stefano fontana - il pci e la questione di trieste 1946-1957
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Università degli studi di Roma La Sapienza, 2011.TRANSCRIPT
Università degli studi di Roma La Sapienza
Dottorato in Storia delle Relazioni Internazionali
Ciclo XXII
IL PCI E LA QUESTIONE DI TRIESTE 1946-1957
Dottorando Stefano Fontana
Coordinatore del Collegio dei Docenti
Chiar.mo Prof. Gianluigi Rossi, Università degli studi di Roma La Sapienza
Tutor
Chiar.mo Prof. Gianluigi Rossi, Università degli studi di Roma La Sapienza
IL PCI E LA QUESTIONE DI TRIESTE 1946-1957 INDICE Introduzione p.1 CAPITOLO I Dal trattato di pace all'espulsione della Jugoslavia dal Cominform p. 5 1.1 L'accordo per l'internazionalizzazione di Trieste (luglio 1946) p.5 1.2 L'Ufficio d'Informazione del Pci a Trieste p.13 1.3 Togliatti a Belgrado: Trieste per Gorizia (novembre 1946) p.17 1.4 La firma e la ratifica del trattato di pace (febbraio-luglio 1947) p.24 1.4.1 Le disposizioni del Trattato di Pace. p.24 1.4.2 La firma del Trattato di Pace p.25 1.5 L'accordo PCI-PCJ su Trieste dell’aprile 1947 p.30 1.6 Il ritorno di Vidali a Trieste (marzo 1947) p.33 1.7 La nascita del Cominform: le critiche al PCI di Kardelj e Djilas (settembre 1947) p.37 1.8 La questione di Trieste nella campagna elettorale del Pci del 1948 e la dichiarazione tripartita p.40 1.9 La risoluzione del Cominform del 28 giugno 1948 p.46
1.9.1 La risoluzione del Cominform e il PCTLT p.51 1.9.2 L’apparato speciale p.56 1.9.3 Mosca e l'applicazione della risoluzione da parte del PCI p.58
CAPITOLO II L'era delle trattative bilaterali (1949-1951) p.61 2.1 Rapporti economici e organizzativi tra PCI e PCTLT e attività in Jugoslavia p.61 2.2 Una diversa prospettiva: la collezione Documenti Diplomatici Italiani p.65 2.3 Il PCI e l'adesione italiana al Patto Atlantico p.67 2.4 Le elezioni amministrative del 1949 a Trieste p.69 2.5 La lotta sulla stampa dopo le elezioni amministrative p.72 2.6 L'introduzione del dinaro nella zona B p.75 2.7 Il PCTLT: “la via d'uscita” è l'applicazione del Trattato di pace p.78
2.7.1 Il Comitato Centrale del luglio 1949 p.78 2.7.2 Il II Congresso ordinario del PCTLT p.80
2.8 Il Cominform chiede un’intensificazione della lotta al titismo p.82 2.9 Cambiamento dello scenario internazionale: verso le trattative dirette p.86 2.10 Vidali contro il “baratto infame” p.88 2.11 La posizione sovietica sulla questione di Trieste p.91
2.11.1 La nota sovietica del 20 aprile 1950 recepita dal PCI p.91 2.11.2 Interpretazioni diplomatiche della posizione sovietica p.95
2.12 Questione di Trieste e guerra di Corea p.100 2.13 Lotta al titofascismo e caso “magnacucchi” p.103 2.14 Fase di stallo nella situazione internazionale circa la questione di Trieste p.105 2.15 Il PCI chiede che il TLT sia dichiarata “città aperta” p.108
2.16 Allineamento delle posizioni di PCI e comunisti triestini p.113 CAPITOLO III Sulla via dell'accordo (1952-1954) p.116 3.1 La conferenza di Londra nella stampa comunista p.116 3.2 Primo Accordo di Londra p.121 3.3 Le elezioni amministrative del 1952 p.125 3.4 La proposta di Vidali per una soluzione provvisoria della questione del TLT p.130 3.5 Trieste quale posta in gioco del triangolo o quadrilatero balcanico p.132 3.6 Vidali confermato alla guida del PCTLT p.134 3.7 La posizione sovietica su Trieste dopo la scomparsa di Stalin e la campagna elettorale per le elezioni politiche del 1953 p.137 3.8 Il governo Pella e le proposte di plebiscito p.140 3.9 La nota angloamericana dell’8 ottobre 1953 p.148 3.10 Questione di Trieste e Comunità Europea di Difesa p.152 3.11 Il programma di Fanfani ed il PCI p.157 3.12 Il governo Scelba, “il più reazionario” p.160 3.13 Le ultime richieste di maggiore sostegno di Vidali al PCI p.162 3.14 Il Memorandum d’intesa p.167 CAPITOLO IV I comunisti triestini rientrano nel PCI (1955-1957) p.172 4.1 La IV Conferenza Nazionale del PCI: il PCTLT diventa PCTT p.172 4.2 L’apparato speciale e i contatti tra PCTLT e jugoslavi dopo il Memorandum d’Intesa p.174 4.3 Il viaggio di Krusciov a Belgrado: “il colpo di bora” p.179 4.4 Il V congresso del P.C. di Trieste p.185 4.5 Il VI Congresso del P.C. di Trieste: la federazione autonoma triestina p.189
Appendice p.193 Bibliografia p.215
1
INTRODUZIONE
La presente ricerca prende in esame le posizioni del Partito Comunista
Italiano (PCI) sulla questione dell'attribuzione della città di Trieste e delle
zone limitrofe all'Italia o alla Jugoslavia successivamente agli eventi della
Seconda guerra mondiale.
Il periodo preso in considerazione parte dalla decisione della
Conferenza di pace di Parigi di istituire il Territorio Libero di Trieste fino ad
arrivare alla soluzione, più o meno condivisa dalle parti, del Memorandum
d'Intesa del 1954, con un capitolo conclusivo che analizza gli strascichi
della questione triestina nel movimento comunista locale e le residue
tensioni esistenti tra alcuni suoi elementi e la direzione del PCI da un lato, e i
dirigenti jugoslavi dall'altro.
E' stato perciò deciso di tralasciare il periodo, ampiamente studiato e
sfruttato dal punto di vista documentale, relativo alla Seconda guerra
mondiale in cui le relazioni che si svilupparono tra il PCI e Mosca in merito
alla questione di Trieste cominciarono ad assumere particolare interesse.
Giova però qui ricordare qualche episodio a tale proposito: Palmiro
Togliatti in una lettera inviata il 24 settembre del 1943 a Georgi Dimitrov1,
allora viceresponsabile della Sezione di informazione internazionale del
Comitato centrale (Cc) del Pcus, sollevò per la prima volta la questione di
Trieste con i sovietici con riferimento all'annuncio fatto dal Partito
comunista jugoslavo di volere annettere la Venezia Giulia. L'annuncio era
ritenuto “inopportuno”, almeno per i territori di Trieste e dell'Istria, dal
segretario del PCI.
Nel marzo 1944 la questione delle pretese territoriali jugoslave in Italia
fu sollevata a Mosca sia a nome dei comunisti italiani che di quelli jugoslavi.
Il ministro degli esteri sovietico Molotov suggeriva di rimandare a trattative
da tenersi alla fine della guerra, ribadendo così le tesi staliniane già
propugnate in passato: prima occorreva ottenere la vittoria contro i
nazifascisti e poi ci sarebbero state le sistemazioni territoriali.
Ad inizio aprile del 1944 si tenne un incontro tra la Direzione PCI per
1Gori F. e Pons S. (a cura di), Dagli archivi di Mosca, L’URSS, il Cominform e il PCI 1943-1951, Roma, Carocci,1998, pp. 226-227.
2
l'Italia settentrionale e il Comitato centrale del Partito comunista sloveno: la
Venezia Giulia dove c'era una maggioranza slovena sarebbe andata alla
Jugoslavia, si sarebbe discusso dopo la guerra per zone dove c'era una
maggioranza italiana o una popolazione mista.
Nell'ottobre 1944 vi fu un incontro a Bari tra Togliatti, Kardelj e
Djilas: Togliatti si disse d'accordo che durante la lotta la Venezia Giulia
venisse occupata da jugoslavi, con l'instaurazione di un “potere popolare”
organizzato con l'aiuto del PCI, mentre i problemi su Trieste erano da
risolversi dopo la guerra2.
Nel febbraio del 1945 Togliatti scriveva a Mosca:
“La questione di Trieste e del suo status comincia a interessare la pubblica
opinione, anche perchè essa è sfruttata dai nostri nemici per creare un movimento
nazionalistico e isolare il Partito comunista. Non c'è dubbio che la maggioranza
degli italiani guardi a Trieste come a una città italiana. La maggioranza della
popolazione triestina è davvero italiana, ma essa ammetterebbe lo status di città
libera, soprattutto se fosse proposto dal nostro partito. Tuttavia, a questa soluzione
si opporrebbero i partiti italiani, forse persino i socialisti, e io non so se la
Jugoslavia l'accetterebbe. Finora noi non abbiamo proposto né esaminato alcuna
situazione concreta. Lotteremo contro coloro che utilizzeranno la questione di
Trieste per introdurre una divisione all'interno del popolo italiano e quello
jugoslavo [...] Vi prego caldamente di darmi il Vostro consiglio per orientare le
nostre iniziative future sulla questione, che può trasformarsi in una delle questioni
più importanti della politica italiana”3.
Poi si ebbe la crisi del maggio 1945 a Trieste. Togliatti rivolse un
nuovo appello a Mosca: gli jugoslavi non rispettavano i patti. Ma Dimitrov e
Stalin si espressero di nuovo a favore della Jugoslavia. A questo punto il
segretario del PCI tentò la via del negoziato diretto con gli jugoslavi e
presentò poi ai sovietici un piano per la città che prevedeva 2-3 anni di
autonomia politica e doganale per Trieste e la Venezia Giulia. Tramite
accordo diretto tra Italia e Jugoslavia alla fine del periodo la decisione
sarebbe stata presa con plebiscito, i comunisti italiani del resto erano
convinti che il proletariato avrebbe poi votato per l'annessione alla 2 Ibidem, pp. 231-232. 3 L. Gibjanskij, Mosca, il PCI e la questione di Trieste, in F. Gori e S. Pons, Dagli archivi di Mosca. L'URSS, il Cominform e il PCI. 1943-1951, Carocci, Roma, 1995, pp. 99-100.
3
Jugoslavia e il PCI avrebbe fatto la figura di forza nazionale4.
Contava in questa fase Togliatti probabilmente ancora in una svolta a
sinistra del Paese ed a un accordo diretto con Tito per Trieste.
Come vedremo nel primo capitolo, anche tramite la figura di Eugenio
Reale a Parigi si cercò di convincere i sovietici.
Il 18 giugno Togliatti con il sovietico Mokrev avrebbe detto: “Se
Trieste diventerà un porto internazionale, ciò significa che essa cadrà in
mano agli angloamericani. Né la Jugoslavia di Tito, né l'Italia repubblicana
potranno adottare questa soluzione”5.
Sono stati riportati sopra alcuni esempi di come l'attività politico-
diplomatica di Togliatti, pur molto intensa fino al viaggio a Belgrado del
novembre 1946, fosse comunque piuttosto vincolata dalle direttive di Mosca,
come ben sappiamo, le quali si avviavano verso la logica degli schieramenti
contrapposti della Guerra Fredda, ignorando, o quasi, le questioni nazionali
alla base della situazione triestina.
La rottura tra Tito e Stalin e la conseguente espulsione della Jugoslavia
dal Kominform, avrebbe potuto restituire vigore all'azione del PCI sulla
questione di Trieste. Ma specialmente nei primi due anni non fu così, si
lasciò al p.c. triestino di Vidali l'iniziativa per quanto riguardava gli attacchi
alla “cricca di Tito”, forse perchè non si riteneva definitiva l'uscita della
Jugoslavia dal blocco comunista.
Si assiste progressivamente ad un allineamento delle posizioni di PCI e
Partito comunista del TLT (PCTLT) negli anni 1950-1952, con un intensa
collaborazione tra i due apparati nonostante sulla scena internazionale fino a
metà 1952 non avvengano in effetti cambiamenti rilevanti.
Nel 1953-1954 si avverte nel PCI una certa rassegnazione verso la
spartizione ormai inevitabile e affiora nei verbali delle riunioni di Segreteria
anche un certo risentimento verso Vidali e gli altri dirigenti triestini che
chiedono maggiore impegno da Roma. Anche questo determinerà un
“ritardo” nel rientro della sezione triestina all'interno del PCI avvenuto
soltanto nel 1957.
La ricerca è stata realizzata principalmente consultando il materiale
4 Ibidem, p. 101. 5 Ibidem, p. 102.
4
documentale dell'Archivio del PCI presso la Fondazione Istituto Gramsci a
Roma: sono stati consultati ed utilizzati i verbali delle riunioni di Segreteria
e Direzione, del Comitato Centrale, dei Segretari Regionali, il “materiale
Kominform”, il fondo Pratolongo, il fondo Togliatti, il fondo Longo, il
fondo Vidali, il “materiale PCTLT” e quello dell'Ufficio Informazioni del
PCI a Trieste.
Per quanto riguarda la stampa comunista si è abbondantemente attinto
dagli articoli de l'Unità, ma anche dalle pagine della rivista Rinascita e da
Vie Nuove e dal locale quotidano Il Lavoratore.
Molto importante è stato, inoltre, per la ricostruzione della posizione
comunista nei dibattiti parlamentari, relativamente ai lavori di entrambre le
Camere, l'utilizzo della fonte degli Atti Parlamentari.
Infine, posso affermare che un valore aggiunto alla ricerca è stato dato
con il lavoro svolto presso l' Archivio Storico-Diplomatico della Farnesina,
ove la Collezione dei Documenti Diplomatici Italiani, ed in particolare la
Serie Affari Politici, fornisce spunti interessanti per diverse interpretazioni
dei fatti, sia rivelando la percezione del mondo diplomatico italiano circa le
sfumature delle dichiarazioni di PCI e PCTLT sulla questione triestina, sia,
cosa più importante, mostrando alcune notevoli riflessioni di importanti
diplomatici italiani sull'evoluzione della posizione sovietica sulla questione
di Trieste e le implicazioni che essa poteva avere sull'azione e sulle prese di
posizione degli esponenti del PCI.
5
CAPITOLO I
DAL TRATTATO DI PACE ALLA RISOLUZIONE DEL COMINFORM DEL GIUGNO 1948
SOMMARIO: 1.1 L'accordo per l'internazionalizzazione di Trieste (luglio 1946); 1.2 L'Ufficio d'Informazione del PCI a Trieste; 1.3 Togliatti a Belgrado: Trieste per Gorizia (novembre 1946); 1.4 La firma e la ratifica del trattato di pace (febbraio-luglio 1947) 1.4.1 Le disposizioni del Trattato di Pace; 1.4.2 La firma del Trattato di Pace; 1.5 L'accordo PCI-Pcj su Trieste dell’aprile 1947 1.6 Il ritorno di Vidali a Trieste (marzo 1947) 1.7 La nascita del Cominform: le critiche al PCI di Kardelj e Djilas (settembre 1947); 1.8 La questione di Trieste nella campagna elettorale del PCI del 1948 e la dichiarazione tripartita; 1.9 La risoluzione del Cominform del 28 giugno 1948; 1.9.1 La risoluzione del Cominform e il PCTLT; 1.9.2 L’apparato speciale; 1.9.3 Mosca e l'applicazione della risoluzione da parte del PCI.
1.1 L'accordo per l'internazionalizzazione di Trieste Il 3 luglio 1946 a Parigi, nell'ambito dei lavori preparatori della Conferenza
di pace, le Potenze Alleate ed Associate e l'Italia trovarono un accordo nella
definizione del confine tra Italia e Jugoslavia. In tale data, venne deciso anche di
istituire il Territorio libero di Trieste nell'area che va da Monfalcone a Trieste,
Capodistria e fino a Cittanova d'Istria. L'accordo prevedeva che il Territorio,
regolato da uno statuto speciale, sarebbe stato amministrato da un Governatore
nominato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Fino al momento
dell'attuazione delle disposizioni del trattato di pace, la cosiddetta Zona A, creata
dalle intese di Belgrado del giugno 1945 e comprendente la zona costiera da
Monfalcone fino a Trieste, sarebbe dovuta rimanere sotto il controllo del governo
militare alleato, mentre la cosiddetta Zona B restava sotto l'occupazione
jugoslava, pur essendo abitata in larga parte da popolazione italiana.
La decisione in favore dell'internazionalizzazione di Trieste, città a larga
maggioranza italiana e porto strategico di vitale importanza nell'Adriatico,
costituiva un compromesso che a prima vista “urtava la sensibilità italiana poiché
appunto era basato sulla rinuncia alla sovranità su Trieste, ma che, visto il rinvio
alle Nazioni Unite, rappresentava nei fatti una pesante limitazione rispetto alle
6
speranze jugoslave6”. Essa era stata inizialmente suggerita dagli inglesi e poi
riproposta dai francesi, esattamente dal presidente del Consiglio Bidault, in uno
dei momenti di maggiore tensione dalla fine della Seconda Guerra Mondiale tra
Stati Uniti ed Unione Sovietica.
Vi era stato, infatti, nella prima metà del 1946, un irrigidimento sovietico
alla conferenza dei ministri degli Esteri. Subito dopo la conseguente sospensione
della Conferenza di Parigi era parso che i contrasti tra gli alleati si sarebbero
ulteriormente approfonditi. Il segretario di Stato americano Byrnes aveva
minacciato di dare alle Nazioni Unite il compito della stesura dei trattati, cosa che
avrebbe potuto significare la fine dell'Alleanza e quindi rottura aperta. Il ministro
degli esteri sovietico Molotov aveva replicato duramente, sottolineando che la
posizione dell'Urss su Trieste (da assegnare secondo il Cremlino alla Jugoslavia)
poteva considerarsi l'unico punto sul quale le proposte sovietiche risultavano
sfavorevoli per l'Italia7.
Come ha scritto James Byrnes nelle sue memorie “l'idea del Territorio libero
non garba a nessuno”8: né agli italiani né agli jugoslavi; né ai sovietici né agli
americani. Eppure la sua forza stava proprio in questo, nell'essere “una vera
soluzione di compromesso, che nessuno avrebbe potuto rivendicare come una
propria vittoria”9.
Le notizie provenienti da Parigi scatenarono una ben prevedibile ondata di
manifestazioni e proteste sia a Trieste che a Roma. La stampa italiana, quale ne
fosse l'orientamento, si scagliò contro il governo di De Gasperi, del quale faceva
ancora parte il Partito comunista italiano, accusandolo di avere fallito perseguendo
una politica estera di attesa e, secondo i comunisti, servile nei confronti degli
anglo-americani e ostile all'Unione Sovietica. Le critiche più forti erano, però,
quelle rivolte alle Potenze vincitrici, colpevoli di volere imporre un diktat
all'Italia: “Noi li vediamo grossi, ma non grandi e tali da incutere timore ma non
ammirazione” commentava Benedetto Croce sull'Avanti10, mentre Luigi Longo,
vicesegretario del PCI, scriveva sull'organo di stampa del partito L’Unità: “Non si
6 Di Nolfo E., Storia delle relazioni internazionali. 1918-1999, ed. Laterza, Bari, 2000, p. 657. 7 Gualtieri R., Togliatti e la politica estera italiana. Dalla Resistenza al trattato di pace 1943-1947, Roma, Editori Riuniti, 1995, pp. 150-152. 8 Byrnes J., Carte in tavola, Garzanti, Milano, 1948, p. 219. 9 Gualtieri R., op. cit., p. 153. 10 Cfr.: Avanti!, 10 luglio 1946.
7
combatte un’ingiustizia commettendone un’altra”11.
Per comprendere la posizione del Partito comunista italiano sulla questione
di Trieste a partire dalla sopra menzionata decisione degli Alleati sulla
costituzione del TlT, occorre cominciare con l'esaminare l'intervento del
segretario del PCI Palmiro Togliatti del 22 luglio all'Assemblea costituente, nel
dibattito sul secondo governo De Gasperi. Togliatti in quell'occasione indicò
esplicitamente il modello a cui il suo “progetto di politica estera per l'Italia”12
faceva riferimento. Spiegò come vi fosse uno stretto legame tra lo sforzo per
“difendere l'indipendenza italiana” seguendo il metodo di non legare l'Italia a
nessuno dei due blocchi che sembravano opporsi nel mondo e di cui tanto si
parlava. La questione di Trieste andava affrontata per mezzo di trattative dirette
con la Jugoslavia, abbandonando “una ispirazione anticomunista” che sarebbe
stata fatale ad una politica estera italiana la quale si proponeva “gli obiettivi
essenziali della difesa dell'indipendenza e della pace”. Amicizia perciò con
l'Unione Sovietica e lotta contro l'incubo di un'Italia (e della città di Trieste in
particolare) trasformata in naviglio portaerei di qualche potenza imperialistica o,
peggio, in deposito di bombe atomiche. A Trieste bisognava trovare una
soluzione che garantisse l’accordo e la collaborazione permanente coi popoli
jugoslavi. Ciò che del resto era nella tradizione di una politica nazionale italiana;
di una tradizione che partiva da Cavour, che continuava con Visconti Venosta e
con tutti i Ministri degli Esteri italiani, che seppero fare una intelligente politica
italiana, infine “in quella sinistra democratica, antidalmatica, antizaratina,
antifiumana, la quale ebbe una parte abbastanza importante nelle lotte dell'altro
dopoguerra”13.
Nei giorni seguenti sulla stampa comunista la polemica sulla politica estera
del governo fu continua. Sulla rivista Rinascita il governo veniva accusato di
“ispirazione ideologica antisovietica” e De Gasperi di avere un atteggiamento
troppo filo-occidentale mentre in modo differente, anzi opposto, andavano difesi
gli interessi italiani14.
Dalle colonne de l’Unità, Togliatti se la prendeva con don Sturzo, reo d’aver
mandato al Popolo, da Brooklin, una corrispondenza intrisa di anticomunismo, in
11 Cfr.: L'Unità, 2 luglio 1946. 12 Gualtieri R., op. cit., p. 169. 13 Atti parlamentari, seduta dell'Assemblea Costituente del 22 luglio 1946. 14 Che cosa si poteva fare?, Rinascita, anno III (1946), n. 7.
8
cui tra l'altro si criticava Byrnes per aver voluto ricercare a tutti i costi un accordo
con i societici: “L’esistenza di questi orientamenti spiega meglio di altre cose
perché tanto si è lavorato a esasperare i rapporti con la Jugoslavia e col mondo
slavo […] Che la nostra diplomazia debba lavorare per lasciare Trieste in mano a
inglesi e americani, come base per eventuali azioni alla Bullit?”15.
Poi venne ripresa l'offensiva sul trattato di pace, ma in questo caso Togliatti,
come già era avvenuto nei primi di luglio, lasciò il campo ad altri: la posizione
sovietica su Trieste, favorevole alla Jugoslavia, rendeva imbarazzante una
polemica su questo aspetto, e limitarsi ad attaccare gli altri punti del trattato
sarebbe apparso, come in effetti era, pretestuoso16. Montagnana e Scoccimarro si
concentravano così sulle clausole economiche del trattato, tralasciando invece la
questione di Trieste, alla quale, all'epoca, era molto sensibile l'opinione pubblica
italiana.
Il segretario del PCI replicava, però, in prima persona alle “inopportune”
dichiarazioni di esponenti del Partito comunista francese su Trieste, i quali
insistevano sulla cessione della città secondo il volere di Mosca. Era necessario,
come comunisti italiani, spiegava Togliatti, non isolarsi rispetto alla comunità
nazionale, altrimenti sarebbe venuta a mancare quella forza capace di ispirare
l’interesse della solidarietà nazionale e il PCI sarebbe stato isolato nella lotta per
una miglior pace per l’Italia nella quale non avrebbe potuto avere nessuna parte17”.
Il 25 luglio 1946 era cominciata a Parigi, presso il Palais de Luxembourg, la
Conferenza di pace; lo stesso giorno era stata consegnata alla delegazione italiana
la bozza del trattato di pace, che si rivelava essere più duro e “punitivo” di quanto
si era immaginato, e nel quale permaneva la soluzione dell''internazionalizzazione
De Gasperi chiedeva un rinvio di un anno della decisione sulla questione
giuliana, Togliatti giunse a Parigi al seguito della delegazione italiana e, molto
probabilmente ottenne di incontrare Molotov insieme a Eugenio Reale per
discutere un mutamento nella posizione sovietica18. Secondo quanto riportato sei
anni dopo in un articolo su “l'Unità”, lo stesso Togliatti sosteneva che già a Parigi
era emersa la disponibilità di Tito a lasciare Trieste all'Italia19. Rientrato dunque
15 L'Unità, 30 agosto 1946. 16 Gualtieri R., op. cit., p. 170. 17 L’Unità, edizione milanese, 8 agosto 1946 18 Caprara M., L'attentato a Togliatti. Il 14 luglio 1948: il PCI tra insurrezione e programma democratico, Marsilio, Venezia, 1978, p. 123. 19 L'Unità, 27 settembre 1952.
9
in Italia, il segretario del PCI, sembrava già avere in mente qualcosa riguardo
all'iniziativa che avrebbe poi preso agli inizi di novembre:
“Allo stato degli atti, cioè secondo il noto progetto di trattato e salvo il
lavoro che ancora possa farsi, Trieste non dovrebbe essere né italiana, né jugoslava... Purtroppo, mi pare esista da una delle parti un piano molto preciso di farne una specie di Malta o Gibilterra, e purtroppo ancora, a legger la stampa italiana, mi pare vi sia anche nel nostro paese chi sembra lavorare per una soluzione simile... Fare di Trieste una base dell'imperialismo anglosassone non è e non potrà mai essere un obiettivo di politica nazionale italiana. Trieste deve, se mai, essere governata dal popolo stesso di Trieste con le più ampie garanzie di democrazia. Se con i jugoslavi si potesse riuscire a trovare un accordo su questo terreno sarebbe forse ancora – ripeto, allo stato degli atti – la cosa migliore.20”
Come si vede, il segretario del PCI introduceva tra le righe l'ipotesi di
concludere un accordo diretto con gli jugoslavi che evitasse
l'internazionalizzazione di Trieste. Nei giorni successivi i delegati jugoslavi
Kardelj e Bebler si rivolsero con delle proposte ad Eugenio Reale, ritenendolo
uomo di fiducia all'interno della delegazione italiana21.
Eugenio Reale, membro della direzione del PCI e allora ambasciatore
italiano in Polonia, partecipava alle trattative di Parigi come membro della
delegazione italiana, portando nei dibattiti, per quanto possibile, anche il punto di
vista del PCI e riferendo dettagliatamente per corrispondenza a Togliatti sullo
svolgimento dei lavori. Dalla corrispondenza inviata da Reale a Togliatti è dunque
possibile ricavare preziose informazioni sui contatti diretti che ci furono tra
delegazione italiana e delegazione jugoslava nel settembre 1946. Il 21 settembre
Reale scriveva da Parigi a Togliatti circa gli ultimi sviluppi e le possibilità di
giungere ad un accordo diretto con gli jugoslavi, considerato anche che i russi
erano sempre più titubanti ad appoggiare le richieste di Tito:
“Si tratta, in fondo, di stabilire quale dovrà essere la nostra politica
estera nei prossimi vent’anni, se vorremo tenere desto l’irredentismo dei giuliani o covare propositi di rivincita o se non preferiamo invece rassegnarci al fatto compiuto, impegnarci a rispettare la frontiera italo-jugoslava nonché quello dello stato libero e vivere in buoni rapporti coi nostri vicini jugoslavi. [...]Gli jugoslavi che ho visti ancora da solo ieri sono ben disposti a trattare ed animati dalle migliori intenzioni. Se mons. Montini
20 L'Italia non deve più essere lo zimbello di gruppi reazionari stranieri. Intervista con il compagno Togliatti di ritorno da Parigi, L'Unità, 20 agosto 1946. 21 Duroselle J., Le conflit de Trieste, Editions de l'Institut de sociologie de l'Universite libre de Bruxelles, p. 241.
10
non darà ordini in contrario ad Alcide, penso davvero che si potrebbe giungere ad un risultato favorevole. So che i russi hanno insistito molto presso gli jugoslavi e han dato loro consigli di moderazione”22 . Di lì a qualche giorno, Reale si dichiarava del parere “che i Quattro, per
farla finita una buona volta e indurre gli jugoslavi a firmare la pace potranno fare
qualche grossa concessione, per esempio Gorizia. In trattative dirette, da fare
subito, io credo che gli jugoslavi, i quali hanno grandi speranze ma nessuna
assicurazione da parte russa, si contenterebbero di meno, pur di uscire dalla
situazione difficile in cui si trovano”23. Ribadiva poi l'importanza di ristabilire
buoni rapporti con gli jugoslavi per la politica estera italiana dei successivi dato
che la pace e l’amicizia con la Jugoslavia avrebbero escluso l'adesione dell'Italia
o, meglio, il suo vassallaggio al blocco anglosassone e avrebbero anche dato un
certo orientamento alla nostra politica verso l’Unione Sovietica. “L’Italia -
concludeva Reale - deve avere una sua politica estera e smetterla di cercare di
speculare sul dissenso dei grandi”24 .
Sulle colonne de l’Unità, l'ambasciatore Reale, in maniera inusuale per un
ambasciatore, poiché piuttosto critico nei confronti del proprio Ministro degli
Esteri, affermava l'importanza di tornare ad avere buoni rapporti con la
Jugoslavia, non solo dal punto di vista politico ma anche da quello economico,
attraverso trattative dirette fra Italia e Jugoslavia le quali erano non solo
desiderabili, ma indispensabili per la pace. I due popoli non potevano rimanere
indefinitamente nemici per molteplici ragioni, fra cui quella che per cui
l'economia italiana era complementare all’economia jugoslava”25.
Le critiche provenienti dai comunisti alla proposta di rinvio avanzata da De
Gasperi a Parigi erano sì ferme, ma anche misurate nei toni. Le ragioni di questa
moderazione sulla questione di Trieste venivano illustrate da Togliatti alla
riunione del Comitato centrale del 18-19 settembre 1946. La proposta di De
Gasperi andava criticata “perché significava giuocare sulla prospettiva di guerra”,
ma era chiaro “che quella proposta non sarebbe stata accettata a Parigi a meno che
il blocco delle Quattro grandi potenze non si fosse rotto sulla questione italiana”.
Per di più non bisognava dimenticare che la polemica contro la politica di Bonomi
e di De Gasperi sarebbe diventata una polemica sbagliata se il PCI avesse 22 Archivio Partito Comunista (APC), Fondo Togliatti, Carte della Scrivania, mf. 0450. 23 APC, Fondo Togliatti, Carte della scrivania, mf 0318, p. 6. 24 Ivi, p. 6. 25 L'Unità, 20 settembre 1946
11
“dimenticato” il fascismo. Sarebbe stato insomma un grave errore spingersi al
punto di dire che questi due uomini erano i responsabili (delle condizioni di pace),
poiché il vero responsabile era il fascismo. Per questo non era necessario accanirsi
troppo contro De Gasperi, e la linea scelta era stata di “criticare ma non […]
rovesciare il governo”26.
Il rapporto e le conclusioni di Togliatti al Comitato centrale rappresentano
un documento decisivo per interpretare l'azione politica comunista dopo le
elezioni del 2 giugno 1946 e comprendere meglio la natura e gli scopi
dell'offensiva sulle questioni di politica estera27. L'azione del PCI doveva essere di
“logoramento” ai danni della Dc, ma al tempo stesso, restando al governo, doveva
incidere sull'azione dell'esecutivo stesso. In quel momento, il peggioramento dei
rapporti tra le due superpotenze non era ancora considerato irreversibile, Togliatti
tendeva a negare l'esistenza dei “blocchi” contrapposti e la rottura internazionale
non era da considerarsi imminente. Una prova di ciò era costituita dagli accordi su
Trieste e sui trattati di pace, i quali, secondo il segretario PCI, erano destinati a
durare28. Tuttavia, grande attenzione bisognava dare alla questione di Trieste:
“Dato che non siamo riusciti ad ottenere l’obiettivo di avere Trieste nelle nostre frontiere dobbiamo per lo meno ottenere che essa non diventi alle porte d’Italia una nuova Gibilterra, una nuova Malta, una fortezza dell’imperialismo americano…Per quanto riguarda in particolare la Venezia Giulia occorre cercare l’accordo diretto e la collaborazione fra l’Italia e la Jugoslavia, e impedire che, sfruttando i contrasti fra i due paesi vicini e alimentando la divisione fra gli italiani su questo problema, Trieste possa essere trasformata, dai gruppi imperialistici internazionali, in una cittadella armata, a perpetua minaccia della pace e della sicurezza fra i due popoli”29.
Secondo Gualtieri, emergeva una forte contraddizione nella relazione di
Togliatti. Infatti, nella seconda parte relativa alla questione di Trieste, appariva
manifesta la denuncia “dell'esistenza di un blocco di Stati già costituito”. Tale
contraddizione avrebbe dimostrato la grande incertezza della situazione
internazionale, in cui la sopravvivenza dell'alleanza delle potenze vincitrici era
oggetto più di un “auspicio politico” che di una previsione30.
Sul numero di settembre del periodico del PCI “Rinascita”, Togliatti
26 APC, Verbali del Cc, 18/19-IX-1946, f.3/3, mf 181. 27 R. Gualtieri, op. cit., pp. 175-176. 28 Ivi, p. 178. 29 APC, Verbali del Cc, 18/19-IX-1946, f.3/3, mf 181. 30 R. Gualtieri, op. cit., p. 178.
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spiegava i motivi dell'impossibilità di trovare un accordo tra italiani e jugoslavi
nel modo in cui si stava procedendo alla Conferenza di pace e chiariva la
differenza tra “libero Stato” e “libero territorio” in riferimento alle diverse
soluzioni prospettate per lo statuto del TlT. A proposito della soluzione data alla
questione di Trieste nel progetto del trattato di pace per l'Italia elaborato dai
ministri degli esteri delle quattro grandi potenze, non vi poteva essere un accordo
tra italiani e jugoslavi. In linea di principio, infatti, la soluzione proposta veniva
respinta da ambo le parti. Dagli italiani, i quali chiedevano una estensione del
territorio “triestino” sino a comprendere altre zone di popolazione etnicamente
italiana; e dagli jugoslavi, i quali chiedevano, al contrario, una riduzione estrema
di questo territorio, sino a comprendere di fatto soltanto la cerchia dell'abitato
cittadino. Data la contraddittorietà assoluta delle due posizioni, e l'accordo
soltanto nel negare la soluzione proposta dai “quattro”, era evidente che
scompariva la possibilità di una trattativa; possibilità che forse avrebbe potuto
esistere se si fosse fatto, prima di quella proposta, un serio tentativo di
avvicinamento e d'intesa. Trieste come “libero territorio” era una zona che
perdeva o tendeva a perdere qualsiasi carattere nazionale, diventando “base” di un
gruppo di grandi potenze per l'affermazione di pretesi loro interessi di dominio
mondiale. Trieste “Stato libero” era una zona la cui popolazione, nazionalmente
indipendente, si governava da sé. Trieste “libero territorio” era una spina
consapevolmente infissa tra la Jugoslavia e l'Italia allo scopo di mantenere acceso
tra di esse un focolaio di intrighi, di discordia, di provocazioni. Trieste “Stato
libero” poteva invece diventare tra i due paesi, a condizione che entrambi
lealmente ne garantisero l'integrità e l'indipendenza, il terreno di una
collaborazione tra i due popoli per l'eliminazione tra di loro di ogni motivo di
discordia e di conflitti futuri 31.
31 Rinascita, n.9 – settembre 1946
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1.2 L'Ufficio d'Informazione del PCI a Trieste L'azione politica del PCI riguardo alla questione di Trieste nel 1946 non si
svolgeva, come è ben comprensibile, soltanto a Parigi presso la Conferenza di
Pace e a Roma presso la sede del PCI in Via delle Botteghe Oscure. Si cercava
invece di ristabilire una presenza attiva ed efficace nella città stessa, dove il PCI
sul finire della Seconda Guerra Mondiale aveva perso in influenza e visibilità sia
tra la popolazione slovena che tra quella italiana. Godeva invece di una certa
popolarità Tito, almeno tra gli sloveni, giunto per primo con il suo esercito a
“liberare” Trieste nell'aprile 1945. Vi era stato, nell'agosto del 1945, un accordo
tra PCI e Partito comunista sloveno per la formazione di un Partito comunista
della regione Giulia (Pcrg), diretto da Boris Krajgher, mentre era stato deciso di
attendere le decisioni della Conferenza di pace circa l'appartenenza statale di
Trieste. Tuttavia, l'accordo era stato disatteso appena un mese dopo quando il
comitato direttivo del Pcrg si era espresso in favore dell'annessione della regione
giulia alla Repubblica democratica federativa jugoslava. Seguirono mesi in cui lo
scontro tra filo-italiani e filo-jugoslavi a Trieste si faceva sempre più acceso e di
pari passo peggioravano i rapporti tra i comunisti del Pcrg e coloro che
rimanevano fedeli al PCI, mentre da Roma sia Togliatti che Longo affermavano
l'indiscussa italianità della città32.
Per avere la situazione di Trieste maggiormente sotto controllo e rendere
edotti i comunisti triestini della politica del PCI, la Direzione del PCI nei primi
mesi del 1946 decise di costituire un Ufficio informazioni (Ui), che pubblicava un
settimanale “L'informatore del popolo”. Esso fu diretto per due anni da Giordano
Pratolongo, membro del Comitato centrale (Cc) del PCI e deputato alla
Costituente. L'attività informativa e di propaganda dell'Ui non era vista certo di
buon occhio dal Pcrg che tentava di osteggiarla in tutti i modi. Nel maggio del
1946 Pellegrini e Pratolongo riferivano alla Segreteria sulle conversazioni avute
con Krajgher il quale definiva la politica del PCI su Trieste “controrivoluzionaria”
e l'Ui come “un'agenzia dell'imperialismo anglosassone”33 , essi precisavano però
che bisognava valutare se il linguaggio molto duro di Krajgher mirasse, in
quell'occasione, a influenzare i rappresentanti del PCI oppure fosse il frutto di
32 Vedi ad esempio: discorso di Longo del 22 ottobre 1945 al congresso della federazione romana del PCI, e l'intervento di Togliatti del 29 dicembre 1945 al V Congresso nazionale del PCI. 33 APC, Ufficio Informazioni del PCI a Trieste, mf. 96.
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“posizioni veramente maturate”. Riguardo ad incontri con compagni sulla linea
del PCI, Pratolongo riferiva di proposte circa la pubblicazione di documentazione
incriminante i membri del Cln in senso fascista e circa la possibilità di richiedere
a Stalin una dichiarazione sull'italianità di Trieste. Sicuramente più interessante di
quel periodo è l'osservazione di Pratolongo riguardo alla necessità che l'azione
dell' ufficio dovesse essere “avvolta in una certa atmosfera di freddezza” e
avrebbe dovuto essere “molto equilibrata e prudente” per non incorrere nelle
accuse degli “amici del partito giuliano” di tradimento e simili34.
Il primo giugno 1946, alla vigilia del referendum costituzionale, uscì il
primo numero dell'Informatore del popolo, ma Pratolongo lamentava alla
Segreteria, oltre ai problemi tecnici, mancanza di tempestività per cui ciò che un
mese prima poteva essere molto utile per spiegare la situazione esistente ai
triestini diventava allora poco significativo, tanto più che le posizioni sovietiche
alla Conferenza di Parigi, e anche quelle del partito comunista francese,
rafforzavano la posizione del partito giuliano. Col passare del tempo, nel mese di
luglio, si può notare come crescesse l'ansia e la preoccupazione di Pratolongo di
fronte alla scarsa organizzazione del PCI nell'affrontare la situazione di Trieste:
egli chiedeva che si rafforzasse politicamente l'Ufficio di Trieste in modo da far
fronte a ogni situazione e riteneva insufficiente la sua sola presenza. Definiva un
errore considerare Trieste come una qualsiasi federazione e suggeriva di elaborare
una linea politica che valesse per i comunisti e le masse nella zona A che sarebbe
restata all'Italia, e chiedeva che si cominciasse da subito a prendere delle misure
organizzative35.
Di fronte all'irrigidimento delle rivendicazioni a Parigi la politica di
pacificazione del PCI a Trieste veniva criticata come rinunciataria, i membri
triestini del partito venivano definiti strumenti della politica antinazionale del PCI
sulla Venezia Giulia e della politica russa e slava, accusati di avere difeso
l'italianità Trieste solo per scopi elettoralistici36.
Il P.c. giuliano riteneva invece un errore attenuare la lotta per le
rivendicazioni dei diritti degli sloveni perché bisognava influire sulle decisioni in
corso a Parigi e accentuare l'azione per “salvare” Gorizia e Monfalcone ed
34 APC, Ibidem. 35 APC, Ufficio Informazioni del PCI a Trieste, note di Pratolongo del 17 luglio 1946, mf. 96. 36APC, ivi, lettera di Pratolongo alla Segreteria del 10 agosto 1946, mf. 96.
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includerle nello Stato libero.
Risulta di scarso interesse per la ricerca il materiale relativo agli incontri
tenuti da Pratolongo con alcuni rappresentanti triestini di altre correnti politiche,
per il semplice motivo che ognuno dei presenti cercava in tali “riunioni”
ovviamente di fare propaganda per la propria causa, mentre Pratolongo prendeva
nota della possibilità di portare alcuni indipendentisti dalla propria parte e
dell'intenzione di partecipare a nuovi incontri del genere allo scopo di compiere
dei passi verso lo smantellamento del Cln.
Il 19 agosto del 1946 a Capodistria Pratolongo incontrava i maggiori
rappresentanti del partito giuliano Babic e Jaksetic, i quali mostravano di nutrire
ancora una certa ostilità nei confronti del PCI. Essi affermavano che l'attività
dell'UI sarebbe dovuta rimanere quella prospettata all'inizio: far conoscere alle
masse di Trieste la reale situazione in Italia e l'attività del PCI, dare al PCI
conoscenza di quanto avveniva a Trieste. Babic e Jaksetic non erano d'accordo
sulla costituzione dell'ufficio ma potevano tollerare la sua attività se fosse rimasta
in tali termini. Invece, l'Ufficio di fatto era un partito ed era assurdo che ci fossero
due p.c. nello stesso Paese. Pratolongo aveva chiarito che l'Ufficio doveva avere
anche la funzione di distendere i rapporti con gli altri partiti o gruppi del Cln,
aveva poi sottolineato come la decisione di Parigi per l'internazionalizzazione di
Trieste richiedesse di insistere maggiormente sulla creazione del fronte
democratico. Ma i due rappresentanti sloveni avevano replicato con nuove accuse
alla politica dell'Informatore del popolo e dell'Ufficio che era “un centro
antimarxista e controrivoluzionario”, essi si dovevano perciò allineare al Pcg,
altrimenti sarebbero stati denunciati pubblicamente. Per quanto riguardava
l'esigenza di una rettifica delle posizioni del Pcg, i tre erano d'accordo che essa
avvenisse gradualmente e dopo la conferenza di Parigi; Pratolongo non insisté
che esso seguisse le proposte del PCI, ma riferiva di esser convinto di avere
dimostrato come la linea del PCI fosse quella giusta, concludendo che i comunisti
italiani non avrebbero accettato di essere combattuti a Trieste perchè ciò non
corrispondeva alla realtà della loro attività.
Nel settembre e ottobre del 1946 Pratolongo scrisse diverse volte a Togliatti
sollecitando un incontro del “comitato dei quattro”, composto da rappresentanti
del PCI e del Pcj per trovare un accordo tra i due partiti circa la questione di
Trieste e la linea del partito comunista locale. In seguito a tali sollecitazioni,
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Togliatti scriveva un appunto a Longo pregandolo di adoperarsi per
l'organizzazione di una riunione del comitato dei quattro37: come vedremo nei
paragrafi successivi, l'incontro si tenne all'inizio dell'aprile 1947 a Belgrado e
portò alla firma di un accordo tra i due partiti. Secondo Pratolongo, Babic e i suoi
seguaci, che pure sostenevano la necessità della creazione di un fronte
democratico, in realtà cercavano di ritardare l'incontro tra PCI e Pcj, attendendo
prima nuovi sviluppi da Parigi; ad ogni modo l'esperto dirigente del PCI sapeva
che una volta fossero stati raggiunti accordi definitivi a Parigi sarebbe stato
necessario chiudere l'UI ed il suo giornale38.
37 APC, ivi, appunto di Togliatti per Longo del 5 settembre 1946, mf. 96. 38 APC, ivi, lettera di Pratolongo a Togliatti del 12 ottobre 1946, mf. 96.
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1.3 Togliatti a Belgrado: Trieste per Gorizia La risoluzione del 3 ottobre, in base alla quale la Conferenza della pace
raccomandava al Consiglio dei Ministri degli Esteri l'adozione di un modello che,
sia pur con qualche ambiguità, limitava notevolmente l'autogoverno e i poteri
dell'Assemblea locale, probabilmente fu l'evento decisivo per convincere Togliatti
ad intraprendere un'iniziativa personale a Belgrado. In realtà, già il 12 settembre
egli aveva prospettato a Kostilev l'ipotesi di un suo incontro con Tito, suscitando
il commento favorevole dell'ambasciatore sovietico a Roma secondo cui un
accordo tra i due politici comunisti “avrebbe significato il crollo totale di tutta la
politica di De Gasperi”39 .
Il 20 ottobre Togliatti fece pervenire a Tito, tramite l'ambasciatore sovietico
a Belgrado, una proposta di soluzione complessiva della vertenza che ricalcava il
contenuto di un precedente progetto di Kardelj, il quale aveva proposto il
trasferimento di Trieste all'Italia con uno statuto di autonomia in cambio del
passaggio della Venezia Giulia, compresa Gorizia, alla Jugoslavia.
La soluzione aveva l'evidente svantaggio di trasformare Trieste in un
enclave italiana in territorio jugoslavo e la diceva lunga anche il fatto che
all'epoca della Conferenza di Parigi Tito e Kardelj l'avevano considerata come una
soluzione di ripiego accettabile nel caso in cui non fossero riusciti a far passare il
condominio sulla città e il TLT venisse approvato40.
La notizia dell'accordo, presentato come la soluzione più vantaggiosa per
l'Italia sulla questione di Trieste fino a quel momento raggiunta, fu data sulla
prima pagina dell'Unità il 7 novembre:
“Il Maresciallo Tito mi ha dichiarato di essere disposto a consentire
che Trieste appartenga all'Italia, cioè sia sotto la sovranità della Repubblica italiana, qualora l'Italia consenta a lasciare alla Jugoslavia Gorizia, città che anche secondo i dati del nostro Ministero degli Esteri, è in prevalenza slava. La sola condizione che il Maresciallo Tito pone è che Trieste riceva, in seno alla Repubblica italiana, uno statuto autonomo effettivamente democratico, che permetta ai triestini di governare la loro città e il loro territorio secondo principii di democrazia [...] Io penso che è ora di smetterla di servirsi della questione triestina per seminare discordia tra due popoli i quali sono entrambi popoli di lavoratori, e che debbono collaborare nel modo più stretto
39 Aga Rossi E.,– Zaslavsky V., Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 121-122. 40 Gibjanskij L., Mosca, il PCI e la questione di Trieste (1943-1948), in Dagli archivi di Mosca. L’URSS, il Cominform e il PCI 1943-1951, a cura di F.GORI e S.PONS, Roma, Carocci,1998, p.122.
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allo scopo di liberarsi per sempre da ogni oppressione imperialistica e costruirsi una vita libera e felice. Del resto, l'Italia ha concesso un regime autonomo alla Valle d'Aosta; De Gasperi ha promesso all'austriaco Grueber di concedere un analogo regime al Tirolo, e sarebbe strano che chi parla d'autonomia ad ogni proposito, volesse proprio negarla in questo caso. Io penso dunque che la proposta del Maresciallo Tito può felicemente servire di base per la soluzione definitiva di tutte le questioni controverse tra i due Paesi e soprattutto per soffocare per sempre ogni possibile focolaio di discordia tra di loro. Abbiamo bisogno entrambi della pace. Tutti i popoli d'Europa hanno bisogno di pace”41.
Pochi giorni dopo, Togliatti chiariva su l'Unità la sua visione della
situazione giuliana e il significato della sua azione a Belgrado, fortemente criticata
come tentativo di “baratto” dal governo e dalla “stampa gialla”:
“Ecco come stanno le cose. Nel maggio 1945, quando fu compiuta la
liberazione d’Italia, quali e quante erano le città importanti d’Italia che, essendo state italiane nel 1919 venivano invece oggi contestate? Erano per lo meno le seguenti: Zara, Fiume, Pola, Gorizia, Trieste. Io non ho mai sostenuto e non sostengo che tutte queste città dovessero venire rivendicate all’Italia. So però che qualcuno lo pensava e ho sentito discorsi patetici e discorsi frenetici…Ebbene, oggi che Zara, ad esempio, tutti vedono che all’Italia non potrà più venire, io domando: il signor De Gasperi, responsabile della nostra politica estera, in quale modo è arrivato a questa conclusione? Con che cosa egli ha barattato questa città, se non con un calcio nel sedere? E lo stesso posso dire per Fiume, per Pola e anche per Trieste!...Un capolavoro, come si vede, di politica estera! Oh veramente, qui di “baratto” non si può parlare, perché tutto è gratuito e celestiale!...Il povero De Gasperi ci ha portato là dove ci ha portato, lui non ha “barattato” niente! Ma lui ha perduto tutto, eccetto la umiliante carezza fattagli sul dorso ricurvo dal compassionevole ministro Byrnes […] Bisognava non credere, come crede De Gasperi, che l’Italia abbia la missione di essere un bastione “occidentale” contro “l’oriente”, cioè una cittadella al servizio della reazione contro il socialismo; e non bisognava nemmeno pensare, come credo che egli pensi, che la Jugoslavia sia un paese di boscaioli e di banditi scomunicati, ma un grande paese libero, che domani sarà un grande paese industriale, e col quale noi abbiamo infiniti interessi comuni, e prima di tutto l’interesse di non lasciare che nessuno semini o alimenti discordie tra di noi”42.
Nel dibattito che si scatenò sulla stampa dopo il viaggio di Togliatti a
Belgrado intervenne a sostegno dell'azione del segretario del partito anche il
vicesegretario Luigi Longo. Dalle colonne del settimanale Vie Nuove, fresco di
stampa, ribadiva la strumentalità della questione triestina e denunciava
“l’irriconoscenza dei falsi nazionalisti nostrani”43. E' curioso notare il fatto che
41 L'Unità, 7 novembre 1946. 42 L'Unità, 10 novembre 1946. 43 Trieste all’Italia, Vie Nuove, n.9 - novembre 1946.
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denunciando la falsità di questi, Longo definisse “un assurdo” la creazione del
Territorio del Libero di Trieste che si poteva evitare accettando l'accordo Tito-
Togliatti.
Sulle colonne de l'Unità si sottolineava come anche il commissario sovietico
agli Esteri Molotov, favorevole alle posizioni di Togliatti e del PCI, avesse
dichiarato che la via migliore per la definizione del problema giuliano era quella
dei contatti diretti fra l'Italia e la Jugoslavia, “atti a promuovere e consolidare la
pace in Europa”44.
Rinascita allo stesso modo parlava di un piano di Togliatti “per l'Italia e per
la pace” che la parte democristiana in “un furore isterico” si rifiutava di
comprendere. Nello stesso articolo va notato come l'ipotesi di un plebiscito per
Trieste, che per anni sarebbe stata riproposta ciclicamente, veniva scartata perché
esso avrebbe comportato un analogo provvedimento per l'Alto-Adige ove l'Italia
avrebbe sicuramente perduto il confronto. Inoltre, un plebiscito in cui si sarebbe
voto secondo credo politico a Trieste avrebbe comunque visto prevalere
l'elemento slavo, mentre se fosse stato rispettato l'elemento etnico, ne sarebbe
scaturita una “cartina a mosaico” di difficile gestione. L'unica soluzione era quindi
quella delle trattative dirette tra le due nazioni45.
La reazione negativa del governo (e dell'opinione pubblica) di fronte alla
prospettiva di perdere Gorizia stupirono Togliatti che ironizzò sulla tendenza della
stampa italiana a presentare la città isontina “come una sacra città italiana, una
specie di Mecca dell'Italia”46.
Il 10 dicembre Longo addirittura reiterava l’iniziativa del segretario. Insieme
a Giordano Pratolongo il numero due del PCI si incontrò a Lubiana con Kraigher,
Miha Marino (ministro degli esteri e premier della repubblica slovena) e Branko
Babic (segretario del Pcrg). Ma il risultato fu un nulla di fatto.
Al Comitato centrale che si era tenuto dal 19 al 21 novembre del 1946,
Togliatti aveva illustrato con soddisfazione i progressi elettorali del partito
ottenuti nelle recenti elezioni amministrative. Ma nella sua relazione, era
soprattutto sull'imperialismo degli Usa dal quale l'Italia doveva difendersi che egli
si era concentrato: “E' possibile che, in una situazione determinata, il partito della
classe operaia abbia come suoi alleati anche degli elementi delle classi piccolo e 44 L'Unità, 20 novembre 1946. 45 Per l'Italia e per la pace, Rinascita, a. III (1946), n.10. 46 E. Aga Rossi – V. Zaslavsky, Togliatti e Stalin, op. Cit., p. 154.
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medio borghesi dell'imperialismo italiano”, ma era necessario evitare di scivolare
sul terreno della politica imperialistica.47
Il tentativo effettuato da Togliatti presso Tito, descritto qui dalla sua
preparazione fino al suo esito non del tutto scontato, secondo lo storico Valdevit
va letto “alla luce di quella visione di un mondo, già unito nella Grande Alleanza
antinazista, ma che si sta separando; è un'azione di una parte di essa, di un blocco
contro l'altro”48 . Secondo lo storico giuliano, l'azione di Togliatti non sarebbe
stata mirata a porre il PCI in una buona luce agli occhi dell'opinione pubblica
italiana quale “forza nazionale”49, anche in vista delle prossime elezioni
amministrative, ma piuttosto si trattatava di un messaggio a Tito:
“Eppure il passo di Togliatti un valore ce l'ha, ma si riferisce ad altro.
Col suo viaggio a Belgrado, Togliatti conclude quello che ha iniziato a dire con l'intervista a “l'Unità” del 20 agosto. Quanto più gli interessa è chiarire a Tito che, nel contesto della Grande Alleanza in crisi irreversibile, le solidarietà ideologiche si possono ricompattare a svantaggio di quelle nazionali... Come dice esplicitamente a Tito, quanto conta è trovare una “linea comune di comportamento fra comunisti italiani e comunisti jugoslavi” e l'opera di intermediazione esercitata dall'ambasciatore sovietico può fornirne il suggello”50.
Infatti, Togliatti avrebbe detto a Tito che la proposta sarebbe stata rifiutata
dagli anglo-americani, poiché, se un accordo sul TlT si poteva raggiungere a New
York, esso era possibile soltanto nel quadro della Grande Alleanza – certo, come
sussulto finale di essa – ma non come confronto al suo interno. Per inciso,
sarebbe stato entro una visione del genere che il PCI non si oppose nel luglio 1947
alla ratifica del trattato di pace51.
Diversa è l'opinione che si potrebbe trarre basandosi su una testimonianza di
Massimo Caprara, secondo il quale Togliatti “aveva sperato fino all'ultimo di
ottenere da Tito qualcosa di più della proposta di un baratto”, sia pure come
semplice base di discussione, e di fronte all'irrigidimento del leader jugoslavo,
consapevole dei ristretti margini che la trattativa veniva ad assumere, avrebbe
47 APC, Verbali Cc, Riunione del 18-19 novembre 1946, pp. 20-25. 48 Valdevit G., Il dilemma di Trieste. Guerra e dopoguerra in uno scenario europeo, Editrice Goriziana, 1999,p. 112-113. 49 In realtà, nella riunione del CC del 18-19 novembre 1946 Togliatti aveva affermato proprio che il viaggio a Belgrado mirava a dare al PCI un'immagine “sfacciatamente nazionale”, vedi APC, Verbali CC. 50 Ivi, p. 114. 51 Ivi, p.115.
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affermato sconsolato:«chiede in cambio Gorizia, e non capisce, allora che saranno
gli americani a decidere e non più noi»52.
In realtà, l'acuirsi della tensione internazionale che avrebbe portato, di lì a
poco, al nascere della Guerra Fredda vera e propria rese l'iniziativa di Togliatti
inutile, in quanto l'accordo che si era raggiunto a luglio sull'internazionalizzazione
di Trieste era il massimo che si potesse ottenere. Infatti, dopo le ultime
schermaglie diplomatiche, l'accordo venne firmato dai Quattro il 12 dicembre
1946 e il testo definitivo del trattato di pace fu consegnato all'ambasciata italiana
a Washington il 16 gennaio 194753. Contro la prospettiva della permanenza delle
truppe angloamericane nella zona A del Territorio Libero di Trieste, conduceva la
polemica in prima linea il settimanale del PCI Vie Nuove, diretto dal
vicesegretario Luigi Longo, che metteva in guardia i lettori circa l'esistenza di un
complotto in Friuli tra forze reazionarie locali ed internazionali mirante a tenere il
territorio sotto un'occupazione militare a tempo indeterminato54.
Nei primi giorni del 1947, in occasione dell'imminente viaggio di De
Gasperi negli Stati Uniti, in cui il capo del governo italiano andava a conoscere
“in anteprima” il contenuto del trattato, Togliatti scriveva un articolo che apparve
sia su Rinascita che su l'Unità, nel quale, dopo aver proposto un parallelismo tra il
suo viaggio a Belgrado in qualità di capo di un partito di massa e quello che si
accingeva a fare il presidente del Consiglio a Washington, spiegava l'importanza
della questione di Trieste per l'indipendenza e la pace del Paese, sebbene si
potesse dire che “i giochi fossero chiusi” per il momento. L'indipendenza d'Italia
era legata a due condizioni, nel momento attuale, spiegava Togliatti. La prima era
che l'aiuto economico e finanziario ch'essa aveva bisogno di ricevere dall'estero
per la sua ricostruzione non implicasse il vassallaggio economico e politico verso
chi avrebbe dato questo aiuto. La seconda era che l'Italia fosse rimasta estranea al
“torbido giuoco dei gruppi imperialistici provocatori di nuove guerre”. La prima
condizione era la più chiara anche per i profani, ed era chiarissima per tutti la
funzione che la città di Trieste avrebbe potuto avere nello sviluppo economico di
Italia. Si trattava per l'Italia, nei rapporti internazionali, di poter avere un notevole
volume di scambi con quei paesi la cui economia era in gran parte complementare
52 Caprara M., Il compagno Tito, in Panorama, 17 marzo 1980. 53 D. De Castro, op. cit., p. 528. 54 Nel Friuli si complotta contro la pace e la Nazione, Vie Nuove, 8 dicembre 1946; Gli angloamericani non andranno più via da Trieste?, Vie Nuove, 29 dicembre 1946.
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della propria e i quali, perciò, erano disposti al commercio in condizioni di parità,
senza fare elemosina e senza chiederne, e senza servirsi del commercio come di
uno strumento di assoggettamento politico. Questi paesi erano al momento attuale,
prevalentemente quelli dell'Europa orientale. Qualora la questione di Trieste
fosse stata risolta, attraverso contatti e accorsi diretti, in modo soddisfacente (o
anche solo relativamente soddisfacente) per le due parti, la pace sarebbe stata
consolidata, i provocatori di guerre avrebbero subito uno scacco e nessun motivo
avrebbe potuto in futuro venire agitato per trascinare l'Italia in una guerra.
