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SISTEMI COMPLESSI NELLA FISICA ODIERNA e cenni alla complessità nelle scienze contemporanee 1 Lamberto Rondoni -*- Politecnico di Torino Sommario 1. La sfida della “complessità” 2. Un po' di storia 3. Avvertenze 4. Modelli di sistemi complessi 5. L'astrazione 6. Informazione, aleatorietà e misure di complessità 7. Caos, imprevedibilità e irreversibilità 8. La scienza delle relazioni 9. Approfondimenti 1 Si ringraziano i prof. Jacovitti, Meazzini, Pettorossi, Pistone, Torelli, Tosin e Vulpiani per utili osservazioni e suggerimenti su una bozza preliminare di questo testo, letta a Roma il 30 gennaio 2009.

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SISTEMI COMPLESSI NELLA FISICA ODIERNAe cenni alla complessità nelle scienze contemporanee1

Lamberto Rondoni -*- Politecnico di Torino

Sommario

1. La sfida della “complessità”

2. Un po' di storia

3. Avvertenze

4. Modelli di sistemi complessi

5. L'astrazione

6. Informazione, aleatorietà e misure di complessità

7. Caos, imprevedibilità e irreversibilità

8. La scienza delle relazioni

9. Approfondimenti

1 Si ringraziano i prof. Jacovitti, Meazzini, Pettorossi, Pistone, Torelli, Tosin e Vulpiani per utili osservazioni e suggerimenti su una bozza preliminare di questo testo, letta a Roma il 30 gennaio 2009.

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1. La sfida della “complessità”

Sentiamo sempre più spesso fare riferimento al termine complessità non solo nel linguaggio scientifico, ma anche in quello socio-economico, medico e persino politico. Viene da pensare che le nuove sfide poste all'umanità dalla globalizzazione abbiano messo in moto un processo di profondi mutamenti culturali che, combinati con le minacce di prossime castrofi ambientali, lasciano l'uomo moderno scioccato. Ci si sente in balia di eventi sempre più difficili da controllare e refrattari a ogni tentativo di comprensione. Di certo c'è che i termini complessità e caos sono usati sempre più frequentemente nei luoghi più disparati, come se fosse necessario e inevitabile confrontarsi in qualche modo con essi.2

All'origine di questo processo c'è la diffusa convinzione che il mondo abbia raggiunto un tale livello di inter-relazione tra le sue diverse componenti, da renderlo sempre meno predicibile e controllabile, anche su scale di spazio e di tempo confrontabili con quelle delle attività umane. L'esempio più eclatante è il gigantesco sviluppo della rete telematica, che in pochi anni ha determinato cambiamenti assolutamente imprevedibili nel comportamento e nella vita quotidiana di tutti noi, fin negli angoli più remoti della terra. Non è frutto di una banale coincidenza il fatto che, proprio in questi ultimi decenni, il mondo della scienza abbia spostato una parte rilevante della sua attenzione e delle sue risorse verso lo studio dei cosiddetti sistemi complessi.

Va detto che con questo termine si designa convenzionalmente una categoria concettuale non ben definita, dal punto di vista del rigore scientifico. D'altronde il termine risulta abbastanza efficace nell'evocare gran parte degli aspetti che caratterizzano la sostanziale intrattabilità di tali sistemi, sulla base di semplici relazioni di causa-effetto. Con "complesso" solitamente si intende qualcosa di scarsamente intelligibile, quasi la definizione di ciò che non si riesce a descrivere o di ardua trattazione entro i confini di qualsiasi teoria. Ad esempio, riguardo al termine “complex”, il dizionario Webster della lingua inglese dice che indica qualcosa “che ha parti confusamente interrelate, senza presupporre una colpa: la cosa potrebbe essere inevitabile” e che complesso è qualcosa di talmente complicato ed intricato, da renderne una eventuale soluzione o comprensione improbabili.

L'idea del complesso come emergente dalla interrelazione fra sottosistemi, a loro volta dotati di una qualche struttura interna --semplice o articolata che sia-- è recepita anche in ambito scientifico. Tuttavia, diversi sono i punti di vista adottati, perché diversi sono gli oggetti di studio delle diverse discipline e diverse sono le nozioni di sistema complesso adottate nella letteratura scientifica.

Una struttura universalmete ritenuta complessa è quella del nostro cervello. Questo, infatti, è una collezione di cellule, dette neuroni, collegate attraverso connessioni sinaptiche ad altri neuroni, che si inviano segnali sotto forma di successioni di picchi di ampiezza di impulsi elettrici, separati da brevi intervalli di quiescenza. I picchi di ampiezza che ciascun neurone trasmette, attraverso le sinapsi, agli altri neuroni determinano la capacità di questi ultimi di inviare a loro volta picchi di ampiezza ad altri neuroni.

Si potrebbe dire che ogni neurone è un telegrafista, che invia segnali alle stazioni a cui è connesso in uscita, secondo modalità stabilite dai segnali che gli pervengono dalle stazioni con cui è connesso in ingresso. Se pensiamo, però, che a questi semplici meccanismi si associano capacità come quella di distinguere immagini, ricordare, regolare i movimenti, fino alla produzione del pensiero astratto, non possiamo evitare di stupirci e di concludere che il tutto mostri una ricchezza strabiliante e inattesa, rispetto all'immagine di una miriade di telegrafisti impegnati a scambiarsi punti e linee.

2 L. Russo, Alcune osservazioni sulla complessità, Punti Critici 2, 79 (1999)

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Figura 1. Il cervello umano è estremamente complesso e manifesta questa sua natura sotto numerosi punti di vista, da quelli biofisici a quelli riguardanti la formazione del pensiero.

Ispirandosi a questo esempio, discipline come la biologia o le scienze sociali solitamente ritengono complesso un sistema che consista di una unità globale, organizzata, di interrelazioni fra elementi, azioni o individui, contraddistinta da:

una grande varietà di componenti che possiedono delle funzioni specializzate,

i cui elementi siano organizzati per livelli gerarchici interni,

tale che i diversi livelli e gli elementi individuali siano collegati da una quantità di legami.

In effetti, in ambito biologico, la complessità degli organismi si associa ad una suddivisione di compiti fra le parti di un corpo. Ci sono cellule di tessuti od organi che sono specializzati in funzioni specifiche come lo scambio di materia, l'assorbimento di energia, la locomozione, la coordinazione. In biologia è così naturale pensare alla varietà dei cosituenti di un dato sistema e al modo in cui questi interagiscono come alle caratteristiche principali di un sistema complesso. Ma dato che questo impianto sembra comune a innumerevoli fenomeni diversi, molti ritengono che lo studio dei sistemi complessi possa riguardare uno spettro praticamente illimitato di discipline e di problemi e che, pertanto, questi possano essere ricondotti entro uno stesso schema concettuale. Per esempio, già alla fine degli anni '70 del XX secolo, si rifletteva su come trattare unitariamente problemi derivanti da biologia, economia, linguistica, sociologia, fisica, chimica, scienza dei calcolatori, psicologia, ecc.3

Da come si sviluppa una colonia di batteri, dal volo di uno stormo di uccelli, da come si scopre la tecnologia vincente tra un insieme di tecnologie concorrenti, dal funzionamento della borsa e via dicendo, si possono infatti evidenziare tratti comuni a problemi che sono sostanzialmente diversi. Per esempio, ci sono individui che interagiscono (molecole, batteri, uccelli, macchine); ci sono regole che gli individui seguono; ci sono obiettivi e vincoli contrastanti; ci sono interazioni tra un sistema e l’altro; ci sono percorsi di adattamento ai cambiamenti esterni. La speranza è che, evidenziando questi tratti condivisi, si possano comprendere le regole di fondo del comortamento dei diversi sistemi e le si possa tradurre in termini matematici. In tal modo, quei dati comportamenti diventerebbero relativamente prevedibili e, quindi, utilizzabili o migliorabili.

Particolarmente studiati sono i sistemi detti complesso adattativi, quelli cioè che sono in grado di elaborare informazione, di costruirsi dei modelli, di adattarsi al mondo e di valutare se l'adattamento sia

3 Springer Series in Synergetics: collana fondata da Herman Haken nel 1977 e pubblicata da Springer Verlag, Berlino.

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utile o meno. Gli esseri viventi sono sistemi di questo tipo, che cercano continuamente nuovi modi di fare e di apprendere, per raggiungere il loro scopo, dando così vita a evolzioni estremamente sofisticate e imprevedibili, come se continuamente riprogrammassero il loro futuro.

Un aspetto della imprevedibilità dei comportamenti complessi appare anche nelle reazioni apparentemente assurde che hanno certi sistemi, in risposta a date perturbazioni esterne. Un esempio paradigmatico è quello della dinamica delle folle o dei flussi di traffcio stradale, in cui si può verificare il cosiddetto “Paradosso di Braess”:4 sotto certe condizioni, il traffico di una città può peggiorare, piuttosto che migliorare, quando viene aggiunta una arteria di collegamento fra due suoi punti o, equivalentemente, il deflusso di pedoni da una zona affollata può essere agevolato dall'introduzione di un ostacolo posto lungo il percorso. Si tratta di condizioni particolari, che hanno però trovato riscontro in città come Seul, Stoccarda e New York.

Per farci un'idea più chiara di questi fenomeni, diamo un'occhiata ai numeri che accompagnano il manifestarsi della complessità:

la folla può riguardare 102 - 106 persone (comportamento complesso);

il DNA ha 109 nucleotidi (complesso; quanto?);

l'economia mondiale riguarda quasi 1010 persone (molto complessa);

il cervello ha 1011 - 1012 neuroni (molto complesso);

un laser funziona con l0l8 atomi (complesso);

un fluido contiene 1023- 1024 molecole/cm3 (a volte complesso).

