o Corredoio ed ama le
danze e le feste. E‟ una vera fanatica della musica e, nonostante tu non
possa sospettare della sua presenza, è certo che ella partecipi dovunque vi
sia un ballo o uno scherzo. Offro con modestia, o anche con dubbio, il
suggerimento che possiamo avere in lei la beau reste o un possibile
frammento di Curitis o Quritis – il is ed il us del Latino vengono molto
spesso mutate in vocali in Italiano, il che formerebbe Curitoio. “Curitis”
dice Müller “era il nome di Giunone a Falerii, dove veniva adorata con
zelo.” In suo onore venivano tenuti magnifici festival con ogni splendore e
gaiezza; venivano sacrificate delle mucche bianche, le strade venivano
ricoperte di tappeti (Ovidio, III, 12, 13, 24), le fanciulle – secondo l‟uso
greco – erano vestite di bianco e recavano sulle teste gli utensili sacri in
55
qualità di canefore. Gli Etruschi hanno sorpassato qualunque altro popolo
dell‟antichità nella passione per le processioni, i festival e l‟intensità dei
loro lazzi. I Romani sembrano avere preso il proprio stile dalla Grecia, ma il
loro appassionato gusto per il piacere sontuoso dai Toscani. E se Curitis era
il nome popolare di Giunone e se ella era invero sopra a tutte le altre cose la
Dea della pompa e dei festival e della gaiezza, non è impossibile che questo
nome sia sopravvissuto nella moderna Divinità della danza ed in ciò che
corrisponde più da vicino alle grandi mostre del tempo antico. Di Corredoio
ho quanto segue:
“Corredoio è uno spirito che va molto nelle feste da ballo e che si diverte in
ogni maniera. (Vi sono racconti contrastanti riguardo al sesso di Corredoio
o Corredoia.) Si delizia nel giungere come una ventata e così alza le sottane
a quelle signore, quindi scoppia a ridere forte e le signore arrossiscono.
Quindi Corredoio volo all‟interno dell‟orchestra e fa girare su se stessi tutti i
musicisti e quindi fa suonare da soli gli strumenti; e tutti sono meravigliati
nell‟udire la musica e non vedere alcuno che la suoni – al che egli scoppia
in un‟altra risata e se ne va (vola via).”
Vi è un‟invocazione (o un incantesimo) estremamente curiosa a Corredoio:
“Corredoio, Corredoio, Corredoio Corredoio, Corredoio, Corredoio che siei
tanto buono e gentile, che non hai fatto mai del male quando vieni in casa
mia; o bel Corredoio, vai e lo discacci con una bella risata, tu, o bel
Corredoio, sei uno spirito, è vero, ma sei anche lo spirito dell‟allegria; tu vai
nelle case a mettere la buona armonia. Dunque, bel Corredoio, tu che sei
tanto bello vieni qualche volta in camera mia e così mi aiuterai a stare
allegro ed a non avere mai guai. E così, se qualche grazia ti chiederò da te,
bel Corredoio, sono certo che quella grazia io l‟avrò.”
Tutto ciò è completamente al di fuori della chiesa ed è pagano più che si
può. Nell‟intera religione cattolica – potrei dire cristiana – non vi è traccia
di un tale glorioso Robin Goodfellow come Corredoio – che va a tutti i
balli, suona tutti gli strumenti, fa girare tutte le donne in un walzer
selvaggio e quindi scoppia in una risata, ho, ho, ho! e tuttavia conserva
come occupazione costante l‟andare a promuovere pace ed armonia
all‟interno delle famiglie o l‟andare a far piacere e giocare con i bambini ed
andarsene lasciando tutti allegri. Questa invocazione è in Romagna una
preghiera come qualunque che fosse tratta dal Libro delle Preghiere e prega
la Divinità di “vegliare talvolta su qualcuno e tirarlo su di morale in maniera
amichevole”, una Divinità molto bella, compita ed aggraziata; solo in Italia
si può trovare un Dio che possa “fare un‟orchestra intera” e che passa la sua
vita a rendere felice la gente. Invero non posso che provare gratitudine per
la sopravvivenza di un tale frammento di paganesimo gioioso, non fosse
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altro che per mostrare ad un mondo stupito che pietà e gaiezza possono
andare mano nella mano. I reti in Italia hanno insegnato alla gente che la
religione e la salvezza e tutto ciò che è santo è permeato di lacrime, lamenti,
digiuni, sangue, torture e morte – ed tuttavia nel frattempo, sotto queste
ceneri di miseria, l‟antico spirito pagano Romano-Etrusco della natura
umana e della tenerezza geniale è sopravvissuto. In tutte le religioni attuali
nel mondo non vi è nulla di così reale, così toccante e bello come lo spirito
di Corredoio. Sancte Corredoio ride pro nobis!
Orco
Difficilmente sarebbe utile citare Orco, la forma italiana di Orcus, che è
stato chiamato in innumerevoli storie di fate Ogre e che è conosciuto da
ogni bambino italiano, non fosse altro che per la sua peculiare descrizione
datami dalla mia informatrice principale. “Orco” ella disse “è uno spirito
terribile che un tempo era un grande stregone.” Questa è in tutto il mondo la
prima concezione degli spiriti e specialmente di coloro che vengono temuti.
Tra le tribù selvagge ai primi stadi dello sciamanesimo ogni spirito
importante un tempo è stato un uomo e sempre un mago. Potremmo dire che
il Latino Orcus fosse una personificazione degli inferi o dell‟orribile così
come Giove lo era del fulmine ma è un fatto che le razze selvagge
applichino nomi come inferi e fulmine agli uomini. Euhemerus di Messina
fa derivare tutti gli Dei da uomini, il che pare essere stato, fino ad un certo
grado, giusto, almeno per quanto riguarda le razze coinvolte.
Tesana
Tesana è “lo Spirito dell‟Alba”, che si potrebbe chiamare Aurora. E‟ buona
e, se un contadino dorme quando il rosso mattino si intravede sulle colline,
ella va da lui in sogno e dice:
“Svegliandoti pian piano, o buon uomo, svegliati, che l‟alba spunta; sono
uno spirito consolatore e vengo per aiutarti con buon coraggio e buona
fortuna, ma sempre col tuo lavoro. E così, con la buona volontà di lavorare
avrai sempre buona salute e volontà di lavorare: il ricco è nato ricco per
aiutare il povero ed il povero per aiutare il ricco col suo lavoro, perché il
signore non saprebbe affrontare le fatiche. Lavora, o buon contadino, che al
momento spunta il Sole. Quando sei stanco chiamami in tuo soccorso ed io
sarò sempre il tuo angelo consolatore!”
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Lalae, Linthun, Thesan e Memrun
E così il contadino si sveglia e va al lavoro, contento ed allegro, credendo di
avere visto in sogno e conversato con un santo o una santa, invece di avere
parlato con uno spirito.
Questo è assolutamente pagano, pagano stregonico, ed una protesta dell‟
“antica religione” nei confronti della nuova. Perché “uno spirito invece di
un santo” qui non significa null‟altro che una Divinità Romano-Etrusca o
puramente Etrusca. Non vi sono incarnazioni molto belle dell‟Alba nella
mitologia cattolica romana, con i suoi santi rococò di legno e gesso tutti
artificiosi e da bottega, anche qui in Italia. Questa graziosa Aurora, questo
spirito dell‟alba appartiene ad una razza di esseri più pura e migliore. Ella
prova sincero amore per i contadini, non richiedendo né tributi né preghiere
né adorazione, né digiuno né vigilie per compiacere la propria vanità, ma
semplicemente lo incoraggia. Invero questo è molto pagano e ed in lei si
mantiene un semplice conservatorismo dei vecchi tempi: che il ricco ed il
povero devono esistere ed adempiere ai propri reciprochi obblighi. Un
amico colto, che ha rivisto quest‟opera, sottolinea di Tesana che Thesan,
secondo Corssen, è una Dea etrusca dell‟alba (Die Sprache der Etrusker, I,
pag. 259).
Non può essere sfuggito al lettore che Tesana appare stranamente in questa
leggenda come un‟essere che riflette sugli stadi, sulla società, le leggi
umane e le relazioni. Gerhard (Gottheiten d. Etrusker, pag. 39 ed Etrus.
Spiegeln, tavola 76) ribadisce che vi era identità tra Thesan e Themis.
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Questo è certamente straordinario. Prima di incontrare questa osservazione,
mi era rimasto profondamente impresso il carattere delle riflessioni sui
diritti sociali che è così evidente nella canzone, riflessioni che erano molto
lontane dalla gamma di pensieri della donna che me le cantò.
Spulviero
Gli antichi Toscani superarono tutte le altre nazioni per il numero dei loro
Dei del tuono e della tempesta – ne avevano invero uno per ogni stagione –,
tanto che i loro discendenti non hanno solo paura di Tinia, o Giove, ma
anche di Spulviero, il temuto spirito del vento e della tempesta di cui si
narra che abbia dato origine agli Indiani Algonchini. Spulviero, detto anche
Spolvero, è lo Spirito del Vento. Il suo nome probabilmente deriva da
polvere, riferentesi ai vortici o alle ventate di polvere causate dal vento – il
Pau-pu-ke-wiss dei Chippewa. Potrebbe tuttavia essere una derivazione di
pluvio, “pioggia”. Ma questa è la leggenda che mi è stata raccontata:
“Lo Spirito del Vento, chiamato Spulviero, è uno spirito maligno che in vita
era uno stregone, uno di quegli stregoni così malvagi che rovinò molte
buone famiglie, gente di buon cuore che faceva del bene a tutti, e fece del
male anche a coloro che fecero a lui del bene. Egli era così malvagio che
quando qualcuno gli faceva del bene egli faceva loro del male né alcuno
poteva vendicarsi di lui, perché volava veloce come il vento. Ma, per
maligno che fosse, venne il suo momento ed egli morì; ma prima di morire
andò in ospedale. Là si raccomandò a tutti coloro che erano presenti,
chiedendo se qualcuno volesse ereditare la sua stregoneria, ma nessuno
rispose, perché lo conoscevano tutti molto bene. Un servo portò due scope e
le mise sotto al suo letto dicendo: “Lasciala a loro” e, se non fosse stato per
questo, lui non avrebbe potuto morire. Così egli morì ed improvvisamente si
alzò un terribile vento, tanto che l‟ospedale ne venne quasi spazzato via, ed
il suo spirito se ne andò nel vento.”
Qui si fa riferimento alla credenza che uno stregone o una strega non possa
morire fino a quando il suo potere non sia stato trasferito a qualcun altro. La
scopa è un antico talismano latino contro la stregoneria. Ciò che è realmente
molto antico e puramente sciamanico in questa leggenda è la fede nel fatto
che tutti gli spiriti o le Divinità siano stati un tempo degli stregoni. La
catena dei fatti è intricata ma può essere seguita. Gli Etruschi si sono
risvegliati al politeismo, pur conservando delle forme sciamaniche, ma la
gente è rimasta ad uno stadio precedente, credendo che ogni grande spirito
fosse un tempo un uomo. Così essi hanno in realtà riportato indietro un mito
ai propri albori. Così Chuchulvia viene dichiarato uno stregone che ora è
divenuto uno spirito malvagio. Ma io dubito di questo, perché non è
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probabile che i contadini della Romagna siano realmente cambiati dagli
albori. I grandi saggi Etruschi hanno sviluppato degli Dei ma il popolo, pur
accettandoli, ha sempre creduto nell‟Eumerismo, cioè che essi fossero solo
dei maghi evoluti. E che questa leggenda sia moderna o più antica di quelle
etrusche, una cosa è evidente: che il suo spirito è antico come il suo ricordo.
Coloro he amano l‟antico non sempre riflettono che un ciottolo potrebbe
essere più vecchio di qualunque cosa l‟uomo abbia mai fatto.
Urfia
Di questo spirito non so nulla eccetto quanto segue: “E‟ una donna che si
presenta (si manifesta) nelle case”. Credo sia uno spirito benevolo.
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Capitolo V
Lari, Lasa e Lassi
“E nos Lases iuvate, Neve luerve Marmar sins incurrere in pleoris. Satur
furere Mars limen sali, sta berber. Semunis alternei advocavit conctos et nos
Marmo iuvato. Triumpe. Triumpe.” - Canzone dei Fratelli Arval
Con le parole latine Lar e Lares noi
generalmente comprendiamo degli spiriti
familiari domestici, su cui Müller (Die
Etrusker) fornisce molte informazioni e
congetture. Egli scrive: “Che i Lari
appartengano alla mitologia toscana si vede
dal nome, perché Larth e Laris erano cognomi
comuni e devono avere originato un
Ehrennahme, un soprannome. Ma sia tra i
Toscani che tra i Romani era un nome che
comprendeva molte cose… Vi erano Lares
coelopolentes, permarini, viales, vicorum,
compitales, civitatum, rurales, grundules ed
infine i domestici ed i familiares, la cui
comprensione nel corso del tempo è divenuta
oscura, dividendo con gli altri questa confusione. I Lares rurali, d‟altra
parte, sono quelli che nell‟antica canzone dei Fratelli Arval vengono
chiamati “E nos Lases iuvate.” A Roma Lases era certamente la forma più
antica del termine. Ora è certamente notevole a prima vista che sotto a
queste Divinità estremamente variate vi siano delle anime umane.” Questo
viene confermato da Müller con una grande quantità di prove. Egli aggiunge
quindi: “I Lares familiares devono necessariamente essere inclusi tra questi,
in quanto generalmente non erano altro che le anime degli antenati divenute
Dei; molti degli antichi (Apuleio, Marziano e Varro) hanno dichiarato che il
genius ed il lar, con specifico riferimento ai Lari domestici, erano la stessa
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cosa.” Il nostro autore dichiara che i Lasi erano generalmente spiriti
femminili che si occupavano di adornare uomini e donne, come dipinto sui
vasi, e che “per quello che riguarda gli Etruschi, è dubitabile che i Lasa ed i
Lares siano collegati tra loro.”
Parlando un giorno con la mia informatrice più autorevole sul folklore
toscano, le chiesi se conoscesse parole come Lar, Lares, o Lare. “No, non le
ho mai sentite.” Qualcosa con un nome simile infestava i cimiteri? “No, ma
– riflettendo un istante – vi sono i Lassi o Lassie.” “E cosa sono?” Questa fu
la risposta:
Lasa o spirito guardiano
“I Lassi sono spiriti che vengono uditi o visti in una casa quando muore
qualcuno della famiglia. Sono i fantasmi degli antenati della famiglia che
ritornano in quei momenti.”
Questo era conclusivo ed io non ho alcun dubbio che questo Lassi o Lasae
siano i Lasa di cui si parla nella canzone dei Fratelli Arval. Naturalmente
questo non è provati ma quando considero che Tinia, Fufluns, Feronia e
Mania esistono tutti con la maggior parte delle loro caratteristiche antiche,
devo ammettere che vi è qui una probabilità molto forte. I Lasa erano per gli
antichi Latini i fantasmi degli antenati o spiriti domestici familiari e così
sono i Lassi. E Müller non fornisce prove di sorta che i Lasa, “gli spiriti
alati sui vasi, con una benda sulla fronte o un cappello e degli orecchini,
nudi o vestiti con un corto chitone con bracciali, stivaletti o scarpe” e
recanti in mano una grande varietà di oggetti non siano i Lari divinizzati. Mi
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sembra naturale che gli spiriti degli antenati, rivitalizzanti in gioventù e
bellezza, possano essere i primi ad attendere ed aiutare il discendente che
viene elevato al paradiso. Müller stesso dice altrove: “Nel Lar viene sempre
alla luce il Genius.” Cosa sono questi Lasa se non i genii dei defunti?
Esiste una storia sui Lasi o Lasii ed anche un‟invocazione a loro rivolta.
Purtroppo non sono stato in grado, riguardo alle canzoni o ai passaggi
metrici di tali racconti, di renderne l‟originale o la forma migliore. Nella
maggior parte dei casi la mia informatrice li ha tradotti dall‟originale
dialetto romagnolo in Italiano e spesso sono risultati manifestamente
imperfetti o in parte cambiati. La storia è la seguente:
“Un tempo vi era un gran signore molto ricco che aveva un figlio molto
prodigo – che sciupava tutto il danaro. Suo padre gli disse: „Figlio mio, non
potrò vivere a lungo, perciò ti prego di comportarti sempre bene. Non
giocare d‟azzardo, come vorresti fare, sprecando tutto il tuo patrimonio.
Finchè vivo posso prendermi cura di te, ma temo per te quando sarà morto.‟
Dopo poco tempo il padre morì ed in pochi giorni il figlio sperperò tutto.
Non rimase altro che il palazzo, che vendette. Ma coloro che lo occuparono
non riuscirono a dimorarvi in pace, perché a mezzanotte si udiva un grande
clangore di catene e tutte le campane suonare. E si vedevano figure nere
come il fumo passare, e fiamme di fuoco. Ed essi udirono una voce dire:
„Sono il Lasio, in compagnia di tanti Lasii, e non avrete mai bene fino a che
non renderete questo luogo a mio figlio.‟
Così essi resero il palazzo al proprietario; ma lui era troppo terrorizzato
dalle apparizioni, finchè giunse alle sue orecchie una voce che disse:
„Sono il Lasio di tutti i Lasii, son tuo padre e vengo adesso in tuo soccorso,
purchè tu m‟obbedisca. Smetti il giuoco, altrimenti non avrò mai pace e tu ti
troverai ancora in miseria estrema; ma se tu m‟obbedisci, io vivrò in pace e
sarai tanto ricco da non finire il tuo patrimonio, anche divertendoti e
facendo molto bene. Ma promettimi di non giuocare più!‟
Ed il figlio rispose: „Padre, perdonatemi, non giuocherò più!‟ Il padre disse
allora: „Rompi quante travi che sono nel palazzo e piene di denaro le
troverai; così starai bene ed io starò in pace ed andrò nelle requie. Amen!‟”
Due cose mi colpiscono in questo strano semi-poema. Una è che la storia
assomiglia molto a quella del Signore di Lynne nel Relics di Percy; l‟altra
che è un tipo di narrativa molto più islandese che italiana. E‟ spietata, forte
e molto semplice – si potrebbe dire quasi arcaica. Nella stregoneria esiste
anche una invocazione di questi spiriti degli antenati non meno curiosa:
“Lasii, Lasii, Lasii, che tanto buoni siete, di una grazia io ho gran bisogno; e
da voi, spiriti e Lasi, in mezzo a una cantina mi vengo ad inginocchiare; a
voialtri mi vengo a raccomandare che questa grazia mi vogliate fare. Lasii,
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Lasii, Lasii! A voi mi presento con tre candele accese e tre carte: l‟asso di
picche, quello di fiori e quello di quadri; le butterò per aria, che voi certo mi
vedete; perciò le butto in vostra presenza. Nel punto della mezzanotte
queste carte per aria butterò; se la grazia mi farete, l‟asso di fiori scoperto
trovare mi farete; se scoperto l‟asso di picche mi fate trovare è segno che la
grazia non mi volete fare; se mi farete trovare quello di quadri è segno che
la grazia mi fate.”
Fauno e lasa femmina o Fata
“Ma” aggiunge la veggente con voce prosaica “non si verrà esauditi se non
dopo molto tempo.”
Giochi d‟azzardo e lotterie sono un elemento molto serio nella vita italiana,
tanto che non ci si deve stupire che venga rivolta ai Lasii un‟invocazione
come questa. Forse i Romani facevano la stessa cosa per avere fortuna at
alea, ai dadi. Se avessi la mia copia del De Alea di Paschasius Justus lo
scoprirei! In questo racconto i Lasii appaiono come spiriti benigni, devoti ad
una famiglia. Mentre registravo questa storia del Lasio che ha donato il
tesoro, mi sono imbattuto in Romische Mythologie, di L. Preller, in ciò che
segue: “Il Lar familiaris è lo Schutzgeist, lo spirito guardiano della famiglia.
Accanto ad esso, che viene semplicemente chiamato il lar o lar pater (il
Lasio padre), vi sono molti lares familiares… Accade, magari, che il nonno
confidi a qualcuno di un tesoro da lui nascosto segretamente… ed egli lo
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confida all‟unica figlia della casa, una buona ragazza che gli ha sempre fatto
offerte quotidiane di incensi o vino o ghirlande.” Questa è, in breve, la
stessa storia che ho riportato. Il Lar o Lasio ha un tesoro nascosto che dona
al padrone di casa. Era confortante il pensare che vi fosse nella casa uno
spirito familiare affezionato che poteva mutare il destino di qualcuno in
meglio e così la credenza durò a lungo tra la gente rurale. Il giovane
Peppino, che è andato molto in giro sia nelle case che nei mercati per
raccogliere prove della conoscenza degli spiriti da me riportate, ha scoperto
che i Lasii erano conosciuti ma con il nome di llasii. Qualche tempo dopo
aver scritto il capitolo sui Lasii, udii quanto segue, che riporto
accuratamente:
Tinia e Lasa
“Quando avevo circa 12 anni mi accadde qualcosa che all‟epoca considerai
divertente o buffo, ma che in seguito considerai in una luce molto diversa.
Una volta andai con alcuni parenti in campagna. Un giorno ero in una
foresta oscura e stavo camminando per raccogliere foglie e fiori dagli alberi
quando mi trovai in un posto molto solitario vicino ad un corso d‟acqua.
Avevo l‟abitudine di parlare con me stesso ad alta voce e dissi: „Oh, mi
piacerebbe fare il bagno qui.‟ – era molto caldo – quando, all‟improvviso,
mi comparve davanti una vecchia che disse: „Caro ragazzo, se vuoi fare il
bagno svestiti senza paura, io ti proteggerò.‟ Vi era in lei qualcosa che mi
piacque molto, una gentilezza ed una dolcezza che non so descrivere. E
quando ebbi fatto il bagno e mi fui rivestito ella disse: „Bimbo, tu hai avuto
molti problemi e molti altri ti attendono, ma non avere paura – non ti
sgomentare – perché in vecchiaia avrai buona sorte.‟ E scomparve; non la
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rividi mai più ed attendo ancora la buona sorte, che non è ancora arrivata. Io
credo che fosse una lasia, lo spirito di una qualche antenata morta da molto
tempo che mi augurava del bene.”
Le immagini dei Lasi abbondano sui vasi etruschi. Essi vengono
rappresentati come begli spiriti, giovani e più spesso femmine che maschi.
Sono pressoché sempre, credo, alati e generalmente recano una bottiglia o
una larga fiala. L‟antica religione etrusca, che era distintamente eumeristica,
considerava il divenire un Lar il primo passo per divenire un Dio. Su questo
tema è interessante quanto segue:
“Les Lares, ou Lases, qui jouent un róle si important dans les anciennes
religions de l'Italie, qui peuplent le monde romain, qu'on trouve partont, au
foyer de la famille, dans la ville, à la campagne, sur les routes - Lares
familiares, urbani, rurales, viales, & c.; les Lares ont sans acun doute fait
partie de la cosmogonie Etrusque. Leur nom seul semble le prouver, Larth
on Laris est un nom et un titre d'honneur que l'on rencontre fréquemment
sur les inscriptions funéraires de l'Etrurie. On lisait, d'ailleurs, dans les
Livres Achérontiens qui faisaient partie de la doctrine de Tagès, que les
âmes humaines pouvaient, en vertu de certaines expiations, participer a
l'essence des dieux, et sous le nom de dii animales, ou âmes divines,
prendre place parmi les Pénates et les Lares.” (Servius ad Aen., III, 168; cf.
Fabretti, Gloss. Ital. s.v.).
“Ainsi s'accomplissaient dans les croyances de l'Etrurie les mysterieuses
destinées de l'âme humaine. Le Genius jovialis, après l'avoir recueille
comme une émanation de la divinité, lui donnait entrée dans la vie; puis
quand la mort venait séparer de la matière ce souffle divin, l'âme, éprouvée
par les sacrifices, ou l'expiation, pouvait retourner parmi les dieux, et
comme pénate elle remontait an rang on le Genius jovialis, ainsi que nous
l'avons vu, était placé lui-meme.” (L'Etrurie et Les Etrusques, par A. Noël
des Vergers, Paris, 1862, vol. I, pagg. 301, 302).
Da questo estratto si vede che tuttora permane una singolare credenza che
certe anime di stregoni talvolta rinascano come stregoni ancora più potenti e
da qui divengano spiriti, cosa che è esattamente parallela all‟antica dottrina
etrusca insegnata da Tagete.
Losna
Müller (Die Etrusker, pag. 81) afferma che Corssen (I, pagg. 346-7) “ha
erroneamente attribuito Losna, una Dea della Luna, all‟Etruria. Ella appare
solo su uno specchio proveniente da Praeneste (Gerhard, I, clxxi) ed è
Latina (Lucna, Luna).” Non sta a noi rispondere alla questione ma,
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domandando alla mia informatrice principale se conoscesse un essere come
Losna, ricevetti la seguente risposta:
“Losna è uno spirito del Sole e della Luna, di entrambi, non solo della Luna,
Quando un fratello seduce la propria sorella è sempre opera sua. Ella ama
deridere gaiamente la gente. Quando ha fatto il danno appare al tavolo in cui
un contadino e la sua famiglia sono riuniti, ride e dice: „Sei uno stupido, non
sai che tua figlia è incinta di suo fratello; ma un tempo tu hai detto: E‟ un
grande piacere fare l‟amore col proprio fratello.‟ E quando ha fatto questo
danno se ne va via cantando, perché ha causato discordia nella famiglia.”
Questo impressionante mito pare essere molto antico. Tra gli zingari
dell‟Europa dell‟Est vi è una leggenda che dice che loro discendono dal
Sole e dalla Luna; avendo il Sole sedotto la propria sorella, la Luna, venne
condannato a vagare per sempre ed in conseguenza anche loro non possono
mai fermarsi. I nativi del Borneo e gli antichi Irlandesi credevano che
l‟Uomo nella Luna fosse imprigionato là per la stessa azione. Infine, tra gli
Eschimesi vi è una storia similare. Queste coincidenze sono fortuite ma in
ogni caso notevoli.
“Losna, che è Louna” dice Preller “appare su uno specchio etrusco con la
mezzaluna associata a Polluce, su un altro monumento come Lala, Lara,
Δέςττοιυα con il Dio-Sole Aplu.” E‟ possibile che alcune tradizioni
riguardanti tale associazione con il Sole possano avere fatto nascere questa
storia toscana, che ne è probabilmente solo un frammento. In ogni caso, è
notevole che vi sia un‟allusione al Sole ed alla Luna come fratello e sorella
incestuosi. Vorrei richiamare particolarmente l‟attenzione del lettore
sull‟immagine che rappresenta Losna. Proviene da uno specchio che per un
secolo è stato spesso inserito in opere sull‟arte etrusca. Esso è ora in mio
possesso e giace sui miei fogli mentre scrivo. Secondo Corssen ((Sprache
der Etrusker, vol. I, pag. 346), che fa riferimento all‟ Etruscan Mirrors di
Gerhard, III, 165, a Ritschl, Cavendoni, Schoene, Benndorff, Helbig, & c.,
esso proviene da Praeneste ed il nome Lusna era quello originale, mentre
Losna sarebbe una forma dialettica peculiare di Praeneste. Gli Etruschi
ritenevano che specchi come questo possedessero poteri magici. Anche i
Cinesi, al giorno d‟oggi, ne fanno di simili per questo motivo: lo specchio
cinese, come quelli antichi, viene lucidato da una parte e possiede
un‟immagine, o più comunemente un‟iscrizione, dall‟altra. Se il Sole
splende sullo specchio e si riflette su una superficie bianca e liscia,
l‟immagine dall‟altra parte diventa chiaramente visibile nel riflesso. Ho
udito spiegazioni in merito che non mi hanno soddisfatto. Intorno all‟anno
1856 un dagherrotipista degli Stati Uniti, incidendo due linee a croce sul
davanti di un piatto di rame ha scoperto che, nonostante la croce non fosse
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percettibile sul dorso, tuttavia quando vi si rifletteva la luce solare si poteva
distintamente vedere nel riflesso. Perciò ne dedussi che la pressione sulla
facciata aveva indurito il metallo dappertutto, cosa che spiega perfettamente
il fenomeno. Suppongo che anche gli specchi etruschi, quando erano nuovi,
possedessero la stessa qualità. Di questa invenzione non fa neppure da
G.Battista Porta nelle sue molte ricette per fare specchi meravigliosi. Se ne
possono fare anche con il vetro ricuocendo l‟immagine. Il che significa che
prendiamo un disegno fatto su vetro duro, vi poniamo sopra uno strato di
vetro morbido e, quando è raffreddato, levighiamo la superficie, che parrà
uniforme; ma riflesso contro il Sole mostrerà che la luce proveniente dal
vetro morbido è più opaca di quella che si riflette su quella dura.
Losna
(dall‟originale specchio in bronzo etrusco ora in possesso dell‟autore)
Tutti gli specchi, secondo l‟antica e moderna superstizione, sono repulsivi
delle streghe e vanno bene contro il malocchio et similia. I fascinatori –
come i basilischi – si vedevano rivoltare contro se stessi il proprio terribile
sguardo se guardavano il loro riflesso “Si on luy presente un miroir, par
endardement reciproque, ces rayons retournent sur l'autheur d'iceux.” In
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qualità di Dea lunare-solare, credo che Losna venisse particolarmente
associata allo specchio come oggetto magico. Filostrato dichiara che se si
tiene uno specchio davanti ad un uomo dormiente durante una grandinata o
una tempesta con dei tuoni, la tempesta cesserà.
Laronda
In Toscana, Laronda è uno spirito molto gentile e benevolo che,
stranamente, è peculiare delle caserme, dimora in esse o negli
accampamenti di soldati: “Sarebbe uno spirito delle caserme dei militari.
E‟ molto buona.” Pare identificarsi con l‟antica Laronda, o Lara, etrusca, di
cui Lattanzio dice: “Chi può astenersi dalle risa quando ode la Dea silente
citata? Ella è colei che chiamano Lara o Laronda” (I, 20, 3-5). Ovidio parla
di lei come della Dea muta. Ma, da un passaggio della Mythology di Preller.
Deduco che era particolarmente conosciuta come benefica in quanto, in
riferimento ad una preghiera a lei dedicata, egli sottolinea: “Qui
comprendiamo chiaramente ein guter Geist - ein seliger”, uno spirito buono
o felice.
Ma ciò che è certamente notevole è che Laronda era in particolare la madre
dei Lares compitales. “Il compitum è un punto in cui si incontrano diverse
strade. In un tale luogo i Romani erigevano grosse costruzioni con passaggi
e stanze che corrispondono letteralmente alle moderne caserme. In esse tutta
la gente dei dintorni si incontrava per discutere i propri affari e tenere
festival.” Perciò i Lares compitales erano gli spiriti guardiani di tali grosse
costruzioni pubbliche, dove vivevano o si incontravano molti uomini. Ed a
quel tempo, così come oggi, Laronda era lo spirito principale di ciò che
corrisponde alle moderne caserme, che sono attualmente in Italia le uniche
costruzioni che somiglino agli antichi compitum. Nel corso del tempo sono
sorte delle storie o sono stati collegati dei nomi che hanno in realtà molta
poca connessione. Una leggenda riguardante Laronda è la seguente:
“Laronda è il folletto delle caserme. Un tempo era una donna di nome Rosa
che, durante la sua vita, fu devota ai soldati. Dopo un po‟ di tempo gli
ufficiali notarono la cosa e le proibirono di frequentare le caserme; lei se ne
dispiacque tanto da ammalarsi, tanto che rimase a lungo confinata a letto. I
soldati stessi la rimpiangevano tristemente e così fecero in modo che essa
potesse andare da loro segretamente. Per un po‟ tutto andò bene. Tra quei
soldati ve ne era uno che era fidanzato con una zingara, che era anche una
strega. La strega scoprì che Rosa visitava le caserme e che tutti i soldati le
erano devoti per la sua gaiezza e bontà non meno che per la sua bellezza. La
zingara non ne fu felice e disse a Rosa:
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„Rosa, o Rosa, o bella Rosa! E‟ vero che io non sono bella come te, perché
sono una zingara. E tu vieni stimata da tutti i soldati ed anche il mio
innamorato ti ama, perciò ti prego di non frequentare più le caserme! –
Perciò ti voglio pregare nelle caserme di non più andare! -‟ Allora Rosa
rispose, francamente ma con risolutezza, che non avrebbe fatto alcunché per
compiacere la sua sciocca gelosia e l‟altra, in collera, disse: „Che la mia
maledizione possa cadere come piombo sulla tua testa, nè vivrai a lungo, ma
ti do un anno. E finchè tu camperai tu non avrai che pene e guai. E siccome
ami tanto i soldati, non avrai riposo dopo la morte, ma diverrai il folletto
della ronda e La Ronda tu sarai.‟
Tutto accadde come minacciato ed i soldati si addolorarono per la sua
morte. Ma, mentre si stavano dispiacendo, improvvisamente apparve loro ad
una finestra una signora di grande bellezza vestita di bianco, che disse:
„Io sono la bella Rosa, ma ora sono morta e sono divenuta il Folletto della
Ronda dei soldati e, quando la notte volerà via dal mondo degli eterni, verrò
a cercarvi e, quando udrete la mia chiamata, allora aprirete le finestre a La
Ronda.‟”
A molti questo adattamento di una storiella moderna ad una parola sarà
bastevole per distruggere ogni collegamento con la classica Laronda. In tal
modo potremmo invalidare completamente ogni e qualunque tradizione,
così come Voltaire disse che le conchiglie pietrificate che si trovano sulle
cime delle montagne sono probabilmente conchiglie lasciate da pellegrini
provenienti dalla Terrasanta. Ma Laronda era fin dai tempi antichi lo spirito
guardiano degli edifici pubblici. Ho sentito dire che Laronda potrebbe
essere, o è, lo spirito di qualunque grande costruzione frequentata da molta
gente, come un albergo. Questa pare l‟idea antica generale, mentre non ho
garanzie che la storia narrata non sia di fabbricazione moderna basata su un
motivo tradizionale. Se Laronda sia moderna perché vi è una storia moderna
che è stata adattata al suo nome, allora naturalmente l‟esistenza di
qualunque mito potrebbe essere congetturata in tal modo.
Lemuri
Alla mia richiesta se fosse conosciuta una parola come Lemuri, mi venne
detto che “i Lemuri sono gli spiriti dei camposanti”. Questo li identifica
piuttosto chiaramente con i latini Lemures, che erano la stessa cosa delle
Larvae, gli infelici e terrificanti fantasmi di coloro che erano morti di morte
violenta o sotto interdizione, a cui vi sono innumerevoli allusioni in tutti gli
scrittori latini.
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Tago
Tago è uno spirito il cui nome pare essere conosciuto solo da pochi vecchi.
Viene descritto come uno spirito bambino o che appare come tale. Di lui
Gustavo Favi ha dichiarato: “Tago è uno spirito che viene invocato quando
vediamo soffrire dei bambini, con una invocazione che fa sì che essi si
ristabiliscano. Ma non ricordo questa preghiera per poterla trascrivere.”
Un‟altra autorità mi ha informato che esiste uno spirito bambino o uno
spirito che appare come un bambino che tuttavia è uno stregone. Il suo
nome è Terieg'h (un suono duro, gutturale ed incerto). Egli spunta dal
terreno e predice il futuro o la sorte. Siccome vi sono solo questi spiriti in
tale forma, suppongo che siano lo stesso essere.
Il nome Tago suggerirà naturalmente agli studiosi quello di Tagete, “il
saggio bambino etrusco spuntato dal terreno” la cui storia viene fornita nei
dettagli da Preller e da molti altri, ma da nessuno in maniera così succinta o
elegante come da Petrarca nel suo Italiano-Latino. Un giorno questo
bambino, mentre un contadino stava arando – Hetrusco quodam arante in
agro Tarquiniensi – balzò fuori dal solco, il corpo di un bambino ma la testa
e la saggezza di un vecchio – puerili effigie sapientia senili – e cominciò
immediatamente a stupire tutti con le sue profezie ed istruzioni in cui vi era
quella che allora chiamavano saggezza religiosa ma che noi oggi chiamiamo
magia. Ed invero fu dai suoi libri e dai suoi insegnamenti che vennero tratte
tutte le divinazioni Romane e le osservanze sacre. E, se la tradizione etrusca
cominciò con lui, sarebbe invero molto interessante il potere provare che
egli sopravvive ancora nella sua casa in Etruria come Tago o Terieg‟h. In
verità, vestigia come queste potrebbero non essere le più adatte allo spirito
dell‟epoca, ma è importante che vengano registrate, fosse anche solo per
mostrare la maniera straordinaria in cui si sono fissate nella tradizione
popolare. Ma se Tago o Terieg‟h sia realmente Tagete lascio ad altri il
71
compito di stabilirlo. Davus sum non Aedipius. Perchè, come dice Johannes
Practorius nel suo Anthropodemus Plutonicus, “tutta la storia di Tagete
potrebbe essere una favola con cui il diavolo, con le sue arti magiche, ha
illuso e tradito l‟uomo con una meraviglia, perchè egli può usare le molte
superstizioni che sono cominciate con Tagete, la sua predizione del futuro e
la sua stregoneria.”
Tagete
(dal Museo Etrusco di Gori.)
Fanio
“Hæc loca capripedes, Satyras, nymphasque teneræ, Finitimi fingunt et
Faunos esse loquntur, Quorum noctivago strepitu.” Lucretius, IV, 584
Per qualcuno che possegga umanità e buoni sentimenti vi è qualcosa di
molto toccante nel modo in cui la gente in Europa è rimasta aggrappata ai
propri antichi Dei ed ha resistito al cristianesimo. Perché non è del tutto
vero, come viene generalmente fatto erroneamente credere, che essi abbiano
accettato con gioia la mistica ed astratta religione Ebraico-Persiana cattolica
romana fatta di amore professato a parole ed una oppressione clericale e
feudale che non comprendevano. Né trovarono alcuna attrattiva nel suo
dovere di obbedienza a crudeli tiranni feudali, all‟ascetismo, al digiuno ed
alla paura del male. Furono costretti a tutto ciò e gli resistettero a lungo.
Nonostante una crudele persecuzione (come osservano Horst e Michelet), i
contadini persistettero nella loro devozione agli antichi Dei proibiti ed ogni
pochi anni, a partire dal XV secolo, vi furono concilii che tuonarono loro
contro, collegi che li condannarono e preti che bruciarono gente a causa di
72
sacrifici pagani. E non erano in pochi coloro che, nonostante ciò, si
aggrappavano all‟antica fede. Erano in tutta Europa e, come ho dimostrato,
ve ne sono ancora alcuni in Toscana ed in Romagna. Questa antica religione
della Natura era congeniale alla gente perché essi la comprendevano e la
sentivano profondamente. Essi possedevano, come spero anche il lettore,
l‟impressione che vi sia uno spirito nei boschi senza sentieri, una profonda
canzone nell‟ombra silente, la vita nella terra a lungo dimenticata dei tempi
antichi – luoghi di visioni nelle antiche rocce grigie che erano possibili
portali attraverso i quali gli elfi o i loro stessi pensieri elfici potevano
passare. Essi conoscevano la Voce della Cascata e ciò che diceva la roccia
quando veniva gettata nella fonte o in una pozza silente al crepuscolo,
“sotto le stelle”, ed il perché l‟alloro crepitava quando bruciava e quali
parole diceva – tutti questi erano spiriti ed essi avevano imparato il
linguaggio degli spiriti dai loro padri. Vi era un piacere indescrivibile, un
senso di socievolezza nel credere che vi fosse un goblin familiare allegro e
dispettoso che viveva nel fuoco o dimorava nei focolari, che stuzzicava le
fanciulle ed infastidiva i ragazzi ed era “così amichevole”. Erano tutti come
loro ed all‟interno della loro comprensione naturale ed essi credevano in
loro perché, dovendo adottare un qualche tipo di sovrannaturalismo,
prendevano ciò che era per loro più naturale, saggio e congeniale. Un
pallido, sofferente spettro sanguinante, l‟eterna troppa bontà della Madonna
e l‟agonia dei santi torturati senza fine da digiuni e preghiere non sono a noi
congeniali, né una umanità sana mai li accetterebbe con amore fervente
come fece con gli antichi Dei pagani. L‟intera storia del Medioevo – ed
oltre, se si vuole – è quella di un‟umanità cui è stato fatto credere di credere
nella miseria. E la prova di questo, lettore, è ben chiara ed è semplicemente
questo: che in ogni luogo ed ogni volta che il cristianesimo possiede delle
“superstizioni” o elementi pressoché in comune con l‟antico paganesimo, là
la gente è più sinceramente religiosa. “L‟uomo è in realtà l‟unico oggetto
che interessi all‟uomo”; egli sente e vive nell‟umanità e nella Natura e non
gli importa realmente di ciò che è ad essa remoto o viene in essa forzato.
Tu ed io, lettore, sentiamo il vero spirito dell‟antica religione pagana
quando camminiamo nella foresta ed oltrepassiamo la linea del “lontano e
poi non più, il linguaggio del mare che risuona sulle sabbie della riva”, o
sediamo vicino al fuoco in una notte silenziosa. Noi non li trasformiamo in
folletti, ma i nostri stessi pensieri e ricordi diventano per noi quasi come
spiriti, perché noi sentiamo o vediamo in che modo possiamo dare loro vita
o pensiero espresso in azioni o parole. Rendi questo letterale e non una mera
immagine e poi, amico, sarai felice come un pagano risucchiato in un credo
logorato – sì, quasi estinto -, che era tutto ciò che Wordsworth si augurava e
73
non era contrario ai desideri di François Villon, che rimpiangeva le signore
dei tempi antichi. Questo antico spirito di percezione della Natura senza
“cultura” è profondamente impresso in tutto il folklore toscano-etrusco e
vorrei che il mio cuore potesse esprimere i sentimenti che spesso esso
ispira. Per gli antichi tutto ciò era sommato nella singola parola Faunus.
Faunus (Fauno) edi Fauni erano l‟incarnazione dei boschi, dei corsi d‟acqua
e dei campi, della vita fatata e dei fiori. Fui perciò lieto di scoprire che
questa Divinità, che è semplicemente un‟altra forma di Pan, vive tuttora in
Romagna, come attestato dai seguenti passaggi:
Divinità rurali etrusche
“Fanio è uno stregone che viene in forma di spirito.” Questa sembra la
concezione eumeristica di tutti gli spiriti di questa mitologia toscana molto
primitiva: prima uno stregone o un uomo di potere sulla Terra, che viene
ricordato dopo la morte e quindi si suppone dimori ancora nei luoghi delle
sua vita precedente. Ciò che compie Fanio viene narrato come segue:
“Fanio spaventa i contadini nei boschi. Appare come un uomo che balza su
con le mani aperte buttate all‟indietro o appare come un diavolo che
dissemina fuoco e quindi ride della paura che ha causato. E quando vi è un
matrimonio egli spesso anticipa lo sposo nei suoi baci e quando lo sposo
arriva ed abbraccia la moglie sente dei colpi e degli schiaffi che lo mandano
in collera, finchè Fanio non scoppia a ridere e dice:
74
„Vuoi sapere chi sono? Sono lo spirito Fanio e ciò che m‟è piaciuto in vita
mi piace nell‟altro mondo; mi dovresti ringraziare che ti ho risparmiato
tanta fatica!‟
Se il marito ne è infastidito e la moglie si arrabbia e maledice il folletto, egli
la tormenta ancora di più e ritorna sotto forma di incubo per disturbare il
suo sonno.”
Non è difficile riconoscere in questo Fanio il Faunus dei Latini. Tutte le
caratteristiche a lui attribuite nel racconto concordano accuratamente con
ciò che riferisce Preller:
“In alcune fasi della credenza popolare Faunus appare pressoché
accomunato a Silvanus come spirito della foresta che si cela nelle tenebre
profonde, nelle caverne nascoste o presso le cascate mormoranti, dove
predice la sorte o cattura uccelli e dà la caccia alle ninfe… I Fauni, come
classe, amano stuzzicare e tormentare i mortali nel sonno, così talvolta
appaiono anche come demonietti disturbatori – come incubi – contro i quali
coloro che ne sono attaccati usano ogni genere di radice e empirismi, in
particolare la radice della peonia di bosco (Waldpäonie),che deve essere
raccolta da degli uomini di notte, altrimenti il grande picchio caverebbe loro
gli occhi a colpi di becco. Ma soprattutto le donne dovevano stare in guardia
contro i Fauni ed i Silvani, perché questi lascivi folletti dei boschi
scivolavano prontamente nei loro letti, da cui il nome popolare di Incubus
loro attribuito.” “A causa della loro lussuria vennero chiamati Faunificarii.
„Vel Incubones, vel Satyros, vel sylvestres quosdam homines quos nonulli
Faunes picarios vocant.‟”(Hieron. in Isai, v. 13, 21).
Questi Fauni e Silvani della credenza toscana sono alleati dei folletti
maligni domestici. Tutti loro fanno l‟amore con le donne ed agiscono come
incubi e causano sogni tempestosi. Pressoché gli stessi spiriti erano
conosciuti in Assiria nell‟antichità. Lenormant dice (Magie Chaldaienne):
“All‟Incubus ed alla Succubus si univa l‟Incubo nel Accadico Kiel-udda-
karra, nell‟Assiro Ardat,… è probabile, a giudicare dal nome, che fosse uno
di quegli spiriti familiari che rendono le stalle e le case teatro dei loro
scherzi maligni; spiriti la cui esistenza è stata ammessa da così tanta gente
ed in cui credono ancora i contadini di molte parti dell‟Europa.” Potremmo
sottolineare che quasi tutti gli spiriti che appaiono in questa mitologia
contadina sono della natura dei Fauni ed anche che il contadino romagnolo
ha conservato gli antichi nomi etruschi degli Dei e delle Divinità rurali e
silvane minori, come Silvanio, Fano e Palò, e non dei grandi Dei latini.
Bacco viene invocato abbastanza comunemente nei giuramenti ma non ho
potuto raccogliere alcuna informazione su di lui, eccetto che era “il Dio del
vino e perciò deve essere la stessa cosa di Faflon”. I trattati migliori in cui
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mi sono imbattuto su Fauni, Satiri, Silvani, Incubi & c. formano i capitoli
della strana opera di C. Bauhinus del 1667, intitolata De Hermaphroditis,
&c. La peonia era considerata, in virtù del suo colore rosso, una grande
protezione contro i Fauni quando agivano come incubi. Praetorius
(Anthropodemus Plutonicus; Von Alpmännrigen, 1666) cita che la gente,
per tenere alla larga gli Incubi, portava intorno al collo o appesi vicino a sè
“selci, coralli o radici di peonia”.
Fauno
(su un patera, Museo Etrusco, Firenze)
E‟ importante notare che il ceppo sacro di legno che viene bruciato alla
vigilia di Natale – il ceppo di Yule del Nord – viene preso con i dovuti riti
ed incantesimi ai Fauni o ad altri spiriti del bosco perché, nonostante la sua
condotta immorale e maligna, Fanio è uno dei preferiti, come lo era il Fauno
antico, per molte ragioni non troppo difficili da scoprire ma che non è
importante specificare. In un‟opera su Faunus “Del Dio Fauno, e de suoi
seguaci (Eduard Gerhardm Napoli, 1825) l‟autore dichiara che qualunque
Divinità egli sia stato, pur mischiato com‟era con altri, non è difficile da
determinare. La verità è che tutti questi spiriti minori dei boschi e dei
campi, dei focolari e delle camere da letto erano creature naturalmente
familiari e maligne, così come lo sono i bambini in età scolare, e perciò
erano tutti degli incubi, stuzzicatori di fanciulle e perciò seduttori e
conseguentemente licenziosi ed allegri. Essi venivano, in realtà, distinti più
dai loro splendori che dalla loro natura.”
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Querciola
Questa parola si riferisce ad un‟erba o ad una piccola pianta che, come nel
caso della ruta, del rosolaccio e di altre, è per una misteriosa associazione
anche un essere fatato. La Querciuola è propriamente, in Italiano, una
piccola quercia ma, come in molti altri casi, questo nome è stato trasferito
da una pianta all‟altra. Ciò che ho imparato di essa (fornitomi con campioni
della pianta) è questo:
“Quando qualcuno ha litigato con l‟innamorato/a, dovrebbe andare a sedersi
accanto alla pianta chiamata Querciola, dovunque cresca, perché l‟essere
fatato che si chiama in tal modo è grande amico degli innamorati. Così
quando uno è separato o distante, che sia nel cuore o materialmente, l‟altro
siede vicino alla pianta e canta:
„Fata Querciola! Sei tanto bella quanto buona; a te mi vengo a
raccomandare che il mio bene tu mi faccia ritornare. Fata Querciola! Hai
fatto tanto bene a tante persone; anch‟io voglio sperare che di me non ti
vorrai dimenticare. Fata Querciola! Sei tanto bella e tanto buona; ti chiedo
una grazia sola e spero non me la vorrai negare ed il mio amore mi farai
ritornare. Fata Querciola! Soffrirei tante pene se da me non tornasse il mio
bene, ma da me gli conviene tornare perché la fata mi ha promesso di farlo
ritornare sotto il mio tetto.‟”
Querciola o Querciuola, in quanto nome di una ninfa o si uno spirito silvano
è abbastanza chiaramente collegato con quello di Querquetulana, un‟antica
similitudine Romana o Italiana di Vira (vedi), una ninfa boschiva; un
termine come Querciola si riferisce specificamente ad una driade, lo spirito
di una quercia. Così Festus osserva (Preller, R.M., pag. 89, seconda
edizione): “Querquetulanæ Viræ putantur significari nymphæ presidentes
querqueto virescenti, quod genus silvæ indicant fuisse intra portam quæ ab
eo dicta sit Querquetularia.” Querciola è perciò chiaramente una driade.
Queste Querquetulanæ sono apparentemente sopravvissute negli spiriti
chiamati Querkeln in Bavaria. Essi emigrarono da quel paese passando oltre
il fiume Meno presso il villaggio di Wiesen (Bayerische Sagen von Fried.
Panzer, Munich, 1848).
Sethano
Non sono certo se questo nome sia Sethano o Sethlrano o Settrano, nè sono
stato in grado di sapere di più di quanto è contenuto in queste righe:
“Settrano è lo spirito del fuoco. Viene ricordato da tutti, qui. Si conosce un
proverbio (un detto, un‟invocazione o un incantesimo) che viene ripetuto.
Quando non si vuole che un fuoco bruci si invoca quello spirito”, Settetico.”
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Di tutti questi spiriti vi sono invocazioni e storie ma non in tutti i casi sono
stato in grado di raccoglierle. Sethlans era l‟Etrusco Vulcano.
Sethlans, Vulcano ed il cavallo di Troia
78
Capitolo VI
Carradora
Carradora fu in vita una strega buona che
proteggeva i bambini contro le altre
streghe cattive. Pare essere molto
conosciuta. Mentre la storia che segue mi
veniva narrata, colei che la raccontò fece
una pausa, non ricordando il nome della
pianta che veniva usata; ed una vecchia
che era presente – non della Romagna, ma
Fiorentina – la descrisse come corbezzolo.
Ne deduco che questa storia sia largamente
conosciuta.
“Vi era una volta nel paese una donna che
aveva una bambina piccola. Era una bella
bimba ma giorno dopo giorno cominciò ad indebolirsi e la madre non
sapeva che fare. Allora le consigliarono di andare da Carradora, che avrebbe
saputo spiegarle tutto perché era una strega che faceva sia del bene che del
male. Allora la signora andò dalla strega, che disse: „Vai a casa e metti a
letto la bambina, metti un coltello alla finestra e ritorna da me.‟ E la signora
fece così e ritornò da Carradora, che disse: „Le streghe vengono di notte a
succhiare il sangue della tua bambina e bisogna impedirlo.‟ Quindi la strega
prese del corbezzolo e delle spine e li mise in dei sacchettini rossi, che legò
agli stipiti delle porte ed alle finestre; prese poi le interiora di un maialino e
disse: „Queste sono le interiora di un piccolo maiale che servono a
discacciare le streghe e le interiora di sì bella bambina sono giovani quanto
lei cara ed è proprio atta per amare. E le corna alle streghe bisogna fare che
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qui dentro non possano più entrare.‟ Quindi la Carradora prese la bambina,
la raggomitolò e la buttò in aria e così fu guarita.”
La storia venne raccontata in maniera imperfetta perché non venne detto se
le spine a forma di croce vennero poste sulla finestra o dovessero essere
poste all‟interno di una finestra per impedire alle streghe di entrare.
Carna o Cardæa era una Dea Romana minore molto antica. “Alcuni
scrittori” dice Preller “la descrivono come la Dea che rafforzava il cuore e
le viscere. Altri la chiamano Cardea, Dea dei cardini delle porte, e la
classificano insieme a Forculus e Limentius.” Di lei egli dice quanto segue,
cosa che ha certamente una straordinaria somiglianza con ciò che ho
riferito:
“Presso il Tevere vi era l‟antica grotta di Helernus, cui i Pontefici portavano
offerte. Da qui giunse la ninfa che venne chiamata Cranæ ma che, per
mezzo di Giano, divenne Carna, la Dea dei cardini delle porte, delle entrate
e delle uscite. In qualità di ninfa, ella era casta come Diana e volando
velocemente evitata gli sguardi degli uomini. Ma non potè sfuggire al
doppio sguardo fi Giano, che conquistò il suo amore e le diede come
ricompensa lo jus cardinis, il dominio su tutti i cardini e sulla spina alba
allo scopo di tenere lontano il male da tutte le porte e specialmente per
escludere le streghe che di notte vanno a succhiare il sangue dei bambini.
Proca era figlia di un principe latino. Quando ebbe solo 5 giorni di età, le
streghe cominciarono a succhiare il suo sangue. Giunse la balia e vide i
segni delle zanne delle streghe sulle guance della bambina, che era pallida
come un lenzuolo scolorito. Così andarono da Carna, o Cardea, che per
prima cosa toccò gli stipiti e la soglia delle porte per tre volte con del
corbezzolo e spruzzò l‟entrata con dell‟acqua, prese le viscere di un
maialino da latte in mano e disse:
„Voi, uccelli della notte (streghe) che vi dividete le viscere della bambina: la
tenera creatura è per i ragazzi graziosi; cuore per cuore, viscere per viscere,
anima per anima!‟
Quindi sollevò in aria le viscere e nessuno osò guardarle. (Questo sono
certo che significhi che se ne andarono senza guardarsi indietro) Dopo di
ciò nessuna strega potè entrare e la bambina si riebbe presto.”
Essenzialmente questa è la stessa storia della precedente. Ma molto tempo
prima mi è stato detto che la spina alba posata in una finestra impediva alle
streghe di entrare e che le interiora di un maiale erano un potente mezzo per
esorcizzarle. Che la Latina Cardea sia divenuta Carradora è abbastanza
naturale.
80
Vira
Riguardo a questo spirito possiedo il seguente racconto:
“Vira è una fata che, da fata che era in vita, divenne uno spirito che giorno e
notte sta nelle foreste. E quando vede qualche bel giovane indaffarato a
tagliare legna o a fare del carbone, se le piace ella gli appare sotto forma di
una bellissima ragazza da fare abbagliare e quindi lui trova tutto il suo
lavoro fatto, oppure gli mostra un tesoro. Un giorno ella scoprì un bel
giovane molto triste, perché era molto povero. Cominciò a tagliare legna,
piangendo perché non era in grado di portare nulla a casa alla madre. Allora
Vira gli apparve e disse:
„Buon giovane, non ti disperare: a far fortuna ti voglio mandare. Vi è un
piccolo paese vicino a Benevento e là vi è la figlia del re che aspetta il mago
dalle sette teste che vada a mangiarla; l‟aspetta a sedere sul balcone ma
basta che uno vada dal re con le teste del mago che sia stato capace di
ammazzare. E colui che lo farà sposerà la principessa. Ora, questo orco è
stato ammazzato dal Signore Slaniani, che ora sta portando le teste al re per
reclamare la mano della figlia, ma ella è destinata a te e non a lui. Quando le
teste verranno messe sul carro per essere portate al re, io prenderò loro via
le sette lingue e tu porterai queste al re, dicendo che hai ucciso tu l‟orco e
che desideri sua figlia. Allora il re dirà che è stato un altro ad ottenere quella
vittoria, prova ne sono le teste in suo possesso. E tu replicherai: „Chi
dovrebbe essere il conquistatore – chi ha le teste o le lingue?‟ E verrà
ammesso che la vittoria sarebbe stata di certo delle lingue e che, nonostante
egli possa avere perduto le teste, sicuramente sarebbe stato lui a tagliarle ed
a tagliarne via le lingue.‟
E così fece Vira. Il giovane, già molto bello, venne abbigliato
splendidamente ed andò spavaldamente dal re, proclamando di avere ucciso
con una mano sola l‟orco e chiese la bella principessa come ricompensa del
suo valore. „Non può essere‟ disse il re. „Colui che ha ucciso il mostro ha
portato con sé le sue teste e non ci può essere prova migliore.‟ „Una prova
migliore sono le lingue‟ rispose il giovane, imperterrito, „ed io posso
mostrarle tutte e sette.‟ Ma il Signore Slaniani sostenne che quelle non
erano le lingue dell‟orco, perché nessuno avrebbe potuto prelevarle dalle
teste, che egli non aveva mai perso di vista. Allora il re disse: „Bene, allora
porta qui le teste. Se hanno le loro lingue la principessa sarà tua moglie e
questo giovane verrà gettato in prigione. Ma se le lingue non ci sono più,
con loro se ne saranno andate le tue possibilità, tu verrai imprigionato ed il
giovane avrà la fanciulla.‟ Ma siccome il Signore Slaniani non aveva altri
testimoni che le teste, quale fu il suo sgomento nello scoprire, quando le
portarono, che le lingue erano sparite! Accadde perciò che il povero giovane
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che venne favorito dall‟aiuto della fata ottenne la ricompensa. Spesso va
così, in questo mondo. Chi fa il lavoro duro spesso non viene ricompensato,
mentre qualcuno che viene favorito dalla fortuna va avanti certo del premio.
Vi sono Esseri superiori a noi che giocano con noi come con dei giocattoli.
Il giovane non era nulla finchè non ebbe l‟aiuto dello spirito amorevole
Vira.”
Questa, per quanto riguarda le teste e le lingue del mago o del drago, è una
storia di fate molto comune. Ne abbiamo una ultima eco in Quentin
Durward, dove l‟eroe appare con la testa di William de la Mark, il Cinghiale
Selvaggio delle Ardenne. Ma è caratteristico di questa versione che l‟intero
principio della storia sia ribaltato. Nelle altre storie è il vero uccisore del
drago che prende le lingue e l‟impostore possiede le teste, mentre in questa
“il paggio ha ucciso il cinghiale ed il re ne ha ottenuto la gloria”. Questo
indica una forma molto arcaica della storia. Tra le razze selvagge è il mago
ad essere ammirato. Gli Indiani Algonchini chiamavano il loro grande Dio
Glooskap o Glûsgabe, che significa “il Mentitore”, come dichiara il Dr.
J.G.Brinton, perché pensavano che l‟attributo maggiormente distintivo della
saggezza fosse l‟essere in grado di mentire. La gente molto civilizzata è
timorosa di ammirare apertamente trucchetti come quello usato dal protégé
di Vira. Non può essere sfuggito al lettore che, nel loro complesso, questi
miti e storie indicavano una reale antichità; la loro morale è antica e sono
tutte basate sull‟idea che gli esseri umani o fatati, che sono una sorta di
esseri umani (una credenza che Praetorius e molti altri difendevano solo 200
anni fa), divengano spiriti o Divinità. Questa è la forma più antica di
supernaturalismo, o animismo.
Ma ciò che è maggiormente interessante in questa storia è il nome di Vira,
che viene descritta distintamente come una fata “che sta sempre nelle
foreste”. Nell‟antichità la Vira era uno spirito prettamente silvano e viene
citata in tal modo da Preller (Rom. Myth., pag. 89): “Ma le donne dei tempi
antichi che chiamiamo scias (donne sagge o streghe)… venivano anche
chiamate precedentemente Viræ o Vires, perché appare anche questa forma,
ed erano invero conosciute principalmente come Baumnymphen (ninfe degli
alberi); le parole virere e viridis sono chiaramente collegate con questo
nome.” “La razza delle donne degli alberi” dice Preller “viene generalmente
indicata con i nomi greci di ninfe e driadi, mentre nell‟antichità italiana e
nella sua tradizione popolare venivano chiamate Viræ, Vires, Virgines e
Viragines.” Nella storia che abbiamo riportato, Vira agisce più come una
strega che come una fata. Se consideriamo il nome Vira con altre
caratteristiche, è tuttavia possibile che questa sia forse la più antica versione
della leggenda.
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Bergoia
“Bergoia è uno spirito sempre perfido che in vita fu una strega molto
malvagia. Tuttavia, quand‟era giovane era molto buona e stava in una
grande famiglia benestante in cui era amata come una figlia. E vi era una
giovane fanciulla, figlia di quella famiglia, che l‟amava anch‟essa
teneramente. Ma poco a poco, nessuno sapeva il perché o il percome,
Bergoia cominciò a cambiare la sua natura e divenne tanto maligna quanto
prima era stata amabile. Il cambiamento fu così grande che la fanciulla era
certa che vi fosse dietro qualche strano motivo e, essendo una ragazza molto
intelligente, si risolse di tenere d‟occhio da vicino Bergoia e di scoprire cosa
era accaduto. Una sera, quando Bergoia le disse di andare a letto presto, ella
vi andò ma rimase sveglia per guardare. Quando giunse la mezzanotte udì la
voce di un uomo cantare dall‟esterno:
„O Bergoia, bella Bergoia, vienimi ad aprire, che da questa finestra non
posso salire. Bada, i tuoi padroni non svegliare perché con te un affare
abbiamo da combinare. Se questo affare combineremo la tua signorina
stregheremo; se la tua signorina non mi farai stregare, una strega di te farò
diventare.‟
Allora la giovane, terrorizzata per ciò a cui era sfuggita a malapena, corse
urlando dai genitori e disse loro ciò che aveva udito. E così colui che era
fuori ed aveva chiamato si mutò in un impeto di rabbia in un cane nero e
scomparve in un terribile lampo con Bergoia, che non venne mai più vista
sulla terra come donna in carne ed ossa. Dopo la sua morte, Bergoia
divenne uno spirito del tuono e del lampo e venne vista dardeggiare nel
fuoco – si converte molte volte in saetta. Ella, tuttavia, prende spesso forma
umana e va in una casa a chiedere cibo e riparo; se lo ottiene, si accontenta
di fare tuoni e lampi e se i suoi ospiti si mostrano spaventati allora arriverà
la grandine a devastare i loro raccolti. Ma guai a coloro che le rifiutano
rifugio, perché giungerà una saetta che distruggerà o brucerà la casa o
incendierà gli alberi. In tal modo gli uomini perdono grosse quantità di
denaro a causa della distruzione dei raccolti, perché il lampo è un raggio di
fuoco ed il fulmine come una stecca di ferro e chi ne è colpito muore, come
potrebbe morire a causa dell‟odore mortale che il fulmine sparge intorno a
sé. Queste sono le opere di Bergoia. Talvolta accade che Bergoia si senta
attratta da un giovane e passi la notte con lui. Egli viene stregato e fa
l‟amore ma non la vede mai, perché ella viene e se ne va nell‟ombra e
scompare improvvisamente in un lampo di luce che uccide il suo amante. E
così ella fa sempre del male a tutti, anche a coloro che non le hanno mai
fatto nulla.”
83
I Tusci, come osserva Ottfried Müller, possedevano nella loro mitologia un
numero straordinario di spiriti del tuono e del fulmine, di furie e streghe
infernali e, come ho osservato io, ve ne sono molte nella mitologia della
Romagna. Pare che il culto o la religione degli Etruschi, come quella degli
antichi Turani e Messicani, specialmente ad un certo stadio siano culti di
sangue e di orrori grotteschi, che colpiscono sempre l‟uomo primitivo. In
queste religioni tuoni e tempeste, morte, sacrifici sanguinari e spiriti maligni
hanno la precedenza su concetti più raffinati. Il Dio è sempre uno stregone
umano che continua ad infestare l‟umanità e ad esercitare le stesse funzioni
che aveva in vita. Nessuno può evitare di riconoscere tracce molto distinte
di questo nelle tradizioni romagnole.
Questo racconto parla dell‟ “odore mortale che il fulmine sparge intorno a
sé”. Gli zingari ungheresi dicono che odora di aglio. Possiamo osservare
che queste leggende toscane sono confrontabili molto evidentemente con i
loro miti originali. Molti dei nomi delle Divinità Etrusco-Italiane vengono
in loro conservati pressoché immutati. In nessuna parte dell‟Impero
Romano Cerere veniva adorata con tanto zelo come nella terra toscana;
l‟idea di una Dea che vaga disperata, sollecitando cibo e riparo e punendo
crudelmente coloro che la trattano scortesemente appare più di una volta in
queste tradizioni. E non si può negare che, se si considerano nella loro
completezza, paragonando un fatto all‟altro o tutte le caratteristiche
particolari di queste leggende, esse concordano meravigliosamente con ciò
che conosciamo delle loro antiche origini etrusche o latine e manifestano
solo una piccola mescolanza con altre fonti. Vero questo, è curioso che vi
fosse una Dea minore etrusca di nome Begoe che pare abbia comunicato ai
mortali l‟intera teoria e sistema del tuono, o una ars fulguritorum che è stata
conservata con altri scritti del tempo di Augusto nel tempio dell‟Apollo
Palatino. Fulguritus significa id quod est fulmine ictum – ciò che è stato
colpito dal tuono. Begoe era coinvolta con tuoni, tempeste e la perdita dei
raccolti. Ma qui, come in tutti i casi del genere, do solo un semplice
suggerimento, da correggersi o mettersi da parte da coloro che sono meglio
qualificati per decidere in merito.
Bergoia in questo mito toscano uccide animali ed uomini in un lampo o in
un istante. “Begoe” ci viene detto da Mrs. Hamilton Gray (History of
Etruria) “uccide una mucca semplicemente sussurrano nel suo orecchio il
temibile nome del Supremo”. Penso che questo si riferisca al fulmine. “Il
supremo ed il più irresistibile tra tutti i poteri dimora nel nome divino e
misterioso, “il nome supremo” con cui solo Hea ha familiarità. Davanti a
questo nome si inchina tutto nel cielo, nella terra e nell‟Ade ed esso solo
sconfigge i Maskin (spiriti maligni) e ferma le loro devastazioni.”
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“Temetela (Ninkigal) con i nomi dei grandi Dei.” (Fox Talbot, citato in
Magie Chaldaienne di Lenormant). Perciò nomen est numen, secondo
Varone, cui potremmo qui giustamente aggiungere et numen est lumen – la
divinità è luce.
Begoe
(immagini dal Museo Etrusco di Gori)
Bughin
Di questo spirito possiedo il seguente racconto:
“Bughin è uno spirito che fa sia del bene che del male. Intorno al periodo
del raccolto egli causa il carbonchio nel grano o lo fa diventare nero, così
che il pane che si fa con esso è anch‟esso scuro ed ha un cattivo odore e
sapore e non si riesce a mangiare, cosa che è una triste perdita per i poveri
contadini. E quando essi hanno sofferto molto per questo, diciamo 3 o 4
anni, allora essi prendono due o tre spighe di grano, le devono mondare,
pulire e metterle sul focolare dov‟è molto caldo, buttarne i rifiuti fuori dalla
porta e, mettendo il grano sul focolare, dire:
„Metto questo grano carbonchiato (abbrustolito) perché lo spirito di Bughin
mi ha rovinato. A lui mi voglio raccomandare e lo voglio tanto pregare che
questo male voglia riparare. Se questa grazia mi vuol fare, questo grano in
mezzo alla stanza mi deve far saltare!‟
Se i chicchi riscaldati scoppiano e saltano, è segno che la ruggine non
attaccherà il raccolto. Ma il contadino deve stare in guardia per assicurarsi
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le due spighe di grano tra le prime che matureranno prima che il carbonchio
si manifesti.”
I Romani avevano un Dio o una Divinità rurale che vegliava sopra il grano
con la ruggine. Il suo nome era Robigo e nella tradizione degli Dei latini del
raccolto si parla molto di lui, di cui potrei dire che appare come il prototipo
degli stessi “Dei del Grano” in Germania o proviene dalla stessa fonte. I
Latini avevano anche una mitologia minore in merito. Seia, o Segetia,
vegliava i semi mentre erano sottoterra. Veniva chiamata anche Fructiseia e
Simonia. Segesta li vegliava quando germogliavano; il Deus Nodotus
aiutava la crescita dei virgulti – dicitur dens qui ad nodos perducit res satas
– (Arnobius, IV, 7; Preller); Volutina formava l‟involucro esterno, Patelena
apriva la cariosside (vedi Patelana). Accanto ad essi vi erano dodici Dei
maschili che vegliavano su tutti i diversi processi della semina e del
raccolto, oltre al Deus Spinensis che veniva invovato per conservare il
raccolto libero da rovi ed erbe infestanti. In Bolognese Robigo potrebbe
essere mutato facilmente e naturalmente in Bughin la cui radice, big,
diventa bug o bugh grazie a molte analogie. In è una terminazione comune
per i nomi propri.
