steffan 2006 - barriere architettoniche e design for all

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PROFESSIONE ERGONOMIA 1. Il mondo del progetto con e senza barriere architettoniche Negli anni Cinquanta e Sessanta in Italia si parlava poco di elimina- zione di barriere architettoniche, po- co di handicap, poco persino di emarginazione, non si parlava affat- to di Design for All. È negli anni Cin- quanta, negli Stati Uniti, che nasce il movimento Barrier Free, - per ri- spondere prima alle richieste delle numerose persone colpite da polio- mielite e negli anni successivi a quel- le dei reduci dal Vietnam disabili – ed è negli anni Sessanta che compare il termine inglese Design for All, che è la semplice traduzione della versio- ne svedese Design för Alle, a sua vol- ta coniato nel periodo in cui lo sta- to assistenziale tipico dei paesi scan- dinavi ha avuto il suo massimo splendore. In Italia il primo segnale di atten- zione a queste tematiche è del 1965, quando l’ANMIL (Associazione Na- zionale Mutilati e Invalidi del Lavo- ro) e l’AIAS (Associazione Italiana per l’Assistenza agli Spastici), en- trambe di Roma, organizzarono la Conferenza Internazionale di Stresa, proponendo come tema di discus- sione e dibattito le “barriere architet- toniche”. Lo scopo della conferenza era la sensibilizzazione delle autori- tà competenti, delle persone che si occupavano di architettura, di città PROFESSIONE ERGONOMIA 18 ERGONOMIA 6.2006 È quindi al mondo del progetto di edifici, servizi e ambienti comuni – e non a quello dei prodotti d’uso – a cui viene richiesto per primo di ga- rantire una maggiore accessibilità, che vada oltre una fruibilità riserva- ta e attrezzature dedicate a singoli profili d’utenza, quali ad esempio spazi gioco per bambini, case e ar- redi per anziani, ausili per anziani e disabili: è a questa richiesta sociale che fa seguito una precisa risposta normativa. 1.1 La fruibilità ambientale tra percezione sociale e normativa È interessante notare come la per- cezione sociale rispetto ai temi rela- tivi alla disabilità e alla fruibilità del- l’ambiente sia mutevole nel corso degli anni e si rifletta in modo simi- lare anche a livello normativo, e co- me un diverso approccio socio-cul- turale possa portare a una sorta di ri- voluzione anche nel progetto. Si prenda ad esempio la termino- logia usata nelle norme, in partico- lare i termini a connotazione nega- tiva usati nelle prime norme: bar- riere architettoniche (l’ambiente è costituito da ostacoli); e, spastici, persone impedite o minorate (1967), minorati fisici, mutilati e invalidi ci- vili (1978), individui con ridotte ca- pacità motorie, disabili, categorie svantaggiate di utenti (le persone e di invalidità, dell’opinione pub- blica internazionale sulle difficoltà che l’invalido in carrozzina incontra quando vuole inserirsi nella vita so- ciale. Le difficoltà derivavano da er- ronei criteri progettuali con i quali venivano realizzate le città e gli edi- fici e l’impossibilità di utilizzare mezzi di trasporto, e tali difficoltà vennero allora definite barriere ar- chitettoniche. Tale termine è la traduzione lette- rale di architectural barriers e com- pare in Italia per la prima volta cir- ca 40 anni fa, con notevole ritardo ri- spetto ai Paesi anglosassoni; l’icona di riferimento – in contrapposizione al modulor di Le Corbusier – è la per- sona in carrozzina del manuale di Goldsmith (Ornati, 2000). 1 La conferenza di Stresa del 1965 e poi di Arezzo del 1966 ebbero il me- rito di avviare un processo di cono- scenza del problema e la nascita di una coscienza sociale, così che in Italia uscì nel 1967 la prima circola- re ministeriale che accennava al te- ma delle barriere architettoniche nel- l’ambiente costruito, nella città; ma si dovrà aspettare il 1971 per avere una prima legge cogente. Il mondo della progettazione degli spazi ar- chitettonici, compatibile con le pro- blematiche della disabilità, da allo- ra vanta in Italia una ricca legisla- zione con diversi riferimenti presta- zionali e prescrittivi 2 . Barriere architettoniche e Design for All Quale contributo dell’ergonomia? ISABELLA TIZIANA STEFFAN Arch. Eur/Erg,Osservatorio Edilizio del Comune di Milano

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P R O F E S S I O N E E R G O N O M I A

1. Il mondo del progetto con esenza barriere architettoniche

Negli anni Cinquanta e Sessantain Italia si parlava poco di elimina-zione di barriere architettoniche, po-co di handicap, poco persino diemarginazione, non si parlava affat-to di Design for All. È negli anni Cin-quanta, negli Stati Uniti, che nasceil movimento Barrier Free, - per ri-spondere prima alle richieste dellenumerose persone colpite da polio-mielite e negli anni successivi a quel-le dei reduci dal Vietnam disabili – edè negli anni Sessanta che compare iltermine inglese Design for All, che èla semplice traduzione della versio-ne svedese Design för Alle, a sua vol-ta coniato nel periodo in cui lo sta-to assistenziale tipico dei paesi scan-dinavi ha avuto il suo massimosplendore.

