sottocommissione sulle relazioni transatlantiche … · un effetto determinante sul futuro sviluppo...

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POLITICA 221 PCTR 10 rev. 1 Originale: Inglese Traduzione non ufficiale Assemblea parlamentare della NATO SOTTOCOMMISSIONE SULLE RELAZIONI TRANSATLANTICHE SICUREZZA NEL GOLFO E NELLA PENISOLA ARABICA: UN’AGENDA PER LA NATO RELAZIONE MIKE ROSS (STATI UNITI) RELATORE Segretariato Internazionale 14 novembre 2010 I documenti dell’Assemblea sono disponibili all’indirizzo web http://www.nato-pa.int

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POLITICA 221 PCTR 10 rev. 1 Originale: Inglese Traduzione non ufficiale

Assemblea parlamentare del la NATO

SOTTOCOMMISSIONE SULLE RELAZIONI TRANSATLANTICHE

SICUREZZA NEL GOLFO E NELLA PENISOLA

ARABICA: UN’AGENDA PER LA NATO

RELAZIONE

MIKE ROSS (STATI UNITI) RELATORE

Segretariato Internazionale 14 novembre 2010

I documenti dell’Assemblea sono disponibili all’indirizzo web http://www.nato-pa.int

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INDICE

I. INTRODUZIONE ......................................................................................................................... ii

II. L'IMPORTANZA STRATEGICA DELLA REGIONE ................................................................... 1

III. LE SFIDE ALLA SICUREZZA NELLA REGIONE DEL GOLFO E DELLA PENISOLA ARABICA ................................................................................................................................... 2

A. LA PIRATERIA .................................................................................................................... 2

B. IL TERRORISMO ................................................................................................................ 3

C. LO YEMEN .......................................................................................................................... 4

D. L’IRAQ................................................................................................................................. 5

E. L’IRAN ................................................................................................................................. 6

IV. IL RUOLO DEL CONSIGLIO DI COOPERAZIONE DEL GOLFO (GCC) ................................. 8

V. LA NATO NELLA REGIONE .................................................................................................... 10

VI. CONCLUSIONI ........................................................................................................................ 11

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Fonte: The University of Texas at Austin - http://www.lib.utexas.edu/maps/asia.html

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I. INTRODUZIONE 1. La sicurezza del Golfo e della penisola arabica è di importanza strategica per l'Alleanza. Tuttavia, la mutevole situazione della sicurezza della regione suscita notevole preoccupazione tra gli Alleati e nella comunità internazionale. L'instabilità dell’Iraq e dello Yemen, l’Iran, la continua minaccia posta dai gruppi terroristici attivi a livello internazionale, nonché la pirateria al largo del Corno d'Africa sono tutti fattori che contribuiscono a determinare la difficile situazione della sicurezza. 2. Il presente documento valuta l'attuale contesto politico e della sicurezza nel Golfo e nella penisola arabica e illustra brevemente l'attuale ruolo della Nato nel Golfo, con particolare riferimento all’Iniziativa di cooperazione di Istanbul (ICI)1. Il relatore formula alcuni suggerimenti su come l'Alleanza potrebbe incrementare il proprio contributo alla sicurezza della regione e conclude che un approccio e una presenza più ampi della Nato nel Golfo dovrebbero basarsi su interessi condivisi e fiducia reciproca, ponendo l'accento sulla diplomazia, la cooperazione in materia di sicurezza e il coordinamento con gli Stati del Golfo. II. L'IMPORTANZA STRATEGICA DELLA REGIONE 3. Le abbondanti risorse energetiche e la posizione geografica, nodale per il commercio e il traffico marittimo internazionale, rendono il Golfo e la penisola arabica di importanza strategica per la Nato. Il Golfo detiene all’incirca il 60 per cento delle riserve petrolifere accertate del mondo e circa il 45 per cento delle riserve di gas naturale. Gli Alleati europei attualmente importano dal Golfo approssimativamente il 20 per cento della loro energia, una percentuale che, secondo le previsioni, raggiungerà il 45 per cento entro il 2030. Gli Stati Uniti importano dalla regione circa il 17 per cento delle loro forniture petrolifere. Il Giappone, un ‘partner mondiale della Nato’, dipende in larga misura dalle risorse energetiche del Medio Oriente, così come la Cina che è già il massimo importatore di energia dalla regione. L'importanza strategica della regione è destinata ad aumentare, anche a causa del suo ruolo essenziale nel quadro dell'economia mondiale. Secondo le stime dell'Agenzia Internazionale dell'Energia (AIE), il fabbisogno di energia primaria nel mondo crescerà del 55 per cento tra il 2005 e il 2030. 4. L'importanza strategica della regione deriva, inoltre, dalla sua funzione di punto di snodo per i trasporti. Secondo l'International Navigation Authority (INA), il 10 per cento di tutti gli scambi commerciali internazionali passa attraverso la regione. Lo Stretto di Hormuz nel Golfo e lo stretto di Bab al-Mandab, che collega il Mar Rosso con il Golfo di Aden, sono due vie di navigazione fondamentali per il trasporto dell’energia. Una parte consistente delle esportazioni di petrolio a livello mondiale, circa 3,3 milioni di barili di petrolio al giorno (MMbd), passa attraverso il Golfo di Aden. Nel punto di minore ampiezza, cioè lo stretto di Bab al-Mandab, il Golfo di Aden è largo soltanto 28 km. Parallelamente, lo Stretto di Hormuz, che rende possibile il 40 per cento del

1 Bahrain, Qatar, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti

(Source : http://www.eoearth.org/article/Bab el-Mandeb)

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commercio mondiale via mare di petrolio, nonché la totalità delle esportazioni di gas naturale liquefatto (GNL) del Golfo, ha una larghezza minima di soli 50 km. III. LE SFIDE ALLA SICUREZZA NELLA REGIONE DEL GOLFO E DELLA

