settemiglia - anno iv, n°1

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settemiglia da Gerusalemme ad Emmaus ...e ritorno Diocesi di Nola – Parrocchia San Francesco di Paola – Scafati – Sa anno IV - n°1

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Giornale della Parrocchia San Francesco di Paola - Scafati (Sa) Supplemento a IN DIALOGO Mensile della Chiesa di Nola

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Page 1: Settemiglia - anno IV, n°1

settemigliada Gerusalemme ad Emmaus ...e ritorno

Dioces i d i Nola – Parrocchia San Francesco d i Paola – Scafat i – Sa

anno IV - n°1

Page 2: Settemiglia - anno IV, n°1

la parrocchia celebra la fede

LUNEDÌore 9,00 Santa Messa ch. piccolaore 17,15 In preghiera per i nostri

fratelli defuntiore 18,00 Santa Messa collettiva ore 20,45 In ascolto della Parola

della domenica

MARTEDÌore 17,15 Santo Rosario ore 18,00 Santa Messa

MERCOLEDÌore 17,15 Santo Rosarioore 18,00 Santa MessaTempo per le confessioni e i colloquipersonali fino alle 22,00

GIOVEDÌcappella delle palazzine di via Martiri d’Ungheriaore 9,00 Santa Messa ore 9,45 In ascolto della Parola

della domenica

VENERDÌore 17,15 Via Crucisore 18,00 Santa MessaTempo per le confessioni e i colloquipersonali dalle ore 16,00

SABATOore 17,15 In preghiera per

le vocazioniore 18,00 Santa Messa

DOMENICAore 8,30 Santa Messaore 11,00 Santa Messaore 18,00 Santa Messa

ESERCIZI SPIRITUALI ALLA COMUNITÀGli esercizi spirituali sono un momentoforte nella vita di un credente, noi li pro-poniamo a tutti nella terza settimana diQuaresima, con una formula che vuoleinserirsi nella vita quotidiana.

ADORAZIONE PERPETUALa chiesa piccola è aperta giorno e nottee il Santissimo Sacramento è esposto allavenerazione silenziosa dei fedeli.

IN PREGHIERA CON MARIA, MADRE DI GESÙNovena dell’Immacolataore 21,00 Santo Rosario

Maggio con Maria ore 21,00 Santo Rosario

N.B.: L’orario della celebrazione seralevarierà con l’ora legale: ore 19,00 (dall’ultima domenica di marzo all’ultima di ottobre)

*in copertina foto di Vincenzo Donnarumma

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3settemiglia | Ott - Nov 2013

In questo numero

3

RIFLESSIONI

di L. Iaccarinopag. 4

VOLTI

di T. Vitiellopag. 5

VOLTI

di P. Violantepag. 6-9

VOLTI

di E. Fiorenzapag. 10-11

VOLTI

di P. Vellecapag. 12-13

RIFLESSIONI

di V. Fiorenzapag. 14-15

ARTE

di F. Ciprianopag. 16-19

DIOCESI

dal webpag. 20-21

Anna, Andrea, Marco, Carmine,Pasquale, Assunta, Clotilde,Felice... l’elenco sarebbe lun-

ghissimo: sono centinaia e centinaia inostri lettori e a tutti voi vogliamorivolgere i nostri più sentiti auguri. Potrà sembrare strano se, in un'occa-sione del genere, siamo noi a fare gliauguri ai nostri lettori, ma riteniamosia giusto così. Perché è grazie a voi, che aumentatesempre di più, se ogni giorno ci impe-gniamo a svolgere il nostro servizio allacomunità, ognuno con il proprio ruoloe le sue mansioni, ma sempre congrande dedizione, per fornire un servi-zio di enorme importanza come è l’in-formazione parrocchiale.

Sono passati 4 anni dal primo numero.In questi 4 anni abbiamo superato lemille difficoltà che una nuova attivitàha dinanzi proprio grazie alla vostrapresenza, a chi ci ha incoraggiato aproseguire su questa strada.

Vogliamo ringraziare chi ci è stato vici-no ed ha apprezzato il nostro lavoro,ma vogliamo ringraziare anche chi, tal-volta, ci ha criticato, perché non abbia-

mo la presunzione di essere i primidella classe e le critiche sono sempre lebenvenute se producono un migliora-mento.

Permetteteci di rivolgere un ringrazia-mento particolare a don Peppino DeLuca, ideatore del giornale, è stato luiper primo a proporci questa sfida, aPasquale Coppola che sostiene i costidella stampa, a chi ci scrive ed inviaarticoli e a tutti coloro che in questi 4anni ci hanno onorato della loro pre-senza e collaborazione.

A tutti voi cari amici auguri e…

MESE OTTOBRE - NOVEMBRE 2013

DIOCESI

di S. Matronepag. 21-22

SPORT

di F. Quagliozzipag. 23

INREDAZIONE

di V. Fiorenzapag. 24

INREDAZIONE

di cav. A. Martonepag. 25

settemigliaSupplemento a

IN DIALOGO

Mensile della

Chiesa di Nola

Aut.ne Trib. di Napoli

n. 3393 del 7/03/1985

Direttore Responsabile

MArCo IASevolI

Coordinatore Redazione

doN GIuSeppe de luCA

Redazione

vINCeNzo FIoreNzA

pASquAle velleCA

eNzo vITIello

AlFoNSo quArTuCCI

eleNA FIoreNzA

vINCeNzo doNNAruMMA

Rubriche

roSA MATArAzzo

JoShuA

FrANCo CIprIANo

FrANCeSCo quAGlIozzI

Vignette

roSArIA SCoTTo

E-Mail ed Info

[email protected]

per leggere e scaricare le

pubblicazioni precedenti:

www.settemiglia.it

Stampa

ArTI GrAFIChe BruNo

grazie a

CoppolA S.p.A.

la redazione

Page 4: Settemiglia - anno IV, n°1

Quale volto ha l'Amore?“Il mio cuore ripete il tuo invito: «Cercate il mio volto!»; il tuovolto, Signore io cerco.” (Sal 27,8)

settemiglia | Ott - Nov 20134

Il ritmo frenetico che abbiamo impo-sto alla nostra vita tende a farci vaga-re senza meta, camminando accar-

tocciati su noi stessi, nella bambagia diuna visibile indifferenza.Nonostante l'apparenza, però, ognunodi noi porta in sé una sete di amore, invirtù della quale ha bisogno di essereamato ma soprattutto di amare.Amare chi? Un volto.La risposta può risultare strana o quan-tomeno inconsueta, ma pensiamoci unattimo: è necessario un riferimento con-creto, non può esserci amore senza unvolto. Per maggiore chiarezza ci vengono inaiuto, come spunto di riflessione, duecitazioni del filosofo “del volto”Emmanuel Levinas.«Il volto dell’altro mi interpella…»«Il volto è ciò per cui e in cuil'Invisibile diventa visibile ed entra inrelazione con noi».

La relazione con l'altro struttura tutta lanostra esistenza, compone un intrecciodi vite da cui non possiamo prescindereed è proprio l'irrompere dell'altro nelnostro mondo che può aiutarci a rileg-gere il senso della nostra storia. Questa ricerca di senso ha infatti comepunto di partenza il volto dell'altro.

Il volto innanzitutto non è riducibilealla faccia, non è assimilabile ad unaimmagine quasi come se fosse una foto-grafia, esso infatti presenta altri linea-menti che sfuggono al nostro sguardo,primo fra tutti la cicatrice della debolez-za, causata da una mancanza di comple-tezza che tutti ci accomuna.

Il volto dell'altro mi chiama a sé rivol-gendomi un appello silenzioso:“Amami. Ho bisogno di te!”.Non è un'imposizione o un obbligo daassolvere, piuttosto una vera e propriavocazione che decentra il nostro io, sve-landoci la responsabilità incombenteche abbiamo verso il prossimo. Essa cichiede di abbandonare la posizione scul-torea che di solito assumiamo in attesadi essere adorati, trasformandoci pervivere una dimensione del sé più pro-fonda e protesa verso l'altro.È in nome di questa responsabilità, laquale ci spinge a costruire ponti e nonpiù barricate, che dobbiamo tentare dialleviare le ferite della sofferenza, dellaviolenza, del conflitto, dell'indigenzache ogni uomo porta con sé.Lungo la strada del com-patire e attra-verso tutte le lacerazioni e i limiti del-l'uomo, cogliamo che il volto dell'altrorimanda a un altro Volto: è Dio che sirivela.Questo è il punto di incontro, qui si sta-bilisce la relazione con Colui che cer-chiamo da sempre.Dalla creatura al Creatore, dal Volto “aimmagine e somiglianza” al Voltoautentico.E la cosa interessante è che non siamonoi a scegliere in chi cercare e trovareDio: Egli dimora nell'affamato, nell'emargi-nato, nel nemico, nello straniero, neltorturato, nello sconfitto...ha lasciato inciascuno una traccia, anche e soprattut-to dove non avremmo mai pensato dipoterlo trovare.È questo il senso: amare l'uomo attra-verso Dio e Dio attraverso l'uomo.