Occorreva quindi ai provocatori di guerre che la questione di Trieste venisse
lasciata aperta, affinché essi potessero sempre avere a loro disposizione un
argomento per trascinare l'Italia dalla loro parte, con l'aiuto, s'intende di una
reazione nazionalistica italiana. La questione di Trieste non risolta avrebbe dovuto
avere, nello sviluppo della politica estera italiana, la stessa funzione che ebbe,
prima del 1914, l'irredentismo e triestino e trentino. Il partito comunista, quindi,
quando attraverso l'iniziativa di Togliatti e il suo viaggio a Belgrado aveva
presentato al paese la possibilità di avviare trattative che risolvessero la questione
di Trieste almeno con relativa soddisfazione italiana, aveva svolto una azione
concreta e di lunghe prospettive a favore dell'indipendenza italiana”55.
Nei confronti della Jugoslavia, trascorsi i mesi difficili delle trattative di
Parigi, i comunisti italiani tornavano a tessere le lodi come esempio di nuovo
Paese socialista che aveva sconfitto il nazi-fascismo e si avviava verso un felice
avvenire guidato dall' “eroe del popolo”56, come si può leggere ad esempio nel
discorso di Togliatti tenuto alla fine della terza Conferenza nazionale
d’organizzazione del PCI a Firenze ed incentrato sulla via italiana al socialismo57.
Alcuni giorni dopo, alla riunione di segreteria del partito del 23 gennaio,
Pratolongo riferiva sulla situazione a Trieste, sulla tendenza americana a fare della
città solo un centro commerciale, in contrasto con la posizione jugoslava
favorevole ad un'accelerazione nel processo di industrializzazione di Trieste e
dell'intera regione giuliana. Durante l'incontro venivano considerate le
conseguenze della posizione jugoslava nei rapporti tra il PCI e il Pcj e Pratolongo
ricordava come anche di recente fossero sorti nuovi contrasti con i compagni
jugoslavi su diverse questioni. Nonostante ciò era giunto da Belgrado un invito ai 55Cfr.: Rinascita, novembre-dicembre 1946; Viaggi all'estero, L'Unità, 3 gennaio 1947. 56 Tito eroe del popolo, Vie Nuove, 17 novembre 1946. 57 L'Unità, 11 gennaio 1947.
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compagni italiani a recarsi nella capitale della Repubblica Federativa Jugoslava
per un incontro tra delegazioni dei due partiti. Dopo uno “scambio di idee” si
decise di accettare la proposta, ma chiedendo che Longo, il quale avrebbe guidato
la delegazione italiana, fosse invitato con un motivo “esteriore”58, in modo tale da
non consentire alla stampa avversaria di speculare sulla ripresa delle relazioni tra i
due partiti comunisti.
58 APC, Verbali di Segreteria, Riunione 23 gennaio 1947, mf 268.
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1.4 La firma e la ratifica del Trattato di pace 1.4.1 Le disposizioni del Trattato di Pace
Il 10 febbraio 1947 a Parigi venne firmato il trattato di pace tra l'Italia e le
Potenze Alleate ed Associate. Per quanto riguarda la frontiera italo-jugoslava il
trattato prevedeva la cessione da parte italiana di 8.212 kmq di territorio con una
popolazione totale di 836.129 abitanti, dei quali, in base al censimento del 1921,
446.941 di lingua italiana e 352.196 di lingua slovena o serbo-croata. Di tale
territorio la maggior parte (7.429 kmq) andava alla Jugoslavia, il resto veniva a
costituire il Territorio libero di Trieste, la cui indipendenza ed integrità venivano
affidate al Consiglio di sicurezza dell'Onu. La cessione di questi territori dal punto
di vista economico implicava la perdita dei giacimenti carboniferi dell'Arsa, di
quelli di bauxite dell'Istria e naturalmente del complesso industriale di Trieste59.
Per quanto riguarda il Territorio libero di Trieste, bisogna dire che l'art.11
dell'Allegato VII del Trattato di pace disponeva che, fin tanto che non fosse stata
creata una moneta propria del T.l.T., l'Italia doveva fornire alla Zona A la quantità
di valuta estera e circolante necessaria, a condizioni non meno favorevoli di quelle
esistenti nell'Italia stessa. Questa clausola economica costituiva il principale
mezzo per vincolare l'Italia alla Zona A60. Alla Jugoslavia andavano inoltre
andavano pagati 125 milioni di dollari di riparazioni.
L''istituzione politica più importante del Territorio Libero di Trieste avrebbe
dovuto essere il Governatore. Lo Statuto, approvato il 10 gennaio 1947, ne
prevedeva la funzione e i poteri i quali erano tali da far convergere sulla nomina
del Governatore stesso gli interessi degli Occidentali e dell'Italia da un lato, dei
Russi e degli Jugoslavi dall'altro, così da rendere molto problematica la possibilità
di condurre in porto una questione tanto spinosa61. La difficoltà della sua nomina
risiedeva appunto nella qualità e nei limiti dei suoi poteri, che erano i seguenti: il
Governatore sarebbe stato consultato ad ogni stadio della situazione ed informato
ad ogni passo compiuto dal Governo del TLT, in quanto assisteva alle sedute della
Giunta, riceveva dal Consiglio di Governo un estratto degli ordini impartiti al
capo della polizia, da cui pure riceveva un rapporto. Egli avrebbe avuto il diritto
59 R. Gualtieri, op. cit., pp. 207-208. 60 De Castro D., La questione di Trieste. L'azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, Trieste, edizioni Lint, 1981, p. 566. 61 De Castro D., Cenni riassuntivi sul problema giuliano nell'ultimo decennio, Bologna, ed. Capelli, 1953, p.113.
25
di sanzionare atti di politica estera, apponendovi la sua firma, avrebbe avuto il
potere finale della nomina dei magistrati e dei funzionari consolari nominati su
proposta del Governo, il potere di scelta e nomina del capo della polizia. Avrebbe
avuto il diritto di proporre provvedimenti legislativi all'Assemblea e
provvedimenti amministrativi al Governo. Avrebbe disposto del potere di veto
all'entrata in vigore di provvedimenti legislativi e amministrativi e di trattati e
convenzioni con l'estero, ma avrebbe avuto l'obbligo di informarne il Consiglio di
Sicurezza. Di fatto il suo potere sarebbe stato particolarmente rilevante in periodi
di emergenza, quando avrebbe assunto la potestà di dare ordini e farli eseguire.
1.4.2 La firma del Trattato di Pace
La firma italiana del trattato non era necessaria perché questo entrasse in
vigore, ma aveva politicamente un valore molto rilevante, in quanto “impegnava il
paese a considerare definitivamente chiusa una fase della sua storia”62 e a non
intraprendere in futuro campagne revisioniste. Il governo De Gasperi decise di
firmare il trattato solo il 7 febbraio63 ed il giorno seguente in Assemblea
costituente illustrò la procedura che si era stabilito di seguire: il governo
procedeva alla firma senza consultare l'Assemblea la quale si sarebbe espressa in
un secondo momento sulla ratifica.
Lo stesso 10 febbraio 1947, a Roma, alcuni uffici dell’ambasciata jugoslava
venivano assaltati da un gruppo di manifestanti, senza però causare gravi danni.
Velio Spano, del PCI, commentava così l’accaduto il 13 febbraio durante una
seduta dell’Assemblea Costituente: “La verità è che quel giorno l’Italia protestava.
Tutto il popolo italiano protestava e manifestava il suo cordoglio e la sua
indignazione per l’ingiusto trattato che ci veniva imposto. Era particolarmente
necessario quel giorno che questa protesta apparisse come la protesta di tutto il
popolo italiano e della sua volontà di rinnovamento. D’altra parte, questi
avvenimenti sono senza dubbio collegati con l’ambiente arroventato che si sta
creando in queste settimane nelle regioni giuliane”64.
Il 19 febbraio 1947, Togliatti, in conclusione di un intervento all'Assemblea
costituente nel corso del dibattito sulla crisi di governo che si era aperta,
accennava all'amarezza provocata dalla firma del trattato di pace, sottolineando 62 Ivi, p. 208. 63 D. De Castro, op. cit., p. 537. 64 Atti parlamentari, seduta dell' Assemblea costituente del 13 febbraio 1947.
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però come il momento non fosse propizio per una discussione di politica estera:
“Comprendiamo la firma, - come ha detto l'onorevole De Gasperi –
come un atto di politica estera, di cui possono valutare il peso, il valore, le conseguenze, forse meglio di noi, coloro i quali conoscono tutti i particolari dell'azione diplomatica che si sta svolgendo. La discussione sulla politica estera del nostro Paese e quindi anche sul Trattato la faremo a suo tempo. Riserviamo per quel momento di esporre le nostre opinioni sul Trattato. Il Trattato è quello che è. Voi già conoscete, però, la nostra convinzione, che avrebbe potuto essere migliore, se fossimo riusciti, durante gli ultimi due anni (dal marzo 1944, cioè da quando esiste un Governo italiano di tipo democratico) a condurre una politica estera più chiaroveggente, più aderente alle necessità nazionali e alla realtà della situazione nazionale ed internazionale […] Ad ogni modo, noi ci sentiamo amareggiati per il contenuto del Trattato, non demoralizzati. Non condividiamo, d'altra parte, quel genere di sentimenti, che alle volte sentiamo esprimere, se non in questa Assemblea, in una parte della stampa, e in cui affiorano le nostalgie d'un passato, che, invece, vogliamo sia sepolto per sempre”65.
Lo scontro in seno all'Assemblea costituente veniva rimandato così a cinque
mesi dopo: il dibattito sulla ratifica del trattato di pace si svolse solo nel luglio
successivo, in un contesto nazionale e internazionale profondamente cambiato.
Sul piano internazionale, nei mesi che precedettero la discussione
all'Assemblea costituente, si era consumata la rottura tra Stati Uniti e Unione
Sovietica. Vi era stato il 12 marzo 1947 il celebre discorso di Truman al
Congresso in cui il presidente Usa chiese l'autorizzazione per finanziamenti
speciali a Grecia e Turchia minacciate da infiltrazioni e pressioni comuniste. La
“dottrina Truman”, prevedeva che gli Stati Uniti sostenessero i popoli liberi in
pericolo di essere sottomessi da altri Stati, perché ciò era importante per la politica
estera e la sicurezza nazionale del paese. Essa inaugurava la politica del
containment nei confronti dei tentativi di espansione da parte sovietica. Nelle
settimane successive, nei Paesi dell'Europa occidentale in cui erano al governo
coalizioni comprendenti il partito comunista avvennero dei cambiamenti che
portarono all'estromissione dei comunisti dall'esecutivo ed in Italia non poteva
non accadere la stessa cosa, benché il PCI con i suoi 2.250.000 iscritti fosse il
partito comunista più “forte” d'Europa.
De Gasperi pronunciò il 30 aprile il discorso, divenuto celebre, sul “quarto
partito”, quello degli industriali e delle imprese, di cui si non si poteva non tenere
conto nel governare il Paese, aprendo così la crisi che condusse all'uscita dal
65 Atti parlamentari, seduta dell'Assemblea costituente del 19 febbraio 1946.
27
governo del PCI e del Psi.
Il 5 giugno 1947 all'Università di Harvard il segretario di Stato statunitense
Marshall pronunciò un altrettanto famoso intervento sulle difficoltà internazionali
politiche ed economiche del momento, in cui spiegava che l'Europa avrebbe avuto
bisogno degli aiuti americani per almeno altri tre o quattro anni. Bisognava
risollevare l'economia europea per evitare che un peggioramento della situazione
causasse un deterioramento nei rapporti economici, sociali e politici66.
Si dava avvio così, nel mese di luglio, alla formulazione congiunta da parte
di Stati Uniti e Paesi dell'Europa occidentale del Piano Marshall, mentre i Paesi
dell'Europa orientale decisero di rimanerne fuori, seguendo il “consiglio”
dell'Unione Sovietica. Nella prima metà del 1947 vi era stato in questi Stati, con
l'eccezione della Cecoslovacchia, un passaggio “dal pluralismo, almeno di
facciata, all'aperto dominio dei comunisti”67.
Il partito comunista italiano, pur accettando l'ipotesi di crediti dagli Stati
Uniti, che poi sarebbero arrivati con il piano Marshall, insisteva sulla necessità
dell'autonomia nazionale nella determinazione degli obiettivi da perseguire nel
processo di ricostruzione68.
Il 20 giugno 1947 Togliatti intervenne all'Assemblea costituente nel dibattito
sulla crisi di governo, parlando della sfiducia delle masse nei metodi e nelle
politiche della Democrazia cristiana e prendendo ad esempio la questione di
Trieste negli ultimi mesi passata in secondo piano, rivolgendosi così a De
Gasperi: “Io ricordo quando ella, a scopo di speculazione elettorale, impostò tutta
una campagna di calunnie contro il nostro Partito per quanto riguardava la
questione di Trieste, mentre la nostra posizione nella questione di Trieste poteva e
doveva essere da lei sfruttata davanti al mondo intiero per dimostrare la
compattezza e l'unità del popolo italiano”69
Successivamente, introducendo i lavori del Comitato centrale, Togliatti
sviluppò un'analisi della fase internazionale che, probabilmente a causa
dell'imminente rifiuto sovietico del piano Marshall, rientrava pienamente negli
schemi della guerra fredda. Secondo tale schema, gli Stati Uniti miravano alla
“conquista di un dominio mondiale”, ottenibile grazie al predominio militare 66 E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali, op. Cit., p. 684. 67 E. Di Nolfo, op. cit., p. 670. 68 La posizione di Togliatti in merito venne efficacemente espressa in un discorso tenuto al teatro Lux a Torino il 6 luglio 1947, riportato su l'Unità dell'8 luglio. 69 Discorso di Togliatti all'Assemblea costituente, seduta del 20 giugno 1947, p. 5096.
28
garantito dal monopolio nel possesso della bomba atomica. Togliatti affermò
anche per la prima volta che le condizioni per l'avanzamento delle forze
democratiche e “l'estirpamento del fascismo” esistevano “solo nei paesi liberati
dall'Unione Sovietica”70 .
Per quanto riguardava il Trattato di pace, avvenuta la ratifica americana il 5
giugno 1947, per l'Italia non vi era più speranza di ottenerne una revisione, così l'8
luglio in seduta di Commissione dei Trattati della Costituente si decise di iniziare
il dibattito per la ratifica, tanto più che inglesi e francesi minacciavano di
escludere l'Italia dalla conferenza per il piano Marshall che stava per aprirsi
qualora non si fosse proceduto velocemente.
La vicenda del voto sulla ratifica non fu un esempio di ritrovato
coordinamento tra il PCI e Mosca dopo la rottura sul Piano Marshall sul quale,
come già detto sopra, Togliatti aveva espresso parere favorevole pur con alcune
riserve. I sovietici ricevettero informazioni contraddittorie circa l'atteggiamento
del PCI, legate alle oscillazioni del suo gruppo dirigente. Non risulta che la
decisione finale del PCI fosse stata concordata con Mosca71.
Togliatti alla Costituente sulla ratifica del trattato di pace si era limitato a
chiarire che si doveva tenere conto della posizione dell'Unione Sovietica, la quale
sembrava orientata nel senso di impedire che l'ammissione dell'Italia all'Onu, che
si sarebbe verificata dopo la ratifica del trattato di pace, portasse un altro voto a
favore del blocco occidentale, e a osservare che la ratifica del Trattato di pace con
l'Italia era condizionata dall'Unione Sovietica alla ratifica degli Stati Uniti e
dell'Inghilterra ai trattati di pace con le piccole potenze orientali72.
Il 31 luglio l'Assemblea votò a favore della ratifica del trattato di pace, il
PCI decise di astenersi dalla votazione, piuttosto che votare contro rischiando di
fare fallire la ratifica aggiungendo il proprio “no” ai voti sfavorevoli della destra
nazionalista.
Il giorno successivo si chiariva il senso di tale decisione: “la nostra
astensione ha voluto dire che se una parte degli argomenti portati a favore della
ratifica ci sembravano fondati, non potevamo in nessun modo rendere arbitro della
questione un governo nel quale, in generale, non abbiamo fiducia e di cui
70 APC, Verbali C.c., Riunione 1-4 luglio 1947, pp. 54-57. 71 S. Pons, op. Cit., p. 142. 72 Atti parlamentari, seduta dell'Assemblea Costituente del 23-07-1947.
29
disapproviamo in particolare la politica estera”73.
Il 15 settembre 1947 furono depositate le ratifiche dei Quattro ed il Trattato
di pace entrò in vigore. La ratifica italiana fu depositata il 17 settembre. Lo stesso
giorno in cui il Trattato di pace entrò in vigore, peraltro, gli jugoslavi
minacciarono il comando alleato di essere sul punto di invadere la Zona A e nella
notte solo la “decisa fermezza”74 delle truppe americane aveva impedito a quelle
jugoslave di entrare dalla Zona B in direzione di Trieste. Secondo alcuni, da
questa data si può ritenere che la questione di Trieste sia stata pienamente inserita
nella politica del containment di Truman75.
L'atteggiamento tutto sommato morbido di Togliatti tenuto nella vicenda del
dibattito sulla ratifica del Trattato di pace si spiega con l'esigenza di favorire
l'approvazione del trattato poiché esso era il frutto dell'unità delle grandi potenze,
e garantiva che su problemi scottanti come quello di Trieste non si sarebbero prese
iniziative unilaterali che, in un quadro di crescente tensione internazionale,
avrebbero potuto avere esiti catastrofici. Anche nella nuova situazione
internazionale restava valido il principio che aveva sino a quel momento
informato la politica di Togliatti: “andava sempre verificata la coerenza tra ogni
mossa politica di carattere interno e le sue conseguenze sullo scenario
internazionale, nel quale l'Italia avrebbe dovuto svolgere il ruolo di punta avanzata
della distensione e mai quello di fonte di ulteriore inasprimento delle tensioni e
dei contrasti”76.
73 L'Unità, 1 agosto 1947. 74 D. De Castro, op. cit., p. 550. 75 Pupo R., Guerra e dopoguerra al confine orientale d'Italia (1938-1956), Udine, Del Bianco Editore, 1999, p. 169. 76 R. Gualtieri, op. cit., p. 218.
30
1.5 L'accordo PCI-PCJ su Trieste dell’aprile 1947
Facendo un passo indietro e tornando ad esaminare direttamente lo sviluppo
della posizione del PCI sulla questione di Trieste, si riscontra nei verbali di
Segreteria di partito del febbraio 1947 un vivo interesse per la questione
dell'emigrazione italiana da Pola e dalla regione giuliana, sulla quale Longo
veniva incaricato di redarre una relazione sul modo di trattare il fenomeno e sui
metodi da seguire per lavorare in seno ad essa. Le direttive formulate dalla
Direzione sull'emigrazione giuliana specificavano che se tra i profughi vi erano
dei fascisti la maggioranza era composta da persone in buona fede ingannate dalla
propaganda sciovinista e essi potevano essere “conquistati alla democrazia”.
Occorreva dunque svolgere un'azione di chiarificazione politica e solidarietà
pratica, fornendo, ove possibile, alloggio e lavoro, sia sfruttando terre incolte, che
trovando posti nelle fabbriche77. Per contro, la richiesta da parte di alcuni
compagni di Trento di poter emigrare a Pola per colmare il vuoto lasciato dagli
italiani che partivano (o forse sarebbe meglio dire “fuggivano”) dalla città, veniva
respinta come assolutamente impraticabile78.
Pratolongo descriveva in una lettera l'esodo in direzione opposta di molti
operai spinti dal partito giuliano a lasciare Monfalcone per andare a lavorare in
Jugoslavia. Egli si opponeva a ciò dato che Monfalcone era una cittadina operaia
che poteva fungere da barriera rispetto a manovre e provocazioni reazionarie,
mentre Gorizia e parte del Friuli erano manovrate dalla reazione.
Dal punto di vista dell'organizzazione del partito a Trieste, si discuteva della
necessità di consentire a Giordano Pratolongo, gravemente malato di tubercolosi,
di poter prendere un periodo di cura non appena fosse arrivato a Trieste Vittorio
Vidali, il quale l'avrebbe sostituito come punto di riferimento del PCI nella città.
Nel mese di marzo, Pratolongo poneva all'attenzione dei compagni la
questione dei territori dell'Isonzo passati con la firma del trattato di pace sotto
l'amministrazione italiana: per fare fronte a tale situazione fu deciso di costituire
una federazione del PCI nel territorio della futura provincia di Gorizia,
comprendente anche i centri abitati di Monfalcone e Gradisca. In una lettera
indirizzata ai membri del Pcrg, la Direzione del PCI chiariva il senso della nuova 77 APC, Materiale Ufficio di Informazione del PCI a Trieste, direttive della Direzione sull'emigrazione giuliana e da Pola del 15 febbraio 1947, mf. 134. 78 APC, Verbali di Segreteria, mf 268.
31
politica cercando di fare accettare ai comunisti giuliani il nuovo ruolo guida del
Partito comunista italiano nella regione e al tempo stesso esprimendo intenti di
riconciliazione: “la costituzione della federazione è conseguenza del trattato di
pace per cui il territorio fa parte dell'Italia, ma questo non è un distacco rispetto al
vostro passato di eroica lotta malgrado qualche volta vi sia stato dissenso tra noi e
voi”79.
Dopo il periodo delle trattative a Parigi che aveva visto il PCI ed il Pcj in
rapporti piuttosto tesi, negli ultimi mesi del 1946, come abbiamo già visto, si era
discusso in seno ai due partiti sulla necessità di rinsaldare i rapporti e trovare una
politica comune su Trieste nel nuovo scenario che si apriva con la firma del
Trattato di pace. Così, ad inizio aprile, Longo si recò a Belgrado e firmò con
Djilas un accordo sull'organizzazione del movimento comunista a Trieste e sulla
sua linea politica. In tale documento si esprimeva la necessità di tenere al più
presto una conferenza del partito comunista della Marca giuliana (TLT): in tale
conferenza sarebbe stato cambiato il nome del partito ed elaborato un programma
politico. Si constatava che l'Unione Antifascista Italo-Slava (UAIS) era ancora
un'organizzazione importante e indispensabile, essa doveva pubblicare una
dichiarazione solenne soprattutto in vista delle elezioni per il parlamento del TLT.
L'UAIS avrebbe dovuto allargare le sue forme di lavoro e avrebbe dovuto fare
tutto ciò che era necessario per battere – in collaborazione con gli altri
raggruppamenti politici – i raggruppamenti reazionari e gli agenti degli
imperialisti americani e inglesi.
Il PCI avrebbe trasmesso al p.c. di Trieste, dopo il congresso o la conferenza
di questo partito, il suo organo settimanale di stampa e avrebbe sciolto tutti i
gruppi di comunisti sul TLT che sarebbero passati sotto la competenza del p.c. di
Trieste.
Bisogna dire che a questo punto del documento, nel testo francese si legge
ancora sotto il segno di cancellatura fatto da chi sottoscrisse: “il compagno
Pratolongo verrà a lavorare a Trieste. Per questa ragione rinuncerà alla sua
funzione di membro del C.c. del PCI e al suo mandato di parlamentare a Roma”.
Proseguendo nel testo dell'accordo, si precisava che i delegati dei due partiti
avrebbero preso parte al congresso o alla conferenza in qualità di invitati.
79 APC, Lettera della Direzione al Pcrg di Gorizia, Monfalcone e Gradisca, del 22 maggio 1947, mf 268.
32
Il PCI avrebbe assorbito le organizzazioni comuniste della Marca giuliana
che si trovavano sul territorio appartenente all'Italia, tali organizzazioni avrebbero
però mantenuto una cera autonomia. Il PCI assicurava il suo appoggio alle attività
democratiche della minoranza slovena soprattutto sotto forma di attività culturali,
sportive e cooperative.
Il PC della Jugoslavia dichiarava di valutare favorevolmente la parola
d'ordine del PCI per un'autonomia del Friuli, ovvero per l'autonomia di una
provincia friulana che avrebbe assorbito Monfalcone e Gorizia, (originariamente
nel testo francese si diceva: “i due partiti considerano che l'autonomia del Friuli
può essere loro utile e che di conseguenza la parola d'ordine del PCI per questa
autonomia è giustificata. La parola d'ordine dovrà essere quella dell'autonomia di
una provincia friulana che comprenderà Monfalcone e Gorizia”).
L'accordo che a prima vista sembra fare poco di più che fotografare la
situazione esistente per quanto riguarda il movimento comunista a Trieste e nella
“Marca giuliana”, rappresentava un tentativo importante di delimitare le rispettive
sfere di competenza e linee d'azione del PCI e del Pcj, soprattutto se si tiene conto
delle polemiche che c'erano state a più riprese sulla questione fin dal 1943, e
tenendo presente la rottura dell'anno successivo con l'espulsione della Jugoslavia
dal Cominform, a dire il vero determinata da una decisione proveniente da Mosca,
ma comunque con conseguenze decisive sui rapporti tra i due partiti almeno fino
al 1955. Possiamo dire quindi che l'accordo dell'aprile 1947 rappresentò forse il
momento di maggiore intesa tra i due partiti nell'arco di dieci o più anni di storia.
33
1.6 Il ritorno di Vidali a Trieste
Nel frattempo, nel marzo 1947 a Trieste era rientrato Vittorio Vidali dopo un
lunghissimo viaggio di ritorno dal Messico, attraversando l'Unione Sovietica e
l'Europa orientale. Vidali era un esponente di notevole caratura nell'ambito del
movimento comunista internazionale. “Il giaguaro del Messico”, come veniva
chiamato Vidali, era fuggito da Trieste da giovane, poiché ricercato prima in
quanto antiaustriaco e socialista sotto il dominio asburgico e poi in quanto
comunista durante la dittatura fascista. Era emigrato negli Stati Uniti dove era
divenuto rapidamente un elemento di spicco nel movimento comunista
statunitense ed era stato tratto in arresto con le accuse di ingresso illegale nel
Paese ed anarchismo. Costretto di nuovo a fuggire si era recato a Mosca dove
aveva stretto un'importante amicizia con Elena Stassova, dirigente del Soccorso
rosso, la quale lo aveva incaricato di organizzare in Messico il Soccorso rosso.
Dopo aver combattuto in Spagna nella guerra civile con il nome di “Comandante
Carlos”, era tornato di nuovo per alcuni anni in Messico prima di essere
richiamato nella sua città natale nel 1947.
Probabilmente, come qualcuno sostiene, nella nuova situazione che seguiva
alla firma del trattato di pace, l'Urss aveva intenzione di imporre una correzione di
rotta alla linea del partito comunista triestino, fino a quel momento impegnato a
sostenere i tentativi jugoslavi di destabilizzazione, ponendo al comando un uomo
di fiducia quale Vidali era.
Nei primi giorni a Trieste Vidali, dopo una così lunga assenza, si trovò
spaesato nella sua stessa città, ebbe brevi incontri con i rappresentanti locali del
movimento comunista, dai quali fu ricevuto con “fredda cortesia”80, poiché in
effetti non si conoscevano se non di fama. Vidali espresse il desiderio di recarsi a
Roma per comprendere meglio la situazione e parlare con i dirigenti del proprio
partito, cosa che creò disappunto nei suoi interlocutori81. Dopo aver incontrato
anche Pratolongo, per il quale nutriva forte stima ed amicizia, Vidali partì per
Roma per ricevere “l'investitura ufficiale” e le direttive necessarie su come agire
all'inizio. Bisogna dire che qualche giorno prima egli aveva contattato con una
lettera la Direzione del PCI in cui scriveva, con qualche errore grammaticale
80 Vidali V., Ritorno alla città senza pace, Trieste, Vangelista, 1982, p. 19. 81 Vidali V., op. cit., p. 21.
34
dovuto sicuramente alla disabitudine a scrivere in italiano, di essere d'accordo con
Pratolongo per aiutare nell'applicazione dell'intesa e della nuova linea stabilita
insieme agli jugoslavi, affermando che altrimenti la sua presenza sarebbe stata
inutile. Nella stessa lettera poneva anche la questione dell'espulsione dal partito
messicano, di cui era stato ingiustamente vittima, la quale avrebbe potuto dare
modo ai loro avversari politici di fare speculazioni in merito82. Ad una rapida
lettura del testo della lettera di Vidali alla Direzione, emerge subito la sensazione
del carattere forte e deciso del muggese che esordiva dicendo che “era ora di
finirla con le incertezze e [che] bisognava applicare la recente (sic) risoluzione”,
che bisognava comprendere che “il nemico principale” non era l'Italia e che uno
dei compiti principali era di “aiutare la creazione di buone relazioni tra i due
paesi”. Anche l'unità italoslovena non avrebbe dovuto identificarsi con l'unità
operaia-contadina ma con l'unità dei contadini con la maggioranza della
popolazione italiana, si sarebbe dovuto arrivare ad unità sindacale, “terminare con
la mancanza di rispetto dei patti e delle promesse sia fra noi che con gli altri”,
“terminare l'ostilità verso il PCI e verso gli italiani in generale”, “terminare la
diffidenza verso gli italiani nello stesso partito e nelle organizzazioni di massa”.
“Dobbiamo unire i democratici sostenitori delle tre tendenze jugoslava, italiana e
TLT per esigere che nel TLT si applichi la carta dell'Onu e ci sia pace, lavoro e
libertà”, concludeva Vidali.
A Roma, l'accoglienza “festosa, carica di affettuosa simpatia” era seguita
dal riconoscimento della necessità di rifiutare in quanto “assurda, ingiusta e
inammissibile” l’espulsione di Vidali dal partito messicano, e di Trieste quale sua
naturale collocazione in Italia (con la sola eccezione di Di Vittorio che proponeva
un incarico con sé alla CGIL). Lo stesso interessato concordava con Togliatti:
“ritengo che il mio posto sia a Trieste”83. Nell'incontro avuto nel pomeriggio “a
quattr'occhi” tra Togliatti e Vidali, il Segretario metteva in guardia circa la
difficile situazione esistente a Trieste:
“Caro Vidali so che andare a lavorare a Trieste non sarà semplice né
facile. Il problema di Trieste e di quelle terre di confine era e rimane spinoso, complesso anche angoscioso... Devi essere molto prudente e avere molta pazienza. L'ambiente in cui lavorerai è ancora rovente, le popolazioni sono ancora divise, il tessuto democratico è lacerato: non solo il fascismo ha rialzato la testa e, con l'appoggio degli Alleati e di certi ambienti romani,
82 APC, Lettera di Vidali inviata da Pratolongo alla Segreteria il 29 maggio 1947, mf. 269. 83 Vidali V., op.cit., pp. 23-24.
35
riesce a colpire, ma la divisione esiste anche all'interno della classe operaia, tra i partiti democratici che in Italia sono stati uniti durante la Resistenza e lo sono rimasti tuttora. Esistono anche rancore, odio, desiderio di vendetta, pregiudizi e posizioni preconcette da parte di tutti. Si verificano aizzamenti contro l’Italia, contro la Jugoslavia, e questa “guerra fredda” che è arrivata in tutto il nostro paese, è da tempo di casa a Trieste…ci sono stati malintesi, incomprensioni e anche dissensi tra noi e i compagni jugoslavi. Con un po’ di buona volontà siamo riusciti a superare situazioni difficili, ridimensionando o almeno sdrammatizzando i problemi. Se a Belgrado l’atmosfera è chiara, a Lubiana è abbastanza nebbiosa e a Trieste spesso è buia. Ma noi siamo sicuri che tutto si risolverà. Non dobbiamo mai dimenticare che i popoli della Jugoslavia hanno dato un contributo decisivo alla vittoria sul nazifascismo. Sono stati i primi a insorgere con le armi; si sono organizzati ammirevolmente sia dal punto di vista militare che da quello politico e possono ben essere orgogliosi della loro indipendenza conquistata a prezzo di tanti sacrifici. I loro dirigenti ci criticano: per loro siamo dei riformisti, revisionisti. Pensano che avremmo potuto fare come loro o come stanno facendo adesso i greci, e ci guardano con diffidenza e non hanno mai né giustificato né compreso la nostra posizione sul problema giuliano. Ci ritengono malati di nazionalismo e sono critici su tutto quanto abbiamo fatto da Salerno in poi. E’ inutile che io ora entri nei dettagli. Sul posto potrai meglio capire passato, presente e futuro. Mantienti in stretto contatto con noi e sappi che siamo sempre pronti ad aiutarti col nostro consiglio. Pellegrini e Pratolongo sono membri del nostro C.c., rappresentano la regione Friuli-Venezia Giulia nella Costituente e vengono spesso a Trieste dove esiste anche un nostro Ufficio d'Informazione che pubblica un giornaletto”84. E' interessante qui mettere a confronto le parole appena citate del segretario
su Trieste con l'intervento dello stesso periodo di Grieco a nome del Comitato
centrale del PCI alla conferenza provinciale della neocostituita federazione di
Gorizia:
“Noi del PCI che siamo diventati un partito di governo, un grande partito nazionale, anzi il più grande partito nazionale, che non siamo quindi più un partito di propagandisti, ma siamo un partito…che ci troviamo momentaneamente all’opposizione, dovevamo per forza avere una posizione diversa da quella del Pcj sulla questione giuliana, perché nessun partito democratico nazionale può accettare che un altro paese chieda una parte del proprio territorio nazionale…Sappiamo che la questione nazionale è subordinata agli interessi internazionali del proletariato…Ma il proletariato internazionale non può avere l’interesse che l’Italia ricada nella reazione…Perché se per malaugurata ipotesi l’Italia dovesse ricadere ancora sotto il fascismo, più o meno mascherato, questa sciagura non sarebbe solo per noi italiani, ma anche per il fronte democratico internazionale”85.
Sicuramente più ampia e “sincera” la descrizione fatta da Togliatti a Vidali,
attento a mostrare i meriti come anche le “colpe” dei compagni jugoslavi, mentre
Grieco, rappresentando il PCI di fronte ad un gruppo di compagni composto
84 Vidali V., Ritono alla città senza pace, op.cit., p. 25. 85 APC, Verbale della federazione del PCI di Gorizia 15-16 giugno 1947, mf. 247.
36
anche da ex membri del P.c.r.g., dava maggiore importanza agli elementi esterni
che avevano in qualche modo costretto il PCI ad avere una posizione diversa sulla
questione giuliana dal Pcj.
Agli inizi di settembre del 1947 a Trieste si tenne il Congresso costitutivo in
cui il Partito comunista della Venezia Giulia (Pcvg) prendeva il nome di Partito
comunista del Territorio libero di Trieste (PcTlT). Nella risoluzione conclusiva il
congresso deliberava la costituzione di un Consiglio di governo provvisorio e di
un'assemblea basata “sull'inoppugnabile realtà dei tre popoli conviventi e del
rapporto di forza esistente fra le varie correnti politiche” e l'elaborazione di una
legge e un regolamento elettorale basato sui principi democratici che permettesse
effettivamente la libera espressione popolare, così da dare vita ad un'Assemblea
Costituente democratica, la quale avrebbe avuto il compito di elaborare una
Costituzione veramente democratica del TlT”86.
86 APC, Fondo M, Mf 98, PCTLT, Congresso costitutivo 31 agosto – 2 settembre 1947.
37
1.7 La nascita del Cominform: le critiche al PCI di Kardelj e Djilas. Dopo l'invito ai Paesi dell'Europa orientale a non partecipare al piano
Marshall, l'Unione Sovietica decise di dare vita al Cominform, una struttura di
coordinamento tra i partiti comunisti europei simile al precedente Comintern che
si era dissolto nel 1943. Tra le motivazioni principali alla base di questa decisione
vi era il timore di un accerchiamento che la politica di Truman aveva alimentato
nel corso del 1947. Inoltre, i governi comunisti nei Paesi dell'Europa orientale
stentavano a consolidarsi ed alcuni capi di partito non apparivano perfettamente
allineati con le direttive del Partito comunista dell'Unione Sovietica (Pcus),
propendendo invece per delle “vie nazionali al socialismo”.
La riunione costitutiva del Cominform, che si tenne a Szklarska Poreba in
Polonia dal 22 al 27 settembre 1947, si aprì con una relazione dell'ideologo
sovietico Zdanov. In essa si riconosceva che l'esperienza della partecipazione in
un governo di coalizione aveva mostrato che questa tattica dei partiti comunisti
aveva avuto successo e aveva permesso di aumentare l'influenza sulle masse, ma i
partiti comunisti occidentali, soprattutto quello italiano e quello francese, avevano
commesso degli errori, come ad esempio quello di non saper realizzare una
corretta combinazione tra forme di lotta parlamentari ed extraparlamentari, con il
risultato di “invaghirsi” delle combinazioni parlamentari87. I comunisti francesi e
italiani erano colpevoli anche di aver adottato la “teoria non marxista” sulla
possibilità di realizzare una nuova democrazia tramite “una pacifica via
parlamentare”. Le accuse si incentravano sulla reazione, giudicata debole e
inadeguata, dei partiti comunisti occidentali di fronte alla loro estromissione dal
governo e al Piano Marshall. Compito dei comunisti dell'Europa occidentale era di
“prendere nelle loro mani la bandiera della difesa dell'indipendenza nazionale e
della sovranità dei loro Paesi, così da rendere impossibile l'asservimento
dell'Europa”88.
Le accuse dei delegati jugoslavi al PCI si differenziavano da quelle
sovietiche, poiché si attaccava in prima persona Togliatti reo, secondo Kardelj, di
aver fatto parte di una tendenza revisionistica basata sull'illusione della transizione
87 Pons S., Una sfida mancata: l'Urss, il Cominform e il PCI (1947-48), in F. Gori e S. Pons (a cura di), Dagli archivi di Mosca: l'Urss, il Cominform e il PCI, Carocci editore, Roma, 1995, p. 136. 88 Di Nolfo E., op. cit., p. 717.
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pacifica dal capitalismo al socialismo89. I comunisti italiani e francesi avevano
nostalgia verso un ritorno al governo di coalizione con i partiti borghesi, disse
Kardelj.
Il senso di questo attacco era duplice: in un senso esso mostrava la fermezza
dell'impegno jugoslavo verso l'Urss, della quale a Mosca si era cominciato a
dubitare, dall'altro rappresentava forse una risposta alla sfida sovietica verso la
lealtà jugoslava, confermata con l'impegno a farsi carico di una posizione che in
quel momento Stalin non condivideva fino in fondo e che lasciava agli jugoslavi
di manifestare, “gettando sulle loro spalle il peso di un oltranzismo che poteva
forse anche isolarli, se la spaccatura Est-Ovest si fosse in qualche modo
allentata”90.
Per il Partito comunista italiano, che nei giorni della costituzione del
Cominform vedeva alcuni suoi dirigenti come Togliatti e Pratolongo protestare
all'Assemblea costituente per un tema all'epoca tutto sommato marginale, seppure
comunque importante, nel dibattito politico come le violenze perpetrate da gruppi
di fascisti nel goriziano91, le aspre critiche ricevute in Polonia costringevano ad un
cambiamento di strategia. Il moderatismo, in cui ben si inseriva il riconoscimento
del Piano Marshall come un gesto di pacificazione da parte degli Stati Uniti,
doveva cedere il passo ad un inasprimento dei toni. “L'Unità” divenne un giornale
di battaglia e gli scioperi un'arma di lotta politica92.
Il 7 ottobre su “l'Unità” appariva un'intervista a Longo in cui il
vicesegretario chiariva il significato della costituzione del Cominform.
Ma sicuramente più interessante è quanto si può leggere dal verbale della
riunione della Direzione del PCI che si tenne lo stesso giorno. Degne di nota sono
le parole di Scoccimarro che provocarono forti reazioni in alcuni dei presenti:
“Noi non abbiamo mai pensato alla possibilità di uno sviluppo pacifico verso la
democrazia e il socialismo”, nega che “si debbano apportare grandi mutamenti
alla nostra prospettiva di lavoro. Al contrario, noi abbiamo qualcosa da dire nei
confronti del partito jugoslavo che, a mio parere, ha fatto e fa una politica
sbagliata nel Territorio libero di Trieste”. Forte era invece l'autocritica compiuta
89 Cfr. Reale E., Nascita del Cominform, Milano, Arnoldo Mondadori Ed, 1958, pp. 116-122. 90 Di Nolfo E., op. cit., p. 718. 91 Atti parlamentari, seduta dell'Assemblea costituente del 29-09-1947. 92 Di Nolfo E., La repubblica delle speranze e degli inganni L'Italia dalla caduta del fascismo al crollo della Democrazia Cristiana, Firenze, Ponte delle Grazie, 1996, p. 338.
39
da altri come Reale, che riteneva giuste alcune accuse mosse dai compagni
jugoslavi. Infine, interveniva anche il segretario Togliatti:
“…sulla difesa dell'Unione Sovietica. L'Unione Sovietica si difende
da sola, non si tratta di questo. Noi dobbiamo difendere la pace e l'indipendenza del nostro paese e perciò schierarci dalla parte della politica di pace dell'Unione Sovietica. Inoltre: esiste oggi una prospettiva immediata di insurrezione? Io ritengo che non sia gisuto porre così la questione ma, certamente, un comunista non può escluderla in eterno”93.
Un mese più tardi durante il Comitato Centrale del PCI vale la pena notare
ancora l'insistenza di Togliatti sul ripristino dei buoni rapporti con la Jugoslavia:
“La nostra critica al piano Marshall non è l'espressione di una politica che voglia
isolare l'Italia dal mondo capitalistico occidentale, poiché noi sappiamo che ciò
non è possibile, ma è la richiesta di una politica economica indipendente […] Le
nostre rivendicazioni devono essere di […] ripresa quindi di ampi rapporti di
collaborazione, di amicizia e di scambio con questi paesi ed in particolare […]
con quel paese di nuova democrazia che è direttamente confinante con noi: la
Repubblica popolare democratica jugoslava”94.
93 APC, Verbali Direzione, Riunione del 25 ottobre 1947, mf.272 94 APC, Verbali Comitato centrale, riunione del 11-13 novembre 1947, mf 276.
40
1.8 La questione di Trieste nella campagna elettorale del PCI del 1948 e la dichiarazione tripartita
Il primo gennaio 1948 la Costituzione della Repubblica italiana entrò in
vigore e le elezioni per la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica furono
indette per il 18 aprile successivo.
Dal 4 al 10 gennaio 1948 si tenne il VI congresso del PCI, con cui si entrava
subito in clima da campagna elettorale.
Nel discorso di apertura di Togliatti veniva dato ancora grande risalto al
tema dell'amicizia con il “vicino orientale”, la Jugoslavia: “Noi vogliamo essere
amici con tutti i popoli che confinano con noi: respingiamo in particolare tutti i
tentativi che ogni giorno vengono rinnovati per cercare di mantenere un focolaio
di inimicizia tra noi e i popoli della Repubblica federativa popolare jugoslava” ed
il segretario concludeva con un saluto a nome del Partito comunista italiano a Tito
e alla Jugoslavia.
Su l'Unità del 6 gennaio dedicata quasi esclusivamente all'apertura dei lavori
del VI congresso PCI, appariva però un trafiletto sui negoziati per la nomina del
governatore del TlT: “Sforza sembra abbia più paura di accordarsi che di lasciare
che Trieste divenga una fortezza nelle mani dell'imperialismo anglo-americano”.
Il tema di Trieste ritornava così in primo piano dopo essere stato messo da parte
per diversi mesi, in occasione della campagna elettorale per le elezioni politiche
del 18 aprile. E così anche su l'Unità del 7 gennaio si leggeva: “Il governo ha
sabotato l'accordo sul Governatore di Trieste” e un'esaustiva cronaca degli
incontri avvenuti alcuni giorni prima a Roma tra il ministro plenipotenziario
Mladen Ivekovic e il Segretario generale del Ministero degli affari esteri Franzoni
per la scelta del governatore del TlT spiegava come la colpa del mancato accordo
fosse da attribuire al governo italiano il quale aveva proposto per la carica di
governatore del TlT tutte personalità che già sapeva essere inaccettabili per il
governo jugoslavo. Due giorni dopo veniva chiarito che “Sforza vuole a Trieste
gli anglo-americani”95.
Il 28 gennaio Pajetta riferiva alla Segreteria sulla riunione dell'Informbjuro
(Cominform) che si era appena tenuta: “Sia nel corso della riunione, che nelle
conversazioni avute con i compagni dei vari partiti, abbiamo avuto la ferma
95 L'Unità, 9 gennaio 1948.
41
sensazione della grande stima che il nostro partito gode fra tutti i partiti fratelli.
Gli stessi compagni jugoslavi con i quali abbiamo parlato ci hanno dimostrato di
aver superato la posizione negativa che per lungo tempo hanno avuto nei nostri
confronti. La nostra impressione è che tutti aspettano grandi cose dal nostro
partito”96
Per sostenere la campagna elettorale appena cominciata, il PCI aveva
bisogno di ingenti fondi in maniera tale da poter tenere testa alla Dc che era
generosamente finanziata dal governo statunitense. Pietro Secchia inviato a Mosca
per trovare un accordo su tali finanziamenti, tornò in Italia con l'assicurazione che
il PCI avrebbe ricevuto a breve 650.000 dollari. Ottenute le risorse necessarie, il
PCI poteva scatenare l'offensiva propagandistica con tutte le sue armi97.
Ingrao, su l’Unità, inveiva contro i “lustrascarpe dell’America” e ribadiva
che solo accordi diretti potevano risolvere la disputa su Trieste, Togliatti
assicurava da Siracusa, durante l’ennesimo comizio, che il giorno in cui l’Italia
avesse avuto un governo libero, pure la questione di Trieste sarebbe stata “risolta
in quattro e quattr’otto”98.
Ma l'avanzata “trionfale” del PCI verso le elezioni del 18 aprile subì un
primo forte scossone con la crisi che si aprì in Cecoslovacchia il 20 febbraio. Gli
arresti in massa seguiti dal suicidio del ministro degli Esteri Masarik, in quello
che era rimasto l'unico Paese dell'Europa orientale che ancora non era stato
trasformato in un regime staliniano, colpirono l'opinione pubblica italiana e
furono abilmente sfruttati dalla propaganda democristiana.
Il 20 marzo 1948 i governi americano, britannico e francese resero pubblica
una loro dichiarazione secondo la quale tutto il TLT avrebbe dovuto essere
restituito all'Italia, visto che il Consiglio di Sicurezza non riusciva a raggiungere
un'intesa sul nome del governatore. Naturalmente non c'era nessuna possibilità
che tale dichiarazione “tripartita” fosse realmente applicata, poiché ciò avrebbe
richiesto un'azione di forza contro gli Jugoslavi che allora godevano ancora
dell'appoggio sovietico e meno ancora essa sarebbe stata applicabile dopo la
rottura tra Tito e Stalin alla fine del giugno 1948, poiché ciò avrebbe rigettato Tito
nelle braccia del dittatore sovietico. Chi aveva un minimo di confidenza con le 96 APC, Verbali Segreteria, 28 gennaio 1948 mf 278. 97 Riva V., Oro da Mosca : i finanziamenti sovietici al PCI dalla rivoluzione d'ottobre al crollo dell'URSS, Milano, Mondadori, 2002, p. 121. 98 Togliatti P., La nostra politica estera è legata ad una questione decisiva: la difesa della pace, L'Unità, 21-03-1948.
42
contraddizioni del linguaggio diplomatico sapeva tutto questo sin dall'inizio e non
si faceva illusioni. Ma la dichiarazione del 20 marzo fu una specie di terno al lotto
per la DC, a poco meno di un mese dalle elezioni. Ciò che i Sovietici avevano
tolto all'Italia, gli occidentali si preparavano a renderle. La percezione generale fu
questa; essa contribuì a convalidare l'immagine della Dc come quella di un partito
“nazionale” e quella delle sinistre come l'immagine di una forza politica
“antinazionale”99 .
Secondo De Castro, la dichiarazione tripartita fu di estrema utilità agli
Alleati “più che un dono all'Italia. E se questa venne in luce prima delle elezioni
italiane, non deve essere considerata una manovra degli Occidentali, avente lo
scopo di influenzarle... in quanto ad una decisione simile, o prima o poi, si
sarebbe giunti. Se le elezioni italiane non fossero state vicine, forse la
dichiarazione tripartita sarebbe stata emessa più tardi, ma sarebbe arrivata ad ogni
modo”100.
Da ciò che emerge da documenti d'archivio del Foreign Office inglese e del
Dipartimento di Stato americano, le potenze occidentali decisero di emanare la
dichiarazione per prevenire un'analoga mossa che i comunisti italiani stavano
preparando per guadagnare consensi in vista delle elezioni101; benchè Pajetta si
fosse effettivamente recato in Jugoslavia nel febbraio precedente, tuttavia non si
hanno prove dei risultati raggiunti con tale missione.
Il 13 aprile ci fu la risposta sovietica alla dichiarazione tripartita, in cui si
affermava che non si poteva cambiare ciò che era stato stabilito nel Trattato di
pace attraverso corrispondenza o conferenze private. Tuttavia, il 22 aprile veniva
anche denunciato l'accordo che c'era stato tra Kardelj e Molotov a febbraio per
reciproche consultazioni in politica estera in quanto, secondo i sovietici, il
governo di Belgrado aveva dato risposta agli Occidentali circa la revisione del
trattato di pace con l'Italia senza preventivamente avvisare di ciò il Cremlino.
Quest'ultima mossa si può leggere come una condanna da parte sovietica alla
politica autonoma condotta da Tito su Trieste.
99 Di Nolfo E., La repubblica degli inganni. L'Italia dalla caduta del fascismo al crollo della Democrazia Cristiana, op.cit, p.346. 100 De Castro D., Cenni riassuntivi sul problema giuliano nell'ultimo decennio,op. cit., p.128. 101 Vedi per esempio: Pirjevec J., Tito Stalin e l'Occidente, Trieste, 1990, p. 73 e Pupo R., Fra Italia e Jugoslavia. Saggi sulla questione di Trieste (1945-1954), Udine, Del Bianco Editore, 1989, p. 65.
43
Ma Togliatti non aveva atteso la risposta sovietica per attaccare la
Dichiarazione tripartita: il 26 marzo su l'Unità scriveva un articolo intitolato
“Truffa all'americana”, in cui appunto paragonava il governo italiano a chi nel
corso di una truffa per strada cerca di distrarre la vittima designata (in questo caso
il popolo italiano) mentre il truffatore vero e proprio (gli Stati Uniti) mette a segno
il colpo. Per risolvere la questione di Trieste in “quarantott'ore”, il segretario PCI
proponeva invece la già sostenuta soluzione delle trattative dirette con la
Jugoslavia, tornando a chiarire anche il significato della sua iniziativa diplomatica
del novembre del 1946:
“[…] I disgraziati uomini politici che oggi dicono di dirigere la nostra
politica estera – in realtà essi non dirigono nulla, ma vanno e lasciano andare il nostro Paese alla deriva nel vortice pauroso che trascina verso una nuova guerra e una nuova catastrofe i popoli d’Europa – non solo non posseggono nè il senso della realtà né il senso delle necessità nazionali, ma nei confronti dei gruppi imperialistici che vorrebbero imporci una nuova guerra per conto loro, compiono esclusivamente la degradante funzione del compare che tiene a bada il poveretto cui si sta cercando di portare via il portafogli con una truffa all’americana.
[…] I ministri occidentali hanno proposto, in sostanza, di risolvere la questione di Trieste senza tener conto della Jugoslavia, del cui parere, nella loro nota, nemmeno si fa cenno. Ma il trattato è firmato anche dalla Jugoslavia e non si vorrà negare che questo paese è, insieme con l’Italia, il più interessato alla questione triestina. Che cosa vuol dire rivedere un tratto collettivo per atto d’una sola parte, senza nemmeno consultare l’altra parte interessata? Credo non occorra possedere grande scienza storica e diplomatica per sapere cosa vuol dire. Nel migliore dei casi vuol dire una rottura di relazioni. Ma quando si leggono i discorsi di Truman e, come commento alla nota triestina dei tre occidentali, uomini di stato americani annunciano a suon di tromba che le navi americane nel Mediterraneo sono già cariche di bombe atomiche, è più che legittimo pensare che i guerrafondai d’oltre Oceano pensano probabilmente a qualcosa di molto più grave che a una rottura di relazioni pensano di scatenare un nuovo flagello tremendo e hanno scelto Trieste unicamente come un pretesto, per poter trascinare l’Italia nell’abisso sin dal primo momento, servendosi del nostro povero Paese come punto d’appoggio per i loro delitti….Quanto agli americani, agli inglesi ai francesi, se essi vogliono davvero aiutare l’Italia a riavere Trieste entro le sue frontiere e sotto la sua sovranità, essi non hanno da fare altro che una cosa: togliere il loro divieto alle conversazioni e alle trattative dirette tra la Repubblica italiana e la Repubblica jugoslava circa la questione di Trieste e tutte le altre che sono pendenti tra i due paesi, il pretesto del preteso richiesto scambio con Gorizia è una cosa che fa ridere chiunque si intenda di trattative diplomatiche. Nessuno lo sa meglio di me, che condussi quelle conversazioni con Tito nel novembre 1946 e al ritorno dichiarai che non vi era nessun “prendere o lasciare”, nessuno “scambio” tassativamente richiesto, ma vi era unicamente una prima impostazione, da parte jugoslava, del problema, tanto per aprire la trattativa”102.
102 Truffa all’americana, L'Unità, 26 marzo 1948.
44
Bisogna qui tenere presente che Togliatti, poco prima di scrivere questo
articolo, aveva ricevuto rassicurazioni da Molotov riguardo alle preoccupazioni
che il segretario del PCI aveva sollevato in un incontro avvenuto vicino Roma con
l'ambasciatore sovietico Kostylev. Il Ministro degli Esteri sovietico aveva escluso
la possibilità che il PCI potesse fare ricorso ad una risurrezione armata in qualsiasi
caso, ammettendo solo la difesa armata delle sedi del PCI103. La risposta di
Molotov rientrava in una strategia sovietica, cominciata dal settembre 1947, in cui
la soglia della sfida non venne elevata mai oltre un certo livello, cioè quello del
rilancio dell'influenza sovietica nella “sfera d'influenza” occidentale.
Le critiche cominformiste avevano aperto una frattura tra moderati e
intransigenti all'interno del PCI, dinanzi alla quale Mosca non sostenne
apertamente né l'una né l'altra delle due posizioni. Nel momento delle decisioni,
Stalin fece però pendere il peso della bilancia verso i moderati e verso il ruolo di
Togliatti. Tuttavia, non fu messa in atto una politica formulata sulla base di un
coordinamento tra gli orientamenti dei comunisti italiani e le strategie della
politica estera dell'Urss, le quali verso l'Europa occidentale si riducevano alla
propaganda e all'attesa di nuovi conflitti sociali. Un evidente clima di incertezza
permaneva ancora alla vigilia delle elezioni dell'aprile 1948, anche se già alcuni
mesi prima si era delineata una presa di distanza dei sovietici dalle opzioni
insurrezioniste sostenute dagli jugoslavi. L'unico dato certo era quello della
militarizzazione dello scontro in Europa e del conseguente giro di vite nei
controlli esercitati da Mosca. Ai partiti comunisti dell'Europa occidentale si finì
col chiedere un contributo ad assecondare, anziché combattere, le tendenza verso
gli scenari della militarizzazione.104
Tornando alle posizioni espresse dal PCI sulla questione di Trieste durante
la campagna elettorale per le elezioni politiche dell'aprile del 1948 sulle pagine
de l'Unità, organo di stampa ufficiale del partito, vi erano stati sporadici articoli
sul tema105, finché non era arrivata la dichiarazione tripartita a sconvolgere il
quadro della situazione. Da allora la stampa comunista si era scatenata per alcuni
giorni affermando che solo un governo democratico e indipendente avrebbe
potuto risolvere la questione di Trieste, mentre le potenze occidentali speculavano 103 Gibjanskij L., Mosca, il PCI e la questione di Trieste (1944-1948), in F. Gori e S. Pons (a cura di), op. cit., p. 83. 104 Pons S., Un sfida mancata: l'Urss, il Cominform e il PCI (1947-1948), in F. Gori e S. Pons (a cura di), op. cit., p. 168. 105 Cfr.: Protesta della Jugoslavia per le navi americane a Trieste, L'Unità, 20-02-1948.
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sui sentimenti degli italiani offrendo territori di cui non disponevano e
guardandosi bene dal restituire le Colonie e Briga e Tenda. Belgardo era pronta a
trattare con l'Italia, ma sarebbero state pronte le potenze occidentali a restituire I
territori sopra menzionati e I miliardi pagati dall'Italia in conto riparazioni? Il
problema poteva essere risolto solo dall'intesa fra un'Italia democaratica e la
Jugoslavia , ma le proposte di Tito per la pace e la collaborazione amichevole
cozzavano con le reali intenzioni di Truman e dei “suoi servi” che desideravano la
guerra106. L'Unità tornava per un paio di settimane a tacere quasi, a parte qualche
trafiletto, su Trieste fino alla nota sovietica (13 aprile) di risposta alla
dichiarazione tripartita che Togliatti e compagni avevano aspettato con ansia
prima del giorno delle elezioni (18 aprile). Essa affermava chiaramente che il
trattato di pace, e quindi anche la questione di Trieste, non potevano venire
modificati senza l'accordo di tutti gli interessati. Sulle pagine de L'Unità il PCI
poteva quindi esultare, gridando al “bluff elettorale” verso la dichiarazione
tripartita, e sostenendo che al Quai d'Orsay si era d'accordo in linea di principio
con quanto espresso nella nota sovietica107.
106 Cfr.: Solo un governo democratico e indipendente potrà risolvere la questione di Trieste, L'Unità, 21-03-1948; Belgrado pronta a trattare con l'Italia su Trieste, L'Unità, 26-03-1948; Il problema di Trieste può essere risolto solo dall'intesa fra un'Italia democratica e la Jugoslavia, L'Unità, 27-03-1948; La Jugoslavia conferma la volontà di trattare direttamente con l'Italia, L'Unità, 31-03-1948. 107 Vedi ad esempio: Solo l'accordo di tutti I paesi interessati può restituire Trieste all'Italia, 14-04-1948; Il bluff su Trieste, L'Unità, 15-04-1948; Il Quay d'Orsay si dichiara d'accordo con la nota sovietica sulla questione di Trieste, L'Unità, 16-04-1948.
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1.9 La risoluzione del Cominform del 28 giugno 1948
La trasformazione dei governi dei Paesi dell'Europa orientale in altrettanti
regimi staliniani promossa dall'Unione Sovietica nel biennio 1946-47, con
conseguenti epurazioni anche violente all'interno dei partiti comunisti a capo di
quei governi, trovò un'eccezione in Jugoslavia. Qui la presenza di un leader come
Tito, che grazie ai successi della lotta partigiana da lui guidata durante la Seconda
Guerra Mondiale tendeva a considerarsi secondo solo a Stalin nell'ambito del
movimento comunista mondiale, faceva sì che le epurazioni non volute dallo
stesso capo jugoslavo fossero più difficili, come anche l'imposizione di direttive
non gradite. Mentre Stalin tra il 1941 e il 1947 aveva seguito una politica
“elastica”108 nei confronti del mondo occidentale, Tito era stato assai più rigido
nella contrapposizione all'Occidente, come anche l'andamento della riunione di
Szklarska Poreba del settembre 1947 aveva dimostrato. Inoltre, Stalin era
preoccupato dai tentativi di Tito di porsi a capo di una federazione comunista
danubiano-balcanica, che sembrava poter prendere forma dalla collaborazione
portata avanti dal leader jugoslavo con il capo del governo bulgaro Dimitrov nella
seconda metà del 1947. Così, nel marzo del 1948 Stalin giunse alla decisione di
dover intervenire per ristabilire le gerarchie nel blocco comunista e scrisse una
lettera a Tito di accuse di deviazionismo ideologico, ma il capo jugoslavo non
chinò la testa e respinse tutte le accuse. La resistenza di Tito spinse la direzione
sovietica a riunire il Cominform a Bucarest a fine giugno per decretare la
condanna del deviazionismo ideologico di Tito e dei suoi principali collaboratori
Djilas e Kardelj e la conseguente espulsione della Jugoslavia dall'organizzazione
comunista.