PENISOLA ARABICA 5. La regione soffre inoltre di una persistente instabilità e i paesi del Golfo e della penisola arabica si trovano ad affrontare una serie di sfide alla sicurezza, tra cui il terrorismo interno e quello internazionale, la permanente instabilità dello Yemen e dell’Iraq, la pirateria, nonché il programma nucleare dell’Iran e le sue prese di posizione in materia di politica estera e di sicurezza. La presente relazione si concentra sulle questioni di sicurezza a cui la Nato, nella sua qualità di organizzazione, può apportare il proprio contributo, tuttavia, può essere utile elencare brevemente le sfide non-militari presenti nella regione. 6. Inoltre, sull’agenda della comunità internazionale incombono problemi demografici, economici e ambientali. Problemi relativi all'accesso al cibo, all’acqua e all’energia; all’aumento della popolazione; a carenze strutturali economiche e all’inflazione. Tutti richiedono un approccio globale alla sicurezza del Golfo, in quanto rischiano di deteriorare il contratto sociale che lega lo Stato e la società nei paesi del Golfo. Gli stati del Golfo sono sotto pressione perché siano creati posti di lavoro nei prossimi decenni, considerata la rapida crescita della popolazione2 e la mancanza di opportunità di lavoro. Per di più, gli attuali tassi di spesa sociale e i meccanismi ridistribuitivi sono insostenibili e richiederanno una riesame del contratto sociale. Questo potrebbe, però, rappresentare una seria sfida alla legittimità del regime attuale, dato che, in questi paesi, la fornitura di beni pubblici è vista come un diritto della cittadinanza. 7. Le falde freatiche si stanno riducendo in tutta la regione, poiché la domanda di approvvigionamento, proveniente dalle popolazioni in rapida urbanizzazione e industrializzazione, è superiore all'offerta di acqua fossile o ricavata dalle falde acquifere locali. Per di più, si sono già palesate sacche di penuria energetica e di dipendenza dalle importazioni di gas naturale, ciò perché le risorse non sono equamente distribuite nella regione. Tutto questo, naturalmente, avrà un effetto determinante sul futuro sviluppo della regione e rischia di rappresentare una potenziale fonte di tensioni e insicurezza. Sulla base dei ritmi di produzione del 2006, si stima che il Bahrain, l’Oman e lo Yemen esauriranno le rispettive riserve di petrolio entro il 2025. 8. L'attuale capacità delle autorità statali di rispondere alla crescente domanda di servizi, sanità, istruzione e occupazione è messa a dura prova; la regione è stata fortemente colpita dalla concomitanza del crollo del prezzo del petrolio e della crisi economica mondiale e molti progetti di sviluppo sono in pericolo. L'esistenza di un gran numero di lavoratori migranti, privi di diritti civili o politici e con pochissimi diritti economici, è un'ulteriore fonte di insicurezza umana e una potenziale minaccia per gli Stati del Golfo. Considerando, poi, che tutti patiscono l’aumento della disoccupazione interna, la crescente dipendenza dai lavoratori dall’estero non può che portare a tensioni significative in futuro. Gli Stati del Golfo sono particolarmente minacciati dalle conseguenze dei cambiamenti climatici dovuti ai modelli di insediamento costiero. Isole come il Bahrain (il cui punto più alto è a soli 122 metri sul livello del mare) sarebbero naturalmente interessate da eventuali cambiamenti del livello delle acque. A. LA PIRATERIA 2 Il Population Reference Bureau calcola che le popolazioni dei paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo

(GCC) aumenteranno di una percentuale tra il 42 e l’80 per cento in ciascun paese fino al 2050, e del 151 per cento nello Yemen. I dati statistici per il 2008 mostrano anche un grande incremento della popolazione giovane infatti la percentuale di giovani sotto i 24 anni varia dal 19 per cento degli Emirati Arabi Uniti e 24 per cento del Kuwait fino al 38 per cento dell’Arabia Saudita e al 45 per cento dello Yemen.

http://www.prb.org/Datafinder/Geography/MultiCompare.aspx?variables=30®ions=

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9. Con il 37 per cento di tutti gli attacchi verificatisi nel 2008, il Golfo di Aden è diventato il centro di maggiore attività della pirateria mondiale. Questa zona è un’importante rotta marittima attraverso cui, ogni anno, passa il 12 per cento del traffico petrolifero mondiale. Secondo i Commercial Crime Services della Camera di Commercio Internazionale, nel 2009, il numero di atti di pirateria è stato notevolmente superiore a quello del 2008. I pirati somali ottengono riscatti per milioni di dollari e c’è il timore che possano diventare agenti di reti terroristiche internazionali. Il denaro raccolto dai riscatti è già stato utilizzato per finanziare la guerra in Somalia, nonché per sostenere il gruppo terroristico militante di Al-Shabaab. 10. Il pericolo e i costi della pirateria (i premi assicurativi per il Golfo di Aden si sono decuplicati dal momento dall'inizio della recrudescenza della pirateria somala, mentre il settore del trasporto marittimo ha perso 13-15 miliardi di dollari) comportano il fatto che il trasporto marittimo potrebbe essere costretto a evitare il Golfo di Aden/canale di Suez e a cambiare rotta doppiando il Capo di Buona Speranza. Ciò provocherebbe un aumento notevole dei costi dei manufatti e del petrolio proveniente dall'Asia e dal Medio Oriente. Il forte incremento della pirateria nella regione ha portato a una presenza navale internazionale senza precedenti al largo del Corno d'Africa, con la partecipazione di una grande varietà di attori. Oltre alle tre operazioni multinazionali (la CTF 151 a guida USA, la NAVFOR-Atalanta dell’Unione europea e la Ocean Shield della Nato) attualmente dispiegate nella regione, sono presenti anche molte altre marine militari. Il Giappone, che, nel luglio 2009, ha adottato una nuova legge anti-pirateria con cui estende il mandato e i poteri delle navi giapponesi impegnate in operazioni di contrasto alla pirateria, ha inviato nella regione due navi e due aerei da pattugliamento marittimo. Dal mese di ottobre 2008, la Russia è presente nella regione con proprie navi e sia la Federazione russa sia la Nato si sono dichiarate disponibili a valutare l’ipotesi di intensificare la loro cooperazione in attività di contrasto alla pirateria. Dal dicembre 2008, inoltre, è presente nella zona anche la marina militare della Cina, che, per la prima volta, dispiega all'estero le proprie navi per un intervento attivo. Anche se il coordinamento tattico tra i diversi contributi nazionali e multinazionali è già stato notevolmente incrementato, c'è ancora spazio per ulteriori miglioramenti.3 B. IL TERRORISMO 11. I gruppi terroristici, tra cui Al-Qaida, continuano a rappresentare una seria minaccia per i paesi del Golfo e della penisola arabica. Al-Qaida ha ricostituito alcune delle sue capacità operative, in particolare nello Yemen. Inizialmente ritenuti decisamente immuni dalla minaccia, anche gli Emirati Arabi Uniti (EAU) sono stati interessati dal terrorismo, agli inizi del 2009, quando le autorità hanno smantellato un’importante banda di terroristi collegata ad Al-Qaida. che aveva progettato di far saltare in aria obiettivi simbolo a Dubai, come le Dubai Towers. 12. In seguito a una ondata di attentati compiuti, nel 2003, dall’organizzazione ‘Al-Qaida nella penisola arabica’ (AQAP) contro la Casa regnante dei Saud e alcune installazioni occidentali, il ministro dell’Interno dell’Arabia saudita e i responsabili del servizio antiterrorismo hanno adottato un atteggiamento più deciso e sono stati ampiamente efficaci nel riuscire a porre fine alle attività in Arabia Saudita di quell'organizzazione. Tuttavia, il successo conseguito dai sauditi nel contrasto ai terroristi, ha spinto l'AQAP a spostare le proprie operazioni nello Yemen, dove ha potuto trarre vantaggio dalla debolezza delle strutture statali. Lo Yemen è caratterizzato da 3.000 km di litorale, da un territorio desertico e montagnoso difficile, dall'accesso allo stretto di Bab al-Mandab e dall’essere l'unico paese da cui il petrolio può raggiungere il mare aperto senza attraversare né lo Stretto di Hormuz né il Canale di Suez. Per tutto questo, lo Yemen rappresenta un rifugio strategico e sicuro per Al-Qaida, per il movimento salafita-jihadista in generale e per varie reti del crimine organizzato. A seguito della fusione di AQAP con Al-Qaida in Yemen, questo paese è diventato il nuovo centro di gravità per Al-Qaida nella penisola arabica. Inoltre, secondo quanto 3 Per ulteriori informazioni dettagliate, vedi l'eccellente relazione di Lord Joplin per la Commissione per la

