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Kaiak. A Philosophical Journey, 1 (2014): Sottosuoli 1 Data di pubblicazione: 23.11.2014 Paola de Conciliis La memoria e il sottosuolo Topografia minima/mediterranea delle tracce dell’uomo nella profondità della terra 1. L’esperienza della superficie delle cose sembra essere alla base della rappresentazione delle cose stesse. L’uomo ha nozione, mediata attraverso i sensi, della crosta terrestre che abita e dei fenomeni che vi hanno luogo, e questa nozione, si direbbe, genera le immagini e le parole che la specie umana, nella sua peculiarità all’interno del regno animale, ha “creato” per esprimere la sua relazione con il mondo, la sua presenza/differenza sul pianeta e rispetto agli altri esseri. Ma è veramente solo questione di reazione a stimoli e rielaborazione del contenuto della griglia fenomenica ciò che, fin dalla preistoria, spinge l’uomo a ricrearsi un’immagine delle cose e dell’ambiente che lo circonda? Ciò non avviene in tutte le culture primitive, molte delle quali sono quasi aniconiche (ad esempio quella pellerossa), o producono oggetti ornamentali/mimetici in funzione puramente identificativa e rituale. È avvenuto però in un’area molto vasta attorno al Mediterraneo, in particolari contesti oro-geologici. Infatti la caratteristica originaria di tali immagini, che siano mandrie di bisonti (Francia) o vulcani in eruzione (Cappadocia), è quella di trovarsi su pareti di roccia, in grotte naturali o scavate dall’uomo stesso, il quale, come altre specie, vive e osserva la superficie, ma si rifugia e abita nel sottosuolo. E qui, all’interno, dove si offre uno schermo alla proiezione psichica, l’uomo elabora la sua appropriazione magica del fuori, ne esorcizza la forza devastante e incontrollabile, immortala la sua fonte di sostentamento inaugurando il carattere sacro di talune specie animali, oppure sperimenta un abbozzo di imago sui lasciando l’impronta delle sue mani. Lascia memoria di sé. La seconda esperienza primitiva e fondante per l’essere umano è quella della morte dei suoi simili, e anche in questo caso è nell’interno che si svolge il dramma paradossale della presenza/assenza del morto, cadavere e spirito, poiché una parte separata della cavità abitata diviene sepoltura. Dalla gestione del pathos di questa convivenza e dalla risposta religiosa al problema di separare l’aldiqua dall’aldilà nasce la prassi del sottosuolo come necropoli, a cui si affiancherà quella di rifugio per la comunità religiosa in pericolo, Serpente a tre teste, Tomba della quadriga del demone dai capelli rossi, Sarteano, (SI), sec. IV a. C. Tauroctonia affrescata nel mitreo di Santa Maria Capua Vetere, sec. II d.C Nefertari offre doni alla dea Hator, 1250 a. C. ca. Rilievo dipinto. Tomba ipogea della regina Nefertiti. Charun e Vanth, dalla necropoli di Cerveteri, sec. III a. C.

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Kaiak. A Philosophical Journey, 1 (2014): Sottosuoli

1 Data di pubblicazione: 23.11.2014

Paola de Conciliis

La memoria e il sottosuolo

Topografia minima/mediterranea delle tracce dell’uomo nella profondità della terra

1. L’esperienza della superficie delle cose sembra essere alla base della rappresentazione delle cose stesse. L’uomo ha nozione, mediata attraverso i sensi, della crosta terrestre che abita e dei fenomeni che vi hanno luogo, e questa nozione, si direbbe, genera le immagini e le parole che la specie umana, nella sua peculiarità all’interno del regno animale, ha “creato” per esprimere la sua relazione con il mondo, la sua presenza/differenza sul pianeta e rispetto agli altri esseri. Ma è veramente solo questione di reazione a stimoli e rielaborazione del contenuto della griglia fenomenica ciò che, fin dalla preistoria, spinge l’uomo a ricrearsi un’immagine delle cose e dell’ambiente che lo

