storia della letteratura inglese dalle origini alla restaurazione

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 1 STORIA DELLA LETTERATURA INGLESE DALLE ORIGINI ALLA RESTAURAZIONE LA LETTERATURA MEDIOEVALE L’ETÀ ANGLOSASSONE A partire dal VI secolo a.C. l’intera regione delle isole britanniche era stata occupata dalle avanguardie occidentali delle popolazioni celtiche: quelle stesse che la conquista romana avrebbe finito per sottomett ere, anche se si trattò prevalentement e di una occupazione militare. Circa nel IV secolo d.C. l’Impero Romano rinunciò al dominio sulla Britannia, e fu allora che iniziò una vera e propria invasione dell’isola da parte delle popolazioni germaniche, ancora non cristianizzate; si trattava di tre gruppi principali: Angli, Sassoni e Iuti. Nel VI secolo circa è completata la germanizzazione della Britannia. La Britannia romana, pur avendo perso ogni efficacia politica, aveva però consegnato agli invasori il cristianesimo: fino all’inizio del IX secolo la produzione e la promozione della cultura in Inghilterra sono prerogativa esclusiva dei centri monastici e il latino ne è il veicolo linguistico. In ambito linguistico si ricorre al termine di <<antico inglese>> ( Old English), per indicare la fase più antica, quella che cela in realtà la coesistenza di almeno quattro dialetti principali appartenenti alla famiglia linguistica del germanico occidentale, seguita da quella del <<medio inglese>> ( Middle English). Dopo una serie di attacchi sporadici, nell’865 i Vichinghi danesi sbarcarono da oriente, fino a conquistare, nel giro di una ventina d’anni, gran parte delle terre della Britannia; resi stette solamente la monarchia del Wessex sotto la guida di Alfredo il Grande, riuscendo poi, con i suoi successori, a giungere alla riunificazione dei territori anglosasson i. PROSA STORICA È proprio con Alfredo il Grande che ha inizio, all’incirca nell’ann o 891, la compilazione in volgare della  Anglo-saxon Chronicle , di gran lunga l’opera in prosa più significativa prodotta dalla letteratura anglosassone. Il fervore culturale di questi secoli induce a rivolgere lo sguardo verso le testimonianze di un passato più o meno recente, portand o alla compilazione di quattro manoscritt i che raccolgono la quasi totalità del patrimonio che è giunto fino a noi; all’interno di questo corpus possiamo distinguere tre filoni principali: quello religioso, quello epico e quello elegiaco. POESIA RELIGIOSA Il primo poeta cristiano dell’Inghilterra anglosassone di cui abbiamo notizia è Caedmon, vissuto nel tardo VII secolo. Questi, umile servitore in una comunità monastica, avrebbe ricevuto da Dio in sogno il dono dell’ispirazione poetica e, al risveglio, avrebbe composto un inno al Creatore, il quale si modella fondamentalmente sulla Bibbia; la sua opera è particolarmente importante proprio perché prima testimonianza nella letter atura scritta in Inghilterra della Bibbia e perché rievoca nella sua stesura un tono epicizzante.

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S T O R I A D E L L A L E T T E R A T U R A I N G L E S ED A L L E O R I G I N I A L L A R E S T A U R A Z I O N E

LA LETTERATURA MEDIOEVALE

L’ETÀ ANGLOSASSONE  

A partire dal VI secolo a.C. l’intera regione delle isole britanniche era stata occupata dalle avanguardieoccidentali delle popolazioni celtiche: quelle stesse che la conquista romana avrebbe finito persottomettere, anche se si trattò prevalentemente di una occupazione militare.

Circa nel IV secolo d.C. l’Impero Romano rinunciò al dominio sulla Britannia, e fu allora che iniziò unavera e propria invasione dell’isola da parte delle popolazioni germaniche, ancora non cristianizzate;si trattava di tre gruppi principali: Angli, Sassoni e Iuti. Nel VI secolo circa è completata lagermanizzazione della Britannia.

La Britannia romana, pur avendo perso ogni efficacia politica, aveva però consegnato agli invasori ilcristianesimo: fino all’inizio del IX secolo la produzione e la promozione della cultura in Inghilterrasono prerogativa esclusiva dei centri monastici e il latino ne è il veicolo linguistico.

In ambito linguistico si ricorre al termine di <<antico inglese>> (Old English), per indicare la fase piùantica, quella che cela in realtà la coesistenza di almeno quattro dialetti principali appartenenti allafamiglia linguistica del germanico occidentale, seguita da quella del <<medio inglese>> ( Middle

English).

Dopo una serie di attacchi sporadici, nell’865 i Vichinghi danesi sbarcarono da oriente, fino aconquistare, nel giro di una ventina d’anni, gran parte delle terre della Britannia; resi stette solamentela monarchia del Wessex sotto la guida di Alfredo il Grande, riuscendo poi, con i suoi successori, agiungere alla riunificazione dei territori anglosassoni.

PROSA STORICA

È proprio con Alfredo il Grande che ha inizio, all’incirca nell’anno 891, la compilazione in volgare della  Anglo-saxon Chronicle, di gran lunga l’opera in prosa più significativa prodotta dalla letteraturaanglosassone.

Il fervore culturale di questi secoli induce a rivolgere lo sguardo verso le testimonianze di un passatopiù o meno recente, portando alla compilazione di quattro manoscritti che raccolgono la quasi totalitàdel patrimonio che è giunto fino a noi; all’interno di questo corpus possiamo distinguere tre filoniprincipali: quello religioso, quello epico e quello elegiaco.

POESIA RELIGIOSA

Il primo poeta cristiano dell’Inghilterra anglosassone di cui abbiamo notizia è Caedmon, vissuto neltardo VII secolo. Questi, umile servitore in una comunità monastica, avrebbe ricevuto da Dio in sogno ildono dell’ispirazione poetica e, al risveglio, avrebbe composto un inno al Creatore, il quale si modellafondamentalmente sulla Bibbia; la sua opera è particolarmente importante proprio perché prima

testimonianza nella letteratura scritta in Inghilterra della Bibbia e perché rievoca nella sua stesura untono epicizzante.

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Tra la fine dell’VIII secolo e l’inizio del IX si colloca invece Cynewulf , poeta al quale si possonoattribuire diversi poemi contenuti nel corpus di cui sopra. Egli è autore dell’opera di maggior rilievodella poesia religiosa in antico inglese, The Dream of the Rood (Il sogno della Croce); qui, nel primopoema-sogno della tradizione poetica inglese, troviamo il racconto della Croce che narra delle proprievicende attraverso i secoli.

POESIA EPICO-EROICA

Il più antico poema composto in una delle lingue volgari europee: Beowulf ; vi compaiono diversidialetti, ma la provenienza, la datazione (nell’arco di duecento anni) e l’autore sono sconosciuti. Gliscenari dell’azione sono le regioni della Danimarca e della Scandinavia meridionale e la storia si svolgea partire da tre nuclei narrativi –  corrispondenti forse a tre ‘sessioni’ di narrazione orale – chepresentano però uno schema di fondo identico: il combattimento tra l’eroe e il mostro (trama pag.10). È evidente, in un poema incorniciato da due riti funebri, il pessimismo tragico che sta al fondo dellavisione del cosmo, propria della cultura germanica; sono messe a confronto forze archetipiche: da unaparte il Male, l’Oscurit{, il Caos, dall’altra il Bene, la Luce, l’Ordine. È presente la figura piùcaratteristica dell’epica anglosassone, il kenning, ovvero una frase poetica che sostituisce, di solito

mediante una metafora, il nome di una persona o di una cosa.

POESIA ELEGIACA

Questo termine comprende un certo numero di componimenti nei quali trova espressione un diffusosenso di desolato sgomento e alienazione provocato dalla perdita di un passato che rappresentavastabilità e sicurezza. Alcuni esempi di queste elegie sono rappresentati dai componimenti comeWidsith, The Wanderer, The Seaferer o The Ruin (trame pagg.12-13).