di LUISA IACCARINO

s

“Nel sempliceincontro di unuomo con l’altrosi gioca l’essen-ziale, l’assoluto:nella manifesta-

zione, nella “epifania” delvolto dell’altro

scopro che il mondoè mio nella

misura in cui loposso condividere

con l’altro. E l’assoluto si giocanella prossimità,alla portata delmio sguardo, allaportata di un gesto

di complicità o di aggressività,di accoglienza o di rifiuto". (E. Levinas)

“In verità io vi dico: tuttoquello che avetefatto a uno solodei miei fratelli

più piccoli, l'avetefatto a me” (Mt 25, 40)

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5settemiglia | Ott - Nov 2013

s

di TONIA VITIELLO

Sto per raccontarvi la storia di unuomo straordinariamente sempli-ce, ma allo stesso tempo straordi-

nariamente grande. Ci troviamo neglianni del risveglio della società civile:l'impegno di Falcone e Borsellino avevadato una bella spinta alla speranza. Intutti gli ambienti si parlava di lotta allamafia. Ad un prete di periferia, donPeppe Diana, fu affidata una parroc-chia, la stessa del suo paese, viveva con isuoi genitori, conosceva da sempre isuoi parrocchiani, quella conoscenzache in luoghi come Casal di Principe ticonsente di non fare errori e quindi divivere tranquillo. Questa stessa cono-scenza invece spinse don Peppe a rim-boccarsi le maniche e, da buon scoutquale era, comprese che la prima azionecontro la mentalità mafiosa era starecon i giovani e con gli ultimi. Non eraun eroe, questo no. Ma ha vissuto la suavita con semplicità e con pienezza, quel-la pienezza che proviene dalla partecipa-zione, dal sentirsi responsabili perquanto accade intorno a te e che ti esor-ta ad intervenire per operare un cambia-mento. Fu in quel clima di grande spe-ranza, in cui si avvertiva una sensazionedi vittoria, che don Peppe venne ucciso. I suoi killer non scelsero una data acaso, ma il giorno del suo onomastico:il 19 marzo del 1994. Non aveva anco-ra indossato i paramenti, stava nella salariunioni della Chiesa, vicino allo studio. Non era immediatamente riconoscibile.

“Chi è Don Peppino?!” “Sono Io.”Questa fu la sua ultima risposta.Aveva solo 36 anni. Facile pensare chetutto è inutile, che contro di loro non sipuò far nulla. Ma proprio il 21 marzo1994, giorno del funerale di don Peppe,la vista di Casal di Principe affollata dacirca ventimila uomini e donne, le len-zuola bianche a tutti i balconi del paesefurono il segno che si poteva ancorasperare, anzi che si doveva sperare. Un'altra vittima della camorra era statanecessaria per rianimare, riattivare lagente all'impegno per il cambiamento. E difatti si avvertiva di nuovo un forteattivismo, una grande voglia di stareinsieme: le parrocchie si ritrovavano,nascevano associazioni, quelle già esi-stenti supportavano nuove iniziative,l'Agesci che perdeva uno dei suoi figlimigliori, LIBERA che nasceva in queglianni con i suoi campi antimafia. Tra letante associazioni nate nel nome di donDiana nasce anche il Comitato donDiana con l'impegno di fare memoria:chi era, qual era il suo messaggio, comeè stato ucciso. Poi don Peppe, è diventa-to in qualche modo uno strumento, unmezzo per diffondere il valore dellalegalità per lanciare nuove idee, nuovesuggestioni, parlare di città educativesolidali e sane, di benessere sociale, diriuso dei beni confiscati alla camorra. Innome di tutte queste iniziative possia-mo dire allora che la sua vita non è statavana. Anzi.

Per amore delmio popolonon taceròIl coraggio di un uomo qualsiasi

Giuseppe Diana, (4 luglio 1958 – 19marzo 1994), è stato unpresbitero, scrittore escout italiano, assassi-nato dalla camorra per ilsuo impegno antimafia.

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settemiglia | Ott - Nov 20136

Il carattere diaconale è il segno

configurativo-distintivoimpresso indelebilmentenell’anima che configurachi è ordinato a Cristo,

il quale si è fatto diacono, cioè servo di tutti.

Ho conosciuto Vincenzo Lausnel 2004, durante gli incontridi formazione per gli aspiranti

al diaconato permanente. Avevo appenainiziato il mio cammino formativo,Vincenzo invece lo stava concludendo, saràinfatti ordinato diacono l’anno successivo.Vincenzo è nato a Castellammare diStabia il 25 luglio 1948, dove conseguìil diploma di ragioniere con il massimodei voti in tutte le discipline. Il suo bril-lante percorso di studi gli consentì diessere assunto subito dopo il diplomadal Banco di Napoli. Ma Vincenzo oltrea lavorare voleva anche proseguire glistudi. Si iscrisse quindi alla facoltà diEconomia e commercio, laureandosi dastudente-lavoratore con 110 e lode a soli23 anni. Vincenzo conseguì successiva-mente anche il dottorato in statistica ela laurea in lingue. La competenza pro-fessionale, unita alla padronanza dellelingue, gli valsero la qualifica di ispetto-re internazionale presso la direzione

generale di Napoli del Banco di Napoli. Il suo lavoro lo portava a fare anche fre-quenti viaggi all’estero.Ma oltre ad essere un eccellente profes-sionista, Vincenzo era un giovane ani-mato da una grande spiritualità, che loportò ad approfondire le verità dellafede cristiana, frequentando un corso diTeologia biblica della redenzione, pressola Società biblica cattolica internaziona-le, concluso nel 1971 all’età di 23 anni. L’amore per Dio lo spinse a proseguiregli studi teologici, fino al conseguimen-to nel 1994, presso la PontificiaUniversità della Santa Croce in Roma,del Magistero in Scienze Religiose con ilmassimo dei voti e la dizione summacum laude.Vincenzo ha anche conseguito nel2004, presso l’Istituto Superiore diScienze Religiose all’Apollinare (centroaccademico della stessa Università dellaSanta Croce) il diploma biennale di“Cultura cristiana della famiglia e del-

Tutti rispettino idiaconi come

Gesù Cristo, comeanche il vescovoche è l’immaginedel Padre, i pres-biteri come il

sinedrio di Dio ecome collegiodegli apostoli.

Senza di loro nonc’è Chiesa.

(Lettera di S. Ignazio diAntiochia ai Tralliani)

di PASQUALE VIOLANTE

Vincenzo LausIl volto di un diacono

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7settemiglia | Ott - Nov 2013

l’educazione” e nel 2005 ildiploma biennale di“Bioetica e cultura dellavita”.Vincenzo nel 1999 inizia afrequentare il cammino diformazione per aspirantidiaconi della diocesi diNola. Compagno di cammi-no formativo è GiovanniLotti, amico fraterno diVincenzo, che mi ha fornitola seguente testimonianza: “Sono anniappassionati, siamo entrambi presi dallafoga del sapere e di approfondire il rap-porto personale con Dio. Vincenzo èpieno di fuoco sacro! Siamo stati ordi-nati diaconi lo stesso giorno il 18 otto-bre 2005 da S.E. Beniamino Depalma,vescovo di Nola. Per Vincenzo e per me,unitamente alle nostre famiglie, è unagrande giornata! Ci sentiamo al settimocielo e ringraziamo Dio per il dono rice-vuto. Siamo assegnati come diaconiVincenzo a Scafati nella parrocchia S.Maria delle Grazie (parroco donAntonio Federico), io a Boscoreale nellaparrocchia S. Anna ai Pellegrini (parro-co don Pellegrino De Luca). Appassionato conoscitore delle SacreScritture, Vincenzo vorrebbe tuffarsiappieno nella missione diaconale, matrova, come me, alcune difficoltà diinserimento. Lascia la parrocchia edincomincia a girare per altre, collabo-rando con parroci diversi. La sua ultimaesperienza diaconale è stata nella parroc-chia SS. Vergine del Suffragio di Marra(Boscoreale) (parroco don Ciro DeMarco).Purtroppo il 18 novembre 2009Vincenzo è colpito da un tremendoictus! Venuto a sapere dell’accaduto miprecipito a casa di Vincenzo e vi trovo,tra gli altri il fratello, medico, che cicomunica che non c’è più nulla da fare! Il colpo ricevuto è stato tremendo! Vincenzo entrò in coma profondo e siaspettava la fine. Le prime diagnosi

dicono che se sopravviveràsarà ridotto a poco più diun vegetale. Per tutti, a partire dallamoglie Agnese e dalle figlieMaria Elena e Raffaella, lanotizia è sconvolgente. In un attimo la vita di unuomo e della sua famiglia èstravolta! Sembra tutto fini-to. E invece no! Il grande

amore che Agnese nutre per ilmarito, la sua caparbietà e la sua grandefede, fanno sì che inaspettatamenteVincenzo migliori. Sono giorni di pre-ghiera, di Sante Messe e di girovagarefra vari centri di alta specializzazione. Siincomincia con Cassino. È un continuoandare giornaliero. Un paio di volte asettimana mi offro di accompagnareAgnese e le figlie a Cassino, specialmen-te nelle giornate di maltempo, era trop-po pericoloso farle andare da sole. Passano mesi e dopo un iniziale nettomiglioramento mi rendo conto, facendopartecipe Agnese, che Vincenzo nonmigliorava, che forse è trascurato e pococurato dal punto di vista della puliziapersonale. Su mio suggerimento,Agnese decide di portare Vincenzo inun’altra struttura, quella di Roccapie-monte.Inizia allora la lotta tra Agnese e il pri-mario di Cassino. Agnese è una combat-tente tenace e caparbia. Alla fine riesce aspuntarla, porta Vincenzo nella nuovastruttura ed i miglioramenti riprendo-no. Vincenzo riacquista l’uso, anche separziale, degli arti superiori ed incomin-cia a muovere una gamba. Tenta i primipassi.Dopo circa sei mesi, finalmente il ritor-no a casa! Ma Agnese non si arrende econtinua la sua lotta: si rivolge a fisiote-rapisti che quotidianamente vanno acasa per sottoporlo a terapie.La ricerca di Agnese continua fino adarrivare al centro di alta specialità riabi-litativa S. Giorgio di Ferrara, dove si tra-

