storie sepolte - il villaggio del bronzo antico di nola (vers stampabile)

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Storie Sepolte Il Villaggio Del Bronzo Antico Di Nola

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Storie Sepolte Il Villaggio Del Bronzo Antico Di Nola

a cura di

Gabriele Rosato

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Il Villaggio Del Bronzo Antico Di Nola

La celebre cittadina di Nola (Na), nota fra l’altro per aver dato i natali a personalità eminenti quali Giordano Bruno e San Felice (da Nola), cela al di sotto delle proprie fondazioni antichi tesori tràditi dalle avite civiltà indigene che abitarono questo terri-torio migliaia di anni or sono. Ormai da alcuni anni, una valida équipe scientifica a carattere interdisciplinare1 – coordinata dall’Archeologa Claude Albore Livadie2 – indaga il millenario sito protostorico riper-correndo le tracce lasciate dalla popolazio-ne in fuga dall’abitato: indizi testimoni di un remoto passato non così primitivo come suggerito dal comune immaginario collettivo. La Storia Sepolta in questione comincia per l’appunto duran-te un rapida corsa contro il tempo: le poche ore che il vici-no vulcano Vesuvio concesse alla comu-nità per fuggire dalle proprie abitazioni in seguito alla violenta eruzione pliniana. Questa – molto simile alla catastrofe che, nel 79 d.C., rase

al suolo le città romane di Pompei, Ercolano e Stabia – è denominata delle Pomici di Avellino, dalla direzione della prevalente caduta dei lapilli, che avvenne appunto verso questa città. Il materiale eruttato (costituito prevalen-temente da blocchi, lapilli e cenere vulcanica) finì col depositarsi su un’ampia area che si estendeva su circa 2000 Kmq attorno al vulcano. Secondo misure di datazione radiocarbonica (eseguita su carboni e resti ossei), il cataclisma dovette consumarsi in un periodo che oscillava fra il 1782 e il 1686 a.C.3 Di sicuro, intorno al XVIII secolo prima

dell’Era Volgare, le pianure attorno al Somma-Vesuvio e parte dei rilievi dell’Irpinia furono investiti dall’eru-zione, allorché si colloca la diffusione della Facies di Palma Campania (dal nome dell’omonima località in cui si verificarono i primi significativi ritrovamenti archeologici). Palma di Campania, infatti – assieme ai villaggi vicini – fu distrutta proprio dagli ingenti depositi vulcanici4.

1 Specialisti di differenti discipline, infatti, hanno collaborato in un continuo rapporto sinergico a un

progetto comune, volto da un lato all’indagine delle preziose testimonianze archeologiche, e dall’altro

alla valutazione del contesto ambientale entro il quale s’inserisce lo stesso sito nolano, espandendo

così le prospettive di ricerca ad un ventaglio di interessi più ampio.

2 Claude Albore Livadie è archeologa del Consiglio Nazionale delle Ricerche francese e docente presso

l’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli.

3 Per le analisi al 14C (AMS) si veda Albore Livadie et al. (1998). Una nuova analisi (campione DSA 177)

su campione di breve vita, ossia su alcune ossa degli ovicaprini rinchiusi in gabbia sul sito di Nola –

Croce del Papa, ha fissato la data al radiocarbonio dell’eruzione a 3451±60, cioè 3827-3635 y. BP

(1782-1686 cal. BC), all’interno di un errore statistico di 1 σ (Lubritto et al. 2003).

4 Si faccia riferimento alla pubblicazione di Albore Livadie (1980) pp. 59-101

Figura 1: Claude Albore Livadie e un suo collaboratore mostrano il calco dello scheletro di una delle vittime dell'eruzione del Vesuvio, ritrovato durante la prima

campagna di scavi nel villaggio di Nola, nel 2001/2002

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La suddetta facies culturale

si situa in una fase avanzata

(BA2) ma probabilmente

non finale dell’Età del

Bronzo Antico, precedente

alla successiva fase

protoappenninica (BM1), il

cui patrimonio ceramico –

sempre in Campania –

mostra i segni di continuità

con il BA2. Gli effetti dei

terribili eventi vulcanici –

avvenuti in questo periodo

– costituiscono un chiaro

marcatore stratigrafico per il

sito di Nola, di particolare

rilievo poiché si presenta

praticamente intatto: parte

del Nolano, infatti, trovan-

dosi al margine dell’area di ricaduta delle

pomici bianche, fu risparmiata dalla furia

della fase eruttiva iniziale. A buona parte

degli abitanti di questo villaggio – ora in

località Croce del Papa – fu evidentemente

concesso un provvidenziale arco di tempo

necessario alla fuga, prima che

sopraggiungesse la seconda fase vulcanica

a ricoprire l’abitato con un fall di pomici

grigie. L’eccezionalità del ritrovamento è

da individuare nella singolare circostanza

che il villaggio, dopo essere stato ricoperto

dalla coltre di pomici e dalla pioggia di

ceneri, fu ancora investito da un’alluvione

fangosa che, penetrata all’interno delle

abitazioni, ne inglobò le strutture.

