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Sez. 3, Sentenza n. 2424 del 19/03/1997 (Rv. 503105) Presidente: Meriggiola E. Estensore: Marletta G. P.M. Iannelli D. (Diff.) Porziani (Flerea) contro Pignotti (De Vitto) (Rigetta, App. Roma, 27 ottobre 1994). 040 CIRCOLAZIONE STRADALE - 072 PRESUNZIONE AGLI EFFETTI CIVILI - IN GENERE CIRCOLAZIONE STRADALE - RESPONSABILITÀ CIVILE DA INCIDENTI STRADALI - COLPA - PRESUNZIONE AGLI EFFETTI CIVILI - IN GENERE - Danni ai terzi trasportati - Applicabilità della presunzione ex art. 2054 cod. civ. - Esclusione - Presunzione di responsabilità del vettore ex art. 1681 - Applicabilità - Condizione - Onere probatorio del danneggiato - Contenuto. Nel caso di scontro fra veicoli, in favore del terzo trasportato non trova applicazione la presunzione di responsabilità del conducente ( come pure del proprietario ) del veicolo stabilita dall'art. 2054 cod. civ., senza che rilevi in contrario l'estensione della copertura assicurativa ai trasportati a qualsiasi titolo disposta dall'art. 1 della legge 24 dicembre 1969,n. 990 come modificato dall'art. 1 della legge 26 febbraio 1977, n. 39, di conversione del D.L. 23 dicembre 1976,n. n. 857, non incidendo tale estensione sui presupposti, i limiti e il regime probatorio della responsabilità del proprietario e del conducente, mentre la presunzione posta a carico del vettore dall'art. 1681 dello stesso codice - configurante un'ipotesi di responsabilità aggravata - può giovare al trasportato il quale non si limiti a provare il fatto del trasporto nella sua materialità, ma, secondo le regole generali, fornisca la prova che questo sia avvenuto in esecuzione di un rapporto contrattuale, a titolo oneroso o gratuito, senza che sia configurabile a carico del conducente l'onere di dimostrare che si tratti invece di un rapporto di cortesia. IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA Composta dagli ILL.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Enzo MERIGGIOLA - Presidente - " Angelo GIULIANO - Consigliere - " Ugo DE ALOYSIO " " Guido MARLETTA Rel. " " Francesco SABATINI " ha pronunciato la seguente

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Page 1: Sez. Sentenza n. del · e il regime probatorio della responsabilità del proprietario e del conducente, mentre la ... di costui connessa ad un contratto di trasporto, dedurre e provare

Sez. 3, Sentenza n. 2424 del 19/03/1997 (Rv. 503105)

Presidente: Meriggiola E. Estensore: Marletta G. P.M. Iannelli D. (Diff.)

Porziani (Flerea) contro Pignotti (De Vitto)

(Rigetta, App. Roma, 27 ottobre 1994).

040 CIRCOLAZIONE STRADALE - 072 PRESUNZIONE AGLI EFFETTI CIVILI - IN GENERE

CIRCOLAZIONE STRADALE - RESPONSABILITÀ CIVILE DA INCIDENTI STRADALI - COLPA - PRESUNZIONE AGLI EFFETTI CIVILI - IN GENERE - Danni ai terzi trasportati - Applicabilità della presunzione ex art. 2054 cod. civ. - Esclusione - Presunzione di responsabilità del vettore ex art. 1681 - Applicabilità - Condizione - Onere probatorio del danneggiato - Contenuto.

Nel caso di scontro fra veicoli, in favore del terzo trasportato non trova applicazione la

presunzione di responsabilità del conducente ( come pure del proprietario ) del veicolo

stabilita dall'art. 2054 cod. civ., senza che rilevi in contrario l'estensione della copertura

assicurativa ai trasportati a qualsiasi titolo disposta dall'art. 1 della legge 24 dicembre

1969,n. 990 come modificato dall'art. 1 della legge 26 febbraio 1977, n. 39, di conversione

del D.L. 23 dicembre 1976,n. n. 857, non incidendo tale estensione sui presupposti, i limiti

e il regime probatorio della responsabilità del proprietario e del conducente, mentre la

presunzione posta a carico del vettore dall'art. 1681 dello stesso codice - configurante

un'ipotesi di responsabilità aggravata - può giovare al trasportato il quale non si limiti a

provare il fatto del trasporto nella sua materialità, ma, secondo le regole generali, fornisca

la prova che questo sia avvenuto in esecuzione di un rapporto contrattuale, a titolo oneroso

o gratuito, senza che sia configurabile a carico del conducente l'onere di dimostrare che si

tratti invece di un rapporto di cortesia.

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA

Composta dagli ILL.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Enzo MERIGGIOLA - Presidente - " Angelo GIULIANO - Consigliere - " Ugo DE ALOYSIO " " Guido MARLETTA Rel. " " Francesco SABATINI " ha pronunciato la seguente

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SENTENZA sul ricorso proposto da: PORZIANI ARIANNA, FEDELE ELENA, PORZIANI ALVARO, elettivamente domiciliati in ROMA P.zza MANCINI 4, presso lo studio dell'Avv. GIULIANO FLERES che lo difende anche disgiuntamente all'avvocato VALENTINO COMPAGNONE, giusta delega in atti; - ricorrenti - contro PIGNOTTI GIORGIO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA PRENESTINA 463, difeso dall'avvocato RAFFAELE DE VITTO, giusta delega in atti; - controricorrente - nonché contro TIRRENA COMP ASSIC SOC. in LCA in persona del Commissario Liquidatore Dott. Gregorio IANNOTTA, elettivamente domiciliata in ROMA V.LE PARIOLI 87, difesa dall'avvocato MARINO SERRA, giusta delega in atti; - controricorrente - avverso la sentenza n. 2919/94 della Corte d'Appello di ROMA, emessa il 7/10/94 e depositata il 27/10/94 (R.G. 2997/92); udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell'1/7/96 dal Relatore Consigliere Dott. Guido Marletta; udito l'Avvocato Dott. Valentino COMPAGNONE; udito l'Avvocato Dott. Marino SERRA; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Domenico IANNELLI che ha concluso per l'accoglimento del I motivo e l'assorbimento degli altri motivi. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con citazione del 3-4 agosto 1987 Porziani Arvaro, Fedele Elena e Porziani Arianna convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Roma Pignotti Giorgio e la Compagnia Tirrena di Assicurazioni S.p.A., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni sofferti in conseguenza dell'incidente avvenuto il 20 aprile 1985, essendo Porziani Arianna - figlia minore di Porziani Alvaro e della Fedele - caduta dal motociclo condotto dal Pignotti, la cui responsabilità, per come risultava dagli atti del procedimento penale iniziatosi presso la Pretura di Palestrina e definito con sentenza di proscioglimento per amnistia, non era controversa. I convenuti, costituitisi, si opponevano alle domande. L'adito Tribunale, con sentenza del 21 aprile 1992, affermata in via preliminare la legittimazione degli attori Porziani Arvaro e

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Fedele Anna in nome proprio, rigettava le domande. Avverso tale sentenza i Porziani e la Fedele proponevano appello, che veniva rigettato dalla Corte d'Appello di Roma con sentenza del 27 ottobre 1994. La Corte territoriale rilevava che correttamente i primi giudici avevano ravvisato nel caso in esame la fattispecie del trasporto per cortesia, desumendola dalla circostanza pacifica che la Porziani viaggiava seduta sul motociclo condotto dal Pignotti. Non era conseguentemente applicabile in danno di costui la presunzione di cui all'art. 2054 C.C., posta a tutela dei terzi estranei alla circolazione del veicolo e non invocabile dal terzo trasportato a titolo di cortesia, ne' la presunzione di responsabilità del vettore ex art. 1681 C.C.. I danneggiati avrebbero dovuto, quindi, fornire la prova della responsabilità del Pignotti ex art. 2043 C.C., ma tale prova non era stata data, ne' poteva ricavarsi dagli atti del processo penale conclusosi con l'applicazione dell'amnistia o dal comportamento del Pignotti e della società assicuratrice del veicolo, che in primo grado avevano contestato ogni responsabilità. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso i Porziani e la Fedele sulla base di tre motivi. Resistono con separati controricorsi il Pignotti e la S.p.A. Compagnia Tirrena di Assicurazione in liquidazione coatta amministrativa. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo, denunciandosi violazione degli artt. 112, 115 e 116 C.P.C., 2727 C.C., si deduce che la sentenza impugnata avrebbe immotivatamente ritenuto, con presunzione semplice, che dalla circostanza che Porziani Arianna viaggiasse nella motoretta condotta dal Pignotti (fatto noto) si traesse l'esistenza di un trasporto "di cortesia" (fatto ignoto), senza che tra l'uno e l'altro fatto sussistesse un "rapporto di causalità" per non essere il secondo unica ed esclusiva conseguenza del primo. Peraltro il giudice di appello avrebbe dovuto considerare che la "circostanza esimente" doveva essere eccepita dall'interessato e non poteva essere ritenuta dal giudice per di più senza tener conto del comportamento delle parti - mancata contestazione della responsabilità da parte del Pignotti, generica contestazione da parte della società assicuratrice non direttamente a conoscenza dei fatti, con