Da questi dati si evince che la numerosità degli elementi non basta da sola a spiegare la complessità di un dato sistema e si è spinti a riconoscere un ruolo determinante alla quantità e qualità delle inter-connessioni esistenti fra di essi. Si pensi, ad esempio che, come umani, condividiamo con certi topi più del 99% dei circa ventimila geni che abbiamo, eppure ci pregiamo di non somigliare affatto a dei topi. Sulla basa di tali osservazioni, il genetista statunitense J. H. Nadeau ha concluso che la maggior parte dei tratti somatici di un animale deve avere un retroterra genetico complesso, cioè presumibilmente dovuto alla varietà di interazioni fra numeri modesti di geni e alleli, piuttosto che all'azione di massa di un grande numero degli stessi.5

La prospettiva della fisica odierna condivide in buona parte questa analisi, ma presenta alcune differenti sfumature, ritenendo complesso un sistema costituito da numerose unità semplici in interazione attraverso leggi elementari, il cui comportamento collettivo risulti tuttavia sensibilmente più ricco di quanto ci si attenderebbe sulla base di tali leggi. Questo modo di vedere è motivato dal fatto che, dal punto di vista degli elementi e delle interrelazioni, si trovano differenze sostanziali fra gli oggetti di studio della biologia, per esempio, e quelli tradizionali della fisica. Quanto alla numerosità delle interazioni, mentre ogni neurone del cervello ha sui 1000 dendriti, che lo connettono ad altri neuroni, i componenti atomici o molecolari di un qualsiasi oggetto materiale interagiscono con poche unità di loro vicini, tranne che in condizioni particolari, non a caso dette critiche. Nei fluidi, tali connessioni non persistono neanche nel tempo; dopo aver colliso per un istante, due molecole difficilmente si incontreranno una seconda volta. Quanto alla qualità delle connessioni, quelle neuronali sono

4 R. L. Hughes, The flow of human crowds, Annu. Rev. Fluid Mech. 35, 169 (2003)B. Piccoli, A. Tosin, Pedestrian flows in bounded domains with obstacles, Contin. Mech. Thermodyn. 21, 85 (2009)

5 J. H. Nadeau, Tackling complexity, Nature 420, 517 (2002)

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caratterizzate da sofisticati fenomeni di trasporto di materia e carica elettrica, mentre quelle fra atomi e molecole si limitano all'esercizio di semplici forze di attrazione o repulsione. Qualcosa deve quindi accadere quando gli atomi e le molecole (scala microscopica), si trovano a costituire strutture come quelle biologiche, che danno luogo a moltissime e variegate connessioni alla loro propria scala, che può essere mesoscopica o macroscopica, a seconda dei casi.

Questo evidenzia una certa irriducibilità di un livello di descrizione --quello mesoscopico, biologico-- ad un altro --quello microscopico, molecolare-- a dispetto del fatto che gli oggetti di studio del primo livello sono composti da quelli di cui si occupa il secondo livello di descrizione.

Come possono conciliarsi le diverse prospettive? Osservando che la fisica, pur riconoscendo che le leggi che regolano i comportamenti collettivi possano differire grandemente da quelle che regolano i comportamenti dei singoli elementi, si occupa dell'emergere spontaneo della varietà e della organizzazione, a partire dalle poche specie diverse di grandi numeri di componenti elementari, che interagiscono fra loro in modo semplice.6 Tale visione è suggestivamente espressa da Prigogine e Stengers:7

Il metodo analitico [che vuole comprendere una data realtà in termini delle sue componenti microscopiche, n.d.a.] ci appare oggi una fallace idealizzazione. La situazione potrebbe essere simile al ridurre i fabbricati in conglomerati di mattoni; con gli stessi mattoni si può costruire una fabbrica, un palazzo o una cattedrale. È solo a livello dell'intera costruzione che noi possiamo vedere l'effetto del tempo, dello stile in cui il fabbricato è stato concepito.

Qui si afferma che i componenti di un dato oggetto possono dare luogo a costruzioni di arbitraria ricchezza, anche se sono semplici e semplicemente interagenti. Inoltre, si mette in luce il fatto che la scala di osservazione di un dato fenomeno è essenziale nell'evidenziarne la complessità. Allo stesso modo, un biologo potrebbe dire che un'esame istologico della pelle non distingue un uomo da un pollo.

Infine, secondo alcuni autori, una differenza sostanziale fra sistemi semplici o meramente “complicati” --i quali possono essere studiati riduzionisticamente-- e quelli propriamente detti complessi, è legata al modo in cui questi interagiscono anche con il loro ambiente.8

Si può allora concludere che c'è consenso nel definire complessi quei sistemi il cui comportamento non può essere direttamente determinato dall'analisi dei loro elementi costitutivi, come pure nel concludere che la scala d'osservazione influenza il grado di complessità che si può incontrare. Ciò in cui le diverse prospettive si differenziano maggiormente è la natura degli elementi considerati costitutivi. Se la loro numerosità e le loro interazioni, siano essi atomi o individui di una certa società, comportano un balzo qualitativo nel comportamento collettivo, si parla comunque di sistema complesso: il complesso emerge quando l'insieme non è semplicemente riducibile alla somma delle parti.9 Perché questo possa avvenire, il sistema di interesse deve avere qualche interazione anche con l'esterno. La sfida della complessità è dunque la seguente:

studiare gli effetti della cooperazione fra molti individui e delle relazioni che si possono instaurare fra di loro e con l'ambiente circostante.

6 Il termine che viene utilizzato per descirvere tali fenomeni è quello di auto-organizzazione o di emergenza.7 I. Prigogine, I. Stengers, La nuova alleanza. Metamorfosi della scienza, Einaudi, Torino (1999)8 M. Cotsaftis, What makes a system complex: an approach to self orgabnization and emergence, arXiv:0706.0440 (June

2007) 9 D. Sornette, Complexity, catastrophe and physics,Physics World, 12(12), 57 (1999)

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2. Un po' di storia

Gli sviluppi concettuali, che hanno portato alla nascita di una scienza della complessità, si possono far risalire alla seconda metà del XIX secolo. La meccanica statistica di Maxwell, Boltzmann e Gibbs rappresenta infatti uno dei passi fondamentali nello sviluppo dello studio dei sistemi complessi. Il programma di dare un fondamento, al tempo stesso meccanico e statitistico, alla trattazione dei sistemi che obbediscono alle leggi della termodinamica, ha condotto ai primi progressi concettuali nella trattazione di sistemi composti da un gran numero di unità elementari, in interazione tra loro. Si tratta del tentativo di comprendere i fenomeni termodinamici, con la loro irreversibilità, in termini dei componenti microscopici della materia, che singolarmente seguono leggi reversibili. La meccanica statistica ha così evidenziato le prime situazioni in cui una la cooperazione fra una miriade di elementi microscopci dà luogo a comportamenti collettivi, macroscopici, qualitativamente diversi da quelli dei singoli componenti. L'irreversibilità macroscopica, a dispetto della natura reversibile della dinamica dei componenti microscopici della materia, costituisce il prototipo dei fenomeni complessi: il più evidente e comune in natura.

L'altro progresso cruciale è dovuto all'introduzione del concetto di caos deterministico, all'inizio del XX secolo, da parte del matematico francese Henri Poincaré. L'idea che un sistema, descritto dalle leggi deterministiche della meccanica classica possa esibire genericamente un comportamento, di fatto, impredicibile è sicuramente uno dei punti di svolta più importanti nell'evoluzione del pensiero scientifico.

L'impredicibilità di un sistema deterministico è conseguenza dell'introduzione, nella teoria, di un fattore eminentemente antropologico: la necessità di effettuare un'osservazione, cioè, una misura. Il fatto che a noi, osservatori umani, sia concessa solo una conoscenza approssimata delle cose, limitata da un margine di incertezza, ha come conseguenza l'impossibilità di poter prevedere l'evoluzione temporale di quei sistemi le cui incertezze si amplificano, crescendo, per esempio, di un fattore 10 ogni tempo caratteristico tc. Se anche determinassimo in modo estremamente accurato lo stato iniziale di un tale sistema --che viene detto caotico-- con un margine di errore di una parte su 1020, cosa assolutamente impensabile con le tecnologie attuali, basterebbe aspettare un tempo pari a 20 volte tc, per veder diventare incertezza completa questo margine.10 Il punto è che il sistema reale compie comunque una traiettoria ben definita, ma non si è in grado di determinarla.

Successivamente è stato dimostrato che questo è lo scenario tipico per un sistema dinamico; che per secoli la meccanica aveva preso in considerazione i casi eccezionali, nei quali le orbite sono stabili ed evitano il meccanismo di amplificazione esponenziale dell'incertezza. Per questo erano state possibili accuratissime previsioni, come nello studio delle orbite dei pianeti, che avevano contribuito a formare il mito di una scienza capace di dominare meccanicisticamente le forze della natura.

Nell'universo della meccanica di Newton e di Laplace, l'elemento antropologico non era in alcun modo centrale: l'uomo era solo spettatore della mirabile armonia delle leggi che lo regolano e non era ritenuto in grado di corromperne la divina perfezione. Con Poincaré, questo viene messo in discussione e sostanzialmente ridimensionato. Bisogna anche sottolineare il profondo legame concettuale esistente tra il punto di vista di Poincaré e quello di Boltzmann. Quest'ultimo, infatti, cerca di risolvere il

10 Questo tipo di crescita è detto esponenziale, in base 10. Significa che partendo da una certa grandezza, dopo il passaggio di n unità di tempo tc, questa viene amplificata del fattore 10n. La crescita esponenziale può manifestarsi in qualunque base a>1, dando luogo ad amplificazioni di valore an ad ogni passaggio di n tempi caratterisitici. Si tratta di una crescita violenta ed esplosiva, qualunque sia a, purché maggiore di 1.

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problema della impossibilità di avere un controllo deterministico sulle traiettorie delle molecole di un gas, assumendo che il livello di conoscenza del sistema, che ci è accessibile, e, quindi, che ci può interessare conoscere, è limitato ad una inferenza probabilistica sulle sue possibili configurazioni dinamiche. Occorre ricordare, a tale proposito, che già Maxwell aveva fatto ricorso all'introduzione, nelle sue argomentazioni scientifiche sui legami tra meccanica e termodinamica, di un demone. Con questa “diavoleria” egli voleva sottolineare che la pretesa di conoscere ad ogni istante di tempo lo stato di moto di una mole di gas (quasi 1024 particelle) non poteva essere una prerogativa umana.11 Ora il demone avrebbe accesso alla conoscenza prescindendo dalla necessità, tipicamente umana, di dover effettuare delle misure, inevitabilmente affette da errore.

Tra gli sviluppi concettuali successivi meritano di essere ricordati quelli provenienti da settori scientifici di interesse applicativo, come le ricerche sulla turbolenza idrodinamica e atmosferica, o sui modelli dinamici di sistemi elettronici. Anche da queste ricerche emersero significativi elementi di novità, come peraltro avvenne in ambito matematico, con lo studio dell'equazione di Lotka-Volterra, introdotta per descrivere la dinamica di un sistema preda-predatore. Un altro punto di svolta nello sviluppo della scienza della complessità è da attribuire ai contributi del matematico russo A.N. Kolmogorov e della sua scuola, allo sviluppo e alle applicazioni della cosiddetta teoria ergodica.

Lo sviluppo delle tecnologie di calcolo elettronico e degli aspetti concettuali ad esso collegati, a partire dalla metà del XX secolo, è l'altra pietra angolare, su cui poggiano le fondamenta della scienza della complessità. Ad alcuni dei grandi scienziati che hanno contribuito a tali sviluppi, come Turing, Von Neumann e Shannon, si devono l'introduzione di nuovi concetti, come macchina universale di calcolo, automi cellulari ed entropia di informazione. Nonostante la loro importanza, questo insieme di scoperte è rimasto per lungo tempo relegato al rango di curiosità, mentre gran parte della comunità scientifica era impegnata a sviluppare la fisica nucleare e delle particelle elementari, la chimica organica e la biologia molecolare, sulle basi concettuali di un riduzionismo post-litteram. Solo negli ultimi decenni la necessità di affrontare problemi nuovi, come lo studio dell'organizzazione della materia vivente, la meteorologia, le proprietà di sistemi nonlineari, o disordinati, ha spostato sempre più l'attenzione degli scienziati verso lo studio dei sistemi complessi. Tuttavia, il concetto stesso di complessità sfugge ancora ad una precisa definizione. Forse non è neanche da pretendere che il senso comune del termine “complessità” venga mai tradotto in una formula matematica; può svolgere un ruolo importante come molla promotrice di progresso culturale e scientifico anche rimanendo nel vago.