Ganzio
“Festa para Conso: Census tibi cætera dicet; ipso festa die dum sua sacra
canes.” Ovidio, Fastorum Lib. III
Il contadino in difficoltà per qualcosa ha sempre la scelta tra l‟appellarsi ad
un santo cristiano o ad un antico Dio pagano: “L‟uno va bene se l‟altro
fallisce”. Così, se un cavallo è malato egli può cominciare con il pregare
Sant‟Antonio, di cui mi è stato detto quanto segue:
“E‟ un santo che protegge tutti gli animali ma specialmente i cavalli. E
quando qualcuno possiede un cavallo in cattive condizioni, va da
Sant‟Antonio e dice:
„Sant‟Antonio mio benigno, di pregarvi non son digno, ma voglio voi
pregare che il mio cavallo vogliate liberare da tutte le malattie; sano e svelto
me lo farete stare!‟
Ma se Sant‟Antonio dovesse fare orecchie da mercante a questa umile
petizione, il supplicante si rivolge ad una Divinità molto più antica e
probabilmente molto più esperta, che è Ganzio, quello “dei cavalli”; viene
detto così perché dimora nelle stalle e, nonostante non sia esente da
imbrogli e vizi, è sempre disponibile a dare il suo aiuto come “veterinario”
esperto quando gli viene richiesto gentilmente. Di lui possiedo il seguente
racconto:
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“Ganzio è lo spirito che sta sopra i cavalli. Ora, non è con intento malvagio
ma per divertimento che spesso accade, quando uno stalliere entra nelle
stalle, che Ganzio faccia comportare stranamente i cavalli e lanci
impedimenti sulla strada, specialmente se il padrone sta aspettando fuori e,
molto impaziente, comincia a rimproverarlo. Tuttavia, se il padrone non si
arrabbi troppo o non tratta male lo stalliere, Ganzio si accontenta di far fare
qualche capriola al cavallo; ma se il padrone è arrabbiato in maniera
irragionevole, allora il cavallo prenderà – se possibile – la strada sbagliata o
andrà in un posto pericoloso, oppure salterà o scapperà via imbizzarrito, ma
sempre senza fare del male al proprio cavaliere. Ora, se si pensa che Ganzio
stia giocando questi scherzi, il cavaliere dovrebbe dire:
„Ganzio, Ganzio, benedetto tu sei, buono quanto bello. Son cattivo, hai bene
regione; tratterò bene i servitori, giacchè tu mi hai dato una lezione. Ma ti
vengo a pregare, Ganzio, più non mi spaventare; chè mi hai fatto una gran
paura ma è vero, l‟ho voluta. Ganzio, vieni in casa mia, vieni a tenermi
compagnia ma non farmi spaventare, nei burroni non mi gettare.‟
Devo sottolineare che la mia informatrice non ricordava molto bene questo
incantesimo e lo ha “messo su” in tal modo meglio che ha potuto. Ma chi
era originariamente questo Ganzio? Consus era una Divinità minore
Romana molto antica ed era strettamente collegato con gli animali,
specialmente con i cavalli e le corse. “I Greci” dice Preller “sulla base delle
corse di carri che si tenevano durante il suo festival ed il fatto che il suo
altare fosse interrato, dicevano che egli era la stessa cosa del loro Poseidon
Hippios.” E‟ da sottolineare che egli veniva considerato molto gentile e
premuroso nei confronti degli animali, perciò durante il suo festival a tutti i
cavalli e muli veniva permesso di riposare e venivano incoronati di fiori e
trattati bene in tutti i modi.” Consus sarebbe divenuto naturalmente Conso o
Consio in Italiano, il cui toscano è Chonsio, il ch che spesso muta in g come
lonbrigoli per lombrichi o piga per pica (picchio), in antico Umbro pei qu.
L‟etimologia potrebbe essere “tenere l‟acqua”; la suggerisco come l‟unica
che mi è giunta, ma potrebbe non essere corretta. Tuttavia, secondo questa
Consus sarebbe pressoché inevitabilmente divenuto Consio e Ganzio.
Dimenticavo di dire che Ganzio può essere invocato per qualunque
faccenda riguardante i cavalli.
Alpena
“Der Name der Göttin Alpan erkhärt sich durch Vergleichung
stammverwandter Namen von ahnlichen Gottheiten bei den Indern und
Germanen.” “Diese schafft und bringt nach der Darstellung des
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Spiegelbildes durch die Luft dahin schwebend den Schmuck der
Pflanzenwelt. ” Corssen, Über die Sprache der Etrusker.
Alpena, come detto, è un bellissimo spirito femminile che vola sempre per
l‟aere. E‟ affascinante e, in aggiunta al suo nome, viene chiamata La
Bellaria. E‟ la Dea dei fiori. Il nome richiama l‟Etrusca Alpan, anch‟essa
una Dea aerea o almeno Peri, che appare su uno specchio proveniente da
Vulci – ora in Vaticano – (vedi Mus. Etrusc. Vaticana, I, vol. XXIII, e
Gerhard, Etrus. Spiegel, V, 28 f.t., CCCXXXI, f. 2141) con dei fiori o delle
foglie in mano. Tutti i dettagli fornitimi concordano curiosamente con ciò
che viene detto di Alpan da Corssen (Über die Sprache der Etrusker, vol. I,
pag. 255): “Alpan” egli dice “crea la parte ornamentale del mondo delle
piante e la porta, volando attraverso l‟aria, al seguito di Adonis, la Dea della
primavera.” Il nome Alpena e la descrizione dei suoi attributi mi sono stati
forniti da una contadina non come risultato di una mia richiesta, ma
volontariamente. Siccome Alpena o Alpan è, come Albina, una delle
Lichtgöttinin, le Dee della Luce, è probabile che, essendo così simili i loro
nomi, siano la stessa Dea. Da Alpan gli Etruschi hanno sviluppato un‟altra
Dea, Alpanu o Alpnu, che pare sia stata una forma inferiore di Venere (vedi
Corssen, Über the Sprache der Etrusker). Da notarsi che nella moderna
tradizione toscana vi sono diversi spiriti della luce e dell‟aria chiamati
Bellaria, corrispondenti al gruppo etrusco-romano di Eos e delle ninfe
dell‟alba. Nonostante Eos avesse pochi templi (“rarissima templa per
orbem”, Ovisio, Met., XIII, 588), gli Etruschi la tenevano in grande
considerazione e suo figlio Memnon (Memrun) appare spesso sui vasi (vedi
Die Weltkörper in ihrer mythisch symbolischen Bedeutung, von J. B.
Friedrich, 1864).
Tutti gli spiriti alati etruschi che recavano fiori ed erano collegati con
arcobaleni, nuvole, aria e luce, erano di fatto Bellarie e facevano parte dei
Lase, che portavano delle bottiglie probabilmente di profumo – anche se
avrebbe potuto essere qualcosa di più materiale – con cui davano il
benvenuto all‟anima del mortale che entrava nei cieli.
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Capitolo VII
Tituno
“Tituno è lo spirito della folgore ed è conosciuto in tutta la Romagna.” Così
afferma Naudo Papetti. Un‟altra autorità (Peppino) mi dà questo nome
come Tit'uno “lo spirito della folgore”, aggiungendo che gli dispiaceva di
non potere dire molto in merito, ma che quando finirà la stagione dei bachi
da seta andrà tra i contadini a raccogliere tutte le tradizioni che può. Nel
frattempo, egli ha annotato di Tit‟uno quanto segue:
“Questo spirito fece cose meravigliose nei tempi antichi, quando Giove
lasciò cadere i suoi fulmini sulle grande pianure, distruggendo tutto. Allora
la gente invocò questo spirito dicendo:
„Spirito infernale, ti scongiuro in nome di Dio e del santo Isidoro.‟
Presero del sale e dell‟acqua benedetta e la spruzzarono sulla casa o il posto
dov‟erano. Quindi i tuoni se ne andarono e non ritornarono più a fare danni,
perché l‟invocazione era una protezione. Ed ho trovato un contadino che la
ripete ma dice che vi fu un tempo in cui in Romagna lo facevano tutti.”
Sicuramente il lettore sarà rimasto colpito dal fatto che, come ho osservato
più volte in questo libro, vi sono molti spiriti del tuono e della folgore, come
già tra gli antichi Etruschi.
Albina
“Obstinet dicebant antiqui quod nunc ostendit, ut in veteribus carminibus:
sed iam se cælo cedens Aurora obstinet suum patrem.” Festus, pag. 197
Quanto segue mi è stato ripetuto in parte cantato ed in parte recitato ed è
stato trascritto rozzamente come mi è stato narrato; tuttavia vi è in esso una
certa bellezza arcana, come di un‟alba oscurata dalle nuvole. Parla di uno
spirito dell‟alba che si suppone essere molto adatto ad annunciare una
giornata luminosa o a promettere speranza agli innamorati sfortunati.
“Albina è una fata che appare quando spunta l‟alba a coloro che amano
invano. Ella stessa, quand‟era in vita, amò e fu amata ma era in potere di
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una zia, che era una strega ed osteggiava il suo amore, che le disse: „Lascia
questo tuo innamorato o ti accadrà ogni male. Per prima cosa sarai una fata
e quando morirò prenderai la mia stregoneria e non avrai mai più pace o
felicità.‟ Albina rispose: „Se anche tutto il mondo dovesse perire, sposerò il
mio amore e, se dovrò divenire una strega o una fata, userò tutto il mio
potere per fare del bene agli innamorati. Farò del male alle donne che
tradiscono i loro innamorati.‟ Così Albina mantenne la parola. Se un
giovane innamorato la prega appena spunta l‟alba, sarà certo di ottenere il
suo favore. Quando un giovane ama non ricambiato, deve alzarsi prima
dell‟alba e, inginocchiato in un campo aperto, dire:
„Alba, alba che spunti, fai spuntar per me l‟aurora! Che Albina venga fuori,
una grazia mi deve fare. A lei mi vengo a raccomandare. Dalla mia amante
sono discacciato; anche Albina per amore quante ne ha passate! Ella sa che
l‟amore è tanto forte che si preferisce piuttosto la morte che essere da un
amante abbandonati!‟
Il nome di Albina è associato ad Alba o ad Aurora stessa. Ulteriori
discussioni le lascio ai dotti. Ma è interessante sottolineare che in questa
scena imperfetta abbiamo un frammento di un qualche poema più antico e
probabilmente più perfetto che va molto oltre al potere creativo di una
contadino illetterata. Albina teme il divenire una fata, uno spirito o una
strega. Si può osservare che in tutta questa storia vi è qualcosa di misterioso
e terribile riguardante la trasfigurazione della mortalità in folletti. Albina lo
teme ma, piuttosto che rinnegare la sua fedeltà all‟innamorato e pur sapendo
di perderlo, ella non indietreggerà di un passo e dichiara che, se sarà
costretta a prendere su di lei del potere sovrannaturale, lo userà per fare del
bene agli innamorati sfortunati. Cosa che viene realizzata.
Tutto ciò non è stato sviluppato chiaramente ed in maniera artistica
nell‟incantesimo, ma è piuttosto chiaro dall‟espressione della strega che ella
possedeva un diamante che semplicemente non era in grado di mondare. Per
comprendere meglio ciò immaginiamo che un contadino dello Hampshire
canti questa canzone.
Esisteva un‟antica città Romana, ora toscana, chiamata Albinia.
Verbio
La strana maniera in cui fiochi ricordi di antichi miti vengono trasmessi nei
nomi ed il modo in cui sono mutati tra la gente è illustrata nella seguente
storia proveniente dalla Romagna:
“Verbio era un bellissimo giovane, buono quanto bello, ed amava con tutto
il suo cuore una fanciulla che pareva contraccambiarlo. Ma in breve tempo
ella venne tentata da un altro giovane di bellezza maggiore, che era un
91
incanto. Egli era straniero e non vi fu nulla da fare: Verbio venne messo da
parte per questo bello straniero. Allora Verbio cadde malato per la
disperazione e pareva stesse per morire; la fanciulla, nel sapere questo, si
pentì grandemente e, piena di dolore, disse al suo nuovo amante: „Ho
sbagliato ed ora capisco che Verbio mi ama sinceramente, come né tu né
nessun altro potrebbe.‟ Il suo amante la guardò ed ella vide che non era un
uomo, ma un diavolo. Ed egli disse: „Guarda cos‟hai fatto, guarda come sei
stata malvagia a lasciare qualcuno che ti amava con tutta l‟anima
sinceramente! Tuttavia è per me che tu l‟hai lasciato, sì, per me, un diavolo;
ora entrambi voi siete perduti, perché tu hai promesso di essere mia per
sempre e come te l‟audace Verbio. Ma se voi firmerete un contratto con il
vostro sangue in cui è scritto che sarete miei, io vi garantirò molti, molti
anni di felicità assieme.‟ Ora, Verbio non credeva al potere dei diavoli ed
era semplicemente felice di riavere il suo amore, così firmò il contratto ed
ella lo imitò. Ed essi vissero davvero felici per molti anni, ma gli anni
terminarono e giunse il momento in cui spirò il termine del contratto ed essi
morirono nello stesso istante. Improvvisamente si levò una terribile
tempesta su tutta la zona, il cielo diurno divenne scuro ed orribili vampe di
fuoco scaturirono dalle tenebre ed in mezzo alla tempesta si udì una voce
cantare:
„Donne, imparate ad amare un solo vero amore e sinceramente; quando siete
amate sinceramente, siate avvisate dal mio esempio: ora pago il fio della
mia fatale falsità.‟
E da quel giorno i due vagano come spiriti senza riposo.”
Virbius era il servitore – “genius o indiges dei boschi di Diana o il re e
sacerdote più antico – rex Nemorensis – che fondò la sua adorazione.”
“Egli era” dice Preller “un demone maschio, adorato insieme a Diana.
Veniva paragonato a, ed in effetti era, il Greco Ippolito che, dopo essere
stato calpestato a morte dai cavalli selvaggi di Poseidone, venne fatto
resuscitare e venne portato via da Diana.” Diana è conosciuta popolarmente
al giorno d‟oggi come Regina delle Streghe, ma come una sorta di Hecate in
un senso oscuro e terribile. E, se Verbio fosse la forma moderna di Virbius,
sarebe evidente come sia divenuto uno spirito della notte che non conosce
riposo. Sospetto che in una versione più antica di questa storia Verbio
muoia e sia fatto resuscitare.
Pico della Mirandola, nell‟attaccare il carattere morale di Diana, dichiara
che “ella era molto liberale con quella verginità che fingeva di adorare,
probabilmente per stimolare coloro che odiavano la lussuria. Perciò
Endimione giacque con lei quale Luna, come fecero Ippolito e Virbius.” E
Tertulliano (De falsa Religione, lib. I, cap. 17), che naturalmente desiderava
92
distruggere il buon nome e la buona reputazione di ogni signora di
qualunque mitologia che non fosse cristiana, prosegue nello stesso modo,
chiedendo il perchè ella debba provare tanto dolore per salvare Virbius
dall‟essere ucciso dai cavalli – “qui erat turbatis distractus equis” –, a meno
che “Cosa, io chiedo,” grida il sant‟uomo, ispirato “cosa significa tutta
questa brutta storia dei cavalli (quid equorum tam pertinax abominatio) se
non una conscientia stupri, et amorem minime virginalem? (una coscienza
di – ahem! – ed amore per qualcosa di tipo virginale?)” Esattamente. E così,
da allora Diana, quale Luna sempre errante, e Virbio – l‟uomo nella Luna –
sono andati errando assieme per la superficie dei cieli “come spiriti che non
trovano riposo”. Sospetto che vi sia molto di più da scoprire riguardo a
questo Verbio romagnolo e che ciò che ho scritto qui sia, come molti altri
racconti, un misero frammento di una storia molto più completa. L‟idea
della firma di un contratto ed assegnare l‟anima è un‟invenzione cristiana
molto tarda, nonostante Horst trovi delle tracce di esso mille anni fa.
Dusio
“Agostino (testimonio famoso) dice al quindicesimo libro della Città di Dio
che i Silvani ed i Fauni (volgarmente detti Incubi), di molte volte sono stati
maligni verso le donne e che le hanno desiderate e finalmente son giaciuti
con loro, e che alcuni demoni, chiamati dai Franzesi Dusi, del continuo
vanno cercando tal disonestà, e mettonla ad effetto.” La Strega di Pico della
Mirandola
In ciò che potremmo chiamare la Mitologia Minore Irregolare degli Anglo-
Sassoni vi è un potere conosciuto come il Deuce. Ho sempre pensato che
questa parola fosse solo il Latino Deus, ma dei filologi lo hanno dedotto da
un folletto francese, un Dus, che viene descritto all‟inizio del XV secolo
come Dusius. Desu significa Dio, mentre Dus, secondo Du Cange, si trova
in quasi tutte le lingue slave, celtiche e teutoniche d‟Europa e sempre come
una sorta di demonietto, un seduttore di vergini ed un essere dalle abitudini
familiari, semplici e pantofolaie. E‟ tuttavia vero che la parola che indica
Dio è stata altrove resa al servizio del diabolico. In Inglese zingaro è Dùvel,
derivante dalla stessa radice ariana di Deus. Alcuni anni orsono, una signora
inglese che insegnava religione ad alcuni bambini zingari chiese loro in
quale modo si chiamasse il Creatore. Un piccolo viaggiatore, pensando che
il nome fosse quello usato in Romania, gridò “Dùvel”. Ben presto apparve
sui giornali una “Raccapricciante prova di ignoranza e depravazione”, in cui
veniva mostrato che gli ordini inferiori in realtà credevano che il mondo e
tutte le cose fossero state fatte dal diavolo – à la Moloch o Malloch. Invero,
Duvel e Devil (diavolo) suonano molto simili e, quando consideriamo la
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straordinaria preponderanza di potere che i cristiani cattolici riconoscono al
diavolo, c‟è da meravigliarsi che questi nomi non siano stati interscambiati
molto tempo prima.
Isidore di Siviglia (in Gloss) parla dei Dusii come demones. Un‟altra antica
autorità dichiara che vi sono realmente donne così refrattarie alla decenza o
così mondane che sollecitano gli abbracci di questi demoni, quos Galli
Dusios nuncupant, qua assidue hanc peragunt immunditiam, che i Francesi
chiamano Dusii, perché perseverano costantemente in tale impurità.” Papias
scrive: “Dusios nominant quas Romani faunos ficarias vocant” (“essi
chiamano Dusii quelli che I Romani chiamavano Faunos Ficarios”).
Tommaso di Canterbury parla di loro come di Dei della foresta o Silvani in
Prussica e dice che i “gentili” del luogo non osano tagliare gli alberi a loro
consacrati.” Ed un codice dell‟VIII secolo, citato da Du Cange, parla di
aliqui rustici homines, “alcuni contadini che credono nelle streghe, nei
dusiolas ed acquaticas o genisons.” Ma questa parola pare esistere nella
maggior parte delle lingue del Nord. Zeuss dà Dusmus, diabolus per Dusius.
Diefenbach (Origines) trova un Prussiano Dussia o Dussas, “forse dwœse,
geist, uno spirito”. E Villemarqué dà come Britannico o Bretone Dus, Duz,
plurale Duzed, un incubo. Dus appare anche nell‟antico Friesico come Dûs
e nell‟alta Germania centrale come Daus.Presumo vi fosse un Etrusco o
Sabino Dus, genitore o origine del goblin domestico ed anche dei Fauni.
Appare molto spesso nei vasi un Dio fallico ridente con la coda da volpe, un
volto liscio ed un naso camuso – sempre impudico ed indecente.
Nessuno degli autori da me citati menziona un equivalente italiano della
parola. Mi ha fatto perciò piacere scoprire che non solo il nome era
conosciuto, ma che la descrizione di questo goblin corrispondesse in ogni
dettaglio a quella degli scrittori precedenti. Questo è molto interessante
perché attualmente si sente parlare poco di Dus nel resto dell‟Europa e forse
potrebbe essere considerato come uno degli Dei andati a riposo. Ecco cosa
mi è stato raccontato:
“Dusio è un piccolo folletto dispettoso, un goblin. Stuzzica le ragazze e
talvolta agisce come un incubo; molto spesso ispira sogni lascivi ed ha una
connessione con le donne. Talvolta, sotto forma di un diavoletto alto non
più di tre pollici (7,62 cm, n.d.t.), egli si appollaia sui loro cuscini. Non è
cattivo, ma è dispettoso. Infesta le case ed i focolari.”
Dopo che mi fu raccontato questo per la prima volta, mi venne scritto:
“Dusio è un folletto, un goblin o uno spirito che siede sulle spalle delle
ragazze. In una zona della Romagna vi era una ragazza al servizio della
famiglia di un gentiluomo. In quel palazzo morì la zia del proprietario. La
famiglia era formata solo da due fratelli, un giovane figlio ed una ragazza.
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Dopo la morte della zia, anche il padre morì. E dopo questi decessi non vi
fu più pace nella casa a causa di strani rumori. Da principio la ragazza ne
era spaventata, ma presto si abituò a quei suoni. In goni momento si
udivano passi che salivano e scendevano le scale e porte che venivano
sbattute. Poi Virginia – era questo il suo nome – vide alcune volte una
forma come di una signora vestita in nero entrare e spazzare il pavimento.
Venne quindi il Dusio, che le fece ogni sorta di scherzo impudico e faceva
l'amore. Ora, a Virginia questo non piaceva, perché ella aveva un
innamorato che le scriveva spesso ed aveva nascosto attentamente queste
lettere per timore che i padroni le trovassero. Una notte Dusio entrò e
cominciò i suoi scherzi. La stuzzicò in ogni modo e tolse le coperte del
letto, le lenzuola e tutto da Virginia. Allora ella andò a prendere alcune
delle sue lettere e, accendendole con la candela, le bruciò tutte nello
scaldino, o braciere. Il giorno seguente, ella andò a parlare con una vecchia
che era per lei come una madre, a cui raccontò di tutti gli scherzi che le
giocava Dusio e di come le stesse rovinando la vita. Allora la vecchia disse:
„Se dovesse cercare di farlo nuovamente digli: Dusio, Diosio, vattene via!
Vattene in pace, che Dio ti benedica! Lui allora se ne andrà via e non ti
molesterà più.‟ Ma Virginia fu così sbadata o così tesa che, invece di
ripetere queste parole, disse: „Dusio, Dusio, cosa fai?‟ E lui, scoppiando a
ridere, disse: „Mi sto accertando che il tuo padrone e la tua padrona trovino
le tue lettere.‟”
In questa storia ho omesso alcuni dettagli sulla famiglia, il loro nome ed il
luogo in cui sono accaduti i fatti. Mi è stato assicurato essere una storia
vera. Interessante qui, oltre al fatto che Dusio corrisponde esattamente allo
spirito impudico Dusius degli antichi scrittori, è la parola diosio
nell‟incantesimo. La mia informatrice non me l‟ha saputa spiegare. Penso di
averla già sentita in precedenza, ma non ricordo dove. Penso che sia
l‟equivalente di “tu che saresti, o sei, un Dio”.
Praetorius, nel suo Blockes Berges Berichtung (1669), accenna qualcosa
riguardo a Dusius. “E‟ stato osservato” afferma “sì, e sperimentato e reso
noto da molti uomini credibili che i Silvani o Piccoli Uomini del Bosco,
altrimenti conosciuti come Incubos e Squatters (Auflröcker), sono
pazzamente impudichi con le donne. E vi sono altri dello stesso genere che i
Francesi chiamano Dusii che sono eguali in tale impurità, tanto che è
davvero un peccato ed una vergogna, e Giraldus, Livio ed Isidoro lo
testimoniano. Ma tutti loro si sono infranti sulla parola Dusius. Perché
dovrebbe essere Drusius e significare diavolo del bosco, che i Latini
chiamavano con lo stesso senso Silvanus. Come ha detto S.Agostino, i
nostri antichi antenati chiamavano questi spiriti e diavoli Druten, ed è molto
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probabile, perché questa parola concorda bene con Druidi, che vivevano in
boschi e foreste.” Può essere o può non essere.
Remle
Il racconto che segue mi è giunto da una famiglia che vive vicino a Forlì:
“Remle è lo spirito delle macine e, quando un contadino che lo ha offeso in
qualche maniera prende il grano da macinare, scopre che qualcosa non va e
che la ruota non gira, perché Remle va in mezzo alla macina ed impedisce
che il grano venga macinato. Il contadino deve allora dire:
„Remle, Remle, a te mi raccomando, che sei tanto buono e grande. Ti prego,
la macina lasciami andare, perché ha da fare, e il contadino ti manderà a
farti ringraziare!‟”
Non ho trovato nomi simili a questo collegati con Divinità toscane o latine.
In Italiano remolare significa ritardare o impedire e, siccome Remle ritarda
o impedisce il lavoro della macina, è probabile che sia questa l‟origine del
nome. Mola, la pietra per macinare, permolare, macinare, molàto, macinato
sembrano tutte strettamente connesse ad esso. In Romagnolo la parola
Remle vuole dire la stessa cosa dell‟Italiano crusca. Tuttavia, io mi chiedo
se questo sia il nome originale o se sia indicativo del suo reale significato.
Sembra molto naturale supporre che vi sia un goblin che dimora nel
misterioso chiaroscuro di una macina – “reso di nebbia dalla farina che
fluttua”.
Jano, Meana, Montulga e Talena
“Ora, per il bifronte Giano! La Natura ha formato strane creature nella sua
epoca.”
“Quod quidem apud Thuscos Italiæ populos accidisse, historia traditur,
neque ego hæc loquor quasi poëticum fabulam.” Psellus de Daemonibus
Accludo in questa sezione quattro spiriti che vi sono giunti volando dopo il
riposo. Il primo di essi è Jano, che viene descritto così:
“Jano è uno spirito con due teste, una di cristiano (cioè di umano) ed una di
animale e possiede un buon cuore, specialmente la parte di animale, e
chiunque desideri da lui un favore deve invocarli (deve pregarli) entrambi
e, per far questo, deve prendere due carte da un mazzo di tarocchi,
generalmente la Ruota della Fortuna ed il Diavolo (il diavolo indiavolato), e
metterle sul ferro (la testiera) del letto, quindi dire:
„Diavolo che sei capo di tutti i diavoli, la testa ti voglio schiacciare fino a
che lo spirito di Jano per me non andrai a pregare!‟”
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Jano è piuttosto chiaramente Janus, che era nell‟antichità un Dio del caso e
della sorte e che è disceso legittimamente e naturalmente nell‟associazione
con le carte. Ho visto un‟antica stata Romana o Lombarda di questo Dio in
cui una delle teste era di animale e l‟altra umana (vedi Gypsy Sorcery, pag.
208 in cui, tuttavia, entrambe le teste vengono erroneamente date di
animale). Credo vi siano pochissimi Dei cui erano collegati così tanti
misteri occulti, strani e proibiti come Janus e di questo rimangono chiare
tracce nella tradizione moderna. Avendo due teste, o essendo onnivedente,
egli divenne il simbolo della prudenza – la Prudentia della scultura gotica
che è anche il mistico Baphomet, la figura a due teste avvolta da un serpente
dei Cavalieri Templari. Ve ne è una anche sulla porta del Battistero a
Firenze. Il Baphomet significava per gli adepti segretezza ed
“illuminazione” o, propriamente, libertà di pensiero, adorazione della natura
o agnosticismo. Janus era il Dio della porta, l‟entrata o l‟ammissione ai
misteri. Egli sconfigge il male, il capo dei diavoli, ed è padrone del fato o
della sorte. L‟incantesimo a lui dedicato è perciò di grande interesse e
valore, in quanto indica probabilmente una tradizione molto curiosa tratta
dall‟antica iniziazione. Egli è lo stano spirito profetico.
Meana – Di questo spirito ho il seguente scritto:
“Meana è uno spirito amabilmente incline alla gente e particolarmente agli
innamorati. Quando desideriamo da lei un favore dobbiamo dire:
„Per l‟immagine di Meana e per la sua bella persona, uno che la guardi
bisogna che l‟adori sulla sua tomba. Pregherò finchè il suo spirito non
vedrò; se vederlo io potrò, il suo spirito sempre pregherò che nessuno
spirito maligno mi possa molestare ed a Satana converrà sempre lasciarmi
stare. Lo spirito di Meana sempre pregherò e sarò certo che mai non
perirò!‟”
Meana, secondo Eduard Gerhard (Gesammelte Akademische Abhandlungen,
1866), è il nome etrusco di una Dea alata della sorte. Egli la collega con
mens, Menerva (Minerva) e Mnemosine. Le sue immagini la indicano come
uno spirito aereo simile ai lasa e somigliante a Belluria, o che perlomeno
nella tradizione popolare è collegata con la benevolenza e l‟amore. Non ho
abbastanza spazio per scrivere tutto ciò che sono venuto a sapere riguardo a
Meana; basti dire che, come Dea dell‟amore particolarmente devota alle
spose, è identica a Mena, descritta da Kornmann in lingua, di cui mi
perdonerete la mancata traduzione:
“Quæstiuncula. Cur novis nuptis Mena appareat?
Latet ibi mysterium magnum serpentis antiqui. Id quod et Romanis ignotum
non fuit. Quis nova nupta super ingentem fascinum, id est membrum Priapi
sedere jubebatur, qui erat in loco altiori, quem indicat Lucanus inquiens.
97
Torvus stat, id est, stratum, pendulum, et erectum. In quod ascendebatur
gradibus ebore ornatis, hoc autem fiebat propterea, ut illarum pudicitiam
prior Deus delibasse videretur, docet ex Varrone Aurel. Augustinus lib. 6,
Civit Dei, c. 9, et Lactantius, lib. 1.” (Miracles of the living and of the dead,
Henry Kornmann, Francoforte 1614).
Secondo lo strano libro intitolato di John G. Simon Delineatio Impotentiæ
Conjugalis, 1682, il serpente, se non viene ricomposto e seppellito sotto la
soglia, impediva il concepimento. Vide anche De Natura
Hermaphroditorum di Caspar Bauhinus, 1614, in cui vi sono capitoli
interessanti su satiri, Fauni, eccetera. La storia della vergine eolica e del suo
amore-serpente appartiene a questa serie.
In ultimo, mi è stata inviata una lettera molto lunga in cui si afferma che
“Mena o Merna è uno spirito che appare alle spose in Romagna ed in
Toscana sotto forma di serpente, ma solo a coloro che conoscono
l‟invocazione appropriata. Se il serpente appare perpendicolarmente in tutta
la sua lunghezza (in forma fallica), questo significa una vita lunga e felice;
se contorto, presagisce molti dispiaceri, eccetera; ma se Mena giunge sotto
forma di donna, è presagio di infelicità e discordia. In tal caso l‟incantesimo
è il seguente:
„Ti scongiuro, o serpente! Merna! Merna! Merna! Del malaugurio, che tu
mi faccia tornare in pace con mio marito. SE no, come mi indicherà la fata
Merna, io ti confinerò nel più profondo abisso che possa esistere sopra la
terra. Merna! Merna!‟
Allora, se Merna appare come serpente tutto va bene, altrimenti la sposa
deve sedere per sei notti sotto un ginepro vicino ad un ruscello e gettarvi
dentro tre bacche di ginepro, fare un fuoco con tre rami di betulla, gettarne
le ceneri nel ruscello e ripetere:
„Fata Merna, ti invoco per la tranquillità dell‟anima mia e per quella del mio
caro marito!‟
Allora lo spirito apparirà in forma di pesce e la sposa dovrà prendere del
fango dal ruscello, mescolarlo a sale ed olio, riscaldarlo – se possibile –
contro al corpo del marito, quindi formarlo a foggia di pesce e metterlo
dentro ad una scatola, quindi portare la scatola nella chiesa dove ha avuto
luogo il suo matrimonio. Allora Mena appare e dice alla sposa con tutti i
dettagli di restare per tre notti in chiesa e di bruciare la scatola ed il pesce di
fango con del legno di cipresso, quindi di fare in modo che il marito
inghiotta le ceneri nella zuppa. Allora tutto andrà bene.”
Montulga – Di questo spirito mi è stato detto: “Montulga è uno spirito
molto bello chiamato Montulga della Bellaria. Gli affari di chi crede in lei
98
prospereranno. Colui che vuole invocarla dovrà andare in un boschetto di
pini e dire:
„Qui di riposa all‟odore dei pini, l‟odore più bello, più bello che ci sia, e qui
in ginocchio… di un pino mi metto a pregare la regina – la regina delle
stelle o sia la regina della Luna e del Sole la protettrice – protettrice
dell‟amore, la regina dell‟aria pura che di far bene agli infelici sempre si
cura.‟”
Io credo che Montulga possa essere l‟Etrusca Munthuch. Nella moderna
tradizione toscana, un bellaria è uno spirito aereo della grazia e dei fiori,
alla cui famiglia appartiene Albina o Alpena, e sono le compagne o la
controparte di Venere. Di Munthuch sono venuto a sapere da Corssen che
questo nome aveva una forma più antica, Munthu-châ. “Ella appartiene al
mondo delle piante di primavera. In uno specchio danza con un satiro” e
tutto questo la associa con i campi e le foreste “in un boschetto di pini
accanto ad una fonte ombrosa.” Se il nome è Muntucha, la elle e la g in
Bolognese lo muterebbero naturalmente in Muntulga.
Muntucha o Montulga
Talena – Credo che sia scritto Salena nella lettera in cui mi si parla di
questo spirito, ma non sono certo della iniziale. Viene così descritta:
“Talena è uno spirito femminile che causa terrore di notte. E‟ vestita di
bianco.” Se il nome è Talena, non vi è nulla nella sua descrizione che la
colleghi con la Talena o Thalna degli Etruschi, di cui Gerhard dice: “Thalna
e Thalne e forse anche Talena… è sugli specchi etruschi una Dea” di cui
potremmo brevemente dire (per condensare la massa di personaggi
autorevoli da lui citati) che si credeva fosse una forma di Venere, Giunone e
99
Diana, nessuna delle quali è un incubo. Se fosse Salena, non consco alcuna
Divinità cui potrebbe corrispondere.
Bellaria
La donna che mi ha inviato le informazioni relative a questi quattro spiriti
aggiunge un post-sciptum: “Questo è tutto quello che sono stata in grado di
sapere da varia gente.” Crede che queste informazioni siano derivate
principalmente, se non del tutto, da Volterra, ma non ho potuto verificare
fino a quale grado.
Pico
Su questo spirito sono molto incerto e non so nulla al suo riguardo. L‟ho
trovato tra le note che sono state prese come “un piccolo spirito colla
berretta”, un folletto con un cappello, probabilmente una forma dei Red
Caps, i Folletti delle Case. Quasi certamente si tratta dell‟antico Picus, o lo
spirito del picchio dalla testa rossa.
Tempo dopo, quando questo libro stava per andare in stampa, ho ricevuto
tramite lettera dei racconti riguardanti molti spiriti che, tradotti pienamente,
avrebbero riempito probabilmente altre 60 pagine, per cui non vi è –
naturalmente – spazio. In parte e brevemente si tratta dei seguenti:
Nurbia e la Pietra della Salute (cfr. Nurbia, lo spirito della malattia, che
viene invocato mentre si prepara la pietra della salute, una pietra usata per
curare reumatismi, eccetera):
Lamia, la strega-serpente. Una lunga storia ed un lungo poema che temo
siano ora andati perduti;
la Strega Zumia;
il prete Stregone Arrimini;
100
la fata Julda, una storia che include tre spiriti: Trillo, Jullo e Burillo;
gli spiriti-strega Gerda e Meta con una storia;
il fornaio Tozzi e sua figlia Fiorlinda, una storia;
la Penna Maligna, una cerimonia indescrivibilmente rivoltante con un
incantesimo, proveniente da Volterra;
la Corda o l‟Incantesimo della Vigna (cattolico-romana).
A queste potrei aggiungere molti poemi o ballate tutti riferentisi alla
stregoneria e tutti, con una sola eccezione, inediti. Tutto ciò riempirebbe
circa 150 pagine.
101
Capitolo VIII
Floria
“Dictes moy, en quel pays, est Flora la belle Romaine. ” F. Villon
Questa interessante storia è stata una
delle mie ultime scoperte:
“Questo spirito, Floria, un tempo era
una bella ragazza che amava, riamata,
un giovane. Ma Floria aveva un‟amica
ed esse si confidavano tutto. Floria non
sapeva che la sua amica era una strega,
né che fosse innamorata del suo amante,
perch‟ella glielo aveva tenuto nascosto.
Ma era vero e quella strega era molto
gelosa, invidiosa e maligna. E così un
giorno, mentre camminavano insieme
da sole per la campagna, la strega
uccise Floria e indossò le sue vesti. A
sera si presentò quindi all‟amante – alla
sera si presentò al giovane col nome (la forma) di Floria, essendo una
strega. Così il giovane la sposò ed ebbero un bel bambino. Ma una notte,
mentre la madre lo teneva in braccio, apparve lo spirito di Floria, che prese
il bambino e lo mise a letto, quindi disse al marito:
„Guarda che quella non è Floria! Floria son‟io, sempre; quella che tu hai
sposato è l‟amica che m‟uccise per sposarti; ma guarda che a mezzanotte ti
scapperà, perché non è che una strega.‟ E se lui l‟avesse uccisa, ella avrebbe
sempre protetto sia lui che il bambino e sarebbe andata a trovarlo ogni notte.
Allora il giovane prese per i capelli la strega e la legò al letto; ed ella urlò ed
imprecò orribilmente da mezzanotte fino alle tre, quando il suo potere di
strega la lasciò ed ella divenne come le altre donne; disse quindi al marito:
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„Guarda il bambino, guarda nel suo letto: vi troverai delle croci e delle
ghirlande. E‟ da un anno che è incantato.‟
Allora il marito la colpì con un martello e la uccise. E da quel momento
amò sempre lo spirito di Floria.”
In questa storia, che venne raccolta e mi venne inviata da Peppino, è in
realtà Floria a vibrare il colpo di martello ed è evidente che Floria è la vera
madre del bambino e che la strega è arrivata dopo il matrimonio sotto forma
della moglie. Floria – Flora era certamente l‟equivalente di Horta, che al
tempo degli Etruschi era la stessa cosa di Nortia – Fortuna – che recava i
chiodi della sorte. Non ricordo ora se sia nell‟opera di Inghirami o in quella
di Eduard Gerhard che ella viene descritta come recante un martello. Padre
Secchi segue Müller (Etrusker, III, 3, 7) nel dichiarare che Horta, una dea
etrusca equivalente a Salus, ha dato il nome ad Orte ed è distinta da Nortia,
o Fortuna, la Grande Dea dei Volsinii. “Una distinzione tra lei e Fortuna è
indicata da Tacito” (vide Dennis, Cities of Etruria, vol. i., p. 140, note). Ma
queste obiezioni provano che la Nortia con il martello veniva considerata da
molti la stessa cosa di Horta. Ed anche la leggenda di Peppina concorda.
Dennis suggerisce che Horta fosse una Dea dei giardini, perciò un sinonimo
di Flora. Anche Pomona era una forma di Flora e nella sua leggenda, per
uno strano cambiamento, non è la strega a prendere forma femminile ma
Vertumnus che appare a lei sotto forma di una vecchia. Per confuso che
appaia tutto ciò, credo che questa leggenda sia antica o classica. Ma è molto
importante il fatto che sui vasi etruschi il martello appaia particolarmente
come implemento della morte nelle mani dell‟equivalente di Nemesis, come
in questa storia. Esso è, infatti, l‟invariabile simbolo della morte ed è nelle
mani di Charun e di tutti i demoni. Lanzi fornisce un bellissimo spirito
femminile che lo reca in mano. Le croci e le ghirlande cui si allude si
riferiscono alle “ghirlande delle streghe” altrove descritte.
Ra
Sono grato alla Signora Hayllar per l‟informazione sull‟esistenza di uno
spirito di nome Ra, di cui si parla molto a Volterra. Non sono dovuto andare
lontano per conoscere qualcosa di questo folletto perché il primo nativo
della città, un giovane ciabattino, cui domandai in merito, mi narrò subito
quanto segue:
“Ra è uno spirito che protegge i bambini. Quando sono in pericolo i genitori
si rivolgono a lui e lo incantano con queste parole:
„Dormi, dormi, bambino mio, dormi il sonno degli angioli; quando tu ti
sveglierai, la felicità riacquisterai.‟
103
Allora il bambino si risveglierà libero dal dolore o dal malanno, al sicuro da
ogni pericolo, specialmente quello di cadere nelle balze (precipizi, cavità
sotterranee) di San Giosto a Volterra. Lo spirito Ra è conosciuto a Volterra
fin dall‟anno 1001, perché proprio in quell‟anno egli protesse un bambino
piccolo che gli era stato incantato ed era caduto nella balza da diverse iarde
di altezza, ma sopra una massa di ginestra. Allora i contadini corsero a
salvarlo, ma lui continuò a gridare: Ra! Ra! E, quando gli buttarono giù una
scala, egli non la scalò. Mentre stavano aspettando, arrivò uno strano
signore che disse: „Voi non potete salvarlo, solo io posso farlo con il mio
potere sovrannaturale. Io sono lo spirito Ra ed ora vedrete come farò.‟
Dicendo questo, battè per tre volte il piede sul terreno e crebbe una grande
quantità di piante di ginestra grazie alle quali, come da un ramo all‟altro di
un albero, essi discesero e portarono su il bambino.”
Sono grato al Professor Senatore Comparetti per il suggerimento che Ra
possa essere Rhea Sylvia. Le Divinità etrusche erano maschio e femmina.
Rea Cibele, moglie e sorella di Crono e madre di Giove, era in particolare la
patrona di burroni, strapiombi e rocce (Die Götter und Heroen. von Stoll), e
Ra appare come a casa propria nei burroni. Rea era anche una Dea nutrice o
protettrice dei bambini. Il cambiamento di sesso non è importante perché,
come abbiamo visto, Cupra e Siera hanno cambiato il proprio e questo era
ancora più comune nell‟antichità. In questa storia Ra salva un povero
bambino dall‟abisso grazie alla pianta di ginestra ed è una curiosa
coincidenza che Deus exaltat humiles (Dio esalti gli umili) fu sempre, nel
Medioevo, il motto che accompagnava la ginestra, entrambi recati da Luigi
il Pio di Francia nel 1234 (Helyot, Description of knightly and Monkish
orders, versione tedesca, 1756).
Bovo
“Come conosci tu Buovo? Mi sapresti dare notizia alcuna di esso?” I Reali
di Francia
E‟ straordinario che si possa chiedere a 100 contadini o altri popolani
toscani del loro folklore mitico e non trovarne traccia, per poi incontrare
qualcuno che pare essere il cronista o il custode di un museo di tali
curiosità. E così ho ottenuto dal mio giovane ciabattino molte cose
meravigliose, tra cui quanto segue riguardo allo spirito Bovo:
“Volterra non è stato il primo nome della nostra città, perchè il primo fu
Antona, il secondo Voltona ed il terzo Volterra. Al tempo in cui era
chiamata Antona vi viveva un principe chiamato Bovo di Antona, che
veniva considerato dal popolo uno stregone; si diceva anche che fosse
immensamente ricco, perchè aveva costruito un carro d‟oro con quattro
104
cavalli d‟oro e quando fu lì lì per morire vi si fece adagiare e lì morì dopo
lunga sofferenza. Quando fu morto, il suo spirito apparve ed ordinò che
mettessero in movimento il grande carro con il suo corpo e lo portassero da
Volterra fino ad una montagna chiamata Catini, che si vede dalla città, e qui
lo seppellissero. Questo venne fatto e la gente crede che il carro ed il corpo
del re esistano tuttora. Sono stati effettuati scavi in cui sono state trovate
reliquie dell‟epoca di questo Bovo di Antona ed in tempi recenti le sue carte
con immagini raffiguranti la sua epoca, ma non è stato ancora trovato il
grande carro. Dopo la sua morte, lo spirito di Bovo ritornò di notte nel suo
palazzo, che adornò con ogni possibile magnificenza ed illuminò
brillantemente. E tutta la moltitudine che vide questa illuminazione e questi
festeggiamenti non riuscì ad immaginare cosa significasse, sapendo che il
principe Bovo era solo. Ma, una sera, certi spiriti arditi tra loro, spinti dalla
curiosità, bussarono al portone e non ottennero risposta. Dopo mezzanotte,
essi udirono delle gaie risate ed allora bussarono nuovamente; il cancello si
aprì per magia ma in un istante fu buio e la gente che entrò vide tutte le cose
come erano state al tempo della vita del re. Allora non compresero cosa ne
fosse stato di tutto quello splendore che avevano visto da fuori e conclusero
che dovesse essere tutto opera dello spirito di Bovo. Decisero perciò che i
quattro più coraggiosi tra loro sarebbero rimasti lì la notte seguente, cosa
che fecero. A mezzanotte, tutti i tappeti e gli arazzi cominciarono ad
ondeggiare ed a spostarsi e tutti i mobili si mutarono in oggetti di grande
valore. Allora essi decisero di invocare lo spirito di Bovo, che apparve
vestito con un grande mantello bianco e, alla loro richiesta di cosa volesse
(cioè cosa lo facesse infestare il palazzo e gli impedisse il riposo) egli
rispose:
„In tutta la mia vita non sono mai stato amato da una donna; vorrei che
questo palazzo fosse abitato da una bella ragazza, cui io apparirò come un
bel giovane. Se non avrete successo nel trovare una tale donna, allora
rimarrò confinato in questo palazzo, disturbando la pace dei cittadini. Ma se
farete questo, come ricompensa apparirò a colui che l‟avrà portata. A
mezzanotte egli potrà invocare lo spirito di Bovo ed io lo aiuterò sempre a
fare bene.‟”
Questo è evidentemente solo l‟inizio di una leggenda. Buovo di Antona è
molto conosciuto come eroe di una storia popolare. Su di lui vi sono poemi
e Reiner ha scritto una monografia su questo soggetto, dimostrando che fu
uno dei campioni della Cristianità ed, in realtà, il nostro vecchio amico
Bevis di Southampton. Ma io sospetto che in questo caso particolare un
folletto locale con un nome simile abbia preso a prestito la fama di
quell‟eroe medioevale perché, avendo letto la storia popolare di Buovo di
105
Antona, che forma la quarta parte (142 pagine) de I Reali di Francia
(Firenze, 1890), trovo non via sia una sola somiglianza con l‟eroe di questa
storia e che, lungi dall‟aver vissuto senza amore, il campione conquistò e
sposò la bella Drusiana, che morì di dolore per lui 40 giorni dopo la sua
morte. L‟unico Antona riconosciuto nella cronaca è molto evidentemente il
porto di Southampton, fondato da Bovetto ed intitolato alla sua regina,
Librantona.
Attilio
Attilio, Atiglio, Ottilio o Tilio – perchè non riesco a ben determinare il suo
nome – è un buon folletto molto simile a Dusio, o un buon Brownie, nel
folklore inglese. Ma è un terribile fastidio, specialmente per le serve con
cui, tuttavia, egli fa l‟amore e con cui si comporta pressoché come Dusio,
condividendo il loro giaciglio, facendo loro in cambio tutti i lavori di casa e
regali a non finire. E si deve ammettere con riluttanza che, nonostante il suo
carattere immorale, Attilio è molto popolare tra loro. Guisepre Pitré, che
certamente non può venire accusato di credulità (Bib,. Vol. XVIII, pag.
163), sottolinea che se ascoltiamo parlare la gente delle classi più basse
dobbiamo, in tutta onestà, rimanere incerti se tutti questi uomini e donne
siano preda di continue visioni o se noi stessi stiamo sognando ad occhi
aperti. Da parte mia, credo fermamente che nelle comunità molto credulone
vi siano persone, specialmente fanciulle, che onestamente credono di
vedere, e talvolta sentire e toccare, esseri sovrannaturali. Vi sono poteri
latenti in noi che non comprendiamo affatto ed uno di questi è il creare
sensazioni, che consiste nel riprodurre o formare attingendo alla memoria
delle sensazioni, che siano di tocco o di gusto, che un tempo abbiamo
sperimentato. Non potrei altrimenti spiegare molte cose che ho incontrato
tra coloro che credono in tutte queste meraviglie. Le strege (streghe), con
tutti i loro trucchi, credono nella loro arte e portano su di sé dei feticci. E
non si può negare che vi siano fanciulle che possiedono degli Attilio e dei
Dusio e gente che vede di sfuggita Faflon nelle vigne al tramonto e nelle
cantine piene di vino a mezzanotte. La vita è perciò per loro tutta una bella
terra fatata o un sogno di streghe e diavoli, a seconda della loro disposizioni
o dell‟avere o meno l‟indigestione.
Quella che segue è la storia ed il mistero di Attilio come mi è stata narrata il
primo gennaio 1891 da una certa Maddalena di Rocca San Casciano:
“Attilio è un buon folletto, ma fa tutto ciò che può per infastidire le serve.
Un tempo ve ne era una graziosa che aveva dei padroni esigenti e duri.
Bene, accadde ogni giorno per tre giorni che quando la povera ragazza,
cotto il pranzo, andava ad apparecchiare la tavola, al ritorno trovava tutto il
106
cibo rovesciato e sparso in giro. La fanciulla piangeva amaramente ma non
sapeva cosa fare. Se veniva rimproverata? Certo, fino quasi a farla
impazzire. Ma quando, il terzo giorno, il pranzo venne rovinato allo stesso
modo, il padrone e la padrona si arrabbiarono. Dissero che erano stanchi di
andare fuori a mangiare alla trattoria e che ella avrebbe dovuto fare del suo
meglio per riaccomodare ciò che rimaneva. Così ella tornò in cucina tutta
triste e si sentì ancora più triste quando guardò i resti e vide che poteva fare
ben poco di essi. Improvvisamente, ella udì la voce più dolce mai sentita
cantare vicino a lei queste parole: „Di‟ a me, Attilio, se ami Attilio, perché
se mi ami il pranzo sarà già pronto.‟ Ella rimase in piedi meravigliata e
senza parlare, fin quando apparve davanti a lei il giovane più meraviglioso
che avesse mai visto in vita sua. Era vestito all‟antica, con lunghe calze ed
una tunica di velluto, ed aveva dei lunghi riccioli dorati ed un piccolo
cappello di velluto con una piuma bianca; la fanciulla si sentì come se
stesse per cadere in ginocchio ed adorarlo, da tanto era elegante. Ed ella,
incantata, potè solo rispondere: „Sì, sì, certamente!‟ Ed Attilio cantò:
„Attilio son io ed ho bisogno d‟amare e tu sei quella che mi hai ispirato
tanto amore.‟ Come potete immaginare, la fanciulla era deliziata. Ed egli
continuò a cantare: „Sì, ti amo, e ti amo tanto, se tu mi ami. Sono Attilio e
sono uno spirto folletto.‟ E meraviglia! con un tocco il pranzo fu di nuovo a
posto e, quando la ragazza lo servì, i padroni dissero che non avevano mai
gustato un pasto così piacevole. Ed ogni giorno Attilio fece la maggior parte
del lavoro ed era sempre con lei ed ella poteva vederlo nonostante egli fosse
invisibile a chiunque altro.”
E‟ notevole che, mentre in tutte le storie Medioevali orientali, tedesche o
francesi è un cavaliere o un favorito che conquista l‟amore di uno spirito,
quelle italiane attribuiscono amanti fatati alle fanciulle. Questa è una
caratteristica molto curiosa in questo folklore. Il Dusio ed il Fauno e tutti i
prototipi di Robin Goodfellow e Puck ed i Brownie delle case vengono
rappresentati come spiriti burloni che danno sempre fastidio alle ragazze.
Nel Nord, sotto influenze più caste, questi spiriti lascivi sono in breve
tempo divenuti esseri molto morali che non vanno al di là degli scherzi
fanciulleschi. Ma in Italia non è mutato nulla e così essi continuano a
rimanere gli stessi furfanti tra le ragazze, come lo erano quando i satiri
saltellavano in mezzo ai boschi ed i lemuri si aggiravano presso le tombe, le
streghe rubavano i cuori degli uomini e la gente era tutta contenta!
Attilio è certamente qui un lar familiaris, uno spirito del focolare che fin dai
tempi di Tarquinio e Tanquilio ha sedotto le serve nelle famiglie toscane,
così come ha sedotto Ocris, “colei che serviva a tavola” nei tempi antichi.
107
Egli è in cucina e cuoce il pranzo ed è anche nel focolare. Della sua
esistenza ho solo un testimone. Egli corrisponde anche al Francese Lutin.
La bella Marta
(La Madre del Giorno)
“Nam et Romulus post mortem Quirinus factus est, et Leda Nemesis, et
Circe Marica, et Ino, Postquam se precipitavit in Mare, Lucothea, Mater que
Matuta.” Lattanzio, Div. Institut. de falsa Religione, lib. I, cap. 21
La bella Marta, chiamata anche Madre del Giorno, è di gran lunga la figura
più notevole nella mitologia popolare della Toscana. Da principio mi
sbagliai, indotto a credere dal suo nome che si trattasse di Santa Marta, con
cui credevo fosse stata confusa così come i Santi Antonio e Simeone lo
erano stati con antiche Divinità. Ma ben presto scoprii che ella non ha nulla
in comune con la Marta della Bibbia né con quella dell‟agiologia cattolica
romana. Dubito, invero, ben poco sul fatto che questa bella Marta sia la
trasformazione dell‟antica Mater Matuta, cui sono guidato non tanto dalla
somiglianza del nome quanto dal fatto che ella possiede un Beinahme, un
attributo, che è del giorno. Scrive Müller: “Nel porto di Pyrgoi vi era il
tempio riccamente adorno di una Dea che veniva generalmente chiamata dai
Greci Leukothea… Indubitabilmente si trattava dell‟onorata Mater Matuta,
adorata fin dal tempo di Servio a Roma, nella terra dei Volsci ed anche in
Etruria. Gli archeologi greci e romani le considerarono la stessa Dea.
Tuttavia, a Roma questa Mater Matuta veniva considerata molto più una
Dea del mattino che del mare, perché il suo nome significa chiaramente
Madre del Giorno e, quando i Greci lo tradussero in Leukothea, o Dea
bianca, probabilmente avranno pensato più alla luce del mattino presto che
alla bianca spuma del mare. La madre della luce del giorno potrebbe venire
considerata la Divinità che portava l‟uomo alla luce; per questa ragione
Strabone la chiamò Eilethyia. Secondo lui, la Dea di Pyrgoi era una Dea
dell‟alba e dell‟umanità.”
La bella Marta toscana dimora nei boschi o nei campi e, nonostante sia uno
spirito del giorno, viene adorata di notte. Tuttavia questo è spiegabile con il
fatto che tutti gli “spiriti” sono collegato all‟antica religione, chiamata ora
stregoneria, i cui riti vengono condotti nella segretezza e nell‟oscurità.
Marta è propizia agli innamorati ed all‟amore coniugale. Il seguente
incantesimo, che si racconta da sé, indica chiaramente il fatto che gli Dei
Silvani vengono tuttora adorati letteralmente come santi e non invocati
semplicemente come folletti. Una moglie od una ragazza che sia gelosa del
suo innamorata vada di notte nel giardino più bello cui abbia accesso e, in
ginocchio, pronunci:
108
“Bella Marta! Bella Marta! Bella Marta! Tu sei bella come una stella; io ti
vengo a rimirare e da te mi vengo ad inginocchiare per poterti meglio
pregare. La mezzanotte è ora suonata e da te sono inginocchiata, in mezzo
ad un bel giardino, che tu Marta bella ne sei regina; io ti porto un fazzoletto:
in una punta troverai i capelli del mio amor e tu, bella Marta, fanne ciò che
vuoi, purchè il mio bene tu faccia tribolare e mio marito tu lo faccia
diventare e che altra donna non possa mai amare. Se questa grazia mi farai,
tutte le sere una candela accesa tu avrai. Questa grazia tu mi hai fatto, bella
Marta, ti ringrazio.”
Nell‟incantesimo che segue, la Bella Marta viene invocata distintamente
dagli inferi. Io non penso che ella venga popolarmente considerata infernale
o maligna, ma che questo sia stato fatto per distinguerla dalle sante – una
cosa strettamente osservata tra gli stregoni. E siccome i preti hanno sempre
insegnato alla gente che tutti gli spiriti non sanzionati dalla Chiesa sono
diavoli, indica una grande fedeltà ai costumi dei loro antenati il fatto che i
contadini continuino ad adorarli anche se infernali.
Per questa invocazione dovreste andare in un bosco o una foresta a
mezzanotte, guardare una stella e dire:
“Buonanotte, o Donna Marta. Non chiamo la Marta di casa nel Paradiso, ma
chiamo quella di casa nell‟Inferno. Prenditi dei panni belli alla presenza
di… Prima mi era tanto amico, ora mi è tanto nemico; amici e nemici, tutti
gli sembrino brutta gente fuor che io, la sua stella rilucente. A stella stella
da levante oscie, da lui portante: cinque dita per lui io batto al muro. Cinque
anime io scongiuro, cinque preti, cinque frati, cinque anime dannate.
All‟anima, alla vita del tal… in vite ne andrete, in pensiero lo porterete, per
la barba ed i capelli lo piglierete, col pensiero da me lo trascinerete; se
questo mi farete, tre segni mi darete: porta picchiare, cane abbaiare, uomo
fischiare. Se questo mi farai, tre segni mi darai!”
Questo è considerato un incantesimo molto serio, terribile e potente. Il
guardare fissamente una stella collega apparentemente Marta a Mater
Matuta o Leukothea, la Dea della luce, ed a Marta del Giorno, perché questa
stella si suppone essere Venere o la Stella del Mattino. Parte di questo
incantesimo appare in altri, la parte che consiste nell‟invocazione di diversi
gruppi di cinque preti e diavoli affinché entrino nell‟anima e nella vita di
chi viene indicato. Sia per la categoria dei numeri che per l‟invocazione agli
spiriti ad entrare nella vita, nell‟anima e nel corpo di qualcuno, questo
corrisponde precisamente a ciò che si trova negli incantesimi dei Caldei.
Paracelo, e con lui pressoché ogni scrittore del XVI secolo, avrebbe
riconosciuto in questa riguardo alla stella un‟invocazione dello spirito
astrale, specialmente in quanto misteriosamente collegato con spirito cui
109
viene ordinato di possedere una determinata persona. Non dubito che in
esso vi sia uno strano retaggio di antiche credenze; una cosa è certa ed è che
viene considerato un incantesimo molto potente dalle streghe, che lo
recitano con profondo sentimento. Ed è importante il modo appassionato in
cui questo spirito si manifesta quando si recitano seriamente degli
incantesimi o anche li si scrivono.
Bella Marta appare in un romanzo come una delle streghe buone di
Benevento ed anche come una driade:
“Un tempo vi era a Benevento un grande albero, probabilmente una quercia,
in cui vi era una cavità. I contadini, passandole accanto, spesso vedevano
una donna molto bella che scompariva non sapevano dove. Ma un giovane
uomo, spinto dalla curiosità, disse: „Verrò qui presto, seguirò la signora e
scoprirò dove dimora.‟ Così egli andò nel bosco ed attese con calma fino a
quando ella apparve; quindi la seguì fino a quando giunse alla grande
quercia ed entrò in essa come se vi fosse una porta. Anch‟egli vi entrò e,
meraviglia! si trovò in un grande e splendido palazzo! Si sarebbe potuto
camminare per tre giorni da una stanza all‟altra senza finire di girare ed
erano tutte di una bellezza meravigliosa.
Improvvisamente una piccola mano bianca si posò sulla sua spalla ed una
dolce voce morbida disse: „Benvenuto!‟. Girandosi, egli vide la bella
signora della foresta che aveva seguito ed ella disse: „Non temere, ti do il
benvenuto e ti renderò felice, perché tu sei un buon giovane ed io sono la
bella Marta. Vai, gioca e vinci sempre, e quando vorrai avere qualcosa
pronuncia questo incantesimo:
„Bella Marta! Bella Marta! Bella Marta! Sei più bella d‟una santa.
All‟albero tuo vengo a pregare se una grazia mi vuoi fare. Se questa grazia
mi farai, la mia padrona tu sarai; qualunque cosa mi chiederai, bella Marta,
tu l‟avrai.‟
Perciò, ogni volta che vedrai una grande quercia nel bosco e ripeterai questo
incantesimo, ti andrà tutto bene.‟”
Qui Marta è indubitabilmente una driade ed il contadino è Rhoecus.
Rhoecus era un grande giocatore; fu perchè era assorbito in una partita a
dama che colpì l‟ape che disse alla ninfa chi aveva accecato il ragazzo che
aveva tagliato l‟albero che era caduto sul giovane che aveva tanta passione
per il gioco d‟azzardo.
Nell‟anno 1846, a Firenze, un gentiluomo inglese che aveva passato la
maggior parte della sua vita in Italia, mi consultò gravemente e seriamente
in merito a quali tra diversi numeri avrebbe dovuto scegliere per vincere ad
una lotteria. Questo spirito del gioco, dell‟azzardo e dell‟ispirazione è
profondamente parte della vita italiana come lo era in antico. Ed è per
110
questo che non mi meraviglio che esso fosse il primo pensiero di quella
bella ninfa. Ella conosceva il suo uomo.
E‟ interessante notare che in Sicilia la Madre della Luce viene invocata
quando si rovescia del sale (Pitré, Bib., vol. IV, pag. 144): “Matri di lu lumi,
cugghitivillu lui.” La Bella Marta viene invocata quando tre fanciulle,
sempre nude, consultano i tarocchi o le carte per sapere se un innamorato è
sincero o chi sposeranno. Anche questo è collegato ai due incantesimi
descritti. Secondo Pitré, Santa Marta viene talvolta invocata nella
stregoneria, nonostante l‟Arcivescovo Torres (Ricordi di Confessori, &c.;
Pitré, Bib., vol. IV, pag. 148) scomunichi “coloro che pronunciano
preghiere non approvate o anche disapprovate dalla Santa Chiesa per
ottenere amore disonesto e lascivo e tali preghiere vengono falsamente
attribuite a San Daniele, Santa Marta, Santa Elena e simili.” La Mater
Matuta o Madre dell‟Alba – che è Venere – potrebbe essere stata anche
patrona degli innamorati e la Donna del Giorno.
Riguardo alle tre fanciulle che si incontrano per divinare su chi sposeranno,
penso fosse Dione Cassio a sottolineare, riguardo alla divinazione con le
ceneri, “Vel cum aliquem tres personas cogitate jubet, quibuscum
matrimonii inire optet, tum tres ducunt sulcos in cinere” (“Quando tre si
incontrano per scoprire chi sposeranno, tracciano tre linee nelle ceneri”) Il
lettore troverà altro al riguardo nel capitolo sulla divinazione con le ceneri.
Si può osservare che nell‟ultimo incantesimo la bella Marta viene detta “più
bella di ogni santa”. Qui si mostra la stergeria romagnola, la stregoneria,
che è totalmente pagana e sempre gelosa dell‟influenza cattolica romana.
I festival della Mater Matuta, che erano largamente diffusi in Italia,
venivano chiamati Matralia o Martralia, e possono fornire un indizio sul
nome moderno di Marta. Ma ripeto che all‟inizio non diedi alcun significato
alla somiglianza della parola Marta con Mater, nonostante non vi siano
ragioni per cui il primo non potrebbe essere derivato dal secondo. Di questo
nome Fraser scrive (The Etruscans):
“Anche Max Müller specula (Science of Languages, vol. II, pag. 152) sulla
derivazione di mane e matutæ. Egli dice: „Da questo apparirebbe che in
Latino la radice man, che nelle altre lingue ariane viene conosciuta meglio
nel senso di pensare, era in antico usato come il Sanscrito budh per
esprimere la coscienza rivitalizzata dell‟interezza della Natura
all‟avvicinarsi della luce del mattino, nonostante vi fosse un‟altra radice
totalmente distinta e peculiare all‟espressione latina di tale idea.‟ Questa
radice poteva essere mat? E‟ interessante osservare che Tertulliano osserva
che la Venere Etrusca veniva chiamata Murtia (vide Dennis, Cities of Et.,
vol. I, pag. 58). E siccome la bella Marta viene chiamata il più bello tra gli
111
spiriti, è associata alle carte e viene identificata con la stella del mattino,
appare possibile che sia una forma di Afrodite o Venere,
Diana ed Erodiade
(Le Regine delle Streghe in Italia)
“Orsù dimmi, o buona strega, che vuoi dire che non andavi a questi balli e
giuochi di Diana o di Erodiade, ovvero sì come le chiamate, a quelli de la
Donna?” - La Strega di Pico della Mirandola
“Hecate trium potestatum numen est. Ipsa est enim Luna, Diana
Proserpina.” – Servius
E‟ interessante il fatto che, mentre la stregoneria negli ultimi tempi è stata
considerata tra le razze del Nord come una creazione di Satana, in Italia non
ha mai perso un carattere classico. In questo paese la strega è solo una maga
ed è spesso una fata benevola. Chi la governa non è il diavolo ma Diana, cui
viene associata, come dimostrerò, Erodiade. Quest‟ultima, che presiede alla
danze delle streghe, venne collegata naturalmente alla Erodiade del Nuovo
Testamento, ma vi era una Erodiade più antica, controparte di Lilith, la
prima moglie di Adamo, grazie al quale ella divenne madre di tutti i diavoli
minori, o dei folletti. E‟ evidente che in questa competenza Erodiade è stata
confusa con Diana. Quest‟ultima era, come Ecate, a capo di tutte le streghe,
mentre Lilith-Erodiade era tutt‟uno tra gli Ebrei. Vi è un passaggio in
Odericus Vitalis (nato in Inghilterra nel 1075 - Hist. Eccl. v. 556) che
illustra questo, che Diana era genitrice o protettrice dei folletti:
“Deinde Taurinus fanum Dianæ intravit. Zabulon que coram populo
visibilem adstare coegit, quo viso ethnica plebs valde timuit. Nam manifeste
apparuit eis æthiops niger et fuligo, barbam habens prolixam et scintillas
igneas ex ore mittens. . . . Dæmon adhuc in eadem urbe degit et in variis
frequenter formis apparens, neminem laedit. Hanc vulgus Gobelinurn
appellat.” (“Allora Taurinus entrò nel tempio di Diana e costrinse Zabulon
ad apparire visibilmente davanti alla gente il quale, essendo visto, venne
temuto grandemente dalla gente pagana. Perché evidentemente si mostrò
come un nero e sudicio Etiope con un barbone ed emettendo scintille di
fuoco dalla bocca. Il demone visitò spesso la stessa città, apparendo in
molte forme, tuttavia non fece del male a nessuno. La gente comune lo
chiamò Goblin e dichiarò che per i meriti di San Taurinus egli si tratteneva
dal fare del male.”)
Qui abbiamo il Goblin come spirito familiare del tempio di Diana, la strega
madre, così come gli Ebrei dichiaravano che i goblin erano i figlio di Lilith-
Erodiade. Come fu che il mito semitico venne ad unirsi con quello greco-
112
romano è materia da investigare. Che sia esistito è provato dalla
testimonianza di diversi scrittori antichi.
Nella Dæmonomagie di Horst (1818), uno scrittore che era molto oltre il
suo tempo, ho trovato quanto segue:
“Negli atti d‟accusa alle streghe viene generalmente affermato che… la
parte accusata ha agito con” (ha adorato) “Diana ed Erodiade. E‟ davvero
notevole che si ritrovi questo tra le dichiarazioni di un concilio pubblico
della Chiesa – quello di Ancira della metà del V secolo - così come in
processi alle streghe più tardi. Venne affermato che certe donne
immaginavano di volare di notte per l‟aria con Diana ed Erodiade. Ma,
siccome di questo venne parlato durante il concilio di Ancira come di una
cosa ben nota, la credenza dev‟essere molto più antica ed io non dubito che
esistano registrazioni storiche molto antecedenti a questa che mi sono
sconosciute.” Paulus Grillandus, nel suo Treatise on Witches (1547), grande
autorità nel suo tempo, parla diverse volte della stessa cosa, che le streghe
“putant Dianam et Herodiam esse veras deas” – pensano che Diana ed
Erodiade siano vere Dee –, tanto profondamente sono coinvolte negli errori
dei pagani.” E deduce tutto il male possibile sulle loro vie a causa del loro
inizio falso e pagano – “ex qua omnes alii errores et illusiones successive
dependent cum credant illas Dianam et Herodiadem esse veras deas”. Ed
egli qui ignora molto incoerentemente il fatto che egli stesso ha altrove
dichiarato Satana l‟unico maestro dell‟intera sorellanza. Jerome Cardanus
(De Subtilitate, 1, 19), nel descrivere una evocazione diabolica da parte di
uno stregone della sua epoca – Quoties veneficus ille rem non divinam sed
diabolicam facturus esset – non fa parola riguardo ad un qualunque diavolo
ma rappresenta Hecate o Diana come spirito capo - Execratur illis precibus,
Hecate dictante, primum adorandam, eccetera -. Che Diana-Hecate fosse la
regina delle streghe nel periodo classico si sa da molti autori, così come che
essa veniva invocata in tutte le stregonerie di genere ctonio, oscuro o
notturno. Ella, in quanto Dea della Luna, veniva paragonata ad un gatto che
caccia la stella-topo. Era come la Bast di Bubastis, la Dea-gatto dell‟Egitto,
e la Freya del Nord, il cui carro veniva trainato da gatti, è chiaramente una
Diana Norvegese. E‟ importante notare che, mentre le streghe in Italia si
supponeva facessero del male come l‟antica Canidia, esse lo fanno
semplicemente in quanto sono maghe. La Chiesa cattolica ha imposto alla
credenza popolare sulla stregoneria cose che le erano estranee con il
demonismo cristiano; tuttavia, è ancora più notevole il fatto che anche al
giorno d‟oggi è Diana, e non Satana, che comanda le streghe italiane. E vi
sono molti punti di questa credenza popolare che sono molto più antichi del
cristianesimo. Così a Venezia, come a Firenze, la stregoneria non è tutta il
113
risultato di un atto con il diavolo, ma una dote peculiare che può essere
trasferita, anche con un trucco, ad una persona innocente. Illustrerò questo
con una storia che ho udito narrare in buona fede nel 1886 e che è accaduta
a Firenze, peraltro già apparsa nel mio libro Gypsy Sorcery:
“Vi era in città una ragazza che divenne strega contro la sua volontà. E
come? Era malata in ospedale ed accanto a lei vi era in un letto una vecchia
ammalata gravemente che tuttavia non poteva morire. E la vecchia si
lamentava e piangeva continuamente: „Ohimè, muoio! A chi lascio?‟ Ma
non diceva cosa. Allora la povera ragazza, pensando naturalmente che
intendesse delle proprietà, disse: „Lasciate a me, son tanto povera.‟
All‟improvviso la vecchia morì e la povera giovane si ritrovò in eredità la
stregoneria. Ora, la ragazza tornò nella casa dove viveva con sua madre e
suo fratello e, divenuta una strega, cominciò ad uscire spesso di notte; la
madre la vide e disse al fratello: „Un giorno tu troverai tua sorella con la
pancia grossa (incinta).‟ „Non pensare una cosa del genere, mamma‟ rispose
lui. „Tuttavia, scoprirò dove va.‟ Così egli rimase sveglio e, una notte, vide
la sorella uscire dalla porta verso mezzanotte. La prese per i capelli e la fece
girare intorno al suo braccio. Ella cominciò ad urlare orribilmente quando
ecco! arrivarono correndo un gran numero di gatti e cominciarono a
miagolare ed a fare un gran chiasso; per un‟ora la sorella tentò di fuggire ma
invano, perché i suoi capelli erano legati ed ella urlava mentre i gatti
gridavano, fino a quando uno di essi venne colpito e tutti loro svanirono; la
sorella era svenuta. Ma da quel momento non ebbe più la stregoneria in lei
e divenne una buona donna com‟era prima.”
