seminario nazionale formazione sindacale - cgil · inclusiva in un contesto aziendale di grandi...
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ATTI
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GIANCARLO PELUCCHIResponsabile nazionale Formazione sindacale
Sono passati 11 mesi dal nostro primo seminario nazionale. Serve un primo bilancio e un progetto
per il futuro. In questo periodo abbiamo fatto molto lavoro, anche di qualità ma non siamo riusciti
a farlo conoscere e a valorizzarlo: non c'è stata sufficiente socializzazione. Dobbiamo continuare
l'opera del censimento per far emergere e valorizzare le tante scuole ed esperienze, rafforzando
l'esperienza con Radio Articolo1 e Rassegna. La Cgil continua a fare tanta formazione. Il lavoro per
fare emergere le diverse esperienze consegna una realtà ricca e articolata: più del previsto. Ma non
ancora un sistema.
Anche se alcuni passi sono incoraggianti: ad esempio lo sforzo di Moulay El Akkioui assieme alla
FdV per diffondere nelle nostre strutture la conoscenza e l'abitudine ad utilizzare le risorse dello
0,30 versate a Foncoop, costituisce un successo su cui ci sentiamo di insistere. La mappa
rappresenta la ricchezza e le diversità delle formazioni della Cgil, che non vogliamo ridurre o
annullare, ma mettere in relazione: in circolo.
Quale formazione?
La Cgil sta facendo tanta formazione. Questa formazione non avviene in una situazione ordinaria,
tranquilla: le crisi, sovrapposte, di questi anni, hanno cambiato in modo sensibile la base
produttiva, l'occupazione, le abitudini, le coscienze in Italia e in Europa. Emergono potenti le voci
del populismo, della paura per gli immigrati, per le libertà delle donne, ma anche le voci e le nuove
forze che resistono e tentano di immaginare, e quindi costruire, un futuro diverso, migliore.
Continuano gli attacchi al sindacato, ai lavoratori e alle lavoratrici e sono aumentate le forme e
l'estensione della precarietà. Gli attacchi delle imprese, non solo multinazionali, ai diritti, alle leggi,
al potere del sindacato hanno prodotto un sensibile arretramento delle legislazioni nazionali ed
europee. La somma delle politiche recessive, della riduzione della progressività fiscale, la riduzione
del livello di copertura delle politiche sociali hanno aumentato le ingiustizie e arricchito la parte
(già) più ricca e potente delle nostre società. Per questo la strategia del movimento sindacale in
Europa e nel mondo, punta ad aggredire queste scelte e cambiare politiche sociali e fiscali, definire
precise priorità di investimenti e chiede di riscrivere le Carte dei diritti: per estenderli e aggiornarli.
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La Cgil ha puntato molto della sua strategia di cambiamento alla lotta alla precarietà e alla
riscrittura dei diritti: universali appunto, attraverso la raccolta delle firme sulla Carta e sui tre
referendum che riguardano i voucher, gli appalti, i licenziamenti ingiusti.
Nelle prossime settimane, dopo la sentenza della Corte sulla loro ammissibilità, partirà la nostra
campagna referendaria. E' la prima volta che la Cgil affronta una campagna di questa natura e
stiamo preparando il percorso formativo, la definizione degli strumenti per una campagna di massa
da condurre nei luoghi di lavoro e nei territori, con un approccio capace di recuperare la carica di
passione e militanza con i nuovi strumenti di gestione delle campagne referendarie in accordo con
Anteprima, Techne', Istituto Piepoli che cureranno i contenuti della formazione motivazionale e
della comunicazione. Su questo punto sarà più preciso Nino Baseotto nelle conclusioni.
Quella della Carta dei diritti universali e dei referendum è la nostra priorità. Nei prossimi mesi
abbiamo la concreta possibilità di sfidare sul nostro terreno e sui temi a noi più cari l'ostinata
attenzione filoaziendale del Governo Renzi e di costruire alleanze e percorsi comuni per riportare al
centro dell'attenzione pubblica il valore del lavoro.
La Cgil propone un'idea di fuoriuscita dalla crisi attraverso una nuova politica economica, un Piano
straordinario per l'occupazione giovanile e femminile: uno sviluppo compatibile e un ruolo positivo
delle parti sociali. Una stagione di rinnovamento del sindacato unitario, con le regole finalmente
condivise della rappresentanza e della democrazia sindacale e una strategia di contrattazione
inclusiva in un contesto aziendale di grandi innovazioni nei modelli organizzativi e nelle reti di
creazione del valore su cui abbiamo iniziato un prezioso lavoro per uscire dalla spirale crisi
aziendale/contrattazione difensiva o risarcitoria che ci presenterà Alessio Gramolati, e in un
contesto territoriale di grandi sfide sociali e di cambiamenti, come rilevato nella preziosa attività di
formazione sulla contrattazione sociale territoriale da parte dello Spi, in accordo con la Cgil.
Facciamo tanta formazione ma non dappertutto.
Occorre investire per estendere le esperienze anche a quei territori fino ad oggi toccati
marginalmente, costituendo i coordinamenti e le infrastrutture formative, a partire dalla
formazione dei formatori, che permettano a tutte le realtà della nostra organizzazione di far
diventare la formazione un'attività ordinaria. Non abbiamo un modello unico da imporre ma
piuttosto un metodo e un percorso che parte dalla concreta gestione della formazione come
strumento di cambiamento e crescita.
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Mettere al centro i territori, valorizzare le esperienze esistenti, ragionare sulle integrazioni e
scommettere sulla formazione come uno degli strumenti del cambiamento.
Il Progetto dell'Operatore Polifunzionale parte da questa intuizione: ne abbiamo già parlato. Non
faremo un corso nazionale ma articoleremo sul territorio tavoli regionali di coordinamento dei
progetti formativi e percorsi che tengano conto della concreta articolazione dei servizi nei singoli
territori, dei differenti livelli di sperimentazione di forme di integrazione dei servizi, delle
competenze e dei percorsi individuali delle persone individuate come operatori da formare. In una
logica di cambiamento organizzativo, di presa in carico delle persone che vengono nelle nostre sedi
con domande sempre più articolate e difficili, di tesseramento. Con Simona Marchi della FdV
stiamo organizzando il giro nei territori e successivamente contiamo di riconvocare il tavolo
nazionale con INCA, Caf, SOL UVL per dare avvio alla fase operativa della formazione nei territori.
Quanta formazione e a chi?
Alla Conferenza d’Organizzazione abbiamo definito il valore della formazione come diritto/dovere
per delegati, funzionari, dirigenti di dedicare tempo, spazio e risorse alla formazione. Una sfida
enorme dal punto di vista organizzativo e politico. Abbiamo proposto la necessità di un metodo
condiviso che parta dalla necessità di ricostruire il ciclo della formazione: analisi del fabbisogno,
definizione delle priorità, selezione delle platee, pianificazione e gestione dei corsi, certificazione e
valorizzazione. E il monitoraggio, la condivisione, i progetti comuni.
La scelta di non centralizzare e di promuovere la proliferazione di esperienze ha già dato dei
risultati importanti. Esemplare il caso della Campania dove, dopo il commissariamento, abbiamo
costruito un percorso formativo per giovani dirigenti campani con la partecipazione solidale di un
nutrito gruppo di formatori senior di diverse strutture territoriali e di categoria della Cgil: Liguria,
Lombardia, Roma e Lazio, Metes, Modena, SPI (nazionale e del Veneto), Emilia Romagna, Archivio
Storico, AAMOD hanno partecipato direttamente, altre strutture hanno partecipato alla fase di
coprogettazione e li ringraziamo tutti. È stata un'esperienza interessante che ci ha permesso di
sperimentare una delle ipotesi di lavoro comune prospettato nel seminario dell'anno scorso e ci ha
permesso di aiutare il processo di costituzione del Coordinamento formazione della Campania.
Aggregando le formatrici e i formatori delle categorie e territori campani e assistendo il percorso di
consolidamento e crescita del gruppo che oggi è stato riconosciuto ufficialmente come
coordinamento e sta lavorando per prendere in mano e rilanciare la formazione in quella regione.
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La diffusione dei Coordinamenti e la definizione di Piani formativi delle nostre strutture, la
promozione di progetti e di pratiche di collaborazione e interscambio restano per noi la strada
maestra. Molti interventi racconteranno questi lavori in corso.
Interconnessione: Connettere due o più fatti, eventi, fenomeni; collegamento tra linee e reti
diverse di produzione e distribuzione che rende possibile l’interazione e anche lo scambio di energia
tra questi.
Questa definizione della Treccani, suggerita da Alessandra De Rugeriis, da un'idea di quello che
stiamo facendo. La mappa suggerisce l'idea che i mezzi sono diversi e permettono di fare percorsi
differenti e articolati. Suggerisce l'idea che questa diversità è una ricchezza. Ci impone di fare la
manutenzione indispensabile al mantenimento della rete e di fare gli investimenti necessari ad
aumentare le linee e le scuole: estendere e qualificare il sistema.
Abbiamo anche avviato, in collaborazione con alcune strutture, alcuni progetti sperimentali: FAD
(Carta dei Diritti Universali, SILP, UVL, Economia Politica), Alternanza scuola lavoro che si è rivelato
un’intuizione felice, un caso di successo organizzativo che ci ha dato molte soddisfazioni; la
formazione per migranti e rifugiati (in paticolare NIDiL e FLAI), la formazione di genere, quella sul
tesseramento e sulle isorse. Su tutti questi progetti ci saranno relazioni specifiche, come avete visto
nel programma. Abbiamo anche sviluppato le relazioni con l'ETUI e con Cisl e Uil con cui abbiamo
iniziato a ragionare in termini di collaborazione su alcuni progetti, non solo europei. Anche su
questo ci saranno relazioni specifiche.
Credo non vi sia sfuggito che gli interventi conclusivi si concentreranno sull'Europa, con Monica
Ceremigna, Fabio Ghelfi e per ultimo l'intervento di Ilaria Costantini dell'ETUI che ringraziamo e
che sostituisce Ulisses Garrido, in luna di miele a Cuba. Ringraziamo Silvana Roseto, della
Segreteria della Uil, con cui stiamo costruendo il percorso unitario. Gli amici della Cisl non sono
oggi presenti perché impegnati ma sono partecipi del nostro tentativo...
Verso il Coordinamento
La Cgil fa tanta formazione in più. L'anno trascorso ha visto aumentare la quantità dei progetti e dei
corsi, ma dobbiamo essere esigenti, innanzitutto con noi stessi, e insistere nel lavoro per costruire
il Coordinamento, dando piena attuazione alle delibere del nostro Congresso e definire il Piano
Nazionale della formazione.
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La proposta che avanziamo è di costituire il Coordinamento con i responsabili della formazione di
ogni regione, di alcune aree metropolitane, delle categorie, dei servizi, della Fondazione di Vittorio;
di sottoporlo al giudizio e al voto alla prima riunione utile del Direttivo della Cgil. Le strutture che
stanno costituendo i Coordinamenti e definendo le responsabilità in queste settimane potranno
comunque integrare il nostro Coordinamento in corso d'opera.
Il Coordinamento avrà il compito di selezionare tempi, modi, risorse per articolare il Piano
Formativo da sottoporre poi al Direttivo della Cgil.
In generale costituirà la sede collettiva delle scelte e degli orientamenti, del processo di
consolidamento e diffusione delle infrastrutture formative nei territori e nelle categorie, del lavoro
di ricostruzione dei rapporti con le Università, i centri di ricerca, i partner.
Sarà anche la sede per definire e implementare i progetti sull'Albo dei formatori e dei tutor, sul
libretto, sulle certificazioni, sul monitoraggio.
Questo Coordinamento probabilmente somiglierà molto, nonostante gli anni trascorsi, a quello
precedente: molte delle persone che ne faranno parte saranno le stesse. I responsabili della
formazione che ho trovato nei territori, nelle categorie, nei servizi, sono persone competenti,
riconosciute, capaci. Molte di loro sono anche il segno di un'eredità preziosa che ci consegnano i
territori e le categorie coinvolti e anche i compagni che mi hanno preceduto nel lavoro di
Coordinamento confederale della Formazione e che mi sento di dover ringraziare. Del resto già lo
scorso dicembre avevamo detto che non partivamo da zero. Ma in questi mesi ho potuto vedervi
da vicino e conoscervi meglio, apprezzare la vostra passione e la vostra competenza.
Anche per questo ci deve essere una particolare attenzione, anche del Centro confederale, perché
queste risorse non vengano disperse: i processi di riorganizzazione in corso ridisegneranno equilibri
e concrete distribuzioni di incarichi. Occorre lavorare per evitare che quel che c'è venga disperso.
Valorizzare il lavoro di quelle compagne e di quei compagni, farli crescere e investire sul futuro
delle infrastrutture formative che ci sono.
Molte compagne e compagni sono invece il frutto di storie recenti e rappresentano il segno di
scelte coraggiose e lungimirant, che danno valore alla formazione.
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Dobbiamo lavorare per estendere queste esperienze dove ancora non ci sono. In queste settimane
stiamo provando a rendere concrete le scelte organizzative e politiche per costituire i
Coordinamenti in tutte le regioni, categorie, sentendo l'urgenza del problema ma ragionando
anche su tempi adeguati, necessariamente di medio termine. Il nostro ruolo è di stimolare processi
non di imporre modelli e scelte precostituite.
IL 2017
L'anno scorso ci siamo lasciati con l'impegno a non convocare più di due volte l'anno questa
riunione a livello nazionale, per non intralciare la vostra attività ordinaria e abbiamo mantenuto
l'impegno. Mi ero ripromesso di venirvi a trovare per conoscere e condividere le vostre esperienze
e frequentare qualche vostro corso: mi è servito. Si apre adesso una fase nuova: il Coordinamento
ci permetterà un lavoro meno episodico e cominceremmo con un incontro di due giorni, di
carattere residenziale e seminariale entro febbraio, su alcuni dei punti già citati, a partire dalla
necessità di presentare un'ipotesi di Piano Formativo al Comitato Direttivo. Useremo anche lo
strumento della videoconferenza per evitare continui spostamenti. E seguiremo con attenzione
l'evoluzione di progetti sperimentali di condivisione del lavoro e della formazione come ad
esempio “Idea Diffusa” di cui ci parlerà sempre Gramolati. Io continuerò a frequentarvi e a lavorare
per estendere la nostra rete nei territori meno coperti: questa per me resta la priorità del centro
confederale. Vogliamo però mantenere un incontro annuale, con una partecipazione più larga, da
preparare con cura, come occasione di crescita e di incontro per tutte le persone che dedicano
tempo e passione all'attività formativa della nostra Cgil.
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SILVANA ROSETOSegretaria confederale Uil
Buongiorno a tutti.
Io ringrazio per questo invito. Ringrazio Giancarlo perché abbiamo incominciato a parlare di
opportunità appunto di condividere parte di questo percorso già un anno fa quando ci siamo visti a
Berlino, in occasione della riunione annuale dell’ETUI (l’istituto appunto di formazione europea).
Anche per me è un po’ un’avventura perché, tra le deleghe appunto che mi sono state date, c’è
proprio quella della formazione sindacale per quindi i quadri della UIL. Ed è un po’ una scommessa
perché in UIL da tanto tempo ormai non si faceva più una formazione a livello centrale ma, così
come avvince da voi, chiaramente le categorie e anche i territori si sono più o meno organizzati e
arrangiati. Però un dato di fatto è quello: che effettivamente la formazione non è costante su tutti i
territori e non è regolare. Quindi è un problema che condividiamo.
Senz’altro vedo che voi siete molto organizzati, senza dubbio molto più di noi. Questo ve lo invidio,
chiaramente, ma si può dire. E con molto piacere ho visto che, sulla linea 5, tra i partner ci siamo
anche noi, insieme alla CISL.
Noi avremo piacere veramente di poter lavorare insieme, laddove sia possibile (e quindi lo
valuteremo in relazione anche a quello che sarà il vostro piano nazionale formazione), per una
formazione che oggi più che mai (ma ormai già da qualche anno) deve essere veramente di qualità,
non perché prima non lo fosse ma credo che oggi gli strumenti da consegnare ai nostri dirigenti, ai
nostri quadri sindacali, ai nostri Rsu debbano essere ancora più specialistici. Quindi concordo con
te sull’esigenza di fare corsi e percorsi di tipo anche giuridico o di politica economica.
Oggi più che mai – consentitemi di dirlo – siamo alle soglie di alcuni probabili cambiamenti, nello
scenario anche globale, che probabilmente poi ci riguarderanno. Sappiamo che ci sono le elezioni
in America, sappiamo che tra un mese invece ci sarà questo voto per il referendum costituzionale
in Italia. Quindi, insomma, possiamo assistere anche a degli scenari in cui chiaramente le persone
dovranno avere appunto quegli strumenti per approcciarsi, e dunque conoscere e sapere come
interpretare anche alcuni cambiamenti che apparentemente sembrano esterni ma che in realtà
influiscono direttamente su quella che sarà anche la nostra attività.
Su quello i nostri quadri e dirigenti sindacali, ma anche – ripeto –rappresentanti Rsu, dovranno
essere in grado di fare nel loro ambito, che sia piccolo o che sia grande.
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Nel secolo scorso i nostri predecessori a volte si improvvisavamo perché bastava l’esperienza,
andare a fare contrattazione con l’esperienza e poi imparavano, immagazzinavano e si formavano
un bagaglio che anche culturalmente riusciva a sopperire. Ora questo non è più possibile. Quindi
bisogna lavorare e lavorare sodo.
Io ti auguro veramente, Giancarlo, di riuscire a ottenere dei bellissimi risultati, innanzitutto con
questo coordinamento che senz’altro sarà la base perché costituito da persone capaci, come siete,
territorialmente molto ben distribuite, quindi ti daranno veramente quelle conoscenze per poter
operare al meglio. E spero che siate in qualche modo anche un riferimento per noi perché c’è
sempre da imparare.
Quindi grazie ancora anche per questo invito e buon lavoro.
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SABRINA SCOGNAMIGLIODipartimento Organizzazione Filctem – delega alla Formazione
La formazione per la FILCTEM banalizziamo a definirla un’attività: è una cultura molto presente
nella nostra categoria che ha lavorato molto su questo aspetto dell’organizzazione.
La FILCTEM, come è noto, nasce dall’unione di tre categorie (quella dell’energia, dei chimici e dei
tessili) che hanno avuto storicamente tutte e tre esperienze formative di rilievo.
Non a caso la formazione attuale della FILCTEM si basa molto sulle esperienze del passato; e,
essendo oggi il sindacato in generale sempre più sottoposto a verifiche complesse sia nei confronti
dei lavoratori che con le controparti, diventa sempre più importante e necessario il lavoro di
aggiornamento e crescita delle competenze all’interno della nostra organizzazione.