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trattative risarcitorie -. La prima censura è priva di rilievo. Può pure convenirsi che la Corte di merito, ripetendo la motivazione adottata dai primi giudici, abbia tratto la conclusione circa l'esistenza di un rapporto di cortesia dalla sola circostanza, di per sè inidonea sotto il profilo logico a condurre ad essa, che la Porziani Arianna viaggiava seduta sulla motoretta condotta dal Pignotti. Senonché, tale affermazione è sicuramente ininfluente ai fini della decisione poiché, accertata la predetta circostanza, oggetto di prova da parte dei danneggiati doveva essere l'esistenza di un contratto di trasporto - oneroso o gratuito - al fine di rendere operante la presunzione di responsabilità del vettore ai sensi dell'art. 1681 C.C.. Spetta, invero, al trasportato che invochi la responsabilità del vettore ex art. 1681 C.C., o comunque una responsabilità di costui connessa ad un contratto di trasporto, dedurre e provare l'esistenza di un tale contratto: ciò in base alle regole generali sull'onere della prova (cfr. Cass. 1180/77). Tale onere non è stato assolto dai Porziani e dalla Fedele, i quali nè nel giudizio di primo grado, ne' con l'atto di appello, pur contestando l'esistenza di un trasporto per cortesia, hanno dedotto e comunque provato gli elementi di fatto che individuerebbero nella specie un trasporto gratuito anziché un trasporto di mera cortesia, in particolare, un interesse giuridicamente rilevante del vettore all'esecuzione del trasporto di persona a bordo del proprio motociclo (cfr. Cass. 1700/90, etc.), limitandosi - con l'atto di gravame - a censurare la ritenuta qualificazione del trasporto come di cortesia, ma senza nulla dire in ordine agli elementi in concreto qualificanti un trasporto gratuito. Rimane quindi superata l'obiezione che muove dal preteso carattere di "eccezione" della contestazione in ordine alla natura "contrattuale" del trasporto da parte del vettore. Quanto all'omessa valutazione del comportamento delle parti (mancata contestazione della responsabilità da parte del Pignotti, generica contestazione da parte della società assicuratrice del motociclo non a diretta conoscenza dei fatti, con trattative risarcitorie), si osserva che una valutazione siffatta è stata operata dal giudice di appello, il quale ha ritenuto irrilevante - con evidente riferimento alla norma dell'art. 116 C.P.C. - il comportamento sia del Pignotti che della Compagnia Tirrena, che avevano contestato

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in primo grado ogni responsabilità. Siffatta valutazione, congruamente anche se sinteticamente motivata, si sottrae a censura in sede di legittimità. È quindi infondata la seconda censura proposta con il primo motivo di ricorso. Con il secondo motivo, denunciandosi violazione degli artt. 113 e 115 C.P.C. e insufficienza di motivazione, si deduce che la sentenza impugnata non avrebbe preso in esame la prova rappresentata dalla denuncia del sinistro fatta dal Pignotti alla Compagnia Tirrena, omettendo quindi di valutarne la "potenzialità giuridica" e, nell'ottica di una confessione stragiudiziale resa ad un terzo, avrebbe conseguentemente omesso di indicare le ragioni che ne escluderebbero l'attitudine in concreto a dar prova dei fatti di causa. Da tale denuncia, ritualmente prodotta, risultava che il Pignotti per evitare un tamponamento aveva frenato bruscamente causando la caduta della Porziani Arianna, e quindi una meccanica dell'incidente che evidenziava la responsabilità del Pignotti per violazione dell'obbligo di osservare la distanza di sicurezza (artt. 107 cod. strad. del 1959 e 527 del relativo regolamento di esecuzione). Anche tale motivo è infondato. La sentenza impugnata, seppure ha motivato la ritenuta insussistenza di elementi di responsabilità del Pignotti richiamando solo gli atti del procedimento penale e il comportamento dello stesso Pignotti e della società assicuratrice, ha implicitamente escluso la rilevanza anche della denuncia del sinistro, - che risulta peraltro allegata agli atti del procedimento penale (v. anche dichiarazione in calce alla querela) -, in tal senso dovendosi intendere il richiamo al "comportamento" del Pignotti - che non v'è ragione di riferire solo al giudizio di primo grado cui egli ha partecipato -. Ora, considerato che le dichiarazioni circa le modalità del sinistro contenute nella denuncia inviata all'assicuratore, se mai rivestano i caratteri di una vera e propria confessione stragiudiziale (cfr. sul punto Cass.. 1425/87 etc.), configurano comunque una confessione resa ad un terzo - ad un soggetto cioè diverso dal danneggiato - che, in quanto tale, è liberamente apprezzata dal giudice (art. 2735, primo comma C.C.), ne consegue che la motivazione della sentenza impugnata rivela per implicito un apprezzamento "negativo" del contenuto della denuncia, una valutazione

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quindi di inidoneità di essa a fornire la prova di modalità del sinistro che potrebbero evidenziare la responsabilità del Pignotti. Con il terzo motivo, si censura la ritenuta inapplicabilità dell'art. 2054 C.C. ai trasportati in quanto soggetti non "estranei" alla circolazione del veicolo, assumendosi che le ipotesi di trasporto di cortesia rientrerebbero nella previsione della suddetta norma. A tal riguardo, i ricorrenti si limitano a richiamare una recente decisione di un giudice di merito, la quale contraddice il costante orientamento di questa Corte. Occorre premettere che il problema dell'applicabi- lità alle persone trasportate della presunzione di cui all'art. 2054, posta a carico del conducente e del proprietario di un autoveicolo, riguarda qualsiasi ipotesi di trasporto - contrattuale o meno -: solo che, mentre per il trasporto "contrattuale" - oneroso o gratuito - soccorre in favore del trasportato la presunzione posta a carico del vettore dall'art. 1681 C.C. - che viene a configurare una ipotesi di responsabilità aggravata -, per il trasporto di cortesia l'alternativa è data dall'applicazione della norma generale dell'art. 2043 C.C., con relativi oneri probatori a carico del danneggiato. Orbene, la giurisprudenza di questa Corte è costante nell'affermare che la presunzione di colpa prevista dall'art. 2054 C.C. a carico del proprietario di un veicolo (oltre che a carico del conducente), non si applica in favore delle persone trasportate, non assimilabili ai terzi estranei alla circolazione, a maggior tutela dei quali la sopra indicata norma è stata predisposta, sottolineandosi, tra l'altro, che essa è posta a tutela dei terzi che, a differenza dei trasportati, subiscono gli "incommoda" della circolazione dei veicoli senza godere dei relativi "commoda", e che i trasportati sono in grado di valutare preventivamente il rischio cui si espongono, da essi accettato allorché salgono sul veicolo (cfr. Cass. 2471/95; Cass. 8721/95; Cass.. 10361/95, etc.). Nè tale disciplina può ritenersi innovata per effetto della sopravvenuta disciplina dell'assicurazione obbligatoria che ha esteso la copertura ai trasportati "a qualsiasi titolo" - art. 1 della legge n. 990/69 come modificato dall'art. 1 della legge n. 39/77, di conversione del D.L. n. 857/76 -, atteso che tale disciplina non ha innovato sulla portata