In questo non vi è alcun contratto con Satana – è una strega di Diana, legata
dall‟incantesimo della Luna, uno dei gatti della notte. Nelle storie veneziane
una strega perde tutto il suo potere se viene punta e cade una goccia di
sangue o anche se viene scoperta. E‟ vero che i monaci hanno importato ed
immesso a forza nella superstizione popolare italiana grosse infusioni di
diavolo. Tuttavia, nel contesto la vera strega italiana non ha nulla a che fare
con Satana o con un inferno cristiano e rimane come nell‟antichità una figlia
di Diana. C‟è qualcosa di rinfrescante, di rivitalizzante nel pensiero che
esiste un luogo nel mondo – e nella stessa Italia papista – dove il veleno del
diabolismo non è prevalso completamente. Nel trattato sul Noce Magico di
Benevento di P.Pipernus (Napoli, 1647) vi sono diversi passaggi che fanno
riferimento a Diana quale Regina delle streghe, di cui uno è curioso, in
quanto pare identificare Lamia con Lilith e Diana. Se ne deduce che le
streghe che nell‟antichità seducevano giovani fino alla morte erano la stessa
cosa di Lamia – una Lilith ebraica, e le Empuse, Marmolicie o i Lari ed i
Lemuri appaiono in varie immagini dedicate a Diana – in variis figuris
114
Dianæ dedicatis. Ma Elias Schedius (Dis Germanis, Amsterdam, 1648) ha
messo assieme forti prove, provenienti da molte fonti ebree e non, che
Diana era identica a Lilith e le due venivano identificate con la Romana
Lucina:
Tu Lucina volentibus
Juno dicta puerperis
Dicta lumine Luna."
(Catullus Epigr., 35)
Qui Luna significa Diana. Un‟altra cosa singolare è che vi erano
nell‟antichità comunità di streghe quali le Eriphie da Eriphia, le Michalee da
Michala, le Hecatee, le Medee, le Circee, le Tessale, in Sicilia Ciclopi e
Lestrigoni ed Erodiadi – “communiori vocabulo in aliquibus regionibus
nuncupantur ex Idumæa Herodiade prope Jordani flumen habitante, choreis,
ludisquc venereis effuse fruente, quæ multos et multas ad suum convictum
trahebat, Dianæ ludorum memorans.” In un altro passaggio Pipernus
congettura che vi fosse una Erodiade prima di quella che fu causa della
morte di San Giovanni.
Negli incantesimi e nei talismani slavi, che sono generalmente molto antichi
e di origine orientale, Lilith appare essere la stessa cosa di Erodiade. Ha
dodici figlie che sono i dodici tipi di febbre. Questa classificazione delle
malattie o degli spiriti maligni in categorie di sette, dodici, eccetera, si
ritrova nella magia caldaia come viene descritta da Lenormant. Tutto
debitamente considerato, concordo con Pipernus che vi fosse una Erodiade
di molto precedente a quella del Nuovo Testamento che, danzando, fece
perdere la testa ad Erode e fece da lui mozzare la testa di San Giovanni.
Riguardo a questa faccenda, mi meraviglio di non averla ancora mai vista
trattare da alcuno scrittore della moderna società cristiana sotto un punto di
vista pratico. Supponiamo che una signora, una vedova intelligente e
compita che ha avuto la buona sorte di divenire la moglie del governatore
generale diciamo del Cathay. Il governatore muore e suo fratello gli succede
nella carica e sposa la vedova (una cosa realmente comandata dall‟Antico
Testamento ed un costume comune in tempi posteriori) o la moglie
divorziata del fratello. Arriva un prete di una nuova setta ed informa il
governatore che questo matrimonio è illegale. Immaginate i sentimenti di
Erodiade! Da una parte il divorzio – forse la morte o la povertà – con una
figlia in procinto di nascere; dall‟altra, un profeta descritto come un pazzo.
Ed a quei tempi veniva considerata una cosa naturale, insignificante e
comune il mettere a morte qualcuno che intralciava la tua strada, se si
poteva, proprio come fece calvino con Servetus quando gli si mise in mezzo
o come venne fatto a diversi milioni di eretici (alcuni per il loro denaro)
115
dalla Madre Chiesa. E così Erodiade fece quello che credo la maggior parte
delle matrone cristiane di mentalità mondana farebbero oggigiorno nelle
medesime circostanze – e tolse di mezzo San Giovanni. Ciò che mi
domando in questa storia è chi fosse Erodiade – di che sangue fosse, quali
erano le sue proprietà? In questa storia di comune vendetta, tuttavia, non vi
è nulla che possa ricondurla ad occupare la posizione di Regina, insieme a
Diana, di una immensa e ramificata confederazione di streghe e stregoni.
Che le streghe e gli stregoni abbiano mai praticato la stregoneria o meno –
qualunque cosa fosse – una cosa è certa: che bande di peccatori uomini e
donne che si credevano ispirati dal diavolo uscivano sotto la luce lunare
armati di scope, forconi, capre, eccetera e bevevano, sprecavano e
danzavano tutta la notte. Praetorius dice: “Ma le danze degli stregoni
rendono la gente pazza e furiosa, così che le donne perdono il frutto dei loro
corpi.” Ora, potrebbe essere naturale per certe femmine dovunque ed in
qualunque paese il danzare pazzamente e nude, ma io dichiaro che le
tradizioni dell‟antichità in merito sono tutte di origine Sirio-Indo-Persiana.
Moses Maimond ci dice che quando si alzava il Sole le figlie degli antichi
Persiani danzavano nude, cantando. Delancre, scrivendo delle streghe,
osserva che esse facevano la stessa cosa delle ragazze persiane durante i
sacrifici. Quindi le donne danzanti dell‟India e della Persia hanno una
origine comune. La tradizione dice che un certo re dell‟India un tempo
mandò dieci danzatori e musici in dono al re di Persia ed essi si mutarono in
irrimediabili inetti. E tutti i danzatori in tutte le epoche formarono una
corporazione chiusa. Solo i professionisti danzavano. E‟ perciò possibile, se
non probabile, che Erodiade – madre e figlia – appartenesse all‟antica e non
onorevole compagnia delle streghe e degli zingari e che il loro nome,
coincidente con quello di Erode, sia stato attribuito in tempi precedenti ad
una forma di Lilith.
Ho incontrato in Italia molte persone che, pur non conoscendo nulla di
Diana come Dea Romana, la conoscono come Regina delle streghe.
Riguardo ad essa, possiamo osservare che al tempo dei Romani veniva
adorata particolarmente dagli schiavi fuggitivi “forse perché si
nascondevano nelle foreste.” Perciò potrebbe essere che le streghe e gli
stregoni abbiano, in quanto fuoricasta, ereditato una certa predilezione per
lei. Come Dea della segretezza e della stregoneria, ella era anche patrona di
coloro che fuggono il giorno ed hanno rapporti con l‟umanità: le streghe, i
fuorilegge, gli uomini falliti, gli schiavi in fuga, i favoriti della Luna e tutti i
Figli della Notte erano tutti sotto la sua protezione ed è piacevole pensare
che in epoche in cui vi era una tale enorme oppressione degli sfortunati le
vittime avessero, se non un Dio, almeno una Dea che potevano pregare.
116
Offerte agli Spiriti
Così come vengono invocati e si crede fin dalle prime ere in Toscana negli
stessi spiriti di rocce e fiumi, di fonti, caverne e foreste, così continuano ad
essere fatte loro le stesse offerte che venivano fatte nell‟antichità. E, quando
chiesi informazioni in materia, ricevetti prontamente diverse spiegazioni o
illustrazioni di ciò che si comprendevano essere doni votivi. Si deve
comprendere che questi differiscono completamente in spirito e forma da
qualunque cosa venga offerta ai santi.
“Sì. Per esempio, se un contadino passa accanto ad un boschetto e ad una
roccia in cui vivono folletti o fate, sotterrerà lì del denaro o degli spilli per
fare loro piacere, dicendo:
„Questo lo sotterro per far piacere agli spiriti (o alle streghe) che ne
potrebbero aver bisogno. E così pure a me in cambio daranno la buona
fortuna!‟
O potrebbe essere che egli passi vicino ad una fonte o ad un corso d‟acqua,
e lì dentro getterà il suo dono, ripetendo le stesse parole adattate al luogo.”
Ma venni ulteriormente informato sulla materia con queste parole:
“Offerte agli spiriti o ai folletti? Sì. Quando uno spirito viene di notte in una
casa e causa molto fastidio come incubo, sedendo sul petto della gente e
soffocandola, se essi mostrano paura il folletto toglierà via loro tutte le
coperte, li farà cadere dal letto e se ne andrà con uno scoppio di risa. Per
prevenire questo, gli si fa un‟offerta. Ciò che preferisce sono tre girasoli
posti sul davanzale fuori dalla finestra. Quindi dite:
„Metto questi tre girasoli alla finestra perché lo spirito non mi venga a
tormentare dove si trova il Sole a girare. Se in casa mia vuol venire, almeno
non mi faccia ingrullire, la notte in pace mi faccia dormire!‟
E quando avrà fatto e detto questo, lo spirito smetterà di disturbarlo – non
potrà più dargli noia – ed egli potrà riposare.”
La prossima illustrazione è molto curiosa:
“Talvolta i goblin e le streghe si incontrano nei boschetti o nei giardini e se
qualcuno volesse sapere chi o cosa essi siano, che guardi da una finestra a
mezzanotte e vedrà delle forme che si radunano sotto gli alberi, di cui una è
il capo che dà gli ordini. Se appaiono in forme umane, sono spiriti che
passano liberamente a volontà e quindi rimangono come sono. Ma se sono
streghe e stregoni, giungono sotto forma di capre, capretti, talpe o altri
animali, perché quando lasciano le loro case lasciano anche le loro forme
umane dormienti nei loro letti, così come le loro camicie, perciò devono
assumere l‟aspetto di animali o divenire animali. Ora, queste streghe
causano molto danno sradicando le piante e spezzando rami per fare dei
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giacigli per fare l‟amore e così i contadini o i proprietari di giardini o
boschetti, spargono paglia o foglie o erba come offerta e nel mentre dicono:
„Quest‟erba fresca per terra voglio spandere perché le streghe vengano a
riposare coll‟amante.‟
Ed esse hanno questo potere; che, se assumono la forma di capre, possono
prendere via persone che non sono streghe, che siano gentili o semplici, nel
sonno per portarle ai loro raduni e così scelgono i giovani e la ragazze più
belli con cui fare l‟amore. Ora, tra le streghe e gli stregoni vi sono anche
principi e principesse che, per nascondere la loro dissolutezza ed il loro
disonore, prendono forma di capre e portano via sulle loro groppe i partner
per la danza; e così percorrono volando molte miglia in pochi minuti e
vanno con loro in città distanti o in altri luoghi, dove festeggiano, devono,
danzano e fanno l‟amore. Ma quando si avvicina l‟alba riportano
nuovamente a casa questi partner i quali, al risveglio, pensano di avere fatto
dei bei sogni. Ma in realtà questa diversione è stata più reale di quanto
suppongano. Ma se si guardano intorno troveranno sempre nella loro stanza
del denaro, che sia di rame o d‟argento, perché questo denaro stregato deve
sempre essere dato. E quando lo trovano, o trovano spilli o aghi, devono
gettarli tutti in un fiume o in acqua corrente, perché in tal modo verranno
liberati dalla possibile vendetta della stregoneria.”
Il lasciare dei girasoli sul davanzale della finestra, secondo un‟antica
simbologia, significa scoprire l‟offensore e per esso significa che è stato
scoperto. Perciò, in accordo con questo, Albertus Magnus ci informa che se
qualcuno ha subito un furto, se dormirà con dei girasoli sotto il cuscino
sognerà chi è il ladro. Questo perché il girasole è simbolo del Sole che
splende – cioè che vede e cerca – su tutte le cose. Ed in quanto immagine
del giorno esso spaventa gli spiriti dell‟oscurità.
La terza storia è molto importante per spiegare almeno una ragione per cui
vengono gettati nella fonti monete e spilli. Ed è molto importante nel gettare
una nuova luce sulla causa della trasformazione delle streghe in animali,
perché in tutti i molti trattati che ho letto sulla stregoneria non ricordo di
avere visto una spiegazione in merito. Secondo questa teoria probabilmente
antica, come credevano Battista Porta e molti altri, i corpi rimangono
addormentati mentre le anime si involano o la cavalcata delle streghe viene
solo sognata. Secondo la mia informatrice romagnola l‟anima della strega
entra in alcuni animali perché ha desiderio di una forma migliore.
In alcune opere di Praetorius ed altri ho trovato storie di gente che è andata
spesso ai Sabbat sopra a delle capre e ne è ritornata, pur non essendo mai
stata streghe o stregoni.
118
Capitolo IX
Lo spirito dello
scaldino
Durante il regno di Carlo II, in
Inghilterra si diceva spesso che le
donne in Olanda rimanevano
incinte semplicemente a causa
dell‟abitudine di portare sotto la
sottana un piccolo ricettacolo, uno
scaldino in cui venivano collocati
dei carboncini ardenti. Questi
scaldini, fatti di legno e latta, si
possono ancora vedere tra le
donne dei mercati a Philadelphia.
Il risultato di tale gravidanza era un piccolo elfo o un goblin, che è una
strana piccola creatura di carne e sangue. In Italia le donne portano uno
scaldino, un recipiente a forma di cestino ma fatto di terracotta smaltata.
Viene riempita con cenere e carbone ed è così comune che in Italia ve ne
sono tanti quanti sono gli abitanti – almeno al nord. E, siccome vengono
spesso messi sotto i vestiti vicino al corpo, non stupisce che sia nata l‟idea
che quel piacevole calore potesse ingravidare. Era conosciuto fin dalla più
remota antichità e Spenser ci racconta nel “Ferie Queene” di come una bella
signora venne esposta nel sonno ai raggi del Sole i quali, entrando nella sua
persona, la ingravidarono. I Toscani, più poetici o più di mentalità classica
rispetto agli Olandesi, credono che lo scaldino metta la donna incinta ma di
un folletto o di una graziosa fata aerea, la cui regola di vita è “la luce viene,
la luce va”, perché rimane per breve tempo nel ventre e ne fugge o nasce
senza essere notato di notte, svanendo senza essere notato come l‟aria.
119
Quando una ragazza o una donna sospetta di essere stata resa madre, se
dovesse desiderare di vedere la sua progenie ripeterà le seguenti parole:
“Folletto! Folletto! Folletto! Che voli per l‟aria più lesto del vento, tu lo fai
per non farti vedere da alcuno, ma io che desidero vederti sono una persona
che tanto ti ama; sono la tua vera madre, perciò mi raccomando che tu ti
faccia vedere almeno per una volta!”
Ed egli giunge in sogno o magari nella realtà – chissà? Chi sa qualcosa di
tutto ciò o di quale vita vivono coloro che credono in queste cose? Devono
avere visto o immaginato qualcosa, altrimenti come potrebbero queste
persone conservare queste fantasie di epoca in epoca, di padre in figlio ed
oltre. O tutta la vita è un sogno? E tuttavia in che modo possano farlo
appare comprensibile, se ci si riflette. Quando un uomo non è interamente
assorbito dalla vita nelle città, nelle fabbriche, nelle case o nella “società” e
quando è a casa “nei boschi selvaggi dove cantano gli uccelli”, allora la
Natura o il suo istinto per la compagnia lo fa sentire come se vi fossero
delle anime negli alberi, uno spirito che dimora nel focolare, sotto alla
soglia, persino nello scaldino in cui bruciano i carboncini. Lo stadio
polipanteistico, quando l‟uomo passò dalla fase del fare di ogni oggetto un
Dio alla sensazione di essere uno spirito in un tutto, deve essere coevo ad
una sorta di maggiore sviluppo della vita sociale, ma quando la vita rurale o
la vita selvatica o la Natura esercitavano ancora una profonda influenza. In
una vita simile ci circondiamo lietamente di strani compagni e crediamo che
la Natura, che è così meravigliosa ed apparentemente ispirata come vita e
pensiero ad essere un tutto unico, esista anche in esseri separati. Gli uomini
non ragionano in questi termini, ma gli Indiani Americani o i contadini
toscani lo sentono ed agiscono nel suo spirito. Mentre questo spirito di
Natura esisteva ancora, Shakespeare scrisse sotto la sua ispirazione ed artisti
di spinsero e tutta l‟arte provenne da esso. E, da quando esso è morto, noi
diciamo che la poesia e l‟arte sono imitazioni di ciò che fece chi realmente
viveva in esso.
Ciò che è più curioso nel fatto di avere un figlio che scaturisce dal fuoco in
una maniera così familiare è che la storia più antica di questo genere è
Etrusca. Viene narrata da Dionisio, Ovidio e Plutarco e dice così:
“Tarquinius e sua moglie, la saggia Tanaquil, erano seduti a mangiare
mentre Ocris, la figlia prigioniera del re di Corniculum, li attendeva.
Quando si avvicinò al fuoco per gettarvi le usuali offerte al Lar familiaris,
uscì dalle fiamme un fascinum (fallo). Spaventata, ella lo disse a Tanaquil,
che si occupò lei stessa di vestirla con abiti nuziali e la fece sedere vicino al
focolare. In tal modo, ella concepì dal calore ed ebbe un figlio, Servius
120
Tullius. E venne detto che una volta, mentre lui dormiva, i suoi capelli
apparvero come se fossero fiamme.”
In effetti, questa è un‟altra forma della storia del bambino concepito grazie
allo scaldino. Il lettore osserverà che Dusio, Cupra, Attilio o il Lar
familiaris, che in queste storie toscane è lo spirito del focolare, seduce
sempre una serva. E questo suggerisce qualcosa che il lettore farebbe bene a
tenere a mente: prendendo tutto assieme – le storie toscane popolari
moderne, gli incantesimi, le magie e le osservanze o le descrizioni degli
spiriti – e paragonandoli a ciò che ci è stato detto dagli scrittori latini,
troviamo che l‟antico conferma continuamente l‟estrema antichità del
moderno. Che il fuoco fosse una creatura o una esistenza vivente (come
viene tuttora riconosciuto dalla Chiesa d‟Inghilterra) era credenza di tutte le
religioni di tutte le epoche, come viene illustrato da Schedius e Friedrich
con una vasta gamma di autorità in materia. Che esso fosse uno spirito in
grado di concepire figli spirituale era una conseguenza naturale. Penso
perciò che, tutto considerato, nella credenza sullo scaldino abbiamo una
probabile ben fondata continuazione dell‟antica storia etrusca del gobelin
del fuoco e della bella figlia del re caduta in servitù.
E‟ interessante sottolineare che nella tomba Golini, a Orvieto, così come a
Pompei, sopra il forno o il focolare veniva rappresentato un fascinum, o
fallo, probabilmente a significare lo spirito del focolare.
Artemisia
Sono rimasto stupito nello scoprire che il nome Artemisia è conosciuto solo
come nome di una strega – qui un vampiro – che succhia il sangue dei morti
nelle loro tombe. Questo indica una qualche connessione con Diana come
strega malvagia. Il nome è stato prontamente riconosciuto, ma non sono
riuscito a saperne di più al riguardo. Preller identifica Diana Artemis con
Hecate.
Red Cap
“Lord Foulis sat within his tower, and beside him old Red Cap sly; 'Now
tell me thou sprite who art mickle of might, the death that I shall die.'"
Minstrelsy of the Border
“Ecco un‟antica descrizione dell‟abito degli esseri fatati: „Essi indossano un
cappello conico rosso, un mantello di panno verde con intarsiati dei fiori
selvatici, dei pantaloni verdi abbottonati con bottoni di seta ed una cintura
d‟argento. Portano faretre di crosta ed archi fatti con le costole di un uomo
seppellito laddove “tre terre di signori” si incontrano; le loro frecce sono
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fatte di canne con la punta si selce bianca e vengono intinte nella rugiada
della cicuta; cavalcano destrieri i cui zoccoli non “spargono la rugiada dalla
coppa di una campanula.‟” – Anonimo
In Romagna ed in Toscana vi è una classe di goblin o esseri fatati che sono
pressoché identici ai Leprechaun irlandesi, che possiedono tesori che
vengono ceduti solo dietro costrizione. Non ho potuto sapere se l‟elfo
italiano abbia un qualunque altro nome oltre a Il Folletto con la Berretta.
Mi è stato descritto come segue:
“Quando di notte udite nella vostra stanza dei rumori misteriosi o un suono
come se qualcuno frugasse e siete certi che provengano da visitatori
sovrannaturali, preparatevi mettendo un lampada accesa nella stanza e
coprendola con una ciotola di terracotta, ma così bene che non di possa
vedere un solo barlume di luce. Quindi, quando udrete un rumore nella
stanza, scoprite la luce il più velocemente possibile e, se lì vi sono dei
goblin, se ci riuscite prendete il cappello di uno di loro e dite:
„La berretta ti ho portato via! Ma non è la berretta che ti ho portato via, m
ala pace che più non ti darò se non mi dici prima dov‟è nascosto il tesoro.‟
Che in Romagnolo suona così: „A t‟ho porté vì la bretta, ma an t‟ho porté vì
la bretta, t‟ho porté vì la pes, che più an t‟darò in fè che tu n‟m‟avré det
indole le piate e tesor!‟ Allora lo spirito, per riavere il suo cappello, dirà
dov‟è nascosto un tesoro.”
Questo è abbastanza classico. “In Italia conoscevano” dice Preller
(Römische Mythologie, p. 488) “una classe di spiriti che sapevano dove
fossero nascosti i tesori e che li sorvegliavano. Venivano chiamati
Incubones e indossavano dei cappelli (simbolo della loro natura segreta). Se
qualcuno riusciva a rubare questi cappelli, poteva costringerli a rivelare
dove questi tesori fossero nascosti.” (vedi Petronius, s. 38; vedi Grimm,
Deutsche Mythologie, pag. 479). Questo elfo dal cappello rosso e dalla
camicia stretta è comune nelle pitture murali romane e sui vasi etruschi. E‟
diffuso in tutto il mondo, in Germania e nei paesi scandinavi ed anche gli
Indiani Algonchini d‟America lo hanno preso dai Norvegesi. Ma è molto
probabile che gli Etruschi o i loro vicini siano stati i primi ad averlo. Cosa
che, tuttavia, lascio determinare a uomini più dotti. E‟ tuttavia certo che gli
Indiani d‟America ed i contadini romagnoli sono le uniche persone al
giorno d‟oggi che credono realmente nella sua esistenza. Non è improbabile
che questo goblin con il cappello rosso sia una derivazione del picchio dalla
testa rossa Picus, che in tempi antichi gli Italiani credevano fosse uno spirito
guardiano di tesori e talvolta, sotto costrizione, mostrava loro dov‟erano
nascosti, come ho mostrato in un altro capitolo. Tutto questo, come tutto il
122
resto contenuto in quest‟opera, lo sottopongo solo in quanto tale ed il suo
valore spetta ad altri determinarlo.
Red Cap su una lampada Romana
Preller sostiene che i Red Cap ed altre Divinità minori, o goblin domestici
dal carattere scherzoso, appartengano alle mitologie teutoniche o celtiche
più che a quella italiana. Ma egli dimentica qui che, nonostante il mondo
abbia imparato grazie alle favole dei Grimm o ad influenze personali
infantili ad associare questi spiriti al Nord, in realtà la storia autentica e
scritta li mostra come familiari agli antichi Latini ben prima che si sentisse
parlare delle credenze celtiche o germaniche. Secondo David MacRitchie,
l‟origine di tutto il “piccolo popolo” è da ricercarsi in una precedente razza
di nani, scacciata da un popolo più vasto e forte – un processo che
probabilmente è stato visto in tutto il mondo. Questo non interferirebbe con
la creazione di altre personificazioni di nanetti, come quello che appare alla
maggior parte dei bambini che trattano il pollice e le dita come una sorta di
esseri fatati o credono che le rane e gli uccelli assumano forma umana di
nani. In merito al Red Cap, come ho già detto, vi sono testimonianza che
pare indichino la sua origine etrusca ed è una personificazione del picchio
dalla testa rossa, che è una piccola forma di Picus o Picumnus. I goblin
domestici italiani, come quelli del Nord, si dice che imitino i suoni. Uno
scrittore del XVI secolo ci dice che il giorno prima dell‟arrivo di una grossa
quantità di mercanti alla locanda, la gente che vi dimora spesso ode gli Elfi
imitare il suono di piatti di bilancia risuonare come se vi fosse messo del
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peso sopra, il tintinnìo del denaro e tutte le circostanze della compra-
vendita. Ed è davvero notevole che, come si può vedere presso il Museo
Etrusco di Gori, i goblin dal cappello rosso (red cap) dell‟antica Italia
vengono talvolta rappresentati con pesi e bilance e con atteggiamenti da
mercanti. Ma in tutti i paesi si dice che tengano delle fiere, come il
“Mercato dei Goblin” di Cristiana Rossetti testimonia. Colui che si ritrova
in queste fiere può comprare diamanti e perle per un penny, ma deve fuggire
subito o subirà delle sventure. E se arriva un visitatore, si può udire la sua
voce e la notte prima di una pioggia o di una tempesta il piccolo popolo farà
suoni come di una doccia o del soffio del vento quando tutto è silenzioso.
“Cos‟è che fa un rumore così veloce e vicino? E‟ la pioggia sul tetto quella
che odo? Non è la pioggia, non è la grandine, ma sono gli Elfi e le streghe
che danzano come una tempesta. Prima in un ticchettio e poi in una
impennata, questo è il modo della danza elfica.”
Uno scrittore del Philadelphia News somma i diversi nomi con cui è
conosciuto il piccolo popolo. Sono: “fate, elfi, gente elfica, esseri fatati,
archetti, ouphes, fanciulle-alce, donne-alce, nani, troll, norne, nisses,
coboldi, duende, brownies, colli, stromkarls, fati, piccoli individui, ondine,
fatine delle acque, salamandre, goblin, hobgoblin, pooka, banshee, kelpie,
pixy, popolo del muschio, buon popolo, buoni vicini, uomini di pace, donne
selvagge, signore bianche, peri, djinn, geni e gnomi.” Scusando i meri
sinonimi, tutti questi possono essere trovati nella tradizione italiana antica e
tuttora esistono tra le montagne. Ma in realtà si possono trovare in tutto il
mondo, che si tratti delle terre più orientali o dell‟America.
La stregoneria nell’arte antica
“Twist ye, twine ye, even so, Mingle threads of joy and woe.”
Guy Mannering
“Pingue duos angues: pueri, locus est sacer.” Persius (sat. I, 113)
Ella era seduta ad un tavolo su cui vi era una di quelle semplici e belle
lampade lunghe d‟ottone con tre luci, come ci sono giunte fin dal tempo dei
Romani; nelle sue mani vi era uno scaldino, che era tutto il fuoco che essa
conoscesse come riscaldamento; alla finestra crescevano erbe di un
profondo significato mistico, non per bellezza ma per la magia, ed io le
chiesi se fossero stati ritrovati molti oggetti antichi laddove ella dimorava.
Riflettendo un istante, come al solito, ella disse:
“Molti. Gli stranieri vengono da noi e scavano fuori dal terreno i vasi neri e
gialli che i nostri antenati fabbricarono molto tempo fa. Come a Cesena, per
esempio. Cesena è in Romagna. Talvolta i contadini, scavando il terreno per
costruirvi sopra, trovano delle medaglie e dei vasi antichi di migliaia di
124
anni. E tutte queste cose erano state fatte per le streghe secondo la loro
credenza e tutte queste cose fanno parte della magia e della stregoneria,
perchè in quei tempi tutta la zona era piena di streghe. E la ragione per cui
vengono ritrovati in luoghi segreti e tra antiche rovine o simili è questa:
quando giunsero i preti, non permisero che le streghe venissero seppellite
nei camposanti, perchè dicevano che streghe e stregoni erano degli
scomunicati. Così essi fecero in modo di farsi seppellire da gente dei loro e
quando una strega moriva le altre la interravano segretamente nella sua casa
o nella sua cantina con i suoi vasi e le sue medaglie da strega e tutte le cose
che usava nella sua arte. E prima di morire ella insegnava agli altri tutti i
suoi segreti. Ed ecco perchè non le troviamo mai sepolte nei terreni cristiani
e troviamo vasi e medaglie molto antiche nelle loro tombe, perchè queste
cose fanno tutte parte della loro antica credenza o della stregoneria e così
esse non potevano essere poste nei camposanti. Perchè nei tempi antichi la
stregoneria aveva una religione e veniva chiamata la religione della
stregoneria e quello che vedete sui vasi antichi sono nomi e ritratti di
streghe e stregoni dell‟antichità. E su di essi vi sono immagini di Tigna e di
Faflon e di tutte le altre streghe o maghi che sono divenuti spiriti.”
Ho letto di un uomo che si è “allontanato da una realtà cristiana e si è
corrotto fino a divenire un idealista pagano”. Questo era scritto in una storia
ma i miei amici erano realmente delle sopravvivenze pagane e, nonostante il
fuoco dello spirito sia bruciato piano tanto da essere stato sommerso dalle
ceneri e solo ogni tanto ha fatto scaturire una fiammata, era per me
meraviglioso – sì, terribile – che un tale scintillio di fede pagana sia
sopravvissuto e che vi sono ora donne vive che parlano degli etruschi Giove
e Bacco come di Divinità che vengono tuttora adorate da alcuni e le cui
immagini si vedono sui vasi antichi. Nonostante si sia degradata alla
condizione più umile e stia scomparendo rapidamente, la stregoneria è
tuttora una credenza e non semplici frammenti di folklore o di antiche
superstizioni. Sì, le cerimonie e gli incantesimi, i talismani e gli amuleti che
ho visto così spesso fare o preparare fino a che sono divenute per me cose
familiari, tutto ciò possiedono la stessa canuta antichità.
Il motivo per cui sembra esservi tanta luce in un sorriso italiano, tale
intensità di passione, anche nei contadini, unita ad una certa indescrivibile
pittoricità è perchè tutte le loro abitudini di pensiero e tradizioni sono
derivate nel corso dei millenni da stadi della società in cui l‟Arte e la Fede
nel senso più profondo hanno influenzato ogni azione della vita. E,
nonostante l‟Arte non esista più, gli impulsi che ha creato continuano a
vivere nel sangue e nella mente e si trasmettono ereditariamente – così
come l‟acqua di un fiume continua a saltare ed a spumeggiare molto tempo
125
dopo che è passata oltre a qualche grossa cateratta. E‟ stata l‟Arte ad
ispirare i vasi etruschi, i gioielli e gli specchi; nè meno artistico fu il
sentimento che creò Divinità, goblins, spiriti folletti ed elfi con le loro
caratteristiche e le loro leggende e la loro mistica consanguinea, la
stregoneria. La fede senza l‟arte è come un uovo non ancora schiuso; l‟arte
senza la fede è un guscio d‟uovo vuoto che non vale nulla – tranne che per
alcuni stregoni, come Zola, il quale ne fece una imbarcazione per viaggiare
verso il diavolo. Questi discendenti degli antichi Italiani che hanno
conservato le loro antiche superstizioni nella semplice fede hanno anche –
inconsciamente – portato con sè l‟arte che dona la vita – e la vita è luce e
fuoco e sentimento.
Questo parlare degli antichi Etruschi mi ha fatto pensare ai serpenti ed io
chiesi se i contadini della Romagna avessero qualche credenza in merito.
“Sì. Talvolta essi dipingono un serpente sul muro per tenere alla larga il
malocchio o le streghe maligne e per portare fortuna. Ma la testa deve
essere rivolta verso il basso ed intrecciata e la coda al di sopra.”
“Ed i serpenti intrecciati significano fortuna?”
“Ah, questo è risaputo e non solo per quanto riguarda i serpenti, ma tutti i
tipi di corde che si possono intrecciare o qualunque cosa possa attirare lo
sguardo di una strega. Quando una famiglia teme di venire stregata,
dovrebbe intraprendere qualche tipo di lavoro intrecciato, perché le streghe
non possono entrare in una casa dove c‟è qualcosa del genere appeso come,
per esempio, schemi di due o tre serpenti intrecciati o altri tipi di ricami, ma
sempre con schemi di intreccio. Così, nel fare camice o mutande o
qualunque vestito per uomini o donne, nel cucirli si dovrebbe sempre
cercare di incrociare il filo di cotone come si fa nel cucire le scarpe e
formare una croce con esso, perché le scarpe sono più soggette alle
stregonerie (perché le scarpe sono quelle più facili a prendere le
stregonerie). E quando le streghe vedono questi intrecci non possono fare
nulla, perché non possono contare né i fili né i punti. E se abbiamo su di noi
o vicino a noi qualcosa del genere, esse non possono entrare perché
l‟oggetto abbaglia o offusca la loro vista ed esse sono incapaci di fare
danno. E per fare bene questo (tenere il sistema) dovreste prendere del filo
di cotone o di seta o di lino e fare una treccia con 6, 7 o 8 capi o quanti
volete – più sono e meglio è – e portarla sempre nel vostro borsellino;
questo vi proteggerà dalle streghe. Potete trovare trecce del genere fatte
molto bene con seta di tutti i colori in alcuni negozi (ed anche di cotone,
n.d.t.) ed esse fungono da talismani contro il malocchio.”
Nella mia opera Gypsy Sorcery vi è il seguente passaggio (pagina 98):
126
“Esiste una credenza molto curiosa o un principio riguardante l‟uso delle
canzoni nel fare scomparire le streghe o nell‟allontanare la loro stregoneria.
E‟ che la strega sia obbligata, volente o nolente, ad ascoltare fino alla fine
ciò che è in metrica – un‟idea basata sull‟attrazione della melodia, che è
molto più forte tra le popolazioni selvagge ed i bambini che tra gli adulti
civilizzati. Pressoché compagna di questa è la credenza che se la strega vede
degli schemi intrecciati o confusi e stupefacenti, essa deve seguirli e così i
suoi pensieri vengono sviati o dispersi. Da qui le iscrizioni serpentine dei
Celti e dei Norvegesi e le loro bande intrecciate che si credeva fermamente
portassero fortuna o sviassero le influenze negative. Una persona che ha
viaggiato in Persia afferma che gli schemi dei tappeti di quel paese sono
fatti nella maniera più stupefacente possibile „per sviare il malocchio‟. Ed è
con questo scopo che, nella stregoneria italiana come nelle altre, così tanti
incantesimi e talismani sono basati sull‟intreccio di corde (vedi
l‟incantesimo della pietra forata). La base di questa credenza è il fascino o
l‟interesse che molte persone, specialmente i bambini, provano per l‟azione
di tracciare degli schemi, le linee di un labirinto o per analizzare e
disingarbugliare nodi.” Ho condotto studi seri ed estensivi sugli schemi
intrecciati, cominciando con la Palæographia Picta di Westwood in cui egli
afferma che gli Irlandesi siano l‟origine di tale arte. Li ho studiati con
grande interesse nei musei in Irlanda, Norvegia, Svezia e Danimarca,
Inghilterra e Scozia e ne ho copiati letteralmente migliaia. Fin dall‟inizio
ero profondamente convinto che in tutti questi intrecci celtici di infinite
lucertole irlandesi ed eterni serpenti scandinavi fino ai nastri gotici, alla
corda fiorentina ed agli intrecci di viti, vi fosse un significato mistico
espresso in una scrittura occulta e riguardante profondi e strani segreti della
stregoneria. E‟ interessante citare ciò che mi ha dato questo suggerimento.
Vi è un libro di cui Trollope dichiara di credere di essere l‟unica persona in
Europa ad averlo mai letto. Io l‟ho, tuttavia, potuto studiare in tre occasioni
ed in tre versioni prima di compiere il sedicesimo anno di età, cosa che
menzioni per mostrare quale impressione esso fece su di me, perché un tal
genere di lettura a quell‟età colpisce profondamente nell‟animo. Si trattava
di The Unheard-of Curiosities di Gaffarel, in cui egli afferma in maniera
infantile ma che colpisce la grande idea di Paracelso che le stelle in cielo,
nei loro relativi aspetti e corsi, formano I punti delle lettere ebraiche o
geomantiche e che le linee sulla corteccia degli alberi e quelle sulle
conchiglie del mare e sui pesci, la curva delle acque quando si agitano nel
ruscello o si innalzano nelle onde dell‟oceano, il volo dell‟uccello e la
flessione tremolante di una fiamma o tutte le forme ispirate dallo spirito
della Natura, o l‟Archeus, formano degli eternamente varianti geroglifici di
127
una vasta scrittura, di cui possiamo ottenere la chiave grazie all‟ispirazione
ed allo studio. La poesia di quest‟idea entrò nella mia anima ed io la serbai
per molto tempo, fino a leggerne altro in Wordsworth ed in Shelley. Era il
mio primo anno di college ed ero solito fare ogni giorno delle lunghe
passeggiate solitarie tra i boschi e sedere presso rocce grigie ed acque
silenti, cercando di rintracciare con l‟aiuto della poesia un poco di questa
divina calligrafia
Identico a questa legge o istinto per cui il malocchio deve per forza seguire
gli schemi, è che la strega sia obbligata a contare, con gré mal gré, tutti i
chicchi di riso o sesamo o grano che incontri. Così nelle Arabian Nights il
ghoul Amina deve mangiare il suo riso chicco per chicco con uno spillone.
Nel South Carolina il riso cotto a forma di croce posto vicino ad un letto
impedisce ad una strega di arrivare alla sua vittima, perch‟essa deve
rimuoverlo chicco a chicco fino a quando potrà raggiungerlo e non può
evitarlo. Ed ho mostrato altrove che il rosolaccio, o Riso della Dea dei
Quattro Venti, viene considerato protettivo perché le streghe non riescono a
contare le sue foglie simili a riso e così ne rimangono sconcertate. Questa
credenza veniva portata fino al considerare le superfici corrugate e ruvide
una sorta di protezione dal male. Così la stalagmite, o pietra di salagrana, è
molto popolare contro il malocchio, che significa tutta la stregoneria
avversa.
Io congetturo – perché non è possibile ancora provarlo – che i popoli celtici
dell‟est dell‟antichità, durante la migrazione delle razze – ad esempio
attraverso l‟Ungheria, la Gran Bretagna e la Gallia –, abbiano posseduto
intrecci e li abbiano usati costantemente. I Bretoni, generalmente, facevano
dei cesti dipinti con colori allegri – bascaudæ – che venivano inviati a
Roma. Questo suggerisce intrecci. I monaci e gli artigiani irlandesi
svilupparono questi schemi per i cesti usando manifestamente, come
evocativo più accomodante, nastri, funi o corde come ho fatto io stesso per
fare dei disegni. Non penso sia necessario adottare la piuttosto spiacevole
idea proposta in un grande libro sul ricamo in cui si dice che per modelli
venissero usate le viscere di animali. Un mese di disegno intelligente vale
tutta la teoria del mondo e non credo che venissero impiegate delle viscere
per suggerire dei motivi più di quanto creda che venissero utilizzati al
medesimo scopo dei vermi, come mi venne una volta suggerito da un certo
intagliatore di legno che non riusciva a vedere beltà in alcuna cosa eccetto
che negli schemi barocchi. Ma per ritornare agli intrecci o al magico potere
dei nodi intrecciati, se ne parla molto nella tradizione delle strege. Il gelso,
molto importante in Italia, possiede naturalmente superstizioni sue proprie,
e tra esse vi è, curiosa, la seguente:
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“Quando un contadino pota i gelsi che sono per i bachi da seta, deve
tagliarli in modo che i rami restino intrecciati, nel qual caso i bachi saranno
protetti dal malocchio o da influenze negative da parte di qualche strega.
Ma deve stare attento anche che, per quanto belli possano essere i bachi,
nessuno lo dica, perché il dirli „belli‟ durante le tre malattie che essi
attraversano prima di fare la seta causerebbe la loro morte. State anche
attenti a qualcuno che entrasse in casa e dicesse „Belli quei bachi!‟: gettate a
quella persona una manciata di foglie perchè essa, infastidita, getterà le
foglie ai bachi ed il malocchio, se l‟hanno preso, verrà rimosso.”
In Italia, così come nell‟est, si teme molto una lode imprevista, che sia sugli
animali o sui bambini, perché coloro che fascinano o stregano la usano
sempre. Anche le convolvolacee, che includono il caprifoglio ed il
convolvolo purpureo, sono una protezione contro le streghe a causa dei loro
viticci intrecciati.
“Coloro che temono un incantesimo o il malocchio dovrebbero tenere il
convolvolo nei loro giardini o in un vaso sulla finestra, perché tra tutti gli
altri fiori esso è quello che le streghe non possono sopportare; e non
possono entrare in una casa dove vi né quella pianta a causa dei suoi viticci
(nerbolini) simili ad una massa di serpentelli intrecciati ed aggrovigliati, per
cui rimangono fuori. Questa pianta fiorisce di notte ed i suoi bei fiori in un
bouquet con i suoi viticci abbagliano la vista delle streghe e le mantengono
lontane.”
Questo, come potrebbe pensare il lettore, è valido anche per un intreccio
gotico o ornamenti serpentini, nodi d‟amore o per pesci o frasi in Hegel!
Lenormant, nel suo Magie Chaldaienne, parla dell‟antichissima usanza dei
nodi magici – che consiste nel fare delle trecce come gli antichi Assiri, di
cui egli dice che veniva fermamente creduta l‟efficacia anche nel Medioevo
ed illustra quanto segue contro una malattia o un dolore alla testa:
“Annodate a destra e disponete la superficie in bande regolari sulla sinistra
del diadema della donna; dividetela per due volte in sette piccoli fasci:
avvolgete la testa dell‟invalido con essa; avvolgete la fronte dell‟invalido
con essa; avvolgete la sedia della vita con essa; avvolgete le sue mani ed i
suoi piedi con lui seduto sul letto; versate su di lui dell‟acqua incantata.
Lasciate che la malattia della sua testa sia portata via nei cieli come un
vento violento, che la terra possa inghiottirlo come acque che passano!”
Da questo possiamo capire che l‟annodare i capelli era un incantesimo per il
mal di testa. Nel complesso, questa applicazione delle corde alle tempie o
ad altre parti del corpo è pressoché identica all‟uso odierno. Questo soggetto
dell‟intreccio come protezione contro la magia negativa o come amuleto è
pressoché compagno dell‟idea che i buchi e le scabrosità nelle pietre – vedi
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la salagrana –, le rime magiche e la musica confondente, così come i colori
mischiati, attraggano e confondano la mente. Tutti producono lo stesso
effetto. Sono grato a Miss Mary Owen del Missouri per ciò che segue
(imparato da una strega nera), che p abbastanza collegato all‟intreccio:
“Quando un uomo è visitato nel sonno da streghe che lo tormentano,
dovrebbe allacciare al camino un panno di lino grezzo o un setaccio; legate
alla testiera del letto un paio di corde di lana o un mazzo di foglie di felce in
cui i semi siano quasi maturi; spargete una tazza di semi di mostarda sulla
soglia di casa. La strega dovrà contare gli interstizi del panno o del setaccio,
i semi della felce o i denti delle corde e dovrà raccogliere ogni seme di
mostarda contandoli; solo dopo sarà libera di tormentare i dormienti
annodando loro le lenzuola, saltando sui loro petti o sussurrando loro sogni
terribili.”
Le nere Takroori, le streghe africane, traggono largamente la loro magia e la
loro tradizione dalle streghe arabiche cabaliste, come so avendo esaminato i
loro libri quand‟ero in Egitto, e questo gli Arabi lo sanno. E‟ molto curioso
il fatto che Praetorius parli di un uomo che, nell‟antichità, usava striglie o
corde di lana per difendersi da una strega-incubo. In questi casi io penso vi
sia probabilmente una tradizione o una trasmissione.
La Dea dei Quattro Venti – l’erba rosolaccio
“Vieni dai quattro venti, o respiro, e alita su questi uccisi, che possano
vivere.” – Ezechiele XXXVII, 9
Tra la gente primitiva o superstiziosa, la virtù medicinale o le altre virtù
delle erbe vengono attribuite a cause profondamente misteriose di natura
sovrannaturale. In Romagna, così come tra gli Indiani d‟America, questa
fede è tale che certe piante vengono considerate essere esse stesse in
qualche strano modo delle fate o degli spiriti. Colui che porta vicino a sé
una di esse – sempre in un sacchetto rosso, come ai tempi antichi etrusco-
romani – porta con sé un piccolo angelo custode o, se la pianta in un vaso,
sarà come gli antichi Egizi di cui Giovenale dice avevano Dei che
crescevano nei loro giardini, alludendo alla loro venerazione per le cipolle o
l‟aglio. Una di queste piante, che è oggetto di cultura non solo in senso
letterale ma anche religioso ed estetico, è il rosolaccio, che ha il curioso
nome a doppio senso del riso – risata o sorriso – della Dea dei Quattro
Venti. Il racconto che segue mi è stato fornito con un campione della pianta:
“Il rosolaccio è una pianta le cui foglie, cresciute come una mano con molte
piccole dita, appaiono come chicchi di riso e viene perciò chiamata il riso (o
il sorriso) della Dea dei Quattro Venti. Viene chiamata anche la pianta della
fortuna perché essa porta molta fortuna. Se ne può piantare in un piccolo
130
vaso un germoglio per farlo crescere o, se ciò è impossibile, in un sacchetto
rosso. Il vaso deve rimanere sempre alla finestra, mentre il sacchetto
dovrebbe essere appeso dietro alla finestra; fatto questo, nessuna strega
potrà entrare perché vi sono così tanti chicchi (o foglie simili a chicchi) o
occhi che le streghe non riescono a contarli e quindi non possono andare
oltre. Perché sono così vicine le une alle altre che contarle è impossibile. E
se dovesse accadere che in una famiglia un bambino o un adulto venga
stregato, allora noi prendiamo questa pianta, sia che stia crescendo o che sia
in un sacchetto, ed andiamo dal sofferente che deve essere a digiuno, anche
di acqua, al mattino presto e diciamo:
„Dea, o Dea dei Quattro Venti, non vi è altra bella al pari di te. Un‟erba
miracolosa hai fatto nascere, perché la stregoneria passi da…‟
Quindi si fa il segno della croce con l‟erba per tre volte e questo deve essere
fatto per tre mattine.”
“Ma chi era la Dea dei Quattro Venti?”
“Beh, ho sentito dire che sua madre era una bella ragazza di alto rango,
forse una principessa; comunque, ella amava un povero giovane ed i suoi
genitori non volevano saperne di tale unione. Come accadde chi lo sa? Ma il
giovane uomo rimase accanto a lei e trovarono un passaggio sotterraneo che
conduceva alla sua stanza – alcuni dicevano che fosse stata lei a scavarlo,
essendo un essere fatato –, portando ad una finta porta nella stanza di lei
sotto il suo letto. Alla fine ella rimase incinta e rimase per molti mesi nella
sua stanza per evitare che il mondo lo sapesse. Preparò una bella culla tutta
fatta di rose e sua madre, che era una fata, mantenne il segreto e la aiutò;
quando giunse il tempo della nascita, la madre fece un fuoco di alloro in
modo che con il suo crepitio coprisse i vagiti della bambina. E, mentre la
madre bruciava l‟alloro, ella disse:
„Figlia mia amata, amata, a batta di (al suono del) lauro tu sei nata e di rose
conbugigata (avvolta); figlia mia amata, amata, una fata di te pure ho fatta.‟
E questa bambina fu la Dea dei Quattro Venti – e questa fu la fata detta la
Dea dei Quattro Venti.”
Questa storia meravigliosa e misteriosa suggerisce di certo molto a
qualunque studioso di folklore. Prima di tutto, la Dea bambina del Vento
viene cullata in una culla di rose. Friefrich (Symbolik d. Natur) osserva che
nel mito greco il Vento, Eolos, ha nella sua casa sei figli e sei figlie – wohl
die ælteste Andeutung einer Windrose –, la prima indicazione della rosa del
vento o anemone.” Il vero rosolaccio è il papavero rosso o il fiore del grano,
ma il nome rose si riferisce al colore. Abbiamo tuttavia in esso una
connessione delle rose con il vento e la goccia di rugiada “cullata dal vento
nella culla di rose”. L‟anemone, o fiore del vento, è nata dal sangue di
131
Adonis, che nel fiore rivive come spirito del vento. Adonis, lo spirito della
primavera, è la stessa cosa di Favonius, “lo Zefiro greco, il dolce e fruttuoso
vento del sud che giunge con la rondine e la primavera.” Difficilmente si
potrà negare che tutto questo pare essere indicato in questa strana storia
toscana. Il fatto di bruciare rametti di alloro così da creare rumore è molto
antico. “Vi era una speciale divinazione o predizione del futuro che si
effettuava facendo bruciare foglie di alloro e veniva considerato un buon
segno se esse scricchiolavano e facevano molto rumore.” (Tibullus, Eleg.,
II, 6, 81). Da qui è venuto un detto comune, clamosior lauro ardente – “fa
più rumore dell‟alloro che brucia” o, come ci viene detto dall‟autore del
Trinum Magicum (1611A.C.), “et lauri quoque ramis divinatio sumebatur”,
“e vi era anche una divinazione tramite i rametti dell‟alloro, che se facevano
grande rumore era buon segno ed il contrario se bruciavano quietamente”.
Ma lo scopo principale di questa storia è di mostrare in che modo la
bambina venne fatta divenire da semplice mortale a fata o Dea, come Cerere
tentò di fare con il piccolo Trittolemo. Anch‟ella usò il fuoco ma non so se
fosse di rametti d‟alloro. Ma l‟alloro, come dichiara Friedrich, non era
consacrato unicamente alla profezia o alla magia ed, in quanto sempreverde,
all‟immortalità, ma era principalmente simbolo di una nuova vita – “neues
Leben im Tode”. “Tra i Romani il cadavere veniva durante il funerale
spruzzato d‟acqua con rametti d‟alloro e ai primordi del cristianesimo i
morti venivano adagiati su foglie di alloro a significare che coloro che
morivano in Cristo non cessavano di vivere. Ed anche il battesimo, o la
nuova vita in Cristo, era simboleggiato dall‟alloro.” (Winckelmann,
Versuch einer Allegorie, besonders für die Kunst, III, c; ed anche Hartung,
Die Relig. der Römer, parte I, pag. 46). Winckelmann dice anche che su una
medaglia rara Lucilla, la moglie dell‟Imperatore Lucius Verus, viene
rappresentata con in mano un fascio di alloro, vicino alle sue ginocchia una
donna che attinge acqua ed in piedi accanto a lei dei bambini mezzi nudi in
attesa del battesimo. Questa è un‟applicazione particolare della storia
toscana con una differenza: che in un caso vi è un battesimo con il fuoco e
nell‟altro con l‟acqua. In entrambi i casi il bambino viene preparato per una
nuova vita per mezzo del mistico alloro. Vi è dell‟oscuro in questo mito, ma
si può sottolineare che lo zefiro, la rugiada e la rosa erano uniti
misticamente nelle leggende antiche e che riappaiono alla nascita della Dea
dei Quattro Venti. Nuovamente, i contadini solitamente conservano o fanno
riferimento solo a storie di esseri fatati, nonostante questa non sia una storia
nel vero senso della parola ma una spiegazione dell‟origine di uno spirito
che viene, potremmo dire, adorato in una pianta.
132
In un‟altra leggenda romagnola il vento appare come maschio e femmina.
E‟ la seguente:
“Il Vento è un mago e Corina (in Romagnolo Curena) è sua sorella. Un
giovane aveva una innamorata e credeva che ella gli avesse mentito mentre
ella era innocente. Ma il giovane, nel suo dolore, andò molto lontano per
non vederla più. Allora ella andò da una donna saggia, che consultò le carte
(che significa che divinò in qualche modo) per sapere se avrebbe mai rivisto
il suo innamorato e la vecchia le raccomandò di andare dal Vento e da sua
sorella Curena. (qui vi è una lacuna manifesta, n.d.a.) Ed essi partirono con
lei; il mattino era appena sorto quando giunsero ad una città, la posarono
davanti alla finestra del suo amore ed ella cantò:
„Amore, sei stato falso con me mentre io sono stata sempre sincera con te;
per me tu lasciasti la tua casa, ora io sono giunta da te. In due ore di viaggio
sono giunta qui, nonostante fosse un viaggio da un anno. Il vento selvaggio
mi ha portato come una nuvola e Curena fischiava forte; essi mi hanno
portato sulle tue tracce. Non girarmi mai le spalle. Ora le nostre sofferenze
sono finite, non dovrai mai più lasciarmi.‟
Così essi si riunirono e vissero felici per sempre.”
E‟ possibile che in questa Curena si abbia la teutonica “moglie del Vento”,
che è sempre in caccia e che soffia un corno che viene indicato come cor o
curen. Corinth, Corinna e Curena appaiono certamente compagne di
Coronis, il corvo del vento tipico del vento di nord-est, o Skiron. Riguardo
al rosolaccio è evidente che i nomi e le associazioni della pianta che ho
descritto sono confusi e frammischiati a quelli del papavero rosso o fiore del
grano, che è il vero rosolaccio, e dell‟anemone o fiore del vento. Ed in
Irlanda vi sono coloro che conservano il cosiddetto fiore del vento selvatico,
che è bianco ed ha una foglia triplice ed è il vero trifoglio d‟Irlanda. Vi
sono alcuni che affermano che il vero trifoglio d‟Irlanda sia l‟acetosa rossa,
perché il sangue del Salvatore vi sarebbe gocciolato sopra così come il
sangue di Adonis cadde sull‟anemone. Di questa confusione ve ne è molta
in tutte le leggende di un popolo in cui l‟antica tradizione ha da lungo tempo
cominciato a decadere e ne è cresciuta al posto una nuova, ed io prego il
lettore di perdonarmi se non riesco a chiarirla.
La Madonna del Fuoco
“Sic in igne praeter alia clementa, sacra omnia insistebant, quod is, credo,
proximus cœlo sit, quod in specie ignis Deus Mosen primum allocutus.” -
Elias Schedius, De Dis Germanis, 1648
Era antico costume a Forlì, in Romagna, di fare annualmente una grande
processione, in occasione della quale veniva mostrata l‟immagine della
133
Vergine seduta su un drago circondato da fiamme. Questa cerimonia
estremamente pagana non esiste ora più, per quanto riguarda Forlì, ma
continua nella piccola cittadina adiacente di Civitella. Ho dato uno sguardo
ad un‟opera piuttosto vasta e grandemente illustrata pubblicata circa 200
anni fa, interamente dedicata al descrivere questa Madonna del Fuoco e dei
Draghi, da cui ho dedotto che un tempo il festival doveva essere davvero
magnifico. E‟ da notare che le streghe e gli stregoni, guidati da una sagace
intuizione o da un‟antica tradizione, considerano questa Madonna come una
delle loro Divinità pagane che è stata loro ingiustamente “sgraffignata” e
posta nel pantheon cristiano. A questo proposito una della sorellanza si
espresse non senza una certa pia indignazione, dicendo che la Signora del
Fuoco era un grande spirito prima che si sentisse parlare dell‟altra
Madonna; le sue parole furono, in parte, le seguenti:
“Ella era uno spirito (pagano) che operava invero molti miracoli e così i
preti la presero e la chiamarono la donna miracolosa del fuoco. Ma in realtà
i preti sapevano che questa Madonna del Fuoco faceva molti miracoli e
riportava in vita coloro che erano morti prima che essi facessero qualunque
cosa (il senso qui è che ella faceva tutto ciò prima di essere detta o
conosciuta come cristiana). La prima cosa che si seppe di lei fu che appariva
come una bella signora in un certo giardino e così tutto il vicinato cominciò
a parlare di lei e disse che era Nostra Signora, o la Madonna. A Civitella vi
era un‟antica e ricca famiglia e nei loro campi vi era un bambinetto sordo
che teneva dietro alle pecore. Una mattina la signora andò da lui e questo
bambino, che era muto, cominciò a parlare e disse: „Signora, non ho mai
potuto parlare prima, ero muto dalla nascita. Tu sei una vergine miracolosa.
Dimmi cosa devo fare per esprimerti la mia gratitudine.‟ Ed ella rispose:
„Vai dalla grande famiglia e dì loro che devono andare a Roma a cercare
una certa grande pietra che mi devono inviare e, fatto questo, la loro razza
non si estinguerà mai; ma, se rifiutano, i loro guai non cesseranno mai.‟ Ed
egli così fece ma venne trattato da pazzo. Mentre lo trattavano in tal modo,
tuttavia, apparvero davanti a loro grandi lampi di fuoco – gran fiaccole di
fuoco – ed essi seppero che era la Signora del Fuoco. Così mandarono a
cercare la pietra e, non appena la dama la ebbe, vi salì sopra ed ivi rimase
quale immagine. Così essi la portarono in una chiesa e ve la posero e la
chiamarono Signora del Fuoco e la Madonna Miracolosa – e le misero nome
la Madonna del Fuoco, la Madonna Miracolosa. E questa famiglia la lasciò
là a patto che si continuasse a tenere una festa con il fuoco miracoloso. E
tutti i contadini, quando sono malati o hanno dei cattivi raccolti o qualche
guaio, partecipano a questa cerimonia.”
134
Ottfried Müller e Preller osservano che gli Etruschi facevano molta
attenzione a tuoni e fulmini e che tutti i loro principali Dei e Dee si credeva
detenessero questo terribile potere durante certi mesi. Tracce di questo
continuano a riapparire nelle leggende della Romagna, come il lettore
troverà in molti punti di quest‟opera, come la storia dello Spirito del
Giuoco. Io penso che questa storia, se collegata con la credenza delle
streghe che questa Madonna del Fuoco sia realmente uno dei loro spiriti, ne
indichi un‟origine pre-cristiana. Potrebbe invero trattarsi di vesta, la Dea
Romana del fuoco, convertita e cristianizzata. La pietra miracolosa
probabilmente si riferisce alla selce da cui scaturisce per cozzo il fuoco.
135
Capitolo X
Cupra
“Ex eo tempore… illum sic concubisse secum, ut viri cum fœminis solent,
nec percipiente viro, cum simul in lecto essent.” - Bodinus, lib. 2, capit. 7
Tutto ciò che so di questo spirito è contenuto in
questa strana storia:
“Cupra è un folletto, o spirito, che, se prende in
simpatia una donna e lei si lascia ispirare da lui,
la segue quasi sempre anche di giorno. In una
città della Romagna vi era una fanciulla di
straordinaria bellezza che era oltretutto
stranamente fortunata in tutte le cose – quello
desiderava e quello le appariva. Accadde che,
svegliandosi nella notte, ella scoprì di avere
accanto a sé un bellissimo giovane e questo
accadde spesso, finchè alla fine ella ne parlò
con la madre. Sua madre le raccomandò di
chiudere con cura la porta e di non andare a
letto fino al mattino. Ed egli giunse ugualmente ma la madre, che stava
guardando segretamente, non vide nessuno. Allora sparsero foglie
dappertutto, pensando che quando il misterioso amante sarebbe passato
sopra di esse vi sarebbe stato un rumore. Ed egli venne e fece grande
rumore con le foglie e rise forte, ma non una sola foglia si mosse. Allora la
madre, in collera, disse alla figlia: „Vai a letto ed io giacerò al tuo fianco;
ma non credo che vi sia qualcuno qui eccetto noi.‟ Allora Cupra rise forte e
cantò:
„Sì, sono a letto con tua figlia, incinta d‟un bel bambino; son‟uno spirito
folletto che tua figlia voglio amar e molti figli voglio crear; molti figli io
avrò e tua figlia sempre amerò.‟
136
Ora, dopo questo nessuno la volle sposare, tuttavia ella era felice e contenta,
perché aveva tutto ciò che desiderava e venne a lungo amata dal suo
amante.”
In questo vi è un poco di Cupido e Psiche, il cui bel mito indubitabilmente è
cresciuto su una qualche semplice e grezza vecchia storia riguardante una
fanciulla ed un amante spiritico. Non ho dubbi che questa storia così come è
riportata qui sia un semplice frammento. Come tra gli Indiani d‟America,
scopriamo che vi sono pezzi di storie che talvolta vengono messi all‟interno
di altre. Il lettore non potrà evitare di essere colpito dal fatto che vi è un
tono molto poco moralistico – in queste storie è evidente un‟allegra e
festosa sensualità. Questi folletti sono tutti, quando non sono terribili, molto
simili a Fauni e Silvani, spiriti antichi da cui essi sono, senza dubbio, discesi
legittimamente.
Questa storia su Cupra è simile ad una di Bodinus dove, tuttavia, il diavolo
stesso è l‟amante ed una fanciulla di dodici anni la sua bonne fortune.
Potrebbero provenire entrambe da una fonte comune. Secondo Preller
(Römische Mythologie) vi era sulla costa di Picenum una Dea di nome
Cupra che si supponeva essere una Giunone di origine etrusca. Il suo tempio
venne restaurato da Adriano. “Ma il nome si può probabilmente spiegare
con la parola sabina cyprus (buono), da cui il Vicus Cyprius a Roma ed un
Mars Cyprius in Umbria.” Non mi sento autorizzato a suggerire un
collegamente tra questi nomi e quello del Cupra di questa storia, né ad
insistere su una qualunque identità positiva di qualunque delle mie scoperte
con gli antichi. Vi potrebbero essere stati, per quanto ne so, errori o
incomprensioni riguardo a qualcuno di questi nomi o a tutti. Ho
semplicemente trascritto ciò che ho raccolto.
Tutte le Divinità etrusco.romane erano a coppie, maschio e femmina, e da
qui deriva probabilmente la moderna confusione riguardo a certi nomi. Essi
si sono anche “incrociati” tra di loro. “Thalna o Cupra” dice Gorge Dennis
(The Cities and Cemeteries of Etruria, 1878) “era l‟Etrusca Hera o Giunone
ed I suoi altari principali pare fossero a Veii, Falerii e Perusia. Come la sua
controparte tra i Greci ed i Romani, ella pare sia stata adorata sotto altre
forme, secondo i suoi vari attributi, come Feronia, Uni, Eilithya-
Leucothea.” L‟incidente delle foglie collega Cupra alla tradizione classica.
Gerhard (Gottheit: der Etrusker, pag. 40) pensa che Thalna sia descrittivo di
Cupra in quanto Dea delle nascite e della luce. Veniamo a conoscenza del
nome di Cupra da Strabone, V, pag. 241. Di essa Noel des Vergers, nel suo
L'Etrurie et les Etrusques, Parigi, 1862, dice : “Junon, que Strabo appelle
Cupra, bien que nous ne trouvious pas ce nom sur les monuments
137
ceramiques ou les miroirs, avait comme Jupiter un temple dans l'arx ou la
citadelle des villes Etrusques. ”
Le streghe del noce
“A Benevento vi è un albero di noce e là di notte, da molte terre, oltre le
acque e sul vento, vengono volando streghe di ogni sorta su capre e verri ed
ordi e gatti, alcune su manici di scopa, altre come pipistrelli, ululando,
sfrecciando, affrettandosi tutte vengono all‟albero alla chiamata del
maestro.” – Domenico Piccini, Ottava della Notte
“Sott'acqua e sott‟a viento, sott' 'e nuce 'e Veneviento.” – detto napoletano
E‟ probabile che una delle prime concezioni del sovrannaturale formate da
un uomo sia stata quella del Tabù o Taboo: se la strega o lo sciamano o
l‟evocatore di spiriti desiderava proteggere o conservare una certa proprietà
dai rapinatori, grazie al potere magico o ad incantesimi faceva in modo che
la persona che violava il divieto soffrisse. Se uno stregone o un capo
possedeva un‟arma o un ornamento di valore, venivano pronunciati su di
esso degli incantesimi per proteggerlo e, se veniva rubato, in breve tempo
qualche misterioso malanno attaccava il ladro. Grazie ad un qualche
avvelenamento qua e là dei sospetti delinquenti, il taboo divenne
naturalmente in breve temuto e creduto. Venne esteso naturalmente agli
alberi che avevano frutti di pregio, ai campi ed ai loro raccolti, alle mogli ed
al bestiame. Poi, col tempo, tutto ciò che apparteneva ai sacerdoti ed ai capi
venne posto sotto taboo. Al giorno d‟oggi, nelle Isole del Pacifico dove i
nativi non sono stati civilizzati, accade spesso che un uomo che ha mangiato
un frutto o anche solo ha toccato un oggetto appartenente ad un capo,
nonostante in quel momento non sapesse che era proibito, in breve tempo
muoia di semplice paura. Le leggi del taboo nelle Fiji ed in molti altri posti
erano così numerose ed intricate che, se venissero trascritte, formerebbero
un‟opera pressoché vasta e difficile da padroneggiare come il Commentario
di Blackstone. A poco a poco esso è penetrato in ogni relazione della vita.
Laddove giungeva il potere del sacerdote – e giungeva dappertutto – vi era
un terribile taboo. Esso sedeva vicino ad ogni fuoco, era con l‟uomo quando
si svegliava nella notte; vi erano certi tipi di cibo che non dovevano essere
mangiati, certe posizioni che non dovevano essere assunte, pensieri che non
si dovevano avere. Vi erano parole che non dovevano mai essere
pronunciate, nomi dei morti che non dovevano mai essere detti; e siccome
la gente traeva il proprio nome dalle cose, il linguaggio doveva mutare
continuamente. Sopra a tutto e sotto a tutto e dentro a tutto vi era il taboo, o
la volontà del sacerdote.
138
Nella superba opera di Catlin sugli Indiani del Nord America vi è il ritratto
di uno Chippeway emaciato fino ad essere uno scheletro vivente. Circa 50
anni prima nel suo paese, in un luogo remoto, vi era una grande quantità di
rame vergine che veniva considerato con superstiziosa reverenza. Gli
stregoni della tribù avevano decretato che ogni Indiano che avesse guidato
un uomo bianco alla grande pepita sarebbe stato certamente maledetto e
sarebbe morto. Un uomo, tentato dai doni ed in un momento di temporanea
libertà di pensiero, ruppe il divieto e condusse un commerciante bianco al
misterioso manitou. Allora giunse la reazione. Egli si credette maledetto e
così si consumò dal dolore. Un viaggiatore nelle Fiji scrisse che un nativo,
avendo una volta per puro caso toccato qualcosa appartenente ad un capo e
venendo a sapere che era taboo, morì di terrore in pochi giorni.
Una storia imparziale ed accurata dello sviluppo del taboo, o proibizione,
sarebbe la storia della religione e della razza umana. Riguardo alle proprietà
della chiesa essa venne conosciuta come sacrilegio – la conversione di cose
sacre ad usi secolari. Gli esempi dei predicatori del Medioevo ci mostrano
la dottrina dei taboo portata agli estremi dell‟assurdità. Rabelais rise di
queste stravaganze ma gli strali della sua ironia ritornarono spuntati, come
se le frecce del derisore avessero mancato il bersaglio quando vennero
scoccate contro una foglia presa dai Santi Decreti. Ma il taboo rimane
tuttavia forte dappertutto.
Sarebbe interessante sapere quanti oggetti venivano considerati maledetti e
maltrattati a causa della loro cattiva fama cominciata con un taboo. Durante
il Medioevo ed anche prima, il noce veniva considerato caro ai demoni e
scelto in particolare dalle streghe come luogo di raduno. Tra i Romani esso
simboleggiava l‟oscurità o il male, perciò si credeva che se fosse stata
piantata vicino ad una quercia esse si sarebbero danneggiate a vicenda,
perchè quest‟ultima era sacra a Giove, il Dio del fulmine, il principio della
luce (Nork, Realwörterbuch, vol. III, pag. 387). Nelle mitologie più antiche
la noce era un simbolo erotico. Tra gli Ebrei, la notte di nozze gli sposi
ringraziavano Dio per aver piantato l‟albero di noce nel Giardino dell‟Eden;
e tra i Romani era uso spargere nuces in tali occasioni. “Ma siccome la
passione sensuale è compagna el peccato, è chiaro che il noce è anche un
simbolo demoniaco. I Rabbi divhiaravano che il diavolo lo sceglie come
luogo preferito per riposare e consigliavano alla gente di non dormire mai
sotto di esso, perché ogni suo rametto ha nove foglie e su ogni foglia dimora
un diavolo” (Friedrich, Symbolik, pag. 315). Bunsen (Rom. iii., 3, 210) ci
dice che un tempo vi era in Piazza della Chiesa del Popolo un grande noce
le cui foglie erano così infestate da demoni che il Papa Pasquale II lo
139
maledisse, lo fece tagliare e vi fece erigere al posto una chiesa – un atto
pressochè sciamanico o voodoo sotto ogni aspetto. Maledicta sis o nuce!
Tutte queste sciocchezze su erotismo, diavolerie ed oscurità sono
indubitabilmente state tratte da molte fonti, ma l‟inizio di tutto fu che
qualche stregone antico, per salvare le sue noci, informò i suoi vicini che
l‟albero era coperto da taboo e che i diavoli sedevano su di essa per
tormentare coloro che l‟avessero derubato. Ho sentito parlare di un
predicatore tedesco di massa che spiegava l‟origine del male con il fatto che
“Eva derubò un Baumgart (un frutteto)” e so di un caso autentico di
teologia all‟asilo in cui una bambinetta, cui venne chiesto il perchè Dio
avesse vietato ad Adamo ed Eva di mangiare le mele, rispose che le voleva
Lui per farsene delle torte ma venne corretta da un‟altra che le disse: “No,
Lui voleva tenersele per l‟inverno”, cosa che ai bambini era solitamente
proibito fare. In ogni caso questo fu il primo taboo che si ricordi; e siccome
i semplici Adamo ed Eva erano stati creati con una sventata natura umana
curiosa e non abbastanza saggi da resistere a Satana, lo spirito incarnato del
genio e del male, i loro discendenti sono stati dannati eternamente
all‟inferno, centinaia di milioni di persone. Questo allegro mito non invalida
in alcun modo le molte grandi verità che abbondano nella Bibbia, come
sostengono Paine ed Ingersoll –; no, essa contiene una grande verità: che la
curiosità frivola e la disobbedienza infantile sono una grande fonte di male.
