simone martini
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Alice Beratto-Alessia GambacciniIII°F2005/2006TRANSCRIPT
Realizzato da Gambaccini Alessia & Beratto Alice
Simone Martini
La vita
Le opere
La vita
Vissuto tra il 1284 e 1344, Simone Martini è il pittore che più incarna lo spirito gotico nella prima metà del
Trecento. Conosciuto talvolta anche come Simone Sanese è stato
considerato sicuramente come uno dei maggiori e più influenti artisti della
scuola pittorica senese.
Il distacco dalla maniera bizantina, nei pittori di stile gotico, si basa su alcune
caratteristiche costanti: l’uso fondamentale della linea, soprattutto
curva e sinuosa, per costruire l’immagine e l’apparato decorativo,
l’uso di una grande vivacità cromatica, l’umanizzazione dei
personaggi sacri a modo di uomini o dame di corte. Questi stessi parametri
li ritroviamo tutti nella pittura di Simone Martini, pur se il suo
linguaggio pittorico risente spesso dell’influenza giottesca.
La sua prima opera datata è la Maestà,
dipinta nel 1313-1315 nella sala del Consiglio del Palazzo Pubblico di Siena, dove è ancora
visibile. Fin da quest'opera Simone
mostra di differenziarsi dalla pittura a lui precedente per la
squisita commistione di delicatezze e
raffinatezze gotiche
Nel 1314 iniziò il ciclo di affreschi con le Storie di San Martino nell'omonima cappella della
basilica inferiore di San Francesco ad
Assisi.
Nel 1317 venne chiamato a Napoli da Roberto d'Angiò, che
lo nominò cavaliere (assegnandogli una pensione annua) e gli commissionò una
tavola celebrativa, San Ludovico di Tolosa che
incorona il fratello Roberto d'Angiò, oggi conservato a
Capodimonte, Napoli.Fra il 1320 e il 1326 dipinse diverse opere tra cui due polittici
Lo straordinario affresco raffigurante Guidoriccio da Fogliano all'assedio di Montemassi, è da datarsi dopo il 1328 e si trova
ancora oggi nella stupenda Sala del Consiglio (detta Sala del Mappamondo) del Palazzo Pubblico di Siena, proprio di fronte
alla sopracitata Maestà. È certo una delle opere più grandi della pittura italiana del '300, in cui si mescolano un ambientazione
fiabesca con un ambientazione fiabesca con un acuto senso della realtà.
Probabilmente coeve sono le molto interessanti, per il trattamento dello spazio, Storie del Beato Agostino Novello nella chiesa di
Sant'Agostino, a Siena mentre un po' più tardo è il capolavoro di Simone, la raffinatissima ed enigmatica Annunciazione, eseguita per la chiesa di Sant'Ansano, sempre a Siena, e oggi visibile agli Uffizi di Firenze. È questa una delle opere più vicine al gotico internazionale e
alle sue raffinatezze che l'Italia abbia conosciuto.
Ad Avignone Simone conosce il poeta Francesco Petrarca. Leggenda vuole che proprio il Martini abbia ritratto Laura, e i versi del sonetto LVII del Petrarca stesso celebrano l'opera, oggi perduta (per amore della completezza: alcuni pensano
che essi si riferiscano invece a Simone da Cremona, miniatore attivo a Napoli dal 1335 circa, ma è più probabile l'ipotesi del
nostro Simone da Siena):
"Ma certo il mio Simon fu in paradiso,
Onde questa gentil donna si parte; Ivi la vide e la
ritrasse in carte, Per far fede
quaggiù del suo bel viso"
Poco dopo aver eseguito quest'opera (forse 1336) Simone partirà per Avignone, alla corte di Benedetto XII, dove eseguirà degli affreschi per la chiesa di Notre Dame de Doms, tra i quali ricordiamo quello di San Giorgio e il
Drago, oggi perduto, ma che viene descritto splendido dalle fonti.
Oltre a ciò Simone minierà per l'amico letterato anche il frontespizio di un codice con le opere di Virgilio commentate
da Servio (Biblioteca Ambrosiana, Milano).L'ultima opera datata di Simone (e oggi conservata a
Liverpool) è il Ritorno di Gesù fanciullo dalla disputa nel tempio (1342), dove compare un tema curioso e inedito: San Giuseppe che rimprovera il divino fanciullo, dopo la disputa.