In Italia il primo segnale di atten-zione a queste tematiche è del 1965,quando l’ANMIL (Associazione Na-zionale Mutilati e Invalidi del Lavo-ro) e l’AIAS (Associazione Italianaper l’Assistenza agli Spastici), en-trambe di Roma, organizzarono laConferenza Internazionale di Stresa,proponendo come tema di discus-sione e dibattito le “barriere architet-toniche”. Lo scopo della conferenzaera la sensibilizzazione delle autori-tà competenti, delle persone che sioccupavano di architettura, di città

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È quindi al mondo del progetto diedifici, servizi e ambienti comuni –e non a quello dei prodotti d’uso – acui viene richiesto per primo di ga-rantire una maggiore accessibilità,che vada oltre una fruibilità riserva-ta e attrezzature dedicate a singoliprofili d’utenza, quali ad esempiospazi gioco per bambini, case e ar-redi per anziani, ausili per anziani edisabili: è a questa richiesta socialeche fa seguito una precisa rispostanormativa.

1.1 La fruibilità ambientale trapercezione sociale e normativa

È interessante notare come la per-cezione sociale rispetto ai temi rela-tivi alla disabilità e alla fruibilità del-l’ambiente sia mutevole nel corsodegli anni e si rifletta in modo simi-lare anche a livello normativo, e co-me un diverso approccio socio-cul-turale possa portare a una sorta di ri-voluzione anche nel progetto.

Si prenda ad esempio la termino-logia usata nelle norme, in partico-lare i termini a connotazione nega-tiva usati nelle prime norme: bar-riere architettoniche (l’ambiente ècostituito da ostacoli); e, spastici,persone impedite o minorate (1967),minorati fisici, mutilati e invalidi ci-vili (1978), individui con ridotte ca-pacità motorie, disabili, categoriesvantaggiate di utenti (le persone

e di invalidità, dell’opinione pub-blica internazionale sulle difficoltàche l’invalido in carrozzina incontraquando vuole inserirsi nella vita so-ciale. Le difficoltà derivavano da er-ronei criteri progettuali con i qualivenivano realizzate le città e gli edi-fici e l’impossibilità di utilizzaremezzi di trasporto, e tali difficoltàvennero allora definite barriere ar-chitettoniche.

Tale termine è la traduzione lette-rale di architectural barriers e com-pare in Italia per la prima volta cir-ca 40 anni fa, con notevole ritardo ri-spetto ai Paesi anglosassoni; l’iconadi riferimento – in contrapposizioneal modulor di Le Corbusier – è la per-sona in carrozzina del manuale diGoldsmith (Ornati, 2000).1

La conferenza di Stresa del 1965 epoi di Arezzo del 1966 ebbero il me-rito di avviare un processo di cono-scenza del problema e la nascita diuna coscienza sociale, così che inItalia uscì nel 1967 la prima circola-re ministeriale che accennava al te-ma delle barriere architettoniche nel-l’ambiente costruito, nella città; masi dovrà aspettare il 1971 per avereuna prima legge cogente. Il mondodella progettazione degli spazi ar-chitettonici, compatibile con le pro-blematiche della disabilità, da allo-ra vanta in Italia una ricca legisla-zione con diversi riferimenti presta-zionali e prescrittivi2.

Barriere architettonichee Design for AllQuale contributo dell’ergonomia?ISABELLA TIZIANA STEFFANArch. Eur/Erg,Osservatorio Edilizio del Comune di Milano

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possiedono caratteristiche limitan-ti). La terminologia normativa poisi evolve di pari passo con la perce-zione sociale della disabilità/diver-sità, in concetti quali la necessità di:superare le barriere architettoniche ele fonti di pericolo; e, superare le bar-riere psicologiche, garantire l’auto-nomia a soggetti con difficoltà moto-ria, sensoriale, psichica, di naturapermanente o temporanea, tenerconto delle variazioni delle esigenzeindividuali e delle diverse caratteri-stiche anatomiche, fisiologiche, sen-so-percettive delle persone.