Per quanto riguarda i vertici del Partito comunista italiano, la risoluzione del
Cominform del 28 giugno 1948 non giunse del tutto inaspettata.
Fin dal 22 maggio, replicando ad una lettera di Suslov, Togliatti aveva dato
risposta favorevole alla proposta sovietica di convocare la riunione del
Kominform con all’ordine del giorno la situazione nel Pcj, chiedendo soltanto che
essa slittasse alla seconda metà di giugno per consentirgli di partecipare ai lavori
in parlamento: 108 Di Nolfo E., op. cit., p. 728.
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“Preoccupante e grave ci sembra il fatto che tutta la condotta dei compagni dirigenti del Pcj dimostra che essi non comprendono oppure hanno dimenticato il ruolo dirigente che spetta nel movimento comunista mondiale all’Unione Sovietica, e il ruolo dirigente che spetta al partito bolscevico nei confronti dei partiti comunisti degli altri paesi […]è vero che nel 1943 abbiamo deciso di sciogliere l’Internazionale comunista, ma questa decisione non è mai stata intesa da nessuno di noi, né può essere intesa come la negazione di questo ruolo dirigente dell’Unione Sovietica, del partito bolscevico e dei suoi capi, [che] doveva e deve fornire una guida per il giusto orientamento di tutti i partiti comunisti in questo periodo in cui essi non fanno più parte, come prima, di una organizzazione internazionale unitaria […] l’esperienza di questi ultimi anni crediamo dimostri a sufficienza che è grazie al potente aiuto che gli è stato dato dalle vittorie economiche, militari e politiche dell’Unione Sovietica che il movimento comunista ha potuto compiere particolarmente in Europa un enorme passo in avanti, sia con la creazione dei regimi di nuova democrazia nei paesi che sono stati liberati dall’esercito sovietico, sia con la formazione di grandi partiti comunisti di massa nei paesi che, come il nostro, sono passati da un regime [di] fascismo a un regime di predominio dell’imperialismo anglosassone”109.
Ma per quanto riguarda la “base”, nessuno poteva sapere ciò che stava per
succedere, come è testimoniato anche dagli articoli che apparivano sulla stampa
comunista: il 25 maggio 1948 su l’Unità si festeggiava solennemente il
compleanno di Tito ed il 27 maggio in un articolo intitolato “Si specchieranno i
grattacieli nelle pigre acque del Danubio” venivano dati resoconti entusiastici sui
progressi compiuti nel campo della democrazia socialista in Jugoslavia110.
Ancora ai primi di giugno Giuliano Pajetta, che da lì ad un mese sarebbe
stato sostituito da Ottavio Pastore come redattore all’Ufficio di Informazione,
riceveva da Togliatti l’indicazione di allinearsi sulle posizioni sovietiche, “avendo
però cura di sottolineare la nostra profonda stima verso i compagni jugoslavi”111.
Che il vertice del partito alla vigilia della crisi sapesse cosa bolliva in
pentola appare cosa certa, altrettanto certo, però è che il corpo del partito e persino
gli intimi di Togliatti erano all’oscuro del dissidio quando il segretario e Secchia
partirono per l’assise rumena, il 19 giugno112.
Alla riunione del Cominform intervenne Togliatti il 22 giugno con un
discorso in cui non “non si limitava ad avallare in toto le tesi sovietiche sulle
109 APC, Materiali Kominform, mf 192, p.0269. 110 L'Unità, 27 maggio 1948. 111 Forse Togliatti capì che Stalin sbagliava, in Globo, 24-6-1973, intervista a Giuliano Pajetta. 112 Zuccari M., op. cit., p. 167.
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“deviazioni” titine, ma scavava nella colpa fino a metterne a nudo il nocciolo:
l’attacco al ruolo guida dell’Urss e dunque all’unità del campo comunista”. Come
è possibile leggere dall'Archivio Secchia, Togliatti affermò che “i dirigenti del Pcj
hanno spezzato i loro legami con le democrazie popolari, con la terra del
socialismo e il movimento comunista, ed essi devono inevitabilmente scivolare
nel nazionalismo borghese. Cercare aiuto dai paesi imperialisti significa portare la
Jugoslavia all’inevitabile perdita d’indipendenza ed il popolo jugoslavo alla
rovina”113.
Togliatti aveva così ancora una volta deciso di seguire fino in fondo e senza
titubanze le indicazioni provenienti da Mosca. Lo confermerebbe anche l'aneddoto
secondo il quale avendo Antonio Giolitti espresso qualche dubbio sulla vicenda fu
zittito dal segretario del PCI al suo rientro da Bucarest: “Non osare neppure dirlo!
Guai ad avere dei dubbi, guai! Attento, questa per noi è la pietra di paragone. Guai
se avessimo incertezze o esitazioni: la nostra è una scelta di principio. Non è che
si possa chiedere se Tito abbia una qualche ragione, non può che avere tutti i
torti!”114.
La decisione dell’Informbjuro ricevette l'approvazione della direzione del
PCI “completa e senza riserve”, benché emergesse dagli interventi dei presenti
disagio e preoccupazione per le conseguenze internazionali e i possibili risvolti
interni dello scontro115.
Il 30 giugno su l'Unità si rimproverava alla Jugoslavia di non aver accettato
le critiche degli altri partiti comunisti e di non aver ammesso le proprie colpe116.
Sulla stessa pagina si trova anche un articolo del vicesegretario Pietro Secchia
intitolato “L'Unione Sovietica forza dirigente nella lotta per il socialismo” in cui
viene celebrato il ruolo di unica guida del movimento comunista mondiale
all'Urss, contro l'errore jugoslavo del perseguimento di una “via nazionale al
socialismo”.
Su L'Unità del primo luglio si affermava che Truman e Tito avessero
intavolato trattative per sbloccare l'oro jugoslavo depositato nelle banche
americane già da tre settimane e che la stampa americana cercava di sfruttare il
113 Ivi, p.170. 114 Di Loreto P., Togliatti e la “Doppiezza”. Il PCI tra democrazia e insurrezione (1944-1949), Bologna, Il Mulino, 1991, p. 276. 115 APC, Verbali della Direzione, riunione del 28 giugno 1948, mf 199, p. 1-15. 116 I dirigenti del P.c. di Jugolsavia rifiutano di correggere i propri errori, L'Unità, 30 giugno 1948.
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grave atteggiamento assunto dai dirigenti jugoslavi per provocare una “breccia
permanente” nel fronte anti-imperialista, riportando dichiarazioni del quotidiano
francese Le Monde si faceva anche un accenno a Trieste come possibile terreno
per trovare un accordo tra Stati Uniti e Jugoslavia: “L'organo di Quay d'Orsay Le
Monde si dimostra però assai pessimista circa la possibilità per gli Stati Uniti di
servirsi dei dollari per agganciare la Jugoslavia all'economia occidentale
sbloccando l'oro concedendo prestiti […] e persino escogitando un nuovo
compromesso sullo Statuto di Trieste”117. Nella stessa edizione del quotidiano
comunista Felice Platone commentava “la triste difesa dei dirigenti jugoslavi”
rispetto alle accuse che erano state mosse dagli altri membri del Cominform.
Finalmente il due luglio scriveva su l'Unità anche il segretario che si
scagliava contro la “stampa gialla” e i “signori occidentali” colpevoli di “fare il
gioco dei bussolotti” fraintendendo volontariamente il vero significato della
risoluzione del Cominform sulla mancata organizzazione del partito comunista in
Jugoslavia e sulla questione agraria. Togliatti ribadiva alla fine dell'articolo che la
guida del movimento socialista era una sola e cioè l'unico Paese in cui un partito
marxista-leninista aveva la funzione dirigente, l'Urss; l'errore dei dirigenti
jugoslavi era dovuto alla “presunzione” di non avere riconosciuto il contributo
determinante sovietico nella vittoria finale nella Seconda Guerra Mondiale118.
Sulla stessa pagina, veniva riportato anche un estratto dell'articolo che usciva lo
stesso giorno su Il lavoratore di Trieste, in cui i comunisti triestini si schieravano
“senza riserve e senza oscillazioni dalla parte del comunismo mondiale”, cioè
dalla parte dell'Unione Sovietica, chiedendo ai dirigenti jugoslavi di riconoscere e
correggere i propri errori tramite lo strumento della critica e dell'autocritica.
Il giorno precedente Togliatti alla riunione di cellula dell'apparato del PCI
fece un intervento molto significativo sulla decisione presa nei giorni scorsi in
Romania dopo che Secchia aveva letto un esauriente rapporto. Importantissimo
riguardo alla questione di Trieste è il brano del rapporto che segue, in cui il
segretario metteva in guardia i compagni dal cadere nella tentazione di
approfittare della “scomunica” jugoslava, scivolando sul piano del nazionalismo,
bisognava invece insistere sulla strada fino ad allora seguita dei contatti e delle
trattative diretti con gli jugoslavi: 117Cfr.: Lo sblocco dell'oro jugoslavo. Dichiarazioni di Washington sulle trattative con Tito. Contatti in corso già da tre settimane, L'Unità, 1 luglio 1948. 118 Cfr.: Considerazioni preliminari, L'Unità, 2 luglio 1948.
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“Sulla domanda posta dal compagno Romiti il quale desidera sapere se era più importante la questione di politica estera o quella di politica interna, credo che è difficile dire quale era la più importante perché se nei compagni jugoslavi vi è stata e vi è una deviazione sui problemi di politica estera, essa è stata la conseguenza del fatto che hanno abbandonato la via dell’internazionalismo e si sono posti su quella del nazionalismo e questo è dovuto al fatto che non riconoscono la funzione dirigente del partito bolscevico, dal fatto che hanno allentato i legami con i partiti e i paesi di nuova democrazia chiudendosi in una loro concezione nazionalistica.
Però guardiamoci bene, noi compagni italiani, a non far coincidere la nostra critica dei compagni dirigenti jugoslavi con quelle che erano ieri le posizioni del nazionalismo italiano. Il nazionalismo italiano ha combattuto contro la Jugoslavia popolare, contro la Jugoslavia di Tito e contro Tito rivendicando la città di Trieste, respingendo ogni contatto con la Jugoslavia di Tito a proposito della città di Trieste e facendo di questo stato e di questo regime il nemico numero uno dell’Italia. Facciamo quindi attenzione a non cadere noi stessa in quella linea, a non andare per quella strada perché quella sarebbe per noi una vera deviazione nazionalistica. Noi, a proposito della questione di Trieste, dobbiamo continuare a seguire quella che è stata la nostra linea negli ultimi tempi; noi rivendichiamo un regolamento di tale questione attraverso i contatti con la Jugoslavia popolare che abbia superato quelle deviazioni”119.
Togliatti aveva anche affermato che di fronte agli errori dei dirigenti
jugoslavi era stato necessario “mettere a tempo il dito nella piaga, denunciare gli
errori”120.
Nella prima metà di luglio continuarono sulla stampa comunista gli articoli
di denuncia della deviazione titina, ma con accuse generiche e ripetitive circa il
non riconoscimento jugoslavo del ruolo guida dell'Unione sovietica, la
degenerazione militaresca in corso in Jugoslavia e la questione agraria.
Il numero di Rinascita del luglio 1948 riportava l'articolo intitolato “Il fronte
del socialismo e i casi di Jugoslavia” di Felice Platone che si basava su una
rievocazione dell'internazionalismo proletario contrapposto al nazionalismo titino,
un po' poco per quella che era la rivista teorica del partito. In realtà, la scarsa
consistenza in termini ideologici di tali scritti costituiva la riprova di una battaglia
affrontata dalla Direzione senza convinzione né interesse. Il direttore di Rinascita
era Togliatti stesso e nella “sua” rivista si parlava poco della rottura forse perché
attento a non chiudere la porta in faccia agli jugoslavi, in omaggio a un ruolo di
mediatore nella disputa da più parti ventilato121.
119 APC, Fondo Togliatti, Carte della scrivania, mf. 1164, pp. 12-13. 120 Ivi, p. 3. 121 Galeazzi M. , Togliatti e Tito: tra identità nazionale e internazionalismo, Roma, Carocci, 2005, p. 66.
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Ad ogni modo, il nove luglio la Direzione rifiutava l'invito a partecipare al
congresso del Pcj considerato oramai “fuori dalla famiglia dei partiti comunisti
aderenti all'Ufficio di informazione”122.
Di fronte alla scarsa incisività della campagna di accusa del PCI contro
l'eretico Tito, Stalin in persona si preoccupava di inviare una lettera al compagno
Togliatti, lo stesso giorno in cui questi rimaneva vittima di un attentato a Roma:
“Ho l'impressione che voi contiate sulla sconfitta di Tito e del suo
gruppo al congresso del Pcj. In considerazione di ciò voi proponete di pubblicare materiali compromettenti i dirigenti jugoslavi nel cmapo dei rapporti con l'Urss. Debbo dirvi che noi moscoviti non contiamo e non abbiamo contato su una simile rapida sconfitta del gruppo di Tito. […] Il nostro scopo era, nella prima tappa, quello di isolare i dirigenti jugoslavi agli occhi degli altri partiti comunisti e di smascherare le loro macchinazioni truffaldine. […] In seguito avverrà il graduale distacco del gruppo marxista del partito da Tito e dal suo gruppo. Per questo occorre tempo e saper attendere. Si vede che in voi non c'è sufficiente pazienza per questo. Ma io vi consiglio di fornirvi di pazienza essendo che la vittoria del marxismo-leninismo in Jugoslavia fra qualche tempo non può essere messa in dubbio”123.
Dopo i disordini che scoppiarono in tutta Italia alla notizia del ferimento di
Togliatti, che i dirigenti del PCI si preoccuparono di controllare in qualche modo
in maniera tale che non si arrivasse ad un'insurrezione vera e propria, i toni della
campagna antitina su l'Unità si smorzarono, con l'eccezione dell'edizione milanese
sempre molto aggressiva nei confronti della Jugoslavia.
1.9.1 La risoluzione del Cominform e il PCTLT
L'arma migliore e più efficace per il PCI nello scontro con Tito diventò così
il Pc del TlT. Infatti, quella che per i comunisti italiani era una questione spinosa,
focolaio di tensioni internazionali e spina nel fianco della politica nazionale del
“partito nuovo” si rivelò un indubbio vantaggio nella disputa col maresciallo. Solo
in quello spicchio di terra che s'affaccia sul Golfo di Trieste, infatti, il PCI poteva
godere della favorevolissima situazione d'un partito ligio a Mosca e diretto da
Roma ma sostanzialmente presentato come autonomo da entrambe. Si trattava di
una posizione di favore che non aveva alcun partito comunista nel mondo: mentre
122 APC, Verbali della Direzione, 8-9 luglio 1948, mf 199. 123 APC, Materiali Cominform, mf.192, lettera di Stalin al compagno Gottwald copia al compagno Togliatti 14 luglio 1948.
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ogni partito cominformista doveva scendere in campo con tutto il peso del suo
apparato e dello Stato, di fatto i dirigenti del PCI, dopo le numerose critiche
sollevate dai primi interventi nella disputa sul problema dei contadini e dei
rapporti nel “Fronte”, tendevano a evitare la lotta frontale sui propri media
nazionali, al fine di non prestare il fianco ad accuse difficilmente arginabili, e
demandavano alle testate locali l'attuazione direttive cominformiste. Il lavoratore,
foglio del Pc del TlT, assumeva il ruolo che altrove solo gli organi centrali
potevano coprire: quello di custode dell'ortodossia e quotidiana tribuna dove
denunciare i crimini del titismo. A uso e consumo dei quadri locali, più esposti al
pericolo di “contaminazioni”, ma anche di quelli oltreconfine, dove il giornale
divenne strumento di propaganda e lotta politica fra le popolazioni istriane e
slovene italiciste e, ovviamente, fra le minoranze italiane rimaste in loco. Per
diversi anni fu impossibile distinguere gli editoriali di Leopoldo Gasparini o i
fondi di Vidali su Il Lavoratore, dai loro omologhi sul Robotniciske Delo o sullo
Zeri i Popullit124.
Il 3 e 4 luglio si riunì il Comitato esecutivo del Pc del TlT per discutere la
risoluzione dell'Ufficio d'Informazione: emersero due tendenze contrapposte
ognuna delle quali rappresentata da una risoluzione. La risoluzione Vidali
ricevette 6 voti e quella di Babic 4: prevalse dunque l'ala cominformista su quella
filojugoslava.
“Il Comunista” di Trieste affermava che la risoluzione, anche per il
comunismo triestino, era come un “raggio di sole”, una mano energica e forte che
apriva tutte le finestre della “casa”, che permetteva finalmente di respirare
liberamente, parlare, discutere, decidere. Essa indicava ciò che doveva essere un
partito comunista educato nello spirito dell'internazionalismo proletario, un partito
profondamente democratico, di tipo nuovo, legato alle masse ed amato dal
popolo”. Pratolongo e Destradi riferivano in segreteria a Roma il sette luglio,
portando una relazione di Vidali sulla situazione presente:
“Non c’è dubbio che la lotta sarà dura. Essi hanno un apparato, i fondi,
e sono spregiudicati nell’applicare tutti i mezzi di coazione, incluso quello poliziesco…Il loro obiettivo è mantenere il potere ed usarlo per impedire al partito di esprimersi e mettersi sulla buona strada. Sarebbe molto importante pubblicare nell’organo del Cominform un trafiletto riassumendo le notizie su Trieste ed indicando che la stragrande maggioranza d’italiani e slavi ha
124 Zuccari M., Il PCI e la “scomunica” del '48. Una questione di principio, in F. Gori e S. Pons (a cura di), op. cit., pp. 182-183.
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accettato la risoluzione del Cominform. Noi continueremo ad inviarvi notizie per telefono ma è importante che almeno ogni dieci giorni un compagno venga a trovarvi… Fino adesso ci siamo limitati a chiedere al Cc di Belgrado di riconoscere i suoi errori e di rivolgerci ad altre organizzazioni nella Jugoslavia affinché intervengano presso il Cc per obbligarlo a fare ciò. Abbiamo fatto così specialmente per non urtare la suscettibilità della popolazione slovena. Passiamo all’attacco?”
Nella riunione di segreteria si consigliava ai compagni triestini di seguire la
seguente linea: conduzione della lotta nel Cc secondo la risoluzione dell’Ui;
evitare di cadere nel nazionalismo e sciovinismo italiano; eleggere nel Cc una
direzione e una segreteria nuove, con maggioranza sicura per la linea dell’Ui;
tenere la riunione in zona A; lasciare aperta la questione dell’eventuale
partecipazione al congresso di Belgrado di delegati del Tlt; se la lotta fosse stata
portata nelle organizzazioni di massa, andavano conquistate queste organizzazioni
alla linea giusta”125.
La maggioranza cominformista del Pc del TlT a fine luglio informava la
Segreteria a Roma che ci sarebbe stato presto un congresso straordinario per
chiarire la situazione all'interno del partito; dalla risposta di Longo, che augurava
buon lavoro ai compagni triestini, si comprende che non venivano inviati delegati
né tantomeno aiuti finanziari:
“E' in questa situazione di così acuta lotta che voi, compagni triestini,
avete dovuto affrontare una dura battaglia in difesa dell'internazionalismo operaio, della fedeltà al fronte della democrazia e del socialismo minacciati dalla degenerazione nazionalistica di un gruppo che nel vostro partito aveva fatto sue le posizioni opportuniste e anti-marxiste dei dirigenti del comitato centrale del Pcj, condannato dalla risoluzione dell'Ufficio d'informazione dei partiti comunisti Il comitato centrale del PCI ha seguito attentamente le fasi della vostra lotta in difesa dei sani principi del marxismo-leninismo contro gli errori e le deviazioni del comitato centrale del Partito comunista jugoslavo e dei suoi uomini nel Partito comunista del Territorio libero di Trieste che con la loro azione tendevano ad allargare la breccia aperta dal comitato centrale di Belgrado nel blocco delle forze antimperialiste […] compagne e compagni congressisti siamo certi che da questo vostro congresso la vostra organizzazione di partito uscirà più forte ed agguerrita non soltanto per le prossime battaglie politiche ed economiche che dovrete affrontare […] per l'indipendenza del vostro territorio ma anche per l'organizzazione di un regime di democrazia […] voi saprete assolvere i compiti che vi stanno di fronte”126.
Il 21 agosto si tenne il congresso straordinario del Pc del TlT durante il
125 APC, Verbali della Segreteria, 7 luglio 1948, mf. 278. 126 APC, ibidem.
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quale fu decreta l'espulsione dei dissidenti titini, compreso Branko Babic e Vidali
fu eletto segretario generale al suo posto. Fu eletto un nuovo comitato esecutivo e
un nuovo comitato centrale.
Il Pc triestino divenne così, per posizione geografica ed ortodossia dei
quadri, “la punta di lancia della strategia cominformista in Italia”127.
Vidali presentò una relazione sulla situazione politica e organizzativa nel
partito dopo la risoluzione dell'Informbjuro. Descrisse l'azione aggressiva
dell'imperialismo americano nel mondo, in vari luoghi come a Trieste, in Corea, a
Berlino, essi approfittavano dell'occupazione militare protratta in seguito alla
mancata conclusione dei trattati di pace o, come a Trieste, malgrado i trattati di
pace, sfruttavano al massimo le difficoltà di ogni tipo per rimandare la soluzione e
mantenere un continuo stato di tensione, uno stato di guerra non guerreggiata, di
guerra fredda. Descriveva poi il ruolo dell'Urss e del movimento comunista
internazionale nella costruzione della democrazia e della pace mondiale. Alcuni
partiti comunisti come quello francese e quello italiano avevano subito critiche
anche aspre e avevano reagito correggendo i propri errori, cosa che invece non
aveva il Pcj. La risoluzione dell'UI accusava i dirigenti del Pcj di prendere
posizioni nazionaliste e contro l'Urss, di svolgere una politica sbagliata nelle
campagne, d'imporre un regime terroristico e poliziesco all'interno del partito, di
tendere ai compromessi con l'imperialismo. In campo internazionale la lotta sul
problema di Trieste lungi dallo scomparire dopo l'entrata in vigore del trattato di
pace con l'Italia era continuata e si era acutizzata nel quadro generale della lotta da
parte delle forze imperialistiche per la revisione di tutti gli impegni internazionali.
Attraverso il continuo e premeditato sabotaggio nella nomina del Governatore
l'imperialismo americano aveva puntato sul mantenimento dell'attuale situazione
di occupazione militare di Trieste da parte delle sue truppe in modo da avere una
base strategica a sua disposizione e allo stesso tempo dare la possibilità al suo
governo militare di praticare continue violazioni del trattato di pace legando la
vita economica e amministrativa triestina all'Italia impedendo così ogni possibilità
di ripresa e fornendo dimostrazioni artificiose dell'impossibilità di costituire il
TLT. Le grandi aziende che appartenevano al regime statale italiano e che
secondo il trattato di pace dovevano diventare proprietà del TLT erano di fatto
rimaste all'Italia. Lo stesso avveniva per ciò che riguardava la navigazione.
127 Zuccari M., op. cit., p. 194.
55
Mentre così da una parte si impediva la ripresa economica di Trieste dall'altra
veniva mantenuto in vita un apparato amministrativo smisurato. Tra marzo ed
aprile '48 diversi provvedimenti avevano legato Trieste all'Italia, come quello
sulla valuta che costituiva, di fatto, un'unione monetaria. Nel campo del
commercio estero gli accordi dell'Italia con altri paesi valevano anche nella zona
A; nel TLT si applicavano anche gli accordi relativi al Piano Marshall che non
aiutavano la città perché esso prevedeva la riduzione della produttività
dell'industria navale principale settore dell'economia triestina. Il governo non
aveva voluto ammettere il PCTLT né il movimento democratico italo-slavo nei
consigli amministrativi, c'era dunque bisogno di elezioni. Il governo militare
alleato era riuscito tramite i partiti del blocco italiano e specialmente la
democrazia cristiana a conquistare parte della popolazione e delle masse
sfruttando i temi nazionalistici ma ciò non era riuscito tra gli elementi del
nazionalismo sloveno. Il problema Trieste tornava di prima importanza,
denunciate all'Onu le violazioni del trattato di pace del GMA a Trieste da parte
della Jugoslavia, ma questo non lavava le sue macchie, perché essa aveva rotto
l'unità del fronte socialista. Anche il PCTLT, diceva Vidali, non poteva pensare di
condurre una lotta efficace senza l'appoggio di tutto il fronte socialista e
democratico mondiale con a capo l'Urss. Isolandosi da tale fronte non aveva
nessuna possibilità di successo contro l'imperialismo. Trieste era una città
sensibile, ogni avvenimento internazionale specie se accadeva in Italia o
Jugoslavia aveva ripercussioni qui. La condanna dei dirigenti jugoslavi aveva
avuto profonde conseguenze sul partito. Immediatamente e spontaneamente i
comunisti triestini avevano preso posizione dopo la risoluzione. Si era aperta una
crisi che era già in forma latente nel partito. Una parte del partito guidata da Babic
aveva tentato di impedire che i comunisti triestini prendessero posizione contro la
Jugoslavia chiedendo che si prendesse una posizione neutrale. Il gruppo di Babic
aveva condotto una campagna diffamatoria impadronendosi dell'organo dell'O.F.
il Primorski Dnevnik.
Nel PCTLT la semi-legalità e il distacco di una parte dei suoi dirigenti dalle
masse facilitavano il burocratismo e il settarismo del partito stesso, portandolo
alla sua liquidazione e sviluppando nel partito metodi militari di direzione di tipo
trotzkista.
Errore qui a Trieste era stato considerare come unico pericolo il
56
nazionalismo italiano quando esisteva invece un nazionalismo slavo borghese.
Nei riguardi del fratello PCI e dei suoi dirigenti venne ripetutamente
condotta una campagna ostile di calunnie e menzogne, veniva inculcato il
disprezzo verso il PCI128.
Alla fine di agosto, dunque, nella zona A c'erano due PCTLT: quello di
Vidali e quello di Babic, mentre nella zona B le autorità jugoslave proibirono al
gruppo di Vidali qualsiasi attività. Molti membri favorevoli al Cominform si
rifugiarono dalla Zona B alla Zona A. In seguito alla scissione al vertice si
verificò una rottura in tutto il mondo comunista triestino, ivi comprese le
organizzazioni di massa come I Sindacati Unici, l'UAIS-SIAU, le donne
antifasciste e il Fronte della gioventù. I cominformisti si impossessarono del
giornale Il lavoratore, mentre Primorski Dnevnik rimase sotto il controllo di
Babic. I cominformisti pubblicarono un giornale per gli sloveni dal titolo Delo
(“Lavoro” in lingua slovena).
1.9.2 L’apparato speciale
A fine settembre, la prima riunione della Segreteria presieduta dal
convalescente Togliatti veniva dedicata alla lotta al titismo, con l'analisi della
situazione esistente nel Pc del TlT al primo punto dell'ordine del giorno. Nella
relazione si parlava della necessità di utilizzare più ampiamente le possibilità
esistenti di legarsi con i compagni che si trovavano in Jugoslavia, in modo di
rafforzare l'attività in quel Paese. Per organizzare e dirigere tale lavoro sarebbe
stato creato uno “speciale centro”, nel quale avrebbero collaborato il
rappresentante del settore organizzativo del C.C. del PCI e i rappresentati del
PCTLT.
La sede e la composizione di questo centro dovevano restare segreti;
sviluppando l'attività del già esistente apparato speciale del Pc del TlT nel
prossimo futuro questo centro doveva riuscire a creare due canali di lavoro distinti
e indipendenti: uno per l'attività generale di propaganda e per l'informazione
attraverso tutte le possibili vie legali, semilegali e illegali; l'altro, rigorosamente
segreto, per l'attività organizzativa e politica all'interno del Pcj. Il centro non
doveva solo dirigere il lavoro dei compagni triestini, ma anche quello della
federazione di Gorizia e degli emigrati politici italiani in Jugoslavia. Pajetta
128 APC, Fondo M, Mf 98, PCTLT, Congresso straordinario 21-23 agosto 1948.
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riferiva che, sulla base dell'esperienza delle prime settimane di lavoro dei
compagni di Trieste e degli emigrati italiani, erano state date indicazioni per la
preparazione di un lavoro approfondito in Jugoslavia e si era fatto notare ai
compagni il danno che a questo proposito avrebbero comportato la fretta e la
superficialità. Aveva promesso inoltre di riferire regolarmente e in dettaglio
sull'attività del Partito comunista italiano e triestino in Jugoslavia. Nelle
conclusioni Togliatti aveva rilevato tutta l'importanza di un tale lavoro non solo
per il P.c. del TlT, ma anche per il PCI, con ciò sottolineando la responsabilità del
PCI in questo ambito129.
Anche Vidali scrisse alla fine della giornata un rapporto in cui chiariva
soprattutto gli aspetti relativi alla propaganda nella zona B tramite quotidiani ed
altre pubblicazioni. Va menzionato qui che circa un mese prima aveva inviato una
lettera agli altri partiti comunisti in cui chiedeva fondi per poter continuare le
attività e le pubblicazioni del partito, dato che con la rottura di giugno erano
venuti a mancare i finanziamenti da Belgrado130. Per la zona B Vidali chiariva che
il PCTLT disponeva di un piccolo apparato che aveva un rapporto diretto con
Capodistria, Isola, Pirano, Umago e con le città jugoslave di Rovigno, Pola,
Fiume. Per il momento ci si era limitati all'invio di giornali e volantini e dato
indicazioni di lavoro ai compagni che agivano in clandestinità. In una prima fase
della lotta, numerosi compagni erano stati arrestati e condannati, mentre altri
avevano dovuto fuggire; nella fase attuale tutto il lavoro era svolto da
organizzazioni clandestine. Nella zona B vi erano cinquemila soldati jugoslavi e
qualche migliaio di burocrati jugoslavi, tra i quali si stava iniziando a lavorare
[…] Il PCTLT aveva creato un piccolo apparato per il lavoro in Jugoslavia. Il
giornale del partito veniva diffuso clandestinamente nel territorio jugoslavo,
arrivava a Lubiana, Zagabria e Belgrado, anche se poco si sapeva “sugli effetti
della sua lettura”. […] Si nutriva fiducia nella crescita dell'opposizione interna in
Jugoslavia, una volta che ci sarebbe resi conto che il C.C. di Belgrado era contro
la Russia131.
“L'apparato speciale” coordinato da PCI e PCTLT, cui si è accennato sopra,
129 APC, Verbali Segreteria, mf 278, 27 settembre 1948; vedi anche Dagli archivi di Mosca, op. Cit., pp. 348-349. 130 Dagli archivi di Mosca, op. cit., sezione Documenti: Lettera di Vidali sulla situazione del Partito comunista del TlT, 16 agosto 1948, pp. 330-331. 131 Dagli archivi di Mosca, op. cit., sezione Documenti: Relazione di Vidali su Trieste, 27 settembre 1948, pp. 332-335.
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sviluppava la sua azione di propaganda in particolar modo nella zona B attraverso
informatori e agenti cominformisti in Jugoslavia. Nei primi mesi successivi
all'espulsione della Jugoslavia dal Cominform l'attività di tali agenti veniva
tollerata dalle autorità jugoslave locali, ma dal 1949 iniziarono la repressione e gli
arresti.
1.9.3 Mosca e l'applicazione della risoluzione da parte del PCI
Il giudizio dell'Unione Sovietica sul lavoro di propaganda svolto dal PCI in
Italia nei primi mesi dopo la risoluzione dell'Informbjuro risultava abbastanza
duro: non era stato fatto a sufficienza nella lotta contro la cricca titina, questo il
verdetto. Mentre nelle organizzazioni di partito era in corso l'esame della
risoluzione dell'Informbjuro sulla situazione nel Pkj, nei giornali e nei quotidiani
del Partito comunista italiano erano apparsi alcuni articoli nei quali venivano
spiegate soltanto singole questioni toccate dalla risoluzione. Gli articoli erano
dedicati soprattutto a singoli problemi di teoria del marxismo-leninismo e solo
indirettamente sfioravano l'attività pratica della direzione del Pkj. L'attenzione si
concentrava principalmente sulla questione contadina, dato che la stampa
reazionaria aveva richiamato le note indicazioni della risoluzione dell'
Informbjuro sui compiti della collettivizzazione dell'agricoltura e, deformandone
il senso, aveva sollevato il clamore per spaventare il contadino italiano. Dopo il
luglio 1948, i quotidiani e i giornali del PCI non avevano ospitato articoli sullo
smascheramento della cricca di Tito e solo di tanto in tanto avevano pubblicato
singole note informative, alquanto brevi, sulla situazione in Jugoslavia. Anche
l'esame della risoluzione dell'Informbjuro nelle organizzazioni del partito aveva
avuto un carattere sporadico e, dopo il luglio del 1948, l'apparato di propaganda
del partito non era tornato sulla questione della situazione all'interno del Pkj. La
Sezione stampa e propaganda del C.c. del PCI pubblicava la rivista “Propaganda”,
nella quale venivano ospitati articoli e materiali per i propagandisti e gli agitatori e
venivano indicati temi, questionari e schemi modello di conversazioni e di
relazioni. Pur essendo un sussidio fondamentale di orientamento per i funzionari
della propaganda di partito, questa rivista non affrontava i temi relativi alla
situazione del Pkj e non poneva all'apparato di propaganda gli obiettivi dello
smascheramento della cricca di Tito. Neppure l'analisi dei temi della teoria del
marxismo-leninismo, della costruzione del partito ecc., pubblicati in Propaganda,
59
avevano relazione con la risoluzione sulla situazione nel Pkj dell'Informbjuro, né
ponevano gli obiettivi dello smascheramento dell'attività proditoria della direzione
del Pkj. In conclusione il Partito comunista italiano, dopo l'esame e l'approvazione
della risoluzione dell'Informbjuro, non aveva fatto propaganda contro la cricca di
Tito; nelle pubblicazioni del partito, lo smascheramento dell'attività antisovietica e
filoimperialista della direzione del Pkj non era quasi affrontato. Non era stato
posto all'apparato di propaganda del partito il compito di smascherare la cricca di
Tito”132
Il giudizio severo di Mosca sullo scarso operato del PCI nella lotta al titismo
riguardava anche gli organi di stampa più importanti, l'Unità, Rinascita e Vie
Nuove, che avevano ospitato una serie di articoli che spiegavano la risoluzione
dell'Informbjuro nei primi giorni ma poi si erano concentrati sui fatti che avevano
distolto l'attenzione del partito, ovvero l'attentato a Togliatti e lo sciopero
generale. Tuttavia, anche in seguito, quasi non avevano toccato la questione, non
avevano fatto propaganda attorno alla risoluzione dell'Informbjuro e non erano
intervenuti contro la direzione del Pkj, a meno che non si volessero prendere in
considerazione le brevi note di cronaca. Neppure il giornale “Per una pace stabile,
per una democrazia popolare!” aveva ricevuto alcun articolo di autore italiano
contro la cricca di Tito. L'articolo “Dove conduce il nazionalismo del gruppo di
Tito in Jugoslavia” (Pravda, 8 settembre 1948), anche se era stato ripubblicato su
l'Unità, non aveva tuttavia ricevuto la diffusione dovuta e non era stato preso in
esame dai comunisti italiani. I comunisti italiani spiegavano il silenzio della
stampa del PCI fin dall'estate del 1948 sulla questione della cricca di Tito con la
mancanza di informazioni. Tuttavia, la causa più importante era, secondo Mosca,
una precisa sottovalutazione da parte del C.c. del PCI del compito di smascherare
il tradimento della cricca di Tito, dal momento che i compagni italiani avevano
comunque la possibilità di ottenere autonomamente informazioni attraverso il P.c.
del Tlt o direttamente attraverso le loro organizzazioni estere. Era noto, infatti, che
tali informazioni giungevano al C.c. del PCI, ma che esse non erano state
utilizzate in interventi pubblici sulle pagine della stampa di partito. A parte
questo, Borba, che a Roma veniva venduta liberamente, conteneva un ricco
materiale per intervenire contro la cricca di Tito. Sulle pagine dei giornali del PCI
132 Nota informativa di Sevljagin sul PCI e la risoluzione del Cominform sulla Jugoslavia, 4 maggio 1949, in F.Gori, S.Pons, Dagli archivi di Mosca, op. Cit., p. 361-362.
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non veniva neppure illustrata la lotta contro gli agenti della cricca di Tito nelle file
del PCI, sebbene esistessero dati per intervenire in tal senso. La direzione del PCI
prestava costante aiuto alla lotta del Pc del Tlt contro i titini a Trieste e la dirigeva,
di fatto, ma l'attività dei compagni triestini, così come gli intrighi degli agenti di
Tito a Trieste, non venivano illustrati sulle pagine della stampa di partito, né
l'attenzione dei comunisti italiani veniva mobilitata attorno a tali questioni133.
133 Nota informativa di Sevljagin sul PCI e la risoluzione del Cominform sulla Jugoslavia, 16 maggio 1949, in F.Gori, S.Pons, cit. p. 369-370.
61
CAPITOLO II
LA FASE DELLE TRATTATIVE BILATERALI
(1949-1951)
SOMMARIO: 2 .1Rapporti economici e organizzativi tra PCI e PCTLT e attività in Jugoslavia; 2.2 Una diversa prospettiva: la collezione Documenti Diplomatici Italiani; 2.3 Il PCI e l'adesione italiana al Patto Atlantico; 2.4 Le elezioni amministrative del 1949 a Trieste 2.5 La lotta sulla stampa dopo le elezioni amministrative; 2.6 L'introduzione del dinaro nella zona B; 2.7 Il PCTLT: “la via d'uscita” è l'applicazione del Trattato di pace; 2.7.1 Il Comitato Centrale del luglio 1949. Il II Congresso ordinario del PCTLT; 2.8 Il Cominform chiede un’intensificazione della lotta al titismo; 2.9 Cambiamento dello scenario internazionale: verso le trattative dirette; 2.10 Vidali contro il “baratto infame”; 2.11 La posizione sovietica sulla questione di Trieste; 2.11.1La nota sovietica del 20 aprile 1950 recepita dal PCI. Interpretazioni diplomatiche della posizione sovietica; 2.12 Questione di Trieste e guerra di Corea; 2.13 Lotta al titofascismo e caso “magnacucchi”; 2.14 Fase di stallo nella situazione internazionale circa la questione di Trieste; 2.15 Il PCI chiede che il TLT sia dichiarata “città aperta”; 2.16 Alineamento delle posizioni di PCI e comunisti triestini
2.1 Rapporti economici e organizzativi tra PCI e PCTLT e attività in
Jugoslavia
Dopo la risoluzione dell'Informbjuro del giugno 1948 e la successiva
affermazione dell'ala cominformista all'interno del PCTLT, il partito triestino,
sotto la guida di Vidali, avrebbe potuto riavvicinarsi finalmente al PCI, come
desiderava Togliatti, ma aveva soprattutto bisogno di aiuto da Roma sotto l'aspetto
organizzativo e finanziario, dato che i fondi provenienti dalla Jugoslavia erano
stati bruscamente interrotti. Un ritratto della situazione esistente nel partito
comunista cominformista a Trieste nell'autunno del 1948 ci viene dato dalle
parole di Vidali che sottolineava la sproporzione di forze in campo per quanto
riguardava i quotidiani rispetto al partito comunista triestino titino: “forte stampa
degli avversari noi [abbiamo] solo Il lavoratore”, lamentava scarse possibilità di
instaurare alleanze, e tuttavia credeva nella necessità di ingaggiare una lotta per
evitare che Babic indebolisse la “nostra base anche tramite gli indipendentisti”.
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“Le organizzazioni democratiche in Italia dovevano mantenere relazioni costanti
con le rispettive organizzazioni locali”134 concludeva Vidali.
Va detto qui che dalle carte dei verbali delle riunioni della Segreteria del
PCI, presenti all'Archivio del Partito Comunista d'Italia (APC) presso la
Fondazione Gramsci a Roma, relative al periodo trattato nel presente capitolo, in
molti casi trapelano soltanto sintetiche informazioni come l’elenco dei
partecipanti alle riunioni, l'ordine del giorno e le conclusioni determinate alla fine
della riunione. Mancano invece gli allegati, ovvero i rapporti stenografici delle
discussioni e degli interventi dei partecipanti: in questo modo ciò che possiamo
evincere dai verbali che sia utile per la ricerca in questione è l'informazione che in
una certa riunione la questione di Trieste fosse all'ordine del giorno, e quindi
anche la frequenza con la quale si affrontava in Segreteria questo tema, la
“discesa” a Roma di Vidali ed altri rappresentanti triestini per discutere i vari
aspetti della situazione triestina e analogamente l'invio di rappresentanti “romani”
a Trieste come osservatori, ma anche per dimostrare sostegno e vicinanza alla
causa.
E’ dai suddetti verbali che possiamo che Vidali e Pratolongo si recarono a
Roma nel gennaio del 1949 per informare la dirigenza del PCI sul modo in cui
veniva preparata la campagna elettorale, sull' “organizzazione sportiva” e sul
lavoro svolto in Jugoslavia. Si decise l'invio di un compagno, Arturo Cicalini, per
meglio stabilire le possibilità di lavoro in attività cospirativa, e al contempo
chiarire meglio la linea da seguirsi135.
Sull'attività in Jugoslavia sappiamo che tramite gite, gare sportive in cui gli
atleti stessi avvicinavano le persone del popolo, autisti di autocarri, ferrovieri ed
altro personale viaggiante si cercava di diffondere stampa e raccogliere
informazioni di qualsiasi tipo, economico, politico, sociale, stati d'animo della
popolazione, fatti accaduti, voci e opinioni, opinioni su stampa cominformista e
“trotzkista”. Si tentava di reclutare uomini fidati per organizzare un collegamento
e recapiti clandestini, creare cellule, migliorare la diffusione della stampa e
raccogliere documenti. Le direttive emanate erano: divulgare la stampa, fornire
notizie, svolgere lavoro di penetrazione nelle organizzazioni trotzkiste, riunioni di
gruppi e cellule comuniste, curare l'educazione individuale (per il momento). La 134 APC, Mf. 99, BUSTA 57/5, Rapporto di Vidali sulla situazione a Trieste 6 ottobre 1948. 135 APC, Mf. 100, Busta 13/1, Verbale n.5 - Riunione di Segreteria del 25 gennaio 1949.
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direttiva generale era: non frequentarsi tra compagni ma cercare compagnia nella
massa per poter svolgere meglio propaganda 136.
Una lettera di Vidali scritta a Platone della Direzione del PCI il 14 febbraio
del 1949 offre altre utili informazioni sulla situazione a Trieste del PCTLT, in
vista delle elezioni amministrative di giugno, mostra ancora una volta le
preoccupazioni di Vidali per una struttura debole e con poche risorse di fronte al
forte partito dei titini sostenuto con fondi jugoslavi e dotato di un apparato
numeroso. Solo nella “zona A” il gruppo di Tito, a detta di Vidali, contava 1.200
funzionari stipendiati, da ciò derivava per i comunisti triestini la necessità “di uno
stretto collegamento con il movimento comunista e democratico internazionale”.
Per rafforzare questo collegamento il partito di Vidali richiedeva l'appoggio del
PCI ed al tempo stesso iniziava ad inviare un bollettino quindicinale contenente
notizie della situazione in Jugoslavia e nella zona B del TlT, nonché un breve
resoconto dell'attività del partito e del movimento democratico della zona A, con
la preghiera di dare massima diffusione alle notizie ivi contenute137.
La risposta sintetica che troviamo nel verbale della riunione di Segreteria
successiva alla lettera di Vidali dava istruzioni per rispondere che il PCI
“appoggerà sempre e aiuterà il P.C. Del TLT” e affinché venisse dato maggior
rilievo sugli organi di stampa del partito alle notizie e all'informazione sul TLT138.
La distanza tra le posizioni sostenute dal PCI e quelle del PCTLT in questa
fase è evidenziata anche in un episodio minore, ma ugualmente significativo, di
un incontro di Mario Osti, rappresentante del PCI - Sezione Enti Locali, con
alcuni compagni triestini a Venezia per discutere della situazione a Trieste in vista
delle elezioni amministrative di giugno. Nel suo resoconto alla Segreteria del PCI
Osti parlava “di popolazione (a Trieste) stanca e insofferente verso impostazioni
prettamente politiche” e della necessità di un programma concreto per le elezioni
con le parole d'ordine “Comune autonomo e popolare”. I compagni triestini,
invece, lamentavano nel corso dell'incontro la tendenza del PCI alla
politicizzazione del programma contro l'imperialismo, mentre i triestini
obiettavano che tale posizione coincideva con la difesa del Trattato di pace e
136 Dagli archivi di Mosca: l'Urss, il Cominform e il PCI, 1943-1951, Francesca Gori e Silvio Pons (a cura di), Roma, Carocci, 1998; nota informativa sull'attività in Jugoslavia, Trieste 4 febbraio 1949, dattiloscritto in russo. Vedi anche: APC, Fondo Pratolongo, Mf. 135, Relazione del 4 febbraio 1949 “La nostra attività in Jugoslavia e in zona B”. 137 APC, MF. 100, Busta 2 13/1, Lettera di Vidali a Platone del 14.2.1949. 138 APC, Mf. 100, Busta 2 13/1,Verbale Segreteria n.12 – 18 febbraio 1949.
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Territorio libero ed era da loro sostenuta nei comizi e sulla stampa, obiettavano
anche che era troppo impegnativa e tale da invischiare l'azione del PCI da cui si
attendevano largo appoggio. Qualcuno alludeva anche alla reticenza, in realtà, del
PCI ad assumere un impegno vincolante a Trieste. La Sezione Enti Locali
chiedeva ai triestini di prendere posizione al momento attuale sul problema della
difesa della pace139.
Dai vidaliani arrivavano quindi a Roma richieste esplicite di aiuti finanziari
e d'altro genere, e richieste soprattutto di assunzione di responsabilità verso una
presa di posizione più netta che il PCI, sempre attento agli ordini provenienti da
Mosca, come anche agli umori dell'opinione pubblica italiana, per la quale, come
abbiamo già visto, la questione di Trieste era tutt'altro che superata, non era forse
in grado di dare.
Per quanto riguardava i problemi economici, è stato provato in realtà che nel
periodo in questione da Mosca arrivavano a Roma fondi per il tramite del PCTLT
ed in particolare della persona di Vidali140. Lo stesso Vidali faceva presente a
Roma, come abbiamo già visto nel capitolo precedente, che i fondi che prima
arrivano con continuità dalla Jugoslavia dal giugno '48 dovevano almeno in parte
essere concessi da Roma141. I problemi economici vennero in parte risolti con un
ridimensionamento dell'apparato organizzativo, circa il 70% di funzionari: vi era
stata l'espulsione di coloro i quali erano legati alla vecchia dirigenza e cominciava
allo stesso tempo un lavoro di rieducazione degli iscritti al partito contro il
nazionalismo e sciovinismo italiano ma anche contro quello titino.
139APC, Mf. 100, Busta 2 13/1, Documento di Mario Osti (Sezione Enti Locali) su elezioni amministrative di Trieste diretto alla Segreteria, 14 febbraio 1949. APC, Mf 100 - Documento di Mario Osti (Sezione Enti Locali) diretto alla Segreteria PCI su incontro con compagni triestini a Venezia del 7.2.1949. 140 V. Riva, Oro da Mosca: i finanziamenti sovietici al PCI dalla rivoluzione d'ottobre al crollo dell'URSS, Milano, Mondadori, 2002. 141 AA.VV., Dagli archivi di Mosca, op. cit., Rapporti di Vidali del 16 agosto e 27 settembre 1948, pp. 330-31 e 332-33.
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2.2 Una diversa prospettiva: la collezione Documenti Diplomatici Italiani
Esaminando la collezione dei Documenti Diplomatici Italiani che si trova
presso l'Archivio Storico-Diplomatico della Farnesina, in particolare la Serie
“Affari Politici”, che è a mio parere forse quella più interessante e che può fornire
più spunti di riflessione sull'argomento in oggetto grazie anche al maggiore
numero di documenti d'archivio da analizzare, risulta particolarmente utile ai fini
della presente ricerca l'analisi del fitto carteggio scambiato tra i diplomatici della
Rappresentanza Italiana a Trieste (che poi diventerà Missione Italiana a Trieste)
ed i dirigenti del Ministero degli Affari Esteri (MAE). Per la precisione si trattava
il più delle volte di quelli della Direzione Generale per gli Affari Politici Ufficio
IV (DGAP IV) che si occupava da vicino della questione di Trieste.
In alcune occasioni i diplomatici italiani si interessavano anche alle
posizioni del PCTLT, alla sua politica ed ai rapporti che intratteneva con il PCI, e
soprattutto all'individuazione, al riparo delle dichiarazioni ufficiali, delle reali
intenzioni dell'Urss riguardo ad eventuali accordi su Trieste nei quali non sarebbe
stata parte in causa. Tali corrispondenze, possono essere d'aiuto per ricostruire il
quadro della situazione dell'epoca, laddove risultino lacunosi i documenti
d'archivio del PCI, dal tono troppo propagandistico e ufficiale e quindi di nessun
aiuto gli articoli di stampa. Forniscono, infine, un altro punto di vista sulla
questione che giova alla ricchezza della ricerca.
Apprendiamo così, ad esempio, che nel gennaio del 1949 il Reggente della
Rappresentanza Italiana a Trieste ambasciatore Augusto Castellani illustrava al
Segretario di Legazione Francesco Lo Faro, capo della DGAP IV, le posizioni dei
partiti locali a Trieste in vista delle elezioni amministrative di giugno.
Castellani spiegava a Lo Faro che con la pubblicazione avvenuta il 14
gennaio sul quotidiano Il Lavoratore del progetto di programma elettorale del
PCTLT, era iniziata la fase concreta di schieramento dei vari gruppi politici
triestini in vista delle elezioni amministrative di giugno. La posizione del PCTLT
era, infatti, per molti aspetti e in questa fase, una posizione chiave, poiché esso si
trovava in mezzo ai due campi opposti, lo sloveno e l'italiano ed in essi sperava di
poter “sfruttare a proprio vantaggio gli errori e le mosse obbligate”. Tuttavia,
l'emergere di due distinti comunismi che andavano tingendosi ognuno di propri
motivi nazionalistici complicava non poco il discorso. Al momento, comunque, la
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presa di posizione dei cominformisti era molto cauta, il programma presentato non
era definitivo ma anzi costituiva un mero progetto di cui poteva essere sottolineato
soltanto: la tendenza ad astrarre dal piano politico, limitandosi ad osservazioni e
proposte di carattere tecnico e locale, cercando di evitare che le elezioni
assumessero in qualsiasi modo l'aspetto di un plebiscito; allo stesso tempo il
carattere realistico, lontano dall'ideologia rivoluzionaria, con l'obiettivo di
indirizzarsi anche alla piccola borghesia. Castellani concludeva definendo difficile
l'eventualità di un “blocco” di partiti italiani col PCTLT per evidenti motivi, in
riferimento anche a recenti dichiarazioni dell'avvocato Gasparini in seno al
Comitato Centrale del PCTLT sulla questione nazionale. “Per ora l'azione del
PCTLT tendente ad accaparrarsi le masse operaie slovene non può essere inutile
ai nostri fini sempre che si riesca ad arginare, con un opportuno impulso
all'attività della Camera del Lavoro, una simile penetrazione nelle masse operaie
italiane non estremiste”142.
142 Documenti Diplomatici Italiani - Serie Affari Politici 1950-1957, Busta 216, Telespresso (Tls.) n. 252/57 Rappresentanza Italiana Trieste - Augusto Castellani a MAE DGAP - Francesco Lo Faro, 14 gen 1949: elezioni amministrative a Trieste, posizioni dei diversi partiti politici locali.
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2.3 Il PCI e l'adesione italiana al Patto Atlantico
Nella seconda metà del 1948 i comunisti italiani vennero a conoscenza dei
negoziati per l'adesione dell'Italia al Patto Atlantico, ma la stampa comunista
come ad esempio la rivista Rinascita non dette inizialmente molto peso alla
notizia limitandosi a collocarla come un nuovo momento, una nuova forma della
vecchia politica imperialistica, un ovvio corollario sul piano militare del piano
Marshall. Tra la fine di novembre ed inizio dicembre si svolse in Parlamento un
dibattito sulla politica estera del governo, partendo da una mozione del leader
socialista Pietro Nenni che denunciava l'intenzione del governo De Gasperi di
aderire al Patto Atlantico e auspicava una politica estera di neutralità per l'Italia,
libera da alleanze o “blocchi” militari. Il dibattito non poteva non toccare
l'argomento Trieste, questione ancora “calda” della politica estera italiana sul
quale si esprimeva nel suo intervento anche il segretario del PCI Palmiro
Togliatti:
“Avete orientato la vostra politica nel senso della propaganda antisovietica
prendendo pretesto dalla questione di Trieste, mentre avreste dovuto sapere - e se
non sapevate allora lo dovete sapere adesso, perchè la cosa è risultata chiara dalle
ultime discussioni - che l’Unione Sovietica frenava le impazienze del Governo
jugoslavo in quel momento. […] Oggi, vi presentate alla Nazione con un
fallimento completo; e invano cercate di mascherarlo con la vostra odiosa
propaganda, la quale non ha nulla di nazionale, perché è una brutta edizione della
propaganda di menzogne e di odio con le quali già il fascismo aveva cercato di
spezzare l’unità della Nazione. Sì, avete fatto tutte le promesse che avete fatto
durante la campagna elettorale: ma voi stessi sapete che perfino Trieste, che allora
venne fatta balenare agli italiani in quel modo così indegno, oggi viene tenuta in
serbo, dai vostri padroni, i quali pensano di potersene servire come offa per un
tradimento e per un traditore”143.
In verità, qui come in altre occasioni, Togliatti porta Trieste come esempio
di un modo propagandistico e fraudolento di fare politica del governo
democristiano, senza addentrarsi realmente nel problema per affrontarlo. Bisogna
dire che almeno in questo caso probabilmente non si trattava della sede più
appropriata per farlo, ma vedremo come anche in altre situazioni in cui ci si
143 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 2-12-1948.
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sarebbe potuto aspettare un intervento di Togliatti su Trieste, esso non vi è stato, e
cercheremo di spiegare anche le cause di tali “silenzi”.
L'undici marzo 1949 de Gasperi annunciò l'intenzione del governo di aderire
al Patto Atlantico, seguì un acceso dibattito in Parlamento, in cui interveniva il
deputato Giancarlo Pajetta per il PCI:
“ […] Ma noi vi vogliamo chiedere ancora una cosa nel lanciarvi questa nostra accusa: quali interessi nazionali hanno determinato questa vostra politica? Quale minaccia è ai confini, quale nemico è alle porte, per cui possa dirsi che quando l’incendio è vicino bisogna accettare il soccorso di chiunque possa dare una mano per spegnerlo? No, voi non ci avete detto che siete minacciati, che sono minacciati gli interessi nazionali del nostro Paese; voi non avete nemmeno avuto il pudore di giustificare e di spiegare il vostro schieramento con questa gente! Non sentite il bisogno neppure di fare dei distinguo. Vi è mancata perfino la temerarietà di parlare di una rivincita, di una guerra da promuoversi per ottenere qualcosa per il nostro Paese, sebbene qualche accenno vi sia stato fatto in passato, quando si è parlato della questione di Trieste (che forse sarebbe bene non dimenticare), qualche accenno che quella cosa sarebbe risolta in un riordinamento generale della carta di Europa!”144.
Ancora una volta, dunque, come in un discorso visto sopra di Togliatti, il
caso di Trieste è riportato come esempio negativo della politica estera del governo
democristiano e non viene affrontato in maniera specifica, sebbene, è bene
specificarlo, non fosse il tema centrale della discussione.
Successivamente a Pajetta intervenne nel dibattito in Parlamento anche
Palmiro Togliatti, ma il suo discorso sul Patto Atlantico non fece nessun
riferimento alla questione di Trieste. Del resto, la bussola sia in campo estero che
in campo interno per il PCI rimane la politica dell'Urss. Togliatti lo ribadisce
apertamente in Comitato Centrale: sono i compagni del Paese del socialismo reale
ad avere “possibilità che noi non abbiamo”145 e, quindi, a stabilire cosa vada in
agenda e cosa no, cosa sia da mettere in primo piano (ed in prima pagina) e cosa
tenere in attesa, aspettando indicazioni e momenti migliori per tornare ad agire.
144 Atti Parlamentari, Dibattito alla Camera dei Deputati, seduta del 12 marzo 1949. 145 APC, Mf. 132, Comitato centrale 29-31 marzo 1949.
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2.4 Le elezioni amministrative del 1949 a Trieste
In primavera Vidali e Pratolongo giunsero nuovamente a Roma per
concordare le linee d'azione per la propaganda elettorale in vista delle oramai
imminenti elezioni amministrative: fu deciso che la lotta per le elezioni diventasse
lotta politica per la libertà democratica e per la pace e che la Sezione propaganda
si incaricasse di aiutare il PCTLT nella campagna elettorale. Se dunque da una
parte prevalse la spinta del PCI alla politicizzazione del programma elettorale di
cui si parlava sopra, dall'altra si garantì anche un concreto sostegno di
“professionisti” dell'azione propagandistica che rispondeva, almeno parzialmente,
a quelle richieste di aiuto avanzate nei mesi precedenti da Vidali e dai suoi
compagni146.
In pieno clima di campagna elettorale, il sindaco di Venezia Gianquinto,
esponente del PCI, doveva ribadire, prima di un discorso a Trieste in cui avrebbe
sostenuto l'italianità innegabile della città, che avrebbe parlato in qualità di
rappresentante del Partito comunista e non a titolo personale come asseriva la
stampa avversaria. Gianquinto nel suo comizio affermò poi che in un clima di
distensione internazionale la questione di Trieste avrebbe potuto trovare la sua
naturale soluzione con il ritorno all'Italia, mentre in quel momento un'azione delle
potenze occidentali rivolta a restituire Trieste all'Italia contro il volere dell'Urss
avrebbe irrimediabilmente portato alla guerra. Si imponeva quindi la necessità di
accettare il mantenimento del TLT e sollecitare la nomina del Governatore, il che
avrebbe portato inoltre all'evacuazione delle truppe di occupazione dalla Zona A e
dalla Zona B147.
Il discorso di questo esponente del PCI, anche se tutto sommato di secondo
piano, rappresenta un altro esempio eclatante, ad opinione di chi scrive, degli
“equilibrismi dialettici” che ad ogni momento il Partito comunista italiano si
trovava a dover escogitare per fare andare d'accordo la posizione di Mosca, che
esigeva l'applicazione del Trattato di pace con la relativa messa in funzione del
146 APC, Mf. 100, Verbale Segreteria n. 21 – 1 aprile 1949; verbale n.33 – 19 maggio 1949. 147 Documenti Diplomatici italiani, Serie Affari Politici, b. 215, Tls. n. 3324 Rapp. It. Trieste a Pres. Cons. Ministri – Ufficio zone di confine, MAE 21/5/1949.
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TLT, e gli umori dell'opinione pubblica italiana in larghissima parte convinta che
la città dovesse subito tornare all'Italia, senza passare affatto per la condizione più
o meno transitoria di città-stato indipendente a livello di diritto internazionale.
Infine, può essere interessante tornare alla corrispondenza tra
Rappresentanza Italiana di Trieste e DGAP del MAE dell'ultima fase della
campagna elettorale per notare la diversa percezione della situazione da parte del
mondo diplomatico italiano e le diverse considerazioni rispetto ai mesi precedenti.