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dell'art. 2054 C.C., limitandosi ad ampliare, per ragioni solidaristiche, la tutela assicurativa obbligatoria per i danni provocati dalla circolazione dei veicoli, senza incidere sui presupposti, i limiti e il regime probatorio della responsabilità del proprietario e del conducente (cfr. Cass.. 2471/95; Cass. 4924/86, etc.). I ricorrenti si limitano al riguardo a prospettare per relationem gli argomenti contrari addotti da una sentenza di un giudice di merito prodotta in fotocopia. E agevole osservare comunque che esse non valgono ad infirmare la portata degli argomenti - condivisi da questa Corte - i quali inducono a ritenere le persone trasportate non "estranee" alla circolazione del veicolo, per le quali quindi non vengono a proporsi le speciali esigenze di tutela che giustificano la presunzione di colpa posta dall'art. 2054 C.C. a carico del proprietario e del conducente del veicolo; ferma restando l'inapplicabilità al trasporto di cortesia della presunzione di cui all'art. 1681 C.C., la quale presuppone un trasporto effettuato per un interesse economico e comunque suscettibile di rilievo giuridico, non ricorrente nel trasporto di cortesia, effettuato per amicizia, condiscendenza e comunque al di fuori di un interesse, anche mediato, che sia suscettibile di rilievo giuridico (cfr. Cass. 1700/90, etc.) - ed è proprio tale profonda diversità che non ripropone nel trasporto di cortesia le medesime esigenze di rafforzata tutela del trasportato -. Il motivo è, quindi, privo di fondamento. Ne consegue il rigetto del ricorso. Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio. P.Q.M. Rigetta il ricorso e dichiara compensate tra le parti le spese del presente giudizio. Così deciso in Roma il 1º luglio 1996 nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione.

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Sez. 3, Sentenza n. 10629 del 26/10/1998 (Rv. 520101)

Presidente: Bile F. Estensore: Amatucci A. P.M. Gambardella V. (Parz. Diff.)

Giuffrè A ed altra (Severini) contro Eredi di Bramieri (Marzocchi Buratti)

(Cassa con rinvio, App. Roma, 31 agosto 1995).

040 CIRCOLAZIONE STRADALE - 072 PRESUNZIONE AGLI EFFETTI CIVILI - IN GENERE

CIRCOLAZIONE STRADALE - RESPONSABILITÀ CIVILE DA INCIDENTI STRADALI - COLPA - PRESUNZIONE AGLI EFFETTI CIVILI - IN GENERE - Danni ai terzi trasportati - Presunzione ex art. 2054 cod. civ. - Nei confronti del conducente e del proprietario - Sussistenza.

In materia di responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli, l'art. 2054 cod. civ.

esprime, in ciascuno dei commi che lo compongono, principi di carattere generale,

applicabili a tutti i soggetti che da tale circolazione comunque ricevano danni, e quindi

anche ai trasportati, quale che sia il titolo del trasporto, di cortesia ovvero contrattuale

(oneroso o gratuito). Consegue che il trasportato, indipendentemente dal titolo del

trasporto, può invocare i primi due commi della disposizione citata per far valere la

responsabilità extracontrattuale del conducente ed il terzo comma per far valere quella

solidale del proprietario, che può liberarsi solo provando che la circolazione del veicolo è

avvenuta contro la sua volontà ovvero che il conducente aveva fatto tutto il possibile per

evitare il danno. Ove il trasporto sia avvenuto in base a titolo contrattuale, con l'azione

prevista dall'art. 1681 cod. civ. - che stabilisce la responsabilità contrattuale del solo

vettore per i sinistri che colpiscono il viaggiatore durante il viaggio - può infatti concorrere

quella extracontrattuale di cui all'art. 2054 cod. civ.

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Franco BILE - Presidente - Dott. Roberto PREDEN - Consigliere - Dott. Luigi Francesco DI NANNI - Consigliere - Dott. Michele LO PIANO - Consigliere - Dott. Alfonso AMATUCCI - Rel. Consigliere - ha pronunciato la seguente

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S E N T E N Z A sul ricorso proposto da: GIUFFRÈ ALDO, GIUFFRÈ JESSICA, elettivamente domiciliati in ROMA VIA S A MAGNO 9, presso lo studio dell'avvocato GAETANO SEVERINI, che li difende anche disgiuntamente all'avvocato ENNIO ANTONUCCI, giusta delega in atti; - ricorrenti - contro EREDI DI BRAMIERI LUIGI GINO: CESARINO E MARIA, elettivamente domiciliati in ROMA VIA G.PALUMBO 1, presso lo studio dell'avvocato MARZOCCHI BURATTI MARIANO, che li difende, giusta delega in atti; - controricorrenti - nonché contro GE SPA; - intimata - e sul 2^ ricorso n^ 12571/96 proposto da: GE SPA, con sede in Genova, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA DEL PARADISO 55, presso lo studio dell'avvocato NICOLA STAFFA, che la difende anche disgiuntamente all'avvocato IPPOLITO ALBERTI, giusta delega in atti; - controricorrente e ricorrente incidentale - contro GIUFFRÈ ALDO, GIUFFRÈ JESSICA, elettivamente domiciliati in ROMA VIA S A MAGNO 9, presso lo studio dell'avvocato GAETANO SEVERINI, che li difende anche disgiuntamente all'avvocato ENNIO ANTONUCCI, giusta delega in atti; - controricorrenti al ricorso incidentale - nonché contro EREDI DI BRAMIERI LUIGI GINO; - intimato - avverso la sentenza n. 2614/95 della Corte d'Appello di ROMA, emessa il 14/04/95 e depositata il 31/08/95 (R.G. 2842/92) udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/06/98 dal Consigliere Dott. Alfonso AMATUCCI; udito l'Avvocato Dott. Antonio APPELLA (per delega Avv. E. ANTONUCCI); udito l'Avvocato Dott. Mariano MARZOCCHI BURATTI; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo GAMBARDELLA che ha concluso per l'accoglimento p.q.r. del II, III e IV motivo del ricorso principale, il rigetto degli altri motivi ed il rigetto del ricorso incidentale.

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Luigi Bramieri fu definitivamente condannato per omicidio colposo - ed al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede a favore della parte civile - per la morte Liliana Trouché, deceduta in seguito ad un incidente stradale verificatosi il 5.2.1981, nel quale era rimasta coinvolta l'autovettura da lui condotta, di proprietà della GE s.p.a., sulla quale la vittima viaggiava come passeggera. Nel 1988 Aldo e Jessica Giuffrè, nella rispettiva qualità di marito e figlia della signora Trouché, convennero in giudizio Luigi Bramieri e la società GE chiedendone la condanna solidale al risarcimento dei danni subiti. Il Bramieri resistette affermando che agli attori era stata già corrisposta la somma di L. 127.500.000 subito dopo il sinistro e quella ulteriore di L. 40.000.000 per danni morali a seguito della sentenza penale di secondo grado, ed assumendo che l'importo versato doveva ritenersi satisfattivo. La società GE, proprietaria dell'autovettura, eccepì il proprio difetto di legittimazione passiva, negando che la norma di cui all'art. 2054 c.c., che estende al proprietario dell'autoveicolo la responsabilità del conducente per i danni derivati dalla sua circolazione, sia applicabile anche in favore di chi sia trasportato. Con sentenza n. 4381 del 21.3.1982 l'adito tribunale di Roma rigettò la domanda e condannò gli attori alle spese. 2. La corte d'appello di Roma, decidendo con sentenza n. 2614 del 31.8.1995 sul gravame di Aldo e Jessica Giuffrè, cui avevano resistito gli appellati, lo ha rigettato compensando le spese del grado. Ha ritenuto la corte territoriale: a) che, vertendosi in ipotesi di trasporto di cortesia, la disciplina della responsabilità andava individuata nella norma generale di cui all'art.2043 e non nell'art.2054 c.c., che non si applica nel caso in cui il danno è stato subito da un soggetto che non sia, come il trasportato, terzo rispetto alla circolazione del veicolo; b) che, non essendo state prodotte le dichiarazioni del redditi della defunta nel triennio anteriore alla morte, correttamente il tribunale si era basato sulla documentazione (fiscale) relativa al solo anno 1980 e che non era ammissibile la richiesta prova per testi in ordine alle entrate percepite dalla signora Trouché;