Nel 1989, anno in cui la legislazio-ne italiana sulla fruibilità va oltrel’edilizia sociale, l’edilizia pubblicae i trasporti, e considera finalmenteanche l’edilizia privata, compaionodelle innovazioni fondamentali neiconcetti di accessibilità, visitabilità,adattabilità, intesi come tre livellidi qualità dello spazio, da garantirein base al tipo di edificio o luogo(pubblico o privato), e al tipo di in-tervento (dalla nuova edificazionesino al cambio d’uso senza opere).Anche se non esplicitato, il risultatoatteso é quello di attivare un pro-cesso progettuale che conduca gra-dualmente alla piena fruibilità del-lo spazio costruito, e al conforto ditutti i cittadini.

Un’ulteriore evoluzione è riscon-trabile nel “Testo unico delle dispo-sizioni legislative e regolamentari inmateria edilizia” n. 380 del 2001 (ca-po III artt-77-82), in cui vengono in-dirizzati criteri di progettazione ge-neralizzati allo spazio urbano ededilizio, e non solo per specifichecategorie edilizie e destinazionid’uso collegate a fasce di utenza de-bole (quali edifici scolastici, case dicura, etc), e nelle recenti norme atutela anche del lavoratore disabile,in cui vengono affrontati i temi del-la sicurezza e prevenzione degli in-cendi3 . Tuttavia attualmente il temadell’accessibilità viene ancora con-siderato come un problema da trat-tare in realtà architettoniche esi-

stenti, o comunque da affrontare al-la fine del processo progettuale; pur-troppo non viene considerato conun approccio globale, volto a garan-tire la compatibilità del progetto conle esigenze dei diversi utilizzatori fi-nali.

Progettare senza barriere dovreb-be indurre a pensare a una città piùvivibile e sicura non solo per perso-ne con limitazioni a carattere tem-poraneo quali gambe ingessate, op-pure bambini, donne incinte, anzia-ni, ma anche per persone che posso-no trovarsi in situazioni di disagio

ad esempio a causa di bagagli, a nonconoscenza del luogo o dei mezzi dicomunicazione locali; dovrebbe es-sere un modo per elevare la qualitàdi vita per tutti, in tutti i luoghi; macosì non è. Tutte queste norme tec-niche infatti sono state associatequasi sempre solo alla disabilità mo-toria permanente, e la loro applica-zione a lungo trascurata da tecnici eAmministrazioni in quanto perce-pite come ulteriore limite normati-vo alla creatività, al risultato esteti-co finale dell’opera.

Nella percezione degli addetti ailavori sembra che le rampe, adesempio, non siano un elemento diqualità dei percorsi e siano state in-

trodotte nell’architettura solo perfavorire l’accessibilità ai disabili mo-tori. E’ noto invece come nei grandiesempi di architettura il muoversisia fattore determinante per la con-cezione e comprensione della stes-sa (vedi Promenade architecturaledi Le Corbusier)

Garantire l’accessibilità del co-struito non é solamente superareuna differenza di quota ma é legarel’architettura al movimento. Alcuniillustri colleghi ad esempio, hannoriconosciuto alle rampe un impor-tante ruolo estetico-funzionale: si

ricorda Le Corbusier nella Villa Savoya Poissy (1929) ma anche nell’Uni-versità di Arti Visive di Harvard Cam-bridge nel Massachusetts (1961) do-ve la rampa collega due strade, pas-sando dal secondo piano dell’edifi-cio; James Stirling nel museo stata-le di Stoccarda (1977-1983) dove larampa è un percorso con una note-vole valenza estetica, alternativo al-la scala e all’ascensore; Richard Me-ier nel Museo di Arte Contempora-nea di Barcellona (1987-1995) doveutilizza una rampa a lieve penden-za come percorso principale (fig. 1);Norman Foster nel Reichstag (1992-1999) dove realizza una rampa a spi-rale per la salita alla copertura.

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Figura 1. Barcellona: Museo di Arte Contemporanea. Fonte: Steffan

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Garantire la fruibilità di uno spa-zio non significa solo movimento,accessibilità, ma il pieno godimen-to fisico percettivo dello stesso. Lagenerica pretesa di garantire la “qua-lità architettonica”, non è sufficien-temente esplicativa e non persegui-bile tramite la normativa di settore:come può essere garantita e verifica-ta la funzionalità, la fruibilità, il con-fort ambientale e la gradevolezzadello spazio, se non attingendo an-che agli strumenti e metodi tipicidell’ergonomia?