DALL’INVASIONE NORMANNA ALL’ETÀ DI CHAUCERL’anno 1066, in cui gli Anglosassoni sono sconfitti ad Hastings dai Normanni, segna l’inizio delladominazione di questi ultimi che ha un’importanza fondamentale nella storia dell’Inghilterra in quanto

  porta con sé l’introduzione del francese (normanno, variet{ regionale di francesesettentrionale) parlato da una minoranza che rappresenta però la parte più potente dellapopolazione il franco-normanno promuove il processo verso il Middle English;

  sotto il profilo culturale grazie all’invasione normanna l’Inghilterra entra nell’orbitad’influenza romanza. Ad una cultura di tipo ancora barbarico si sostituisce una civilt{ dinotevole raffinatezza che porta ad un atteggiamento verso la realt{ più ‘solare’; 

  sotto il profilo politico e sociale la conquista normanna coincide con l’introduzione inInghilterra del sistema feudale.

La situazione che si presenta è di frammentazione e conflitto; tentativi di mediazione vengono messi inatto dalla Chiesa, ma il clero, a sua volta, usa un’altra lingua, il latino. Tuttavia, a poco a poco, le treclassi e le corrispondenti lingue si fondono e verso la metà del XIV secolo si perviene ad una relativaunità linguistica.

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LA LETTERATURA DALL’XI AL XIV SECOLO

Inizialmente alle tre lingue fanno riscontro altrettante letterature; ben poco si sa però di quellaanglosassone che sopravvive quasi solo attraverso la trasmissione orale. Quanto a quella in latino va

tenuto presente che esso era la lingua della religione, della scienza e della cultura, perciò le operescritte in questa lingua esercitarono una scarsa influenza sulla letteratura. Di effettiva importanza èinvece la produzione poetica anglo-francese d’intrattenimento, rivolta alla Corte e all’aristocrazia. 

ROMANCE

Il più caratteristico genere letterario prodotto dal feudalesimo è il romance, poesia narrativa dicarattere puramente fantastico, genere nato e giunto a piena maturazione nella Francia settentrionaledel XII secolo grazie soprattutto a Chrétien de Troyes.

Sebbene in Inghilterra abbia avuto uno sviluppo piuttosto tardivo (fine XIII secolo) rispetto a quellodella Francia (XII secolo), prende l’avvio da un’opera storica (o pseudo-storica): la “Historia Regum

Britanniae” di Geoffrey of Monmouth, il più celebre resoconto del passato mitico della Britanniaceltica, ripreso e riadattato diverse volte, per esempio da Wace nel “Roman de Brut” o da La£amon nel“Brut”. In generale si può affermare che questo genere vide la formazione di diversi filoni tematici:

  quello bretone – detto anche ciclo arturiano – di carattere raffinato e mondano, intriso dimagia e amori, era incentrato sulla figura di Re Artù e dei suoi cavalieri;

  quello carolingio, era volto alla celebrazione di Carlo Magno, dei suoi paladini e di Orlando (leChanson de Geste);

  un terzo filone legato ai miti e alle leggende trasmessi dall’antichit{ (principalmente conl’Eneide, l’Iliade e le Metamorfosi). 

La straordinaria popolarità raggiunta dal romance è strettamente collegata alla funzione diintrattenimento da esso svolta; la figura idealizzata del cavaliere è al centro della maggior parte deiromance medioevali, probabilmente perché la societ{ feudale si basa sull’idea del servizio prestato conobbedienza assoluta nei confronti di coloro che stanno “più su” nella scala sociale, e la cavalleriarisponde pienamente a questo ideale. Lo sviluppo degli ordini cavallereschi e l’influenza delle Crociatefecero sì che tale idealismo potesse anche assumere un carattere religioso.

Il romance tende poi a lasciare sempre maggior spazio all’esperienza dell’eros, concepiti in termininuovi rispetto al mondo classico; si sviluppa una nuova cultura dell’amore, quella dell’ amor cortese.

Se il romance è sopravvissuto dal Medioevo ai giorni nostri è anche perché i suoi contenuti essenzialisono in un certo senso universali. Dal Settecento in poi è sembrato subentrargli un genere narrativo

antagonistico, il novel, la cui specifica dimensione è quella della realt{ storica e la cui ‘verit{’ è legataall’ hic et nunc. 

FABLIAU

Un rapporto dialettico analogo a quello che instaurerà col novel, il romance lo intrattiene con ilfabliau, genere narrativo nato in Francia, che presenta l’ ‘altra faccia’ dell’amore e della vita: nonquella idealizzata, ma quella realistica, non l’amore casto e puro, ma quello carnale, rappresentatoall’interno di storie comiche, per lo più oscene. 

I tratti salienti del fabliau, l’interesse per la vita quotidiana e la gente comune, l’atteggiamentoantieroico e pragmatico, lo rendono espressione tipica di una classe di mercanti, artigiani e borghesi

destinata a svilupparsi sempre più in corrispondenza al disgregarsi del mondo feudale.

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LA LETTERATURA IN MIDDLE ENGLISH (1350-1500)

Verso la metà del XIV secolo il lungo processo di gestazione iniziato dopo la conquista normannagiunse a compimento: ormai tutte le classi usavano una lingua che era il risultato di una fusionedell’anglosassone col latino e col franco-normanno; l’unificazione linguistica impresse un potenteimpulso allo sviluppo di una nuova letteratura autenticamente inglese.

PRODUZIONE ALLEGORICO-CAVALLERESCA: “GAWAIN POET”  

In effetti non è in Middle English ma in un dialetto settentrionale che sono scritti alcuni componimentiopera di un poeta anonimo, ma dotato di grandi qualit{ (noto come il “Gawain poet”). Il piùinteressante di questi poemi è “Sir Gawain and the Green Knight ”, che è allo stesso tempo unromance ed un’allegoria della castit{, sebbene poi la vicenda qui narrata sia molto interessante ancheper le sue implicazioni mitiche ed ant ropologiche. (trama pag.21 Gozzi). L’autore ha saputo quicombinare solennit{ e vigore propri dell’epica anglosassone con la forbita eleganza della narrativacortese d’importazione continentale; assieme a tematiche arturiane troviamo infatti un gustoaristocratico per l’avventura e un forte senso del meraviglioso. 

Le stesse qualit{ poetiche del “Gawain” sono ritrovate negli altri poemi attribuiti all’ autore anonimo,ovvero “Cleanness”, “Patience”  e “Pearl”; quest’ultimo rivela le caratteristiche del dream-poem, cheinsieme al romance influenzò moltissimo il Medioevo.

PIERS PLOWMAN

L’opera senz’altro più ambiziosa e di maggior impegno etico, religioso e sociale che la letteraturamedioinglese abbia prodotto è “The Vision of Piers Plowman”. 

Il testo è diviso in un Prologo e in venti sezioni disuguali, chiamate con il termine latino ‘passus’. Lanatura di questo poema è quella di work in progress: il progress costituisce proprio l’azionedrammatica del poema, vale a dire un viaggio le cui tappe sono momenti di una ricerca di risposte ainterrogativi che si rinnovano continuamente. Il protagonista è Will (come William Langland , l’autorestesso, o come Volontà) che ci conduce attraverso le varie fasi della sua ricerca, organizzata in unaserie di sogni inframezzati da risvegli, che scandiscono il progressivo accrescimento dellaconsapevolezza di Will.Il tema di fondo è quello della vita attiva di un uomo in un mondo, in una società e in una storiainevitabilmente corrotte e del rapporto di essa con il regno di Dio: il poema si configura infatti comeun pellegrinaggio spirituale alla ricerca della perfezione, pellegrinaggio che vede il protagonistacolloquiare con diverse personificazioni, come Pensiero, Studio, Ingegno, etc.Fin dall’inizio del poema è chiaro l’interrogativo essenziale a cui Will cerca una risposta: <<How I maysave my soule>>. Piers Plowman, l’Aratore, sembra essere l’incarnazione terrena di Cristo stesso.(‘trama’ pag.34 Bert.) 