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c) che Aldo Giuffrè non aveva provato di aver dovuto far ricorso all'aiuto economico del coniuge (a causa dell'addotta diminuzione delle sue entrate per l'infermità che lo aveva colpito) e che il danno patrimoniale patito dalla figlia Jessica, correttamente determinato in circa L. 77.000.000 dal tribunale, era stato già ampiamente risarcito con la corresponsione della maggior somma di L. 127.000.000 (equivalenti a L. 277.000.000 alla data della sentenza) da parte della società assicuratrice, sufficiente a coprire anche il danno emergente costituito dalle spese funerarie e quello connesso al "guadagno figurativo" della defunta; d) che, in caso di morte della persona offesa, deve escludersi la configurabilità di un diritto al risarcimento del danno biologico maturato a favore della vittima e trasmissibile iure hereditario e che difettava la prova di un danno biologico direttamente patito dagli attori a seguito della morte della signora Trouché; e) che sussistevano giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio di appello. 3. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione Aldo e Jessica Giuffrè sulla base di cinque motivi. Ha resistito controricorso la società GE, esponendo anche un motivo di ricorso incidentale, al quale i ricorrenti principali hanno opposto un proprio controricorso. Maria Barbieri e Cesarino Bramieri, quali eredi di Luigi Bramieri, hanno a loro volta depositato un proprio controricorso, chiedendo il rigetto dell'impugnazione per ragioni da esporre in una successiva memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE l. I ricorsi, proposti avverso la stessa sentenza, vanno riuniti. 2.1. I ricorrenti principali Aldo e Jessica Giuffrè articolano cinque motivi di censura. Deducono, col primo, violazione e falsa applicazione degli artt. 2054 e 1681 c.c. nonché vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, sostenendo, in primo luogo, che anche nell'ipotesi di trasporto di cortesia trova applicazione l'art.2054 c.c. ed affermando, inoltre, che nella specie era intercorso tra Luigi Bramieri e Liana Trouché un contratto di trasporto a titolo gratuito. 2.2. Si dolgono col secondo motivo - deducendo violazione e falsa applicazione degli artt.1223, 1226, 2043, 2056, 2277, 2729 c.c., 115 e 116 c.p.c., nonché vizio di motivazione su punto decisivo - che siano stati disattesi i documenti

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relativi ai redditi percepiti dalla Trouché e che non si sia tenuto conto di quelli figurativi corrispondenti alla sua attività di casalinga, censurando la sentenza gravata per non aver riconosciuto il danno patrimoniale loro derivato dalla morte della congiunta. 2.3 Col terzo motivo denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 4, l. 26.2.1977, n. 39, 115 e 116 c.p.c., censurando la sentenza per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto irrilevante la documentazione prodotta ed inammissibile la prova testimoniale articolata, in mancanza del deposito delle dichiarazione dei redditi della defunta. 2.4 Censure analoghe formulano col quarto motivo di ricorso - deducendo violazione degli artt.1223, 1226, 2056 c.c., 4 della legge n. 39 del 1977, 115 e 116 c.p.c., nonché vizio di motivazione su punto decisivo - con riferimento alla dedotta diminuzione dei redditi di Aldo Giuffrè, affermando che era stata adeguatamente documentata la malattia da cui era stato colpito con conseguenze gravissime per la sua professione di attore e sicura diminuzione dei suoi redditi, "sicché appariva evidente l'accresciuto apporto economico della moglie". 2.5 Col quinto motivo di ricorso censurano, da ultimo, la sentenza - deducendo violazione degli artt. 2043 e 2056 c.c., 2 e 32, comma 1, Cost., nonché vizio di motivazione su punto decisivo - per avere la corte territoriale escluso la trasmissibilità agli eredi del diritto al risarcimento del danno biologico derivato da morte e per non aver ritenuto provato l'analogo danno da loro stessi direttamente subito sulla base della comune esperienza. 3. È logicamente preliminare l'esame dei motivi di ricorso relativi al quantum debeatur, giacché il loro eventuale rigetto comporterebbe l'assorbimento del primo, in punto di estensione della responsabilità alla società proprietaria dell'autovettura, cui i ricorrenti non potrebbero comunque richiedere somme ulteriori rispetto a quelle già percepite dalla società assicuratrice della responsabilità civile derivante dalla circolazione dell'autoveicolo, che ha versato più di quanto complessivamente liquidato dai giudici del merito. 3. l. La censura di cui al terzo motivo è fondata. La corte di merito ha disatteso i motivi d'appello concernenti la mancata considerazione della documentazione

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prodotta ai fini della determinazione dei redditi della Trouché sul rilievo che, avendo gli appellanti omesso di produrre le dichiarazioni dei redditi della defunta per il triennio anteriore all'evento, "così come richiesto dalla legge e dal giudice", non era consentito "determinare il reddito della Trouché secondo le previsioni di legge" (pag. 10 della sentenza gravata), sicché, in tale situazione, doveva ritenersi "congrua la determinazione del reddito effettuata dal tribunale, sulla base della documentazione prodotta in relazione all'anno 1980, in L. 14.720.000". La corte ha così fatto riferimento, pur non citandola espressamente, alla disposizione di cui all'art. 4, d.l. 23.12.1976, n. 857 (convertito in legge 26.2.1977, n. 39) che, nelle controversie tra danneggiato ed assicuratore, assegna valore probatorio primario e privilegiato alla dichiarazione dei redditi qualora si debba considerare l'incidenza dell'inabilità temporanea o permanente sulla produzione del reddito di lavoro. Ma ciò, in relazione al carattere eccezionale della norma, vale esclusivamente ai fini di cui alla 1. n. 990 del 1969, e cioè solo nel caso di azione diretta del danneggiato nei confronti dell'assicuratore; non anche nei rapporti tra danneggiato e danneggiante, che è diverso ed indipendente dal rapporto assicurativo (Cass., n. 2275 del 1977 e n. 3296 del 1979). Il che è assorbente rispetto all'ulteriore rilievo che la norma, nel riferirsi alle dichiarazioni fiscali dell'ultimo triennio anteriore al sinistro, non esclude che, al medesimo fine, possano essere presi in considerazione anche redditi non dichiarati o dichiarati in misura inferiore a quella reale (Cass., n. 760 del 1997), restando ammessa la prova contraria, da fornirsi, a seconda dell'interesse, dal danneggiato o dall'assicuratore, tendente a dimostrare la divergenza tra realtà e contenuto delle dichiarazioni fiscali. (Cass. n. 6074 del 1995). È stato infatti chiarito che le risultanze di tali dichiarazioni fondano una mera presunzione iuris tantum sull'entità del reddito percepito dal danneggiato, onde resta ferma la possibilità del danneggiato di provare altrimenti la reale consistenza dei propri redditi, salvo in questo caso l'obbligo del giudice di segnalare l'evasione al competente ufficio delle imposte (Cass., n. 11368 del 1996). Va anche considerato che la nonna ha riguardo all'incidenza sui redditi da lavoro dell'inabilità temporanea o permanente