1.2 La fruibilità dei luoghi pubblici

Merita un’attenzione particolarela progettazione di spazi e ambien-

ti pubblici fruibili, quegli spazi chemaggiormente rappresentano la cit-tà: è in questo settore che i Piani perl’Eliminazione delle Barriere Archi-tettoniche e localizzative costituisco-no un elemento importante. Questipiani furono previsti dal legislatoreper sanare situazioni pregresse, pri-ma negli edifici pubblici e poi neipercorsi pubblici, prima con atten-zione alle esigenze di persone con

disabilità motorie, poi anche allepersone con disabilità percettive(sensoriali e cognitive), per rendereaccessibile ciò che era già stato co-struito, in assenza di criteri adegua-ti alle esigenze reali del cittadino.

L’adozione graduale nel corso de-gli anni dei PEBA per gli edifici pub-blici e poi nei percorsi urbani da par-te di molte Amministrazioni, soprat-tutto in Italia settentrionale, ha por-tato all’eliminazione di molti ele-menti di disagio esistenti per tutti.Dalla regione Emilia Romagna in cuivigeva una legge ad hoc sui PCU(Piani di Circolazione Urbana), dal1989 in poi si sviluppano soprattut-to in Veneto, Toscana e Lombardiadiversi piani, adattati alle diverse ri-

chieste dell’Amministrazione, chesostanzialmente seguono la stessametodologia: essi sono assimilabilia progetti preliminari per l’elimina-zione delle barriere esistenti, e sonoin genere gestiti con un programmainformatico, che analizza le proble-matiche anche in relazione alle esi-genze degli utenti presenti sul terri-torio e stabilisce di volta in volta lepriorità d’intervento.

L’obiettivo dei PEBA era sanare ilpatrimonio urbano esistente, anchese purtroppo troppo spesso si vedo-no ancora soluzioni architettonichein contrasto con i più elementariprincipi di accessibilità, per non par-lare dell’abisso culturale rispetto lapercezione delle “disabilità” di tiposociale o culturale, ben lontana daiprincipi e dai paradigmi introdottidalla Organizzazione Mondiale del-la Sanità nel 2001, con l’approvazio-ne del nuovo strumento di classifi-cazione del funzionamento del cor-po umano ICF- International Clas-sification Of Functioning, Disabiltyand Health.

A un recente convegno ad Arezzosono stati analizzati i risultati deiPEBA dopo 20 anni dalla loro istitu-zione, ed è emersa l’attuale necessi-tà di coinvolgere l’utente finale an-che nella progettazione di percorsie spazi pubblici.

Se è vero che il comfort e il di-scomfort di un prodotto può esserevalutato solo dagli utilizzatori, poi-ché il prodotto in sé non può maiessere confortevole, e questo è il mo-tivo per cui l’utente finale dovrebbeessere sempre coinvolto nel proces-so progettuale (Vink, 2004), anche ilcomfort, la gradevolezza e la fruibi-lità di uno spazio possono essere va-lutati solo dai suoi utilizzatori fina-li, cittadini e visitatori occasionali, intermini di usabilità e compatibilità.Nell’articolo “Ergonomia e Designfor All. Il contributo dell’ergonomiaper il progetto” pubblicato in questostesso numero della rivista, France-sca Tosi afferma che l’ergonomiarappresenta uno strumento strategi-co capace di guidare tutte le fasi delprocesso di progettazione garanten-do la continua verifica della rispon-denza del prodotto ai diversi profilidi esigenze degli utenti reali, e cometale può essere un valido contribu-to al Design for All. Analogamente siritiene che l’ergonomia possa dareun efficace contributo anche allafruibilità dell’ambiente urbano, so-

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Figura 2. Barcellona: fontana utilizzabile a tre diverse altezze. Fonte: Aragall

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prattutto utilizzando strumenti me-todologici di coinvolgimento di tut-ti gli attori interessati, sin dalle pri-me fasi del processo progettuale(participatory ergonomics).