Gli Ebrei consideravano la ferma ed incondizionata obbedienza, senza
spazio per la debolezza umana, come la legge delle leggi. Essa ha
conservato l‟Egitto unito in buone condizioni per migliaia di anni e Mosè,
che era un grande studioso delle leggi, la applicò. Ma al giorno d‟oggi non è
applicabile in Inghilterra o in America o in una qualunque repubblica o
semi-repubblica. La libertà di pensiero ha oggi i suoi diritti ed è una legge
come le altre.
Ma, per ritornare al nostro noce – così come tutte le streghe della Germania
avevano l‟abitudine di riunirsi sul Blocksberg, quelle dell‟Italia avevano i
loro rendezvous o sabbat o, in Italiano, tregenda, presso un grande noce a
Benevento. Questo terribile albero viene citato da molti scrittori di
stregoneria ed allusioni ad esso sono molto comuni nella letteratura italiana,
ma io non ne avevo mai saputo molto fino a quando trovai un libriccino –
De Nuce Maga Beneventana – di Peter Pipernus, il quale forma un
supplemento alla sua opera De Effectibus Magicis, di cui ho scritto altrove.
Venni così a sapere che il noce è dotato dalla Natura di qualità sia buone
che cattive e su questo potremmo notare che se realmente il noce possedesse
lo straordinario numero di qualità mediche ed altre virtù ad esso ascritte da
140
Pipernus, non sarebbe una meraviglia che venisse considerato
sovrannaturale ad un grado eccelso.
Infine, dalle testimonianze e dalle tradizioni riportate nei manoscritti di un
antico processo alle streghe e da informazioni ottenute da molti santi
Inquisitori, si giunge al fatto che si credeva tra i membri della fratellanza
degli stregoni non solo fin dai tempi dei Lombardi, ma anche dal tempo
degli antichi Sanniti, che vi fosse sempre stato a Benevento un noce
immenso sempreverde (la stessa cosa che si diceva delle antiche querce di
Celti e Germani) e le cui noci erano di forma piramidale, “qua tragularibus
lineis emittebat”. Queste noci venivano vendute a caro prezzo, perché la
gente credeva che proteggessero contro gli incidenti, i terremoti, che
curassero l‟epilessia ed erano anche certi che facessero avere figli maschi
retentis intra matricem nucleis. Esse erano anche potenti amuleti contro la
stregoneria, nonostante venissero usate dalle streghe in molte diavolerie.
Penso che vi sia qui un accenno alle curiose noci triangolari che venivano
da Est e di cui molte furono vendute a Firenze sotto forma di rosari. Esse
venivano anche portate singolarmente come amuleti magici. Ve ne è una
varietà in Cina che ricorda esattamente la testa di un bufalo, corna e tutto.
Possiedo dei campioni di entrambi i tipi. Per continuare, abbiamo la
topografia della regione dove cresceva l‟albero – poichè Pipernus si
avvicina al nemico con molta gradualità – ed infine arriviamo al campo in
cui vi è questo Re delle Tenebre, come il nostro autore dice molto
chiaramente, “più come un Nox che un Nux”. Pipernus ci fornisce una lunga
lista di cause per cui il noce veniva temuti dai cristiani ed amato dalle
streghe, di cui l‟unica razionale è che in antico, a causa della sua densa
ombra, era sacra a Proserpina, alla Notte ed agli Dei inferi. Bene, siccome
accadde che la buona gente di Benevento avesse un grande noce dove
adoravano i serpenti o “Divinità sotto forma di una bestia che viene
volgarmente chiamata vipera” e, altrettanto orribile, facevano corse di
cavalli in cui i cavalieri afferravano mazzi di sommacco (Rhus coriaria,
n.d.t.) appesi all‟albero. A Benevento vi era un grande santo, Barbatus, cui
queste cose pagane con il loro grande spettacolo tradizionale di serpenti e
corse ed il resto del trambusto dava terribilmente fastidio perché, allora
come oggi, due tradizioni diverse non vanno d‟accordo. La competizione
non era per lui l‟anima della questione. Il governante della regione era
Romualdus, che era pagano, e Barbatus cercava di convertirlo ma egli non
lo faceva. Invano Barbatus lampeggiava ed infiorava i suoi miracoli – et
miraculis coruscans – intorno alla testa di questo mulo imperterrito. La sua
unica risposta fu di determinare che “quel gallo non lotterà”. Si
avvicinavano voci di guerra, in quella contrada. Costantinopoli – cioè
141
l‟Imperatore Costantino – stava giungendo innumera multitudine suorum
collecta, con un vasto esercito per spazzare via Benevento. Romualdus era
un grande guerriero ma, come disse San Crisostomo: “è inutile per una
capra cercare di opporsi ad un toro”. Egli venne ridotto agli estremi ed
infine Costantino, da bravo e gentile cristiano, decretò che un determinato
giorno avrebbe preso la città e messo ogni essere umano che vi era in essa
utriusque sexus, a morte. Arrepta occasione – Barbatus vide la sua
occasione e la sfruttò. Tenne un grande incontro pubblico in cui attribuì tutti
questi guai a quella sporca vipera ed alle loro corse di cavalli pagane ed alle
noci malvagie. Oserei anche dire che essi bevevano vino insieme alle noci,
ma di questo la storia non dice nulla. E terminò dicendo loro che, se
avessero alzato gli occhi al di sopra di vipere e noci e corse verso il cielo,
sarebbero stati tutti salvati. Al che Romualdus disse che, se questo avrebbe
salvato la città, lui per primo li avrebbe alzati; per farla breve, Cesare
Costantino ed il suo esercito Beneventum non penetrabit, non presero
Benevento. Barbatus fu allora molto felice. Tagliò il noce, uccise i serpenti,
fermò le corse di cavalli, confiscò tutti i galli combattenti, gettò i ramponi
nel fiume (“essi erano soliti usare dei ramponi per tagliare i noccioli, a quei
tempi” Alectromachia, vol. I) e con battesimi, confessioni e sepolture
divenne ricco. Non è difficile vedere in che modo abbia funzionato questo
miracolo. Quando sei in corrispondenza con il tuo Costantino, è semplice
concordare una sua non invasione della tua Benevento. Un capo che, come
Romualdus, fosse stato obbligato a combattere fino alla morte a causa
dell‟opinione pubblica quando era solo una questione di guerra, poteva
tranquillamente compromettersi su un miracolo. L‟intera storia del
progresso del cristianesimo in Svezia, Norvegia e Danimarca è una cronaca
di paganesimo estinto a causa della forza bruta o grazie a vecchi trucchi
uguali a quello di Barbatus.
Il noce venne tagliato ma il re non muore mai. E‟ vero, aggiunge Pipernus,
che vi è ora nello stesso posto un altro noce grande e alto, nel cui incavo
potrebbero nascondersi tre uomini, - e vicino ad esso si trovano talvolta ossa
e pezzi di carne, segni di banchetti di streghe -, scelto probabilmente al
posto di quello antico. Come appare dalla testimonianza di un certo
Violanta che, interrogato – probabilmente con una ruota di tortura e tenaglie
incandescenti alla maniera cristiana del 1519, la data dell‟interrogatorio –,
disse di essere stato a quell‟albero; che loro adoravano Diana (non il
diavolo, che veniva adorato solo in Germania) o Erodiade, la Dea della
danza che, tuttavia, come già detto in precedenza, appare negli scritti
rabbinici come Lilith, che era la Diana ebraica, la madre di tutte le streghe e
teneva grandi feste e “si divertiva”. Si potrebbe osservare che Pipernus
142
dichiarava che le donne rimanevano incinte semplicemente per mezzo delle
noci di questo albero. Non vi è menzione di partecipazione maschile in
questa faccenda. Molto di recente investigai se a Firenze vi fosse qualche
racconto attuale sulle proprietà magiche delle noci e mi venne raccontata
prontamente la seguente storia, al cui riguardo non ho alcun genere di
suggerimento.
“Il paese di Benevento è in Romagna (? n.d.t.) ed è il vero posto delle
streghe, il posto dove esse si incontrano. Un pomeriggio un gentiluomo
andò a passeggiare con la sua adorata figlia. Passarono sotto ad un noce che
aveva molte belle noci ed ella desiderò mangiarle. Ma appena ne ebbe
mangiata una sentì male allo stomaco e ritornarono perciò immediatamente
a casa, dove ella si mise a letto. Tutta la sua famiglia era disperata, perché
l‟amavano teneramente. Non passò molto che il suo corpo cominciò a
crescere in grossezza ed essi, pensando che fosse incinta, cominciarono a
trattarla duramente fin quando, alla fine di nove mesi, ella diede alla luce un
agnellino; era molto bello ed i suoi genitori non sapevano cosa pensare in
merito a questo fenomeno. Le fecero domande pressanti su se avesse mai
avuto un amante ma ella giurò che mai lo aveva avuto e che non sapeva
altro oltre al fatto che si era sentita male dopo avere mangiato la noce.
Allora il padre portò la figlia all‟albero ed ella mangiò un‟altra noce;
improvvisamente l‟albero svanì ed apparve una vecchia strega che, toccato
l‟agnello, lo fece diventare un bellissimo giovane. E la strega disse: „Questo
è l‟amante che tu non permetti a tua figlia di sposare. Io, con la mia
stregoneria, l‟ho fatto entrare in lei e l‟ho fatto sortire dalle sue viscere e
così ella sarà obbligata a sposarlo.‟”
Nell‟udire questa storia mistica dissi: “Allora l‟amante divenne padre di se
stesso?” “Sicuro!” fu la risposta. Qui potrei raccontare la storia della suora
che divenne posseduta o, come direbbero alcuni, incinta per aver inghiottito
un diavoletto con una foglia di lattuga avendo mangiato l‟insalata senza dire
prima la preghiera e così via; storie del genere, suggerite da meditazioni
sull‟immacolata concezione, non sono rare. Ma in questo caso lo scopo è
dimostrare che il fatto che le noci dell‟albero di Benevento producessero tali
risultati è ben conosciuto da molto tempo. La storia pare essere una parodia
stregonica della nascita di Cristo. Le streghe di Benevento pare non siano
state in alcun modo individui poco raccomandabili. In questa storia
appaiono come soccorritrici – in uno strano modo, per la verità – di una
coppia di innamorati sfortunati, cosa che costituisce certamente l‟ideale di
benevolenza umana per la maggior parte delle giovani signore. Ed in
Spagna, Irlanda ed altrove le fate hanno preso da loro il merito di una storia
che non è invero loro e che è stato tuttavia loro accreditato da molto tempo.
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Si tratta della storia del gobbo che perse la sua gobba. Tra le 200 o 300
commediette in cui dei buoni ed onesti Stenterello sono gli eroi e che al
giorno d‟oggi vengono recitate continuamente a Firenze, ve ne è una
chiamata Le Streghe di Benevento che si basa sulla leggenda e che io ho
ritrovato in Pipernus. Forse la vostra memoria potrebbe essere un poco
arrugginita – comunque ve la racconterò con delle interpolazioni.
“Vi era un uomo di nome Lambertus Alutarius che era gobbo, gioioso ed
allegro, gradito a tutti. Una notte, nel tornare a casa a lume della Luna,
passò vicino al grande noce di Benevento. Là vide una grande assemblea di
persone, uomini e donne, vestiti finemente che cantavano e danzavano,
allegri come bambini – ma la loro canzone era strana ed in un qualche modo
monotona, perché consisteva solo in:
„ben venga il giovedì e il venerdì‟.
Pensando che fosse una festa di mietitori – putans esse messores –
Lamberto, per aiutarli, prendendo il ritmo cantò in rima:
„e lo sabato e la domenica‟.
Lo fece così bene che tutti i danzatori scoppiarono a ridere e, provando
rispetto per tale ammirevole poeta, lo fecero danzare e festeggiare con loro.
Ed un allegro diavolo” (Pipernus lo chiama diabolus, ma deve essere stato
uno allegro) “saltò dietro di lui e, con uno scatto tremendo simile a quando
viene estratto un dente, che gli causò un dolore intenso ma momentaneo,
prese via la sua gobba. Al che Lamberto urlò: „O Jesu, Virgo Maria!‟ e
l‟intero incanto scomparve – luci, piatti, pietanze, tutto lo splendore e la
gloria del festival svanì. Eppure Lamberto non provò esattamente la
sensazione di uno che si trovi in una sala da banchetto completamente
deserta – perché anche la gobba se ne era andata insieme alle streghe ed egli
si ritrovò una magnifica figura dritta ed alta – quando le streghe fanno
qualcosa „la fanno bene‟, come un certo „nobiluomo sfortunato‟ aveva
l‟abitudine di dire. Egli andò a casa e bussò allo spuntare dell‟alba, mentre
era buio per tre quarti, e la signora Lambert, guardando fuori, gli ingiunse di
andarsene. Quis est iste temerarius? „Chi è quel vagabondo insolente?‟ fu il
suo grido indignato. Lambertus tuus „Il tuo Lamberto‟ rispose lui. „La voce
è invero quella di Lamberto‟ ella disse „ma voi non siete lui‟. E quindi alia
voce proclamans, alzando un gran fracasso elle chiamò tutti i vicini ed i
parenti che, dopo averlo esaminato attentamente ed avere ascoltato con
stupore e delizia la sua storia riguardo a quanto era accaduto presso il
grande noce, lo riconobbero. Ma il suo cambiamento esteriore dev‟essere
stato molto grande, perché il nostro autore afferma che „il giorno seguente,
mentre passeggiava per le strade di Altavilla, nemmeno i suoi maggiori
creditori lo riconobbero.‟ A cui aggiunge in maniera impudente che „casi
144
del genere sono molto comuni tra noi‟ e molti scrittori quos brevitate
omittimus,che ometto per mancanza di spazio, lo attestano.” Mi sarebbe
piaciuto vedere alcuni di quei “tanti casi”.
In Italia vi sono due correnti molto diverse e contraddittorie di tradizione
stregonesca. Una riguarda la realmente antica leggenda latino-etrusca, in cui
la strega è semplicemente una maga o una incantatrice, generalmente
benevola e gentile. Ella è realmente una fata come la francese fée, che è
sempre una signora che ama i bambini ed aiuta i pover‟uomini. Di questo
tipo di stregoneria non vi è nulla riguardo a vendita di anime al diavolo e
tutte le disgustose abominazioni del vivere solo per il male. Vi sono streghe
buone e streghe cattive, l‟antica Canidia di Orazio continua ad esistere ma,
nonostante ella storpi asini e rovini le vigne, non fa del mandare la gente
all‟inferno la sua specialità. Pare che gli Italiani abbiano creduto che l‟uomo
poteva farlo abbondantemente da solo, senza aiuto. L‟altra corrente è di tipo
diabolico ed è dovuta pressoché interamente alla Chiesa ed ai preti. E‟ il
tipo che ha causato la mania della streghe con le sue torture ed i roghi. E‟
molto curioso che, nonostante tutti gli sforzi di San Barbato e di un esercito
di teologi dopo di lui, le antiche e geniali associazioni classiche
sopravvivano tuttora e le streghe di Benevento si crede ancora che siano
un‟associazione gioiosa, bella e festosa la cui regina è Diana – con molto
poco di Ecate-Exe in sé. A riprova di questo mi è stata fornita, dalla stessa
persona autorevole da cui ho ottenuto la storia dell‟agnello, un‟altra
leggenda.
“Vi era a Benevento una povera famiglia i cui membri si guadagnavano da
vivere andando in giro per il paese a raccogliere frutta, che vendevano. Un
giorno il figlio più giovane stava girovagando in cerca quando si imbattè in
un noce, ma uno così bello che era una cosa da non credere – era
incredibile quante noce avesse! Invero egli pensò di ricavarne un bel po‟
ma, quando si mise a raccoglierle, esse si aprirono e da ognuna venne fuori
una bella giovane signora che improvvisamente crebbe a misura d‟uomo.
Esse erano gioiose ed allegre e così belle che parevano occhi di sole. Dalle
foglie si udiva provenire della dolce musica, che lo faceva danzare; era una
bella festa! Ma egli non aveva dimenticato il motivo per cui era lì e che la
famiglia a casa aveva bisogno di pane. Ma le signore, che erano fate, lo
sapevano e, quando la danza finì, gli diedero alcune noci e dissero: „Quando
sarai a casa aprine due, tienine una terza per la figlia del re e portane questa
piccola cesta (panierina) piena al re. E dì alla figlia del re di non aprire la
sua noce fino a quando non sarà andata a letto.‟ Quando egli fu tornato ed
aprì la sua noce, da essa scaturì un tale fiume d‟oro che si ritrovò più ricco
del re. Così si costruì un castello di straordinario splendore, tutto di pietre
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preziose. E, aprendo la seconda noce, ne uscì uno splendido completo di
abiti che, quando l‟ebbe indossato, divenne l‟uomo più bello del mondo.
Così andò dal re e venne ben accolto; ma, quando chiese la mano della
principessa, il monarca rispose che era spiacente, ma sua figlia era stata
promessa da lui ad un altro principe. Per questo altro principe ella non
provava alcun amore, mentre si innamorò a prima vista del giovane. Così
ella accettò la noce ed andò a letto; ma meraviglia! Cosa ne uscì se non
l‟uomo che l‟aveva chiesta in moglie! Ora, siccome ella non poteva farvi
nulla e, per di più, non aveva neanche voglia di farvi nulla, gli disse non
solo di restare ma anche di ritornare, cosa che egli fece con zelo molte e
molte volte, con il naturale risultato che la principessa si ritrovò incinta e
dichiarò che „si doveva fare qualcosa‟. Così ella andò dal padre e gli disse
che non avrebbe mai sposato il principe cui lui l‟aveva promessa e che si
sarebbe dovuto tenere un grande raduno di giovani, i quali avrebbero dovuto
accettare che ella scegliesse chi voleva e supportare la sua scelta. Così
venne fatto e vi furono feste, balli ed infine un grande raduno di giovani
uomini. Tra questi apparve il suo innamorato – quel giovane della noce.
Egli era vestito come un povero contadino e sedeva al tavolo dei più umili
tra i presenti. Allora la principessa andò dall‟uno all‟altro di coloro che
desideravano sposarla e trovò in ognuno qualche pecca, fino a quando
giunse al suo innamorato e disse: „Questo è colui che scelgo‟ e gli gettò il
suo fazzoletto, segno che lo avrebbe sposato. Tutti i presenti montarono in
collera per il fatto che ella avesse scelto un tale pezzente e nemmeno il re
era contento. Infine fu deciso che vi sarebbe stato un combattimento e che
se il giovane avesse vinto avrebbe potuto sposare la principessa. Egli era
forte e coraggioso, ma fu tuttavia una grande prova. Ma le Signore del noce
aiutarono il loro amico, così tutti caddero di fronte a lui. Né mai nell‟agone
lo toccò una lancia o una spada, egli era protetto da un incantesimo ed i
cavalieri nemici cadevano davanti a lui come pecore davanti ad un lupo. Fu
il vincitore e sposò la figlia del re; dopo pochi mesi nacque un bel bambino
che venne chiamato, in segno di gratitudine alle dame fatate, Noce di
Benevento. E così furono felici e contenti.”
Le streghe del noce appaiono in questa storia come fate, ma esse sono le
stesse anime affascinanti che rimossero la gobba a Lamberto e resero il
giovane padre di se stesso. Non posso negare che esse manifestino
certamente una decisa disposizione a giocare gli scherzi erotici più
eccentrici e confermo ciò che William Grant Stewart dice sulle fate
scozzesi, che “i loro appetiti sono appassionati e voluttuosi tanto quanto le
loro inclinazioni sono corrotte e malvagie” – malvagie qui significa ciò che
ho udito da un altro Scozzese come “vara leecherous”. Si osservi che in
146
questa storia vi è effettivamente un noce che produce un bambino sotto un
altro aspetto e che questo, unito all‟asserzione di Pipernius, mi induce a
credere che in sostanza queste due storie siano estremamente antiche. Sono
anche importanti come prova del fatto che, nonostante gli incessanti sforzi
dei monaci di portare avanti la dichiarazione del Salmo XCVI, 5 che “tutti
gli Dei dei Gentili sono diavoli”, vi erano delle eccezioni in cui i bellissimi
spiriti benevoli dell‟antichità erano sopravvissuti alle calunnie ebraico-
cattoliche. Non è importante che l‟altra metà di questa storia corrisponda
esattamente ad una faccenda narrata in una saga islandese.
Ma, per ritornare al noce, Janet Ross ci dice nel suo Land of Manfred che
Monsignor Schifosi le raccontò quanto segue, tratto da un manoscritto di
Nicastro sulla storia di Benevento:
“Al tempo di Romualdo i Longobardi adoravano delle vipere d‟oro ed il
Duca stesso, nonostante avesse promesso al Vescovo Barbatus di
abbracciare il cristianesimo, aveva nel suo palazzo un altare sui cui vi era un
dragone d‟oro alato a due teste con due sfingi di diaspro ad ogni lato e vari
idoli provenienti dal tempio di Iside. Questo incollerì il vescovo che, aiutato
dalla Duchessa Theodorada, sua discepola, andò con un‟ascia a fare a pezzi
il drago e gli idoli. Dei frammenti del mostro alato egli fece un calice per la
sua chiesa.”
Potrebbe essere tutto vero, come l‟altra storia, ma questo racconto su vipere
d‟oro, draghi ed idoli egizi ha un che di negozio di ciarpame che pare essere
sbucato da scrittori posteriori. Ma va bene. Non nobis tantæ componere
lites.
Le streghe e la stregoneria
“Oc eru ther hiner mestu flaugd konur, ther kanna Galldra oc fiolkyngi, so
ecki standist noytt vid them.” (“E vi saranno tante donne malvagie che
conoscono incanti e magie e nessuno potrà far loro del male”) Saga di Ulf
Uggason
“Oh, ma ve ne sono, certo” sottolineò la mia cacciatrice di teste. “Perché qui
a Firenze vi è un prete che è uno stregone”.
“Santo! Ora, se tu mi avessi detto che vi era un ladro tra la polizia avrei
potuto non essere stupito. Ma lui non può essere un vero stregone!”
“Ma sì. Gesualda là lo conosce. E puoi vederlo da te, se vuoi.”
Pensai che in complesso non volevo. Perché sapevo che, in primo luogo,
sarei stato presentato come uno stregone inglese e quindi mi venne in mente
qualcosa riguardo a Catone, che si meravigliava che un augure potesse
guardarne un altro in volto. Non che io temessi sorrisi e strizzate d‟occhi
reciproci – il confessionale è ordinato alla continenza aldilà delle parola. Ma
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ero sopraffatto da una grande ammirazione per un prete che poteva essere
abbastanza onesto da chiamare se stesso con il suo giusto nome, così chiesi
in che modo egli fosse giunto a praticare la nostra nobile professione.
“Ah!” disse la strega con un sorriso. “Non potè farci nulla. Dovette
diventarlo. Venne chiamato a confessare una strega morente e non sapeva
con chi aveva a che fare. Così ella rese la sua confessione e quindi disse che
aveva qualcosa da lasciargli. La voleva? Oh, certo – sì, sicuro. „Allora‟ ella
disse „ti lascio la mia stregoneria!‟ E prima che lui potesse dire una parola
ella era morta ed egli si ritrovò stregone.”
Qualche tempo dopo avere scritto quanto sopra, ricevetti da un‟altra fonte le
seguenti autentiche informazioni aggiuntive riguardo a questo prete gobelin,
della cui reale esistenza non ho il minimo dubbio:
“Questo prete venne chiamato per convertire una vecchia donna che,
dicendo che aveva qualcosa, ripeteva continuamente: „Non ho parenti – a
chi la lascerò? Non posso lasciare questo mondo finchè non l‟avrò lasciata.‟
Allora il prete disse: „Lasciala a me!‟ La donna allora gli diede una piccola
chiave di una certa scatola o cofanetto e morì. Quando il prete aprì il
cofanetto vi trovò dentro un topo. E lo spirito della stregoneria venne su di
lui. E, quando giunge, se la strega tocca qualcuno questo qualcuno sarà
stregato e deperirà o morirà. Ma questo prete, essendo un buon uomo, non
avrebbe toccato o abbracciato nessuno in tali periodi bensì, andando in giro
per la campagna, toccava alberi, grano o mais e qualunque cosa toccava
avvizziva. Così egli faceva il minor male possibile; ma non poteva evitare
di essere uno stregone.”
Questa storia è estremamente interessante in quanto vi si menziona il topo.
Esso era l‟anima della strega. Praetorius, nel suo Anthropodemus
Plutonicus, narra la meravigliosa storia di una strega la cui anima uscì dalla
bocca sotto forma di un topo rosso, idea che Goethe usa in Faust. Siccome
la mia informatrice faceva a sua volta parte della sorellanza della
stregoneria, non ho alcun dubbio che ella abbia fatto con questa storia il
possibile per provare che tutto il potere e la santità della Chiesa e del
cristianesimo non poteva servire a rimuovere il grande potere della
stregoneria. Ma ella credeva in quello che mi narrava ed è interessante
sapere che nella città di Firenze, nel mese di gennaio 1891, vi era gente che
credeva in uno sciamanesimo preistorico più forte e potente della Chiesa. Le
ere si sono succedute, i culti di Etruschi, Sabino-Latini, Romani e cristiani
sono succeduti l‟uno all‟altro ma attraverso tutto ciò le streghe e gli
stregoni, umili e inosservati, si sono mantenuti se stessi. In effetti,
diventando io familiare con la reale e profonda credenza nella religione
della stregoneria in Toscana, scoprii che non vi sono dopotutto grandi
148
anomalie in un prete stregone, perché la stregoneria è un business come
qualunque altro. E‟ piacevole riflettere sul fatto che non vi è alcun diavolo
in essa. Non viene in alcun modo considerata cristianamente come una pia
possessione ma in qualche strano modo la strega lavora libera dalla teologia.
Vero, vi sono streghe buone e cattive, ma tutte quelle che ho conosciuto
appartenevano interamente alle buone. Erano le loro rivali e nemiche ad
essere le maledette streghe ma di queste io non ne ho mai incontrate.
Eravamo tutti buoni. Sembra incredibile e contraddittorio il fatto che
durante il Medioevo la stregoneria, che si supponeva essere basata su un
patto con il diavolo, infuriò in Italia – testimoni gli scritti spazzatura di Pico
della Mirandola, Grillandus, Peter Pipernus ed altri. Ed è assolutamente
vero che, prima di questo carnevale dell‟Inferno e molto sotto ad esso,
rimase viva per tutto il tempo tra la gente l‟antica magia pre-Etrusco-
Romana e con essa un‟altra stregoneria che non aveva nulla a che fare con
l‟inferno o i diavoli o il peccato originale o qualunque cosa fosse ebraica,
persiana, cristiana – ed essa visse, incurante degli uomini dotti e dei preti e
della loro pietà.
La mania della stregoneria morì e la Chiesa sta morendo velocemente;
tuttavia, qui in Toscana, la stregoneria senza un diavolo o un Dio – lo
sciamanesimo dell‟antichità con un poco di colore etrusco-romano
posteriore – sopravvive, come tutto in questo libro indica. La conoscenza
ispira riflessioni molto strane riguardo alla reale natura dell‟Italiano del
Nord, perché tale capacità di sopravvivenza indica carattere. Il
conservatorismo degli antichi Romani era il loro tratto peculiare. Non si
trattava di una cieca adesione come quella degli Egizi ad un ordine di cose
stabilito, perché era basato sul buon senso. Questo è fortemente manifesto
nelle opere di Catone e di Varone sull‟agricoltura. Essi osservavano
strettamente tutti gli antichi riti ed insegnavano anche incantesimi, molto
simili a quelli delle streghe; ma sotto a tutto ciò vi era uno spirito di
indipendenza. Catone dice (De Agricultura, c. 3, 5): “Rem divinam, nisi
Conpititalibus in conpito aut in foco ne facit--haruspicem, augurem,
hariolum, Chaldæum ne quem consulisse velit, segetem ne defrudet, nam id
infelix est”. L‟Italia, nei suoi momenti più bui – come ai tempi di
Crescentius o dei Borgia (perché Cesare Borgia mirava ad una Italia unita e
Machiavelli era un vero patriota) –, non desiderava avere poche menti
illuminate. Così mi pare che, anche in questa stregoneria contadina che si
conservava nonostante la Chiesa, vi sia una sorta di conservatorismo che
non si sottomette alla Chiesa, perché è una forma di sovrannaturalismo
troppo potente. E‟ cieca, umile ed ignorante ma possiede una sorta di
vitalità ed indipendenza propria che indica grande potere. Non è assurdo,
149
alla luce dell‟ipnotismo e delle influenze conosciute dell‟immaginazione
(qualunque possano essere) che dei contadini ignoranti credano in una
quantità limitata di incantesimi e magie. Catone lo fece e fu uno degli
uomini più sensibili mai vissuti. Ciò che meraviglia è che la sua limitata
quantità di superstizione si sia conservata contro la stupenda e sottile
influenza di una superstizione molto più grande. Come dice Marcellus,
potrebbe essere Venenum, veneno vincitur.
Quando gente dalla mentalità media mi chiedeva “In cosa credono gli
zingari?”, spesso è accaduto che la giusta risposta fosse “Esattamente in ciò
che voi fate – nulla in assoluto!” Perché la semplice ammissione
indifferente, non meditata della verità di una religione o dell‟esistenza di un
Dio non costituisce fede e vi sono molte poche persone, diciamo a Londra,
che se un nuovo tipo di religione dovesse divenire di moda, non
mancherebbero di cadervi dentro pensando ben poco alla sua reale natura.
Ma che sia una questione di scienza, chimica, economia politica, slute
pubblica, navigazione o morale, non ci si può semplicemente adagiare,
perché essa richiede intelligenza attiva. Un prete fissa molto facilmente un
punto disputato in teologia con il suo ipse dixit, ma un avvocato non può
liberare il suo cliente semplicemente esperimento la propria convinzione
della sua innocenza. Egli deve lavorare sodo per provare la sua tesi. Ma per
quanto un cristiano possa essere indifferente e tiepido, c‟è sempre qualcosa
nel corso della sua vita che mostra la fede in cui è nato e così, siccome le
streghe e gli stregoni toscani o di altre zone non professano alcuna dottrina,
si potrebbe dedurre dalle loro tradizioni ed incantesimi diverse cose curiose
e molto originali, che indubbiamente un tempo venivano insegnate o
credute con grande zelo. Sono le seguenti: il lettore avrà notato da molti
passaggi ed aneddoti di quest‟opera che la stregoneria come esiste ora in
Italia è molto diversa da quella che veniva o viene rappresentata essere nel
Nord Europa. Talvolta quest‟ultima, come veniva insegnata dai preti con il
suo principio di vendita dell‟anima al diavolo, appare come una cosa
completamente vile e diabolica. Ma tutto ciò è cristiano. La vera stregoneria
italiana, e particolarmente quella toscana, è in sé assolutamente pagana.
Non ha nulla a che fare con patti con Satana, con l‟inferno o il paradiso.
Quando il diavolo o i diavoli vi sono menzionati, lo sono sotto falsi colori,
perch‟essi sono semplici spiriti, magari malvagi ma non esseri il cui unico
scopo è di distruggere le anime. Secondo il cattolicesimo romano, e potrei
anche aggiungere il primo protestantesimo, vi sono sciami incredibili di
diavoli (molti di più degli spiriti buoni) che sono tutto il tempo occupati a
tentare ed a dannare l‟umanità e nella maggior parte dei casi hanno successo
con grande facilità.
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La stregoneria italiana è come una dote. Può essere assunta volontariamente
accompagnandosi a delle streghe, studiando la loro tradizione e prendendo
parte ai loro incantesimi; questo può essere fatto con spirito buono o cattivo
ed in nessun caso l‟anima è dannata per questo in senso cristiano. Le
streghe evidentemente non sono tanto avanzate nell‟umanità e nella
religione dell‟illimitata compassione ed amore divini da concepire che
un‟anima possa essere inviata all‟inferno per l‟eternità per aver dimenticato
un Ave Maria, come viene illustrato in maniera molto bella da molte storie
cattoliche autenticate. Il dono della stregoneria non è invero per tutti. Molti
lo desiderano ma in realtà molto pochi lo ottengono nei suoi gradi superiori.
Ma uno che lo ottenga dovrà conservarlo fino a quando qualcun‟altro lo
prenderà – nel qual caso la strega è, com‟era, assolta e ripulita da tutti i suoi
peccati. Certo, lei può indurre con l‟inganno una persona ignara a prendere
il potere fingendo di lasciarle un‟eredità – la preziosa eredità è la sua
stregeria. Perch‟ella non può morire finchè è una strega e molto spesso
desidera andare in cielo o comunque occuparsi di se stessa e talvolta ci
vuole tutto il suo ingegno per liberarsi dell‟incomodo. Come ho già detto, vi
è ora un prete a Firenze che è stato preso in tal modo da una strega morente
la quale, dopo avere ricevuto da lui l‟assoluzione, ingrata lo ha raggirato
offrendogli un‟eredità che egli ha accettato e che lo ha mutato in uno
stregone. Ed ora egli va in giro per la città confessando e facendo magia
alternativamente, dando sacramenti che suppongo siano “in una forma o
nell‟altra”, come un medico eclettico che tratta i suoi pazienti sia con
l‟allopatia che con l‟omeopatia, come preferiscono. A Venezia si può
perdere la stregoneria se dalla strega fuoriesce anche una sola goccia di
sangue mentre sta esercitando il proprio potere sovrannaturale o anche se
viene colta ad esercitarlo. In una storia di Firenze, raccontata come accaduta
in un altro luogo, ad una ragazza viene tolta la stregoneria impedendole con
la violenza di partecipare al sabbat. Tutto questo indica un tipo radicalmente
diverso di strega rispetto a quello descritto da Sprenger, Bodinus, Wierus e
mille altri scrittori.
E‟ particolarmente notevole la credenza che gli stregoni e le streghe molto
potenti quando muoiono divengano spiriti che vagano per la campagna in
nuvole o vapori o tempeste o vagano sulla terra travestiti da mortali. Questa
è la stessa dottrina degli Indiani del Nord America, tra cui si sente
continuamente parlare di Glooskaps, Manobozhos e Hiawathas, un tempo
stregoni umani, ma non si sente mai una parola su un qualche Grande
Spirito eccetto che nei trattato con il governo e nelle interviste con i
missionari, essendo esso pressoché sconosciuto fino a quando non ne
sentirono parlare dai bianchi. Allo stadio dello sciamanesimo l‟uomo è
151
sempre eufemistico e rende spiriti i suoi amici o i grandi uomini defunti. In
Romagna si credeva anche che coloro che hanno la fede delle streghe
muoiano ma riappaiono nuovamente in forma umana. Questa è una dottrina
esoterica piuttosto oscura, conosciuta nelle famiglie di streghe ma di cui non
si parla molto. Un figlio nasce e, dopo una debita consultazione famigliare,
una qualche vecchia e saggia strega rinviene in esso un nonno morto da
lungo tempo dal suo sorriso, dalle sue caratteristiche o dalla sua
espressione. Così si tramanda lo sciamanesimo, antico come il mondo, del
Grande Lama del Tibet – lo strano e misterioso centro della “religione” più
antica del mondo. Il Dr. O.W.Holmes ha acutamente osservato che, quando
nasce un bambino, qualcuno abbastanza vecchio da avere triangolato la
successione può in esso riconoscere molto spesso il nonno o il prozio. Nelle
famiglie di streghe, che si stringono tra loro e tra loro si sposano, queste
triangolazioni conducono a scoperte di palingenesi più frequenti rispetto
alle altre famiglie. In una delle strane storie di questo libro riguardo a
Benevento, un padre rinasce come suo figlio e quindi sposa la sua seconda
madre. Ma lo spirito dello stregone defunto ha certamente – talvolta – la
possibilità di scelta nella faccenda ed occasionalmente egli sceglie di
rinascere come un nobile o un principe.
Nello scrivere quanto sopra, ho avuto le seguenti informazioni sulla
trasmigrazione delle anime e la riapparizione degli antenati nei loro
discendenti.
“Talvolta nella sua vita un uomo potrebbe dire „Dopo la mia morte che io
possa rinascere di nuovo come stregone, perché vorrei vivere di nuovo!‟.
Ma non è nemmeno necessario dirlo perché, se egli ha detto una cosa del
genere, anche senza pensare alle streghe, esse lo vedono e lo odono. Così
accadrà che egli rinasca anche dal figlio di suo figlio di suo figlio e così sarà
il proprio bis-bis-nipote o bis-nipote o nipote. E quando uno così nasce,
viene riconosciuto come stregone o strega, perché avrà occhi fieri (occhi
burberi), molto abbassati e maligni, capelli molto spessi e questi sono i più
cattivi di tutti. Uno di essi nacque in un paesino della Romagna chiamato
Castrocaro. Era una fanciulla cresciuta con una mentalità maligna ed un
cuore duro, o nessun cuore, così che quando divenne una donna non ebbe
nessuno con cui avere dei bambini suoi. Ed ella disse che sarebbe rinata
come strega per vendicarsi di coloro che odiava, il che significava tutti,
visto che non amava nessuno. E così accadde che, molti anni dopo, la
moglie di suo nipote diede alla luce una figlia con occhi abbassati e cattivi e
pesanti capelli neri, l‟immagine stessa di una strega. Ed in un sogno la
madre udì: „Questa bambina non è tua figlia ma una strega malvagia che
sarà completamente selvaggia e, accada quel che accada, farà molto male a
152
tutti!‟ E così si seppe che ella era rinata sotto forma di bambina, ma era in
realtà uno spirito di male e vendetta; in breve tempo, tutti a Castrocaro si
ammalarono ed i bambini furono stregati. La povera madre fu obbligata a
diventare una strega, ad obbedire alla terribile figlia ed a fare tutte le azioni
terribili che ella le ordinava , e non osava confessarlo a nessuno. Il padre si
questo essere terribile infine comprese tutto ed agì in tal modo: organizzò
una grande festa con un grande ballo in una grande piazza pubblica e riunì
da un lato tutti coloro che erano stati vittima della strega, mentre dall‟altra
vi erano molti preti con dell‟acqua santa. Alle undici di sera cenarono ed a
mezzanotte le streghe desiderarono andarsene. Ma i preti le trattennero ed
obbligarono la figlia a curarle, a togliere la stregoneria da tutte le sue
vittime. La legarono con delle corde e cantarono:
„Tutto il male che tu hai fatto tu lo possa riparare e in cielo tu non possa
andare; né in forma di gatto né di nessun animale tu possa tornare.
Requiescat in pace. Amen!‟
Ed allora lo spirito delle strega, facendo un suono terribile come uno stridor
di catene e spargendo fiamme scomparve e non fu mai più rivisto.”
In questa storia possiamo vedere il processo grazie a cui la strega o il mago,
rinascendo, diviene più potente e passa ad uno stadio più alto come spirito.
Questo è estremamente interessante perché fornisce una chiara
comprensione del metodo per cui un uomo o una donna che viene temuto
diventa un Dio. E‟ pressoché la stessa cosa nel Bramanesimo, nel
Buddhismo e nello Sciamanesimo Tibetano. Nuove incarnazioni in forma
umana danno maggiore potere. Questa storia è ancora più notevole in
quanto la narratrice era perfettamente convinta della sua realtà. Riguardo a
questa storia, ella osservò che vi sono streghe molto buone così come molto
cattive e che vi è un‟aristocrazia molto lontana dal volgo, o le streghe
comuni. Ella, infatti, mi fece capire che nel mondo della stregoneria vi sono
le stesse distinzioni che vi sono nel nostro mondo.
“La credenza che gli uomini possano divenire Dei” scrive Mrs. Hamilton
Gray (Hist. of Etruria) “è molto antica tra gli Etruschi. Ne Il Libro
Acherontico di Tagete, tradotto da Labeo, vi erano certi riti tramite i quali le
anime potevano divenire Dei, chiamati „Dii-Animale‟ perché erano state
anime umane. Prima di potere diventare Divinità superiori, esse erano
Penati e Lari.” Questo concorda con la credenza attuale. Molto caratteristico
è il fatto che questi devoti credono in due distinti gruppi o sistemi di esseri
sovrannaturali – uno composto di danti, angeli e della “gerarchia celeste”
delle Scritture e l‟altro di “spiriti” i quali, ad un esame, si rivelano essere i
membri dell‟antica mitologia etrusca, con aggiunte sciamaniche di morti
che furono stregoni particolari. Per illustrare sia questa che la credenza nel
153
potere di una promessa o di un giuramento fatto agli spiriti, trascrivo questa
curiosa storia, che è ancora più curiosa in quanto la donna da cui l‟ho avuta
credeva assolutamente nella sua realtà. Il suo giusto posto sarebbe forse
stato tra gli spiriti, perché mi è stata raccontata per illustrare la maniera in
cui gli spiriti, o folletti, sono nati, ma è in stretta relazione a ciò che viene
descritto in questo capitolo.
“Zanchi era un uomo generalmente amato e stimato ed era devoto alla sua
famiglia. Ebbe prima una moglie che morì, e poi un‟altra che non visse a
lungo e da ognuna di esse ebbe un figlio. Il suo cuore era, tuttavia,
desideroso di una figlia, perciò si risposò ancora ed ebbe dalla sua terza
moglie altri due figli maschi. Egli era quasi disperato pensando che non
avrebbe avuto questa gioia che per lui sarebbe stata così grande. Ora, tutti i
suoi figli morirono eccetto due ed egli continuò a pregare per una figlia,
rivolgendosi non solo a tutti i santi, ma anche agli antichi spiriti della zona,
dichiarando che se avesse potuto solo avere ciò che desiderava sarebbe
morto con gioia – a patto che avesse potuto ritornare sulla terra per vedere
la bambina. Ora, questo voto non restò inosservato perché se i santi non vi
badarono lo fecero gli spiriti e dopo non molto egli ebbe una figlia, che
amava teneramente; ma quando la bambina ebbe otto mesi di età, il voto
venne reclamato ed il padre lasciò questo mondo per un altro. La vedova era
una donna dal cuore tenero e devota ed amava i figli del marito come la sua
propria figlia; ed ogni notte pregava davanti ad un‟immagine per i suoi figli
ed il marito deceduti. Una notte ella vide una forma che si librava sulla
figlia dormiente e vide che era lo spirito del marito. Egli tornò notte dopo
notte. Con il tempo la vedova morì ma Zanchi, grazie al suo voto, divenne
uno spirito e continuò a fare visita ai suoi figli, specialmente alla figlia.”
Qui vediamo che un uomo, grazie ad una preghiera ad antichi spiriti pagani,
diventa uno di loro. Non vi sono indicazioni che venne punito –
semplicemente si trasferì interamente in un‟altra regione. Da tutti gli
incantesimi contenuti in questo libro possiamo osservare che anche il
peggiore del male fatto dalle streghe italiane si basa su una sensazione
individuale di negatività. Nella stregoneria tedesca o inglese la maga agisce
per “pura malvagità”: come principio generale, non risparmiando l‟amico o
il nemico e facendo tutto ciò che fa piacere al diavolo. Lo stregone o la
strega agisce per gelosia, invidia o odio personale. Egli o ella danneggia una
persona perché è stata pagata per farlo da una terza persona. I folletti, o
spiriti, fanno del male ma è perché i contadini non li benedicono mai o,
peggio ancora, parlano di loro in maniera irrispettosa. Si dice quasi
eccezionalmente di Spulviero che, quando viveva come stregone, era così
malvagio che colpiva chiunque indifferentemente. Secondo l‟immagine di
154
questa classe di esseri dipinta dagli antichi dottori in stregoneria della
Chiesa, questo sarebbe stato solo suo dovere. In Italia la vendetta viene
serbata profondamente quanto nelle terre di frontiera in America – troviamo
molto di quelle zone nella stregoneria, ma è solo a causa della natura
umana.
Le streghe di una certa classe hanno la loro dimora in strani luoghi selvaggi.
Mi è stato detto che:
“Quando uno passa accanto ad una caverna dove dimorano le streghe – o
sian folletti o siano le fate – si fa il segno della castagna e ripete:
„O strega maledetta, che da me tu possa stare sempre distante!‟”
La storia seguente mi è stata fornita mezza cantata e mezza recitata, ma il
“sì, sì” era sempre cantata e talvolta con una strana risata; le streghe
formano delle barche con le piume degli uccelli ed in un istante esse volano:
“In un attimo esse volano sopra a terre e fiumi ma devi stare attento, sì, sì! a
fare i letti dei bambini con le piume. E se uno ha dei bambini, sì, sì! con le
piume dei letti esse faranno loro molto male. E voi vi troverai in mezzo, sì,
sì! corone fatte di piume a forma di cappone. E state attenti, sì, sì! a farci
dormir i bimbi se non ve li volete far stregar. Se volete che i bambini
dormano e non vengano stregati, dovete tenerli lontani dalle piume. Ed ora
è finita, sì, sì! Racconta la tua storia, amico mio, sì, sì! Perché la mia è
giunta alla fine, sì, sì!”
In questa grezza canzone, che non venne improvvisata ma ripetuta come se
fosse ben conosciuta e fosse parte di una narrazione più lunga (la mia
informatrice è stata molto attenta al fatto che io mettessi i sì, sì nei posti
giusti), l‟allusione a barche fatte di piume è classica. “Le piume” dice
Friedrich “sono simbolo di volo ed ispirazione. Così le Muse venivano
rappresentate con piume sul capo per esprimere il volo ed il rapimento
poetico.” “Le avevano conquistate dalle Sirene”.
Così come vi sono streghe buone e streghe cattive, esse fanno dei doni che
possono portare buona o cattiva sorte; ma questi devono essere accettati con
grande sospetto o un uomo potrebbe ritrovarsi indiavolato senza saperlo. Se
qualcuno ha involontariamente accettato da qualche vecchia delle castagne
secche o delle noci o delle mandorle ed in seguito sospetta che essa sia una
strega, non dovrebbe mangiarle o si potrebbe ritrovare stregato.
“In un caso del genere, che egli attenda fino a martedì o venerdì e quindi
prenda della ginestra verde esattamente a mezzogiorno o a mezzanotte.
Quindi ne formi una croce e la metta sul fuoco, ponendo su di essa i doni
della sospetta strega e dicendo:
155
„Se sei una strega, strega, strega, strega! Tu sia maledetta e su per il camino,
maledetta, tu possa saltare come queste noci (o qualunque altra cosa sia) e
bruciata tu possa restare!‟
Ma le streghe sono furbe. Uno dei loro trucchi consiste nel lasciare cadere
un anello incantato. Se qualcuno lo raccoglie e se lo mette al dito,
comincerà a consumarsi come una candela che brucia. Allora, scoperto
questo, egli dovrà fare un grande fuoco di ginestra e mettere l‟anello molto
vicino al fuoco, quindi dire:
„Se questo anello è stregato, su per il camino possa saltare in compagnia
della ginestra che i ho appoggiato, appoggiato al focolare!‟
Allora, se l‟anello è stregato volerà su per il camino, ma egli in quello stesso
istante dovrà prontamente fare la castagna con entrambe le mani, altrimenti
esso ricadrà e l‟uomo rimarrà stregato.”
Vi è anche un altro incantesimo da fare quando si riceve in dono qualcosa
da mangiare da una donna anziana. Prendete una scopa e mettetela presso il
fuoco, gettate parte del cibo sospetto tra le fiamme e dite:
“Se la roba che tu, o vecchia indegna, mi hai dato è stregata, nel tempo
stesso che la butto nel fuoco, o vecchia indegna, tre colpi possa fare: uno
sopra il camino che tu possa accettare (a te diretto), uno dalla finestra che
quella sempre arda come tempesta ed uno alla porta che in casa mia entrare
più non possa! Strega, strega, strega vile e nera, brutta strega!”
Possiamo osservare qui che le streghe del tipo maligno effettuano i loro
peggiori incantesimi donando cibo e che questo è una caratteristica
prominente nella stregoneria italiana più che in qualunque altra. In tal modo
esse mutano la gente in animali o li costringono a credersi mutati in persone
del sesso opposto. Ed è per questo che erano famose nell‟antichità, come
riferisce Fulgosus (lib. 8, cap. 2): “In Italia vi sono certe donne che, con
certi tipi di cibo, agiscono sulle menti umane in modo che esse si credano
essere ciò che non sono”. Queste idee sono state probabilmente prodotte in
primo luogo da suggestione o ipnosi e secondariamente dalla
somministrazione di determinati veleni quali lo stramonio, che causa strane
illusioni. Fulgosus suggerisce comunque che queste sono illusioni e che,
probabilmente, il mutare uomini in animali da parte di Circe e la fanciulla
egizia che si credette una giumenta e venne curata da Hilarion erano tutte
torte cotte dalla stessa farina. In questo il lettore concorderà senza dubbio
con lui.
I ragazzi di strada e le canaglie, che in Italia sono crudeli come negli altri
paesi, hanno un metodo molto semplice per accertarsi se una vecchia sia
una strega. Se doveste vederne una per strada dovete seguirla, facendo il
segno della castagna e gridare dietro di lei per molte volte: “Strega, strega,
156
strega, fico! (significante il segno della castagna)” E se lei si volta e
risponde “Zident!” (Romagnolo, in Italiano “Accidenti!”) “Cattiva sorte a
voi!”, potete stare certi che è una strega. Ma deve rispondere con queste
parole e non con altre. In Italia la strega non viene identificata tanto con la
scopa come proprio veicolo quanto nel Nord Europa. Ella cavalca una
capra, ma viene tenuta lontana o esorcizzata con una scopa, cosa che ha
un‟antica origine latina. In antico la scopa era simbolo di purificazione – da
qui una protezione magica contro gli spiriti maligni che amano la sporcizia.
Perciò Varone riferisce che, quando nasce un bambino, la soglia di casa
veniva toccata con una scopa, un‟accetta ed un pestello per tenere lontani
gli spiriti; questo è pressochè uguale all‟usanza romagnola di lasciare una
scopa per traverso nella porta per impedire alle streghe di entrare. Infatti, in
tutti gli esempi che ho raccolto l‟unica allusione alla scopa riguardo alle
streghe è come oggetto che temono molto. Quello che Silvanus (considerato
uno spirito che fa delle cattiverie) temeva di più erano la scopa, l‟accetta ed
il pestello o i tre principali simboli di cultura, pulizia e fertilità.
Dopo aver scritto quanto precede, sono venuto a conoscenza di quanto
segue, che prova che l‟intero antico rito come viene descritto da Varone
viene tuttora osservato.
“Quando nasce un bambino, per liberarsi dalle streghe si devono prendere
un‟accetta, un pestello ed una scopa e si devono mettere tutti e tre a forma
di croce sulla soglia di casa; colui che lo fa deve dire:
„Tutto questo l‟ho incrociato perché voialtre streghe maledette il soglio
della mia casa non potete traversare!‟”
Il pestello viene considerato per qualche ragione molto efficace in magia.
Le streghe in Italia come nelle province del Danubio amano danzare e
rotolare e volare in una confusione selvaggia, dandosi la caccia a vicenda
sulle cime dei rami ondeggianti e, quando essi si muovono molto con poco
vento, potete essere certi che o loro o delle fate sono lì.
“Sulle cime di alberi ondeggianti, quando si flettono nella brezza, è allora
che le streghe danzano, come fanno capriole e saltellano su e giù al ritmo di
un flauto, saltando alla luce della Luna!”
Gli uomini della grandine e delle nuvole
“Sei entrato nei tesori di neve? O hai visto i tesori di grandine?” Job.
XXXVIII, 22
“Nuvole fluttuanti – marinai dell‟aria!” Schiller
Penso fosse Washington Irving a descrivere un uomo che desiderava essere
superstiziose perchè pensava che chi lo era dovesse vivere in una sorta di
terra fatata. Anche Walter Scott desiderava credere a ciò con il suo forte
157
buon senso scozzese, rafforzato dall‟educazione, rifiutava. E se la fede del
Medioevo non avesse insegnato agli uomini che ogni concetto
sovrannaturale che non sia incluso negli insegnamenti della Chiesa era
infernale e che lo erano anche fate, elfi e diavoli, gli uomini di quel tempo
avrebbero potuto certamente essere più felici e circondarsi di baldacchini
sempre diversi, con ghirlande e stelle dorate, riconoscendo nella rugiada la
mano di uno spirito artista, adornando con perle liquide i fili d‟erba,
vedendo occhi di luce nelle gocce di pioggia ed udendo sussurri d‟amore
nella brezza. La maledizione, o bando, della Chiesa venne rimossa dalla
poesia durante la Riforma, la terra elle fate ritornò a vivere ed a prosperare
nelle parole di Shakespeare ed invero in quella di altre centinaia, se non
migliaia, di altri scrittori. In realtà, nonostante le sue cause prime stessero
morendo, essa ricevette uno sviluppo così grande che il suo che il suo potere
fu più grande che mai, come una pianta di fragole che, morendo in un posto,
invia i suoi semi in un altro e, da arido, esso diventa in breve tempo fertile e
produce abbondanti boccioli coloro avorio e frutti di corallo con macchiette
dorate. Esempio che calza invero bene, in quanto la fragola è il frutto fatato
per eccellenza. Jerome Bosch, in un‟immagine, gli dà il potere di mutare gli
uomini in strani esseri. Questa cosa è stata presa poco in considerazione.
L‟Elfo, che era letterale e molto limitato o quasi un luogo comune per i
contadini, ebbe la sua apoteosi nelle menti raffinate e coltivate dell‟era
d‟oro della letteratura inglese con Ariel. E, per dire la verità, non esiste una
così squisita adorazione della terra degli Elfi come quella che si trova nelle
opere di Shakespeare, Herrick, Drayton ed in innumerevoli ballate e
leggende che questo Rinascimento fatato ha chiamato alla vita. Il Vescovo
Corbet era in errore quando diceva che le Fate “erano dell‟antica
professione” o cattoliche. Esse erano tutti diavoli dannati, sotto la Chiesa, e
divennero deliziose piccole Divinità solo per i Protestanti. Questo punto di
vista potrebbe essere nuovo per molti dei miei lettori, ma vale la pena di
considerare seriamente quanto sia prezioso un senso artistico ben coltivato o
quanto un istinto per la bellezza preservi l‟uomo dalle influenze maligne e
rivoltanti. I contadini italiani odierni non identificano le streghe con le
orribili megere della Germania e dell‟Inghilterra, che si incontrano
semplicemente per adorare il diavolo. Il loro capo non è lo sporco e volgare
Diavolo ma una bella signora – come Diana. Ed ecco che abbiamo qui il
risultato di una certa raffinatezza dell‟arte che neppure i monaci sono
riusciti ad estinguere. Non solo è vero che un uomo che crede – come
l‟Indiano d‟America – che ogni albero e pietra abbia uno spirito che vi
dimora è sempre in una sorta di terra delle fate, ma è anche invidiabile il
fatto che egli non è mai solo. Quando siede in un bosco selvaggio vicino ad
158
un albero verde o color ruggine, egli è consapevole della presenza degli Elfi
o vede da molti segni che sono passati di lì. Ogni vestigia dell‟antichità,
punte di freccia, vasellame e selci cave, è stata toccata da mani fatate e tanto
più se si tratta di vestigia dell‟antichità come rocce, fiumi e foreste.
Per la mente realmente raffinata o coltivata vi è un campo infinito per
queste sensazioni, se chi la possiede ha molta familiarità con tale tradizione;
perciò anche noi possiamo vivere nella terra delle fate e: “By a spell to us
unknown we can never be alone” (“grazie ad un incantesimo a noi
sconosciuto possiamo non essere mai soli”). Io non penso che Shakespeare
o Herrick credessero realmente nell‟esistenza delle fate, ma sono certo che
nessun contadino del X secolo abbia mai popolato le foreste ed i campi con
esseri fatati ed associazioni più belli di quanto fecero loro. E, dopotutto,
chissà quanta vita e mistero e regno fatato e regno degli spiriti giaccia
realmente nella Natura – quali elementi e sensi e leggi che ci sono ancora
sconosciute? Continuate a dormire ed a sognare – non è ancora tempo per
l‟uomo di essere risvegliato dal suo riposo – potete giacere ancora un poco!
Leggi, padroneggia e digerisci interiormente, o lettore, tutto questo folklore
dei tempi antichi. Non ti farà alcun male avere la mente piena di immagini
fatate come quella di Don Quixote lo era di sogni di cavalleria. Perché
mentre la poesia non è da meno, il valore storico e le lezioni che insegna
sono di grande importanza. Avrete letto questo libro con poco scopo se esso
non vi avrà indotto a riflettere sul fatto che, studiando gli stupefacenti errori
del passato, impariamo quanti di essi rimangono e quanti pochi tra noi li
comprendono. Vi è tuttavia un fascino particolare nella conoscenza di ciò
che l‟uomo ha creduto realmente, che sia vero o falso. Io amo guardare le
zigrinature ed i nodi negli alberi e ricordare che sono stati causati dalle teste
delle streghe che sono state seppellite accanto ad essi e che si costringono
nuovamente a vivere; o scrutare attraverso una selce bucata per aiutare la
mia vista e magari vedere gli Elfi. O guardare le nuvole come navi –
“marinai dell‟aria” – e pensare ai “tesori di grandine” immagazzinati in
esse!
E questo richiama una delle concezioni più strane e squisitamente belle
dell‟antichità – che vi sia, lontano nella Terra delle Nuvole, una città
misteriosa chiamata Magonia in cui si forma la grandine e da cui essa viene
portata su navi che sembrano come “nuvole che navigano nel verde dorato
del tramonto”. I monaci, che hanno indemoniato, rimpicciolito e sporcato
ogni cosa, hanno aggiunto a questa fantasia che queste navi venivano
condotto da streghe e diavoli allo scopo di distruggere i raccolti e che per il
ritorno venivano caricate della frutta così danneggiata o distrutta. Su questo
159
tema l‟Arcivescovo Agobardo di Lione, del X secolo, si espresse come
segue:
“La maggior parte della gente è così stupida da credere e dichiarare che vi
sia una terra chiamata Magonia da cui provengono navi che solcano l‟aria e
che ricevono a bordo tutta la frutta che viene distrutta da grandine e
tempeste. E che le streghe che causano le tempeste sono in collegamento
con l‟equipaggio della nave e sono da essi pagate.”
Il medesimo Vescovo riferisce che egli stesso una volta salvò la vita di 4
esseri umani, 3 uomini ed una donna, che il volgo voleva lapidare a morte
perché credeva che essi fossero gente proveniente da Magonia che fosse
caduta da un vascello-nuvola durante una tempesta. E‟ un vero peccato che
il Vescovo non ci abbia lasciato alcun racconto in merito a questo quartetto
– come apparivano e quale lingua parlassero. Immagino che sarebbe stato
provato che si trattava di zingari!
Sic vita. Ma imparo dall‟Anthropodemus Plutonicus di Praetorius che questi
Graupenmenschen, o uomini-grandine di Magonia, sono rari artisti elfici e
che qua e là essi foggiano la loro merce in strane forme ed entrano nel
proprio lavoro anche loro stessi o per magia fanno sì che in esso appaiano
piccoli esseri fatati, allo scopo di presagire misticamente strane cose.
“Davvero memorabile è quello che accadde nell‟anno di cristo 1395 quando
caddero, come pioggia di ciottoli, magnifici chicchi di grandine su cui vi
erano dei volti umani, sia maschili che femminili. I primi avevano delle
barbe come quelle degli uomini, le femmine avevano capelli lunghi e veli
ed essi vennero visti da un uomo altamente credibile, che li tenne anche in
mano, come dichiara Cranzius in Wandal, lib. 9, c. 3. Ed a Cremona,
nell‟anno 1240, nel monastero di San Gabriele, cadde un chicco di grandine
in cui si potè vedere, come se vi fosse stata scolpita con attenzione, la forma
di una croce con il volto del Signore Cristo e le lettere JESUS
NAZARENUS. Ed una delle gocce d‟acqua provenienti da esso, bagnando
gli occhi di un cieco gli diedero la vista, come appare dallo scrittore
Vinsich, Histor. lib. 30, c. 138 e da lui Majolus, p.15 d.tom.; ed anche
Nauclerus, Gener. 41, i cui fatti autenticati dovrebbero di per sè mostrare
che gli abitanti di Magonia erano dei buoni cristiani.” “M.Heinrich Gobald,
in Breviar. Histor., pag. 473, dichiara che il 18 giugno del 1650 vi fu, come
annunciate da Presburg, una terribile tempesta di grandine, come nessuno
aveva mai visto. I chicchi erano di varie forme ed alcuni di essi erano grossi
come teste di Turco.” Dopo poco tempo giunsero guerre, fame, rivelazioni e
rivoluzioni, adulteri e corrotti vennero colpiti a morte e da questo si dedusse
che: “Un Figlio della Mezzanotte regnerà a lungo ed il suo dominio sarà
duro come ferro e pieno di dolore; quando pestilenza, fame e guerra
160
prenderanno il potere. Tuttavia, all‟inizio egli governerà Mosca con molta
pace e diverrà un monarca potente.” Seguono 40 pagine di profezie
selvagge su ciò che accadrà nell‟anno 1666, secondo quanto presagito dai
chicchi di grandine. Io, e forse anche tu, lettore, ho visto cadere insieme
chicchi di grandine piccoli e così grandi da ricordare la testa di un Turco
con il turbante, ma non è mai successo che questo fosse presagio di eventi
politici. Non pensiamo neanche al Figlio della Mezzanotte, che è comunque
un bel termine che potrebbe servire come titolo di una novella o di un
poema. Tuttavia, quando vedi le navi-nuvola che viaggiano nel cielo,
potresti ricordarti della misteriosa città di Magonia e, quando verrai colpito
da un chicco di grandine, considerarlo come un gioco degli artigiani fatati di
quella famosa città.
Appare da molte fonti autorevoli che ciò che a noi appare come “nuvole
fluttuanti – marinai dell‟aria” siano in realtà imbarcazioni misteriose o
molto spesso spiriti che si affrettano per il cielo, le navi ed i marinai della
“graziosa terra delle nuvole” diretti lontano per uno scopo; vi è in merito
una storia molto strana raccontata da Meteranus (Niederland Histor., b. 28).
Per prima cosa, ricordiamo che come gli eroi norvegesi del Valhalla si
incontrano ogni giorno per fare le prove dei loro antichi duelli e lotte, essere
uccisi e quindi rivivere, così i misteriosi abitanti della terra dell‟aria
ritornano sulla terra nell‟anniversario di qualche antica battaglia, come in
America le battaglie di Bunker Hill, Concord, Saratoga ed altre, anche se
recenti come quella di Gettysburg, ed eserciti spettrali le celebrano
combattendo nuovamente la battaglia di notte. Così accadde che in Francia,
nella terra di Angouléme, nel dicembre del 1608, fluttuarono in cielo molte
piccolo nuvole che parevano ciottoli sulla sabbia spostati dalla marea
crescente. Quindi, una ad una e poi due a due, cominciarono a cadere verso
la terra dolcemente e gentilmente, come fiocchi di neve. “Una ad una e due
a due, crebbero come uno squadrone possente.” E quando toccarono terra
divennero improvvisamente guerrieri. “Tutti loro” dichiara Meteranus
“erano uomini molto alti, diritti e belli; avevano armi blu, bandiere e tutto il
resto di un color ceruleo o blu cielo; e di essi ve ne erano 12.900. Ed essi si
divisero in due eserciti e combatterono dalle 5 di pomeriggio fino alle nove
di sera, quindi svanirono tutti.”
Ma è principalmente nel deserto silenzioso o nelle montagne solitarie, in
luoghi nascosti lontano dalle pianure che vediamo questi esseri che sono
corpore aërea, tempore eterna (di forma aerea ma con un‟anima eterna) che
volano per il cielo su mistiche imbarcazioni erranti. Talvolta essi si
fermano, tuttavia, per un periodo, o di loro spontanea volontà o a causa
dell‟incantesimo di uno stregone, e costruiscono con un solo pensiero delle
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torri cinte da nuvole e bei palazzi, rosati e dorati nel sole morente, volte con
pilastri, cittadelle di perla e file e file di bastioni, ripetuti come scale
gigantesche che si perdono alte nell‟aria. A coloro che hanno “il dono”, essi
appaiono come se fossero realmente costruzioni umane e questo non
stupisce, perché esse sono fatte appositamente per sembrare nuvole per
deludere l‟umanità. Perché Magonia invero è: “Una grande e strana città,
più amabile nelle sue luci di tutto il verde dorato delle colline e nelle sue
ombre gloriose lontane. Il porpora versa confini di nuvole tonanti, una città
di tutti i colori e di belle forme e baluginii di acqua che cade giorno e
notte… Illuminata dalle fonti dell‟arcobaleno di giorno, illuminata dalla
pioggia di stelle colorate di notte… e fuori, lontane e dormienti nella luce,
le isole e l‟azzurro del male e più in alto, attraverso un labirinto di guglie e
torri e ripidi muri di alabastro, la città si erge – tutte le sue facciate
ingioiellate che splendono verso il mare… Fino a che, alla fine, attraverso
miglia di aria tenebrosa, le montagne blu e viola chiudono il cielo.”
Ho scritto questo nella città di Firenze nel maggio 1891, mentre un giorno
stavo conversando con una donna che entrò in casa mia proprio mentre
stava infuriando una tempesta. Ed ella disse: “Stavo andando all‟ufficio
postale e qualcuno mi disse: „Tu sei davvero una strega, perché i chicchi di
grandine scaturiscono dai tuoi piedi.‟” Allora entrambi ridemmo ed io chiesi
se le streghe fanno grandinare; questa fu la risposta, che trascrissi parola per
parola in Italiano:
“La gente dice che quando il tempo si guasta e cominciano tuoni e fulmini è
una tempesta causata dal vento e che le nuvole scure sono acqua ed i venti
portano in giro queste nuvole che spargono acqua. Ma in realtà la cosa è
molto diversa. Perché lassù nel cielo vi sono città fatte da streghe e stregoni
che furono un tempo buttati fuori dal paradiso o che lasciarono questo
mondo ed hanno fatto per loro un altro mondo in cielo. Ma anche in cielo
essi conservano quei sentimenti negativi (tengono sempre i suoi rancori)
che hanno sempre avuto e così scelgono di peggiorare il tempo, in modo da
fare molti danni agli uomini. Ed allora entrano in una barca e la stipano di
grandine; e tutte le nuvole che vediamo non sono nuvole d‟aria, ma barche.
Quindi il loro capo prende la grandine e la getta ad una strega e così si
colpiscono tra loro e cantano: „Tiro queste granate (chicchi di grandine) ma
non tiro le granate, le tiro perché si convertano tutte in grandine. E voglio
sperare che tutta la campagna a male voglia andare e così tutti di fame in
terra dovranno andare!‟”
Di questa Terra della Grandine nel cielo ho ricevuto un‟altra storia, che
differisce in alcuni dettagli ma che penso non sia meno interessante:
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“Quando la gente vede le nuvole in aria dice che si tratta di aria (vapore) ed
è segno di pioggia, ma in esse vi è più di quanto si supponga. Perché in
cielo vi è un altro mondo fatto dagli stregoni e dalle streghe che, quando
sono morti, non sono stati ammessi al paradiso e così hanno fatto un mondo
per se stessi che ha un mare (lago) interno. E quando il tempo è scuro e
volano nuvole prima della tempesta, queste nuvole sono barche piene di
grandine ed in esse vi sono stregoni e streghe che si gettano l‟un l‟altro i
chicchi di grandine e così essa cade a terra e causa grandi danni. Quando
questo accade, di dovrebbe invocare lo spirito del tuono (Tituno o Tignia).
Le piccole nuvole leggere che passano nella luce quando vi è bel tempo
sono piccole barche in cui vi sono le fanciulle ed i bambini che le streghe
hanno preso prigionieri. Ma, talvolta, quando è bello li inviano fuori a
navigare nell‟aria.”
Possiedo invero un terzo racconto scritto a mano riguardante questi
prigionieri, ma dopo averlo letto per 6 volte sono stato obbligato a
dichiararlo incomprensibile. E‟ solo una ulteriore testimonianza. C‟è
qualcosa in merito al fatto che le streghe avrebbero degli specchi con cui
fanno segnali luminosi alle barche di ritorno o con cui fanno dei lampi. Le
streghe sulla terra talvolta fanno visita a questa Magonia, o Terra della Città
di Nuvola, ma corrono il rischio di essere catturate o uccise dalle tempeste
che loro stesse fanno sorgere. Così Friedrich Panzer ci narra nella sue
Bavarian Tales che, durante la prima metà dell‟ultimo secolo, vi fu a
Forchheim, nella Franconia Superiore, una tempesta di grandine così
tremenda che la gente temette che l‟intera città ne fosse distrutta. Allora i
frati francescani si riunirono nel giardino del convento e, non appena
pronunciarono la prima benedizione, meraviglia! Una bella donna,
completamente nuda, venne gettata da una nube tempestosa giù al centro
dell‟erba; ed i santi fratelli, grandemente meravigliati di questa visione per
loro certamente nuova, le si avvicinarono e riconobbero in colei che era
caduta così improvvisamente tra loro la moglie del mugnaio del paese, una
donna sospettata da tempo di stregoneria. Uno dei monaci le gettò sopra una
veste ed ella venne portata all‟interno del convento. “Così facendo” dice il
racconto (piuttosto oscuramente) “essi le evitarono la morte per mezzo del
fuoco”. Suppongo che questo significhi che ella fece ai Francescani
un‟impressione così favorevole che essi protessero la loro proie inattendue
(vide Le Moyen de Parvenir) dall‟essere arrostita.