La formazione va considerata come un vero e proprio investimento sulla qualità dell’organizzazione
per la crescita e la qualificazione di intervento di quadri e dei delegati. E secondo noi deve essere
inserita a pieno titolo nella politica delle risorse. La nostra categoria lo ha sempre fatto, c’è sempre
una posta molto importante nel nostro bilancio.
Con l’ultima Conferenza di organizzazione abbiamo confermato la centralità del territorio. Quindi,
anche per i processi formativi, i territori sono protagonisti nella nostra programmazione e la
gestione dei corsi di base, dove ogni struttura può meglio organizzare le iniziative in relazione alle
proprie esigenze e dove i delegati di base sono i veri protagonisti.
Quindi nasce da queste premesse la rete (?) di formazione FILCTEM. La FILCTEM strategicamente, e
non più occasionalmente, ha cercato di realizzare, su quasi tutto il territorio nazionale, questa rete
in grado di supportare e motivare tutto il nostro quadro dirigente, Rsu e delegati nello svolgimento
dell’attività sindacale. Infatti abbiamo costituito nel tempo (non è un lavoro di adesso) un gruppo
nazionale di formazione, che possiamo chiamare il nostro coordinamento FILCTEM, per adesso di
circa 25 compagne e compagni in grado di gestire la formazione a livello territoriale. Certo, ancora
ci sono dei buchi presenti rispetto ad alcune realtà ma il nostro obiettivo è quello di completare e
implementare in tempi brevi questa rete. Infatti già nell’ultimo corso per formazione formatori di
ottobre, dove la CGIL con il compagno Pelucchi era presente all’Impruneta, abbiamo inserito
compagne e compagni di territori che finora erano rimasti, per vari motivi, fuori da questo
percorso.
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Da qui l’importanza della formazione nazionale che assume ruolo di coordinamento e supporto
verso i territori realizzando la progettazione e la (gestione?) della formazione dei delegati e dello
stesso gruppo dirigente.
Oggi la formazione FILCTEM nazionale si è organizzata in questo modo. Diciamo che è
un’organizzazione sui generis. Perché? Dopo l’uscita del responsabile della formazione nazionale
FILCTEM, Stefano Vanni (che collabora adesso attivamente con lo SPI del Veneto), abbiamo
individuato quattro filoni tematici formativi che abbiamo affidato a quattro compagne e compagni
che fanno parte del coordinamento nazionale della FILCTEM e che negli anni sono diventati tra i
più rappresentativi e hanno svolto esperienze di qualità e di livello.
Abbiamo il filone con la formazione Rsu e Rls con il nostro compagno Franco Galeotti (premetto:
tutte risorse interne alla categoria); formazione dirigenti sindacali con la compagna Laura Ferrante;
formazione congiunta e finanziata con Giovanni Mazzamati (che è presente oggi qui con me);
tesseramento e proselitismo con il compagno Mario Principe.
Su questo punto volevo fare una brevissima parentesi per dire che, dal 2015, da quando abbiamo
inserito questo modulo sul proselitismo nel nostro progetto nazionale del tesseramento della
categoria appunto, abbiamo timidamente iniziato nel 2015 dieci corsi territoriali e abbiamo portato
197 tessere mentre, nel 2016, nove corsi territoriali a oggi 247 tessere. Certo, sono numeri non
esaltati però, concentrati su quel tipo di attività, per noi è un enorme successo. Infatti parliamo
solo di nove territori. Quindi la nostra rete sta lavorando, sta progettando. Già ha in campo tutta la
rete perché stiamo cercando di dare modo a tutta la rete di essere in grado di fare tutto, almeno
corsi Rsu soprattutto e corsi sul tesseramento.
Poi, certo, anche attraverso l’attenzione della confederazione, che ha partecipato a qualche (aula?),
si sono interessate a noi altre categorie e altre strutture confederali e adesso per esempio la FILT
sarà in grado, tra un pochino, di partire con questo nostro progetto.
Per quanto riguarda l’assetto generale abbiamo detto i quattro filoni. Probabilmente in futuro, nei
prossimi mesi, se ne aggiungerà un quinto perché l’esigenza della categoria è molto presente ed è
la formazione per la salute e sicurezza sul lavoro. Il coordinamento di questa attività è affidata al
dipartimento organizzazione della FILCTEM nazionale.
Quindi, riepilogando, gli aspetti importanti della funzione della formazione nazionale FILCTEM così
organizzata sono:
coinvolgimento diretto e fattivo dei responsabili politici (funzionari e segretari) che, in base ai
fabbisogni del territorio, individuano con i formatori piani formativi annuali partecipando
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direttamente ai corsi formativi con interventi tematici. Questo anche per essere vicini, anche
fisicamente, ai loro delegati e ai corsisti;
supporto verso quelle strutture che non sono ancora organizzate in tal senso;
coordinamento sinergia e collaborazione formativa tra diversi territori;
progettazione e predisposizione dei corsi di base con relativo materiale e documentazione, tutto
garantito da una flessibilità che deve andare incontro alle esigenze di ogni territorio;
poi abbiamo la formazione per formatori, mirata ad allargare il numero dei formatori e per (?) e
aggiornare le competenze dei formatori territoriali e regionali rendendoli sempre più autonomi
nella gestione dei percorsi formativi periferici.
A tal proposito abbiamo suddiviso la nostra rete di formatori in senior e junior, proprio anche in
virtù di questi nuovi inserimenti dell’ultimo periodo. Per ognuno di questi gruppi abbiamo
organizzato, per il periodo 2016-2017, due momenti formativi specifici: uno per i senior, che è
avvenuto il 3 e 4 ottobre scorso all’Impruneta (presente anche il compagno Pelucchi, docente
Stefano Vanni), sui paradossi organizzativi della CGIL e i modelli organizzativi; mentre per i junior a
gennaio partirà il corso, già collaudato al nostro interno, quindi sempre risorse interne, per la
formazione formatori. Probabilmente sarà composto da tre moduli di due giornate e terminerà
verso ottobre del prossimo anno.
A questo proposito ho citato un paio di volte ‘Impruneta’. Volevo infatti aprire una piccola
parentesi per informarvi che, a 20 chilometri di Firenze, c’è questa struttura di proprietà della
FILCTEM, ma, attraverso una nuova gestione esterna puramente commerciale (il sindacato non
c’entra niente, quindi fuori dai perimetri sindacali), ha finalmente ripreso la sua attività alberghiera
e convegnistica dopo un periodo in cui è stata chiusa e inattiva, fornendo spazi e servizi molto
consoni alla nostra attività, specialmente quella formativa. Infatti, come categoria nazionale,
abbiamo da ottobre ricominciato a utilizzare questa struttura e confermiamo che l’ambiente e la
logistica rispondono molto all’esigenza di questi appuntamenti formativi.
Sappiamo che la CGIL Toscana la sta utilizzando e molte strutture che fanno formazione sono
interessate in tal senso. Infatti a giorni sarà mia cura informare il compagno Pelucchi e la CGIL della
convenzione che stiamo attivando con l’hotel Villa Cesi (si chiama così) che la gestisce.
Comunque, riprendendo e concludendo invece sui progetti formativi, tra le cose da provare nella
categoria c’è l’intenzione di sviluppare la formazione a distanza, così come affermato nel
documento nazionale della Conferenza di organizzazione. Questo metodo però non deve essere
(noi siamo convintissimi di questo, ne abbiamo discusso più volte nel nostro coordinamento)
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proposto in sostituzione della formazione in aula, che per noi è molto importante e molto fattiva,
ma come elemento aggiuntivo che può consentire ovviamente di raggiungere a bassi costi molti
dei delegati che oggi, per gli alti costi o per la scarsa disponibilità di agibilità sindacale, non è
possibile raggiungere.
Questo è un po’ il sunto di tutto quello che la FILCTEM ha ripreso da un anno a mettere in campo.
Abbiamo fatto tante cose, ce ne abbiamo tante in programma, in sinergia con la confederazione
che – ripeto – ci ha dedicato tempo e spazio in quest’ultimo anno e abbiamo anche tante cose da
fare e siamo un libro aperto per cercare anche di concertare esperienze collettive.
Grazie.
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VINCENZO VITAPresidente Archivio audiovisivo del Movimento operaio e democratico
Non mi permetto di introdurmi più di tanto in questo percorso affascinante che sto cercando di
capire io, queste modalità di (rette? rete?) che si intersecano nel tempo digitale. È molto evolutivo,
ce n’è bisogno del tema della formazione. Che lo dica io in aggiunta a Pelucchi (che ringrazio molto
per la relazione e per l’invito) può essere semplicemente ridondante. È evidente che il tema della
formazione oggi non è “una delle questioni” bensì è “la questione” perché il capitalismo cognitivo
ci consegna una realtà – come dicono i mediologi – molto più evoluta dal punto di vista dei simboli
comunicativi. Insomma, come si dice nel gergo politichese, l’asticella si è alzata molto in alto. E
oggi, per stare dentro a questo percorso con una soggettività e una coscienza adeguate, bisogna
formarsi e formarsi rigorosamente, studiare gramscianamente ma studiare e fare insieme. E forse
qui la CGIL ha una prerogativa che, senza ovviamente nulla togliere, anzi aggiungendo alle altre
organizzazioni sindacali, può essere un unicum in generale.
L’esperienza sindacale ha questa virtù di aver accompagnato, nella sua storia, il sapere, il saper
fare. E da qui si può e si deve ripartire.
Tra l’altro ricordo dibattiti molto antichi anche in questa stanza, in qualche circostanza (qualcuno di
voi forse rammenterà), proprio con la CGIL sul tema del sistema formativo allargato. Oggi in verità
la formazione avviene attraverso canali molto diversi da quelli che noi abbiamo supposto fossero
gli unici canali quasi in esclusiva, cioè il sistema dei media classici, la formazione scolastica
universitaria, la ricerca, i luoghi dell’apprendimento. In verità oggi la formazione intesa come vento
che corre e che corre sempre più veloce soprattutto tra le generazioni digitali, i Millennials e
quant’altro, avviene attraverso agenzie formative informali ma potentissime di cui noi neanche
abbiamo consapevolezza.
Non sarà un caso (forse detto in questa stanza è persino ovvio) che oggi lo strumento comunicativo
essenziale nelle campagne elettorali (vedi quella degli Stati Uniti ma tutte più o meno ormai) sia
l’utilizzo dei social. Badate bene, l’utilizzo dei social non solo e non tanto (anche, ovviamente)
come tribuna telematica. Qualche volta il ceto politico italiano dà un’immagine di sé piuttosto
antiquata per esempio facendo dei tweet (e io l’ho detto a qualche amico di piantarla) del tipo,
non so: “Oggi sono alla CGIL”. E va bene, chi se ne frega. Va bene, è utile ma non è quello l’utilizzo
potente e prepotente dei social che oggi avviene attraverso (io uso un po’ di ironia ma questo è il
tema della formazione oggi e come confrontarsi con questo tipo di questioni) la lettura, mediante
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gli algoritmi, di cui qualcuno ha le chiavi della conoscenza e non pochi (i grandi over the top, gli
aggregatori dei dati) per capire in anticipo le tendenze culturali, sociali, attitudinali e quindi anche
elettorali. E quindi ‘anche’, non ‘solo’.
Cioè, al di là dei grandi fratelli che ci sono (ma quelli al limite sono talmente prepotenti e duri che
noi possiamo forse un giorno, storicamente, farci dei compromessi positivi), oggi il tema è capire
dove passa la formazione. E mi pare di aver colto, nelle parole della relazione e nello schema, il
tentativo giustissimo di fare un salto, proprio di livello, e cercare di entrare dentro i nuovi percorsi
in cui avviene la formazione andando a competere là dentro. All’algoritmo (Pelucchi è più
moderato di me e mi tirerà le orecchie) del capitale bisogna contrapporre l’algoritmo sociale,
culturalmente diverso, progressivo, costruito attraverso vari soggetti che lo implementano dal
punto di vista cognitivo.
Questo è un tema serissimo che è in Italia e in Europa. Io mi fermo qui perché questo meriterebbe,
chissà, se potessimo… Anche all’archivio abbiamo cominciato con un seminario, nell’aprile del
2015, a fare un tentativo di ragionamento su un coordinamento degli archivi e degli istituti culturali
non solo come luoghi della memoria (e certamente, anche, ci mancherebbe) ma come luoghi attivi
per contribuire a diventare tutti insieme un polo di riferimento di una battaglia nella conoscenza e
per la conoscenza che non fosse solo una acquisizione subalterna di quello che c’è.
Quindi riconoscere (questa parola che è stata usata da Pelucchi mi convince molto) dove sono i
luoghi nuovi della formazione, non tralasciare quelli classici (e vivaddio, altrimenti sembrerei un
cretino, non vorrei dare questa immagine) ma cercare di interagire con questo flusso diverso che
oggi si determina sempre di più e che oggi è il tema dei temi.
Mi avvio a chiudere. Non voglio tediarvi però questo è un punto importante per tutti noi che
abbiamo (io per primo, anche se poi sparlo e parlo di digitale) ancora per età la mente analogica.
Noi non ci rendiamo conto della quantità di dati sensibili che durante una giornata noi
consegniamo a qualche iCloud, che poi se li tiene e non si cancellano. Uno dice: “Ho cancellato”.
“No, non hai cancellato”. Nell’iCloud c’è tutto di noi. Noi consegniamo tutto di quello che facciamo.
Qui c’è un biglietto, un bit. Ecco, quando noi facciamo dalla banale entrata nella metropolitana al
supermercato, alla libreria, per non dire poi gli acquisti on-line, per non dire poi la carta di credito e
per non dire tutto il resto, noi sostanzialmente stiamo costruendo un nostro profilo digitale,
un’identità digitale che noi non sappiamo quale sia. Mentre quella analogica, psicanalisi a parte, un
po’ la conosciamo, vagamente, sappiamo più o meno chi siamo, quella digitale sfugge al nostro
controllo. Cioè, l’immagine che ognuno di noi potrebbe avere dentro le sue giornate in Facebook,
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in Twitter, le sue e-mail, i suoi vari percorsi sensibili, è una cosa che noi non conosciamo ma viene
invece catalogata; attraverso questa identità digitale vengono sviluppate le campagne commerciali,
le nuove forme anche di pubblicità passano di qui, e viene costruito il consenso.
Oggi gli staff delle varie campagne elettorali più evolute badano a capire, attraverso l’utilizzo dei
metadati, dei big data, il consenso molto più sofisticatamente dei sondaggi che spesso ci dicono
solo una parte della verità.
Perché ho detto tutto questo? Non per fare un’improbabile lectio abborracciata ma per dire che il
tema della formazione oggi è il tema dei temi. E tutto il nostro mondo (se posso permettermi di
usare questa terminologia: tutti quanti, al di là delle sensibilità, delle storie eccetera) deve
occuparsi di questo come primo punto dell’agenda e non, come spesso è accaduto nel nostro
storico universo, come un argomento di pochi addetti che fanno dei seminari e quant’altro. No,
questo è il tema dei temi: come si forma oggi, nell’epoca digitale, la cultura diffusa.
Poi gli strumenti sono quelli indicati qui, ce ne possono essere altri però bisogna occuparsene.
Che può fare l’Archivio, di fronte a cotanta problematica? Innanzitutto c’è da dire che l’Archivio ha
una convenzione con la CGIL, che vorremmo rilanciare anche attraverso un’iniziativa (la CGIL ma è
aperto ovviamente alle altre organizzazioni). Il tema del lavoro e dei lavori è ovviamente parte
costitutiva della storia, del presente e del futuro dell’Archivio audiovisivo del Movimento operaio e
democratico. Come può contribuire l’Archivio? L’Archivio ha una sua peculiarità: spesso fa corsi di
formazione utilizzando il racconto audiovisivo come parte integrante proprio della strumentazione
che serve per entrare nel vivo della storia, dell’attualità. L’audiovisivo, più in generale oggi l’utilizzo
delle immagini con le varie piattaforme che lo veicolano, è un punto chiave. E questo potrebbe
essere un elemento ulteriore della nostra convenzione.
Chiudo su questo. Perché è un punto chiave? Guardate, non è solo e tanto un punto chiave perché
l’immagine è fortissima, solo lo scritto non basta eccetera. No: perché c’è un punto sui livelli
cognitivi della società. Adesso anche qui mi perdonerete se sono così brutale e generico ma
insomma l’età della galassia Gutenberg di McLuhan è proprio finita. E il livello cognitivo oggi, ma
già da un po’ di anni, è soprattutto una costruzione attraverso dati e immagini. La scrittura viene
molto dopo.
Se voi osservate l’approccio alla conoscenza di una bambina o di un bambino di 3-4 anni avrete la
risposta, e cioè il touch. L’utilizzo dell’immagine, l’utilizzo primo dell’immagine per poi arrivare
eventualmente anche alla scrittura ci deve ammonire su che cosa dobbiamo fare perché tutto
questo non è neutrale, naturalmente. E alla fine prevarrà un’idea liberistico-mercantile o un’idea
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che, senza rimuovere il tema del (?), però sia un’idea di conoscenza diffusa, di appropriazione dei
saperi, di acculturazione profonda di massa; anche perché (qui veramente un post scriptum) oggi
la scommessa – tra virgolette – di chi ha in mano le leve del potere, non solo in Italia, è la
scommessa sull’ignoranza di massa perché tutto questo percorso ha bisogno che vi sia un’elite che
sa sempre di più ed è sempre più potente, e anche economicamente solida, e poi una grande
massa che non solo è impoverita ma è anche ignorante sostanzialmente, cui si può dare la sera un
po’ di televisione generalista, possibilmente un po’ di quiz e un po’ di vecchie news, e poi basta,
mentre il mondo che conta va altrove.
Riusciremo? Riusciranno i nostri eroi? Io penso che la CGIL abbia un ruolo fondamentale (e non è
piaggeria) perché solo attraverso – e chiudo da dove sono partito – il rapporto tra il sapere e il
saper fare si può tentare di avere un algoritmo diverso su cui innestare anche un percorso
alternativo.
Comunque l’Archivio ci lavora con voi con grande piacere, si mette a disposizione, ha un catalogo
che può essere utile alla bisogna. Qui stiamo e poi torneremo, anche se io tra un po’ purtroppo
devo andare da un’altra parte.
Vi ringrazio.
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ILARIA ROMEOResponsabile Archivio storico della Cgil
Buongiorno a tutti.
Riprendo una domanda che è stata appena fatta: “Cosa può fare un Archivio per la formazione?”
Rispondo per il mio: possiamo fare quello che sappiamo fare, e cioè mettere a disposizione i nostri
materiali.
LA FORMAZIONE IN ARCHIVIO
Dal 1957 al 1966 risultano nell’Archivio storico CGIL nazionale 17 fascicoli dedicati alla formazione
sindacale. Il loro numero sale a 57 dal 1967 al 1986. 197 in totale sono le circolari confederali
aventi ad oggetto la formazione.