Nel 1340, su invito di papa Benedetto XII, si trasferisce presso la corte papale di Avignone, dove vi rimase fino alla morte,
avvenuta qualche anno dopo.
Si tratta di una pittura che concede ampio spazio all'ornamento,
al dettaglio prezioso ed alla rappresentazione di oggetti di lusso;
in breve tempo si diffonderà in tutta Europa, nelle corti perlopiù,
lo stile di quest'artista e contribuirà in maniera determinante alla
nascita del Gotico internazionale; infatti se Giotto diede il più
grande contributo ad un radicale cambiamento nella pittura,
Simone elaborò una versione senese delle novità portate da
quest'ultimo che ebbe grande seguito.
Simone Martini
La vita
Le opere
Le opere
MAESTÀ
L'opera venne dipinta nella sala del Mappamondo, in quello
che al tempo era il palazzo del potere (Siena era uno dei
comuni toscani, retti in pratica da un'oligarchia, come
Firenze): di conseguenza era destinata ad esser vista da
molte persone e veicolava un chiaro messaggio
politico,mentre l'aspetto religioso era relegato in secondo
piano.
Nell'affresco è raffigurata la Madonna in trono col Bambino, circondata da
uno stuolo di angeli e santi che sorreggono un fastoso baldacchino, più che una scena sacra, come nella
Maestà di Ognissanti di Giotto, sembra l'immagine di una regina con la sua corte, con i santi al posto delle
dame e dei paggi.
Se guardiamo più nel dettaglio vediamo che ai piedi del trono stanno
inginocchiati i quattro protettori di Siena: Sant'Ansano, Arcangelo
Michele, San Crescenzio e San Vittore.
angeli
Arcangelo Michele
San Crescenzio
Sant‘Ansano San Vittore
Infine completano il quadro i tondi nella cornice, che alternano agli evangelisti e ai dottori della chiesa, lo stemma della città; mentre al
centro spicca un tondo col Cristo benedicente
Lex Vestus e Lex Nova Sant’Ambrog
io
Sant’Agostino
San Luca Evangelist
a
profeta
Isaia
San Marco Evangelist
a
GiacobbeDavid
San GregorioSan Girolamo
San Matteo
Evangelista
Geremia
profeta
Daniele
San Matteo Evangelista
Isacco
Mosè
Particolare di un angelo
Accanto alla Madonna con il
bambino troviamo San Giovanni
Battista e San Giovanni
Evangelista.
Da un punto di vista stilistico il dipinto è eccellente, le figure
hanno il loro volume, sono realistiche, come quelle di
Giotto, ma nello stesso tempo sono più esili, delicate, hanno
pose leggiadre e indossano vesti raffinate, le stesse che
probabilmente l'artista vedeva indosso ai nobili o ai ricchi
del tempo. E' impressionante la cura di certi dettagli
decorativi, che ricordano i virtuosismi di un orefice;
certamente Simone non risparmiò sull'oro che venne
distribuito a piene mani in tutte le figure, particolarmente
nei vestiti. In molte acconciature e in altre parti l'artista
aveva poi incastonato delle gemme, che purtroppo sono in
gran parte cadute, mentre le aureole, dorate anch'esse,
sono finemente lavorate, per non parlare del trono della
Vergine che ricorda un'architettura gotica.
Le opere
ANNUNCIAZIONE
L’Annunciazione che Simone Martini realizzò nel 1333 è sicuramente una delle più belle opere pittoriche di tutto il
Trecento europeo. In essa si concentra tutta l’eleganza un po’ astratta dell’arte di Simone Martini. L’Annunciazione è uno dei
soggetti più diffusi in assoluto di tutta l’arte di soggetto cristiano. La rappresentazione si basa essenzialmente sul
racconto tratto dal vangelo di san Luca. L’arcangelo Gabriele si presenta alla Madonna per annunciarle la futura maternità. La Madonna, che in quel momento stava leggendo, accolse con stupore e un po’ di diffidenza l’annuncio dell’arcangelo, ma, dopo un istante di esitazione, accetta l’imminente nascita di
Gesù
Il soggetto presenta alcuni elementi
iconografici costanti: la presenza dei gigli,
simbolo della verginità della Madonna, la
colomba che simboleggia lo Spirito Santo, e il
libro che, per tradizione, rivela la dimensione
spirituale della Madonna. Questi elementi
sono tutti presenti nella tavola di Simone
Martini, ma qui l’artista inserisce qualcosa di
più e di diverso rispetto ai canoni del tempo.