Così, dai giorni antichi queste storie sono sopravvissute ibernate come i
mammuth della Siberia fino a quando qualche scopritore non le rivela ed
allora ci si meraviglia che cose simili abbiano potuto rimanere ibernate così
a lungo. Con il tempo ritornano le cose antiche e le antiche medaglie, anche
163
se dissepolte, sono ancora più belle per la loro ruggine. Quanto
profondamente (o potremmo dire quanto terribilmente) sia impressa nei
contadini italiani la credenza che la grandine sia causata da diavoli e streghe
appare da quanto segue, tratto da un quotidiano di Londra del settembre
1891. E‟ interessante in quanto coinvolge la credenza degli antichi Romani
nel potere sacro delle campane come conduttrici di diavoli, che venne in
seguito convertita dai preti in questo bel racconto:
“L‟insegnante è pressochè un estraneo, in Italia, come il prete di Montalto
ha ben ragione di sapere. Quando arriva una tempesta, là vi è la pratica di
suonare freneticamente una delle campane della chiesa, cosa che si suppone
abbia un effetto positivo sull‟umore dell‟addetto al tempo. Questo venne
doverosamente fatto dal sagrestano un giorno della scorsa settimana ed
invero egli è fortunato che non presta servizio nel nostro clima, altrimenti
difficilmente quest‟estate avrebbe lasciato la corda della campana.
Comunque, il prete ha la sfortuna di essere troppo lontano dal suo gregge e
fermò lo scampanìo, dicendo alla gente di entrare in chiesa. Non appena la
campana si fermò, cominciò a grandinare ed il prete non fece in tempo a
raggiungere l‟altare che un contadino chiamato Marca lo riprese
amaramente per avere fermato la campana, causando così la tempesta.
Esibendo una roncola, attaccò il prete, che parò il colpo ma ricevette una
temibile ferita da una donna che disse di essere la madre di Marca e nel
mentre gridava: „Lascia perdere!‟ Allora Marca fuggì e non è stato ancora
catturato.” Invero Marca era molto più pagano che cristiano. Lo spirito
dell‟antica Roma era grande in lui – egli non avrebbe lasciato che la fede
moderna divenisse favola.
Storie di streghe e goblin
In Romagna e Toscana il raccontare storie è una istituzione con delle
osservanze. I contadini in inverno si incontrano, “magari 10, ve ne
possono anche essere 20 o 30 intorno ad un fuoco e, prima di tutto, recitano
con debita solennità un rosario o 5 paternoster con gli ave e le altre
preghiere e quindi cominciano a raccontare storie di esseri fatati, streghe e
folletti.” Questa antichissima usanza viene tuttora generalmente osservata.
Prima di tutto, alcuni anziani raccontano una storia, che viene poi
commentata sollecitando negli ascoltatori i propri ricordi; quindi ne viene
suggerita un‟altra ed in tal modo di mantiene vivo il folklore. Nell‟anno
1808 venne pubblicato in Bolognese – che è, con alcune differenze, il
dialetto che parlano questi contadini – una traduzione di storie napoletane di
esseri fatati che pare siano in buona parte riprese dal Pentamerone di Gian
Battista Basile, ma adattate a nuove circostanze. Così le stesse storie, ora
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conosciute in tutta Italia, sono penetrate in Romagna ma nella regione del
bolognese ve ne sono molte le cui tracce si ritrovano nella gamma usuale
delle leggende italiane e molto spesso derivano da fonti molto antiche, con
elementi e caratteristiche pressochè peculiari. Quelle che seguono sono
alcune delle storie che ho udito.
Le streghe e la barca
“Vi erano due streghe, madre e figlia, che vivevano vicino alla riva del mare
e la giovane era una bella fanciulla ed aveva un innamorato, che in breve
tempo fu lì per sposare. Ma si cominciò a dire che quelle due donne si erano
date alla stregoneria ed avevano comportamenti selvaggi e qualcuno riportò
la voce al giovane, dicendo che non avrebbe dovuto prendere una moglie
del genere. Così egli si risolse di vedere con i suoi occhi andando a casa
delle due donne e rimanendo là fino a mezzanotte, quando sapeva che, se
esse fossero state streghe, non sarebbero potute rimanere a casa. Ed egli
andò e sedette fino a dopo le undici di sera; quando gli dissero di tornare a
casa sua, egli rispose: „Lasciatemi sedere ancora un poco‟ e così disse varie
volte, fino a che le due non perdettero la pazienza. Allora, vedendo che lui
non se ne andava, con la loro stregoneria lo fecero cadere in un sonno
profondo e tramite un tubicino succhiarono via tutto il sangue dalle sue vene
e ne fecero un budino di sangue o migliaccino, che portarono con loro.
Questo diede loro il potere di essere invisibili fino al loro ritorno. Ma vi era
un altro uomo alla loro ricerca, quella notte, ed era il fratello del giovane
che esse avevano addormentato, perch‟egli sospettava di loro da molto
tempo ed era stato lui a mettere in guardia il fratello. Ora, questi aveva una
barca ed ogni mattina notava che di notte qualcuno l‟aveva slegata,
concludendo quindi che fossero state queste streghe. Così si nascose
accuratamente nelle barca ed attese, in guardia. A mezzanotte arrivarono le
due streghe. Desideravano andare a Gerusalemme per prendere dei garofani
(molto usati in magia). Quando salirono sulla barca, la madre disse: „Barca,
barca, vai per due!‟ Ma la barca non si mosse. Allora la madre disse alla
figlia: „Forse sei incinta – farebbe tre.‟ Ma la figlia negò. Allora la madre
gridò di nuovo: „Barca, barca, vai per due!‟ Ancora non si mosse, così la
madre gridò: „Vai per due, vai per tre, per quattro, per quanti tu vuoi!‟
Allora la barca filò via come una freccia, come un fulmine, come il pensiero
ed in breve furono a Gerusalemme, dove colsero i loro fiori e, rientrate nella
barca, ritornarono. Allora il barcaiolo fu soddisfatto di avere avuto
conferma che le donne erano streghe ed andò a casa a riferirlo a suo fratello,
che trovò quasi morto e fuori di mente. Egli andò dalle streghe e le
minacciò fino a che non gli diedero il migliaccino. Appena il giovane lo
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mangiò, tutto il suo sangue e la vita ritornarono ed egli stette bene come
prima. Ma le streghe volarono via non appena egli si alzò, sui tetti delle case
e sui colli e, a meno che non si siano fermate, stanno ancora volando.”
Bernoni racconta questa storia nella sua narrativa sulle streghe veneziane
ma più imperfettamente, perché non fa menzione di un innamorato o del
risucchio e della rimessa a posto del sangue. Nelle storie classiche di
Apuleio e di altri, il succhiare il sangue era l‟attività principale della striga,
per cui penso che questa possa essere la versione più antica della storia.
Nella storia veneziana, la barca va ad Alessandria ed il barcaiolo ottiene là
dei datteri e delle foglie fresche, che esibisce al ritorno come prova della sua
avventura. L‟ottenimento dei fiori del mistico garofano fornisce una ragione
eccellente per il viaggio. Hawthorne ha scritto una storia in cui una barca
piena di streghe sotto forma di gatti fanno un viaggio simile per ottenere del
rosmarino, anch‟esso erba delle streghe.
La vendetta di Pippo
“Vi era un uomo di nome Pippo che era sposato da poco tempo con una
giovane e bella moglie quando fu obbligato ad intraprendere un lungo
viaggio. Ed accade così che questo viaggio fu prolungato a causa di un
imprevisto e le sue lettere non raggiunsero la sua casa; così la moglie, che
era giovane e molto semplice, credendo ai pettegolezzi ed alle cattiverie
della gente, pensò presto che suo marito fosse fuggito. Ora, vi era un rpete
nel villaggio che era abbastanza furbo ed ella andò da lui a lamentarsi
amaramente che suo marito l‟aveva abbandonata, lasciandola incinta.
Nell‟udire questo, il prete apparve molto serio e disse che era molto
malvagio da parte di suo marito comportarsi in tal modo; sì, che era un
peccato mortale a causa del quale sia lei che Pippo sarebbero stati dannati al
girone più basso dell‟inferno, perché ella avrebbe dato alla luce un bambino
che era stato solo cominciato e non finito, perché probabilmente egli
sarebbe nato senza la testa o gli arti ed ella sarebbe stata molto fortunata se
fossero mancati solo una mano ed un piede o gli occhi. E disse che tutte le
donne che portano in grembo mostri del genere sarebbero state certo
condannate al peggio. Ora la moglie, che era una semplice contadina, era
molto devota e si confessava frequentemente; credendo ad ogni parola del
prete si spaventò terribilmente e gli chiese cosa fare. Egli rispose che vi era
modo di rimediare ed egli lo avrebbe fatto, per salvare l‟anima di lei e per il
bene del bambino avrebbe provato. Ella avrebbe dovuto passare la notte con
lui che, grazie ai suoi potrei miracolosi di prete ed alle sue preghiere,
avrebbe fatto in modo che il bambino nascesse perfetto ed ella sarebbe stata
libera dal peccato. Ma le fece giurare di non dire una parola di ciò ad alcun
essere umano e specialmente a Pippo, altrimenti sarebbe fallito tutto. Così
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ella acconsentì ed il prete ebbe ciò che voleva. Nessuno lo sapeva ma Pippo
era uno stregone e, lanciando la sua mente per sapere cosa stesse accadendo
a casa sua, venne a sapere ciò che era accaduto. Allora, quando ritornò,
invece di andare a casa sua prese la forma di una bella suora ed andò dal
prete. Il prete aveva due giovani sorelle, famose per la loro straordinaria
bellezza e Pippo venne ricevuto molto gentilmente da loro e dal loro
fratello. Quando chiese alloggio per la notte, le due giovani lo invitarono a
dormire con loro, cosa che egli fece, naturalmente seducendole
accuratamente. La mattina seguente, rimasto solo col prete, lo guardò
languidamente e, quando l‟altro colse l‟occasione di peccare con una suora,
gli chiese di andare in cantina per fare l'amore. Al che il prete rimase
estasiato; ma, quando furono soli, Pippo assunse la sua forma naturale, che
era terribile, e disse: „Io sono Pippo, la cui moglie tu facesti sbagliare con le
tue bugie. Tu mi hai fatto del male, ma io ho fatto di peggio alle tue sorelle
e peggio di tutti a te, perchè ora tu sei maledetto di fronte a Dio, tu, falso
prete!‟ Ed il prete non potè dire né fare nulla. Ed arrivarono davanti a lui
molti spiriti che lo derisero ed egli dovette lasciare il sacerdozio. E questa fu
la vendetta di Pippo.‟
Avrei potuto omettere questa storia realmente boccaccesca, se non fosse che
illustra in maniera molto chiara l‟antipatia dei credenti nella stregoneria e
degli spiriti antichi per i preti. Una storiella licenziosa che non fa alcuna
profonda impressione di moralità od immoralità alla mente degli Europei
del Sud quanta ne fa in quelli del Nord, ma il porre distintamente lo
stregone contro il prete, o l‟antica magia contro il cristianesimo è, se il
lettore vi rifletterà, un caso piuttosto singolare. In essa il punto fa
indubitabilmente a favore della strega ed è molto interessante il fatto che
faccia notare che l‟antagonismo tra lo sciamanesimo e la Chiesa esiste
ancora, come è sempre esistito indubitabilmente in tutte le epoche. Potrei
aggiungere che tra le storie che ho ricevuto dopo che quest‟opera è stata
mandata in stampa ve ne è una intitolata Il prete Arrimini in cui un prete
diventa uno stregone, manifestando, come questa storia, un marcato
paganesimo o spirito anti-cristiano.
Pispi
“In una zona della Romagna vi era un uomo di nome Pispi che era un
grande ladro; sì, uno che portava via grandi tesori e tuttavia non veniva mai
scoperto. Egli entrava in un caffè e conosceva i gentiluomini che aveva
depredato, quindi, nell‟andarsene, diceva: „Signori, io sono Pispi, il famoso
ladro‟ ma nessuno riusciva a catturarlo o a mettere le mani su di lui; e
quando lo incontravano non lo riconoscevano, perché egli mutava volto e
forma continuamente, tanto che infine si credette che egli fosse un diavolo.
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Ma, in realtà, era uno stregone. Infine fu sul punto di morire ma non vi
riuscì. E si lamentò ed implorò i presenti di prendere il suo potere, ma
nessuno lo accettò perché credevano tutti che egli fosse un diavolo. Infine,
qualcuno mise due scope sotto il suo letto e così lui morì. Ma il suo spirito
non aveva pace, perch‟egli aveva lasciato un tesoro. Ora, Pispi era in realtà
uno spirito buono, perché derubava gente molto ricca e dava gran parte del
bottino ai poveri. Cercò quindi qualche pover‟uomo bisognoso ed infine lo
trovò nella persona di un prigioniero che era stato condannato alla galera a
vita; ed egli gli disse: „Con il mio potere ti sbarazzerò dalle tue sofferenze e
ti libererò. Vai nei boschi nel tal posto e là vi è una quercia chiamata Istia;
sepolto alla profondità di una yarda troverai un tesoro dentro ad uno stivale
che è dentro ad un vaso di terracotta. E quando sarai ricco e libero non
dimenticare i poveri!‟ E così Pispi ebbe pace ed il povero prigioniero
divenne ricco e felice.”
Non sarebbe valsa la pena di riportare questa storiella grezza se non fosse
stato per il nome del suo protagonista: Pispi è un tipico ladro ed in Olanda
la mandragora, che si pensa cresca dal gocciolamento del liquido del
cervello, eccetera, di un ladro sulla forca, viene chiamata Pisdifje, o piccolo
ladro del cervello. Colui che possiede questa pisdifje può entrare in tutte le
case, aprire tutte le porte e rubare liberamente senza venire scoperto. Questa
radice veniva chiamata con molti nomi quali mandragora, alraun, forca,
mannikin e mannikin di terra in Germania, veniva considerata un demone e
riceveva offerte o una sorta di adorazione. Ovviamente, non vi è alcuna
connessione filologica tra i nomi di Pispi e Pisdifje, ma la connessione delle
associazioni tra questi nomi ed il ladro che non poteva venire scoperto e la
radice-demone che permette ad un ladro di evitare la detenzione è tuttavia
molto curiosa.
I nani
“Von wilden Getwergen Han ich gehoeret sagen, Sie sin in Holn
Bergen.” Das Nibelungenlied
Un giorno mi informai se vi fossero degli Elfi o dei piccolo nani in
Romagna e mi venne detto che vi erano con queste parole:
“Dei nani! Ce ne sono molti. Dimorano in luoghi solitari, lontano nelle
montagne, profondamente all‟interno di caverne o tra antiche rovine e
rocce. Talvolta un contadino ne vede uno o più; egli può scorgerli da
lontano mentre vanno a casa presto tra la notte ed il giorno, affrettandosi
prima che il Sole cali ad entrare in casa. Essi vivono come le altre persone,
sono buoni e cattivi come le altre persone ma sono in realtà dei folletti. Vi
racconterò una storia molto antica al loro riguardo:
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„Vi era un tempo una fanciulla che era stata tradita dal suo amante ed
abbandonata per un‟altra e così lei, in un accesso di rabbia, decide di andare
a cercarlo. Oltre le alte montagne blu, oltre i fiumi che scorrono, attraverso
l‟erba umida, lungo la dura strada, in città rumorose, in chiese, dove vi era
gente e dove non vi era nessuno, si mise in cammino per andare in cerca di
lui. E quando ebbe viaggiato per molti giorni e desiderava un poco di
riposo, giunse ad una casa lontana tra le rocce e bussò alla porta. Ne uscì un
piccolo nano, che le chiese cosa volesse, ed ella rispose:
„Buon amico, ti prego per carità di darmi alloggio, perché i miei piedi sono
deboli e stanchi. Sto cercando il mio innamorato, che voglio uccidere per la
sua falsità, tuttavia spero di non trovarlo perché lo amo ancora!‟
Quindi entrò, cenò ed andò a letto. A mezzanotte, ridendo, scherzando e
saltando entrarono nella stanza sciami di piccoli nani o goblins – tutti
uomini piccioli – che urlarono di gioia nel vederla. Tirarono i suoi capelli e
danzarono su di lei, diedero pizzicotti alle sue orecchie ed al naso ed ella, in
collera, li spinse vie, li colpì, li raccolse e li sbattè contro il muro come potè,
ma ad essi non importò e scalarono a sciami il suo letto come api fino
all‟alba, quando scomparvero ed ella si addormentò. Svegliandosi, si alzò
ed andò per la sua strada, finchè da un colle scese un altro nano che le disse:
„Fermati a parlare con me; posso dirti in verità dove trovare il tuo
innamorato e, se tu lo vorrai trovare, vieni da me a mezzanotte ed io te lo
dirò.‟
Allora la fanciulla rispose:
„Dammi la tua mano, pegno della parola.‟
Ma il nano disse:
„Non posso dare la mia mano come la danno i mortali, perché io sono uno
spirito e spiriti erano i goblin che ti hanno disturbato questa notte; eppure
sei loro piaciuta, perché hai mostrato spirito.‟
A mezzanotte la fanciulla andò quindi dal nano, egli le diede una piuma ed
ella venne mutata in una rondine; egli disse:
„Vola sul vento e laddove ti dirige seguilo, seguilo, seguilo e troverai il tuo
amante. E quando lo avrai trovato allora avrai viaggiato ad una distanza di
due mesi, ma per un mio incantesimo avrai in realtà compiuto questo volo
in un minuto. Quando vedrai il tuo amante, toccalo con questa piuma ed egli
allora amerà solo te e non penserà all‟altra. Ti sposerà dopo tre giorni, ma
durante questo periodo dovrai venire ogni sera al calar del Sole alla mia
grotta e dire: Grotta, grotta, grotta! Per l‟incantesimo di appellarsi a tutti
gli spiriti buoni, incanta, ti prego, il mio amante affinchè egli non possa mai
amare un‟altra donna! Così, dopo tre giorni, che egli sia mio marito!‟
169
E quando furono trascorsi tre giorni, ella lo toccò con la piuma e riassunse
la sua forma e fu al suo fianco. Ed incominciarono a baciarsi ed egli non
potè amare più altra donna; la sposò e la storia è finita.”
La rondine, in quanto uccello di primavera, porta fortuna, perciò in Toscana
le penne di rondine legate con un nastro rosso formano un amuleto.
Il melo
“Un tempo vi era una bella signora che sposò un signore ricco e bello; era
grande desiderio del suo cuore l‟avere un erede ma, siccome sua moglie non
gli dava figli, egli divenne quasi pazzo per il dispiacere e la rabbia e la
minacciò delle peggiori torture se non fosse divenuta madre. Ella passava
tutto il suo tempo in preghiera e dava tutto il suo denaro ai poveri, ma
invano. Allora suo marito prese ad odiarla e mise al suo posto una serva e,
trovandola un giorno mentre stava dando del pane ad alcuni poveri, egli le
troncò le mani, così che lei non potesse dare più aiuto. Ed ella visse tra i
servi più infimi in grande disagio. Un giorno giunse al castello un frate, che
le chiese qualcosa in carità; ella rispose che non aveva nulla da dare e che se
lo avesse avuto non avrebbe potuto darlo essendo senza mani. E così egli
apprese il modo in cui era stata trattata, perch‟ella disse:
„Siccome non gli ho dato un figlio, mio marito è pazzo di rabbia che io dia
elemosine ed invero mi ha tagliato via le mani; che il Cielo mi aiuti ed aiuti
i poveri! Perché io non posso dar loro più nulla!‟
Allora il frate la guardò per lungo tempo in silenzio, considerando la sua
estrema miseria e bontà, e disse:
„Signora, andate nel giardino laddove cresce un melo, il più bello mai visto;
bella signora, abbracciate quell‟albero e, mentre lo abbracciate, dite queste
parole il più vicino ad esso che potete: Pano, o mio bel pomo! Te con
grande amore voglio abbracciare che mio marito a letto con sé questa notte
mi possa portare e così mi possa ingravidare; e che mio marito mi possa
amare! Fatto questo, prendete dall‟albero due mele e mangiatele. Andate da
vostro marito ed egli vi amerà e vi porterà nel suo letto ed a tempo debito
avrete due bellissimi bambini.‟
E così accadde ed il marito si dolette amaramente per la sua crudeltà e la
perdita delle sue mani. Ed ella ebbe i due bambini, ma la ragazza che era
stata serva e sua amante lo persuase che sua moglie gli era stata infedele e
che i figli non erano suoi. Allora egli prese un asino su cui vi erano due
panieri, mise i figli uno in ciascuno di essi e la fece issare al centro,
mandandola via. Ella vagò in grande dolore, a malapena in grado con i suoi
moncherini di accudire ai figli e di viaggiare. Ma infine giunse ad una fonte
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e si fermò a bere. E meraviglia! Non appena lo fece le sue mani ricrebbero,
perché quella era la fonte che rinnova la giovinezza e la vita. Allora il suo
cuore si alleggerì, perché ella sentì che la fortuna non l‟aveva lasciata. Ed
invero andò tutto bene, perché giunse ad un castello dove non vide nessuno;
vi entrò e trovò cibo sulle tavole e vino e tutto ciò di cui aveva bisogno
dappertutto. Quando lei ed i bambini ebbero mangiato, al pasto seguente vi
era nuovamente del cibo. Ora, questo castello apparteneva alle fate che,
vedendola lì, ne ebbero pietà e si presero cura di lei in tal modo. Tenendo in
considerazione il suo caso, esse inviarono al marito un sogno; ed il sogno
gli giunse di notte e gli raccontò tutta la verità, come sua moglie fosse stata
sincera con lui e come lui si fosse comportato male. Allora egli si mise in
cerca del lontano castello fino a quando lo trovò e riportò lei ed i bambini a
casa. Quando giunsero vicino all‟entrata, videro davanti ad essa una statua
che non vi era mai stata. Ora, la serva malvagia aveva detto: „Che possa
essere mutata in pietra se non è vero ciò che ho detto di vostra moglie‟ e
queste parole furono ricordate dalle fate (spiriti), perché esse odono ogni
cosa, e la statua era la ragazza mutata in pietra. Ma marito e moglie vissero
felici per sempre.”
Il concetto del melo suggerisce la storia di Giunone, che concepì Marte
senza l‟aiuto di Giove dal tocco di un fiore (Ovisio, Fasti, V, 253). Anche la
fonte della giovinezza in questa storia richiama le mele d‟oro delle Esperidi
ed in particolare quelle sorvegliate dalla Scandinava Iduna, che manteneva
giovani gli Dei. Vi sono molti miti in tutti i paesi che collegano al melo la
generazione e la nascita. Così in questa storia, come in tutte quelle che
provengono da questo paese, vi sono scene e tocchi che possono essere stati
copiati da immagini più antiche. E‟ interessante osservare che anche in
questa storia deve essere pronunciato all‟albero l‟incantesimo prima che
esso eserciti il suo potere fertilizzante.
Lo spirito del giuoco
Questa è una storia curiosa ed evidentemente molto antica, probabilmente
modernizzata:
“E‟ uno spirito maligno, ora, - come potremmo dire, un diavolo - ma molto
tempo addietro, prima che gli alberi che ora crescono cominciassero a
germogliare, un giovane signore ricco e bello: sì, egli aveva molti più olivi
di quante olive io avrei potuto mangiare e più vigne di quanti bicchieri di
vino io potrei bere; ma voleva di più e così giocava d‟azzardo. Ora, alcuni
uomini spendono tutto il loro patrimonio in maniera gaudiosa ma lui sprecò
il suo litigando, maledicendo e dicendo blasfemie. Infine, quando non
rimase nulla di tutto quello che aveva tranne alcuni campi aridi ed egli
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cercava disperatamente del denaro da potersi giocare, vide la orribile
fattoria che rimaneva e disse:
„Venderei anche questa, sì, e al diavolo, e gli darei la mia anima da calciare
quando la mia vita finirà. Sì, egli potrà uccidermi con il fulmine ed un
ruggente tuono che erompa dalla terra se quando vado in giro potessi
bruciare tutti i raccolti di grano, vigne, gelsi, fichi ed olivi – maledetti tutti
quelli che vedo intorno a me e lontano! Un tempo erano miei; guarda il
grano splendere come oro al Sole; l‟oro che avevo – l‟oro che ho perso!
Cosa darei se il diavolo mi desse il potere di vincere al gioco! E poi, quando
udrò il tuono rombare con un lampo, che le carte bruciassero bruciando i
raccolti con le case e tutto di coloro che me le hanno strappate. Sì, certo, e
quando sarò morto infesterò la sala da gioco e se qualcuno vincerà gli farò
udire un tuono (che naturalmente brucerà i suoi raccolti). Ma se qualche
poveraccio come me mi pregherà per avere aiuto quando avrà perso al
gioco, allora gli darò volentieri la fortuna del diavolo alle carte e brucerò i
raccolti ai suoi nemici, a coloro cui ha venduto le sue terre!‟
Quando il giovane ritornò a casa, trovò un bel signore che attendeva di
vederlo. E lo straniero, molto cortesemente, disse:
„Voi vorreste vendere, penso, questa vostra piccola proprietà ed io desidero
comprarla. Voi siete un giovane galante, bravo e coraggioso, di prim‟ordine.
Amo compiacere uomini del genere perché so che, quando viene per loro il
momento di entrare al mio servizio, diventano i migliori tra i servi. Bene,
concordo con i vostri termini, tutto ciò che chiedete lo avrete: fortuna alle
carte, tuoni e fulmini inclusi; riavrete le vostre ricchezze – le ricchezze
torneranno.‟
Così accadde e per un lungo periodo egli vinse. Venne osservato che
quando giocava forte all‟ultima carta si udiva sempre un tuono ed una
grande tempesta si abbatteva da qualche parte, vicino o lontano. Passarono
gli anni ma un giorno, quando venne il suo tempo, vi fu un tremendo
scoppio di fuoco che incendiò la stanza e meraviglia! Il giocatore apparve
improvvisamente come un carbone ardente dalla testa ai piedi ed una voce
esclamò:
„Quello che è stato chiesto è stato garantito appieno; questo è il tuo ultimo
giorno, questa è l‟ora finale; hai chiesto il fulmine e lo hai avuto; ora lo hai
ed ora vivi nel suo fuoco!‟
E così sprofondò nella terra ed essi ricordarono ciò che aveva detto e molti
lo rimpiansero e, quando erano nei guai ed avevano bisogno del suo aiuto lo
chiamavano e dicevano:
„Spirito del tuono e del fulmine, spirito dell‟aiuto, aiutaci! Perché di te noi
abbiamo gran bisogno, perché tu eri come siamo noi; aiutaci, aiutaci nel
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nostro gioco, facci vincere molto denaro, altrimenti la rovina è davanti a
noi; tu non ci abbandonerai. Noi speriamo che tu verrai a giocare in nostra
compagnia.‟”
Patàna
“Patalena proteggeva il grano durante la crescita o la germogliazione. In
Germania, una Divinità del genere veniva chiamata la Roggenmutter, da cui
il detto per i bambini: „Lasciate stare i fiori! Non entrate nel grano! Là vi è
la Roggenmutter da notte a mattino. Ora in basso lei si tuffa, ora guarda
tutto in alto, prenderà tutti i bambini che vanno in cerca di fiori, grandi o
piccoli.” Friedrich, Symbolik
La storia che segue è davvero curiosa sotto molti aspetti:
“Pàtana era una bella ragazza ma aveva una matrigna che era una strega ed
anche maligna; così ella rinchiuse Patàna in una torre in cui non era
permesso a nessuno di andare. La vecchia andava ogni giorno in città a
vendere il latte. Un giorno passò vicino al palazzo del re; ora, il re aveva un
figlio che amava tanto che non vi era null‟altro al mondo di cui si
interessasse. Il giovane principe era alla finestra del palazzo e teneva in
mano dei ciottoli. La vecchia arrivò e si sedette di fronte, posando le sue
brocche di latte a terra. Il giovane principe, con cattiveria, lanciò un sasso e
ruppe una brocca. La vecchia, arrabbiata, gli gridò: „Tu sei il figlio del re e
crederesti di esser più potente di me; ed io ti farò vedere, ai! che sarò più
potente assai. Non avrai gioia in vita fino a quando la bella Patàna non sarà
tua moglie e questo non accadrà mai, perché tu non avrai mai la fanciulla!‟
Allora il principe non ebbe più riposo né gioia né di giorno né di notte.
Infine uscì per il mondo in cerca di Patàna e viaggiò lontano, finchè un
giorno incontrò un povero vecchio che gli chiese qualcosa da mangiare
perché stava morendo di fame. Il principe gli diede qualcosa e disse: „Tu
non sei infelice quanto lo sono io, perché io non potrò avere riposo fino a
che non avrò trovato la bella Patàna e non so dove sia.‟
Il vecchio rispose: „Posso dirvelo io; andata lungo questa strada finchè non
vedrete una torre che si innalza nella foresta; là dimora Patàna con la sua
matrigna, ma assicuratevi di andarvi quando la strega è assente e di dare del
cibo a tutto ciò che vi è nella torre: anche la più piccola ciotola, grazie ad un
incantesimo, direbbe tutto alla vecchia strega a meno che non sia stato
sfamato. Prendete anche questo ciottolo, vi darà il potere di parlare con la
voce della strega, e quindi urlate forte: Bella Patàna, più bella di un raggio
di Sole, butta giù le trecce e tirami su!‟
E così egli fece e venne tirato su nella torre, dove Patàna lo ricevette con
gioia. Quindi fecero una grande ciotola piena di pappa (mollica di pane
bollita) ed egli sfamò, come pensava, tutti gli arredi e gli utensili, tutti
173
tranne una ciotola di terracotta, che dimenticò. E fu questa a fare la spia ed a
tradirlo. Patàna prese quindi un pettine, un coltello ed una forchetta e disse:
„Che noi siamo liberi!‟, la porta della torre si aprì ed essi volarono via. Ma
ben presto la bella Patàna, guardando indietro, vide la matrigna volare
dietro di loro, perché la ciotola che non era stata sfamata le aveva raccontato
tutto, compreso il modo in cui erano andati via. Allora lei gettò a terra la
forchetta ed essa divenne una chiesa, di cui lei stessa era il sacrestano. E la
strega, non riconoscendola, le chiese se avesse visto passare il figlio del re
con una ragazza. Il sagrestano rispose: „Non è il momento di rispondere a
domande oziose, la campana ha suonato due volte per la messa, entrate ad
udirla!‟ La strega se ne andò, incollerita, ed essi proseguirono ma, in breve,
la videro volare nuovamente dietro di loro. Allora Patàna gettò a terra il
pettine ed esso divenne un giardino e lei il giardiniere. Quando arrivò la
strega e le pose la stessa domanda di prima, Patàna rispose: „Se volete dare
loro la caccia, avrete bisogno di cavalli. Ne ho due da vendervi, belli ed a
prezzo d‟occasione; venite, entrate a vederli.‟ Allora la strega, in collera,
tornò a casa nella sua torre e la ciotola le disse che il giardino era solo un
pettine ed il giardiniere Patàna. Ella uscì nuovamente ed in breve la videro
nuovamente volare dietro di loro. Patàna gettò a terra il coltello e si mutò in
una vasca di fontana, mutando il principe in un pesce che vi nuotava dentro.
Ma, questa volta, quando fece la mutazione ella disse: „Prendo qui questo
coltello e lo pianto nel terreno, che io possa divenire una fontana
zampillante ed il mio amore un pesce, Che egli possa nuotare così bene che
la strega che ora giunge non possa mai, mai catturarlo.‟ E la strega, una
volta giunta, cercò e cercò di catturare il pesce ma invano. Infine,
incollerita, gridò: „Che tu possa lasciare Patàna, lasciarla nel castello; se,
ritornando a casa tua, tua madre ti bacerà una volta tu dimenticherai
Patàna.‟
E se ne andò. Quando giunsero al castello, il giovane principe lasciò Patàna
per un istante ed andò a vedere i suoi genitori, determinato tuttavia a fare in
modo che sua madre non lo baciasse. Ed ella, felice di vederlo, cercò invero
di farlo ma egli lo evitò. Furono allora fatti tutti i preparativi per il
matrimonio e lui, stanco, cadde addormentato ed allora la madre lo baciò.
Al suo risveglio, egli vide tutto pronto per un matrimonio ma non riuscì a
ricordare nulla in merito alla sposa. Così passò il tempo ed egli stava per
sposare un‟altra dama. Quando la bella Patàna udì questo, andò a palazzo e
disse al cuoco: „Io sono la signora del castello e desidero fare un dono per il
pranzo del matrimonio, che consisterà in due pesci.‟ Così le venne preparato
il forno e vi fu messa dentro della legna; lei stessa fece cuocere i pesci ed
erano così belli che nessuno ne aveva mai visti di migliori. Quando vennero
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portati a tavola tutti si meravigliarono nel vederli e, chiamato il cuoco,
quando gli chiesero dove li avesse presi egli rispose che non li aveva presi
lui ma che erano stati portati in dono dalla signora del castello. Allora la
sposa, che era anch‟essa un poco strega, disse: „Oh, non è nulla, posso farlo
anch‟io.‟ Ma la legna non le obbedì e, quando entrò nel forno, vi fu una
fiammata ed essa venne bruciata fino a morire. E, fatto questo, i due pesci
sulla tavola cominciarono a conversare tra loro, dicendo così:
„Non ricordi il modo in cui il figlio del re entrò nella torre?‟ „Ricordo bene
come volò via con la bella Patàna.‟ „Non ricordi com‟ella lo ha protetto
dalla strega malvagia?‟ „Ricordo bene la chiesa ed il giardino, il pesce e la
fontana.‟ „Non ricordi il bacio di sua madre, come egli dimenticò Patàna?‟
„Ricordo bene tutta questa strana storia, ma ora egli ricorda.‟
Allora il principe, udendo ciò, ricordò tutto. Così sposò la bella Patàna,
colei che è adesso la Regina delle Fate.”
Questa è forse la storia più comune tra quelle di fate italiane ed in una
qualche forma è conosciuta in tutta Europa. L‟ho riportata qui perché il
nome della sua protagonista, Patàna, è interessante in connessione ad alcune
vicende della storia. Patàna era una Dea Romana che appare con molti nomi
diversi, talvolta come una derivazione di Cerere o una Divinità del genere, e
talvolta come Cerere stessa. Così vi erano Patelena, che apriva la cariosside
del grano, Patellana e Patella, che inducevano la crescita del grano o ne
presiedevano alla nascita; ella era la Dea del grano che germoglia o della
crescita (vedi Bughin). “Perciò” dice Preller (R. Myth., pag. 592) “ella era la
Dea del raccolto, la bionda Cerere dei Greci e, in realtà, come Dea dei
raccolti pare sia stata principalmente conosciuta sotto questo nome
nell‟antica Italia. Le tavole Inguviniche menzionano una Dea Padella e la
tavoletta votiva di Oscan una Patana, che sono probabilmente la stessa cosa
di Patella, che è la Divinità Panda. Pare anche che questo nome fosse
comune per questa Dea al posto del Romano-Latino Ceres.”
Chiesi alla mia fonte autorevole se conoscesse il nome di qualche spirito
che causava la crescita di raccolti, alberi o simili. Ella suggerì subito Patàna,
che in una storia aveva creato un giardino, una chiesa e la nascita di una
fonte dalla terra. Varone (De vita pop. Ro. Citato da PRELLER) dice che
questa Panda o Pandana , “ di cui Aelius pensava fosse Cerere, aveva un
santuario dove veniva dato del pane a coloro che vi si rifugiavano.” Nella
storia italiana a tutti gli oggetti dell‟arredamento viene dato da mangiare del
pane bollito in acqua, così come gli spiriti dei morti vengono pacificati con
del cibo; qui la mobilia può significare i rifugiati, che ricevono della pappa
o pane bollito. Essendo Patàna stata confusa con Cerere e considerata come
una sua forma minore o sua figlia, è possibile che l‟eroina di questa storia
175
abbia mutato luogo con la matrigna. In questo caso abbiamo un parallelo
molto curioso in Cerere che insegue Persefone o Proserpina. Nell‟una come
nell‟altra, una madre-matrigna insegue i fuggitivi, Cerere mette Trittolemo
sul fuoco per renderlo immortale (cosa che accade in una storia di streghe
romagnola) ed in questa storia Patàna stessa entra nel fuoco. A Roma
Cerere veniva considerata come nemica del matrimonio: “Alii dicunt
Cererem proper raptum filire nuptias execratam” (Serv., V, A. III, 139) ed
è evidente che nella nostra leggenda ella si oppone all‟unione senza una
ragione apparente. Cerere nella leggenda latina viene derisa da un ragazzo,
figlio di Metaniera, e lo punisce mutandolo in una lucertola; la strega-madre
di Patàna va in collera con il giovane principe e gli infligge una punizione.
E‟ perfettamente vero che con un poco di ingenuità si posso stabilire simili
paralleli tra quasi tutte le storie di fate e qualche mito antico, ma qui
abbiamo un nome in comune con i fatti corrispondenti, di cui possiamo
presumere una identità di origine. Possiamo aggiungere che la storia della
ciotola fatata che non è stata sfamata, dimenticata o negletta, che si vendica
per la dimenticanza è di origine molto antica. LA troviamo per la prima
volta nella Discordia, che andò in collera per non essere stata invitata al
matrimonio di Teti e Pelia (Luciano, Dialog. Marin., v.; cfr. Hygni, fol. 92,
Coluthus, De raptu Helen, v. 60). Questo incidente ricompare nel Medioevo
nella fata che non venne invitata a presenziare alla nascita di Oberon e
venne in seguito condannata a rimanere un nano. Questo non deriva
necessariamente dalla tradizione, ma può avere il suo valore, così come tutti
gli avvenimenti del folklore che vengono troppo frequentemente e
rozzamente messi da parte da buona parte dei critici per pelano la cipolla
fino a che non ne rimane nulla, dimenticando che per avere un risultato
bisogna fermarsi dopo avere rimosso le foglie esterne. Vi è uno spirito nella
tradizione, così come la lettera. Schedius, nel citare varie Divinità minori
romane, include “Patellana seu Patula”.
Il Moro
“Vi era in Romagna una ricca signora che veniva trattata scortesemente dal
marito perchè non aveva figli. Ed egli le diceva spesso che, se non avesse
dato alla luce un figlio o una figlia, in breve tempo l‟avrebbe lasciata e si
sarebbe preso un‟altra. Così la povera signora andava ogni giorno in chiesa
per pregare Dio di essere così gentile da darle un figlio, ma questo non le
venne concesso e perciò, dopo un periodo, ella non andò più in chiesa e
smise di fare elemosine. Un giorno se ne stava sconsolata alla finestra,
perch‟ella amava il marito e non ne era ricambiata, quando da una finestra
di fronte un signore scuro (Signore Moro) la chiamò ed ella, alzando la
testa, gli chiese cosa volesse. Il Moro, che era uno stregone (ossia uno
176
magliatore, o maliardo), rispose: „Guardami fissamente negli occhi e tutto ti
andrà bene. E questa notte, quando tuo marito ti abbraccerà, pensa
fissamente a me e rimarrai incinta.‟ Così accadde e la povera signora fu
molto felice di riguadagnare l‟amore di suo marito ed allo stesso tempo di
diventare madre. Ma la gioia vola come le nuvole e così fece lei, perché
quando il figlio nacque era scuro come il Moro, sì, e gli somigliava. Allora
il marito abbandonò sia la moglie che il figlio, dicendo che il figlio non era
suo. E la signora biasimò il Moro, dicendo che l‟aveva tradita. Ma il Moro
replicò: „Non ti preoccupare, o buona signora, perché posso ancora mettere
pace tra te e tuo marito. Domani verrà predicato un sermone sulla carità e,
quando il frate ti darà la benedizione, metti il bambino per terra e lascia che
vada dove vuole.‟ E così fece la signora. Ora, suo marito non andava mai in
chiesa ma, udendo che quel giorno vi sarebbe stato un famoso predicatore,
era presente. E quando la signora mise il bambino per terra, quale fu la sua
sorpresa nel vederlo alzarsi, correre sui suoi piedini, andare da suo padre ed
abbracciarlo con le sue manine, dicendo con parole distinte: „Babbo,
perdona mamma, è innocente e tu vedi che è un miracolo di Dio che io sia
venuto da te.‟ E da quel momento il bambino non pronunciò più una parola
fino all‟età in cui solitamente i bambini parlano. Allora il padre, mosso dal
miracolo, si riconciliò con sua moglie, ritornarono a casa e vissero
felicemente.”
Questa storia suggerirà al lettore molte figure familiari quali Otello, Tamora
ed Aaron, la bella maga ed il suo negro nelle Milla e una Notte, e
particolarmente la storia misteriosa della regina francese e del paggio nero.
In essa vi è di particolarmente importante il fatto che la stregoneria viene
resa superiore alla religione perché, anche se alla fine il miracolo si svolge
in una chiesa e viene, per così dire, attribuito a Dio, è il Moro che ha
ottenuto lo scopo. L‟avvenimento del bambino che parla si ritrova nel
folklore di ogni terra, ma è notevole che le prime tracce di esso in Europa
siano attribuibili al bambino etrusco Tagete, che viene fuori dal terreno
arato, probabilmente nel posto da cui questa storia deriva.
La strega Lea
“Questa strega era una donna ricca, molto egoista e licenziosa, che
cambiava spesso I suoi amanti. Ne teneva uno per un periodo e, quando era
stanca di lui, lo conduceva in una stanza dove vi era una botola sul
pavimento, attraverso la quale egli cadeva in un profondo pozzo fino ad una
prigione sotterranea, dove periva miseramente. E così ella fece molte
vittime e più ne sacrificava più era contenta, perché era una strega malvagia,
insaziabile di lussuria ed assassinio. Ma questo non accadde con uno dei
177
suoi amanti, che conosceva la sua natura. Quando ella gli chiese di passare
oltre all‟entrata segreta, egli rispose:
„Tu, la più vile delle donne, pensi che perché sei ricca e potente tutti
debbano inginocchiarsi davanti a te? Ricca e potente e, oltre a questo,
corrotta e civetta, vile che sei. Per coprire ogni disonore, ne mandi molti a
Dio – fai morire i tuoi amanti. Ma non lo farai con me, perché io sono uno
stregone figlio di una strega e sono più potente di te. E ne avrai la prova.
„Tre volte ti chiamo, Lea, Lea o Lea! Sei maledetta dal profondo del cuore
da mia madre e da me, perchè tu uccidesti mio fratello; per questo io ti
condanno: un serpente diverrai. Ogni notte, come serpente, succhierai il
sangue dei cadaveri, i cadaveri dei tuoi amanti morti; ma prima di tutto tu
andrai sul corpo di mio fratello, metterai in lui la vita, vi esalerai dentro, lo
farai rivivere. Da quel momento tutti gli uomini ti conosceranno come una
strega maledetta!‟ E così accadde che dopo tre giorni il fratello morto venne
fatto rivivere, ma la bella Lea rimase sempre una strega serpente.”
Parrebbe esservi in questa storia una eco di Libitina, la Dea della lussuria e
della morte. “Ab lubendo libido, lubidinosus, ac: Venus Libentina et
Libitina” (Varone, 1.1, VI, 47; Preller, pag. 387). Ella veniva generalmente
riconosciuta anche come Dea dei cadaveri e dei morti. Preller cita molti
esempi che illustrano il fatto che la morte e la vita lussuriosa – schwellendes
Leben – venivano collegati intimamente in un mito in una singola persona e
che la sabina Feronia veniva paragonata alla greca Persefone ed a Flora. Vi
sono anche le affinità tra Venere e Proserpina. La storia somiglia molto ad
una di Odino, che è stata scritta in un poema germanico da Herz. Richiama
anche “la fiera ed orgogliosa regina per ordine di cui De Buridan venne
gettato a mezzanotte nella Senna.” Questa è la ben nota leggenda della Tour
de Nesle.. Ma io credo che sia una vecchia storia italiana, probabilmente
arcaica, perché in essa la connessione tra lussuria e morte è evidenziata
molto fortemente e stranamente. Che a Lea venga data la forma di un
serpente allo scopo di fare rivivere il morto non potrà mancare di colpire chi
ha familiarità con la tradizione classica sui serpenti. E‟ davvero troppo
ardito congetturare che la parola Lia o Lea derivi da Libitina, ma è certo che
le caratteristiche delle due sono le stesse. Libitina era anche conosciuta tra i
Romani come Lubia e come Dea della lussuria (Preller, 581), “cui nomen ab
libidine” (Agostino, IV, 8) ed il nome potrebbe essere stato abbreviato
ulteriormente. Il passo da Libia o Livia a Lia sarebbe pressoché inevitabile
in un dialetto contadino. Dobbiamo sempre ricordare in tali casi che la
storia proviene dallo stesso paese di quelle figure antiche.
178
Santi stregoni
Era la cosa più naturale del mondo che vi fossero certe mescolanze,
compromessi e punti di affinità tra la stregeria, o “vecchia religione”,
basata sulla mitologia etrusca o romana e sui loro riti, ed il cattolicesimo
romano: entrambe erano basate sulla magia, entrambe usavano feticci,
amuleti, incantesimi e facevano ricorso a spiriti. In alcuni casi gli spiriti o i
santi cristiani corrispondevano a, ed in realtà derivavano da, la stessa fonte
dei pagani. Le maghe tra i contadini toscani non erano lente nel percepirlo.
Quanto sia realmente radicata la vecchia religione si può immaginare oggi
dalla storia raccontata in Faflon, del contadino che, qualunque cosa
accadesse, non mancava mai di benedire i folletti – cioè le Divinità rurali.
Le famiglie in cui la stregheria o la conoscenza di amuleti, antiche
tradizioni e canzoni viene mantenuta, tra loro non fingono di essere
cristiane. Come a dire che mantengono le osservanze esteriori e crescono i
bambini come cattolici, “rimanendo” con i preti, ma quando i bambini
crescono, se osservano in loro una qualche attitudine alla magia alcune
vecchie nonne o zie li prendono per mano e li iniziano all‟antica fede. O
almeno era così, perchè ora tutto sta scomparendo rapidamente. Certi santi
venivano considerato essere dei folletti. Folletto è un termine generico per
quasi ogni tipo di spirito non cristiano. Fate, gobelin, spettri, ninfe, vengono
tutti chiamati con questo nome. Vi è un Manuale di Spiriti Folletti
pubblicato ad Asti nel 1864 che comprende diavoli, vampiri, ondine e
comete sotto questa parola. Il capo dei santi-goblin è Sant‟Antonio. Questa
figura aveva particolare familiarità con strani spiriti di ogni sorta. I preti
dissero che egli venne assediato e tentato da diavoli, ma le maghe sapevano
che tutti i loro cari e bei Dei, o folletti – i loro Faflon, Bacco e Bella Marta
del Mattino – venivano chiamati diavoli e così avevano le loro idee in
merito. Esse non obiettavano al fatto che fosse tentato da questi “diavoli”,
quando essi si presentavano come esseri di una bellezza che incantava, a
riempire le loro cantine di vino ed a dare loro fortuna senza fine nel gioco e
nell‟amore. Anche i preti consideravano molto importante il fatto che
Antonio comandasse tutti i tipi di diavoli e folletti – ergo egli era un
evocatore di spiriti ed uno stregone ed era “del mestiere” come loro. “I Santi
Antonio e Simeone non possono essere santi” mi disse una strega, “perché
noi facciamo sempre loro incantesimi di notte in una cantina.” Questo viene
naturalmente sempre fatto con gli spiriti pagani e mai con i santi. Ma
conclusivo è questo: è decisamente una cosa della stregoneria e non
cristiana il dire le preghiere del Signore al contrario o “doppiate”, cioè
ripetere due volte ogni frase. Questo – il pater noster doppio – richiamerà
qualunque spirito pagano al doppio della velocità e viene particolarmente
179
indirizzato verso Sant‟Antonio, e reca il suo nome. Così, quando qualcuno
ha perduto qualcosa, si dice un doppio paternoster a Sant‟Antonio, in tal
modo: „Pater noster, Pater noster! Qui es in coelis, qui es in coelis!‟
eccetera. „Ma dire il paternoster così è della stregherai e non della vera
religione cattolica‟; così disse uno che aveva ricevuto un‟educazione
liberale nell‟arte. Quasi pagano appare questo santo nella seguente
cerimonia, ogni dettaglio della quale è preso dall‟antica stregoneria. Quando
una ragazza desidera conquistare o riottenere un amante, o se qualcuno
desidera qualunque altra cosa, lei (o lui, ma generalmente lei) mette due
fioriere contenenti l‟erba di Sant‟Antonio una ad ogni lato di una finestra
aperta a mezzanotte, con una fioriera di ruta al centro. Devono essere legate
con un nastro di color rosso scarlatto, cui bisogna fare tre nodi e fermare la
treccia con degli spilli, come una nappa (fatta con tre nodi e puntati con tre
spilli per fiocco) e, rivolta verso la finestra, deve dire:
„Sant‟Antonio mio benigno, di pregarvi non son digno; se questa grazia mi
farete tre fiamme di fuoco per me farete: una sopra la mia testa, che per me
arde e tempesta; una accanto al mio cuore che mi levi questo dolore; una
vicino alla mia porta che di questa grazia non se ne sorta (non se ne vada).
Se questa grazia mi avete fatto, fatemi sentire tre voci: porta bussare, uomo
fischiare e cane abbaiare!‟
Quando sarà stata pronunciata questa preghiera, attendete con attenzione
alla finestra e, se udite un busso alla porta o un uomo fischiare o un cane
abbaiare, allora la richiesta – grazia- verrà concessa; uno solo di questi
suoni sarà sufficiente per saperlo. Ma se un cavallo nero o un mulo
dovessero passare, oppure un carro funebre che trasporta un cadavere, allora
la preghiera è rifiutata. Ma se passa lì accanto un cavallo bianco, il favore
verrà concesso – con molto tempo – dopo un po‟ di tempo.”
Può sorgere il pensiero che, nonostante essa sia indirizzata ad un santo
medioevale, vi siano molte probabilità e, giudicando dalle analogie e dalle
associazioni, la certezza, che Sant‟Antonio sia qualche spirito etrusco o
romano sotto spoglie cristiane, perché tutti i dettagli della cerimonia sono
pagani, così come la divinazione per mezzo dei suoni. Sant‟Antonio
protegge i suoi amici da molti guai, ma specialmente dalla stregoneria.
Perciò in Romagna dicono di lui:
“Sant' Antogne, Sant' Antogne sopre came, liberez dai sase! Liberez dai
asase! E dal streghi chliùvengu, in ca‟ mia a stregem i mi burdel chi 'e tent
bel! Sant' Antogne e santa pia, tui lontan el streghi da ca‟ mia, so ven el
streghi in ca mia ai buttar dre la graneda, chi vega via!”
In Italiano:
180
“Sant‟Antonio sopra il camino liberateci dagli assassini! Liberateci dagli
assassini! E dalle Streghe, che non vengano in casa mia a stregare i miei
bambini che sono tanti belli, Santo mio, Santo pio! Tenetemi lontano le
streghe da casa mia! Se vengono le streghe in casa mia, buttatele dietro la
granata (ginestra) Che vadano via!”
Non è un poema molto bello ma è buono come l‟originale, che non è certo
scritto in “Italiano scelto”. Riguardo a Sant‟Antonio sul camino, mi è stato
detto che egli è in particolare il folletto, o spirito, del focolare. Questo lo
rende pressoché identico al russo Domovoy e gli dà – cosa da notare – un
posto distinto come Lar o spiritus domesticus, lar familiaris.
Sant‟Eliseo è indubitabilmente a prima vista Elisha. Ha la testa pelata ed
appare come distruttore dei ragazzi cattivi. Ma – gratta un Russo e troverai
un Tartaro – quando guardiamo questo interessante santo cristiano egli
appare tristemente pagano, anche gioviale, perché vi è in lui una traccia
distinta di Giove. Quando una giovane signora scopre che il suo innamorato
sta andando fuori strada ella, come nella più nera stregoneria, prende alcuni
capelli di lui, va a mezzanotte in una cantina e maledice, dice blasfemie ed
evoca secondo il buon vecchio stile toscano:
“Santo Eliseo dalla testa pelata, una grazia mi vorrete fare; i ragazzi da un
leone li avete fatti mangiare, spero di me non vi vorrete dimenticare.
Stanotte a mezzanotte dentro alla cantina vi verrò a portare i peli dell‟amor
mio perché una parrucca ve ne possiate fare ed al posto dei peli dell‟amor
mio tutti diavoli e streghe li farete diventare, che non possa vivere, non
possa stare, che non abbia più pace né a bere né a mangiare fino a che
l‟amor mio alle porte di casa mia non faranno ritornare; non gli diano pace e
con altre donne non lo facciano parlare!”
Davvero un‟invocazione curiosa ed una simpatica occupazione per un santo
cristiano. Ma chi era Eliseo o Elisaeus? Vi è un‟antico Jpiter Elocouesy o
Aclisaeus, non collegato con i leoni, che era ben conosciuto nella stessa
terra toscana; ma lascio questo ad altri. L‟Elisha della Bibbia era un
magnifico operatore di miracoli e questo può averlo fatto considerare dai
Toscani un mago.
Sant‟Elia appare nella seguente prescrizione ed invocazione:
“Per curare un‟afflizione degli occhi, prendete tre radici legate con un
nastro rosso, tre foglie di trifoglio e quindi dite: „Stacco queste tre foglie per
Sant‟Elia, che il mal d‟occhi mi mandi via!‟ Prendete quindi tre grani di
pepe nero, tre chiodi di garofano, una grossa manciata di sale e mettete il
tutto a bollire in una pentola di terracotta nuova, lasciandola bollire per un
quarto d‟ora. Durante questo tempo, mettete il volto sopra ad essa in modo
che gli occhi possano essere esposti al vapore (attenzione a non avvicinarsi
181
troppo alla pentola: il vapore può bruciare, da troppo vicino! n.d.t.) e
continuate a fare il segno della castagna (il segno del pollice fra le dita)
sopra alla pentola dicendo:
„Per ……. che maledetto sia! (sputate quindi tre volte dietro di voi) Per
Santo Elia, Santo Elia, Santo Elia! Che il male degli occhi mi mandi via!‟
E si deve far questo per tre giorni.”
Un altro stregone è Simeone. Viene chiamato talvolta Simeone Mago, che
indubitabilmente viene confuso spesso con Simon Mago; infatti, ho
accertato questo da una strega di media educazione: quando la gente non
viene incoraggiata a studiare la Bibbia, tali piccoli errori sono inevitabili.
Ma, prima di concludere questo capitolo, mostrerò che in Italia vi è una
completa confusione tra la vecchia magia ed il cristianesimo e che I preti,
lungi dall‟opporvisi, in realtà la incoraggiano e la aiutano, in base al
principio che si possono sempre vendere più merci se vi è un rivale in
competizione. Quanto segue è stato ripreso parola per parola da una strega.
Il vecchio Simeone Santo
“Questo santo è un folletto – uno spirito pagano. Vi sono molti di questi
spiriti che nella stregoneria vengono chiamati santi. E non è tutto perché
come si invoca Simeone si possono invocare altri spiriti facendo la novena.”
(questa è un incantesimo cattolico romano, una copia del quale mi è stata
fornita in un negozio di croci e rosari) “Semplicemente si sostituisce il
nome di un folletto a quello di Simeone – qualunque spirito si voglia. Ma,
per quanto riguarda Simeone stesso, quando si va a letto si deve ripetere la
sua novena per tre notti di seguito a mezzanotte. Ma si deve essere
coraggiosi, perch‟egli arriverà in varie forme, vestito come un prete in
bianco o come un frate con una lunga barba. Ma non si tema se dovesse
mutare forma. E lui chiederà: „Cosa volete che mi avete scomodato?‟ Allora
rispondete prontamente ciò che desiderate – tre numeri della lotteria o dov‟è
nascosto un tesoro o come potete ottenere l‟amore di una certa donna:
qualunque fortuna si desidera. Ma, nel ripetere la novena, state attenti a non
sbagliare una sola sillaba ed a ripeterla senza timore (colla mente molto
ferma) ed otterrete in tal modo ciò che volete da lui. Ma se non siete senza
timore e pronti nel rispondere, egli vi darà uno schiaffo tanto forte che le
sue cinque dita rimarranno impresse sul vostro volto – sì, e talvolta non
scompaiono più.”
La novena è la seguente:
“O gloriosissimo San Vecchio Simeone, che meritaste ed aveste la bella
sorte di ricevere e portare nella vostre fortunate braccia il Divin Pargoletto
Gesù e le annunziaste e profetizzaste e le vostre Profezie furono sante
verità; oh, Santo, concedetemi la grazia che vi addomando. Amen.”
182
Questa è l‟iscrizione sotto una stampa colorata in cui il santo viene
rappresentato vestito con una camicia grigia lunga fino a terra, una gonna
scarlatta fino al ginocchio, una fascia gialla a cintura ed una sorta di mitra
alta come cappello, simile a quella che veniva portata dai maghi e dalle
maghe e dai preti egiziani nell‟antichità e che nel II o III secolo venne a far
parte, insieme ad una quantità di altre proprietà e vesti orientali, del
cattolicesimo romano nella Grande Opera di San Pietro. Quello che segue è
il racconto si un incantesimo fattomi da un credente nell‟antica magia
toscana. In esso vi è chiaro un antico spirito pagano del mago Simeone, che
mutò forma come Proteus. E‟ molto curioso compararlo al seguente metodo
cattolico romano di fare un oracolo, come dato nel Libretto delle
stregonerie, un‟opera popolare da pochi soldi e mezza pia.
Il buon vecchio Simeone
“Procuratevi un‟immagine o una statuetta di gesso di questo grande santo,
che presiedette alla circoncisione di nostro Signore Gesù Cristo insieme al
vecchio San Giuseppe ed alla Vergine Maria, essendo entrambi i molto
amati genitori del Signore Dio il Redentore. Non fa differenza se
l‟immagine del santo è di gesso o un disegno, se ripetiamo la meravigliosa
orazione (novena) a lui dedicata e, secondo le istruzioni in essa contenute,
recitiamo la preghiera d‟uso. Ed è certo che, dopo la novena, il buon
vecchio apparirà in qualche forma e darà a chi sta pregando ciò che chiede;
ma ciò che accorda principalmente sono i numeri fortunati della lotteria.
Non c‟è motivo di temere, perché il santo generalmente appare in sogno
mentre dormite e la sua forma è così buona e benevola che non vi è pericolo
di svegliarsi tremanti e spaventati. La difficoltà consiste nel sapere come
decifrare l‟esatto significato delle parole e dei segni che il santo darà. Molte
persone non raggiungono il proprio scopo, secondo quanto dicono molti che
l‟hanno sperimentato, da tanto è difficile decifrare e sciogliere i problemi o
l‟allegoria.”
Qui, lettore, devi fare la tua scelta. Uno è il vero e proprio serio antico
pagano classico Proteus Simon, che richiede il coraggio di un antico
Norvegese per affrontarlo, o quello di uno che “ha depredato le tombe di
eroi antichi ed ha preso dai cadaveri che le trattenevano le scimitarre
maledette”, mentre l‟altro è tutto acqua di rose, zucchero e nastrini rosa
chiaro. Ma avreste dovuto vedere la strega che mi ha prescritto questo
incantesimo allopatico!
Un giorno diedi ad una giovane donna un amuleto – una pietra a forma di
topo – per la fortuna. La sua prima domanda fu: “Mi farà vincere alla
lotteria?” “Per quello” risposi “devi metterlo sotto al cuscino e pregare San
Simeone” “Sì, sì,” gridò lei entusiasta “conosco la novena.” Quando la
183
incontrai nuovamente qualche tempo dopo, ella dichiarò che il topo (che
portava in un sacchetto rosso appeso al collo ma nascosto) le aveva subito
portato una vincita alla lotteria e molta altra fortuna inaspettata. Abbiamo
qui due forme di magia – una antica romano-etrusca e l‟altra una sua
modificazione sotto l‟influenza cattolica romana. Sospetto che la prima
fosse inizialmente puramente etrusca, ma venne modificata per concordare
con Simon Mago. Possiedo altre forme di incantesimi diabolici o pagani che
sono inequivocabilmente pre- o anti-cristiani e che concordano con questa
forma così tanto da provarne una origine comune. Ecco ulteriori esempi.
Non è notevole che vi siano santi mezzi pagani in un paese dove la stessa
religione cristiana fa straordinari e frequenti compromessi con la comune
magia e la stregoneria nera? Nei tempi antichi le anime di quegli uomini che
avevano ucciso molte vittime venivano invocate più di tutte le altre,
credendo che essi portassero con sé nell‟altro mondo il potere audace che
avevano conquistato grazie al sangue. Disgustosa ed atroce adorazione di
criminali morti è al giorno d‟oggi molto seguita in Sicilia con la cordiale
approvazione del sacerdozio, come il lettore potrà imparare in dettaglio in
un capitolo della Biblioteca delle Tradizioni popolari Siciliane edito da
Giuseppe Pitrè, vol. XVII, Palermo, 1889. In esso viene detto che, quando
gli assassini ed altri atroci criminali venivano decapitati, se si erano
confessati ed avevano ricevuto l‟assoluzione prima della morte si credeva
diventassero un tipo di santo particolarmente favorito che, se invocato
quando qualcuno è in pericolo di venire derubato ed ucciso, scendono dal
cielo ed aiutano la vittima. E questo si è portato così avanti che a Palermo
esiste anche una “chiesa delle anime dei corpi decollati”, con molte
immagini dei santi miracoli fatti dagli assassini santificati. M. Pitrè ha
dedicato 25 pagine a questo soggetto, mostrando l‟estensione si questa tra le
più vili forme di superstizione e stregoneria, lo zelo dei suoi adoratori ed il
grado in cui viene incoraggiata dai preti. Vi è un‟opera intitolata a San
Francesco di Assisi, Discorsi sacri, fatta pubblicare dal Rev. Fortunato
Mondello, Palermo, 1874, in cui tale adorazione viene lodata ed esaltata con
molto falso fervore di seconda mano in quello stile di scrittura fervida di
cattiva qualità che ricorda una delle statue di santi di gesso di terza
categoria nelle chiese gesuite dell‟ultimo secolo, in cui lo scultore tenta di
rendere un sentimento sacro ma riesce solo a renderla spasmodicamente
sciocca. Questa è in realtà adorazione del diavolo. Questi santi sono stati la
schiuma del locale brigantaggio, della violenza, del furto e della malvagità –
demoni incarnati – ed ora, perché sono passati attraverso delle semplici
parole e sono stati spruzzati ed oliati, vengono adorati come Dio, vengono
pregati ed i loro parenti sono fieri di loro. In tutto ciò non appare una sola
184
parola per le loro sfortunate vittime. No, perché queste ultime sono andate
direttamente all‟inferno, essendo morte per la maggior parte “nel peccato”,
senza confessione. “Nei dintorni di Napoli ed in Sicilia si credeva che un
uomo sarebbe stato certo di non andare all‟inferno se avesse preso della
farina, l‟avesse avvolta in un foglio di carta, l‟avesse portata ad un prete che
la tenesse sull‟altare vicino alla coppa e la rendesse potente con le parole
della consacrazione.” (Ibid., pag. 142). Questa pratica venne condannata nel
1638 ma vi sono molte cerimonie similari tuttora praticate con l‟aiuto di
preti. Così a Firenze, se una donna desidera rimanere incinta, va da un prete
e prende da lui una mela incantata con cui va da Santa Anna, la San Na che
era la Lucina dell‟epoca Romana, e ripete una preghiera o un incantesimo. E
tutto ciò non è magia! Oh, caro, no – è una cosa diversa! Thana era infatti
l‟etrusca Lucina, la Dea della nascita, ed Anna potrebbe essere derivata da
essa, che era identica a Losna. San Lorenzo è un altro pagano sotto mentite
spoglie. Venne arrostito sulla graticola. Il suo giorno è il 10 agosto, quando
moltissimi bambini visitano la sua chiesa e si voltano per tre volte davanti
all‟altare o vi girano attorno per tre volte recitando orazioni, incantesimi e
preghiere per avere buona sorte. E ciascuna volta far mostra d‟uscire di
chiesa.” Questo voltarsi o girare intorno per avere fortuna è vestigio
dell‟antica adorazione della Fortuna e del girare della sua ruota. Ad oggi in
Sicilia il voltare il coltello o fare girare una ruota è una invocazione alla
Fortuna, secondo Pitrè. Per ricorrere a Simeone, difficilmente si potrebbe
evitare di chiedersi riguardo ad esso, in quanto santo della circoncisione
(siccome fu lui a compiere quest‟atto e Cristo vi fu sottomesso) che ci dà
qui un esempio divino e siccome la circoncisione viene glorificata in ogni
chiesa ed in migliaia di immagini (come in questa novena), perché i cattolici
non la subiscono. Di certo il Papa, i cardinali ed i sacerdoti dovrebbero
conformarsi a ciò che glorificano ed esserne esempio. “O, se così, perché
no” “Matter of Breviary”, citazione di Frate John.
Simeone in quanto santo dei sogni ha preso il posto di Somnus. Potrebbe
essere che Somnus, che divenne Somno, fosse chiamato Somnone e così si
sia fuso con Simeone. Questa è una mera congettura, ma la differenza tra
San Simeone e San Somnone non è tremenda e Simeone è il santo dei sogni.
Mentre stavo andando in stampa con queste pagine, ho ricevuto diversi
documenti curiosi che mi dispiace non potere dare in dettaglio. Il primo è
una leggenda sullo spirito di un mago che in terra era un prete di nome
Arrimini, che si nascose nel noce magico (probabilmente di Benevento) ed
acquisì poteri magici per mezzo del sangue di una strega. Il secondo è una
strana ed interessante storia sulla rivalità di due streghe di nome Meta e
Goda, in cui quest‟ultima viene a soffrire per avere tentato di stregare il
185
figlio del re. Entrambe queste storie provengono dalla Toscana o dalla
Romagna; quella di Arrimini da Premilcuore ed è scritta da Peppino, di cui
abbiamo parlato varie volte in questo libro. Potrei qui porre l‟enfasi sul fatto
che queste leggende di streghe o di magia posseggono un carattere
marcatamente proprio, essendo tutte più dure, crude ed inquietanti delle
usuali storie italiane di fate, nelle quali vi sono tuttavia molte tracce di
quelle di streghe.
186
Seconda Parte
Incantesimi, divinazione,
talismani e cure,
medicina, amuleti
Capitolo I
La stalla del maiale
Nella saga di Heimskringla, un‟antica storia
norvegese, si racconta che quando Ranghild,
la moglie del Re Halfdan il Bruno, era
incinta fece sogni meravigliosi. Una volta le
sembrò di essere in piedi in un giardino e di
stare cercando di togliere una spina dalla sua
camicia, ma essa crebbe nella sua mano fino
a divenire un lungo fuso. Un capo del fuso
mise radici in terra, mentre l‟altro divenne
un grande albero, così alto che il suo sguardo
poteva a malapena vederne la cima. La parte
inferiore del tronco era rossa come sangue,
più in alto era verde e bella, mentre i rami
erano bianchi come neve. Essi erano di
grandezze molto diverse e le sembrava che si estendessero per l‟intero
regno di Norvegia. Anche il Re Halfdan, nell‟udire questo, desiderò sognare
per spiegare meglio il mistero. Consultò un mago, che gli disse che il modo
187
sicuro per avere sogni profetici era di dormire in un porcile. Il re lo fece e
sognò che i suo capelli crescevano fino a divenire molto lunghi e belli.
Cadevano intorno alla sua testa e sulle sue spalle in lucide ciocche, ma
erano di lunghezza e colori diversi; ed una ciocca era più lunga, più chiara e
più bella delle altre. Questo venne interpretato come presagio che una razza
potente di re sarebbe nata da lui, nonostante essi non avrebbero avuto
uguale fama tra loro. La ciocca più grossa sarebbe arrivata a giorni, secondo
Snorri Sturleson, e si pensò indicasse Olaf il Santo. La regina era incinta di
Harold, che divenne famoso per le sue lunghe ciocche grazie alle quali
venne chiamato Harold Harfagr, o Harold dai Bei Capelli. La credenza che i
sogni profetici potessero essere assicurati dormendo in una porcilaia è
largamente diffusa. I Rumeni ed i cosiddetti Sassoni e probabilmente tutti
gli Slavi e gli abitanti zingari dell‟Ungheria hanno familiarità con essa.
Perciò non rimasi stupito quando, chiedendo alla mia veggente toscana se la
gente avesse mai dormito in una stalla di maiale, o porcilaia, ella rispose
che per avere un vero sogno era il metodo maggiormente approvato
conosciuto e procedette a spiegare in che modo dovesse farsi con queste
parole:
“Per conoscere in sogno il futuro si deve dormire in una porcilaia e
soprattutto si deve essere certi che sia occupata da una maiala incinta o
gravida. E si deve dormire bocconi, cioè proni e rannicchiati o distesi sulla
schiena, ma non sul fianco. E prima di dormire si deve dire:
„Mi addormento per fare un buon sogno; Sant‟Antonio, che siete sopra i
maiali, fatemi la grazia che possa fare un buon sogno secondo il mio
desiderio.‟
E facendo questo sicuramente si vedrà in sogno ciò che accadrà o la
spiegazione di ciò che si desidera sapere.”
E‟ interessante osservare che così come tutto ciò che era collegato alla
generazione veniva associato alla luce ed alla primavera che si rinnova, il
maiale, nonostante fosse come il cinghiale simbolo di morte ed oscurità,
essendo tuttavia enormemente prolifico “ed uno dei più libidinosi tra gli
animali, era sacro a Venere e per questa ragione, secondo i Pitagorici, gli
uomini lussuriosi vengono trasformati in maiali” (De Gubernatis, vol. II,
pag. 6). Infatti la pudendum fem. stessa, quale simbolo di fertilità, veniva
conosciuta come maiale ed è per questa ragione stata portata come amuleto
per la fortuna. La conchiglia ciprea, grazie alla sua somiglianza con questo
organo veniva anche chiamata maiale ed attualmente viene usata moltissimo
come amuleto contro il malocchio. In Varone (De Re Rustica, II, 4)
leggiamo: “Nuptiarum initio, antiqui reges ac sublimes viri in Hetruria in
conjunctione nuptiali nova nupta, et novus maritus primum porcum
188
immolant; prisci quoque Latini et etiam Græci in Italia fecisse videntur,
nam et nostræ mulieres, maxime nutrices naturam, qua fœminæ sunt, in
virginibus appellant porcum, et Græce choiron, significantes esse dignum
insigni nuptiarum.”