Infatti, così dice Henri Poincaré:12

Noi scopriremo il semplice sotto il complesso, poi il complesso sotto il semplice, poi di nuovo il semplice sotto il complesso, e così via, senza poter prevedere quale sarà l'ultimo termine. Ma dovremo pure fermarci da qualche parte e, perché la scienza sia possibile, occorre farlo quando si incontra la semplicità. È questo il solo terreno sul quale possiamo innalzare l'edificio delle nostre generalizzazioni. Ma se la semplicità è solo apparente, questo terreno sarà abbastanza solido? È quanto conviene investigare.

11 Si deve osservare, però, che l'idea non era estranea al pensiero di P. S. De Laplace, anzi, la sua consapevolezza della impossibilità di conoscere esattamente lo stato iniziale di un dato sistema, gli aveva fatto teorizzare la necessità delle descrizioni probabilistiche, nel Saggio filosofico sulle probabilità (Theoria, Bari, 1987).

12 H. Poincaré, La scienza e l'ipotesi, Dedalo, Bari (1989)

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3. Avvertenze

Scrive Lucio Russo che pochi concetti apparsi negli ultimi decenni sono risultati così pervasivi come quello di complessità, al punto che ci si è chiesto se la complessità fornisca il nuovo paradigma scientifico (nel senso kuhniano del termine o in qualche senso nuovo). Tuttavia, il dilagare del tema della complessità negli ambiti più diversi ha prestato il fianco a molte critiche che, osserva Russo,13

[…] possono avere un effetto liberatorio su quanti, trovandosi a disagio per la propria ignoranza sull’argomento, hanno tentato inutilmente di farsi spiegare da qualche appassionato neofita di “complessità” in cosa consista il nuovo grimaldello interpretativo, ottenendone quasi sempre risposte generiche e banali. La sterminata bibliografia sull’argomento non è di grande aiuto, in quanto i libri in cui la parola appare nel titolo trattano in genere molti argomenti diversi e non è possibile trovarvi la chiara esposizione di neppure un risultato della “teoria della complessità”. In questa situazione la tentazione di concludere rapidamente che quella della complessità sia solo una moda superficiale, che nasconde il vuoto intellettuale, è forte, soprattutto da parte di chi ha sentito parlare di complessità da politici o mediologi, ma va respinta. In realtà la “complessità” appare un contenitore di aspetti in evidente e violento contrasto: sotto la stessa etichetta sono racchiuse le banalità sulla “complessità della storia”, con cui qualcuno vorrebbe sostituire la storia nei programmi scolastici, ma anche importanti risultati scientifici nel pieno senso della parola, come quelli ottenuti nel campo della complessità computazionale, della teoria dei vetri di spin, della dinamica dei sistemi caotici o delle reti neuronali. Il programma ambiziosissimo di descrivere e progettare sistemi “complessi” in quanto strutturati, autoregolanti e capaci di espandere la propria struttura sembra convivere con la diffusione dell’idea rinunciataria che il mondo, essendo “complesso”, non è comprensibile.

Alcune delle difficoltà che si incontrano sono dovute al fatto che, nonostante i mattoni fondamentali dell'indagine fisica siano tipicamente un numero ridotto di specie e che la varietà di interazioni richiesta in altri contesti sembri assente, è dalla fisica che vengono in genere mutuati i modelli per lo studio dei fenomeni ritenuti complessi. In particolare, il successo della modellizzazione fisico-matematica ha incoraggiato l'utilizzo della terminologia riservata agli scambi di calore in ambiti via via più distanti da quello originale, quali la trasmissione dei segnali, la teoria dell'informazione, l'urbanistica o, più astrattamente, la teoria matematica delle funzioni definite su un intervallo di numeri reali; cose che nulla hanno a vedere con temperatura e calore. Sorprendentemente, parte di queste estensioni è stata coronata da successo, ma crescenti difficoltà di intepretazione dei risultati si sono manifestate man mano che il contesto si è allontanato da quello delle scienze dure, per comprendere economia, sociologia, progettazione architettonica, politica, storiografia, letteratura, attività sportive, psicologia, critica d'arte, ecc. Non sorprende che tale forma di fisicalismo possa condurre a equivoci, in certe circostanze.

Un'altra difficoltà è legata alla relativamente recente nascita dell'interesse per i sistemi complessi. Come un bambino crede entusiasticamente che il mondo gli ruota intorno, così appare la giovane scienza della complessità, quando si atteggia a “scienza del tutto”. Certo, un'idea ha bisogno di un forte impulso iniziale e di esercitare fascino, per poter esprimere appieno le proprie potenzialità nel lungo termine. Se, però, le idee vengono a costituire quasi dei sistemi totalitari, che pretendono di interpretare tutto il reale, solitamente generano schieramenti contrapposti, di entusiasti e scettici, come puntualmente accaduto alle scienze della complessità. Così, oggi troviamo tanto chi ritiene che la

13 L. Russo, Alcune osservazioni sulla complessità, Punti Critici 2, 79 (1999)

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complessità sia il terreno dove si incontrano e giustificano le diverse discipline --il terreno dove la chimica emerge dalla fisica, la biologia dalla chimica, la coscienza dalla vita e la coscienza sociale da quella individuale-- quanto chi ribatte che i problemi considerati “complessi” continuano a rimanere irrisolti. C'è chi ne fa una profonda esperienza esistenziale:

lo studio dei sistemi complessi è stimolante e si può rivelare un' avventura di straordinaria intensità. Significa infatti studiare noi stessi e tutti i sistemi che hanno a che fare con la nostra vita. È qualcosa di più della sterile applicazione di formule matematiche. Ha a che fare con la ricerca del senso delle cose. Ha qualcosa a che fare con il senso di smarrimento dantesco.14

Colpisce anche che il seguente punto di vista trovi interesse in ambito medico:15

L'interesse per questi fenomeni [i fenomeni “collettivi emergenti”, n.d.a.] è riconducibile alla complessità definibile come lo studio dei sistemi adattativi complessi, in cui convivono a un diverso livello di organizzazione ordine e disordine, prvedibilità e imprevedibilitàm “caso e necessità”.

Questa tendenza antiriduzionistica è culminata in un movimento epistemologico (la teoria della complessità di Morin e Prigogine) che secondo alcuni storici delle idee rappresenta un vero e proprio cambio di paradigma (nel senso di Kuhn). […]

Il concetto di complessità sembra riassumere in sé la portata del cambiamento in corso nella cultura e nella società: lo spirito del tempo (Zeitgeist), che esprime l'irriducibilità della realtà al determinismo e al riduzionismo dell'approccio scientifico tradizionale. A tal punto che l'espressione “complessità” è divenuta un modo di dire assai diffuso, sia nel linguaggio comune che nel gergo tecnico delle diverse discipline: nella letteratura medica sono recentemente apparse numerose pubblicazioni che trattano di complessità nell'assistenza sanitaria,16 in medicina clinica17 e in sanità pubblica ed epidemiologia.18

L'epistemologia della complessità si colloca nel vasto alveo della filosofia “postmoderna”, che va dal neopragmatismo in America, all'ermeneutica in Europa, e ne riassume i costrutti propositivi in opposizione alle tendenze nichiliste e al relativismo scettico.

D'altro canto, c'è pure chi ritiene che la scienza della complessità altro non sia che la scoperta, da parte di gruppi di studiosi, dell'esistenza di già collaudate metodologie di indagine. Alcuni autori hanno espresso giudizi particolarmente duri nei confronti dell'uso irragionevole di termini e di intere teorie presi a prestito dalla fisica o dalla matematica e utilizzati in ambiti lontani da queste discipline. Per esempio, Bricmont e Sokal affermano:

Alcune sedicenti “applicazioni” della teoria del caos – per esempio alla gestione delle imprese o alla critica letteraria – rasentano l'assurdo. E, a peggiorare la situazione, la teoria del caos, che è ben sviluppata da un punto di vista matematico, è spesso confusa con le teorie, ancora in stato embrionale, della complessità o dell'auto-organizzazione.19

Mentre a pagina 199 scrivono:

14 http://www2.polito.it/didattica/polymath/htmlS/info/CapitoloPrimo/ToniComelloPredeRagni/ToniComelloPredeRagni.htm#_ftn3

15 E. Materia, G. Baglio, Salute e persona: una prospettiva epistemologica, Tendenze nuove, Il Mulino, 2006 numero speciale, 27.

16 P. E. Plesk, T. Greenhelgh, Complexity science. The challenge of complexity in health care, BMJ, 323, 625 (2001).K. Sweeney, F. Griffiths, Complexity and health care: an introduction, Radcliffe Medical Press, Oxford (2002)

17 T. Wilson, T. Holt, Complexity science. Complexity and clinical care, BMJ, 323, 685 (2001)18 E. Materia, G. Baglio, Health science and complexity, J. Epidemiol. Community Health, 59, 534 (2005)

N. Pearce, F. Merletti, Complexity, simplicity, and epidemiology, Int. J. Epidemiol. 35, 515, (2006)19 A. Sokal, J. Bricmont, Imposture intellettuali, Garzanti, Milano (1999); pag.139

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Infine c'è una pericolosa tendenza – acuita, certamente, dalle esigenze di marketing – a vedere in ogni novità una “rivoluzione concettuale radicale”. Tutti questi fattori combinati forniscono al pubblico istruito una visione distorta dell'attività scientifica.

I dubbi sulla serietà di queste attività sono certamente amplificati dal battage pubblicitario e dalla disponibilità di risorse per le ricerche “alla moda”, che sostengono, per esempio, ricerche sui “sistemi biologici complessi”, come se ci fosse un qualche sistema biologico “semplice”.

Un contesto nel quale è evidente la contrapposizione fra entusiasti e scettici, lo fornisce lo studio del presunto riscaldamento globale del Pianeta, il global warming. In questo caso, la fazione degli entusiasti è attualmente tanto dominante da determinare perfino lo standard del politicamente corretto, mentre quella degli scettici insiste sul fatto che le ricerche svolte fin'ora non sono neanche in grado di evidenziare il fenomeno e tanto meno possono individuarne le eventuali cause.20 Tutto ciò rischia di offuscare il fatto che l'attività umana, in relazione al suo impatto sull'ambiente, necessita di essere urgentemente e assennatamente regolamentata, indipendentemente dallo spauracchio di vere o presunte prossime catastrofi ambientali.