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del danneggiato, e non si riferisce invece al caso che il danneggiato (in senso civilistico) sia il congiunto, il quale lamenti la perdita dell'aiuto economico del defunto e che, a tale fine, miri a provare l'entità dei suoi guadagni in vita. Ha dunque errato la corte di merito laddove ha fatto applicazione, comunque impropria, di una norma eccezionale in un contesto diverso (azione risarcitoria del danneggiato nei confronti del responsabile del danno in base alle norme del codice civile) da quello in riferimento al quale è stata dettata (azione diretta del danneggiato nei confronti del l'assicuratore ai sensi dell'art- 18 della legge n. 990 del 1969). Ed ha del pari errato per aver ritenuto inammissibile la richiesta prova testimoniale sul rilievo che essa atteneva "a cespiti non compresi nelle dichiarazioni obbligatorie e quindi percepiti in più rispetto a quelli denunciati, non potendosi ammettere che in subiecta materia la prova per testi abbia una valenza sostitutiva della prova derivante dalle dichiarazioni dei redditi, atteso che essa ha soltanto una valenza integrativa o anche correttiva del calcolo del reddito effettuato a termini di legge". Va in contrario rilevato che la dichiarazione dei redditi ha una funzione tipicamente ed esclusivamente fiscale, mirando a normalizzare ed a porre su un terreno di reciproca fiducia i rapporti tra uffici e contribuente, sicché, in relazione alla sua natura ed allo scopo precipuo per il quale è formata, essa non è riferibile con eguale valore a rapporti estranei al sistema tributario e non può quindi avere effetto probatorio vincolante per il giudice chiamato a decidere una controversia di liquidazione del danno da risarcimento (cfr. Cass., n. 11953 del 1995). 3.2. È fondata, in base ad identiche considerazioni e per quanto di ragione, anche la censura di cui al quarto motivo, relativa all'esclusione della prova testimoniale in ordine alle entrate di Aldo Giuffrè, avendo la corte territoriale pure in questo caso ritenuto che la prova non fosse ammissibile per non essere stata depositata la documentazione fiscale che lo riguardava (pag. 13, capoverso, della sentenza impugnata). Resta assorbito il profilo di censura relativo alla possibilità di far ricorso alle massime di comune esperienza quanto all'incidenza, sul reddito di un attore, di una malattia che abbia severamente colpito le corde vocali.

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3.3. Quanto alla doglianza di cui al secondo motivo, concernente l'omessa considerazione del reddito figurativo della Trouché in riferimento all'attività di casalinga espletata nelle ore in cui ella non svolgeva attività lavorativa esterna, va bensì rilevato che effettivamente la corte territoriale non ha neppure quantificato tale voce di danno, limitandosi ad affermare che appariva più che sufficiente a coprirlo la somma di L. 127.000.000 già versata (pag. 14 della sentenza gravata); ma va anche posto in luce che la perdita, da parte dei familiari, di una serie di prestazioni economicamente valutabili attinenti alla cura ed all'assistenza cui avevano diritto nell'ambito del rapporto familiare (Cass., n. 11453 del 1995), non è in re ipsa, ben potendo l'organizzazione familiare essere sistemata in modo tale da non risentire di una specifica lesione patrimoniale (Cass., n. 2259 del 1969), segnatamente se gli impegni lavorativi esterni della defunta, nella specie moglie e madre, fossero non occasionali ne' saltuari, sì da apparire assorbenti, ovvero se sia presumibile che la famiglia, anche in relazione al livello delle entrate economiche complessive, si sia servita di aiuti esterni o della collaborazione di domestici. Il relativo apprezzamento compete, ovviamente, al giudice del merito, che vi provvederà in esito alla cassazione della sentenza per vizio di motivazione sul punto (art.360, n. 5, c.p.c.), 4.1. È invece infondato il quinto motivo di censura, sotto entrambi i profili in cui è articolato. 4.2. Secondo il consolidato ed in tutto condivisibile indirizzo di questa corte di legittimità, invero, la lesione dell'integrità fisica con esito letale, intervenuta immediatamente o a breve distanza di tempo dall'evento lesivo, non è configurabile quale danno biologico, dal momento che la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma incide sul diverso bene giuridico della vita (Cass. nn.1704 e 3592 del 1997). È invece risarcibile, ed è dunque trasmissibile agli eredi il relativo diritto, il pregiudizio della salute subito dalla persona, poi defunta, nell'intervallo di tempo intercorso tra le lesioni e la morte; ma ciò solo in quanto il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile, che consenta di configurare una effettiva ripercussione delle lesioni sulla sua complessiva qualità della vita (Cass. nn. 7975 e 9470 del

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1997). La corte di merito, negando la risarcibilità iure hereditario di un danno biologico da morte in fattispecie nella quale non è addotto che la defunta fosse sopravvissuta alle lesioni, ha dunque adottato una decisione conforme a diritto, benché fondata su ragioni diverse da quelle sopra esposte, laddove ha affermato che barriera insuperabile all'accoglimento della domanda era costituita dalla considerazione che "l'acquisto del diritto o la sua trasmissione non potrebbero ipotizzarsi in relazione ad un soggetto, la vittima, che più non esiste come soggetto di diritto" a seguito della morte. In realtà, l'ostacolo all'accoglimento della domanda era costituito dalla diversità ontologica tra danno alla salute e perdita della vita e non già dalla circostanza che il defunto non può essere titolare di diritti, giacché tanto costituisce comunque un posterius rispetto alla prima, assorbente considerazione. Sul punto, dunque, va solo corretta la motivazione. 4.3. Del pari infondato è l'ulteriore profilo di doglianza relativo alla ravvisata insussistenza di un danno biologico subito direttamente dai congiunti della persona defunta. La corte territoriale ha correttamente identificato tale tipo di danno in una lesione della salute psicofisica diversa dal danno morale (in tal senso dovendo intendersi l'espressione "che va oltre il danno morale", di cui a pag. 16 della sentenza) e ne ha escluso in concreto la ricorrenza per il totale difetto di prova sul punto. I ricorrenti si dolgono che non si sia tenuto per certo, in base alle massime di comune esperienza, il peggioramento della qualità della vita che sempre consegue alla perdita di uno stretto congiunto. Deve in proposito osservarsi che il danno alla salute, per quanto normalmente si risolva in un peggioramento della qualità della vita, presuppone pur sempre una lesione dell'integrità psicofisica, di cui quel peggioramento è solo la conseguenza. Non, dunque, la minore godibilità della vita è in sè risarcibile, ma solo la lesione della salute, costituente il bene giuridicamente tutelato dall'art.32 della Costituzione. Ne discende che, in difetto d9i prova di una lesione della integrità psicofisica del soggetto che sia conseguita alle sofferenze indotte dalla perdita del congiunto (le quali pure, già di per se stesse, incidono sulla qualità della vita e sono tuttavia risarcibili solo quale danno morale ai sensi

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dell'art.2059 c.c.), non è configurabile un danno biologico risarcibile per gli stretti congiunti della persona deceduta. I termini in cui è prospetta la censura non consentono di approfondire in questa occasione la problematica del l'inquadramento del danno alla salute nell'ambito dell'art. 2043 ovvero dell'art. 2059 c.c.. 5.l. Alla fondatezza del secondo, terzo e quarto motivo del ricorso principale consegue l'astratta possibilità che le somme già percepite siano considerate inadeguate e, dunque, la rilevanza del primo motivo, col quale la sentenza è censurata per aver ritenuto che si vertesse in ipotesi di trasporto di cortesia e non di trasporto atuito e per aver escluso che al trasporto di cortesia siano applicabili le disposizioni di cui all'art.2054 c.c. sul presupposto che il trasportato non è terzo estraneo alla circolazione del veicolo, con conseguente esclusiva individuazione nell'art.2043 c.c. della disciplina della responsabilità per i danni che egli abbia subito per fatto del vettore. Va preliminarmente rilevato che difetta l'interesse dei ricorrenti alla qualificazione del trasporto come gratuito giacché, avendo essi stessi assunto che il vettore fosse il conducente Bramieri, determinatosi per propria utilità al trasporto della Trouché (attrice della compagnia teatrale di cui egli era capocomico) ed avendo invocato la sua responsabilità contrattuale, la proprietaria dell'autoveicolo società GE (semplice comodante del mezzo) non potrebbe essere chiamata a rispondere del danno derivato al trasportato dal fatto del vettore ai sensi dell'art. 1681 c.c.. Tale norma non estende, infatti, la responsabilità del vettore al proprietario del mezzo col quale sia effettuato il trasporto. 5.2 Deve dunque solo stabilirsi se, in fattispecie nella quale la colpa del conducente per la morte del trasportato di cortesia era stata positivamente accertata a seguito della sua condanna definitiva per omicidio colposo, la corte territoriale abbia correttamente escluso l'applicabilità dell'art. 2054 , terzo comma, c.c., che estende al proprietario la responsabilità del conducente ove non provi che la circolazione è avvenuta contro la sua volontà. La gravata sentenza non indica, per vero, specificamente il terzo comma dell'art. 2054 c.c.. Si limita invece ad affermare che, in caso di trasporto di cortesia (o amichevole), "la disciplina della responsabilità si è infine individuata nella nonna generale sull'illecito