A tal proposito, Castellani da Trieste scriveva a Lo Faro concentrando
l'attenzione sulla possibilità che si costituisse, poco prima delle elezioni, una
Federazione autonoma triestina del Partito Socialista Italiano (PSI), la quale
avrebbe presentato una lista separata dal PCTLT, ma avrebbe agito di concerto
con esso, assumendo sul piano nazionale un atteggiamento favorevole alla
restituzione del Territorio all'Italia. Mentre il PCTLT, continuava Castellani,
avrebbe sostenuto l'intangibilità del TLT e avrebbe cercato di accaparrarsi i voti
degli elementi sloveni, la Federazione del PSI si sarebbe riservato di agire in
quegli ambienti operai italiani che sono particolarmente sensibili ai fattori
nazionali. La costituzione di tale Federazione avrebbe portato un grave colpo al
Partito Socialista della Venezia Giulia (PSVG), il quale, anziché intensificare la
sua azione nel campo operaio, aveva mantenuto sostanzialmente una politica di
attesa148.
Il PCTLT si sarebbe presentato da solo, respingendo qualsiasi forma di
blocco, in particolare la formula “uaisina”. Le ragioni di una simile condotta
potevano essere tratte dalla convenienza di adottare, anziché uno schema di
alleanza rigido, che avrebbe condotto ad affrontare con una formula unitaria e non
elastica la questione nazionale (ivi compresa la soluzione indipendentistica), un
piano d'azione coordinato di tutte le forze di sinistra, che sarebbero potute
giungere ad un'unione dopo le elezioni. Il Partito comunista slavofilo del TLT
sarebbe sceso in campo invece, con ogni probabilità, adottando la formula del
Fronte popolare slavo-italiano. A tal fine, erano in corso contatti con settori
indipendentisti ed elementi indipendentisti sloveni.
Il PCTLT poneva l'accento nella lotta elettorale sul programma classista; per
quanto riguarda la questione nazionale, esso in sostanza non disconosceva 148 Documenti Diplomatici Italiani, Serie Affari Politici, b. 216, Promemoria di Castellani (4 maggio 1949) a Lo Faro inviato anche a M. Innocenti (Uff. Zone di Confine) su quadro schieramento elettorale partiti locali 5 maggio 1949.
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l'italianità di Trieste e caldeggiava il mantenimento del TLT come una soluzione
provvisoria, la sola che fosse resa possibile dalla attuale situazione internazionale.
La costituzione di una Federazione autonoma triestina del PSI non aveva
avuto luogo, probabilmente per la pressione di elementi di destra e del centro del
PSI che temevano la scissione del PSVG, in gran parte formato da elementi
moderati149.
L'Ambasciata d'Italia a Washington commentava invece la testimonianza di
Robert Conway, corrispondente da Trieste per il Times Herald, il quale riportava
uno scambio di accuse avvenuto tra Vidali e Babic. Entrambi avevano parlato di
guerra sotterranea fra le due fazioni comuniste, Comway rilevava che il fatto che
sia l'uno che l'altro si fossero indotti ad esprimersi con tanta chiarezza costituiva
un sintomo dell'irreparabilità del dissidio fra le due fazioni stesse150.
Per quanto riguarda i rapporti tra PCI e PCTLT, invece, poco prima delle
elezioni avvenne un episodio che ci dà l'idea di quale distanza ci fosse tra le
posizioni dei due partiti, nonostante le tante riunioni di Segereteria dei mesi scorsi
nelle quali, come detto, erano stati raggiunti degli accordi solo parziali per una più
efficace azione comune. Vidali aveva preparato un documento di saluto ai triestini
e aveva chiesto a Togliatti di sottoscriverlo: ma il Segretario del PCI appose dei
cambiamenti, cancellando l'auspicio che Trieste fosse “italiana e libera”
sostituendolo con “sia governata liberata dai suoi cittadini ed eliminando dagli
obiettivi della politica del PCI quello del “ritorno di Trieste entro i confini
dell'Italia” che seguiva, nel documento originale di Vidali, a quello della difesa
della sua italianità. A questo punto, così modificato il comunicato, Vidali si rifiutò
di pubblicarlo e chiese a Roma di fare lo stesso151.
149 Documenti Diplomatici Italiani, Serie Affari Politici, b 216 Tls. n. 3312/637 del 21 maggio 1949. 150 Documenti Diplomatici Italiani, Serie Affari Politici, b. 510, Tls. n. 4193/182 del 18 maggio 1949. 151 APC, Mf . 100, Verbali della Segreteria, Riunione del 10 giugno 1949; vedi anche MF 99 PCTLT.
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2.5 La lotta sulla stampa dopo le elezioni amministrative
Le elezioni amministrative a Trieste furono segnate da un netto successo
della Democrazia Cristiana col 39% dei voti, seguito da una buona affermazione
del PCTLC con il 21%. Notevoli risultati ottennero anche gli indipendentisti col
9,7% e il M.s.i. col 6%.
La settimana seguente a Roma Vidali espose alla Segreteria la situazione
dopo le elezioni. Alla riunione intervennero anche Scoccimarro, Secchia, e
Togliatti che criticò alcune posizioni della campagna elettorale, parlò della
debolezza del risultato e delle sue cause eventuali, della possibilità di una azione
politica a proposito della questione di Trieste, della necessità dell'esame della
situazione e dell'azione del partito.
Si decise che la Segreteria prendeva atto delle informazioni avute dal
segretario del PCTLT. Questi prendeva atto per contro delle riserve e critiche che
gli erano state esposte. Un compagno della Segreteria si sarebbe recato a Trieste
per esaminare concretamente e ampiamente l'azione politica e organizzativa del
PCTLT152.
Critiche quindi all'azione autonoma del partito di Vidali da parte di
Togliatti, ma anche consapevolezza della necessità di fare di più per sostenere un
partito schiacciato da una parte dalla DC locale, sostenuta dal Governo Militare
Alleato (GMA), e dagli altri partiti ad essa alleati, e dall'altra parte dal partito
comunista babiciano sostenuto dalla Jugoslavia.
All'indomani delle elezioni il quotidiano dei “vidaliani” Il Lavoratore
riconosceva la vittoria “del nazionalismo italiano” e la sconfitta dell' “agenzia di
Tito a Trieste”, cioè dei “babiciani”, nonché degli slavi bianchi di Agneletto.
Attribuiva la vittoria dei partiti dichiaratamente italiani ai brogli e alle
manipolazioni che sarebbero stati compiuti in sede pre-elettorale e si mostrava
indignato del fatto che i voti ottenuti dal Partito Comunista venissero considerati
come voti italiani dopo che nella propaganda elettorale tale partito era stato
combattuto come anti-italiano153.
Gli organi di stampa jugoslavi e quelli cominformisti triestini si lanciavano
accuse identiche in una guerra fatta a “colpi di articoli”: su Il Lavoratore si 152 APC, Mf. 100, Verbale Segreteria n.40 – 27 giugno 1949. 153 Cfr.: Il Lavoratore, 18 giugno 1949.
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affermava ad esempio: “...oggi la Jugoslavia serve agli imperialisti più che il
governo di De Gasperi, la cricca belgradese ha avuto il compito di mettere a
disposizione degli imperialisti il territorio jugoslavo come base per l'aggressione
contro l'Urss”154.
Durante tutta la campagna elettorale, erano stati viceversa gli jugoslavi ad
accusare Vidali, appoggiato dalla Russia, di fare il gioco degli anglo-americani e
di sottrarre così il territorio di Trieste allo schieramento comunista internazionale.
I giornali jugoslavi parlavano di “funambolismi del Lavoratore”, poiché si diceva
che con le sue false notizie l'organo comunista triestino rispecchiava il pensiero
del Cominform, tendendo a giustificare l'annessione di Trieste all'Italia, perché,
secondo la tesi del Cominform, Trieste serviva meno agli imperialisti che non alla
Jugoslavia. Questi giornali, quindi, si indignavano, perché i sovietici avrebbero
preferito Trieste “marshalizzata” piuttosto che appartenente ad “un'onesta”
Jugoslavia socialista. Questo atteggiamento era considerato anti-marxista,
sciovinistico ed anti-democratico. Erano i cominformisti ad essere dei
“controrivoluzionari” ed il loro atteggiamento “non si differenziava dal (loro)
atteggiamento nei riguardi della Carinzia”155.
La guerra su carta stampata andava avanti poiché Il Lavoratore aveva
successivamente pubblicato che esisteva un accordo segreto De Gasperi-Tito per
dividersi il TLT ed i giornali jugoslavi avevano reagito uniformemente,
affermando che la notizia era stata pubblicata per ordine di Mosca con evidente
malafede.
Il Borba infine aveva dichiarato che tutta la stampa cominformista aveva
cominciato in ritardo a commentare i risultati delle elezioni amministrative, questo
perché mancava di istruzioni superiori. La risposta del PCTLT era stata trovata
nella formula che diceva che le elezioni avevano rappresentato la sconfitta delle
liste jugoslave, mentre la vittoria dei “partiti reazionari” era messa in secondo
piano156. In La Nostra Lotta, organo dell'UAIS del circondario istriano, il 29
giugno (“Insegnamenti dell'esperienza”) si arrivava addirittura a parlare di risultati
delle elezioni diversamente interpretabili a seconda della popolazione considerata
come residente a Trieste e quindi come “legittimo corpo elettorale triestino”; 154 Il Lavoratore, ibidem. 155 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 216, Tls. n. 1619/805, Legazione d'Italia Belgrado a Mae, 30 giugno 1949: elezioni a Trieste, Jugoslavia e Cominform. 156 D.D.I., Serie Affari Politici, Tls. n. 1699/833, Legazione d'Italia Belgrado a Mae, 5 luglio 1949: commenti ufficiali in zona B.
74
nell'articolo si passava poi alle solite accuse ai cominformisti di aver tradito la
causa degli sloveni e di essere antileninisti e addirittura “antisovietici”. La satira
era anche di tipo personale nei confronti di Vidali a proposito del quale si
scriveva: “[...] sconclusionate elucubrazioni di un megalomane del Centro
America che ha preso troppo sole per aver perduto il sombrero”157.
Non meno forti erano gli attacchi sferrati dalle pagine del quotidiano
nazionale l'Unità sul quale Pajetta scriveva: “In questo posto di frontiera dove
ognuno, dieci volte al giorno, vede il confine e di là Capo d’Istria e Isola e Pirano,
tutti vi assicurano che i comunisti vinceranno presto anche in Jugoslavia e Tito, il
traditore contro il quale si appunta l’odio popolare, sarà spazzato via”158.
157 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 216, Tls. n. 1699/833. 158 Cfr.: L'Unità, 29.6.1949.
75
2.6 L'introduzione del dinaro nella zona B
Gli attacchi violenti agli avversari politici, in primis “il traditore” Tito,
scaturivano, come spesso accadeva, anche dalla necessità di dimostrare che il PCI
era in prima linea nel campo del comunismo internazionale nella lotta contro i
“traditori”, a dispetto delle critiche che potevano arrivare come ad esempio alcuni
mesi dopo alla riunione dell'Informbjuro in Romania. In quell'occasione vi era
stata l'autocritica di Longo e della Direzione del partito per la “deficiente nostra
lotta contro Tito”, mentre scarsa e debole si definiva l'azione politica dal punto di
vista dell’orientamento”159.
Nel mese di luglio del 1949 il governo jugoslavo introdusse il "dinaro" nella
Zona B come unica moneta, confermando l'intenzione di voler dare vita ad un atto
unilaterale di annessione. Negli stessi giorni a Pola Tito annunciava la decisione
della Jugoslavia di cessare l'appoggio ai partigiani greci e allo stesso tempo di
richiedere aiuti economici all'Occidente. Dopo circa un anno di silenzio il leader
jugoslavo tornava a parlare della questione di Trieste affermando che la
Jugoslavia doveva essere interpellata su qualsiasi decisione venisse presa in
merito al TLT. Il discorso avrebbe potuto far pensare ad un primo cambiamento di
rotta dalla richiesta di creazione del TLT alla richiesta di spartizione dello stesso.
Presso il Ministero degli Esteri italiano si riteneva che la lentezza di presa di
posizione dei Governi occidentali nella questione della zona B avvalorasse la tesi
di quanti insinuavano che i governi alleati non avrebbero avuto scrupolo a
compromettere gli interessi italiani e ciò destava una “penosa impressione nella
nostra opinione pubblica. Senza dubbio, secondo il Ministro degli Esteri italiano
Carlo Sforza, la blanda reazione occidentale al gesto di Tito nella zona B era da
ritenersi responsabile del suo arrogante discorso a Pola160.
Il corrispondente a Belgrado del New York Herald Tribune informava che,
secondo fonti autorevoli, la dichiarazione di Tito a Pola era, in realtà, da ritenersi
di tono conciliativo ed indicante la sua volontà di esporre il punto di vista
jugoslavo su Trieste e negoziare con gli Occidentali. Tale manifestazione era
interpretata come volta a prevenire la possibilità che la Russia accedesse alla
159 APC, MF. 200, Verbali della direzione 24-11-1949 160 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 214, Telegramma n. 5923/C del 12/07/1949, Min. Sforza a Londra Washington Parigi Belgrado (Declassificato a non classificato ai sensi dell'O.d.s. n. 43-2006 del 9-11-2006).
76
richiesta delle tre Potenze occidentali di restituire Trieste all'Italia. Un'iniziativa
russa del genere avrebbe reso possibile la revisione del Trattato di pace con l'Italia
e Tito isolato, a meno che egli non fosse riuscito ad accordarsi preventivamente
con gli Occidentali161.
Il Ministro Sforza ammoniva che l'attenzione dell'opinione pubblica italiana
alle reazioni di Usa e Gran Bretagna ad azioni illegali della Jugoslavia in zona B
era alta. I comunisti si preparavano a farne oggetto di larga speculazione politica
anche in relazione all'imminente discussione parlamentare per la ratifica del Patto
Atlantico. Qualsiasi esitazione da parte delle Potenze Occidentali sarebbe stata
immediatamente interpretata e sfruttata come conferma di insistenti voci
giornalistiche di accordi finanziari connessi ad una soluzione di compromesso a
danno dell'Italia per la questione del TLT. Anche dal punto di vista della politica
interna sarebbe stato perciò necessario che la presa di posizione delle Potenze
Occidentali fosse risultata pronta e decisa162. Ed aveva ragione il Ministro a
proposito delle intenzioni comuniste di speculare sull'azione jugoslava in zona B,
dato che ad esempio Il Lavoratore parlava, a proposito del cambio di moneta
sopra menzionato, di primo passo verso la spartizione del TLT, secondo l'accordo
De Gasperi-Tito. Di fronte a tale spartizione, ci sarebbero state probabilmente le
proteste degli Occidentali, ma alla fine, secondo il quotidiano comunista,
sarebbero prevalse ragioni di opportunità politica, tanto più che in quel momento
Tito sembrava contare per gli imperialisti più di De Gasperi163.
I fatti della Zona B, come previsto da Sforza, furono sfruttati anche in sede
di dibattito parlamentare sulla ratifica dell'adesione al Patto Atlantico sempre nel
luglio del 1949. Gian Carlo Pajetta nel suo lungo intervento chiedeva che le
elezioni fossero svolte non solo in zona A ma anche in zona B, affinché venisse
migliorata la condizione di Trieste, trasformata in “Shanghai dell'Adriatico” con
la presenza delle truppe anglo-americane. Pajetta accusava i democristiani di
remissività di fronte all'azione di Tito che si mostrava addirittura “truculento” nel
tentativo di ottenere i massimi risultati possibili nei negoziati , mentre il governo
italiano si limitava ad una protesta “pro forma” ritenendo che la questione fosse in
161 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 214, Tls. n. 15/139 DGAP IV a Londra Parigi Mosca Belgrado del 18/07/1949: dichiarazione Tito a Pola e atteggiamento russo. 162 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 214, Telegramma (Tlg.) n. 5870 Sforza a Londra e Parigi 10/07/1949. 163 D.D.I., Serie Affari Politici, Tls. n. 4154/803 Rapp. It. Trieste a MAE 7/7/49: cambio moneta in zona B, commenti stampa cominformista.
77
realtà tra governo jugoslavo e governo americano164.
164Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, seduta del 14.7.1949.
78
2.7 Il PCTLT: “la via d'uscita” è l'applicazione del Trattato di pace
2.7.1 Il Comitato Centrale del luglio 1949
Dalle carte dell'Archivio Gramsci, possiamo riscostruire i tre giorni di lavori
del Comitato Centrale del PCTLT del luglio 1949 in cui, al solito, fu Vidali a
dominare la scena. Non risultano particolarmente interessanti ai fini della presente
ricerca l'intervento di Marina Bernetic né la relazione organizzativa di Destradi,
mentre può valere la pena esaminare alcuni passaggi del discorso tenuto da Vidali.
Nel suo intervento egli esortava all'interno del Consiglio comunale a contrastare
sia il nazionalismo che il cosmopolitismo (citava Bielnisky: “il cosmopolita è
qualcosa di falso, d'ambiguo, di estraneo ed incomprensibile, uno spettro pallido e
nebuloso, un essere immorale, senza anima, indegno di portare il nome sacro di
uomo”). Sul problema di Trieste affermava che le dichiarazioni di Londra e
Washington significavano che le trattative sarebbero continuate, mentre sarebbe
stato concesso il prestito a Tito. Vidali accusava di non sincerità gli Occidentali
che avevano formato il Blocco Triestino ed il Fronte dell'indipendenza,
subordinando tutto ai loro piani di guerra, mentre Tito offriva loro un fronte del
quale Trieste era una testa di ponte.
Ma per qualsiasi soluzione circa la questione di Trieste, Vidali ricordava
l'imprescindibililità dell'assenso dell'URSS:
“L'Urss rispose alla tripartita, la escludono da tutto, ha chiesto due volte il governatore non è intervenuta nelle elezioni italiane né nelle nostre essa interverrà sicuramente, è la nostra bussola il suo ed il nostro nemico principale non è distinto. Il trattato di pace è stato rotto da tutti; la nostra posizione è distinta da quella degli indipendentisti: non esiste uno “stato libero”, abbiamo accettato un compromesso, ne volevano un altro quello Tito-Togliatti, c'è stato un momento nel quale si disse meglio l'Italia che gli anglo-americani, siamo disposti ad accettare un compromesso con il quale sia d'accordo l'Urss. Realizzare alleanze, tenendo la nostra libertà d'azione per altre soluzioni che noi dobbiamo desiderare al più presto. Nazionalismo italiano nei suoi vari aspetti titismo e cosmopolitismo sono sullo stesso piano. Le singole rivendicazioni della democrazia possono essere in contraddizione col movimento democratico mondiale in questo caso respingerle, bisogna valutare su scala mondiale le varie posizioni prese dall'Urss sul problema di Trieste”165 .
Quest'ultima frase di Vidali, è a mio parere non da sottovalutare, soprattutto
se si considera detta da un “uomo di Mosca”, qual'era Vidali, il quale si rendeva
165 APC, Mf. 99, pacco 1 busta 57/1, C.C. del PCTLT 15-17 luglio 1949.
79
conto benissimo che le “varie posizioni” del Cremlino sulla questione di Trieste
potevano lasciare quanto meno perplessi i comunisti triestini, ma non per questo il
ruolo di guida “del movimento democratico mondiale dei sovietici poteva venir
messo in discussione per delle “singole (e locali) rivendicazioni della
democrazia”. Nelle sue conclusioni Vidali sosteneva l'importanza della lotta per la
pace a Trieste, la quale poteva essere utilizzata dagli Occidentali per
un'aggressione antisovietica sferrata in base all'art.4 del Patto Atlantico, qualora la
sicurezza dei loro governi fosse da considerare in pericolo per azione delle forze
di opposizione.
La risoluzione del Comitato Centrale ribadiva la linea del PCTLT:
“richiesta della nomina del governatore, come unica soluzione che in quel
momento permetteva l'allontanamento di tutte le truppe di occupazione,
l'unificazione delle due zone e lo stabilimento di condizioni di vita democratiche e
di ripresa economica e che potesse aprire la via anche ad altre soluzioni che
contribuissero alla difesa della pace”. Andava fatto uno sforzo per formare un
ampio fronte di tutti i cittadini e possibilmente di gruppi e partiti che, anche
mantenendo le proprie opinioni sulla futura appartenenza statale di quelle terre,
potessero trovarsi in quella fase d'accordo sull'obiettivo della nomina del
governatore, sulla base della lotta comune contro il principale nemico, cioè
l'imperialismo anglo-americano. Ulteriori obiettivi erano: allargare e rafforzare il
partito, allargare le organizzazioni democratiche di masse, renderle indipendenti
economicamente e più influenti166.
Intanto, frutto di un accordo per un maggiore sostegno del PCI sul territorio,
anche a livello di organi di stampa, l'Unità entrò a fine luglio a Trieste con una
pagina di cronaca dedicata al TlT.
166 APC, Mf. 99, pacco 1 busta 57/1, CC del PCTLT 15-17 luglio 1949.
80
2.7.2 Il II Congresso ordinario del PCTLT
Al II congresso ordinario del PCTLT (16-18 settembre 1949) un Vidali più
prolisso del solito esponeva, in una relazione politica di ben trentotto pagine, la
situazione ed i progressi fatti dal proprio partito. Un anno prima il con il
congresso straordinario erano stati eliminati dal partito i seguaci di Tito. L'eredità
lasciata triste e disastrosa, il partito con errori, deficienze e deviazioni ideologiche
e politiche, il movimento viziato da nazionalismo borghese e cosmopolitismo. Il
partito era ancora semilegale, nascosto dall'Unione Antifascista Italo-slovena
(UAIS) con il quale le organizzazioni democratiche di massa si identificavano
completamente, con un apparato enorme di funzionari ed una situazione
economica disastrosa e caotica dovuta al fatto che la banda di Babic si era
appropriata di tutto il suo patrimonio.
Sulla questione di Trieste Vidali ribadiva la posizione del PCTLT espressa
altrove:
“unificazione delle due zone, evacuazione delle truppe d'occupazione e cancellazione di questo territorio dalla mappa bellica dell'imperialismo guerrafondaio. Nell'articolo “Baratto infame” dissi che ormai non poteva essere un segreto per nessuno che il processo d'inserimento della zona B nello stato jugoslavo e della zona A, sempre occupata dalle truppe anglo-americane, nel nesso amministrativo italiano, era un fatto. I discorsi di De Gasperi e Miha Marinko e Diminic confermavano questo fatto rinunciando entrambi alla difesa delle proprie minoranze sotto il governo straniero. Tanto a Tito come a De Gasperi senza parlare degli anglo-americani interessa la permanenza a Trieste delle truppe angloamericane perchè Trieste oltre ad essere una testa di ponte diretta contro i Paesi a democrazia popolare e contro l'Unione Sovietica rappresenta un avvertimento minaccioso contro il combattivo movimento democratico italiano e la crescente opposizione del popolo jugoslavo contro la cricca di Tito utile agli imperialisti anche per l'azione di provocazione per scindere il fronte unico socialista. Ricordavo che lo stesso Warren Austin rappresentante americano al Consiglio di Sicurezza nella discussione sulla proposta sovietica di nominare il governatore aveva affermato che erano in corso trattative tra le due nazioni sotto l'egida anglo-americana con esclusione dell'Urss e quindi fuori dall'Onu. Nell'articolo “La via d'uscita” ripetevo che De Gasperi e Tito conducono una lotta diretta contro l'Urss. La nota tripartita è inapplicabile mentre è applicabile la proposta sovietica. Se è necessario dobbiamo unirci tutti per fare una petizione popolare diretta al Consiglio di Sicurezza. Questa è l'unica via d'uscita nella situazione attuale. Dopo, la ricerca di una nuova soluzione sarà meno complicata e difficile che oggi. Ci si chiede quale sarebbe la nostra posizione se l'Urss cambiasse linea. Rispondiamo che la pietra di paragone per conoscere un democratico è il suo atteggiamento verso l'Urss, saremo sempre al fianco dell'Urss perché ogni sua posizione sul problema di Trieste sia quale sia sarà ispirata dagli stessi sentimenti: di solidarietà democratica e di pace […] Abbiamo resistito a molti attacchi e abbiamo accresciuto le nostre forze confortati dalla solidarietà dei partiti
81
fratelli, specialmente del PCI e del suo dirigente Togliatti”167.
Per il PCI aveva partecipato ai lavori del congresso del PCTLT Giacomo
Pellegrini del comitato regionale Veneto. Il rapporto che inviò alla Segreteria
merita sicuramente attenzione, poiché in esso leggiamo che egli giudicava
“insufficiente l'orientamento del partito sulla questione nazionale e su quella
dell'appartenenza statale”, ravvisando indeterminazione e tendenza a sfuggire
l'esame delle questioni nel partito di Vidali. Benché certamente giudicato in
maniera positivo il fatto che molti delegati dichiarassero di dover seguire Mosca
sulla questione di Trieste, Pellegrini faceva giustamente notare che andava fatta
una distinzione tra vecchie e nuove posizioni e nemmeno il rapporto di Vidali
aveva fatto chiarezza in questo. All'interno del partito vi era una divisione tra
coloro che provenivano dal vecchio partito giuliano e quelli che venivano dal
Cominform, legata molto a questioni personali. Vidali, infine, concludeva
Pellegrini, era insufficientemente aiutato dai suoi collaboratori168.
A condividere le preoccupazioni di Pellegrini erano in molti anche a Roma.
Secchia si rivolgeva a Togliatti addirittura paragonando i rapporti del PCI con il
PCTLT con quelli intrattenuti col partito comunista inglese o americano, cioè i
vidaliani si consideravano come un partito completamente indipendente, “senza
per altro avere la forza di sviluppare una linea politica conseguente”. Era
necessario perciò “vedere la questione del PCTLT”, perché così non si poteva
“andare avanti”169. In realtà anche Vidali, come abbiamo visto anche in
precedenza, chiedeva un maggiore sostegno da Roma. In una lettera alla
Segreteria, in cui si lamentava per la riunione “saltata” a causa dell'assenza di
Togliatti, scriveva che nella lotta di Trieste sempre più dura e complicata lui
cominciava ad “essere stanco, anche fisicamente” ed il desiderio dei triestini era di
sentire “più vicini” i compagni del PCI170.
167 APC, Mf. 98, II Congresso ordinario PCTLT, 16-18 settembre 1949. 168 APC, Mf. 98, Lettera di Pellegrini Giacomo alla Segreteria del PCI, 18 settembre 1949. 169 APC, Mf. 100, busta 2 - 13/2, Verbale della Segreteria n. 58 – 4 ottobre 1949. 170 APC, Mf. 99, Lettera di Vidali a segreteria Roma 3 novembre 1949.
82
2.8 Il Cominform chiede un’intensificazione della lotta al titismo
Sul piano internazionale, alcuni episodi possono essere considerati come
conferme dello spostamento, cominciato con la risoluzione del giugno 1948, della
Jugoslavia al di fuori del Cominform verso una posizione più o meno “neutrale”
in campo internazionale. Il primo era la nota sovietica dell'11 agosto 1949 alla
Jugoslavia in cui veniva dichiarata la fine de sostegno alle rivendicazioni
jugoslave sulla Carinzia e gli jugoslavi venivano addirittura definiti “fascisti
arrabbiati”. Il secondo è forse meno eclatante ma pur sempre importante: si
trattava dell'accordo commerciale dell'agosto 1949 tra Italia e Jugoslavia che
costituiva un primo “passo incontro” mosso dai due Paesi dopo la seconda Guerra
Mondiale. Infine, il 29 settembre 1949 l'Urss denunciava il trattato di amicizia con
la Jugoslavia, come definitivo gesto di rottura delle relazioni diplomatiche tra i
due Paesi non più facenti parte dello stesso schieramento.
In campo comunista a metà novembre del 1949 si tenne la terza conferenza
ufficiale del Kominform a Matra in Ungheria: all'ordine del giorno la lotta alla
“cricca di Tito”. La relazione di Gheorghiu-Dej “Il Pcj nelle mani di assassini e
spie” diceva che Tito eseguiva scrupolosamente gli ordini dei suoi padroni. Non
c'erano interessi nazionali che Tito non avesse tradito per ordine di Washington.
Secondo il quotidiano statunitense New York Herald Tribune vi erano stati dei
mutamenti nelle posizioni jugoslave riguardo alle rivendicazioni dell'Austria, sulla
questione di Trieste e quella dei partigiani greci. Ma in realtà “Giuda-Tito” si
opponeva a una soluzione equa degli interessi jugoslavi a Trieste171.
Nel suo intervento alla conferenza il delegato del PCI Arturo Cicalini aveva
affermato che dopo la risoluzione del giugno '48 la cricca di Tito aveva rafforzato
e sviluppato l'azione spionistica verso l'Italia. La risposta del PCI consisteva nella
campagna ideologica politica in seno al partito: vi erano dei membri e dei quadri
di base che non avevano bene assimilato il principio del ruolo dirigente dell'Urss.
La lotta, ovvero “vigilanza rivoluzionaria”, contro le influenze del titismo
tra i partigiani e nel Psi era un obiettivo primario. Nel TLT al momento della
risoluzione del giugno '48 la situazione era grave e complessa sia per
171 APC, Fondo M, Mf. 192, Materiale Kominform, luglio 1947-aprile 1950, pacco 12/II, Riunione U.I., Novembre 1949.
83
l'occupazione anglo-americana che per politica nazionalista della cricca di Tito. Il
PCTLT era diretto dai titisti Babic e Ursic i quali avevano il monopolio della
stampa e della tipografia, dei mezzi finanziari del partito e anche il controllo sulla
maggior parte delle organizzazioni di massa. Dopo una lotta accanita sul terreno
ideologico e su quello organizzativo i titisti rimasti in minoranza erano stati
cacciati dal partito e battuti nelle organizzazioni di massa e fra le masse italiane e
slovene del TLT. I risultati delle ultime elezioni nel TLT erano stati schiaccianti:
21% per il PCTLT contro il 2% dei titini. Il lavoro del PCI in Jugoslavia per
aiutare i compagni in Istria e Slovenia poteva essere svolto sfruttando l'esperienza
del PCI stesso nel ventennio fascista: tramite la costituzione di un “apparato
speciale” composto da italiani, croati e sloveni, con sedi, uffici e servizi
indipendenti sia dal PCI che dal PcTLT. Era stata creata una rete organizzativa,
ancora debole tuttavia per mancanza di centralizzazione. L'Apparato Speciale
pubblicava materiale di propaganda da diffondere in Jugoslavia. Il confine era
sorvegliato, perciò la stampa veniva introdotta tramite marinai, ferrovieri,
familiari di emigrati, etc. Lettere e relazioni ricevute dall'Apparato Speciale
confermavano la situazione descritta da Dej in Jugoslavia.
La conclusione di Cicalini era che il PCI avrebbe rafforzato la lotta contro la
cricca facendo tesoro dell'esperienze fatte da altri partiti comunisti, non
dimenticando però che l'Italia era un paese “marshalizzato” e uno dei più esposti
all' azione spionistica di Tito172.
Le direttive del Cominform vennero subito metabolizzate dal PCI, in cui si
discusse la necessità di rafforzare l'unità della classe operaia contro la
penetrazione degli elementi trotzkisti. Togliatti invitava i compagni a superare
ogni ombra di scetticismo a tale riguardo: “Esso sarebbe oggi esiziale”173.
D'Onofrio rassicurava da una parte per la compattezza e l'ortodossia del
partito ma dall'altra criticava gli organi di stampa:
“Non vi è alcuna ragione di pensare che nel nostro partito vi siano correnti o
gruppi dissidenti, ma qualche spia che occorre individuare e colpire con sanzioni
politiche. Ma nel partito esistono condizioni oggettive perché si possono creare
situazioni di disagio (filotitoismo) e per questo occorre una grande azione di
172 APC, Mf. 192, Materiale Kominform, luglio 1947-aprile 1950, pacco 12/II, Riunione U.I., Novembre 1949. 173 APC, Mf. 192, Materiale Kominform, Comitato Centrale PCI 16-19 dicembre 1949.
84
vigilanza e un miglioramento della politica dei quadri [...] E' inammissibile
continuare l'andazzo di settimanali che per due mesi non hanno combattuto
nemmeno con una riga sull'avvenimento della cricca di Tito”174.
A partire dalla conferenza del Cominform vi fu sicuramente
un'intensificazione del lavoro propagandistico da parte del PCI, ma anche di
quello organizzativo e politico.
Seguirono anche casi di aperta autocritica, per lo scarso impegno fino ad
allora tenuto sotto certi aspetti nella lotta contro i traditori titini, come in
occasione della riunione della segreteria del Cominform dell'aprile del 1950. Nel
suo intervento Roasio aveva esposto come dopo la conferenza del novembre 1949
era stata dedicata maggiore attenzione alla sorveglianza sulle infiltrazioni
titine175. Era stata sviluppata una campagna di stampa su l'Unità specie e nelle
edizioni veneta e triestina e su Vie Nuove. Il lavoro veniva svolto tramite
conferenze e riunioni sui partigiani, più esposti alle influenze jugoslave. Maggiore
lavoro era stato svolto nel Veneto: Gorizia, Udine e Pordenone. La Federazione di
Gorizia che si era spezzata in due dopo la risoluzione del giugno '48 doveva
condurre una “lotta più decisa, continua e conseguente”, politica ed organizzativa,
non solo nel partito ma anche nei sindacati e nelle organizzazioni di massa e nella
popolazione slovena. Il PCI aveva continuato in quei mesi a dare un aiuto
concreto di consigli, di direzione politica ed organizzativa al PCTLT ed aveva
continuato a sviluppare un'azione di propaganda, e in una certa misura di
organizzazione all'interno della Jugoslavia. Vi era una certa diffusione di giornali
in Jugoslavia e zona B da parte del PCI: Il lavoratore anche in Jugoslavia,
edizione milanese de l'Unità, il settimanale in lingua slovena Delo in Jugoslavia,
nel goriziano e a Trieste, Nuova Borba da Praga soprattutto tra gli sloveni del
TLT, copie della risoluzione dell'Informbjuro, infine, venivano diffuse in sloveno.
L'edizione triestina de l'Unità aveva condotto una campagna per dimostrare
l'antidemocraticità delle elezioni smascherando la politica di Tito e degli
imperialisti, le trattative del compromesso Tito - De Gasperi, sostenendo la
necessità dell'applicazione del trattato di pace con la nomina del governatore e
l'evacuazione del territorio libero dalle truppe americane e jugoslave. Il Comitato
174 APC, Mf. 192, ivi. 175 APC, Fondo M, Mf. 101, Materiale Kominform, Riunione segretariato U.I. 20-22 aprile 1950, b. 2/14.
85
centrale del PCTLT aveva lanciato un appello diffuso tra i lavoratori nella zona B
e in Jugoslavia a votare contro la lista di Tito. Occorreva lanciare una protesta al
Consiglio di sicurezza firmata da organizzazioni democratiche, personalità e
associazioni di Trieste. Bisognava consegnare manifesti in Jugoslavia e in zona B
ai gruppi comunisti jugoslavi affinché si votasse contro Tito. Roasio tuttavia
ammetteva, e qui veniva la fase più apertamente autocritica, che il materiale in
Jugoslavia era ancora insufficiente sia come qualità che come quantità. Bisognava
aiutare poi chi era in carcere e migliorare i rapporti con gli agenti che operavano
in Jugoslavia”176.
176 APC, Fondo M, Materiale Kominform, Mf 101, Riunione segretariato Kominform 20-22 aprile 1950.
86
2.9 Cambiamento dello scenario internazionale: verso le trattative dirette
Il 21 febbraio del 1949 il delegato americano al Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite aveva dichiarato che l'art. 2 dello Statuto del Territorio libero
di Trieste costituiva una pietra miliare per la salvaguardia dei diritti dell'uomo
"violati dal governo poliziesco operante in Zona B". Il delegato inglese
confermava che "una forma di governo poliziesco” era stata estesa dalla
Jugoslavia alla zona che essa doveva amministrare, con tutte le caratteristiche di
un governo totalitario. Ciò rendeva impossibile l'unificazione di questa zona con
la zona anglo-americana in vista della formazione di un territorio indipendente e
democratico secondo le linee previste dal Trattato di pace. In questa condizione
l'istituzione di un territorio indipendente avrebbe significato la creazione di una
zona aperta alle aggressioni dirette, secondo i metodi così spesso messi in pratica
nell'Europa orientale". Con tali dichiarazioni le Potenze Occidentali prendevano
atto pubblicamente per la prima volta della non realizzabilità concreta del
Territorio Libero di Trieste come ente autonomo di diritto internazionale. Tale
presa di coscienza fu ribadita più volte, fino ad arrivare alla spartizione delle due
Zone del 1954 tra Italia e Jugoslavia che mise la parola fine al TLT, creazione del
Trattato di pace del 1947 mai venuta alla luce.
Le potenze occidentali erano divenute perciò favorevoli ad un accordo che
nascesse da trattative bilaterali dirette tra Italia e Jugoslavia o anche che prendesse
spunto dalla dichiarazione tripartita del 1948. Allo stesso modo, dalla seconda
meta del '49, anche la Jugoslavia abbandonava l'idea della creazione del TLT e
propendeva per la spartizione del Territorio di Trieste. Da notare, tra l'altro, come
i diplomatici italiani si ponessero il problema di tenere in considerazione gli
aspetti legali e politici della reazione sovietica ad un eventuale accordo italo-
jugoslavo circa Trieste: la Russia si sarebbe trovata in serio imbarazzo nei
confronti del PCI, qualora avesse deciso di opporsi ad una soluzione del problema
di Trieste che avesse raccolto il favore di Roma e Belgrado177. Ma d'altra parte, i
Russi ancora una volta avrebbero potuto atteggiarsi a campioni della legalità,
sostenendo la necessità di applicare il Trattato di pace, malgrado ciò potesse
177 D.D.I.. Serie Affari Politici, b. 244, Rapporto segreto dell'ambasciatore a Washington Tarchiani al Min. Sforza del 13/12/1949 sui colloqui Bebler-Acheson.
87
scontentare anche pesantemente i compagni italiani e triestini.
Alla fine del '49 cominciarono ad arrivare aiuti economici alla Jugoslavia da
parte dell'Occidente ed anche il governo italiano pensò a una serie di concessioni
economiche e sociali, che consentissero agli interessi slavi di “sentirsi a casa loro”
quanto a uso del porto, a transiti ferroviari, a facilità doganali e di navigazione,
che avrebbero dato al governo di Belgrado e a quello di Roma prestigio e a
quest'ultimo simpatie e crediti presso le Potenze occidentali riguardo alla
possibilità di ritorno dell'intero TLT all'Italia178. Sempre in tema di speranze
italiane di riottenere l'intero TLT, si noti che l'Ambasciatore Tarchiani riferiva a
Sforza il convincimento dell'influente funzionario del Dipartimento di Stato
americano Cavendish Cannon, secondo il quale addirittura la Jugoslavia sarebbe
stata oramai rassegnata a cedere tutto il TLT all'Italia salvo minime rettifiche di
confine. Ben note considerazioni di prestigio costituivano la sola ragione che
impediva in quel momento che ciò accadesse e facevano sì che il governo
jugoslavo accettasse solo trattative circondate dal più geloso segreto al
riguardo179.
Si hanno rapporti dettagliati dei successivi contatti avuti dall'ambasciatore
Tarchiani con il Dipartimento di Stato: egli, riferendo ari rappresentanti americani
anche il contenuto del colloquio Guidotti-Ivekovic, ribadiva la posizione italiana
di rivendicazione dell'intero TLT, in cambio magari di concessioni economiche
e/o concessioni territoriali minime alla Jugoslavia. Il governo americano
esprimeva la propria posizione: uscire da una certa passività che consisteva nel
reiterare la validità della dichiarazione del 20 marzo 1948 era impossibile senza
coinvolgere anche il governo britannico ed entrare in trattative vere e proprie con
gli attori in causa180.
178 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 244, Rapporto segreto n. 1477, Min. Sforza a Tarchiani 29/12/1949: intese economiche e sociali con Jugoslavia se possibile accordo per TLT. 179 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 244, Rapporto segreto n. 200/123 Sforza a Tarchiani 10/01/1950: dip. Di Stato, Cavendish Cannon. 180 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 244, Rapporto segreto n. 1751/926 Tarchiani a Sforza 16/2/1950: contatti con Dip. di Stato per Trieste.
88
2. 10 Vidali contro il “baratto infame”
Rispetto all'avvicinamento jugoslavo all'Occidente e alle voci di un accordo
diretto tra Italia e Jugoslavia per la spartizione del TLT, PCI e PCTLT tornavano
alla carica, ciascuno con i propri uomini e mezzi.
L'edizione triestina dell'Unità cominciava a fare sentire la propria voce ad
inizio del 1950 con una serie di corrispondenze dal titolo “La via della guerra
passa per Trieste”, scritte dallo stesso direttore, Davide Lajolo (Ulisse). Come si
poteva leggere nella prima di tali corrispondenze, l'inchiesta si proponeva di
“documentare perché Tito ha tradito il fronte proletario, perché gli americani sono
a Trieste e ci vogliono rimanere, perché la via della guerra è passata e vorrebbe
ancora passare per Trieste”. In realtà, l'inchiesta che avrebbe voluto essere
obiettiva come tale, andava soltanto a dare un altro contributo alla campagna di
stampa scatenata dal Cominform contro Tito ed il titismo, essendo per lo più
costituita di frasi e passaggi dai toni propagandistici, in cui vi erano evidenti
segnali di revisionismo rispetto ai fatti della recente seconda Guerra Mondiale181.
A marzo del 1950 si riunì il Comitato Centrale del PCTLT, motivo della
riunione le elezioni nella zona B che si sarebbero tenute il 16 aprile. Vidali aveva
già scritto alla Segreteria che ci sarebbe stata un' unica lista in un Fronte popolare
italo-slavo, il ruolo principale sarebbe stato dell'Unione Antifascista Italo-Slava.
Aveva spiegato l'impossibilità di presentare una lista senza essere perseguitati
dall'OZNA182. Nella relazione al Comitato Centrale Vidali oltre a confermare la
posizione nota del PCTLT e la fedeltà a Mosca, segnalò anch'egli il cambiamento
avvenuto sul fronte jugoslavo:
“sul problema di Trieste hanno cambiato opinione anche i titisti. […] Babic ha detto che non bisogna più parlare di governatore, perchè questa sarebbe una parola d'ordine nostra per favorire l'annessione di tutto il TLT all'Italia, egli ha sostenuto invece l'accordo diretto tra i due governi. Essi in realtà propongono il baratto tra jugoslavi e anglo-americani delle due zone, hanno parlato negli ultimi tempi dell'accordo Tito-Togliatti interpretandolo come passaggio di Trieste all'Italia e di tutto il restante Territorio alla Jugoslavia. Le elezioni del 16 aprile dovrebbero servire a dimostrare la necessità di legare la Zona B al suo naturale retroterra”183.
A Roma si considerò giusta l'impostazione politica per le elezioni scelta da
181 D.D.I., Serie Affari Politici, Tls. n.513/86, Rappresentanza Italiana a Trieste a Mae/PCM-Ufficio Zone di Confine 19.01.1950: corrispondenze del direttore de l'Unità Davide Lajolo su Trieste. 182 APC, Mf. 264, Lettera di Vidali alla Segreteria, 10 marzo 1950. 183 APC, Mf. 99, Verbale C.c. PCTLT, 18 marzo 1950.
89
Vidali. Venne posta però, come altre volte in precedenza, la questione di più
stretti contatti tra i due partiti. Allo scopo di stabilirli si decise di chiamare con
frequenza Vidali alle riunioni della Segreteria e di porre un rapporto di Vidali
all'ordine del giorno di una riunione della direzione, prima delle elezioni nella
zona B184.
All'indomani del diffondersi delle voci che volevano imminente a Trieste
uno sbarco di armi americane, con l'immediata accusa agli Stati Uniti di aver
sempre ostacolato l'applicazione del Trattato di pace allo scopo, ora a tutti
evidente, di trasformare in base militare la città185, alcuni esponenti comunisti del
PCI e del PCTLT, tra i quali Sereni, Longo, Jaksetich, Novella, Tominez e Ghini,
si riunirono per esaminare le possibili forme di protesta e resistenza da
organizzare e sostenere. Tra le idee scaturite dalla riunione, oltre a manifestazioni
e campagne stampa, quella di una petizione all'ONU per protestare contro lo
sbarco degli armamenti americani, in quanto esplicita violazione delle clausole del
Trattato di pace sul TLT186.
Iniziava su l'Unità per tutto il mese di aprile una feroce campagna contro il
regime di Tito in vista delle elezioni plebiscitarie che stavano per tenersi in zona
B e della precedente unione doganale della stessa zona con la Jugoslavia. Negli
articoli si parlava di manovra “sciovinista e intransigente” di Tito in zona B, con
la complicità delle potenze occidentali dimentiche delle dichiarazioni del 1948, e
al suo cospetto di un governo democristiano pronto a rinunciare alle promesse
elettorali187.
Anche Vidali chiedeva alla Segreteria di pubblicare sull'Unità e gli altri
organi di stampa comunista reportages sulla zona B. I senatori e deputati del PCI
avrebbero dovuto promuovere l'invio di una delegazione in zona B e non lasciare
che fossero quelli degli altri partiti a farlo. Tramite conferenza stampa si dovevano
invitare tutti i giornalisti locali, italiani e di altri paesi, a recarsi nella zona B188.
Alla vigilia delle elezioni Vidali tenne egli stesso una conferenza stampa in
184 APC, MF 264, Verbale di Segreteria n. 20, 21 marzo 1950. 185 Il primo carico di armi diretto al porto di Trieste, l'Unità, 31 marzo 1950. 186 APC, Fondo M, Mf. 99, PCTLT, Riunione per esaminare questione sbarco armi americane a Trieste, 4-4-1950. 187 Vedi ad esempio: Tito e Trieste, L'Unità, 7 aprile 1950; Sforza pronto ad accantonare le promesse elettorali su Trieste, L'Unità, 9 aprile 1950; Umiliante scacco di Sforza nei tentativi di accordo con Tito, L'Unità, 11 aprile 1950; Con la complicità degli Occidentali Tito ha violato il trattato di pace, L'Unità, 18 aprile 1950. 188 APC, Mf. 264, Lettera Vidali alla segreteria per chiedere riunione dopo ultimi avvenimenti, 11 aprile 1950, annotazione di Togliatti 14 aprile “Sta bene. Chiamarlo”.
90
cui rilevò come si era andata delineando la politica del “baratto”: abbandono da
parte dei titini della linea della difesa del Trattato di pace per quella delle trattative
dirette, nota di Belgrado a Roma per accordi sulla base della situazione attuale,
dichiarazioni di De Gasperi circa l'entrata nel Patto Atlantico senza sollevare il
problema di Trieste, discesa sul terreno scelto da Belgrado. Tito era per la
spartizione in base alla divisione attuale delle zone, mentre Sforza propendeva per
una linea etnica, questa era la differenza tra i due.
Riguardo all'ipotesi di un plebiscito, Vidali affermava che esso poteva
diventare una buona soluzione solo nel momento in cui le truppe d'occupazione
avessero lasciato il territorio. Infine, comunicava la decisione del Comitato
centrale, riunito in riunione straordinaria, secondo tutti i partiti e movimenti e
partiti locali avrebbero dovuto prendere un'iniziativa per proporre al Consiglio di
Sicurezza la nomina del Governatore, l'unificazione delle due zone,
l'allontanamento di tutte le truppe d'occupazione, jugoslave ed anglo-americane,
sulla base del rispetto del Trattato di pace. Questa era la soluzione “più giusta e
conseguente” alla questione di Trieste. Qualora tale appello presso il Consiglio di
Sicurezza fosse rimasto inascoltato, il PCTLT avrebbe proposto, pur di evitare il
“baratto”, un plebiscito che avrebbe contemplato “tutte le possibili proposte dei
gruppi etnici locali e nel quale avrebbero dovuto essere garantite le condizioni del
controllo più democratico possibile”189 .
Il 16 aprile nella zona B si svolsero le elezioni amministrative in un clima di
pesante tensione: vennero chiuse le comunicazioni terrestri e marittime con
Trieste, allontanati i non residenti, imposte limitazioni ai giornalisti. Si
verificarono aggressioni violente contro la popolazione italiana che, sia per
indicazione del Cln, sia spontaneamente, si asteneva massicciamente dalle
votazioni.
189 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 246, Tls n. 1801/458 A.Castellani (Rappresentanza Italiana a Trieste) a Mae/PCM-Uff. zone di confine/Leg. Belgrado 19.4.1950: questione di Trieste, atteggiamento del partito comunista cominformista.
91
2.11 La posizione sovietica sulla questione di Trieste
2.11.1 La nota sovietica del 20 aprile 1950 recepita dal PCI
Pochi giorni dopo le elezioni in zona B, l'Unione Sovietica comunicò la
propria posizione sulla questione di Trieste in una nota in cui chiedeva il rispetto
delle clausole del Trattato di pace e quindi il ritiro delle truppe straniere dal
territorio di Trieste e la nomina del governatore del Territorio Libero. In essa si
spiegava come le potenze occidentali avessero respinto tutti i candidati proposti
dai Sovietici per la carica di governatore allo scopo di mantenere la base militare
nella città. In realtà, non si trattava di posizioni innovative, qualcuno parlò di
argomenti “logori” da parte di Mosca, ma era l'ufficialità e la tempestività con cui
tali posizioni venivano espresse a renderle particolarmente rilevanti.
Lo stesso giorno si tenne una riunione di Segreteria, in cui, dopo “ampia
discussione”, si decise di rendere pubblica la posizione del partito sulla questione
di Trieste190: Vidali e Longo vennero incaricati di redigere il comunicato in cui si
diceva che la direzione del PCI si dichiarava d'accordo con le proposte dei
comunisti triestini per l'applicazione del trattato di pace , l'unificazione delle due
zone del Territorio e l'allontanamento di tutte le truppe. Si decise anche che
Pajetta avrebbe riferito in Parlamento: il dibattito scaturiva da un'interpellanza di
Pietro Nenni al Ministro degli Esteri “sulla politica generale del governo nelle
questioni attinenti alla organizzazione del Territorio Libero di Trieste; sul valore
attuale che il Governo attribuisce alla raccomandazione tripartita del 20 marzo
1948 circa il ritorno alla sovranità italiana del Territorio Libero di Trieste; sui
risultati dei passi del Governo del ministro degli affari esteri presso i ministri
degli esteri degli Stati Uniti, del Regno Unito e della Francia, in relazione ai fatti
compiuti del governo di Belgrado nella zona B del Territorio Libero di Trieste per
quanto riguarda la riforma valutaria e l’unione doganale e in occasione delle
elezioni del 16 aprile 1950”. A sua volta Pajetta aveva presentato una
interpellanza al Presidente del Consiglio e al Ministro degli Esteri “circa il grave
insuccesso della politica governativa nella questione della difesa della italianità e
della applicazione del .trattato di pace per la parte relativa al Territorio Libero di
Trieste”. Nel suo intervento fiume del 22 aprile alla Camera dei Deputati Pajetta 190 APC, Mf. 265, Verbale Riunione di Segreteria n. 26 – 20 aprile 1950.
92
cominciò col fare una ricostruzione storica della questione di Trieste:
“[...] E successivamente, dopo la conclusione della guerra, quando gli jugoslavi del partito comunista e il governo di Belgrado rivendicarono l’istituzione, come frutto della vittoria, di una settima repubblica federale, comprendente la zolla di Trieste fino a Gorizia, quale fu la posizione dei comunisti italiani ? [...] Ebbene, nel suo rapporto al comitato centrale, al quinto congresso del partito comunista italiano, tenuto a Roma il 29 dicembre 1945, il segretario generale del nostro partito, il nostro compagno Togliatti, diceva: (( Per quel che riguarda la questione di Trieste, essa è per noi molto delicata. Gli operai di Trieste hanno preso un atteggiamento favorevole alla annessione della città allo Stato federale jugoslavo. All'epoca la soluzione era stata la seguente: ((Riteniamo che la funzione degli operai di Trieste sia quella di lottare insieme a noi contro le forze reazionarie italiane e di servire, come mediatori fra i due popoli, a trovare una soluzione di questo problema che elimini ogni motivo di dissenso tra i due popoli, spenga ogni scintilla di lotta nazionalistica tanto dall’una che dall’altra parte, e permetta di fare opera permanente di pace N. […] Successivamente, quando la situazione sembrava essere avvelenata da una serie di dispute, vi fu il viaggio dell’onorevole Togliatti a Belgrado e il suo colloquio con Tito. Togliatti ottenne il riconoscimento della italianità della città di Trieste. E lo ottenne da Tito ! […]
Pajetta continua con lo spiegare come la dichiarazione del 20 marzo 1948
avesse avuto un “risultato addormentatore” che aveva impedito al governo
democristiano di fare una politica attiva in questo settore. La nomina del
governatore, richiesta anche dalla recente nota sovietica, avrebbe voluto dire
l’evacuazione delle truppe straniere, la garanzia internazionale delle libertà
nazionali e democratiche a norma dell’articolo 21 del trattato, e costituiva l’unica
soluzione realizzabile. Seguitava il deputato comunista a parlare del recentissimo
documento emanato dal governo di Mosca:
“Nella recente nota sovietica ho trovato delle cose che mi pare non possano preoccupare gli italiani. In questa nota sta scritto: “In base agli stessi regolamenti, dal momento dell’entrata in carica del governatore, le truppe straniere di stanza ne1 Territorio ed il cui numero per quell’epoca deve essere ridotto a 5 mila uomini per ognuno degli Stati partecipanti all’occupazione di Trieste, debbono essere poste a disposizione del governatore per novanta giorni. Allo scadere di questo termine, tutte le truppe straniere debbono essere ritirate dal T.L.T., entro 45 giorni”. Le disposizioni si applicano dunque per tutte le truppe straniere, ed è ridicolo quindi giocare sull’equivoco di affermare che si tratta soltanto delle truppe anglo-americane. “In base alle clausole del trattato di pace - prosegue la nota sovietica - dovevano le truppe straniere cioè essere evacuate da Trieste verso la fine del gennaio 1948” [...] E se questo si fosse realizzato, quei morti non sarebbero morti, e quei deportati non sarebbero stati strappati alle loro case. Forse il deputato che ha parlato ieri non avrebbe più fatto un discorso commovente, ma quegli italiani che egli dice di difendere avrebbero vissuto una vita diversa. Ecco perché noi abbiamo accolto questa proposta, ed ecco perché noi oggi vorremmo che potesse essere realizzato quello che ancora
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non è stato fatto. Ma che cosa sarebbe avvenuto se il Territorio Libero fosse stato amministrato diversamente? Abbiamo avuto le elezioni del 12 giugno, malgrado certe limitazioni, e l’intervento anche sfacciato, del governo alleato, come pure la inflazione del corpo elettorale, ecc. I1 Territorio Libero ha dimostrato che potrebbe governarsi da se. Non vedo dunque quale è la preoccupazione da parte vostra quando avete avuto una maggioranza di voti, e quando affermate di essere sicuri di questa maggioranza. Noi vorremmo sapere che cosa avevate da temere voi perché le elezioni si estendessero a tutto il territorio. E permettetemi di ricordarvi, soltanto per inciso che, dopo aver condotto per tanti mesi un' imprudente, una calunniosa campagna contro i comunisti triestini, palazzo Chigi, dopo quelle elezioni, si è affrettato a fare una dichiarazione per iscrivere fra gli italiani di Trieste anche i comunisti, perché avevano avuto una notevole affermazione, perché non erano stati liquidati, com’era nelle vostre speranze. Ma permettetemi una citazione ancora. Si tratta questa volta di un articolo del nostro compagno Togliatti dove ci sono parole che acquistano oggi un particolare significato.
“Voi avete creduto alle promesse che sono state fatte, volete crederci e volete accontentarvene ancora. Ma noi fin da allora abbiamo denunziato il pericolo che era insito in quella politica. Il 26 marzo 1948, proprio dopo la dichiarazione tripartita, Togliatti ricordava un suo colloquio con Salvatore Contarini e diceva, parlando della conversazione che aveva avuto con questo diplomatico, come Contarini ad un tratto, rispondendo ad una osservazione dello stesso Togliatti che si domandava se forse la Politica di Bonomi era ispirata dal desiderio, di ricevere dagli anglosassoni Trieste, diceva: “No, gli anglosassoni non daranno Trieste all’Italia, nè alla Jugoslavia: la lasceranno pendere in mezzo ai due paesi. Se ne serviranno, se potranno, per rafforzare un regime loro alleato al di là dell’Isonzo, altrimenti la terranno sospesa fino ad una nuova guerra e la offriranno a noi per farci fare ancora una guerra per conto loro”.
Questo è il pericolo grave - chiudeva Pajetta - e noi ad ammonirvi di questo
pericolo non abbiamo aspettato oggi. Voi nascondete la realtà della situazione
attuale. La verità è che Trieste non è libera. Trieste è una colonia militare”191.
Su l'Unità continuava la campagna stampa a sostegno delle posizioni del
PCI e anche del PSI nel dibattito parlamentare in corso, mentre si schernivano i
presunti fallimenti della diplomazia italiana nelle trattative condotte con gli
jugoslavi, nelle quali alle caute proposte di Sforza era seguito in sostanza un
rifiuto di Tito, che in un'intervista aveva affermato che le trattative avrebbero
dovuto essere sviluppate sulla base dell'accordo con Togliatti del 1946.192 La
191 Atti parlamentari, Seduta Camera dei Deputati del 22 aprile 1950. 192 Vedi ad esempio: Proposte costruttive di Nenni per l'integrità del Territorio di Trieste, l'Unità, 22 aprile 1950; Acheson tace sulla dichiarazione tripartita. Belgrado preannuncia l'annessione della zona B, l'Unità, 22 aprile 1950; Perché rifiutano?, l'Unità, 23 aprile 1950; Il governo respinge la sola via che salva il Territorio di Trieste, l'Unità 23 aprile 1950; Tito d'accordo con gli USA contro la nomina del Governatore, l'Unità, 27 aprile 1950; Tito invita il governo italiano a sacrificarsi per il buon vicinato, l'Unità, 28 aprile 1950; Troppo ottimistiche le dichiarazioni di Tarchiani, l'Unità, 28 aprile 1950; Le proposte di Sforza respinte ieri da Tito, l'Unità, 29 aprile 1950; Sforza avrebbe proposto di barattare la zona A con la zona B, l'Unità, 30 aprile 1950.
94
stampa comunista affondava il colpo anche “sull'insensatezza” del governo
democristiano che si ostinava a non considerare le parole di Pajetta alla Camera e
quindi la nota sovietica sopra menzionata che mostrava, secondo l'avviso del PCI,
l'unica via possibile per una soluzione della questione di Trieste.
Nella definizione della posizione sulla questione di Trieste da parte del PCI,
la parola era lasciata ancora a Pajetta che definiva Trieste vittima di un doppio
sciovinismo. Quello italiano era sovvenzionato economicamente e nutrito
politicamente da Roma, responsabile di una lunga campagna d'odio nei confronti
degli slavi, assertore dai tempi della guerra delle rivendicazioni territoriali “più
folli”. Quello slavo era invece una diretta propaggine del “regime terroristico dei
fascisti di Tito” che aveva l'ulteriore colpa della “snazionalizzazione in corso nella
zona B”193. Pajetta definiva Trieste il più grande problema insoluto della politica
estera italiana, che poteva essere utilizzato anche come “metro col quale misurare
le intenzioni e i risultati dell'attività diplomatica di De Gasperi”. Il leader
democristiano aveva preferito tenere aperto un conflitto latente sul confine
orientale che poteva scoppiare in qualsiasi momento per dar sfogo al suo
anticomunismo. Ciò consentiva agli americani di mantenere una base militare a
Trieste, trasformata appunto in “piazza d'armi dell'imperialismo”194, “centro di
intrighi e provocazione”, e che costituiva una “piaga purulenta che può infettare
tutto il corpo della nazione”195
Il dibattito parlamentare proseguì nel mese di maggio anche in Senato ove
Sforza ribatteva la necessità di un accordo fra Italia e Jugoslavia. Vi furono
colloqui esplorativi con il rappresentante di Belgrado a Roma. Ma l'Italia ottenne
un altro rifiuto ed il ministro degli Esteri jugoslavo Ivekovic, in due successivi
discorsi, affermò che l'Italia voleva creare un'atmosfera di minacce e di pressioni.