Voi sapete che coloro i qualisono considerati igovernanti dellenazioni domi-nano su di esse e iloro capi le opprimono. Tra voi però nonè così; ma chivuole diventaregrande tra voisarà vostro servi-tore (diacono), echi vuole essere ilprimo tra voi saràschiavo di tutti.Anche il Figliodell’uomo infattinon è venuto perfarsi servire, maper servire e darela propria vita inriscatto per molti.

(Mc 10, 42-45)

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settemiglia | Ott - Nov 20138

sferisce il 17 aprile 2013 con il marito,nella speranza di vederlo se non guarito,almeno capace di parlare in manieracomprensibile e di muovere i primipassi. Le cose sembrano prendere ilverso giusto. Tutte le volte chechiamo al telefono, Agnesemi racconta i progressi diVincenzo. Poi all’improvvi-so, il 9 settembre alle19.40, mentre era a tavolaper cenare insieme adAgnese, Vincenzo abbassa ilcapo e muore, forse senzaneanche rendersene conto”.Un altro fraterno amico di Vincenzoè il professore Bruno Pagano, che loricorda così: “Ho conosciuto l’indimen-ticabile Vincenzo in un momento, perme e per la mia famiglia, particolarmen-te difficile e di smisurato dolore. Lasorte avversa, aveva strappato, infatti,nel volgere di pochi giorni, al nostroindescrivibile affetto, una figliola splen-dida, nel pieno della gioventù, proprioin quella fase della nostra vita in cui isogni stanno per diventare realtà ed il

cuore è stracolmo di belle speranze perl’avvenire. È facile immaginare lo statodi prostrazione a cui è ridotto un geni-tore, in simili circostanze. Fu forsedestino, fu forse volontà del cielo,

incontrai questo straordinarioamico, per la prima volta,nella chiesa S. Maria delleGrazie, dove, sovente, mirecavo per raccogliermi inpreghiera ed approfondirele mie meditazioni spiri-tuali. Nacque così un

sodalizio, che non fu solo disincera ed affettuosa amicizia,

ma anche permeato dall’ansia diintraprendere, insieme, un comune per-corso religioso e culturale, destinato adurare per molti anni. Nel corso di que-ste frequentazioni, ebbi modo diapprezzare le sue straordinarie dotimorali ed umane, la non comune cultu-ra, come pure la capacità di analisi dellaBibbia, di cui aveva sicura ed indiscussapadronanza. Nei nostri colloqui, i temipreferiti erano quelli relativi alla fede, alperché della vita, della morte, ed ulti-

di PASQUALE VIOLANTE

Maria, Maestra del

servizio nascosto,che con la tuavita normale eordinaria, pienadi amore hai

saputo assecon-dare in manieraesemplare il pianosalvifico di Dio,rendi i diaconiservi buoni e

fedeli, insegnandoloro la gioia diservire nellaChiesa con

ardente amore.(Preghiera dei diaconi a

Maria Santissima)

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9settemiglia | Ott - Nov 2013

mo, ma non secondario, la ragione dellapresenza del male nel mondo ed egliriusciva, con acume, a dare una rispostaai vari interrogativi, che affannano, datempo immemorabile, l’esistenza del-l’uomo.Inoltre non posso sottacere, la discrezio-ne e l’umiltà che hanno accompagnatoil suo silenzioso apostolato. Potrei con-cludere che tre erano i fuochi che glibruciavano dentro: il desiderio, maicompletamente appagato, di attualizza-re il messaggio evangelico da un lato e,dall’altro, uno slancio d’amore senzalimiti per l’Ordine dei Minimi di S.Francesco di Paola insieme ad una devo-zione incondizionata per il BeatoBartolo Longo.Parte significativa di queste scintille,Vincenzo è riuscito a trapiantare anchenel mio cuore, e di tanto gli conserverògratitudine e riconoscenza per sempre”.Per quanto mi riguarda posso dire cheVincenzo era un uomo innamorato diGesù e del diaconato. La sua grande cul-tura gli faceva avere molto a cuore ilrapporto tra fede e ragione e le argo-mentazioni circa la ragionevolezza dellafede e la compatibilità della fede con lascienza. Sono stato a visitarlo a casaalcune volte, accolto da lui e da Agnesesempre con grande affetto. Vincenzo eraseduto sulla sua sedia a rotelle. Io nonsempre riuscivo a comprendere quantomi diceva, a causa delle sue difficoltà di

linguaggio. Puntualmente si commuo-veva ed io mi rattristavo nel vederlopiangere, ma ero anche felice di esserglivicino, raccontandogli del mio cammi-no formativo di aspirante diacono.L’ultima volta che ho visto Vincenzo èstata il 16 marzo a Torre Annunziata,dove abbiamo vissuto una giornata dispiritualità con don Salvatore Spiezia,diaconi, aspiranti diaconi e rispettivemogli. Quel giorno Vincenzo volle fareun appassionato intervento sull’impor-tanza del diaconato per la chiesa.Agnese con grande amore ripeteva aipresenti le parole di Vincenzo che non sicapivano.Vincenzo ha vissuto un calvario duratoquasi quattro anni, un periodo in cui aldolore per non poter camminare e par-lare correttamente, si aggiungeva anchel’impossibilità di svolgere il ministerodiaconale. Il modo in cui è riuscito adandare avanti è stata una prova di gran-de amore e fedeltà a Dio ed alla suafamiglia, per cui sono certo che nelmomento in cui Vincenzo ha chiuso gliocchi, Gesù lo avrà accolto dicendogli:«Bene, servo buono e fedele […] prendiparte alla gioia del tuo padrone» (Mt25,21).Ringrazio vivamente la signora AgneseFienga, il diacono Giovanni Lotti ed ilprofessor Bruno Pagano per la loro pre-ziosa collaborazione nella stesura diquesto articolo. s

A lato Vincenzo Laus durantela sua prima messa dadiacono presso la chiesaSanta Maria delle Vergini

Vincenzo Laus insieme adon Aniello Marano, don Peppino De Luca edil diacono Nicola Solimenepresso la parrocchia San Francesco di Paola.

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settemiglia | Ott - Nov 20131010 settemiglia | Ott - Nov 2013

Aprire gli occhi in una luce abba-gliante e guardare, intensamente,avidamente, senza sosta. Il

mondo che si apre dinanzi, le opportu-nità offerte quotidianamente e poi avereil coraggio di saltare in quella luce erischiare.Di tutto, cosa resterà?Il dolce, le belle esperienze, la luna, ilsole e tra loro i nostri occhi.

“C'era la luna ad est, il sole ad ovest. Elui, io, noi tutti, il mondo, il nostro pia-neta, nel mezzo. Il cielo sopra di noi deli-catamente passava dal blu scuro, al sofficearancione, che culminava nel caldo rossodel sole, che scendeva oltre il mare. Ioavevo 17 anni e capì così tardi, che ci sonocose stupende che possiamo vedere tutti igiorni, ma che non notiamo. Qualcosa checi sfugge ma che è sempre ben visibile. Eringrazio ancora quel ragazzo per averme-lo fatto capire. Sono felice di quell'incon-

tro che da allora mi ha spinto ad osserva-re meglio il mondo.”Queste sono parole di ClaudioSantoriello, un ragazzo, 26 anni di puravita che veloce, piena e inesorabile si ègià spenta. A noi rimane l'eredità di uno sguardo, ilconforto di un'idea, il vuoto di un voltoe poi la tenacia, la rabbia, la speranza, ildesiderio, la paura... la fede. Ognuno dinoi è un universo inesplorato che inte-ragisce con l'altro, s'interroga, lo scrutanella continua ricerca di qualcosa, macosa? “Celeste corrispondenza d'amorosisensi”.