Le ali dell’angelo sono estremamente allungate; la
genialità dell’artista risiede proprio nell’aver reso queste ali in un
realismo inedito per l’epoca in cui furono dipinte, raffigurate
nell’attimo precedente al loro ripiegarsi su se stesse (essendosi
l’arcangelo appena posato sul suolo). Oltretutto, non se ne vedono
le estremità: (soprattutto dell’ala “principale”) questo sembra
produrre l’effetto di una lunghezza estrema senza, però, renderle
deformi ai nostri occhi.Il mantello dell’angelo segue il
dispiegarsi delle ali, essendo stato reso, a sua volta, mentre fa i conti con l’ultimo guizzo d’aria dopo il volo di Gabriele , ed è come se si
servisse delle ali per cercare l’equilibrio definitivo.
Oltre agli splendidi brani di natura morta vale la pena di
concentrarsi sui gesti dell’arcangelo. Il ramo che tiene
in mano è trattenuto con la stessa eleganza con cui si
terrebbe un calice, le dita si piegano in maniera quasi
sensuale. La mano destra, al cui polso si noti il fuoriuscire sottile della sottoveste, si contrappone alla sinistra ed assieme formano
un’apertura magnifica, una gestualità dall’eleganza
assoluta.
Per apprezzare e sentire la potenza di quella splendida
dama in veste di Maria il nostro occhio deve iniziare a
posarsi sul panneggio lanceolato in basso, che è una sorta di primo gradino del gesto di pudicizia che
progressivamente si amplifica nella parte
centrale: il corpo della Vergine sembra infatti quasi spezzarsi fra il bacino e le gambe, il che enfatizza la sua sorpresa e il sottile
timore. La spalla e il volto inarcato sono l’ultimo
“gradino” di questa figura che gradualmente si ritrae tutta in un insenatura di pudicizia che allo stesso
tempo sembra quella di una dama corteggiata da un
pretendente.
Inutile insistere su altri particolari, tra cui le mani dellaVergine che non
fanno altro che contribuire al crescendo musicale partito dalle mani dell’annunciante; infatti,
anch’esse si contrappongono, ma in maniera decisamente più ansiogena
e non meno elegante. Il gesto dell’angelo è posato e calcolato,
quello di Maria è frutto d’istinto, ma forse è proprio questo a renderlo unico. La parte più commovente
delle mani credo siano i due pollici, che affondano l’uno nel ventre profondo del libro di preghiere
(come se la pressione esercitata fosse il segno di una repentina
chiusura), mentre l’altro afferra e tira un lembo di veste con cui Maria ansiosamente si copre, chiudendosi in un guscio di prezioso ed antico
candore.
Il contatto tra i due è inciso a mò di vignetta sul legno e sale
dal basso verso l’alto suggerendoci un’intensità crescente. Il
pavimento sembra fatto del più prezioso dei marmi; il vaso-
fonte che si gonfia è la parte centrale di una bilancia e i tre
archi acuti in alto non riescono più ad inquadrare i
personaggi in modo preciso.
L’intento è evidente: l’angelo non riesce, ma soprattutto non vuole stare chiuso nell’arco che lo sovrasta, protende verso
Maria, sconfina nella parte centrale, si intromette in un momento di vita quotidiana della donna. L’arco centrale è una fase di passaggio: inquadra tutti i personaggi e terrebbe sotto
di sé anche il volto di Maria se non si fosse ritratta per il sottile spavento. Lo stesso trono decorato da quei preziosi motivi miniatori sconfina nella parte centrale: oramai non è
più tempo di tenere i personaggi imbrigliati in rigidi schematismi arcaici ed il genio di Simone lo sa.
Le opere
SAN LUDOVICO
La grande tavola fu realizzata da Simone Martini nel 1317, durante il suo soggiorno a Napoli alla corte di Roberto d’Angiò. Il re angioino aveva ereditato la corona del regno di Napoli grazie
alla rinuncia del fratello maggiore, Ludovico, che scelse la carriera ecclesiastica.