Un'ultima difficoltà è legata all'equivoco che i sistemi complessi siano rappresentativi di ciò che è possibile studiare solo attraverso il calcolatore, anche se, indubbiamente, l'ausilio elettronico ha condotto a risultati difficilmente ottenibili in altri modi. Pensiamo, per esempio, a simulazioni del traffico nel centro di Rimini, che sono risultate molto realistiche e utili nella pianificazione urbana. Ma pensare che tutto si riduca alla elaborazione elettronica dei dati, sarebbe come credere che saper fare il pane dipenda dall'esistenza delle impastatrici meccaniche. Politi chiarisce il problema affermando che:21

[...] è in questa fase che oggi possiamo notare segni di un possibile decadimento del “metodo scientifico”. Infatti, la complessità dei problemi da affrontare spinge un numero non trascurabile di ricercatori ad introdurre e simulare modelli ad hoc, aiutati in questo dalla disponibilità di strumenti veloci per l'elaborazione dati e dall'illusione che i risultati prodotti dal computer abbiano comunque un significato oggettivo in quanto numeri! Purtroppo la rilevanza e l'oggettività di un modello sono legate alle sue capacità predittive: il modello introdotto per spiegare il fenomeno X e capace di descrivere solo X, in realtà non lo spiega affatto: nella migliore delle ipotesi ne rappresenta solo una riformulazione.

Lo studio dei sistemi complessi non ha come obiettivo quello di descrivere certi fenomeni attraverso la simulazione numerica, ma quello di comprendere le leggi che li regolano, nella speranza di poter effettuare delle predizioni e quindi poter esercitare un controllo su di essi. È necessario però sapersi accontentare, abbandonando la pretesa di comprendere questi fenomeni sulla base del determinismo meccanicistico e del dettaglio microscopico.

Tutto ciò testimonia l'interesse suscitato dallo studio di certi problemi e dall'utilizzo di certe tecniche di indagine, finalmente abbastanza conosciute ed efficaci da essere utilizzate su vasta scala. Senza dubbio,

20 Il riscaldamento globale è certamente un problema estremamente complesso e non è possibile affrontarlo sulle basi dell'esperienza o del buon senso: si richiedono modellizzazioni che inevitabilmente poggiano su semplificazioni e assunzioni, la cui validità non potrà che essere valutata a posteriori.

21 A. Politi, Può esistere una teoria della complessità? Atti del convegno Complessità e caos: prospettiva storica e comprensione moderna, Politecnico di Torino, 3 dicembre 2001.

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tanto interesse ed entusiasmo è in grado dar vita a una nuova stagione nella ricerca scientifica e, di riflesso, nel pensiero e nella vita sociale, ma la cautela è d'obbligo. Aspetti sociologici dell'impresa scientifica, come quelli qui ricordati, meritano maggiore attenzione di quanta solitamente ne ricevono: quanto è influenzata la scienza, anche nei suoi contenuti, dal contesto economico-sociale, culturale e psicologico del suo tempo? Quanto lo è non solo se vista come una mera ricerca di convenzioni e protocolli sui quali ci si possa accordare, ma anche come ricerca di aspetti di una verità oggettiva? Quanto lo è nell'ipotesi che sia indagine su una materia che esiste e che ubbidisce a precise regole di comportamento, delle quali noi scopriamo nel tempo aspetti sempre più profondi?

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4. Modelli di sistemi complessi

Un termine che viene spesso utilizzato nella modellizzazione dei sistemi complessi è quello di sistema multi-agente, che indica un mondo costituito da una sorta di scacchiera su cui gli agenti si muovono e interagiscono, per raggiungere collettivamente un dato scopo. Gli agenti possono avere memoria e adattare il proprio comportamento a diverse situazioni, oppure possono sviluppare comportamenti conflittuali fra di loro, una situazione, questa, che -- con ovvia metafora – è nota in fisica come “frustrazione”. Questo tipo di struttura è comune a molti processi biologici oltre che fisici e l'informatica l'ha metabolizzata in una varietà di metodi di programmazione, noti come “swarms” o “algoritmi genetici” o tecniche “preda-predatore”, che mimano il comportamento di sistemi dotati di capacità di adattamento, di cooperazione, di apprendimento e di mutazione.

Figura 2. Le evoluzioni degli stormi di storni sono ritenute un esempio di quei fenomeni in cui

comportamenti collettivi molto vari e impredicibili emergono in virtù delle regole estremamente

semplici seguite da ciascun individuo.

Pensiamo a uno stormo di storni, ad esempio. Chi li ha osservati sarà rimasto stupito dal sincronismo dei movimenti con i quali si spostano, alla ricerca del cibo o dell’albero più comodo per riposarsi. Lo stormo ha un comportamento completamente diverso da quello dei singoli uccelli isolati. Le regole che si pensa siano seguite dagli uccelli dello stormo sono molto semplici: a) imitare il comportamento dell’uccello più vicino, b) mantenere la sua direzione, la stessa velocità e c) cercare di non urtarlo. I risultati di questa cooperazione di gruppo, sono sorprendenti. Senza un leader o un governo centrale, emerge una struttura complessa, dotata di una specie di intelligenza distribuita, in grado di determinare evoluzioni imprevedibili e originali, con l'obiettivo d'individuare soluzioni sempre migliori per la sopravvivenza del gruppo.

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Si tratta di un'evoluzione che può essere modellizzata in uno spazio e codificata in sequenze di simboli presi da un alfabeto astratto e finito. Senza perdita di generalità, possiamo limitarci a sequenze di “0” e di “1”.

Regole di evoluzione di questo tipo sono state ideate attorno al 1940 da J. von Neumann, uno tra i più grandi scienziati del XX secolo, quando era impegnato nella progettazione del primo elaboratore elettronico e nello studio delle sue potenzialità di indagine. Egli prese in considerazione la possibilità di definire delle regole astratte di evoluzione, espresse nel linguaggio binario del computer e si chiese quale interesse scientifico potessero avere gli Automi Cellulari. La sua geniale intuizione fu che questi potessero consentire di indagare, dal punto di vista formale, le basi logiche dei fenomeni tipici della materia vivente: sopravvivenza, riproduzione, evoluzione e competizione. L'idea di von Neumann si basa sull'ipotesi che i costituenti della materia vivente (geni, cellule, semplici organismi pluricellulari) siano capaci di complessi comportamenti auto-organizzativi, a partire da semplici regole di evoluzione, che implichino, per ciascuno degli elementi costituenti, lo scambio di informazione con un sottoinsieme assai ristretto di altri elementi. Bisogna aggiungere che le idee di von Neumann apparvero a molti dei suoi contemporanei come un bizzarro tentativo di riduzionismo biologico e, in parte per questo motivo, la teoria degli automi cellulari rimase relegata per molti anni al ruolo di curiosità matematica, coltivata da una ristretta cerchia di esperti.

Qual'è la natura dei fenomeni che gli AC possono simulare? Se un AC è definito da un numero finito di celle, ciascuna delle quali può trovarsi in un numero finito di stati, l'AC stesso potrà trovarsi soltanto in un numero finito di stati e, pertanto, la sua dinamica sarà periodica. Dopo aver esplorato un certo numero di stati, la dinamica dovrà necessariamente tornare su uno di quelli già visitati. A quel punto, il determinismo della dinamica farà ripetere esattamente l'evoluzione appena terminata. Questo fatto è inevitabile in simulazioni numeriche, dato che qualsiasi computer ha una memoria finita e può simulare solo sistemi di taglia finita. Tuttavia, i tempi necessari per tornare a uno stato già sperimentato crescono esponenzialmente con la taglia; così, in un tempo non troppo lungo, la ricorrenza non è evidente, se il sistema in considerazione è abbastanza grande. Diverso è il caso di sistemi con infiniti possibili stati, nei quali dinamiche veramente aperiodiche sono possibili.

Negli anni '70, gli AC conobbero notevole popolarità, grazie alla pubblicazione di una serie di articoli della rivista Scientific American sul Gioco della Vita22 ideato da John Conway. Oggi gli AC e le loro varianti più recenti, come le cosiddette reti multi-agente, rappresentano un campo di indagine che si è affermato ben al di là dei confini della biologia teorica. Un automa cellulare come il gioco della vita è un sistema composto da un insieme di unità (celle), disposte su di una struttura spaziale discreta (reticolo), che possono assumere un numero finito di stati. L'evoluzione di ciascuna cella avviene a passi discreti nel tempo, secondo una regola di aggiornamento locale, cioè dipendente da un intorno finito della cella, uguale per tutte le celle e sincrona (contemporanea per tutte le celle). Da un punto di vista formale, un AC è definito su un reticolo infinitamente esteso in ogni direzione spaziale.23

22 M. Gardner, The fantastic combinations of John Conway's new solitaire game "life", Scientific American, Oct. 1970, 120 23 Questa scelta va sempre tenuta in debito conto, perché, in generale, non è detto che un AC, definito su un supporto

spaziale finito, descriva una dinamica con le stesse caratteristiche del sistema infinitamente esteso.

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Figura 3. Nella scacchiera del gioco della vita, siano vive le cellette nere e morte quelle bianche. L'evoluzione di ciascuna di esse dipende dal suo stato attuale e da quello delle otto cellette che la circondano. Lo stato iniziale della celletta di interesse (segnata dalla X) e delle otto che la influenzano (racchiuse da un riquadro), è rappresentato a sinistra, assimeme alle altre celle che è necessario considerare per l'evoluzione delle nove di interesse. Lo stato delle nove celle al tempo successivo è rappresentato a destra. La celletta bianca X rimane tale; diventerà nera al passo successivo.

Nel caso specifico del Gioco della Vita, la regola di evoluzione si applica ad un intorno contenente la cella che aggiorna il proprio stato e le otto che la circondano. Ogni cella è rappresentata da un quadretto e supponiamo di partire da una configurazione casuale, dove alcune celle sono “morte” (0, bianco) ed altre sono “vive” (1, nero). Lo stato di tutte le celle viene aggiornato secondo le seguenti prescrizioni: al passo temporale successivo, una cella sarà viva solo nei due casi seguenti :

- se era circondata da tre celle vive, indipendentemente dal fatto che fosse viva o morta;

- se era circondata solo da due celle vive ed essa stessa era viva.

Riguardo al significato di questo gioco, possiamo dire che stiamo analizzando un universo peculiare, in cui ogni soggetto della popolazione (celle vive) può venire generato solo da tre celle vive nel suo intorno e può sopravvivere solamente se nel suo intorno vi sono due o tre celle vive, altrimenti muore per sovrappopolazione, o per isolamento. A differenza di regole apparentemente simili, con qualche minima variante del tipo: “una cella nasce solo se ci sono quattro celle vive nel suo intorno”, il Gioco della Vita mostra un comportamento estremamente complesso, caratterizzato dalla formazione di una quantità di configurazioni stabili, oscillanti o addirittura propagantesi nello spazio, che possono coesistere le une con le altre.