Poco importa quanto sia lungo questobreve viaggio, ciò che conta sono i voltiche incontriamo. “Ricordo ancora ilnostro incontro. Ci siamo incontrati tra lestelle. È stato ieri, tanto tempo fa, cheimporta? Se pensi all'istante in cui qual-cuno ti stupisce, l'evento crea un tempo a

Nei tuoi occhiA Claudio Santoriello, a shooting star.

di ELENA FIORENZA

A lato e nella pagina accanto

CLAUDIO SANTORIELLO nelsuo ultimo lavoro

presentato al teatrosanfrancesco

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11settemiglia | Ott - Nov 2013settemiglia | Ott - Nov 2013

sé. Il resto non importa ed è deleterio. E lestelle ne sono testimoni.”Ogni giorno siamo posti dinanzi a unbivio, ogni giorno scegliamo il nostrofuturo a seconda del piede con cui scen-diamo dal letto. Ogni giorno ci guardia-mo allo specchio, soli artefici del nostrodestino e scrutiamo il nostro viso cer-cando di stabilire il lavoro del tempo, discorgere le pennellate che la nostra esi-stenza c'imprime e di tracciare la lineadel nostro vissuto. Tutto questo, però,non ha valore se i nostri occhi oltre arimandarci noi stessi non diventano

anche specchio dell'altro. A noi il com-pito di essere una “Notte stellata” o“L'urlo” attonito e silenzioso fermo inun tempo cristallizzato.“Dio.Sta essendo. Sta essendo tuttora. Noi, anche noi. Non vedo perchè spaventarci, affaticarci,preoccuparci più. Dobbiamo solo fare. Fare ciò che sentiamo.”

A Claudios

CLAUDIO SANTORIELLO(02/07/1986- 10/09/2013), speaker, autore,singolare mente creativa. Studente diLingue, iscritto al corso di laurea inDiscipline delle Arti e dello Spettacoloall’Università di Salerno. Ha da sempre espresso una forte tensionecreativa allo studio e alla messa in praticadelle sue conoscenze, appassionato di tea-tro e cinema, Claudio ha anche partecipatoall’elaborazione e alla messa in scena didiverse produzioni teatrali.Il suo canale YouTube (IamKlodjo) è unesempio forte della particolare sensibilitàche Claudio ha saputo esprimere e concre-tizzare verso la musica, il teatro, la recita-zione, nella vita.

Page 12: Settemiglia - anno IV, n°1

settemiglia | Ott - Nov 201312

La storia di Francesca Pedrazzini, èquella di una mamma di 38 annisalita in cielo il 23 agosto 2012,

dopo trenta mesi di combattimento conun tumore che l’ha uccisa, lasciando ilmarito Vincenzo e tre bambini: Ceciliadi 11 anni, Carlo di 8 e Sofia di 4. Leiinsegnante, lui avvocato, si erano cono-sciuti all’ Università Cattolica, fidanzatinel 1995, sposati nel 2000, una vitapiena di amici, allegra, il lavoro, la fami-glia, finché la scoperta di un nodulo alseno non mette alla prova la sua vita e lasua fede. Il modo in cui ha affrontato lasofferenza e la morte ha convertito tantie dimostrato che con Gesù anche lamorte può essere strada alla vita. La sua vicenda ed il suo modo di affron-tare il dolore e la morte così straordina-riamente eroico sono stati raccontati dalmarito Vincenzo Casella, il 21 agosto, alMeeting di Comunione e Liberazioneche si è tenuto a Rimini. Vincenzo Casella ha riferito della testi-monianza di fede delle moglie Francescache affermava: io non ho paura, mentreraccoglieva le sue ultime forze, che perlei, venivano tutte da quella certezza,ripetuta al marito poche ore prima dimorire. «Io non ho paura». «Ogni gior-no è servito, perché in ogni giorno hoaffidato alla Madonna tutti i mieicari… il tempo è prezioso. Non hopaura, sono contenta». La stessa certez-za, la certezza di Cristo, che ha plasma-to la vita e la morte, la gioia e il dolore,la salute e la malattia. Gli ultimi giorni Vincenzo li raccontacosì. «Quando i medici mi spiegano chemanca poco, cado in uno stato di ango-scia. Cosa faccio, glielo dico o no?Pensavo: ora scopre che mancano pochigiorni da vivere, e crolla. Parlo con i

parenti. Con i dottori. Un giorno emezzo di crisi, totale. Lei a un certopunto mi guarda e fa: “Vincè, vieniqui". Mi siedo. E lei: "Guarda, devistare tranquillo. Io sono contenta. Sonoin pace. Sono certa di Gesù. Non hopaura, va bene così. Anzi, sono curiosadi quello che mi sta preparando ilSignore”. Ma non sei triste? “No, sonotranquilla. Mi spiace solo per te, perchéla tua prova è più pesante della mia,sarebbe stato meglio il contrario”. Lì c’èstata una trasformazione. Io dopo quel-le parole ero un altro. L’angoscia era spa-rita ». Francesca mostra una serenità eduna forza straordinaria. Chiede di vede-re i figli, li vede uno per volta gli dice:“Guardate, io vado in Paradiso. È unposto bellissimo, non vi dovete preoccu-pare. Avrete nostalgia, lo so. Ma io vivedrò e vi curerò sempre. E mi racco-mando, quando vado in Paradiso dove-te fare una grande festa”.

Così accade che il taxista che accompa-gna un’amica al funerale di Francescanon ci vuole credere, scende a doman-dare, pensando che la cliente avesse sba-gliato chiesa e che ci fosse un matrimo-nio anziché un funerale. Dopo la suamorte questa bellezza ha contagiatomolti attraverso i suoi parenti ed amici. Due zii di Francesca, erano molti anniche non andavano in Chiesa poi, sapu-to della malattia di Francesca, hannoiniziato a pregare, hanno vissuto tutto iltragitto di Francesca dalla sofferenza allamorte ed hanno ritrovato la fede. Alla domanda chi è Francesca per voi,hanno risposto: “Un esempio, un faro.Un desiderio di essere così, un segno dicroce tutte le mattine”. Un uomo che aveva una parente in

Francesca Pedrazzini“Guardate, io vado in Paradiso”

“Qualcosa comeun inno alla vitami entrava nel

cuore, nell’animae nella mente”

di PASQUALE VELLECA

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ospedale negli stessi giorni di Francesca,malata terminale come lei, una serarimane stupito perché vede nella came-ra di Francesca una tavolata di personeche mangiano la pizza, scherzano e rido-no. All’inizio si irrita, perché non puòessere, poi viene contagiato dalla gioiadi quelle persone.

Ha raccontato: “Qualcosa come uninno alla vita mi entrava nel cuore, nel-l’anima e nella mente”. Al termine dellapizza i presenti pregano insieme, e soloal momento dei saluti quell’uomo capi-sce chi è l’ammalata perché è l’unica cherimane in ospedale. Quest’uomo rac-

conta che l’immagine di quella donna di38 anni madre di tre bambini, che siappresta a lasciare consapevolmente ilmondo, sorridente e divertita di frontead una pizza con intorno i propri cari ècome se gli avesse piantato “un chiodonel cuore. Un chiodo come un seme cheha fatto germogliare una pianticella cheè e sarà il suo inno alla vita”. Per chi l’haincontrata e per chi l’ha accompagnataFrancesca è stata l’occasione per alzare ilproprio sguardo, per non avere pauradelle circostanze avverse e riconoscereche la promessa della felicità non è uninganno.

La storia di FrancescaPedrazzini, una mammache a 38 anni ha lasciatoil marito e tre bambini. Il modo in cui ha affron-tato la sofferenza e lamorte ha convertito tantie dimostrato che conGesù anche la mortepuò essere strada allavita.

Ebook di Davide Perilloedizione San PaoloAnno 2013

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Cinquant’anni fa, a Venezia, veni-va attribuito il Leone d’Oro adun film che avrebbe segnato

profondamente la cultura politica ecivile italiana: “Le mani sulla città”. Il regista era Francesco Rosi, napoleta-no, oggi novantunenne, diventato unpunto di riferimento assoluto perchiunque abbia voluto e voglia ancoraaffrontare in modo credibile ed efficacequei temi sociali che tanto stanno acuore a personaggi come, per citarneuno, Roberto Saviano. Il film, ambien-tato a Napoli, ma poteva essere unaqualsiasi altra città, agli inizi degli annisessanta, è la storia di Edoardo Nottola,un genio della speculazione che riesce,con i suoi intrallazzi politici e la suatotale assenza di scrupoli, a far rivedereil piano regolatore della città e a fardichiarare edificabili suoli destinatiall’agricoltura e a tutta una serie di ser-vizi utili alla cittadinanza. Una decisio-ne che segnerà il definitivo abbandonodi uno sviluppo urbano a misura d’uo-mo e dell’idea stessa di città inclusiva,nella quale gli spazi fossero tra lorointerconnessi e funzionali al consolida-mento del senso civico, alla partecipa-zione attiva, alla diffusione della cultu-

ra, all’elevazione dello spirito, alla circo-larità delle idee, al radicamento delletradizioni, allo scambio commerciale ealla visione del lavoro come espressionedella dignità dell’uomo. La denuncia di Francesco Rosi, ben cir-costanziata, poneva le sue fondamentasu una serie di studi e riflessioni sul con-cetto di città, già molto avanzati neglianni cinquanta. L’idea era quella di dareseguito e senso alle intuizioni dellasocietà umanistico-rinascimentale cheaveva saputo diffondere il gusto dellabellezza in tutti i suoi aspetti, includen-dovi anche la fondazione e lo sviluppodelle città.