dimensione civile della sicurezza “The Growing Threat of Piracy to Regional and Global Security” [169 CDS 09 E rev. 1]

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riferiscono i mezzi di informazione, le fila di AQAP si sono ingrossate grazie ai combattenti di Al-Qaida provenienti dal Pakistan e dall’Afghanistan, in cerca di rifugi sicuri in Yemen e in Somalia. 13. Alla fine del 2009, l'Arabia Saudita è stata coinvolta in un conflitto, nello Yemen settentrionale, tra i ribelli di Al-Houthi e il governo yemenita, quando i ribelli riuscirono a penetrare in territorio saudita e a occuparne una parte, comprendente anche alcuni punti di importanza strategica. Questo ha provocato la più vasta operazione militare saudita dai tempi dell’invasione del Kuwait da parte dell'Iraq nel 1990. Sebbene sia stato concluso un accordo per il cessate il fuoco, la situazione continua a essere precaria e le tensioni rimangono. C. LO YEMEN 14. Nel dicembre 2009, il fallito attentato al volo 253 della Northwest Airlines, ha portato lo Yemen alla ribalta internazionale. Il paese si trova ad affrontare una serie di problemi, tra cui la minaccia rappresentata da Al-Qaida, la ribellione dei seguaci di Al-Houthi nel Nord e un movimento secessionista nel Sud; è lo stato più povero del mondo arabo ed è in gravissime condizioni economiche. Più della metà della popolazione vive in povertà; il tasso di disoccupazione si attesta intorno al 35 per cento; all’incirca il 50 per cento della popolazione è analfabeta. Il tasso di natalità è uno dei più alti al mondo, per cui la popolazione yemenita è destinata a raddoppiarsi entro il 2030; quasi i due terzi dei circa 23 milioni di abitanti ha meno di 25 anni. Inoltre, lo Yemen è alle prese con il problema della graduale diminuzione delle risorse idriche, provocato dall’inesistente gestione di queste risorse, nonché dai mutamenti climatici. Per di più, si stima che il 40 per cento delle acque sotterranee sia utilizzato per la coltivazione delle piante di ‘qat’, una droga di cui si fa grande uso. Gli agricoltori continuano a consumare sempre più acqua per questa coltura altamente redditizia. Il 75 per cento della popolazione vive ancora in aree rurali, ma la penuria d'acqua porterà a un aumento significativo degli sfollati interni (IDP). Lo Yemen ha poche risorse naturali, se si eccettua il petrolio, la cui produzione, che attualmente rappresenta quasi l'80 per cento delle entrate del governo, si prevede che si esaurirà nel giro di una decina d’anni, limitando, quindi, ulteriormente le capacità del paese di risolvere le molte difficoltà che deve affrontare. Il governo centrale è debole e le sue politiche inefficaci hanno aggravato alcuni dei problemi esistenti, inoltre continua a perdere la capacità di controllo sul territorio che, a questo punto, è circoscritta alle principali città dell’altopiano nella parte settentrionale del paese. 15. Lo Yemen corre il rischio di diventare un vivaio di terroristi e un ricettacolo di estremisti: AQAP ha lanciato attacchi sia sullo stesso territorio yemenita sia a partire da quest'ultimo. Dall’Iraq e dall’Afghanistan rientrano combattenti islamici; nel 2009, circa un terzo dei prigionieri trattenuti a Guantanamo erano di origine yemenita. Il deterioramento della sicurezza nello Yemen potrebbe destabilizzare l'intera regione e aggravare pesantemente le sfide già poste dalla pirateria, dalla criminalità organizzata e dall'estremismo islamico, con gravi implicazioni per la sicurezza interna dei paesi vicini. Per combattere il terrorismo, lo Yemen ha bisogno di assistenza in materia di attrezzature e di formazione per le sue forze di sicurezza. 16. Una necessità forse anche più importante per il paese è l’elaborazione di una strategia di sviluppo a lungo termine in materia di infrastrutture, istruzione e sanità. Un passo nella giusta direzione è stato compiuto alla fine del gennaio 2010, quando la Conferenza di Londra ha istituito il gruppo ‘Amici dello Yemen’, che riunisce più di 20 paesi occidentali e arabi al fine di elaborare una strategia collettiva a favore dello Yemen. Gli impegni assunti, però, devono essere onorati. In una precedente conferenza dei donatori, svoltasi nel 2006, la comunità internazionale aveva promesso 5,7 miliardi di dollari, ma, a tutt’oggi, ne sono stati versati soltanto 250 milioni. Una delle ragioni principali di tale ritardo è la corruzione dilagante nel paese. Le gerarchie tribali continuano a essere elementi predominanti sulla scena politica yemenita. L'unificazione del paese, nel 1990, e la netta vittoria del Nord sul Sud, durante la guerra civile del 1994, hanno consolidato il potere