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extracontrattuale ex art. 2043 c.c., escludendosi il richiamo all'art. 2054 c.c. sul presupposto della qualificazione del trasportato come soggetto che non è terzo rispetto alla circolazione del veicolo". E, in realtà, la corte costituzionale, con sentenza 17.12.1981, n. 192, aveva avallato la tesi (introdotta da Cass. pen., 15.12.1964, Panzeri) che la "norma non è scindibile nel suo aspetto formale ed in quello sostanziale, essendo concepita unitariamente, come è dimostrato dalla stretta relazione intercorrente tra le disposizioni ivi contenute, tutte indissolubilmente connesse alla statuizione fondamentale concernente la presunzione di responsabilità del conducente, di cui le altre disposizioni costituiscono evidenti articolazioni", conseguentemente concludendo che "non è pertanto lecito ritenere che quando la responsabilità del conducente risulti accertata in concreto, indipendentemente dalla presunzione, il proprietario del veicolo possa essere chiamato a rispondere ai sensi del terzo comma dell'art. 2054 c.c., che appunto costituisce estensione ed articolazione del principio presuntivo posto dal primo comma". Da tanto consegue - come la dottrina non ha mancato di porre immediatamente e criticamente in rilievo - che il proprietario di un veicolo condotto da un terzo può sottrarsi alla responsabilità solidale col conducente in ordine ai danni provocati dalla circolazione dell'autoveicolo, non solo provando (a) che la circolazione è avvenuta prohibente domino, ovvero (b) che il conducente ha fatto tutto il possibile per evitare il danno, ma anche (c) che il conducente lo ha colposamente cagionato. Unica ipotesi in cui - esclusa la prima - egli sarebbe chiamato a rispondere del danno è dunque quella dell'insuccesso dell'una e dell'altra prova. Il che equivale ad affermare che il danneggiato (qualunque danneggiato, sia egli trasportato di cortesia ovvero "terzo estraneo alla circolazione", secondo la terminologia invalsa) in tanto potrà contare sulla garanzia patrimoniale generica costituita dal patrimonio del proprietario dell'autoveicolo in quanto l'accertamento, in positivo o in negativo, della colpa del conducente sia difettato. Chè se, invece, sia risultato che egli aveva fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero se, all'opposto, la sua colpa sia stata provata, il proprietario non risponderà in alcun modo

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Si è infatti ritenuto che, essendo dato al trasportato di cortesia di invocare solo l'art.2043 il quale, a differenza dell'art. 2054 c.c., non prevede la responsabilità solidale del proprietario, perché questi risponda dei danni occorre "la dimostrazione che egli abbia tenuto un comportamento doloso o colposo che in concreto abbia causato, o contribuito a causare, il danno del trasportato" (così Cass., n. 4389 del 1979, cui adde, ex plurimis, Cass., nn.1287 del 1978 e 1767 del 1979). Da tale impostazione è stato poi tratto l'ulteriore corollario che, poiché l'assicurazione (anche obbligatoria) copre la responsabilità del proprietario e poiché la responsabilità del proprietario va esclusa in caso di accertata colpa del conducente in quanto è in tal caso applicabile l'art.2043 e non l'art.2054 c.c. inscindibilmente considerato, l'assicuratore non risponde dei danni cagionati a terzi per fatto colposo del conducente dell'autoveicolo assicurato quando la sua colpa sia stata, in concreto, positivamente accertata (così. Cass., n. 2471 del 1995 e, da ultimo, Cass., n. 2331 del 1998 e Cass., n. 2424 del 1997, tutte in tema di trasporto di cortesia). 5.3. Le profonde perplessità ingenerate da siffatte conclusioni impongono una rimeditazione dell'intera problematica. La loro consequenzialità rispetto alle premesse non può non indurre ad esaminare, in particolare, se queste appaiano ancora oggi condivisibili: e dunque, in definitiva, se sia ancora attuale un'interpretazione dell'art. 2054 c.c. che ne restringa l'ambito applicativo ai "terzi estranei alla circolazione", con la duplice conseguenza, per un verso, di addossare al trasportato, non estraneo alla circolazione, l'onere di provare, oltre al danno, anche la colpa del conducente in base ai principi generali di cui all'art. 2043 c.c.; e per altro verso di negargli ogni possibilità di agire contro il proprietario, se non nelle ipotesi del tutto marginali in cui sia possibile invocare nei suoi confronti il medesimo art.2043 c.c.. La "non estraneità" del trasportato alla circolazione - esclusa l'ipotesi, peraltro di scuola, di concorso causale colposo dello stesso trasportato nella produzione dell'evento lesivo - costituisce il risultato di sintesi di una serie di considerazioni sostanzialmente fondate: a) sulla possibilità del trasportato di apprezzare preventivamente il rischio di danni che possano derivargli

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dalla colposa condotta del conducente, le cui capacità, la cui ponderatezza e la cui attitudine alla guida egli sarebbe in grado di valutare, così accettando l'alea di una condotta non conforme alle regole; b) sull'esigenza di tutelare più incisivamente coloro che, non viaggiando sul veicolo, trovano maggiore difficoltà nel provare la colpa del conducente e nel conseguire il dovuto risarcimento; c) sulla ravvisata iniquità - che talora traspare dalle motivazioni delle sentenze - di una presunzione di colpa a carico di chi abbia usato una "cortesia" (e si sia dunque determinato al trasporto per amicizia o liberalità) a persona che, essendo trasportata, dei commoda della circolazione inoltre si avvale. L'art.2054, comma 1, c.c. non fa, invero, alcuna distinzione tra chi, rispetto alla circolazione del veicolo, sia terzo e chi vi partecipi, limitandosi a stabilire che il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato a risarcire il danno prodotto a persone o a cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno". Sicché, a ben vedere, la non terzietà rispetto alla circolazione del trasportato (di cortesia) presuppone che, in ordine ai tre aspetti sopra evidenziati, egli appunto si trovi, rispetto a chi non viaggi sul veicolo e sia quindi "estraneo" alla circolazione di esso, in una situazione tanto diversa da giustificare una differenziata disciplina della responsabilità del conducente (e del proprietario) per il danno derivatogli. Ma quella presupposta diversità di situazione non può non essere valutata alla stregua dell'epoca storica in cui il fatto si svolge. Quella attuale, ad oltre mezzo secolo dall'entrata in vigore del codice civile del 1942, è certamente connotata da differenze radicali (anche) in tema di circolazione terrestre di veicoli senza guida di rotaie, passati in Italia dalle decine e dalle poche centinaia di migliaia, ai milioni ed alle molte decine di milioni, con mutamenti di costume, di metri di valutazione, di valori di riferimento e di rischi, che rendono la situazione presupposta dal legislatore del 1942 del tutto diversa dalla presente. Non a caso, nella relazione del guardasigilli al codice civile (n. 708) si esprimeva l'opinione che nel trasporto eseguito a titolo di mera amicizia o cortesia, la condotta dell'autore del danno dovesse essere valutata in applicazione del principio cui si