GEOFFREY CHAUCER

L’Inghilterra della seconda met{ del Trecento –  nella quale trascorre quasi per intero l’esistenza diChaucer – è sì ricca di fermenti religiosi, sociali, culturali, ma la sua civiltà culturale è ancora aglialbori; e lo è inevitabilmente, per il fatto che il processo di unificazione linguistica si è appenaconcluso. Quindi anche se autori come il Gawain-poet o Langland ci abbiano lasciato delle operesignificative, nessun poeta inglese ha dimostrato di saper dominare la tradizione letteraria dell’Europatardomedievale al pari di Geoffrey Chaucer (1343ca – 1400).

Pur essendo di origini borghesi, Chaucer ricevette un’educazione da aristocratico; i suoi studi

compresero il francese, il latino, la retorica e soprattutto la letteratura in auge, quella francese, nellaquale il genere dominante è la poesia allegorica. Lo sviluppo della sua carriera artistica consistettepertanto in un lento e graduale passaggio dalle astrazioni dell’allegoria alla concretezza di una

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rappresentazione di prima mano del mondo in cui vive: caratteristica fondamentale di questo autore èinfatti il suo forte realismo.

Inizialmente egli si trova quasi costretto ad imitare i modelli disponibili, appunto le allegorie francesi,esordendo con la traduzione della più famosa e prestigiosa di esse, il “Roman de la Rose”. Il rapportocon la Francia si fa più stretto quanto partecipa alla Guerra dei Cento Anni e viene fatto prigioniero; ilsuo riscatto è pagato dal re e ciò sembra indicare che fosse gi{ un personaggio non privo d’importanzaa corte. Successivamente viene inviato in missioni diplomatiche e, in due occasioni, è inviato in Italiadove forse incontra Petrarca e ha sicuramente la possibilità di leggere le opere di Dante e Boccaccio.

La carriera artistica di Chaucer viene generalmente divisa in tre periodi:

a)  Il periodo francese. Nella fase iniziale della sua attività artistica si preoccupa anzitutto diapprendere il mestiere; dunque abbiamo la traduzione del “Roman de la Rose”. Completatol’apprendistato abbiamo il primo poema originale “The Book of the Duchess”, scritto inmemoria della duchessa moglie del suo protettore, che risponde alle caratteristiche di dream-poem e di allegoria. L’opera è incompiuta, come praticamente tutte le allegorie di Chaucer e gi{

ciò è sintomatico della sua scarsa propensione per questo tipo di poesia.b)  Il periodo italiano. Le prime opere in cui si manifesta l’influsso italiano sono due componimenti

poetici minori in cui Chaucer tenta di adattare all’inglese forme metriche prese a prestito daBoccaccio e Dante. Il primo importante esempio dell’influenza di Dante compare però in unpoema allegorico, “The House of Fame”, opera prolissa che finisce per tediare l’autore stesso,il quale la lascia incompiuta. (trama pag.25 Gozzi) Tuttavia l’atmosfera dei due episodi èradicalmente diversa: in Dante è mistica e solenne, mentre Chaucer preferisce sfruttare lepotenzialità comiche della situazione, mettendo in luce le proprie attitudini al realismo e allohumour.A questo punto il processo di emancipazione dalla tradizione allegorica è pressochécompletato e la sua opera successiva, “Troylus and Criseyde”, lo conferma. In questo caso il

suo modello è Boccaccio col “Filostrato”, il quale aveva tratto a sua volta l’episodio dall’Iliade.Mentre in Boccaccio si presenta in una tonalit{ quasi romantica, Chaucer d{ un’impostaz ionemolto diversa alla storia, narrandola in modo decisamente realistico e concentrandosisull’analisi psicologica dei personaggi. (trama pag.26 Gozzi) 

c)  Il periodo inglese. Questo periodo è rappresentato da una sola opera, “The Canterbury Tales”.Nonostante ci sia una analogia di struttura col “Decameron” di Boccaccio, esse sonosostanzialmente diverse nello spirito e nelle intenzioni artistiche. Per esempio nel D. i diecigiovani che si trovano nella villa fuori Firenze per sfuggire la peste appartengono allo stessoambiente sociale, mentre i pellegrini che in TCT si recano al santuario di Saint Thomas àBeckett a Canterbury appartengono a tutte le classi sociali, eccetto a quelle estreme (era pocoplausibile che un aristocratico e un contadino si incamminassero insieme).

In Boccaccio abbiamo un progetto strutturale, improntato alla ricerca di simmetrie esatteconseguite suddividendo i cento racconti della raccolta in dieci giornate, dando così vita ad unacostruzione perfettamente simmetrica. Anche Chaucer a suo modo persegue un ordine, non ditipo intellettuale, ma naturale: la struttura dei CT avrebbe dovuto essere costituita da 120racconti, multiplo di dodici e in quanto tale riconducibile ai cicli naturali, come le ore delgiorno e i mesi dell’anno. Ciò perché i pellegrini sono una trentina (come i giorni del mese) eciascuno di loro dovrebbe narrare quattro storie (come le stagioni). Il progetto non fu portato atermine – questa volta per la morte dell’autore – e inoltre diversi racconti sono andati perduti:ne rimangono solo 24.La parte di gran lunga più importante dell’opera è il “Prologue”, dove Chaucer descrive uno aduno i pellegrini, che comprendono un cavaliere, uno scudiero, diversi membri del clero, uno

studente di Oxford, un mercante, un mugnaio, un avvocato, un medico, etc. Chaucer mostragrande attenzione nel coglierne sia l’identit{ sociale, sia quella individuale; alla diversificazionedei pellegrini fa riscontro quella dei racconti, sempre appropriati ai rispettivi narratori nella

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forma e nel linguaggio: il cavaliere racconta un romance, il venditore di indulgenze unexemplum morale, il mugnaio un fabliau osceno. Quanto allo stesso Chaucer è autoironico: laprima storia da lui narrata è così tediosa da indurre l’Oste a zittirlo, e la seconda lo è quasialtrettanto, così che affida a se stesso la parte peggiore del libro.

IL XV SECOLO: DA CHAUCER ALLA “BARREN AGE”  

POESIA E PROSA

Sotto il profilo sociale e politico, si tratta di un’et{ di transizione, nella quale, dopo tre secoli in cui laChiesa e il Feudalesimo erano state le forze dominanti, si apre un processo storico che porterà allanascita di una società nuova. Tale processo, tuttavia, non fu né rapido, né agevole: nel XV secolo vifurono anzi circostanze che produssero una fase involutiva, come per esempio le due guerre, quella deiCento Anni nella prima metà del secolo e quella delle Due Rose nella seconda.

Per quanto riguarda la letteratura colta il XV secolo appare come un’et{ di declino e involuzione (di quila comune definizione di “barren age”, “et{ sterile”) e paradossalmente ciò appare imputabile, oltre cheai fattori politici ed economici menzionati sopra, alla grandezza stessa di Chaucer, troppo al di sopradei contemporanei e dei successori, i quali continuarono a scrivere poesia allegorica o raccolte diexempla secondo la tradizione medievale.

Il primo epigono di Chaucer è in realtà un suo contemporaneo, John Gower, la cui opera evidenzial’abisso che lo separa dal maestro; per esempio, mentre Chaucer scrive in inglese perché si rende contoche è la lingua letteraria del futuro, Gower la usa solo nella ultima parte della carriera. Ma il contrastopiù forte è dato dal suo moralismo di stampo medievale, evidente gi{ dal suo prima poema, “SpeculumMeditantis”, scritto in franco-normanno (Chaucer diceva rispettosamente “moral Gower”). 