In questa grande raffigurazione il programma iconografico appare evidente: mentre san Ludovico viene incoronato da due
angeli, egli, a sua volta, incorona il fratello re di Napoli. In tal modo Roberto d’Angiò affermava la legittimità della sua
investitura reale.
La tavola ha un evidente gusto gotico, frutto sia della formazione stilistica di Simone Martini, sia delle preferenze della corte angioina
che, ricordiamo, era di provenienza francese.
La costruzione è impostata su una
evidente "prospettiva gerarchica": il
santo, pur collocato in secondo piano
nello spazio dell’immagine, appare di
molto più grande rispetto a fratello
Roberto collocato in primo piano.
L’incongruenza formale è accentuato dal carattere decisamente frontale della figura del santo: se si guarda con attenzione si nota che il braccio sinistro che fuoriesce dal mantello, e che
regge la corona, ha il gomito dietro il fianco: ciò è assolutamente impossibile nella realtà, e quindi la costruzione
dell’immagine non tiene affatto conto della reale tridimensionalità delle figure.
In pratica l’immagine ha un valore simbolico che trascende
qualsiasi preoccupazione di verità mimetica di quanto
rappresentato.
Ciò ci dà il senso più preciso di come Simone Martini si muove
in una concezione stilistica di matrice decisamente medievale,
ignorando tutti quei problemi di naturalismo che invece
stavano affrontando Giotto e gli altri pittori fiorentini alla
ricerca di un maggiore verismo.
Il carattere gotico di questa immagine viene ulteriormente integrato da altre precise scelte stilistiche: la linea sinuosa e di puro valore decorativo dei bordi delle vesti e del mantello del santo; la grande
decorazione arabescata delle vesti; la preferenza per i colori intensi e squillanti.
Ma il carattere gotico dell’immagine principale si perde completamente nella predella inferiore. Qui, Simone Martini dimostra di saper
controllare la rappresentazione spaziale in maniera non inferiore allo stesso Giotto.
La predella è suddivisa in cinque scomparti, contornati ognuno da un arco. Ma questi archi sono quasi come un portico oltre il
quale si vede una sola scena.
Infatti le cinque diverse scene sono unificate da un unico punto di fuga. Questo crea una sensazione spaziale di grande effetto, facendo sì, che l’occhio percepisca questa predella inferiore come il piano trasparente
oltre il quale si sviluppano le scene.
Simone Martini è un pittore gotico sicuramente per
scelta, non per limiti stilistici. Egli, infatti, nelle sue
opere dimostra spesso di aver compreso appieno la
ricerca naturalistica di Giotto e dei suoi seguaci, ma la
sua arte si allinea al gusto gotico forse anche per
adeguarsi al gusto dei suoi committenti, che
probabilmente preferivano la ricchezza decorativa del
gotico alla razionale, ma spesso spartana, immagine
dell’arte giottesca
Le opere
POLITTICO
Dal greco polyptychos (con molte piegature), è un dipinto (ma anche un rilievo in avorio o terracotta o simili) suddiviso
architettonicamente in più pannelli, destinato in genere all'altare di una chiesa. Questa tavola di piccole dimensioni costituiva
forse la parte alta di un polittico perduto.
Al centro sta una tavola principale, spesso più grande di quelle laterali che, in numero
uguale a destra e sinistra, rappresentano per lo più figure di
santi. Ogni tavola può essere sormontata da cuspidi (con angeli,
profeti o santi, per esempio).
Nella parte inferiore, una tavola lunga e sottile, chiamata predella, raffigura spesso episodi della vita di un santo o
alcuni misteri della vita di Cristo.
Il Cristo è raffigurato a mezzo busto, frontale, con la mano destra levata nel gesto della benedizione e la sinistra poggiante su un libro,
secondo un modello ancora bizantino, ma reso con un linguaggio pienamente senese, sia nell'eleganza del disegno che nella
raffinatezza del colore
Sono rari i polittici giunti integri fino a noi; motivi svariati (non ultimo lo smembramento per ottenere "più quadri") li hanno nel tempo
disgregati.
Le opere
GUIDORICCIO DA FOGLIANO
L'affresco Guidoriccio da Fogliano all'assedio di
Montemassi (detto anche Guidoriccio da Fogliano
semplicemente) fu realizzato nel 1328dal pittore senese
Simone Martini nella Sala del Mappamondo, all'interno del
Palazzo Pubblico di Siena, proprio di fronte alla Maestà dello
stesso autore. È alto cm 340 per cm 968 di larghezza.