I centri urbani, ri-nati nel medioevo persoddisfare i bisogni della classe dirigen-te, assunsero, infatti, nei secoli successi-vi un assetto più o meno standard che,però, doveva rispondere a precisi requi-siti: bellezza, proporzionalità, spazialità,spiritualità, controllo, cultura, econo-mia. Un esempio è la piccola città diPienza, in provincia di Siena, nella Vald’Orcia, che dal 1996 è entrata a farparte, grazie all’Unesco, del Patrimoniodell’Umanità. La singolarità sta nel

Città dalvolto umanoÈ possibile realizzare un sogno?

La Città idealeautore ignoto

tempera su tavola67,5x239,5 cm

Galleria Nazionale delleMarche, Urbino

di VINCENZO FIORENZA

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fatto che Pienza rappresenta la primaapplicazione della concezione umanisti-co rinascimentale dell'urbanistica chepone al centro del progetto di costruzio-ne l’ideale, cioè la perfezione degli spazie dell’armonia. La conseguenza fu quel-la di aver realizzato un capolavoro delgenio creativo umano.

Risulta fin troppo evidente, quindi, chequando si parla di città non ci si riferi-sce a strade e ad edifici in senso generi-co, ma ad una specifica creatura, conuna sua propria personalità, una propriaparticolare identità, un proprio volto. La città è il cuore di chi vi abita, il corpodi chi ci vive e la prima esigenza dei cit-tadini è quella di sentirsi accolti, inclu-si. È proprio la città che ha fatto nasce-re e radicare nell’uomo il senso di “socie-

tà” e questo perché lo spazio in cui sivive influisce direttamente sullo svilup-po di un determinato modello di vita. Lo spazio non è mai un aspetto oggetti-vo, ma, come dice il filosofo e sociologotedesco di fine Ottocento GeorgSimmel, un’attività dell’anima, con-temporaneamente condizione (intesacome limite, vincolo) e simbolo (riferitoalla creatività, alla costruzione sociale)dei rapporti tra gli uomini. Quindi, se ci si trova a vivere in unluogo brutto, che non ci suscita emozio-ni, anzi, al contrario, ci rende frustrati emalati di solitudine, vuol dire che quelluogo è stato progettato senza tenerconto dei più elementari criteri diumana convivenza. Quel luogo non ha

un volto umano, manca di spazi verdi,manca di bellezza, manca di edifici pub-blici, scuole, uffici, ospedali, accoglien-ti e rassicuranti, manca di luoghi del-l’anima dove poter ideare, costruire e farcircolare idee ed esperienze, manca dispazi per i giovani dove essi si possanoincontrare ed esprimere nella più gran-de libertà, manca di una mobilità soste-nibile, manca, cioè, della visione dellasacralità della persona. A proposito disacralità della persona, in Trentino èpossibile trovare piccoli borghi, comeBleggio, con al massimo qualche centi-naio di abitanti, o Molveno, con pocopiù di mille, che hanno costruito i lorocimiteri praticamente di fianco alle casee in pieno centro. Sono fazzoletti di ter-reno con una chiesetta antica, e spessostoricamente e artisticamente di grande

valore, e poche decine di tombe curate equasi venerate dai familiari e, nello stes-so momento, visitate dai turisti di pas-saggio. Un modo, questo, per abbraccia-re la vita anche dopo la morte. ACoimbra, invece, in Portogallo, sorge laseconda università più antica d’Europa.Nelle strade si cammina tra migliaia digiovani studenti vestiti alla HarryPotter con il classico Traje Académico esi può partecipare, nel mese di ottobre,alla “Latada”, la giornata delle matrico-le, accolte con prove e scherzi e con unaspettacolare festa che coinvolge l’interacittà. A Scafati, in provincia di Salerno,infine, si può trovare, in prossimità dellapista ciclabile, il segnale di divieto ditransito alle biciclette.

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Nella colonna a sinistra:Il fiume Sarno, il Pontecome era in origine e lecaratteristiche imbarca-zioni (lontri) che hannocaratterizzato Scafati persecoli. Oggi il fiume haperso la sua forza vitaleed è il principale proble-ma per la città.Risolverlo significa dareil via alla rinascita, altri-menti il declino definiti-vo sarà inevitabile.

A lato nella colonna a destra:Scafati è una città antica,ricca di storia e di tradi-zioni. Il Ponte sul Sarno(il fiume che la divide ametà), la Piazza, laChiesa Madre, la VillaComunale, il Corso, gliedifici storici, e tantacultura sono alcuni deglielementi che ne determi-nano la personalità.

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Nel volto è l’indefinibile che ciparla. La forma che lo indica èil segno che ne confina l’identi-

tà. Ma esso si trascende, risuona oltre sestesso: è memoria di tutti i volti proprioperché è altro dagli altri. Sa che infinitipossibili volti sono la sua stessa storia,eco del mistero che li genera. L’arte delleimmagini dalla sua arcaica manifesta-zione ne è lo spazio simbolico che nellamateria scava i suoi segni, facendo espe-rienza sensibile dell’aleatorietà, fugaci-tà, indeterminazione del volto. Semprein movimento, incatturabile, il volto è‘forma del tempo’, spazio che si trasfor-ma, territorio sismico dello spiritoumano. La pittura nelle sue meta-mor-fosi ne interrompe il divenire e si faicona della invisibilità che lo ‘regge’. Loirradia di un tempo sospeso o nellamateria immaginale lo adombra deiriflessi dell’infinito

Scriveva Antonin Artaud che “dopomille e mille anni (…) che il voltoumano parla e respira si ha ancora l’im-pressione che non abbia ancora comin-ciato a dire ciò che è e ciò che sa”. Forseil volto umano mai potrà rivelare ‘essen-zialmente’ ciò che è e ciò che sa. La suaessenza rimane ‘irrangiungibile’ anchenella più radicale anamnesi dell’anima.Da dove proviene il senso del volto? Ilvolto umano è un abisso insondabileoppure dell’anima è il visibile manife-starsi? Ha una profondità occulta o è lapagina dove è scritta la vita della perso-na? Forse è tutte queste cose, se ritenia-mo che un altro, indicibile e invisibile,abita la nostra identità e si dibatte inessa restando inapparente. Il suo silenzio‘dice’ un ignoto irrivelabile, indica il‘presente vuoto’, nido del nostro essere,

là dove si ‘forma’ il volto dell’anima mache per esso è inizio immemoriale. La lontana profondità nella quale respirail volto è interrogazione del suo ‘segre-to’, del ‘senza nome’ che abita nell’io, lostraniero di noi stessi, l’intruso familia-re, la perturbante ombra del nostrodubitare. È nella pittura ‘filosofica’ diMagritte che l’enigma si manifesta comefigura, facendo del volto un rebusimmaginale, tra sogno e nascondimenti. È nel paradosso del volto che si mostravero nel momento in cui è ‘ritratto’nella sua apparenza, come maschera delfondo irraggiungibile dello sguardo(“tutto ciò che è profondo ama lamaschera” scrisse Nietzsche). Così è losguardo il fuoco del volto, la seduzione diogni ritratto in pittura. Lo sguardo bru-cia nell’oltrepassare il volto che lo con-

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SALVATORE VITAGLIANO,Disegno, 1996

di FRANCO CIPRIANO

“dopo mille emille anni (…)

che il voltoumano parla erespira si ha

ancora l’impres-sione che nonabbia ancora

cominciato a direciò che è

e ciò che sa”Antonin Artaud

Il mistero del voltoIl ritratto della pittura, la Sindone e le Icone di Salvatore Vitagliano

La pittura del volto

- il ritratto -richiama

l’origine stessa dell’immagine

dipinta.