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delle tribù in prevalenza dello Yemen settentrionale sulle risorse statali. Gli apparati militari e di sicurezza del paese di fatto riflettono interessi tribali. 17. Anche se la sicurezza e il terrorismo rappresentano un problema grave per lo Yemen, la lotta contro gli elementi di Al-Qaida va inserita in un disegno strategico più ampio. L’assistenza estera è di fondamentale importanza per costruire le capacità dello stato, migliorare la governance e combattere la corruzione che dilaga nel paese. L'assistenza deve essere ben coordinata e coerente, e si deve concentrare su un programma a lungo termine di riforme in materia di sviluppo, economia e politica. Di conseguenza, i governi occidentali devono elaborare un approccio regionale efficace in collaborazione con gli Stati membri del Consiglio di cooperazione del Golfo, con particolare riferimento all'Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, che sono fondamentali per la stabilizzazione dello Yemen. La Nato, nella sua qualità di organizzazione, dovrà monitorare la situazione e, attraverso vari meccanismi di consultazione, incoraggiare i suoi partner nella regione ad adottare un approccio proattivo. D. L’IRAQ 18. Anche gli sviluppi della situazione in Iraq hanno un impatto importante sulla stabilità della regione. Nel complesso, i fenomeni di violenza in Iraq sono notevolmente diminuiti e la sicurezza è decisamente migliorata nel corso degli ultimi due anni. Tuttavia, anche se l'Iraq è diventato più sicuro di quanto non fosse fino a pochi anni fa, non è ancora un paese ‘normale’ nemmeno secondo i criteri di sicurezza invalsi nel mondo arabo, come ha illustrato Kenneth Pollack, direttore del Saban Center for Middle East Policy della Brookings Institution, alla Sottocommissione nel luglio 2010. Ogni mese, si verificano ancora episodi di violenza tra comunità, che provocano molte vittime. Inoltre, la corruzione e la criminalità organizzata continuano a prosperare, mentre le infrastrutture del paese, in particolare nel settore dell’acqua e dell’energia, sono decrepite e disastrate, a causa di vent’anni di deterioramento e di abbandono. I gruppi estremisti, che sono diventati più frammentati e più mobili, continuano a operare nel paese. Vi sono inoltre tensioni fra sunniti e sciiti, nonché controversie tra arabi e curdi. Il processo di "de-baathificazione" rimane il pomo della discordia e potrebbe inficiare l’azione di riconciliazione tra i gruppi etnici. Pertanto, il problema iracheno è "assolutamente non risolto", ha osservato Pollack, aggiungendo che vi è una reale possibilità che il paese possa nuovamente ripiombare in una grande guerra civile simile a quella vissuta tra il 2005 e il 2007. Infatti, ha spiegato, studi accademici sulle guerre civili tra comunità differenti hanno dimostrato che in circa la metà degli stati, che hanno sperimentato guerre civili della stessa natura di quella dell’Iraq, ci sono alte probabilità di una recrudescenza del conflitto, spesso nel giro di cinque anni. Per di più, se il paese possiede preziose risorse naturali come diamanti, oro o petrolio, la probabilità aumenta ancora di più. 19. L'Iraq rimane, perciò, estremamente esposto a una ripresa della guerra civile. Il nuovo governo iracheno dovrà affrontare tre questioni cruciali, vale a dire: i rapporti tra arabi e curdi, ivi compreso lo status di Kirkuk, la normalizzazione dei rapporti tra l’Iraq e il Kuwait e l'efficace gestione dei proventi del petrolio. Purtroppo, al momento della stesura della presente relazione, non è stato ancora raggiunto alcun accordo sulla formazione del nuovo governo dopo le elezioni politiche dei primi di marzo 2010. Secondo Pollack, queste elezioni sono state una "grande vittoria per il popolo iracheno", che ha largamente preferito i due partiti considerati maggiormente laici, meno legati alle milizie e meno associati al violento settarismo della guerra civile. Il voto riflette il fortissimo desiderio di cambiamento degli iracheni, in particolare rispetto a un nuovo governo rappresentativo e trasparente, che risponda alle loro esigenze. Tuttavia, la Sottocommissione ha saputo che, nell’ambito della classe politica, non molti credono nella democrazia: se potessero tornerebbero alla "vecchia cattiva politica". Sarebbe molto pericoloso che si lasciasse prevalere l’impressione che i risultati elettorali siano stati ‘usurpati’ dai giochi politici che li hanno seguiti. Queste elezioni costituiranno un precedente che perdurerà nel tempo e la comunità internazionale deve considerare con maggiore attenzione il risultato finale dello scrutinio.