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5. L'astrazione

La “complessità” non è certo diventata oggetto di indagine nell'ambito della scienza dei calcolatori, della teoria delle probabilità o della teoria dei sistemi dinamici --i soli nei quali è stata precisamente formalizzata-- per rendere comprensibile l'incomprensibile. In questi contesti, si sono semplicemente introdotti concetti operativi di “complessità”, per ridurre le caratteristiche di dati problemi a quantità numeriche, con le quali poter fare dei conti e, in ultimo, fornire risposte ugualmente quantitative. Gli approcci seguiti sono molteplici e altrettante sono le nozioni di complessità che ne sono scaturite, ma un fattore a loro comune è che i termini utilizzati sono stati svincolati dal loro significato nel linguaggio comune.

Figura 4. La dinamica del modello preda-predatore può essere rappresentata in uno spazio in cuiil numero di prede è dato dall'asse verticale e quello dei predatori dall'asse orizzontale. Ogni puntodel piano rappresenta la popolazione complessiva a un dato istante di tempo. L'evoluzione, a partireda un dato punto iniziale, disegna nel tempo una linea chiusa che rappresenta un andamento ciclico, durante il quale la crescita e la decrescita del numero delle prede si alternano con quelle dei pradatori. Iniziare in un punto diverso fa disegnare un ciclo diverso nel piano.

Per esempio, consideriamo la dinamica delle popolazioni, in cui i soggetti di una specie competono tra loro, o con soggetti di altre specie, per adattarsi ad un paesaggio di risorse da condividere. Le specie evolvono alla ricerca di un qualche equilibrio, che risulti vantaggioso per la loro riproduzione e perpetuazione. L'antesignano dei modelli di questo tipo è quello di Lotka e Volterra, rappresentante un universo popolato solamente da prede e predatori, nel quale le due popolazioni fluttuano ciclicamente. Infatti, se ci sono pochi predatori, le prede crescono di numero, andando ad aumentare le risorse alimentari dei predatori. Questi possono allora crescere in numero, fintantoché la disponibilità di prede non si faccia insufficiente. A quel punto, i predatori inizieranno a diminuire per scarsità di cibo e si riprenderà il ciclo. Il fenomeno può stabilizzarsi, portare all'estinzione dei soli predatori, oppure di entrambe le popolazioni. In questo modello, l'interazione fra prede e predatori è estremamente idealizzata e semplice, anche se si è dimostrata adeguata a descrivere certe situazioni.24 Vedremo in

24 Il modello spiega i dati statistici relativi alle presenze delle varie specie ittiche nell’Adriatico, nel periodo 1905-1923, quando, a causa della Prima Guerra Mondiale la pesca era pressoché cessata e la presenza delle diverse specie di pesci non

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seguito come modelli altrettanto semplici possano mostrare invece meccanismi di evoluzione estremamente complessi e imprevedibili.

Marmo nero Illuminazione notturna degli USA

Neuroni

Nebulosa Granchio Onde marine

Figura 5. Immagini di fenomeni alquanto diversi presentano a volte analogie notevoli. Se loscopo di un modello matematico è di riprodurre tali immagini, si può pensare che uno stessomodello, variando qualche parametro, si adatti a situazioni di natura fortemente diversa.

Affrancando i termini utilizzati in questa modellistica matematica dal loro significato abituale, attraverso un'operazione di astrazione dal reale concreto, si sono ottenute strutture matematiche i cui elementi possono essere interpretati in molti modi diversi. Per esempio, se i termini rappresentanti i soggetti di una popolazione vengono interpretati come agenti di cambio del mercato azionario e alla competizione tra animali si sostituisce la propensione all'acquisto o alla vendita di un titolo azionario, se ne ricava un modello di evoluzione del mercato finanziario. L'adeguatezza di tale modello, sicuramente ricco di aspetti sorprendenti, dovrà poi essere valutata, a posteriori, tramite osservazione

era più tanto influenzata dall'attività dell'uomo. I dati mostravano delle fluttuazioni periodiche nelle proporzioni delle diverse specie, che Volterra pensò di esemplificate con il caso ideale di due sole specie, una di prede e l'altra di predatori, che si contendono lo stesso cibo o si nutrono l’una dell’altra. Nel 1926, Volterra pubblicò tali studi in due articoli: Variazioni e fluttuazioni del numero d'individui in specie animali conviventi e Fluctuations in the abundance of a species considered mathematically. Volterra si dedicò con grande impegno allo sviluppo di una teoria delle associazioni biologiche fra specie, ma fu criticato da molti biologi che, contrapponendo la complessità del vivente alle necessarie semplificazioni matematiche, ritenevano i modelli matematici non idonei per lo studio della biologia. Volterra ribatteva che, nonostante anche la realtà fisica avesse una notevole complessità, i metodi matematici riuscivano con successo a rappresentarla, pur con le inevitabili idealizzazioni che si dovevano fare.

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diretta del fenomeno. Che una tale strategia sia risultata vincente in certi casi, ha reso plausibile l'efficacia di un simile approccio in altre situazioni: per esempio nello studio dell'evoluzione urbanistica di una moderna metropoli, della dinamica degli insediamenti umani in epoca protostorica o della nascita dei villaggi e città stato nell'antichità. In effetti, una tale opinione ha avuto alcune conferme ed è anche suggerita da sorprendenti similitudini formali fra fenomeni affatto diversi. Si veda, ad esempio, l'ardito accostamento di immagini di realtà molto eterogenee fra loro, in Fig.5.

Le similitudini suggerite da questa provocazione possono essere prese molto sul serio, come nel caso di Fig.6, che riguarda una simulazione dell'universo a larga scala e un esperimento di vascolarizzazione in vitro, svolto in un centro di ricerche sui tumori.

Figura 6. La struttura osservata nelle simulazioni dell'evoluzione dell'Universo, su scale dispazio e di tempo astronomiche (pannello di sinistra),25 presenta una somoglianza formale con la creazione di vasi in tessuti biologici, su scale totalmente diverse. Nondimeno, l'adattamento del modello cosmologico al problema biologico, suggerito da tale somiglianza, ha condotto ad una nuova comprensione del fenomeno della vascolarizzazione.26

Cosa permette tali somiglianze? In primo luogo, le rappresentazioni grafiche hanno una corrispondenza nelle equazioni matematiche con le quali descriviamo situazioni così diverse. L'accordo con la realtà osservata non è certo garantita a priori, anzi, non ci sono ragioni di principio per le quali la vascolarizzazione dovrebbe essere descritta dallo stesso modello con il quale si rappresenta l'universo a larga scala. Tuttavia, l'avere osservato la similitudine delle immagini qui riportate ha suggerito la possibilità ed ha condotto alla scoperta di un nuovo fenomeno, poi verificato in laboratorio. Inoltre, da molto tempo si è osservato che fenomeni alquanto diversi, come quelli della diffusione di materia, del trasporto del calore e dello sviluppo di colonie batteriche, possono essere descritti da uno stesso tipo di equazione, purché gli stessi termini matematici vengano interpretati diversamente.

Così, auspicando che questo possa accadere frequentemente, certi altri modelli sono stati utilizzati tanto per le analisi del mercato finanziario, quanto per la diffusione dell'AIDS, tanto nei problemi del traffico quanto in quelli delle rivolte nelle carceri, seppur con alterni successi. Infatti, se ci sono buone ragioni

25 M. Vergassola, B. Dubrulle, U. Frisch, A. Nullez, Burgers' equation, Devil's staircases and the mass distribution for large-scale structures, Astronomy and Astrophysics 289, 325 (1994)

26 A. Gamba, D. Ambrosi, A. Coniglio, A. De Candia, S. Di Talia, E. Giraudo, G. Serini, L. Preziosi, F. Bussolino (2003). Percolation, morphogenesis, and Burgers dynamics in blood vessels formation, Phys. Rev. Lett. 90, 118101 (2003)

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perché la diffusione del calore e quella della materia risultino simili, non si capisce perché una rivolta in un carcere debba seguire tali leggi.

È opportuna, pertanto, una considerazione sulla significatività dei modelli matematici utilizzati. Occorre sottolineare, per esempio, che la conoscenza delle leggi d'interazione tra le molecole di un dato materiale è stata ottenuta tramite misure sperimentali, che ne hanno consentito l'espressione con formule matematiche, ripetutamente verificate nel corso dei decenni. Le leggi che regolano la nostra rappresentazione, pertanto, sono date e possono al più rappresentare delle semplificazioni di aspetti di dettaglio che risultino praticamente irrilevanti.

Nel caso della descrizione di un sistema urbanistico, o economico, le regole di interazione non sono invece deducibili da misure sperimentali ma, in genere, vengono stabilite sulla base di inferenze, giudicate pertinenti dal ricercatore, o da una comunità di ricercatori. Non vi è niente di illegittimo in tutto questo, purchè si tenga presente che le ipotesi costitutive di un modello così costruito vanno validate a posteriori ed eventualmente modificate, qualora risultino in contraddizione con le osservazioni. In altre parole, gli aspetti soggettivi, introdotti nella scelta di ciò che riteniamo essere rilevante nella definizione di un modello matematico, devono sempre essere esplicitamente dichiarati e sottoposti a un controllo critico. Se questo è relativamente facile da fare nel campo delle scienze fisiche, lo è molto di meno in altri ambiti.

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6. Informazione, aleatorietà e misure di complessità

Nel corso del XX secolo, la complessità ha gradualmente cessato di essere una mera dichiarazione di incomprensibilità o intrattabilità, ed è divenuta oggetto di studio in sé e per sé. Già John von Neumann, alla fine degli anni '40 del XX secolo, riteneva che ci dovesse essere un concetto scientifico di “complicazione”, ma le prime definizioni formali di complessità risalgono a periodi più recenti e sono state motivate dalla teoria dell'informazione e dalla scienza dei calcolatori.

Vediamo come si possa quantificare la complessità e come la si possa collegare al concetto di imprevedibilità.27 Nei fenomeni termodinamici, l'impredicibilità dei moti microscopici, molecolari, non ha corrispondenza diretta al livello macroscopico. Così, se non è possibile prevedere dove si troveranno le singole molecole di aria, ad un dato istante di tempo, è del tutto prevedibile che si distribuiranno in modo uniforme nell'ambiente. Anzi, è grazie alle cause dell'imprevedibilità microscopica, che il comportamento macroscopico è così semplice, cioè che tende all'uniformità. Perché?

Sono diverse le questioni da dover considerare. Innanzitutto, si deve osservare che seguire il comportamento macroscopico è equivalente a guardare il fenomeno da una certa distanza, dalla quale le molecole non si distinguono tra loro e appaiono collettivamente come un continuo nello spazio.28 La descrizione macroscopica comporta cioè una perdita di informazione, che ammonta alla rinuncia a conoscere la miriade di dettagli del livello microscopico e ad accontentarsi di una rappresentazione più grossolana ma, proprio per questo, più significativa.

Se il ragionamento può sembrare oscuro, si pensi a un film e ai suoi fotogrammi. Cambiare qualche grano di colore qua e la, come accade ad una vecchia pellicola, non ne altera il messaggio, mentre esaminare attentamente i singoli fotogrammi o addirittura i singoli grani di colore di ciascun fotogramma risulta privo di significato.