L'affresco superiore con cornice (dove si può leggere la data del 1328)
è l'affresco tradizionalmente attribuito a Simone Martini, rappresenta
Guidoriccio alla conquista dei castelli di Montemassi e Sassoforte.
Il castello intermedio è stato individuato come un "battifolle", ma più
probabilmente è il maniero di Roccatederighi.
Nella parte centrale è l'affresco scoperto nel 1980, oggetto della
disputa. Da notare che le cerchiature dell''intonaco sono da addebitare
alla presenza di una tavola, oggi rimossa, raffigurante una carta
geografica (un mappamondo), che girando su un perno graffiava
l'intonaco.
I due ritratti di santi posti lateralmente sono il S.Ansano e il
S.Vittore, realizzati dal Sodoma, nel 1529 circa.
Alcune parti dell'affresco, tra cui quella del castello e il cielo,
furono ridipinte alla fine del XV secolo
L'opera mostra il comandante delle truppe senesi
durante l'assalto alla rocca di Montemassi nella
Maremma, avvenuta nel1328.
Nel 1980, a seguito di restauri eseguiti nell'area in cui era dislocato il
famoso mappamondo che dette il nome alla sala, è venuto alla luce un
dipinto che è in parte sottostante al ritratto del Guidoriccio a cavallo.
Tale scoperta, per le implicazioni che essa ha avuto ed ha tuttora, ha
messo in dubbio l'autenticità e la paternità del dipinto tradizionale.
Costituiscono motivo di polemica artistica, non la prima e neppure
l'ultima in un mondo artistico sempre più frenetico e globalizzato,
l'autenticità e la paternità del "Guidoriccio da Fogliano" rappresentato
nel Palazzo Pubblico di Siena, attribuito tradizionalmente al grande
Simone Martini, maestro del Trecento senese, ma oggi messo in
discussione da una serie di tesi alternative, sostenute da vari critici e
storici d'arte che hanno provato a ridiscutere alcune conclusioni
artistiche, prescindendo da valutazioni preesistenti, in qualche caso
anche consolidate, nella massima libertà di ricerca e di pensiero; non
si sa quanto questo abbia avuto successo e se mai lo avrà.
Nel 1980, nel corso di un
restauro, venne scoperto un
dipinto di eccelsa qualità, la
cui fascia superiore è
sottostante al notissimo
"Guidoriccio da Fogliano alla
conquista di Montemassi" e
la cui parte sinistra risulta
tuttora coperta dal ritratto di
un santo patrono di Siena,
risalente al 1530 circa
dipinto dal Sodoma. La
scoperta ebbe un grande
clamore nel mondo dell'arte.
Tale scoperta fu l'occasione per l'apertura di una controversia, già
latente nel passato e mai sopita, circa la paternità, o meglio
l'autenticità, del noto cavaliere creduto fino ad oggi il Guidoriccio da
Fogliano immortalato da Simone Martini.
Le perplessità trovavano origine soprattutto dal fatto singolare che
Giorgio Vasari, mentre si era soffermato sulla "Maestà" di Simone
Memmi (corretto successivamente in Martini), che occupa un'intera
parete del Palazzo Pubblico di Siena, che definiva "di tutta perfezzione,
con molta sua lode et utilità", nulla accennava al cavaliere con
paesaggio, che per dimensioni gareggia con la Maestà, posto nella
parete di fronte, come se questo non fosse esistito o non fosse
appartenuto all'eccellente "dipintore sanese".
A distanza di 25 anni dalla data della scoperta dell'affresco
sottostante, evento fortuito quanto rimarchevole per gli studi sui primi
secoli della grande pittura italiana, si sono fatte sempre più credibili le
voci, anche autorevoli, che nel mondo artistico diffidano in modo
crescente dell'attribuzione del Guidoriccio da Fogliano a Simone
Martini, cui viene invece assegnata la paternità dell'affresco scoperto
nel 1980, in cui comparirebbe la vera raffigurazione del condottiero
Guidoriccio, seguendo un percorso logico e assai lineare che utilizza
elementi di conoscenza storici, cronachistici, iconografici e stilistici.