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è ispirato l'art.414 del codice della navigazione", che limita la responsabilità al dolo ed alla colpa grave del vettore. E la giurisprudenza successiva, a partire da Cass. n. 3683 del 1955, a tale opinione si uniformò (sia pure non integralmente, volta che la responsabilità del conducente nei confronti del trasportato di cortesia non è stata mai ristretta ai soli casi di dolo o colpa grave). A ciò indotta - e non già costretta, posto che la relazione non è comunque vincolante per l'interprete -dalla valutazione della situazione presupposta dal legislatore in riferimento a quell'epoca. La circolazione di veicoli, segnatamente ad uso privato, costituiva in passato fenomeno relativamente contenuto; pochi conseguivano la patente di guida; la velocità e la potenza media dei veicoli a motore erano incomparabilmente inferiori; i grandi spostamenti venivano in prevalenza effettuati su mezzi pubblici che non viaggiavano su strada; erano pressoché inesistenti arterie di collegamento riservate alla circolazione di autoveicoli e di motocicli; il tempo della motorizzazione capillare, dell'uso quotidiano del mezzo a motore, degli esodi di massa dalle città a scansioni periodiche, dei milioni di veicoli che si spostano in file di decine di chilometri era, insomma, di là da venire. In quel contesto, la valutazione del rischio da parte del trasportato era, in certi limiti, possibile; l'eventualità che egli subisse lesioni personali o la perdita della vita a causa del trasporto appariva obiettivamente remota; la "cortesia" costituita dal trasporto era socialmente più apprezzata, appunto perché più rara; il commodum dell'essere trasportato assumeva una valenza proporzionata alla sua scarsa frequenza; la tipologia degli incidenti era più ristretta e, dunque, appariva più agevole per il trasportato provare la colpa del conducente; era, insomma, normale essere pedone almeno quanto oggi è frequente e "pericoloso" l'essere trasportato. La situazione è, col passare degli anni, tanto radicalmente mutata da consentire di riguardare in una diversa ottica le critiche che sono state mosse alla impostazione tradizionale e di esaminare se non si imponga, ormai, un'interpretazione evolutiva della nonna che tenga conto "delle finalità di adeguamento dell'ordinamento alle esigenze mutevoli della realtà sociale e delle esigenze sistematiche di applicazione armonica del diritto". 5.4. Alla applicazione in subiecta materia della teoria

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dell'assunzione del rischio, che elide la stessa ingiustizia del danno, si è sempre più insistentemente obiettato dalla dottrina (e da taluni giudici di merito) "che la richiesta del passaggio è tutt'altro che indice della volontà di andare incontro ad un evento dannoso" (o addirittura alla morte), non prevedibile secondo criteri di normalità, del tutto eterodosso rispetto agli intenti del trasportato e costituente invece accadimento affatto straordinario, tranne quando la circolazione presenti particolari caratteristiche di pericolosità per l'abnormità della situazione conosciuta dal trasportato, ovvero quando questi sia consapevole della spericolatezza o dell'imperizia del conducente cui si affida. Questa stessa corte regolatrice, del resto, con sentenza n. 1052 del 1956, di poco successiva alla citata n. 3683 del 1955 (con la quale fu per la prima volta compiutamente affrontata la problematica che ne occupa), escluse che nel trasporto amichevole "il trasportato assuma su di sè il rischio del trasporto". È stato anche osservato che dovrebbe altrimenti pervenirsi alla paradossale conclusione che anche il pedone che attraversi una strada particolarmente trafficata valuta ed accetta il rischio di essere investito, sicché - ove si facesse leva sulla astratta prevedibilità di un evento il cui concreto verificarsi invece dipende da un imponderabile serie di circostanze contingenti che si manifestano in maniera immediata ed imprevedibile (c.d. random events) - neppure a suo favore sarebbe applicabile la presunzione di colpa del conducente del veicolo investitore. Insomma, la mera consapevolezza che un evento dannoso possa astrattamente verificarsi non lo rende per questo in concreto prevedibile e comunque non incide sul diritto del danneggiato (creditore) di ottenere il risarcimento, non potendosi assimilare la mera accettazione del passaggio alla condotta considerata dall'art. 1227 c.c.. 5.5. A serrate critiche era stata sottoposta anche l'opinione che il trasportato potrebbe dimostrare la colpa del conducente più agevolmente di chi si trovi all'esterno del mezzo, essendosi incisivamente osservato che: - la probabilità di potersi avvalere della prova testimoniale è identica per entrambi e non è più agevole per il trasportato il ricorso agli altri mezzi di prova; - il supporto probatorio costituito dagli accertamenti e dai rilevi eventualmente effettuati dalle forze dell'ordine non è

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difforme quale che fosse la collocazione fisica del danneggiato (all'interno o all'esterno dell'autoveicolo) al momento dell'incidente; - il trasportato non si trova certo in una situazione privilegiata ai fini della prova del vizio di costruzione o del difetto di manutenzione; - può non essere esperto della guida e normalmente non presta (anche perché non vi è tenuto) la stessa attenzione del conducente a ciò che accade sulla strada; - è, anzi, certamente più attento il pedone a non essere investito di quanto sia vigile il passeggero in ordine all'evenienza che il conducente si scontri con un altro mezzo, o si immetta in una curva a velocità non adeguata, o non mantenga strettamente la destra, ovvero non osservi la segnaletica stradale. Quanto alla maggiore difficoltà, per chi non si trovi a bordo del veicolo, di ottenere il dovuto risarcimento (argomento per la prima volta introdotto da Cass., n. 3683 del 1955, che fece allora leva sull'osservazione che il conducente è "spesso impossidente"), si è osservato, per un verso, che l'avvento della 1. n. 990 del 1969 sull'assicurazione obbligatoria ne ha eliso ogni possibile forza persuasiva e, per altro verso, che il costume sociale non impone - e non consente dunque un giudizio di disvalore per chi non lo faccia - una preventiva indagine patrimoniale sulle condizioni del conducente da parte di chi accetti un passaggio. 5.6. Al di là, poi, delle considerazioni concernenti le oggettive difficoltà di ordine probatorio cui la vittima va incontro in ogni caso e che non giustificherebbero, proprio in quanto generali, una restrizione in sede ermeneutica della portata dell'inversione dell'onere della prova (che la lettera della disposizione stabilisce in favore di ogni danneggiato dalla circolazione, senza distinzioni di sorta), si è più di recente rilevato che, in tema di responsabilità aquiliana, il ricorso alle presunzioni è prevalentemente giustificato dal rango dell'interesse della vittima dell'illecito, segnatamente quando "al centro di quest'ultimo vi sia la violazione dell'integrità psicofisica", direttamente tutelata dall'art.32 Cost.. L'inversione dell'onere probatorio a favore di chi, tra l'altro, non è in condizione di esercitare il controllo del rischio, mira, in altri termini, a salvaguardare più

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efficacemente gli interessi che siano apparsi meritevoli di essere valorizzati e che, in mancanza di quel supporto rituale, si troverebbero più o meno seriamente impacciati nel momento del giudizio, e avviati come tali a un probabile sacrificio". Sacrificio che, alla luce della innegabile evoluzione subita negli anni dal sistema della responsabilità civile, sarebbe anche in contrasto con la ormai riconosciuta funzione solidaristica e sociale delle nonne di cui al titolo IX del libro IV del codice civile, e di quella di distribuzione mutualistica del rischio (cfr. corte Cost., sentenza n. 24 del 1973) svolta dalla legge n. 990 del 1969 (Assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), come modificata con legge n. 39 del 1977 e, da ultimo, con legge n. 142 del 1992 (specificamente attuativa della direttiva del Consiglio CEE n. 5/84 del 29.12.1983), il cui art.28 ha innovato l'art 4 della citata 1. n. 990 del 1969 stabilendo che "non è considerato terzo e non ha diritto ai benefici derivanti dal contratto di assicurazione obbligatoria stipulato a norma della presente legge il solo conducente del veicolo responsabile del sinistro". 5.7. Non resiste alla forza delle argomentazioni contrarie neppure la pretesa iniquità di una soluzione che ponga una presunzione di colpa a carico di chi usi ad altri una cortesia, secondo quanto s'era ritenuto soprattutto in Francia sino al definitivo revirement del 20 dicembre 1968, quando la Chambre mixte decise invece, recependo le osservazioni critiche della dottrina prevalente, che la presunzione di responsabilità posta a carico del custode (conducente) del veicolo dall'art.1384, al. 1, del Code Napolè on è invocabile anche dal trasportato di cortesia. E, per vero, l'esigenza di garantire il risarcimento del danneggiato, sia mediante l'inversione dell'onere probatorio in suo favore sia mediante l'estensione della responsabilità al non proibente proprietario del veicolo, si pone su un piano prioritario e preminente rispetto all'apprezzamento sociale di un atto di cortesia, cui il diritto positivo non ricollega alcun effetto scriminante allorché esso costituisca l'occasionale presupposto della situazione di fatto nel contesto della quale s'è verificata la lesione dell'altrui diritto, talora addirittura costituzionalmente protetto. Non è, d'altro canto, fondatamente sostenibile che le inversioni dell'onere probatorio a favore del danneggiato poste dagli