Altri seguaci chauceriani sono anche due poeti, Thomas Occleve e John Lydgate, che continuano in

Inghilterra la tradizione degli exempla moraleggianti in modo piatto e prosaico. Lydgate, per esempio,nel suo “The Fall of Princes”, raccoglie una massiccia quantit{ di exempla edificanti ad uso deigovernanti per ammonirli contro i pericoli della malvagità e dei capricci di Fortuna.

Ben più fiorente è la scuola di seguaci che si sviluppa in Scozia, dove due sono principalmente gliautori di spicco: il primo è re Giacomo I, il quale, durante i lunghi anni di prigionia in Inghlilterra,scrive poesie d’amore in cui adotta il tipo di strofa utilizzato da Chaucer nel “Parliament of Fowls”, cheda lui prender{ appunto il nome di ‘royal stanza’. 

Il maggior seguace in Scozia è però Robert Henryson, che in “The Testament of Cresseid” ci d{ unasorta di continuazione di “Troylus and Cryseide”. (trama pag.29 Gozzi). L’elemento moralistico insito

nella trama e nel finale in cui Criseide chiede perdono delle sue colpe, nel testo è attenuatodall’atteggiamento di umana compassione di Henryson nei confronti del suo personaggio; quel che èpoi più significativo è che Henryson in effetti non riscrive l’opera di Chaucer, ma subentra a questiinventando quanto la fonte aveva taciuto, cioè il destino di Criseide.

Questo per quanto riguarda la produzione poetica; l’unica grande opera in prosa del XV secolo è diThomas Malory, che scrisse “Le Morte d’Arthur”. Quest’opera fu scritta durante la Guerra delle DueRose, in un mondo dominato dalla violenza, dal tradimento, dalla sete di potere, agli antipodi cioè diquello evocato dalle leggende cavalleresche; di qui emerge la profonda nostalgia di un passatoidealizzato alla quale lo scritto deve il proprio fascino. Il lavoro di Malory consistette essenzialmentenel rimaneggiamento di una quantità di fonti preesistenti, ma riuscì nel rinnovamento del tessutolinguistico della prosa d’arte inglese fra Medioevo e Rinasciment o: semplificò dizione, lessico, ritmi,sintassi e anche le contorte tecniche ad intreccio proprie del romanzo tardomedievale europeo.(La sua opera fu pubblicata da Caxton, introduttore della stampa in Inghilterra, nel 1485, stesso annoche vide la fine della Guerra delle Due Rose con l’incoronazione di Enrico VII Tudor). 

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IL TEATRO

Come in altri paesi europei, anche in Inghilterra, il teatro si sviluppa attraverso un lento processo;inizialmente connesso al rituale religioso, se ne emancipa per gradi fino ad arrivare a quello dell’Et{Elisabettiana, che rappresenta il culmine di tale processo.

La prima forma di teatro a nascere fu quella dei miracle plays, chiamati anche mystery plays.All’inizio hanno un carattere marcatamente rituale, anzi, rappresentano la drammatizzazione dei riticonnessi con le più importanti solennità religiose, Natale e Pasqua. Ma nel ‘300 iniziano lentamente aperdere questo carattere rituale, per diventare spettacolo: non si rappresentano più soltanto i grandimisteri della religione, ma anche e soprattutto storie tratte dalla Bibbia; via via che le rappresentazioniassumono carattere di intrattenimento, anche la tecnica scenica si fa più complessa: dall’essere allestitisui sagrati e poi nelle piazze, si arriva all’utilizzo di rudimentali palcoscenici montati su carri, chiamati‘pageants’ e trascinati da buoi, del cui allestimento si fanno carico le varie corporazioni artigianali,chiamate ‘guilds’. Ormai solo i contenuti dei drammi rimangono strettamente legati alla religione, maanche sotto questo punto di vista le cose cominciano a cambiare dal momento in cui gli autoriintroducono delle scenette comiche marginali di pura invenzione; anch’esse rientrano nel processo di

emancipazione del teatro dalla Chiesa.

I miracle plays mantengono intatta la loro popolarit{ anche dopo il ‘300, ma nel ‘400 ad essi si affiancaun nuovo tipo di rappresentazione teatrale, i morality plays. In esse, come suggerisce ladenominazione, l’accento si sposta dalla religione alla morale. Al posto delle figure bibliche troviamopersonaggi allegorici che rappresentano virtù e vizi, come l’ozio o la castit{, oppure astrazioni, come lamorte o la bellezza. Due sono le tematiche centrali sulle quali si sviluppano gli intrecci delle moralities:il tema del combattimento, o ‘psychomachia’, tra due elementi contrapposti, quali ad esempio il vizio ela virtù, e quello della vita come viaggio, o pellegrinaggio, dalla nascita alla morte.La morality considerata il capolavoro del teatro medievale inglese è “Everyman” (trama pag.33Gozzi),in cui troviamo espressi i filoni di cui sopra.

Breve accenno si può fare in riferimento agli interludes, ovvero i brevi intermezzi di carattere comicomessi in scena nell’intervallo tra una morality e l’altra, che rispondono a quella stessa necessità diintrattenimento da cui era scaturita l’inclusione di scenette comiche nei miracle plays. 

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LA LETTERATURA DEL CINQUECENTO: DALL’UMANESIMO AL DOPOSHAKESPEARE

TRA UMANESIMO E RINASCIMENTO

In Inghilterra l’Umanesimo si sviluppa con forte ritardo rispetto ad altri paesi europei, vale a dire tra lafine del ‘400 e gli inizi del ‘500. Sebbene influenzato dall’attivit{ di studio svoltasi in tali paesi, essopresenta caratteri propri dovuti principalmente: a) alla tenace persistenza di una forma mentismedioevale e soprattutto di quel moralismo che aveva caratterizzato la vita culturale dell’et{precedente, b) ai conflitti religiosi dinastici che frenarono l’indispensabile attivit{ di promozione dellavita artistico-culturale da parte della nobiltà.

Quindi si può dire che una sorta di Rinascimento fiorì soltanto alla corte di Enrico VIII (1491-1547),che tentò di trapiantare in Inghilterra la pratica del mecenatismo; ma si tratta di un fenomenopiuttosto circoscritto.

Gli studi umanistici si svilupparono soprattutto nelle università e, sotto il profilo ideologico, lo sforzodegli umanisti inglesi di conciliare il retaggio classico con quello cristiano sfocia nell’idea che l’attivit{educativa debba perseguire – nel rispetto della morale religiosa – il fine di sviluppare tutte lepotenzialità umane, sia intellettuali che fisiche. Uno degli aspetti costanti dell’umanesimo europeo fuperciò l’enfasi posta sulla pedagogia e, non a caso, spesso i maggiori umanisti furono tutori di re e diaristocratici.In ambito inglese si ricorda Roger Ascham  – tutore di Elisabetta I –  il quale, oltre a scrivere “TheScholemaster” in cui si impegna in un serio programma di educazione dell’aristocrazia ingleseattraverso il recupero della cultura latina e greca, lanciò un attacco contro l’importazione in Inghilterradella cultura italiana, preoccupato per la possibilità che questa impedisse il decollo della fragile

identità nazionale.Il maggiore esponente dell’umanesimo inglese è Thomas More, il cui capolavoro, “Utopia” (1516), insenso stretto non appartiene alla letteratura inglese, essendo scritto in latino, ma ha su di essaun’influenza vasta e profonda. Il mondo ideale che egli vi descrive è in accordo tanto con gli idealiumanistici, quanto con il suo cristianesimo radicale. (ARG.pag63Bert.) Insieme ad Erasmo daRotterdam, More fu il promotore del più eloquente programma di riforma del cristianesimo cheavrebbe costituito un riferimento fondamentale per il futuro sviluppo della cultura laica e religiosa ditutta l’Europa. 