Di conseguenza, proprio il fango

ha effettuato un autentico calco

delle strutture in legno e paglia

(tracce altrimenti perdute a

causa della deperibilità di tali

materiali), riempiendo anche le

suppellettili che vi erano state

sistemate.

In questa maniera è stato

possibile rintracciare le forme

che tali costruzioni dovevano

avere, con riguardo pure

all’orditura dei tetti e alla

carpenteria. Ciò getta nuova luce

sulle informazioni in nostro

possesso riguardo all’organizza-

zione degli spazi e, per

estensione, della vita sociale

della comunità interessata.

Ad un’intervista5 l’esperta Albore Livadie

spiega come «fu proprio l’eruzione delle

pomici l’evento di passaggio da una civiltà

primordiale, basata sul modello di società

tribale, a una più avanzata tecnologica-

mente e più incline alle arti».

5 intervista rilasciata alla rivista Newton,

del febbraio 2002 (cfr. bibliografia)

Figura 2: Schema di cronologia assoluta dell'Età del Bronzo in Italia, di cui a sinistra le date fondate sulle cronologie storiche e a destra quelle

dendrocronologiche (da R. Peroni, Introduzione Protostoria italiana,

Roma-Bari, 1994)

Figure 3a e 3b: Il territorio propriamente nolano, posto ai margini dell'area di dispersione dei depositi di caduta della fase

iniziale dell'eruzione, non è stato investito dalla pioggia di pomici bianche avvenuta nelle prime ore della catastrofe (3a),

ma solo dal fall di pomici grigie delle ore successive (3b)

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Figura 4

L’intervallo di scavo – durato da maggio

2001 a marzo 2002 – ha interessato

dapprima un’area di circa 1000 mq,

estesasi poi oltre i 1400 mq. Nella parte

orientale dell’area investigata, a circa sei

metri dal piano di campagna sono state

rinvenute tre capanne con pianta a ferro di

cavallo, separate le une dalle altre da

staccionate. «L’organizzazione del

villaggio» racconta la stessa archeologa5,

«è la medesima di quella che abbiamo

“intuito” osservando le tracce di altri

insediamenti trovati nella zona [circa 40

siti in poco meno di 6 chilometri quadrati,

ndr]. Siamo ormai certi che ciascuna

capanna era abitata da gruppi composti da

6 o 7 individui e che ogni “clan” delimitava

il proprio terreno con palizzate e steccati».

Quanto all’economia sappiamo che era

basata essenzialmente sulla pastorizia e

l’agricoltura. Attesta anche l’attività di

caccia, utile al sostentamento alimentare.

Lo scavo ha permesso di acquisire

importanti dati circa l’architettura del

periodo in questa regione6 e all’orga-

nizzazione interna degli insediamenti, con

un riguardo particolare pure agli aspetti

della vita quotidiana dei comuni abitanti

dell’antico villaggio e, per estensione, delle

comunità del tempo. Gli scavi hanno

portato alla luce una parte del villaggio di

pianura con le strutture abitative e tutta la

suppellettile che queste contenevano. Le

capanne scoperte contenevano infatti

oggetti d’ogni genere:

un’ulteriore prova di quanto

sia stata immediata e senza

preavviso l’eruzione che ne

provocò la distruzione.

Decine di vasi dalle forme più

varie, e decorati con notevole

maestria; tazze, suppellettili,

oggetti da lavoro, e perfino

un fornetto, per cuocere il

cibo.

6 Ricerche pubblicate su Albore Livadie et al (2005) pp. 487-512

Figura 4: 1 & 2 Pozzi; 3 Recinto sub-circolare (Aia); 4 Capanna n. 2; 5 Capanna n. 3; 6 Capanna n. 4; 7 Gabbia/contenitore con ovicaprini; 8 Pozzo d’acqua; in giallo le ceste Da notare la suddivisione dello spazio relativo a questa parte dell’abitato con recinti e palizzate

Figura 5: La capanna n.3 vista dall'alto

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Le abitazioni – che seguivano

un orientamento NW-SE –

avevano una pianta a ferro di

cavallo e costituite da una

struttura rettangolare con un

lato absidato; con l’ingresso

posto sul lato corto (opposto

all’abside), protetto verosimil-

mente da una sporgenza della

copertura, che poteva presen-

tarsi come un semplice prolun-

gamento del tetto. All’interno,

un sistema di pali disposti

longitudinalmente reggeva la

copertura, dividendo lo spazio

interno in due navate. La profondità dei

fori in cui erano conficcati i pali è dubbia, a

causa della falda freatica a meno di 0,50 m

sotto il piano delle capanne che, fra l’altro,

si è rivelata a sua volta la causa di un

recente allagamento del sito, provocando

ingenti danni. Le capanne avevano forme

simili ma dimensioni assai diverse7.