circonda? Ciò non avviene in tutte le culture primitive, molte delle quali sono quasi aniconiche (ad esempio quella pellerossa), o producono oggetti ornamentali/mimetici in funzione puramente identificativa e rituale. È avvenuto però in un’area molto vasta attorno al Mediterraneo, in particolari contesti oro-geologici. Infatti la caratteristica originaria di tali immagini, che siano mandrie di bisonti (Francia) o vulcani in eruzione (Cappadocia), è quella di trovarsi su pareti di roccia, in grotte naturali o scavate dall’uomo stesso, il quale, come altre specie, vive e osserva la superficie, ma si rifugia e abita nel sottosuolo. E qui, all’interno, dove si

offre uno schermo alla proiezione psichica, l’uomo elabora la sua appropriazione magica del fuori, ne esorcizza la forza devastante e incontrollabile, immortala la sua fonte di sostentamento inaugurando il carattere sacro di talune specie animali, oppure sperimenta un abbozzo di imago sui

lasciando l’impronta delle sue mani. Lascia memoria di sé. La seconda esperienza primitiva e fondante per l’essere umano è quella della morte dei suoi simili, e anche in questo caso è nell’interno che si svolge il dramma paradossale della presenza/assenza del morto, cadavere e spirito, poiché una parte separata della cavità abitata diviene sepoltura. Dalla gestione del pathos di questa convivenza e dalla risposta religiosa al problema di separare l’aldiqua dall’aldilà nasce la prassi del sottosuolo come necropoli, a cui si affiancherà quella di rifugio per la comunità religiosa in pericolo,

Serpente a tre teste, Tomba della quadriga del demone dai

capelli rossi, Sarteano, (SI), sec. IV a. C.

Tauroctonia affrescata nel mitreo di Santa Maria Capua

Vetere, sec. II d.C

Nefertari offre doni alla dea Hator, 1250 a. C. ca.

Rilievo dipinto. Tomba ipogea della regina Nefertiti.

Charun e Vanth, dalla necropoli di Cerveteri, sec. III a. C.

Kaiak. A Philosophical Journey, 1 (2014): Sottosuoli

2 Data di pubblicazione: 23.11.2014

secondo un ritorno alle origini preistoriche. Parallelamente, alle pareti interne di questi spazi e solo in un secondo momento a quelle degli spazi costruiti in superficie, sub divo, si accorda la proprietà di schermi su cui evocare la presenza dei defunti e il loro habitat ultraterreno, come per egizi ed etruschi, e la divinità stessa, sia in quanto presidio del mondo di là, sia in quanto la comunità ha divinizzato i suoi defunti più illustri, faraoni, eroi e poi santi cristiani. 2. Lo sviluppo storico della peculiarità umana nei confronti delle altre specie passa attraverso la creazione di spazi simbolici, e questo avviene prima mediante l’immagine che mediante la parola. Se è ormai pacifico che il linguaggio sia la forma, la matrice della psiche, e che l’individuo si costruisce come coscienza strutturando verbalmente il fascio di differenze che esso è di fronte agli altri, il luogo in cui gli individui si trovano insieme, riconoscendosi liberamente o forzatamente, è creato inizialmente come tale dalle immagini di cui tutti sono testimoni, siano esse la rappresentazione del mondo di fuori, o l’evocazione dell’Altrove. Il mondo fenomenico, così come lo scambio sociale linguisticamente strutturato, non esauriscono infatti le proiezioni psichiche, siano esse legate a desideri o a timori: sono le rappresentazioni paradisiache o infernali, come garanti della redenzione o della dannazione post mortem, a fare del luogo uno spazio umano. Se nel corso dei secoli la colonizzazione massiccia e capillare della superficie e la costruzione di edifici1 è ovviamente il segno dell’affrancamento dell’uomo dalla condizione tipicamente animale dell’abitante delle grotte, è anche vero che tale uso del sottosuolo a scopo protettivo e rituale non viene mai meno e si associa anzi all’accentuazione del carattere di limen di una tipologia di luoghi in cui

il richiamo atavico al lato oscuro e strapotente della natura produce una fascinazione di tipo sacrale e le profondità geologiche, come anche i siti montuosi di difficile accessibilità, sono vissuti come allusione al confine tra visibile e invisibile. Il terzo tratto distintivo nella filogenesi umana è in effetti la ricerca del proprio limite superiore, l’oltreumano, per definizione invisibile, ma non in-immaginabile.