Come suo accanito oppositore troviamo William Tyndale, il quale, dopo essersi recato all’Universit{di Wittenberg ed essere diventato un convinto luterano, riscrisse, direttamente dall’originale greco,

una nuova versione del Nuovo Testamento in un inglese semplice, non solenne, diretto. A causa didiverse scelte di traduzione (es. ekklesia diventa congregation e non church) suscitò l’ ‘ira filologica’ diMore. Non fu solo questa interpretazione che divise i due autori, ma anche l’interpretazione del poteredel sovrano: Tyndale scriveva infatti che disobbedire alle leggi del clero non significa disobbedire allalegge di Dio, e che il re governa lo Stato per diritto divino; egli difendeva la supremazia del sovrano alsolo scopo di affermare la massima supremazia, ovvero la sua interpretazione della parola scritta diDio. Ma Enrico VIII fu ovviamente attratto da una teoria che lo liberava dalla sottomissione alla regolaecclesiastica e, per questo ed altri motivi di natura giuridica, portò il suo stato alla Riforma Protestantee alla nascita della Chiesa Anglicana, separata da quella Romana (pag.69 Bert.)

Secondo Tyndale la lingua inglese era all’altezza del greco e del latino, ma non tutti erano della stessa

opinione; il primo poeta a lamentarsi di questa situazione fu John Skelton, il più vecchio dei poeti allacorte di Enrico VIII, che in una sua opera riporta: <<Our naturall tong is rude, | and hard to beennuede>> [La nostra lingua naturale è rozza | e difficile da invidiare]. Nonostante non sapesse

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assorbire le novit{ culturali provenienti dall’Italia, seppe certamente rivolgere parole aggressivecontro il clero e in particolare contro il cardinale Thomas Wolsey, il potente e avido ministro di Enricoche guidò quasi del tutto indisturbato la politica interna ed estera fino alla morte.

Diversamente da Skelton, Thomas Wyatt fu il primo poeta inglese che importò la lirica italiana e latinain Inghilterra. Impegnato nella vita politica e diplomatica del suo Paese, rivolse la sua attenzioneprevalentemente al mondo infido della corte, che divenne l’argomento di gran parte delle sue poesie.La traduzione poi delle poesie italiane o latine in inglese doveva risultare una conseguenza alquantoprevedibile per un cortigiano “internazionale”: molte delle sue poesie sono libere traduzioni delle“Rime sparse” del Petrarca. Ma queste ‘traduzioni’ non sono piatte trasposizioni linguistiche: il poeta‘rivive’ le poesie dell’autore italiano, per arrivare dalla meditazione sullo stato irrimediabilmenteinfelice di un amore senza oggetto al dialogo vivo e diretto con una donna non fredda e distante comequella petrarchesca, bensì volubile, frivola e soprattutto presente.

Fu Henry Howard, conte di Surrey, che per primo riconobbe il merito di Wyatt di aver rinnovato ilverso inglese attraverso l’uso ingegnoso del modello italiano e che raccolse il suo esempio traducendoanch’egli alcuni sonetti di Petrarca. Surrey mise a punto la forma definitiva del sonetto inglese che verrà usata nella grande stagionesonettistica degli anni novanta del Cinquecento da Sidney e Donne.

FORMA SONETTO ‘CANONICO’ Originariamente è costituito da quattordici versisuddivisi in quattro strofe: due quartine e dueterzine. Di fatto però la divisione più netta èquella dei i primi otto versi (ottava) dai restantisei (sestina), tra i quali si instaura una relazionedialettica. Inoltre nell’ottava troviamo unoschema di rime fisso (ABAB-ABAB), mentre nella

sestina può variare (anche se generalmente èCDE-CDE).

FORMA SONETTO ‘INGLESE’ Nella sua forma ‘canonica’ il sonetto non èfacilmente adattabile all’inglese. Wyatt e Surreymodificarono pertanto lo schema metrico,creando la forma nota come ‘inglese’ o‘shakespeariana’, nella quale la suddivisioneprevede tre quartine e un distico finale, mentre loschema delle rime abitualmente è:

ABAB-CDCD-EFEF-GG.

Wyatt fu il primo a scrivere sonetti in inglese, ma tradendo spesso impacci e incertezze di ordinetecnico. Per quanto riguarda Surrey egli fu, nella traduzione del secondo e quarto libro dell’Eneide, ilcreatore del blank verse, il famoso endecasillabo sciolto, verso non rimato con cinque accenti,destinato a divenire il mezzo espressivo dominante dei successivi quattro secoli.

Né Wyatt né Surrey pubblicarono in vita le loro opere, per il fatto che esse erano destinate al ristrettopubblico della corte presso il quale circolavano in forma manoscritta. Furono pubblicate solamentenelle famosa raccolta di poesie che prese nome di Tottel’s Miscellany dal nome dello stampatore. La

grande importanza di questo libro risiede nel fatto che fu la prima antologia stampata e che diffuse lapoesia rinascimentale fuori dell’ambiente cortese. 

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L’ETÀ ELISABETTIANA  

Il successore diretto di Enrico VIII fu Edoardo VI, salito al trono giovanissimo sotto il protettorato diun duca, convinto protestante. Nel 1549 fu scritto dall’arcivescovo Cranmer e altri teologi il primo“Book of Common Prayer”, che stabiliva il tipo di liturgia che doveva essere officiata durante le

funzioni religiose: con il regno di Edoardo la Riforma prese un aspetto radicale che non aveva ancoravissuto con Enrico e che fu accettata a fatica dalla popolazione. (v.pag.84-85Bert.)

Alla morte precoce di Edoardo, salì al trono la sorella Maria, fervente cattolica: nel giro di pochi annimandò sul rogo centinaia di protestanti, suscitando una vera e propria ribellione – capeggiata da SirThomas Wyatt, figlio del poeta – e acquistando così il soprannome di “Bloody Mary”. 

Dopo i brevi ma turbolenti anni del regno del padre e dei fratelli, Elisabetta I fu salutata come unasalvatrice; regnò per quarantacinque anni, fino cioè alla sua morte, riuscendo a controllare il regno piùfragile e più intelligente della storia d’Inghilterra. (v.pagg.86-87Bert.) La sua fu la prima corte ingleseche poté competere con quelle europee e intorno alla quale sorse una delle più strabilianti opere diproduzioni di opere di poesia e di teatro dell’Europa del tempo e della letteratura inglese; dal padre

Enrico Elisabetta ha infat ti ereditato un amore per il sapere e l’arte che la porta a far gravitarenumerosi intellettuali ed artisti verso la corte.

LA POESIA

Nonostante le sue credenziali aristocratiche, Sir Philip Sidney non divenne mai un favorito dellaregina; egli infatti partecipò attivamente alla politica del tempo e, forse, a giudizio della regina, troppoattivamente. Fu comunque sempre ammirato, sia in vita che dopo la morte, e ricordato come colui cheriuscì a fondere le qualit{ dell’uomo d’armi con quelle del perfetto cortigiano.

  Pubblicata postuma nel 1595, la “Defence of Poetry” è la prima e la più influente discussione

mai scritta in Inghilterra (per ‘poesia’ si intendeva allora quello che noi oggi chiamiamo‘letteratura’). Quest’opera non ha però un carattere normativo, perché si presenta piuttostocome un’argomentazione che aspira a convincere il lettore della nobilt{ della poesia, sulla basedel suo passato prestigioso, della sua funzionalità sociale e del suo potere di nobilitare. Sidneyafferma perciò che la poesia istruisce attraverso il piacere (docere et delectare); al poeta èriservato l’attributo di ‘maker’, creatore, mentre al pubblico è rivolto l’invito a leggere conattenzione la poesia.