Completamente riordinato, schedato e reso fruibile agli studiosi fino al 1986, l’inventario
dell’Archivio è consultabile on line sul sito della Confederazione.
Sono disponibili in file allegato alla scheda documento tutti i verbali degli organi statutari e tutte le
circolari confederali dal 1944 al 1986 (vai all’inventario).
L’Archivio ospita al proprio interno una importante sezione iconografica ed il Fondo archivistico del
Centro studi e formazione sindacale di Ariccia: circa 1500 fascicoli conservati in 500 buste
attestanti le attività del Centro di formazione sindacale dalla nascita allo scioglimento.
FAD - FORMAZIONE A DISTANZA
Proprio nei giorni in cui - archiviate le consultazioni nei luoghi di lavoro - la Cgil ha lanciato la
sua #SfidaXiDiritti, con le migliaia di banchetti allestiti in tutta Italia dove firmare per la proposta di
legge di iniziativa popolare ed i tre quesiti referendari, abbiamo ritenuto importante riscoprire le
motivazioni profonde e ripercorrere le tappe che portarono nel 1970 alla nascita dello Statuto dei
lavoratori.
È quello che abbiamo cercato di fare attraverso le nostre “Pillole di storia” sul sito
http://fad.cgil.it/, dedicato alla Formazione a distanza.
Dalle parole di Giuseppe Di Vittorio in occasione del Congresso del sindacato dei chimici
dell’ottobre 1952 alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Legge 20 maggio 1970, n.
300 (“Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e delle attività
sindacali nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento”), le “Pillole” hanno raccontato le tappe
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fondamentali di avvicinamento al primo Statuto attraverso documenti e materiali d’archivio spesso
inediti.
“Un tuffo nella memoria - scriveva il 19 febbraio su Rassegna Bruno Ugolini - che serve a capire
meglio i cambiamenti di oggi e il valore della nuova Carta dei diritti universali del lavoro. Un
approdo necessario, più che mai urgente, e che dovrebbe, potrebbe, essere condiviso dalle altre
organizzazioni sindacali e da quelle forze politiche che dichiarano di voler sostenere, rinnovandoli, i
diritti di un mondo del lavoro oggi assai frammentato, ma non per questo da condannare a nuove,
aspre diseguaglianze”. Un mondo del lavoro popolato, per usare le parole di Bruno Trentin, “di
individui che nel sindacato attraverso un’esperienza solidale diventino persone coscienti, capaci di
decidere e di ritrovare nei diritti degli altri il sostegno alla singola battaglia loro” (leggi).
LE PILLOLE:
Le origini
Gli anni cinquanta
Gli anni sessanta
Il Sessantotto
Lo Statuto diventa legge
FORMAZIONE SINDACALE – COME ERAVAMO
Sono 197 in totale le circolari confederali dedicate alla formazione sindacale, centinaia le foto,
decine i video. Si parla di questo argomento nelle riunioni della Segreteria confederale dell’11
febbraio 1967, 16 dicembre 1971, 27 ottobre, 12 e 19 dicembre 1972, 6 marzo, 4 giugno, 26
settembre e 29 novembre 1973, 7 novembre 1974, 5 marzo e 4 giugno 1975.
74 in totale i fascicoli dedicati alla formazione sindacale, 1.500 i fascicoli del Centro studi e
formazione sindacale di Ariccia dalla nascita allo scioglimento.
All’interno della pagina del portale Cgil all’argomento dedicata stiamo cercando di raccontare -
attraverso documenti d’archivio spesso inediti, foto e video digitalizzati e riprodotti - la storia della
formazione sindacale nella Cgil dal 1944 a ieri.
Dalle parole di Di Vittorio al primo Congresso delle organizzazioni sindacali dell’Italia liberata
tenutosi a Napoli all’inizio del 1945, quando ancora il Nord era sotto l’occupazione nazista, sino a
oggi, i documenti selezionati e riprodotti raccontano le tappe principali della storia della
formazione sindacale all’interno della nostra organizzazione. Un tuffo nella memoria che servirà a
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capire meglio i cambiamenti e le scelte dell’oggi, rintracciando le radici della nostra storia collettiva
ed evidenziando le forme che nel corso del tempo la confederazione si è data per esercitare la sua
funzione formativa nei confronti dei propri rappresentanti e rappresentati a beneficio di fatto di
tutta la società.
MATERIALI A VOSTRA DISPOSIZIONE: LE MOSTRE ITINERANTI
GLI ANNI SESSANTA, LA CGIL, LA COSTRUZIONE DELLA DEMOCRAZIA
In occasione del 109° compleanno della CGIL (2015), l’Archivio storico CGIL nazionale e gli archivi
storici SPI e FLAI hanno organizzato la mostra Gli anni Sessanta, la CGIL, la costruzione della
democrazia.
Si è scelto di organizzare l’esposizione in 21 pannelli in forex da 5 mm., formato cm. 70x100 per
renderla itinerante e metterla a disposizione delle strutture che volessero avvalersene.
L’allestimento si snoda in quattro sezioni che attraverso fotografie e documenti permettano al
visitatore di farsi coinvolgere in un percorso espositivo che offra a tutti elementi di conoscenza e
riflessione.
SEZIONI:
1. 30 giugno - 8 luglio 1960: i dieci giorni che hanno cambiato il paese (7 pannelli)
2. Donne nella CGIL: diritti, libertà, dignità (4 pannelli)
3. Un lavoro senza fine, la Federazione italiana pensionati e la riforma del sistema previdenziale (3
pannelli)
4. Luci e ombre di fine decennio (6 pannelli)
La mostra è accompagnata dal catalogo Gli anni Sessanta, la CGIL, la costruzione della democrazia
(Ediesse 2016), a cura di Ilaria Romeo (curatrice della mostra), con la prefazione di Susanna
Camusso, Carla Cantone e Stefania Crogi.
LUCIANO LAMA, IL SINDACALISTA CHE PARLAVA AL PAESE
La mostra Luciano Lama, il sindacalista che parlava al Paese, a cura di Giancarlo Pelucchi e Ilaria
Romeo, fortemente voluta dalla CGIL nazionale e realizzata da quest’ultima assieme al suo Archivio
storico, alla Fondazione Giuseppe Di Vittorio e alla Associazione Luciano Lama, con la preziosa
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collaborazione dell’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico (AAMOD),
rappresenta di fatto una biografia per documenti ed immagini dal forte impatto visivo, capaci di far
rivivere i principali snodi della storia di Luciano Lama e della CGIL nell’Italia repubblicana e
nell’Europa del secondo dopoguerra.
Cinque sono i focus principali (Gli anni della formazione e la Resistenza; Da Forlì a Roma; La
Segreteria generale; L’impegno istituzionale; Le passioni), declinati attraverso 19 pannelli 200*84
cm ed un volume 24*28 cm in carta patinata opaca (Luciano Lama. Il sindacalista che parlava al
Paese, a cura di Ilaria Romeo, prefazione di Susanna Camusso, Ediesse 2016).
IL MANUALE
Storia della CGIL dalle origini ad oggi: manuale per la formazione di delegati, lavoratori, dirigenti ,
di Fabrizio Loreto
Il manuale, unendo al rigore dell’indagine storica l’agilità dell’esposizione e la vivacità offerta dal
copioso materiale documentario e iconografico che lo arricchisce, racconta in modo sintetico e
divulgativo la storia della CGIL, collocandola all’interno della più generale vicenda italiana, fatta di
avvenimenti politici, trasformazioni economiche, mutamenti sociali e culturali.
Al centro dell’affresco storico fornito dal volume, si pongono i due concetti costitutivi della CGIL: il
valore sociale del lavoro, cioè la sua capacità di agire in modo organizzato e collettivo per ridurre le
disuguaglianze e per promuovere le libertà; e il valore della confederalità, attraverso il quale il
sindacato riesce pienamente a rappresentare e tutelare l’interesse generale delle classi lavoratrici.
Il libro si compone di quattro parti: l’età liberale; il fascismo; la costruzione della democrazia; dalla
crisi globale ad oggi. Ogni parte si articola in tre capitoli (per un totale di dodici) ai quali si
aggiungono prefazione, introduzione e conclusioni.
Il testo è impreziosito con foto, immagini, citazioni e schede di approfondimento.
Al termine di ciascun capitolo sono inserite pagine di storiografia e brevi bibliografie di
orientamento, nelle quali sono indicati sia i classici, sia gli studi più recenti di storia del movimento
sindacale.
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Novità della nuova ristampa l’appendice documentaria alla fine di ogni capitolo, attraverso la
quale abbiamo cercato di raccontare - con documenti spesso inediti e foto digitalizzate e riprodotte
tratte dall’Archivio storico CGIL nazionale - la storia della CGIL dalle origini ai giorni nostri.
Dal verbale di costituzione della CGdL al Patto di Roma; dai verbali delle riunioni in Cgil nelle calde
giornate del 1948, quando si consumò la scissione sindacale, al telegramma di solidarietà inviato
da Italo Calvino a Giuseppe Di Vittorio per la posizione assunta sui fatti d’Ungheria,
inediti, rarità e pezzi unici arricchiranno le pagine di questo volume offrendo una suggestiva
rappresentazione visuale della vicenda del mondo del lavoro in Italia dalla fine del diciannovesimo
secolo ad oggi.
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PIER LUCIANO MENNONNASegretario nazionale Silp Cgil
“Il corso a distanza per la preparazione del concorso esterno per 320 vice ispettori della Polizia diStato”
Buongiorno a tutti.
Grazie a Giancarlo e grazie per aver indovinato il nome, finalmente, dopo sei mesi che ci
conosciamo, perché mi ha sempre chiamato in tutti i modi…
Io oggi vi espongo quello che mi hanno chiesto Giancarlo e Alessandra perché con loro abbiamo
dato vita a un progetto, per la prima volta, che riguarda il sindacato di Polizia: la formazione a
distanza per la preparazione al concorso di viceispettore della Polizia di Stato.
Un po’ di storia, per collocarci correttamente nel tempo e in ciò che abbiamo fatto. A dicembre
2015 è uscito il decreto firmato dal Capo della Polizia, quindi dal Dipartimento della Pubblica
sicurezza, per l’assunzione di 320 ispettori della Polizia di Stato. Requisiti: non avere più di 32 anni
di età e il diploma di scuola media superiore. Non è il concorso di cui ieri ha parlato “Report”, al
centro di scandali, ma è un’altra cosa. È un concorso esterno e dunque potevano partecipare sia gli
interni della Polizia di Stato e sia chiunque avesse questi i requisiti previsti dal bando di concorso.
Noi abbiamo pensato che, davanti a una platea così grande di aspiranti, potessimo inserirci. Tant’è
che le domande sono state circa 127mila, quindi un numero molto elevato a fronte di 320 posti,
con le varie provenienze geografiche, soprattutto dal Sud, così ci risulta, e con la possibilità
appunto per noi di immaginare un percorso che potesse abbracciare il maggior numero possibile di
aspiranti e favorirne l’avvicinamento alla CGIL e quindi anche al sindacato di polizia.
Le materie erano quelle classiche per questo tipo di concorso, Diritto Costituzionale, Diritto e
Procedura Penale, Legislazione di Pubblica Sicurezza, Diritto Amministrativo, Diritto Civile e
abbiamo immaginato, quindi, una formazione che partendo da riprese, quindi riprese video, con
formatori che abbiamo trovato noi al nostro interno, potesse prevedere la possibilità di interagire.
Gli speaker nei video erano esperti forensi, funzionari di polizia, avvocati e del tutto casualmente
anche funzionari di polizia iscritti al nostro sindacato che in quel periodo hanno anche addirittura
superato le prove per il concorso in magistratura. Abbiamo avuto questa fortuna ma sapevamo di
contare su una squadra di alto livello per poter offrire un servizio esclusivo e ben fatto.
Abbiamo – dicevo – provveduto a fare delle registrazioni video, circa 33 video-lezioni, con
un’introduzione e un video che parlava anche di come superare e affrontare la prova scritta.
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I tempi ci hanno in qualche modo aiutato perché siamo andati incontro a vari rinvii. Comunque da
dicembre, in cui è stato pubblicato il bando, siamo partiti ad aprile con le registrazioni e a luglio
2016 abbiamo pubblicizzato sul nostro sito la possibilità di preiscriversi al corso. Ci sono arrivate
molte domande, svariate domande a un indirizzo di posta elettronica che avevamo dedicato
specificamente a questo. Non tutti hanno dato seguito alla preiscrizione perché ovviamente c’è chi
poi ha deciso di non fare il concorso, chi non ha superato le prove ecc. ecc.
La preiscrizione ci serviva per avere una mappatura delle provenienze geografiche dei candidati, in
modo da poter essere pronti ad organizzare incontri frontali, presentazioni, momenti di
avvicinamento al sindacato etc. Purtroppo il numero dei candidati e la collocazione geografica degli
stessi ci hanno fatto optare solo per un corso a distanza.
Quanti sono quelli che si sono avvicinati a noi? Circa un’ottantina, soltanto 80 persone che però
noi, per la prima volta che facciamo una cosa del genere, consideriamo un successo anche perché
siamo riusciti, malgrado la concomitanza con il terremoto, malgrado fossimo in vacanza, in
spiaggia, all’estero, soltanto con con l’iPad a disposizione ecc. ecc., abbiamo risposto a tutti,
abbiamo dato le credenziali per l’accesso a tutti e siamo riusciti a garantire, a tutti quelli che ce
l’hanno chiesto, l’accesso su questa piattaforma della FAD della CGIL, su cui tra l’altro ci sono molti
corsi della CGIL..
Siamo riusciti a farne un mezzo anche per il proselitismo, spiegando chiaramente che si trattava di
un servizio gratuito per gli iscritti al SILP e alla CGIL. Su questo numero che vi ho dato (circa
un’ottantina) abbiamo calcolato 6 nuovi iscritti al SILP e circa 15 alla CGIL. Naturalmente le
persone che già lavoravano hanno fatto riferimento al settore merceologico di appartenenza, quelli
che non lavoravano si sono iscritte al NIDIL.
All’approssimarsi della data delle prova scritta (circa metà Ottobre), siamo riusciti anche a inviare
delle tracce di prova scritta specificando che avremmo potuto correggerli e corredarli di un giudizio
succinto: una di queste tracce l’abbiamo anche quasi indovinata avevamo dato come traccia il
tentativo di strage, alla prova scritta è uscito il tentativo di reato impossibile, quindi anche una roba
abbastanza complessa. Ci sono arrivati molti elaborati scritti da parte dei candidati, circa una
ventina, siamo riusciti a correggerli tutti perché abbiamo avuto un ottimo docente, che si chiama
Piergiorgio Panzeri, un vicequestore della Polizia di Stato nostro dirigente sindacale, che è riuscito a
correggerli tutti e a mandare a ognuno di loro anche un breve giudizio sull’elaborato.
Comunque, per darvi un dato, rispetto alle 127mila domande per partecipare al concorso, soltanto
il 10 per cento circa si è presentato dal 22 luglio a Roma alle prove preselettive. Questo anche
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perché il calendario non ha aiutato perché è stata annullata una prova, eravamo già in periodo di
vacanze, quindi metà luglio. Dunque, dicevo, solo all’incirca il 10 per cento si è presentato alle
prove preselettive. Da questo numero di 12-13mila, sono venute fuori soltanto 3mila e 200
persone ammesse alla prova scritta, come certificato dalle notificazioni successive. Ad oggi non
sono ancora stati resi noti i candidati che hanno superato la prova scritte e quindi gli ammessi
all’orale.
Noi ce l’abbiamo messa tutta, con molta fatica, anche organizzandoci tra di noi, con molta passione
anche perché era un esperimento del tutto nuovo. Personalmente, anche con Giancarlo e
Alessandra, mi considero molto soddisfatto di quello che abbiamo fatto perché abbiamo messo in
moto qualcosa che non avevamo mai proposto prima e ci ha permesso anche di farci conoscere
oltre i confini sia dei lavoratori di Polizia che anche della CGIL.
Grazie.
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SILVIA BRUNOResponsabile LaReS – Laboratorio Relazioni Sindacali – TSM Trentino School of Management
LaReS: la formazione unitaria a Trento
Il progetto
LaReS Laboratorio Relazioni Sindacali è la scuola di formazione permanente rivolta agli operatori
delle relazioni del lavoro del Trentino, voluta fortemente da CGIL, CISL e UIL del Trentino.
LaReS nasce nel 2012 da due precedenti esperienze formative, la prima del 2008, la seconda del
2010-2011, che hanno permesso di iniziare a ragionare su una struttura più complessa e articolata,
destinata alla formazione sui temi del lavoro.
In LaReS si studiano e si portano in aula le numerose tematiche che ruotano intorno al mondo del
lavoro: diritto del lavoro, mercato del lavoro, politiche attive e passive, welfare (tema sempre più
centrale), con uno sguardo locale (perché il Trentino legifera in materia di lavoro e esiste quindi
un’attività costante anche dal punto di vista della governance), nazionale (l’ultima riforma del
mercato del lavoro ci ha impegnato moltissimo ad esempio…) e internazionale ed europeo
(abbiamo una costante interazione con la CES, con l’ETUI e con sindacati stranieri e realtà
internazionali in cui si studiano e si affrontano le tematiche del lavoro).
Il contesto
Come forse sapete, nella vita politica del territorio trentino non è mai stato messo in discussione il
ruolo strategico dell’azione concertativa che si è addirittura rafforzata sino al punto da emergere
quale valore imprescindibile dell’azione politica. La concertazione è diventata quindi un metodo di
governo e su questa base, le relazioni tra le parti sociali si sono rafforzate nel tempo portando al
raggiungimento di importanti traguardi per il territorio trentino.
Il buon funzionamento del sistema di relazioni a livello aziendale e di territorio assume pertanto un
valore strategico rispetto agli obiettivi della competitività economica, della partecipazione
democratica e della coesione sociale di un'intera comunità. Le relazioni tra i diversi attori dello
sviluppo risentono inevitabilmente delle profonde trasformazioni dei sistemi economici a livello
planetario, trasformazioni che, per non essere semplicemente subite, impongono una
qualificazione continua delle attività svolte dalle associazioni di rappresentanza, sia per quanto
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attiene alle competenze specialistiche, sia nella più generale capacità di interpretazione dei
cambiamenti.
Nell’ultimo periodo si è addirittura arrivati a parlare, mutuando il modello austriaco, di
Sozialpartnerschaf (a cui nell’ottobre 2016 abbiamo dedicato un convegno organizzato con Alto
Adige e Tirolo e patrocinato dall’Euregio1).