1 Sulle pareti esterne di templi e chiese compaiono, come dediche e formule di preghiera, lunghe annotazioni scritte, mentre alle immagini devozionali si aggiungono i tituli, a certificarne l’identità, sintomo di uno stadio in cui la forza autonoma dell’immagine va scemando, rispetto alla pregnanza comunicativa della scrittura pittografica. Al polo opposto, nell’Islam maturo, la calligrafia coranica assolve come decorazione della moschea il ruolo connotativo e trascendente che le immagini ricoprono nello spazio ecclesiale (cfr. P. Florenskij, Le porte regali, Milano Adelphi 2012, pp. 52 -53). Per un’utile riflessione sulla distanza che separa la concezione assolutamente impersonale e “sonora” del Logos divino nell’Islam e le possibilità dell’icona cristiana di racchiudere in forme figurative contenuti spirituali e simbolici completamente astratti, rimandiamo al testo di M. Cacciari, Tre icone, Milano Adelphi, 2007.

Cristo-Sole, Necropoli vaticana,

Mausoleo dei Giuli, sec. III.

Iconostasi della chiesa di San Michele a

Pedoulas (Cipro), sec. XV

La grotta dell’Arcangelo Michele a Monte Sant’Angelo

Moschea del Venerdì, sec. XI, Isfahan (Iran)

Kaiak. A Philosophical Journey, 1 (2014): Sottosuoli

3 Data di pubblicazione: 23.11.2014

3. Questi elementi di separazione dalla sfera animale che abbiamo raggruppato attorno al linguaggio, alla scelta di luoghi e alla collocazione di immagini in essi, da cui scaturisce la loro valenza simbolica, sono a nostro avviso propri di ogni gruppo umano allo stadio preistorico, anche se non dovunque compare la dialettica superficie-sottosuolo, così come non tutte le culture conoscono il passaggio dagli oggetti rituali alle immagini cultuali, o dalla designazione del luogo sacro comunitario con materiali effimeri o formalmente poco caratterizzati (un palo, dei massi, un tumulo) alla decorazione pittorica del luogo stesso, spazialmente delimitato e strutturato. Quello che intendiamo mostrare è che nel bacino del Mediterraneo, dall’Africa settentrionale al Medio Oriente, dall’Europa continentale romanizzata all’Afghanistan influenzato dalle spedizioni di

Alessandro Magno, ad una serie di testimonianze preistoriche caratterizzate da precoci passi in senso iconico e spaziale fa seguito una serie impressionante di civiltà storiche, di cui il Cristianesimo è solo l’ultima in ordine cronologico, che presentano una spiccata tendenza sia alla produzione di immagini di grande potere evocativo, sia alla conservazione di una dialettica interna tra la costruzione verso l’alto e lo scavo verso il profondo. Questa sembra raddoppiare “simbolicamente” una sorta di dicotomia o ambiguità tra l’appropriazione del mondo fenomenico, in senso tecnico e materialistico, e la ricerca della “cosa in sé”, del trascendente, in senso mistico.2 Non è forse superfluo aggiungere, allargando lo sguardo verso l’Asia e le sue manifestazioni religiose, che la distinzione tra il visibile e l’invisibile che qui andiamo richiamando, appoggiando tacitamente il discorso su pilastri del pensiero occidentale quali Platone e Kant, fino a sfiorare il tema heideggeriano dell’apertura dell’Essere nell’immagine/opera, non potrebbe aiutarci se interrogassimo con questi strumenti la produzione di immagini di culture quali l’Induismo, nelle sue varie fasi, il Buddhismo nella sua forma bramanizzata di religione popolare – non in quella originaria di filosofia nichilista – o il Tao. Se alcuni psicologi arrivano ad ipotizzare una

differenza nello sviluppo storico tra la “mente” occidentale e quella orientale3, è sicuramente constatabile che l’interpretazione del culto e del misticismo in questi politeismi non presenta forti tangenze con il tema qui trattato. Dotate di mitologie complesse e stratificate, in cui non si ravvisa una logica esclusiva né una dialettica tra bene e male, ma piuttosto una moltiplicazione caleidoscopica delle manifestazioni del divino e la riproduzione ciclica delle forze naturali, queste culture non conoscono il senso dell’apparizione in un luogo inaccessibile o l’investimento simbolico sulla presenza dell’immagine e del suo referente ultraterreno, mostrandosi al contrario più inclini all’interiorizzazione dell’esperienza mistica, intesa come ricerca liberatoria dell’Essere impersonale e universale sotto le diverse forme illusorie degli esseri, materiali e immateriali. D’altra