2. Fruibilità e Design for All: cherapporto con l’ergonomia?

L’approccio culturale a livello eu-ropeo nella seconda metà degli an-ni ‘90 si sposta decisamente dal con-cetto di progetti speciali pensati perutenze speciali (Design for specialneeds), e dal concetto dell’abbatti-mento delle barriere (Architecturalbarriers free design), ad un concettopiù olistico, usando i termini “Inclu-sive Design”, “Universal Design” e

“Design for All”4.Abbiamo visto come i termini uti-

lizzati nelle norme, siano cambiati;anche il termine Design for All – lacui valenza sta nella sua connota-zione positiva e intraducibile – sievolve nel corso degli anni, acqui-stando sempre più forza comunica-tiva e diventando possibile strumen-to di “rivoluzione progettuale”. Inoccasione di un importante conve-

gno internazionale sulla didatticaorganizzato a Bologna nel 19965,venne stilato da esperti europei undocumento in cui comparivano i cri-teri della progettazione senza bar-riere per tutti (criteria for barrier freedesign for all), mentre nella Giorna-ta Europea delle Persone Disabili nel2001, Design for All viene definitoin modo autonomo6. Lo stesso IIDD(Istituto Italiano Design e Disabilità),spostò nel corso degli anni la sua at-tenzione dal design per la disabilità,e senza barriere, ad un approcciopiù olistico, modificando recente-mente anche il nome in IIDD-De-sign for All Italia, coordinandosi conil cambio di EIDD (European Insti-tute for Design and Disability) in

EIDD-Design for All Europe. Primadi adottare nel 2005 la dichiarazionedi Stoccolma7, IIDD prende comeriferimento la definizione dellaCommissione Europea sopraccita-ta per una sua importante iniziativadenominata Cittàbile8, e in seguitochiarisce i suoi rapporti con il temadella sostenibilità economica. Il do-cumento EIDD/IIDD “Etica Designe sostenibilità”, presentato al “Pri-

mo incontro nazionale con il de-sign”, ADI–CNAD-CUNDI, Roma,nel novembre 2003, precisa che ildesign sostenibile ha un approccioprogettuale che sopperisce alle ca-renze di un progetto standard e ailimiti di un progetto speciale, ripren-dendo i postulati proposti dall’er-gonomia. E’ un approccio basato suun quadro esigenziale che ingloba ibisogni e le aspettative più diversi-ficate degli utilizzatori, così che ogniambiente/prodotto/sistema possaessere fruito dalla più ampia gammadi popolazione possibile. Il mondodegli affari si sta rendendo conto chetale approccio inclusivo può genera-re un beneficio sia economico chesociale sia per il “core business” diogni azienda sia per migliori rap-porti interni alla azienda stessa.Questo approccio fa parte di unapolitica aziendale di responsabilitàsociale e imprenditoriale conosciu-to come “Corporate Social Respon-sibility. Il documento conclude so-stenendo che, oltre al CSR, il designsostenibile deve avere come riferi-mento anche il “Design for All”, cheè una filosofia ma anche una prati-ca progettuale 9.

Il design sostenibile ha un ruoloimportante nell’inclusione sociale:la progettazione, anche dei grandispazi pubblici, dovrebbe essere ba-sata sull’osservazione delle diversi-tà dell’uomo, dell’evolversi delle sueesigenze nel corso della vita; tutti gliambienti dovrebbero essere proget-tati partendo dalla conoscenza del-le diverse esigenze dell’uomo e sul-la verifica della loro rispondenza almondo costruito. Stiamo parlandodi un approccio ergonomico al pro-getto, che ha molto in comune conil Design for All. Partendo dall’ap-proccio ergonomico, la bio-diversi-tà, la variabilità umana dovrebbe es-sere assunta dai progettisti in modocosciente, come dato centrale nelrapporto tra l’uomo e l’ambiente co-struito e verificata in termini di com-patibilità. La progettazione dovreb-

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Figura 3. Londra: percorso urbano con rampa e gradini. Fonte: Steffan

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be essere basata sull’osservazionedella realtà e dell’evolversi delle esi-genze nel corso della vita, anche ditutti gli utenti descritti dal 5°e 95°percentile, e gli spazi dovrebbero es-sere progettati in base alla compati-bilità con le diverse abilità ed esi-genze dell’utente, quindi fruibili inmodo autonomo da parte del mag-gior numero di persone possibile, acosti limitati.

In realtà, includere il 5° e 95° per-centile nella progettazione praticaè un obiettivo decisamente ambi-zioso da raggiungere, anche se que-sta inclusione sarebbe comunqueparziale, in quanto una parte consi-derevole di popolazione non riscon-trerebbe ancora alcuna compatibi-lità con il prodotto/ambiente. Si ri-tiene perciò che per soddisfare ilmaggior numero possibile di esigen-ze, sia più realistico cercare di ga-rantire la massima usabilità del pro-dotto/ambiente, tenendo conto an-che delle esigenze “estreme”, fornen-do nel contempo anche modalità al-ternative di fruizione in modo checiascuno possa scegliere la modali-tà più compatibile (Fig. 2) .