Come il dormire in un porcile dà sogni veri, così il maiale pare che in molte
terre sia stato in antichità stretto compagno della verità, perché Romani,
Scandinavi e Germani giuravano tutti su di esso (Livius, I, 24; Mome,
Geschichte des Heidenthums, I, pag. 259; Claudius Paradinus Symbola
heroica - Antwerp, 1583 -, pag. 8). Anche nella Saga di Hervor il Re
Heidreck giura per un cinghiale, simbolo sacro a Freya. Il maiale veniva
così comunemente usato nei sacrifici ed era così strettamente connesso ai
misteri ed ai sacri riti che un Tedesco, Casselius, pubblicò in merito
un‟opera - De Sacrificiis porcinis in cultu deorum veterum, Bremen, 1769.
Per saperne di più sul maiale nella mitologia antica e nella leggenda il
lettore può consultare Die Symbolik und Mythologie der Natur di J. B.
Friedrich. Wurzburg, 1859. Generalmente non è risaputo che la ragione per
cui I Turchi vietano di mangiare maiale è che tutte le cose viventi furono
convertite al Maomettanismo eccetto il maiale, che rimase pagano. Ed in
Olanda vi è tra i contadini un detto: “il maiale sotto alla botte”, che fa
riferimento al ritornello ebraico della “bestia impura” e ne dà una storia a
riguardo:
“Quando Cristo una volta andò a predicare, gli Ebrei misero in ridicolo il
suo insegnamento e, per testare la sua saggezza, nascosero uno di loro sotto
ad una botte e gli chiesero cosa vi fosse lì; egli rispose: “un maiale” ed essi
risero, facendosi beffe di lui. Ma meraviglia! quando sollevarono il barile il
loro amico era lì, mutato in un maiale. Ed egli corse via e si mescolò con gli
altri maiali e, siccome gli Ebrei non riuscirono a prenderlo, fino ad oggi non
hanno mai mangiato maiale per timore di divorare lui o i suoi discendenti.”
Vi è un‟altra storia curiosa riguardo al sognare in una porcilaia.
“Quando il Conte Haakon stava fuggendo dai suoi sottoposti che si erano
ribellati (A.D. 995), con lui vi era un solo uno schiavo di nome Kark, che
era stato compagno di giochi nella sua infanzia, ed essi andarono dalla sua
signora Thora di Rimul. Ella li nascose in una profonda fossa sotto alla sua
porcilaia, che venne coperta con tavole e terra. Ed i maiali vi erano sopra.
Arrivò quindi a Rimul Olaf Tryggvesson, della razza di Harold dai Bei
Capelli, per cercare ed uccidere Haakon. Chiamando a raduno i suoi uomini,
egli salì su una grande pietra sopra la porcilaia e dichiarò a voce alta che
avrebbe dato una grossa ricompensa a chi avesse trovato il Conte e lo
avesse ucciso. Il Conte lo udì e vide che anche lo schiavo Kark stava
ascoltando attentamente. „Perché sei così pallido, ora,‟ chiese il Conte – „ed
189
ora sei nuovamente nero come la terra? Intendi tradirmi?‟ „No‟ rispose
Kark. „Siamo nati entrambi la stessa notte‟ disse il Conte „e le nostre morti
non saranno lontane tra loro.‟ Sedettero in silenzio. Infine Kark si
addormentò ma parlava e si muoveva nel sonno. Il Conte lo svegliò e gli
chiese cosa avesse sognato. „Ho sognato‟ rispose Kark „che eravamo
entrambi a bordo di una nave ed io stavo al timone.‟ „Questo deve
significare che tu governi sulla tua vita e sulla mia. Siimi fedele e, quando
giungeranno tempi migliori, ti ricompenserò.‟ Lo schiavo si riaddormentò
nuovamente ed ebbe un incubo. Il Conte lo svegliò di nuovo e gli chiese del
suo sogno. „Pensavo di essere a Hlode‟ disse Kark „ed Olaf Tryggvesson
aveva messo intorno al mio collo un anello dorato.‟ „Questo significa‟ disse
il Conte „che Olaf ti metterà al collo un anello rosso se andrai a cercarlo.
Perciò stai attento a lui e siimi fedele.‟ Ma quando il Conte cadde
addormentato Kark lo uccise con il suo coltello, recidendogli la gola. Dopo
poco egli raggiunse Olaf con la testa di Haakon e reclamò la ricompensa
promessa, ma Olaf adempì alla profezia dell‟assassinato: non mise al collo
di Kark un anello d‟oro, bensì uno di sangue, perché lo decapitò. Questo
perché nonostante Haakon Jarlo, Conte Haco, fosse il suo più mortale
nemico e gli avesse fatto molto male durante tutta la sua vita, a lui piaceva
poco che un uomo così grande fosse stato ucciso a tradimento da uno
schiavo che aveva sempre trattato con gentilezza. E la saga termina:
„Oc er Olafr kiendi thetta var hofut Hakonar Jarlo, tha reddist ban thrælnum,
oc bad han uppfesta, oc sagdi hann hofa skild maklig laun, fyri sin Drottin
svik. Sveik hann Hakon Jarl, svikia. mann hann mik, ef han ma. Enn sua
skal leida drottins svikun.‟
In Italiano:
„E quando Olaf seppe che era la testa del Conte Haakon, montò in collera
con lo schiavo, ordinò che fosse impiccato e disse: Egli deve essere
malvagio per avere tradito il suo padrone. Perché, se lo ha fatto con il
Conte Haakon, così tradirà anche me, se potrà Ŕ e così verranno
ricompensati tutti i traditori dei propri padroni.‟”
Siccome siamo influenzati da ciò che ci circonda, è naturale che certi posti
siano stati scelti per sognarci dentro. “Abbiamo letto” dice Pico della
Mirandola nel suo Strega “che i medici della Calabria e di Taurus erano
soliti dormire nel sepolcro di Podalirius ed altri in quello di Esculapius.”
Una porcilaia è, ovviamente, molto distante da un tempio o da una tomba.
Siccome la storia precedente è prettamente nordica, potrebbe essere giunta
in Romagna attraverso I Lombardi. Si può osservare che solo nelle
tradizioni italiane vengono forniti i dettagli di questa cerimonia. La
presenza della scrofa incinta è significativa. Fu grazie ad una predizione
190
riguardante una scrofa del genere che Odino venne sospettato da Re
Heidreck nella Saga di Hervor. Ma, non molto tempo dopo avere scritto
queste note, incrociai nel Symbolik di Creuzer (che conobbi ad Heidelberg
nel 1847) un passaggio che pare gettare molta luce su questa connessione
della porcilaia con il tempio: “A Demeter o Cerere incinta venivano offerti
in sacrificio in particolare scrofe, come ci dice lo Stoico Cornutus, che visse
68 anni dopo Cristo e con lui Arnobius (Disput. adversus Gentes, edit.
Elmenhorst, pag. 135), aggiungendo che era a causa della grande fertilità di
questo animale.” Accadde dunque che i maiali venissero tenuti nelle cantine
del tempio di Cerere e Proserpina, come riferisce Creuzer: “In onore di
queste Dee i Beoziani mettevano dei maialini nelle cappelle sotterranee, che
l‟anno seguente sarebbero stati visti nei prati di Dodona. Pausania e
Clemente Alessandrino dicono che questo veniva fatto anche in altri posti.”
Cerere era prevalentemente una Dea della fertilità e perciò della fortuna e di
tutte le influenze positive; le venivano perciò offerti dei piccoli maiali d‟oro
e d‟argento, che venivano anche indossati dalle signore romane in parte per
assicurarsi la gravidanza ed in parte per avere fortuna – un costume rivisse
alcuni anni fa a Parigi. E‟ da notare che la superstizione italiana richiede che
vi debba essere una scrofa incinta nella porcilaia. Secondo Aristofane, il
sacrificio della scrofa doveva essere fatto quando si era stati iniziati ai
misteri. Per informazioni in merito consultate anche Bayerische Sagen und
Bräuche, Beitrag zur Deutschen Mythologie di Friedrich Panzer, München,
1848. Da quanto detto, pare che gli antichi dormissero in certi templi di Dei
per avere sogni profetici e che questi templi venissero usati parzialmente
come porcilaie. E pare certo che Cerere venisse consultata frequentemente
per mezzo dei sogni e che questo sognare aveva luogo nei suoi templi, dove
venivano tenuti dei maiali.
L’incantesimo dell’edera e della statua
“Cur hederâ cincta est? hedera est gratissima Baccho, Hoc quoque, curita
sit, dicere nulla mora est. Nysiades Nymphæ puerum quærente noverâ
Hanc frondem cunis apposuêre novis.” Ovidio, Fasti, III
La prima delle cure mediche magiche di Marcellus di Bordeaux è la
seguente:
“Herba in capite statuæ cujus libet nasci solet, ea decrescente luna, sublata
capitique circumligata dolorem tollit.”
“Se viene colta dell‟erba che cresce sulla testa di una qualunque statua in
fase di Luna calante, cingendosene la testa rimuove il dolore.”
La sesta è pressochè identica:
191
“Herba vel hedera in capite statuæ cujus libet nasci solet, ea si in panno rufo
ligata capiti vel temporibus alligetur, mirum remedium hemicraniæ vel
heterocraniæ prestabit.”
“Se cresce dell‟erba o dell‟edera sulla testa di una qualunque statua e viene
raccolta e posta in un panno rosso sulla testa o le tempie, sarà un rimedio
meraviglioso per il mal di testa o nevralgia.”
Investigai per molto tempo a Firenze prima di trovare la cura che segue:
“Quando prendete dell‟erba dalla testa di una statua per curare un mal di
testa dovete dire:
„Non prendo l‟erba, ma prendo la magia, che il mal di capo mi vada via e
chi mi ha dato la malia il diavolo la porti via.‟
Dovete quindi fare il segno delle corna (o jettatura) dietro di voi.” Fatelo
nell‟antico stile Romano sopra la spalla destra.
Marcellus, in quanto medico della corte imperiale, probabilmente non
ottenne le sue prescrizioni molto accuratamente dalla gente. Sono pressoché
certo che questo incantesimo italiano sia molto più antico del III secolo. E‟
nella stessa forma di molti altri ma in esso si presume che anche un mal di
testa possa essere il risultato di una magia negativa. Questa è la più antica
forma di stregoneria. Non dubito che l‟edera fosse la pianta originariamente
usata in questa cura. Nell‟antico simbolismo religioso, come
nell‟inghirlandarne la testa di Bacco, essa significava la vita stessa, molto
profondamente ed in maniera importante. Perciò, quando veniva trovata a
crescere sopra ad una statua, si supponeva naturalmente che fosse molto
efficace. I primi cristiani presero a prestito molte cose dionisiache e, tra le
altre, l‟edera. Essi la mettevano nelle tombe quale simbolo della nuova vita
in Cristo. Ho detto che l‟edera sulla testa di una statua era, nel simbolismo
Romano, tipica della salute e della vita. Su una testa, come ghirlanda, serto
o fascia, significava anche ispirazione, poesia o genio attivo, come appare
dal seguente passo di Ovidio:
“Siquis habes nostris similes in imagine vultus, deme meis hederas bacchica
serta comis, ista decent lætos felicia signa poetas, temporibus non est apta
corona meis.” Tristium, lib. I, cl. 6
Riguardo all‟incoronazione con edera o rose ed a molti altri usi, si può dire
che in realtà sappiamo molto poco dei sentimenti, delle sensazioni e delle
associazioni che in antico vi erano connessi. E‟ notevole il fatto che,
secondo una tradizione molto antica e diffusa, una pianta che cresca lontano
dalla terra o sopra ad essa di crede possieda virtù magiche o di guarigione o
che sia posseduta da uno spirito. Il vischio, per la sua natura aerea, divenne
pressoché il centro del rituale druidico ed il muschio possiede molti misteri.
Si crede che il sempreverde tedesco Hauswurz o Donnerkraut protegga una
192
casa dai fulmini (Grimm, D.M.,2 ed. B. 1, s. 445); anche il frassino montano
è dedicato a Thor, o al tuono. Ma ricordate che ogni qual volta vedrete
dell‟erba, dell‟edera o dei fiori su vecchi muri o grigie rovine, là dimorano
le civette ed ivi elfi e fate amano dimorare o danzare o passare il tempo,
com‟è stato provato da tante osservazioni che negarle sarebbe come negare
la testimonianza della tradizione. Così rimanete fiduciosi che laddove “alti
sulle torri crescono bei fiori, violacciocche, edera ed erba, là di notte alla
luce della Luna potrete vedere passare le fate.”
Tutta la magia medioevale, così come quella Romana, abbonda di allusioni
sul fatto che, mentre è impegnato a fare un incantesimo, l‟operatore non
deve guardare dietro di sé. Questa ingiunzione fa parte di alcune tradizioni
molto antiche e curiose. In Toscana, se qualcuno raccoglie delle ceneri o
altri oggetti per uso magico, nell‟andarsene non deve guardarsi intorno. E se
un viaggiatore viene seguito da uno spirito maligno o da un diavolo,
quest‟ultimo non avrà alcun potere su di lui a meno che non “giri la testa”.
Così in Teocrito (Idyl, 91) questa retrospezione è vietata nel raccogliere
ceneri; anche Virgilio (Ecloghe, 8) scrive: “Fers cineris Amarylli foras,
rivoque fluenti Transque caput jace ne respexeris.” Hildebrand (Theurgia,
pag. 297) narra una storia meravigliosa su come un giovane di nobile
nascita veniva tormentato dai demoni. Il suo angelo custode gli promise che
se avesse pregato Dio, se non avesse bevuto con i diavoli e non si fosse
guardato indietro neppure una volta bey Verlust seines Lebens – sulla sua
vita ed avesse potuto continuare così fino al canto del gallo sarebbe stato
bene. Cosa che accadde. Praetorius, che dedica diverse pagine al soggetto
del “perchè le streghe quando viaggiano sulle loro scope non devono
guardare dietro di loro altrimenti cadrebbero” – che pare essere una
condizione del volo tramite scopa e del viaggiare sopra una capra
(Blocksberg, pag. 414) –, congettura molto acutamente che Satana abbia
preso questa idea dalla moglie di Lot. Questo non girarsi è probabilmente
collegato all‟ininterrotta attenzione o pensiero che ha largamente a che fare
con l‟esecuzione di tutti gli incantesimi. Quando l‟attenzione della strega
viene distratta da schemi intricati, chicchi o canzoni, il suo potere maligno
viene sospeso per quel periodo.
L’incantesimo del ragno
“L'araignée est un signe de bonheur et annonce particulierement de l'argent
pour la personne sur laquelle est trouvè.”
Com‟è naturale, il ragno appare nel folklore sia come buono che cattivo,
portatore di fortuna e di sfortuna. A causa della sua bruttezza e del suo
veleno è simbolo di odio e inimicizia. “La tarantola causa con il suo morso
193
una sorta di pazzia che, secondo la superstizione popolare, può essere curata
solo danzando.” Vi è una spiegazione fisica a questa cura: un esercizio
violento spesso elimina gli umori malati dal sangue. Una febbre tifoidea si
può allontanare con il duro lavoro. Nell‟America dell‟Ovest un uomo morso
da un serpente a sonagli deve bere tutto il whiskey che può reggere e correre
o camminare fino a crollare dalla fatica. Così la tarantella è una danza molto
conosciuta che la superstizione popolare assegna alle streghe. E‟ la danza di
apertura della loro Tregenda, o Sabbat. Vi è una leggenda in cui si afferma
che questa tarantella abbia avuto origine come segue: un prete che stava
portando il sacramento passò vicino ad una festa di danzatori, che egli non
salutò. Così li costrinse a continuare a danzare e più follemente che mai
(Naturgeschichte zur Dämpfung des Aberglaubens, Hamburg, 1793, pag.
102). Ma, mentre vi sono molte leggende su spiriti maligni che appaiono
come ragni, d‟altra parte vi è lo straordinario istinto - o ingenuità -mostrato
dall‟insetto nel fare la sua tela e la sua abitudine di rimanere sempre nello
stesso posto in una casa; le sue previsioni riguardo al tempo hanno fatto sì
che venisse riconosciuto generalmente come simbolo di industriosità,
abilità, abitudini domestiche fisse e profezia. Perciò esso porta fortuna e
benessere ed è una sorta di economo. Se un ragno si arrampica su di voi e
voi non gli fate del male, “vi è del denaro in arrivo”. Ed ancora, la sua
meravigliosa perseveranza nel rifare la sua tela o nel porla in un luogo
predeterminato ha fatto nascere più di una storiella morale e ne ha adornate
molte dai tempi del Bruce ad oggi. Naturalmente, esso ha trovato posto
nella medicina magica. In Toscana vi è il seguente incantesimo da
pronunciare:
“Ragno, o mio bel ragno, benedetto tu sia! La tela che tu fai lasciala in casa
mia, la tela che tu fai falla con buona fortuna e con malissimo fortuna e che
la fortuna resti in casa mia. Quando la tela hai fatta vattene, o ragno mio!
Ma non di casa mia, vattene dalla tela che tu mi hai fatto, mi hai fatto con
buona fortuna; ed io la prenderò, in un sacchetto di lana rosso la metterò e
dentro un marengo d‟oro vi unirò e così sempre più buona fortuna io avrò. E
questo sacchettino come un oracolo terrò e lo terrò dentro al seno e mai più
lo lascerò!”
Sputare a terra per tre volte è una formula finale comune di molti
incantesimi toscani. Potrei dire che esso ed il segno della castagna o anche
quello della jettatura, funzionano tutti ad libitum. Non vi sono prove, ma è
possibile che tutti questi moderni incantesimi possano essere traduzioni dal
Latino, mentre è quasi certo che quelli latini vennero presi dall‟Etrusco o
dall‟Oscan o da qualche lingua primitiva. Se così, ricerche future sulle
lingue primitive dell‟Italia potrebbero verificare questa asserzione.
194
Riguardo alla tela del ragno, vi è una simpatica tavoletta tedesca che narra
che quando la Vergine Maria ascese al cielo il suo velo, cadendo, venne
preso e fatto a pezzi dai venti. Perciò le tele argentate dei ragni che si
vedono volare in aria d‟estate vengono chiamate Mariengarn, filo di Maria,
o ciò che viene filato. Vale la pena notare che nella storia di Scott Waverley
Meg Merrilies, mentre intreccia dei fili di vari colori in un amuleto –
costume tuttora esistente in Italia –, canta: “intrecciati, avvolgiti anche così,
mescola fili di gioia e dolore!” E questo è quasi lo stesso passaggio
dell‟incantesimo toscano del ragno: “la tela che tu fai falla con buona
fortuna e con malissima fortuna.” Questa è un‟antichissima e curiosissima
formula per dichiarare che qualunque cosa uno faccia non deve fermarsi ad
un certo punto. Tramite essa quasi ogni azione si muta in magia. Così il
trovare e raccogliere qualunque cosa la converte nello stesso tempo in un
feticcio o assicura che tutto andrà bene se, nel prenderla, diciamo: “non
colgo – nome dell‟oggetto –, colgo la fortuna, che possa non abbandonarmi
mai!” E‟ un incantesimo con applicazioni universali che rende in grado di
assicurarsi un desiderio al di fuori di ogni occasione.
Il ragno viene usato anche in divinazione. Quanto segue si trova in un
manualetto popolare:
“Il ragno industrioso. Nel Libro dei Sogni e nelle opere dei famosi cabalisti
Rutilio Benicosa, Casamia, l‟Indovino, Il Palmaverde, Nostradamus e le
antiche Sibille o Aruspici, spesso troviamo dei metodi per divinare il
segreto dell‟ottenere i numeri della lotteria. Tra i molti straordinari
esperimenti fatti, il più singolare è quello per mezzo del ragno. Prendete uno
di questi insetti – che sia molto grande – e mettetelo, senza fargli alcun
male, in una scatolina sul cui fondo vi sono molti piccoli pezzi di carta
numerati da 1 a 90. Copritela con un velo trasparente e date al ragno il
tempo di tessere una tela. Naturalmente l‟insetto, nell‟andare qua e là, girerà
certi numeri. Questi dovranno essere annotati. Fate questo tre volte e quindi
lasciate andare il ragno. Molti hanno avuto dei numeri fortunati della
lotteria per mezzo di questo esperimento.”
Potremmo osservare che, per il successo di questo sortilegio, è necessario
lasciare andare il ragno. Così, in molti degli amuleti di Marcellus, gli
animali usati negli incantesimi devono essere rilasciati sani e salvi - Ecce
dimitto te vivam! Il ragno viene usato anche in altre divinazioni. Così, se
scrivete “sì” o “no”, esso scoprirà per voi una risposta affermativa o
negativa epr qualunque domanda o selezionerà i nomi di amici o nemici o
svelerà i giorni fortunati. Ma vi è un lato rivoltante e raccapricciante nel
carattere del ragno. Tutti i filatori che vediamo sono femmine; il maschio è
una piccola creatura insignificante sproporzionato come grandezza o forza
195
alla sua compagna la quale, invero, molto spesso lo divora come se fosse un
moscerino. Ma egli è forzato da un impulso irresistibile ad accoppiarsi con
lei e, quando ella acconsente e l‟unione viene effettuata, egli viene mangiato
intero per dessert. Talvolta l‟Aracne mangia molti corteggiatori prima di
cedere, così che ogni tela è un vero Tour de Nesle.
“Una vecchia lucertola mi disse: „niente in questo mondo va mai
all‟indietro. Tutto va sempre avanti – le pietre divengono piante, le piante
divengono animali, gli animali divengono esseri umani e gli umani
diventano Dei.‟ „E cosa accade ai vecchi Dei?‟ „Qualcosa si farà‟ disse la
lucertola.” Heine, Pictures of Travel
196
Capitolo II
Uccelli e tesori
“Nessuno sa meglio di un uccello dell‟aria dove sono nascosti i tesori.”
Aristofane, Gli Uccelli Era un‟antica credenza in molti paesi che gli
uccelli sapessero tutto e che, come dice Ovidio,
annunciassero il volere degli Dei perché sono
accanto a loro; il che significa che essi volano
fino al cielo o, come dice Seneca, “gli uccelli
sono ispirati dalle Divinità”. Ed era una
convinzione particolare degli antichi Etrusco-
Latini, così come dei Greci, che essi sapessero
dov‟erano nascosti i tesori. Così Aristofane, ne
Gli Uccelli, dice che: “Quando un uomo chiede
agli uccelli dove sono nascosti dei metalli
preziosi, essi indicano sempre le miniere più
ricche.” In relazione a questo vi è la storia che
segue, proveniente da Rocca San Casciano e che
pare essere molto vecchia:
“Quando qualcuno vuole trovare un tesoro, deve
prendere la porta della casa in cui abita e
portarla di notte in mezzo ai campi fino a quando giungerà ad un albero. Lì
sotto dovrà attendere fino a che molti uccelli gli voleranno sopra e, quando
arriveranno, egli dovrà gettare per terra la porta, facendo un gran rumore.
Allora gli uccelli, impauriti, parleranno con voce umana e diranno dovè
sepolto un tesoro.”
La misteriosa connessione tra la porta ed il trovare tesori appare anche in
altri paesi. Così, nelle Stories di Grimm, Caterina la Stupida porta via dalla
sua casa la porta e, per mezzo suo – cioè buttandola a terra e facendo quindi
un terribile rumore – spaventa una banda di ladri, che lasciano dietro di loro
197
un tesoro. La stessa storia è comune in Italia, dove si narrano con grande
rozzezza i casi di uno stupido giovane. Il lettore troverà, studiando e
comparando con accuratezza tutto ciò che ho scritto in questo libro, che
queste tradizioni romagnole sono si stampo molto arcaico e non pare siano
state riprese da altre fonti ma, in forse tutti i casi, essere originali. Sono
rimasto tuttavia molto stupito nello scoprire quanto le mie fonti autorevoli
fossero ignoranti per quanto riguarda le tradizioni, la mitologia popolare ed
il folklore del sud dell‟Italia, come fornite nelle raccolte di Pitré. Non vi
sono casi paralleli in Europa di gente che, parlando quasi la stessa lingua ed
appartenendo alla stessa razza, hanno così poche tradizioni in comune come
i Toscani con i Napoletani o i Siciliani. Vi è nel folklore della Romagna,
come nella lingua della gente, qualcosa di rozzo, semplice e nordico – non
proprio tedesco o scandinavo – ma con delle tracce di una qualche razza
primitiva simile a loro e tuttavia non uguale. Potrebbe avere qualcosa dei
Lombardi e probabilmente dei Celti ma, dopotutto, queste tradizioni e
magie non sono né lombarde né celtiche. Sotto ogni analogia appaiono
etrusche, oltre che sabine.
Questo trovare un tesoro per mezzo degli uccelli concorda
meravigliosamente con l‟antichissima leggenda latina del veggente Atta
Navius che, quand‟era bambino nella sua casa sabina, badava ai maiali. Una
volta, mentre dormiva, alcuni dei suoi animali andarono via ed egli,
svegliandosi, non riuscì a trovarli. All‟inizio pianse amaramente, temendo la
collera del padre, ma, facendosi coraggio, andò alla cappella dei Lari, nella
vigna vicino, e pregò gli spiriti guardiani di poter ritrovare i suoi maiali,
promettendo loro che se lo avessero fatto egli gli avrebbe offerto il migliore
tra i grappoli del luogo. Egli ritrovò i maiali ma come avrebbe trovato il
migliore e più grosso tra i grappoli? Vide uno stormo di uccelli ed essi ve lo
condussero. Allora suo padre, saputo questo, lo portò in città e lo mise a
scuola dai maestri di divinazione e di altra istruzione. Se sostituiamo al
grappolo più grosso un tesoro, abbiamo qui lo spirito o l‟essenza della
tradizione toscana. La divinazione non solo per mezzo del volo ma anche
delle voci degli uccelli era uno degli elementi più importanti dell‟antica
predizione etrusca – l‟ augurium ex avium volatu vel garritu era la seconda
tra le 5 classi principali. L‟uccello che indica in particolare i tesori di notte
nell‟antica tradizione latina è il Picus Martins, il grande picchio. “Egli
appare sempre” dice Preller (Myth. pag. 298) come un uccello dei boschi,
dove vive da solo e picchietta e fende e conosce tutti i segreti ed i tesori
nascosti.” Il suo nome umbro era peiqu, in Romagnolo attualmente è piga.
Il suo collegamento con la porta appare essere questo: Eliano (Hist. An., I,
45) e Plinio (Hist. Nat., X, 20) dicono che se il buco o la porta del nido del
198
picchio su un albero viene chiusa, l‟uccello porterà un‟erba che rimuoverà
immediatamente l‟impedimento. Se si prende questa erba, essa aprirà tutte
le porte. Ma offro questa informazione come pura congettura. In ogni caso,
questa coincidenza è degna di nota. Come nei tempi antichi, il picchio dalla
testa rossa veniva considerato un goblin di nome Picus, che sapeva
dov‟erano nascosti i tesori e talvolta lo rivelava. E‟ probabile che da questo
mito siano derivati gli elfi con i cappelli rossi, che avevano gli stessi
attributi.
L’incantesimo della stella cadente
“Quelle meteore o stelle cadenti che gli uomini dell‟antichità non riuscivano
a spiegare, venivano considerate presagi divini o intimazioni dei desideri
degli Dei e secondo Omero significavano che vi sarebbe stata guerra o
pace.” Fiedrich, Symbolik der Natur, pag. 100.
In tutto il mondo la gente dice che, se vediamo una meteora o una stella
cadente sfrecciare nel cielo e riusciamo ad esprimere un desiderio prima che
scompaia, quel desiderio si avvererà. Tra gli antichi Norvegesi una tale
linea di fuoco in cielo si credeva fosse causata da un drago che splendeva da
lontano, da qui le frequenti citazioni sull‟apparizione di tali esseri. Nella
medicina di Marcellus la vista di un tale corpo celeste viene applicata ad
una cura celestiale per l‟annebbiamento della vista, come segue:
“Ut omnino non lippias, cum stellam cadere vel transcurre videris, numera,
et celeriter numera, donec se condat, tot enim annis, quot numerabis, non
lippies.”
“Affinchè la tua vista possa non calare mai, quando vedi una stella cadere o
volare per il cielo conta e conta velocemente fino a che scomparirà e tanti
numeri avrai contato tanti anni avrai una vista chiara.”
In Toscana, quando si vede una stella che cade si deve dire:
“Non la stella casca, ma casca l‟amante mio; che venga di giorno o di notte
o al punto di mezzanotte a battere alla porta di casa mia; che non possa
vivere, non possa stare finchè alla porta di casa mia non viene a picchiare.”
O anche questo per un nemico:
“Non è la stella che casca, ma casca la maledizione, che di giorno e di notte
non faccio altro che maledire; che la mia maledizione caschi su (nome del
nemico).”
Il concetto che come una stella cade dal cielo così il proprio nemico possa
cadere steso dalla propria maledizione che lo perseguita è brillante,
originale, vendicativo e colmo di “pura malvagità”. Non dubito che ad un
vero credente e “buon odiatore” esso possa essere di immenso aiuto. E‟
suggestivo di Lucifero, la Stella del Mattino, che cade verso l‟inferno dalle
199
altezze del cielo, mentre un arabo vede in essa un djinn audace che ha
tentato di scalare le mura del paradiso ed è stato respinto dagli angeli.
L’incantesimo delle ghiande
“‟Gli uomini antichi si divoravano a vicenda‟ dice Diodoro Siculo „ma
Giove lo proibì, dando loro al posto le ghiande.‟ Esse vengono chiamate le
figlie della quercia, perché ricordano teste femminili con i capelli acconciati
alla moda antica.” Preller
Viene data da Marcellus una curiosa canzoncina d‟inizio e di fine ed una
cerimonia per curare le affezioni delle tonsille. E‟ la seguente:
“Glandulas mane carminabis, si dies minuetur, si nox, ad vesperam, et
digito medicinali, ac pollice continens eas, dices:
Novem glandulæ sorores,Octo glandulæ sorores, Septem glandulæ sorores,
Sex glandulæ sorores, Quinque glandulæ sorores, Quattuor glandulæ
sorores, Tres glandulæ sorores, Duæ glandulæ sorores, Una glandula
soror.
Novem fiunt glandulæ, Octo fiunt glandulæ, Septem fiunt glandulæ, Sex
fiunt glandulæ, Quinque fiunt glandulæ, Quattuor fiunt glandulæ, Tres fiunt
glandulæ, Duæ fiunt glandulæ, Una fit glandulæ, Nulla fit glandula.”
Questo viene preceduto da un altro incantesimo, cui viene fatto riferimento.
L‟intero rituale è il seguente: il paziente deve prendere nove ghiande, tutte
prima dell‟alba o del tramonto, e tenerle (penso significhi contarle una ad
una) tra il dito medio ed il pollice e dire:
“Nove piccole ghiande sorelle, otto piccole ghiande sorelle, sette piccole
ghiande sorelle” e così via fino ad arrivare ad “una piccola ghianda sorella”.
Si comincia quindi con “Nove erano le ghiande” e si conta indietro fino ad
arrivare a “nulla fit glandula” – “ed ora non vi è più alcuna ghianda”. Sono
certo che la formula originale comprendeva 10 piccole ghiande sorelle,
seguendo le dita. Questo incantesimo è tutttora in uso in Toscana,
nonostante io non sia riuscito a sapere se viene applicato particolarmente
alla cura delle tonsille. Ma, anche ai tempi di Marcellus, esso non era
limitato a questo; egli stesso dà altri due incantesimi in cui vi sono 9 chicchi
d‟orzo che vengono contati allo stesso modo ed anche una parola per
fermare il sanguinamento:
“Si cycuma, cucuma, ucuma, Cuma, ma, a.”
Questo incantesimo viene applicato in Toscana anche alla fortuna, come
segue: prendendo 10 ghiande l‟operatore canta:
“Tu lo sai lo voglio fare, indietro io voglio mandare, la verità in mia mano
deve dare; queste ghiande all‟indietro io conterò, fino all‟uno io tornerò. E
se mai non sbaglierò la vittoria vincerò. Adesso io incomincio da uno, due,
200
tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove e dieci; dieci, nove, otto, sette, sei,
cinque, quattro, tre, due, uno! Senza mai sbagliare, la vittoria io devo fare e
mai nel contare io sbaglierò; la vittoria io vincerò!”
L‟idea che vi è negli incantesimi di Marcellus è che il successo della cura
dipende dal fatto che chi conta non commetta errori e, nella moderna
versione toscana, che se uno intraprende qualcosa e desidera sapere se avrà
successo, può dedurre il risultato in tal modo. Secondo Johannes Meursius
(De Ludis Græcorum), tra i Greci vi era un gioco con le ghiande chiamato
Tropa. La descrizione non viene fornita ma io congetturo che fosse uguale a
quello italiano, che è allo stesso tempo un incantesimo per la buona sorte ed
un gioco per bambini, trattandosi come in “Peter Piper picked a peck of
pickled peppers” di ripetere velocemente una formula difficile senza errori.
Vi sono tuttavia altre specie di divinazioni riguardanti questo frutto.
Prendete tante ghiande quanto lettere vi sono nel nome di una persona,
piantatele e se tutte crescono bene questa persona prospererà o voi
conquisterete il suo amore. Il lettore che fosse interessato alle rime delle
conte all‟indietro troverà molto in materia nell‟opera di Carrington Bolton,
in un‟altra pubblicata recentemente da D. Nutt, Londra, e nelle English Folk
Rhymes di G.F. Northall (Londra, Kegan, Paul, Trench, Trübner & Co.). Si
può trovare una grande quantità di antica sapienza in merito alla divinazione
tramite i numeri ed argomenti simili in un‟opera molto rara, di cui posseggo
una copia, intitolara Tractatus Philologicus de Sortitione Veterum,
Hebræorum inprimis ex S. Scriptura Talmude, &c., di Martin Maurutius,
Basilea, 1692. Mauritius cita dall‟opera di Rabbi Ben Ezra una curiosa
storiella su come le vite di certi uomini che vennero gettati in mare furono
perdute e quelle di certi Talmidim salvate dal pronunciare giudiziosamente
una canzone di conta. Vi è di questa una antica versione tedesca curiosa e
rozza. Il capitolo è in connessione con quello intitolato De Sortibus poeticis.
L’incantesimo della rondine
“O rondinella bella, tu sei un‟incantatrice.” Canzoni Popolari d'Agrumi
Marcellus di Bordeaux, nel trattare dei disturbi degli occhi, ci informa che
con l‟aiuto della hirundo, o rondine, tutti quei problemi possono essere
efficacemente mandati via, come segue:
“Cum primum hirundinem audieris vel videris tacitus illieo ad fontem
decurres vel ad puteum, et inde aqua oculos fovebis et rogabis deum, et eo
anno non lippias, doloremque omnem oculorum tuorum hirundines
auferant.”
“Quando udite o vedete la prima rondine, andate senza parlare alla prima
sorgente o fontana e là lavatevi gli occhi e pregate Dio che nel corso di
201
quell‟anno la loro vista non cali e così la rondine porterà via da essi tutti i
problemi.”
In Toscana, al giorno d‟oggi, il sofferente fa la stessa cosa per il mal agli
occhi e quindi ripete quanto segue:
“La prima rondinella di primavera è arrivata, la buona fortuna m‟ha portata;
ad una fonte sono andata e gli occhi mi sono lavata, che da tanto tempo ero
ammalata e nessun medico mi è riuscito; ma la prima rondinella che è
arrivata questa grazia me l‟ha fatta; benedette siano sempre le belle, le beate
rondinelle!”
Potremmo osservare che questo incantesimo contiene tutto quello che entra
nella prescrizione Romana e, di più, fornisce l‟incantesimo verbale che in
essa manca. Et rogabis Deum – e pregate Dio – è certamente una
interpolazione cristiana primitive. In Italia la rondine stessa viene invocata e
ringraziata, cosa che concorda perfettamente con gli inni antichi di Greci e
Latini in cui viene citata. Marcellus ci insegna anche che nonostante “la
prima rondine non fa un‟estate”, essa governa la primavera, che sia tempo
bello o piovoso, e può anche prevenire il mal di denti: quando la vedete –
come prima – trattenete la lingua e “ad aquam nitidam accedes” – andate
dove vi è dell‟acqua pura splendente, immegetevi il dito medio della mano
destra e dite:
“Hirundo tibi dico Quomodo hoc in rostro iterum non erit Sic mihi dentes
non doleant toto anno.”
“Ti dico, o rondine, come questo non sarà mai nel tuo becco così possano i
miei denti non dolermi più per un anno.”
“E, rinnovando questo ogni anno, avrete sempre dei denti sani.” Anche
questo è essenzialmente identico all‟incantesimo toscano moderno. In
Toscana si crede che se la rondine fa il nido in una casa porti fortuna. Ma
guai a distruggerle, perché porterebbero molte disgrazie – ma attenzione a
non disturbarle, perché questo porterebbe molti guai. Marcellus fornisce
un‟altra prescrizione per gli occhi, come segue:
“Si muleris saliva, quæ pueros, non puellas ediderit, et abstinuerit se pridie
viro et cibis acrioribus, et imprimis si pura et nitida erit, angulos oculorum
tetigeris, omnem acritudinem lippitudinis lenies, humoremque siccabis.”
Che significa che se gli occhi vi dolgono dovete prendere la saliva di una
donna che ha dato alla luce solo figli maschi e non femmine. E deve essersi
astenuta dall‟unione sessuale e dal cibo stimolante per tre giorni. Allora, se
la sua saliva sarà chiara e luminosa, ungetevene gli occhi e saranno curati.
In Italia la cura è come segue:
“Se una donna ha dato alla luce un bambino di sette mesi, prendete la sua
saliva mescolata a latte ed ungete con essa gli occhi, dicendo:
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„Bagno gli occhi a questa donna; non li bagno col mio sputo ma li bagno
coll‟innocenza e la purità del mio bambino‟.
Fate quindi il segno della croce sugli occhi e dite:
„Benedetta tu sia per l‟innocenza del mio bambino; in tre giorni io possa
guarire!‟
Sputate quindi per tre volte dietro di voi e ripetete questo per tre giorni di
seguito a digiuno.”
Così come l‟ho fornito è indubbiamente piena di confusione, ma è
chiaramente identico all‟incantesimo di Marcellus. In un‟altra prescrizione,
Marcellus dichiara che:
“Mulier quæ geminos peperit, renes dolentes super calcet, continuo
sanabit”.
“Se una donna che ha partorito dei gemelli cammina sulle reni quando
dolgono le curerà.”
Prendendoli tutti assieme, potremmo dire che gli incantesimi dei Romani e
quelli moderni corrispondono nel generale, se non proprio in ogni dettaglio.
Vi è anche un altro incantesimo toscano per il mal d‟occhi:
“Prendete del sambuco e bollitelo e con esso bagnate gli occhi, facendo tre
volte il segno della croce, e dite:
„Santa Lucia, santa Lucia, il mal degli occhi gli vada via!‟
Ma bisogna che a far questo sia un uomo o una donna che è nato prematuro
a sette mesi.”
Tutte queste cure per gli occhi fanno riferimento in qualche modo ad una
donna che ha partorito solo maschi o ad un figlio nato a sette mesi. Vi è
tuttavia un altro rimedio toscano simile a questi. Per curare un dolore
all‟orecchio andate da una donna che sta allattando un bambino di sette
mesi e, mentre il bambino succhia tre volte, si devono mettere tre gocce del
latte della donna nell‟orecchio dei sofferente e dire:
„Le butto questo latte perché il male all‟orecchio le possa passare!‟”
Per ritornare alla rondine in Toscana, le penne di questo uccello sono un
amuleto, come segue:
“Quando si vuole una grazia o una fortuna, sono portate, legate con un
nastro rosso (vengono portate addosso legate tra loro con un nastro rosso)
ed a questo scopo vengono anche messe nei letti.
Si crede che la rondine sia buona per i problemi oculari (come la lucertola)
perché essa è simbolo di luce o vista. Così come era annunciatrice della
primavera e del Sole, veniva associata naturalmente alla chiara visione. In
tal modo in tutta la Natura correva la catena d‟oro che collegava tutte le
cose in una vena poetica.
203
Cure minori di Marcellus
(con i loro paralleli moderni)
Marcellus ci informa ((cap. I, pag. 35, GRIMM, pag. 10) riguardo al mal di
testa:
“Cum intrabis urbent quam libet, ante portam capillos qui in via jacebunt
quot volueris collige, dicens: tecum ipse ad capitis dolorem te remedium
tollere, et ex his unum capiti alligato, ceteros post tergum jacta, nec retro
respice.”
“Quando entrate in qualche città, raccogliete davanti al cancello d‟entrata
quanti più capelli potete che giacciono per terra, dicendo a voi stessi che lo
fate per rimuovere il vostro mal di testa, e legate uno di quei capelli alla
vostra testa. Gettate gli altri dietro di voi e non guardatevi indietro.”
A tutt‟oggi questa pratica viene conosciuta in Toscana senza varianti
speciali eccetto che insieme ai capelli bisognerebbe gettare del sale. Sono
incline a pensare che questo facesse parte anche dell‟incantesimo antico ma
che Marcellus non lo sapeva. Il sale era una parte essenziale di tutte le
offerte ed i sacrifici nell‟antichità (Marx, IX, 49). Si pensava che li rendesse
vincolanti e li perfezionasse. Molto simile a questo è quanto segue, tuttora
in uso:
“Quando si trovano dei capelli, si dovrebbero gettare nel fuoco e chi fa
questo deve dire:
„Se sei un‟anima buona va‟ in pace! Se sei una strega scoppia, che i tuoi
colpi si sentano da lontano e che il diavolo li possa sentire e si possa
scatenare per venirti a pigliare!‟”
Dell‟uso dei capelli umani negli incantesimi per fare del male parlerò in un
altro capitolo. Marcellus ci fornisce (cap. 8, 67) una cura per gli occhi
particolarmente sgradevole, ma non per questo meno curiosa:
“Mel Atticum et stercus infantis, quod primum dimittit, statim ex lacte
mulieris, quæ puerum allactat, permiscebis, et sic inunges; sed prius eum
qui curandus est, erectum ad scalam alligabis, quia tanta vis medicaminis
est; ut eam nisi alligatus patienter ferre non possit, cujus beneficium tam
præsens est, ut tertio die, abstersa omni macula, mirifice visum reddat
incolumem.”
“Prendete del miele di Attica e le prime feci di un bambino, mescolate al
latte della madre ed ungetene gli occhi, ma prima legate il paziente alle
scale (o ad una scala), che ha un tale potere curativo che se egli non fosse
così legato non potrebbe sostenerlo, ed il suo beneficio di vedrà il terzo
giorno, quando tutto lo sporco verrà tolto e la vista sarà perfetta.”
Il legare ad una scala o alle scale si ritrova nel seguente incantesimo
toscano:
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“Se qualcuno è stregato, legate lui o i suoi abiti (questi ultimi sono da
preferirsi) ad una scala (o alle scale) che sia fatta di legno; prendete quindi
un coltello e, mentre lo affilate, dite:
„Non lego questa roba, ma lego la strega, che non abbia più bene!‟”
In tutte queste cure la cerimonia e l‟incantesimo sono la parte di gran lunga
più importante, o il sine qua non erit remedium. Marcellus (n° 30, cap. 14,
pag. 103) dà quanto segue per la gola:
“Picem mollem cerebro ejus impone, qui uvam dolebit et præcipue ut super
limen stans superiori limiti ipsam picem capite suo adfigat.”
“Mettete un pezzo di pece molle sulla testa di colui che soffre ci mal di gola
e specialmente guardate che egli lo faccia quando è fuori dall‟angolo
esterno della soglia di casa.”
In Toscana molte medicine magiche si prendono sulla soglia di casa; anche
in altre stregonerie essa compare. Questo perché essa è la linea o il limite tra
il luogo abitato e la vita esterna dove gli spiriti vagano liberi; è una ben
compresa legge della demonologia che essi non possano entrare in una
stanza se non sono invitati. Evidentemente vi sono numerose eccezioni alla
regola, altrimenti non si avrebbero le case infestate. Nel cap. 19, pag. 130,
Marcellus ci dice che:
“Serpentis senectus, id est exuviæ licio alligatæ et vulso circumdatæ mire
prosunt.”
“Una pelle di serpente legata alla cintura è di grande aiuto.”
In Romagna e Toscana si crede che se si trova una pelle di serpente si debba
dire:
“Ho trovato la pelle di questo serpente, che possa portare la fortuna a me;
non porterò la pelle di serpente, ma porterò la buona fortuna, che sia sempre
in casa mia.”
Al di là dell‟immensa quantità di informazioni che sono state raccolte sul
tema del simbolismo del serpente, una cosa è innegabile: che questa
creatura era, tra gli Etruschi, i Greci ed i Romani, un simbolo di salute,
longevità e fortuna. Ed è in questo senso che esso appare sia nell‟opera di
Marcellus che negli incantesimi toscani, come cura o amuleto. Congetturo
che vi fosse in antico un incantesimo che veniva pronunciato quando si
trovava la pelle e che era sconosciuto al medico romano, in quanto un
attento esame di tutte queste prescrizioni o incanti in qualunque forma non
può mancare di convincere che le parole fossero sempre un sine qua non ed
in effetti la parte più importante del tutto. Come curiosa prova della
tradizione sui serpenti esistente in Romagna, potrei citare che l‟immagine di
un serpente viene dipinta sul muro per avere fortuna o evitare il malocchio,
205
ma deve sempre essere con la testa verso il basso e la coda all‟insù.
Marcellus dà quanto segue:
“Si arista vel quælibet sordicula oculum fuerit ingressa obcluso alio oculo
ipsoque qui dolet patefacto et digitis medicinali ac pollice leviter pertracto,
ter singula despuens dices: Os Gorgonis basio. Hoc item carmen si ter
novies dicatur etiam de faucibus hominis vel jumenti os aut si quid aliud
hæserit, potenter eximit.”
Che significa che se si ha un granello o dello sporco in un occhio, chiudete
l‟altro, ponete il dito medio su quello che duole e dite: “Bacio il volto della
Gorgone.” per tre volte e questo incanto è così potente che potrà tirare via
un osso dalla gola di un uomo o di una giumenta. In Italia si dice:
“Se vi è qualcosa nell‟occhio o nella gola di un uomo o di un animale,
sputate tre volte e dite: „O grande Serpente, io ti bacio il volto!‟”
A questo la mia informatrice ha aggiunto: “ma dovete guardare verso terra
nel dire questo.”
Riferentesi a Marcellus ho trovato che per rimuovere una piccola macchietta
irritata dall‟occhio (varulus) si officia una cerimonia che termina toccando
tre volte il suolo e sputando. Naturalmente, il toccare il terreno implica il
guardarlo. Marcellus fornisce una cura per il dolore agli occhi:
“Qui crebo lippitudinis vitio laborabit, millefolium herbam radicis vellat, et
ex ea circulum facit, ut per illum aspiciat, et dicat ter, 'excicum acrisos,' et
totiens ad os sibi circulum illum admoveat et per medium exspuat,”
eccetera.
Che significa che il paziente dovrebbe svellere una pianta di millefoglie o
achillea, farne un anello e sputare per tre volte dentro a questo anello. Dovrà
quindi ripiantare a terra la pianta e, se essa crescerà, il paziente guarirà. In
Toscana vi è allo stesso scopo un rimedio che concorda perfettamente con
una parte di questo. Viene chiamato La Corona della Ruta.
“Quando qualcuno soffre di male agli occhi, prendete un rametto di ruta e
legatelo in forma di una corona con del nastro rosso. Il paziente dovrebbe
essere a letto e non dovrebbe vedere la ghirlanda mentre viene fatta; essa
deve essere sempre preparata da una donna in un‟altra stanza e non deve
essere vista né da bambini né da animali, e colei che la lega deve dire:
„Preparo questa corona per metterla sopra gli occhi di quella ammalata (o
ammalato che sia) che degli occhi possa guarire e mal d‟occhi non le (gli)
possa ritornare.‟
E quando la dà all‟invalido, egli deve guardarvi attraverso per tre volte e
dire:
„Santa Lucia, Santa Lucia, Santa Lucia! Dal mal d‟occhi fatemi guarire!‟
Quindi deve sputare attraverso la corona per tre volte.”
206
Cosa in generale molto simile alla antica formula Romano-Etrusca. Santa
Lucia è la moderna santa cattolica della luce ed è probabilmente la diretta
discendente dell‟Etrusca Losna, Dea della Luna ed anche del Sole (vedi
Losna). Il nostro autore raccomanda (cap. 14, pag. 100; pag. 14, Grimm) per
il mal di denti di portare addosso “salis granum, panis micam, carbonen
mortuum in phœnicio alligabis” – “un grano di sale, una briciola di pane, un
carbone spento legati in un panno rosso”. In Toscana si fa pressochè la
stessa cosa e questo nasce come amuleto per avere salute e fortuna.
Losna
Le quattro cose della buona fortuna
“Prendete un sacchettino rosso e cucitelo con del filo di lana rosso – non
seta nè cotone; anche il sacchetto deve essere di lana e di stoffa ruvida e,
mentre lo cucite, dite:
„Cucio questo sacchettino per la buona fortuna mia e della mia famiglia e
che ci tenga sempre lontano dalle disgrazie come pure dalle malattie.‟
Prendete quindi della mollica di pane ed un poco di sale grezzo, un rametto
di ruta e del cumino e, mentre li mescolate, continuate a ripetere lo stesso
incantesimo. Quando avrete finito, l‟amuleto dovrà essere sempre portato
sulla stessa persona, di notte come di giorno.”
La verbena
Marcellus raccomanda la verbena come cura magica per i tumori.
Un‟autorità nella stregoneria, udendo questo, disse: “Non penso che venga
usata in medicina, ma” aggiunse con animazione “è ammirevole all‟interno
di e come talismano.” Mi disse quindi quanto segue, ponendo l‟accento sul
fatto che essa deve essere portata sulla persona:
“La verbena è un‟erba che porta grande fortuna e deve essere sempre
portata addosso. Notate particolarmente che, se una vecchia vuole
vendervene un poco, quando ve la offre non dovete mai rifiutarla, altrimenti
207
ella potrebbe maledirvi (stregarvi). Dovete sempre comprarne un poco e
dire:
„Non compro questa verbena perché è erba ma compro la fortuna che essa
porta!‟”
La mia strega era nel giusto quando diceva che la verbena è ammirevole in
magia e come talismano. Se avesse conosciuto e letto il Latino, avrebbe
potuto supportare la sua affermazione con una vasta gamma di citazioni di
autori classici. Tuttavia, indubbiamente ella ha avuto molti più antenati di
me che parlavano Latino e magari questa tradizione le è giunta da essi,
perch‟ella dice che erano tutti stregoni e streghe – tutti! La verbena veniva
chiamata par eminence la pianta sacra - hiera botane – dai Greci ed era
considerata la più sacra nei sacrifici, dove veniva bruciata specialmente
durante le invocazioni agli spiriti e le predizioni. Era la pianta di Venere e
dava, si credeva, grande potere di procreazione e, soprattutto – come scrive
Friedrich –, scacciava gli spiriti maligni, distruggeva la stregoneria e tutte le
influenze del genere. Gli ambasciatori la portavano con sé quale simbolo di
pace. “Semper e legatis unus utique Verbenarius loquitur” – “Uno di un
gruppo di legati veniva chiamato il portatore di verbena” (Plinio, Nat.
History, XXII, 3). “Perchè là dimorava nella verbena una certa fata che
donava fortuna a coloro che la invocavano.” Pensate a questo quando
odorate la verbena! Ricordate anche che, se ne prendete un poco da una
chiesa, vi porterà fortuna: “Ex ara hinc sume verbenas tibi atque eas
substerne” (Terentius, Andr., IV, 4).
Il nostro autore ci fornisce due rimedi per hordeolis oculorum – “i granelli
negli occhi” – ed in entrambi egli prescrive che nove chicchi d‟orzo
vengano trattati magicamente, come togliendone le punte una ad una e
ripetendo ogni volta un incantesimo greco. In Toscana ho trovato per gli
occhi, per lo stesso problema, quanto segue:
“Prendete nove chicchi d‟orzo e metteteli in una pentola nera con nove fiori
di sambuco e nove pezzetti di ruta. Bollite il tutto per un quarto d‟ora e
lasciate quindi raffreddare fino a diventare tiepido. Immergetevi quindi un
pezzo di lino e posatelo sugli occhi del paziente, quindi prendete i nove
chicchi d‟orzo, i fiori di sambuco e la ruta, poneteli tutti sul panno e dite:
„Tutto questo l‟ho fatto bollire per metterlo sopra agli occhi di questo
malato, che con la grazia di Santa Lucia prima di tre giorni possa guarire.‟”
Si noti che questo metodo moderno è realmente un buon rimedio (tutto
eccetto i nove chicchi d‟orzo), mentre quello di Marcellus è una semplice
sciocchezza. Per una stregatura molto immorale – “Si quem coire noles,
fieri que cupies in usu venerio tardiorem, confestim enervabitur” Marcellus
prescrive nove chicchi di grano.
208
Santa Lucia è la santa della luce e quindi della vista. Le due cose erano
identiche nell‟antica mitologia Romana. In verità, se potessi scrivere tutto
ciò che ho visto nell‟esplorare la stregoneria italiana, molto pochi davvero
mi crederebbero e meno ancora potrebbero comprendere. Perché tutto
questo appartiene ad un mondo e ad una vita di cui nessuna persona istruita
che io abbia conosciuto ha alcuna comprensione e per cui non può
certamente avere alcuna simpatia. Sotto le ceneri dell‟Italia vi è un fuoco
bruciante di cui vediamo ora solo una scintilla ma che non si è mai estinto,
non più di quello del Vesuvio. Immaginate una contadina inglese o tedesca
che viene presa da tali spasmi di stregoneria e poesia – ho conosciuto in
Italia una persona che, nel recitare un incantesimo, è stata colta dalle
convulsioni. Ed in tutte le persone, basse o alte, vi è qualcosa che pare
represso – un genio o un‟arte sottile o un potere magico – una scienza che si
manifesterà a tempo debito.
Vi è in Marcellus una notevole prescrizione per un disturbo all‟anca.
Consiste in questo: il rimedio deve essere somministrato al paziente “super
scabellum vel sellam ita ut pede uno quem dolet stans ad orientem versus
potionem bibat, et cum biberit saltu desiliat, et ter uno pede saliat, et hoc
per triduum faciat, confestim remedio gratulabitur.” Che significa: “in piedi
su uno sgabello o una sedia così che, un piede rivolto in avanti, il paziente
fronteggi l‟est e beva la sua medicina, quindi salti giù e saltelli per tre volte
su un piede e così starà bene nel giro di tre giorni.”
In un‟altra egli prescrive una pozione da prendersi in piedi su un piede solo
sulla soglia. Gli elementi principali di questa performance ginnica appaiono
nel seguente incantesimo toscano:
“Quando uno prende una medicina, dovrebbe essere in piedi su uno sgabello
o sulla soglia di una porta e dire:
„Prendo questa medicina perché sono ammalato, ma non sono ammalato di
fisico, ma di morale. Perciò prendo questa medicina sopra a questo sgabello,
che mi possa guarire da questa malattia e mi voglia dare felicità e bene;
perciò scendo da questo sgabello e su questo piede sinistro, sempre dal
sinistro piede, per tre volte mi rigiro e per tre volte io chiamo il gran
Salvatore. E, se non mi corrisponde, allora mi rivolgerò alle streghe, alle
streghe o agli stregoni.‟”
In antico, una delle cure più decantate era di mettere il paziente in balneo
repleta a humano sanguine – in un bagno pieno di sangue umano. Un bagno
del genere, fatto con il sangue di bambini piccoli, venne ordinato una volta
all‟Imperatore Costantino e, siccome egli venne mosso a pietà dalle lacrime
e dalle grida delle loro madri, si risolse a non farlo e la sua straordinaria
umanità venne ricompensata da una miracolosa guarigione. Secondo gli
209
antichi cronisti, pare che questo fosse considerato – anche dai cristiani – un
grande atto di misericordia e magnanimità. Non pare ben compreso da tutti
che per diversi secoli dopo la caduta del potere di Roma il mondo, invece di
avanzare, come si crede popolarmente, grazie al cristianesimo, ebbe una
ricaduta per quanto riguardo la barbarie e l‟inumanità.
Non comprendo chiaramente per quale male Marcellus abbia inteso la
seguente prescrizione – nisi ad verrucas – ma la trascrivo com‟è secondo
Grimm:
“De tribus tumulis terræ, quos talpæ hiciunt, ter sinistra manu quot
adprehenderis tolles, hoc est novem pugnos plenos, et aceto addito,
temperabis.”
“Prendete da tre tumuli di talpa tre volte tre manciate di terra, cioè nove
manciate, e mischiatele con dell‟aceto.”
Quanto segue è un incantesimo romagnolo per stregare o far del male a
qualcuno:
“Prendete da tre tumuli di talpa della terra e mettetela in un sacchetto rosso;
e, mentre rimuovete la terra, dite: „O terra che da terra vi raccatto dopra tre
mucchi che dalle talpe siete stati ammucchiati, e come avete ammucchiato
questa terra ammucchiate i dispiaceri di quella famiglia; che non abbiano
bene né pace e tutte le sfortune piombino sopra al suo capo!‟”
Potrei quasi credere che Marcellus abbia messo questo incantesimo al posto
sbagliato nell‟applicarlo ad una cura. In un incantesimo toscano per
spezzare l‟amore, la pece appare nel suo antico significato come ingrediente
della stregoneria:
“Quando volete impedire che un giovane uomo faccia visita ad una ragazza
in una casa, prendete della pece da calzolai e quattro chiodi. Fate con questi
ultimi due croci e mettetele sotto le sedie dove si siederanno l‟innamorato e
la fanciulla. Ed alla fine essi litigheranno e lui non andrà mai più in quella
casa.”
L‟ultimo incantesimo, o ricetta di Marcellus è per curare la gotta:
“Carmen idioticum, quod lenire podagram dicitur sic: In manus tuas
exspues, antequam a lecto terram contingas, et a summis talis et plantis ad
summos digitos manus duces et dices: Fuge, fuge, podagra, et omnibus
nervorum dolor, De pedibus meis et omnibus membris meis! Aut si alii
præcantas, dices illius quem peperit illa: Venenum veneno vincitur Saliva
jejuna vinci non potest. Ter dices haec et ad singulas plantas tuas, vel illius,
cui medebere, spues.”
In breve : sputatevi sulle mani prima di alzarvi al mattino, passate le mani
dalla pianta dei piedi alla fine delle dita e dite : “Volate, volate, o gotta e
tutti i miei dolori nervosi da entrambi i miei piedi, nè indugiate nelle mie
210
vene !” O, se cantate per qualcun altro, dite di ciò che soffre: “Il veleno
vince il veleno, lo sputo a digiuno non può essere vinto.” Dite questo per tre
volte e sputate ogni volta sulle vostre piante dei piedi o su quelle di chi
volete curare.
In Toscana vi è una malattia davvero terribile causata, dicono alcuni, dal
mangiare della farina cattiva; altri l‟attribuiscono al vivere male ed alla
malaria: viene chiamato pellagra. Il nome ricorda molto la podagra, o gotta,
perciò mi è stato detto che la cura che segue è per la pellagra e la mia
informatrice ha aggiunto anche per la gotta, di cui non c‟è bisogno di dire
che è molto comune tra i contadini. La pellagra causa pazzia.
“Per guarire la gotta o la pellagra, prendete per tre mattine un bambino
ancora a digiuno e fatelo sputare per tre volte sopra la gotta laddove si
manifesta e, mentre fa questo, fategli dire: „Gotta, o gotta (o pellagra)! Va‟
via dal mio piede, il veleno vince il veleno, come pure lo sputo vince il
veleno e lo sputo mio d‟un bambino innocente sarà quello che vincerà la
gotta maledetta, che non torni mai più a fare capo sopra alla tua persona.‟
Quindi il bambino deve sputare dietro di sé per tre volte e ripetere tutto
questo per tre mattine.”
Come commento su questo capitolo, Miss Mary A.Owen aggiunge le
seguenti note tratte dalla stregoneria afro-americana:
“I voodoo fanno attenzione a non buttare in giro i capelli perché, se un
uccello prende un capello e lo intreccia nel nido, il proprietario di quel
capello avrà degli orribili mal di testa – nulla potrà curarlo fino a quando il
capello non sarà trovato e bruciato. Inoltre, se una persona ottiene un
capello di un‟altra e lo introduce in una fessura nella corteccia di un albero
in crescita, lo sfortunato impazzirà non appena la corteccia crescerà sul
capello.”
“Potete chiamare un amico alla vostra presenza dall‟altro capo della Terra
mettendo quattro dei vostri capelli in una bottiglia d‟acqua, chiamando la
bottiglia con il nome della persona che desiderate vedere e mettendola alla
porta da cui desiderate entri. Entro 4 giorni (in quel periodo di tempo i
capelli si saranno mutati in serpenti) egli dovrà essere di fronte a voi.”
I tre Saggi dell’Est e le medaglie delle
streghe
“Die heil'gen drei Kön'ge aus Morgenland Sie frugen in jedem Städtchen;
„Wo geht der Weg nach Bethlehem, Ihr lieben Buben und Mädchen?‟”
Heine, Buch der Lieder
211
Nel giornale sulla tradizione degli zingari del gennaio 1889 apparve un
articolo molto interessante di David Mackitchie, in cui egli discuteva
un‟antica opinione sul fatto che i Magi, i Tre Re dell‟Est, spesso sono stati
considerati essere, come li descrive Longfellow, “i tre re degli zingari
Gaspar, Melchoir e Balthasar”. Questa potrebbe essere una tavoletta
popolare, ma vi sono numerose prove che, fossero Indiano o di altro sangue
orientale, con ogni probabilità potevano essere collegati con gli zingari per
quanto riguarda la loro tradizione. Se i tre re erano Magi, o Saggi dell‟Est,
potremmo concludere che fossero Caldei o Persiano, di cui ve ne erano
molti che giravano per l‟Impero Latino in epoca tarda. Essi erano tutti
veggenti o divinatori ed in questa veste appaiono a Betlemme. Significa che
facevano parte dell‟antica scuola di magia caldaica-accadica, che penso
abbiano una possibile origine comune con quella etrusca, ad oggi
sopravvissuta con pochi cambiamenti nelle magie della Toscana e della
Romagna; ed entrambe queste scuole erano uguali alla magia shamanica
degli abitanti pre-ariani dell‟India. Riducendo ai soli fatti, è molto più che
una possibilità il fatto che la “saggezza” o la tradizione dei tre re fosse di
origine “zingara”, cioè indiana o persiana o magari caldaica e che essi
fossero realmente divinatori o veggenti itineranti. Questa non è più di una
congettura, ma un fatto molto curioso getta una strana luce su di essa: in
Ungheria conobbi degli zingari che, quando un bambino era molto malato,
cercavano di curarlo appendendogli al collo dei talleri di Maria Teresa. In
Romagna e Toscana vi è un‟antica credenza sul fatto che certe monete
Romane siano una difesa sicura contro la stregoneria, specialmente per i
bambini. Per combattere questa credenza, i preti hanno fatto della medaglie
particolari che, come gli oggetti più antichi, vengono chiamate
correntemente “medaglie delle streghe”. Nel corso di una conversazione,
presi le seguenti note a riguardo:
“Quando si ha una medaglia delle streghe e si mette questa medaglia al
collo, con questa si sarà sempre liberi delle streghe. Queste medaglie
vengono messe principalmente addosso ai bambini ma anche a persone
adulte. E, quando la si mette addosso, si deve dire: „Metto questa medaglia
per liberare liberamus dalle streghe.‟”
Chiedendo se coloro che credevano nell‟antica religione, o stregoneria,
avessero fede nelle nuove medaglie delle streghe, ricevetti un racconto che
non annotai ma che in sostanza diceva che i cattolici credevano nelle
vecchie medaglie delle streghe o nella stregoneria avendone avute molte
cose giustificate – avendone avute molte prove. E che i credenti nella
stregoneria avevano accettato le nuove medaglie eccezionalmente per certe
ragioni, che concordavano con la magia. Perché “si portano queste
212
medaglie perchè le tre rege sulla faccia erano stessi grandi stregoni”. In
seguito ricevetti alcune di queste nuove medaglie; vengono vendute per un
soldo. Sono ottagonali, sono fatte di ottone e recano su un lato i tre re che
adorano Gesù bambino, mentre dall‟altro la seguente iscrizione:
Una reputazione di magia pende sui Magi ed i credenti nella stregoneria li
hanno accettati come amici. E‟ stato un pensiero felice quello di metterli
sulle nuove monete delle streghe, rendendole così “accettabili da tutte le
parti”. Tuttavia, ho sentito dire da un cattolico che questo compromesso di
santi con il diavolo causò uno scandalo tra i veri credenti. Potremmo qui
sottolineare che il misterioso gruppo dei tre maghi non era in alcun modo
conosciuto prima sotto forme differenti e sotto altri nomi né ai cristiani né ai
pagani e che, nella tradizione posteriore, i tre esseri fatati che appaiono alla
nascita di un bambino non solo gli presentano dei doni ma predicono il suo
futuro. Vale la pena notare anche che il frankincense, che era uno dei doni
dei Magi, entra nella composizione di tutti i moderni amuleti o pacchettini-
feticcio della Romagna – ne è stato presentato uno anche a me che ne
conteneva un poco –, che anche la mirra è una di queste medicine magiche e
che, se l‟offerta al Gesù bambino avesse avuto un qualche significato, era
magico ed intendeva sviare le influenze del male e della stregoneria. Si
potrebbe presumere che i Toscani abbiano preso in prestito l‟uso
dell‟incenso dai riti della chiesa cattolica romana, ma anche lo stesso
cardinale Newman non negò che l‟incenso veniva usato nei riti sacri dagli
antichi Romani. Mirra, incenso ed oro combinati formano un antico e
popolare dono per i bambini. Erano cose magiche e che portavano fortuna
213
tra i Romani e qualunque cosa fosse collegata alla superstizione, alla fortuna
ed alla divinazione tra di essi era di origine etrusca, perché l‟intero corpo
delle loro credenze in merito è derivato dal mitico Tagete.
Vi è un altro tipo di denaro delle streghe invero molto misterioso; viene
chiamato la sega delle streghe. Ne fornisco una descrizione come mi è stata
data verbatim:
“La sega delle streghe è una piccola moneta che possiedono le streghe. Esse
vanno con questa nei martedì e nei venerdì per le strade a tagliare o a
grattare via la terra dalle impronte della gente; con la moneta rimuovono
quella terra e con essa fanno grande danno” (a quelle persone).
L‟incantesimo contro la sega delle streghe – sega mulega – viene citato
nella canzone “sega mulega stregoni e streghe di Gaeta che filano la seta.”
“Mulega è una parola delle streghe per designare la terra che prendono dalle
impronte. Significa che non è terra quella di cui tagliano via un pezzo, ma è
un pezzo di carne che scomparirà dalle piante dei loro piedi. Se qualcuno
sospetta di essere stato stregato in tal modo, che rimanga quasi nudo e
prenda un nastro nero o rosso. Quindi dovrà essere misurata con quel nastro
prima l‟intera estensione delle braccia aperte e poi la sua altezza da capo a
piedi.”
Questa canzone di sega mulega è una canzoncina da bambini molto
comune, che si canta quando si fa la culla con uno spago, cosa che
suggerisce la misurazione con il nastro. Ma anche in questo essa è
strettamente alleata alla stregoneria perchè, quando la corda forma una bara
o altre immagini, se ne traggono presagi, come mi è stato mostrato sotto i
miei stessi occhi. Ora è una canzoncina per bambini, ma un tempo era un
incantesimo ed una strega mi disse che, se adeguatamente compresa, lo è
ancora e deve essere cantata mentre si divina con una corda. E‟ la seguente:
“Sega mûlega, stregoni e streghe di Gaeta che filano la seta, la seta ed il
bombaggio; mi piace quel giovane che sbatte il castagno, batte tanto forte le
streghe che fa tremare le porte; le porte sono d'argento,
che pesano cinquecento, cinquecento, cinquanta, la mia gallina canta. Non
era gallina che cantava ma è un gallo. Non è un gallo che canta, ma una
strega senza fallo. Se una strega é, una strega pur sia! Ma che il diavolo la
porti via!”
Incantesimo o canzoncina per bambini che sia, di certo vi è in essa uno
spirito selvaggio del Nord che supera di gran lunga quello della canzone
delle streghe Ghurughiu che Goethe udì a Napoli.