2 Dell’enorme potere di attrazione e dell’influenza che le civiltà delle immagini esercitarono su quelle ruotanti invece attorno ad un divieto di rappresentare “la vita”, sia dell’aldiqua che dell’aldilà, sono testimonianza le licenze pittoriche dei miniatori persiani medievali, e le pitture murali rinvenute in sinagoghe del II e III secolo d. C. in area mediorientale (Dura Europos), assolutamente omogenee ai corrispettivi coevi pagani e paleocristiani. 3 Cfr. in proposito C. Bollas, La mente orientale. Psicoanalisi e Cina, Raffaello Cortina Editore, Milano 2013.

Catacombe di San Gennaro: la piccola Nonnosa (al centro) tra

la madre Ilaritas (a sinistra) ed il padre Theotecnus (a destra),

affresco, Napoli, sec. II d.C.

Catacombe di San Gennaro: esterno della tomba di Cerula,

Napoli sec. V-VI

Nonantola, abbazia di San Silvestro, cripta, sec. X-XI

Kaiak. A Philosophical Journey, 1 (2014): Sottosuoli

4 Data di pubblicazione: 23.11.2014

Sainte-Chapelle, interno, 1241-1248, Parigi, Francia

Andrej Rublev, Icona della Trinità, o icona di San

Sergio, 1420 ca., Mosca, Galleria Tre’tjakov

parte le dottrine orientali sono più indifferenti allo status metafisico delle immagini, pur proliferanti in pittura e scultura nei loro templi, vissute dai fedeli quali meri supporti alla preghiera (nel buddhismo tibetano le complesse iconografie stilizzate di stoffe e pitture costituiscono itinerari mentali per la meditazione) e fatte oggetto di rituali sacrificali e offerte molto “esteriori”, a fronte del rigoroso simbolismo monoteista del sacrificio. 4. La morte e l’ultraterreno sono strettamente legate all’ambiente sotterraneo, sia dal punto di vista della ritualità funebre che da quello della localizzazione mitica, nell’intero bacino del Mediterraneo. Per comprendere il carattere peculiarmente ctonio di alcune localizzazioni devozionali nel cristianesimo, come il culto micaelico e poi quello mariano, è indispensabile fare riferimento al simbolismo giovanneo della lux in tenebris, ma anche alla narrazione apocalittica delle gesta dell’arcangelo Michele, che agiscono nei primi secoli anche in concorrenza ai sopravvissuti culti solari e ai riti iniziatico-misterici, che prediligevano le ambienta-zioni sotterranee o rupestri. La vocazione del cristianesimo ad essere una religione del memoriale, basata su un sacrificio storicizzato e ritualizzato, e sulla trasmissione delle leggende sorte attorno alla vita dei santi, tratto paragonabile solo alla tendenza analoga sviluppata dall’Islam intorno ai luoghi della vita del Profeta, ha incrociato nei primi secoli della sua diffusione un territorio che, per le sue caratteristiche, offriva molti luoghi adatti a proseguire e sviluppare la tecnica edilizia e le abitudini abitative dei romani, volte a sfruttare differenzialmente materiali e conformazione orografica dei territori conquistati. Questo contesto storico-ambientale realizza in superficie, sub divo, il percorso ben noto dell’architettura sacra europea, che muove dall’assimilazione e dall’utilizzo “significativo” delle tipologie di edifici imperiali quali basiliche, mausolei e templi, fino alla rielaborazione dell’assetto urbanistico della polis greco-romana nello schema dei chiostri monastici medievali e alla successiva creazione di un modello di “luogo” del divino, la cattedrale gotica, in

cui la teologia della luce, di origine ellenistica, incontra l’ambizione della società occidentale a “conquistare” il cielo. Per quanto a prima vista sembri una tensione verso l’immateriale, cioè verso l’invisibile, questo è un primo passo in direzione della secolarizzazione/esteriorizzazione dello spazio ecclesiale, che si accompagna alla sua definizione volumetrica illusionistica: la veicolazione di un messaggio attraverso il linguaggio formale, la cui funzionalità iperrazionale viene esibita nella trama di sostegni e nervature, è il vero anticipo della riconquistata razionalità prospettico-proporzionale degli