In Senato il dibattito continuò sul disegno di legge “Stato di previsione
della spesa del M.A.E. per l'esercizio finanziario dal 1 luglio 1950 al 30 giugno
1951”, ovvero sul bilancio di previsione del Ministero degli Esteri. Tra i temi
riguardanti la politica estera italiana rientrava all'epoca a buon diritto la questione
di Trieste e diversi furono gli interventi su Trieste anche di senatori socialisti,
mentre per il PCI intervenne soltanto il senatore Pastore che parlò di pace e lotta
193 G.C. Pajetta, La politica estera italiana e il problema di Trieste, Rinascita, a. VIII (1950), n.5. 194 Cfr.: L'Unità, 23 agosto 1950. 195 G.C. Pajetta, La politica estera italiana e il problema di Trieste, cit.
95
contra il nucleare ma non menzionò mai il la questione del TLT196.
Evidentemente, ad un mese dalle elezioni plebiscitarie in zona B e dalla
conseguente nota sovietica, le istruzioni erano di mettere tutto a tacere, come già
successo altre volte, e come dimostra anche la brusca interruzione dell'infuocata
campagna stampa su l'Unità durata circa un mese di cui abbiamo parlato sopra.
2.11.2 Interpretazioni diplomatiche della posizione sovietica
E' molto interessante prendere in esame a questo punto la corrispondenza
dell'ambasciatore a Mosca Brosio col Ministero degli Esteri in cui egli tentava di
ricostruire la posizione sovietica sulla questione di Trieste in base alle ultime
vicende. Dopo la nota del 20 aprile, scriveva Brosio, la prima comune
interpretazione adottata dall'ambasciata nord-americana a Mosca e poi anche dai
britannici e dagli italiani stessi, era stata che i sovietici volessero ostacolare un
accordo diretto italo-jugoslavo. Ma successivamente, quando i sovietici
insistettero sulla instaurazione del TLT facendone addirittura una condizione per
la conclusione del Trattato austriaco, si comprese meglio che la linea sovietica
ostacolava fino a un certo punto gli accordi italo-jugoslavi, “anzi in un certo senso
li agevolava”. Poiché la costituzione del TLT si poteva considerare praticamente
impossibile, continuava l'ambasciatore nel suo ragionamento, l'insistenza sovietica
su di essa non faceva che impedire ogni possibilità di assegnare Trieste all'Italia
mediante adesione sovietica alla dichiarazione tripartita del 1948; per ulteriore
conseguenza, non lasciava che una sola via d'uscita obbligata, quella dell'accordo
diretto italo-jugoslavo, in un modo, per di più, che favoriva gli jugoslavi,
indebolendo la cara che l'Italia possedeva nella dichiarazione tripartita.
Si rendevano conto di tutto ciò, oppure svolgevano una politica
contraddittoria, finendo col facilitare involontariamente l'accordo italo-jugoslavo a
favore degli jugoslavi, nella loro “ostinata e inutile insistenza” sulla formula del
TLT? Brosio riteneva che i sovietici avessero rispettato a Trieste due interessi
fondamentali: impedire un solido e duraturo accordo fra Italia e Jugoslavia, non
solo e non tanto su Trieste, quanto in linea generale, perché tale accordo,
appoggiato dagli USA, avrebbe creato probabilmente una più solida barriera
contro di loro nell'Europa sud-orientale. L'altro interesse era quello di allontanare
196 Atti Parlamentari, Seduta del Senato della Repubblica del 24 maggio 1950.
96
da Trieste e dal relativo territorio le truppe di occupazione alleate.
Naturalmente, la soluzione del TLT costituiva per i sovietici la soluzione
ideale, poiché soddisfaceva contemporaneamente entrambi gli interessi sovietici:
da un lato creava un focolare permanente di conflitti interni a Trieste, sia fra
italiani comunisti e non comunisti, che fra italiani e slavi ; dall'altro importava,
nella sua fase definitiva, la demilitarizzazione di Trieste, e nella fase provvisoria,
la riduzione delle forze miste a 15.000 uomini, sotto il controllo del Consiglio di
Sicurezza del quale l'Urss faceva parte. Viceversa, un accordo italo-jugoslavo
avrebbe compromesso l'interesse permanente sovietico a dividere italiani e
jugoslavi, e avrebbe anche potuto rafforzare Tito rendendone sempre più difficile
il rovesciamento da parte dei cominformisti; ma quanto meno, avrebbe soddisfatto
l'altro interesse, di allontanare le truppe alleate, suddividendo il Territorio di
Trieste ed assorbendolo entro due Stati ugualmente liberi da occupazione
straniera. Perciò i sovietici avrebbero potuto accettare l'accordo italo-jugoslavo
come un pis-aller che avrebbe dato loro qualche svantaggio, ma anche qualche
vantaggio. Avrebbero sconfessato l'accordo, nel caso fosse arrivato, solo pro-
forma, o addirittura sarebbe arrivati a riconoscerlo, ciò sarebbe dipeso
specialmente dalle condizioni riguardo allo sgombro delle truppe alleate.
In questa loro posizione, la complicazione del Trattato per l'Austria non
influiva sull'intrinseco della questione triestina: quest'ultima veniva utilizzata per
sabotare il Trattato austriaco non viceversa. Se per caso, sosteneva Brosio, gli
alleati avessero rinnegato in futuro la dichiarazione tripartita e fossero tornati alla
soluzione del TLT per concludere il Trattato austriaco, l'Urss ne sarebbe stata ben
contenta, salvo poi trovare altre ragioni per continuare a ostacolare il Trattato
austriaco. Ma anche su questo i sovietici non si facevano illusioni: sapevano che
gli alleati non volevano il TLT, ma non erano entusiasti per la conclusione del
Trattato austriaco.
Si chiedeva in conclusione Brosio se una soluzione provvisoria sulla
formula del TLT poteva essere utile al fine di giungere ad un accordo italo-
jugoslavo ed avrebbe trovato nell'atteggiamento sovietico una qualche
giustificazione. L'ambasciatore si dava risposta negativa, osservando che
costituire il TLT, pur secondo lo statuto provvisorio, significava far cessare la
sovranità italiana e far intervenire il potere del Consiglio di Sicurezza, o, in altri
termini, il diritto di veto dell'Unione Sovietica.
97
La delicatezza dell'argomento faceva sì che l'ambasciatore chiedesse
istruzioni speciali al Ministero prima di procedere in qualsiasi tipo colloquio con i
rappresentanti sovietici, anche se Brosio si diceva appunto convinto della
necessità di una “cauta interrogazione diretta” ai Russi su come loro avrebbero
visto un eventuale accordo diretto italo-jugoslavo197.
Il Ministero degli Esteri, in special modo come abbiamo detto l'ufficio
quarto degli Affari Politici, lavorava assiduamente in quel periodo per interpretare
le mosse di Mosca sulla questione di Trieste e quindi decifrare quale fossero le
reali intenzioni al riguardo. Decisiva, lo abbiamo visto, era stata la scelta del
governo sovietico di legare la soluzione della questione della creazione del TLT
con quella della conclusione del Trattato austriaco.
Un altro documento d'archivio, riservato declassificato, che ci può aiutare
nella nostra ricostruzione è il resoconto di una conversazione avvenuta tra il
Consigliere Stampa dell'ambasciata italiana a Washington dr. Gabriele Paresce e
l'Addetto Stampa sovietico Zinchuk nella stessa capitale. Zinchuk si dimostrava
particolarmente interessato a sapere come sarebbero state abbordate le trattative
dirette con gli jugoslavi e cioè se sarebbe stato portato immediatamente loro
innanzi uno schema dettagliato di compromesso elaborato dalle autorità italiane, o
se invece, come volutamente accennava di voler ritenere, sarebbero stati gli alleati
a tratteggiare una soluzione e farla presentare dagli italiani stessi come dagli
alleati approvata in precedenza. Portata la conversazione sulla dichiarazione del
1948, Zinchuk l'aveva definita come semplice atto di propaganda elettorale, il cui
vero valore gli italiani avrebbero dovuto, col loro intuito, comprendere subito e
portare ad un maggiore adeguamento della realtà, con un passo a Mosca per non
ottenerne, se non l'assenso, per lo meno l'interessamento. Anche nel momento in
cui i due parlavano, continuava Zinchuk, l'Italia non doveva dimenticare che la
questione di Trieste riguardava anche la Russia e quindi Mosca andava tenuta al
corrente in qualche modo delle intenzioni italiane. Alle obiezioni fattegli che
l'atteggiamento russo si era manifestato varie volte in senso negativo ed
ultimamente sembrava essersi cristallizzato nell'ultima nota sovietica
sull'applicazione integrale a Trieste delle clausole del trattato di pace, egli
replicava che la nota sovietica avrebbe potuto anche essere interpretata come una
197 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 240, Tls. segreto n. 1138/457, Brosio (Amb. Mosca) a Mae 14/5/1950: posizione sovietica nei confronti della questione triestina.
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presa di posizione di principio, volta a ricordare la necessità del rispetto dei
trattati. Riconosceva per di più essere stato utopistico pensare che si potesse dar
luogo, nell'assetto internazionale del dopoguerra, ad una città-stato tipo Danzica,e
tornava ad insistere per sapere quali sarebbero state le rettifiche e gli scambi
reciproci di territorio ai quali l'Italia sarebbe stata disposta ad accedere nel quadro
delle trattative dirette con la Jugoslavia. Zinchuk osservava che non si poteva
tenere all'oscuro la Russia delle trattative che si sarebbero svolte ne considerarla
parte disinteressata e non si poteva portare il fatto compiuto davanti ad essa, in
quanto Mosca avrebbe dovuto considerare qualsiasi soluzione trovata a sua
insaputa e senza il suo benestare quale violazione del trattato di pace con l'Italia
“con tutte le conseguenze che ne derivano”. Ripeteva la solita argomentazione
sovietica sull'inopportunità che a Trieste restassero truppe di potenze straniere e
lanciava infine come ultima domanda perché l'Italia non ritenesse conveniente
aderire alla proposta già avanzata da “qualcuno” per la cessione di Gorizia alla
Jugoslavia in cambio di Trieste, ed alla replica di Paresce, Zinchuk si ritirava
proferendo “vaghe parole di comprensione del punto di vista italiano”198.
Come faceva giustamente osservare l'ambasciatore Brosio, l'Addetto stampa
sovietico era probabilmente incaricato di sondare semplicemente a che punto
fossero le trattative italiane con la Jugoslavia, riservando i sovietici comunicazioni
importanti, quale quella del loro assenso ad un accordo diretto italo-jugoslavo, ad
un livello più alto. Ad ogni modo, i sovietici non andavano tenuti al corrente delle
conversazioni in corso, in quanto avrebbero potuto in qualsiasi momento sabotarle
con indiscrezioni e campagne di stampa. Avrebbero potuto fare ciò sia giocando
sul nazionalismo jugoslavo, cercando di mettere il governo di Tito in difficoltà di
fronte alla propria opinione pubblica, sia con il governo italiano, dando ai
comunisti italiani l'occasione di una campagna patriottica. L'ambasciatore italiano
a Mosca era del parere che se l'accordo fosse stato raggiunto i sovietici avrebbero
protestato ma vi si sarebbero inchinati. Messi invece nella possibilità di influire
sulla conclusione dell'accordo, essi “senza alcuno scrupolo e senza riservatezza”
avrebbero agito secondo il loro contingente interesse199.
198 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 240, Tls. riservato n. 13/435 DGAP IV a Amb. Mosca 14/6/1950: Resoconto conversazione consigliere stampa ambasciata a Washington Paresce e addetto stampa sovietico, 29 maggio 1950 (Delassificato). 199 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 245, Tls. riservato n. 6007/3482 Tarchiani (amb. Washington) a Mae 31/5/1950 (Declassificato): conversazione consigliere stampa Paresce con addetto stampa sovietico Zinchuk.
99
Nel frattempo gli Stati Uniti avevano risposto il 16 giugno alla nota
sovietica del 20 aprile con una nota alla quale a loro volta i sovietici replicarono a
luglio ribadendo le accuse mosse nella loro prima nota e sostenendo che gli
alleati, i quali avevano proposto a Mosca di apportare una modifica al trattato di
pace con l'Italia, avevano commesso una violazione del trattato stesso. Da tale
pretesa violazione i russi avevano preso lo spunto tra l'altro per rifiutarsi di
proseguire le conversazioni per il trattato di pace con l'Austria. E' da notare come
tale seconda nota sovietica fosse stata presentata appena due giorni prima della
data fissata per la riunione dei Sostituti per il Trattato di pace austriaco.
Vale la pena qui fare presente che l'autorevole opinione dell'ambasciatore a
Mosca Brosio, sopra riportata, secondo il quale il collegamento tra la questione
della creazione del TLT e quella della conclusione del trattato di pace austriaco
mirava semplicemente ad ostacolare e dilazionare la stipula di quest'ultimo,
veniva alcuni mesi più tardi messa in discussione dall'ostinata prosecuzione da
parte sovietica di questa strategia. Questo portava alcuni diplomatici italiani a
ritenere che in realtà l'Urss desse un'importanza essenziale allo sgombero di
Trieste da parte degli anglo-americani200.
200 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 515, Tls. riservatissimo n. 193/33 Segr. Leg. Giacomo Profili (Leg.Vienna) a Mae 11.1.1951: Austria-Jugoslavia-Trieste e la Russia.
100
2.12 Questione di Trieste e guerra di Corea
Nell'estate del 1950 un grave incidente d'auto mise Togliatti fuori causa per
alcuni mesi: si profilò in tale occasione l'ipotesi di un cambiamento ai vertici con
Longo e Secchia alla guida del partito. Togliatti ricevette il prestigioso incarico
della presidenza del Kominform, che stava appunto a confermare un suggerimento
però da Mosca a lasciare spazio nel partito ad altri e quindi anche ad
un'impostazione diversa, almeno in parte, della strategia politica e organizzativa.
Ad inizio 1951, Togliatti si ristabilì completamente dall'incidente e rifiutò
l'incarico al Kominform rimanendo Segretario del PCI.
Nel periodo di “vacanza” nella guida del partito stava a Longo curare i
rapporti con Vidali e tentare di limitarne l'autonomia operativa, ricordandogli che
sulla questione di Trieste non andava proposta nessuna cosa che significasse
mutamento fondamentale della posizione sino ad allora sostenuta. Su questioni di
rilevante importanza era sempre necessario consultarsi prima con la Direzione del
PCI, questa era la regola201. Perciò, il Comitato Centrale del PCTLT, in cui Vidali
si proponeva di esporre una nuova linea politica circa la questione di Trieste,
andava rimandato, così concludeva Longo.
Il Comitato Centrale del PCTLT veniva, in effetti, rimandato al febbraio
seguente, ma il tono allarmato di Vidali non si era placato: si viveva sempre un
momento di aggravata minaccia alla pace mondiale da parte dell'imperialismo
americano, la popolazione italiana e slava del TLT, territorio occupato
militarmente da truppe americane, inglesi e jugoslave, vedeva con inquietudine il
perfezionarsi di un'alleanza politico-militare tra i governi satelliti
dell'imperialismo americano di Roma e Belgrado e vedeva con particolare
preoccupazione la trasformazione del Territorio e specialmente del porto di
Trieste in una base militare per il settore alpino-balcanico, dove il traditore Tito
era chiamato ad assolvere le funzioni del coreano Syng Man Rhee202. Il paragone
di Tito con il presidente sudcoreano feroce anti-comunista, non era a dire il vero
farina del sacco di Vidali, ma era stato coniato, non senza un certo successo,
201 APC, Fondo M, Mf. 99, PCTLT, Lettera di Longo a Vidali 14 dicembre 1950. 202 APC, Fondo M, Mf. 99, Vidali a Direzione PCI – III congresso PcTlT 16 febbraio 1951.
101
alcuni mesi prima da Mario Pacor su Vie Nuove203, poco dopo lo scoppio della
guerra di Corea.
Credo si possano confinare per lo più nell'ambito della carta stampata i
collegamenti tra la situazione di Trieste e la guerra di Corea, talmente lontani
geograficamente e diversi per caratteristiche i due contesti, benché “fonti
attendibili” avessero fatto pervenire al M.A.E. informazioni sulle intenzioni del
PCTLT di formare i “quadri” per un Comitato di salute pubblica e di una Guardia
popolare in previsione di sviluppi dell'azione russa nei Balcani. La mancanza di
ulteriori conferme ed il capovolgimento della situazione in Corea fecero poi
ritenere che l'idea fosse stata accantonata204.
A quanto pare la situazione di allarme era stata generata alcuni mesi prima,
in realtà, da una voce confidenziale che informava che il PCI aveva interpellato i
suoi attivisti, in particolare nelle zone di Parma, Reggio Emilia e Forlì205, per
chiedere loro chi fosse disposto a recarsi nella zona di Trieste per prendere viva
parte alla lotta per la difesa dell'italianità di quella terra, “abbandonata ormai alle
mire imperialistiche di Tito, per l'inettitudine del Governo italiano e per il
tradimento degli alleati occidentali”. Secondo l'Appunto Segreto che riportava tale
voce confidenziale, l'interpellanza non aveva avuto un esito positivo fino a quel
momento, poiché agli stessi attivisti non era parso troppo chiaro il ruolo che essi
sarebbero stati chiamati a svolgere. Taluno, in proposito, riteneva che potesse
trattarsi di “un nuovo motivo propagandistico a sfondo nazionalista, divulgato dal
PCI per accendere l'entusiasmo dei giovani, e guidarli inconsapevolmente ad
azioni che avrebbero potuto compromettere tutta la delicata situazione politica di
quel settore, e ciò, può darsi, secondo un piano predisposto dall'Urss”206.
Come possiamo vedere, la mobilitazione, se mobilitazione c'era stata da
parte del PCI, era cominciata prima dello scoppio della guerra di Corea e quindi
sembra difficile trovare un collegamento tra le due questioni.
L'andamento della guerra di Corea, con il prevalere ad un certo momento
degli “imperialisti”, preoccupava il segretario del PCI Togliatti più in generale per
203 M. Pacor, Tito è diventato il Si Man Ri dei Balcani, Vie Nuove, 6 agosto 1950. 204 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 246, Tls. n. 21479/971 Lo Faro (DGAP IV) a Min. Interno-Gabinetto, (giorno non leggibile) novembre 1950: attività del partito comunista a Trieste. 205 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 246, Appunto segreto D/152, 20.6.1950: invio attivisti comunisti in zona Trieste. 206 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 246, Appunto segreto D/127, 16.5.1950: invio attivisti comunisti in zona Trieste.
102
la cattiva ripercussione che poteva avere visto che nel partito le posizioni di lotta
contro l'imperialismo non erano state del tutto accettate. Incertezze nel partito
potevano ancora esistere. La linea da seguire era quella di intensificare ancora la
lotta per la pace207. Per Secchia la campagna sulla Corea contro bombardamenti e
cessazione delle ostilità era inesistente soprattutto perché la stampa non aiutava.
Gli effetti degli avvenimenti degli ultimi giorni si sentivano con ripercussioni
negative. Metteva in guardia sul fatto che il titismo avrebbe speculato su queste
cose, avrebbe sfruttato l'arma della stampa, specialmente il Corriere di Trieste208.
207 APC, Fondo M, Mf. 263, Direzione riunione 28 settembre 1950. 208 APC, Fondo M, Mf. 263, Direzione - riunione 28 settembre 1950.
103
2.13 Lotta al titofascismo e caso “magnacucchi”
Giancarlo Pajetta aveva concluso il III congresso del Pc del TlT rilevando
l’importanza internazionale della lotta dei comunisti triestini contro “la cricca di
Belgrado” e il valore europeo della lotta dei compagni sloveni contro i “traditori
dei popoli della Jugoslavia”. Fu in questa sede che vennero formulate le critiche
più articolate al “titofascismo, cane da guardia dell’imperialismo”, contenute nella
relazione letta dal giovane neodirettore del Delo, settimanale in lingua slovena,
Karel Siskovi. Il “compagno Mitko” declamava senza perifrasi: “I titofascisti sono
per la guerra all’Unione Sovietica, alle democrazie popolari, alla Cina, per lo
sterminio dell’umanità, per la vittoria dell’imperialismo americano e per
l’estendersi della sua egemonia fascista e schiavista a tutto il mondo. […] La lotta
contro il titofascismo è un dovere ed un compito d’onore di tutti i democratici,
non solo dei comunisti, ma di tutti gli uomini amanti della pace e della libertà”209.
La relazione, era preceduta da una prefazione di Vidali contenente
l’ammonizione che “la bestia, anche se ferita e nascosta nella sua tana,
rappresenta ancora un pericolo”, soprattutto per il Pc del TlT, dove si sarebbe
voluto “trasformare ogni compagno in un Magnani o un Cucchi”, ragion per cui la
vigilanza era d’obbligo210.
Il riferimento era alla vicenda Magnani-Cucchi, esplosa alcune settimane
prima in occasione dell'inizio del VII Congresso provinciale del PCI, quando il
deputato Magnani propose e commentò un ordine del giorno che affermava che i
comunisti erano impegnati a difendere i confini nazionali contro ogni aggressione
esterna, da qualunque parte provenisse. Chiedeva di dire un no esplicito al
concetto dell'Urss come Stato-guida e alle "rivoluzioni importate su baionette
straniere". Magnani e Cucchi furono espulsi dal PCI con accusa di collusione “con
elementi titoisti”. Togliatti, appena rientrato da Mosca, liquidò il caso dei
“Magnacucchi” con una battuta: “anche nella criniera di un nobile cavallo da
corsa si possono sempre trovare due o tre pidocchi”211. Togliatti chiedeva di
isolare e manifestare disprezzo verso i traditori senza dar troppa importanza al
caso.
Anche prima del caso “Magnacucchi” la lotta contro il devazionismo ed i 209 APC, mf. 335, Verbali del comitato federale triestino, 9/11-2-1951, p. 1632-1843. 210 La lotta contro il titofascismo, Trieste, ed. Il lavoratore, 1951. 211 Cfr.: L’Unità, 1-3-1951.
104
traditori titini costituiva un obiettivo primario della strategia politica del PCI. Ciò
scaturiva, come abbiamo già visto, anche dalle accuse di scarso impegno nella
lotta contro i traditori titini che gli venivano mosse nell'ambito del Cominform, le
quali venivano reiterate ancora nel novembre del 1950212.
A Trieste poi la lotta raddoppiava perché diveniva contemporaneamente
lotta contro Tito per la difesa delle minoranze italiane in Jugoslavia e lotta contro
De Gasperi per la difesa dei diritti nazionali degli sloveni. Si trattava comunque di
due facce dello stesso problema213.
212 APC, Mf. 190, Verbali della Direzione – Riunione del 6-12-1950, Ingrao informa su riunione segretariato del Kominform: viene dato su l'Unità scarso rilievo alla lotta ideologica contro il titismo. 213 APC, mf. 325, Verbali del comitato federale di Gorizia, II congresso provinciale, 8/10-12-1950, intervento di Arturo Cicalini.
105
2.14 Fase di stallo nella situazione internazionale circa la questione di Trieste
Alla Conferenza dei Sostituti dei Ministri degli esteri a Parigi, nel marzo del
1951, l'Urss aveva ribadito la sua politica che legava la conclusione del trattato di
pace con l'Austria all'attuazione completa dello statuto del TLT. La tesi sovietica,
al di là di ogni fondamento giuridico, sembrava possedere una sua validità
politica, considerato il circolo vizioso in cui si era immobilizzato il problema
triestino: l'Italia non intendeva lasciar cadere la carta di favore che era stata la
dichiarazione tripartita del 1948 e, comunque, era già stata ampiamente sacrificata
nel suo territorio nazionale a vantaggio jugoslavo per poter consentire a nuovi
abbandoni che non fossero marginali. Gli alleati occidentali riconoscevano l'equità
delle rivendicazioni italiane ma non intendevano compromettere i loro rapporti
con Belgrado e desideravano che la soluzione fosse trovata direttamente tra Roma
e Belgrado, riservando a sé un cauto compito di mediazione. Tito non riconosceva
la dichiarazione tripartita, si sforzava, per mezzo di un provvedimento dopo
l'altro, di stabilire un'annessione de facto della Zona B e opponeva, a tutte le
iniziative del governo italiano per aprire una discussione di fondo, manovre di
dilazionamento. La posizione jugoslava era riaffermata da Tito il 13 gennaio, in
un'intervista al corrispondente dell'agenzia ANSA da Belgrado:
“Data l'attuale situazione mondiale, penso che non sarebbe opportuno affrontare il problema senza aver prima stabilito una frontiera ben chiara e accettata, in linea di principio, da ambedue le parti. Questo agevolerebbe la rapida soluzione della questione. Se affrontassimo questo problema senza la dovuta preparazione, il fatto potrebbe essere sfruttato da coloro che non desiderano rapporti di buon vicinato tra la Jugoslavia e l'Italia, e, in definitiva, peggiorerebbe la situazione, secondo me non ancora matura per una soluzione”214.
La stessa idea era sostenuta da Tito in un discorso dell'11 marzo al
congresso dei combattenti jugoslavi a Belgrado:
“Ai popoli jugoslavi e al popolo italiano conviene che per ora del problema di Trieste non si parli [...] lo sapremo risolvere quando sarà il momento e non ora che l'atmosfera del mondo è così piena di elettricità che ad ogni momento vi è il pericolo che divampi in un altro luogo l'incendio della guerra”215.
Quale fosse il senso di tale politica di rinvio lo rivelava una interpellanza,
214 ISPI - Annuario di politica internazionale - anno 1951 – Milano, ed. Idos, 1951, p. 35. 215 ISPI - Annuario di politica internazionale, cit., 1951, p. 37.
106
rivolta il 23 febbraio al ministro Sforza dai senatori liberali Casati e Sanna
Randaccio sull'acquisto da parte di un gruppo finanziario inglese del quotidiano Il
Corriere di Trieste, il quale sosteneva le tesi indipendentiste. Inoltre, il Comune di
Trieste, si leggeva sempre nel testo dell'interpellanza, era sul punto di esaminare
una legge elettorale diversa da quella italiana, il governo di occupazione aveva
innovato l'ordinamento scolastico italiano in maniera tale che i titoli di studio ivi
conseguiti non potevano poi essere riconosciuti né a Trieste né in Italia. Allo
stesso tempo il governo jugoslavo continuava l'opera di trasformazione di istituti e
di allontanamento e sostituzione di persone che consentiva alla Jugoslavia una
graduale annessione di fatto della zona B.
Poiché si diffondeva nei circoli politici l'opinione che il Comando militare
alleato di Trieste – alla cui testa, all'inizio di marzo, il generale Winterton aveva
sostituito il generale Airey – perseguiva da qualche tempo un indirizzo meno
favorevole alle posizioni italiane, in connessione all'intenso lavorio diplomatico di
Londra per agganciare a sé la politica jugoslava, risultò tempestivo il viaggio che
dal 12 al 15 marzo avevano compiuto a Londra il presidente del Consiglio De
Gasperi e il ministro degli Esteri Sforza. Nel comunicato conclusivo del loro
incontro col primo ministro Attlee e col ministro degli Esteri Morrison, veniva
dichiarato che:
“I ministri britannici hanno confermato che essi intendono mantenere la dichiarazione tripartita su Trieste del marzo 1948, in vista di un regolamento mediante conciliazione, e i ministri italiani hanno affermato che è loro desiderio raggiungere un amichevole accordo con il governo jugoslavo su questa questione”216.
De Gasperi prima di lasciare Londra era più esplicito e ottimista:
“Ormai abbiamo la certezza che Trieste ritornerà sotto la sovranità italiana. Questa certezza ce l'hanno riconfermata gli uomini di Stato britannici, assicurandoci di rimanere fermi sulla dichiarazione tripartita del 1948. Non ce n'era bisogno, ma la conferma di quella dichiarazione per il ritorno del TLT sotto la sovranità italiana costituisce oggi per noi una più solida base diplomatica. Ora vedremo ciò che sarà necessario fare in conformità agli sviluppi della situazione internazionale. Comunque noi abbiamo oggi l'assoluta certezza che Trieste rimarrà italiana”217.
Belgrado rispose respingendo ancora più nettamente la dichiarazione del
1948. Il giornale Politika la definì il 16 marzo una “imposizione”, il giorno dopo
216 ISPI - Annuario di politica internazionale, cit., 1951, p. 38. 217 ISPI - Annuario di politica internazionale, cit., 1951, p. 39.
107
il presidente del Consiglio della Repubblica popolare slovena Marinko affermò
che “ogni ritorno alla dichiarazione tripartita non può che indebolire gli sforzi
tendenti a raggiungere un accordo tra Italia e Jugoslavia” e che non essendo la
situazione matura “è meglio non porre nemmeno la questione di Trieste”218.
218 ISPI - Annuario di politica internazionale, cit., 1951, p. 40.
108
2.15 Il PCI chiede che il TLT sia dichiarata “città aperta”
La stampa del PCI commentava invece i fatti di Londra come “il sacrificio
di Trieste”, in cui De Gasperi aveva dovuto riconoscere “la scarsa importanza
pratica” della dichiarazione tripartita, ridotta a “puro e semplice espediente di
propaganda elettorale”219. La soluzione più giusta, l'unica possibile, quella
proposta dall'Urss con l'applicazione del trattato di pace e la conseguente
creazione del TLT veniva “arricchita” in questa fase della formula che chiedeva
che tutto il Territorio fosse dichiarato “città aperta”220.
Togliatti aprendo il VII Congresso Nazionale del PCI sull'uscita della
Jugoslavia di Tito dal campo comunista dichiarava: “E' vero che vi è stato il
passaggio della cricca di Tito al campo degli imperialisti, ma il suo
smascheramento è stato rapido, completo”221. Nel suo intervento Vidali esordiva
ricordando ai presenti che era la prima volta quella che una rappresentanza di
comunisti italiani e slavi di Trieste e territorio si recava ad un congresso del PCI
dalla fine della seconda guerra mondiale. Poi ricordava i legami dei comunisti
triestini col PCI che le spie titiste avevano cercato di recidere senza successo,
finché non era arrivata “come una benedizione” la risoluzione dell'Ufficio di
Informazione. Tuttavia la lotta a Trieste, trasformata in una base militare anglo-
americana, restava difficile e la soluzione del problema del TLT veniva
subordinata da Roma e Belgrado ai preparativi di guerra contro l'Urss ed a un
possibile intervento contro i movimenti democratici in Italia e Jugoslavia, come
veniva indicato nell'articolo quattro del Patto Atlantico. Il cosmopolita “von
Gasperi” voleva dimenticare il passato ed arrivare ad una conciliazione con le
“spie di Belgrado” che “oltre ad essere rabbiosamente antisovietiche e
anticomuniste, nutrono per il popolo italiano e particolarmente per il partito di
Togliatti un odio cannibalesco”. Il “baratto infame” preparato da Washington,
Londra e Parigi, e tacitamente accettato da Roma e Belgrado, avrebbe dato a Tito
non solo la zona B ma anche la città di Trieste, che sarebbe dovuta diventare,
secondo gli americani, il porto di guerra della Jugoslavia222.
Durante il periodo della propaganda elettorale per le elezioni amministrative 219 Il sacrificio di Trieste, Vie Nuove, 25-3-1951. 220 M. Pacor, Trieste reclamata dai comunisti come “città libera”, Vie Nuove, 2-1951. 221 L'Unità, 4-4-1951, p. 1 e 3. 222 Oggi Togliatti conclude il VII Congresso del PCI. Vidali denuncia gli intrighi anti-italiani di Tito e degli americani a Trieste, L’Unità, 8-4-1951.
109
in Italia, che videro una leggera flessione della Dc e un avanzamento delle destre,
mentre il consenso del PCI restava pressoché inalterato, l'attenzione dell'opinione
pubblica si era spostata su temi diversi concernenti soprattutto la situazione
economica.
La polemica su Trieste riafforava vivace nell'estate, dopo che un'inchiesta
del Corriere della Sera di Milano aveva rivelato un orientamento
“indipendentista” del nuovo capo dell'amministrazione militare della zona A
generale Winterton: un sintomo lo si era avuto anche nell'evoluzione del “Fronte
popolare” jugoslavo di Trieste dalla tesi dei negoziati italo-jugoslavi, sostenuta
nel 1950, alla tesi dell'applicazione dello statuto previsto dal trattato di pace,
assunta nel suo programma elettorale del 15 maggio223. Altro sintomo era una
serie di atti e omissioni di tale amministrazione, smentiti da questa, in un
comunicato del 10 luglio, nel loro significato di cambiamento di indirizzo, non
conformi allo spirito della dichiarazione tripartita. La ripresa del dibattito in
Senato avvenne l'11 luglio con 8 interpellanze su Trieste tra cui anche quella del
comunista Pastore che denunciavano negli aspetti politici e giuridici più rilevanti
di tali atti e omissioni (inaugurazione della Fiera di Trieste, competenza della
Corte di Cassazione italiana, trasmissioni radio). In particolare nella sua
interpellanza Pastore si rivolgeva a De Gasperi per sapere quali fossero
“effettivamente gli svolgimenti della questione di Trieste per la quale tanto
allarme si è diffuso in questi giorni nell'opinione pubblica”224.
Alla Camera dei Deputati, il mese seguente, il dibattito s'incentrava sulla
formazione del nuovo governo De Gasperi, tuttavia Trieste restava un nodo
fondamentale da sciogliere per il nuovo esecutivo democristano. Per Giancarlo
Pajetta Trieste restava soprattutto la pietra di paragone della politica estera
degasperiana, ciò che era avvenuto in quella città si sarebbe avrebbe potuto
ripetersi altrove:
“Così è della vostra politica estera. Sulla base del suo oltranzismo atlantico ella ci ha ripetuto, con voce sempre più stanca e sempre più monotona, che la dichiarazione tripartita vale ancora. Ma non soltanto Trieste continua ad essere una base anglo-americana e jugoslava, ma voi avete fatto di Livorno una città che vorreste diventasse come Trieste, ed anche di Napoli vorreste fare una città come Trieste. Ella, onorevole Presidente del Consiglio, non ci ha spiegato nulla, non ci ha detto le vere
223 ISPI - Annuario di politica internazionale,cit., anno 1951, p.41. 224 Cfr.: L'Unità, 11-7-1951, p. 5.
110
ragioni della crisi, che si è ridotta ad un giuoco di bussolotti, soprattutto nei riguardi delle critiche che sono partite dal seno stesso del partito di maggioranza”225.
Il giorno dopo intervenne anche Togliatti definendo i democristiani allo
stato attuale come “vassalli” degli americani, “botoli ringhiosi lanciati contro
l’altra parte”.
Il segretario del PCI spiegava che perseguendo tale politica si sarebbe messo
a repentaglio l'ingresso nelle Nazioni Unite e la sola cosa che si sarebbe potuto
ottenere era una dichiarazione analoga a quella del 1948 relativa a Trieste, che il
PCI aveva smascherato come inutile fin dall'inizio, mentre il governo
democristiano non era stato nemmeno in grado di chiarirne al proprio popolo il
reale significato. Significava essa annessione, promessa senza alcuna condizione
del Territorio Libero all’Italia? Significava, invece, integrazione del Territorio
Libero nel territorio nazionale italiano con un regime di autonomia analogo a
quello dell’Alto Adige? Gli errori non andavano ripetuti, spiegava in sostanza
Togliatti: i problemi italiani potevano essere risolti solo in un’atmosfera di
distensione internazionale e da un governo il quale si fosse orientato
consapevolmente o avesse dato quel contributo che avrebbe potuto dare alla
creazione di una simile atmosfera di distensione226.
Lo stesso giorno dell'intervento di Togliatti alla Camera, Vidali a Trieste
teneva una conferenza stampa per rivelare il piano segreto degli inglesi che si
nascondeva dietro alla campagna di stampa degli ultimi mesi, stavolta più forte
delle precedenti. Esso voleva l'assegnazione alla Jugoslavia non solo della zona B
ma anche della parte slovena della zona A, mentre il centro di Trieste,
apparentemente consegnato all'Italia, sarebbe rimasto di fatto sotto l'occupazione
militare anglo-americana. In caso di tensione internazionale, poi, alla Jugoslavia,
cui sarebbe spettata la difesa della Carinzia e della zona del TLT, sarebbe andata
anche la città di Trieste, senza contare qui i compensi territoriali promessi dai
britannici in Romania, Bulgaria, Ungheria e Grecia227.
Di fatto era alla penna di Vidali che venivano affidati gli interventi di spicco
225 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 2 agosto 1951. 226 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 3 agosto 1951; oppure vedi: Togliatti accusa la politica di De Gasperi di distruggere il patto di pace e di unità su cui si fonda la Repubblica, L'Unità, 4-8-1951. 227 Importanti rivelazioni di Vidali. Gli anglo-americani si sono accordati con Tito per concedergli Trieste “in caso di tensione”, L'Unità, 4-8-1951.
111
contro gli jugoslavi nella stampa comunista nella seconda metà del 1951:
l'obiettivo era sempre quello di accentuare la propaganda contro la cricca titina,
mantenendo alta la sorveglianza ideologica e politica, poiché si temeva una
recrudescenza dell'azione degli agenti titini e dei traditori del partito228.
Annunciate le elezioni amministrative nella Zona A per ottobre Vidali
ribadiva la preoccupazione, già espressa da Togliatti nel discorso alla Camera
sopra citato, per l'intenzione degli Occidentali di affidare all'esercito titista la
difesa di una zona comprendente anche Trieste nell'ambito dell'organizzazione del
Piano Béthouart per la difesa della zona alpino-orientale . Come conseguenza di
questa nuova situazione doveva essere rafforzato il movimento della pace a
Trieste con un intervento attivo e direttivo dei comunisti: il Comitato triestino per
la pace chiedeva che Trieste fosse dichiarata “città aperta” assieme a tutto il
Territorio con l'allontanamento di tutte le truppe anglo-americane e titiste229. La
lotta per la pace a Trieste aveva uno dei suoi aspetti principali e specifici nella
lotta per la soluzione del problema stesso del TlT che il Partito comunista esigeva
sulla base dell'applicazione del Trattato di pace con l'Italia. Ogni volta che il
problema veniva dibattuto i governi americano ed inglese cercavano di sfuggire
all'impegno preso con la firma del trattato di pace. Procrastinavano la definizione
del problema e diffondevano attraverso la loro stampa e i loro agenti italiani o
jugoslavi nuove proposte, al fine di mantenere e consolidare questa loro base
strategica e affidarla alla giurisdizione militare di Tito, aggravando l'attuale
condizione di status quo per inserire sempre più stabilmente il TLT nel dispositivo
militare mediterraneo ed atlantico.
La Nota Tripartita già da lungo tempo riconosciuta ufficialmente come un
“buffetto sulla guancia” dell'elettorato italiano nel 1948, era stata superata
dall'appoggio ai cosiddetti “accordi diretti” fra Italia e Jugoslavia, accettati in via
di massima sia da Tito che da De Gasperi, a netto vantaggio del primo. Il PCTLT
aveva denunciato il “baratto infame” fin dal 1949 e sistematicamente denunciato
tutte le manovre che venivano messe in atto in quegli anni per concretizzarlo
invitando la popolazione triestina a richiedere compattamente unita l'applicazione
del trattato di pace. La proposta di una “linea etnica” suggerita da Davies e
sostenuta da Sforza sarebbe finita, come aveva detto qualcuno, per rassomigliare 228 Apc, Fondo M, Mf 266, Verbali della Segreteria, n. 36, 25-7-1951. 229 Unificazione delle zone A e B e allontanamento delle truppe straniere. Presentato il programma elettorale del PC per le prossime elezioni a Trieste, L'Unità, 21-8-1951.
112
ad un merletto più che ad una frontiera.
Andava portata avanti una raccolta di firme nel TlT per un appello all'Onu
per l'immediata applicazione trattato di pace, unico modo per vedere rispettati
diritti umani e politici nel TlT e per migliorare le condizioni economiche della
popolazione collegando Trieste e il suo porto al suo naturale e storico retroterra
dell'Europa centrale e orientale230.
230 V. Vidali, Elezioni a Trieste, in Per un pace stabile per una democrazia popolare, 19 agosto 1951, in APC, Fondo M, Mf. 99, PCTLT, b. 57/V.
113
2. 16 Allineamento delle posizioni di PCI e comunisti triestini
Durante il dibattito alla Camera sullo stato di previsione della spesa del
MAE per l'esercizio finanziario 1951-1952, Togliatti sentì la necessità, poiché più
volte chiamato in causa dai democristiani e dalle destre su questo argomento, di
fare una ricostruzione storica del suo viaggio a Belgrado nel novembre 1946 nella
quale chiariva soprattutto quali erano stati i ruoli dei due interpreti dell'incontro:
“ […] Circa la questione di Trieste, però, mi si permetta una parentesi,
poiché si parla continuamente di quella che è stata la nostra posizione, e in
particolare la mia, su questo problema […] Nel novembre 1946, quando mi recai a
Trieste, il trattato non era stato ancora firmato né ratificato. Io però riportai da
quel viaggio due cose: non una, due; e non parlo della questione (pure importante)
del ritorno dei prigionieri, che in quella occasione venne regolata. Circa Trieste, la
prima cosa che io portai era la dichiarazione dell'italianità di Trieste da parte di
Tito. Quella dichiarazione fu fatta soltanto quella volta, quell’unica volta, dal
dirigente del governo e dello Stato jugoslavo. La seconda cosa che portai fu una
proposta di divisione fatta dal maresciallo Tito, che io fui incaricato di trasmettere
e che trasmisi. Ora si dice, mentendo, che io sarei andato a offrire a Tito Gorizia.
Come se avessi potuto offrire qualcosa a qualcuno! Ma poi, se avete un minimo di
comprensione politica, ricordatevi che noi eravamo allora al Governo, e in alcuni
dei posti più importanti del Governo, [...] e che, se avessimo ritenuto che quella
proposta avrebbe dovuto essere accettata, non saremmo rimasti nel Governo;
avremmo per lo meno chiesto che sulla questione si pronunciasse la Camera, cosa
che non facemmo perché dicemmo, chiaramente, nel Consiglio dei ministri, che
consideravamo possibile e necessario iniziare una trattativa in quanto vi era stata
una apertura, ma che accettare quella proposta non si poteva. Quella fu allora la
nostra posizione. La trattativa non continuò e riconosco che, se non continuò, non
f u per colpa di chi allora dirigeva la nostra politica estera, ma per colpa dei
dirigenti della Jugoslavia. Tutto il resto che si dice a questo proposito è falso. [...]
Tutta la questione cambiò dopo che il trattato di pace fu firmato e ratificato dal
Parlamento: perché allora si creò una situazione, in fondo, per chi avesse voluto e
saputo, più favorevole di quella che non esistesse prima. In sostanza, il trattato di
pace, che sanciva la costituzione del Territorio Libero, se fosse stato applicato
114
letteralmente, dandosi al Territorio Libero un’amministrazione e una direzione
politica completamente autonome, apriva senza dubbio una strada per cui tutto il
Territorio Libero sarebbe potuto tornare a essere parte dell’Italia. Ma voi non
avete allora né voluto né potuto fare quello che si doveva, perché eravate già
troppo legati alla parte americana e inglese, la quale a proposito di Trieste ha un
solo interesse”231.
A questo punto del discorso Togliatti ripeté l'aneddoto del colloquio avuto
con Contarini nel 1944, evidentemente tale episodio era particolarmente caro al
dirigente comunista che nei discorsi alla Camera sulla questione di Trieste che
avessero una certa rilevanza finiva sempre per raccontarlo. Del resto, abbiamo
visto come la maggior parte delle posizioni su Trieste fossero ripetute pressoché
costantemente da parte dei comunisti nei discorsi ufficiali e solo un attento
osservatore può coglierne le diverse sfumature e ciò che di personale, se così si
può dire, l'autore aggiungeva nel suo intervento o articolo.
Pajetta definiva dal canto suo la dichiarazione tripartita come una sorta di
“truffa elettorale”, che invece di portare una soluzione portava elementi di
maggiore attrito nella zona e a fare della città di Trieste, del Territorio Libero di
Trieste, oggetto di disputa internazionale. Il PCI era a favore dell’applicazione del
trattato di pace, affinché i cittadini del Territorio Libero di Trieste fossero in grado
di darsi un’assemblea, delle leggi, di governarsi da soli, senza la presenza di
truppe americane, inglesi e jugoslave. Ma bisognava agire con urgenza, poiché il
tempo lavorava contro, perché in quel momento si compiva, nella città di Trieste,
non soltanto nella zona B, un’opera di corruzione, di snazionalizzazione, un’opera
che era stata denunciata e condannata dallo stesso sindaco democristiano di
Trieste. […] Tale soluzione avrebbe lasciato impregiudicati i diritti e le
rivendicazioni nazionali, impregiudicata la determinazione del destino del
Territorio Libero secondo la volontà che poteva essere espressa dai suoi cittadini.
Per cui, essa offriva possibilità dal punto di vista nazionale, dal punto di vista del
diritto di queste popolazioni, dal punto di vista della pace. […] Il PCI riteneva che
il Territorio Libero di Trieste era stato configurato nel trattato di pace già a danno
della città. Il Governo italiano, del quale i comunisti facevano parte, chiese,
quando si discusse del trattato di pace, che se il Territorio Libero di Trieste
doveva essere costituito, esso doveva essere più vasto di quello che era 231 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 9-10-1951.
115
attualmente. La limitazione ad esso che le trattative in corso tra Italia e Jugoslavia
lasciavano supporre sarebbe stato una cosa esiziale non solo per i diritti di quelle
popolazioni, ma per la loro vita economica. La capitolazione secondo la
cosiddetta linea etnica avrebbe significato portare le truppe di Tito ad un
chilometro dal porto di Trieste, avrebbe significato, in una zona mista, in una zona
dove l’intreccio tra sloveni ed italiani era tale, che era difficilissimo distinguere le
zone di prevalenza dell’uno o dell’altro gruppo etnico, rendere impossibile la vita
di Trieste. Quindi il PCI denunciava lo spirito con il quale le trattative venivano
intraprese e il tentativo del governo italiano di tagliare in due la zona A232.
Le posizioni del CC del PCTLT erano in perfetta sintonia stavolta con i
discorsi pronunciati dai dirigenti del PCI: si chiedeva il “massimo impegno” di
tutti contro la revisione dei confini233.
Quel che emerge chiaramente dagli archivi del periodo è lo strettissimo
rapporto esistente tra la direzione romana del PCI e “la sua appendice triestina”,
secondo alcuni studiosi234 “rigidamente subordinata ad essa”, anche e soprattutto
dal punto di vista finanziario. Accanto ai bisogni economici erano le questioni
organizzative del PCI triestino ad essere affrontate da Roma235, a più riprese
sollecitata anche dalle federazioni di confine per un maggiore interessamento
verso i compagni detenuti nelle carceri di Tito”236. La visita di Tombesi a Trieste
aveva come scopo principale proprio l'esame della situazione finanziaria del
PcTlT. Prima della risoluzione del giugno del 1948 riceveva regolarmente
finanziamenti dallo stato jugoslavo, mentre scarsi erano sempre rimasti quelli
invece provenienti dagli iscritti. Prima di ripartire Tombesi ebbe un colloquio con
Vidali e Destradi e fu deciso di ridurre il numero dei funzionari, aumentare i
contributi degli iscritti, ridurre le spese degli spostamenti dei dirigenti (erano
effettuati sempre in macchina per motivi di sicurezza)237.
232 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 10-10-1951. 233 APC, Fondo M, Mf 99, Cc del PcTlT 13-16 ottobre 1951. 234 Cfr.: M. Zuccari, Il dito nella piaga:Togliatti e il PCI nella rottura tra Tito e Stalin. 1944-57, Milano, ed. Mursia, 2008, p. 254. 235 APC, Fondo M, MF 266 Verbale Segreteria n.57 - 21 novembre 1951. 236 APC, Fondo M, MF 266, Verbale Segreteria n.52 – 8 novembre 1951. Il verbale della riunione recita: “Vidali informa sulla posizione politica dei partiti triestini nel momento attuale. Spiegazione sulla politica dei due partiti. La Sezione di Organizzazione è incaricata di una riunione con un gruppo di compagni dirigenti del PCTLT per esaminare la situazione organizzativa di questo partito”. 237 APC, Fondo M, MF 99, PCTLT, Missione di Tombesi a Trieste, 7-14 ottobre 1951.
116
CAPITOLO III
SULLA VIA DELL'ACCORDO (1952-1954)
SOMMARIO: 3.1 La conferenza di Londra nella stampa comunista; 3.2 Primo Accordo di Londra; 3.3 Le elezioni amministrative del 1952; 3.4 La proposta di Vidali per una soluzione provvisoria della questione del TLT; 3.5 Trieste quale posta in gioco del triangolo o quadrilatero balcanico; 3.6 Vidali confermato alla guida del PCTLT; 3.7 La posizione sovietica su Trieste dopo la scomparsa di Stalin e la campagna elettorale per le elezioni politiche del 1953; 3.8 Il governo Pella e le proposte di plebiscito; 3.9 La nota angloamericana dell’8 ottobre 1953; 3.10 Questione di Trieste e Comunità Europea di Difesa; 3.11 Il programma di Fanfani ed il PCI; 3.12 Il governo Scelba, “il più reazionario”; 3.13 Le ultime richieste di maggiore sostegno di Vidali al PCI; 3.14 Il Memorandum d’intesa.
3.1 La conferenza di Londra nella stampa comunista
L’anno nuovo non sembrò modificare l’atteggiamento della stampa
comunista verso il paese di Tito, alla cui corte imperversavano “intrighi di spie”238
, ma a questo punto, l'accento veniva sempre più posto sulla questione di Trieste
che sembrava essere giunta ad una svolta. Nonostante, infatti, esponenti del PCI
affermassero che tutto ciò che si aveva dal governo era “silenzio, inerzia e
passività”239, le trattative tra Jugoslavia e Italia, con l'intermediazione
principalmente della Gran Bretagna, andavano avanti. Il governo jugoslavo aveva
richiesto un proprio sbocco al mare nella zona del porto di Trieste con un
memorandum il 26 gennaio. Successivamente Tito si era dichiarato favorevole
alla creazione del Territorio libero di Trieste, sottratto al Consiglio di Sicurezza e
con un Governatore alternativamente italiano e jugoslavo e con un vice-
governatore dell'altra Nazione. De Gasperi, dalla conferenza atlantica di Lisbona
cui stava partecipando, aveva risposto che il progetto in questione avrebbe
condotto alla esasperazione dei contrasti interni tra i due gruppi e ad una continua 238Tito sapeva che i nazisti conoscevano il suo cifrario, l’Unità, 17-1-1952. 239 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 31-01-1952: così Ingrao commentava le promesse fatte da De Gasperi alla vigilia della partenza per Ottawa nel precedente settembre quando era stato deciso l'ingresso di Grecia e Turchia nel Patto Atlantico. Allora De Gasperi aveva garantito di far ritorno in Italia con la realizzazione della dichiarazione tripartita in tasca, oltre che con l'ammissione dell'Italia all'Onu e con numerose commesse per l'economia italiana.
117
lotta imperniata su tali contrasti, cosa che avrebbe avuto come conseguenza di
rendere acuti e permanenti i contrasti tra i due Paesi confinanti240. Il governo
italiano aveva in seguito inviato ai governi di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti
una nota verbale di protesta contro “la profonda alterazione subìta dalla
fisionomia nella zona B nel campo economico, sociale e amministrativo e di
fronte soprattutto al moltiplicarsi delle sopraffazioni poliziesche nei riguardi degli
abitanti della zona che, ai termini del trattato di pace, continuano a mantenere la
cittadinanza italiana”241.
Pochi giorni dopo, durante una manifestazione organizzata in occasione del
quarto anniversario della dichiarazione tripartita, vi furono gravi scontri tra i
manifestanti e la polizia civile, che si ripeterono peraltro nei giorni successivi.
Alla Camera l'opposizione “sdegnata” era rappresentata dal compagno
Nenni che denunciava il fallimento della politica governativa242, mentre Vidali
annunciava la decisione di proclamare uno sciopero generale a Trieste243.
Cominciavano ad apparire anche sulla stampa comunista le prime indiscrezioni
delle trattative in corso a Londra che avrebbero portato alla conclusione
dell'accordo di maggio. Si parlava della zona B definitivamente assegnata alla
Jugoslavia e della zona A sempre sotto controllo anglo-americano con un
“contentino all'Italia di una compartecipazione militare al centro di Trieste”. In tal
modo si spiegava il recente discorso di De Gasperi in Senato in cui aveva
affermato la ricerca della realizzazione della dichiarazione tripartita “nella misura
del possibile” e l'atteggiamento generale della DC che finiva col mostrarsi
rinunciataria di fronte a Tito e alla Gran Bretagna perfino sull'italianità di
Trieste244.
Ciò che si prospettava all'orizzonte era che si sarebbe giunti, di fatto, alla
spartizione del TLT tanto vituperata dal PCI, e per di più essa non sarebbe
avvenuta tra italiani e jugoslavi, ma tra anglo-americani e jugoslavi con solo una
modesta partecipazione del governo italiano nella gestione del territorio. Tutta
l'operazione, poiché orchestrata in vista delle prossime elezioni in Italia, veniva
240 ISPI – Annuario di politica internazionale, Milano,ed. Idos, 1952, p. 60. 241ISPI, op.cit., 1952, p. 62. 242 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 21 marzo 1952. 243 Sciopero generale proclamato a Trieste contro le repressioni degli anglo-americani, l'Unità, 21-03-1952. 244Rinuncia all'italianità di Trieste nelle manovre degli atlantici e della D.C., l'Unità, 27-03-1952.
118
bollata come un “calcolo elettorale, non solo ignobile ma perfino sbagliato”, in
quanto questa volta, a differenza di quanto accaduto nel 1948, gli italiani
avrebbero saputo riconoscere “il tradimento nazionale al quale si aggiungeva una
confessione di fallimento”245.
Il senatore comunista Orlando interveniva in Senato con una severa critica
alla vigilia della partenza di De Gasperi per Londra ove, diceva, non si sapeva
affatto quale decisioni sarebbero state prese, considerato che “nell'arcobaleno
delle notizie” date, a tratti si prospettava la piena italianità di Trieste e in altri
momenti la semplice presenza di qualche plotone di poliziotti italiani in città, e
tutto ciò mentre Tito tornava all'attacco arrivando perfino a negare in un discorso
l'italianità stessa di Trieste. L'appello ad un'ampia discussione in aula del senatore
Orlando tuttavia sulla questione rimaneva inascoltato e seguiva solo un aspro
intervento del socialista Lussu246.
La notizia dell'imminente inizio di nuovi negoziati a tre tra Stati Uniti,
Regno Unito e Italia a Londra indusse il governo jugoslavo ad aspre dichiarazioni
sulla politica di denazionalizzazione e oppressione nei confronti delle minoranze
slovena e croata condotta in passato dall'Italia nella regione giulia, mentre nella
situazione corrente le potenze occidentali facevano il gioco del neofascismo
italiano o del cominformismo sovietico in una questione che era invece da
risolversi esclusivamente su base bilaterale247.
Le remissive dichiarazioni in Senato di De Gasperi in Senato si
accompagnavano con l'annuncio che le elezioni amministrative si sarebbero tenute
in Zona A il 25 maggio, lo stesso giorno delle amministrative nel resto d'Italia. Il
commento di Vidali alle prime voci di proposte di coalizione di tutti i partiti
italiani ad esclusione di socialisti, comunisti e sloveni era significativo: “si
configura già il tentativo di creare quella formazione truffaldina che vedrà uniti in
una specie di Sodoma e Gomorra politico tutti gli anticomunisti”248.
Nella seduta conclusiva del dibattito in Senato sul bilancio del Ministero
degli Esteri il senatore Negarville ricordava quale era stato il momento in cui il
governo avrebbe potuto e dovuto agire per risolvere la questione di Trieste: si
245 R. Mieli, Un calcolo sbagliato, l'Unità, 28-03-1952. 246 Orlando attacca la politica d.c. Per Trieste. Spano smaschera le manovre federaliste, l'Unità, 2-4-1952. 247 ISPI, op.cit., 1952, p. 64. 248Il ministro Acheson rassicura Tito sugli incontri a tre per Trieste, l'Unità, 3-4-1952.
119
trattava del periodo successivo alla rottura tra Jugoslavia e Urss nel 1948. Ma
avendo deciso di intraprendere una politica estera non indipendente e legata alle
decisioni degli angloamericani il governo democristiano aveva perso la grande
occasione ed il risultato era quello di trovarsi a trattare nella fase attuale in una
posizione meno vantaggiosa di quella che avrebbe potuto essere quattro anni
prima249.
La campagna sulla stampa comunista contro i negoziati in corso proseguiva
sul settimanale Vie Nuove, in cui veniva dato risalto alle ricostruzioni storiche dei
precedenti tradimenti all’italianità di Trieste250, oppure alle recenti umiliazioni che
la stessa aveva subito251. Ottavio Pastore vi elencava i tre colpi inferti all’italianità
della città nella storia recente: il primo colpo dato dai tedeschi dopo l’8 settembre
1943 per il distacco della Venezia Giulia dall’Italia; il secondo colpo inferto dagli
anglo-americani, consentendo di fatto a Tito di impadronirsi dell’Istria e di
giungere per primo a Trieste nell’aprile 1945. Il terzo era venuto dai
democristiani, cui importava più servire la politica americana che l’unità
italiana252.
A fine aprile Togliatti sceglieva la forma dell'intervista su Paese Sera per
rispondere alle accuse lanciate da De Gasperi contro il PCI a Napoli circa
l’ambiguità sulla questione di Trieste: ricordava come egli stesso, al V Congresso
nazionale del PCI, il 29 dicembre del 1945, aveva apertamente preso posizione
contro quegli operai triestini che chiedevano l'annessione della città alla
Jugoslavia e aveva chiesto loro di svolgere un importante compito di mediazione
tra i due popoli al fine di spegnere “ogni scintilla di lotta nazionalistica tanto
dall'una che dall'altra parte”. Il PCI non aveva nemmeno sostenuto alcuna linea di
frontiera per la Venezia Giulia: fin dall'inizio aveva sostenuto l'italianità di Trieste
e le trattative dirette con la Jugoslavia. Con l'iniziativa dell'autunno del '46 verso
Tito, si era ottenuto la liberazione dei prigionieri di guerra e la dichiarazione
dell'italianità di Trieste da parte del governo jugoslavo (l'unica resa fino a quel
momento). Togliatti aveva ben spiegato allora che le offerte fatte da Tito
dovevano costituire solo un inizio per le trattative, “un assaggio fatto da una delle
parti, e niente di più”. Una diversa politica estera, non comunista, sosteneva 249 Negarville denuncia gli errori del governo che ha compromesso gli interessi di Trieste, l'Unità, 4-4-1952. 250 Dal 1939 Trieste era stata ceduta alla Germania, Vie Nuove, 20-04-1952. 251 Marussich G., La battaglia di Trieste, Vie Nuove, 6-04-1952. 252 Pastore O., Tre colpi contro Trieste, Vie Nuove, 4-5-1952.
120
Togliatti, ma del tipo di quella promossa da Badoglio a Salerno, avrebbe condotto
ad una diversa soluzione del problema253.
253 De Gasperi porta la responsabilità attuale della situazione di Trieste, l'Unità, 29-4-1952. L'intervista, rilasciata a Paese-Sera, si può consultare anche in APC, Fondo Togliatti, Carte Ferri-Amadesi.