214
Capitolo III
L’esorcismo della morte
“Vattene, o morte! Io non ti temo!” Canzone del mietitore, Des Knaben
Wunderhorn
“Carmen autem evocat: orium idem tradit . .
qui pestem a suis aversam in hastes ferret”
Livio, 1, VIII
L‟incantesimo che segue, molto singolare e
strano, comprende uno dei segreti più profondi
che le donne sagge non divulgano. E‟
completamente pagano e non vi sono in esso
tracce di cristianesimo, nonostante venga usato
in un‟occasione in cui si suppone che i cattolici
impieghino tutti i debiti riti della chiesa. Esso
si basa sull‟antica credenza che la morte possa
essere sviata da un incantesimo pronunciato da
una maga ed è molto interessante sotto vari
aspetti, in quanto mostra il grado in cui l‟antica
magia etrusco-Romana prevale tuttora nei distretti rurali della Toscana –
magia che non è carente neppure all‟ombra del Duomo della stessa Firenze,
come ben so. Io credo di non essere molto accurato quando chiamo questo
“etrusco-romano”. Infatti, così com‟è, la religione che forma la reale fede
delle strege e dei loro patroni risale ad un‟epoca di cui non vi sono
registrazioni. Il politeismo greco-romano morì prima che il cristianesimo
sorgesse; prima di loro vi erano Etruschi, Oscani, Sabini o Umbri e molto,
molto prima di questi, la semplice magia degli stamani tartari. Ed io ho più
o meno colto per strada dagli Etruschi qua e dai Romani là, ma
principalmente ciò che era migliaia di anni fa e permane a tutt‟oggi. Per
tornare all‟incantesimo:
215
“Quando qualcuno in una casa è molto malato e si teme che muoia, andate
da una strega e dite: „Ho bisogno di un favore da te: che la morte non
giunga al mio malato – al mio malato non voglia far venire e sono venuto
da te a sentire perché tu bene me lo possa dire.‟ Quindi, la notte in cui ci si
aspetta la morte, la strega dorme e la Morte le appare in sogno e le annuncia
che un certo giorno l‟invalido le è destinato o sarà in suo potere. Quindi, la
notte in cui la Morte verrà a prendere la sua vittima, la strega prenderà una
zucca e vi farà occhi, naso e due buchi in cui metterà due baccelli di fagiolo
pieni dei loro fagioli a somiglianza di corna. E, quando si aspetta la Morte,
la strega fa il segno delle corna (la jettatura, chiamata le corna in Toscana) e
si mette a scongiurare, comincia l‟incantesimo in tal modo:
„O spirito di Morte indegna, da questa casa te ne puoi andare; questo malato
nella notte tu non potrai pigliare, perché le corna a jettatura ti sono venuta a
fare! E appena l‟alba sarà spuntata l‟ammalato più non ti sarai guadagnato e
dalla morte verrà liberato!‟”
Questa immagine della strega che sconfigge la Morte colpisce molto e
potrebbe essere studiata come soggetto da un artista; mi è stato assicurato
che tutto ciò viene mantenuto segreto ai preti ma che è il caso di scriverlo in
questo libro. Ovidio descrive in dettaglio una cerimonia essenzialmente
identica. Vi era a Roma una festa dell‟espiazione ai Lemuri, gli spiriti della
morte, che veniva celebrata il 9, 11 e 13 di maggio ed il suo fine era di
scongiurare la morte per l‟anno a venire. “A mezzanotte il padre della
famiglia camminava a piedi nudi per la casa, facendo con le dita il segno
che gli spiriti temono – signaque dat digitis, medio cum pollice junctis--
occurrat tacito ne levis umbra sibi (che è il segno delle corna, o la jettatura).
Quindi si lavava le mani con pura acqua di fonte, si metteva in bocca dei
fagioli e gli gettava in giro per la casa senza guardarsi indietro, dicendo
nove volte: „Dono questi e con questi fagioli riscatto me ed i miei!‟ Quindi
si lavava nuovamente le mani per nove volte, ripetendo: „Manes exite
paterni!‟. Ora poteva guardarsi intorno, perché la cerimonia era finita.”
Qui non viene menzionata la testa di zucca, ma vi sono i fagioli e la
jettatura. Preller, tuttavia, dichiara distintamente che con il tempo la
cerimonia delle Larvae venne sviluppata ulteriormente, fino a divenire una
cerimonia con apparizioni terribili e spettri. “Essi la accompagnavano con
imitazioni di scheletri e figure spettrali.” Questo identifica l‟incantesimo
toscano con le cerimonie romane, perché la zucca aveva evidentemente il
significato di rappresentare un teschio. Anche al giorno d‟oggi la zucca
vuota con una lampada in centro e che si suppone appaia come un teschio
con occhi fieri è ben nota a tutti i contadini e Brom Bones la impiega nella
leggenda di Washington Irving sulla valle addormentata per spaventare
216
Ichabod Crane. Questo significa che la Morte viene spaventata e scacciata
da ciò che le somiglia. Così, tra i popoli di Babilonia e Ninive, come
possiamo leggere in Chaldæan Magic di Lenormant, i grandi poteri del
male – tra cui vi era la Morte –, temevano di più di tutto ciò che somigliava
loro, e per questo motivo per proteggere le case venivano poste qua e là
delle figure orribili. Anche gli specchi sono una protezione contro i demoni.
Non ho dubbi sul fatto che, nonostante nel Medioevo vi fosse in realtà una
passione per gli eccentrici e gli strani, la vera ragione per la moltiplicazione
di goblin grotteschi dappertutto fosse una credenza similare. Vi è uno
strano tipo di omeopatia nella tradizione di quel tempo, un‟applicazione a
piene mani del principio del similia similibus curantur: l‟uccisione della
stregoneria tramite la stregoneria, diavoli che scacciano diavoli, cure grazie
all‟arma che ha fatto partire il colpo, cose che hanno raggiunto la perfezione
in Paracelso. Questo non è un caso ed appare troppo di frequente per essere
accidentale o il risultato di cause correlative, ed io credo che questa fede
antica che la Morte si spaventasse grazie alla Morte ne sia stato l‟inizio.
Credo infatti che, come i leoni ed i mostri alla base delle colonne risalgono
dall‟architettura bizantina a quella di Babilonia e Ninive, così il mettere
immagini grottesche di diavoletti, demoni e goblin abbia avuto origine nello
stesso paese, in base al principio che il diavolo teme ciò che gli assomiglia.
Questa credenza spiega la presenza di una quantità così grande di quelle
strane figure diaboliche nelle chiese cristiane, figure che sono state a lungo
un rompicapo per gli archeologi. Esse avevano lo scopo di scacciare i
diavoli.
L’incantesimo della culla
Quando nacqui – fu nella città di Philadelphia – ebbi per bambinaia una
vecchia Olandese di nome Van Der Poel, che suppongo fosse qualcosa di
simile ad una strega o, come tutte le vecchie Olandesi, avesse familiarità
con le cose occulte. Un giorno io, il bambino, scomparvi insieme alla mia
culla. Venne setacciata la casa con comprensibile allarme ed infine venni
ritrovato nella mia culla nella soffitta. Intorno alla culla vi erano delle
candele accese, una Bibbia aperta e su di me un piatto di sale. Penso vi
fosse anche una chiave o delle forbici, ma di questo non sono certo. Venne
spiegata come una cerimonia necessaria ad assicurare il mio successo o la
mia felicità futura. Anche altre autorità più vecchie dichiarano che questo
farà crescere il bambino nella vita, in quanto l‟essere in soffitta è simbolo di
ascensione; significa anche che la persona che viene portata lì diverrà un
adepto della tradizione occulta, o della stregoneria e della magia. Dal
Journal of American Folk-Lore del giugno 1892 sono venuto a sapere che
217
tra di discendenti dei coloni tedeschi nella Carolina del Nord “la prima volta
che un bambino viene portato fuori dalla stanza in cui è nato deve essere
sollevato” (scale) “o non andrà in paradiso. Se la porta della stanza scende
(?n.d.t.)… allora la persona che porta il bambino deve salire su una sedia o
su un libro con il bambino in braccio” (N.C.Hoke). Nel riferire questo ad
una strega toscana, ella la riconobbe come una cerimonia ben nota e mi
spiegò come veniva eseguita in Romagna:
“In Romagna vi sono streghe buone e cattive. Quando sono attaccate ad una
famiglia o ad un luogo e sanno che là è nato un bambino, entrano nella casa
il più segretamente possibile e prendono la culla con il bambino, la portano
in soffitta o nell‟attico che sia, nella stanza più elevata sotto al tetto. Quindi
la strega prende il sacco (saconcini) della culla e vi pone sopra il bambino,
mette quindi sulla sua testa del sale grezzo ed una Bibbia aperta ai piedi;
quindi mette quattro catene d‟oro e quattro anelli, d‟oro anch‟essi, ad ogni
angolo del letto e due candele accese vengono poste vicino alla testa del
bambino. Quindi il lettino, con il bambino dentro, viene sospeso con le
catene al soffitto e la strega ripete:
„Io ho fatto questo non per interesse mio, solo per l‟amore che porto a
questa famiglia che per quanto sono grandi in ricchezza (non perché siano
ricchi), ma che il loro figlio più grande possa venire di talento e, se l‟ho
messo sospeso così in alto, è perché col suo talento possa venire la persona
più alta e più importante di questo mondo.‟”
Davvero un augurio gentile e, se avesse sempre funzionato, non vi sarebbe
carenza di talento al mondo. In questa cerimonia italiana la strega buona
deve, dopo avere ripetuto l‟invocazione, andarsene senza guardarsi indietro
e non tornare in quella casa per quel giorno; quest‟ultima condizione è di
antica origine latina. Questo incantesimo veniva ripetuto a parole, non
cantato.
Divinazione con il piombo
L‟usanza di divinare per mezzo di stagno fuso o piombo fuso versato in
acqua è, come sottolinea Friedrich, molto antico, come si può evincere dal
fatto che è conosciuto da ogni razza cui questi metalli siano noti. La
cerimonia consiste nel fondere il piombo (i Latini usavano anche la cera),
nel versarlo in acqua e nell‟evincere gli eventi futuri dalle sue forme.
Queste venivano poi portate a letto dalla persona cui l‟oracolo era destinato
ed essa, per influenza dell‟immagine, in sogno trovava conferma di quanto
predetto. Il modo di divinare per mezzo del piombo fuso è il seguente – è di
qualche importanza perché non solo è elaborato, ma, come potremmo
mostrare per analogia, è molto antico in ogni dettaglio:
218
“Dovete prendere tre semi di una rosa, tre foglie di ortica, due foglie di ruta
e tre semi di cumino. Mischiate il tutto. Prendete quindi del piombo e, a
mezzanotte, accendete due candele di sego (esiste anche vegetale, n.d.t.),
legandole con un nastro rosso. Prendete quindi un piatto, mettetevi sopra il
piombo e le erbe (le erbe per ultime), mettete il piatto sul fuoco e, quando il
piombo sarà fuso, incorporatevi le erbe. Versate quindi il piombo nell‟acqua
e guardate quali forme assume. Se dovesse assumere la forma di un fiume è
un cattivo segno, ma si può usare per gettarlo nella casa di un nemico per
fargli del male. Se il piombo può essere gettato nell‟acqua corrente e prende
la forma di una fonte battesimale, è un presagio molto buono e dovrebbe
essere conservato in un sacchetto rosso legato alla cornice del letto o,
ancora meglio, messo all‟interno del letto, avendo cura che nessuno lo
tocchi. Quando mettete nel piatto il piombo e le erbe, si deve dire: „Lo
faccio per vedere se verrà la fortuna (o sfortuna) in casa mia.‟”
Possiedo un‟altra descrizione di questa cerimonia, più dettagliata:
“Fondete il piombo e mettetevi dentro semi di rosa, foglie di ruta e tre semi
di cumino. A mezzanotte accendete due candele legate fra loro con un
nastro rosso. Quando il piombo sarà fuso, mettete il piatto fuori dalla
finestra dicendo:
„O streghe, streghe che la granata (ginestra) non potete vedere, io ve la levo
per farvi piacere; o streghe, che di venerdì siete beate, questa grazia mi
potete fare e questa grazia mi farete se volete; se questa grazia voi mi fate,
che il mio piombo mi faccia la forma di una fonte... significa che andranno
bene le cose mie; se il piombo fa la forma di un fiume è segno che le cose
vanno molto male.‟”
Questo mi venne cantato in maniera così irregolare e interconnessa con la
conversazione ordinaria che non sono riuscito a distinguere chiaramente tra
l‟incantesimo e la spiegazione. Quindi la mia informatrice riprese:
“Mettete la fonte in un sacchetto rosso, gettatelo nella casa di qualcuno cui
augurate buona sorte e dite: „Non vi butto il piombo, ma la felicità, che
venga in casa vostra!‟ Ma, per fare del male ad un nemico, gettate il fiume
nella sua casa e dite: „Non butto il piombo, ma la sfortuna; che venga in
casa tua, che tu non possa avere pace nè bene.‟ Se il piombo forma un
fiume, il segno negativo, per sviarlo mettetelo sulla mensola del camino o in
qualche angolo e mettete sul fuoco un poco di quell‟erba che viene chiamata
in Romagnolo felchsa ed in Italiano felce. E‟ una pianta che causa grande
sofferenza alle streghe. E, mentre brucia, dite: „Brucio questa roba perchè
voialtre streghe maledette non possiate avere mai bene, perchè io vi ho
cercato una fortuna che non mi avete voluto dare!‟”
219
Credo che questa formula del mischiare il piombo con le ceneri delle erbe e
dei semi sia la vera formula antica Romano-Etrusca perchè la ruta, l‟ortica,
il cumino ed i semi di rosa entrano negli incantesimi più antichi che
conosciamo. Ma quello che rende completa la cerimonia (e che la rende
maggiormente curiosa) è i bruciare le foglie di felce per distruggere
l‟influenza delle streghe. Mi venne spiegato che era molto potente contro
tutte le magie e le influenze maligne ed era un ogni modo un‟erba
misteriosa e strana. Di essa Friedrich dice:
“Molte stregonerie, meraviglie e superstizioni vengono associate a questa
pianta, la maggior parte delle quali viene tenuta segreta... In particolare,
viene considerata con molto rispetto la felce a gradini, perchè le vengono
attribuite molte virtù, in particolare come potere contro gli spiriti maligni.
Le sue radici vengono utilizzate nelle invocazioni di buoni e cattivi. I
cinque gradini sullo stelo, che si suppone somiglino ad una mano, vengono
chiamati mano di fortuna, o mano di Giovanni, e vengono portati come
protezione contro la sfortuna o la stregoneria.”
Se il piombo, le ceneri ed il resto si dovessero semplicemente amalgamare
in un pezzo, non vi è uno speciale significato. Divinare con il piombo
significa il formarsi di forme o immagini grazie all‟aiuto di incantesimi ed è
perciò strettamente collegato al versare il bianco di un uovo nell‟acqua ed al
giudicare dalle forme che assume il futuro riguardo alle domande poste.
Questa pratica è antica quanto il mondo ed esiste dappertutto, ma in
Toscana si fa così:
“Prendete un bicchiere d‟acqua a mezzanotte esatta. Fatevi cadere dentro il
bianco di un uovo e dite: „ Mostro questo uovo, strega maledetta, che in
cambio possa vedere il mio destino. Per un giorno ai tuoi ordini starà alla
finestra, che la mia fortuna io possa conoscere, che esso mi possa mostrare
il mio futuro!‟
Dopo 24 ore guardatelo da vicino. Se avrà preso la forma di un camposanto,
significa una morte in famiglia; se mostra una chiesa ed un prete che dà la
benedizione, significa un matrimonio. Le stelle predicono felicità e, se
vengono tracciati i lineamenti di qualche persona, significa fortuna per
quella particolare persona.”
Le streghe che profetizzano per mezzo delle uova devono essere una classe
di signore singolarmente amabili. Ci si rivolge a loro con una maledizione e
poi viene loro modestamente richiesto di prendersi la briga di preparare una
predizione!
220
Divinazione per mezzo dell’olio
“Est enim evangelium signum pacis et saluberrimum OLEUM gratiæ et
misericordiæ divinae.” Coquius, Histor. ac contemplatio sacra Plantarum,
Vlissing, 1664.
Per le strade di Firenze, non lontano dalla Signoria, vi sono delle case che
probabilmente erano già vecchie ai tempi di Dante – chissà? –; o chissà se
conoscono l‟età di ogni cosa in questa terra dove abbondano vestigia anche
preistoriche e nulla appare più strano del nuovo? In una di quelle case entrai
– nella totale oscurità – e percepii che la mia strada era di sopra, dove vi era
una porta invisibile; bussai ed entrai in una vasta stanza divisa da un‟altra
solo da un grande arco antico. Vi era una mezza luce proveniente da una
singola finestra e l‟insieme formava un‟immagine molto simile ad un
Rembrandt. Al tavolo sedeva la veggente e davanti a lei vi era un bicchiere
d‟acqua in cui, con strani gesti mentre pronunciava un incantesimo, stava
versando dell‟olio da una bottiglia.
“Che fai, figlia di mille streghe?”
“Sto facendo un incantesimo con l‟olio. Vuoi imparare come si fa?”
Sì, lo volevo. Sapevo che la divinazione con l‟olio era proibita da legge e
vangelo, chiesa e stato, anche negli editti di Carlomagno e che in tutte le
epoche era stato uno dei secreta rariora che le streghe conservavano per le
occasioni speciali. L‟autore del Trinum Magicum, sive Secretorum
Magicorum Opus, pubblicato nel 1611, ci dice: “Aliqui itidem aquam in
vitreum catinum effundunt, oleique guttulam admiscent et sic in aqua mira
se cernere posse putant.” In Italiano: “Alcuni ancora versano un poco di
acqua in un bacile, mischiandovi quindi una goccia d‟olio e così pensano di
vedere cose meravigliose nell‟acqua.” Questo era tutto ciò che lui sapeva in
merito, perchè se ne avesse saputo di più di certo lo avrebbe fatto. L‟intero
oracolo venne tuttavia consultato sinceramente, debitamente ed
accuratamente in mia presenza e funzionò così come lo descrivo, passo per
passo:
“Prendete la bottiglia con l‟olio – una piccola –, fate con essa per tre volte il
segno della croce sul capo e sul volto dicendo:
„In nome del cielo, delle stelle e della Luna, mi levo questo malocchio (o
altra cosa) per mia maggior fortuna!‟
Quindi, con la stessa bottiglia o fiala, fate tre croci con la mano destra sul
bicchiere d‟acqua, esattamente da parte a parte, facendo anche le corna o
jettatura con il dito indice ed il mignolo della mano sinistra stesi ed il dito
medio e l‟anulare chiusi o tenuti fermi dal pollice. E queste dita estese
riposano sul margine del bicchiere. Nel fare questo, la strega ripete:
„Befania! Befania! Befania! Chi mi ha dato il malocchio me lo porti via!‟
221
Quindi versate o lasciate cadere con molta attenzione tre gocce di olio. Se si
mescolano in una è un buon segno o un segno affermativo per una
domanda. Se desiderate sapere se troverete ciò che state cercando o se
incontrerete un amico o qualunque cosa del genere, tutto andrà come
desiderata. Ma se le tre gocce rimangono separate è un segno negativo.
Quindi, per esplorare attentamente tutte le possibilità, questa cerimonia
viene rinnovata per tre volte. Ed ogni volta gettate l‟acqua e l‟olio per strada
o in un cortile. Se passerà per primo un uomo, tutto andrà bene ; se una
donna, i presagi continuano a rimanere sfavorevoli. Fate allora una volta
ancora la castagna, il segno del pollice tra le dita indice e medio, che è
molto più potente delle corna.” (anche gli antichi scrittori Romani lo
chiamano terribile); “notate che anche questo va fatto sul margine del
bicchiere con la mano sinistra, mentre con la mano destra versate
attentamente l‟olio in modo da formare con esso una croce sull‟acqua (che è
stata rinnovata). Quindi fatevi la croce sulla testa e sul volto con l‟olio per
tre volte, ripetendo l‟invocazione a Befania tre volte come prima” (tutto
questo venne fatto con incredibile velocità). “E se, dopotutto, l‟oracolo non
è propizio, versate nel bicchiere circa un cucchiaino di sale e ripetete la
formula di Befania. Se l‟olio diventasse di colore biancastro, è segno che
Befania si placa e che ora tutto andrà bene.”
Ma, se ella fosse refrattaria ad ogni incantesimo nonchè al sale sacro, allora
versate nel bicchiere un carbone ardente – l‟ultima risorsa disperata di
imprudenza diabolica. “Flectere si nequeo superbos Acheronta movebo.”
Questo mescola l‟olio all‟acqua a dispetto di tutti i diavoli e, fatto questo,
andate avanti con la fiera ed orgogliosa sensazione che, nonostante tutti i
presagi siano contro di voi, voi prevarrete con la vostra forte volontà. Ma
qui, nel terminare, vi è ancora da fare qualcosa. Esprimete la vostra
gratitudine allo Spirito del Fuoco, che è breve ma estremamente pagana e
senza dubbio molto antica:
“O fuoco benedetto che brucia immensamente e brucia tutta le gente,
ti prego di bruciare questo malocchio e chi me l'ha dato!”
Quindi, come negli antichi riti Latini, il carbone e tutto il resto devono
essere gettati in un corso d‟acqua e voi dovrete andarvene senza guardarvi
indietro. “Fers cineris Amarilli foras, rivoque fluenti, transque caput jace, ne
respexeris.” Il lettore vedrà, facendo un paragone, che questo incantesimo
ha molto in comune con la divinazione per mezzo delle ceneri. Devo
confessare che ammiro molto questo genere di divinazioni ed ho una
perfetta fiducia nell‟ultima porzione di questo, il carbone ardente. La strega
aveva vicino uno scaldino – un braciere di terracotta a forma di cesto –
proprio come le sue antenate lo avevano sempre ai tempi di Virgilio e forse
222
molto prima dell‟epoca di Tarquinio; e, quando il carbone entrava sibilando
nell‟olio e nell‟acqua, il suo volto aveva la bella espressione della maga che
sconfigge un nemico. Era una bella immagine ed un grande artista avrebbe
apprezzato gli occhi neri lampeggianti sotto una massa di capelli arruffati –
la mia mente andò dalla strega del Vesuvio a Virgilio, ad Apuleio e
Teocrito, che avevano tutti visto lo stesso antico e terribile volto. Altri
oracoli ed incantesimi fatti con il carbone ti danno un responso, un “sì” o
un “no”, ma in questo si comincia gentilmente ed amabilmente con l‟olio e
con un gentile e pagano incantesimo ai pianeti. Voi date al Fato tutte le
possibilità e siete prodighi di cortesie magiche o cerimonie. Ma non lasciate
perdere se il responso non è favorevole. Affatto. Procedete con il piccante
maggiore, il sale. Anche il sale è gentile, ma in esso vi è una intimazione
che significa che sotto il vostro guanto di velluto vi è un pugno di ferro, che
volete che la faccenda vada bene. Quindi, fallito il sale, viene il carbone
ardente. Se il cielo cadesse, voi lo sorreggereste con la vostra lancia e
sconfiggereste il diavolo. In altre parole, quello che doveva essere può
essere forzato a prendere un altro corso grazie alla perseveranza negli
incantesimi. Il che corrisponde a preghiera e penitenza – in tutte le religioni
–, le quali insegnano che il futuro può essere cambiato o formato per
adattarlo ai “buoni”.
Molti lettori potrebbero non aver riflettuto sul fatto che tutte queste
divinazioni sono equivalenti ad una preghiera accompagnata da formalità.
Quando la gente religiosa – come viene fatto spesso in America – si riunisce
a pregare per un certo obiettivo o per un certo oggetto, è pressochè la stessa
cosa che se avessero divinato con l‟olio ed il sale ed avessero invocato
Befania. Nell‟anno 1859, quando Theodore Parker era estremamente
detestabile alla rigida ortodossia di tutte le sette, molte pie signore
presbiteriane si riunirono allo scopo di pregare che egli potesse morire; e la
sua morte, poco tempo dopo, venne attribuita al loro fervido zelo. Non ne
venne fatto un segreto – esse se ne vantarono nei quotidiani religiosi. Nel
periodo in cui ero direttore di Vanity Fair a New York, una signora scrisse
una poesia che poneva graziosamente in ridicolo questo lavoro di voodoo ed
io disegnai per essa una illustrazione, che pubblicai. Non vedo in quale
modo questo pio pregare per la morte di un uomo dia diverso dalla
stregoneria più malvagia descritta in questo libro. Qualunque sforzo di
chiedere o forzare dallo Sconosciuto o dal Sovrannaturale certa conoscenza
o certi favori, che sia una preghiera, un digiuno, un incantesimo o delle
cerimonie, è magia – chiamatela come volete. Sin dall‟inizio del tempo gli
uomini si sono torturati e messi a morte a vicenda per avere impiegato
metodi differenti di evocazione di spiriti; i cattolici hanno bruciato,
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imprigionato e torturato a morte letteralmente milioni di persone, i
maomettano ed i bramini ed i miti buddhisti hanno fatto anch‟essi del loro
meglio in quest‟opera e non uno di loro ha mai riflettuto sul fatto che essi
erano solo ombre o nuvole della stessa oscurità primeva delle streghe e del
diavolo.
Vi è un altro metodo per usare l‟olio, non per la divinazione o per lottare
con le streghe ma per stregare, cioè per fascinare gli uomini. Consiste nel
rubare da una chiesa un poco di olio battesimale, se ci si riesce – altrimenti,
l‟olio che viene benedetto e posto nelle lampade davanti alla Vergine o ai
santi andrà bene ugualmente. E, se una ragazza si unge con esso le labbra,
l‟uomo che la bacerà “verrà preso da uno strano e selvaggio amore; egli non
farà attenzione al mondo oscuro sotto di lui , egli non farà attenzione al
cielo sopra.” No, tutto sarà perduto in un delirio di devozione alla
demoiselle à l'huile davanti a lui, paragonata alla quale la migliore sardina
non sarà nulla. Egli dovrà averla, senza badare a spese. Quella di rubare
l‟olio dalle chiese è un‟abitudine molto antica e profana e viene considerata
come il peggior sacrilegio dai preti, i quali guardano ad ogni sorta di magia
e stregoneria – eccetto la loro – come indubbiamente condannabile. Paulus
Grillandus che, ai suoi tempi, come ci informa con orgoglio, ordinò la
tortura e la bruciatura da vivi di centinaia di eretici e streghe, racconta la
storia che segue a proposito di ragazze cattive che rubano l‟ostia sacra per
fare amuleti per l‟amore. Nella sua opera, datata 1547, egli riferisce che:
“Non è ora un anno da quando vidi ed esaminai a Roma due donne
impudiche e senza vergogna (due impudice mulieres), che venivano tenute
in prigionia dal Reverendo signore locum tenens del Reverendo D. Vicarii
Papae” (Grillandus era “in società”, a quel tempo, e desiderava mostrare la
propria abilità) “ed esaminando” (questo tipo di esame significava ruota di
tortura e tenaglie arroventate) “ho trovato che esse avevano preso l‟olio del
battesimo e se ne erano unte le labbra mentre pronunciavano queste parole:
abrenuncio tibi; fatto questo, se baciavano degli uomini questi li amavano.
Ma, nonostante tutta la loro arte, esse espiarono il loro crimine soffrendo
l‟estrema giusta punizione.”
Questo significa, oscuramente, qualcosa di peggio della ruota e del bruciare
vivi o convicta et combusta, perchè per questo santo arrostitore, Grillandus,
tale punizione era un semplice luogo comune. Tuttavia, nonostante la chiesa
e di pali del rogo, in Italia le ragazze hanno continuato a farlo – cioè a
rubare l‟olio – e questo non meraviglia molto, perchè la paura della tortura e
la certezza dell‟inferno eterno non avrebbero mai impedito ad una vera
figlia di Eva di fare qualcosa che avrebbe attirato ammirazione. E questo è il
224
modo in cui si opera ora, come mi è stato descritto da una che aveva
familiarità con il procedimento:
“Quando una donna desidera ispirare amore sincero in un uomo, dovrebbe
entrare in chiesa quando i preti e le donne stanno cantando la benedizione e,
da una lampada che brucia davanti ad un santo maschio (pure che non sia
una santa), prendere tre gocce di olio, che deve essere benedetto, ma solo
con il dito indice e metterle in un piattino, quindi dire:
„Non prendo questo olio per il mio dolore, ma prendo la benedizione da
questo santo (nome del santo) perchè questa benedizione vada sempre al
mio amore, che non possa partirsi mai da questo mio cuore!‟
Quindi si deve portare a casa il piattino e lo si deve nascondere con cura in
modo che nessuno possa vederlo e per tre giovedì consecutivi le labbra
devono essere unte con quell‟olio. E, baciando l‟amante sulle labbra, la
ragazza deve dire:
„Io ti bacio e ti bacio sinceramente e, sempre nascosto dalla gente, io ti
bacio di vero cuore e ti bacio di vero amore; e questo santo... mi voglia
aiutare che tu pure mi possa amare e presto tu mi voglia sposare.‟”
Per avere detto e fatto queste inezie, alle giovani veniva strappata la carne
con tenaglie roventi, le giunture venivano staccate dai loro alloggiamenti
dalla ruota di tortura, veniva versato sopra tutto il loro corpo dell‟olio
bollente (vedi Horst, Dæmonomagia, Sprenger, ecc.) e quindi venivano
bruciate vive. Questo a Roma, davanti al Papa e per suo ordine, quando la
chiesa romana era nel pieno del suo potere, della sua infallibile saggezza e
cristiana filantropia, luce, dolcezza, mansuetudine e misericordia. Credo che
questa moderna cerimonia italiana doni l‟intera verità e tutti i dettagli
riguardo al furto dell‟olio. Non credo che parole come abrenuncio tibi siano
mai state pronunciate; i preti, nelle loro accuse, dichiarano sempre che le
streghe rinunciavano e denunciavano sempre il cristianesimo, ma di tutto
ciò non vi è traccia nelle pratiche delle streghe come sono realmente; e,
considerando il modo in cui venivano trattate, è stupefacente che esse non li
ingiuriassero in ogni occasione. Lo scopo del furto dell‟olio era di ottenere
la misteriosa virtù o potere occulto della benedizione pronunciata dal prete,
altrimenti perchè avrebbero dovuto rubarlo e quale senso vi sarebbe stato
nel prenderlo se ne avessero negato il potere? E‟ vero, l‟intero procedimento
non ha alcun senso, che sia da parte del prete o della strega, ma la donna
non desiderava nulla di crudele o inumano, solo di ottenere un innamorato.
Non è magia o stregoneria quando un prete pronuncia in incantesimo idiota
o una benedizione sull‟olio da bruciare in una lampada o tocca con esso un
peccatore sul letto di morte ma, se una ragazza prende alcune gocce di
questo stesso liquido incantato per attrarre un innamorato, è un crimine – un
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peccato mortale eccetera. E‟ stato riferito che durante la prima occupazione
di Parigi da parte dell‟esercito alleato, i Cosacchi non solo bevvero l‟olio
delle lampade che vi erano nelle strade ma che, al colmo della loro empietà,
svuotarono completamente tutto quello che vi era nelle lampade delle
chiese. Ora, se il rubare solo tre gocce dell‟ oleum benedictum da parte di
una ragazzetta sciocca meritava tutte le torture della Santa Inquisizione – ed
in seguito un passaggio “attraverso le fiamme materiali e temporali nelle
fiamme immateriali ed eterne” –, cosa avrebbero dovuto decretare di fare a
un selvaggio peccatore di tutti i peccati ed eretico di un Cosacco che aveva
“fatto fuori” l‟intera lampada? L‟immaginazione indietreggia sgomenta
davanti a tale tremenda malvagità. Quando avete inviato la vostra serva nel
fondo dell‟abisso (come dice Jacob Böhme) dell‟inferno degli inferni, cosa
potete fare ad un malfattore più grande? Riflettiamo!
Vi è una strana morale dietro a tutto ciò. Io, lettore, sono stato – e voi con
me in ispirito – in una conventicola sacrilega di streghe dove, secondo le
testimonianze generali di tutti i grandi, saggi e buoni uomini vissuti 200
anni fa, Satana stesso era presente, guardando torvo noi che “stavamo
cercando tremendamente di notte una delizia infernale basilare”. E noi
abbiamo eseguito cerimonie che vengono distintamente descritte come
condannabili da tutte le grandi autorità sia della chiesa cattolica che di
quella presbiteriana – autorità, ricordatevi, come Lutero –, che vengono a
tutt‟oggi credute ed a cui ci si sottomette. Sì, con questa storia dell‟olio e
del carbone, dell‟acqua calda e della lampada da chiesa ci siamo dannati al
di là di ogni redenzione, attraverso tutti i colori dell‟arcobaleno dalla A a
eccetera. Stai attento, o lettore, a ciò che ho attraversato io, per il tuo bene!
“Materia da breviario”, disse Frate John.
Piromanzia ed incenso
“Das Feuer ist heilig, und wird göttlich verehrt weil es ein reines Element
ist, und deshalb mussten seine Priesterinnen auch reine Jungfrauen sein.”
Das Feuer, J.B.Friedrich, Symbolik der Natur, pag. 60.
“Sic in igne præter alia elementa, sacra omnia insistebant, quod is, crecto
proximus coelo sit.” Polydore Virgil de Inv. Rerum.
L‟autore del Trinum Magicum (1611), riferendosi all‟antica divinazione
Romana, descrive minuziosamente quella attraverso il fuoco. Ci dice che:
“Vi è anche la piromanzia, in cui veniva gettata della resina in polvere nelle
fiamme. Se la fiamma si alzava unita, era buon segno; se era sottile e divisa,
sfortunato; se in tre punti, un evento o un risultato glorioso; se molto
dispersa, una morte per malattia; se crepitante o con un colpo secco,
sfortuna; se si estingueva improvvisamente, grande pericolo.”
226
Per resina si intende qui l‟incenso, il frankincense. L‟identità della moderna
piromanzia in Toscana con quella dell‟antica Roma, che si tratti
dell‟osservazione delle fiamme mettendo dei semi, del frankincense o delle
foglie di papavero su carboni, è notevole. Mi venne narrato come segue:
Fiamma
“Accendete la legna e se, nel farlo, prende fuoco con difficoltà o forma
delle fiamme piccole o brutte, è un cattivo segno riguardo agli eventi o a ciò
che abbiamo in mente. In Romagna, i vecchi dicono che se si vuole sapere
come andrà una cosa si deve studiare il fuoco con attenzione. Se brucia bene
tutto andrà bene; se male, le cose finiranno male. Se brucia con una fiamma
chiara e bella, è segno di buona sorte; diverse fiamme od ora da una parte e
poi dall‟altra con un colpo secco, significa che parenti o amici verranno
presto a trovarvi. E, prima di consultare il fuoco, se desiderate avere presagi
ben chiari ripetete questo:
„Fuoco, Fuoco benedetto! Alla mia casa fortuna aspetto, e sempre a te
vengo a sperare che l'augurio di buona fortuna tu mi voglia dare!‟
E le fiamme colorate o variate sono come quelle spezzate.”
Questo ricorda molto vividamente un passaggio dall‟Edipo di Seneca:
“Tir. Quid flamma? largus jamne comprehendit dapes?
Man. Subito repulsit lumen, et subito occidit.
Tir. Utrumne clarus ignis, et nitidus stetit, rectusque purum verticem coelo
tulit, et summam in auras fusus explicant comam? An latera circumserpit
incertus viæ. Et fluctuante turbidus fumo labat?
Man. Non una facies mobilis flamma fuit, imbrifera quales implicat varios
sibi iris colores, parte quæ magna poli curvatæ picto nunciat nimbos sinu.
Quis desit illi quisue sit dubites color: cæmlea fulvis mista oberravit notis
Sanguinea rursus, ultimum in tenebras abit Sed ecce pugnax ignis in partes
duas discedit - immugit aris ignis et trepidant foci.”
Questo corrisponde accuratamente ai moderni presagi ed incantesimi.
Semi sui carboni
“Vi era” osserva l‟autore di Trinum Magicum, “un altro tipo di
captromanzia. Venivano gettati su carboni ardenti dei semi di sesamo o di
papavero nero e venivano tratti dei presagi dal fumo che si innalzava da
essi, come osserva Dione Cassio.” In Toscana questa divinazione è ora così:
“Prendete dal raccolto alcuni chicchi, metteteli sui carboni e, se bruciano o
scoppiano bene, è segno che il raccolto dell‟anno successivo sarà buono. E
se non bruciano sarà cattivo. Vengono usati anche i papaveri, ma io non ne
so nulla.”
Questo è forse il vero metodo che seguivano in antico. In antico si usavano
grano, orzo o capsule di papaveri, ma in seguito si scoprì che il mais
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esplodeva o “scoppiava” meglio e li ha quindi sostituiti. Quanto segue è un
resoconto maggiormente dettagliato di questa divinazione:
“Prendete alcuni chicchi di granturco (mais) e metteteli su un piatto; a
mezzanotte mettete il piatto sul fuoco e dite:
„Metto questo granturco, quanti diavoli siete vi scongiuro che mi diciate o
mi facciate sapere se il mio amore oggi mi verrà a vedere; se il mio amore
mi ama, se mi sposerà questo granturco tre cambiamenti mi farà: se mi ama,
il granturco farà la forma di un cuore, se mi sposerà farà la forma di un
fiore; ma se non mi ama fate, diavoli maledetti, che il granturco non faccia
forma.‟”
Incenso sui carboni
Viene usato per accertarsi su chi ha stregato qualcuno o per rimuovere un
incantesimo malvagio.
“Prendete uno scaldino (un recipiente di terraglia smaltata a forma di
cestino) con del carbone che arde, quindi prendete incenso e cumino e
metteteli sui carboni. Poi, con un grosso coltello nella mano sinistra e lo
scaldino nella destra, andate in tutte le stanze e sopra e sotto al letto,
pronunciando per tutto il tempo la benedizione. E con questo coltello
mescolate il contenuto dello scaldino. Mentre il cumino e l‟incenso
bruciano, ripetete:
„Non brucio questo incenso, ma brucio il corpo, l‟anima e tutti i sentimenti
del corpo di quella infame (o quell‟infame) che mi ha messa la mala fortuna
in casa mia!‟
Quando tutto l‟incenso sarà bruciato, mettete nello scaldino un foglio di
carta gialla (sempre gialla) e due chiodi legati a forma di croce. Se non
sapete chi ha provocato il male, gettate l‟incenso ed i carboni in un corso
d‟acqua o in un fiume. Ma, se sospettate di qualcuno, portate lo scaldino ed
i chiodi in casa sua e nascondetelo sotto il tetto, dove non possa essere
trovato. Non dimenticate di tenere dentro allo scaldino i chiodi a croce.
Allora il/la colpevole sarà costretta o forzata a sciogliere il male o
l‟incantesimo; non avrà riposo fino a che non lo avrà fatto.”
Qui si comprende che per avere successo l‟incenso deve bruciare
liberamente. Negli antichi oracoli Romani (huc illud pertinere puto de
Nymphæ o prope Apolloniam”) veniva preso dell‟incenso, veniva
pronunciata la preghiera o l‟incantesimo e l‟incenso veniva gettato nel
fuoco. Se veniva bruciato completamente il presagio era favorevole ed
anche se fuoriusciva con un colpo secco dalle fiamme e bruciava o la
fiamma lo seguiva era tutto a posto. Questo non si applica alle probabilità di
matrimonio o morte - morte nuptiisque exceptis.
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Nonostante siano differenti come metodo ed oggetti, vi è abbastanza in
comune tra la cerimonia antica e quella moderna da fare trarre la
conclusione che quest‟ultima sia derivata da un‟antica fonte Romana. Vi è
anche un altro incantesimo molto interessante e palesemente molto antico
con l‟incenso che brucia, il quale aveva lo scopo di rimuovere il male di
ogni tipo o di invocare la buona sorte dalla strega misteriosa conosciuta
come Befania.
“Prendete del frankincense, sia del tipo migliore che del tipo inferiore, ed
anche dei semi di cumino. Abbiate pronto uno scaldino nuovo, che viene
tenuto solo per questo scopo. E, se dovesse accadere che affari di qualunque
genere vadano male, riempite lo scaldino (o un piatto ignifugo di terracotta)
con dei carboni ardenti, quindi prendete tre pizzichi dell‟incenso migliore e
tre di quello di seconda qualità e metteteli tutti in fila sulla soglia di casa.
Prendete quindi il resto dell‟incenso ed il cumino e metteteli nel carbone
ardente, portatelo quindi in giro e fatelo ondeggiare sopra il letto ed in ogni
angolo dicendo:
„In nome del cielo, delle stelle e della Luna, mi levo questo malocchio per
mia maggior fortuna! Befania! Befania! Befania! Chi mi ha dato il
malocchio maledetto sia, Befania! Chi mi ha dato il malocchio me lo porti
via e maggior fortuna venga in casa mia!‟
Quindi, quando nello scaldino si sarà tutto consumato, accendete i
mucchietti d‟incenso sulla soglia di casa, oltrepassateli per tre volte e
sputate dietro di voi oltre la spalla per tre volte, quindi dite:
„Befania! Befania! Befania! Chi mi ha dato il malocchio me lo porti via!‟
Passate quindi per tre volte avanti e indietro davanti al fuoco, sputando oltre
la spalla sinistra e ripetendo il medesimo incantesimo.”
In Toscana vi è un incantesimo contro i pettegoli, i calunniatori, i
diffamatori e coloro che diffondono malignità. E‟ il seguente:
“Contro le persone che sparlano di noi (le persone chi ciarlano sui nostro
conto), prendete dell‟incenso con il pollice, l‟indice ed il medio e mettetelo
sulla soglia di casa ed alla finestra, mettete una conocchia ed un fuso con il
peso penzoloni e date fuoco all‟incenso; quindi dite:
„Incenso, incenso! Che bene tu possa bruciare e così possano bruciare le
malelingue che ciarlano tanto di me; e, appena tu sarai bruciato, la rocca e il
fuso dalla finestra me ne andrò a levare e anche quelle voglio bruciare, e
così bruciare e così bruciare pure quelle malelingue; e di me non torneranno
più a ciarlare fino a che la rocca e il fuso come prima non torneranno;
queste come prima non potranno mai tornare. E le linguacce indegne male
di me non potranno più parlare! E così bruciare, e così bruciare‟”, eccetera.
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Il fuso e la conocchia erano una parte importante della magia classica e,
come sottolinea Preller, “il filare e l‟avvolgere appartengono per loro natura
alla stregoneria.” Vi è una curiosa illustrazione di questo nella seguente
ricetta romagnola per costruire uno spaventapasseri magico, per evitare che
goblin e fate rubino della frutta:
“Prendete degli stracci rossi e con essi, unitamente ad un fuso ed una
conocchia, formate un‟immagine simile ad una vecchia. Mettete due di
queste immagini nel campo o nella vigna. Quindi formate una croce con due
scope e dite:
„Se è uno spirito a fare che la frutta mi viene a sinpare, o tu vecchia me li
vorrai discacciare; se poi fossero strege o granate, che in croce vi ho messo,
mandate indietro tutte le strege e stregoni, che non vengano a mangiarmi i
pomi!‟”
Nel Nord si crede che una strega possa venire scoperta per mezzo del fuoco.
Wolf (Deutsche Märchen und Sagen) riferisce che, quando i bakbini di un
contadini sono stregati, viene fatto un fuoco. Se le fiamme dovessero unirsi
e formarne una sola – proprio come nell‟incantesimo italiano –, la prima
persona che entrerà nell casa sarà la strega.
L’incantesimo della lampada
“Nei festival della grande madre di tutta la vita, Neith, gli Egiziani
bruciavano lampade in cui vi erano olio e sale – e questo simboleggiava la
nuova vita dell‟anno, perchè il sale simboleggiava la creazione della vita e
la luce che procedeva dall‟oscurità all‟esistenza; perciò si adattava bene a
quella festività.” Friedrich, Symbolik der Natur.
La pittoresca lampada italiana, consistente in un lungo tondo di ottone a
goccia la cui coppa scivola su e giù con generalmente 3 stoppini e il tondo
supportato da una base, è di origine Romana ed è ben nota a tutti i
viaggiatori. In magia viene usata come segue – quando un bambino è
stregato, per scoprire chi ha fatto su di lui un incantesimo:
“Prendete una lampada detta lucerna e, avendo accesi tutti e tre i suoi
stoppini, mettetela su un tavolo quadrato con un coltello affilato e tre spilli.
Quindi, a mezzanotte, seduti in una sedia vicino al tavolo, fate il segno della
jettatura (le corna) e, desiderando di conoscere il nome della persona che ha
stregato qualcuno, andate a dormire ed esso vi verrà rivelato in sogno. Ma
prima ripetete quanto segue:
„Maria, Vergine benedetta, se la malattia di questo bambino (o altra
persona) proviene da un qualunque male, venite da me nel sonno. Maria,
Vergine benedetta, mi raccomando a Voi perchè mi facciate il favore che
egli guarisca presto. Ma se egli sia stato stregato da qualcuno allora, o
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diavolo liberato dall‟inferno, estingui una di queste lampade e fammi sapere
chi è la causa di questa malattia; e se è una strega che io possa conoscere il
suo nome e che possa trovarla e la sua vita non duri più di tre giorni.‟
Fatto questo, colui che era stregato si riprenderà in tre giorni e non verrà più
afflitto in tal modo.”
Questa singolare miscela di invocazioni alla Vergine ed al diavolo venne
ulteriormente confusa apparentemente dalla memoria imperfetta del
narratore di questo incantesimo. Vi è un altro metodo per usare la lampada,
grazie al quale vengono forniti nomi o segni che vengono indicati dalle luci
che si estinguono, ed ognuna di queste luci viene preventivamente numerata
o fornita di nome. Marcellus ci dice quanto segue (94, Grimm, pag. 25):
“Si quem coire noles, fierique cupies in usu venerio tardiorem, de lucerna
quæ sponte exstinguetur, fungos adhuc viventes in potione ejus exstingue,
bibendamque inscio trade: confestim enervabitur.”
Che in pratica significa che per privare un uomo del suo potere virile si deve
dargli da bere del vino in cui è stato estinto il fumo di uno stoppino. In
Toscana vi è quanto segue, usato per qualunque malattia:
“Quando qualcuno è malato, che nella sua stanza venga posta una lampada
che bruci olio e piccola (una lucernina, sempre se è possibile) e, quando
viene spenta, prendete lo smoccolatoio e mettetelo nel vino e date questo da
bere al malato. Se egli lo beve volontariamente starà bene, se lo rifiuta è
segno che non guarirà.”
Comprendiamo qui che l‟odore viene messo nel vino senza che il paziente
lo sappia. Dovrei aggiungere che si suppone che in ogni lampada vi sia un
suo spirito peculiare, che può essere invocato. Significa che se comprate
una di quelle lampade di forma antica – anche se qualunque lampada
Romana andrà bene allo scopo – e pronunciate su di essa con fede e serietà
una invocazione ad uno spirito – o meglio trovate qualche vecchia che
pratica la stregoneria che lo faccia per voi con dell‟incenso –, allora avrete
con voi il vostro spirito domestico, un elfo o una fata che potrete consultare
in molti modi. E come la gente in Inghilterra dice che un fuoco, con le sue
fiamme che si muovono come se fossero vive, è “di compagnia”, così la
ragazza italiana, mentre siede e cuce, trova una compagnia fatata nella luce
misteriosa, silenziosa e tuttavia animata della lampada, il cui fuoco pareva
al Rosacroce Lord Blaize tanto misterioso da scrivere un libro su di esso e
sui segreti benedetti del sale, libro in cui la filosofia di Sartor Resartus
veniva chiaramente anticipata. Se volete una lampada triplice come questa,
lettore, dovete comprarne una antica e vi costerà dai tre ai cinque franchi.
231
Capitolo IV
Incantesimi negativi
Tra le streghe toscane esistono molti incantesimi
il cui scopo è quello di danneggiare o anche
uccidere i nemici e vi è ragione di credere che
questi siano i più antichi tra tutti perchè, più
risaliamo a ciò che vi è dietro alla geniale
incorporazione delle forze della Natura ed al
politeismo, più la stregoneria diventa vendicativa
ed oscura. Possiamo provarlo nelle razze tuttora
esistenti. Così come si dice che il bambino passi
attraverso gli stadi corrispondenti alle forme
animali inferiori fino a quelle animali superiori,
così possiamo vedere l‟uomo primitivo o
preistorico più o meno modificato da suolo e
clima nei Fuegi, nei Papuasi o negli Australiani ed in particolare nelle razze
africane. In mezzo a tutte queste razze l‟orribile ed antica stregoneria, il cui
scopo è molto di più la morte, il danno e la vendetta piuttosto che il fare del
bene, predomina sulla benevolenza. Ed il fatto che ancora tanti in Italia
usino le forme più antiche conosciute di stregoneria, è una prova pressochè
conclusiva della sua antichità. Come gli animali devono distruggere la vita
prima di poterne godere, così l‟uomo pare avere trovato in questo suo stadio
animale il suo primo grande piacere nel fare del male o nell‟uccidere altri.
E‟ perfettamente vero che le razze in uno stato di società primitivo o basso,
anche se separate e senza rapporti tra loro, in condizioni similari sviluppano
le stesse superstizioni o miti, ma da questo non segue che non vi sia stato
“prestito” di tradizione. Al contrario, un esame imparziale di tutto questo
folklore con un‟analisi comparativa delle più scrupolose, mostra che vi è
stata una immensa e spesso misteriosa quantità di trasmissione e che la
teoria delle idee innate – o ciò che viene definito come tale – dev‟essere
232
esercitata con molta parsimonia. Si potrebbe tuttavia di certo concedere che
gli incantesimi romagnoli non siano cresciuti da soli negli ultimi anni, ma
provengano in realtà da fonti antiche, in quanto coloro che ora li detengono
vivono nello stesso paese degli Etruschi o degli antichi Latini, che erano
loro progenitori, ed essi conservano innumerevoli usanze dei loro antenati –
come descritte dagli scrittori classici –; nessuno potrebbe quindi contestare
la possibilità che essi abbiano ereditato le loro credenze. Possiedo molti di
questi incantesimi per fare del male, ma posso scriverne solo alcuni. Il
primo è il seguente; proviene da una vasta raccolta manoscritta fatta per me
da un esperto. E‟ stato tratto dagli archivi delle streghe, cioè copiato, come
molte di queste ricette lo sono state da altri archivi che vengono
gelosamente conservati segreti, in quanto le donne sagge preferiscono
impartire la loro saggezza a viva voce. Il “male” viene in questo caso
spiegato ingenuamente come quello che è stato fatto alla donna da un uomo
nello smettere di amarla.
“Per fare una malia così che un uomo possa essere sviato dall‟amare
un‟altra donna e sia solo attaccato a sua moglie, prendete tre marroni di
ippocastano (marroni d‟India, marroni selvatici) e polverizzateli il più
finemente possibile.” (Anche Marcellus pone enfasi sulla stessa
triturazione) “Quindi prendete un nuovo recipiente di terracotta e mettetevi
dentro la polvere, mischiatela con tre gocce del sangue del marito o della
donna che egli ama e, se possibile, aggiungetevi quanto più sangue potete
ottenere ed a questo unite mezzo litro di alcolico ed un poco di acqua;
bollite a bagnomaria (balneum Mariæ), cioè mettete il recipiente dentro ad
un altro recipiente pieno di acqua e, quando avrà bollito per un quarto d‟ora,
mettete il recipiente sotto il letto; a mezzanotte la moglie dovrà quindi
lasciare il letto e bagnare un poco la testa del marito a forma di croce ed
anche sotto i testicoli e dire:
„Non bagno te, bagno il tuo cuore, che sempre più tu mi possa amare e più
tu non mi possa lasciare e con altre donne tu non possa andare, e
quell‟affare con altre donne non ti si possa alzare.‟
Questo deve essere fatto per sette notti, tre volte a notte. Quindi buttate il
recipiente e tutto il suo contenuto in un corso d‟acqua dicendo:
„Butto via questa pentola e butto via il pensiero di mio marito per altre e che
porti tutto l‟amore a me, che io pure tanto l‟amo.‟
E, avendo gettato il tutto nell‟acqua, andate via senza guardarvi indietro e
per i tre giorni seguenti non passate vicino a quel luogo.”
“Rivoque fluenti-jace ne respexeris” – “vicino all‟acqua corrente non
guardare indietro nuovamente”. Questa parte è dell‟epoca di Virgilio ed io
233
non dubito che l‟intero incantesimo risalga a quel tempo. Il prossimo si
intitola “per fare del male ad un nemico”:
“Per fare soffrire un uomo o una donna, prendete un grano di pepe nero ed
un (illeggibile) come quelli che si trovano nei campi, bolliteli con i capelli
dell‟uomo della donna e ripetete:
„Non faccio bollire questi capelli ma faccio bollire questa roba unita
all‟anima ed al cuore di quello, che non possa più vivere e non possa più
stare, in mezzo alle streghe tu ti debba sempre trovare.‟”
Il successo di tali incantesimi dipende principalmente dalla serietà o dallo
zelo con cui vengono pronunciati. Quando la strega li pronuncia per se
stessa o per altri, lo fa con un‟aria di terribile vendicatività, tale da fare
rabbrividire. In una comunità dove tutti sono molto superstiziosi e dove
anche la religione dominante insegna con zelo il terrore dell‟esorcismo e
della scomunica e le virtù degli amuleti, è normale aspettarsi che gli
ignoranti avranno timore anche di un altro tipo di magia. Perciò, se un uomo
crede di essere stato oggetto di voodoo, che sia da parte di un prete o di una
strega, è in uno stato di terrore mortale; potrebbe anche morire per
l‟apprensione.
Un breve e semplice metodo per prendere la gente per le orecchie è quello
di comprare un poco di quell‟erba conosciuta come discordia. “E quando
desiderate una vendetta” (cosa non insolita, in Italia) “gettatela in una casa e
dite:
„Non butto questo pezzo di roba ma butto la discordia, che non possa dare
più pace in questa casa!‟”
Ed anche quanto segue:
“Per un nemico – prendete del sale e del pepe, metteteli nei suoi vestiti o
nella sua casa e dite:
„Vi metto questo pepe e questo sale, che in vita vostra pace e felicità non vi
possa dare.‟”
Si suppone che il pepe causi sentimenti negativi ed incoraggi le liti. “Les
anciens livres des songes” dice De Gubernatis (Mythologie des Plantes, vol.
II), “prétendent que le poivre vu en songe est de mauvais augure, et une
source des querelles dans la maison et dehors, et toutes sortes de déplaisirs.”
Possiedo due incantesimi per stregare la gente nel giorno del loro
matrimonio in modo che essi siano completamente infelici e non vadano
mai d‟accordo. Uno è il seguente:
“Se desiderate che una donna non trovi mai la felicità nel matrimonio,
prendete nel giorno delle nozze un fiore d‟arancio e mettetelo in un poco di
sale fino, pepe e cumino con della discordia, quindi attaccatelo alla schiena
della sposa dicendo:
234
„Tu sia maledetta! Tu non possa avere un giorno di pace! E quando vai ad
inginocchiarti davanti all‟altare, tu possa essere già pentita del passo che
fai.‟”
In un‟altra, si deve prendere del sangue mestruale chi viene dalla donna,
mischiarlo con ruta e cumino, bollire il tutto in acqua pura e farne dei
confetti da dare alla sposa ed allo sposo il giorno del matrimonio. E, mentre
li preparate, ripetete:
“Faccio questi confetti perchè portino la maledizione e la scomunica ai due
sposi (pronunciare qui il loro nome), che non possano vivere uniti! Tutti i
giorni possano litigare e uniti un anno non possano stare! Questa è la
contentezza che si devono dare, basta!”
Quest‟ultima parola viene senza dubbio ripetuta dal lettore. Ho molti altri di
questi incantesimi di stregoneria nera troppo abominevoli per essere
ripetuti, perciò sono lieto che i miei limiti mi vietino di scrivere ulteriori
maledizioni. Molto strettamente connessi a questi incantesimi vi sono quelli
diretti contro le streghe ed altri intesi a riportare gli amanti infedeli, maschi
o femmine, ai loro beneamati.
La maledizione è il fondamento della stregoneria. Browning fece dire al suo
monaco spagnolo: “Se l‟odio uccidesse gli uomini, Fratello Laurence, che il
sangue di Dio non mi faccia uccidere voi!” Le streghe tuttavia credono,
come fanno tutti coloro tra cui vivono, che l‟odio intenso e concentrato, o la
volontà, unitamente agli incantesimi possa uccidere. E vi sono molti che,
credendosi tanto odiati, muoiono. Quando l‟odio viene realmente risvegliato
da un torto profondo, che sia a causa della coscienza o dell‟opera misteriosa
del destino e di cause oltre la nostra conoscenza, è meraviglioso vedere
quanto spesso la freccia colpisca – presto o tardi! Non credete a nulla, se
volete, nè nel cielo sopra nè nella terra sotto, ma “tenete conto del racconto
di Orcus – di quel racconto tenete conto” e, se vi è qualcuno sulla terra cui
avete fatto deliberatamente e profondamente del male, troverete la vostra
Nemesi. “Temete colui che avete colpito.”
Vi è una opinione popolare generalmente prevalente che è stata inculcata
con cura dagli insegnanti di religione, ed è che l‟uomo che cerca vendetta ha
sempre completamente torto. Questo è nella sostanza simile alla dottrina
repubblicana che dice che la minoranza non ha diritti – o semplicemente vae
victis (guai ai vinti, n.d.t.)! Era tutto molto carino nel passato, ma ora non si
può negare che le nostre leggi, legali o sociali – così come la religione le ha
formate – ci proteggono solo contro le offese maggiori. Una grande
proporzione dei danni più amari e che colpiscono maggiormente l‟uomo
civilizzato non riescono ad ottenere una punizione legale nè sociale. Questo,
così come il precetto di sopportare pazientemente tutte le offese – o di
235
porgere l‟altra guancia – è contrario alla natura umana ed alla giustizia.
Potrebbe andare bene in un monastero, ma non è applicabile alla vita in
generale. Ed è per questo che la strega, lo sciamano, l‟avvocato ed il prete
vivono. Ve ne sarebbero molti meno se avessimo ideali migliori. Se
dovessimo vendere tutto ciò che abbiamo e donarlo ai poveri, invece di fare
del bene creeremmo un immenso esercito di mendicanti e l‟applicazione
generale del principio del porgere l‟altra guancia per farsela colpire
svilupperebbe semplicemente la prepotenza, la crudeltà e la distruzione oltre
ogni limite tollerabile. Invero, questo principio è stato predicato moltissimo
dai monaci durante il Medioevo, con il risultato di creare maggiore crudeltà,
tortura ed oltraggio di quanto si fosse mai conosciuto prima nei paesi
civilizzati. Nella debita proporzione, o anche al di fuori di tutte le
proporzioni, per le vergini mansuete, il Beato Angelico e le illimitate carità
sante vi furono la spremitura degli ultimi penny ai contadini, rapina, tortura
ed omicidio. L‟ideale dell‟eccesso di bontà ha prodotto come naturale
risultato un eccesso di male: più morbida è la luce e più scure le tenebre, ed
è una regola – con poche eccezioni – che nelle gallerie dove Angelico e
Memling e tutte quelle opere di “ineffabile dolcezza” e tenerezza divina
abbondano, anche qui troviamo immagini rivoltanti di gente spezzata sulla
ruota, scorticata viva, che sta bollendo, arrostendo o cui stanno spezzando le
giunture, eseguite con una forza geniale che mostra quanto tali soggetti
fossero cari a tutti in quei giorni. Una delle invenzioni più orribili della
tortura legale medioevale era a somiglianza della Vergine benedetta.
L’incantesimo della pietra forata e della
salagrana
“Guardate attraverso una pietra forate e vedrete passare le fate. O, di un
viola blu è una scarpa delle fate! Violette blu nell‟erba.”
Il lettore è probabilmente consapevole del fatto che se va sopra ad un pozzo
profondo scoperto potrà vedere le stelle a mezzogiorno; o che, se guarda
attraverso un lungo tubo potrà distinguere più chiaramente gli oggetti –
perchè non tutti sanno che le proprietà di un telescopio non sono
interamente nelle lenti: no, anche un piccolo rotolo di cartone simile ad un
imbuto ci aiuta a vedere le immagini in una galleria. E se solo guardiamo
attraverso la nostra mano chiusa a cilindro o copriamo gli occhi o uniamo le
palpebre noi, escludendo le “luci laterali”, miglioriamo la nostra vista. Il
lettore che desiderasse conservare la sua vista inalterata non dovrebbe mai
leggere di notte di fronte ad una luce; in tal caso egli avrà una doppia
tensione oculare, una dovuta alla luce ed una alla scrittura. Che gli legga
236
quindi con la luce alle spalle. Fu la scoperta di questo principio a portare
all‟antica credenza che, guardando attraverso certi anelli consacrati o a
pietre con dei buchi o ad una ghirlanda di verbena, si potesse migliorare la
vista o vedere cose invisibili normalmente. Non so dire quanto
l‟immaginazione abbia aiutato la gente che abitualmente “ha visioni e
sogni”, ma la cerimonia grazie al quale in Toscana questo accade è la
seguente:
“Per vedere gli spiriti, prendete una pietra dal mare, una in cui vi sia un
foro, un buco tondo, quindi andate ad un cimitero e, in piedi a poca distanza
da esso, chiudete un occhio e, guardando con l‟altro il cimitero attraverso la
pietra, ripetete:
„In nome di San Pietro e di San Biagio, fate che da questa pietra io possa
vedere che forma fanno gli spiriti.‟
Ripetete quindi un de profundis in tal modo:
„De profundis clamao in te Domine, Domine! Et Domine et fiantatis,
Bugsein et regina materna, Edognis Domine !‟
Quindi potrete vedere per mezzo di quella pietra gli spiriti che non hanno
pace, tutti in fiamme, camminare di persona come quando erano vivi, alcuni
come preti nelle loro vesti bianche o nere, alcuni in nero, alcuni come frati o
come una vecchia con una torcia in mano. E di questi ve ne sono molti che,
essendo stati avari in vita, hanno lasciato dietro di sè tesori nascosti, il cui
pensiero non gli dà riposo. Allora, se qualcuno sarà coraggioso e audace,
mentre essi parleranno tra loro parlerà e dirà: „Se in nome di Dio volete
riposare (salvarvi), ditemi dov‟è il vostro tesoro e cosa devo fare per averlo,
così sarete salvati.‟
Quindi, se egli è povero e vuole divenire ricco, basta che non abbia timore a
far questo e questo è un modo facile per divenire ricchi.”
Davvero “facile, se fosse vero” – ed io vorrei sottolineare che la vecchia con
la torcia in mano è una figura classica. Vi sono molte tradizioni strane in
merito alle pietre forate degne di studio. Apparentemente, tutto ciò comincia
in India. Presso il fiume Gundak, in Nepal, vennero ritrovate delle pietre
chiamate salagrama, che vengono considerate molto sacre. Una volta,
quando Vishnu il Conservatore era inseguito da Shiva il Distruttore,
implorò l‟aiuto di Maya (l‟Illusione), che lo mutò in una pietra. Attraverso
questa pietra Shiva, sotto forma di un verme, si tracciò una strada. Ma
Vishnu fuggì e, quando ebbe riassunto la sua forma, comandò che quella
pietra d‟illusione (sala-maya) venisse adorata. Essendo state trovate presso
Salipura o Salagra, hanno ricevuto il nome da questa località. Generalmente
hanno le dimensioni di un‟arancia e sono in realtà una sorta di ammonite.
Nel tardo Edda leggiamo che una volta Odino, per rubare l‟idromele della
237
poesia, si trasformò in un verme e si fece strada attraverso un buco in una
roccia. Da allora tutte le pietre forate furono chiamate pietre di Odino o, in
Inghilterra, pietre sacre. Vi sono molte credenze ad esse associate, come ben
sanno tutti coloro che hanno familiarità con il folklore inglese, ma ciò che
più conta è il fatto che siano amuleti contro la stregoneria e gli incubi e che,
essendo pietre fortunate, corrispondono esattamente alle salagrane
dell‟India. Conosco una famiglia dello Yorkshire che possiede una pietra a
forma di arpa con un foro al suo interno, che tengono sempre appesa davanti
alla porta d‟entrata della loro casa. E‟ da notare che nel mito induista appare
molto forte, come nelle mitologie della Norvegia e degli Algonchini, Maya,
l‟Illusione. Thor ne viene beffato quando va al Jötunheim; essa gioca per
tutto il tempo con i fulmini estivi attraverso i misteri di mezzanotte della
tradizione norvegese; anche il monaco Oddo, nella sua Vita del Re Olof,
dichiara che tutte le incredibili meraviglie narrate nelle antiche leggende
erano dovute ad essa. Nelle saghe degli Algonchini viene abbastanza
chiaramente illustrata la loro probabile derivazione dai Norvegesi. E‟ perciò
interessante sapere che questa reverenza per le pietre forate si trova in forma
peculiare in Toscana. Un volta mi venne inviato dalla Romagna, come
gradevolissimo dono dalla compagnia delle streghe, una pietra che mi venne
assicurata essere stata potrei dire adorata per lungo tempo. Che fosse stata
realmente oggetto di venerazione era evidente dal suo essere circondata da
quei piccoli ornamenti di pasta di pane colorata, eccetera, che vediamo
spesso sulle immagini dei santi e di Gesù bambino. Era un pezzo di
stalagmite pieno di cavità; ho visto pietre simili in vendita in un negozio di
curiosità ad un prezzo sproporzionato al loro valore perchè si trattava di
amuleti, e di nuovo ne ho trovata una che era stata evidentemente portata
addosso e perduta. Le selci con dei buchi, così come ammoniti, sono
comuni in Inghilterra ma non lo sono affatto in Italia, perciò la stalagmite ha
funto da sostituto.
Da quando ho scritto ciò che precede, ho imparato molte cose curiose in
merito alle stalagmiti che venivano considerate con tale reverenza in
Toscana. Ne ho trovata per strada una che, esaminata da esperti, venne detta
essere un indubitabilmente eccellente amuleto. Ma, per metterla a posto,
venne riconsacrata nella giusta maniera pronunciandovi sopra l‟incantesimo
appropriato e mettendola dentro ad un sacchetto rosso con del cumino. Ma
quale fu la mia sorpresa nel venire a sapere che il nome giusto di questa
pietra era salagrana, che assomiglia certamente molto alla parola indiana
salagrama. Nel domandare con cura a molte persone ricevetti la seguente
affermazione in merito:
238
“La salagrana è una pietra che somiglia molto alla forma di una spugna.
Viene chiamata pietra ma non è una pietra, perchè è lo sterco degli animali
chiamati ronbrigoli (lombrichi), che mangiano solo terra e defecano delle
collinette che prendono la forma di una pietra o piuttosto di una spugna, che
si pietrifica. Si trovano comunemente nelle grotte. Tengono alla larga le
streghe. Uno dovrebbe fare un piccolo sacchetto rosso e mettervi dentro la
salagrana con dell‟oro, dell‟argento ed una piccola manciata di concordia
(un‟erba) e questo sacchetto deve essere tenuto segreto a tutti. E prima dite:
„Questo sacchettino bello e preparato mi è stato regalato e sempre lo voglio
conservare perchè voialtre streghe indegne non mi possiate ammaliare,
perchè nella pietra che contiene il mio sacchettino sono tanti grani che non
potete arrivare a contare; e contiene pure tanti buchi che non vi fanno
varcare la soglia dell‟uscio e così la malia non mi potete dare; altro che
fortuna in casa mia non mi può restare, fortuna d‟interesse come pure
d‟amore, tutta quella che mi richiede il cuore!‟”
L‟esatta somiglianza della stalagmite agli escrementi di un verme è notevole
ed era naturale che si supponesse fatta di quel materiale. Ma, per curiosa
che sia la coincidenza dei nomi di salagrana e salagrama, molto più curioso
in questo incantesimo è il passaggio che dichiara che “vi sono tanti grani
che non potete arrivare a contare” e “tanti buchi che non vi fanno varcare la
soglia dell‟uscio”. Questo coinvolge una credenza molto misteriosa ed
antica, che sostiene che, quando una strega si trova davanti ad un grande
numero di semi o di chicchi (grani), non può proseguire la sua opera fino a
che non li avrà contati tutti. Perciò in tutto il mondo si crede che, se un
uomo viene perseguitato (cavalcato) da una strega, deve mettere molti
chicchi piccoli di qualche tipo a forma di croce vicino al letto. La strega,
arrivando, non potrà quindi raggiungerlo fino a che non li avrà contati tutti
uno ad uno. E nelle Mille e una notte Amina il fantasma deve mangiare il
suo riso, chicco per chicco, con uno spillone. Una persona che ha viaggiato
in Persia ha notato che gli schemi dei tappeti di quel paese sono intricati in
modo che il malocchio, rimanendo su di essi e seguendo il disegno, perda il
suo potere. Questo era lo scopo di tutti gli intrecci dei disegni dei Celti e dei
Norvegesi. Quando la strega vede la salagrana, il suo sguardo viene
catturato improvvisamente dai suoi fori e dalle sue venature.
Oltre alla somiglianza delle parole salagrana e salagrama, abbiamo il fatto
molto curioso che la prima si crede erroneamente essere formata dai vermi,
mentre i buchi nella seconda, secondo la tradizione, erano fatte dai vermi.
Perciò, oltre alla somiglianza dei nomi, abbiamo la coincidenza ben più
singolare di pietre dei vermi adorate sia in India che in Italia. La salagrana
italiana non ha sempre dei buchi, ma si presenta come avente dei granuli
239
somiglianti a dei fori o come corrugata, cosa che si suppone catturi il
malocchio.
L’incantesimo della conchiglia e del tono
della pietra
“Scuotetene una ed essa si risveglia, quindi applicate le sue labbra pulite al
vostro orecchio attento ed essa ricorda le sue auguste dimore, e mormora
come se l‟oceano mormorasse lì.”
“Fingebantur autem ille cecinisse; ut est in veteri epigrammate de cantu
Sirenum. Quod tuba, quod litui quod cornua rauca quarantur Quodque leves
calami quod suavis cantat.” Johannes Praetorius, 1665
Gli zingari dell‟Ungheria (vedi Gipsy Sorcery) credono o fanno credere che,
ascoltando una conchiglia, si possono udire delle parole. Il gonzo ode il
suono che si ode sempre in una grande conchiglia; viene quindi bendato e la
conchiglia viene sostituita con una che ha da una parte un tubo, cui è
attaccato un lungo tubo attraverso cui parla lo zingaro. Una di queste
conchiglie con il tubo attaccato mi venne mostrata da una zingara vicino a
Budapest. Molto simile a questo tubo telefonico è quanto segue, imparato
da una strega toscana:
“Per la conchiglia prendete un filo o una corda che sia legata ad un albero;
deve essere lunga tre o cinque braccia o più ma sempre in numero dispari,
mentre l‟altro capo viene legato alla conchiglia dicendo:
„O spirito della conchiglia, una cosa a te vengo a domandare perchè tu mi
possa dare soddisfazione; se questa grazia che io desidero tu mi farai, da
questa conchiglia al mio orecchio tre cose mi farai sentire: gallo cantare,
cane abbaiare e gatto miagolare. Se queste tre cose io sentirò, è segno che la
grazia che io desidero sicuro io avrò.‟
Questo è oscuro, ma una cosa è chiara: che la corda è una linea telefonica
usata per convogliare la voce della maga, così come viene portata attraverso
il tubo. Così funziona l‟oracolo.