  Le due “Arcadie” si rifanno poi, in certa misura, all’ “Arcadia” di San nazaro; qui, come già peraltri autori, il genere pastorale offrì al poeta un repertorio di immagini dentro le qualiarticolare e nascondere il suo dissenso politico.La “Old Arcadia” è completamente immersa nel genere pastorale, ma Sidney vi immette una

innovativa e travolgente trama romanzesca; inoltre si presenta come una tragicommedia incinque atti, o libri, in cui sono mescolati prosa e versi. (TRAMApag.95Bert.) Il locus amoenus diArcadia finisce per risultare una spassosa parodia delle vicende della corte di Elisabetta.Molto meno umoristica è invece la “New Arcadia”, rimasta incompleta; non una revisione della“Old”, possiede un impianto narrativo del tutto diverso dal romanzo pastorale: la trama sicomplica al punto da diventare oscura e i personaggi si moltiplicano fino a diventare uncentinaio. Questa non è più una leggera presa in giro della politica del suo tempo, ma unaimpegnata presa di posizione su come dovrebbe essere.

  Un’altra opera, “Astrophil and Stella”, sebbene abbia portato il suo aut ore ad essereconsiderato come l’ ‘English Petrarck’, in realt{ non è un rifacimento del canzoniere italianoperché le convenzioni petrarchesche sono spesso parodiate o esplicitamente messe in

discussione. Quest’opera è composta da un centinaio di componimenti – soprattutto sonetti – che raccontano l’amore di Astrophil, il cui nome gioca sul doppio senso di ‘amante delle stelle’e l’iniziale del nome di Sidney, per Stella, che l’autore stesso identifica come Penelope

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Devereux, moglie di un nobile inglese. Come indica l’argomento stesso, l’opera assume tonidolci e lievi propri dell’amore, ma a volte tragici e seri: nello scoprirsi innamorato Astrophil avolte chiama la sua emozione ‘schiavitù’, ‘inferno’ o ‘veleno’. La retorica di questo amore hamolto a che fare quindi con la retorica che regolava il rapporto tra suddito e sovrano e, essendoil sovrano attuale una donna, il canzoniere è stato spesso interpretato come una

drammatizzazione del rapporto tra il cortigiano ‘ribelle’ Sidney e la potente Elisabetta.Di tutt’altra origine sociale rispetto a quella di Sidney fu il più grande e sicuramente più ambiziosopoeta del regno di Elisabetta: Edmund Spenser, nel opera del quale l’amore per la poesia e per labellezza appare ancora più appassionato. Egli aspira ad un mondo ideale di pura bellezza, che a voltesembra incontrare nella natura mentre altre nel ricordo di un passato favoloso, anche se fatica a farcoesistere questi ideali con preoccupazioni religiose e patriottiche che spesso lo inducono adintrodurre nelle sue opere sforzati passi moraleggianti e convenzionali adulazioni della Regina.

  “The Shepeards Calendar” è una raccolta di dodici egloghe in cui gli argomenti che variano perciascun componimento (uno per ogni mese dell’anno) hanno generalmente a che fare con ilmondo della corte. Al contrario di Sidney, Spenser non rinnega il passato della poesiamedievale inglese e proprio in quest’opera sembra voler innalzare, o rendere classico, l’inglesemedievale di Chaucer.

  Se Sidney è un poeta ‘aristocratico’, per definizione antimonarchico che invoca l’autonomiadella poesia dal potere, Spenser viene definito il primo ‘poeta nazionale’ dell’Inghilterra chemette la sua poesia al servizio della regina. E questo ci riporta al capolavoro di Spencer nonsolo dedicato, ma interamente intitolato alla sovrana stessa: “The Faerie Queen”, il primopoema epico inglese. Il progetto dell’opera prevedeva dodici libri, ma l’autore ne riuscì ascrivere solamente sei; ogni libro trattava di una diversa virtù teologale (rappresentataciascuna da un cavaliere) e nei sei libri rimasti troviamo la Santità, la Temperanza, la Castità,l’Amicizia, la Giustizia e la Cortesia.L’intenzione dell’autore è dichiarata esplicitamente in una lettera a Sir Walter Ralegh: lo scopoè quello di <<forgiare un gentiluomo o nobile a una virtuosa e gentile disciplina>>; istruire eformare la classe dirigente di Elisabetta/Gloriana, insomma. Per raggiungere questo scopol’autore dichiara di aver scelto di impartire le sue ‘istruzioni morali’ attraverso l’uso dellahistorical fiction di Re Artù. Egli non si accontenta solo di fondere epica e romance, e introducecosì un’allegoria morale nell’opera  con il tema delle virtù teologali di cui sopra e l’elementomagico inserendo nella trama anche fate, streghe, draghi, leoni e quant’altro.(“trama”pag106Bert.)  

  “Amoretti” è la raccolta di 89 sonetti che Spenser dedicò a Elizabeth Boyle, sua seconda moglie;e, al contrario di “Astrophil and Stella” che termina in un epilogo di disperazione, racconta unavera st oria d’amore il cui esito felice si riversa in “Epithalamion”, una poesia composta diventiquattro stanze che celebra il matrimonio e la felicità coniugale. Sebbene siano imbevuti dipetrarchismo, gli “Amoretti” e “Epithalamion” seguono soprattutto il modello filosoficoreligioso che ha le sue radici nel “Cantico dei Cantici” attribuito a Salomone, nel qualel’incontro amoroso tra due giovani viene allegorizzato come il congiungimento erotico tra ilfilosofo e la sapienza.

Sulla scia di Sidney e di Spencer furono scritte molte altre raccolte di sonetti tra il 1591 e la fine delsecolo. Tra queste troviamo “Delia” di Samuel Daniel, canzoniere in cui è la melodia del verso arisaltare, piuttosto che il ragionamento, ricordando sempre, come diceva proprio questo autore, che ilsonetto doveva comprimere e controllare nel suo ‘piccolo spazio’ di quattordici versi la storia di unmomento emotivo intenso articolandola in un rigoroso ragionamento. Sempre di Daniel è pervenutafino a noi una “Defence of Rhyme”: se infatti l’Inghilterra non ha avuto una vera e propria questione

sulla lingua né sui genere letterari come ebbe l’Italia, ne ebbe certo una sulla rima; perciò per Daniel larima è suono che delizia l’orecchio e aiuta la memoria, è armonia che ogni lingua possiede per natura,qualsiasi sia la sua nazione d’appartenenza. 

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Nonostante il titolo, “Idea”, la raccolta di sonetti di Michael Drayton si incentra non su un amoreideale, ma su uno reale, con i suoi litigi, le riconciliazioni, i malintesi, che egli presenta con vigoredrammatico e in un linguaggio talvolta colloquiale.

LA PROSAIn un’et{ in cui quasi tutti gli scrittori appaiono sedotti dal potere del linguaggio di incantare con lamusica dei suoni e dei ritmi, non potevano esserci condizioni favorevoli per lo sviluppo della prosaconcepita in termini moderni, come mezzo per esporre, descrivere, narrare in modo diretto.La riprova di ciò è fornita, per quanto riguarda la narrativa, da alcune opere scritte durante l’Et{Elisabettiana, nessuna delle quali anticipa veramente il romanzo inteso in senso moderno.

La prima di queste opere apparse in Inghilterra è “The Adventures of Master J.F.” di George

Gascoigne, che apparì originariamente in una miscellanea. Ma l’opera stessa è una miscellanea, dove sialternano forme letterarie diverse: la narrazione della storia (che ha per argomento le avventuregalanti di un libertino a Corte) si sviluppa anche attraverso uno scambio epistolare ed è intramezzata

da componimenti poetici.

I protagonisti invece dei ‘romanzi’ di Thomas Deloney, ad esempio nel “Jack of Newsbury”, non sononé cortigiani né gentiluomini, a sottolineare la provenienza borghese dell’autore, il quale presentapersonaggi che appartengono alla sua stessa classe, come artigiani o tessitori, i cui comportamenti e ilcui ambiente egli descrive col realismo minuzioso che sarà uno dei tratti salienti del romanzoborghese.