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tiene, desiderio e commozione per il cor-pus mundi. Negli autoritratti di VanGogh si proietta ‘fuori di sé’, nello spa-zio sussultante del segno-colore ‘sospet-ta’ nelle cose il suo delirio. Anche diquelle immagini della pittura che losguardo lo sottraggono, lo cancellano, ilvolto ha negli occhi il proprio abisso. Ènelle figure di Giacometti che il tor-mento del segno ne costruisce e distrug-ge insieme la corporeità, come per undestino dell’identità che mentre siforma sfugge e sprofonda nel suo auto-interrogarsi. La pittura del volto - il ritratto - richia-ma l’origine stessa dell’immagine dipin-ta. Si ritrae qualcuno che “si fa ritornaredall’assenza”, che la pittura “rammemo-ra in assenza”, come indica J.L. Nancy.Un richiamo alla presenza che “rende

immortale” la radice del volto “che non c’è”. Invero, nell’immagine si manifesta il co-appartenersi di presenza e assenza, comedi idem e alter. Dell’essere ogni volta lostesso e il suo contrario. Nella medesimaimmagine sospettarsi di ‘non essere’. Nel volto dipinto da Lucian Freud, nelsuo dispositivo ‘mimetico’, tra lonta-nanza auratica e prossimità familiare, sitende la corda del mysterium picturae,quando l’immagine, dipinta fin infondo nella sua incarnata ‘personalità’,sembra “risucchiata dentro se stessa,nella sua pura e vuota sorgente”(G.Agamben). Dunque la pittura esponeil volto (J.L.Nancy) non semplicementelo imita ma ne opera ‘svelamento’ deisuoi prismatici nascondimenti. Attraverso il ‘venir fuori’ dello sguardolo “ri-trae” dalla sua ‘passività’ (lo sot-

A lato:RENÈ MAGRITTE, LePrincipe du plaisir, 1937

VINCENT VAN GOGH,Autoritratto, 1885

ALBERTO GIACOMETTI,Annette, 1954

La lontana profondità nellaquale respira il volto è interrogazionedel suo ‘segreto’…

A lato:ANTONIN ARTAUD,Autoritratto, 1946

LUCIAN FREUD, Reflection (Self-portrait),1985

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di FRANCO CIPRIANO

trae alla limitatezza) facendolo comearrestare in una impermanenza di senso,sulla soglia del dubbio di sé (hamletica-mente, una interrogazione della morte),in bilico tra nostalgia della propria spa-rizione nel vuoto originario e sua singo-larità significante del mondo. Di questo imperturbabile dissidiomelanconico, nello spasmo della mime-si che oltrepassa il visibile, l’autoritrattodi Albrecht Dürer appare come il con-traltare del volto sindonico. Nell’artecontemporanea il volto in pittura è figu-ra in se stessa autonoma, sciolta da giu-stificazioni del prima e del dopo. Il suoriferimento al ‘modello’ è traccia peruna ri-creatio o de-creatio del soggetto. La pittura si flette come “materia tra-scendentale” che fa risuonare l’astanzadell’immagine di tutti i possibili e dinessuno, dove il volto è soggetto di sestesso e del suo niente. Così le “Icone”di Salvatore Vitagliano, esposte nel2010 in una memorabile mostra al

Museo Madre di Napoli, sono le varia-zioni dei volti la cui origine è il ‘voltoassente’. È la pittura che rivela lo spaziodel volto; è la pittura che trasfigural’opacità del volto in luce in cui diviene‘realtà’ l’apparizione. Come nelle iconedi Andrej Rublëv, in cui passa la sogliache separa legando (la religio) l’umano eil divino, riflesso dell’Assente presente.Nella materia sensibile dell’opera il pen-siero segna il suo spazio rotante, tral’immagine e la sua dissoluzione il pitto-re cerca l’ombra dell’incancellabile. Francis Bacon ne dà immagine cruciale.Ovvero, ciò che è l’indifferenziato cheinquieta ogni differenza, che può soloriflettersi nello stesso, non infigurarsichè diverrebbe esso stesso il medesimo.L’opera concettuale di Giulio Paolini“Giovane che guarda Lorenzo Lotto” èexempla dello sguardo che crea lo sguar-do. Nello sguardo veduto si riflette losguardo che vede. Il volto dipinto èspecchio dello sguardo che lo guarda?

A lato:ALBRECHT DÜRER,

Autoritratto, 1500

SALVATORE VITAGLIANO,Ilios, 1985

ANDREJ RUBLËV, Cristo il Redentore, 1409

FRANCIS BACON, Tre studi per il ritratto di

Lucian Freud, 1964

Lo sguardo brucianell’oltrepassare ilvolto che lo con-tiene, desiderio ecommozione peril corpus mundi.

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In questa pagina,dall’alto:FRANCIS BACON, Portrait de Michel Leiris,1990

SALVATORE VITAGLIANO, Senza titolo, 1991

SACRA SINDONE

GIULIO PAOLINI, Giovane che guardaLorenzo Lotto, 1967

O esso dis-pone già in sé lo sguardodello ‘spectator’? Di ogni sguardo la pittura inaugura lavisione che brucia nella sua stessa sor-gente. Ciò che viene ritratto è lo sguar-do stesso della pittura. Che vede se stes-so, la sua singolarità, nell’alterità molte-plice dei volti possibili. E nella infinitàdei volti si specchia il Volto Divino:“tutti i volti sono il Suo volto; perciòEgli non ne ha nessuno”, scrisseEdmond Jabès. Ma nella Sindone è la memoria sacradel volto che ‘si espone’, fuori dellafigurazione pittorica, come ‘corpo del-l’immagine’ che si è rivelato nel trasuda-re della carne. L’impronta sindonica è lapiù ‘vera immagine’ del volto di Gesùperché è l’incredibile essere presenza delCorpus Christi, non sua rappresenta-zione né semplice memoria. Signumincomprensibile del sacrificio umano diDio. Volto del Mistero. s Nello sguardo

veduto si riflettelo sguardo chevede.

E nella infinità dei volti si specchia ilVolto Divino: “tutti i volti sono ilSuo volto; perciò Egli non ne ha nes-suno”, scrisse Edmond Jabès.

È la pittura cherivela lo spaziodel volto…

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di DON SALVATORE PURCARO *

EpimeleiaL’esigenza del “prendersi cura” nella riflessione filosofica e teologica

Epiméleia è un vocabolo grecoderivato da verbo “epimeleo”:prendersi cura. La nozione del

prendersi cura assume nella compren-sione filosofica e teologica diverse inter-pretazioni. In particolare due accezionisemantiche permettono di coglierealcuni aspetti utili alla riflessione speci-fica sul tema. La prima è suggerita dalretroterra filosofico e la seconda dallanuova comprensione maturata all’inter-no della comunità cristiana alla luce delVangelo.

L’accezione filosofica. Nella storiografia filosofica la nozionedi epiméleia, la cura, ha avuto un caricosemantico notevole. La epiméleia tespsyches, la cura dell'anima, è il messag-gio platonico-neoplatonico fondamen-tale, trasmesso in eredità dal pensierogreco a quello europeo. L’esigenza della cura di sé (epimeleiaeautou) ha attraversato tutta la culturagreca fino all’epoca romana compresa. Tuttavia, tale nozione non aveva unaconnotazione esclusivamente medica,sebbene potesse comprendere praticheche oggi riguarderebbero l’ambito dellescienze sanitarie.Da un studio del filosofo MichelFoucault (“L’ermeneutica del soggetto” -ed. Feltrinelli) appare che nella riflessio-ne socratica il precetto delphico “gnotiseauton” (conosci te stesso) sia subordi-nato alla cura di sé. Il concetto di epi-meleia eautoù, dunque, era strettamen-te connesso con quello di gnosis eautou(conoscenza di sé). Era cioè un invito alpensiero, alla riflessione, all’indagine dise stessi. Conosci te stesso (gnothi seau-ton) è, in altri termini, la conseguenza

pratica del prendersi cura di sé stessi: èil momento culminante di tale cura. Tale nozione, sebbene presente nel pen-siero di Socrate - soprattuttonell’Alcibiade Maggiore di Platone - lasi ritrova non meno in epoche prece-denti. Ad esempio in Eraclito. La cura si è praticata anche da tutti igrandi filosofi di epoca romana: Seneca,Epitteto, Marco Aurelio. Nel corso dellastoria, tuttavia, la nozione si è ampliataed i suoi significati si sono moltiplicatie modificati.

L’accezione cristiana. Nella riflessione cristiana, ad esempio,l’epiméleia assume un carattere seman-tico che ne sottolinea un apparentedecentramento dal soggetto, nell’inten-to di richiamare l’esigenza evangelicadella cura dell’altro. Il messaggio diGesù indica, piuttosto, la pista del-l'uscire da sé per prendersi cura dell'al-tro. Tale aspetto è anche il recupero del-l'ortoprassi giudaica, sempre attenta allacura del povero, della vedova e dell'orfa-no. É l’esigenza etica del “farsi prossi-mo” dell’altro. Non a caso il termineappare poche volte nel NuovoTestamento, forse perché - come si èvisto - ritenuto dagli autori sacri ecces-sivamente caricato di una dimensioneantropocentrica. La sua collocazionenella redazione greca del Vangelo diLuca, proprio nel famoso racconto del«buon Samaritano», permette di com-prendere in maniera singolare la rinno-vata semantica cristiana del verbo e delconcetto allegato. Il Samaritano si avvi-cinò al malcapitato, ormai senza soldi esenza salute, cerca di lenire le sue ferite,lo porta in una locanda «ed ebbe cura di

* Tratto dal sito internetdella Caritas Diocesana

di Nola

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21settemiglia | Ott - Nov 2013

lui». L’indomani passò la mano ad unaltro: «tirò fuori due monete, le diedeall’albergatore e gli disse: “Abbi cura dilui” e ciò che spenderai in più lo paghe-rò al mio ritorno» (10, 34-35). Si osservi inoltre che nelle Lettere paoli-ne e negli Atti degli Apostoli ricorrealtre due volte per sottolinearne ancorala valenza di attenzione all’altro. In 1Tm3,5 nel senso di avere cura della Chiesadi Dio e in At 27,3 per affermare chePaolo riceve cure dagli amici. Nel vangelo di Luca, infine, oltre checome verbo è presente anche comeavverbio «epimelôs» quando la donnacerca con cura la dracma perduta (Lc15,8).