121
3.2 Primo Accordo di Londra
La conferenza di Londra si concluse con la firma di un accordo relativo alla
partecipazione italiana all'amministrazione della zona A del Territorio libero. Il
comunicato emesso al termine dei lavori chiariva che l'esame completo e
dettagliato della struttura amministrativa della zona A, fatto dai tre rappresentanti,
e le modifiche al suo ordinamento stabilite nell'accordo andavano intesi “senza
pregiudizio della soluzione definitiva del problema dell'avvenire del Territorio
libero nel suo insieme”254. Il testo dell’accordo, chiamato Memorandum d’intesa e
successivamente Primo accordo di Londra255, composto di dieci articoli,
disponeva che un consigliere politico italiano presso il comandante della zona
sarebbe stato nominato dal governo italiano per rappresentarlo in tutte le materie
che interessavano l'Italia nei riguardi della zona. Un direttore superiore
dell'amministrazione sarebbe stato proposto dal governo italiano e nominato dal
comandante di zona al fine di esercitare le funzioni di governo civile. Cittadini
italiani in numero adeguato sarebbero stati nominati dal comandante di zona per le
varie cariche e funzioni nelle direzioni e nei dipartimenti.
Tito definì l'accordo una “grave violazione del trattato di pace con l'Italia” e
“una vergognosa ingiustizia fatta alla Jugoslavia”256. Dalle parole il governo
jugoslavo passò rapidamente ai fatti e le contromisure al Memorandum d'intesa
introdussero nella zona B, con l'apertura delle frontiere tra zona B e Jugoslavia, un
regime politico analogo a quello della Repubblica federale jugoslava. La tesi di
Nozzoli, su l’Unità, era che le misure jugoslave erano già state autorizzate dagli
angloamericani come contropartita dell’accordo di Londra257 ed esse sarebbero
forse state prese con più calma da Tito, dopo le elezioni italiane del 25 maggio, se
De Gasperi non avesse varcato il limite postogli dalle potenze atlantiche
pretendendo, nei suoi discorsi elettorali, di vedere nelle concessioni di Londra un
passo verso l’applicazione della dichiarazione tripartita del 1948. Questo aveva
esposto Tito al rischio di apparire quale perdente della conferenza e lo aveva
254 ISPI, op.cit., 1952, p. 66. 255 De Castro D., Il problema di Trieste : genesi e sviluppi della questione giuliana in relazione agli avvenimenti internazionali, 1943-1952, Bologna, Cappelli, 1952, p.370. 256 Ivi, p. 371. 257 Nozzoli G., Nuovi provvedimenti annessionistici della Jugoslavia nella zona B di Trieste, l’Unità, 16-5-1952.
122
obbligato a precipitare gli eventi con le misure annessionistiche della zona B258.
L'accordo di Londra provocò anche una nuova presa di posizione sovietica:
con una nota indirizzata ai governi statunitense e britannico il governo di Mosca
collegando, more solito, la questione di Trieste ai rapporti tra Occidente e Oriente,
al tema del trattato di pace con l'Austria e a quello delle basi anglo-americane in
Europa, protestava per la situazione creatasi nella zona A e ribadiva le accuse
contro gli occidentali intenti ad “adattare quel territorio, neutrale in base al trattato
di pace con l'Italia, la sua mano d'opera e le sue risorse materiali, ai piani di guerra
dell'aggressivo blocco atlantico e a trasformare la zona di Trieste in base militare
e navale permanente degli Stati Uniti e della Gran Bretagna”. La nota insisteva sul
ritiro delle truppe straniere dalla zona A e sulla nomina senza indugio del
governatore259. La risposta angloamericana giunse il 19 settembre con una nota in
cui si rispedivano al mittente le accuse e veniva affermato che la responsabilità
principale per la mancata applicazione delle clausole relative al TLT ricadeva
sull'atteggiamento ostruzionista sovietico260.
Renato Mieli su l’Unità condannava il Memorandum, considerato “più che
un fallimento un tradimento”, con cui si avallava la spartizione del TlT e si
abbandonava definitivamente ogni speranza sulla zona B261.
Su l'Unità veniva poi riportata la dichiarazione del Comitato Esecutivo del
PCTLT, riunitosi dopo la pubblicazione del comunicato della conferenza di
Londra, in cui si denunciava il tentativo di far passare le “irrisorie concessioni”
del memorandum come una vittoria, mentre si trattava di un’altra tappa verso la
realizzazione del “baratto infame” che decretava l’annessione della zona B a
Belgrado. Venivano citate infine le parole del socialista Nenni che affermava che
il governo italiano avrebbe fatto meglio a sostenere l’applicazione del Trattato di
pace, come anche lui aveva chiesto. L’accordo di Londra, per riconoscimento
dello stesso De Gasperi, stava nell’ambito del trattato ma si prestava a due
interpretazioni: quella di Palazzo Chigi, secondo cui esso non pregiudicava la
soluzione definitiva, e quella di Belgrado che ravvisava nell’accordo l’implicita
accettazione della spartizione se non da parte italiana almeno da parte dei
258 Calamandrei F., Nuovi provvedimenti annessionistici della Jugoslavia nella zona B di Trieste. I primi commenti inglesi, l’Unità, 16-5-1952. 259 ISPI, Annuario di politica internazionale, op. Cit., 1952, p. 70. 260 ISPI, op.cit., ivi. 261 Mieli R., De Gasperi firma l’accordo fallimentare che avalla la spartizione del T.L.T., l’Unità, 10 maggio 1952.
123
firmatari della dichiarazione tripartita del 1948262.
Ma spettava al Segretario del partito formulare la posizione ufficiale sul
Memorandum d’intesa e Togliatti lo fece in un lungo articolo destinato al numero
in corso di pubblicazione della rivista Rinascita ma che apparve prima su l’Unità.
Nell'articolo “La questione di Trieste” del 14 maggio, Togliatti prendeva in
esame il memorandum di Londra, che a suo parere partiva dal riconoscimento
preciso e dalla conferma del trattato di pace, ma nel contenuto del trattato
introduceva alcune modificazioni sostanziali. La prima era che veniva consolidata,
attraverso il riconoscimento italiano di fatto, la divisione del Territorio in due
zone, estranee l’una all’altra. In secondo luogo, l’accordo significava che il
governo italiano ammetteva e riconosceva, di fatto, di non avere niente a che fare
con il modo come la zona B era governata. Dopo l’accordo di Londra la zona B
non soltanto era jugoslava: ma il governo italiano aveva compiuto un atto che
significava il riconoscimento di questo stato di cose. In terzo luogo, tanto nella
zona A quanto nella zona B continuava l’occupazione militare straniera, da un lato
degli anglo-americani, dall’altro degli jugoslavi. Sarebbero stati assunti
nell’amministrazione della zona A, in alcuni posti di importanza non decisiva,
funzionari italiani, ma non sarebbe stato fatto nessun passo, né nella zona A, né
nella zona B, che avrebbe consentito alle popolazioni un margine più largo di
autogoverno. L’inizio, nei confronti di tutti, di una trattativa favorevole per le
frontiere sarebbe stato dato con una dimostrazione di politica indipendente nel
Mediterraneo, mentre Bonomi e De Gasperi già poche settimane dopo la
liberazione di Roma si erano presentati come “vassalli” degli anglo-americani.
Così avvenne che essi non riuscirono né a discutere né a trattare di nulla, e resero
l’Italia e sé stessi “zimbello di eventi che non furono assolutamente più in grado
di dominare”. Ogni volta che, in apparenza, essi discutevano di una questione, la
conclusione inevitabile era che dovevano fare un’altra ritirata gratuita, cioè
abbandonare qualche altra cosa in cambio di niente. Questa “totale impotenza
diplomatica”, continuava Togliatti nel suo articolo, derivava da un'errata
impostazione politico-generale, i dirigenti clericali e i loro satelliti cercarono di
mascherarla, nel Paese, con una campagna di calunnie contro la sinistra dello
schieramento democratico. Il tono di questa campagna era nazionalistico, ma si
trattava di un nazionalismo singolare che si sarebbe potuto dire “degli impotenti”.
262 Il Pc di Trieste denuncia le responsabilità di Tito e De Gasperi, l’Unità, 11-05-1952.
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D’Annunzio fece molto male all’Italia, con il suo nazionalismo: aveva almeno
messo le mani sopra una città e creata una situazione. I nazionalisti clericali,
invece, erano quelli che non erano riusciti a salvare niente, nemmeno Briga e
Tenda dalle mani dei loro avidi alleati, e persino l’Alto Adige, probabilmente,
avrebbero ceduto, se non vi fosse stato, qui, un divieto sovietico all’espansione
del germanesimo verso il Sud. Riguardo alla Venezia Giulia, la posizione dei
comunisti era che si dovesse sin dall’inizio (cioè dal momento in cui tutto era
ancora in discussione) trattare, ma per potere trattare con serietà bisognava aver
evitato o corretto l’errore indicato sopra. Tutti videro, scriveva Togliatti, che
questa posizione dei comunisti italiani era diversa tanto da quella jugoslava
quanto da quella di tutte le altre potenze, in quel momento, ma non vi fu nessuno,
nel campo reazionario e clericale, che sottolineasse questo fatto o che almeno lo
capisse e ne sapesse ricavare qualche conseguenza. Non era più comodo, si
chiedeva Togliatti retoricamente, bollare i comunisti alla fascista come
antinazionali, e ciò proprio nel momento in cui essi indicavano e aprivano alla
nazione una via favorevole? Redatto il trattato di pace e mentre Tito si trovava
ancora nel campo antimperialista, era chiaro, per chi sapeva ragionare, che
un’altra possibilità si apriva per regolare la questione di Trieste, ed era di far leva
sul desiderio (che allora poteva ancora esistere in Tito) di evitare che Trieste
diventasse una base imperialista anglo-americana. Questo fu il punto di partenza
del viaggio di Togliatti a Belgrado, e se era vero che Tito, per il modo come
presentò la sua offerta, pose un serio ostacolo iniziale, non meno vero era che se
allora non si fosse ad arte scatenata la campagna dei clericali in forme
vergognose, dei passi in avanti sopra una via nuova si sarebbero potuti fare. E del
resto, l’attribuzione alla Jugoslavia della zona B, poi di fatto avvenuta, era una
cosa di maggior peso della condizione che Tito pose allora, assumendosi anch’egli
(e forse con intenzione che gli ulteriori eventi spiegavano meglio) la sua parte di
responsabilità nella rottura di quella iniziativa263.
263 Togliatti P., La questione di Trieste, l’Unità, 14-5-1952 e, in forma completa, Rinascita, aprile 1952. E’ possibile consultare l’articolo anche in APC, Fondo Togliatti, Carte Ferri-Amadesi.
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3.3 Le elezioni amministrative del 1952
In vista delle elezioni amministrative, la Segreteria inviò un rappresentante
della sezione Governo degli Enti Locali a Trieste in veste di osservatore sulla
preparazione da parte dei compagni del PCTLT della campagna elettorale e in
veste di esperto in materia di propaganda. Nella relazione inviata alla Segreteria al
termine della “missione” a Trieste, Riccardo Ravagnan sosteneva che la lotta
avveniva esclusivamente su temi politici, in particolare circa la futura
organizzazione del territorio. La sensazione era che gli avversari cercassero di
mantenere la lotta solo sul terreno politico per ingannare più facilmente l'elettore
medio triestino ed evitare dibattiti sull'economia triestina, il “malgoverno
dell'amministrazione comunale”, le questioni sociali e altri problemi per loro
pericolosi. La base del partito era da parte sua “presa dall'orgasmo della lotta”,
orientata verso le grandi manifestazioni dimostrative, in particolare verso i comizi,
e sottovalutava l'importanza del lavoro capillare e della propaganda differenziata.
C'era invece scarsa partecipazione in conferenze riguardanti i problemi
amministrativi e indifferenza verso la crisi economica sociale e morale che
colpiva la popolazione del territorio. Altra cosa che lasciava perplesso Ravagnan
era il fatto che si affrontasse la lotta elettorale a Trieste senza cercare di portare la
lotta sui problemi dei salari e della produzione.
Dalla diminuzione del numero degli iscritti ai sindacati unici, conseguiva
probabilmente anche una perdita di influenza sulle masse operaie, come
testimoniava l’inattività di queste negli scioperi. Anche le altre organizzazioni di
massa, come ad esempio le Consulte popolari, risultavano in numero scarso e non
sufficientemente attive. I semplici temi politici e soprattutto quelli riguardanti il
futuro politico del Territorio libero da soli allo stato attuale non avrebbero fatto
aumentare di molto l'influenza del partito sulla popolazione triestina. Il consiglio
che la segreteria del PCI aveva dato l'anno precedente al PCTLT circa
l'opportunità di dare durante la campagna elettorale ampio dibattito ai problemi
amministrativi, sociali, ed economici, ad opinione di Ravagnan, rimaneva valido
e ciò nonostante i fatti del 20 marzo e le conversazioni in corso a Londra. La
decisione della Direzione PCI di ridurre il numero di oratori da mandare a Trieste
si era rivelata anch’essa opportuna poiché ciò avrebbe permesso di “invogliare i
compagni a dare il dovuto sviluppo al lavoro capillare”.
126
Dietro invito di Vidali, Ravagnan aveva tenuto una breve conferenza
all'apparato del Comitato Centrale del PCTLT e di alcune organizzazioni di massa
sull'importanza e l'organizzazione del lavoro capillare, su come sviluppare la
propaganda capillare territoriale che faceva perno sulle sezioni delle cellule e i
gruppi, sulla propaganda capillare nel proprio luogo di lavoro (fabbriche, porto,
mercati e simili), e in seno alla propria categoria professionale, commerciale,
artigianale. Aveva anche illustrato l'importanza delle assemblee popolari, di rione,
di strada, di borgata e di categoria ove discutere i problemi delle singole comunità.
Durante la sua permanenza a Trieste aveva raccolto del materiale statistico circa la
crisi economico-sociale della zona e il malgoverno dell'amministrazione comunale
e l'aveva inviato alle commissioni stampa e propaganda e enti locali affinché
elaborassero dei bollettini per gli attivisti di base e per gli oratori rionali264.
Ravagnan allegava alla sua relazione una copia della deliberazione del
Comitato Esecutivo del PCTLT alla Direzione del Blocco Triestino che aveva
proposto “l'apparentamento” di tutte le liste che rivendicavano l'applicazione del
trattato di pace. In essa si dichiarava che il PCTLT rifiutava l’apparentamento
poiché la legge sull'apparentamento era ritenuta antidemocratica e pregiudicava la
minoranza nazionale: essa era stata fatta per consentire di unire alla D.C. fascisti e
monarchici, e ai titini i clericali sloveni e i cosiddetti indipendentisti.
L'apparentamento era possibile “solo se serio e sincero”: solo con applicazione del
trattato di pace come obiettivo.
Ad ogni modo la questione triestina, dopo il primo accordo di Londra, non fu
in primo piano nella campagna elettorale comunista e sporadici furono i comizi,
forse soltanto quelli tenuti da Giancarlo Pajetta “esperto” dei temi internazionali,
incentrati sul tema del “fallimento dei negoziati da parte di De Gasperi” e la sua
“responsabilità nella cessione della zona B”265.
Alle elezioni amministrative del 25 maggio il risultato a Trieste fu
controtendenza rispetto a quello nazionale, infatti il quadripartito ottenne la
264 APC, Fondo M, MF 218, Relazione di Ravagnan (Sezione Governo Enti Locali) alla Segreteria sulla visita al PCTLT dal 15 al 20 aprile 1952. 265 Cfr: Un grande comizio di Pajetta a Trieste, l’Unità, 18-5-1952; Miserando tentativo di De Gasperi di coprire la cessione della zona B, l’Unità, 22-5-1952; Pajetta denuncia le responsabilità di De Gasperi per Trieste, l’Unità, 23-5-1952; G. Marussich, Gli arrangements di Londra hanno amareggiato i triestini, Vie Nuove, 18-5-1952.
127
maggioranza assoluta, il PCTLT perse nove seggi al Consiglio comunale, i partiti
filoslavi sostanzialmente tennero e le destre ottennero più voti che nel 1949. Nel
resto d'Italia, invece, la DC attestatasi al 41,9% aveva segnato delle perdite sia nei
confronti delle sinistre, che avevano raggiunto il 33,4%, che delle destre e dei
monarchici che avevano toccato il 23,5%.
Sulle pagine de l'Unità dei giorni seguenti, tra l'esultanza per le grandi
affermazioni ottenute dal PCI alle elezioni, specialmente nel centro-sud, e il largo
accoglimento che veniva dato alle accese proteste sovietiche contro la firma degli
“accordi contrattuali” tra Germania federale e potenze occupanti e del trattato
istitutivo della Comunità europea di difesa (CED), non trovava alcuna spazio la
questione di Trieste, ove secondo il risultato delle elezioni amministrative, appena
riportato in un trafiletto, la tesi annessionistica aveva nettamente prevalso.
Neppure al Comitato Centrale del PCI di giugno la questione di Trieste
trovava menzione nell’ambito della lotta per la pace che il partito si poneva come
primo obiettivo da perseguire, contro la politica imperialista americana che si
avvaleva in Europa del “focolaio tedesco” e nei Balcani del regime, seppure
“abbastanza vacillante” 266, di Tito che anzi avrebbe ottenuto un legame indiretto
con la NATO tramite un’ eventuale alleanza con Grecia e Turchia267. L’accordo
tra Italia e Jugoslavia per la spartizione del TLT veniva commentato come ormai
certo, con rassegnazione polemica, quale base di una normalizzazione dei rapporti
tra i due paesi affinché Trieste e il suo territorio divenissero “quell’anello di
congiunzione strategica fra l’Europa occidentale ed i Balcani, indispensabile per
la saldatura dello schieramento antisovietico lungo il Mediterraneo”268.
La stampa comunista seguiva con attenzione durante l’estate le trattative tra
potenze occidentali e Tito e non perdeva occasione per rinfocolare le
polemiche269, sebbene la polemica anti-titina non si avvalesse dei toni truci del
266 APC, Fondo M, Mf 262, Verbali del CC 20-22 giugno 1952; vedi anche: Unità degli italiani per la pace e la libertà contro l’aggravata minaccia dell’imperialismo straniero, l’Unità, 22-6-1952. 267 Sensazionali rivelazioni americane sull'alleanza tra Tito, Grecia e Turchia, l'Unità, 22-6-1952. 268 Settimana di negoziati critici tra Acheson, Eden e Scuman, l'Unità, 24-6-1952. 269 Cfr.: Il governo nella trappola del riarmo e degli impegni militari, l’Unità, 19-8-1952; Tito e gli Occidentali a colloquio per Trieste, l’Unità, 19-8-1952; Tito conferma il blocco con Atene e Ankara e chiede la spartizione del T.L. di Trieste, l’Unità, 21-8-1952; Pressione anglo-franco-americana per la spartizione del TL di Trieste, l’Unità, 22-8-1952; Gravi rivelazioni sull’indegno baratto che verrà proposto da Eden per Trieste, l’Unità, 24-8-1952; Conferma ufficiosa alle trattative per la spartizione del TL di Trieste, l’Unità, 25-8-1952;
128
passato, a parte qualche caso isolato, come una fotografia del maresciallo, in
prima de l’Unità del 13 settembre, con tanto di didascalia: “Il traditore Tito cane
da guardia dell’imperialismo”. Anzi, a partire da quello stesso mese si registrava,
sul quotidiano, il tentativo di analizzare in maniera più articolata le “trame
dell’avventuriero di Belgrado” nella regione Giulia270.
Nei negoziati in corso a settembre De Gasperi, per contro, veniva raffigurato
dalla stampa comunista come figura debole, pronto a fare concessioni agli alleati
occidentali e quindi indirettamente a Tito, tramite la figura del mediatore Eden, e
contro di lui venivano lanciate le accuse di traditore della nazione271.
Togliatti sull’Unità del 27 settembre ribadiva la posizione dei comunisti su
Trieste chiedendo l’applicazione del trattato di pace, che avrebbe consentito,
secondo il segretario del PCI, alle popolazioni del TLT di autogovernarsi e Trieste
avrebbe cessato di essere una base militare degli imperialisti. I dirigenti jugoslavi
avevano già riconosciuto i diritti italiani, affermava Togliatti, tornando
sull’incontro di Belgrado del 1946, che svelava essere stato la conseguenza di un
suo precedente passo nei confronti degli jugoslavi nell’agosto del ‘46, a Parigi,
dove aveva ottenuto il riconoscimento dei diritti nazionali italiani nella città
contesa, salvo poi il “rialzo del prezzo” da parte di Belgrado, nel novembre di
quell’anno, con la prospettata cessione di Gorizia”272.
Dal 14 ottobre iniziava il dibattito alla Camera dei Deputati
sull’approvazione del bilancio del M.A.E., De Gasperi si disse contrario
all’accantonamento della questione di Trieste. L’Italia proponeva di sottoporre
alla Corte internazionale di giustizia l’esame della validità del trattato di pace
italiano, delle misure prese dal governo militare jugoslavo della zona B fin dal
1945, in maniera particolare di quelle prese successivamente al Memorandum
d’intesa di Londra. Il governo jugoslavo rispondeva rifiutando la proposta italiana
e accusando a sua volta il governo italiano di compiere la graduale annessione
270 Cfr.: Zuccari M., Il dito nella piaga:Togliatti e il PCI nella rottura tra Tito e Stalin. 1944-57, Milano, Mursia, 2008, pp. 246-248. Cfr.: su l’Unità: Il porto di Trieste rivendicato da Tito, 11-9-1952; Tito rivendica il condominio di Trieste e non si contenta più della spartizione del T.L.T., 15-9-1952; Belgrado rivendica la zona A del TLT, 18-9-1952; I titisti reclamano l’annessione della zona B, 1-10-1952. 271 Cfr.:De Gasperi fa nuove concessioni alla vigilia dell’incontro con Eden, l’Unità, 13-9-1952; G. Pajetta, Tradimento, l’Unità, 17-9-1952; Il Parlamento chiamerà De Gasperi a rendere conto della sorte di Trieste, l’Unità, 18-9-1952 272 La posizione dei comunisti su Trieste in una intervista di Palmiro Togliatti, l'Unità, 27-9-1952.
129
della zona A in violazione delle disposizioni del trattato di pace273.
Togliatti rimproverava al dibattito sulla politica estera in corso in aula
un’eccessiva frammentarietà, ciò aveva caratterizzato anche il dibattito sulla
questione di Trieste che era stata considerata isolandola dal complesso delle
rimanenti. Togliatti, consapevole dei passi avanti, seppur lenti, che Italia e
Jugoslavia facevano verso l’accordo, si diceva ormai pessimista in merito alla
creazione del TLT e vedeva messa in discussione perfino l’assegnazione della
“zona A” a causa dei tanti errori commessi dal governo italiano:
“La questione di Trieste […] si pone oggi in modo incomparabilmente più grave che non si ponesse immediatamente dopo la firma del trattato di pace. Allora si presentava la possibilità della formazione di quel famoso staterello libero soggetto a un regime autonomo sotto controllo internazionale; oggi, quando noi diciamo che questa sarebbe ad ogni modo una soluzione più favorevole del regime attuale, ci si dice che essa non è l’ideale e si sottolineano le difficoltà cui sarebbe legata. Lo sappiamo; ma forse che è un ideale per un italiano il trattato di pace stesso? No, non è un ideale! E’ la dura conseguenza dei terribili errori commessi dalle classi dirigenti italiane sotto il fascismo! La questione, però, è che oggi, di fatto, è difficile persino comprendere come a una soluzione simile si possa arrivare, perché sono stati fatti tali e tanti passi indietro per cui oggi non è più di tutto il cosiddetto Territorio Libero né della zona B che si discute, ma della zona A. La zona B di fatto è annessa alla Jugoslavia. Quando oggi aprite un dibattito, quando si conduce sulla stampa internazionale un dibattito che probabilmente riflette le discussioni che hanno luogo fra i dirigenti della politica estera dei singoli paesi, non si discute più della zona B, ma solo delle concessioni ulteriori relative alla zona A, e a sfavore dell’Italia, che dovrebbero essere fatte per giungere a una soluzione che soddisfi la Jugoslavia e coloro che l’hanno presa sotto il loro patronato”274.
273 ISPI – Annuario, op. cit., 1952, pp. 71-72. 274Atti Parlamentari, seduta del 17 ottobre 1952, dibattito sul bilancio del MAE.
130
3.4 La proposta di Vidali per una soluzione provvisoria della questione del
TLT
Al Consiglio comunale di Trieste Vidali, introducendo senza dubbio un
elemento di novità nella posizione sostenuta dal PCTLT e, di riflesso anche dal
PCI, propose che si approvasse una mozione unitaria che avrebbe dovuto rilevare
il carattere di provvisorietà dell’amministrazione fiduciaria vigente del TLT e
sottolineare che tale situazione provvisoria, prevista dall’allegato 7 del Trattato di
pace con l’Italia, si protraeva ormai da cinque anni, con gravissime conseguenze
per la popolazione delle due zone. Come L’elemento innovativo era costituito dal
fatto che la mozione unitaria avrebbe dovuto chiedere al Consiglio di Sicurezza
dell’ONU la sostituzione, fino alla soluzione definitiva del problema del TLT, del
regime di duplice amministrazione fiduciaria esistente nelle due zone, con
un’unica amministrazione civile, nominata dal Consiglio di Sicurezza, la quale
avrebbe provveduto alla sostituzione delle truppe anglo-americane e jugoslave,
che occupavano il Territorio Libero, con altre “eventuali forze d’ordine” designate
dallo stesso Consiglio di Sicurezza. La commissione designata dal Consiglio di
Sicurezza avrebbe potuto essere composta di vari membri, ai quali si sarebbe
potuto affidare la direzione dell’apparato governativo. Si trattava di una soluzione
di transizione, la quale avrebbe potuto, intanto, assicurare l’unificazione delle due
zone, “la restaurazione di tutte le libertà democratiche, il rispetto dei diritti
dell’uomo e dei diritti nazionali e l’autonomia comunale”. Secondo Vidali, le
caratteristiche della mozione e il fatto che essa non avrebbe pregiudicato la
soluzione definitiva del problema e la lotta dei partiti per quelle soluzioni che
ritenevano più giuste avrebbero permesso alla mozione di venire sottoscritta da
tutti i raggruppamenti acquisendo un peso tale da non poter essere ignorata in sede
internazionale275.
La proposta fu secondo Vidali “ignorata o respinta”276, ma rappresentò
comunque un elemento di novità, potremmo dire un segnale di “risveglio” dei
comunisti triestini e italiani rispetto all’immobilismo di cinque anni sulla formula
dell’applicazione del trattato di pace, che comunque restava, e non poteva essere
diversamente, l’obiettivo finale del partito sulla questione triestina. Tale proposta
275 M. Kolenc, Vidali propone l’unificazione amministrativa, l’Unità, 31-10-1952. 276 V. Vidali, Ritorno alla città senza pace. Il 1948 a Trieste, Vangelista, 1982, p. 67.
131
rimase valida per diversi mesi e fu propugnata, come vedremo a breve, con
tenacia, ripetutamente, come accadeva per altre posizioni del partito ripetute in
ogni occasione, fino a che non fossero diventate una sorta di “slogan” o un
patrimonio comune degli iscritti, ed ebbe il pregio, forse proprio perché si
presentava come una soluzione provvisoria, di venire accolta anche da partiti e
movimenti esterni al comunismo (soprattutto socialdemocratici).
132
3.5 Trieste quale posta in gioco del triangolo o quadrilatero balcanico
Al Comitato Centrale del PCI di novembre la questione di Trieste non fu
toccata, si parlò di “legge truffa”, guerra di Corea e questioni del lavoro277. Gli
organi della stampa comunista continuavano perciò a seguire gli eventi relativi
alla questione triestina con il solito approccio critico, ma come abbiamo visto per
il periodo successivo al primo accordo di Londra, senza eccessivo clamore.
Venivano sottolineati i nuovi timori per le sorti del TL di volta in volta che un
ministro italiano compiva un passo verso la Jugoslavia o De Gasperi “tendeva la
mano” a Tito e solo nei confronti di quest’ultimo, come abbiamo già sottolineato
sopra, in alcune occasioni si accentuavano i toni sensazionalistici, come nel caso
delle voci fatte circolare a fine anno sulle intenzioni del dittatore jugoslavo di
annettere al proprio Paese Albania e Bulgaria278.
Nei primi giorni del 1953 il problema di Trieste era riproposto
all’attenzione internazionale con un sondaggio dell’Associated Press. Questa
informava che Stati Uniti e Gran Bretagna avrebbero esaminato l’opportunità di
inviare “una ferma ma pur tuttavia amichevole richiesta all’Italia e alla Jugoslavia
per la rapida soluzione delle loro divergenze sulla futura sorte di Trieste sulla base
dei confini tracciati nel trattato di pace italiano e cioè: Zona A e porto di Trieste
all’Italia, Zona B alla Jugoslavia; ritiro dalla zona A delle truppe di occupazione
anglo-statunitensi”279. La notizia fu smentita il giorno seguente da Foreign Office
e Dipartimento di Stato, ma le voci di una mediazione anglo-americana
ritornarono nel corso dell’anno più volte.
Sia l’Unità280 che il settimanale Vie Nuove sottolineavano come le smentite
da Londra e Washington non fossero arrivate quella volta in maniera perentoria e
tutto fosse da ricollegare ai negoziati in corso circa il “quadrilatero balcanico”.
Trieste costituiva la posta in gioco281 per l’adesione jugoslava al blocco balcanico
che si andava costituendo tra Ankara, Belgrado e Atene e, al quale si sarebbe
277 APC, Fondo M, Mf 189, Verbali del CC dell’11-12 novembre 1952. 278 Cfr.: Il viaggio di Pacciardi suscita nuovi timori per il TL di Trieste, l'Unità, 2-11-1952; De Gasperi a Redipuglia ha teso la mano a Tito, l'Unità, 5-11-1952; Tito auspica l’annessione della Bulgaria e dell’Albania, l'Unità, 12-11-1952. 279Cfr. ISPI – Annuario di politica internazionale, Milano, Ed. Idos, 1953, p. 59. Cfr. La spartizione del TLT riproposta dagli occidentali, l’Unità, 5-1-1953. 280 Conferme inglese alle rivelazioni sulla spartizione del Territorio Libero, l’Unità, 6-1-1953. 281 La posta è puntata su Trieste, Vie Nuove, 16-1-1953.
133
potuta aggiungere l’Italia, che si perfezionò nel trattato di amicizia e
collaborazione reciproca tra i tre paesi del 28 febbraio 1953282. Sulle stesse pagine
di Vie Nuove venivano riassunte le prospettive della nuova proposta di soluzione
provvisoria della questione di Trieste del PCTLT per la sostituzione delle
amministrazioni anglo-americana e jugoslava con un’amministrazione unica, a
carattere civile, diretta dal Consiglio di Sicurezza. Essa avrebbe significato
unificazione delle due zone e sgombero delle truppe d’occupazione, ripristino di
tutte le libertà democratiche e del rispetto dei diritti umani, condizioni migliori per
tutti i partiti per lottare in favore della soluzione finale ritenuta più giusta283.
La rivelazione del piano Bradley284 dava un grosso contributo alla polemica
comunista contro le manovre diplomatiche che mettevano in relazione la
soluzione della questione di Trieste con la formazione di un blocco balcanico
legato all’Occidente. Tale piano prevedeva un riarmo accelerato della Jugoslavia
che avrebbe portato sui confini italiani un esercito di un milione e duecentomila
uomini, confermando le voci dei mesi precedenti che volevano affidata a Tito
dagli americani la difesa dei confini orientali d’Italia285.
L’immutata posizione del governo italiano sul problema triestino era
confermata dal presidente del Consiglio De Gasperi in una relazione alla
Commissione degli Esteri al Senato, in cui aveva accennato anche all’opinione
espressa dal nuovo Segretario di stato americano che faceva presente la necessità
di tenere conto anche della situazione degli jugoslavi286. L’Italia rimaneva
comunque ferma nelle sue posizioni: la Dichiarazione tripartita del 1948287.
282 Di Nolfo E., Storia delle relazioni internazionali, op.cit , p. 819. 283 Le tre prospettive della nostra proposta, Vie Nuove, 16-1-1953. 284 Piano Bradley per i Balcani ai danni dell'Italia e del TLT, l'Unità, 30-12-1952. 285 Cfr. Gli americani affidano a Tito la “difesa” dei confini italiani, l'Unità, 1-11-1952. 286 L’on. De Gasperi non ha riserve, l’Unità, 6-2-1953. 287 ISPI – Annuario, cit., 1953, p.59.
134
3.6 Vidali confermato alla guida del PCTLT
Il quarto congresso del P.C. di Trieste si aprì con la relazione del segretario
Vidali che ripropose la soluzione provvisoria, già esposta nell’ottobre precedente,
di un’amministrazione civile unica delle due zone diretta dal Consiglio di
Sicurezza, allo scopo di bloccare la spartizione “ormai in atto”288.
Roasio, alla guida della rappresentanza del PCI al congresso, rilevava come,
essendo Trieste considerata la “cerniera” che doveva saldare lo schieramento del
Patto Atlantico con quello del blocco balcanico appena firmato ad Ankara, i
comunisti triestini erano chiamati a svolgere un ruolo molto importante nella lotta
per la pace289. La soluzione provvisoria proposta da Vidali per l’amministrazione
civile unica delle due zone venne inserita anche nella mozione conclusiva del
congresso290, a testimonianza del fatto che l’adesione all’applicazione delle
disposizioni del trattato di pace non bastava più di fronte all’avanzare dell’accordo
per la spartizione ed urgeva trovare una proposta alternativa concreta.
E’ da notare come tale proposta fu adottata in seguito anche dal Partito
Socialista della Venezia Giulia (PSVG) e dalla Commissione d’inchiesta istituita
dall’Internazionale Socialista, cosa di cui Vidali si compiaceva sebbene ciò
avvenisse, secondo lui, in una forma in cui tendeva a limitare la partecipazione
della cittadinanza e dei partiti, nel momento in cui vi era invece il bisogno di unire
tutti i cittadini sotto un minimo comune denominatore che era la richiesta di
unione delle due zone e di sgombero delle truppe d’occupazione291.
Dal congresso il PCTLT usciva più coeso che mai sotto la guida di Vittorio
Vidali, confermato segretario292, dotato secondo il Consigliere politico italiano a
Trieste Diego De Castro di “eccezionali qualità organizzative” ed esperienza tali
che lo rendevano “pericoloso” per l’amministrazione democristiana ed abile a
288 Il congresso dei comunisti triestini aperto da una relazione di Vidali, l’Unità, 28-2-1953. 289 Si è chiuso il congresso dei comunisti triestini, l’Unità, 2-3-1953. 290 Cfr. D.D.I., Serie Affari Politici, b. 650, Tls. 792/254, Ufficio del Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 09/03/1953: congresso del PCTLT. 291 Vd. L’Unità ed. milanese, 18-3-1953; vedi anche: D.D.I., Serie Affari Politici b. 650, Tls 1057/336, Ufficio del Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 25/03/1953: proposta di Vidali e mozione del PSVG sulla questione di Trieste; D.D.I., Serie Affari Politici, b. 650, Tls. 2622, Ufficio Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 18/7/1953: proposta dell’Intersoc per il TLT. 292 Vidali confermato segretario del P.c. triestino, l’Unità, 15-3-1953. Lo stesso Comitato Esecutivo confermava Maria Bernetic (Marina) nella carica di vice-segretaria del partito.
135
fronteggiare tentativi di scissione del partito, quali quelli ipotizzati nel mese di
marzo e di cui De Castro riferiva a Roma293. La guida del partito da parte del
“giaguaro del Messico” era quindi salda ed egli non intendeva lasciare Trieste per
tornare in Messico o in altri Paesi dell’America Latina, come pure cercavano di
accertare alcuni diplomatici e funzionari italiani e stranieri294 (in questa fase come
in altre fino al 1954).
Nel mese di aprile Vidali veniva messo nuovamente alla prova da Il
Giornale di Trieste che, partendo dalla considerazione che la politica estera russa,
con la scomparsa di Stalin, era in fase di evoluzione ed andava trasferendosi su
nuove basi, poneva all’attenzione del segretario del PCTLT il revirement
conseguente che si andava manifestando a Belgrado. Di fronte, dunque, allo
scenario di un riavvicinamento tra Mosca e Belgrado, il quotidiano, vicino agli
ambienti moderati della DC, poneva a Vidali la domanda su come avrebbe agito,
considerando anche che Malenkov avrebbe potuto dare credito alle richieste titine
su Trieste per riprendere rapporti amichevoli. Il giornale invitava Vidali ad
abbandonare il suo “isolamento burocratico” con un programma che non fosse la
solita ripetizione delle formule coniate in passato da Mosca e precisare quale
“azione illuminatoria” si proponesse di svolgere per evitare che Tito e Kardelj
giungessero a Mosca prima di lui295. Vidali nella sua risposta affermava di non
credere che ci fossero mutamenti in corso nella politica estera sovietica essendo
essa ispirata dal 1917 ad una politica di pace. Per quanto riguardava il
riavvicinamento tra Mosca e Belgrado non lo considerava possibile trattandosi da
una parte di un partito politico e dall’altra “di una banda di spie senza principi”. In
merito alla questione di Trieste Vidali chiariva che ciò che bisognava evitare era
trasferire il problema su “nuove basi”, ovvero sulla situazione di fatto della
spartizione, e ripeteva la necessità per i cittadini di ottenere quanto meno
un’amministrazione unica civile provvisoria296. Sappiamo come Vidali sarebbe
293 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 650, Tls. 1180, Ufficio del Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 03/04/1953: tentativi di scissione nel PCTLT. 294 D.D.I., Serie Affari Politici, b. 650, Tls. 5550, DGAP VI a amb. Messico, 24/4/1953: attività comunista in America Latina – Vidali. Vedi anche: V. Vidali, Ritorno alla città senza pace. Il 1948 a Trieste, Vangelista, 1982, passim. 295 Discorso a Vidali, Il giornale di Trieste, 12-4-1953. 296Cfr.: L’Unità ed. milanese, 15-4-1953. Per quanto riguarda la polemica tra Il giornale di Trieste e Vidali è possibile consultare anche i seguenti documenti inviati dal Consigliere Politico De Castro a Roma: D.D.I., Serie Affari Politici b. 650, Tls 1216/428, Ufficio del Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 13/04/1953: Giornale di Trieste su Vidali; D.D.I., Serie Affari Politici b. 650, Tls 5373, DGAP IV a
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stato clamorosamente smentito circa il riavvicinamento tra Urss e Jugoslavia due
anni più tardi, ma nel 1953 i tempi erano davvero prematuri per ammettere una
tale possibilità e ancora poco si poteva immaginare circa il nuovo corso della
politica estera sovietica “post Stalin”.
amb. Londra, Mosca, Parigi, Washington, del 21/04/1953: “Discorso a Vidali” del Giornale di Trieste, risposta de l’Unità; D.D.I., Serie Affari Politici b. 650, Tls. 1316/428, Ufficio del Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 16/04/1953: risposta di Vidali al Giornale di Trieste; D.D.I., Serie Affari Politici, b. 650, Tls. 5913, DGAP IV a amb. Londra, Mosca, Parigi, Washington, del 2/5/1953: “Discorso a Vidali” del Giornale di Trieste.
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3.7 La posizione sovietica su Trieste dopo la scomparsa di Stalin e la
campagna elettorale per le elezioni politiche del 1953
L’agenzia ufficiale jugoslava Tanjug accusava il governo italiano di fare
proposte “assolutamente inaccettabili”, mentre essa si faceva portavoce del
desiderio jugoslavo di migliorare i rapporti tra i due Paesi tramite colloqui diretti e
scambi di idee su tutti i problemi, affinché venisse rafforzata la sicurezza nei
Balcani, anche se i toni dei discorsi di Tito spesso non sembravano ispirati da una
volontà della ricerca di un accordo, ma anzi di riaccendere la polemica e gli
animi297.
Nonostante le polemiche, il miglioramento dei rapporti fra Italia e
Jugoslavia era considerato sempre un obiettivo di grande importanza per la
politica europea, come riconosciuto anche nel comunicato ufficiale diramato il
venti marzo, in occasione dell’anniversario della dichiarazione tripartita, al
termine della visita a Londra di Tito. Lo stesso giorno, il segretario degli Esteri
jugoslavo Popovic dichiarava che una soluzione poteva essere raggiunta attraverso
“colloqui diretti tra i due governi interessati” e “con la comprensione e la buona
volontà” del governo italiano298. Popovic non escludeva pregiudizialmente
l’esame delle due soluzioni prospettate negli ultimi tempi dall’Italia: la soluzione
etnica e quella del plebiscito. Nessun cenno invece veniva più fatto alla soluzione
fino a quel momento prospettata da Belgrado, cioè il condominio italo-jugoslavo
nel TL. Secondo l’Unità, inoltre, i governi di Londra e Belgrado avevano prestato
attenzione a non diramare, in occasione della visita di Tito in Gran Bretagna,
comunicati relativi ad accordi economici299 o ad un vero e proprio trattato di
amicizia tra i due Paesi, per non mettere in una situazione sfavorevole De Gasperi
a ridosso delle elezioni, benché si ritenesse che accordi di tipo militare fossero già
stati stretti300.
Per quanto riguardava la soluzione di uno scambio di popolazioni,
prospettata dal quotidiano inglese Times e ritenuta “equa se volontaria” dal
297 Cfr. interviste di Tito al Daily Mail e al Daily Express entrambe del 4-3-1953. 298 ISPI – Annuario, cit., 1953, pp. 60-61. 299Cfr. Calamandrei F., Carte coperte per Trieste “fino alle elezioni italiane”, l’Unità, 15-3-1953. 300 Accordo raggiunto tra Churchill e Tito per potenziare la marina da guerra jugoslava, l’Unità, 19-3-1953.
138
Foreign Office, essa venne respinta nettamente ed immediatamente sia dal
governo italiano che da quello jugoslavo301.
In un discorso a Milano il 26 aprile De Gasperi ricordava agli alleati come
costituisse “un loro impegno d’onore” che non poteva essere negato la
dichiarazione tripartita e, polemizzando con Nenni, il quale aveva giustificato
l’opposizione di Molotov alla tesi italiana sulla base delle promesse fatte dall’Urss
a Tito durante la guerra, chiedeva che cosa avrebbe impedito all’Urss allora di
rendere anche giuridicamente perfetta la formula proposta dagli alleati nel 1948
aderendovi in un momento in cui conti di guerra si potevano considerare “chiusi
in un ambiente di distensione”302. Si noti che l’Unità ignorava completamente
questo passaggio del discorso di De Gasperi e cioè la questione della pozione
sovietica a Trieste alla luce dei possibili cambiamenti nello scenario
internazionale dopo la morte di Stalin303. In seguito, con l’accendersi della
campagna elettorale per le elezioni politiche del 7 giugno, le pesanti accuse di De
Gasperi all’Urss suscitavano una risposta decisa de l’Unità. Il Presidente del
Consiglio aveva “rivelato” che la Russia era stata la più dura tra i vincitori verso
l’Italia ed aveva incluso tra i torti fatti dalla Russia all’Italia in sede di negoziati al
tavolo di pace il fatto che, avendo l’Urss promesso a Tito la Venezia Giulia, gli
aveva dato tutta l’Istria e gli avrebbe dato anche Trieste se all’ultimo momento gli
altri alleati non fossero riusciti a ricorrere all’espediente del TLT che aveva avuto
il merito di salvare Trieste. Nell’articolo veniva contestato a De Gasperi di non
“rivelare” il motivo del suo rifiuto alle proposte sovietiche per la costituzione del
TLT con conseguente sgombero delle truppe anglo-americane e jugoslave, mentre
appoggiava i piani anglo-americani e titini di spartizione del TLT che erano
“purtroppo del 1953!”304.
L’offensiva sulla questione triestina sulla stampa comunista era affidata
ancora una volta alle parole di Vidali il quale affermava in un’intervista che la
vittoria della Democrazia Cristiana alle elezioni politiche di giugno avrebbe
significato certamente il baratto per Trieste: Tito si sarebbe impadronito non solo
301 Cfr. Times, 7-4-1953. 302 ISPI – Annuario, cit., 1953, p. 63. 303 Cfr. Nuove minacce di De Gasperi alla Costituzione e risposte insultanti alle proposte sovietiche, l’Unità, 27-4-1953. 304 De Gasperi si scaglia contro l’Urss per respingere le prospettive di distensione, l’Unità, 4-5-1953.
139
della zona B, ma anche di parte della zona A e a Trieste sarebbero rimaste le
truppe angloamericane. Obiettivo del PCTLT era evitare che Trieste fosse trattata
ancora come “amabile vittima della guerra fredda”. Le dichiarazioni vidaliane
costituirono quasi un motivo-guida per i dirigenti del PCI che su ogni piazza
d’Italia combattevano a suon di comizi l’avvicinarsi della temuta riforma
elettorale, Togliatti in testa. Il segretario del PCI non perdeva l’occasione di
denunciare da ogni pulpito le connivenze fra il regime di De Gasperi e quello di
Tito, rivendicando per sé ed il suo partito i meriti d’una coerente difesa degli
interessi della nazione305. Qualche giorno dopo il maresciallo si dichiarava
disposto a cedere Trieste, ma in cambio di due sobborghi orientali, Servola e
Zaule, abitati prevalentemente da slavi. Grande fu l’indignazione dell’organo del
PCI nel dare notizia che in tal modo non solo la zona industriale del porto, ma
anche lo stadio e il cimitero del capoluogo giuliano sarebbero finiti in mani slave.
Il più indignato di tutti era Vidali: “Condominio su Trieste? Sarebbe il caos –
affermava intervenendo sull’Unità a metà di giugno – i triestini avrebbero il
potere nelle mani così come […] i popoli della Jugoslavia con Tito e come lo
avrebbero avuto gli italiani se i clericali avessero vinto con la legge truffa”306.
Il sette giugno, giorno delle elezioni politiche in Italia, il sottosegretario agli
Esteri jugoslavo Bebler aveva proposto, in effetti, di prendere in considerazione i
princìpi etnici ma su base di parità: alla Jugoslavia doveva andare una ricompensa
territoriale delle assegnazioni di territori non italiani per garantire i corridoi tra
Trieste ed altri centri, che sarebbe stata costituita di territori dove vivevano gli
italiani (ovvero dei sobborghi di Servola e Zaule come aveva successivamente
chiarito Tito). La proposta fu dichiarata immediatamente inaccettabile da Palazzo
Chigi.
305 Cfr. Rivelazioni di Togliatti sul Vaticano e la pace, l’Unità, 18-5-1953; P. Ingrao, Una politica per Trieste!, l’Unità, 20-5-1953; Tito attacca aspramente l’Urss vantando i suoi meriti atlantici, l’Unità, 22-5-1953. 306 Vidali V., Condominio per Trieste?, l’Unità, 16-6-1953.
140
3.8 Il governo Pella e le proposte di plebiscito
L’annuncio sovietico di ripresa dei rapporti diplomatici con la Jugoslavia
nell’agosto del 1953 inizialmente passò ignorato dal PCI307. Allo stesso modo,
quasi un anno più tardi, nel giugno del 1954, la segreteria del PCI decideva di
tenere segrete, d’accordo col PCUS, le dichiarazioni fatte da Krusciov alla
riunione del segretariato del Kominform, in cui aveva parlato della necessità di
instaurare nuovi rapporti con la Jugoslavia e del fatto che la rottura del 1948 era
stata colpa anche di Stalin308.
Bisogna dire che l’intransigenza della nuova leadership governativa
democristiana sul problema triestino, dopo l’uscita di scena di De Gasperi, trovava
nel PCI un accorato sostenitore, benché su posizioni ovviamente assai critiche del
cosiddetto governo “d’affari e di transizione” retto da Giuseppe Pella. Alla
proposta di Bebler di giugno era seguito ad ogni modo un silenzio di quasi due
mesi, ma ad agosto la tensione salì rapidamente dopo i discorsi del nuovo
Presidente del Consiglio309 e le note dell’agenzia Jugopress che aveva definito
“non costruttiva” la presa di posizione di Roma, al punto che l’agenzia United
Press trasmetteva la notizia secondo cui la Jugoslavia avrebbe avuto l’intenzione
di annettere la zona B preparandosi “alle più grandi manovre post-belliche” nelle
immediate vicinanze di Trieste310. Il governo Pella reagì immediatamente facendo
affermare dal portavoce di Palazzo Chigi che, qualora la Jugoslavia avesse
concepito effettivamente “un simile gesto inconsulto ed irresponsabile”, la
reazione italiana sarebbe stata senza dubbio quale “la coscienza del popolo
esigeva”, e disponendo misure di precauzione militari. Truppe italiane furono
mosse verso il confine jugoslavo, secondo anzi le note di protesta del governo
jugoslavo almeno in un’occasione esse varcarono il confine nei pressi di Gorizia.
Pella ottenne in questo modo di incontrare a Roma gli ambasciatori delle tre
potenze occidentali e rassicurandoli da una parte di evitare incidenti di frontiera
dall’altra parte chiese che l’Italia fosse messa nella zona A nelle stesse condizioni
307 Zuccari M., Il dito nella piaga, op. cit., p. 276. 308 Cfr.: Seniga G., Togliatti e Stalin: contributo alla biografia del segretario del PCI, Milano, Sugar, 1961, pp. 48-50. 309 Atti Parlamentari, Senato della Repubblica, sedute del 22 e del 24 agosto 1953. 310 ISPI – Annuario, op. cit., 1953, pp. 66-67; vedi anche: La Jugoslavia si prepara ad annettersi la zona B, l’Unità, 29-8-1953.
141
della Jugoslavia in zona B311.
Sulla stampa comunista i primi allarmanti commenti della crisi politica, che
sembrava poter sfociare sul piano militare, indicavano che se si voleva salvare
Trieste e il TLT bisognava cambiare la vecchia politica, poiché il nazionalismo
fascista e il servilismo atlantico erano gli alleati di Tito312 e avevano fallito per
ammissione della stessa stampa filogovernativa313, mentre i comunisti triestini
rivolgevano un appello alla cittadinanza triestina per chiedere all’ONU con
urgenza di attuare la soluzione provvisoria dell’amministrazione unica delle due
zone314.
Alberto Jacoviello su l’Unità tirava le somme della politica estera
degasperiana che dall’accettazione della dichiarazione tripartita in avanti si era
macchiata della colpa di tradimento della nazione, essendo stata tale dichiarazione
fintamente utilizzata come cardine della politica su Trieste e avendo dato modo in
realtà di dare atto ad una serie di rinunce315, in maniera tale che lo sconsiderato
successore Pella aveva messo in pericolo la città (e la nazione) con il suo “non si
passa” che aveva causato la “ritirata strategica”, in realtà solo temporanea, di Tito.
Jacoviello reclamava la separazione delle responsabilità del governo da quelle di
chi aveva armato il “Si Man Rye dei Balcani” che minacciava l’annessione
formale della zona B, pur condannando atti di forza che rischiavano di fare del
Territorio libero “terra di pascolo per gli eserciti titini e angloamericani” 316.
La proposta di soluzione provvisoria di amministrazione civile unica veniva
presentata come propria dei comunisti triestini e tuttavia pienamente condivisa dal
PCI; essa, si ricordava su l’Unità, era stata giudicata la via preferibile al momento
anche dalla Commissione istituita dall’Internazionale socialdemocratica317.
Per tutto il mese di settembre sulla prima pagina de l’Unità si gridava alla
spartizione del TLT, accusando Foster Dulles di rinnegare la dichiarazione
tripartita, Tito di voler annettere tutto il TLT, Pella di proporre il plebiscito per
311 Cfr.: De Castro D., Il problema di Trieste : genesi e sviluppi della questione giuliana in relazione agli avvenimenti internazionali, 1943-1952,op.c it., pp. 399-400. 312 Se si vuole salvare Trieste e il TLT bisogna cambiare la vecchia politica, 313 La stampa riconosce il fallimento della politica governativa per Trieste, l’Unità, 31-8-1953. 314 Presa di posizione dei comunisti triestini, l’Unità, 30-8-1953. 315 Jacovello A. La prova del tradimento, l’Unità, 4-9-1953. 316 Jacovello A., Trieste e la pace, l’Unità, 2-9-1953. 317 Cfr.: Le proposte dei comunisti triestini per garantire l’integrità del TLT, l’Unità, 3-9-1953; Perchè non rispondono alle proposte di Vidali, l’Unità, 4-9-1953.
142
nascondere i propositi di spartizione318. Assai minore lo spazio riservato sulle
pagine del quotidiano agli interventi dal tono in qualche modo propositivo,
probabilmente proprio perché essi costituivano delle eccezioni, come le parole di
Longo, che paragonava la situazione attuale a quella dell’8 settembre 1943 per i
pericoli che riapparivano dopo anni di politica di “tensione e divisione” da parte
di De Gasperi, quelle di Vidali e quelle di Togliatti alla festa nazionale de l’Unità
a Milano319. In particolare Longo, nel suo discorso in occasione del decimo
anniversario dell’armistizio dell’otto settembre 1943, accusava i successori di De
Gasperi “di non sapere risalire dal pozzo dell’antisovietismo dove questi si era
gettato a capofitto, nel tentativo di afferrare la luna fattagli intravedere dagli
americani” e, invitato il governo a riprendere il contatto con “le sane correnti
popolari e patriottiche della nazione” lanciava una costruttiva proposta per salvare
Trieste e la pace:
“Bisogna richiamare tutti gli Stati firmatari del trattato di pace al rispetto dei patti.
Questo può mettere tutti i contraenti del trattato di pace con le spalle al muro, può isolare
l’avida cricca jugoslava e permettere all’Italia e ai triestini di salvaguardare le proprie
ragioni nazionali ed i propri interessi. Pretendere una revisione unilaterale del trattato di
pace significa legittimare l’analoga pretesa da parte di Tito. Si ritorni invece al già
acquisito, al già firmato. Si dia il bando alle rodomontate militari di questi giorni che si sa
come cominciano ma non si sa come finiscono, incapaci persino a parare colpi di mano
titini contro gli occupanti anglo-americani di Trieste perché è inconcepibile che gli
jugoslavi si scaglino contro i loro protettori. D’altra parte, se Tito si avventasse su Trieste
con la complicità degli anglo-americani, nulla potrebbe opporre il governo italiano perché
troppo stretta è la sua dipendenza politica e militare dagli imperialisti”320.
318 Cfr.: Un accordo militare concluso tra gli anglo-americani e Tito, l’Unità, 1-9-1953; La spartizione del Territorio Libero già accettata dal governo italiano?, l’Unità, 3-9-1953; Foster Dulles annuncia che l’America rinnega la dichiarazione tripartita su Trieste, l’Unità, 4-9-1953 (e sullo stesso tema cfr.: Carte in tavola, Vie Nuove, 13-9-1953); Il governo reagisce all’annuncio di Dulles mostrandosi disposto alla spartizione del TLT, l’Unità, 5-9-1953; Tito chiede l’annessione di tutto il Territorio di Trieste, l’Unità, 7-9-1953; Il governo incapace di indicare una soluzione del problema triestino, l’Unità, 10-9-1953; Pella avrebbe già proposto la spartizione del TLT, l’Unità, 11-9-1953; Pella propone un plebiscito nel TLT senza lo sgombero delle truppe straniere!, l’Unità, 14-9-1953; La proposta di plebiscito per Trieste nasconde il proposito di una spartizione, l’Unità, 15-9-1953. 319 Costruttive proposte di Longo per salvare Trieste e la pace, l’Unità, 7-9-1953; La risposta di Vidali alle minacce jugoslave, l’Unità, 8-9-1953; Solo con una politica di pace e di rispetto dei trattati si possono difendere gli interessi italiani nel TL di Trieste, l’Unità, 15-9-1953; Un’amministrazione civile chiesta per tutto il TLT. Proposta del Partito comunista triestino, l’Unità, 22-9-1953. 320 Costruttive proposte di Longo per salvare Trieste e la pace, l’Unità, 7-9-1953.
143
Nella riunione di Segreteria del diciotto settembre primo punto all’ordine
del giorno era la questione di Trieste: veniva letta dapprima la relazione di Vidali
che spiegava che nel Comitato Centrale del PCTLT non erano ancora state
discusse le ultime dichiarazioni di Pella in attesa di una presa di posizione del
PCI. Le posizioni erano più chiare dopo che Jugoslavia e Italia avevano chiarito le
loro richieste. In sostanza Tito avanzava le stesse pretese dell'Italia: voleva tutto il
TLT. La sua azione era stata ben preparata presso gli americani, mentre si teneva
la zona B riteneva che il tempo lavorasse in suo favore riguardo alla zona A.
Lo spostamento delle truppe italiane aveva creato del panico, stornando
l'attenzione degli operai dalle lotte economiche, al quale si aggiungeva perplessità
dopo le proposte di Pella che si riteneva preparassero la divisone del TLT. USA e
Regno Unito adottavano una tattica dilatoria verso il plebiscito, mentre la
popolazione triestina pensava che esso fosse possibile e realizzabile, a differenza
dell'applicazione del trattato di pace che avrebbe tirato troppo in lungo le cose,
quasi all'infinito. Il plebiscito, secondo le stime di Vidali, sarebbe stato favorevole
per l'Italia al 90% e per il TLT nella misura del 51%. Per i comunisti triestini
sarebbe stato difficile dichiararsi contro il plebiscito: qualora fosse stato
organizzato, il PCTLT vi avrebbe partecipato. Vidali definiva la situazione attuale
“insostenibile”, “viviamo come in stato di emergenza”, commentava. Anche per
tale ragione sottolineava la necessità di avere una posizione in comune con il PCI:
“Chiediamo intanto un'amministrazione civile, i socialdemocratici sono d'accordo, i democristiani sono divisi. In città vi è un'accentuazione del nazionalismo, si ha paura di colpi di mano e di decisioni improvvise. Abbiamo respinto le proposte di Tito e conduciamo una campagna per chiedere l'amministrazione civile e l'allontanamento delle truppe straniere. La popolazione è contro il condominio che significherebbe un governatore jugoslavo con diritti di cassare le decisioni degli organi civili. Gli indipendentisti sono per il TLT e legati a Tito”321.
Alla relazione di Vidali seguì un acceso ed interessante dibattito in cui
l’intervento di Emilio Sereni spicca per un’affermazione piuttosto forte che dà
l’idea di come le stessero cambiando dopo anni di impegno politico, dibattiti,
iniziative e negoziati sulla questione di Trieste. Sereni, dopo aver proposto che il
problema fosse legato all’Onu per il rispetto del trattato di pace e dell’ammissione
dell’Italia alle Nazioni Unite, disse: “La maggior parte dei nostri compagni e degli
italiani è abbastanza indifferente su Trieste”.
321 APC, Fondo M, Mf 131, Verbale di segreteria del 18-9-1953.
144
Togliatti sosteneva che era da ritenere esagerata la tendenza a considerare
tutto quanto avveniva come un gioco: vi era un contrasto reale, si trattava di una
questione nazionale e anche di espansione, di sviluppo economico e di
affermazione militare. Come nella Saar vi era un contrasto reale. La proposta di
Pella per un plebiscito nel TLT si differenziava dalle precedenti. Dal punto di
vista propagandistico era giusta e difficile da respingere. Come politica reale era
sbagliata perché scopriva tutta l'azione dell'Italia. L'obiettivo della politica italiana
avrebbe dovuto essere l'unità di tutto il territorio sotto un'amministrazione civile
unica. Ponendo la questione del plebiscito invece Pella non tendeva ad unificare il
territorio. Bisognava tener presente che la proposta di divisione poteva in quel
momento venir attuata solo facendo delle concessioni a Tito nella città. A questo
tendevano gli americani. In questo caso invece della proposta di Pella sarebbe
stata accettata quella di Tito. Poteva darsi che Pella avesse voluto fare una
dichiarazione di principio e poi aspettare. Ciò contrastava però con la proposta di
una conferenza che risolvesse rapidamente la questione. Non era certo che i
risultati del plebiscito sarebbero stati quelli che prevedeva Vidali. Nelle
condizioni attuali nella zona B, secondo Togliatti, il 95% avrebbe votato per la
Jugoslavia. Inoltre, nella zona A il fattore nazionale sarebbe stato determinante
per gli slavi. Se non ci fossero state le truppe titine nella zona B le cose sarebbero
andate diversamente, ma ciò solo dopo parecchi mesi della loro partenza. Togliatti
perciò si chiedeva e chiedeva ai presenti:
“Non possiamo opporci al plebiscito, atto democratico. Ma è attuabile? Non si apre in questo modo il problema della divisione? Se si fa il plebiscito con le truppe straniere sul posto le cose possono complicarsi e portare a una spartizione. Tito ha manovrato bene. Prima ha lasciato incerti se era o non era con l'Occidente. Ora gioca tra Usa e Regno Unito cercando di avere dei vantaggi dagli uni e dagli altri. Dobbiamo chiedere per prima cosa un'amministrazione civile dell'intero territorio”322.