In un libretto stampato a Firenze ed intitolato Il libretto delle stregonerie,
troviamo un altro metodo di divinazione per mezzo del suono o per frode
auditiva. Viene chiamato L'amante nel pozzo:
“Prendete una pietra di dimensioni abbastanza larghe, più tonda che potete,
e di notte andate ad un pozzo coperto; sarebbe meglio se fosse in mezzo a
qualche campo o giardino. Appena l‟orologio batte l‟una gettate la pietra
con gran fracasso nell‟acqua. Ascoltate quindi con attenzione il suono
prodotto dalla caduta della pietra. Nonostante possa essere un poco oscuro o
confuso e non sempre molto comprensibile, tuttavia con un poco di
240
pazienza ed attenzione si può scoprire nel suono che fa la pietra nell‟acqua
il nome della persona che si sposerà o una risposta ad una domanda.”
Da una fonte molto migliore – cioè vivente – sono venuto a sapere che
questo incantesimo può essere fatto per danneggiare un nemico: andate
presso un fiume e gettate la pietra più violentemente e con disprezzo che
potete, dicendo:
“Non butto questa pietra, ma butto il bene e la fortuna della persona...; che
il bene gli vada nell‟acqua corrente e così non abbia più bene.”
Un antico metodo di divinazione per mezzo delle pietre gettate nell‟acqua si
rifaceva alla vista e non all‟udito. L‟autore del Tractatus Magicus (1611) lo
descrive senza riferimenti, ma le sue fonti sono quasi tutte scrittori classici.
“Variæ ejus sunt species divinationis per aquas... alia conjectis in aquam
stativam tribus lapillis et observatis gyris, qui trifariam invicem implexi
circa lapillas sumitur.”
Che significa: gettate tre ciottoli in acqua e giudicate dagli anelli che
formano come andranno le cose; cosa che ho fatto, con solo questa
conclusione: che i cerchi sono come la reputazione degli uomini che
compiono grandi azioni – all‟inizio possono esserci ed in breve scomparire,
si spargono fin lontano ma diminuiscono mano a mano che si spargono. Sì,
sì – “la gloria è come un cerchio nell‟acqua”. In antico si credeva che tutte
le pietre possedessero una voce, che poteva essere tirata fuori in vari modi.
In un interessante articolo sulla divinazione sulla St. James's Gazette del 27
febbraio 1886, che ho citato altrove, troviamo:
“Sappiamo, in base alla distinta autorità di molti maghi del XVI e XVII
secolo, che Eleno aveva predetto la caduta di Troia grazie alla forma di
divinazione conosciuta come „litomanzia‟. Durante la notte, alla luce delle
torce, venivano lavate ad una fonte molte pietre ed era essenziale per il
successo dell‟esperimento che la persona che le maneggiava fosse velata.
Recitate diverse preghiere e fatte numerose genuflessioni le pietre, in toni
dolci e bassi, davano risposta alla domanda posta loro.”
Invero, vi sono dei sermoni nelle pietre ed una leggenda ci dice che esse
riconoscono un buon sermone quando ne odono uno. Un Santo irlandese,
che era cieco, venne una volta indotto da un ragazzaccio a predicare ad una
moltitudine di ciottoli e, quando ebbe finito, tutte le lapides gridarono:
“Amen!”
Il canto del gallo
Un giorno chiesi ad una delle donne sagge se pensasse che vi fossero stati
molti cambiamenti negli ultimi anni tra i contadini per quanto riguarda
l‟educazione e le nuove idee. Ella rispose:
241
“Davvero, signore, oggi non è come un tempo. Le cose vanno magari
meglio per i contadini, ma essi stanno prendendo nuove idee e non sanno
più cosa pensare. Se un tempo qualcosa andava male, era sempre un
malocchio – vi era della malasorte che era stata gettata loro ed essi la
scacciavano. E vi erano sempre dei buoni segni – se un gallo cantava era un
buon presagio. Allora, quando esso cantava, dicevano:
„O bel gallo, tu che canti la mattina allo spuntar dell‟alba! Canta in cortesia
la buona fortuna per casa mia!‟”
La strega aveva ragione nel dire o nell‟intendere dire che questi presagi
erano una volta questioni molto serie che facevano parte di ogni fase della
vita. Ed il canto del gallo era un presagio molto incoraggiante ed importante
per tutti i cristiani. E‟ un buon segno quando il gallo canta spesso durante la
notte, cosa che i Beoti sapevano (Plinio, 1. 10, c. 25), e questo li ispirò così
tanto che conquistarono gli Spartani. Mosè proibì agli Ebrei di divinare per
mezzo del canto degli uccelli; questo mi ricorda un passaggio in una delle
storie di Lever in cui l‟eroe viene mandato al Trinity College di Dublino per
avere tenuto “uccelli da canto” – in questo caso galli selvatici. Tuttavia,
possiamo continuare a credere con Shakespeare che la vigilia di Natale
“l‟uccello dell‟alba canta per tutta la notte”. Gli Ebrei fecero tuttavia
un‟eccezione in favore del gallo, perchè nel Talmud si dice che quando esso
canta si dovrebbe dire: “Benedetto sia l‟Eterno che ha donato al gallo la
comprensione di riconoscere il giorno dalla notte.” E, come sottolinea con
intelligenza Friedrich, “siccome essi a quei tempi non possedevano orologi,
in ogni casa tenevano un gallo.”
Mi è stato scritto, in merito ai galli ed alla magia, che nei tempi antichi
talvolta accadeva che un gallo, ispirato da un demone, facesse un uovo da
cui nasceva un basilisco – una creatura terribilmente brillante, perciò egli
veniva fecondato. Come osserva Lattanzio (possiedo una copia delle sue
opere, edite a Genova nel 1613) i demoni, che non sono nè angeli nè
uomini, sono esseri intelligenti – peritos ac rerum scios. Essi hanno
inventato l‟astrologia e la divinazione etrusca, l‟augurio, gli oracoli, la
magia, la mitologia ed inoltre hanno insegnato agli uomini come fare
immagini ornate e simulate di squisita bellezza di re da lungo tempo defunti
ed hanno attribuito loro altri nomi.” Deve essere perciò stato semplice per
loro fare un basilisco, uno scherzo. Quindi crebbero fino a divenire Dei,
loro che un tempo furono uomini. Questa è la dottrina di Euhemerus di
Messina, che pervade tutta la mitologia romagnola. “Come i galli nel loro
precedente umile stato erano uova, così gli Dei erano uomini, nonostante
ora essi siano così grandi.” “Namque Deus, Dæmon et heros, unus idemque
erat rudibus hominibus” – Dio, il diavolo e gli eroi erano la stessa cosa per i
242
rozzi uomini antichi, come dichiara Elias Schedius. La divinazione era
naturalmente connessa – magari senza molta tradizione – ad un uccello che
conosceva così misteriosamente il tempo del giorno e della notte.
Divinazione con le ceneri
“Solet etiam divinatio interdum ex cineribus fieri” Tractatus Magicus, 1611
Questa è estremamente interessante per la sua grande antichità e viene citata
in molte opere. Di essa l‟autore del Tritium Magicum, riferendosi
apparentemente a Dione Cassio, dice:
“Ed essi avevano l‟usanza di divinare talvolta con le ceneri dei sacrifici. Ed
anche al giorno d‟oggi ve ne è traccia, quando ciò che deve essere divinato
viene scritto nelle ceneri con il dito o con un bastoncino. Quindi le ceneri
vengono sparse dalla brezza fresca e si cerca le lettere che esse formano
spostandosi. O se tre fanciulle desiderano sapere quale tra loro sposerà un
uomo, allora tracciano tre linee nelle ceneri; egli dice loro di scegliere una
linea (sulcum) e di voltarsi in modo da non vedere le linee, che nel
frattempo un‟altra indica con le tenaglie, fino a quando una di loro non avrà
scelto lo stesso solco per tre volte; quando una di esse sceglierà quella di
lui, ella sarà la sua futura moglie.”
Il rito toscano mi è stato insegnato in questo modo:
“Prendete un bicchiere o una tazza piena di acqua pura calda e tre sedie in
cui tre ragazze o donne della stessa età dovranno sedere. Ognuna dovrà
prendere un pizzico di sale e metterlo nell‟acqua bollente tutte assieme o
improvvisamente. Colei il cui sale si dissolve per prima sarà la più
fortunata. Quindi ognuna dovrà prendere un sacchettino di lana rossa pieno
di ceneri finemente setacciate; siederanno con la tazza al centro tutte e tre
vestite di nero e con veli neri ed ognuna avrà una ostia sacra con disegnata
una tazza. Per ottenere questa, le tre donne devono andare in una chiesa e
prendere la comunione e, quando il prete dà loro l‟ostia consacrata da
mettere in bocca, devono farla scivolare in mano senza che il prete lo
sappia. Quindi, quando queste tre ostie saranno contrassegnate con il
disegno di una tazza, non sarà necessario benedirle ma due dovranno avere
disegni speciali come un cuore o un fiore, in modo da poterle riconoscere,
sopra alla tazza, tracciandoli con uno spillo. Quindi ognuna di esse getterà
le sue ceneri con l‟ostia nell‟acqua bollente e diranno, tutte o una sola di
loro:
„Non butto la cenere, non butto l‟ostia ma butto il corpo e l‟anima (persona
che si vuole nominare); che non abbia più pace nè bene fino a che questa
cosa non ho ottenuto per bene.‟
243
Devono quindi mettere le mani dietro alla schiena e fare il segno della
castagna e non girarsi a guardare la tazza per un quarto d‟ora; quando infine
guarderanno, vedranno se le ostie stanno galleggiando sulla superficie. In
questo caso tutte loro avranno ottenuto il loro desiderio e, se solo una
galleggia, allora la sua proprietaria sarà favorita ma se nessuna galleggia
non vi saranno favori. Allora esse se ne andranno senza guardarsi indietro.”
Questo concorda con l‟antica cerimonia in cui vi sono delle ceneri usate da
tre donne, che se ne vanno via senza voltarsi in giro. Il tutto viene infine
buttato in un corso d‟acqua. In questo abbiamo un souvenir di Virgilio e di
Teocrito.
“Hinc cineres sub primum sideris ortum, Colligat, et fluvii ferat ad vada
proxima vivi Una ministrarum, venitque ad flabra secundi Spurgat arenosis
petris Namque ipsa retrorsum Respiciens properé redeat.”
Ciò che rende ancora più interessante questo incantesimo toscano è che è il
solo resoconto completo che ho mai visto sul modo in cui le streghe del
Medioevo usavano le ostie consacrate nella loro magia. Paulus Grillandus,
nella sua opera De Sortilegiis, parla di questo con grande orrore e ci dice
che venivano usate specialmente dalle donne per incantesimi d‟amore: “In
istis etiam sortilegiis ad amorem ut plurimum admiscentur sacramenta
ecclesiarum, sicut est hostia consecrata”. (Paulus Grillandus, Tractatus de
Hæreticis et Sortilegiis, Lione, 1547, lib. II, fol. 20, 21). Grillandus cita
diversi casi del genere; uno di un prete “che prese la sacratissimam hostiam
ipsam – la sacrissima ostia egli stesso, pronunciando come incantesimo
verba satis turpia atque nephandaque hic referre non expediat – parole così
vili e malvagie che non è il caso di riferire qui.” Non ho dubbi che queste
parole “nephanda” o malvagie fossero le stesse dell‟incantesimo italiano.
“Nephanda” prova abbondantemente che se Grillandus non ha voluto dare
degli incantesimi negativi ai suoi lettori, non ha però obiettato a dare loro
delle compitazioni pessime. Le sue streghe talvolta hanno scritto “parole
orribili” con il sangue sulle ostie, altre volte le hanno polverizzate e
somministrate nel vino. E‟ importante notare che egli – credendo
pienamente che un tale uso delle ostie fosse un grande peccato – tutto
questo lo ha pubblicato. Invero egli ci dice che in un caso egli non percepì
nè vide alcun effetto – che fa pensare che egli abbia provato l‟incantesimo
di cui parla; ma i credenti nella magia potrebbero ben dire che se anche
fosse stato così la parte interpellata non si sarebbe manifestata in sua
presenza. O egli ha pubblicato le speranze caratteristiche della gente per
fare dei soldi? Talvolta le streghe gettavano delle ceneri sulla gente e questo
causava delle terribili malattie cutanee. Nel leggere quest‟opera ad
Homburg les Bains incontrai un cieco molto vecchio che era in stretta
244
corrispondenza con diversi professori, ecc., nonostante fosse stato un
povero carpentiere; ed egli mi disse che le streghe preparano da un tipo
particolare di sassi di carbone delle ceneri che gettavano sulle loro vittime e
che egli aveva sofferto in tal modo per sei anni. “Molta gente” disse
“ridicolizza questo, ma è vero.”
Le ceneri nel simbolismo antico significavano ciò che era morto e passato o
obliato. Pulvis et umbra sumus. E‟ notevole che tra gli antichi Slavi vi era
una forma di divinazione per mezzo delle ceneri che somigliava molto a
quella dei Romani. Le donne sedevano intorno al focolare e tracciavano
delle linee a caso nella cenere. Queste linee venivano poi contate e, se il
loro numero era pari, il presagio era fortunato (Schwenk, Mythologie der
Slaven, pag. 24). Un oracolo pressochè identico viene consultato tuttora in
Polonia. Le ceneri vengono sparse sul pavimento intorno al letto di un
malato ed una “donna saggia predice dalle linee se il paziente guarirà”
(Grimm, Deutsche Mythologie, vol. II, pag. 1117). A proposito di ceneri e
morti, potrei citare qui che nell‟anno 1855 in Pennsylvania un Tedesco
bruciò il corpo della moglie – atto che venne generalmente amaramente
biasimato come paganeggiante, vile, rivoltante e non cristiano dalla stampa.
Io, tuttavia, scrissi sul Philadelphia Evening Bulletin un editoriale che
difendeva il Tedesco ed in cui dichiaravo che sarebbe una cosa eccellente
per la salute pubblica – così come per gli interessi del commercio di
carbone – se la pratica di bruciare i morti divenisse generale. Probabilmente
estinguerebbe il colera e la febbre gialla per sempre. Queste mie
osservazioni vennero considerate a quel tempo molto coraggiose persino
negli Stati Uniti, dove non è insolita la libertà di espressione. Non so se io
sia stato la prima persona a patrocinare la cremazione nei tempi moderni,
ma credo di potere affermare di essere almeno uno dei suoi Vorgänger, o
pionieri.
245
Capitolo V
L’ametista
“Il nato a febbraio troverà la sincerità e la pace della mente, la libertà dalla
passione e dalla preoccupazione, se porterà l‟ametista.” Detti di compleanno
“L‟amethiste a un lustre violet rouge, et est ainsi nommé, comme n‟estant
yure, aussi il resiste à l‟yuronguerie... et profite aussi à ceux qui se veulent
addonner à l‟estude.” Jean Baptiste Porta, De la Magie Naturelle.
Conobbi un tempo un giovane Francese che affermava di
essere il solo uomo vivente a conoscere l‟antica lingua di
Cartagine – o una città simile –, che aveva recuperato dai
suoi antichi monumenti. “Così sai realmente leggere
l‟antico Fenicio!” esclamai con ammirazione. “Mais,
Monsieur,” fu la risposta “je le parle.” “E con chi lo
parli?” chiesi. Ed egli rispose: “Monsieur, je fais des
monologues.”
Spesso riguardo a tutto questo folklore Etrusco-Romano
sento come se l‟avessi riscoperto o scavato e decifrato,
come una lingua dimenticata e dopotutto ero, come il mio
Francese, l‟unica anima sulla Terra a conoscere questo
linguaggio da lungo tempo sepolto o a preoccuparsene e
quando ne parlavo facevo così un monologo. E vi sono un
fascino ed una solenne bellezza nel linguaggio spirituale o
stregonico dei tempi antichi; e non è una meraviglia, perchè vi fu un‟epoca
in cui esso spostava il mondo e gli oracoli parlavano in esso e grandi
religioni vivevano in esso e con esse vivevano, in tutta la loro profonda fede
ed i molto coloriti scintillii di gloria, gli Etruschi ed i Romani. E quando ora
ed allora trovo un fiore della fede primeva che continua a crescere sotto le
vili erbacce che hanno ricoperto tutto questo antico giardino, il mio cuore ha
un sobbalzo ed io comincio a parlare da solo proprio come sto facendo ora.
246
Cosa mi ha spinto a fare questo fu quanto segue: vi è a Firenze una signora
cui una suora con cui era stata gentile inviò tre pietre singolari quale dono di
gratitudine, dicendo di non avere altro da darle. Appena le ebbi in mano vidi
che si trattata di amuleti, probabilmente lasciati da qualche peccatore
pentito che credeva nella stregoneria ad un padre confessore. Una era
un‟ametista, di poco valore come gemma ma lunga circa due pollici e
mezzo (un pollice = 2,54 cm, n.d.t.) e che penso fosse originariamente
celtica, che in qualche epoca posteriore ha perso l‟angolo. Era
probabilmente delle ere più antiche, quindi venne probabilmente portata da
qualche antico Romano e venne così persa e ritrovata fin quando mi venne
donata per Natale in un sacchetto di seta rossa il 25 dicembre 1891. Delle
altre due pietre, una era una salagrana e l‟altra un pezzo di antimonio. Tutti
sanno che l‟ametista prende il suo nome dalle sue proprietà anti-vino
perchè, se ne portate una addosso, non potrete essere danneggiati dal vino.
Io sapevo questo e null‟altro fin quando portai la pietra alla mia sibilla e le
chiesi un‟opinione professionale su di essa. Ed essa giunse in una forma che
mi stupì. Notai particolarmente che, nonostante essa non ne facesse
menzione, pareva considerare la pietra come qualcosa a lei conosciuto
personalmente, almeno da resoconti a lei fatti, e che la studiava con grande
rispetto. Venni a sapere che era un feticcio molto famoso che era stato
perduto da lungo tempo ma di cui si era conservata la tradizione, come per
le pietre nere voodoo in America. Ed io ne sono ora più convinto che mai.
“E‟ un amuleto magnifico,” ella disse, come sorpresa “molto antico e bello;
questa pietra avvinata – questa pietra mescolata con del vino –, interrata per
molti anni e quindi dissotterrata, deve essere portata addosso per avere una
buona memoria. Se qualcuno volesse intossicarti per tradirti, se la porti egli
non avrà successo. Portala sempre con te e dì:
„Pietra che da qualche stregone o strega tu sei certo stato sotterrato perchè la
fortuna ad altri non hai voluto lasciare; ma si vede che tu ne sei pentita ed
hai voluto nelle mie mani farla recapitare. Ed io saprò bene conservarla e
sempre al mio fianco portarla; ti scongiuro, o pietra! Scongiuro questa pietra
che sempre fortuna mi voglia portare e da ogni male mi voglia liberare,
specialmente dai nemici che volessero farmi qualche tradimento questa
pietra mi possa liberare. E se mi volessero ubriacare o con vino o con
liquore questo pezzo di pietra avvinato sarà sempre il mio stregone
liberatore! Ti scongiuro, o pietra!‟”
Ora sapevo che l‟ametista veniva considerata in antico infallibile contro
l‟intossicazione o, come dice Baptiste Porta: “L'amethiste attaché au col sur
la bouche du ventricule (al fianco) deliure de l'yurongnerie”. Ma non
sapevo che fosse “buona per la memoria”, parola con cui scoprii che la mia
247
strega intendeva, nella sua maniera semplice, anche l‟intelletto e
l‟intelligenza. La credenza di quella veggente era evidentemente che questo
famoso amuleto – di cui vi era una tradizione – fosse stato seppellito da o
con il suo padrone tanto tempo prima in modo che nessun altro lo
ereditasse, ma che esso era stato riportato alla luce grazie ad influenze
stregoniche particolarmente per me. Possiedo due dozzine di libri ma non
sapevo che tra di loro vi fosse un trattato – De Gemmis – scritto da
Franciscus Rueus e stampato a Francoforte nel 1608. Mi era sfuggito,
essendo legato alla fine del De Miraculis Occultis di Levinus Lemnius. E,
girando per la mia piccola biblioteca nella speranza di trovare qualcosa a
conferma della connessione dell‟ametista con l‟intelletto, scoprii per puro
caso di avere proprio il libro che mi serviva. In esso vi è infatti un capitolo –
XI, De Amethysto – in cui si dice che essa non solo protegge
dall‟intossicazione ma stimola il genio, proprio come aveva dichiarato la
strega: “Addunt et alii malas illum arcere cogitationes, et præcox felixque
ingenium efficere” (“essa manda via i cattivi pensieri e conferisce maturità
e felice genio”). E porta anche fortuna; ma qui Rueus ricorda se stesso e
dichiara che non insegnerà le superstizioni pagane e non cristiane che si
dicono di essa – come invece ho fatto io.
Tutto questo mi ricorda una storia di quand‟ero giovane. Quando ero
bambino a Philadelphia avevo un maestro quacchero di nome Jacob Pierce
che ci dava lezioni di mineralogia e ci incoraggiava a fare delle collezioni,
dandoci ogni sabato dei “campioni” come ricompensa per la buona condotta
– distribuzione in cui io, devo dire con vergogna – raramente ebbi la prima
o qualunque altra scelta (nonostante sia accaduto una volta che la pietra
rifiutata che mi capitò fosse la gemma migliore tra tutte). Essendo perciò un
mineralogista zelante, accadde un giorno che trovai sulla banchina, in
mezzo alla zavorra pietrosa di scarto portata da un vascello da Tampa Bay,
Florida, molte ammoniti, tra cui ve ne era una che era stata mutata in puro
calcedonio da ciò che la circondava. Con le tasche sovraccariche andai
nell‟ufficio di un certo broker e banchiere che, avendo esaminato con i suoi
amici i miei ritrovamenti, disse non essere “altro se non comuni gusci
d‟ostrica e roba del genere”. E, dopo che ebbi con fatica investigato sulle
mie tre pietre-amuleto, mi venne detto che erano molto probabilmente solo
tre comuni campioni di minerale che erano stati raccolti dalla suora – cosa
che potrebbe naturalmente essere vero –, essendo le suore italiane ed i loro
poveri stipendi, come si sa, dedite alla scienza in generale ed alla geologia
in particolare. Il campione in premio che ebbi dal mio insegnante era un
ametista, che “barattai” con un altro ragazzino con un palloncino, che prese
fuoco mentre lo stavo gonfiando e così perì. Dii avertite omen!
248
Potrei aggiungere che i Rabbini chiamavano l‟ametista achlamah, da
chalam, sognare, perchè essi credevano che essa attirasse verso il suo
possessore sogni meravigliosi. E Sant‟Isidoro la paragonò alla Trinità,
perchè essa possedeva in sè tre colori: primo, il porpora, che è imperiale e
denota Dio Padre e Governatore del Mondo; il viola, o il colore dell‟umiltà
(Dio Figlio nella sua umiltà tra gli uomini) ed il rosa, espressione
dell‟amore e dello Spirito Santo (vide Picinelli, Mundus Symbolic, pag.
684). Tra gli Egizi l‟ametista corrispondeva al segno zodiacale della Capra
Œdip-Ægypt, II, pag. 2) e, siccome la capra era nemica del vino, così anche
l‟ametista lo era. A proposito di queste citazioni devo, in tutta franchezza e
semplice onestà, sottolineare che se qui e là in questo libro vi sono alcune
lievi dimostrazioni di erudizione, questo è principalmente dovuto alla
ragazza con il banchetto da cui acquisto le antichità e le pergamene ad un
prezzo che va da un penny a tre (questo solo in caso di grande tentazione) a
volume. Li porto a casa e li imparo per bene e da essi traggo questi estratti
eruditi. Vi è quindi il mio tabaccaio, che per mesi ha avvolto i miei sigari in
pagine dell‟antica Encyclopaedie Française o in pagine Latine di tradizione
legale, cui devo molta gratitudine. E, in un‟altra occasione, quando comprai
due vasi Etruschi per sette franchi, indussi il venditore a gettarvi dentro
l‟opera di Marsilio Ficino sul neo-platonico Giamblico, ecc. (Lione, 1577),
dietro alla cui edizione ero stato per oltre un lungo anno. E, siccome essa
includeva il Pimander ed altro di Hermes Trismegistus (la cui opera copiai
interamente quando avevo 16 anni, non essendo in grado di comprarlo),
potete giudicare quanto fossi lieto di averlo!
L’incantesimo della campana
“Molto le streghe temono l‟incanto quando di notte odono una campana
esse volano oltre il cielo quando odono dondo, dondo, dondo!” Canzone
romagnola
L‟uso principale, se non il solo, delle campane nei tempi antichi era quello
di scacciare i demoni o il male sotto ogni forma; ed è evidente che esse
vennero introdotte nelle chiese cristiane molto più a questo scopo che per
chiamare alla preghiera. In Irlanda le campane delle chiese erano
generalmente della misura e della forma delle campane da mucca media
dell‟America e non facevano più rumore di queste ultime. Non molti anni or
sono venne ritrovato a Roma un tintinnabulum, una campanella d‟argento
recante caratteri magici il cui scopo era di sviare il malocchio – ne possiedo
una copia presentata dall‟ultimo Sir Patrick Colquhoun – ed anche una
campanella molto piccola in bronzo Etrusca (o Romana, secondo il
Professor Milani) ritrovata a Chiusi – riposa ora sul mio foglio, mentre
249
scrivo – e di quale aiuto ci sarebbe ora se potesse parlare e raccontare tutto
ciò che ha visto! Queste piccole ed antiche campanelle quadrate di bronzo
Romani con degli angoli rotondi sono molto ricercati tra i contadini come
amuleti. Tra i monti vengono sempre conservate in una delle due piccole
credenze o recessi a lato del camino. Vi è una canzoncina in dialetto
bolognese che illustra la paura delle streghe quando odono al crepuscolo
“quelle campane serali”. La storia che segue viene da Volterra e viene resa
parola per parola, delineando la maniera in cui l‟antica fede nelle campane
è stata conservata fino ad oggi:
“La campanella viene grandemente stimata in Romagna, così coma a
Volterra, come jettatura, o segno contro le streghe. Quando uno esce di sera
dovrebbe sempre portarne una in tasca, ma però bisogna che sia di bronzo e
quadrata; mentre va in giro la campanella suona nella sua tasca ma,
siccome è lì dentro, il suono è indistinto e le streghe non possono contare
quante volte il pallino batte e sono così obbligate a volare e non possono
avvicinarsi al portatore nè fargli del male. Mettendola quindi nella nicchia o
nella piccola credenza vicino al caminetto (al buco del camino), ripetete
questo incantesimo:
„Metto nel buco del camino questa campanella per tenere lontano Pluto e le
sue compagne, che in questa casa non si possano presentare nè in forma di
cane nè di gatto, nè di topo nè di civetta, nè di serpe nè di cornacchia;
quando alla mia casa si vengono a presentare questa campanella suonerà e
tutti i maligni si possano allontanare.‟”
Pluto e non Satana appare qui come capo delle streghe. Ho notato che più
andiamo dalle montagne della Romagna verso le pianure, più appaiono gli
Dei Romani. Il ciabattino che mi diede questo incantesimo aveva, tuttavia,
una infarinatura di lettere, avendo studiato e letto. Pluto potrebbe essere un
vestigio ma egli ne dubita gentilmente. Siccome io non priverei un Dio
morente della sua ultima occasione di vita sulla terra, aggiungerò che una
ulteriore inchiesta rimosse questo sospetto. Pluto vive ancora. Potremmo
qui notare, a tal proposito, che la credenza che le campane suonino da sole e
le catene sbattano rumorosamente per annunciare la presenza di spiriti è di
antica origine Romana, come troviamo confermato da Maffei nel suo Arte
Magica Distrutta, un‟opera in cui l‟autore cavalca a tutta forza contro il
mulino a vento della stregoneria, annullandola completamente ma non
percependo che con la stessa lancia stava distruggendo anche un altro
spettro nero conosciuto come la Santa Fede Cattolica, o La Chiesa
Apostolica, le cui meraviglie ed i cui miracoli provengono tutti dalla stessa
antica tinozza. Pensa a questo, o amico, quando in qualche ora oscura e tetra
250
sarai in chiesa ed udirai il padre suonare la sua campanella, e lascia che un
felice brivido di paganesimo scorra nel tuo cuore a questo suono!
1. Campana di bronzo etrusca proveniente da Chiusi,
portato come amuleto; 2. antica campana magica
Romana
Non solo le campane ma anche le trombe ed i cimbali venivano usati per
scacciare i demoni – cosa che mi ricorda il fatto che pochi sanno da dove
proviene l‟idea dell‟ultima tromba nel giorno del giudizio: “Tuba mirum
spargens sonum, per sepulchras regionum, cogens onmes ante thronum.” E‟
l‟ultimo fiato ad essere emesso al capezzale di un mondo morente e deriva
da una fonte pagana, come precisato nel seguente passaggio dello stesso
Arte Magica Distrutta di Maffei (1757):
“Vi era una strana cerimonia religiosa che i Gentili osservavano quando
stavano morendo. Consisteva nel suonare, richiamando l‟ultima agonia del
corno o della tromba o di strumenti di metallo e che facevano grande
rumore. Il motivo di questo era senza dubbio la credenza che scacciasse le
larve (demoni) che, si credeva, odiavano il suono del metalli, opinione
descritta da Luciano in Philops. Le Dire erano streghe che volavano per
l‟aria e si occupavano di portare via colui di cui Plinio scrive che faceva
rumore. (1. 28, c.2). Eusebio ci dice che i demoni venivano scacciati dal
suono dei timpani.”
Che le campane possiedano anime, volontà e proprie strade appare da molti
meravigliosi esempi in cui si narra abbiano suonato da sole senza aiuto
umano – come fecero alla morte di Von Rodenstein –, sebbene Praetorius,
che dedica diverse pagine a questo importante soggetto nel suo
251
meraviglioso e raro Glückskopf (1669), suggerisca che questo venga fatto da
un poltergeist, che è uno spirito molto portato al rumore ed al dispetto e che
io credo appaia molto spesso sotto forma di studente di medicina, ma
sempre come un giovane.
Rimane da sottolineare che la campanella di bronzo si suppone essere una
signora fatata – come suggerisce la sua forma – ed è più umana possedendo
una voce. Questa leggenda non sfuggì ai monaci, che le considerarono delle
sante, come potete leggere nel capitolo sulle campane nel “Doctor” di
Southey: “Bellula bella, mi puella: tu me corde tenes!”
L’incantesimo della bollitura degli abiti
Il lettore non deve supporre che gli incantesimi e le diavolerie di vari tipi
che sono qui solennemente confidati siano noti alla moltitudine. Molti, è
vero, sono trapelati ma la maggior parte sono segreti ricchi e rari,
tesaurizzati tra gli eletti che, morendo, li lasciano come ricca eredità. Questo
mi venne rammentato da un curioso incidente cui si allude nella prefazione.
Per prima cosa, vi prego di leggere quanto segue, che mi è stato dato 4 anni
or sono – nel 1888 – da una strega:
“Quando si ha un bambino stregato prendete i suoi abiti e metteteli in una
pentola a bollire a mezzanotte. Devono entrarvi tutte le vesti, scarpe e calze
comprese. Prendete quindi un coltello nuovo e molto largo ed affilatelo su
un tavolo, quindi, infilandolo nel tavolo, dite:
„Non infilo questo coltello ma infilo la maledetta strega che non viene! Che
non viene! Non possa resistere sin quando il mio bambino in salute non fa
ritornare!‟
Allora la strega apparirà alla finestra – potrebbe essere alla porta – sotto
forma di qualche spettro. Ma non abbiate timore, perchè non sono altro che
forme cambiate e non prendete via il coltello dal tavolo nè permettete che
gli abiti smettano di bollire fino alle tre. Costretta da questo incantesimo a
venire e ad obbedire, la strega rimuoverà la malattia dal bambino.”
Ne Il Secolo di Milano, che è di gran lunga il giornale più diffuso in Italia,
apparve il 3 marzo 1891 il seguente resoconto di un problema molto serio e
singolare:
Una scena Medioevale a Porta Ticinese
Ci sembra di sognare e tuttavia ciò che riferiamo è accaduto ieri mattina a
Milano ed è vero in ognuno dei suoi spaventosi e schockanti dettagli. In via
Ripa Porta Ticinese n° 61, in una modesta stanza al quarto piano, abita la
famiglia di un verniciatore, Malaterra Franciosi e sua moglie, Virginia, di
25 anni, guantaia, con due bambini, uno dei quali è malato da un mese di
una malattia sconosciuta, ostinata e strana. Una vicina dei Franciosi, una
252
donna che ostentava qualche conoscenza di medicina, dichiarò che il
bambino era stregato, che sarebbe stato inutile fare ricorso a medici e preti
e che l‟unico modo di curarlo era di scoprire la strega che aveva provocato
il danno. Ma come si doveva fare? La donna, dopo molte insistenze da
parte dei Franciosi, in gran segreto insegnò loro come fare: mettendo i
vestiti del bambino in una pentola e bollendoli. Ella dichiarò che all‟istante
della bollitura la strega sarebbe stata attirata sul luogo da una irresistibile
forza diabolica e così sarebbe stata costretta a farsi conoscere. Questo
venne fatto ed i vestiti vennero messi nella pentola e la pentola sul fuoco.
Per puro caso, proprio mentre l‟acqua cominciava a bollire entrò una
donna. Questa era Angela Micheletti, 34 anni, incinta di 7 mesi, moglie di
un bracciante. Era un‟amica dei Franciosi ed aveva con sè un paio di
scarpe di legno da accomodare, ed entrò per chiedere della salute del
bambino. Nel vederla, la madre urlò: „Dalli alla strega!‟ La Micheletti,
pensando che la sua amica fosse impazzita, cercò di calmarla ma l‟altra,
ancora più esasperata, urlò con tutte le sue forze: „Aiuto, la strega!‟. La
Micheletti corse via per strada. In un attimo si radunò una grande folla che,
udendo il grido d‟accusa, si gettò sulla Micheletti come se fosse stata un
cane impazzito per lacerarla a brani. Così ella fuggì, inseguita dalla folla
impazzita che gridava „Dalli alla strega!‟. La povera creatura, più morta
che viva, prese rifugio nella chiesa di Santa Maria del Naviglio ma la folla
irruppe e, mentre ella si inginocchiava davanti all‟altare maggiore, alzando
le mani a supplica, piangendo e gridando pietà, i suoi capelli vennero
letteralmente strappati dalla sua testa e spartiti tra le donne che l‟avevano
attaccata, quindi venne picchiata crudelmente. Il parroco cercò di farle
scudo ma invano ed egli stesso sfuggì a malapena alle botte. La povera
vittima venne quindi portata via dalla chiesa tra insulti e maledizioni e
trascinata fino alla stanza dei Franciosi. Qui vi fu un‟altra scena selvaggia.
Avendo chiesto alla Micheletti di togliere l‟incantesimo al bambino, ella
rispose affermando la sua innocenza in merito e ricevette grida, maledizioni
e colpi. Infine il delegato, Sig. Omodeo, riuscì a disperdere la folla con
l‟aiuto della polizia militare e con grande fatica. Allora la donna Franciosi,
convinta troppo tardi della sua imperdonabile follia, cadde in ginocchio
davanti alla Micheletti esclamando: „Non sono io quella da biasimare, sono
stata consigliata a far questo da un‟altra Ŕ ero accecata dall‟amore per mio
figlio!‟
Nel pomeriggio la povera Micheletti, accompagnata dal marito e dal Sig.
Omodeo, venne portata a casa in una carrozza chiusa e messa a letto.
Questa mattina stava meglio, ma tremava ancora per la terribile
253
esperienza. La triste impressione di questa selvaggia scena Medioevale
rimarrà impressa a lungo nel ricordo del quartiere di Porta Ticinese.
Le donne che strapparono i capelli dalla testa della Micheletti andarono a
casa loro e li bruciarono, pronunciando incantesimi, quindi corsero nella
stanza della Franciosi per vedere se il bambino era guarito. E, quando
dichiararono che lo avevano trovato un po‟ meglio, gridarono: „Ecco se
non è vero ch‟è stato stregato!‟
Talvolta vengono bolliti solo i guanti o le calze per certi “punti”
caratteristici di stregatura. Riguardo al bruciare i capelli per rimuovere una
stregoneria ho parlato altrove. Ma il vero significato morale di questa storia
orribile non appare evidente come dovrebbe. E‟ questo: è stato giusto che il
parroco cercasse di difendere la donna all‟altare e tutto il resto, ma quel
prete aveva mai detto in vita sua anche solo una volta che non esiste una
cosa come la stregoneria e che è tutta un‟illusione? Vi è un solo prete in
Italia o un solo insegnante cattolico il cui dovere è quello di illuminare il
proprio gregge che abbia mai spiegato loro chiaramente che non vi sono
cose come la stregoneria? No, naturalmente no. Perchè questo
significherebbe attirare dei dubbi sulla verità della loro stessa magia, dei
loro incantesimi e delle loro stregonerie – proprio come il bambino
americano che, quando suo padre gli disse che non esisteva Santa Claus
(Babbo Natale, n.d.t.), chiese in tono di rimprovero: “E mi hai preso in giro
nello stesso modo anche riguardo a Gesù?”
La chiesa di Roma non nega l‟esistenza della moderna stregoneria. Vi sono
tre, e non so quanto altri, libri cattolici romani scritti per provare che tutti i
grandi miracoli dei moderni spiritualisti, come il portare delle sigarette in
luoghi segreti, suonare banjo al buio e portare dei mazzi di penny dal
Paradiso, sono tutti fatti dal diavolo e questi libri hanno avuto l‟imprimatur
e l‟approvazione del Papa. Potete immaginare se questi Milanesi fossero
stati Protestanti – avrebbero agito come hanno fatto? Dai loro frutti li
riconoscerete! Ora, in tutta questa superstizione Milano è una luce
nell‟ombra paragonata alla nostra Firenze e Firenze è come Milano se
paragonata alla Toscana-Romagna. Peppino, il giovane cui ho fatto
frequentemente cenno, mi ha fornito anche un lungo e dettagliato resoconto
di come, abbastanza recentemente, un bambino che stava morendo nel
paesino di Premilcuore, in Romagna, venne salvato facendo bollire i suoi
abiti e dicendo:
“Diavoli tutti dell‟inferno, scatenatevi tutti e fate venire la strega del mio
bambino in mia presenza. Così sia!”
Quindi la strega apparve e, lanciando il gomitolo di prassi in aria, il
bambino guarì. La strega venne quindi portata da altre due streghe nei
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campi e fatta rotolare senza pietà sul terreno fino a quando perse tutti i suoi
poteri magici.
Stregoneria con gli anelli
“A droite l'anneau presage prompt et heureux mariage, a gauche il figure:
abandon, rupture.” Le Jeu de Cartes de Mlle. Lenormand
La divinazione per mezzo degli anelli era ben conosciuta agli antichi
Romani e viene così descritta (Trac. Magicus, pag. 92): “Dactylomantia
divinat annulis ad certam cœli posituram constructis vel incantamentis, et
super tripodem ad certa verba motis” – “la dactilomanzia è il divinare per
mezzo di anelli fatti durante certe congiunzioni planetarie o con incantesimi
e spostati su un tripode con certe parole”. Per tripode leggiamo tamburello e
per anelli qualunque oggetto piccolo ed avremo una delle più antiche forme
di divinazione esistenti. Questi piccoli oggetti sono, tra gli zingari
ungheresi, semi del mortale stramonio, in Lapponia, la piccola immagine di
una rana. Nell‟Italia moderna vi è un altro tipo di profezia con gli anelli. E‟
comunque molto antica e conosciuta in molti paesi. Prendete una coppa o
un vaso o un cilindro, dividete il suo lato superiore interno in tante parti
quante sono le lettere dell‟alfabeto. Prendete un anello d‟oro o di qualunque
altro tipo e consacratelo (consacrasi l‟anello prima dell‟operazione).
Quindi legatevi un filo, tenete il capo del filo nella mano destra ed un
rametto di verbena nella sinistra. Lasciate penzolare l‟anello nel cilindro.
Secondo una autorità il filo dovrebbe essere avvolto intorno al pollice e
passare sopra il polso in modo da assicurare la giusta vibrazione. Ponete
quindi una domanda e l‟anello comincerà ad oscillare e colpirà le lettere,
fornendo la risposta.
Come ho detto, si tratta di un tipo molto antico di predizione o invocazione.
E‟ lo stesso principio della planchette, ma richiede un solo operatore. Si può
osservare che, quando la persona che tiene il filo è molto seria o credente e
255
si è preparata a lavorare con l‟oracolo tramite seria riflessione, le risposte
indicate sono spesso notevoli, per non dire stupefacenti, e, che siano
prodotte da una involontaria azione mentale o da cause esterne, nella
maggior parte dei casi sono interessanti. Ho incontrato qualcuno che
affermava che per mezzo del filo e dell‟anello si poteva sempre sapere l‟ora
esatta quando l‟orlo della coppa viene diviso in 12 parti. “Come sarebbe,
visto che il giorno è diviso in 24 ore?” E‟ lo stesso e spesso vengono date
risposte veritiere perchè l‟azione è soggettiva o proviene dall‟operatore.
Un‟altra variante di questo tipo di divinazione è di porre l‟ago di una
bilancia o un ago simile a quello di una bussola da marinaio su un perno al
centro di un piatto. Intorno al bordo, in circolo, vi sono lettere e numeri. E‟
una sorta di roulette. Date un giro alla sbarretta e, quando cessa di girare,
osservate la lettera o il numero opposto a quella in cui si ferma.
Nuovamente, prendete una superficie liscia e rotonda, diciamo un piatto di
legno circondato da un bordo alto mezzo pollice (un pollice = 2,54 cm,
n.d.t.). Questa superficie viene coperta con numeri e lettere. Prendete quindi
un anello e fatelo ruotare come si fa ruotare una moneta. Le conclusioni si
traggono dalle lettere, ecc., su cui cade.
Si dice che il migliore anello per la divinazione sia un anello antico che sia
stato portato a lungo. Io ne possiedo uno d‟argento con l‟immagine di un
rospo tagliato nell‟ematite, antico di circa 400 anni che, non ne dubito, era
stato spesso provato negli incantesimi. Ho anche un anello d‟argento e
smalto da messaggero che un tempo apparteneva a Re Ruggero di Sicilia il
quale, se potesse dire tutto ciò cui ha assistito, potrebbe descrivere la storia
della strolaga di Schiller.
Amuleti, presagi e piccole stregonerie
Includo in questo capitolo certe stranezze del folklore che non sono prive di
interesse. La prima è la pigna.
“Prendete una pigna, dopo averne rimosso tutti i pinoli (semi). Quindi,
mettete su ogni petalo di legno o all‟interno di essa tra i petali, un lupino
essiccato. Prendete quindi una fioriera e riempitela con della terra fine,
piantatevi la pigna e copritela con della terra. Mettetela all‟aria ed
annaffiatela come ogni fiore. Se dovesse crescere bene e bella è segno che
tutto vi andrà bene. Ma se cresce male è un cattivo segno. Dovete però
tenerla sempre vicino a voi per assicurarvi la buona sorte e portarla con voi
anche quando viaggiate. Per mantenere il principio dovreste piantare una
nuova pigna ogni anno.”
Le giovani signore americane hanno un oracolo simile nelle patata dolci,
che formano un veggente molto grazioso; se una di esse fiorisce o dà belle
256
foglie, è segno che la proprietaria vestirà magnificamente il giorno del suo
matrimonio ed avrà una grande festa che, suppongo, “sarà su tutti i
giornali”. A proposito di questo piccolo giardinaggio, potremmo citare che
fin dal tempo dei Romani e forse da molto prima il piantare del crescione,
della mostarda o semi di qualunque tipo per divinare la sorte tramite la loro
crescita era comune in tutti i paesi. Un metodo molto semplice è il seguente:
se avete un uccello, diciamo un canarino, prendete una scatola vuota di 18
pollici o 2 piedi di lunghezza (un piede = 30,48 cm, n.d.t.) riempitela con
della terra, quindi appendetevi sopra la gabbia. Mescolate alla terra i residui
della pulizia della gabbia ed alcuni semi di canapa o semi per canarini;
questi cresceranno presto e, quando germoglieranno o saranno alti circa un
pollice, verranno divorati dall‟uccello con avidità. Questo è molto fortunato
per il canarino.
Le chiavi molto antiche sono dei buoni amuleti per la fortuna. Dovrebbero
essere portati in tasca o appesi nella stanza con un nastro rosso. Ed è molto
fortunato il trovarne una. Mentre la raccogliete dovreste dire:
“Non è la chiave che ho trovato che porto con me, non porto la chiave ma
porto la fortuna, che sia sempre appresso a me.”
E questo dovrebbe essere fatto per qualunque cosa si trovi. Sognare una
chiave o vederne una è un buon segno: “La clef près de ta main annonce
qu‟à la fin tu auras du succès Dans tes derniers projets. ” Se soffiate o
fischiate in una chiave, particolarmente in una antica, essa chiamerà a voi
degli spiriti o degli esseri fatati ce vi saranno propizi e vi aiuteranno, in
amore soprattutto. Possiamo divinare con le chiavi in molti modi:
chiudendo una serratura quando una coppia è sposata, si può fermare ogni
intimità tra di loro. Ma è con il setaccio che il Maestro di Chiavi diventa un
grande stregone, come venne detto una volta nella St. James's Gazette:
“I metodi per scoprire i nomi dei ladri e dei luoghi in cui vi erano dei beni
rubati erano infiniti; e molte vecchie megere, fin quasi ai nostri tempi,
hanno ottenuto un guadagno notevole per mezzo di „infallibili‟ divinazioni
antiche come gli adoratori del fuoco. Le formule usate più di frequente per
questi scopo erano conosciute come „la chiave‟ ed „il setaccio‟. Il nome di
una persona sospettata veniva scritto un pezzo di carta, che veniva posto
intorno ad una chiave; la chiave veniva legata ad un volume delle Scritture
ed il tutto veniva sospeso, grazie ad una corda prodotta a questo fine, alle
dita di una giovane donna non sposata. Per tre volte ella ripeteva a voce
bassa il verso „Exurge, Domine‟ e, se a queste parole la chiave ed il libro
giravano, la colpevolezza del sospetto veniva provata. Se non si muovevano
la sua innocenza era chiara. La divinazione per mezzo del setaccio venne
tenuta per lungo tempo in grande rispetto, perchè era considerata il metodo
257
più sicuro tra tutti. Da qui, dice Erasmus, il detto “divinare con il setaccio”
per esprimere la certezza di una cosa. Un setaccio veniva sospeso ad un paio
di forbici tenute da due assistenti. L‟operatore, pronunciato il nome della
persona sospettata, ripeteva una formula consistente in sei parole: dies,
mies, jesquet, benedoe, fet, dovina, „che nè lui nè i suoi assistenti
comprendevano‟. Se la persona il cui nome veniva citato era colpevole, le
sei parole magiche „costringevano il demone a fare girare il setaccio‟. Pierre
D‟Abanne, l‟autore di un manoscritto molto divertente sugli elementi della
magia, conservato nella Bibliothèque de l'Arsenal, racconta che egli aveva
usato questo metodo per tre volte con il successo più completo e quindi lo
aveva abbandonato temendo che il demone, per vendicarsi dell‟essere stato
costretto a dire la verità per tre volte in successione ad un uomo – essendo
senza dubbio per lui, che per natura è mentitore, un grosso peso –, potesse
avvolgere il suo tormentatore in reti da cui non vi sarebbe stato scampo.
Non passate mai vicino ad una moneta, anche se falsa: se doveste lasciarla
lì, la vostra fortuna passerebbe alla persona che la trovasse e la tenesse. Ma,
nel raccoglierla, ripete quanto scritto più sopra.
“Per conoscere il futuro o come finirà una faccenda o quale fortuna avrete
ad una lotteria: prendete il calice di un papavero, fatevi un buco, scuotete
via i semi e ponetevi dentro un foglietto con su scritta la vostra domanda.
Ponetelo quindi sotto al vostro cuscino e ripetete:
„In nome del cielo, delle stelle, della Luna, fatemi fare il sogno secondo...
(le mie intenzioni).‟”
Il papavero non era sacro solo al Dio dei sogni e del sonno ma, a causa del
suo enorme numero di semi, era un simbolo di fertilità e benessere. Perciò
le teste di papavero dorate che si vedono così spesso nelle vetrine degli
apotecari, sono o erano in origine degli amuleti per portare denaro. Un altro
amuleto associato al sogno è fatto prendendo due rametti o pezzi di rametto
da una quercia (in Inghilterra da un frassino montano); legateli a forma di
croce o poneteli l‟uno sull‟altro sul tavolo o in piedi vicino al vostro letto e,
prima di andare a dormire, ripetete:
“Non metto questa quercia ma metto la fortuna, che non ossa abbandonare
mai la casa mia.”
I rametti dovrebbero essere legati con del nastro rosso (di lana) e la croce
così formata ed incantata diviene un amuleto che può essere appeso per
portare fortuna o scacciare la sfortuna.
Quando si indossano nuovi vestiti, si dovrebbe ripetere questo incantesimo:
“Porto questo vestito per maggior fortuna; sia maledetto, maledetto sia chi
cerca nella mia vita di portar qualche malìa!”
258
Se doveste trovare o raccolgiere o anche vedere un qualche oggetto, potete
divinare da esso ciò che accadrà. Così, se il primo pezzo di nastro o spago o
panno che trovate è di un qualche colore, specialmente se è nuovo e fresco,
significherà:
rosso (in particolare scarlatto: buona sorte, prosperità e successo in amore;
giallo: gelosia o, secondo alcuni, oro;
grigio: pace, calma, soddisfazione;
argento: inquietudine, disturbo, passione, dolore;
oro: fortuna, prosperità, guadagno, intelligenza;
nero: vessazione, malcontento, problemi;
arancio: sfortuna.
La credenza nella virtù magica del rosso, particolarmente della lana rossa,
in Italia è altrettanto diffusa quanto antica. Siccome è il colore del fuoco e
del sangue, esso è sacro al calore ed alla vita. Così un nastro o un panno
rosso ad una finestra o sopra ad un letto porta fortuna.
“Quando si vede una farfalla molto bella e grande, prendetela con la
maggiore cura che potete senza farle del male e guardate sotto le sue ali,
perchè spesso vi potrete trovare dei caratteri che indicano i numeri vincenti
della lotteria o un sì o un no ad una domanda. Quindi lasciatela andare,
perchè la vostra fortuna dipenderà dal non farle del male. E questo è anche
il caso dei serpenti o degli animali che hanno dei segni, perchè in tutte le
cose vi è una scrittura, se siamo in grado di leggerla.”
Il trovare un ferro di cavallo è fortunato in Toscana come dappertutto.
Anche il fieno porta fortuna; se trovate un ferro di cavallo, fate un sacchetto
rosso e mettetevelo dentro con del fieno ed esso diverrà un amuleto
ammirevole. Deve essere tenuto sempre nel letto.
“Se un giovane ama una fanciulla, conquisterà il suo affetto donandole un
amorino, che è una pianta (Reseda Odorata, n.d.t.).” In questo caso
possiamo dire che nomen est omen.
Le scarpe o i guanti, quando vengono bolliti nell‟acqua producono un
liquido che non è gustoso ma è tuttavia molto utile nella stregoneria, anche
se non ho informazioni in merito all‟esatto modo in cui questa soupe au
shoe viene servita.
Quando i bambini vedono una lucciola cantano una strana canzoncina che è
anche un incantesimo per avere fortuna:
“Lucciola, lucciola, vieni a gara! Metti la briglia alla cavalla, metti la briglia
al figliuolo del re, che la fortuna venga con me, lucciola mia vieni da me!”
Quando una donna ha il mal di gola deve prendere il proprio grembiule e
misurarlo o arrotolarlo a forma di croce (misurarlo in forma di croce) per
259
tre mattine di seguito. Quindi, fatto questo, prima di mangiare deve mettere
tre spilli incrociati con un coltello affilato conficcato nel tavolo e dire:
“Diavolo, vi discongiuro! In carne ed ossa, se questa donna è stregata questa
strega tenerla legata più non possa, sino a quando questa donna non guarirà
questo coltello dalla tavola non sortirà e così la strega più pace non avrà!”
Questo è interessante, in quanto ricorda lo sciamanesimo per cui ogni dolore
o malattia si suppone essere causato dalla stregoneria – una dottrina che
esiste ancora pienamente in un‟altra forma conosciuta come “Preghiere per
il malato”.
I gusci delle uova formano dei calici delle streghe per bere. Per impedire
che vengano usati in tal modo, dopo avere mangiato l‟uovo si dovrebbe
spezzare il guscio in frammenti e gettarli in un corso d‟acqua, dicendo:
“Se sei una strega va‟ al diavolo, che ti porti via assieme coll‟acqua corsia
(corrente)!”
Si dice comunemente che:
“Lo spillare o il versare vino è un segno molto fortunato, ma se si spilla o
versa olio, molta fortuna se ne andrà.”
Tuttavia, quando si rovescia del vino, alcuni pensano che sia opera delle
streghe e così mettono il palmo della mano nel vino, si colpiscono con esso
la fronte e dicono, facendosi il segnod ella croce:
“In nome del cielo, delle stelle e della Luna! Chi mi ha dato il malaugurio
mi lasci la buona fortuna!”
Ma che vin repandu porte bonheur è un‟antica credenza. E‟ il tema di una
antica storia Normanno-Francese. In Romagna si osserva una usanza molto
curiosa, che mi venne descritta in tal modo:
“Quando non piove da molto tempo ed i campi sono aridi, si prendono delle
pietre e le si fanno rotolare lungo il campo dicendo:
„Queste pietre voglio rullare ma non rullo le pietre, rullo l‟acqua che in terra
possa venire ed i campi mi possa inumidire e così un buon raccolto possa
venire!‟”
Preller afferma (Rom. Myth., pag. 312) che nel tempio di Marte veniva
conservata un grosso cilindro di pietra che, quando vi era una grande siccità,
veniva fatta rotolare dai suoi sacerdoti per la città. E noi sappiamo che
un‟applicazione simile di pietre simili era comune in Italia nelle stagioni
asciutte, particolarmente in campagna. Labeo, nella usa opera sul libro dei
rituali Etruschi, scrive: “Fibrae jecoris sandaracei coloris dum fuerint,
manales tunc vertere opus, est petras, id est quas solebant antiqui in modum
cylindrorum per limites trahere pro pluviæ commutanda inopia.” Tracce di
questa usanza si ritrovano in altri paesi. Come tra i Romani, nel Nord Italia
viene posta nelle vigne l‟immagine di un grappolo d‟uva dipinto rozzamente
260
come amuleto per assicurarsi un buon raccolto. Vi sono molte idee curiose
attuali che non sono altro che vestigia Romane ed Etrusche e che si suppone
siano collegate con l‟antica stregoneria. In merito a ciò ho ottenuto le
seguenti informazioni molto interessanti:
“Quando una donna è incinta non dovrebbe guardare gli animali e dovrebbe
fare particolare attenzione a quelle figure dipinte o scolpite nel bronzo, su
pelle o panno, che rappresentano esseri per metà animali e per metà umani,
con teste come capre e gambe di cristiani o volti con le gambe di diavoli,
come quelli di un cavallo (per esempio, Pan e gli Dei della selva). Se una
donna in quel periodo vede queste immagini, potrebbe accadere facilmente
che avrà un figlio simile a loro, perchè in tal caso egli potrebbe nascere di
forma simile e così divenire facilmente uno stregone.”
Questo significa che la vecchia stregoneria latente si trasmetterà al bambino
e si svilupperà in esso. Le immagini cui ci si riferisce qui sono perlopiù le
antiche figure su bronzo Romane o le Divinità rurali o i lares, che si trovano
molto frequentemente durante gli scavi. Tra di esse vi sono molte offerte ex
voto, identiche come natura alle figurette in cera così comuni nelle chiese
cattoliche. E‟ da notare che gli antichi spendevano molto di più per tali
segni di gratitudine di quanto facciano gli odierni cattolici. Il bronzo era più
caro di quanto sia oggi la cera ma veniva impiegato liberamente dai fedeli.
Certi incantesimi vengono usati in Toscana con un doppio significato, cioè
per fare del male ad una determinata persona, per sconfiggere una strega
malvagia, per spezzare un incantesimo o per curare una malattia. Tra questi
vi è il seguente: una pianta o un‟erba su cui è stato pronunciato un
incantesimo (simile nella forma a molti che ho già fornito) viene lasciata ad
appassire in quanto si crede che, mentre appassisce, la persona o la malattia
o l‟incantesimo morirà o svanirà lentamente (moralmente non accettabile, a
mio parere, n.d.t.). Nuovamente, una mela viene tagliata a pezzi – una
forma comune di magia – o un‟arancia o un limone viene riempito con degli
spilli e lasciato essiccare, con le stesse conseguenze. O anche si spezza un
bastoncino, formula verosimilmente conosciuta nell‟Ovest dov‟è divenuta
una forma legale, o anche si fa a brani un pezzo di lana infeltrita o panno
tessuto. Tutti questi incantesimi sono molto antichi e si possono trovare in
certe suppliche scritte nel Magie Chaldaïenne di Lenormant, per cui
vennero tradotte da dei cilindri accadici. L‟autore sottolinea che, nel
pronunciarli, l‟operatore doveva eseguire certe evocazioni che ricordano
quelle descritte nella Pharmaceutria di Teocrito e nella n° 8 delle Ecloghe
di Virgilio, che sono essenzialmente quelle tuttora in uso. Gli incantesimi
assiri sono come segue:
I
261
“Come questa pianta appassisce, così anche appassirà l‟incantesimo! Il
fuoco che brucia lo divorerà! Non si arrampicherà sulle file di un pergolato
di viti; non verrà fatto crescere in un frutteto, in un...; la terra non riceverà
le sue radici; i suoi frutti non cresceranno ed il Sole non sorriderà su di
essa; non verrà offerta ai festival dei Re e degli Dei! L‟uomo che ha
lanciato il fato maligno, sua moglie, l‟operazione violenza, il dito che
punta, l‟incantesimo scritto, le maledizioni, i peccati, il male che è nel mio
corpo, nella mia carne, nei miei lividi, possano essere fatti appassire come
questa pianta! Possa il fuoco che brucia divorarli in questo giorno! Possa il
fato maligno andarsene e che io possa vedere di nuovo la luce!”
II
“Come questo frutto viene diviso in pezzi, così sia anche l‟incantesimo! Il
fuoco che brucia lo divorerà! Esso non ritornerà al ramo da cui è stato
tolto; non verrà offerto nei festival dei Re o degli Dei! L‟uomo che ha
lanciato il fato maligno, sua moglie, l‟operazione violenza, il dito che
punta, l‟incantesimo scritto, le maledizioni, i peccati, il male che è nel mio
corpo, nella mia carne, nei miei lividi, possano essere tutti divisi in pezzi
come questo frutto! Possa il fuoco che brucia divorarlo in questo giorno!
Possa il fato maligno andarsene e che io possa vedere di nuovo la luce!”
III
“Come questo rametto viene raccolto e fatto a pezzi, così sia fatto anche
all‟incantesimo! Il fuoco che brucia lo divorerà! Le sue fibre non si
riuniranno al tronco; esso non arriverà ad un perfetto stato di splendore!
L‟uomo che ha lanciato il fato maligno, sua moglie, l‟operazione violenza,
il dito che punta, l‟incantesimo scritto, le maledizioni, i peccati, il male che
è nel mio corpo, nella mia carne, nei miei lividi, possano essere fatti a pezzi
come questo rametto! Possa il fuoco che brucia divorarlo in questo giorno!
Possa il fato maligno andarsene e che io possa vedere di nuovo la luce!”
IV
“Come questa lana viene lacerata così sia l‟incantesimo! Il fuoco che
brucia lo divorerà! Non ritornerà sulla schiena della sua pecora; non verrà
offerta per le vesti dei Re e degli Dei! L‟uomo che ha lanciato il fato
maligno, sua moglie, l‟operazione violenza, il dito che punta, l‟incantesimo
scritto, le maledizioni, i peccati, il male che è nel mio corpo, nella mia
carne, nei miei lividi, possano essere lacerati come questa lana! Possa il
fuoco che brucia divorarlo in questo giorno! Possa il fato maligno
andarsene e che io possa vedere di nuovo la luce!”
Come questi vi sono altri due incantesimi, uno applicato al lacerare un
vessillo e l‟altro al fare a pezzi un pezzo di materiale ornato. Richiamo
l‟attenzione sul fatto che essi sono molto simili agli incantesimi toscani
262
moderni per quanto riguarda il soggetto, lo spirito ed il trattamento
generale, tanto da provare senza ombra di dubbio una loro origine comune.
Questi cilindri caldaici parlano di 77 febbri (cioè di tutti i malanni) come
provenienti dai 7 demoni della malattia principali. Anche gli eretici slavi
Bogomili del XIV riconoscevano le 77 febbri ed avevano per esse un
esorcismo. E, in un antico incantesimo tedesco attuale in Pennsylvania,
abbiamo una cura per la febbre come segue:
“Buongiorno, caro Giovedì! Prendi via da... le 77 febbri! O, tu, caro Signore
Cristo, prendile via da lui...”
Nell‟incantesimo caldaico contro la peste (la 77a personificata) l‟operatore
deve voltare il viso verso il Sole nascente. Nell‟incantesimo tedesco egli
non deve parlare a nessuno fino a dopo l‟alba, cosa che coinvolge la
medesima idea. E‟ da notare che in tutto il mondo un sasso nero a forma di
rene si suppone essere uno degli amuleti più potenti. Al Congresso sul
Folklore del 1891, vennero mostrate pietre simili provenienti da diversi
paesi. Io stesso ne possiedo una che mi venne portata dal Missouri e che mi
venne presentata da Miss Mary A.Owen, cui i voodoo neri ed i loro
discepoli tributavano straordinario valore e reverenza. Era stata conservata
con cura gelosa per molte generazioni nelle famiglie di questi stregoni ed in
origine proveniva dall‟Africa. Per diventare un voodoo ordinario, il
postulante deve digiunare e guardare, superare penitenze rivoltanti e
coltivare “il potere” e “ la volontà” per tutta la vita. Ma il possedere
un‟autentica “cunjerin” o pietra evocatoria rende tutto questo superfluo, in
quanto il proprietario diviene, per il semplice fatto di possederla, un grande
maestro voodoo, o multote, e non richiede ulteriori iniziazioni. Nemmeno lo
stregone nero capo del Missouri, o il Re, è stato mai in grado di ottenerne
una. Sarebbe inutile cercare di spacciare un sasso nero simile per uno vero,
perchè si dice che ve ne sono in tutto il Nord America solo o, o piuttosto 5,
essendo il mio uno di quelli, ed i loro possessori sono ben noti, così come
ogni segno sulle pietre. I credenti neri fanno un pellegrinaggio di mille
miglia per essere toccati da questa pietra meravigliosa o per tenerla in
mano. Mentre scrivo la sto tenendo nella mano sinistra, confidando che
possa in tal modo incantarti o almeno interessarti, o lettore. Come tutti gli
amuleti voodoo, deve essere portato in un involto o in una borsina che può
essere chiusa avvolgendole una corda intorno, che non deve tuttavia essere
annodata, perchè questo impedirebbe il libero ingresso o la libera uscita
dello spirito che dimora in essa. Una volta alla settimana dovrebbe essere
immerso o bagnato con del whiskey ma io sono certo che anche l‟acqua di
Colonia vada ugualmente bene, perchè la sua ricetta venne data da un
angelo a Santa Elisabetta d‟Ungheria.
263
Piombo ed antimonio
“Talismani erano pietre, o gemme con pezzetti di metallo... in forza del
quale si credeva avessero straordinarie virtú e singolari, ma la frequenza
loro e il credito venne da‟ Gnostici e da Basilidiano, dei quali assai parla nel
suo libro santo Ireneo.” Arte Magica Distrutta, Maffei, 1757
“Non solùm verò in plantis quæ vestigium habent vitæ, sed etiam in
lapidibus aspicere licet, imitationem et participationem, quandam luminum
supernorum.” Proclus de Sacrificio et Magia (Interpre Marsilio Ficino),
LUGDUNI, 1577
Un pezzo di minerale di piombo si suppone possegga una virtù peculiare
quale amuleto contro il malocchio o per portare fortuna. Di questi ne ho
visti tre, due dei quali possiedo, con la invocazione che deve essere
pronunciata quando se ne lega uno dentro alla solita borsina di lana rossa.
Molto più potente, tuttavia, sono le antiche pietre da lancio Romane, o
proiettili di piombo a punta di cui se trovano molti dappertutto e di cui ne
possiedo due, che comprai per mezzo franco ciascuno come talismani per il
malocchio. Ma ancora più efficace è un grumo di antimonio grezzo. Si
suppone che esso contenga anche zinco e rame, che gli danno un grande
potere. Per questo ho anche le scongiurazioni, che sono come segue. Io
credo, tuttavia, che siano state ricordate imperfettamente:
Pietra da lancio Romana
“Antimonio che sei di zinco e di rame il più potente, ti tengo sempre con me
perché mi allontani la cattiva gente, da me li allontanerai e la buona fortuna
a me attirerai!”
Quello per il piombo venne ottenuto per me scritto nelle seguenti parole,
verb. et lit.:
“Antimonio che di piombo sei, non hai la stessa forza dello zinco e del
rame, ma prestati per la forza che hai; tutte le cattive persone da me
allontanerai e la buona fortuna mi attirerai!”
Si osserverà che in entrambe queste invocazioni viene posto un grande
accento sulla virtù del rame, che deriva probabilmente dall‟antico
sentimento religioso Romano in merito, come il “corpo” di bronzo. Ma,
264
dopo ulteriori inchieste, vista la difficoltà della mia informatrice nel fare
prendere forma alle sue idee, tirai fuori quanto segue:
“I metalli hanno tutti le loro virtù occulte e la loro luce – il loro lustro –
quando vengono spezzati; profonda nella terra e nell‟oscurità, questa luce
continua a splendere in se stessa, è una luce temuta dagli esseri malvagi. Il
rame e l‟oro hanno la luce più rossa; questa è la cosa che porta più fortuna e
si pensa che il rame formi parte dell‟antimonio. L‟antimonio è più forte del
piombo, perchè e fatto di tre metalli o quasi sempre ha in esso del rame e
del piombo.”
Vi è una strana conferma di questa teoria in Cardanus (De Rerum Varietate,
XVI, 8, 9) ed in Peter de Aries (Sympathia septem metallorum et septem
selectorum lapidum ad planetas. Paris, 1711) o, come viene detto da Nork
nel suo Etymologisch-symbolisch-mythologisches Realwörterbuch:
“Ciò che le stelle sono nel cielo notturno sono i metalli splendenti
nell‟oscuro abisso della terra, perciò è comprensibile che questi portatori
terrestri di luce vengano associati a quelli celesti e, come l‟adorazione della
luce venne concentrata nel Sole e nei pianeti, così ad ogni pianeta
dominante venne assegnato un metallo brillante a seconda del suo grado di
radiazione.”
Questo è interessante anche perchè suggerisce la fonte da cui Novalis trasse
la sua idea che i minatori fossero astrologi invertiti, che leggevano nella
terra il passato così come gli altri veggenti leggono nei cieli il futuro.
Alcuni giorni fa acquistai in un vecchio negozio un amuleto di minerale di
piombo in cui era incastonato un pezzo di rame. Questo era, come dicono
gli afro-americani, “una potente pietra cunjerin”, così la acquistai per un
franco – il prezzo includeva due piccole immagini antiche di bronzo
Etrusche, una di Aplu ed un‟altra del Dio Nosoo, o il deus incognitus. A
proposito di questo negozio, era uno di quelli in cui veniva applicato il
principio dei prezzi fissi. Questo giovane uomo aveva il primo volume del
Museum Etruscum di Antonio F.Gori, 1737, con su scritto “10 franchi” ma,
vedendo che lo volevo, me lo offrì per 8. “Aggiungici quella Vergine del
XIV secolo su un pannello, con uno sfondo dorato” dissi “ed affare fatto”.
Così venne aggiunta in tutta fretta la Madonna – in realtà valeva circa 10
pence – e fummo entrambi soddisfatti. Questa era invero – come
annunciava un cartello in un negozio francese che vendeva “idolatrie”
cattolico-romane – “une Vièrge d'occasion”. Potrei citare qui che questo è il
solo tipo di immagini che io compri; in questo assomiglio molto ad un
giovane gentiluomo di mia conoscenza che ammira solo le signore con
grosse fortune. Tutte queste Madonne, come la mia, hanno sfondi dorati.
L‟immagine cadde ben presto a pezzi ma, con del gesso, dei colori a
265
guazzo, bianco d‟uovo, gomma ed oro la restaurai in modo che ora sembra
più che nuova, perchè in essa non si notano i suoi 450 anni o più. Ma allora
i dintorni erano favorevoli a tale lavoro, perchè Firenze è un luogo famoso
per restaurare Vergini danneggiate – e io ho udito alcune storie
meravigliose riguardo a tali rifatture, che ometto per mancanza di spazio.
Amuleto etrusco bronzeo contro il malocchio
(in possesso dell’autore)
266
Titolo originale: Etruscan Roman Remains in Popular Tradition
Autore : Charles Godfrey Leland
Prima edizione: U.S.A., 1892
Traduzione ed impaginazione: L.Milani
Impostazione grafica e di copertina: G.Venturi
Immagini tratte dal libro originale, da Microforum Italia e fonti public
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