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20. Il 1° settembre 2010, gli Stati Uniti hanno formalmente concluso l’operazione Iraqi Freedom, cioè le azioni di combattimento nel paese. Con il passaggio all’operazione New Dawn, la presenza militare statunitense è stata drasticamente ridotta. Restano poco meno di 50.000 soldati che si occuperanno essenzialmente dell’addestramento della polizia irachena, anche se vi saranno 4.500 uomini delle forze speciali ancora impegnati, a fianco delle truppe irachene, in operazioni di contrasto ai militanti di Al-Qaida. Anche se è previsto che la presenza militare degli Stati Uniti cessi del tutto alla fine del prossimo anno, le limitate capacità delle forze di sicurezza irachene potrebbero convincere il governo iracheno a chiedere il prosieguo della loro permanenza al di là della data stabilita. Le forze di sicurezza irachene hanno assoluto bisogno del sostegno degli Stati Uniti sia sotto l’aspetto logistico, sia in termini di forza aerea, materiali e competenze. Inoltre, gli analisti osservano che la permanenza delle truppe statunitensi potrebbe essere richiesta per rassicurare gli iracheni che temono una ripresa dei sanguinosi scontri settari ed etnici. 21. L'impegno internazionale resta essenziale per la prosecuzione del processo di normalizzazione in Iraq. Dal momento che la presenza militare americana va riducendosi, la comunità internazionale assume un ruolo di supporto, piuttosto che di guida, in Iraq. Le Nazioni Unite continueranno a svolgere importanti funzioni consultive, come hanno già avuto, insieme con gli Stati Uniti, nel periodo precedente alle elezioni, quando sono riuscite ad agevolare il raggiungimento del consenso necessario all’adozione di una legge elettorale. Inoltre, con la missione addestrativa della Nato in Iraq (NTM-I), l'Alleanza sta dando un contributo significativo alla stabilizzazione del paese. La missione NTM-I ha fornito corsi di formazione e addestramento, materiali e assistenza tecnica alle forze di sicurezza irachene al fine di aiutare l'Iraq a sviluppare un comparto sicurezza efficace, stabile e sotto controllo democratico. La NTM-I si sta attualmente trasformando in una forza agile che si occuperà di sostenere un programma di formazione istituzionale condotto dagli iracheni. Anche l'Unione europea sta aiutando l'Iraq, con la missione integrata dell'Unione europea sullo stato di diritto per l'Iraq (EUJUST LEX), che, da quando è stata lanciata nel 2005, ha formato più di 3.000 funzionari dell’apparato giudiziario iracheno. Il 14 giugno 2010, il Consiglio dell’Unione europea ha deciso di prorogare il mandato della missione. E. L’IRAN 22. Il programma nucleare dell'Iran e il suo presunto sostegno a gruppi terroristici rappresentano la sfida più significativa per la sicurezza della regione. Il governo di Teheran non ha ottemperato appieno alle richieste dell’Agenzia internazionale dell'energia atomica (AIEA) e continua a contravvenire alle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU (UNSC), che chiede la sospensione del suo programma per l’arricchimento dell'uranio. Al contrario, le autorità iraniane proseguono nello sviluppo delle tecnologie per l'arricchimento dell'uranio. La scoperta di un secondo impianto per l’arricchimento dell'uranio vicino a Qom, nel settembre 2009, ha accresciuto il sospetto che il vero obiettivo di Teheran sia quello di acquisire tecnologia specifica per le armi nucleari. In un rapporto del febbraio 2010, l'AIEA ha espresso, per la prima volta, i timori che l'Iran possa perseguire attivamente l’acquisizione di capacità d'armamento nucleare. La relazione ha inoltre rilevato che il livello di cooperazione dell'Iran con l'Agenzia è diminuito. 23. Negli ultimi anni, la comunità internazionale ha tentato, sia con la persuasione sia con la coercizione, di ottenere che l'Iran rispettasse completamente gli obblighi assunti in quanto firmataria del Trattato di non proliferazione nucleare (TNP). Nel dicembre 2006, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha adottato la Risoluzione 1696, la prima di una serie di risoluzioni che impongono sanzioni in risposta al mancato rispetto da parte di Teheran delle clausole di salvaguardia per la non proliferazione e delle richieste di controllo dell'AIEA. L'amministrazione degli Stati Uniti, sotto il presidente Obama, ha cambiato tono nei confronti dell'Iran, ma non è riuscita a coinvolgerlo in un discorso più ampio. Teheran ha totalmente ignorato l'offerta, scaduta il 31 dicembre 2009, di incentivi economici e politici in cambio del blocco del programma di

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arricchimento nucleare ricevuta dal "P5+1" (i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'ONU più la Germania). 24. Il 9 giugno 2010, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha approvato una quarta serie di sanzioni contro l'Iran, con la Risoluzione 1929, imponendo ulteriori misure sanzionatorie internazionali riguardo al programma nucleare e alle attività militari iraniane. La Risoluzione riguarda anche il settore finanziario iraniano e limita le attività di proliferazione nucleare. Per di più, molti paesi hanno adottato ulteriori sanzioni nazionali che colpiscono l'economia iraniana, influendo particolarmente sugli scambi commerciali e sugli investimenti energetici. 25. Tuttavia, anche se la nuova serie di sanzioni è senza precedenti, non è chiaro se le misure riusciranno a persuadere il regime iraniano a conformarsi alle richieste del Consiglio di Sicurezza. Da oltre trent’anni, l'Iran è oggetto di sanzioni da parte degli Stati Uniti, e dal 2006 anche da parte delle Nazioni Unite, ma nessuna di queste misure coercitive ha portato Teheran a rinunciare alle sue ricerche in campo nucleare. Nonostante l'adozione della Risoluzione 1929, i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU non condividono automaticamente una posizione unitaria rispetto all'Iran, soprattutto a causa di divergenti interessi economici e geopolitici. L'Iran potrebbe anche riuscire ad aggirare le sanzioni o, per lo meno, a limitarne in maniera significativa l'impatto. Per il momento, le speranze di raggiungere con l'Iran un accordo diplomatico sul suo programma nucleare si sono allontanate. C’è una profonda mancanza di fiducia tra tutte le parti. Altri fattori, quali un forte sentimento anti-occidentale tra le alte sfere della politica iraniana e gli sviluppi politici nazionali, complicano ulteriormente la situazione. Analisti indipendenti, esperti di questioni iraniane, tra cui Kenneth Pollack, ritengono che i moderati abbiano perso influenza sulla definizione delle politiche del paese. Il processo decisionale rimane opaco, ma sembra che vi sia una spaccatura crescente tra i conservatori all'interno della classe dirigente dominante. 26. Se il regime di Teheran dovesse continuare a sfidare la comunità internazionale, questa e gli Alleati potrebbero dover scegliere una delle seguenti tre opzioni per reagire alla sfida lanciata dall'Iran: un ‘cambiamento di regime’, un attacco militare contro l'Iran per distruggerne gli impianti nucleari oppure misure di contenimento. 27. Per quanto riguarda la prima soluzione, un ‘cambiamento di regime’ non potrebbe, e non deve, essere imposto dall'esterno. Un eventuale cambio di governo si può ottenere solo su iniziativa del popolo iraniano stesso. In Iran, la situazione politica interna è molto complessa, c'è malcontento, soprattutto tra le giovani generazioni. Il governo di Mahmoud Ahmadinejad è oggetto di forti critiche sia per la situazione economica, sia in materia di diritti umani. Tuttavia, in seguito alla dura repressione contro i dissidenti, dopo l'esito contestato delle elezioni presidenziali del 2009, il regime appare troppo forte e il Movimento verde troppo debole per un ‘cambiamento di regime’. Detto questo, il Movimento verde potrebbe rappresentare un canale per esprimere l'insoddisfazione che rimane diffusa tra gli iraniani. 28. In merito alla seconda soluzione, che, pure, non è da escludere, il Relatore ritiene che le conseguenze di un’opzione militare sarebbero devastanti. Un attacco risulterebbe destabilizzante per la regione, e oltre, porterebbe alla chiusura dello stretto di Hormuz, e, in caso di insuccesso o di successo solo parziale, potrebbe provocare un’accelerazione del programma iraniano di armamento nucleare. 29. In base a quanto detto, sembrerebbe che la soluzione più praticabile sia elaborare misure per arginare il regime iraniano. Tuttavia, la situazione è più complessa. Gli Stati del Golfo sono già impegnati in una vasta corsa al riarmo. Le precarie condizioni di sicurezza in alcuni paesi vicini e la mancanza di fiducia in materia di sicurezza creano una situazione pericolosa che deve essere affrontata con altri mezzi.