Cattedrale di Lincoln, veduta della navata, Inghilterra, fine sec. XII-

inizio sec. XIV

Kaiak. A Philosophical Journey, 1 (2014): Sottosuoli

5 Data di pubblicazione: 23.11.2014

architetti rinascimentali. L’unica vera differenza consiste nel pathos fideistico che ancora influiva sulle maestranze medievali, sostenuto dalla sfida – tutta fisica e realissima – delle strutture ardite e rischiose, ancora non supportate da adeguate conoscenze matematiche e ritrovati tecnologici

moderni. Diversamente, la spiritualità che si esprime nella decorazione e nella ricerca di luoghi “limite”, come gli ambienti rupestri, sembra mantenere un contatto con la dimensione segreta delle religioni alle loro origini, così come predispone ad un’interpretazione mistica del luogo stesso. Esso è il luogo dell’apparizione, celato ai più, oggetto di pellegrinaggio e nelle sue prossimità è benefica la sepoltura. Qui agisce il “lato oscuro” del cristianesimo, le sue radici di clandestinità e ascetismo si intrecciano alla vita delle comunità successive, e la morfologia “disumana” dei luoghi, la sua potente alterità rispetto al quotidiano, catalizzano sia le aspettative verso il sacro, sia la ricerca di un superamento mistico-ascetico della vita comunitaria ordinaria. La permanenza nei secoli e la distribuzione delle tipologie di luoghi sotterranei o rupestri fornisce un’indicazione sul senso dell’esperienza del divino, sulla ricerca di un collegamento tra la natura familiare della pietra scavata e utilizzata per abitazioni urbane o rurali e lo spazio vuoto da essa lasciato, il ventre della terra, abitato

dal divino e perciò idoneo alle funzioni ecclesiali4. La dedica di un luogo ad un santo o alla vergine, al di là dell’uso di officiare chiese rupestri, cappelle all’interno di necropoli, o vere e proprie basiliche sotterranee, è sempre legato alla mistica dell’atto stesso dell’escavazione, della discesa agli inferi, è originariamente un gesto di risarcimento del sacrilegio compiuto, una captatio benevolentiae. La predilezione degli eremiti per tali luoghi e la diffusione nell’Oriente bizantino di monasteri ricchissimi di cicli figurativi dipinti sulle pareti scavate nella roccia, fanno da contraltare al dispiegamento in Occidente di un’attitudine via via più “laica” nei confronti dell’immagine sacra e della sua collocazione all’interno dello spazio ecclesiale. 5. La decorazione lapidea dei sostegni architettonici, nella grande impresa collettiva dei santuari romanici e gotici, esprime, con la preziosità del materiale e la sua resistenza al tempo, l’ambizione delle gerarchie ecclesiastiche e urbane. La decorazione pittorica “povera” dei luoghi sotterranei, soprattutto negli ambienti rurali e monastici, esprime invece una necessità e un desiderio di vedere il divino in un luogo, come incontro più che come monito. Dal punto di vista teologico, la funzione della roccia è analoga a quella

4 Per un’analisi della pittura sacra medievale negli insediamenti rupestri in Italia meridionale, fonte di utili rilievi sul carattere espressivo occidentale che si affianca alle tradizioni figurative greche, rimandiamo alla tesi di dottorato di M. L. Ricci, Per un catalogo informatico degli affreschi medievali nelle chiese rupestri della Basilicata, Napoli 2004-2006, in corso di pubblicazione, per la cui consultazione ringraziamo l’Autrice.

Chiesa rupestre nella valle di Goreme, Cappadocia, sec. XI-XII

Chiesa di S.Maria foris portas, Castelseprio, (VA),

sec. IX (?)