Analogamente, è grazie alla perdita di informazione (tecnicamente detta proiezione) che sistemi molto diversi fra loro nel dettaglio abbiano, alla fine, lo stesso comportamento globale. Tanto maggiore è l'informazione trascurata (tanto maggiore è il numero di proiezioni fatte) tanto più ampia sarà la classe di sistemi descritti da uno stesso modello macroscopico, cfr. Fig.7.

Ora, nel passaggio dal micro al macro, la perdita di informazione è enorme e fa si che innumerevoli sistemi microscopicamente diversi abbiano lo stesso comportamento macroscopico. Tuttavia, è difficile delineare un confine netto fra dettagli irrilevanti e informazione essenziale --sappiamo dei messaggi subliminali, prodotti dalla sostituzione di pochi fotogrammi o parti di fotogramma. È altresì noto che trascurare una parte del dettaglio microscopico snatura in parte il fenomeno; per esempio, può comportare una perdita di determinismo e l'introduzione di un certo grado di stocasticità, nella sua evoluzione.

Quali condizioni rendano opportuna una descrizione ridotta, quali descrizioni ridotte siano significative --vale a dire, quali variabili siano da ritenere rilevanti e quali possano essere trascurate-- sono problemi aperti e di ardua trattazione, a cui solo l'esperienza può dare una risposta. Si consideri, ad esempio, il fenomeno della frattura nei solidi, che vede intimamente interconnesse le scale micro, meso e

27 G. Boffetta, M. Cencini, M. Falcioni, A. Vulpiani, Predictability: a way to characterize complexity, Physics Reports 356, 367 (2002)

28 Questo è un fatto familiare. Si pensi all'osservazione da alcuni chilometri di distanza, della vegetazione di una collina: appare come una macchia continua, di colore variabile, nonostante sia fatta di piante distinte; oppure si pensi all'osservazione di un capo di abbigliamento di lana da una distanza dalla quale non si distingua la trama.

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macroscopiche.29 Oppure, si pensi agli oggetti delle odierne bio- e nano-tecnologie: nell'analogia con un film di pochi fotogrammi, cambiarne anche un solo componente comporterebbe una differenza importante sul tutto. In effetti, si scopre che le regole di comportamento mutano in modi che ancora ci sfuggono, quando si considerano sistemi via via più piccoli (si veda il trasporto di materia in membrane microporose o le bassissime densità, alle quali il continuo ha comportamenti sostanzialmente diversi dal discreto).

Figura 7. Partendo da una setssa condizione iniziale (il rettangolo a sinistra), si possono avere dinamiche diverse, come quella delle figure superiori e quella delle figuri inferiori, in questo disegno. Tuttavia, se proiettate sull'asse orizzontale, le dinamiche sono entrambe raffigurate dalla dinamica dei segmenti spessi nell'asse stesso. Una proiezione fa perdere informazione sulla dinamica e maggiore è il numero di proiezioni effettuate, maggiore è il dettaglio perso. Se dopo aver proiettato nell'asse orizzontale, si proietta il risultato su quello verticale, qualsiasi evoluzione nel piano è ridotta a un semplicissimo punto, fermo nell'origine.

Questo è da tenere presente, se si vogliono applicare in ambiti diversi gli stessi modelli teorici, mutuati dalla fisica nell'ipotesi che i componenti elementari dell'oggetto di studio siano estremamente numerosi e semplici. In effetti, i componenti dei sistemi che tipicamente ci appaiono complessi sono numerosi, ma non così tanto quanto i costituenti atomici e molecolari di un sistema termodinamico che, infatti, può avere comportamenti collettivi semplici e facilmente prevedibili. La numerosità più comunemente corrispondente ai fenomeni complessi pare essere quella del livello che potremmo chiamare mesoscopico. In queso caso, il numero di proiezioni che si possono fare è ridotto rispetto ai sistemi di una quantità macroscopica di costituenti.

Vediamo come le nostre considerazioni sulla informazione relativa a un certo fenomeno si possano collegare a delle misure di complessità.

Una evoluzione continua nel tempo, rappresentata da una traiettoria in un certo spazio , genera una evoluzione discreta, stroboscopica, se osservata solo a istanti distinti t1, t2, t3... (per esempio, t1=1 min, t2=2 min, t3=3 min,...). In molti casi la descrizione discreta contiene tanta informazione quanta ne

29 La rottura dei legami atomici si associa alla formazione e propagazione di onde d'urto di taglia mesoscopica e macroscopica, con l'emissione di rumori di diverse frequenze.

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contiene l'evoluzione continua, ma quella discreta risulta più facile da utilizzare; in particolare, consente la quantificazione del concetto di “informazione”, o “complessità”.

Figura 8. Una traiettoria in uno spazio suddiviso in cellette identificate da una lettera, genera una successione di simboli, rappresentate la sequenza di cellette visitate. La dinamica diventa cosìuna “storia” scritta in quell'alfabeto.

Dinamica, legge che la esprime, e informazione vengono collegate quando si studiano le proprietà qualitative e statistiche del moto. A questo fine, si suddivide lo spazio in celle, a ciascuna delle quali si attribuisce un peso p proporzionale alla frequenza con cui la cella viene visitata. L'insieme dei pesi delle celle viene interpretato come una distribuzione di probabilità in , identificando la probabilità di un dato evento con la frequenza con cui l'evento si verifica. Maggiore è questa frequenza, che viene ottenuta deterministicamente dalla dinamica, maggiore sarà ritenuta la probabilità di trovarsi in quella cella. In tal modo, si rinuncia a seguire la traiettoria esatta, accontentandosi dell'informazione ridotta data dalla sequenza di celle visitate e si getta un ponte fra dinamica e probabilità che, a prima vista, potrebbero sembrare antitetiche.

La descrizione probabilistica si è rivelata di grande utilità per caratterizzare quelle dinamiche che, pur essendo prevedibili in linea di principio, perché deterministiche, non lo sono in pratica a causa della loro complicatezza, come le dinamiche caotiche. In questi casi, i valori istantanei delle diverse quantità che caratterizzano l'evoluzione non hanno alcun significato pratico, ma la nozione di probabilità permette di sostituirle con le loro medie e queste, trascurando i dettagli insignificanti dell'evoluzione, come nel caso di un film, ne forniscono una descrizione comprensibile.

Identifichiamo ogni cella con un simbolo, una lettera, per esempio, e prendiamo una traiettoria con origine nella cella N dello spazio Nel tempo, essa visiterà altre celle in un certo ordine, producendo la successione simbolica delle celle attraversate. Nel caso raffigurato in Fig.8, il segmento di traiettoria sarà associato alla sequenza simbolica “N R V a g f e Y T”.

Se la dinamica è “caotica”, due traiettorie vicine si separano rapidamente e danno luogo a sequenze

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simboliche diverse. Pertanto, se ad una traiettoria si può sempre associare una sequenza simbolica, nel caso di dinamica caotica vale anche il contrario: ad ogni sequenza simbolica si associa una data traiettoria. In questi casi, l'informazione contenuta in una sequenza simbolica è equivalente all'informazione sul moto, data dalla conoscenza della traiettoria.

Visto che le diverse traiettorie tendono a separarsi (in diversi gradi secondo le dinamiche), le corrispondenti sequenze simboliche tendono a differenziarsi, man mano che si allungano, ma tanto più vicine fra loro sono le origini delle diverse traiettorie, tanto più lunga è la sequenza di simboli che viene condivisa. Una sequenza simbolica, dunque, contiene una certa informazione sull'origine di una traiettoria e tanto più lunga è la sequenza, tanto minore è l'incertezza su tale origine.

Il concetto di informazione può ora essere introdotto in vari modi, di cui il più immediato consiste nel considerare sequenze finite di simboli, che caratterizzano la regione di dalla quale hanno origine le traiettorie che condividono quelle sequenze.

Figura 9. Traiettorie diverse, corrispondenti a diverse dinamiche, solcano lo stesso spazio Nel caso che la dinamica sia caotica, traiettorie che iniziano vicino il loro percorso, si separano dopo pochi passi. In questo caso, la conoscenza della sequenza di poche celle visitate fornisce

molta più informazione sullo stato iniziale, che nel caso di lenta separazione.

L'insieme dei simboli attribuiti alle celle dello spazio costituisce una specie di alfabeto con il quale si possono scrivere delle parole e la successione infinita di simboli, che codifica una traiettoria intera, può essere vista come il libro scritto dalla dinamica, nel quale è contenuta tutta l'informazione necessaria a trovare l'origine della traiettoria in questione. Questa informazione può essere quantificata in vari modi. Se come misura dell'informazione prendiamo il numero di parole diverse di data lunghezza, che si trovano in una sequenza simbolica, si possono definire come semplici le traiettorie che danno luogo a poche parole di quel tipo e complesse quelle che ne generano molte. Da questo punto di vista, le traiettorie dette punti fissi (che mantengono la loro posizione invariata nel tempo) e le orbite periodiche (che tornano sui propri passi a intervalli regolari) sono traiettorie decisamente semplici. Tali traiettorie contengono, infatti, una sola parola che viene ripetuta ciclicamente nel tempo. Le sequenze simboliche che codificano le traiettorie caotiche contengono, invece, una certa varietà di parole che dipende da caso a caso. L'informazione può allora essere misurata utilizzando le frequenze con cui le diverse parole sono ripetute all'interno delle successioni simboliche. Per esempio, date le

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probabilità p(A), p(B), p(C), ecc. delle parole fatte del solo simbolo A, del solo simbolo B, C ecc,30 una misura dell'informazione è la cosiddetta entropia di informazione, definita dalla formula

S = -p(A) log(p(A)) - p(B) log(p(B)) - p(C) log(p(C)) - …

dove “log” è la funzione logaritmo. Questa formula ha il pregio di distinguere fra situazioni a cui il buon senso attribuirebbe diversi gradi di disordine. Il massimo valore di S corrisponde infatti al massimo disordine, mentre S decresce al crescere dell’ordine. In termini di probabilità, il massimo disordine è associato al caso in cui tutte le celle hanno stessa probabilità, che vuole anche dire massima imprevedibilità dell’esito di una misura, in quanto tutti i possibili esiti hanno stessa probabilità di verificarsi.

Un'altra misura dell'informazione contenuta in una sequenza simbolica viene ottenuta separando le sue parole di data lunghezza m rare (quelle le cui probabilità si sommano ad un numero piccolo x) da quelle che non sono rare. Fra le possibili suddivisioni di questo tipo, si prende quella che rende minimo il numero N di parole non rare e si calcola a quale limite la quantità log(N)/m converge quando m diventa sempre più grande e x sempre più piccolo. Questo limite, quando esiste, prende il nome di informazione, o complessità, della sequenza simbolica, ovvero dell'evoluzione temporale. La terminologia è motivata, all'interno del costrutto teorico che abbiamo delineato, dal fatto che la codifica più compatta dei messaggi contenuti in una data sequenza simbolica ha lunghezza pari a questa “complessità”. In questa accezione, la complessità quantifica l'informazione effettivamente contenuta in una data sequenza simbolica, al netto di tutte le ridondanze. Questo è utile, per esempio, nello sviluppo di compressori di dati, come lo zip.