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30. L’obiettivo privilegiato resta quello di trovare una soluzione negoziata che affronti i timori in materia di sicurezza della comunità internazionale, nonché quelli dell’Iran e dei suoi vicini. Quest'ultimo aspetto è di particolare importanza, poiché i vicini arabi dell'Iran vedono con preoccupazione l’eventualità di un patto globale tra l'Occidente e l'Iran, che potrebbe rappresentare un riconoscimento della preminenza dell'Iran nella regione. Come il Relatore ha suggerito in una precedente relazione4, inserendo l'Iran nella propria agenda politica, la Nato può contribuire a generare tra gli Alleati e i partner, con particolare riferimento ai paesi che fanno parte dell’Iniziativa di cooperazione di Istanbul (ICI), un solido consenso su un ruolo regionale dell'Iran che sia accettabile. Mettere l'Iran nell'agenda politica della Nato potrebbe anche garantire il coordinamento delle politiche tra i paesi membri della Nato e i paesi partner. Il Relatore fa notare che il Segretario generale della Nato, Rasmussen, ha sottolineato come il crescente potenziale iraniano nel settore dei missili balistici rappresenti una minaccia per gli alleati europei. 31. Anche se gli Alleati e i vicini dell’Iran vedono perlopiù negativamente il programma nucleare di Teheran e la sua attuale politica regionale e li considerano una minaccia per la stabilità e la sicurezza della regione, ci sono anche svariati settori in cui l'Iran e l'Occidente hanno interessi comuni. L'Iran ha svolto un ruolo costruttivo per il successo iniziale nel rovesciamento del regime talebano, nel 2001; inoltre ha una notevole influenza in Afghanistan, con cui condivide un confine lungo 940 chilometri. Quasi la metà della popolazione afgana parla dari, o dialetti persiani affini. Alla metà del 2010, in Iran, risultavano registrati all’incirca 950.000 profughi afgani; il paese ospita quindi, sotto il profilo numerico, la terza, comunità di profughi del mondo. L'Iran è fortemente impegnato economicamente in Afghanistan e fornisce una significativa assistenza allo sviluppo; grazie ai suoi antichi legami con numerosi e potenti signori della guerra, può offrire un importante contributo in quel paese. L'Iran è anche fondamentale per la stabilità del Golfo, ha una notevole influenza nell’Iraq post-Saddam Hussein e ha stretti legami con la Siria e Hamas, che sono entrambi importanti attori nel conflitto arabo-israeliano. Inoltre, sebbene Teheran non riconosca Israele, giungere a un accordo con l'Iran potrebbe facilitare la soluzione del conflitto mediorientale, che resta una responsabilità delle parti interessate sul versante palestinese, israeliano e arabo. Gli Alleati potrebbero quindi valutare l’eventualità di coinvolgere l'Iran e i paesi del Golfo in seri e franchi colloqui su una serie di questioni relative alla sicurezza regionale. 32. Per raggiungere un accordo con l'Iran, bisognerebbe che il governo di Teheran avesse un ruolo costruttivo. Si è osservato che l'Iran persegue attività e politiche di destabilizzazione nella regione, in particolare in Afghanistan e in Iraq. Inoltre, il rapporto sul terrorismo per il 2009, elaborato dal Dipartimento di stato statunitense, indica che, in quell’anno, l'Iran è stato "il più attivo tra gli stati che sostengono il terrorismo". Secondo quel rapporto, l'Iran fornisce addestramento e armi ai talebani e ai militanti che attaccano le forze statunitensi in Iraq e offre un rifugio sicuro ai membri di Al-Qaida. Non è chiaro se le azioni destabilizzanti siano determinate dalla politica ufficiale del governo iraniano, ma Teheran deve o porre fine o prendere misure drastiche per eliminare queste minacce alla sicurezza. IV. IL RUOLO DEL CONSIGLIO DI COOPERAZIONE DEL GOLFO (GCC) 33. Un fattore importante per la stabilità della regione è rappresentato dal Consiglio di cooperazione del Golfo, istituito nel maggio 1981. Ne fanno parte: l'Arabia Saudita, il Kuwait, il Bahrain, il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti e il Sultanato di Oman. Fin dalla sua creazione, quasi 30 anni fa, si sono succedute frequenti dichiarazioni in merito a problematiche comuni e alla necessità di stabilire una fiducia reciproca. Questo è, però, in netto contrasto con i progressi tangibili registrati sul piano economico, politico e di sicurezza. Per quanto, infatti, i membri del GCC abbiano dichiarato la propria disponibilità ad approfondire ulteriormente la cooperazione, annunciando l'istituzione di un'unione doganale (2003), di un mercato comune (2008), di una

4 “Argomentazioni a favore di un impegno politico della Nato in Iran” [166 PCTR 08 E bis]