Cripta dell’abate Epifanio, San Vincenzo al Volturno, (IS),

prima metà sec. IX

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6 Data di pubblicazione: 23.11.2014

dell’iconostasi delineata da Florenskji5, di schermo su cui evocare lo sguardo divino dei santi, la presenza dei quali nelle icone, testimoni con la propria ascensione e visione personale del mistero, rammemora agli astanti, meno dotati misticamente, che dietro le tavole vive, al di là delle “porte regali”, si trova l’Altro. Iconostasi rovesciata verso l’interno, accogliente ed epifanica, la grotta dipinta a colori smaglianti e spesso secondo le medesime regole formali della pittura su tavola, è il non-luogo, il santuario virtuale dove l’invisibile si rende accessibile, sotto l’occhio benevolo delle figure celesti. Piccole comunità, ma anche metropoli come la Napoli ducale delle catacombe di San Gennaro, spesso fortemente legate a culti locali, passano più agevolmente dalle figure degli oranti, dall’icona del santo sulla parete scavata, alla narrazione “a nastro” sulle pareti delle chiese o “a spicchi” sulle volte, accogliendo una tipologia tardo romana (cfr. ad esempio i mosaici romani e ravennati del IV e V secolo), piuttosto che ad un’altra, cioè l’aula, anche sotterranea, dai sostegni riccamente

intagliati, luogo delle cerimonie imperiali e diffusa in area bizantina e poi nell’ impero carolingio e ottoniano, il cui centro o abside ospita il reliquiario – oggetto, non immagine, la cui presenza giustifica e sacralizza l’intera materia dell’edificio soprastante. Se da questa tipologia di cripta deriva quasi direttamente lo sviluppo dell’abside gotica nord europea, superfetazione del reliquiario prezioso, più frastagliato è il percorso dell’icona murale, a cui nei secoli si sostituisce il simulacro scultoreo (Vergine, San Michele, ecc.), mentre la morfologia della roccia viene a poco a poco monumentalizzata e resa abitabile (cfr. l’atrio e la torre gotici aggiunti in epoca angioina all’ingresso della grotta verso il borgo di Monte Sant’Angelo sul Gargano), a mano a mano che il culto si attira la protezione reale. Non a caso le località più periferiche rispetto al centro del potere politico ed ecclesiastico, ideologicamente più lontane dalla “fede trionfante”, sono di solito più conservativi, ma più vivaci ed espressive anche laddove si abbandona il sottosuolo (oltre ai citati monasteri della Cappadocia, come quelli celebri di Goreme, esempi altomedievali in Italia meridionale e settentrionale: cripta di Epifanio a San Vincenzo al Volturno; S. Maria foris portas a Castelseprio in Lombardia).

5 Cfr. P. Florenskji, op. cit., pp. 55-59.

Giotto di Bondone e aiuti, affreschi nella Basilica inferiore di San Francesco,

Assisi

Profeti e regine. Portale dei Re, 1145-1155 ca., Chartres, cattedrale di

Notre-Dame

Particolare lesene e capitelli, Cattedrale di Saint Lazare Autun, 1130 ca.

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6. In conclusione, vorremmo suggerire che dalla dimensione del sottosuolo, e dalle immagini che hanno trovato luogo in esso, deriva il carattere mistico, ma anche sognante e narrativo, che la decorazione pittorica degli spazi sacri, anche sub divo, può a nostro giudizio vantare rispetto alla scultura monumentale, con il suo incombere talvolta opprimente, talvolta estenuatamente elegante. Esempi possono esserne, ben oltre le soglie della religiosità medioevale, le Storie di San Francesco e quelle neotestamentarie dipinte dalla bottega di Giotto ad Assisi e la Leggenda della Croce di Piero della Francesca ad Arezzo, se messi a confronto con le serie dei capitelli borgognoni e con le statue-colonna dei portali gotici dell’ ホle de France. Ciò è probabilmente dovuto alla tendenza della comunità raccolta a rivivere nell’immagine dipinta la presenza e il tempo di una figura fondante, o un mito biblico, condiviso e coinvolgente, laddove la decifrazione dei simboli e l’identificazione dei personaggi scolpiti seguiva meno agevolmente l’impatto dato dal carattere orrido delle figure mostruose, così come l’imposizione della reverenza dovuta a quelle regali. L’aula dipinta, il sacello abitato dai volti dei santi, realizzano sia l’intento di biblia pauperum, sia, più efficacemente, il carattere visionario della Gerusalemme celeste.

Piero della Francesca, affreschi con la Leggenda della vera

Croce, Cappella Bacci, Basilica di San Francesco, Arezzo,

1453-66