Le partnership
Come detto sopra, l’attività di LaReS è supportata da importanti relazioni con i principali centri di
studio e ricerca sui temi delle relazioni industriali in ambito nazionale (università, enti di ricerca,
centri di formazione sindacale, fondazioni) e internazionale (European Trade Union Institute, ILO-
International Labour Organization, …), oltre che con quelli operanti nel contesto del Gect Trentino
Alto Adige/Südtirol e Tirolo. Riteniamo inoltre fondamentale la presenza degli organismi pubblici e
privati operanti sui temi del lavoro nella Provincia autonoma di Trento (Amministrazione
provinciale, Agenzia del Lavoro, enti previdenziali, Pensplan, Laborfonds, enti bilaterali, università,
…). Nel tempo si è arrivati anche alla firma di alcuni accordi quadro (Dipartimento di Sociologia e
Ricerca Sociale, Università degli Studi di Trento nel giugno 2014; Fondazione ADAPT nell’aprile
2015; Percorsi di secondo welfare nel giugno 2015; Afi-Ipl nel dicembre 2015) e continua l’impegno
verso la concretizzazione di nuove accordi di collaborazione.
Nella lettera di invito al seminario, Giancarlo Pelucchi ha evidenziato la necessità di
“…ricostruire il ciclo: analisi del fabbisogno, definizione delle priorità, selezione delle platee,
pianificazione e gestone dei corsi, certficazione e valorizzazione della formazione svolta”.
Vorrei quindi proseguire riprendendo i diversi punti:
1
Per maggiori dettagli si veda: http://lares.tsm.tn.it/convegni/sozialpartnerschaft-nell-euregio-esperienze-a-confrontosozialpartnerschaft-in-der-euregio-erfahru
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L’analisi del fabbisogno
LaReS nasce ufficialmente nel 2012 con la somministrazione di un questionario “a tappeto” a tutti i
delegati e delegate di CGIL, CISL e UIL e una serie di interviste semi-strutturate ai segretari di
categoria2. Questo lavoro ha permesso di operare su due diversi fronti: comunicare la nascita della
scuola e non calarla dall’alto; chiedere di esprimere il fabbisogno formativo impegnanti a
soddisfarlo. Possiamo sinceramente affermare che ha funzionato perché abbiamo creato una
squadra che costantemente si auto-aggiorna e si informa.
Dal 2012 ad oggi LaReS partecipa annualmente ai direttivi di tutte le categorie delle tre
organizzazioni, con l’obiettivo di parlare, vedere, ascoltare i delegati e capire le necessità delle
categorie.
Esistono inoltre collegamenti diretti e costanti con i segretari generali provinciali, con le segreterie
confederali e con i segretari di categoria.
Nell’estate del 2016 (il rapporto è in fase di pubblicazione) è stata realizzata una nuova indagine
per comprendere le ricadute rispetto alla formazione svolta. Sappiamo che sono necessari molti
anni per capire chiaramente le ricadute date dalla formazione ma ci sembrava arrivato il momento
opportuno di porci qualche interrogativo e capire se la via seguita è quella corretta e quali
integrazioni e cambiamenti potrebbero migliorare il nostro lavoro.
La pianificazione
Le attività vengono pianificate annualmente, con la presentazione del “Piano dell’attività” al
Dipartimento dello sviluppo economico e al lavoro della Provincia autonoma di Trento.
Nel corso dell’anno sono però inseriti ulteriori momenti formativi, perché richiesti dagli
interlocutori o perché considerati di rilievo da LaReS.
La definizione delle priorità
La progettazione di ogni attività formativa di LaReS nasce dall’osservazione, dalla condivisione e
dalle sollecitazioni delle organizzazioni sindacali, dei docenti universitari dell’Ateneo trentino e di
altre università italiane, dei delegati, degli osservatori, dei dirigenti e dei direttori provinciali e di
altre figure di riferimento, che contribuiscono inoltre a mantenere uno sguardo complesso e
articolato sul mercato del lavoro e a comprendere le priorità formative del settore.
2 Si veda il rapporto pubblicato al link: http://lares.tsm.tn.it/ricerca/analisi-del-fabbisogno-formativo-dei-delegati-e-delle-delegate-di-cgil-cisl-e-uil-del-trentino
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I principali ambiti di analisi sono: relazioni industriali, politiche del lavoro, primo e secondo
welfare, territorio e autonomia
Il metodo formatvo
Poiché si intende favorire lo sviluppo di conoscenze nell'ambito delle politiche del lavoro, delle
relazioni industriali e delle politiche pubbliche, ci si avvale di un metodo formativo che metta al
centro l’esperienza, la relazione e il coinvolgimento dei beneficiari della formazione. Per questa
ragione proponiamo azioni strutturate sulla base delle esigenze formative espresse e rilevate dal
gruppo di lavoro.
LaReS si articola in 4 tipologie di attività formative, finalizzati ad accogliere le esigenze specifiche
dei partecipanti:
La gestone dei corsi
Le attività sono organizzate in base alla procedura delineata dal Sistema di Gestione Qualità (UNI
EN ISO 9001:2008) e si prevede quindi: l’iscrizione online sul sito; la conferma di iscrizione; la mail
e l’sms per ricordare l’appuntamento; la firma della presenza in aula; il questionario di gradimento
per i partecipanti e per i docenti; la messa a disposizione del materiale sulla piattaforma Elle3 e sul
sito.
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La certficazione e la valorizzazione della formazione svolta
Ogni attività formativa è registrata sul Libretto Formativo LaReS, consultabile online in ogni
momento e stampabile.
Al termine del corso/seminario ai partecipanti viene inviato un Attestato di frequenza.
Nel mese di gennaio di ogni anno i Segretari Generali ricevono un rapporto dettagliato dell’attività
svolta nel corso dell’anno precedente, con indicate le percentuali di partecipazione di ogni
categoria (e i nomi degli iscritti ad ogni attività formativa).
Nel 2015 le partecipazioni complessive sono state 1438 e nel 2016 sono state 1231 (dato
aggiornato a dicembre 2016. Si tratta di numeri rilevanti per il territorio trentino, ma ovviamente
contenuti se rapportati con territori più ampi o con il contesto nazionale.
Il gradimento è sempre molto elevato e si attesta tra il 4 e il 5 (dove 5 è il punteggio massimo).
Un altro ambito di attività
Dall’anno scolastico 2016-2017 il Dipartimento della conoscenza della Provincia autonoma di
Trento ha coinvolto LaReS nel progetto dell’alternanza scuola-lavoro in Trentino. LaReS ha pertanto
strutturato un percorso formativo da offrire a tutti gli istituti scolastici secondari di secondo grado
della provincia e in grado di coinvolgere gli studenti del triennio conclusivo.
L’obiettivo del percorso è fornire agli studenti alcuni strumenti per meglio leggere il mercato del
lavoro e affrontarlo con maggiore consapevolezza anche nel periodo del tirocinio previsto
dall’alternanza.
Il percorso formativo, di durata complessiva di 23 ore e composto da 9 moduli, affronta i temi:
Le caratteristiche del mercato del lavoro (1 ora)
Le tipologie contrattuali (3 ore)
Il lavoro autonomo e smart working (3 ore)
La retribuzione e la previdenza (3 ore)
Il ruolo delle rappresentanze (2 ore)
Le differenze nel mondo del lavoro (3 ore)
Il Trentino: autonomia, mercato del lavoro e sistema produttivo (3 ore)
La scuola non è mai finita. Apprendistato, formazione continua e certificazione delle competenze
(3 ore)
I Servizi per l’impiego e gli strumenti per la ricerca del lavoro (2 ore)
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Per l’anno scolastico 2016-2017 sono previsti quasi 4000 studenti in formazione e l’adesione di 19
istituti (gli istituti trentini sono 25).
Grazie.
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CLAUDIA CESARINIFondazione Metes
Grazie Giancarlo e grazie per il lavoro che fai sempre per portarci qui a confrontarci. Ho sentito
tantissime cose interessanti e quindi sicuramente ci è utile.
Come ha detto Giancarlo, siamo la Fondazione Metes, costituiti da FLAI CGIL nel 2004. Ci
occupiamo di formazione sindacale, studi e ricerche nel settore agroalimentare. Anche noi siamo
certificati ISO 9001 per la qualità per il settore relativo alla formazione e per il settore relativo agli
studi e ricerche in campo economico e sociale. Quest’anno abbiamo avviato i lavori per il passaggio
alla ISO 2015 che ci impone un lavoro importante di analisi del contesto in cui operiamo, quindi, le
presentazioni di oggi e domani ci saranno molto utili per aggiungere elementi utili all’analisi dello
scenario e degli stakeholders.
Di che cosa parliamo oggi? Di un focus sul bilancio dell’attività di formazione sindacale 2016. In
particolare, vediamo cosa abbiamo fatto rispetto a quello che avevamo detto avremmo fatto nella
comunicazione dell’anno scorso, cosa ci rimane da fare e che cosa possiamo fare per migliorare.
In particolar modo, parlerò del corso per dirigenti sindacali che abbiamo messo in atto quest’anno,
l’esperienza che abbiamo avuto con la formazione a distanza, dell’attività che ci ha portato a
ottenere la convenzione con l’Università di Roma Tre per essere centro di esame per il rilascio della
certificazione di italiano per gli stranieri che intendono richiedere il permesso di soggiorno, e della
web e social media strategy, un aspetto, quest’ultimo, che abbiamo curato particolarmente
quest’anno con il nuovo sito internet e il posizionamento della fondazione sui social.
Bilancio della formazione 2016. In verde sono le cose che abbiamo fatto, quindi quello che
avevamo detto avremmo fatto e che effettivamente siamo riusciti a fare: la formazione dei
formatori, intesa come formazione per progettare l’intervento formativo e per realizzare
l’intervento formativo. Quindi, non solo lo staff di Metes ha usufruito della formazione dei
formatori, ma anche (e mi riallaccio al primo intervento) i funzionari che sono stati individuati dalla
segreteria nazionale della FLAI per svolgere attività di docenza.
Abbiamo applicato il metodo della progettazione partecipata, e vedremo, sulla base delle
tematiche affrontate dai corsi realizzati, questo metodo ci ha permesso di affrontare efficacemente
la criticità che avevamo evidenziato lo scorso anno, cioè il problema che si verifica quando la
formazione viene vissuta come un momento slegato, avulso rispetto alla strategia politico-
sindacale, all’attività sindacale in senso stretto. Abbiamo applicato una metodologia in due step: si
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parte dalla segreteria nazionale FLAI CGIL, che definisce le macro-priorità, all’interno delle quali
poi, mediante interviste semi-strutturate, viene richiesto ai referenti regionali e territoriali, che
sono poi i diretti committenti della nostra formazione, di individuare quelle priorità che ritengono
più attinenti, più attagliate alla loro realtà in base alle specificità dell’azione politico-sindacale, alle
caratteristiche territoriali e alle risorse a disposizione: economiche, temporali e umane.
Questo ci ha permesso anche di definire meglio il target e superare anche l’altra problematica (che
penso sia un po’ un male comune) che è quella appunto dell’eterogeneità dell’aula.
Siamo riusciti a fare dei corsi, per esempio, soltanto per delegati dell’industria, soltanto per
delegati di un determinato comparto dell’industria alimentare, delegati della cooperazione,
delegati della forestazione. Questo ci ha permesso di essere più efficaci nel raggiungimento degli
obiettivi didattici prefissati.
Come dicevo prima, abbiamo sperimentato l’attività di formazione a distanza, sia attraverso la
progettazione sindacale, progettando le video-lezioni per il corso dirigenti, sia attraverso un
progetto finanziato dalla DG Occupazione, Inclusione e Affari Sociali della Commissione Europea
per il potenziamento delle conoscenze e delle competenze dei partecipanti ai Comitati Aziendali
Europei. Un progetto che ci ha aiutato molto, soprattutto, in preparazione della formazione dei
dirigenti e che rimane un corso sempre disponibile per chiunque ne abbia interesse. Un corso che
si compone di quasi mille slide per circa 40 ore di formazione, accessibile gratuitamente tramite il
nostro sito web (www.fondazionemetes.it), inviando un’e-mail a: [email protected]
In cosa, invece, dobbiamo ancora migliorare? (quello che è stato appena detto appunto dalla
nostra compagna di LaReS è interessantissimo) Il libretto. Noi avevamo detto l’anno scorso che
avremmo proceduto a una progressiva digitalizzazione di tutto il materiale cartaceo a nostro
disposizione, a partire dai pretest, con la compilazione, la somministrazione, la stampa, il ricevi,
invia, imputa. Ancora non ci siamo riusciti. Abbiamo scontato alcuni meccanismi di
malfunzionamento della prima piattaforma. Ok, l’abbiamo scartata. Abbiamo lavorato su un altro
prodotto, che invece ci sta dando grosse soddisfazioni, che dobbiamo implementare.
La piattaforma su cui stiamo lavorando è Moodle e dovremmo implementarla con la parte di banca
dati che abbiamo noi, che invece è in un software interno, per renderla accessibile ai partecipanti
proprio per la consultazione del curriculum formativo, dando la possibilità ai corsisti di consultarlo
e stamparlo. Questa cosa dell’invio ai segretari di riferimento la trovo molto funzionale proprio
anche per una pianificazione da parte dei territori e una scrematura delle richieste più attinente
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rispetto alla realtà che hanno a disposizione. Quindi grazie per gli spunti e magari poi ti chiederò
anche meglio.
Ecco la formazione sindacale del 2016. Abbiamo ricevuto 61 richieste di corsi di formazione e ne
abbiamo già realizzati o sono in corso di realizzazione 43 per circa 536 ore. Come vedete, sono 14
corsi in più rispetto all’anno scorso e in questi 14 rientrano i 12 corsi interregionali del corso
dirigenti che stiamo realizzando. Quindi è un trend consolidato.
Dalle tematiche che possiamo leggere (ad esempio, comprendere per comunicare, leadership e
team building) capiamo che sono perfettamente a supporto e integrati nella strategia politico-
sindacale. Perché? Ad esempio, un corso fatto nel marzo di quest’anno a Potenza su strumenti per
l’acquisizione del consenso da utilizzare nella campagna per l’elezione delle Rsu ha portato a dei
risultati non ottenuti prima nello stabilimento di Barilla e nello stabilimento di Ferrero. Ora, magari
è una casualità, ma, magari, anche no.
Abbiamo svolto questi due corsi di formazione su come costruire una campagna efficace per
l’elezione delle Rsu e i partecipanti in aula erano proprio i candidati della struttura a essere Rsu.
Quindi una formazione mirata, una progettazione ad hoc, sulla base del fabbisogno, molto
specifica. In questo caso è stato veramente un evento importante, una verifica importante
dell’impatto del corso. Questo anche per gli altri corsi che potete leggere, ad esempio i corsi che ci
sono stati richiesti relativi all’approfondimento del Jobs Act. È una nuova norma, quindi è
importante fornire un nuovo quadro legislativo di riferimento, ma quello che ci viene chiesto dai
territori è: “Benissimo. Quello che cambia io lo posso leggere anche da altre parti. Dimmi che cosa
devo fare quindi adesso che è cambiato. Quali sono gli strumenti contrattuali che ho a disposizione
per cercare di limitare l’impatto derivante dalla riduzione delle tutele normative?”. Quindi abbiamo
costruito dei corsi che integrano la modalità di lezione frontale esplicativa della nuova normativa a
delle simulazioni analizzando gli accordi sindacali.
I corsi relativi alla contrattazione e al mercato del lavoro in agricoltura. Perché? Perché siamo nel
mezzo del rinnovo dei cpl, dei contratti provinciali. E poi c’è stato un grandissimo movimento,
all’interno della categoria, per portare, e così è stato, all’approvazione della nuova legge contro il
caporalato e le forme di sfruttamento in agricoltura. Sicuramente i corsi di formazione sono stati
delle sedi privilegiate di confronto e di discussione e hanno contribuito a mantenere alta
l’attenzione sul tema.
Rispetto a quello che diceva Giancarlo in apertura, cioè che dobbiamo fare formazione ovunque,
all’interno della categoria FLAI mi sento di dire che è così. Noi abbiamo una cultura che è da Nord a
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Sud. Abbiamo realizzato quest’anno undici corsi di formazione soltanto nel Mezzogiorno con sedici
giornate e mezzo. Anzi, più le strutture sono piccole e sperdute (parlo del Molise, parlo di Potenza
e Matera che, come sapete, non hanno una struttura regionale di riferimento, ma un
coordinamento) e più sono sempre aule vere, aule sentite. Appunto abbiamo parlato di Potenza e
dell’elezione delle Rsu, C’è una radicata concezione proprio sul territorio della formazione anche al
Sud.
Questo è il corso per dirigenti. Il corso per dirigenti nasce nel dicembre del 2015, a partire da una
volontà forte della FLAI nazionale di contribuire a supportare il percorso di rinnovamento della
classe dirigente poiché contemporaneamente, in un arco temporale che ci accompagna fino al
2018, anno del congresso, molte regioni, molti territori sarebbero andati in scadenza. Quindi c’è
stato richiesto di aiutare la categoria, supportare la categoria a far crescere un movimento di
rinnovamento all’interno dei quadri e dei dirigenti.
Siamo partiti con il rafforzamento di competenze trasversali, siamo partiti dai moduli legati al
passaggio da componente del team a dirigente. Cosa significa? Cosa comporta? Cosa comporta
gestire un gruppo di persone? Cosa significa fare una pianificazione di attività? Cosa significa fare
un budget, un bilancio?
Siamo passati poi alle regole. Come mi muovo all’interno delle nuove regole dettate dalla
Conferenza di organizzazione 2015? Cosa comporta questo per la mia attività di dirigente? In che
modo devo modificare la mia attività?
Questa parte del corso l’abbiamo realizzata mediante delle video-lezioni; video-lezioni che sono
appunto on-line sulla piattaforma Moodle, realizzati grazie alla disponibilità del dipartimento
organizzazione della Flai Nazionale.
A questo modulo abbiamo affiancato l’ultimo, che è quello dedicato ai servizi della community FLAI
CGIL. È una novità assoluta, anche questa fortemente voluta dalla FLAI.
Che cos’è? La community serve anche a noi. Per questo spendo due parole. È una card che
funziona con un sistema di radiofrequenza per cui dura a vita, indipendentemente dagli incarichi
che si modificano nel corso della progressione sindacale. Serve per accreditarsi presso gli eventi,
per le operazioni di voto. Serve, prima di un evento, prima di un Direttivo, per comunicare
partenze, arrivi, quante stanze, quante persone. Semplifica molto anche dal punto di vista
organizzativo. Porta con sé una casella di posta elettronica (unico dominio “@flai.it”), dunque non
ci saranno più e-mail che tornano indietro per la convocazione dei corsi (quello non ti ha risposto,
ha la casella piena, non l’ha letta).
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Sembra una banalità però è un problema. Tu devi comunicare con il segretario di Canicattì che non
sai dov’è e chi è. Invece avremo una mappatura di tutti quanti i nostri componenti l’Assemblea
generale che ci consentirà di individuare facilmente i nostri referenti e comunicare efficacemente.