Enrico Berlinguer, a capo della Federazione Giovani Comunisti Italiani
(FGCI), assicurava che nelle manifestazioni studentesche la parola d'ordine
sarebbe stata “plebiscito”. “Noi dovremo chiedere il ritiro delle truppe straniere
dal TLT”, dichiarava il giovane Berlinguer.
Il vicesegretario Luigi Longo proponeva che si chiarisse il significato del
plebiscito, poiché esso poteva voler dire politica di attesa o divisione del territorio
322 APC, Fondo M, Mf 131, Verbale di segreteria del 18-9-1953.
145
gettandone la responsabilità sugli elettori per come avrebbero votato. Si sarebbe
potuto andare al plebiscito solo qualora fossero state create una serie di condizioni
preliminari. Velio Spano raccomandava di precisare la posizione in merito al
plebiscito, considerato che l’Unità aveva dato l’impressione che il PCI fosse
contro di esso. Antonio Roasio riteneva necessaria la partecipazione a
manifestazioni studentesche per evitare l’isolamento. Pietro Secchia riprendendo
le parole di Togliatti, chiariva che secondo lui non opporsi al plebiscito non
significava che il PCI fosse ad esso favorevole: ciò andava spiegato con cura.
Vidali si trovò d’accordo con la linea di Togliatti ed il chiarimento di Secchia.
Togliatti aggiunse che bisognava insistere sull’unificazione del TLT e la necessità
di un’amministrazione civile. La decisione finale fu quella di pubblicare su
l’Unità un editoriale che avrebbe chiarito la posizione del partito sul plebiscito323.
L’editoriale uscì su l’Unità e poi sulla rivista Rinascita, come consuetudine.
In realtà va ricordato come la proposta di plebiscito per risolvere la questione
triestina fosse stata ventilata più volte nel corso degli anni dal 1947, cioè dalla
firma del trattato di pace italiano. Essa era stata riportata all’attualità dal nuovo
Presidente del Consiglio Pella con un discorso in Campidoglio il 13 settembre e
veniva definita da Togliatti nell’articolo su Rinascita “senza dubbio di contenuto
democratico”, ma che avrebbe portato nelle attuali condizioni di occupazione
militare anglo-americana e jugoslava ad esiti non favorevoli all’Italia. Avrebbe
poi forse potuto costituire un pericoloso precedente per l’Alto Adige, ove la
vittoria italiana sarebbe stata ancora meno scontata. Allora era da capire, secondo
Togliatti, quali erano le reali intenzioni che soggiacevano a questa proposta di
Pella. Il PCI sosteneva la necessità di stabilire un punto fermo che non consentisse
un ulteriore peggioramento a danno dell’Italia: sia la richiesta per l’applicazione
del trattato di pace, che la più limitata rivendicazione di un’amministrazione civile
unica per tutto il TLT creavano le condizioni per un eventuale plebiscito e non lo
escludevano. La proposta così come era stata fatta, invece, avrebbe condotto ad un
altro arretramento italiano o a un nulla di fatto324.
Nonostante la convergenza con altre forze e partiti contro la spartizione del
TLT, restava la necessità di mantenere una propria posizione distinta, ciò valeva
anche nelle manifestazioni giovanili ove la FGCI avrebbe dovuto partecipare con 323 APC, Fondo M, Mf 131, Verbale di segreteria del 18-9-1953. 324 La proposta del plebiscito per Trieste, Rinascita, n. 8 (agosto), 1953; vedi anche: La proposta di plebiscito per Trieste. Una nota di “Rinascita”, l’Unità, 27-9-1953.
146
le proprie “parole d’ordine”, senza “accordarsi per poi scomparire” o andare “solo
per fare a pugni”, ma avrebbe dovuto anche prendere posizioni proprie sulla
questione di Trieste aprendo dibattiti e conducendo agitazioni su proprie
iniziative325.
Nel mese di ottobre il dibattito alla Camera dei Deputati sul bilancio del
MAE offrì, come ogni anno, un’ottima occasione per affrontare in aula i maggiori
temi della politica estera italiana. Nenni si dichiarò d’accordo con la proposta di
plebiscito di Pella, ma solo se essa fosse stata integrata con il ricorso al Consiglio
di Sicurezza e con la richiesta che esso creasse nelle due zone le condizioni per
una libera consultazione del popolo. Tutto ciò comportava una seria preparazione
diplomatica non solo a Washington e Londra ma anche a Mosca, concludeva il
leader socialista326. L’intervento di Togliatti al dibattito ammoniva che
l’atlantismo non era una politica nazionale, ma una politica di divisione,
nell’ambito di tale politica vi era stato l’inganno della dichiarazione tripartita che
era un messaggio alla Jugoslavia affinché accelerasse i tempi della sua rottura con
l’Urss, già in corso e nota alle potenze occidentali. Sullo strumento del plebiscito,
Togliatti dava la sua approvazione in via teorica circa la sua democraticità, ma
ripeteva le perplessità espresse su l’Unità pochi giorni prima circa l’opportunità di
attuarlo in quel momento nelle condizioni note, tanto più che una delle due parti si
era già dichiarata contraria ad esso327. Il problema di fondo, affermava Togliatti,
era la necessità di dare una svolta alla politica estera italiana, poiché la politica
atlantica andava contro la distensione e non aiutava a risolvere questioni
internazionali gravi come quella di Trieste ed anzi conduceva ad una divisione
ancora maggiore dell’Europa fondata sulla CED328.
Nel frattempo il Presidente del Consiglio aveva dichiarato che certamente il
parlamento italiano non avrebbe ratificato il trattato della Comunità europea di
difesa, se l’Italia non avesse potuto annettere la zona A329, tentando così di
influenzare Foster Dulles su uno dei suoi principali progetti in cui peraltro era già
alle prese con le difficoltà nel persuadere la Francia a ratificare il trattato330.
325APC, Fondo M, Mf 165,Verbale riunione di segreteria del 22-9-1953. 326 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati dell’1-10-1953. 327 Cfr.:Tito respinge la proposta del plebiscito per il TLT, l’Unità, 29-9-1953. 328 Atti parlamentari, seduta (pom.) della Camera dei Deputati del 2-10-1953. 329 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 2-10-1953. 330 Cfr.: D. De Castro, Il problema di Trieste : genesi e sviluppi della questione giuliana in relazione agli avvenimenti internazionali, 1943-1952,op.cit., p.403; E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali. 1918-1999,op.cit., pp. 793-794.
147
Al termine del dibattito, il 6 ottobre, la Camera approvò all’unanimità la
mozione del liberale Cortese sulla proposta di plebiscito, anche se in verità non vi
era in essa nessun riferimento diretto al plebiscito. In tale mozione la Camera
invitava il governo a “persistere tenacemente nell’azione diretta a realizzare le
condizioni necessarie per garantire in modo effettivo i diritti dell’Italia sull’intero
Territorio libero e ad assicurare il ritorno alla madrepatria di quelle terre e di
quelle popolazioni”331.
331 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 6-10-1953. Socialisti e comunisti si astennero sui primi tre capoversi della mozione in cui si faceva riferimento alla Carta atlantica e alla Dichiarazione tripartita del 1948.
148
3.9 La nota angloamericana dell’8 ottobre 1953
Due giorni dopo arrivò la dichiarazione anglo-statunitense che annunciava
la decisione di porre termine al governo militare alleato e tenuto conto del
“preminente carattere italiano della Zona A”332 di trasferire l’amministrazione
della zona al governo italiano. Pella comunicava il giorno seguente la decisione ai
due rami del Parlamento dichiarando che il governo italiano accettava.
Seguì un dibattito parlamentare con interventi dei leaders di tutti i partiti.
Nenni sosteneva che la dichiarazione angloamericana conduceva alla pratica
spartizione del Territorio libero, con l’abbandono, da parte italiana, delle
precedenti proposte di plebiscito nelle due zone e delle rivendicazioni sulla zona
B333. Togliatti riconosceva la nuova situazione favorevole con la fine
dell’occupazione militare alleata e il ritorno dell’amministrazione civile italiana.
Ma, metteva in guardia Togliatti, bisognava fare attenzione che la situazione di
fatto appena creata non divenisse anche situazione di diritto, ovvero che non si
addivenisse alla spartizione definitiva del TL. Altro problema sarebbe stato quello
della condizione economica e morale della città: isolata e con un retroterra
ristretto, sentendo il problema della zona B e del suo destino. La questione doveva
essere inserita in un quadro più ampio di trattative per una distensione
internazionale334.
Molto meno misurati apparivano i toni su l’Unità, di quelli usati alla
Camera: il TLT era stato “smembrato” e lo stesso Togliatti parlava apertamente di
“servitù atlantica” che aveva condotto ad una situazione senza vie di uscita335. Il
PCTLT chiedeva che prima che si applicasse una decisione che ledeva
“l’inscindibilità” del proprio territorio, fossero interrogate le popolazioni, fosse
chiesto loro se erano disposte ad essere oggetto di un simile
“mercanteggiamento”. Il PCTLT “esigeva” un referendum organizzato dalle
Nazioni Unite nelle due zone affinché si desse la possibilità alle popolazioni di
decidere la propria sorte336.
332 ISPI – Annuario, op.cit., 1953, p. 76. 333 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 9-10-1953. 334 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 9-10-1953. Cfr: anche: Togliatti denuncia i gravi pericoli della spartizione pur giudicando positiva la fine dell’occupazione anglo-americana, l’Unità, 10-10-1953. 335Il T.L. di Trieste smembrato, l’Unità, 9-10-1953; Una dichiarazione di Palmiro Togliatti, l’Unità, 9-10-1953. 336 I comunisti triestini chiedono un referendum sulla sorte del TLT, l’Unità, 9-10-1953.
149
I verbali delle riunioni Segreteria del PCI documentano uno scambio fitto di
incontri: ben tre riunioni in una settimana, sebbene si abbia l’impressione che il
dibattito non fosse così animato e i dirigenti comunisti fossero preparati agli
eventi. Nelle riunioni si decise di rivolgere un’interrogazione alla Camera a
Pella337 e sottolineare con molta enfasi nel dibattito al Senato il pericolo di
tensione internazionale provocato dagli ultimi sviluppi della questione triestina338.
Nella terza riunione Pajetta riferiva sulla situazione di Trieste che era di generale
malcontento contro la proposta angloamericana, mentre aperte erano le
discussioni nel partito del TLT: le proposte erano per il referendum e nessuna
spartizione339. Base della politica del PCTLT restava ad ogni modo il trattato di
pace. Si stabilivano infine le grandi linee dell'intervento di Sereni al Senato in cui
indicò come pericolo maggiore “la psicosi sciovinista e bellicista” che alcuni si
sforzavano di attizzare contro le provocazioni di Tito, che avrebbe condotto, senza
un intervento correttivo, alla conseguenza inevitabile dello scatenamento di due
opposti nazionalismi. Sereni proponeva un’iniziativa italiana all’ONU, che si
legasse all’azione in corso al Consiglio di Sicurezza, al fine di salvare Trieste
attraverso la “via dell’unità del Territorio Libero e dell’integrità dei diritti italiani
e della convivenza pacifica fra italiani e sloveni nei territori in questione”340. La
proposta di Sereni si riallacciava alla risposta sovietica alla dichiarazione anglo-
americana che si era esplicitata in una nota del dodici ottobre in cui venivano
ribadite le accuse mosse nelle note precedenti alle potenze occidentali di
ostacolare l’applicazione del trattato di pace circa l’attuazione delle disposizioni
relative al TLT341. Il giorno successivo il delegato sovietico all’ONU Vyshinsky
chiedeva al presidente del Consiglio di Sicurezza che il Consiglio fosse convocato
per discutere sulla questione di Trieste. Vyshinsky presentava contestualmente un
progetto di risoluzione che trovava l’origine e la giustificazione dell’azione
sovietica nella mancata applicazione del Trattato di pace italiano del 1947 e nella
recente spartizione di fatto del TLT che stava “aumentando l’attrito tra i paesi
confinanti con il TLT” e avrebbe costituito un “pericolo per la pace in Europa”; si
337 APC, Fondo M, Mf 165, Verbale Riunione di Segreteria del 9-10-1953. 338 APC, Fondo M, Mf 165, Verbale Riunione di Segreteria del 10-10-1953. 339 APC, Fondo M, Mf 165, Verbale Riunione di Segreteria del 14-10-1953. 340Sereni chiede un’iniziativa italiana all’ONU che eviti la spartizione e i pericoli d’un conflitto, l’Unità, 16-10-1953. 341 L’Urss denuncia le responsabilità occidentali per lo smembramento del territorio di Trieste, l’Unità, 13-10-1953; vedi anche: ISPI – Annuario, op.cit., 1953, pp. 80-81.
150
indicavano inoltre le misure da mettere in atto, compresa la nomina di un
governatore di nazionalità svizzera342.
Affioravano segnali di sfiducia e rassegnazione rispetto agli esiti
dell’iniziativa sovietica in seno al Consiglio di Sicurezza in una lettera che i
comunisti triestini indirizzarono a tutti i partiti triestini, in cui si premetteva che il
PCLT continuava a credere che la costituzione del TLT era la soluzione che
avrebbe permesso l’unificazione delle due zone, l’evacuazione delle truppe
straniere, la neutralizzazione e demilitarizzazione del territorio, l’autogoverno
delle popolazioni, e per tale motivo ci si era rivolti al Consiglio di Sicurezza e alla
riunione dei tre ministri (Foster Dulles, Eden e Bidault) in corso a Londra.
Tuttavia, si era consapevoli che in quest’ultima sede sarebbero state prese,
arbitrariamente, le decisioni sulla sorte del Territorio, per tale motivo si chiedeva
agli altri partiti triestini un intervento collettivo presso il Consiglio di Sicurezza e
alla riunione dei tre Ministri degli esteri affinché si tenesse un plebiscito nelle due
zone prima che qualsiasi decisione venisse presa343. Vidali, dopo aver elencato gli
ultimi fatti che testimoniavano il baratto in corso tra Pella e Tito, assicurava ai
lettori de l’Unità che tutti i partiti triestini avevano risposto positivamente
all’appello per il plebiscito, tranne la Democrazia Cristiana, ma con modalità
diverse: ma tali risposte condizionate non avrebbero scoraggiato il PCTLT,
commentava Vidali, e si sarebbe andati avanti per un’azione comune in tal
senso344.
Per quanto riguardava la stampa periodica comunista, il settimanale diretto
dal vicesegretario Longo Vie Nuove metteva l’accento sul senso di precarietà e
vero e proprio timore che aveva investito i triestini dopo la dichiarazione
angloamericana, riprendendo così uno dei punti-chiave del discorso di Togliatti
alla Camera del nove ottobre, ma veniva dato spazio anche all’ottimismo
incrollabile del compagno Vidali345. Sulla rivista Rinascita si faceva una summa
di quella che doveva essere la strategia in Europa di Dulles, in cui Trieste non
contava affatto, poiché erano Italia o Jugoslavia a dover entrare in alleanze
342 L’Urss contro la spartizione del TL di Trieste e per lo sgombero di tutte le truppe straniere, l’Unità, 14-10-1953; Viscinski rivendica all’ONU l’integrità del Territorio Libero, l’Unità, 16-10-1953. 343 Passo all’ONU per il plebiscito proposto dai comunisti del TLT, l’Unità, 17-10-1953. 344 Vidali V., Il plebiscito contro il baratto, l’Unità, 21-10-1953. 345 L’Istria piange Trieste non ride, Vie Nuove, 17-10-1953; Trieste che accadrà?, Vie Nuove, 24-10-1953.
151
militari legate al “fronte dell’aggressione atlantica”. Gli angloamericani si erano
comportati con Italia e Jugoslavia come le potenze coloniali con due tribù
indigene tenute assoggettate spartendo la posta tra esse346.
346 Trieste atlantica, Rinascita, n. 10 (ottobre), 1953.
152
3.10 Questione di Trieste e Comunità Europea di Difesa
La Segreteria del PCI tornava ad occuparsi a novembre della situazione
politica e parlamentare dopo il voto dei bilanci da parte delle Camere. Togliatti
affermava che sarebbe stato errato dire che il governo Pella era uguale ai
precedenti, anche se evidenti cambiamenti di sostanza non c’erano. In politica
estera esso aveva sollevato la questione di Trieste, forse per ottenere un successo
che facesse dimenticare il sette giugno. Non era prevedibile una rapida soluzione
della questione di Trieste; in quel momento era difficile anche una spartizione
senza che l'Italia facesse concessioni nella zona A. In politica estera bisognava
impostare una grande campagna contro la ratifica della CED e contro l'esercito
tedesco, dandole un profondo carattere popolare: a ciò occorreva legare la
questione del Tirolo e di Trieste. Per Trieste Togliatti indicava di continuare a
sostenere l'applicazione del trattato di pace che, malgrado fosse peggiore della
dichiarazione tripartita, aveva concreti motivi che lo giustificavano. Tra due stati
in lotta con le loro rivendicazioni il TLT poteva essere una soluzione pacifica
favorevole alla popolazione. Si sarebbe trattato di una soluzione
internazionalistica contro i piani anglo-americani di servirsi dell'Italia e della
Jugoslavia come di loro pedine347. Il vicesegretario Secchia sosteneva che la
stanchezza che si notava nel partito derivava dall’incertezza politica sulla
posizione del PCI verso il governo Pella. Per Trieste suggeriva di introdurre un
elemento internazionalista che avrebbe fatto meglio comprendere la posizione del
partito per l'applicazione del trattato di pace, e avrebbe impedito le manifestazioni
di tipo nazionalistico compiute da compagni che occupavano posti importanti.
“Non è possibile che noi non ci differenziamo dai nazionalisti sulla questione di
Trieste”, chiudeva severo Secchia348. Secondo Celeste Negarville in politica estera
al momento attuale “il problema più grosso” era quello della CED, per Trieste era
giusta la posizione nuova proposta da Togliatti, ma fino alla ratifica della CED era
opportuno far dipendere questa dalla soluzione della questione di Trieste349.
Togliatti chiudeva la riunione ribadendo la necessità di avere una parola d'ordine
347 APC, Fondo M, Mf 165, Verbale riunione di Segreteria del 5-11-1953, intervento di Togliatti. 348 APC, Fondo M, Mf 165, Verbale riunione di Segreteria del 5-11-1953, intervento di Secchia. 349 APC, Fondo M, Mf 165, Verbale riunione di Segreteria del 5-11-1953, intervento di Negarville.
153
generale, che poteva essere quella di “un governo di pace”. Registrava l'accordo
dei presenti sull'importanza del problema della CED da porre indipendentemente
dalla questione di Trieste. Tuttavia, sottolineava Togliatti, se la questione di
Trieste avesse provocato un malcontento generale ciò avrebbe aiutato il PCI a non
lasciar ratificare la CED350.
Rispetto agli incidenti verificatisi ad inizio novembre in occasione della
celebrazione dell’anniversario dello sbarco delle truppe italiane a Trieste, che
provocarono la morte di sei manifestanti e numerosi feriti, il PCTLT reagiva in
Consiglio comunale presentando due mozioni che chiedevano una commissione
d’inchiesta da parte dell’ONU e l’attuazione del referendum nelle due zone351 e
tenendo la prima assemblea congiunta con la Federazione triestina del PSI352 con
il quale, ricordiamo, vigeva un patto d’unità d’azione. In Parlamento, i deputati
Giancarlo Pajetta e Boldrini proponevano un’interpellanza al Presidente del
Consiglio e Ministro degli Esteri Pella in cui si chiedeva se il governo italiano
intendeva fare proprio il voto espresso dal Consiglio comunale di Trieste, quale
organo maggiormente rappresentativo della volontà dei triestini al momento, e se
intendeva quindi chiedere una commissione d’inchiesta internazionale per
accertare la responsabilità per uso ingiustificato di armi e tutte le illegalità ed
abusi perpetrati, affinché potessero essere puniti i colpevoli e accertate “le cause
prossime e remote dello stato attuale di disagio delle popolazioni triestina e
istriana”, e chiedere altresì una libera consultazione delle popolazioni di entrambe
le zone circa la soluzione del problema territoriale353. Giancarlo Pajetta in un
successivo intervento in aula invitava Pella ad attuare il voto del Consiglio
comunale di Trieste, espressione di un caso particolare in cui democristiani e
comunisti avevano votato insieme, perché tutti a Trieste erano stanchi del baratto,
della spartizione, e dopo l’otto ottobre si era recato personalmente a Trieste e
aveva constatato che vi era tra i cittadini “perplessità e dolore”, e non giubilo, ciò
a causa della preoccupazione per la sorte degli italiani residenti nella zona B354.
350 APC, Fondo M, Mf 165, Verbale riunione di Segreteria del 5-11-1953. 351 I comunisti del TLT propongono una inchiesta dell’ONU su Trieste, l’Unità, 12-11-1953. 352 Socialisti e comunisti triestini si impegnano a lottare contro il baratto, l’Unità, 5-11-1953. 353 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 16-11-153; cfr.: I comunisti chiedono che il governo faccia proprio il voto dei triestini, l’Unità, 17-11-1953. 354 Atti parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 18-10-1953; cfr.: Pajetta invita ad attuare il voto di Trieste, l’Unità, 19-11-1953.
154
Tra novembre e dicembre Luigi Longo, in qualità di protagonista della
resistenza italiana, conduceva una campagna sulla posizione dei comunisti italiani
nei confronti delle rivendicazioni jugoslave su Trieste nel periodo 1943-47 fatta di
rivelazioni basate su documenti dell’epoca, che culminava in una conferenza
stampa in cui veniva documentata la continuità della politica nazionale del PCI
per Trieste e l’opposizione alle pretese di Tito. Alle domande dei presenti sulla
situazione attuale della questione triestina Longo rispondeva che l’applicazione
del trattato di pace sarebbe stata possibile sole ove l’Italia avesse abbandonato il
“criterio di discriminazione” introdotto nella propria politica estera, procedendo
verso una politica orientata alla distensione internazionale. Restava una seconda
soluzione che era quella proposta dal PCTLT con sgombero delle truppe straniere
e referendum355.
Nel rapporto di Togliatti al Comitato Centrale del sei dicembre veniva
sottolineato come negli ultimi tempi la questione di Trieste fosse stata al centro di
tutto. Non era facile dire perché questa questione era stata sollevata dai governanti
italiani e da quelli jugoslavi proprio in questo momento e nel modo che si
conosceva, spiegava Togliatti. Soprattutto era difficile dirlo, purtroppo, per quello
che riguardava i governanti italiani. Non si sfuggiva, a prima vista, all'impressione
che qui vi era stata impreparazione, improvvisazione e leggerezza, perché in
sostanza i risultati erano stati contrari a tutto quello che ci si aspettava e che era
stato annunciato al Paese. Forse era più giusto ritenere che l'iniziativa dei
governanti italiani era stato soltanto indiretta, e che vi era stato invece un esplicito
proposito, in particolare americano, di sollevare la questione giuliana, per riuscire,
attraverso una qualsiasi soluzione di essa, favorevole o sfavorevole ai [nostri]
interessi e alla [nostra] dignità nazionale, a ottenere determinati risultati nel
rafforzamento di quello che essi chiamavano lo schieramento atlantico e cioè nel
sottoporre tanto il popolo italiano quanto quello jugoslavo agli interessi di un
imperialismo aggressivo e alla preparazione della guerra. Per quello che
riguardava i governanti italiani era venuta alla luce una fondamentale loro
incapacità. Si erano dimostrati incapaci sia di essere fermi nella difesa di una
355 Cfr.: E’ la resistenza a consentirci la difesa dell’italianità di Trieste!, l’Unità, 23-11-1953; Luigi Longo documenta la continuità della politica nazionale del PCI per Trieste, l’Unità, 3-12-1953; M. Cesarini Sforza, Ecco le prove che la resistenza salvò Trieste, Vie Nuove, 6-12-1953; L. Longo, I comunisti hanno sempre difeso l’italianità di Trieste, Rinascita, n. 12 (dicembre), 1953.
155
posizione di principio che era stata loro segnata dal Parlamento, sia di trovare un
compromesso accettabile e utile, che permettesse alle due parti di sostare. La
realtà era che il solo compromesso possibile e utile, per l'Italia, era quello che il
PCI aveva presentato e che lasciava intatto il TLT applicando puntualmente il
trattato di pace. Continuava Togliatti su l’Italia all’interno dell’alleanza atlantica: “Essa non è in grado di far valere le aspirazioni che corrispondono alla
coscienza diffusa fra i cittadini, ma si trova alla mercè di iniziative, di movimenti, di intrighi di cui è soltanto più uno strumento, avendo perduto la propria autonomia e la propria dignità. La soluzione da noi proposta può diventare elemento di una azione generale di politica estera, che risollevi il prestigio dell'Italia. L'Italia infatti se vuole oggi farsi valere deve rivendicare una distensione dei rapporti internazionali ed una politica di pace realizzata attraverso il rispetto di tutti i trattati internazionali. Nello sviluppo di una azione simile, qualunque possano essere i risultati finali circa la questione del TLT, l'Italia può trovare consensi, contatti, e soprattutto possibilità nuove di far sentire la propria voce nel mondo, scopo che non può essere invece raggiunto tramite la politica atlantica di asservimento all'imperialismo capitalista o tramite la politica europeista”356.
Lo stesso giorno Italia e Jugoslavia raggiunsero un accordo per il ritiro
simultaneo delle truppe concentrate lungo la frontiera, dando un concreto segnale
di distensione e facendo dichiarazioni d’intenti sulla ripresa dei negoziati per la
soluzione definitiva della questione territoriale.
A Trieste Vidali, che negli ultimi mesi abbiamo visto godere di una libertà
d’azione maggiore rispetto al passato, probabilmente in ragione di una situazione
che andava determinandosi nettamente e per cui non “c’era più tempo” per
rispettare le direttive provenienti da Roma, ove tra l’altro le direttive spesso
sembravano scarseggiare proprio per mancanza di capacità innovativa
specialmente dal maggio del 1952 in poi, svolgeva un’interessante iniziativa
“politico-diplomatica” incontrando il Consigliere politico italiano Diego De
Castro insieme al segretario della federazione triestina del PSI Salvo Teiner.
Vidali poneva una serie di questioni al professor De Castro, alcune
secondarie per così dire, come quella di alcuni comunisti che erano tra i profughi
della zona B non aiutati dal CLN dell’Istria, altre legate agli ultimi avvenimenti,
gli incidenti di novembre, in cui secondo Vidali vi era la responsabilità anche del
sindaco democristiano Bartoli oltre che del Comando militare alleato, ed altre
concernenti la soluzione della questione triestina in generale. Riguardo a queste
ultime il leader cominformista proponeva l’unione di tutti i partiti triestini contro 356 APC, Fondo M, MF 132, Verbale Comitato Centrale del 6-12-1953.
156
Tito e che gli italiani, come popolazione, continuassero a sostenere il plebiscito.
De Castro rispondeva al primo punto lusingando Vidali che, essendo il suo partito
il meglio organizzato, ciò sarebbe significato per gli altri partiti dovere accordarsi
con il partito comunista ed egli poteva ammettere tale soluzione solo in un caso
“estremissimo” (conflitto bellico). Riguardo al plebiscito De Castro sosteneva
essere anche la tesi del governo e la stampa aveva sbagliato a discostarsene troppo
presto. In materia di politica internazionale, Vidali affermava che Tito non
desiderava entrare nel Patto atlantico né che l’Italia entrasse nel Patto balcanico,
ma ambiva ad essere la terza forza nei Balcani. Egli non aveva intenzione di
risolvere il problema di Trieste per ragioni di politica interna e internazionale.
De Castro chiudeva il suo resoconto al MAE357 sull’incontro constatando
come le idee di Vidali non fossero “peregrine”, notando anzi con interesse il fatto
egli avesse “le stesse impressioni che abbiamo tutti noi”358.
Nello stesso periodo notiamo da parte della Direzione Generale Affari
Politici del Ministero Affari Esteri uno spiccato interesse a rilevare
nell’atteggiamento dell’Unione Sovietica un eventuale cambiamento di posizione,
un “ammorbidimento” in seno al Consiglio di Sicurezza che facesse in qualche
modo intuire un’opposizione solo formale dei sovietici alla partecipazione italiana
di una “conferenza a cinque” che si andava progettando da mesi per risolvere
definitivamente la questione triestina. Venivano presi in considerazione, in tale
contesto, anche gli articoli dei principali organi della stampa sovietica quali
Pravda, Istvestia, Novoie Vremia, ed altri e i relativi intervalli di tempo con cui gli
articoli venivano pubblicati359.
357 D.D.I., Serie Affari Politici, Busta 632, Tls 4202/1396 Ufficio Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff zone di confine, 1/12/1953: colloquio con Vidali e Teiner. 358 Riguardo a tale identità di vedute può essere utile consultare l’articolo Trieste paravento della politica jugoslava, in Esteri, del 15-1-1954. 359 D.D.I., Serie Affari Politici, Busta 632, Tlg 15162 amb Mosca a Mae 7/12/1953: articolo Pravda “Chi ostacola soluzione questione Trieste”; TLs 14/I5513 DGAP IV a amb. Ankara, Atene, Londra, Parigi, Washington 7/12/1953: Trieste – stampa sovietica; Tls 15489 DGAP IV a amb. Londra, Parigi, Washington 5/12/1953: atteggiamento sovietico su Trieste; Tlg 1059 amb. Washington a Mae 1-12-1953: Tito aggressivo dopo morte Stalin perché di nuovo accordatosi con Urss.
157
3.11 Il programma di Fanfani ed il PCI
L’inizio del 1954 era caratterizzato dall’iniziativa diplomatica assunta dai
governi britannico e statunitense in veste di cauti mediatori tra Italia e Jugoslavia
e da prese di posizione e schermaglie ufficiose tra le due parti in causa, dirette
essenzialmente a sondare i reciproci atteggiamenti e nello stesso tempo a ribadire,
di fronte alle opinione pubbliche dei rispettivi Paesi, le richieste e la linea di
condotta fino a quel momento seguite. Il punto di vista del governo italiano era
precisato il 26 gennaio dinanzi alla Camera dei Deputati da Amintore Fanfani
nelle dichiarazioni programmatiche del nuovo governo da lui presieduto. Dopo
aver affermato di ritenere la dichiarazione dell’otto ottobre come un impegno
degli alleati “che intendiamo sia rispettato”, Fanfani dichiarava che l’azione
diplomatica in corso doveva ribadire l’opportunità e la necessità di non ritardare
oltre la definizione del problema del Territorio libero360. Molto duro il giudizio di
Pietro Ingrao su l’Unità sul programma del nuovo governo democristiano che in
politica estera faceva un passo indietro sulle posizioni che lo stesso De Gasperi
era stato costretto a prendere nel luglio precedente. Abbandonati, infatti, anche
quegli accenti di dignità nazionale che erano almeno nelle parole dell’onorevole
Pella, il nuovo presidente del Consiglio aveva voluto praticamente sedare le
preoccupazioni degli occidentali sulla questione di Trieste, scriveva Ingrao. C’era
stata per l’Italia la “nuova amara beffa della dichiarazione dell’otto ottobre”: per
Fanfani questa “rinnovata truffa” all’Italia era diventata una “sosta”. C’erano stati
i fatti di Trieste, le provocazioni, i morti: Fanfani non aveva trovato una parola di
condanna, di riserva verso “la politica di chi aveva sparso quel sangue a Trieste”:
e tutta la sua politica triestina si riassumeva nella ricerca di un’equa soluzione
senza tentennamenti né debolezze, “cioè zero”, concludeva con una bocciatura
senza riserve il direttore de l’Unità361.
Nella riunione di Direzione del PCI tenutasi il giorno precedente alla
presentazione del programma del nuovo governo, Scoccimarro sosteneva
l’impossibilità per il partito di non votare contro (e quindi anche semplicemente di
astenersi) un governo che presentava nuovamente dei bilanci con spese militari
aumentate. Sembrava inoltre che Fanfani volesse presentare la formula “si va a
360 Atti Parlamentari, seduta della Camera dei Deputati del 26-1-1954. 361 Ingrao P., Il richiamo della foresta, l’Unità, 27-1-1954.
158
Trieste e alla CED contemporaneamente” il che significava in pratica “andare alla
CED”362.
Nell’ambito della Conferenza di Berlino dei Ministri degli Esteri delle
quattro potenze occupanti la Germania, Molotov presentò un progetto per la
“conclusione del trattato di Stato per il ristabilimento di un’Austria indipendente e
democratica” in cui si prevedeva di “incaricare i vice ministri degli affari esteri di
esaminare la questione di Trieste, in relazione con le proposte del governo
sovietico di non utilizzare la città di Trieste ed il territorio adiacente come base
militare”. Ancora una volta, quindi, la conclusione del trattato austriaco veniva
collegata con la soluzione della questione triestina da parte del governo sovietico,
tra le motivazioni che venivano date c’era la preoccupazione espressa da Molotov
che l’Austria non divenisse una base militare anglo-americana come già Trieste
era divenuta. Su l’Unità grande risalto veniva dato all’iniziativa di Mosca che
apriva “nuove prospettive per l’Italia” ed era veramente conforme agli interessi
italiani che erano quelli di avere il TLT come il Brennero liberi da truppe
straniere363.
I documenti di archivio del PCI dell’epoca ci rivelano una certa staticità
sulla questione di Trieste, l’attenzione maggiore, lo abbiamo già visto, veniva data
alla CED cui in qualche modo a fasi alterne, soprattutto in relazione
all’andamento dei negoziati internazionali, veniva collegata la questione triestina.
Si raccomandava dunque in Direzione di continuare la lotta contro la CED (la
campagna era condotta dall’attivissimo Emilio Sereni), in cui si inseriva la
questione della proibizione delle armi atomiche e della bomba H364 e quella di un
patto di sicurezza europeo. In politica interna l’idea principale era quella della
rottura del monopolio della Democrazia Cristiana al governo365. Vi era interesse
vivo comunque per questioni minori, relative alla questione triestina, come
testimonia la risposta di Secchia al compagno Rossi che aveva chiesto il mese
precedente di trasferire la sede della federazione di Gorizia a Monfalcone: i
362 APC, Fondo M, Mf 131, Verbale Riunione di Direzione del 25-1-1954. 363S. Segre, Molotov propone che la questione di Trieste sia discussa insieme al trattato austriaco, l’Unità, 13-02-1954; R. Mieli, Conformi agli interessi italiani le proposte di Molotov sull’Austria, l’Unità, 14-02-1954; S. Segre, Molotov propone l’accordo sull’Austria e una discussione su Trieste all’ONU, l’Unità, 15-02-1954. 364 Cfr.: Togliatti P., Trovare un accordo tra il mondo cattolico e il mondo comunista per salvare la civiltà minacciata di distruzione dalla bomba H, l’Unità, 13-4-1954: discorso al Comitato Centrale. 365 APC, Fondo M, Mf 131, Verbali di Direzione, febbraio 1954.
159
dirigenti della federazione non erano d'accordo, spiegava Secchia, il 7 giugno
erano stati ottenuti circa 2300 voti: si potevano fare passi avanti ancora e ciò
sarebbe stato facilitato dal mantenere una direzione qualificata, trasferire la sede
dal capoluogo poteva sembrare come una rinuncia. Sulla nota di Secchia Togliatti
aggiungeva a penna: “la politica verso gli sloveni ne sarebbe indebolita”366.
366 APC, Fondo M, MF 165, Nota per la Segreteria, 19 febbraio 54.
160
3.12 Il governo Scelba, “il più reazionario”
Il nuovo presidente del Consiglio Mario Scelba nelle dichiarazioni
programmatiche al Parlamento non si limitava ad auspicare l’intesa sul Territorio
libero ma, alludendo alla posizione geografica e alle economie complementari dei
due Paesi, considerava tale accordo come la premessa per una più ampia e più
proficua collaborazione367. Nel dibattito che seguiva sulla politica estera, le
opposizioni rimproveravano al governo di non sapere utilizza il processo
dell’integrazione europea, al cui centro era in quel momento il problema della
CED, per ottenere una più aperta solidarietà degli alleati verso gli interessi italiani
a Trieste. Il socialista Lussu affermava che il governo sembrava voler
“insabbiare” la questione di Trieste368. Alla Camera Ingrao poneva sotto accusa
tutta la politica estera di solidarietà atlantica, richiamandosi alle iniziative di Pella,
mentre Nenni deplorava la richiesta di ratificare la CED “senza negoziarla, senza
condizionarla, senza neppure esigere dagli angloamericani una soluzione di
giustizia per Trieste e per la zona A del Territorio libero”. L’intervento di
Togliatti fu invece estremamente breve, in quanto, dopo aver ricordato come il
PCI avesse lavorato per anni per creare un clima di distensione, invitava deputati
comunisti e socialisti ad uscire dall’aula come segno di protesta contro Scelba
considerato fautore di una politica di violenza contro le masse lavoratrici369.
Anche nei dibattiti interni alla Direzione del PCI si insisteva sulla necessità
di dipingere il governo Scelba come “il più reazionario che ci sia mai stato nel
nostro Paese”. Per il resto bisognava proseguire nelle campagne contro la bomba
H e contro la CED che finivano per andare di pari passo e delle quali la prima si
rivelava strumentale alla seconda370. Occorreva inoltre sfruttare le perplessità
delle gerarchie ecclesiastiche sull’imperialismo e sulla bomba ad idrogeno;
secondo Togliatti occorreva cambiare indirizzo in politica estera nel mondo e in
Italia, “questo era l'essenziale”371.
Analoghe erano le parole di Longo al Comitato Centrale: occorreva
impedire la ratifica della CED e portare avanti una “crociata per l’interdizione
della bomba atomica”. I “cedisti” desideravano una dichiarazione del tenore di 367 Atti parlamentari, seduta della Camera dei deputati del 18-2-1954. 368 Atti parlamentari, seduta(pom.) del Senato della Repubblica del 18-2-1954. 369 Atti parlamentari, seduta della Camera dei deputati del 18-2-1954. 370 APC, Fondo M, Mf 131, Verbali Riunioni di Direzione, aprile 1954. 371 APC, Fondo M, Mf 131, Verbale Riunione di Direzione, 29 aprile 1954.
161
quella bipartita dell'8 ottobre 1953 sul problema di Trieste sottoscritta dai sei
Paesi. In Campidoglio Pella aveva legato la ratifica della CED alla questione di
Trieste, ora si tendeva a negare tale collegamento, bisognava sottolineare questo
fatto372.
Vidali si faceva promotore presso la Segreteria del PCI di un’iniziativa dei
partigiani della pace di Trieste i quali avevano intenzione di convocare entro
breve tempo una conferenza sul tema “Trieste e la CED”: la conferenza avrebbe
dovuto aver luogo mentre si discuteva la CED in Italia. A tale manifestazione
preparata con una buona agitazione avrebbero partecipato i comitati della pace e
le organizzazioni democratiche del TLT, i rappresentanti dei comitati della pace
delle regioni di frontiera. Per dare alla conferenza il massimo rilievo, i partigiani
della pace triestini che contavano sull’incondizionato appoggio morale e materiale
del PCI (e del PCTLT) chiedevano un aiuto ai compagni italiani: messaggi di
solidarietà dalle città italiane e possibilmente una forte rappresentanza dei gruppi
parlamentari (PCI, PSI e indipendenti) e dei partigiani. Chiedevano inoltre che la
stampa, sia quotidiana che periodica, mettesse in rilievo l’evento373. La
conferenza, cui parteciparono esponenti del comunismo e socialismo triestino,
chiedeva ai “grandi quattro” l’applicazione del trattato di pace374.
Nel frattempo a Londra andavano avanti i negoziati tra angloamericani e
jugoslavi, che chiedevano aggiustamenti territoriali rispetto alla soluzione
dell’otto ottobre, e indiscrezioni trapelate lasciavano intendere che si era vicini ad
un compromesso. La reazione del governo italiano a tali indiscrezioni fu di
dichiarare l’opposizione dell’Italia alla trasformazione in alleanza militare del
patto balcanico prima che fosse risolta la questione triestina: l’opposizione
derivava dal timore che l’alleanza proprio nella fase decisiva del problema di
Trieste, potesse contribuire a rafforzare ulteriormente la posizione jugoslava nei
confronti degli Occidentali dato il collegamento indiretto esistente tra la NATO e
la progettata alleanza balcanica. Il diritto della NATO a dare il proprio previo
consenso all’alleanza balcanica, reclamato dall’Italia, venne contestato non solo
dalla Jugoslavia ma anche (ed energicamente) dalla Grecia375.
372 APC, Fondo M, MF 132, Verbale del Comitato Centrale, 11-14 aprile 1954. 373 APC, Fondo M, Mf 165, Lettera di Vidali alla Segreteria del 24-4-1954; Verbale di riunione Segreteria del 4-5-1954, in cui si dava l’assenso all’iniziativa. 374 Appello triestino ai “4” Grandi per l’applicazione del Trattato, l’Unità, 19-07-1954. 375 Cfr.: ISPI –Annuario, op. cit., 1954, pp. 474-476; Il governo rifiuta di pronunciarsi sul piano di spartizione del TLT, l’Unità, 12-05-1954;La Commissione Esteri contro la
162
3.13 Le ultime richieste di maggiore sostegno di Vidali al PCI
Gli articoli di Vidali apparivano sempre più inquieti, colmi d’ansia per la
sorte della sua città destinata a rimanere vittima di un accordo che prevedeva la
costruzione di un porto jugoslavo presso Capodistria con fondi americani che
avrebbe significato un impoverimento per le attività economiche della città. Nelle
cancellerie occidentali non si voleva tenere conto e c’era anzi disprezzo,
denunciava Vidali, per l’opinione dei “natives”, triestini e istriani, e per i loro
interessi “tanto meschini di fronte ai grandi ideali della civiltà occidentale e
atlantica e della bomba all’idrogeno”. Triestini e istriani contavano meno di una
mandria di bestiame, per i “mercanti” occidentali, ma tale atteggiamento faceva sì
che nelle due zone si diffondesse la convinzione che solo il trattato di pace
avrebbe potuto risolvere il problema, tanto che un referendum avrebbe dato non
meno dell’ottanta per cento dei voti a favore del TLT376.
Vidali, insieme al compagno triestino Siskovic, scendeva a Roma per
esporre le proprie preoccupazioni in Direzione. Il primo a prendere parola era
Togliatti che notando come la questione di Trieste si stesse riacutizzando non
escludeva che potesse venire fatta improvvisamente una proposta di soluzione. La
questione della CED poteva far accelerare la soluzione della questione di Trieste
anziché consigliare di rinviarla. Il leader del partito comunista triestino esprimeva
incertezza su ciò che poteva succedere e confermava che a Trieste c'era più
preoccupazione che nel passato, specie tra istriani e dalmati profughi. La base di
diversi partiti si era dichiarata favorevole al TLT, cioè alla posizione del PCTLT.
Anche in questa sede, Vidali si diceva certo che gli jugoslavi per ragioni interne
non desideravano risolvere la questione di Trieste e intendevano tenere l’Italia
fuori dal Patto balcanico. Era da prevedersi una soluzione provvisoria senza la
partenza delle truppe straniere: il PCTLT avrebbe insistito nel denunciare il
baratto, rivolgendosi a tutta la popolazione nell’invocare la formazione del TLT.
Occorreva fare comizi in Italia, un intervento della CGIL, più spazio su l’Unità e
una conferenza di pace a Trieste377. Il dibattito seguiva sulle ipotesi di iniziativa
politica che era possibile inserire nella situazione come, ad esempio, una raccolta
spartizione del TLT, l’Unità, 13-05-1954. 376 Vidali V., La sorte di Trieste, l’Unità, 19-05-1954; V. Vidali, Crescente adesione dei triestini alla soluzione del Trattato, Rinascita, n. 5 (maggio), 1954. 377 APC, Fondo M, mf131, Verbale Riunione di Direzione, 20 maggio 54.
163
di firme contro la spartizione a favore del TLT o del plebiscito; si discuteva anche
sulla possibilità di legare la nuova iniziativa alla questione della CED, anche se in
tal caso il timore era quello che la posizione del partito ne uscisse troppo
indebolita a causa delle forti divisioni che c’erano nell’opinione pubblica sul
tema. Giancarlo Pajetta affermava che l’opinione pubblica italiana era al momento
attuale “disponibile ad accettare qualsiasi soluzione” che desse Trieste all'Italia. Il
governo era compromesso con gli angloamericani e non poteva gloriarsi di nessun
risultato, le destre erano ancora più compromesse per le richieste precedenti.
Dunque, per Pajetta sulla questione triestina la linea da seguire era la seguente: “Dobbiamo attaccarci a Capodistria e sottolineare l'esclusione
dell'Italia da ogni funzione balcanica. Inchiodare il governo e le destre a tutte le loro posizioni precedenti. Condurre una grossa campagna. Fare intervenire gli esuli già tanto utilizzati contro di noi. Portare la questione in Parlamento. Inviare a Trieste una delegazione di parlamentari d'opposizione. I compagni di Trieste dovrebbero venire in Italia a gettare l'allarme. [Dobbiamo] chiedere un’amministrazione internazionale che metta fine a distinzione tra zona A e zona B. Proporre che i partiti del TLT organizzino essi stessi il plebiscito. Se non accettano organizziamo noi la petizione”.378
Anche Togliatti era consapevole della stanchezza degli italiani rispetto alla
questione triestina e cercava di proporre la sua “ricetta” per risvegliare l’interesse: “L'opinione pubblica italiana oggi si disinteressa di Trieste ed è pronta
ad accettare qualsiasi soluzione. Bisogna far sentire nuovamente la questione all'opinione pubblica con un'iniziativa che parta da Trieste. L'iniziativa non sia lanciata solo dai comunisti contro la spartizione e per il plebiscito. Sia presa da socialisti, socialdemocratici ed altre forze. Non far leva sulla CED che dividerebbe le forze favorevoli alla petizione. Polemica dei governativi sul patto balcanico, sostengono che entrando nella CED si evita il patto: quindi attenzione a gettarsi nella discussione. Gli americani presentano soluzioni catastrofiche per ottenere l'approvazione della CED. Intensificare la campagna in Italia. I compagni di Trieste ci dicano cosa possono fare”379.
Nel prosieguo dell’acceso dibattito Vidali lamentava il peggioramento della
situazione e la necessità di un’iniziativa immediata. La petizione avrebbe dovuto
essere lanciata dal PCTLT e da altri partiti e avere la prospettiva di un buon
risultato. Il problema non era di smascherare l'avversario ma di mobilitare le
masse contro il baratto. Alla domanda del leader triestino sulla possibilità che il
PCI avrebbe potuto lanciare una petizione in Italia, Togliatti oppose in effetti un
378 APC, Fondo M, mf 131, Verbale Riunione di Direzione, 20 maggio 54, intervento di Pajetta 379 APC, Fondo M, mf 131, Verbale Riunione di Direzione, 20 maggio 54, intervento di Togliatti.
164
rifiuto, argomentando che tale iniziativa avrebbe richiesto “uno sforzo enorme e
l'impegno del partito per varie settimane”; il PCI non poteva fare una
dichiarazione senza rivendicare il voto del Parlamento e ciò non era utile ai
compagni triestini. Vidali insisteva per un’intensificazione della campagna da
parte del PCI contro la spartizione, poiché il problema non era costituito da
Capodistria, ma dal fatto che si doveva impedire che la zona B andasse alla
Jugoslavia. Egli indicava nella debolezza dei socialisti un fattore potenzialmente
importante e perciò invitava ad intervenire presso la direzione del PSI.
La decisione finale presa nella riunione suggeriva al PCTLT l’adozione di
un'iniziativa triestina (raccolta di firme) contraria alla spartizione del TLT e
favorevole al plebiscito. Si raccomandava di intensificare intanto, in Italia, la
campagna contro la spartizione, sulla stampa e nel Parlamento380. Effettivamente,
nelle settimane seguenti specialmente su l’Unità abbondavano gli articoli dedicati
agli ultimi sviluppi della questione di Trieste: si metteva in guardia sul fatto che
incombeva l’accordo per un’alleanza militare balcanica e l’Italia ne sarebbe
rimasta fuori senza che la questione triestina fosse stata risolta in maniera
definitiva381.
In Parlamento Scoccimarro, intervenendo in polemica col ministro Piccioni
in chiusura del dibattito sul bilancio del MAE in Senato, proponeva i principi che
avrebbero dovuto caratterizzare la questione triestina: nessuna accettazione della
spartizione del TLT, nessuna rinuncia al principio di autodeterminazione delle
popolazioni interessate, una soluzione del problema in modo da creare la
possibilità di una vita concorde e democratica tra e italiani e slavi ivi residenti382.
Seguiva un’iniziativa alla Camera di Togliatti che presentava
un’interrogazione su alcune dichiarazioni dell’ambasciatrice americana a Roma
Clara Boothe Luce e compiva un intervento incentrato sulla questione della CED
lasciando a Nenni l’offensiva sul problema triestino383.
Con l’approssimarsi dell’accordo per la spartizione del TLT Vidali,
380 APC, Fondo M, mf 131, Verbale Riunione di Direzione, 20 maggio 54. 381 Nuovo brutale invito greco all’Italia a non intralciare l’alleanza con Tito, l’Unità, 22-05-1954; L’incubo della spartizione su Trieste e sul Territorio Libero, l’Unità, 25-05-1954; L’annuncio del Patto balcanico preludio alla spartizione del TLT, l’Unità, 6-6-1954; Gli angloamericani comunicano il piano di spartizione del TLT, l’Unità, 9-6-1954. 382 Piccioni si pronuncia in un vuoto discorso per la spartizione “provvisoria” del TLT. La replica di Soccimarro che illustra i tre principi per una giusta soluzione della questione triestina e sottolinea la gravità della richiesta di ratificare la CED, l’Unità, 24-6-1954. 383 Interrogazione di Togliatti sulla Luce, l’Unità, 6-7-1954; Clara Luce e Piccioni annunciano che mancano pochi giorni alla spartizione, l’Unità, 10-7-1954.
165
sentendo evidentemente sempre di più su di sé tutta la pressione e le aspettative di
chi ancora desiderava una soluzione diversa alla questione, scriveva una lettera
alla Direzione del PCI spiegando che a breve ci sarebbe stato a Roma un incontro
dei rappresentanti triestini dei partiti governativi con le rispettive direzioni: “qui
tutti si chiedono cosa stanno facendo i partiti operai italiani in merito al problema
Trieste”. Il resto della lettera era di tono polemico per la lentezza di
collaborazione da parte del PCI nell’attuare ciò che era stato deliberato a maggio: “Noi vi abbiamo scritto recentemente che sarebbe opportuno organizzare comizi in tutta Italia ma voi non ci avete ancora risposto. Tali comizi andrebbero fatti con presenza di socialisti e comunisti triestini. A Trieste si sviluppano iniziative politiche concrete che dovrebbero costituire una base solida per un'azione sulla questione di Trieste da sviluppare nella Repubblica. Infatti è stato quasi ultimato il referendum nei comuni sloveni e Muggia. A Trieste c'è stata una levata di scudi degli esuli che protestano contro la spartizione e la pressione alla base di tutti i partiti ha obbligato i dirigenti dei quattro partiti ad andare a Roma per sostenere le nostre richieste. Siamo già entrati nella fase degli scioperi contro la spartizione”384.
Al termine dell’incontro tra la delegazione triestina e i gruppi parlamentari
di PCI e PSI veniva emanato un comunicato in cui si esprimeva viva
preoccupazione per il progetto di spartizione del TLT e angoscia per gli esuli della
zona B; il PCI affermava anche che continuava a ritenere l’applicazione del
trattato di pace quale migliore soluzione possibile della questione triestina e che
sarebbero stati presi accordi col PSI per un’azione comune allo scopo di
“giustamente orientare l’opinione pubblica del Paese nel senso richiesto dalla
necessaria solidarietà con le popolazioni triestine”385. I comunisti e socialisti
triestini lanciavano anche un appello agli italiani affinché esigessero che il
governo chiedesse all’ONU di tenere un plebiscito nel Territorio libero386.
Ma oramai aleggiava una certa rassegnazione tra le fila del partito verso una
spartizione, “fatto compiuto”, che ci si chiedeva se sarebbe stata applicata senza la
ratifica del Parlamento. Su Rinascita v’era ancora modo di “vagheggiare” una
Trieste al centro dei contatti e degli scambi politici economici e d’altro tipo tra
Paesi capitalistici e Paesi socialisti in un’Europa dominata dallo “spirito di
Ginevra”, mentre più realisticamente su Vie Nuove veniva descritta la spartizione
che i triestini non avrebbero accettato, in quanto avrebbero continuato a chiedere
una sistemazione più equa e il diritto all’autodeterminazione tramite plebiscito e si 384 APC, Fondo M, Mf 131, Lettera di Vidali alla Direzione del PCI del 9-7-1954. 385 L’avversione di Trieste esposta dai delegati socialisti e comunisti, l’Unità, 16-7-1954. 386 Appello agli italiani dei comunisti e socialisti dal TLT, l’Unità, 4-8-1954.
166
prevedeva che circa quindici o ventimila istriani si sarebbero presentati al confine
della zona A per entrarvi non appena la spartizione fosse stata sancita387.
Il nove agosto veniva firmato a Bled, in Slovenia, il trattato di alleanza
ventennale tra Jugoslavia, Grecia e Turchia che contemplava la mutua difesa in
caso di attacco, in tal modo anche la Jugoslavia veniva collegata al sistema
atlantico, il quale subiva tuttavia un grave colpo con la caduta del progetto della
CED dovuta alla mancata ratifica da parte del parlamento francese. In seguito a
tali avvenimenti la spartizione del TLT veniva definita su l’Unità un “delitto
insensato”, non costituendo più un impedimento alla ratifica della CED, secondo
quanto veniva asserito dai democristiani388. Ma si trattava delle ultime isolate
proteste, continuando il PCTLT ad emettere soltanto comunicati sui pericoli delle
azioni a Trieste di “squadracce fasciste” che creavano deliberatamente disordini e
smascherando l’esistenza di un arsenale nascosto nei pressi del porto389, mentre il
PCI sostanzialmente taceva. E, infatti, a fine settembre, i comunisti triestini
chiedevano un incontro con i compagni del PCI per esaminare i loro problemi e
chiedere un “appoggio in maggiore misura”. Togliatti si diceva d’accordo per
organizzare l’incontro ma dissentiva sull’affermazione relativa allo scarso
sostegno prestato: “Solo noi abbiamo condotto la campagna per Trieste”390,
commentava seccamente il Segretario, che dava in queste poche parole
l’impressione di essere un po’ stanco delle lamentele e delle richieste di maggiore
aiuto da parte di Vidali, poiché tutto ciò che poteva essere fatto era stato fatto in
realtà.
387 L’accordo di spartizione applicato senza la ratifica del parlamento?, l’Unità, 9-8-1954;Fatto compiuto la spartizione del TLT?, Vie Nuove,15-8-1954; Di Trieste e della pace, Rinascita, luglio 1954; Questa è la spartizione di Trieste che i triestini non accetteranno, Vie Nuove, 18-07-1954. 388 La spartizione del TL di Trieste sarebbe ora un delitto insensato, l’Unità, 26-8-1954. 389 Cfr.: L’Unità 8-8-1954, 1-9-1954, 4-9-1954. 390 APC, Fondo M, Mf 131, Verbale Riunione di Direzione, 21-9-1954.
167
3.14 Il Memorandum d’intesa
Vidali scriveva nuovamente alla Segreteria a fine settembre, facendo
riferimento al progetto di spartizione ormai accettato dal governo italiano. Per
quanto riguardava la rettifica territoriale, ammetteva Vidali, essa era peggiore di
quella che si supponeva. Vidali chiedeva l’arrivo a Trieste del giornalista
Maurizio Ferrara per alcune corrispondenze sulla situazione e chiedeva, quasi con
tono supplichevole, che la stampa comunista dedicasse più spazio al problema,
rammaricandosi al contempo per una dichiarazione inviata alle quattro edizioni de
l’Unità che non era stata pubblicata (ma di cui non abbiamo testimonianza nei
documenti d’archivio), malgrado ciò fosse stato richiesto due volte, ed otteneva un
colloquio con Togliatti. Veniva inoltre deciso in Segreteria di aprire il dibattito in
Senato sulla questione triestina391.
Ma oramai non c’era più tempo per altre riunioni di Direzione, né azioni
concertate, né raccolte di firme, né altre iniziative politiche: l’accordo tra Italia e
Jugoslavia era finalmente giunto. Su l’Unità veniva annunciato che sarebbe stato
compiuto entro la settimana, Vidali teneva un’estrema conferenza di denuncia in
cui definiva l’accordo peggiore di tutte le proposte che erano state fatte in passato
e frutto di trattative segrete condotte per mesi alle spalle dell’ONU e delle
popolazioni locali. Il PCTLT, che dell’imminente accordo accettava come
elemento positivo la partenza delle truppe straniere, proponeva per una più equa
soluzione un plebiscito o una conferenza internazionale, come quella pochi mesi
prima svoltasi a Ginevra, cui avrebbero partecipato le grandi potenze, Italia e
Jugoslavia, e i rappresentanti locali392.
Il cinque ottobre 1954 i rappresentanti dell’Italia, della Gran Bretagna, degli
Stati Uniti e della Jugoslavia firmavano a Londra il Memorandum d’intesa sul
Territorio Libero di Trieste, con il quale, constatata l’impossibilità di dare
attuazione al trattato di pace con l’Italia, era stabilita la cessazione del governo
militare nelle zone A e B del Territorio libero e l’estensione nelle stesse delle
amministrazioni civili italiana (zona A) e jugoslava (zona B). Il Memorandum
391 APC, Fondo, Mf 116, Lettra di Vidali alla Segreteria del 30 -9-1954, Verbale riunione di Segreteria del 4-10-1954. 392 Il baratto del TL di Trieste compiuto entro la settimana, l’Unità, 4-10-2010; M. Konsulich, Il discorso di Vidali, l’Unità, 4-10-2010; E’ cominciato l’esodo delle popolazioni dai villaggi della zona A ceduti a Tito. Solenne appello del PCTLT, l’Unità, 5-10-2010.
168
d’intesa prevedeva inoltre lievi rettifiche della linea di demarcazione tra le zone A
e B a favore della B, rettifiche interessanti una superficie di 11,5 chilometri quadri
con circa tremila abitanti, nonché varie disposizioni volte a normalizzare la
situazione politica ed economica del Territorio libero. Il governo italiano si
impegnava a mantenere a Trieste il porto franco e i governi italiano e jugoslavo
convenivano: di non esercitare alcuna discriminazione per ragioni politiche a
carico delle persone che venivano a passare sotto le loro rispettive
amministrazioni, di aprire negoziati per regolare e facilitare i traffici locali e infine
di consentire il ritorno, nelle rispettive zone, delle persone in esse già residenti393.
Il Memorandum d’intesa veniva definito in un comunicato ufficiale della
Direzione del PCI “il peggiore degli accordi”394 e nel dibattito tenutosi in Senato
comunisti e socialisti si univano negli attacchi contro “il baratto imposto dalla
politica atlantica”, mentre Longo tornava di nuovo sulla difesa dell’italianità di
Trieste compiuta dal PCI durante la Resistenza395.