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moneta comune, di un patto per la difesa del Golfo e di un accordo sulla cooperazione nella lotta al terrorismo (2004); questi annunci, spesso, non sono seguiti da azioni effettive. 34. Persistenti controversie intraregionali (come per esempio la contesa di confine tra l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti) e il timore, da parte degli Stati più piccoli, che i sauditi possano attestarsi su una posizione dominante hanno ostacolato i progressi nella cooperazione in materia di sicurezza, che è in ritardo rispetto all’integrazione economica. Nel 1986, il GCC ha istituito una forza unitaria con base in Arabia Saudita, denominata "Scudo della penisola", ma il Consiglio non è successivamente riuscito ad ampliare il contingente, la cui sorte ha dato adito in passato a forti contestazioni, soprattutto a causa della mancanza di consenso tra gli Stati del Golfo. I paesi del GCC non sono riusciti nemmeno ad adottare un approccio regionale nei confronti dell'Iran e dello Yemen. Gli Stati del Consiglio di cooperazione del Golfo sono preoccupati anche a causa del programma nucleare di Teheran, delle aspirazioni di egemonia regionale dell'Iran e di alcuni aspetti della sua politica estera. A riprova delle loro preoccupazioni per la sicurezza, i paesi del GCC aumenteranno gli la spesa nel settore della difesa, che arriverebbe a 63 miliardi di dollari nel 2010, finanziati per i due terzi dall’Arabia Saudita. 35. Parallelamente, però, le relazioni bilaterali tra i diversi Stati del GCC e l'Iran variano da caso a caso. Storicamente, i rapporti tra Arabia Saudita e Iran sono sempre stati improntati a forte sfiducia e sospetto. Entrambi ambiscono a essere riconosciuti quale epicentro del mondo islamico. L’Arabia Saudita, così come il Bahrein, accusa l'Iran di ingerenza nei suoi affari interni e sostiene che, Teheran fomenti deliberatamente le comunità sciite presenti sul suo territorio. Il Kuwait, che storicamente ha sempre considerato l'Iran un contrappeso all’Iraq, dopo la rimozione di Saddam Hussein, è diventato sempre più sospettoso riguardo le ambizioni regionali dell'Iran. Gli Emirati Arabi Uniti hanno dispute territoriali con Teheran in merito alle isole di Abu Musa, Grande Tunb e Piccola Tunb. Allo stesso tempo, però, Dubai ospita una grande comunità di espatriati iraniani e subisce una forte influenza dagli investimenti iraniani, in quanto gestisce circa il 60 per cento degli scambi di merci dell'Iran e ospita quasi 10.000 aziende di proprietà iraniana. L’Oman e il Qatar vedono nell'Iran un partner importante, per via della vicinanza geografica e di una concezione condivisa della storia, della cultura e del commercio. L'Oman, che non ospita una comunità sciita particolarmente numerosa, ha approfondito le proprie relazioni con l'Iran nell’agosto 2009, quando il ministro degli Esteri iraniano, Manouchehr Mottaki, e il suo omologo dell'Oman, Yusuf Ben Alawi, hanno firmato un accordo di cooperazione in materia di sicurezza. Le relazioni tra Teheran e il Qatar sono piuttosto strette, nonostante alcuni contrasti in merito alla ripartizione delle riserve di gas naturale di North Field/South Pars. Il Qatar è stato l’unico paese a respingere una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che chiedeva a Teheran di interrompere l'arricchimento dell'uranio. 36. Il GCC svolge già un ruolo importante per la stabilità della regione. Tuttavia, le capacità del GCC potrebbero essere migliorate con una più stretta cooperazione tra gli Stati membri. Per esempio, i limitati progressi nella cooperazione tra di essi in materia di difesa hanno prodotto capacità superflue e un'interoperabilità carente. Convincere i paesi del GCC a rinunciare ai rispettivi interessi nazionali a favore di una cooperazione coerente a livello del GCC nel campo della sicurezza sarà un compito difficile. I rapporti politici sono condotti a livello personale piuttosto che istituzionale. Inoltre, rispetto a iniziative di maggiore cooperazione a livello multilaterale, gli Stati del Golfo hanno preferito optare per consultazioni bilaterali e una situazione di dipendenza dalle potenze occidentali. Nel lungo periodo, la Nato potrebbe aiutarli nel momento in cui dovessero decidere di individuare possibili settori di cooperazione e di mettere in comune le risorse. Nella sua veste di consulente, infatti, la Nato potrebbe preparare il terreno a limitati ma sostanziali progressi verso un processo di integrazione, nel quadro della quale ciascuno Stato, invece di perseguire programmi di difesa indipendenti, potrebbe fornire il proprio contributo a un sistema di sicurezza del Golfo globale e più vantaggioso sotto l’aspetto economico.

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V. LA NATO NELLA REGIONE 37. Lanciata in occasione del vertice Nato a Istanbul nel 2004, l’Iniziativa di cooperazione di Istanbul (ICI) ha come obiettivo primario quello di migliorare la sicurezza e la stabilità regionale, costituendo un forum per promuovere una maggiore cooperazione tra la Nato e la regione del Golfo. A oggi, il Kuwait (dicembre 2004), il Bahrain e il Qatar (febbraio 2005) e gli Emirati Arabi Uniti (giugno 2005) hanno aderito all'iniziativa. Come nel caso del programma "Partenariato per la Pace (PfP) e del Dialogo Mediterraneo (MD) della Nato, ciascuno Stato membro dell’Iniziativa di cooperazione di Istanbul può adattare la propria cooperazione con la Nato in base alle proprie esigenze ed interessi specifici. L’Iniziativa offre una consulenza bilaterale mirata in materia di riforma della difesa, di bilancio, di pianificazione e di relazioni civili-militari. Gli Stati membri possono prendere parte a una serie di attività, quali cooperazione tra forze armate, esercitazioni di sicurezza alle frontiere, formazione nel contrasto di traffici illeciti e pianificazione della protezione civile. Grazie all’Iniziativa, si sono avuti numerosi risultati tangibili nella promozione delle capacità di difesa e della fiducia tra la Nato e gli Stati del Golfo. 38. L'Iniziativa di cooperazione di Istanbul originariamente nasce come iniziativa bilaterale tra i singoli Stati del Golfo e la Nato. Se per un verso, l'aspetto individuale rimane importante, per l’altro, l’Iniziativa si è ulteriormente sviluppata acquisendo anche il carattere di una sede multilaterale in cui i paesi aderenti si riuniscono insieme agli Alleati. Finora ci sono svolti tre incontri, i cosiddetti NAC+4 (il Consiglio atlantico e tutti e quattro i partner dell’ICI). Nel corso dell'ultima riunione, nel marzo 2010, il NAC+4 ha discusso delle sfide alla sicurezza nella regione del Golfo. 39. L'Iniziativa di cooperazione di Istanbul continuerà a evolversi progressivamente in base alle esigenze e agli interessi dei paesi del Golfo. Per esempio, al fine di approfondire la cooperazione pratica attuale, i paesi della Nato e dell’ICI potrebbero valutare l'istituzione di Programmi individuali di cooperazione che permetterebbero ai partner ICI di definire meglio la portata e il ritmo della propria cooperazione con la Nato. Allo stesso tempo, ciò consentirebbe alla Nato di calibrare meglio l’assistenza e il sostegno offerti. Al momento, il Bahrain sta valutando se impegnarsi in un programma con la Nato di questo tipo. 40. Inoltre, le operazioni anti-pirateria nella regione, costituiscono un’ulteriore possibilità di cooperazione tra la Nato e i partner ICI. Attualmente, la Nato sta conducendo l’operazione Ocean Shield, un’operazione di contrasto alla pirateria al largo del Corno d'Africa. La partecipazione dei partner ICI alle operazioni navali della Nato (che sia con navi, logistica, esercitazioni o condivisione di informazioni), aumenterebbe la sicurezza dei trasporti attraverso il Golfo di Aden. 41. L’Iniziativa di cooperazione di Istanbul, peraltro, potrebbe essere ulteriormente sviluppata con il potenziamento del dialogo politico prevedendo periodici incontri a livello ministeriale. Ciò consentirebbe di approfondire ed espandere il dialogo tra la Nato e gli Stati membri dell’ICI in materia di politica e sicurezza. A tal fine, le due parti potrebbero concordare una “dichiarazione congiunta”, che enunci le finalità dell'Iniziativa e che costituirebbe la base per un approccio realmente multilaterale. Tale dichiarazione potrebbe anche ampliare l’Iniziativa di cooperazione di Istanbul, includendovi una disposizione che consenta a qualsiasi partecipante attivo di consultare la Nato, ove percepisca una minaccia diretta alla propria integrità territoriale, indipendenza politica o sicurezza. 42. Gli Alleati della Nato e i paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo si trovano ad affrontare le medesime sfide alla sicurezza, quali il terrorismo, la proliferazione delle armi di distruzione di massa, la pirateria, la sicurezza energetica e gli stati falliti. Inoltre, essi condividono gli stessi interessi come, per esempio, stabilizzare l’Afghanistan e l’Iraq ed evitare che paesi come lo Yemen possano sprofondare nel fallimento. Pertanto, la partecipazione all’Iniziativa di cooperazione di Istanbul di tutti gli Stati del GCC non solo contribuirebbe notevolmente alla