Uno sguardo filosofico-teologico. Il messaggio semantico dell’epimeleia,tenendo presente il retroterra filosofico

ellenistico e la successiva comprensionecristiana, può essere sintetizzato nellaconsapevolezza che la propria identitàpersonale (cura di sé) non si definisce inuna solitaria formazione autocentrata,ma l’accoglienza dell’altro, del quale“mi faccio prossimo” (Cfr. “Buon sama-ritano”) mi definisce come personafacendo emergere, proprio in una dina-mica relazionale, la personale e comuni-taria bontà morale.

In definitiva, “avere compassione” nonbasta, bisogna farsi carico, “curarsi”delle sofferenze dell’altro: prendersicura di un altro per “curare” se stessi. Rispondere all’appello dell’altro - che èla mia “dracma preziosa” (cfr. Lc 15,8) -significa sollevare l’altro (epibibázo) eportarlo sulle nostre spalle. s

Epimèleia è questa la bella espres-sione che scelse il nostro vulcani-co parroco don Peppino per il

nome da dare all’ambulatorio medicodella Caritas parrocchiale.

Abbiamo visto nell’intervento prece-dente la sua origine e significato.

Prendersi cura, dunque, come sollecitu-dine, attenzione, occupazione, dedizio-ne. Questo è lo spirito del nostro ambu-latorio.

La realizzazione dell’idea fu affidataall’efficientissimo collaboratore parroc-chiale Ciro Aquino che, in pochissimotempo individuò la sede nella vecchiacanonica, riadattando i locali a piccoloambulatorio di accoglienza medica perle persone meno abbienti bisognose dicure e di essere guidate in un percorsomedico-sociale.

Il compito dell’ambulatorio non è solo

Centro medicoEpimeleiaL’esigenza del prendersi cura...

di SALVATORE MATRONE

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settemiglia | Ott - Nov 201322

esclusivamente tecnico ma, di indirizzo,attenzione, risoluzione dei problemiche, per una parte di nostri concittadi-ni, soprattutto extracomunitari, posso-no essere di difficile risoluzione permancanza di soldi ed informazioni.

La parte tecnica è svolta da giovanimedici pensionati: il dott. AccardiGennaro e il dott. Matrone Salvatore acui si è aggiunta, aderendo al progetto,la giovanissima dott.ssa Serena Cavallaro.Ma nulla avrebbero potuto fare senza lafattiva collaborazione dei volontari dellaCroce Rossa di Scafati, che con assidui-tà ed abnegazione sono diventati pre-ziosi collaboratori fungendo da infer-mieri, amministrativi, ma soprattuttodiventando la voce sul territorio, diffon-dendo e pubblicizzando gli scopi dellainiziativa.

Un grazie particolare meritano i medicispecialisti che in modo assolutamentegratuito hanno accettato di collaborarevisitando e consigliando i pazienti biso-gnosi della loro competenza: la farmaciadel dott. Cristinziano e il laboratorioSan Pietro del dott. De Felice che congrande generosità hanno aderito al pro-getto.Dopo un primo periodo di scarsa

affluenza, forse per una naturale diffi-denza e ritrosia da parte degli extraco-munitari, adesso l’ambulatorio inizia adessere frequentato da tante personebisognose e, con nostra grande soddi-sfazione, arrivano anche tanti risultatipositivi della nostra epimèleia.

Ricordiamo che l’ambulatorio è situatonella canonica della chiesa piccola diSan Francesco di Paola in Scafati ed isuoi orari di apertura sono il Martedì eil Venerdì dalle ore 17.00 alle ore 18.00

“Ed ebbe cura di lui”

Lc 10, 35

di SALVATORE MATRONE

s

Il Centro Medico “EPIMELEIA” è com-pletamente gratuito per gli indigenti e pergli immigrati: medici professionisti, spe-cializzati in diversi ambiti, mettono adisposizione alcune ore del loro tempo pervisitare i pazienti che si sono prenotatipresso il nostro Centro.Il paziente accede al Servizio munito diun biglietto di accompagnamento rilascia-to dai Centri d'Ascolto Diocesani eParrocchiali o dal proprio parroco cheattesti l’effettiva condizione di necessità. Il centro provvede al primo ascolto e a pre-notare i relativi appuntamenti presso imedici specialisti o le strutture competenti.

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23settemiglia | Ott - Nov 2013

In Corea, dopo 25 annidall’oro olimpico di Seul,arriva l’ottavo titolomondiale in casaAbbagnale.

Il loro cognome è sinonimo di leg-genda. È conosciuto in tutto ilmondo ed associato alla dura disci-

plina sportiva del canottaggio. E seanche tra gli extraterrestri esistesse talesport, pure lì “Abbagnale” sarebbe rico-nosciuto alla stessa stregua del mito. Sudore, sacrificio e lavoro duro messi alservizio del remo. Successi “puliti” con-seguiti in numero ineguagliabile. Medaglie che hanno abbracciato duegenerazioni e che adesso, con l’arrivo diVincenzo sul tetto del mondo (oro nel“due con” ai mondiali di canottaggio inCorea, dopo 25 anni dalla medagliad’oro olimpica dei fratelloni diCastellammare) potrebbe appassionarneuna terza e, perché no, anche una quarta.

Il piccolo Vincenzo, nato a Scafati nelmarzo del 1993, non era ancora venutoal mondo quando suo padre Giuseppe(attualmente presidente della federazio-ne italiana canottaggio) e suo zioCarmine, insieme al timonierePeppiniello Di Capua, avevano messoall’attivo già due ori olimpici (LosAngeles nel 1984 e Seul nel 1988) esette titoli mondiali, lasciando ognivolta afono il noto “bisteccone”Galeazzi al termine delle sue appassio-nanti telecronache. Ancora non cono-

sceva ciò che la dinastia degli Abbagnalee la scuola della CN Stabia rappresen-tassero nel canottaggio. È cresciutoall’ombra di trofei, ricordi e racconti. Ed in molti sarebbero usciti schiacciatidal peso di tanta fortuna sportiva. Lui,invece, no. Ha deciso di intraprenderela stessa strada del padre per cercare diridare al canottaggio quel volto che gliappartiene di diritto: quello diCastellammare, Pompei e della famigliaAbbagnale.

“La vittoria in Corea – ha dichiaratoVincenzo – mi ha emozionato in unmodo indescrivibile. E l’emozione dimio padre mi ha fatto venire i brividi. Ilsuo abbraccio, i suoi occhi lucidi, hannoper me avuto la valenza di un passaggiodi consegne. Dopo 25 anni sono salitosul tetto del mondo con la stessa imbar-cazione con la quale mio padre e miozio avevano raggiunto il top, l’oro olim-pico”. Quel top che Vincenzo cercheràdi raggiungere all’appuntamento di Riode Janeiro (5-21 agosto 2016).

di FRANCESCO QUAGLIOZZI

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Abbagnale, sinonimo di leggendaDopo i sette titoli mondiali di papà Giuseppe e zio Carmine,anche Vincenzo è salito sul tetto del mondo con il “2 con”

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24 settemiglia | Ott - Nov 2013

Un volto nascostotra due mani per trattenere la vergognaUn gomitolo di carne racchiuso nel suo guscioSingulti di dolore soffocati nel buioCiò che resta di una donna distrutta dalla violenza

Miserabile l’uomoche ha reso quel visomaschera informeVerme non uomochi ha straziato un corpodi donnaTopo intriso di melma fognariachi ne ha umiliato la dignitàNon c’è posto nemmeno all’infernoper chi ha stupratobastonato sfregiato svilito …

Solo la Pietà infinita di Dio potràun giorno forseaccogliere chi non ha accoltoIo qui pudicamenteinvece stendo le mie bracciaapro le mie mani emendico il perdonoimmeritato perdonoper ogni sorrisospento s’un volto di donna. s

Potrai perdonarmi?

di VINCENZO FIORENZA

Carissimi lettori, questospazio è dedicato ai

vostri scritti.Non preoccupatevi senon li vedrete subitoinseriti perchè li con-serveremo e, statenecerti, li faremo uscire

appena possibile.La redazione,

comunque, li leggeràsempre e ne farà tesoro

conservandoli nel proprio archivio.