La community sarà un’effettiva comunità, perché avrà anche l’interazione immediata con
caricamento di documenti, condivisioni iniziative e calendari. Sul sito della FLAI potrete anche
trovare tutte le altre informazioni su questo nuovo servizio.
Del corso per dirigenti avevo caricato una piccola preview giusto per farvi vedere la partenza del
corso.
La nostra esperienza con la formazione a distanza non si è limitata al corso per dirigenti, come
dicevo, il progetto di formazione per i rappresentanti CAE, è stato una esperienza molto
importante. Questi sono gli argomenti: contesto normativo e aziendale, le relazioni sindacali, il
funzionamento dei CAE, i CAE e le organizzazioni sindacali, i dati economici e gli standard sociali.
Rinnovo l’invito a chiunque fosse interessato a contattarci all’indirizzo
“[email protected]” per ricevere tutto il materiale (circa 1000 slides) in tutte le lingue del
progetto (inglese, italiano, spagnolo, francese, portoghese, olandese).
Veniamo poi all’ultima parte dell’intervento che è quella relativa appunto all’attività che abbiamo
svolto per ottenere la convenzione con l’ufficio della certificazione della conoscenza della lingua
italiana dell’università degli studi di Roma Tre.
Perché è importante? C’è stata segnalata a Latina l’esistenza di un’importante comunità indiana.
Parliamo di migliaia di persone che hanno la necessità di ottenere il permesso di soggiorno. Per
ottenere il permesso di soggiorno che cosa devono fare? Devono sostenere un test per il quale è
necessario rivolgersi alla Prefettura o a una delle strutture indicate con decreto ministeriale, tra cui
per esempio Roma Tre, e sostenere un test di conoscenza della lingua italiana a livello A2,
cosiddetto di sopravvivenza, quindi un test molto base per quanto riguarda la conoscenza della
lingua italiana che molti di loro sono in grado di superare ma che sono molto spaventati dal dover
affrontare, soprattutto perché per sostenerlo devono magari recarsi in Prefettura, e questa cosa li
sconvolge un po’. Sconvolge soprattutto le donne che non sono libere di poterci andare e quindi
rimangono senza permesso di soggiorno.
Gran parte di queste persone è occupata nel settore agricolo appunto nella provincia di Latina. Le
nostre strutture ci hanno chiesto la possibilità di far qualcosa. “Vi informate? Possiamo fare
qualcosa per aiutarli?”.
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Abbiamo visto che era possibile ottenere l’accreditamento con Roma Tre per diventare noi stessi
come Metes un centro d’esame.
Abbiamo ottenuto la convenzione e stiamo facendo un’importante attività informativa sul
territorio di Latina proprio perché vorremmo partire con la prima sessione a gennaio.
Questo non significa che Metes rilascia la certificazione: noi siamo soltanto un luogo. Ci metteremo
a disposizione. La nostra idea sarebbe proprio di farla all’interno del tempio di Borgo Hermada,
laddove fosse possibile tecnicamente, va verificato, comunque una struttura nel territorio perché
vengano svolti lì gli esami. E noi siamo le braccia, cioè noi diamo la prova di esame. In questo si
esaurisce il ruolo, questa è la convenzione.
Non è che l’esame dà automaticamente la certificazione. Noi somministreremo la prova d’esame,
verrà compilata in busta chiusa, inviata a Roma Tre perché rimane l’Università l’ente che è
competente per il rilascio della certificazione.
Speriamo che la sperimentazione su Latina abbia successo per poterla offrire anche ad altri
territori in giro per l’Italia che vivono la stessa situazione.
L’esame è gratuita per gli iscritti alla FLAI CGIL. È un servizio che si offre per gli iscritti. Quindi è un
contatto con tutti questi lavoratori venire a conoscenza di diverse realtà e per loro è assolutamente
gratuito.
Da ultimo, mi riallaccio, invece, al discorso del posizionamento web e della strategia social. È
imprescindibile. Noi abbiamo capito che, anche per quanto riguarda tutto il versante della nostra
attività commerciale, quindi la formazione finanziata, i rapporti con gli altri enti di ricerca, è
imprescindibile avere un sito che funzioni e che sia comprensibile. Per cui a luglio abbiamo messo
on-line il nuovo sito chiaro, immediato e interattivo. Ci abbiamo messo la faccia nella zona della
presentazione. Con la compilazione di un modulo si può iniziare a progettare immediatamente il
corso per avere eventualmente il finanziamento, per costruire insieme il piano per la formazione
finanziata. Si possono scaricare tutte le nostre pubblicazioni, i materiali dei corsi, il calendario e il
catalogo.
Siamo presenti sui social, su Facebook, su Twitter, su LinkedIn. Tutte le mattine su Facebook
facciamo una rassegna delle principali informazioni che riguardano il settore agroalimentare.
Condividiamo con i partecipanti le foto e i video della formazione in aula, e questo ci permette di
avere anche un follow-up della formazione, consentendo ai corsisti di avere con noi un canale
diretto. Da gennaio partirà anche la campagna newsletter con contenuti inediti esclusivi soltanto
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per gli iscritti; un canale privilegiato in attesa poi di iniziare nuovamente a stampare, insieme con
Ediesse, la Rivista AE.
Cercateci, seguiteci. Anche questo è un modo per fare rete.
Grazie, Giancarlo.
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FABRIZIO DACREMAArea Welfare Cgil Nazionale – Istruzione, Formazione
Io vi devo parlare di “LAB scuola lavoro”, che è questa nuova iniziativa della CGIL per intervenire,
dal punto di vista formativo, dentro ai progetti di alternanza scuola-lavoro. È un’iniziativa che in
modo assolutamente coerente con l’impostazione che ha detto Giancarlo di questo potenziamento
della capacità di formazione sindacale della CGIL proprio perché si muove nell’idea della
formazione per cambiare, del conoscere per cambiare, dell’essere competenti per poter agire e
modificare la realtà.
Noi riteniamo (noi ma da tempo la CGIL, è inutile citare Bruno Trentin e altri che hanno sostenuto
questo modo di vedere) che l’alternanza scuola-lavoro sia uno strumento potente per cambiare la
scuola, per cambiare il sistema produttivo italiano e per dare a ogni studente un valore aggiunto
che gli serve per il lavoro e per la democrazia.
Non basta dire alternanza o fare alternanza. Ci sono esperienze di alternanza scuola-lavoro di
qualità e ci sono esperienze di alternanza scuola-lavoro non di qualità che addirittura possono
sfociare anche nello sfruttamento. Quest’obbligo introdotto dalla legge 107 quindi apre una
partita. È una partita che può andare male, come sta facendo (?) il governo non attivando il dialogo
sociale che è uno strumento fondamentale per realizzarla, ma è una partita che può andare bene
se noi politicamente riusciamo a contrastare questo modo di gestirla del governo, come stiamo
facendo su diversi fronti, e se anche ci impegniamo in prima persona, come forza sociale, per far
riuscire l’alternanza scuola-lavoro.
Allora noi su quali fronti ci teniamo che l’alternanza riesca? L’alternanza è uno strumento per
cambiare la scuola perché (quello che veniva detto anche prima nell’intervento di spessore fatto da
Vita) oggi non è più possibile apprendere solo nell’ambito delle istituzioni formali, solo nell’ambito
della scuola o solo nell’ambito dell’università. Oggi l’apprendimento accade in maniera diffusa.
L’apprendimento non formale e l’apprendimento informale hanno sempre più rilievo.
Questo vale soprattutto per le competenze che servono poi per il lavoro. È impossibile apprenderle
tutte dentro la scuola.
Per cui l’apertura della scuola e dell’università, la dialettica tra l’apprendimento formale e
l’apprendimento non formale, come avviene nell’esperienza dell’alternanza, è la via per
apprendere nella società contemporanea, nella società complessa in cui viviamo.
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Secondo, è lo strumento per cambiare la scuola perché la didattica delle competenze, che è al
centro dell’alternanza scuola-lavoro, è il modo migliore per intercettare tutte le intelligenze. Noi
abbiamo una scuola che oggi ancora esclude dal minimo indispensabile per avere (come sempre
diceva Vita) quella capacità di orientarsi, quindi di salvare in fondo la democrazia nella società
globale e complessa, se tutti hanno delle competenze e delle conoscenze di base che oggi per noi
sono il diploma di istruzione. Infatti noi rivendichiamo l’obbligo dei 18 anni. Però noi non possiamo
limitarci ad agitare la bandiera dell’obbligo a 18 anni: dobbiamo fare la nostra parte perché la
didattica delle competenze si diffonda nella scuola anche attraverso l’alternanza, e tutti i soggetti
che noi vorremmo obbligati ad andare a scuola fino a 18 anni raggiungano effettivamente le
competenze che servono per vivere e lavorare in una società qual è la nostra e quindi per salvare in
sostanza la nostra democrazia contro i rischi del populismo crescente.
Quindi queste sono le ragioni che ci spingono a questo impegno, oltre al fatto che effettivamente,
così come è impostata oggi, che in qualche modo rispecchia per molti aspetti quello che noi
abbiamo sempre chiesto, non è l’alternanza per alcuni che non vanno bene a scuola: è l’alternanza
per tutti e che serve a tutti a raggiungere il diploma di istruzione più altre competenze aggiuntive.
Quindi è un valore aggiunto per lo studente, per (?) e per la democrazia.
Che ruolo possiamo giocare noi in questo? Noi siamo l’alternanza scuola-lavoro. Noi
rappresentiamo il mondo del lavoro. Cioè, la CGIL ha un patrimonio di cultura del lavoro, di
competenze professionali legate al mondo del lavoro che se la CGIL non mette in gioco non mette
in gioco nessuno. Oppure lo mette solo in gioco, dal suo punto di vista, Confindustria. Noi abbiamo
invece un altro punto di vista che deve entrare in gioco allo stesso modo e che anche questo è un
modo di formare alla democrazia perché gli studenti possono rendersi conto che il patrimonio
culturale del mondo del lavoro non è solo nelle imprese ma è anche in quei soggetti che
rappresentano il mondo del lavoro.
In questo modo qui capiscono che il mondo del lavoro è un (fatto dialettico?), capiscono che il
mondo del lavoro si può cambiare perché la dialettica porta il cambiamento, capiscono che noi
rappresentiamo un punto di vista che è il punto di vista dei soggetti più deboli del rapporto
lavorativo e in questo noi siamo un punto di vista critico.
Questo vuol dire allora avere una visione del mondo del lavoro, se noi siamo in campo dentro
questi percorsi formativi, che non è solo adattativa, io non mi devo solo adattare al lavoro così
com’è: io lo posso cambiare perché c’è questa dialettica, perché esistono delle forze che
rappresentano i soggetti più deboli del rapporto di lavoro, dell’asimmetria del rapporto di lavoro.
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Queste sono le ragioni fondamentali; oltre al fatto che, se la scommessa riesce e se si riesce a
creare e a diffondere la qualità dell’alternanza scuola-lavoro, ne giova anche il sistema produttivo
(perché no?), perché noi abbiamo un sistema produttivo che domanda poca conoscenza, che non è
abituato a usare le competenze del mondo del lavoro, ad apprezzare la qualità del lavoro.
Coinvolgerlo in maniera corretta a costruire le competenze che servono per il lavoro è un modo per
far cambiare anche il sistema produttivo, cioè per spingerlo a posizioni di maggiore apertura,
all’innovazione e alla valorizzazione della qualità del lavoro.
Queste sono le ragioni per cui noi ci impegniamo. In che modo possiamo impegnarci? Come
dicevo, mettendo in gioco il nostro patrimonio culturale che è vario. È un patrimonio culturale di
chi rappresenta il lavoro ma di chi conosce il mondo del lavoro. Pensiamo agli archivi storici,
pensiamo anche al patrimonio artistico che abbiamo nelle nostre sedi che può entrare in
coprogettazione per la scuola anche per curriculum che non ci aspettavamo di tipo umanistico,
storico, letterario. Questo da un lato.
Dall’altro lato, abbiamo delle competenze. Prendiamo i due settori su cui fino ad adesso abbiamo
cominciato (perché è un percorso che è all’inizio, ci siamo focalizzati e abbiamo fatto una prima
giornata a giugno e un corso di un giorno e mezzo a ottobre). Sulle materie di salute e sicurezza del
lavoro e sulle materie di mercato del lavoro, orientamento al lavoro, diritti del lavoro chi più di noi
ha queste competenze? Nei percorsi di alternanza questi argomenti devono entrare, alcuni in
maniera obbligatoria, come la salute e sicurezza del lavoro. Altri devono entrare perché, se ci si
rapporta con il mondo del lavoro, il mondo del lavoro è fatto di diritti, è fatto di contrattazione, è
fatto di (capacità?). Noi abbiamo queste capacità, abbiamo queste competenze e dobbiamo
metterle in gioco nell’interazione con la scuola.
Però dobbiamo crescere in capacità formativa perché noi questa opportunità la possiamo cogliere
perché abbiamo già… ci siamo stupiti. Cioè, aprendo questo percorso di “LAB scuola lavoro”,
abbiamo scoperto che in più territori di quanti noi ci immaginassimo sono presenti già dei
compagni che, di loro sponte, vanno nelle scuole e fanno dei percorsi di orientamento al lavoro, di
mercato del lavoro, diritti, salute e sicurezza. Cioè, ci sono già esperienze in corso che vanno
valorizzate, rafforzate e diffuse attraverso una crescita della capacità formativa perché, per
rapportarsi correttamente per una buona alternanza scuola-lavoro, non basta (anche se la cosa è
importante e utile) fare un singolo intervento isolato ma occorre saper coprogettare con la scuola.
Perché? Perché l’obbligo dell’alternanza introduce questo fatto fondamentale, su cui spesso non si
riflette a sufficienza, e cioè che i percorsi fatti di alternanza scuola-lavoro diventano parte
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obbligatoria del curriculum formale che porta al titolo di studio, al valore legale del titolo di studio.
Non è più una cosa aggiuntiva.
Quindi, se noi entriamo dentro un percorso formale, dobbiamo avere la capacità formativa. Come
la chiediamo alle aziende (questa è una delle prime rivendicazioni che noi stiamo facendo: che le
aziende abbiano capacità certificata da un soggetto terzo se vogliono entrare nei percorsi
formativi), allo stesso modo noi dobbiamo darci questa capacità formativa.
Questo è il senso del percorso che abbiamo realizzato. Percorso che ha avuto queste tappe che
sono state descritte, e avete anche una cartolina simpatica che già fa vedere come noi abbiamo un
patrimonio. Penso che anche le foto alle spalle fossero del genere.
Le prossime tappe sono quelle di mettere in gioco le competenze che hanno le strutture territoriali.
Noi abbiamo scelto alcune regioni, una è le Marche e l’altra è la Lombardia, e avevamo già
l’appuntamento il 3 di novembre nelle Marche però purtroppo, per causa dell’emergenza del
terremoto, si è dovuto spostare di qualche giorno. La tappa successiva è quella appunto di mettere
in gioco tutte le competenze che ha una struttura territoriale come la Camera del lavoro per poter
coprogettare in maniera flessibile, a seconda anche dei bisogni e le esigenze delle scuole a cui noi
interessiamo per le competenze che abbiamo, dei percorsi su diritti, salute e sicurezza, storia del
movimento dei lavoratori, i giovani e il lavoro. Cioè, stiamo già progettando alcuni percorso che
possono essere messi in campo.
Grazie.
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SABINA DI MARCOSegretaria nazionale Nidil
Il mio compito ovviamente è raccontarvi quello che fa NIDIL nella formazione.
Innanzitutto vi dico che NIDIL fa formazione costantemente. Da sempre, almeno due volte all’anno,
NIDIL nazionale costruisce dei corsi di formazione ritagliati sui propri dirigenti, quadri, nuovi quadri
ma abbiamo anche un’idea della formazione che è una formazione costante, quindi anche un
aggiornamento costante. Dunque è un’attività, quella della formazione, che NIDIL ha sempre fatto:
in parte anche perché ci viene finanziata, quindi utilizziamo i finanziamenti di Formatemp, che è
l’ente bilaterale per la formazione dei somministrati, e quindi in qualche modo possiamo attingere
a delle risorse che sono consolidate; in parte ce l’autofinanziamo perché pensiamo che sia appunto
fondamentale per l’attività di NIDIL.
Come vi dicevo, facciamo una formazione che è costante due volte l’anno sia per Rsa che per
dirigenti sindacali. In più facciamo un’attività di formazione formatori. La bilateralità e la
somministrazione in generale attraverso gli enti bilaterali consente, nella somministrazione, una
formazione periodica, fatta appunto dai formatori sindacali. Per noi è anche una fonte di
proselitismo importante. Quindi formiamo dei formatori affinché possano arrivare capillarmente in
tutte le aziende, in tutte le agenzie che appunto somministrano lavoro.
Noi ci avvaliamo della Fondazione Di Vittorio (sto provando a darvi delle annotazioni informative
generali per poi arrivare a fare alcune riflessioni insieme) e quindi delle competenze che possono
mettere in campo di carattere tecnico.
Considerate una cosa. NIDIL ovviamente ha delle caratteristiche abbastanza specifiche. Intanto
l’oggetto della nostra formazione è prioritariamente di carattere tecnico, nel senso che noi
abbiamo una legislazione che è sempre in movimento ed è sempre estremamente variabile. I
nostri dirigenti, i nostri sindacalisti si trovano di fronte una materia che è estremamente flessibile.
Sembra che tutti si accaniscano nel normare appunto il mondo del lavoro flessibile. Questo ci porta
ovviamente a doverci aggiornare costantemente. Quindi c’è una forte variabilità di competenze
proprie tecniche.
In più ci rivolgiamo a un mondo che è estremamente composito perché considerate la differenza
che ci può essere tra un consulente a partita Iva e un somministrato magari appunto nel settore
dell’industria a Melfi. Quindi una forte variabilità contrattuale; una grande variabilità anche di
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provenienza, culturale, di vissuto, di esperienza specifica di lavoratori che hanno appunto una
grande differenziazione tra di loro.
Quindi ci troviamo davanti a delle differenze che rendono molto difficile la costruzione dei nostri
piani formativi, li rendono molto complessi e articolati. In più i nostri dirigenti hanno anch’essi
delle caratteristiche molto diverse perché diventano dirigenti di NIDIL magari compagne e
compagni che hanno fatto un percorso all’interno dell’organizzazione così come dei giovanissimi
che iniziano il loro lavoro sindacale dentro NIDIL. Quindi capite che anche la nostra utenza, da un
punto di vista formativo, è un’utenza estremamente diversificata.
Questo per un formatore è una specie di rompicapo, nel senso che la difficoltà è grande perché hai
appunto una materia in forte evoluzione, hai un obiettivo articolato perché sono tante le forme
contrattuali, hai dei discenti che sono molto diversi tra di loro con competenze molto diverse.