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stabilità e alla sicurezza della regione, ma potrebbe anche essere utilizzata come strumento per fare progredire il Consiglio di cooperazione del Golfo come organizzazione. 43. A parte l’Iniziativa di cooperazione di Istanbul, vi sono altre forme di coinvolgimento della Nato nella regione del Golfo. Conformemente alla risoluzione 1546 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, i membri dell'Alleanza hanno istituito la Missione di addestramento della NATO in Iraq (NTM-I), con l’intento di costituire forze di sicurezza multietniche, efficaci e sostenibili, che siano sotto il controllo esercitato dall’autorità civile e rispettino il diritto internazionale e le leggi locali, nonché gli standard professionali. La NTM-I svolge un’opera di inquadramento, fornisce supporto mediante l’addestramento in loco o all’estero e facilita la consegna dell’equipaggiamento militare donato. Visto il contributo dato dalla Nato alla ricostruzione delle gerarchie dell’esercito iracheno, nel dicembre 2008, su richiesta del Primo Ministro del paese, Nouri Al-Maliki, la Nato ha esteso la missione ad altri settori, come la formazione dei vertici della marina e dell’aviazione militari, la sicurezza delle frontiere e la riforma della difesa, nonché lo sviluppo delle istituzioni (institution building). Inoltre, il 26 luglio 2009, la Nato e il governo della Repubblica dell'Iraq hanno sottoscritto un accordo a lungo termine per fornire una base giuridica che consenta alla Nato di proseguire nel programma di addestramento delle forze di sicurezza irachene. 44. In definitiva, la Nato dà già un contributo significativo alla sicurezza della regione, specialmente mediante l’ICI e la NTM-I. Detto questo, bisogna riconoscere che vi è una mancanza di informazione rispetto all'Alleanza. È anche possibile che la cooperazione sia limitata a causa di una mancanza di comprensione culturale e strategica tra gli Alleati della Nato e i paesi della regione. Se la Nato vuole diventare più efficace nella regione, e di fatto in tutto il Medio Oriente, dovrebbe sviluppare e attuare una migliore strategia di comunicazione. La Nato ha già individuato la diplomazia pubblica quale settore prioritario nei suoi rapporti con il mondo arabo, ma è riuscita a trovare pochissime risorse da destinare a tale finalità. Secondo l'opinione di alcuni, il miglior punto di partenza per qualsiasi strategia di comunicazione sarebbe la creazione di un sito Internet della Nato in lingua araba, che preveda anche un’edizione in lingua araba della Rivista della Nato. VI. CONCLUSIONI 45. Non si potrà mai sottolineare a sufficienza l'importanza strategica mondiale del Golfo e della penisola arabica. La regione del Golfo, per la sua collocazione geografica, per le risorse energetiche che se ne estraggono o che la attraversano, è fondamentale per l'economia mondiale. Tuttavia, i paesi di questa regione si trovano a fronteggiare una moltitudine di problemi di sicurezza e un’instabilità persistente. Gli Alleati e la Nato, in quanto organizzazione, devono perciò proseguire e approfondire il loro impegno con i partner regionali e, in particolare, quelli del Consiglio di cooperazione del Golfo. 46. Qualsiasi approccio nella regione da parte della Nato deve essere perseguito in maniera globale e multidimensionale, nel rispetto dell'autorità e della sovranità di ciascun paese partner del Golfo, attraverso una combinazione di interazione militare e iniziativa diplomatica e politica. Per quanto riguarda questa regione, la Nato dovrebbe seguire una strategia che:

promuova l'interoperabilità tra il Golfo e la Nato, in quanto organizzazione, e offra una serie di programmi di istruzione e formazione;

sviluppi ulteriormente l’Iniziativa di cooperazione di Istanbul, elevando a livello ministeriale il dialogo politico con i paesi dell'ICI e adottando una dichiarazione congiunta della Nato e dei paesi partecipanti all’Iniziativa, che includa anche una disposizione che consenta a ogni partecipante attivo dell’ICI di consultare la Nato, ove percepisca una minaccia diretta contro la propria integrità territoriale, indipendenza politica o sicurezza;

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estenda ad altri stati la partecipazione all’Iniziativa di cooperazione di Istanbul e utilizzi questo strumento di collaborazione per sviluppare relazioni multilaterali;

continui a garantire assistenza alle forze di sicurezza irachene attraverso la NTM-I; rafforzi l’attuale co-operazione e il coordinamento navali nel Golfo, a livello regionale e

internazionale, per limitare gli effetti negativi della pirateria e della criminalità organizzata;

coinvolga paesi non membri della Nato, in particolare quelli del Gruppo di contatto (Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud), ma anche la Cina, la Russia e l’India, che condividono i medesimi interessi nella regione relativamente, ma non limitatamente, alla sicurezza marittima e alla protezione delle infrastrutture energetiche vitali.

47. Anche se la posizione della Nato nei confronti dell'Iran non rientra nel tema della presente relazione, inserire la questione iraniana nell’agenda politica dell’Alleanza può contribuire a costruire un solido consenso e a garantire il coordinamento delle politiche tra i paesi membri della Nato e i loro partner. 48. Una strategia della Nato basata sulle raccomandazioni di cui sopra convergerà con gli interessi degli Stati del Golfo e contribuirà efficacemente alla sicurezza e alla stabilità a lungo termine di questa regione. Il Relatore è fermamente convinto che, senza un ampliamento dell'impegno della Nato, gli sconvolgimenti politici, le dispute territoriali irrisolte, la proliferazione nucleare, le incertezze economiche e una miriade di altre minacce continueranno ad affliggere la sicurezza della regione e quella del sistema internazionale generale.

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