Come il più irriverente e polemico scrittore del regno di Elisabetta, si presenta invece Thomas Nashe,autore di pamphlets, liriche, drammi e di un romanzo, “The Unfortunate Traveller, or the Life of JackWilton”. Quest’opera rappresenta il primo esempio inglese di picaresca; e, anche se Wilton si presenta

come diverso dal protagonista del più famoso “Lazarillo de Tormes” perché non è animato dalla rabbiadi chi è inevitabilmente escluso dalla società, Nashe condivide però la novità di una narrazionetotalmente affidata all’ ‘io’ di un personaggio socialmente umile ed emarginato affermandone la suaautonomia. (Trama pag.50 Gozzi)

Scritto da John Lyly è il più famoso “Euphues, or the Anatomy of Wit”. L’importanza di questo libro staprincipalmente nel tipo di prosa che Lyly usa: una prosa estremamente artificiosa che tradisce a ognipasso la ricerca quasi ossessiva della simmetria nella disposizione delle frasi, nel continuo bilanciareantitesi, parallelismi, allitterazioni, nell’uso di una imagery ricercata e puramente decorativa. Il nomedel protagonista, Euphues, ha un’etimologia greca e significa ‘fornito di buone doti’; proprio daquest’opera nacque l’eufuismo, uno stile letterario caratterizzato appunto dal gusto manieristico e

dall’uso abbondante di figure retoriche. Altri nomi di autori di questo periodo sono Greene, Sidney, Wroth, Ralegh.

IL TEATRO

Uno degli effetti della Riforma fu la soppressione del teatro religioso, che venne giudicatoincompatibile con la nuova disciplina a causa del trattamento ‘blasfemo’ di soggetti sacri; si sviluppaparallelamente così il genere teatrale degli interludes, che a confronto si può considerare laico. Questiprevedevano l’illustrazione drammatica di un breve episodio tramite il confronto tra diversipersonaggi, spesso allegorici; in alcune occasioni prevale l’elemento comico, l’attenzioneall’intrattenimento, ma spesso l’intento è puramente didattico. Ad esempio “Magnyficience” di John

Skelton è un dramma strutturato sulla lotta tra Vizi e Virtù alla maniera medievale, ma vi sono inseriticonsigli diretti al principe, secondo le nuove idee umaniste. Non mancarono poi esempi di interludimorali in chiave protestante, come propaganda religiosa, e viceversa in chiave cattolica.

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Il teatro che si sviluppò in Inghilterra alla fine del XVI secolo fu certamente l’espressione culturale,letteraria e linguistica più dirompente d’Europa; esso riuscì a coinvolgere praticamente tutta lapopolazione inglese. Ed è questo fatto che spinge a fare una riflessione di tipo sociale e storico.Il numero dei londinesi crebbe in maniera esponenziale fino a fare di Londra la città più popolosad’Europa, grazie alla costante immigrazione dalla provincia e da altri Paesi europei.

Inoltre questa città era diventata alla fine del XVI secolo intellettualmente effervescente, con le sueuniversità di Oxford, Cambridge e delle Inns of Courts (fu soprattutto in queste scuole che siperfezionò la struttura del dramma inglese sulla scia del modello latino e italiano). Prosperitàeconomica, mobilità sociale, slancio intellettuale, varietà e quantità della popolazione congiunti a unarelativa stabilità politica e sociale furono condizioni cruciali per il successo del teatro elisabettiano.L’attivit{ teatrale fu sempre osteggiata però in primo luogo dal sindaco di Londra, il quale vedeva negliassembramenti di folla un potenziale pericolo di sedizioni, e in secondo luogo – principalmente, anzi – dai moralisti e dai religiosi, specialmente la minoranza dei puritani. Questi ultimi ritenevano il teatroscandalosamente immorale, che, oltre a sottrarre i fedeli alle loro funzioni religiose nei giorni festivi,somigliava troppo da vicino alle cerimonie religiose dei nemici cattolici. La condanna contro gli attoricolpiva soprattutto il travestimento dei ragazzi che recitavano ruoli femminili, non solo perché

violavano espressamente una proibizione biblica, ma anche perché sollecitava desideri erotici dinatura etero ed omosessuale.Tanta ostilità non fa che confermare il successo strepitoso dei teatri pubblici londinesi; le compagnieteatrali poterono contare in un primo momento sulla protezione del governo di Elisabetta (che amavale rappresentazioni durante le feste di Natale) e successivamente su quella di Giacomo, trasformandosida compagnie itineranti in stabili. La protezione del governo non fu però assoluta: per esempio ilMaster of the Revels gradualmente venne ad assumere il ruolo di ‘censore’, per cui tutti i copionidovevano essere sottoposti al suo vaglio prima di venire messi in scena. La conseguenza fu che solo lecompagnie migliori, che prima presentavano lo spettacolo pubblico in prova per poi ripeterlo a corte,ricevet tero la licenza di recitare: rimasero i Lord Chamberlain’s Men (Shakespeare), i Queen’s Men, gliAdmiral’s Men e successivamente i King’s Men (Shakespeare). 

Per sottrarsi all’ostilit{ del governo cittadino i primi teatri furono costruiti in periferia; il primo teatropermanente di cui si ha notizia è il Theatre, costruito nel 1576. Seguirono il Curtain, il Rose, lo Swan, ilFrotune e il celebre teatro di Shakespeare, il Globe. (STRUTTURA pag132Bert e 52Gozzi).Le compagnie teatrali funzionavano come corporazioni commerciali i cui soci possedevano quote dipartecipazione; non appartenevano poi al drammaturgo i ‘diritti d’autore’ dei suoi drammi, i qualivenivano comprati dalle compagnie ed erano considerati come canovacci soggetti ai cambiamenti ealle improvvisazioni (i drammaturghi, ad eccezione di Ben Jonson, non si preoccuparono mai deldestino editoriale delle loro opere).

A Thomas Kyd è attribuita convenzionalmente la paternità del teatro elisabettiano per il solo drammache è arrivato fino a noi, “The Spanish Tragedy” (trama pag.135Bert.). Il tema della vendetta, quidominante, sarà di fondamentale importanza per la costruzione di trame intrigate e passioni estremenella produzione dei drammi successivi (revenge tragedy ). È soprattutto per l’uso di due ‘finzioni’ – lafinta follia e il teatro nel teatro – che a Kyd, e successivamente a Shakespeare, si è attribuito il merito diaver suscitato nel pubblico la consapevolezza che ciò che essi guardavano era finzione.

Uno dei modi per fare carriera nel mondo elisabettiano era quello di entrare a far parte della rete dispionaggio creata per difendere il regno della regina: fu proprio quello che fece Christopher

Marlowe, uomo dal temperamento litigioso e irriverente; e furono proprio i suoi drammiclamorosamente oltraggiosi che si prestarono ad avvalorare l’immagine di un’esistenza spericolata eribelle. Shakespeare, solo a lui tra i poeti contemporanei, dedicò un t ributo in “As you like it”. Il temadella sfida all’impossibile si ripresenta in tutte le grandi tragedie di Marlowe, imperniate sulla figura di

un personaggio titanico in lotta per raggiungere un qualche ‘assoluto’ che trascende i limiti dellacondizione umana.

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  In pieno clima per la sconfitta della Invincibile Armata, “Tamburlaine the Great” suscitò un taleentusiasmo presso il pubblico elisabettiano che Marlowe ne dovette scrivere una secondaparte. (trama pag.138Bert.)