Volendo fornire modalità alter-native di utilizzo, nel caso di acces-sibilità verticale urbana ed edilizia,per esempio si dovrà ricordare chel’ascensore può essere apprezzatoda una grande fascia di utenti, tran-ne da chi soffre di claustrofobia,mentre le scale possono essere pre-ferite alle rampe, nel caso di proble-mi all’articolazione della caviglia(Fig. 3); nel caso della segnaleticaurbana, si dovranno prevedere mo-dalità di lettura non solo visiva e ico-nica ma anche tattile e acustica,prendendo in considerazione diver-si riferimenti culturali.

L’attenzione alla compatibilitàcon le diverse esigenze degli utenti,la diversificazione delle risposte pro-gettuali garantendo la possibilità discelta, sono parametri abituali del-l’approccio ergonomico, e possonodare un utile contributo alla fruibi-

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Dal riconoscimento del ruolo sociale del design si giunge naturalmente ad una culturadella progettazione basata sui reali bisogni dell’uomo, sul rispetto della dignità umanae sul diritto di ciascuno di poter partecipare alla vita sociale della moderna società e dipoter usufruire degli spazi/servizi/manufatti in piena autonomia, sicurezza, comfort.Questo consente da un lato di rispondere con flessibilità alle esigenze mutevoli delle per-sone, riducendo gli interventi di modifica a posteriori, generalmente affatto economici,e dall’altro di permettere a tutti di dare un contributo alla costruzione della nostra so-cietà.

La realtà dell’uomo è basata sulla diversità: ciascun individuo è diverso da un altro, maè diverso anche rispetto a se stesso nel corso degli anni, e questo va riconosciuto comevalore. Abilità diverse dovute a diverse condizioni psicofisiche o culturali, sono le varia-bili che entrano in gioco nell’interazione con l’ambiente e i prodotti.

Per raggiungere una situazione di comfort, di benessere psicofisico, il mondo che ci cir-conda deve essere compatibile con le diverse abilità utilizzate per svolgere le attività uma-ne. La compatibilità del prodotto o ambiente si raggiunge coinvolgendo nel processoprogettuale anche gli aspetti relativi all’usabilità, e dovrà essere di ordine funzionale,linguistico, semantico, culturale.

Normalmente intervenendo nei processi di trasformazione degli habitat si utilizza comeriferimento l’adulto-medio-sano. Tuttavia, da alcuni anni il mondo della progettazio-ne, della produzione e della legislazione tecnica, presta una sempre maggiore atten-zione verso le persone con abilità fisiche, sensoriali, cognitive “ridotte”, le cui esigen-ze sono state solitamente trascurate nelle fasi di progetto, realizzazione e verifica. Que-sta attenzione è stata spesso rivolta verso soluzioni “speciali” quali ausili per disabili,arredi per anziani, spazi riservati per bambini, etc. Spesso queste soluzioni speciali han-no prodotto ambienti a fruibilità riservata e attrezzature dedicate per singoli profilid’utenza, sovente rivelatesi di ostacolo all’integrazione sociale del destinatario.

Il design sostenibile ha un approccio progettuale che sopperisce alle carenze di un pro-getto “standard” e ai limiti di un progetto “speciale”, riprendendo i postulati propostidall’ergonomia. E’ un approccio basato su un quadro esigenziale olistico che ingloba ibisogni e le aspettative più diversificate degli utilizzatori, così che ogni ambiente/pro-dotto possa essere fruito dalla più ampia gamma di popolazione possibile. L’obiettivodi soddisfare il maggior numero possibile di esigenze è anche raggiungibile fornendomodalità alternative di fruizione dello spazio/prodotto, in modo che ciascuno possa sce-gliere la modalità più compatibile alle esigenze del momento.

Il mondo degli affari in Europa e altrove si sta rendendo conto che un approccio inclusi-vo alla concezione e realizzazione di ambienti, prodotti, sistemi di comunicazione può ge-nerare un beneficio sia economico che sociale sia per il “core business” di ogni aziendasia per migliori rapporti interni alla azienda stessa. Questo approccio inclusivo fa partedi una politica aziendale di responsabilità sociale e imprenditoriale conosciuto anche co-me “Corporate Social Responsibility”. Oltre al CSR, il design sostenibile deve avere co-me riferimento anche il “Design for All” – una filosofia e una pratica progettuale - pro-mosso da EIDD a livello europeo e da IIDD a livello nazionale, e sostenuto dalla UE.

ETICA DESIGN E SOSTENIBILITÀ

Documento EIDD/IIDD presentato al "Primo incontro nazionale con il design",ADI–CNAD-CUNDI, Roma, novembre 2003.