Il Comitato Centrale del PCTLT, nella sua riunione del nove e dieci ottobre,
udita la relazione del suo segretario Vittorio Vidali e dopo un ampio dibattito sul
Memorandum d’intesa, approvava una dichiarazione all’unanimità che definiva
l’accordo di Londra come “la peggiore di tutte le soluzioni prospettate” fino a quel
momento per la questione del TL. L'accordo sacrificava alla politica di guerra
l'esigenza di pace e benessere dei due popoli con “l'unico obiettivo di completare i
piani di aggressione americani”. Si trattava di un “vergognoso mercato”,
giustificato nel memorandum con l'impossibilità di tradurre in atto le clausole del
trattato di pace. L’intenzione dei due governi era di considerare definitiva la
separazione delle due zone e procedere all’annessione. Il PCTLT aveva tra i
propri obiettivi il diritto delle popolazioni a un plebiscito, la lotta per fare
applicare gli impegni sottoscritti dai due governi a garanzia dei diritti e degli
interessi delle due popolazioni. Il P.c. di Trieste avrebbe lottato affinché fosse
eliminata la “bardatura di guerra e di carattere coloniale nell'amministrazione”,
fossero soppressi i tribunali militari, il Consiglio territoriale a Trieste fosse eletto
a suffragio universale e con rappresentanza proporzionale con facoltà legislative
ed amministrative, ci fosse una rinascita economica della zona, per l’unità 393 ISPI – Annuario, op. cit., 1954, pp. 478-479. 394 Il peggiore degli accordi, l’Unità, 6-10-2010. 395 Spano Lussu e Molè attaccano al Senato il baratto imposto dalla politica atlantica, l’Unità, 7-10-2010; Metà del Senato non vota la spartizione del TL di Trieste, l’Unità, 9-10-2010¸ Intervista con Longo sui comunisti e Trieste, l’Unità, 10-10-2010.
169
sindacale, per pacifici rapporti commerciali con tutti i Paesi, per la difesa di tutte
libertà democratiche e dei diritti nazionali, per il libero transito di persone e merci
tra le due zone396.
Il governo sovietico prendeva atto dell’accordo, in considerazione del fatto
che esso era il risultato di un’intesa tra la Jugoslavia e l’Italia e del contributo che
recava all’alleggerimento della tensione tra questi due Paesi. Tale comunicazione
era considerata dai comunisti triestini prova della “saggia e tenace politica di
distensione” condotta dall’Unione Sovietica, in cui si inquadrava anche la
normalizzazione dei rapporti diplomatici ed economici con la Jugoslavia397.
Ricordiamo qui che, come detto precedentemente, non era stato dato nessuno
spazio sulla stampa comunista alla notizia relativa alla ripresa dei rapporti
diplomatici tra Jugoslavia ed Unione Sovietica nell’agosto del 1953.
Alla vigilia del voto sul bilancio del MAE Togliatti rilasciava un’intervista a
l’Unità in cui indicava le linee di una nuova politica estera per l’Italia, considerati
i fallimenti della politica imposta dall’imperialismo, primo tra tutti la spartizione
del TLT, conclusasi con “l’accordo peggiore che da parte italiana si potesse
ottenere”398.
La Direzione del PCI si riuniva un’ultima volta sui problemi del Territorio
di Trieste il ventotto ottobre. Apriva l’incontro la relazione di Vidali che definiva
la spartizione così come era avvenuta “la peggiore delle spartizioni”: la Zona B
era annessa alla Jugoslavia, vi era iniquità nel nuovo confine tracciato e molta
amarezza tra i triestini. Si trattava di un accordo fatto in funzione della guerra, da
considerarsi definitivo. Il p.c. triestino rimaneva all’opposizione alla testa delle
masse lavoratrici, poiché vi era tra l’altro un concreto pericolo di ritorno del
fascismo in città. Tra gli sloveni si lavorava per creare un fronte nazionale, anche
con i titini. Occorreva creare un largo fronte fra gli italiani per l’osservanza
dell’accordo di spartizione ed esigere un’adeguata partecipazione del p.c. triestno
all’amministrazione civile. Si poneva anche il problema del cambiamento del
nome del partito essendo divenuto il TLT semplicemente Territorio di Trieste. I
comunisti triestini dipendevano dal PCI e se i titini desideravano mettersi in
396 APC, Fondo Togliatti, Carte della scrivania, Verbale del Comitato Centrale del PCTLT del 9-10 ottobre 1954. 397 L’Urss prende atto dell’accordo di Londra su Trieste, l’Unità, 13-10-1954.; I comunisti triestini e la nota dell’URSS, l’Unità, 18-10-1954. 398 Un’intervista di Togliatti all’Unità sulle linee di una nuova politica estera, l’Unità, 19-10-1954.
170
contatto con loro dovevano sciogliere i loro gruppi, restituire quello che avevano
sottratto nel 1948, liberare i compagni arrestati in zona B. I compagni chiedevano
spiegazione di ciò che stava avvenendo. I titini dicevano che l'Urss aveva
capitolato su tutta la linea. Vidali chiedeva di “lasciar fare a noi per risolvere
rapporti locali coi titini” e sosteneva l’importanza che il proprio partito rimanesse
l’unico partito comunista presente a Trieste e non si tornasse ad una situazione
come quella del 1947. Giancarlo Pajetta si dichiarava sostanzialmente d’accordo
con Vidali: andava sostenuta la necessità di evitare una politica che favorisse
l’irredentismo e risolvesse invece i problemi concreti a Trieste; andava rivendicata
la giustezza della posizione precedentemente tenuta dal PCI e dal PCTLT su
Trieste nonostante si riconoscesse che c’era stata comunque una soluzione;
bisognava aiutare lo sviluppo del Psi e dei rapporti con indipendentisti e
socialdemocratici, salvaguardare l’unità tra sloveni e italiani, difendere i diritti
nazionali degli sloveni. Gli Jugoslavi avrebbero avuto problemi, secondo Pajetta,
per giustificare la politica filo-occidentale con l’espulsione dal Cominform,
occorreva perciò fare polemica su questo. Bisognava invece lasciare, come chiesto
da Vidali, che i compagni triestini risolvessero con autonomia a livello locale tali
problemi e non porre il problema della trasformazione del partito del Territorio di
Trieste. Terracini, Sereni e Di Vittorio costituivano lo schieramento dei contrari
alle proposte di Vidali: i compagni triestini dovevano entrare a far parte del PCI,
magari dilazionando nel tempo questo processo. Per quanto riguardava la
spartizione, essa era una soluzione del problema, definitiva: andava valutata come
avevano fatto i sovietici. Secondo Longo, la spartizione era sì definitiva, ma non
c’era ancora ragione politica per far entrare il P.c. di Trieste nel PCI. Il problema
si sarebbe posto quando la situazione politica sarebbe cambiata. I nuovi problemi
invece erano i rapporti dei triestini con la politica italiana e la difesa dei loro
interessi. Anche la difesa degli italiani nella zona B non era compito particolare
dei compagni triestini.
Infine, interveniva Togliatti constatando la mancanza di un accordo tra i
presenti e rilevando il giusto orientamento della risoluzione del PCTLT che
dimostrava che l'azione del partito era stata giusta. Vidali nel suo rapporto
sembrava orientato dal problema del nuovo rapporto coi titini, continuava
Togliatti. Era sicuramente vantaggioso che si stabilissero nuovi rapporti tra Urss e
Jugoslavia: Tito si era prestato al gioco degli imperialisti, ma non era andato fino
171
in fondo. Ancora oscura restava però la questione del patto balcanico. Occorreva
da parte di Vidali quindi “maggiore serenità” nell'esaminare la situazione. Non
poteva che salutare il nuovo orientamento della politica jugoslava e non doveva
esserne “eccessivamente imbarazzato”. La situazione di Trieste veniva dichiarata
da Italia e Jugoslavia provvisoria, il PCI affermava che era definitiva ma non
aveva interesse a considerarla tale. Si sarebbe continuato nella rivendicazione
della pienezza dei diritti democratici, anche dei diritti nazionali degli slavi e per la
rinascita economica della zona. Bisognava continuare ad occuparsi della zona B in
base al Memorandum d'intesa. Riguardo all’ingresso dei comunisti triestini nel
PCI, Togliatti lo definiva al momento attuale un errore: occorreva mantenersi
temporaneamente sulla base del Territorio di Trieste, stabilendo particolari
rapporti col PCI di cui si poteva fissare la forma e uno scambio di rappresentanze
permanenti tra i due partiti. Bisognava sostenere il movimento per l’autonomia
regionale del Friuli, ma in quella fase non doveva essere esteso a Trieste che
aveva questioni di carattere diverso, poiché per l’Italia sarebbe stato pericoloso
riaprire la questione del TLT in quel momento.
La decisione presa dalla Direzione prevedeva di affidare ad una
commissione composta da Pajetta, Scoccimarro, Novella e Vidali la preparazione
di un documento scritto per la soluzione delle questioni relative alla politica dei
comunisti a Trieste399.
399 APC, Fondo M, Mf 116, Verbale riunione di Direzione del 28-10-1954.
172
CAPITOLO IV
I COMUNISTI TRIESTINI RIENTRANO NEL PCI SOMMARIO: 4.1La IV Conferenza Nazionale del PCI: il PCTLT diventa PCTT; 4.2 L’apparato speciale e i contatti tra PCTLT e jugoslavi dopo il Memorandum d’Intesa; 4.3 Il viaggio di Krusciov a Belgrado: “il colpo di bora”; 4.5 Il V congresso del P.C. di Trieste; 4.6 Il VI Congresso del P.C. di Trieste: la federazione autonoma triestina
4.1 La IV Conferenza Nazionale del PCI: il PCTLT diventa PCTT
Il nove gennaio si teneva la IV Conferenza nazionale del PCI aperta
dall’appello di Togliatti per la “salvezza dell’umanità contro l’aggravato pericolo
atomico”, contro il riarmo della Germania di Bonn che faceva “risorgere un
focolaio permanente di conflitti in Europa”, a favore della si tensione
internazionale, della pacifica coesistenza dei popoli e della pace mondiale.
Nel suo intervento Vidali chiedeva che il Memorandum d’Intesa fosse
“applicato fedelmente” poiché contemplava la tutela degli interessi degli italiani e
degli sloveni e favoriva l’eliminazione degli attriti tra Italia e Jugoslavia, anche se
i comunisti triestini avrebbero rifiutato la spartizione come definitiva. Riguardo
alla situazione economica della città, con una disoccupazione quasi al 20%, essa
andava risanata “potenziando organicamente l’industria cantieristica”. Circa la
questione dell’autonomia del P.c. di Trieste dal PCI, Vidali sosteneva che, non
accettando il carattere definitivo che il governo intendeva dare alla spartizione, il
proprio partito aveva tratto una conclusione organizzativa, d’accordo con la
direzione del PCI, decidendo “per il momento” di chiamarsi Partito Comunista del
Territorio di Trieste (PCTT). Ciò a Trieste non aveva destato sorpresa,
commentava Vidali, che ci teneva però a precisare che i comunisti triestini non
erano autonomi in molte cose, poiché combattevano le stesse lotte del popolo
italiano sotto la guida del PCI.
Il ventitré gennaio si teneva a Trieste una Conferenza straordinaria dei
comunisti triestini, dominata dalla questione degli “obiettivi e compiti dei
173
comunisti nella nuova situazione di Trieste”, presente per la Segreteria del PCI
Mauro Scoccimarro, il quale individuava nell’autonomia della città il problema
politico fondamentale, come “mezzo di difesa delle libertà democratiche contro
l’involuzione reazionaria del governo centrale”, come condizione necessaria per
lo sviluppo economico della regione di Trieste, “mezzo di difesa e di garanzia
delle minoranze nazionali contro ogni forma di oppressione nazionalistica”400.
400 L’autonomia è condizione per lo sviluppo di Trieste, l’Unità, 24-1-1955.
174
4.2 L’apparato speciale e i contatti tra PCTLT e jugoslavi dopo il
Memorandum d’Intesa
Nella riunione di Segreteria del quattro febbraio venivano discussi il
lavoro e le proposte di indirizzo di Arturo Cicalini, il quale aveva presentato circa
due settimane prima una relazione sull’azione svolta in direzione della Jugoslavia
da parte dell’Apparato speciale costituito, o per meglio dire rafforzato, nel 1948.
Cicalini affermava che dopo i noti accordi fra Urss e Jugoslavia anche i comunisti
italiani e triestini avevano dovuto compiere una “svolta” nella loro particolare
attività, in attesa di cessarla completamente non appena fossero pervenute
direttive in tal senso. Alla vigilia della conferenza nazionale del PCI del gennaio
1955, Cicalini si era recato a Trieste recando le nuove direttive, indicate dal
compagno Togliatti, in cui si chiedeva di non fare più nessun lavoro tendente a
costituire gruppi di opposizione, non inviare più materiale clandestino di
propaganda antititista; continuare a raccogliere materiale informativo, ma
limitatamente alle notizie riguardanti l'atteggiamento dei vari dirigenti jugoslavi
nei confronti dell'Urss, continuare ad aiutare economicamente le vittime politiche
del terrore titista (in carcere vi erano ancora centinaia di compagni fra cui anche
alcuni funzionari di partito), continuare a interessarsi della situazione di operai e
compagni di origine italiana che lavoravano negli stabilimenti industriali di
Fiume, Pola, ed altri centri (della loro situazione, orientamento, rivendicazioni).
Anche il metodo di lavoro doveva cambiare, abbandonando le azioni clandestine
quali l’ invio di funzionari e stampa illegali in Jugoslavia; l’Apparato speciale
andava ridotto al minimo in termini di risorse umane e finanziarie401 impiegate:
esso sarebbe stato composto da Maria Bernetic, Karel Siskovic, ed un altro
membro. I membri dell’Apparato avrebbero dovuto cercare “agganci con i
dirigenti titisti locali” e sarebbe stato necessario “epurare” il vecchio archivio
distruggendo ciò che non serviva più. Mentre riguardo alla situazione in
Jugoslavia dopo gli accordi con l’Urss Cicalini affermava di non disporre di
sufficienti informazioni, riguardo alla situazione a Trieste, dal punto di vista dei
rapporti del PCTT con il gruppo titista, Cicalini sosteneva che essa era abbastanza
confusa e senza una chiara prospettiva poiché i titisti (non solo quelli di Trieste 401 APC, Fondo M, Mf 117, Relazione di Cicalini alla Segreteria sul lavoro svolto in direzione della Jugoslavia, 20-1-1955; a proposito dell’ammontare del contributo del PCI all’Apparato speciale veniva indicato:“richiedere al PCI un assegno mensile di 300.000 lire invece delle precedenti 500.000”.
175
ma anche quelli jugoslavi) si “presentavano come i vincitori”, come coloro che
avevano ragione nei confronti dell'U.I. e dell'Urss e pretendevano di imporre
determinate condizioni. A quanto si diceva i titisti volevano imporre
l'allontanamento dalla direzione del PCTT di Vidali e della Bernetic e la
rivalutazione di Jaksetic. Tutte queste voci, fondate o meno che fossero, creavano
uno stato d'animo di perplessità e incertezza fra gli stessi dirigenti del PCTT, cosa
di cui bisognava tenere conto secondo Cicalini402.
La Segreteria deliberava l’accettazione delle proposte per quanto riguardava
l'indirizzo del lavoro: tutta l’attività dell’Apparato speciale sarebbe passata al
partito del territorio di Trieste che avrebbe dovuto svolgerla nel quadro generale
della sua attività, con un aiuto del PCI qualora si fosse rivelato necessario.
Alla relazione di Cicalini venivano acclusi alcuni allegati che riguardavano
gli incontri avvenuti tra i membri del PCTLT e alcuni dirigenti jugoslavi e titini
del TLT. La prima serie di colloqui coinvolse, tra il dicembre del 1954 ed il
gennaio 1955, Maria Bernetic ed un dirigente titino a Trieste, l'avvocato Joze
Dekleva membro della direzione dell'organizzazione titista O.F., consigliere
comunale a Trieste. La Bernetic era stata incaricata da Vidali di prendere contatti
allo scopo di “conoscere l’orientamento politico dei titini”, l’opinione sulla
normalizzazione dei rapporti tra Urss e Jugoslavia. Dekleva sosteneva la necessità
di seguire la normalizzazione intrapresa con l’Urss anche a Trieste, tramite un
patto elettorale tra titini e cominformisti e il sacrificio tra questi ultimi di Vidali,
“elemento disgregatore”, e della Bernetic, compromessa per il suo lavoro verso la
Jugoslavia. Tutte le questioni apere sarebbero state trattate e risolte con la
Direzione del PCI, col compagno Togliatti e i dirigenti della Lega dei comunisti
jugoslavi. Dette questioni erano state trattate già tra sovietici e jugoslavi. I titini si
dicevano certi che nel giro di un anno o due ci sarebbe stata a Trieste l’unione tra
titini e cominformisti, con l’intervento del Pcus. Togliatti nella relazione della 4a
conferenza nazionale aveva dimostrato di aver accettato i princìpi della nuova
politica sovietica: non ingerenza negli affari interni dei partiti, decentralizzazione,
coesistenza dei popoli, lotta per il socialismo e contro i monopoli. I titini
giudicavano che Trieste avesse perduto ruolo e importanza del passato e fosse
ormai una città provinciale, di conseguenza il movimento rivoluzionario triestino
avrebbe dovuto fare la politica di sacrificare la particella al tutto. Anche l'Italia
402 APC, Fondo M, Mf 117, Relazione Cicalini, 20-1-1955.
176
avrebbe perduto la sua importanza internazionale, grande importanza invece si
doveva dare al movimento comunista italiano con 7 milioni di voti. Trieste
entrava nell’ingranaggio dello stato italiano, anche il p.c. di Trieste non avrebbe
mantenuto la sua autonomia e Vidali sarebbe stato trasferito a cariche più
importanti403.
Karel Siskovic (Mitko) era stato invece contattato da un funzionario del
Ministero degli Esteri jugoslavo, Pavle Gregorin, che aveva prospettato nuovi
rapporti tra Urss e Jugoslavia su base di “completa uguaglianza e libertà di
critica”. In Italia il governo jugoslavo avrebbe appoggiato le forze socialiste ma
anche PCI, pur non essendo d'accordo con esso su alcune questioni e non
dimenticando “le strigliate di Togliatti ricevute in due occasioni”, mentre
assicuravano di non voler avere a che fare con Cucchi e Magnani. Secondo
Gregorin, non importava a Belgrado che i titini di Trieste e Gorizia “fossero
amici” di Magnani e Cucchi, potevano avere amicizie anche senza consultare
linea di Belgrado. Non avrebbero mai rinunciato all’annessione di Trieste e
Gorizia e prima o dopo ciò sarebbe avvenuto nella prospettiva di un
peggioramento dei rapporti con l'Italia (tuttavia egli riconosceva alla fine della
discussione che Trieste non appartenne mai agli sloveni e da un punto di vista
nazionale l'annessione alla Jugoslavia non sarebbe stata molto giusta). Mitko si
limitava a declinare l’invito per una visita in Jugoslavia, sostenendo al contempo
di non aver mutato idea sulla giustezza delle posizioni sovietiche e del PCI su
Trieste404.
Gregorin tornava a visitare Mitko il venti febbraio, per affrontare i problemi
concreti relativi a “una collaborazione fattiva nell'interesse delle forza socialiste a
Trieste”. Siskovic proponeva l’ incontro dei rappresentanti jugoslavi con
comunisti di Trieste e PCI, poiché il PCTT faceva “parte integrante del PCI”: ma
si sarebbe parlato soltanto di Trieste (eventualmente anche della collaborazione
tra jugoslavi e PCI, lasciava intendere Mitko). Gregorin chiedeva che l'incontro
avvenisse in segreto per evitare che da una fuga di notizie ne risultasse
danneggiata la collaborazione405. La Segreteria del PCI dava l’assenso alla
403 APC, Fondo M, Mf. 117, Rapporto di Marina (M. Bernetic) circa i colloqui avuti con l’avv. Dekleva, dicembre 1954 –gennaio 1955. 404 APC, Fondo M, Mf. 117, Rapporto di Mitko (K. Siskovic) circa il colloquio avuto con Pavle Gregorin, 6-1-1955. 405 APC, Fondo M, Mf. 117, Rapporto di Mitko (K. Siskovic) circa il secondo colloquio avuto con Pavle Gregorin, 20-2-1955.
177
partecipazione al contatto che veniva proposto, suggerendo però che non gli si
attribuisse troppa importanza406. Si raccomandava anche di chiudere una
polemica iniziata tra Primorski Dnevnik e Delo alcune settimane prima che poteva
portare ad un allontanamento e che ad opinione dello stesso Vidali “non serviva a
niente”407.
Nel mese di febbraio Vidali, mentre si trovava in Unione Sovietica, era stato
convocato alla sede del Comitato centrale del PCUS ove gli veniva chiesto un
parere sull’ipotesi di un ristabilimento dei rapporti tra Mosca e Belgrado e su quali
fossero i problemi da risolvere in tale caso. Vidali diceva di valutare
positivamente il riavvicinamento dei due Paesi, avendo già il PCTT alcuni
rapporti con i comunisti jugoslavi che si sviluppavano positivamente, chiedeva
però un giusto preavviso riguardo all’iniziativa sovietica e poneva la questione dei
prigionieri politici in Jugoslavia. A sua volta Vidali domandava cosa avrebbero
fatto i sovietici in caso di richiesta da parte di Belgrado di annessione di Trieste: i
sovietici rispondevano che l’avrebbero appoggiata, Vidali replicava seccamente: “
noi no, assolutamente no”408.
Nella riunione di Segreteria del 10 marzo 1955 veniva votata
favorevolmente una mozione del PCTT per rivendicare un consiglio territoriale
eletto democraticamente a Trieste409. Vidali aveva proposto la mozione,
premettendo che il Territorio di Trieste non poteva essere inserito in una regione
che rappresentava l’unità politica dello Stato italiano in quanto il Memorandum
d'intesa e il trattato di pace non prevedevano il suo assoggettamento alla sovranità
italiana. Quando ciò sarebbe avvenuto sarebbe stata preferibile la costituzione in
regione autonoma per ragioni politiche e economiche410. La mozione, che il PCTT
avrebbe presentato al Consiglio comunale di Trieste, prevedeva la creazione di un
consiglio territoriale con poteri amministrativi e legislativi e che le sue
deliberazioni fossero soggette a controllo di costituzionalità da parte di un
commissario generale del governo al quale sarebbero stati affidati anche poteri per
provvedimenti di carattere generale e d'ordine pubblico. In caso di annessione del
Territorio di Trieste (T.T.) all'Italia, si proponeva la creazione di un ente
regionale staccato da quello previsto dall’articolo 116 della Costituzione (ovvero 406 APC, Fondo M, Mf. 117, Verbale riunione di Segreteria del 22-2-1955. 407 APC, Fondo M, Mf. 117, Lettera di Vidali alla Segreteria del 20-2-1955. 408 Vidali V., Ritorno alla città senza pace, op. cit., pp. 72-73. 409 APC, Fondo M, Mf. 194, Riunione di Segreteria dl 10-3-1955. 410 APC, Fondo M, Mf. 194, Lettera di Vidali alla Segreteria (con allegata mozione).
178
il Friuli-Venezia Giulia). Si sarebbe trattato di una regione costituita dal
Territorio di Trieste ed eventualmente dalla provincia di Gorizia qualora lo
avesse richiesto la popolazione di questa città.
Terracini, in un promemoria sulla mozione dei compagni triestini,
considerava corretta la loro impostazione che avrebbe affidato ad un organo
elettivo, cioè il suddetto consiglio territoriale, il compito di elaborare lo Statuto
speciale previsto. Tuttavia, egli suggeriva per il momento di non rivendicare la
formazione di una regione formata soltanto dai territori di Trieste e Gorizia,
poiché ciò avrebbe potuto generare confusione con l’attuale richiesta del PCI di
formazione della regione autonoma del Friuli-Venezia Giulia con Udine e
Gorizia411.
411 APC, Fondo M, Mf 194, Promemoria Terracini su mozione PCTT.
179
4.3 Il viaggio di Krusciov a Belgrado: “il colpo di bora” Di fronte ad una folla di quarantamila persone nello stadio di Trieste
Togliatti teneva un discorso in cui ricordava le visite compiute nella città negli
anni Venti e poi il viaggio, passando per Trieste, a Belgrado nel 1946 ove aveva
ottenuto da Tito il primo riconoscimento dell’italianità di Trieste e che avrebbe
potuto dar luogo all’inizio di una conversazione per una soluzione più accettabile
del problema di quella inizialmente proposta, ma ciò non era stato possibile
poiché la questione di Trieste fu utilizzata “da entrambe le parti – occorreva
ammetterlo, diceva Togliatti – per acuire le divisioni politiche e nazionali”. Ma
nel 1955 la questione di Trieste non poteva considerarsi ancora risolta, sosteneva
Togliatti, con la crisi economica che colpiva la regione e costringeva molti ad
emigrare all’estero. Trieste sarebbe potuta risorgere divenendo porto franco e città
aperta ai Paesi dell’Europa orientale, primo tra tutti la Jugoslavia, con la quale la
maggior parte dei partiti italiani avevano invece a lungo avuto un atteggiamento
ostile. A tale proposito Togliatti proseguiva così: “Bisogna sostituire a questa politica la comprensione reciproca, una
politica di convivenza e di pace. Noi stessi, comunisti italiani, abbiamo avuto, nel passato, aspri contrasti con gli uomini che hanno diretto e tuttora dirigono il governo e lo Stato jugoslavo; ma noi non abbiamo nessuna intenzione di lasciarci accecare dalle recriminazioni del passato e di esaurirci in queste recriminazioni. Per la soluzione radicale e definitiva dei problemi di Trieste, è necessaria, noi lo sappiamo, la collaborazione tra Italia e Jugoslavia. Ebbene, essa ci deve essere nell’ambito di una politica generale di pace”412.
Il diciannove maggio su l’Unità veniva riportato l’editoriale pubblicato sulla
Pravda circa l’annuncio dell’imminente viaggio di Krusciov, Bulganin e Mikojan
a Belgrado. Il riavvicinamento tra Unione Sovietica e Jugoslavia e il
ristabilimento di normali relazioni tra i due Paesi in tutti i settori, oltre che un
nuovo contributo alla distensione in Europa, erano gli obiettivi dell’incontro
secondo la Pravda413.
La Segreteria del PCI inviava, alla vigilia dell’incontro a Belgrado, un breve
messaggio al Cremlino in cui si diceva: “siamo d'accordo con comunicazione,
eccezionale importanza ristabilimento relazioni normali tra Urss e Jugoslavia.
Qualora a Belgrado si raggiungano condizioni per pubblicazione di tale
comunicato sarà bene sia seguito da articoli esplicativi, necessari particolarmente
412 In una grande manifestazione a Trieste Togliatti rinnova l’appello a lottare per la pace, l’Unità, 3-5-1955. 413 Boffa G., La Pravda sui rapporti fra Urss e Jugoslavia, l’Unità, 19-5-1955.
180
per quelle zone dove la lotta tra nostro movimento comunista e dirigenti jugoslavi
è stata particolarmente aspra”414. Così su l’Unità Bulganin “condannava la politica
dei blocchi” da Belgrado, mentre Krusciov illustrava “gli importanti successi
dell’iniziativa sovietica di pace”415.
Nella riunione di Direzione del 26 maggio, alla quale partecipava la
Bernetic, venivano trattate le implicazioni della recente firma del Trattato di Stato
con l'Austria, il quale aveva riflessi anche sulla “questione di Jugoslavia” che si
andava discutendo in quei giorni. Si sarebbero probabilmente dovute correggere le
dichiarazioni del 1948 e del 1949416, o soltanto quelle del 1949417, sul titismo: una
collaborazione con la Jugoslavia sarebbe stata possibile, nonostante le divergenze
politiche e ideologiche, tuttavia dopo il convegno di Belgrado sarebbe stato
necessario parlare con Vidali circa i riflessi nel Veneto e nell’Alto Adige e circa il
rapporto con i titini a Trieste.
Il giorno seguente, Vidali chiedeva di vedere l’incaricato dalla segreteria
Pellegrini fuori dal T.T., a Cividale, recandogli il testo di un comunicato sui
lavori del Comitato centrale triestino e tacendo completamente riguardo
all’articolo che sarebbe uscito su Il Lavoratore418. In esso Vidali esprimeva,
d’accordo con il gruppo dirigente del PCTT419, parziale comprensione per
l’autocritica operata da Krusciov a Belgrado ma difendeva contemporaneamente
l’atteggiamento assunto dai comunisti triestini nel 1948. L’iniziativa di Belgrado,
del resto, si inquadrava in un’azione più ampia per la ricerca della distensione
internazionale, ma alcuni avevano visto nel gesto sovietico, commentava Vidali,
“una Canossa”, “un atto di contrizione”, “una vittoria politica e diplomatica del
maresciallo Tito”. Ad ogni modo Vidali ammetteva di non essere d’accordo con
tutto ciò che era compreso nella dichiarazione del compagno Krusciov, sul regime
interno jugoslavo, sull'interpretazione che i dirigenti jugolsavi davano del
marxismo-leninismo e della risoluzione dell'U.I. del 1948. In particolare, quando
si diceva che le relazioni tra Urss e Jugoslavia sarebbero state troncate per l'azione
dei nemici del popolo e agenti dell'imperialismo Beria e Abakumov attraverso
414 APC, Fondo M, Mf. 194, Allegato a Verbale riunione di Segreteria del 7-8 giugno 1955, Risposta della Segreteria ad un comunicato del PCUS su imminente viaggio Krusciov a Belgrado (originale in cirillico), 25-5-1955. 415 Cfr.: L’Unità 26 e 27 maggio 1955. 416 APC, Fondo M, Mf. 195, verbale riunione Segreteria del 26-5-1955, intervento Spano. 417 APC, , Fondo M, Mf.195, verbale riunione Segreteria del 26-5-1955, intervento Longo. 418 APC, Fondo M, Mf. 194, Allegati al verbale della riunione di Segreteria del 7-8-1955. 419 Cfr.: AA.VV., Comunisti a Trieste, op. cit., p. 141.
181
montature e documenti falsi. La sorpresa dei comunisti triestini per tale
affermazione era stata enorme e aveva scosso il partito “come la bora scuote i
nostri alberi”. Vidali difendeva le posizioni prese nel 1948 come detto: “Tutti sanno che il nostro partito e tutti i democratici triestini italiani e
slavi all'annuncio della risoluzione dell’U.I. manifestarono la loro gratitudine in forma clamorosa ed unanime. Essa rifletteva una situazione che da anni perdurava nel nostro territorio [...] Noi avallammo quella risoluzione nella parte fondamentale con nostri documenti, con nostre sofferenze, con nostre esperienze, senza interventi di un Beria e di agenti dell'imperialismo [...] Ecco perché il C.C. del nostro partito ha approvato sin dal primo momento in merito all'incontro di Belgrado una risoluzione precisa ed in quella pubblicata in questo numero afferma che “i comunisti triestini devono sentirsi fieri della lotta combattuta specialmente in questi ultimi anni per ricostruire il partito sulle basi del marxismo-leninismo-stalinismo e dell'internazionalismo socialista”. Ecco perché essi non sentono il bisogno di rivedere il loro operato il quale, malgrado gli errori, le deficienze e anche le esagerazioni, ha contribuito a circondare il partito della fiducia delle masse lavoratrici [...] Perciò noi non possiamo solidarizzare con la dichiarazione di Krusciov e sebbene siamo profondamente addolorati e dispiaciuti di questa divergenza di giudizio preferiamo esprimere francamente la nostra opinione perché siamo convinti che essa almeno per le nostre esperienze corrisponde alla verità obiettiva. Sia chiaro per tutti che se nel giugno 1948 noi fossimo stati convinti che in Jugoslavia, che nella zona B si praticava il socialismo, il marxismo-leninismo e che a Trieste il nostro partito era retto da uomini, norme e metodi veramente comunisti l'atteggiamento dei comunsti triestini sarebbe stato differente”420.
Le parole di Vidali erano questa volta troppo pesanti per non ricevere un
“richiamo”, pubblico ed immediato, da parte del PCI: su l’Unità Longo definiva la
posizione “errata, dovuta certamente ad un’affrettata e superficiale valutazione dei
fatti e delle parole male riferite e male interpretate”. Forse si poteva trovare una
giustificazione nell’esasperazione della lotta che per anni aveva diviso il
movimento operaio locale, continuava Longo, “d’altra parte nessuno aveva
chiesto o poteva chiedere ai comunisti triestini di sconfessare l’azione che sulla
base dei principi marxisti e leninisti essi avevano sempre condotto per difendere e
rafforzare il movimento operaio e democratico a Trieste”421.
Dopo la convocazione d’urgenza a Roma di Laura Weiss del PCTT e
l’invio di Amadesi “in missione esplorativa” a Trieste422, e nonostante un articolo
420 La dichiarazione del compagno Krusciov ed i compagni triestini, Il Lavoratore, 30-5-1955. 421 Dichiarazioni di Luigi Longo su un articolo del “Lavoratore”, l’Unità, 1-6-1955. 422 APC, Fondo M, Mf. 194, Missione Amadesi a Trieste 2-6 giugno 1955; negli incontri cui partecipò Amadesi in quei giorni affioravano le prime ammissioni da parte dei comunisti del PCTT di essere stati influenzati dall’emozione sollevata dalle prime notizie da Belgrado, ma, a parte ciò, le tesi riportate dall’una e dall’altra parte erano sostanzialmente le stesse ripetute alcuni giorni dopo alla riunione di Segreteria a Roma: non
182
di parziale smentita di Vidali423, il sette giugno la Segreteria si riuniva, presenti lo
stesso Vidali, Bernetic, Weiss, Siskovic oltre ai più importanti dirigenti del PCI,
per avere “una discussione aperta e approfondita con i compagni triestini allo
scopo di ottenere da questi la ritrattazione completa”424 di ciò che era stato scritto
su Il Lavoratore. Il primo a prendere la parola era Vidali che rivelava, come aveva
fatto qualche giorno prima ad Amadesi a Trieste425, il contatto avuto con i
sovietici ad aprile, in occasione del quale era stato messo in guardia circa
l’intenzione dei titini di “spezzare il PCI” e veniva consigliato di arrivare anche
alla rottura con essi qualora avessero attaccato il PCTT o il PCI. A Trieste si
svolgeva già un’azione comune coi titini, i quali, secondo Vidali, intendevano
conquistare il Comune insieme al PCTT e poi riproporre il problema del
passaggio di Trieste alla Jugoslavia. Riguardo all’incontro di Belgrado il leader
del PCTT ammetteva la possibilità di divergenze coi sovietici.
Giancarlo Pajetta parlava di “grande atto forza dell’Urss”, mentre i
comunisti triestini avevano fatto “il gioco della stampa borghese che cercava di
snaturarlo”: era incomprensibile parlare di “colpo di bora” se esisteva una
collaborazione coi titini, vi era stata “grande presunzione e intemperanza”.
D’Onofrio, Spano e Scoccimarro erano d’accordo sul fatto che ad ogni modo i
compagni triestini, pur godendo del loro particolare regime d’autonomia,
avrebbero dovuto consultare i “fratelli maggiori” del PCI prima di compiere un
passo così importante, che prevedeva addirittura motivi di dissenso con Mosca. I
triestini difendevano nel corso della riunione l’articolo di Vidali, sostenendo che
era apparso evidente ai loro occhi che con l’autocritica di Krusciov si metteva in
discussione la risoluzione del 1948426. Nel secondo giorno di riunione si chiedeva
ai triestini di sottoscrivere una dichiarazione rilasciata da Longo la sera precedente
alla riunione dei quadri romani e dopo un ultimo acceso dibattito in cui si usavano
termini quali “malcostume”, “tradimento”, “doppia faccia”, “presunzione e
è stato pertanto considerato utile qui tenerne conto. 423 Cfr.: Un’intervista del compagno Vidali sui colloqui fra Urss e Jugoslavia, l’Unità, 4-6-1955. Vidali affermava sulle divergenze in atto: “Tutti sanno che è esistita una divergenza di opinioni sull'interpretazione di alcuni passaggi del discorso di Kruscev, interpretazioni da parte nostra che il compagno Longo ha ritenuto affrettate ed errate, ma io credo che si potrà arrivare ad un chiarimento entro brevissimo tempo”. 424 APC, Fondo M, Mf. 194, Verbali riunione 31 maggio (convocazione Weiss a Roma) e 6 giugno( missione Amadesi a Trieste), 1955. 425 APC, Fondo M, Mf. 194, Resoconto di Amadesi sul Comitato esecutivo del PCTT del 2-6-1955. 426 APC, Fondo M, Mf. 194, Verbale riunione Segreteria del 7-6-1955.
183
strafottenza”, veniva approvato un testo in cui il Comitato centrale del PCTT
riconfermava la sua approvazione e soddisfazione in merito alla politica sovietica
nei riguardi della Jugoslavia, riconoscendo che tale politica era determinata dalla
volontà di contribuire al rafforzamento delle forze della pace nel mondo e del
movimento operaio internazionale. Il C.C. del PCTT riconosceva che le riserve
nell'articolo su Il Lavoratore costituivano “un grave errore determinato da
interpretazione errata e affrettata” a cui si era stati tratti dalla situazione locale
esasperata dalla lotta che aveva diviso per tanti anni il movimento operaio a
Trieste. Il modo con cui si era reagito era contrario a rapporti fraterni e solidali
che dovevano intercorrere tra partiti fratelli soprattutto quando erano in gioco
valori fondamentali della pace e del movimento democratico e operaio
internazionale. I comunisti triestini si impegnavano a sviluppare sulla base dei
principi marxisti-leninisti la politica del p.c. di Trieste, allo scopo di consolidare le
posizioni della classe lavoratrice, di rafforzare l'unità antifascista e democratica e
cementare la fratellanza italo-slava ampliando ancora l’azione e le iniziative già
prese in questo senso427.
In una successiva riunione della Segreteria, stavolta senza i membri del
PCTT, Longo sottolineava come la posizione di Vidali avesse danneggiato il PCI
sia a Trieste che nel Friuli. Allo stesso modo, Pellegrini faceva notare che anche
nel Veneto le ripercussioni erano state forti e ci si interrogava sulla validità della
risoluzione del 1948. Emergeva quindi nel PCI l’importanza di chiarire,
specialmente ai “quadri”, l’importanza politica dell’incontro di Belgrado e
dell’azione svolta dall’Urss per recuperare al campo socialista comunisti e popoli
della Jugoslavia428.
A Trieste invece i maggiori problemi consistevano nel decidere la nuova
politica: la collaborazione coi titini doveva essere sviluppata non solo in campo
sloveno ma in azioni unitarie di diverso tipo, quali manifestazioni e simili
iniziative. Su questo punto vi erano molte riserve e Vidali chiedeva per tale
“svolta molto radicale” la possibilità di una nuovo incontro con membri della
Segreteria del PCI429.
Per tutta l’estate fino ad ottobre del 1955 continuavano da entrambe le parti
le proposte di contatti tra PCJ e PCI e l’invito di delegazioni politiche, di 427 APC, Fondo M, Mf 194, Allegati a riunione Segreteria dell’ 8-6-1955. 428 APC, Fondo M, Mf 195, Verbale riunione Segreteria del 10-6-1955. 429 APC, Fondo M, Mf 194, Lettera di Vidali alla Segreteria del 6-6-1955.
184
amministrazioni comunali, sindacali, in Jugoslavia430, ma il PCI propendeva per
una tattica attendista, aspettando un invito formale da parte dei dirigenti
jugoslavi431.
A fine anno, sulla questione della rappresentanza politica di Trieste, la
Segreteria proponeva al PCTT di rivolgersi ufficialmente e pubblicamente ai
gruppi parlamentari comunisti chiedendo loro di sollevare la questione, affinché
fosse al più presto presente in parlamento una rappresentanza politica della
popolazione triestina432.
430 APC, Fondo M, Mf 122, Verbali riunioni Segreteria luglio-dicembre 1955; Mf 195, Verbali riunioni Direzione marzo- dicembre 1955. 431 APC, Fondo M, Mf 122, Verbale riunione Segreteria del 17-7-1955, intervento Longo. 432 APC, Fondo M, Mf 122, Verbale riunione Segreteria del 20-12-1955.
185
4.4 Il V congresso del P.C. di Trieste
A fine settembre si discuteva in Direzione della preparazione delle tesi da
presentare al congresso del PCTT: Togliatti riteneva inopportuno continuare a
parlare del baratto, bisognava concentrarsi sulla situazione attuale, quindi sulla
crisi politica ed economica che investiva la responsabilità del governo e della
classe dirigente triestina. Il PCTT avrebbe dovuto battersi per l’organizzazione di
un’autorità politica eletta democraticamente a Trieste, contro i “disgregatori” che
avversavano la distensione internazionale e contro la stessa politica di Tito.
Togliatti ricordava a Vidali, che appariva titubante nel corso del dibattito, l’utilità
di “fare una polemica come si deve” coi titini433. Vidali ripresentava dunque le
tesi per il futuro congresso, stavolta modificate secondo le indicazioni di Togliatti
e sulla base del dibattito sviluppato a Roma: esse partivano da una considerazione
dell’importanza degli avvenimenti recenti di Vienna (Trattato di Stato) e Belgrado
(incontro Krusciov-Tito) per il rafforzamento della pace in un settore cui Trieste
era interessata come porto dell’Europa centrale. Tuttavia, dopo la soluzione del
problema triestino, a cui, si ricordava, il PCTT era contrario, non vi era stata la
stabilizzazione e normalizzazione delle condizioni di vita sperate e si era invece
approfondita la grave crisi politico-economica. La crisi economica era determinata
dalla perdita dell'intero mercato regionale, dalla posizione eccentrica rispetto al
mercato italiano, dall'estrema vicinanza della frontiera, dal passaggio su territorio
straniero delle ferrovie più economiche per il retroterra, dall'impedimento agli
scambi con una parte importante del retroterra appartenente all'area economica
socialista. Per la ripresa economica era importante dunque il ripristino del libero
transito di merci e persone tra ex zona A ed ex zona B. I comunisti triestini
dovevano intensificare i loro sforzi per realizzare l'unità degli italiani e sloveni e
di tutti i democratici di ogni corrente politica. Era necessario per il partito un più
deciso superamento della sua ancora insufficiente forza numerica, individuando
con maggiore audacia i lavoratori e i democratici disposti a militare nelle nostre
file.
La soluzione data al problema di Trieste col baratto e l'equivoco sul carattere
di provvisorietà o di definitività della situazione, oltre a rendere instabile la vita
economica, aveva profondamente deluso le speranze di tutti coloro che credevano
di vedere soddisfatte le esigenze di democrazia che Trieste ancora attendeva.
433 APC, Fondo M, Mf 136, verbale riunione di Direzione del 29-9-1955.
186
Sottoposto a regime commissariale, il Territorio di Trieste mancava di ogni
autonomia perché mancava un organismo territoriale democraticamente eletto, in
grado di esercitare il potere legislativo e difendere libertà democratiche contro
l’involuzione reazionaria del governo centrale434. Su tali tesi, in cui Vidali non
eliminava il tema per lui centrale del baratto come chiesto da Togliatti, la
Segreteria poneva dubbi e proponeva un rinvio del congresso “per avere un
dibattito migliore”435.
Il congresso si tenne, in effetti, solo sei mesi più tardi, nell’aprile del 1956,
dopo che le rivelazioni del XX congresso del PCUS avevano sconvolto il mondo
comunista, Vidali compreso che si era recato a Mosca, incontrandovi Togliatti.
Sul suo Diario un resoconto del dialogo avvenuto tra i due:
“A cena parlo con Togliatti di Trieste. Noi triestini diamo studi di una
“indipendenza” che non ha chiari significati né giustificazioni. Ora ci sono dei
pericoli e sarebbe molto meglio far parte del PCI. Togliatti è d’accordo, ma sono i
triestini a dover decidere. Va bene; decideranno dopo le elezioni”436.
Nel V Congresso del PC di Trieste, dunque, i triestini dovettero ancora
attendere per rientrare nel PCI, nonostante i “pericoli” che incombevano, coi titini
nuovamente spavaldi a Trieste, sostenuti dal regime jugoslavo tutt’altro che
isolato a livello internazionale e anzi proiettato, con lo scioglimento del
Cominform e il riconoscimento alla tesi sulla legittimità delle diverse vie al
socialismo, a proporsi alla guida, insieme alla Cina e all’Indonesia, del
Movimento dei Paesi non-allineati.
Si trattava quindi di un “congresso di transizione” in cui Vidali, dopo aver
illustrato nella sua relazione la grave crisi economica che colpiva la sua città a
causa dell’inadeguata politica governativa, salutava “il ristabilimento e il
progressivo rafforzamento delle relazioni tra Jugoslavia e Urss e democrazie
popolari, quale positivo contributo alla distensione internazionale”, così come
salutava il miglioramento delle relazioni fra Italia e Jugoslavia, augurandosi che
queste diventassero sempre più costruttive, che ogni controversia venisse risolta
tramite trattative, poiché la sorte di Trieste era “legata allo sviluppo sociale e
434 APC, Fondo M, Mf 136, Lettera di Vidali alla Segreteria, 5-10-1955. 435 APC, Fondo M, Mf 136, verbale riunione Segreteria del 18-10-1955. 436 Vidali V., Diario del XX Congresso, Trieste, Vangelista ed., 1974, p. 43. Trattasi delle elezioni amministrative.
187
quindi pacifico dei Paesi vicini”437. Al congresso la delegazione del PCI era
guidata da Scoccimarro che nel suo intervento auspicava che le relazioni fra
Jugoslavia e Paesi socialisti divenissero sempre più strette nella lotta per la pace
ed il socialismo. Riguardo al XX congresso del PCUS, il senatore del PCI
sottolineava come il processo di revisione critica in corso dimostrasse come la
rivoluzione socialista avesse la forza e la capacità di correggere se stessa dalle
insufficienze e dai difetti che via via venivano scoperti438. Nella riunione del
primo giugno del 1956, veniva discussi i contatti avuti con la Lega dei comunisti
jugoslavi, Togliatti parlava dell’invito ad andare in Jugoslavia, dell’ “accoglienza
straordinariamente cortese”, del “tono molto cortese e cordiale”, di come si
sarebbero dovuti organizzare in futuro i rapporti tra i due partiti e delle decisioni
del XX congresso del Pcus. Alla luce dei recenti eventi la posizione migliore era,
secondo Togliatti, quella di favorire la posizione di autonomia degli jugoslavi.
Nella riunione del venti giugno Togliatti rivelava il contenuto del rapporto
Krusciov sul culto della personalità e sullo stalinismo439.
Vidali chiedeva invece che fosse data maggiore attenzione in parlamento da
parte del gruppo comunista alla questione della “zona franca integrale” proposta
per Trieste, dato che si era costituito anche un comitato cittadino per la zona
franca che intendeva presentarsi alle elezioni con il nome di Movimento
economico nazionale440.
In una successiva lettera alla Segreteria, il PCTT poneva la questione della
necessità di un dibattito precongressuale nel PCI sulla costituzione della
federazione autonoma triestina “di cui noi parliamo dal nostro congresso di aprile
e sul quale il nostro partito dovrebbe esprimersi prima del congresso PCI in una
confrenza territoriale” 441. Nel PCTT coesistevano due “correnti”: una parte era
favorevole alla costituzione di una federazione del PCI ma la maggioranza di essi
riteneva che non avrebbe dovuto essere una federazione come le altre ed invece
avere una concreta e ampia autonomia sulla quale si esprimeva l’esigenza di
formulazioni precise.
Si riteneva inoltre che la federazione autonoma avrebbe dovuto poter
437 Aperto il congresso del PC di Trieste, l’Unità, 7-4-1956. 438 I comizi del PCI. Scoccimarro a Trieste, l’Unità, 9-4-1956. 439 APC, Fondo M, Mf 136, verbali Direzione, settembre 1955 – luglio 1956. 440 APC, Fondo M, Mf 125, Lettera di Vidali alla Segreteria del 18-6-1956, verbale riunione Segreteria 23-7-1956. 441 APC, Fondo M, Mf 125, Lettera del PCTT alla Segreteria del PCI, 3-9-1956.
188
esprimere “un giudizio chiaro e spregiudicato” sulla politica nazionale jugoslava
nella zona B.
L'altra opinione notevolmente diffusa era che, fin tanto che la soluzione del
problema triestino rimaneva giuridicamente qual era, la trasformazione del partito
di Trieste in federazione del PCI sarebbe risultata in vari settori popolari male
accetta mentre essa sarebbe apparsa logica, automatica nel momento di una
ufficiale annessione del territorio di Trieste all'Italia442.
Per quanto riguardava il processo di “destalinizzazione” appena avviato con
il XX Congresso del PCUS ed il “rapporto Krusciov” sul culto della personalità di
Stalin, si discuteva (e si condannava) in Direzione sugli articoli scritti da Vidali in
merito al XX congresso del PCUS e ai rapporti tra sovietici e jugoslavi: Togliatti
conveniva con il leader triestino soltanto sull’ingiustizia delle condanne ai
sostenitori del Comiform443. Per quanto riguardava la possibilità di vie diverse in
direzione del socialismo, Togliatti raccomandava di non insistere sul
policentrismo ma di affermare che il PCI si proponeva di stringere rapporti con gli
altri partiti.
Ad ottobre la delegazione del PCI di ritorno dalla Jugoslavia faceva sapere
che i detenuti politici erano stati liberati, le frontiere erano considerate definitive
da parte del governo jugoslavo, il quale chiedeva anche cosa si potesse fare per
risolvere il problema del partito di Trieste. Vidali aveva lamentato la mancata
comunicazione dell’iniziativa del PCI in Jugoslavia ai compagni triestini e la
presenza, nuovamente, di due partiti comunisti a Trieste444.
442 APC, Fondo M, Mf 125, Lettera del PCTT alla Segreteria del PCI, 3-9-1956. 443 APC, Fondo M, Mf 127, verbale riunione Direzione del 26-9-1956. 444 APC, Fondo M, Mf 127, verbale riunione Direzione del 25-10-1956.
189
4.5 Il VI Congresso del PC di Trieste: la federazione autonoma triestina
Anche a Roma, ancora nel 1957, vi erano resistenze all’ingresso dei
comunisti triestini nel PCI, poiché ciò si riteneva prematuro non essendo stato
risolto lo stato giuridico del Territorio. L’opinione prevalente era che soltanto
discutendo sulle posizioni del comunismo internazionale e chiarendo le questioni
ideologiche si sarebbe attenuata l’atmosfera e si sarebbe facilitato il rapporto coi
jugoslavi445.
All’interno della Segreteria veniva raggiunto l’accordo nel mese di marzo e
si accettava l’orientamento verso la trasformazione del p.c. triestino in federazione
autonoma446.
Tornava in questo frangente il tema della costituzione della regione
autonoma che avrebbe potuto includere il Territorio di Trieste: il PCI era
favorevole, come la Democrazie Cristiana, all’inclusione di Trieste nella futura
regione. Vidali obiettava che in tal modo si sarebbe proceduto ad una “pura e
semplice annessione”447 del T.T., ma Terracini aveva replicato: “Noi riteniamo che la presentazione stessa del progetto della D.C.
faccia ritenere superato il problema e che anzi lo stesso governo democristiano dando il benestare alla presentazione del progetto di statuto intenda risolvere di fatto il problema politico sul piano amministrativo; che nel T.T. le forze politiche le quali sono contrarie a una soluzione definitiva costituiscono una minoranza esigua; che la Jugoslavia oramai di fatto considera definitiva l'attuale status avendo di fatto annesso il territorio ad essa provvisoriamente assegnato in amministrazione fiduciaria dal Memorandum d'intesa; che il nostro partito nell'attuale condizione non ha nessun interesse ad opporsi alla soluzione adottata dal progetto di statuto”448.
A questo punto, nulla più ostacolava il ritorno dei comunisti
triestini nelle fila del PCI: Vidali presentava il progetto di tesi per il sesto
congresso del P.C. di Trieste in cui spiegava che, pur essendo Trieste parte
integrante dell’economia d’Italia, essa era votata a servire col suo porto un
retroterra internazionale, ma si tentava da parte italiana di bloccare il commercio
con i paesi socialisti danneggiando così il porto e la città. Trieste risultava quindi
essere zona depressa di nuovo tipo. In primo luogo Trieste aveva bisogno di larga
autonomia per darsi soluzioni nel campo economico. Nella regione prevista 445 APC, Fondo M, Mf 130, Verbale riunione Segreteria del 9-2-1957. 446 APC, Fondo M, Mf 130, Verbale riunione Segreteria del 7-3-1957. 447 APC, Fondo M, Mf 130, Incontro tra Vidali, Pellegrini, Terracini e Lizzero su questione regione autonoma, 28-2-1957. 448 APC, Fondo M, Mf 130, Lettera di Terracini (sezione enti locali) alla Segreteria, 7-3-1957.
190
dall'art. 116 della Costituzione Trieste capoluogo avrebbe dovuto godere di una
sua particolare autonomia in ragione della peculiarità dei suoi problemi. La
cosiddetta zona franca integrale era fondamentale per attirare traffici
internazionali e dare impulso a tutti i settori dell'economia. I comunisti triestini
dovevano, in tale difficile contesto,mantenere la storica collaborazione con il Psi
ma anche allargarla a socialdemocratici e repubblicani e ai lavoratori cattolici che
sentivano l’ esigenza politica di apertura sociale. Esaminata la situazione
economica Vidali affrontava la questione della trasformazione del suo partito in
federazione del PCI:
“Essendo venuta a cessare le condizioni politiche che per oltre un decennio
hanno tenuto organizzativamente separati i comunisti triestini dal PCI e anche in
considerazione dello stretto nesso esistente fra le lotte, gli obiettivi e le prospettive
economiche e politiche dei lavoratori e del popolo di Trieste con quelle dei
lavoratori e del popolo in tutta Italia, i comunisti triestini sono convinti che la
trasformazione del loro partito in federazione autonoma è assolutamente
necessaria e attuale”.
Sul dibattito in campo internazionale tra dirigenti jugoslavi e sovietici,
ritenuto “utile a conseguire maggiore chiarezza ideologica”, Vidali auspicava una
collaborazione sempre più stretta con la Lega dei comunisti jugoslavi. Riguardo
alla via italiana al socialismo, affermava l’importanza del ventesimo congresso del
Pcus al fine di “eliminare dogmatici schematismi”, in tal senso i comunisti
triestini facevano proprie le tesi dell’ottavo congresso del PCI, pur ribadendo il
ruolo guida dell’Urss449.
Se è vero che la totalità dei militanti, italiani e sloveni, faceva propria la
scelta operata dal congresso del P.C. di Trieste di rientrare nel PCI, Claudio Tonel
ci racconta come alcune centinaia di iscritti al partito, nel corso della campagna di
tesseramento alla fine del 1957, rifiutassero la tessera del PCI “perché aveva il
tricolore”, chiedendo in sua vece una tessera rossa450. La Segreteria accordava la
stampa di una tessera particolare per la federazione autonoma triestina di colore
rosso con falce, martello e alabarda451.
449 APC, Fondo M, Mf. 129, Lettera di Vidali del 23-5-1957, allegato a verbale riunione di Segreteria del 31-5-1957. 450 AA.VV., Comunisti a Trieste, op. cit., p. 144. Tonel aggiunge anche che “il fenomeno (del rifiuto delle tessere con tricolore), sia pure in costante decrescendo, è durato ancora un paio d’anni”. 451 APC, Fondo M, Mf. 128, verbali riunioni Segreteria 1-10-1957, 2-11-1957.
191
A causa della particolare situazione vissuta a Trieste, “la lotta era stata più
aspra che in qualsiasi altra parte”452 e anche per tale motivo i comunisti triestini,
guidati da Vidali, tornarono a Lubiana per incontrare i membri della Lega dei
comunisti sloveni soltanto nel 1962.
452 Vidali V., Ritorno alla città senza pace, op. cit., p. 81.
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B. 216, Tls n. 3312/637 del 21 maggio 1949
B. 510, Tls n. 4193/182 del 18 maggio 1949
B. 216, Tls n. 1619/805, Legazione d'Italia Belgrado a Mae, 30 giugno 1949: elezioni a Trieste, Jugoslavia e Cominform
Tls n. 1699/833, Legazione d'Italia Belgrado a Mae, 5 luglio 1949, commenti ufficiali in zona B.
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B. 216, Tls n. 1699/833.
B. 214, Telegramma (Tlg) n. 5923/C del 12/07/1949, Min. Sforza a Londra, Washington, Parigi, Belgrado (Declassificato a non classificato ai sensi dell'Ods n. 43-2006 del 9-11-2006).
B. 214, Tls n. 15/139, DGAP IV a Londra, Parigi, Mosca, Belgrado del 18/07/1949: dichiarazione di Tito a Pola e atteggiamento russo.
B. 214, Tlg n. 5870, Sforza a Londra e Parigi, 10/07/1949.
Tls n. 4154/803, Rapp. It. Trieste a MAE, 7/7/49: cambio moneta in zona B, commenti stampa cominformista.
B. 244, Rapporto segreto dell'ambasciatore a Washington Tarchiani al Min. Sforza del 13/12/1949 sui colloqui Bebler-Acheson.
B. 244, Rapporto segreto n. 1477, Min. Sforza a Tarchiani, 29/12/1949: intese economiche e sociali con Jugoslavia se possibile accordo per TLT.
B. 244, Rapporto segreto n. 200/123, Sforza a Tarchiani, 10/01/1950: dipartimento di Stato, Cavendish Cannon.
B. 244, Rapporto segreto n. 1751/926, Tarchiani a Sforza, 16/2/1950: contatti con Dip. di Stato per Trieste.
B. 650, Tls 1057/336, Ufficio del Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 25/03/1953: proposta di Vidali e mozione del PSVG sulla questione di Trieste
B. 650, Tls 792/254, Ufficio del Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 09/03/1953: congresso del PCTLT
B. 650, Tls 2622, Ufficio Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 18/7/1953: proposta dell’Intersoc per il TLT
B. 650, Tls 1180, Ufficio del Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 03/04/1953: tentativi di scissione nel PCTLT
B. 650, Tls 5550, DGAP VI a amb. Messico, 24/4/1953: attività comunista in America Latina – Vidali
B. 650, Tls 1216/428, Ufficio del Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 13/04/1953: Giornale di Trieste su Vidali
B. 650, Tls 5373, DGAP IV a amb. Londra, Mosca, Parigi, Washington, del 21/04/1953: “Discorso a Vidali” del Giornale di Trieste, risposta de l’Unità
B. 650, Tls 1316/428, Ufficio del Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff. zone di confine 16/04/1953: risposta di Vidali al Giornale di Trieste
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B. 650, Tls 5913, DGAP IV a amb. Londra, Mosca, Parigi, Washington, del 2/5/1953: “Discorso a Vidali” del Giornale di Trieste
B. 632, Tls 4202/1396 Ufficio Consigliere Politico Italiano a Trieste a Mae/PdC Uff zone di confine, 1/12/1953: colloquio con Vidali e Teiner
B. 632, Tlg 15162 amb Mosca a Mae 7/12/1953: articolo Pravda “Chi ostacola soluzione questione Trieste”
B. 632,Tls 14/I5513 DGAP IV a amb. Ankara, Atene, Londra, Parigi, Washington 7/12/1953: Trieste – stampa sovietica
B. 632, Tls 15489 DGAP IV a amb. Londra, Parigi, Washington 5/12/1953: atteggiamento sovietico su Trieste
B. 632, Tlg 1059 amb. Washington a Mae 1-12-1953: Tito aggressivo dopo morte Stalin perché di nuovo accordatosi con Urss