Quindi, da un lato, è molto difficile la costruzione di un’aula e il poterla in qualche modo portare
tutta insieme a degli obiettivi formativi; nello stesso tempo, però, c’è una grande ricchezza e quindi
c’è una grande creatività che si sprigiona all’interno delle aule di formazione che noi costruiamo
annualmente.
La formazione che facciamo è una formazione ovviamente molto orientata al cambiamento.
Giancarlo appunto menzionava quest’idea del cambiamento come un elemento portante della
formazione confederale. Sicuramente per NIDIL il tema del cambiamento, per tutte le ragioni che vi
ho detto, non può che essere centrale. Quindi diciamo che, in qualche modo, proviamo a trasferire
un metodo, un metodo di approccio, come stare dentro a un mondo del lavoro che è
estremamente diversificato, flessibile e complesso. Dunque cerchiamo di dare ai nostri dirigenti
proprio il segno di questa necessità di flessibilità, di quest’obbligo alla flessibilità.
Per di più i nostri dirigenti in qualche modo ricoprono ruoli differenti perché, come voi sapete,
fanno attività di contrattazione, quindi svolgono un ruolo che è quello canonico del sindacalista
tradizionale ma, nello stesso tempo, spesso svolgono attività di SOL. Pensate che il 70 per cento dei
nostri dirigenti sindacali fa anche il SOL. Quindi è un numero abbastanza significativo. Così come
spesso ricoprono ruoli all’interno dei servizi. Prima ragionavamo dell’operatore polifunzionale. Noi
di fatto abbiamo già il sindacalista polifunzionale, insomma fa davvero tutto.
Per cui questa idea del cambiamento, del ruolo, della flessibilità è proprio uno dei temi portanti.
Quindi con molti lavori di gruppo, con molto scambio di esperienze, con grande interazione
nell’aula tra età, differenze, esperienze diverse, forme contrattuali e provenienze diverse.
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Dunque non può che essere centrale per noi il tema della collaborazione, cioè come si sta insieme.
Questo è un grande tema per NIDIL. Io penso che sia anche il grande tema della CGIL. Come stiamo
insieme? Cioè come riusciamo a stare insieme e a costruire qualcosa che abbia un senso?
Normalmente delle piattaforme che abbiano un senso all’interno di posti di lavoro dove sempre
più c’è appunto questa articolazione e questa differenza.
Quindi la collaborazione è uno dei temi: come si lavora insieme, come si sta insieme e come
riusciamo insieme, appunto, a fare delle proposte, anche negoziali, che siano eque un po’ per tutti.
Noi abbiamo delle esperienze interessanti sul territorio. Noi facciamo appunto, come vi dicevo, una
formazione nazionale ma c’è anche una ricchezza territoriale di sviluppo delle attività. Una delle
esperienze che per noi è stata più significativa e riteniamo che sia una buona pratica che
dovremmo esportare e su cui vogliamo ragionare in termini di espansione dell’attività è
quest’esperienza Spartaco, che probabilmente conoscete, che è appunto nata a Modena ed è
l’idea di tenere insieme i nostri delegati con i delegati delle categorie. Quindi provare a fare
qualcosa di congiunto, costantemente congiunto, in modo tale da produrre quella collaborazione e
quella ibridazione di cui abbiamo bisogno. È un termine orrendo ‘ibridazione’ ma mi è venuto così.
Diciamo questa forma di contaminazione di cui abbiamo bisogno e di cui NIDIL si fa promotore
anche nella sua attività di formazione.
È un po’ la proposta che io voglio lanciare qui, perché penso che questo sia anche il luogo giusto
per provare a ragionare di cosa fare. Penso che siano due gli elementi, dal mio punto di
osservazione, su cui è importante intervenire. Uno è proprio questo, cioè l’idea di provare a
costruire dal basso, attraverso l’attività di formazione, delle forme di collaborazioni che pongano
insieme il mondo del lavoro nei luoghi di lavoro. Allora, noi ci diamo ovviamente disponibili e
speriamo di poter promuovere un’attività e delle iniziative in questo senso, cioè poter fare una
formazione che non sia soltanto dei dirigenti di NIDIL ma che sia dei dirigenti di NIDIL con Rsa delle
categorie, provando appunto a trovare dei punti di incontro insieme.
L’altra è relativa all’altro punto in qualche modo delicato che noi viviamo che è quello della
costruzione dell’identità. Cioè, noi abbiamo giovani che si affacciano alla CGIL che hanno un
portato, un vissuto, delle esperienze molto diverse da quelle dei sindacalisti consolidati che
abbiamo all’interno della nostra organizzazione, e abbiamo la necessità e il bisogno di costruire
un’identità che sia un’identità storica ma che sia anche un’identità nuova, in qualche misura, e che
quindi tenga insieme il vecchio con il nuovo, che li faccia sentire a casa pur, in qualche modo,
riconoscendo dei valori antichi.
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Quindi su questi due temi noi pensiamo che sia necessario sviluppare un percorso. Collaborare,
provare a fare anche delle simulazioni negoziali che ci consentano, con le categorie, di capire che
lavorare insieme può essere un vantaggio per tutti. Noi su questo abbiamo già delle esperienze
consolidate e delle buone pratiche in questo senso, ma è ancora forte la resistenza da parte delle
categorie a capire quanto valore aggiunto può dare la costruzione di un negoziato insieme anche
agli altri. Noi siamo un po’ ancora irrigiditi nelle nostre dimensioni verticali e invece è importante
che troviamo il modo di lavorare insieme.
L’altra è questa idea di una costruzione di un’identità che ci porti a contaminarci: noi con chi viene
e chi viene con noi, in qualche modo. Quindi provare a costruire dei momenti. Noi abbiamo già
provato con Giancarlo ad avere dei momenti in cui lui ci portava un po’ la confederazione dentro le
nostre aule, perché quando arrivano le nostre Rsa non sanno nemmeno benissimo la CGIL chi è,
che fa, che differenza ha con altre organizzazioni sindacali ma più in generale che fa il sindacato. E
questa è una grandissima sfida. È molto bello per noi.
Quindi io raccolgo anche tutte le proposte che sono state fatte da parte degli archivi storici e da un
lavoro un po’ più storico, appunto, sulla nostra identità.
Penso che questi due temi potrebbero essere lo stimolo per il futuro per il lavoro di NIDIL.
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ANTONIO DEL ROSSOFormatore Fisac
La FISAC, che sarebbe la federazione dei bancari, assicurativi, esattoriali (lo dico per chi non li
conoscesse), ha una tradizione trentennale dal punto di vista della formazione. Per cui abbiamo
solide radici, come si suol dire.
Noi facciamo una formazione diversificata, nel senso che facciamo una formazione per le Rsa, e
quindi una formazione di primo livello. Noi abbiamo le Rsa, non abbiamo le Rsu. Siamo
probabilmente l’unica categoria che non ha le Rsu e che ha soltanto le Rsa. Quindi cerchiamo di
fare un primo percorso per le nuove Rsa sul rapporto con la CGIL, che cos’è la CGIL, quindi un
percorso di tipo identitario inizialmente, scontando il fatto che per esempio molti sono giovani e
quindi hanno un portato, soprattutto dal punto di vista valoriale, decisamente diverso dalle Rsa a
cui ho fatto formazione trent’anni fa, tanto per parlarci chiaro.
Successivamente proseguiamo questo percorso con una serie di interventi sulle competenze
trasversali, quindi parlare in pubblico, la comunicazione scritta, il team building, la gestione
dell’ansia e dello stress. Cioè, ,tutta una serie di interventi che facciamo sui livelli intermedi della
categoria e quindi spostando il livello dal livello base delle Rsa a quello dei componenti delle
segreterie territoriali, regionali o nazionali.
Negli ultimi anni, però, rispetto a quella che era la tradizione di FISAC di intervenire appunto sui
diversi livelli cercando di sviluppare competenze trasversali, abbiamo ritenuto di utilizzare anche la
formazione finanziata, visto che noi abbiamo un fondo, il Fondo banche e assicurazioni (FBA), che
praticamente nasce come una costola di un fondo bilaterale più grande, dove c’erano dentro gli
autotrasportatori e il commercio (si chiama For.te come fondo bilaterale). Le banche e le
assicurazioni si sono staccate e hanno costituito un fondo a parte. Noi chiaramente, insieme a CISL
e UIL, siamo dentro nell’ambito del consiglio di amministrazione di FBA. Abbiamo pensato di
utilizzare questo strumento della formazione finanziata perché il futuro è la formazione finanziata,
in qualche modo, anche nell’ambito sindacale.
Noi l’abbiamo utilizzato per quello che riguarda la formazione FISAC, quindi noi facciamo proprio la
formazione ai componenti delle commissioni paritetiche di formazione che negoziano i piani
formativi con le aziende su quelle che sono le implementazioni in caso di riorganizzazioni,
ristrutturazioni, riconversioni professionali. Quindi, da questo punto di vista, per noi è importante
dare gli strumenti a chi negozia, i piani e i percorsi formativi, gli elementi di conoscenza di come
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funziona un piano. E sono anni che noi lo facciamo perché riteniamo appunto che il quadro
sindacale, soprattutto a livello aziendale, debba sapere come funziona un piano formativo:
dall’analisi dei bisogni alle valutazioni di quelli che sono stati gli esiti del percorso.
Nello stesso tempo, noi abbiamo anche cercato di utilizzare FBA anche cercando di individuare
quelli che possono essere i temi che sono presenti nel dibattito attuale anche in CGIL. Mi riferisco
al fatto che per esempio noi stiamo facendo un tentativo di riuscire a fare formazione su livelli alti
dell’organizzazione su processi di digitalizzazione. Quindi, in qualche modo, andiamo incontro a
quello che è stato anche un seminario che c’è stato la scorsa settimana, Tempi moderni, Industria
4.0. Beh, le banche stanno oltre il 4.0 rispetto all’industria perché lo fanno da tempo. Tant’è vero
che nelle banche, come anche in alcune aziende tecnologiche, si parla di smart working, che è
strettamente collegato al discorso della digitalizzazione, chiaramente (?) tutta una serie di
questioni.
Queste questioni riguardano il livello di competenze professionali richieste a chi dovrà fare
appunto lo smart working e si troverà all’interno di processi di digitalizzazione dove avranno
chiaramente una ricaduta in termini di occupazione. Ma questo è il minore dei problemi,
paradossalmente, perché il maggiore dei problemi è che è vero che ci saranno nuove competenze
da sviluppare ma è anche vero che c’è il rischio che si venga a creare un gruppo di lavoratori iper-
professionalizzati e invece una massa di lavoratori, la maggior parte, dequalificata.
Questo è il rischio che può comportare la digitalizzazione, oltre anche a problemi di non poco
conto che riguardano il fatto che lo smart working di fatto implica una ridefinizione
dell’organizzazione del lavoro nelle banche (ma questo riguarda anche altri settori) che è il
rapporto tra il tempo di lavoro così come lo conosciamo noi strutturato e il tempo di non lavoro,
nel senso che per chi lavora a casa è difficile capire quando lavora e quando non lavora. Di fatto è
come se ci fosse una dilatazione dei tempi di lavoro che è chiaramente difficile da riuscire anche a
definire, a verificare e anche a negoziare, in qualche modo.
Per cui questo aspetto è un aspetto intanto tutto da scoprire, tutto da verificare e non può non
avere anche delle influenze sui due livelli. Uno, il discorso che il lavoro da sempre crei identità
sociale, e lo smart working è difficile riuscire a capire quanta identità sociale possa creare. L’altro
elemento riguarda gli aspetti cognitivi, quanto modifica la nostra percezione rispetto ai processi di
natura cognitiva, rispetto all’apprendimento.
Faccio un esempio personale (a volte può servire). Io ho quattro figli, tre femmine e un maschio, di
diversa gradazione anagrafica: dai 30 anni ai 12 anni. Nessuno dei quattro ha il televisore in
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camera, nessuno. Non l’hanno proprio voluto, nel senso che noi come genitori abbiamo pensato,
recuperando la nostra memoria, quanto fosse importante avere il televisore in camera per definire
una sorta di autonomia rispetto agli altri, invece loro lo hanno proprio rifiutato. Così come la banca
non sanno cos’è perché utilizzano lo strumento dello smartphone per fare tutte le operazioni che
devono fare, sia per quello che riguarda gli acquisti e sia per quello che riguarda i pagamenti.
Perché faccio questo esempio che potrebbe sembrare personale? Perché noi abbiamo a che fare
comunque con un mondo… diceva prima Vita che lui è analogico. Io non credo. Noi siamo tutti
digitali. Noi siamo tutti cresciuti leggendo le scritture, come si suol dire. Analogiche sono le nuove
generazioni. Le nuove generazioni sono coloro che apprendono attraverso l’immagine. Poi
eventualmente elaborano attraverso la scrittura e l’aspetto digitale ma in (una maniera?) molto
sincopata, come molti sanno se provano a parlare con i propri figli, nel senso che usano un
linguaggio molto sincopato e assolutamente gergale e codificato.
Per cui, dovendo avere a che fare con questo nuovo mondo anche in termini cognitivi, è chiaro che,
dal punto di vista della formazione, c’è tanto da cambiare; nel senso che dobbiamo pure porci non
soltanto il problema dei contenuti, ovviamente, ma anche di come questi contenuti devono in
qualche modo essere condivisi.
Grazie.
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LOREDANA TADDEIResponsabile Politiche di Genere – Cgil Nazionale
Grazie, Giancarlo.
Dunque, parliamo allora di donne.
Volevo dire che, come ormai ben sappiamo, in Italia manca una visione complessiva che veda la
questione femminile nella sua interezza, ovvero dalla bassa partecipazione al mercato del lavoro ai
problemi mai risolti della conciliazione tra vita e lavoro, la mancanza di servizi sociali, di asili nido,
l’eccessivo part-time involontaria. Insomma, tutti temi che rendono l’Italia tra i paesi peggiori per
una donna che lavora, che ne pagherà poi i riflessi anche nell’età pensionabile perché, come
sappiamo, poi la pensione è nello specchio dell’intera vita.
Quindi la mancanza di lavoro per le donne (che insieme ai giovani sono più penalizzate da questa
lunga crisi) ostacola lo sviluppo sociale ed economico del paese, ed è sintomatico di una condizione
generale di disuguaglianze in continua crescita, quelle disuguaglianze di cui parlava all’inizio
Giancarlo, nella sua relazione introduttiva, e che tra uomini e donne sono tra le più marcate. Tu ne
parlavi in generale, ma tra le disuguaglianze quelle più marcate sono proprio tra uomini e donne.
Tant’è che in Italia il numero delle donne che lavorano è del 20 per cento inferiore a quello dei
maschi e siamo quindi, per occupazione, per accesso al mercato del lavoro, il fanalino di coda
d’Europa, ad eccezione di Malta. Una donna su quattro lascia il lavoro dopo il primo figlio e le
retribuzioni spesso arrivano a essere anche del 30 per cento in meno di quelle di un uomo a parità
di mansioni.
Servono dunque politiche che contrastino le discriminazioni e queste disuguaglianze così profonde,
avendo presente che il principale sostegno alla maternità e al contrasto alla violenza è quello
proprio degli investimenti per aumentare l’occupazione femminile.
La necessità di politiche maggiormente orientate in un’ottica di genere non risponde tra l’altro
soltanto a una banale o elementare questione di equità tra i sessi ma costituisce appunto, come
dicevo prima, un vero e proprio volano per la crescita, per lo sviluppo e la creazione di nuovi posti
di lavoro, oltre che a incidere sul tasso di natalità italiano.
Ma se i risultati continuano a non esserci, anzi se si registra anno dopo anno un peggioramento
delle condizioni materiali delle donne italiane, vuol dire che le strategie fin qui adottate sono
sbagliate e quindi vanno corrette, anche perché questo è stato l’anno del Jobs Act e appunto
continuiamo a registrare arretramenti. Quindi qualcuno poi se la dovrà pure porre questa
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domanda. Invece continuiamo a essere tutti d’accordo e concordi su questa analisi che appunto il
benessere delle donne coincide con il benessere del paese eccetera, dopodiché non succede
niente. Anzi peggio: si continua ad andare indietro.
Quindi vuol dire che ormai è diventato un mantra. Però è pericoloso questo. Dobbiamo fare in
modo che non sia più un mantra, che non diventi una banalità, che non diventi un luogo comune
che si ripete in ogni convegno ma bisogna che tutti ci attiviamo perché la situazione cambi.
Perché dico ‘tutti’? Perché riguarda anche noi. Per la contrattazione, ad esempio, è particolarmente
rilevante. La contrattazione aziendale può essere una formidabile occasione per stimolare e
realizzare appunto questo necessario cambiamento di passo dall’ottica cosiddetta neutra (che vuol
dire al maschile) a quella di genere. Altrimenti si rischia di aumentare queste disuguaglianze a
partire da quelle salariali.
Molto, è vero, certo, dipende dalla disponibilità delle imprese ma anche dalla sensibilità e dalla
determinazione delle rappresentanze sindacali aziendali su questi temi che devono farli loro, sia gli
uomini che le donne, e non considerarli temi femminili di cui devono occuparsi le donne che fanno
contrattazione.
Insomma, se vogliamo essere efficaci dobbiamo cambiare anche noi il nostro sguardo, con una
prospettiva di genere che pervada l’intera architettura contrattuale e che riesca a essere incisiva
sugli istituti contrattuali almeno quelli più importanti, come inquadramento e salario, che sono
invece ancora fortemente discriminatori. E possibilmente, per questa via, si dovrebbero anche
consolidare e ampliare le misure che riguardano la conciliazione (io preferirei cominciare a
chiamarla ‘condivisione’).
In molte realtà nella contrattazione di secondo livello le pari opportunità (lo sappiamo bene tutti)
hanno ancora oggi una posizione del tutto marginale. La sfida allora, per una contrattazione
davvero innovativa, è cancellarne questa dimensione di parzialità, questo tratto caratteristico di
contrattazione residuale e di nicchia che l’ha caratterizzata finora, anche perché io ancora oggi nei
nostri convegni sento parlare delle donne come di una categoria. Ora io vorrei che anche qui
facessimo un passo avanti. Le donne non sono una categoria, anzi siamo in Italia oltre la metà della
società. Quindi dovremmo superare questo linguaggio che però appunto è sintomatico di un
pensiero che, secondo me, è indispensabile cambiare. La CGIL per prima dovrebbe fare proprio da
apripista e in questo senso fare scuola.
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A proposito di contrattazione, la proposta che vi faccio è quella di potenziare il monitoraggio, e
quindi lavorare a questo potenziamento del monitoraggio, per consentirci di analizzare le criticità
in tema di contrattazione appunto poco di genere e cambiare quindi il tiro.
La formazione. La formazione è la vera sfida e, come ha detto Giancarlo, deve essere e può essere
il vero strumento di cambiamento. Qualcuno ha parlato di un investimento. Sono perfettamente
d’accordo e ne sono convinta perché la formazione è proprio un altro ambito fondamentale per
combattere le disuguaglianze e le discriminazioni, a partire da un’organizzazione critica
dell’organizzazione del lavoro che, come ben sappiamo, è stato sempre modellato sui maschi.