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Note

1 In seguito alla conferenza di Stresa uscì il vo-lume “Gli invalidi e le barriere architettoniche”ANMIL, 1966, ove erano raccolti gli atti dellaconferenza. Tra gli altri, Selwyn Goldsmith illu-strò i suoi studi alla Conferenza di Stresa. Il suomanuale “Designing for the Disabled” è statoper anni l’unico riferimento dei progettisti ita-liani. Tutti i testi erano allora disponibili pressoil Centro Studi e Consulenza Invalidi (CSCI) diMilano.

2 La prima normativa è la Circolare n. 425 delMinistero dei Lavori Pubblici del 20 gennaio1967 – Standards residenziali, che tratta il te-ma all’art. 6. Aspetti qualitativi. Barriere archi-tettoniche.Nel 1967 ISES (Istituto per lo Sviluppo dell’Edi-lizia Sociale) organizzò un convegno, dove ven-ne presentata ufficialmente una proposta dinorme redatta sulla base dei risultati dei lavo-ri di varie commissioni di studio relative al set-tore medico, sociologico, edilizio: tale propostadivenne la Circolare del Ministero di Lavori Pub-blici n.4809 del 19 giugno 1968 col titolo:“Norme per assicurare l’utilizzazione degli edi-fici sociali da parte di minorati fisici e per mi-gliorarne la godibilità generale”. Le prescrizio-ni tecniche contenute in tale circolare sarannorese cogenti dall’art.27 della legge del 30 mar-zo 1971 n.118, Conversione in legge del D.L:30 gennaio 1971, n. 5.Il successivo D.P.R. 384 del 27 aprile 1978, Re-golamento di attuazione dell’art. 27 della leg-ge 30 marzo 1971, n. 118, a favore di mutila-ti e invalidi civili, in materia di barriere architet-toniche e trasporti pubblici è stato per anni ilcaposaldo legislativo nel campo degli edifici espazi pubblici e aperti al pubblico – poi sosti-tuito con il DPR 503/96 – ed è stato a lungoignorato dagli operatori e dalle Pubbliche Am-ministrazioni, tanto che otto anni dopo, la L.41/86 (sostanzialmente finanziaria) stabilì chetutte le Amministrazioni Pubbliche dovessero re-digere un piano comunale di individuazionedelle barriere negli edifici pubblici esistenti, perla loro eliminazione (PEBA). La legge-quadro perl’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti del-le persone handicappate, n.104/92 all’art.24.9chiede inoltre l’integrazione di questi piani pergarantire l’accessibilità dei percorsi e attraver-samenti pedonali.

3 Si vedano a proposito i decreti legislativi626/94 e 242/96; il D.M. 10 marzo 1998, «Cri-teri generali di sicurezza antincendio e per la ge-stione dell’emergenza nei luoghi di lavoro»; la

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lità ambientale e al Design for All.L’ergonomia richiede che per

l’uso dei manufatti e fruibilità deglispazi sia necessario uno sforzo psi-co-fisico di adattamento minimo ri-spetto alle soglie umane; il Designfor All sottolinea che tali soglie deb-bano essere riferite ad abilità/esi-genze umane che possono esseremolto diverse.

Conclusioni

Usabilità e compatibilità riferitia User Centered Design sono para-metri propri dell’Ergonomia; Designfor All mette in evidenza il concettodi diversità, di variabilità dei profilidi esigenze.

Si è detto che per attuare una ri-voluzione positiva nel campo dellaprogettazione, la variabilità umanadovrebbe essere assunta in modopiù cosciente come dato centrale nelrapporto tra uomo e ambiente co-struito, anche se è importante ricor-dare che le soluzioni progettuali nondevono necessariamente fornire ri-sposte esaustive a tutte le esigenze,ma devono essere articolate in ter-mini di compatibilità. La progetta-zione di prodotti di uso quotidianoe ambienti sia privati che pubblici,dovrebbe garantire requisiti di frui-bilità, sicurezza, autonomia, facilitàdi percezione e d’uso, ma anche mo-dalità alternative d’utilizzo, in basea esigenze – e anche stati d’animo –variabili. Questi parametri dovreb-bero essere assunti come dati prio-ritari soprattutto nella progettazio-ne degli ambienti urbani: quelli chesono usufruiti dal numero più va-riabile di utenti, anche occasionali,anche con background culturali to-talmente diversi dal contesto d’uso.

L’architettura di qualità non deveavere solo elevate caratteristiche diestetica e funzionalità, ma anche difruibilità. La normativa tecnica disettore appare essere un valido stru-mento per garantire ambienti conrequisiti minimi di fruibilità, ma non

sufficiente per garantire ambienti diqualità per tutti: non dobbiamo tut-tavia augurarci di avere ulteriori nor-me relative al Design for All, se nonlimitate a indirizzi generali.