  Se per Tamerlano il sogno irrealizzabile è quello della potenza, per il protagonista di “TheTragical History of Doctor Faustus” è invece la conoscenza, l’ambizione di arrivare a scoprire i

segreti della natura; lo spazio si restringe dal mondo intero allo studio di un personaggio nonmeno ambizioso e non meno blasfemo di Tamerlano (tramaPag.139Bert.).  Altrettanto solitario e anticristiano ma tutt’altro che studioso è il perfido ebreo Barabas,

protagonista di “The Jew of Malta” (tramaPag.140Bert.); questa volta la passione monomaniacache attanaglia il protagonista è il denaro.

  Nel dramma “Edward II” Marlowe capovolge la caratteristica formula drammatica in quanto ilprotagonista non è un ‘titano’, bensì un uomo debole al quale il fato ha affidato responsabilit{troppo grandi e la cui rovina non è dovuta all’ambizione, ma all’aver subordinato i doveri e gliinteressi dello stato ai sentimenti privati. (tramaPag.141Bert.)

  L’amore che unisce Edoardo e Gaveston (di cui sopra) ha le stesse caratteristiche dell’amoregreco che ritroviamo in “Hero and Leander”, questa volta un poemetto. Mentre il mito parla

della morte di Leandro nell’Ellesponto nel tentativo di raggiungere Ero, la storia di Marlowefinisce con il felice amplesso dei due amanti, finale che sembra indicare la precisa volontàdell’autore.

SHAKESPEARE

Nel 1616 apparve per la prima volta in Inghilterra un volume di opere raccolte e curate dal suo autore:“The Works of Benjamin Jonson”: Ben Jonson si può quindi definire il primo ‘autore’ inglese, ovverocolui che ebbe piena coscienza di sé come scrittore. Scrittore coltissimo, la cui poetica e la cuiproduzione sono interamente di tipo classicistico, è colui che ebbe la maggior familiarità rispetto aqualsiasi altro elisabettiano con gli autori greci e latini, partecipando ad ogni disputa letteraria del suoperiodo. Scrisse brevi e semplici elegie, epitaffi, epigrammi cattivi e sconci, talvolta divertenti, odi e peril teatro pubblico commedie e tragedie. Criticava del teatro elisabettiano soprattutto la mancanza didisciplina formale e la t endenza a mescolare generi e registri espressivi all’interno della stessa opera;nella sua produzione teatrale le unità di tempo e luogo sono perciò rispettate con puntigliosapedanteria. Nel prologo ad una edizione di “Every Man in His Humour” Jonson dich iarò apertamenteche non avrebbe fatto appello all’immaginazione dello spettatore, ma che avrebbe rappresentatofedelmente le azioni e le parole che normalmente le persone usano. Secondo la teoria degli umori a cuil’autore fa riferimento ogni uomo è un compendio dei quattro ‘umori’, cioè dei quattro liquidi del corpo– sangue, flemma, bile gialla (collera) e bile nera (malinconia) – che determinerebbero iltemperamento di ognuno in base alla diversa mescolanza.Non solo in questa commedia, ma anche nelle altre da lui scritte, presenta dei personaggi ‘piatti’, basatisu una caratteristica dominante che li imprigiona, rendendoli essenzialmente statici; è così anche nelsuo capolavoro “Volpone”, opera in cui i personaggi principali incarnano fondamentalmente i lmedesimo tipo, essendo tutti posseduti da un’avidit{ smisurata e ossessiva (tramaPag.70Gozzi).  Non è dunque la psicologia conflittuale di personaggi tragici o in cerca d’amore il campo di indaginedel teatro di Jonson, né male vs bene, né virtù vs vizi: egli studia le eccentricità, le assurdità, le manie ele stravaganze della società urbana della Londra contemporanea.

L’inizio del secolo vide un graduale ma deciso cambiamento nel teatro; in primo luogo cambiava lastruttura fisica della scena teatrale: accanto ai teatri pubblici all’aperto nascevano i cosiddetti teatri‘privati’, chiusi e relativamente piccoli. Il più famoso di questi è il Blackfriars, usato anche dai LordChamberlain’s Men. Fu a partire da questo mutamento della struttura dei teatri e de lla composizionedel pubblico che seguì un mutamento nelle leggi dei drammi stessi; questi potevano infatti contare ora

su una scenografia più ricca, sul gioco di luci, sull’uso di macchine, su una migliore ricezione del suono. 

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La commedia diventa feroce e perde l’aura romantica delle commedie di Shakespeare; la tragedia,d’altro canto, perde il suo centro e diventa un vero ‘manicomio’. E allora prende diverse direzioni: puòessere a) la tragedia di comuni uomini borghesi, la cosiddetta ‘tragedia domestica’, o murder play; b) latragedia delle corti, ma in cui si trova una corte confusa e labirintica e dove i moltissimi intreccisostituiscono la vicenda lineare, la cosiddetta tragedia di Stato; c) la ‘tragedia di vendetta’, in cui tutta

la vicenda ruota attorno alla vendetta di un crimine rimasto ingiustamente punito.Un esempio della ‘tragedia domestica’ è dato dall’anonima “Tragedy of Mr Arden of Feversham”, in cuitroviamo gi{ nel titolo l’indicazione che si tratta di una tragedia locale. Fin quando si trattava dimettere in scena le tragedie della borghesia era ancora possibile l’ambientazione inglese; ma letragedie che avevano come membri dell’aristocrazia dovevano obbligatoriamente essere ambientatefuori dai confini del regno, all’estero, in particolare in Italia.In Italia è ambientata proprio la “Revenger’s Tragedy”, attribuita a Thomas Middleton. La tragediasembra volere suscitare una raccapricciante meraviglia sia nei personaggi che negli spettatori: <<sonocolpito a morte>> è l’emblematica battuta di ques’opera. Nella corte di Francia sono ambientate invecele tragedie di George Chapman, famoso più che altro per le sue traduzioni dell’Iliade e dell’Odissea.  

Nella cattolica e machiavellica Italia sono ambientate anche le due splendide tragedie di JohnWebster, che, sebbene indugino nel gusto del sensazionale e del macabro, hanno una strutturaprofonda e complessa capace di comunicare un autentico senso del tragico. “The Duchess of Malfi”viene definita a giusta ragione il capolavoro delle tragedie giacomiane (tramaPag.199Bert.).Webster saccheggia con grande spregiudicatezza la tragedia shakespeariana e quella dei suoicontemporanei, riconoscendone apertamente il debito. Non c’è comunque nulla in “The White Devil”che assomigli anche solo vagamente alla duchessa d’Amalfi. La trama è più intricata e veloce e, comesuggerisce il titolo ossimorico, i personaggi non sono mai quello che appaiono (tramaPag.202Bert.).La tragedia giacomiana (poiché siamo già nel periodo del regno di Giacomo I, succeduto ad Elisabettanel 1625) sembra essere arrivata ad un punto di non ritorno: sovraccarica di immagini sontuosamentefunerarie e di metafore stupefacenti, essa cedeva sotto il suo peso.

Con John Ford assistiamo però ad un graduale rasserenamento del linguaggio turbolento del drammadegli anni Venti del Seicento; benché titoli e temi fossero ancora sufficientemente scabrosi da attirarel’interesse del pubblico, le tragedie di Ford presentano un universo meno conturbante di quello diWebster o Middleton, come per esempio in “The Broken Heart” (‘trama’pag.203Bert.). Una passione fatale e incestuosa sembra irreprimibile per i due fratelli Annabella e Giovanni in “ ‘TisPity She’s a Whore”; l’incesto non era una novit{ per le scene del teatro pubblico, ma di questapassione viene mostrato l’aspetto delicatamente profondo e fragile di due anime piuttosto che di duecorpi (trama pagg.203-204Bert.). Anche la scena finale, in cui Giovanni compare in scena con il cuoredella sorella infilzato su un pugnale, assume un carattere di rito, di sacrificio simbolico piuttosto che lacasuale carneficina che chiudeva le tragedie giacominiane.