Anche lì bisogna invece cominciare a pensare all’organizzazione del lavoro in un ottica di genere.
Così come è necessario rafforzare (in qualche intervento è stato detto) le competenze dei soggetti
coinvolti nell’attività negoziale e incentivare percorsi di formazione dedicati alle donne che
impattino anche sui percorsi di carriera, ma anche dedicare dei corsi di formazione appunto agli
uomini proprio perché ci sia una maggiore sensibilità sulla formazione di genere, e anche per
veicolare le buone pratiche messe in campo che spesso sono sconosciute dagli stessi
coordinamenti delle donne e nelle diverse strutture sindacali e aziendali, quando non addirittura
dall’intera CGIL, dall’intera organizzazione nel suo complesso. Ma soprattutto è fondamentale,
secondo me, che la formazione sia sempre strutturata in un’ottica di genere, che non sia più
neutra.
La violenza. Ci avviciniamo al 25 novembre. A proposito di informazioni condivise, volevo ricordare
due misure che sono molto recenti e che costituiscono un passo avanti rispetto al tema della
violenza. La prima è quella che riguarda il congedo per le donne che intraprendono percorsi di
protezione prevista dal Jobs Act. Sapete che c’è questa norma nei luoghi di lavoro che consente, a
una donna che ha subito o comunque che rischia di subire violenza, di intraprendere questi
percorsi di protezione attraverso un congedo che può arrivare fino a tre mesi.
Ci sono voluti nove mesi perché questo provvedimento non rimanesse lettera morta, a causa della
mancata circolare applicativa dell’INPS. Finalmente, dopo una battaglia, abbiamo avuto questa
circolare dell’INPS. Ora questa norma è esigibile. Mi chiedo quanto sia conosciuta.
Un’altra novità importante è quella che riguarda le molestie e le violenze nei luoghi di lavoro.
Anche questa è stata frutto di lunghissime battaglie, qui addirittura ci sono voluti nove anni perché
in Italia venisse recepito l’accordo quadro europeo su questi temi delle violenze e molestie. A
gennaio di quest’anno è stato finalmente siglato dalla Confindustria, insieme a CGIL, CISL e UIL.
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Quindi abbiamo poi informato tutte le strutture e le abbiamo sollecitate a declinarlo nei territori
proprio perché è fondamentale che le violenze e le molestie siano denunciate con la necessaria
collaborazione di lavoratori e imprese affinché sia rispettata la dignità qui dico delle donne e degli
uomini. Dico “delle donne e degli uomini” perché questa non è una norma esclusivamente per le
donne ma questa riguarda tutti. Poi sappiamo bene che normalmente sono più interessate le
donne a questo tema però riguarda tutti.
Quindi sarebbe importante che, entro il 2017, la nostra organizzazione si impegni in un percorso
formativo di sensibilizzazione contro la violenza rivolto in particolare alle scuole e anche in un
cammino di formazione rivolto in particolare ai sindacalisti maschi che sono impegnati nella
contrattazione. Insomma, mi sembra una cosa importante e anche una bella sfida.
Grazie.
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CRISTIANA RICCIResponsabile Formazione Cgil Liguria
Inizio il mio intervento con un apprezzamento per la raffigurazione icnografica scelta per
rappresentare questo nostro incontro; la piantina ben evidenzia il lavoro che dovremo andare a
fare. ‘Icnos’ in greco significa traccia, orma. Quindi un orientamento che noi tutti possiamo avere
su come orientarci e su come trovare una meta insieme, in sinergia ma anche in completa
autonomia, come quando ci si avventura in una città e ognuno di noi ha una piantina e poi ci si
ritrova tutti in un punto.
Voi trovate in cartellina alcuni progetti, alcuni eventi, alcune iniziative della Camera del lavoro di
Genova e della CGIL della Liguria. Scelgo di iniziare con le slides del Progetto Athena.
Il Progetto Athena è un progetto che è nato vent’anni fa, quindi ha compiuto vent’anni proprio in
questo periodo. È un progetto che dura da tempo articolato in tre anni, come andremo a vedere.
È nato a Genova, la scuola di formazione prende il suo nome (la ritrovate nella piantina): Athena
(dea della sapienza).
Com’è articolato? Il primo anno è denominato ‘Identità’ ed è rivolto ai delegati di prima nomina: i
sindacalisti di primo livello.
Il secondo anno, denominato ‘Orientamento’, fornisce gli elementi del saper fare per permettere ai
corsisti che hanno frequentato il primo anno, la possibilità di individuare il ramo preferenziale nel
quale esplicare le proprie competenze di sindacalisti.
Poi è previsto un terzo anno di specializzazione caratterizzato da un tipo di formazione più
personalizzata, che va concordata con le categorie di appartenenza dei partecipanti al corso, al fine
di poter utilizzare le capacità acquisite nell’ambito delle esigenze dell’organizzazione. E’ un sistema
piuttosto complesso e orientativamente riesce a coinvolgere i corsisti almeno sino al secondo anno
in maniera fisiologica, naturalmente.
Le aule sono composte da corsisti provenienti da tutte le categorie, con la volontà di darne una
connotazione confederale. In particolar modo La Spezia ha un suo ufficio formazione (qui accanto a
me Barbara Minosa ne è la responsabile) che progetta e conduce corsi base con un metodo e
contenuti condivisi.
Le docenze sono interne all’organizzazione ma non solo, e complessivamente le giornate sono
quindici/diciotto. Abbiamo ultimamente dei problemi ma questo non solo per il Progetto Athena,
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che è molto lungo, bensì anche per i corsi base, per quanto riguarda le agibilità, come tutti voi ben
saprete, ma in questo in qualche modo la formazione a distanza ci può venire in aiuto.
I contenuti sono quelli che ci accomunano un po’ tutti. È prevista una parte (prima di me parlava
appunto Loredana) riguardante la contrattazione di genere che è inserita nel progetto. Questo
proprio per andare incontro a un’esigenza che è quella non di individuare il contenuto e la platea
ma di inserire quelle che sono le tematiche di genere nel programma comune, quindi rivolto a
tutti, corsisti e corsiste.
Eventi aperti. Poi un minuto lo dedicherò a questo aspetto.
Il metodo comprende simulazioni, gioco di ruolo, lavori di gruppo. I lavori di gruppo normalmente
nei corsi in Liguria precedono le comunicazioni. Questo proprio per consentire l’espressione dei
saperi in qualche modo sopiti dei corsisti e farli emergere e poi integrare.
Proposte (con questo chiudiamo): l’ampliamento dei compiti propri degli uffici di formazione:
ideazione e realizzazione di eventi anche esterni di carattere culturale, politico e sociale in
collaborazione con le Camere del lavoro e i soggetti interessati. Questo è un punto che a me sta
molto a cuore: come un ufficio di formazione possa in qualche modo ampliare e volgere il proprio
sguardo oltre l’aula pensando a quali contenuti di carattere culturale, potrebbero essere veicolati e
organizzare eventi che possano essere fruibili anche dalla cittadinanza.
A questo proposito noi abbiamo pensato (e lo ritrovate in cartellina) a un progetto che si sta
avviando ora, anche usufruendo di questa possibilità che si è aperta dell’alternanza scuola-lavoro,
che si intitola “Lavoro, arte e cultura”.
Stiamo già prendendo contatti con licei scientifici e classici e cerchiamo appunto di coinvolgere gli
studenti e le studentesse e di aprire il nostro mondo, molto ricco e variegato, dal punto di vista
anche artistico e culturale, che vorremmo valorizzare e aprire alla cittadinanza.
Un altro evento, ad esempio, di un’altra tipologia ma comunque un evento aperto che faremo il 23
di marzo, sarà sui femminismi islamici a Palazzo Ducale la Fondazione per la cultura. Questo
evento è organizzato dalla CGIL Liguria ma verrà aperto alla cittadinanza, con soggetti esterni e
nell’ottica di allargamento dei nostri interessi e dei nostri compiti.
Un’altra proposta, che in parte stiamo già attuando, è: integrazione all’interno di una progettazione
sistematica della formazione a distanza come momento successivo alla formazione d’aula.
Grazie.
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LORENZO FASSINAResponsabile Ufficio Giuridico Cgil Nazionale
Innanzitutto io sono Lorenzo Fassina, da qualche mese nuovo responsabile dell’ufficio giuridico e
vertenze della CGIL nazionale, e sono qui appunto per parlarvi, continuando con questi acronimi,
della FAD degli UVL. Noi siamo seppelliti di acronimi oggi. Quindi la formazione a distanza degli
uffici vertenze.
Cosa fanno gli uffici vertenze? Sostanzialmente curano l’elemento patologico dal punto di vista dei
diritti dei lavoratori. È chiaro che, in una situazione come questa che stiamo vivendo negli ultimi
anni di negazione dei diritti, gli uffici vertenze hanno ovviamente un ruolo assolutamente centrale
e fondamentale e toccano la carne viva proprio dei lavoratori.
Quindi c’è un’esigenza, molto forte e molto avvertita, di una condivisione, di una conoscenza alta e
capillare per quanto riguarda sia la conoscenza della contrattazione che della conoscenza appunto
invece della legislazione che, come sapete e come è già stato detto molte volte, ha subito una
stratificazione in questi ultimi quindici anni che è veramente paurosa. Riguarda quella
stratificazione delle normative previdenziali di qualche anno fa, che ci sono state tra gli anni
Ottanta e i Novanta. Quindi c’è un groviglio di normative che rendono molto difficile il lavoro del
vertenziere per la tutela dei lavoratori.
Perché siamo arrivati a questa necessità di costruire una formazione a distanza per gli uffici
vertenze? La necessità è nata dalla constatazione di alcuni fatti, di alcuni fattori evidenti. Il primo è
che c’è sempre stata una notevole disomogeneità tra le competenze tra i diversi funzionari UVL in
giro per l’Italia. Questo ha portato a una diffusione delle conoscenze e delle buone pratiche un po’
a macchia di leopardo.
Faccio un esempio. Pochissimi conoscevano l’utilizzo del blocco cautelativo dei beni delle imprese
durante le vertenze. Questa è una cosa che è stata diffusa attraverso gli strumenti che abbiamo
noi, cioè che fino a ora abbiamo, cioè quello delle riunioni, delle mailing list, ma non c’è un sistema
di condivisione delle conoscenze utile a diffondere le buone pratiche che esistono in molti territori
e che sono gestite da pochi vertenzieri con molta esperienza. Quindi diffonderli a tutti quanti gli
altri vertenzieri.
Questo è il secondo punto.
L’ultimo punto, che non è sicuramente il meno importante, è la constatazione del fatto che
comunque gli uffici vertenze hanno segnato uno scarto, a favore appunto dei professionisti e degli
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avvocati, nell’attribuzione delle risoluzioni di alcune vertenze. Questo significa che, in molti casi, è
successo che gli avvocati hanno avuto in appalto, dai vertenzieri, la gestione delle vertenze. Quindi
questo è stato un sintomo chiarissimo di una mancanza progressiva di competenze che appunto
non sono state portate avanti in questi ultimi anni, soprattutto poi in considerazione del fatto della
stratificazione normativa e delle difficoltà obiettive che noi abbiamo nel mondo del lavoro, vista
appunto la crisi e quant’altro.
Quindi ovviamente noi abbiamo ritenuto utile, su imbeccata di Emanuele Ferretti dell’UVL del Lazio
(lui l’aveva già sperimentato a livello regionale), prendere spunto da questa esperienza sul
territorio per costruire, assieme all’ufficio formazione nazionale, un progetto di formazione a
distanza.
Come abbiamo fatto? Seguendo un principio molto semplice: quello del seguire un metodo di
lavoro che partisse dalla rilevazione dei fabbisogni. Noi innanzitutto abbiamo, nell’ottica di un
coinvolgimento anche degli uffici vertenze sul territorio, convocato due focus group a marzo (una
sorta di brainstorming) dai quali sono nate delle idee su come poter imbastire, mettere su e
continuare questa formazione a distanza.
Da questi due focus group sono appunto sorte delle esigenze. Alla fine di questi focus group, di
questi brainstorming, siamo riusciti a condividere l’idea di una necessaria rilevazione dei fabbisogni
formativi. Quindi abbiamo costruito un questionario e l’abbiamo diffuso a tutti quanti i vertenzieri
che noi conosciamo, che noi abbiamo nelle nostre possibilità di raggiungere, ovviamente le nostre
mailing list.
Abbiamo ricevuto circa 200 questionari, sulla base dei quali noi abbiamo costruito un piano
formativo. Questo piano formativo è stato presentato il 19 settembre, assieme a Giancarlo
Pelucchi, a molti esponenti degli uffici vertenze e si sostanzia praticamente in tre moduli.
Il primo è un modulo di base riguardante le fonti del diritto. Questo modulo del progetto
praticamente è già concluso, stiamo solamente finendo di metterlo a posto dal punto di vista
redazionale e in video. Ci sembra un prodotto piuttosto buono, con una qualità degli interventi di
professori molto buona, tutti professori gravitanti attorno all’Ufficio giuridico e alla Consulta
giuridica, che è questa entità che è risorta anche attraverso questo strumento della formazione a
distanza.
Il secondo modulo è quello che ha più diretta attinenza alle esigenze che sono state espresse
attraverso la verifica dei questionari. Infatti noi abbiamo una parte iniziale che è dedicata proprio
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all’accoglienza, alle tecniche di verifica anche dei bisogni inespressi del lavoratore che si presenta di
fronte a un funzionario degli uffici vertenze.
Questa prima lezione ha un taglio molto pratico, ha un taglio che richiede una docenza di un
vertenziere, di un responsabile degli uffici vertenze con molta esperienza perché sappiamo bene
(questo come nella logica anche dell’operatore polifunzionale) che un lavoratore, quando arriva nei
nostri uffici e si presenta di fronte a un funzionario degli uffici vertenze, certe volte neanche lui sa
bene di che cosa ha bisogno. Quindi bisogna riuscire, attraverso un’attenta analisi della situazione
complessiva del lavoratore, a capire quali sono anche i bisogni inespressi.
Quindi noi abbiamo messo in cantiere una video-lezione (è una formazione a distanza) anche su
questo aspetto, che non è propriamente didattico-nozionistico sulle cose che un vertenziere deve
conoscere normalmente (cioè la conoscenza delle leggi e dei contratti), ma anche sull’aspetto
relazionale che è un aspetto che noi abbiamo verificato essere un fattore di grande stimolo per gli
operatori degli uffici vertenze.
C’è, accanto a questo, ed è molto importante, una grande esigenza di condivisione, di
collaborazione e di coordinamento sia tra gli uffici vertenze ma anche tra gli uffici vertenze e le
categorie. Io spero che questo strumento sia molto utile per imbastire, in futuro, un discorso che
non coinvolga solamente gli uffici vertenze ma anche le categorie perché credo che sia
assolutamente fondamentale che per il futuro ci sia un’integrazione anche su questo punto di vista,
perché noi non possiamo continuare ad avere delle situazioni di distinzione quando si tratta
appunto di tutelare i diritti dei lavoratori che fanno parte comunque del patrimonio universale
della CGIL.
E mi piace concludere questo piccolo intervento con un ringraziamento. Io non avevo visto questa
prima linea 1 che parte dalla Carta dei diritti universali e arriva fino agli uffici vertenze e legali. È
quasi un omaggio all’ufficio giuridico e all’ufficio vertenze perché, come sapete, l’ufficio giuridico è
stato la fucina della redazione della Carta dei diritti.
Quindi, vedendo questa linea 1 della formazione a distanza che parte dalla Carta dei diritti
universali e arriva agli uffici vertenze legali, mi fa un enorme piacere e vi ringrazio.
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ALESSIO GRAMOLATIUfficio Progetto Cgil Nazionale
Ci sono due bei temi che ricorrono nella vostra discussione che sono stati centrali nella discussione
tra me e Giancarlo quando ci siamo cimentati in quest’occasione che mi veniva offerta.
Il primo è quello del cambiamento; il secondo è esattamente il valore della formazione dentro
questo processo. Se un cambiamento non lo si vuole subire, è evidente che l’unico modo per
governarlo è avere le competenze per poterlo fare.
Allora la prima domanda che viene è: siamo in una fase di cambiamento o siamo in una fase
sostanzialmente in continuità con la precedente? Già quello che sta per accadere stasera negli Stati
Uniti ci dice di quanto grande sia la dimensione del cambiamento. E quello che sta accadendo, se la
posso alzare un capellino, non è tanto l’esito di una competizione elettorale quanto il fatto che
viene meno un modello, una stagione: quella della terza rivoluzione industriale.
Il paradigma che ha governato per un periodo non banale e non cortissimo, anche se più stretto
rispetto alle altre rivoluzioni, è entrato in crisi. Con chi? Con l’opinione pubblica, con il sentiment
dei cittadini.
Se la volete prendere da un altro punto di vista, perché non vorrei allarmare sugli esiti di quella
campagna elettorale, quando si parlava della deriva populista, io vi inviterei a provare a chiamare
alla vostra mente alcuni episodi che sono avvenuti nel corto circuito che c’è tra l’opinione pubblica
e (?) classi dirigenti, che non sono le elezioni ma sono i referendum. In Columbia al popolo è stato
chiesto: siete per la pace o per continuare la guerra? Cioè una domanda che da noi potrebbe fare
Frassica tutte le sere. Ecco, ha vinto: continuiamo la guerra.
Uno stesso quesito posto in termini altrettanto persino provocatoriamente scontati è quello di
Ungheria. Siete d’accordo che l’Unione europea faccia venire tutti gli immigrati che vuole senza
sentire il popolo ungherese? Sarebbe come a dire: siete contenti che in casa vostra possa venire
chiunque senza suonare il campanello a ogni ora del giorno e della notte? Una persona assennata
direbbe: no, non sono d’accordo. Non gli hanno dato il quorum, quindi non gli hanno dato la
maggioranza a una domanda così banale, per arrivare alla Brexit e per arrivare al fatto che la
Spagna ha avuto il miglior risultato economico, senza governo, di tutta l’Europa.
Questo corto circuito sta nel fatto che l’idea che ha attraversato tanto la destra e tanto la sinistra,
cioè le classi dirigenti, ossia che la informatizzazione e la globalizzazione avrebbero generato
benessere diffuso, invece quella terza rivoluzione industriale non ha generato benessere diffuso
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perché non è riuscita a costruire il modello sociale, quel modello che un americano che riflette,
tale Gordon, ha provato a descrivere in un libro che è uscito un mesetto fa che racconta appunto di
come, nelle stagioni delle rivoluzioni industriali, la seconda sia stata quella più efficace perché, in
quella seconda, alla trasformazione tecnologica, ha corrisposto un progetto sociale, perché nella
seconda rivoluzione industriale si forma il welfare state e la riduzione dell’orario di lavoro.