Per garantire la qualità e la com-patibilità del progetto con la diver-sità di esigenze degli utenti reali,possiamo attingere alla filosofia delDesign for All e agli strumenti del-l’ergonomia.

Gli strumenti e metodi dell’Ergo-nomia possono essere utili all’ap-proccio del Design for All, dalla lorosinergia si può trarre reciproco van-taggio. In particolare, utilizzandometodi di progettazione con la par-tecipazione degli utilizzatori finali edi tutti gli attori interessati, sin dal-le prime fasi del processo, l’ergono-mia può dare un contributo signifi-cativo alla fruibilità dell’ambientecostruito, e al Design for All.�

B A R R I E R E A R C H I T E T T O N I C H E E D E S I G N F O R A L L

Circolare 1°marzo 2002, n. 4, «Linee guida perla valutazione della sicurezza antincendio neiluoghi di lavoro ove siano presenti persone di-sabili» e la Lettera circolare 18 agosto 2006, n.P880/4122 , «La sicurezza antincendio nei luo-ghi di lavoro ove siano presenti persone disa-bili: strumento di verifica e controllo check list»del Ministero dell’Interno, Dipartimento dei Vi-gili del Fuoco, del Soccorso pubblico e della Di-fesa civile.

4 Questo approccio innovativo è stato introdot-to dall’EIDD a livello europeo e dalla sua affi-liata nazionale IIDD, sin dai primi anni ‘90, la cui“mission” è di diffondere tale cultura anche ladi fuori del mondo del progetto, e definito uffi-cialmente con la dichiarazione di Stoccolma nel2004 ( vedi articolo su Ergonomia n. 3/05).

5 “A syllabus for teaching design and disabili-ty”, Bologna 1996, organizzato da IIDD conl’appoggio del programma Helios e l’UnioneEuropea.

6 La Commissione Europea Direzione GeneraleImpiego e Affari Sociali in occasione della Gior-nata Europea delle Persone Disabili, che il 3 di-cembre 2001 sceglie il Design for All come te-ma e ne adotta una definizione, organizza ungrande incontro tematico a Bruxelles e un pre-mio, Breaking Barriers, che si riferisce specifica-mente ai prodotti e servizi che incorporino iprincipi di Design for All. Tale definizione preci-sa che con Design for All si intende “la proget-tazione, lo sviluppo e la commercializzazione diprodotti, servizi, sistemi e ambienti per il gran-de pubblico, in modo che siano accessibili perla più ampia gamma possibile di utenti. Questoobiettivo si realizza attraverso:– la progettazione di prodotti, servizi e appli-

cazioni che siano prontamente utilizzabilidalla maggior parte degli utenti senza doverapportare nessuna modifica;

– la progettazione di prodotti che siano facil-mente adattabili a utenti diversi (per esem-pio tramite la modifica dell’interfaccia conl’utente). Tale modifica può ottenersi, nelleforme più semplici, mediante la variabilitàdell’assetto o l’integrazione di elementi ac-cessori;

– l’utilizzo di interfacce standardizzate che sia-no compatibili con attrezzature specializza-te (per esempio tecnologie assistive)”.

7 “The EIDD Stockholm Declaration”, documen-to approvato il 9 maggio 2004, a Stoccolma, inoccasione dell’ EIDD Annual General Meeting,è stato recepito anche da IIDD in sede di assem-blea ordinaria il 26 aprile 2005.

8 L’iniziativa “Cittàbile”, fu inaugurata da IIDDil 3 dicembre 2001 con il seminario “Vivere emuoversi tutti in autonomia e libertà”, allaTriennale di Milano. Svolta dal 2001 al 2004, èstata coordinata da I. Steffan (allora vicepresi-dente e poi presidente IIDD), membro del comi-tato scientifico, presieduto da L. Bandini Buti.Nelle linee guida si stabilisce che verranno pri-vilegiate le soluzioni che garantiscano un pron-to utilizzo da parte del maggior numero di uten-ti possibile, senza alcun adattamento o modifi-ca, e verranno positivamente considerate le mo-dalità alternative di fruizione di ambienti e pro-dotti.

9 Vedi finestra del documento EIDD/IIDD (a fir-ma dei presidenti Kercher/Steffan) “Etica Designe sostenibilità”, presentato al “Primo incontronazionale con il design”, ADI–CNAD-CUNDI,Roma, novembre 2003, anticipatorio della di-chiarazione di Stoccolma.

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