Attenti però, se gli interventi sarannoanonimi non verrannopubblicati. Grazie della

vostra attenzione e ...preziosa

collaborazione.la redazione

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25settemiglia | Ott - Nov 2013

L'11 Ottobre 2011, papaBenedetto XVI, con una letteraapostolica ha proclamato l'anno

della "fede" che si concluderà nel mesedi Novembre 2013. Nel tempo che hapreceduto la fine del suo Pontificato, ilpapa, più volte, ha affermato che lamancanza di fede, di valori e di princi-pi, sono la causa della crisi della Chiesae, pertanto, ogni riforma sarà inefficacein quanto essa è come una fiamma chesi spegne se non ha più nutrimento.Parole che, professate da un papa,infondono sensi di sfiducia nella religio-ne, in particolare per un credente ani-mato da tanta fede. Ecco però che uncardinale argentino, Jorge MarioBergoglio viene eletto papa, si da ilnome di "Francesco" e, in uno dei suoiprimi discorsi, dice: "Non cediamo alpessimismo. Non passiamo a quella ama-rezza che il diavolo ci porge ogni giorno,pensiamo alla certezza di Cristo". In pocotempo, o quasi, tutto viene ridimensio-nato; anche i più dubbiosi cercano diriacquistare fiducia non solo nella chie-sa, ma principalmente nella fede.

Il cammino di papa Francesco è iniziatoe anche se la sua è una missione sicura-mente difficile, la semplicità e il mododi proporsi faranno si da favorirgli ogniiniziativa. Una missione sicuramenteardua, ma non impossibile, per una per-sona con grandi sentimenti. Papa Francesco è un pastore che si mettealla guida del suo gregge, che si imme-desima nei problemi di tutti, soprattut-to dei più deboli perché sono questi chehanno bisogno di parole di conforto edella la vicinanza di un papa che parlacome loro e soprattutto che capisce i

loro disagi. Papa Francesco ha una mis-sione da compiere purtroppo molto dif-ficile. Prima d'ogni cosa servirannoriforme e allontanare l'ombra degliscandali, ma la cosa più importante èquella di far ritornare le persone a crede-re. Anche se dal centro nazionale ricer-che sociali di Parigi si afferma: "Siamoalla deriva delle religioni, ilCristianesimo è accettato come un'ere-dità senza un testamento". Bisogna far capire e radicare nelle mentidei giovani il senso più profondo dellafede e l'importanza delle religione, per-ché sono proprio i giovani che oggidisertano la chiesa e fanno fatica ad asse-gnare a qualunque sistema di norme unprimato definitivo.Di fedeli che decidono dove e quandopraticare il proprio culto, evidenziandoscetticismo di fronte ai simboli, ai riti edai sacramenti che la chiesa propone, neabbiamo in grande quantità; questodimostra che non esistono più senti-menti di passioni, orgoglio e fede; manon vuoi dire che il Cristianesimo stiascomparendo, forse sta solo subendouna trasformazione come è già successonegli anni passati. L'importante è cherestino i Cristiani puri, quelli che fre-quentano le chiese e leggono i Vangeli.Il senso della chiesa è quello di stareinsieme, come assemblea. Ma comeconciliare la fede del singolo con la fra-tellanza? Con una fedeltà alla chiesa edun amore assoluto per il prossimo. Forsela soluzione è quella di predicare comefacevano gli apostoli e San Francesco.Un gesuita Argentino divenuto papa,che ama la gente e sa chiedere per favo-re, a lui questa missione difficile.

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di CAV ANGELO MARTONE

Papa FrancescoUna missione difficile

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settemiglia | Ott - Nov 201326

di PASQUALE VIOLANTE

Assemblea diocesana presso ilsantuario della Madonnadell’Arco in Sant’Anastasia26 settembre 2013

Quest’anno la consueta assembleadiocesana non ha visto la pre-senza di relatori, ma il vescovo

in prima persona ha voluto parlarcidella sua esperienza di fede: “La chiesanon è un’organizzazione per fini religio-si ed umanitari, ma un corpo che tutti ciunisce. La chiesa è una realtà vivente,animata dallo Spirito Santo. Cristo è ilfondamento della chiesa. Questa seranon farò una relazione, né una confe-renza, ma vorrei invece condividere convoi la mia esperienza spirituale. Abbiamo bisogno di condividere lanostra esperienza spirituale. Il popolo diDio ha bisogno di ascoltare la fede delsuo pastore, perché essa forma la comu-nità cristiana. Voglio raccontarvi la miaesperienza di chiesa, non la mia visionedi chiesa. La mia esperienza con i suoilimiti e povertà, come io sento e vivo lachiesa. Le esperienze spirituali vannomesse insieme per arricchirsi. Da solomi sfuggono tanti aspetti. La chiesa èdentro di me non fuori di me. Per parlare della chiesa si deve essereinnamorato e amante della chiesa. Solol’amante può lottare e soffrire per lachiesa. Solo chi la ama può accettare lasofferenza che viene anche dalla chiesa. Nel 1970 Karl Rahner diceva che ogginon ci sono più le eresie, ma la perditadella coscienza ecclesiale. È sparital’esperienza trinitaria e cristologica e ciòha portato alla perdita della coscienzaecclesiale. La chiesa è diventata come unarcipelago di individui isolati, una

coreografia religiosa. Ma la chiesa è unsoggetto umano dove si è donata unapresenza, è il tabernacolo della Trinità. La Trinità è la forza e il respiro dellachiesa. Senza la Trinità, la chiesa è soloun fenomeno umano. La chiesa è il noistorico della Trinità. Dobbiamo passaredalla divisione all’unità, dall’esclusioneall’ospitalità. La chiesa è il corpo reale diCristo. Nessun membro della chiesa èsecondario o inutile. Tutti hanno la stes-

La chiesa diventila più grande

benedizione per ilnostro territorio!

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sa dignità. Nessuno può fare a menodegli altri. La chiesa è la luna e Cristo èil sole, perché la chiesa non splende diluce propria ma di quella di Cristo.Il cuore ed il centro della chiesa èl’Eucarestia. L’Eucarestia è il pane chevuole unire tutti gli uomini. L’Eucarestia è Dio in azione che portaavanti il suo progetto. La chiesa ha biso-gno di una Pentecoste continua. Uomini capaci di sognare: è ciò che civuole nella chiesa. Aprire vie diverse,vivere nuovi giorni di primavera. Nellachiesa si riceve lo Spirito, ma non alivello individuale. È nella partecipazio-ne alla chiesa che si riceve lo Spirito. Èin mezzo a voi che io respiro la Trinità,non da solo. Ma quali sono gli stiliecclesiali? Nella chiesa si vive di raccon-to e di esperienze. Non ci sono solitudi-ni, assoluti. Ognuno comunica la suavita agli altri, come nelle tre personedella Trinità. È importante lo stile del-l’armonia delle relazioni, della coralità. La chiesa è una realtà sinfonica: tutte levoci devono integrarsi per cantareun’unica sinfonia. Il capocoro è il vesco-vo che mette insieme le tonalità per evi-tare stonature. Nella chiesa uno deveessere nell’altro per fare comunione. Lo stile ecclesiale deve avere quattrocaratteristiche:1. Unità;2. Reciprocità;3. Complementarietà;4. Appartenenza.Solo se ci apparteniamo può essercil’unità. La chiesa non è una comunità dinavigatori solitari, ma ognuno è relativoall’altro. Insieme, insieme! Da soli nonsi è nessuno! La chiesa è popolo di Dioin cammino. La storia è un luogo teolo-gico tramite cui Dio ci parla. Gesù ci faessere più uomini. Il Vangelo ci serveper oggi, non per domani, per vivereuna vita bella e beata già qui su questaterra. Dio ci ha fatto tre doni: il ministe-ro ordinato, il laicato e la vita consacra-ta. Il ministero ordinato perché non si

dimentichi l’evento avvenuto nel passa-to, il laicato perché l’evento entri nelpresente, la vita consacrata per ricordareche c’è un futuro che ci aspetta, la vitaeterna.Con quale stile la chiesa deve vivere?Leggete il numero 8 della Lumen gen-tium. La chiesa deve avere lo stesso stiledi Gesù, cioè l’umiltà, la povertà e lamitezza. La chiesa deve avere lo stiledella simpatia per l’uomo e per ilmondo. Dio ha mandato il Figlio nonper condannare il mondo, ma per sal-varlo. Lo stile della speranza. Cristianidov’è la vostra speranza? È la speranzache ci rende cristiani. Al n. 31 dellaGaudium et Spes si afferma che il mondodi domani si salverà se saremo generato-ri di speranza. La chiesa esiste per glialtri. Il proprio del cristiano è esistereper gli altri. L’indignazione è un atteg-giamento positivo e propositivo. L’indignazione è dire no a situazioniinaccettabili ed impegnarsi in primapersona perché cambi la storia.Il compito della chiesa è:1. Irradiare fiducia e gioia;2. Riconoscere i segni dei tempi edimpegnarsi per il servizio del Vangelo;3. Testimoniare la verità, la libertà, lagiustizia, la pace perché gli uomini siaprano ad un mondo nuovo.

La chiesa diventi la più grande benedi-zione per il nostro territorio”.* s

*sintesi tratta dal discorso di padre Beniamino all’assemblea diocesana del 26 settembre

La chiesa è unarealtà sinfonica:tutte le vocidevono integrarsiper cantare un’unica sinfonia.

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