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artt.2050 (responsabilità per l'esercizio di attività pericolose), 2051 (danno cagionato da cose in custodia), 2052 (danno cagionato da animali) e 2053 (rovina di edificio) del codice civile non trovino applicazione allorché la vittima sia - come il trasportato di cortesia -ospite del presunto responsabile e gli debba per questo gratitudine. Non v'è allora bisogno di osservare che un invito ben può essere fatto per ricambiarne un altro o, addirittura, per manifestare gratitudine a chi lo abbia (anche solo per mera cortesia) accolto; e che non è ipotizzabile una diversità di trattamento in ragione dei risultati di un'indagine giudiziale che dovrebbe essere condotta sull'impervio campo delle sfumature dei rapporti interpersonali. Basta solo rilevare che cortesia e lesione dell'altrui diritto rilevano su piani affatto diversi e che l'ordinamento non prevede, in ambito extracontrattuale, che l'una attenui la valenza giuridica dell'altra. In un sistema nel quale la comune ratio delle norme sopra citate è ormai chiaramente individuata nell'esigenza di aumentare le garanzie del danneggiato al fine di conseguire il prioritario obiettivo della riparazione del danno della vittima, appare superata un'impostazione che tenda a privilegiare la tutela del patrimonio del danneggiante nell'assunto - talmente determinante da fare addirittura premio sulla lettera della legge - che esso sarebbe "ingiustamente" pregiudicato se le norme che prevedono la colpa presunta ricevessero applicazione anche in caso di comportamento disinteressato. Nè sembra possibile correlare il deteriore trattamento del trasportato ai particolari commoda che egli trae dalla circolazione del veicolo. Anzitutto perché il commodum costituisce, in ambito extracontrattuale, la possibile ratio di un particolare criterio di imputazione della responsabilità, e non anche di esclusione di quella altrui. E, in secondo luogo, perché il preteso commodum del trasportato non risulta collegato ad una posizione di stabile fruizione di una particolare utilitas della res, ovvero alla pericolosità di un'attività direttamente esercitata nel proprio interesse, come invece accade negli altri casi in cui imputazione della responsabilità e distribuzione dell'onere probatorio trovano una disciplina diversa da quella presupposta dall'art.2043 c.c.. 5.8. Da queste considerazioni discende che - a differenza di quanto finora ritenuto dalla

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giurisprudenza sopra ricordata - l'art.2054 c.c. deve essere interpretato nel senso della sua applicabilità anche in favore del trasportato, quale che sia il titolo del trasporto (nel senso appresso chiarito). Naturalmente l'applicazione a vantaggio del trasportato concerne la norma nella sua interezza, e quindi sia nella parte in cui (primo e secondo comma) essa prevede in via presuntiva la responsabilità del conducente, sia nella parte in cui (terzo comma) a questa aggiunge la responsabilità solidale del proprietario del veicolo (o, in sua vece, dell'usufruttuario o dell'acquirente con patto di riservato dominio, e anche del locatario ai sensi dell'art. 92, comma 2, del d. lgs. 30 aprile 1992, n. 285), se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà ovvero che il conducente (o anche egli stesso nelle ipotesi di cui al quarto comma) aveva fatto tutto il possibile per evitare il danno. È ovvio che il titolo contrattuale del trasporto non preclude al trasportato di invocare la responsabilità extracontrattuale del conducente, la quale comporta l'effetto dell'estensione - non consentita dall'art 1681 c.c. - al proprietario del veicolo senza guida di rotaie della responsabilità del conducente stesso, ai sensi dell'art. 2054, terzo comma, c.c.. 5.9. La nuova impostazione comporterà sicure semplificazioni processuali, elidendo anche diversità di trattamento che il senso comune sembrava talora rifiutare: come quella tra il trasportato che avesse riportato danni a seguito dello scontro tra veicoli e che era dunque in condizione di invocare, ex art. 2054 c.c., la responsabilità presunta dell'altro conducente e del proprietario del veicolo antagonista, i quali a loro volta potevano agire in via di regresso ex art. 2055 c.c. nei confronti del proprietario e del conducente del veicolo sul quale il danneggiato viaggiava (così, tra le altre, Cass., n. 12125 del 1990); ed il trasportato che avesse invece subito lesioni a seguito di un incidente in cui non fosse rimasto coinvolto altro mezzo, il quale restava privo di tutela nei confronti del conducente (e, comunque, del proprietario) del quale non fosse in condizione di provare la colpa ai sensi dell'art. 2043 c.c. (cfr., explurimis, Cass., n. 8384 del 1987). E produrrà anche l'effetto di eliminare l'esigenza finora avvertita, per garantire il trasportato, di restringere l'area del trasporto di cortesia e di dilatare invece, con

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innegabile forzatura, quella del trasporto gratuito fino a ricomprendervi anche i casi in cui l'unico ipotizzabile vantaggio del vettore sia quello di godere dell'altrui compagnia, consentendo di pervenire ad una disciplina sostanzialmente uniforme - da tempo auspicata dalla dottrina -della risarcibilità del danno sofferto dal trasportato, indipendentemente da defatiganti disamine del titolo del trasporto, attesa la sostanziale identità della prova liberatoria richiesta al conducente dall'art.2054, primo comma ("aver fatto tutto il possibile per evitare il danno") ed al vettore dall'art.1681, primo comma, c.c. ("aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno"). 5.10. Possono quindi enunciarsi i seguenti principi: "In materia di responsabilità derivante dalla circolazione di veicoli l'art.2054 cod. civ. esprime, in ciascuno dei commi che lo compongono, principi di carattere generale, applicabili a tutti i soggetti che da tale circolazione comunque ricevano danni, e quindi anche ai trasportati, quale che sia il titolo del trasporto, di cortesia ovvero contrattuale (oneroso o gratuito). Ove il trasporto sia avvenuto in base a titolo contrattuale, con l'azione prevista dall'art. 1681 cod. civ. - che stabilisce la responsabilità contrattuale del (solo) vettore per i sinistri che colpiscono il viaggiatore durante il viaggio - può infatti concorrere quella extracontrattuale di cui all'art.2054 cod. civ.. Pertanto il trasportato, indipendentemente dal titolo del trasporto, può invocare i primi due commi della disposizione citata per far valere la responsabilità extracontrattuale del conducente ed il terzo comma per far valere quella solidale del proprietario, che può liberarsi solo provando che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà ovvero che il conducente aveva fatto tutto il possibile per evitare il danno. Ai fini dell'afferrmazione della responsabilità solidale del proprietario ai sensi del terzo comma dell'art. 2054 è, in particolare, irrilevante che quella del conducente sia riconosciuta in via presuntiva ai sensi dei primi due commi di cui all'art.2054, ovvero sulla base di un accertamento in concreto della colpa (ex art.2043 c.c.), giacché l'estensione della responsabilità al proprietario mira a soddisfare la generale, fondamentale esigenza di garantire il risarcimento al danneggiato". 6. In conclusione, accolti i primi quattro motivi del ricorso

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principale, la sentenza va cassata con rinvio a diversa sezione della corte d'appello di Roma affinché decida la controversia con adeguata motivazione e nel rispetto degli enunciati principi di diritto, provvedendo anche a regolare le spese del giudizio di legittimità. 7. Rimane assorbito il ricorso incidentale, col quale la GE si duole della compensazione delle spese del secondo grado nell'assunto che, in base al principio della soccombenza, la corte territoriale avrebbe dovuto porle a carico degli appellanti, il cui gravame era stato rigettato. P.Q.M. la corte riunisce i ricorsi, accoglie i primi quattro motivi del ricorso principale, rigetta il quinto, dichiara assorbito il ricorso incidentale, cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della corte d'appello di Roma. Così deciso in Roma, il 16 giugno 1998 Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 1998