Questi concetti non hanno, però, un legame diretto con ciò che si chiamerebbe informazione o complessità nel linguaggio comune e il loro uso in altri contesti può risultare fuorviante. Per esempio, massima complessità, o massimo contenuto di informazione viene attribuito alle sequenze aleatorie di simboli. Così, se si dovesse giudicare la complessità riduzionisticamente, dal punto di vista della dinamica microscopica, l'acqua dentro un bicchiere verrebbe stimata come più complessa di un pulcino vivo, in quanto i componenti microscopici del pulcino stanno sicuramente in configurazioni più ordinate e hanno comportamenti meno aleatori di quanto capiti alle molecole dell'acqua nel bicchiere. Diversamente, un sistema ci appare tanto più complesso, quanto più manifesta una varietà e una ricchezza di comportamenti, in cui ordine e disordine coesistono. Con una certa sorpresa, si scopre così che i sistemi meno caotici a livello microscopico, risultano spesso maggiormente impredicibili a livello macroscopico.31

L'informazione definita come sopra manca anche nel distinguere fra dinamiche apparentemente equivalentemente complesse, ma che riguardino oggetti materiali molto diversi fra loro. Per esempio quelle che potrebbero avvenire nei circuiti elettrici di un computer, in quelli del nostro cervello o nella struttura del punto omega, il computer cosmico di Tipler.32 In modo avvincente e convincente, Massimo Buscema, direttore del Centro Ricerche di Scienze della Comunicazione Semeion, in una intervista su Avvenire, afferma:33

30 Allora p(A), p(b), p(C) ecc. sono le frequenze con cui la traiettoria visita le celle A, B, C, ecc.31 O.G. Jepps, L. Rondoni, Thermodynamics and complexity of simple transport phenomena, Journal of Physics A 39, 1311

(2006). 32 F. J. Tipler, The Physics of Immortality: Modern Cosmology, God and the Resurrection of the Dead, Doubleday, New

York (1994)33 http://www.avvenire.it/Cultura/I+domatori+di+stelle.htm

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È credibile che all’età di 50 anni, io non abbia più neanche un atomo di quelli che avevo a cinque anni. Ma allora perché mi sento la stessa identità e mi ricordo anche di quando avevo cinque anni, se tutta la materia di cui ero fatto è cambiata? Dove sono stato registrato? Dov’è il disco rigido su cui è stato fatto il backup di me stesso? Non c’è. E allora perché ho memoria? E’ più probabile che la mia identità non sia fornita dalla mia struttura bio-materiale (che cambia continuamente) ma dalla funzione matematica che connette tutte le traiettorie di qualsiasi mio atomo. In altri termini: la mia identità è solo un’organizzazione di informazioni, un pensiero.34

Ampiamente condivisibile, questa opinione nasconde delle insidie e può essere equivocata o spinta a eccessi criticabili, se la si vuol far prescindere totalmente dal substrato materiale che si fa carico di immagazzinare o mediare l'informazione. Già in fenomeni semplici, come quelli riguardanti il trasporto del calore, si vede che materiali diversi, corrispondenti a diversi modi di interagire dei componenti microscopici, hanno proprietà diverse. Le connessioni degli atomi si “nutrono” infatti di materia, nel mediare informazione, e non sorprende che faccia una certa differenza che il mediatore della apparentemente medesima informazione sia un chip di silicio piuttosto che una nostra cellula nervosa.35 Queste e altre questioni legate alle definizioni formali di complessità, come il fatto che, oltre che essere fatti di un dato tipo di materia e vivere alla scala macroscopica, le nostre esperienze durano solo un tempo finito, sono oggetto di molti studi, per esempio in ambito psicologico e delle scienze cognitive.36

34 È interessante osservare che ci sono anche materiali inerti, che sembrano dotati di una qualche forma di memoria. Per esempio, i metalli che “ricordano” la propria forma e che, in caso vengano deformati meccanicamente possono riacquistare la forma originale, se sottoposti a trattamenti termici. In questo caso, però, non si può parlare di una evoluzione che porta alla sostituzione dei costituenti iniziali con altri equivalenti.

35 L. Rondoni, Complessità, caos e la presunta supremazia dell'informazione sulla materia, (in stampa)36 Griffiths, T. L. and Tenenbaum, J. B. (2003). Probability, algorithmic complexity, and subjective randomness.

Proceedings of the Twenty-Fifth Annual Conference of the Cognitive Science Society , 480-485.

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7. Caos, imprevedibilità e irreversibilità

L'atmosfera terrestre è formata da un numero enorme di molecole allo stato gassoso, le quali interagiscono tra loro a livello microscopico attraverso semplici collisioni. Pertanto, le leggi della meccanica dovrebbero fornire, in linea di principio, una completa conoscenza dell'evoluzione dell'atmosfera, o quanto meno del nostro modello di essa, cosa che invece resta fuori dalla nostra portata. Infatti, il comportamento che ci interessa è quello delle nostre scale di spazio e tempo, cioè quello fluidodinamico, che riguarda un livello di descrizione ben diverso da quello delle singole molecole. In fluidodinamica, si trascura il fatto che l'atmosfera è composta di molecole di tante specie diverse e si immagina che sia rappresentabile come una sostanza continua, che fluisce sotto l'azione di certe forze macroscopiche. In questo modo si riesce a rendere ragione, per esempio, della variabilità dei fenomeni atmosferici e della loro limitata predicibilità. Diversamente, lo studio del moto delle singole molecole non rivela neanche la differenza fra un moto collettivo turbolento e la staticità del gas dentro una bombola: le molecole sono velocissime e animate da un moto estremamente irregolare in entrambi i casi. Le caratteristiche dell'evoluzione dell'atmosfera emergono, invece, da leggi di conservazione e da vincoli esterni, che determinano il comportamento alla scala fluidodinamica e non quella molecolare.37

Possiamo tuttavia affermare che, se fossimo in grado di risolvere le equazioni del moto di tutte le particelle di cui l'atmosfera è costituita, rendendo espliciti anche i vincoli idrodinamici, potremmo determinarne univocamente l'evoluzione? A parte il fatto che l'astronomico numero di equazioni da considerare non consentirebbe in pratica di realizzare un tale programma, neppure con i più potenti calcolatori oggi concepibili, vi sono dei precisi ostacoli, che non consentono di eseguire una tale operazione, nemmeno in linea di principio. Difatti, perfino il nostro modello matematico macroscopico di atmosfera ha la sgradevole proprietà di essere intrinsecamente impredicibile. Nonostante abbia la forma esatta di equazioni matematiche perfettamente deterministiche, la benchè minima imprecisione iniziale nella conoscenza dei valori delle variabili dinamiche, che determinano ad un dato istante lo stato del sistema, viene amplificata in modo così rapido, al trascorrere del tempo, da rendere impossibili previsioni certe sulla sua evoluzione futura.

Se si lancia con un cannoncino a molla una pallina, la si vede cadere, per effetto della forza di gravità, a una distanza, che può essere agevolmente calcolata sulla base delle leggi della meccanica newtoniana (o classica). La misura mostra che, entro un certo limite di errore, questa distanza corrisponde a quella predetta dal calcolo; si pensi che riusciamo veramente a mettere in orbita dei satelliti o a spedirli su Marte. Eppure, ripetendo più volte la medesima procedura, la pallina non ricade mai esattamente nello stesso punto, ma in un intorno di esso, magari non eccessivamente esteso.

Questo è un esempio di dinamica deterministica e stabile: nonostante l'inevitabile imprecisione nel riprodurre le condizioni di lancio, si può comunque prevedere, con una ragionevole accuratezza, dove la pallina andrà a cadere. Un esempio di evoluzione impredicibile, invece, è dato dal fumo che esce da una sigaretta. Pur partendo da condizioni iniziali molto vicine (la punta della sigaretta), le molecole di fumo si diluiscono nell'aria di tutto il locale. Ripetendo l'esperienza, di volta in volta le singole molecole percorrono traiettorie diverse e raggiungono posizioni molto distanti fra loro. Una misura non può determinare la posizione raggiunta, dopo questo tempo, da una data molecola, ci si deve accontentare di poter dire soltanto che essa avrà uguale probabilità di trovarsi in un qualunque punto dell'ambiente. In questo caso l'impredicibilità dell'evoluzione dinamica di ciascuna molecola ci

37 In linea di principio, queste leggi dovrebbero essere ricavate dal processo di proiezione descritto in precedenza ma, in realtà, si è ben lungi dal comprendere nel dettaglio come questo dovrebbe accadere.

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consente, però, un'inferenza tanto semplice quanto significativa.

Per convincerci del fatto che un'evoluzione impredicibile è la situazione ampiamente più comune, si consideri l'esempio del pendolo composto, cfr. Fig.10. Se le oscillazioni nell'intorno del suo punto di equilibrio sono di piccola ampiezza, il pendolo composto mostra una dinamica non troppo diversa dalle oscillazioni sincrone del pendolo semplice. Al contrario, per oscillazioni di grande ampiezza, l'evoluzione di quello composto diviene erratica e di fatto impredicibile, nonostante la meccanica classica funzioni perfettamente.

Figura 10. Il pendolo composto soddisfa leggi meccaniche deterministiche ben note e semplici,se si esclude l'effetto dell'attrito. Nondimeno, il suo moto diventa imprevedibile, se gli si fannofare oscillazioni non piccole.

Illustriamo l'origine della impredicibilità con un esempio elementare.

Figura 11. Una freccia scagliata con una certa imprecisione rende impossibile stabilire doveesattamente cadrà. Se il bersaglio è troppo lontano, non è possibile neanche prevedere se verràcolpito. Se il moto della freccia è rettilineo, l'incertezza cresce linearmente con la distanza. Migliorare di un certo fattore la precisione della previsione richiede che l'incertezza iniziale venga ridotta dello stesso fattore.

La figura 11 rappresenta un arciere che mira con un'incertezza data dall'angolo fra le due linee rette terminanti con una freccetta. L'incertezza sul punto in cui la freccia colpirà un bersaglio (una delle linee verticali) è delimitata dall'intersezione delle rette oblique con lo stesso. Se questo è vicino all'arciere, l'incertezza è minima, ma cresce proporzionalmente alla distanza, fino a raggiungere il 100%.

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Migliorare di un dato fattore n la previsione sul punto in cui la freccia andrà a cadere richiede che l'incertezza sulla sua direzione iniziale venga ridotta dello stesso fattore (linee tratteggiate).