Notevoli risultano anche le

acquisizioni di dati circa

alcuni importanti

aspetti dell’allevamento, delle col-

tivazioni dei cereali, della tecnica

costruttiva e dell’organizzazione

dell’interno delle capanne6. La

gran parte degli animali fuggì al

momento dell’eruzione assieme

alla comunità, meno che per

qualche esemplare, come un

gruppo di 13 pecore di sesso

femminile, di cui 9 rinvenute entro

una struttura (probabilmente una

gabbia) costituita da un telaio

leggero di rametti intrecciati e

trattenuti da argilla. Nella parte

absidale della capanna n. 3 è stato

rinvenuto un cane, maschio adulto,

intrappolato dietro il graticciato di una

parete. L’indagine di scavo ha anche

portato alla luce numerosi dettagli, quali

l’impronta di un tessuto, le fascine di paglia

che rivestivano le capanne, le canne ed i

sottili stralci di legno che formavano la

parete d’incannucciata, funghi, le foglie di

quercia e di falci fresche, oltre alle

impronte di cereali che il fango ha

fossilizzato.

7 struttura n. 4: lung. m.15, 60; larg. m. .4,30-4,60; alt. m. 4,5; struttura

n. 3: lung. m. 15,20; larg. m. .9; alt. m. 5;

struttura n. 2: lung. m. 7,50; larg. m. 4,50; alt. m. 4,50 circa

Figura 7: Archeologi al lavoro nello scavo di Nola, che ha portato alla luce manufatti insolitamente «civili» per uomini quasi primitivi: le capanne, pietrificate dall’eruzione, erano erette su pali orizzontali e verticali e avevano persino porte d’ingresso

Figura 6: Il calco di una spiga di grano rimasta sepolta

dall'eruzione del Vesuvio nel sito del villaggio di Nola

Figura 8: Ricostruzione di una

capanna con evidenza dei pali portanti e della

parete interna

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Ancora, tra la parete verticale

interna e quella inclinata esterna,

esisteva una sorta di intercape-

dine, fungente con tutta probabi-

lità da ambiente isolante. Nella

struttura n. 4 è stata rinvenuta,

proprio all’interno di questo

spazio, un singolare idoletto

femminile in impasto, finora senza

confronti nell’ambito del Bronzo

Antico campano. Il pavimento è

completamente in terra battuta

(struttura n. 2) o in uno strato di

terreno argilloso, plastico, misto a

pomicette (struttura n. 3) o di

terra cotta con esigue chiazze di

argilla cotta (struttura n. 4). Le due

abitazioni maggiori contenevano

un centinaio di recipienti d’im-

pasto: molti vasi sono decorati con

linee incise parallele e a forma di

reticolo e riempiti con pasta

bianca; altri con motivi a triangoli

intagliati. La capanna più piccola,

destinata evidentemente a pochi

individui, conteneva meno di dieci

vasi – fra l’altro non decorati –

ritrovati frantumati a quota alta

nel crollo del tetto e sul pavimento

di un soppalco. Si è già accennato

agli abitanti che ebbero il tempo di

portare via i loro averi più preziosi

prima di abbandonare definitiva-

mente il villaggio, ma eccezione

risulta evidente-mente un particolare

copricapo realizzato con placchette tagliate

ricavate dalle zanne inferiori di giovani

maiali. Questo è stato rinvenuto appeso alla

parete della più piccola delle

capanne. Infine, nel recinto della

capanna n. 4 sono state scoperte,

entro due olle schiacciate, le

sepolture di due feti umani:

rispettivamente di quattro e mezzo

e di sei mesi. Lo stesso tipo di

sepoltura risulta attestato a

Frattaminore (Na)8, in deposizioni

infantili a enchytrismos. Il notevole

sviluppo produttivo e demografico

verificatosi durante il Bronzo antico

finale sembrava essere repentina-

mente interrotto dai catastrofici

eventi delle Pomici di Avellino. Pur

tuttavia va detto che, scavi condotti

a meno di un chilometro dal sito in

questione hanno messo in luce

tracce di un’altra capanna, e gli

studi recenti suggerirebbero una

ripresa, avvenuta nel giro di poche

generazioni.

Ad oggi pertanto, il sito di Croce del

Papa rappresenta un esempio

fondamentale per la ricostruzione

della “genesi”9 della facies di Palma

Campania e, per estensione, del

Bronzo Antico. Se l’attività

scientifica disporrà delle risorse

necessarie per il proseguimento

delle ricerche, potrà anche fornire

dati scientifici più completi per la

ricostruzione delle comunità del

periodo. La terra così, potrà ancora

rivelare Storie Sepolte: i segreti dei nostri

antenati, restituendo alla disciplina arche-

ologica la nobile facoltà di essere una

finestra privilegiata sul passato.

Gabriele Rosato

Figura 11: Idoletto femminile

Figura 10: Sostegni a clessidra

Figura 9: Copricapo

Figura 12: Ricostruzione di una capanna

8 cfr. Bietti Sestieri (2010) p. 102 e seguenti 9 espressione citata da AA.VV. (2002) p.8

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