Se invece le incertezze crescessero in modo esponenziale, con base 10, diverrebbe quasi immediatamente impossibile fare qualsiasi previsione: per migliorare la precisione della previsione di un fattore n, l'incertezza iniziale dovrebbe essere ridotta del fattore 10n (Fig.12). Purtroppo, la direzione iniziale della freccia può essere conosciuta solo con un certo grado di approssimazione ed ogni minimo dubbio su di essa si amplifica rapidissimamente e si riflette nella totale indeterminatezza della previsione.

Pertanto, anche i sistemi più semplici possono diventare imprevedibili. Se le incertezze crescono linearmente, per migliorare la previsione di un certo fattore basta ridurre l’incertezza iniziale dello stesso fattore. Questo non è il caso del caos deterministico che, diversamente, è caratterizzato dalla crescita esponenziale delle incertezze e, se si assume 10 come base, concede un miglioramento di un fattore 2 nelle previsioni solo a una crescita di un fattore 100 nella precisione iniziale, un miglioramento di un fattore 3 nella previsione a una crescita di un fattore 1000 nella precisione iniziale e così via.

Figura 12. Se le incertezze crescono in modo esponenziale, oltre una certa distanza è impossibilefare previsioni, anche migliorando sensibilmente la precisione iniziale.

Si noti che la previsione si fa impossibile anche a causa della finitezza del bersaglio: dinamica deterministica, crescita non-lineare (esponenziale) delle incertezze e finitezza dello spazio definiscono quello che viene detto caos deterministico, il quale non richiede alcuna intrinseca aleatorietà nelle leggi del moto. Si tratta di un concetto concepito già da Filone di Bisanzio nel terzo secolo avanti Cristo,38 ma poi sostanzialmente dimenticato, fino ai primi del '900, quando Poincaré lo formulò in termini moderni.

Pensiamo ora alle molecole di un oggetto come alle bocce di un biliardo, il cui moto è noto essere caotico. Se le bocce sono solo due, le si mette in moto colpendole con la stecca e poi le si riprende con una telecamera, avendo cura di tagliare la parte iniziale del moto (quando si vede la stecca) e la parte finale (quando le bocce si fermano), il filmato proiettato all'indietro sembrerà tanto realistico quanto

38 L. Russo, La rivoluzione dimenticata, Feltrinelli, Milano (1996)

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quello proiettato in avanti. Che le bocce si avvicinino o si allontanino le une dalle altre non dice nulla sulla sequenza temporale degli eventi.

Figura 13. Il moto delle bocce in un biliardo dipende sensibilmente dalle condizioniniziali. Una minima differenza in queste produce una grande differenza nel moto che segue. Se le bocce sono solo due, però, questo fatto non si associa ad una “freccia del tempo”.

Se le bocce sono 10 o più, inizialmente disposte a formare una struttura ordinata, la sequenza temporale è inequivocabilmente caratterizzata dall'evoluzione verso una situazione disordinata, nella quale le bocce saranno distribuite in modo circa uniforme, sul tavolo da biliardo. Seppur possibile, la sequenza inversa corrisponde ad un tipo di moto tanto insolito da apparire del tutto irreale ai nostri occhi. Allo stesso modo, le molte molecole di un gas tendono a distribuirsi in modo disordinato (a caso) all'interno del loro recipiente, cioè a riempirne uniformemente ogni angolo.

Figura 14. Se le bocce sono di più di poche unità, la caoticità del moto, dovuta alle loro interazioni, conduce in breve ad una loro distribuzione casuale, ovvero uniforme, nel biliardo. Questo rende evidente la direzione del tempo, che, in un sistema isolato come questo, va sempre dall'ordine al disordine. Il moto dal disordine all'ordine non è impossibile in linea di principio, ma è irrealizzabile in pratica ed è tanto più improbabile quanto più numerose sono le bocce.

In entrambi i casi, la dinamica delle singole bocce è reversibile e impredicibile, ma il moto collettivo di Fig.13 non mostra tracce di irreversibilità, mentre nel caso di Fig.14 tale impredicibilità si accompagna al predicibilissimo e irreversibile raggiungimento della distribuzione disordinata. Questa è anche detta distribuzione uniforme, perché non privilegia nessuna regione e consente alle bocce di trovarsi indifferentemente ovunque nel biliardo.39 La statistica delle posizioni nello spazio acquista in tal modo un significato pratico laddove solo le leggi meccaniche sembravano essere pertinenti, mentre queste perdono di interesse. La statistica, poi, mostra l'oggetto di indagine come un tutt'uno e non come un insieme di pezzi distinti. Pensare alle bocce come alle molecole dell'aria che respiriamo illustra così due aspetti fra loro strettamente collegati, di una quantità di fenomeni naturali:

39 Più precisamente, la frazione di tempo che ogni boccia spende in una data regione del biliardo cresce proporzionalmente alla dimensione della regione.

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1. la differenza fra micro- e macro-comportamenti, quando molti oggetti interagiscono;2. l'irreversibilità e la tendenza verso il disordine, in conseguenza di interazioni e grandi numeri.

A dispetto della connotazione negativa che diamo a questi termini nel linguaggio comune, essi risultano estremamente importanti e utili; pensiamo a cosa ci succederebbe se tutte le molecole d'aria della sala dove ci troviamo decidessero di ritirarsi diligentemente in un angolino...

D'altro canto, nonostante l'importanza della “uniformità”, questa non ci appare particolarmente “viva”.Quando e come iniziano a formarsi delle strutture? Quando e come si realizza l'ordine che necessita alla vita? Può essere controintuitivo, ma il primo passo in questa direzione richiede una “dissipazione” delle risorse energetiche dell'ambiente. Quando un dato sistema si accoppia con l'ambiente circostante e con questo scambia materia ed energia, per compiere un certo lavoro, inevitabilmente “dissipa” in calore l'energia che riceve, rendendola successivamente inutilizzabile (“degradazione” dell'energia). È il prezzo richiesto per la creazione di ordine dal disordine della materia inerte!

Figura 15. Distribuzione degli elettroni nello spazio delle fasi di un modello di conduzioneelettrica. L'asse orizzontale rappresenta la posizione, quello verticale la velocità di un elettrone. Nel pannello di sinistra, il campo elettrico è nullo, è dunque nulla anche la dissipazione e non si formano strutture: si osserva una distribuzione casuale, ovvero uniforme, degli elettroni. Nel pannello di destra, il campo elettrico è elevato: molta energia viene data agli alettroni dall'esterno e molta energia viene dissipata verso l'esterno, in modo da mantenere uno stato stazionario. Questo si associa alla formazione di strutture, seppure molto semplici.

Qui si osserva un ulteriore balzo qualitativo nell'evoluzione collettiva, dovuto al fatto che il sistema non solo è internamente interconnesso, ma interagisce con l'ambiente circostante. Il semplicissimo esempio di Fig.15, ben lontano dalla ricchezza di qualsiasi struttra biologica, lascia intuire la necessità, per la formazione di strutture, quindi per quell'ordine che la vita richiede, di un delicato bilancio fra interazioni interne e scambi con l'ambiente. La sola energia dei moti caotici finirebbe nel piatto disordine; la sola dissipazione, consumando l'energia disponibile, porterebbe alla stasi.

Le considerazioni sull'impredicibilità di sistemi descritti da equazioni di evoluzione deterministiche, toccano altri interrogativi. Per esempio, che senso può avere far risolvere ad un computer le equazioni di evoluzione di un sistema impredicibile, se il computer stesso, nella rappresentazione di una

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qualunque variabile dinamica, introduce un errore per il fatto che può rappresentarla solo con un numero finito di bit? Si tratta del cosiddetto errore di troncamento. Prendendo tale errore come le incertezze di cui sopra, si capisce che ciò può aver senso, purché ci si accontenti di ottenere inferenze di tipo statistico sul sistema in esame.

Se, in molte circostanze, inferenze di tipo statistico sono perfettamente adeguate ai nostri scopi, in altre sono del tutto insufficienti, ma non è facile stabilire a priori quale sia il caso di interesse.

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8. La scienza delle relazioni

La scienza della complessità si presenta come interdisciplinare, nel senso che non è riconducibile ad uno specifico ambito disciplinare. In effetti, la stessa locuzione scienza della complessità rischia di causare fraintendimenti. Che cosa si potrebbe studiare, del mondo che si offre ai nostri sensi, che non sia complesso? Qualunque tipo di ricerca il cui oggetto non siano sistemi elementari ed altamente idealizzati, dovrà fronteggiare la complessità. Perfino l'astronomia fa oggi i conti con il caos, dopo essere stata il terreno del trionfo della visione deterministico-meccanicista del mondo. Stiamo dunque assistendo alla nascita di una nuova scienza? Della tanto sospirata e anche da più parti profetizzata “Scienza del Tutto”?

Se guardiamo ai progressi effettivamente raggiunti, dobbiamo riconoscere che neanche il volo degli storni è ancora ben compreso. Pertanto, la legittimità e l'importanza degli studi di fenomeni ben più complessi, come quelli cognitivi, economici e sociali, possono ancora meno essere associate a successi eclatanti. La vera novità, che però è di grande importanza, è che lo studio quantitativo di tali fenomeni è iniziato, che si è preso coscienza di una miriade di interconnessioni fra discipline diverse e che si è trovato nella modellizzazione matematica un terreno unificante. Gli studiosi di un numero crescente di discipline si stanno accorgendo della rilevanza di un nuovo insieme di domande, alle quali si può cercare di trovare una risposta in termini quantitativi, una volta che siano state formalizzate nel linguaggio matematico. Si tratta di domande che spesso provengono da settori disciplinari diversi dalla fisica e dalla matematica, ma si affidano similmente all'uso di tecniche quantitative e di metodi di formalizzazione. Questi, però, non dovrebbero essere presi e utilizzati direttamente, come viene spesso ancora fatto; prima dovrebbero essere adattati ai linguaggi e ai tipi di problemi di quei settori, cosa che richiede ulteriori progressi nelle tecniche teoriche, di calcolo e sperimentali.

Sul piano sociologico, la scienza della complessità richiede anche nuovi modi di organizzazione della ricerca, attraverso l'integrazione di diverse competenze disciplinari. Questo processo inevitabilmente determinerà la ridefinizione della figura dello scienziato-ricercatore, delle sue competenze e delle sue attribuzioni, preludendo ad un processo che rivoluzionerà profondamente anche il ruolo sociale della scienza.

Con scienza della complessità si può dunque intendere questo mondo variegato e in fermento, di ricerca di metodi sempre più adatti allo studio di una moltitudine di fenomeni sempre più vasta, pur con i limiti e le contraddizioni cui ogni attività umana va soggetta. È altresì interessante notare come questa scienza abbia preso consapevolezza di sé nell'epoca della globablizzazione, nella quale ci si è accorti che il mondo è fortemente interrelato, in tutte le sue componenti, e che proprio le relazioni forniscono la sua materia d'indagine.

Sembrerebbe pertanto ugualmente opportuno, se non addirittura più corretto, chiamarla “scienza delle relazioni”, per evidenziarne il lato esplicativo, piuttosto che quello problematico.

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Approfondimenti

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