Cioè, ai legittimi dubbi, al legittimo sentimento anche di resistenza all’innovazione che c’era nel
lavoro, il luddismo, si risponde con uno scambio.
Questa roba è andata in crisi.
Io non so se 4.0 sarà una quarta rivoluzione industriale: dipenderà da quanta innovazione sarà
capace di produrre. (Wolf?) dice che c’è poca crescita perché c’è poca innovazione, c’è poca
innovazione perché ci sono pochi investimenti. E il nostro paese, da questo punto di vista, è
campione. Fatto 100 il Duemila, nella crescita di produttività (indagine dell’ISTAT uscita qualche
giorno fa) l’Italia è salita a 101 nel 2016. In sedici anni siamo cresciuti di un punto di produttività, la
Francia è a 115 insieme, la Germania a 118.
Va da sé che, se la (?) non ci piace e l’innovazione è un’occasione per crescere, noi con questa sfida
dovremo misurarci. Siamo pronti? Poi vi do esito dell’incontro fatto con il ministro Calenda stamani
che chiude questa mia prolusione.
Noi pensiamo che non siamo nell’ottimo per ragioni oggettive e soggettive. Le ragioni oggettive
sono state il fatto che noi veniamo da una stagione sostanzialmente ancorata alla difensiva. Noi
siamo stati, in questi nove anni di crisi, i principali protagonisti di una stagione di contenimento
(degli effetti?), un lavoro enorme dal punto di vista anche della tenuta sociale, anche dal punto di
vista della tenuta democratica perché un paese che perde il 25 per cento della capacità produttiva,
ha il 40 per cento dei giovani disoccupati, perde l’equivalente di mille miliardi di investimenti se si
fosse stati in quella traiettoria, è un paese in cui (?) futuro può capitare di tutto.
Io dico sempre: strano che un Trump non arrivi qui.
Voce fuori microfono incomprensibile
Alessio Gramolat: No, no. Altrimenti non si ha idea di cosa rappresenti Trump negli Stati Uniti,
come non si ha presente di che cos’è la nuova destra che sta avanzando in Europa. Non
paragoniamo nulla a quello che abbiamo conosciuto perché altrimenti commetteremmo un errore
d’analisi, da questo punto di vista. Non è il berlusconismo, e non sono i modelli democratici che
abbiamo subito in quelle circostanze: siamo di fronte a una deriva esattamente populista che ha il
segno della possibilità della guerra come il male minore rispetto a una serie di circostanze.
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Ora non la voglio fare questa discussione, non voglio fare la discussione politica. Torno a noi.
Noi siamo stati, in questa stagione, protagonisti. Per usare un paragone che a me non piace perché
tutta la mia storia è contro la guerra però, usando il motto della legione straniera, i primi ad
arrivare, gli ultimi ad andar via. E però, mentre noi ci siamo concentrati su questo, questa
trasformazione e questo cambiamento è entrato in circolazione. Noi abbiamo un 20-25 per cento
di imprese che stanno determinando il fatto che ancora in questo paese si può parlare di una
tenuta industriale. Di questo mondo noi non abbiamo assolutamente conoscenza. E non abbiamo
politiche contrattuali per questo mondo. Chi si propone di tenere insieme il mondo del lavoro deve
provare a mettere insieme la situazione critica con la situazione di sviluppo, naturalmente sapendo
che l’offerta si deve diversificare se li vuoi tenere insieme.
Allora noi siamo partiti da questa considerazione provando a vedere come qualificare la nostra
offerta. Prima di tutto dotandoci degli strumenti. Il primo strumento è stato un coordinamento
sulle politiche industriali perché di questi temi non c’era un luogo, a differenza delle vertenze, a
differenza del mercato del lavoro, a differenza dei quadri, nel quale tutte queste competenze
convergessero. Ci siamo dotati di un comitato scientifico di valutazione industriale che ha una
specifica competenza (che poi provo a descrivere sommariamente) e una consulta industriale, cioè
abbiamo fatto quello che il nostro ufficio giuridico aveva fatto con giuslavoristi, avvocati, giuristi e
quant’altro, cioè abbiamo preso le migliori competenze di campo sindacale, di campo accademico,
di campo industriale. Noi abbiamo delle persone che, fino a qualche tempo fa, erano capitani di
industria che collaborano con noi. Abbiamo il policy manager di Google Italia che, tra l’altro,
collabora a diverse delle nostre iniziative. Lasciamo perdere perché altrimenti entriamo nel
dettaglio delle persone.
Poi ci siamo dati gli strumenti. Quali strumenti? Nessuno per sostituire il lavoro straordinario che si
sta facendo, nessuno per sostituirsi alle vertenze, per sostituirsi ad Agenquadri, per sostituirsi
all’attività formativa. Nessuno di questi perché questi ci sono. Abbiamo provato a individuare gli
strumenti che portassero la contrattazione laddove la contrattazione è stata più debole. Dov’è che
siamo stati più deboli negli anni della crisi? Se siamo stati sulla difensiva vuol dire che non siamo
stati forti nel prevenire i problemi, cioè nella contrattazione ex ante piuttosto che quella ex post.
In quali luoghi? In tutta la filiera. Non voglio scomodare altri territori ma potrei citare un caso per
ciascun territorio nazionale. Prendo la Toscana che, potete immaginare dall’abuso delle ‘c’, mi è
familiare, diciamo così. Si presenta, a un certo punto, la necessità di razionalizzare la dimensione
industriale del gruppo. Il gruppo Electrolux ha una grande intuizione. Dice: io non voglio cancellare
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lavoro. Anziché dare questi soldi alle persone che cancello, li do a uno che li assume. Quindi fa
un’operazione posto (?) posto.
Si presenta una pletora di soggetti. Vince uno; vince uno che, presi i soldi, va in galera perché porta
l’azienda alla bancarotta. Quando è in galera si scopre che lui ne aveva già fatti due o tre di questi
traffici e nessuno ce lo aveva detto, presentato dal Ministero dello sviluppo economico e non da
Giancarlo (?). No, presentata qui a Roma con i bolli di tutti.
C’era un modo per poter evitare? Certo. Negli altri paesi c’è un modo: in Francia, in Germania,
negli Stati Uniti. Persino negli Stati Uniti. Negli Stati uniti, se si presenta un cinese che vuole
comprare Google, c’è un comitato scientifico che gli dice: “Sì, i soldi sono tanti ma l’affare per il
paese è pessimo” e non si vende. In Germania, quando si è presentato Marchionne che voleva
prendere la Opel, una consulta (espressione dei lander, del governo federale, del sindacato, di
Confindustria) gli hanno detto: “Ma che ci vuoi prendere per il culo?”, e lui è andato da un’altra
parte.
Noi, mentre continuiamo a rivendicare verso il governo il fatto che ci sia un signore che si decida a
costruire un comitato scientifico, una consulta di valutazione, un organismo indipendente,
abbiamo fatto un comitato scientifico indipendente dove ci sono sette personalità che, per
ciascuna delle proprie discipline, ci dice non se fare o non fare quell’accordo con quel soggetto,
perché non è nelle loro prerogative, ma quali sono i rischi ad accettare quella situazione piuttosto
che a non accettarla. Cioè utilizziamo un principio che abbiamo scoperto essere un principio
fondante del diritto bancario, quello di dare informazioni sull’interesse anche dei rischi, dello
spread, si chiama scenario probabilistico (c’è stato un grande dibattito su questo termine), che per
l’appunto, non essendo un algoritmo in questo caso, riferisce di un’indagine e offre, al sindacato,
alle Rsu, alla categoria, ai territori, la possibilità di vedere, insieme a quello che quel soggetto
promette, quali sono gli eventuali elementi di criticità che si possono disvelare. Quindi sulle
aziende ma anche sui territori.
Oggi abbiamo le aree di crisi complessa e le aree di crisi non complessa. Una parte di quest’attività
e di questi accordi risponde all’emergenza di dare un minimo di reddito alle persone ma il reddito
finisce, perché non vorrei che qualcuno pensasse che non pagano la gente che lavora e invece sono
i padroni che ci danno il reddito di cittadinanza per stare a casa, perché allora voi i padroni italiani
(?) incontrati sul libro “Cuore”. Non sarà così in Italia, non siamo nella Silicon Valley dove li pagano
per stare fermi perché può darsi che gli venga un’idea. Qui se tu stai fermo (?) i padroni in tasca
non ci frugano per darci qualcosa. Però, certo, il tema di come i territori si sono trasformati in
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questo periodo è presupposto per costruire una proposta che dia una possibilità di ripresa di quei
territori.
Quindi abbiamo utilizzato degli strumenti che erano a disposizione della CGIL, come la Fondazione
Di Vittorio, che non erano mai stati circuitati, perché chi si prova a contrattare, a fare
contrattazione territoriale abbia una base analitica che, di nuovo, non si sostituisce ai soggetti
decisori (che, per ci quanto riguarda, sono i Direttivi, sono gli organismi, sono quelle forme
democratiche che caratterizzano la nostra vita) ma dia strumenti per poter interpretare le
possibilità di successo di un’ipotesi piuttosto che di un’altra.
Ne indico altri due. Sono otto gli strumenti, li trovate nel catalogo degli strumenti nella cartella.
Abbiamo anche provato a immaginare un diverso modo di relazione tra di noi perché il nostro
modo di relazionarsi è troppo lento e poco efficace, soprattutto nell’interazione con gli esterni
perché ciascuno di noi può venire a una riunione… a parte lui che ci ha lavorato una cifra per avervi
tutti qui e ha messo anche il panino con il veleno per tenervi più a lungo dentro la stanza, ma è
evidente che ciascuno di noi ha una possibilità diversa di essere qui rispetto a un docente
universitario, a un manager industriale o quant’altro. Queste persone, se casomai ci danno una
disponibilità a collaborare, per cosa lo fanno? Chi ha studiato organizzazione del lavoro sa che c’è,
nella prima rivoluzione industriale, la soddisfazione dei bisogni primari: produrre e riprodursi.
Quindi mangiare e fare figli. Lo dico senza alcuna volgarità. Non ci si fermava a quello, cioè i
tentativi nella cultura laica erano parte integrante dell’attività.
Con l’avvento della seconda rivoluzione industriale entrano in scena anche i bisogni secondari:
autogratificazione ed eterogratificazione. Molte di queste persone cercano questo; ossia cercano,
in una community, la possibilità di mettere a disposizione il loro lavoro e fare del loro lavoro motivo
di soddisfazione personale, perché dice: “Io ho dato una mano a una buona causa”.
Luciano Lama, quando saluta la CGIL, dice: “Ho servito una causa grande, una causa giusta”. Ancora
noi evochiamo questa idea.
Allo stesso tempo, avere eterogratificazione, avere riconoscimento su questo. Lo possiamo fare
invitandoli ogni due mesi qui? Non ti ci vengono. Ci possiamo permettere di fare una cosa come
quella che sta organizzando Romualdo a Torino? C’è un dispendio di energie, di fatica e di risorse
insostenibile. Allora abbiamo detto: troviamo un modo di comunicazione che ci metta in relazione
tra di noi, ci connetta in maniera diversa. È parte degli strumenti che noi offriamo a questo lavoro.
Chiudo su questo punto. Possiamo immaginare che tutto questo avvenga senza un coinvolgimento
di voi, ciascuno ai propri livelli? Cambiare paradigma, cambiare approccio, spostare l’azione dall’ex
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post all’ex ante, cambiare sistema di comunicazione si può fare senza la formazione? Noi riteniamo
di no.
Quindi il lavoro che abbiamo iniziato con Giancarlo, e che spero appassioni voi, ciascuno di voi
quanto ha appassionato noi, sarà esattamente quello di trovare le modalità, per ciascuna delle
parti che chiamano in causa le vostre competenze, di dare una mano a realizzare pienamente
questo lavoro. Penso vi darà soddisfazione e soprattutto darà un po’ di valore aggiunto alla nostra
organizzazione.
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PAOLO TERRANOVAPresidente AgenQuadri
Grazie.
Agenquadri è un’associazione affiliata alla CGIL che rappresenta quadri, professionisti e alte
professionalità che sono iscritti ad Agenquadri e alla CGIL. Un po’ per nostra natura, la formazione
fa parte della nostra storia ed è uno dei temi su cui abbiamo l’esperienza ormai lunga, in
particolare sulle cose più tradizionali. Una di queste che vi dico en passant, prima di entrare nel
merito dell’intervento, ha a che fare con la formazione dei delegati, soprattutto dei delegati quadri
dove ci sono, e con quella logica (che in qualche modo ha richiamato Sabina Di Marco nel suo
intervento) di utilizzare la formazione come strumento di organizzazione e di utilizzare la
formazione, soprattutto quella rivolta a chi poi sta nel luogo di lavoro, come strumento per
migliorare la nostra capacità di rappresentanza e di contrattazione in quell’ottica di riunificazione
del mondo del lavoro che propone la Carta universale.
Questo lo dico in trenta secondi solo perché penso che questo modo di fare formazione legandolo
non soltanto all’apprendimento ma all’organizzazione, sia uno degli strumenti più potenti che
abbiamo rispetto alla nostra capacità di attuare al nostro interno i principi della Carta.
Detto questo, passo a quello che Giancarlo mi chiedeva di raccontarvi che è la nostra esperienza
più recente, e in qualche modo più innovativa, che è summer school che abbiamo fatto a Ferrara a
luglio di quest’anno che abbiamo intitolato “Dove stiamo andando-Scenari di un futuro che
cambia”. Quello che vi racconto come idea e come logica si posiziona temporalmente un istante
dopo di Alessio Gramolati, cioè non soltanto ragionare della fase di transizione in cui siamo ma
cominciare a ragionare anche del come saremo alla fine della fase di transizione.
Perché? Perché abbiamo sentito la necessità di occuparci del futuro? Per due motivi principali. Il
primo, perché la nostra capacità di affrontare i problemi di oggi dipende dalla nostra capacità di
immaginare il futuro, perché le decisioni anche della vita quotidiana che prendiamo le prendiamo
immaginando che il futuro vada in un certo modo. Se noi sbagliamo perché immaginiamo un
futuro diverso da come sarà rischiamo di sprecare le nostre energie e di fare delle azioni che poi
non sono efficaci.
In quest’idea del presente che dipende dal futuro c’è anche il fatto che la capacità di offrire un’idea
di futuro, un’immaginazione di futuro è un pezzo costitutivo, identitario della storia del movimento
operaio e della storia del sindacato, che non ha soltanto offerto un temporaneo miglioramento
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delle condizioni di lavoro o una rappresentanza rispetto all’obiettivo di breve periodo ma l’idea alla
base di un sindacato generale, di un sindacato come la CGIL è proprio quella di incidere sulle
trasformazioni generali, e anche la nostra forza aggregativa nel tempo è stata quella di offrire un
futuro migliore.
Io penso che sia importante, anche per tutta l’organizzazione, provare a ricostruirla quest’idea di
futuro perché forse, nell’ultimo ventennio e non negli ultimi anni, noi quest’idea l’abbiamo un po’
persa di vista, semplicemente l’idea che avevano prima non è più un’idea che va bene, non è più
un’idea che possiamo proporre.
Il secondo punto è che il futuro sta cambiando. E una mia personale risposta alla domanda di
Gramolati ce l’ho. Non è soltanto la quarta rivoluzione industriale: è la transizione verso l’era
digitale. Cioè, è il superamento di quella che abbiamo chiamato era industriale, che non è soltanto
l’industria come attività produttiva. Sono quasi trent’anni che i sociologi ci dicono che siamo
nell’era postindustriale. Quindi l’abbiamo superata, e probabilmente stiamo per entrare nella fase
successiva, perché non si può rimanere post a vita: bisognerà a un certo punto diventare
qualcos’altro. Se stiamo per entrare nell’era industriale non cambia solo Industria 4.0 ma cambiano
anche le relazioni internazionali, cambia la geoeconomia, cambiano le politiche ambientali, cambia
la strutturazione sociale. Quell’idea che è stata ripetuta due o tre volte del “stiamo andando nella
direzione in cui abbiamo una grande platea di più o meno poveri o più o meno ignoranti” poi ci
sarebbe da discutere “una grande platea di lavoratori e una piccola platea di elite e il passaggio tra
le due non è possibile”, è esattamente l’opposto di quello a cui siamo abituati. Cioè il fatto che ci
sia intanto un ceto medio e che la stessa presenza del ceto medio e la distanza non eccessiva
consenta, come si diceva una volta, al figlio dell’operaio di diventare dottore. Noi rischiamo che, se
la struttura prossima è quella lì, il figlio dell’operaio che diventa dottore diventa un dottore povero
che rimane lì in basso, e soltanto il figlio di quello che sta su andrà su.
Io credo che siano tutti temi di cui noi dovremmo occuparci e ragionare un po’ di più, uno perché il
futuro non è scritto, cioè questo è quello che una parte del dibattito attuale ci racconta. Magari il
fatto che poi si verifichi così o meno dipende anche da che cosa il sindacato decide di fare.
Che cosa abbiamo fatto a Ferrara? Ci siamo dati l’obiettivo di stare su una visione di scenario,
quindi del ragionare non del cosa sta succedendo ma di cosa ci sarà dopo la transizione. Lo
abbiamo fatto con un approccio assolutamente multidisciplinare. Quindi, dentro tre sessioni di
lavoro (dinamiche globali, produzione e lavoro e la società di domani), abbiamo messo dentro
sindacalisti, imprese, economisti, politologi, sociologi, futurologi e ambientalisti, e abbiamo fatto
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introdurre la summer school a uno scrittore di fantascienza, con l’idea che, se ci sono persone che
più di altre sono capaci di immaginare come sarà il nostro futuro, sono probabilmente gli scrittori
di fantascienza. Devo dire che, tra l’altro, la cosa è stata enormemente apprezzata ed è stata anche
una buona (?) di impostazione di tutto il dibattito successivo. Ma abbiamo provato anche a dare
un’importanza molto forte alla partecipazione di chi ha partecipato – scusate il bisticcio di parole –
alla summer school che, per intenderci, erano prevalentemente quadri, alte professionalità,
dipendenti ma anche lavoratori autonomi e anche delegati sindacali, funzionari, segretari,
insomma dirigenti sindacali.
Abbiamo fatto tre sessioni di dibattito con gli esperti, in questa caso abbastanza tradizionali, poi
però abbiamo fatto una quarta sessione in cui abbiamo proposto ai partecipanti di fare non un
dibattito per fare una chiacchierata ma un dibattito strutturato, quindi dentro un canovaccio che
abbiamo proposto, con l’idea di fare un pezzo di elaborazione congiunta di contenuti.
Cosa succederà dopo? Così forse si capisce meglio quello che abbiamo provato a fare. Stiamo
lavorando alla pubblicazione degli atti della summer school, per esempio (?) anche delle relazioni
molto, molto interessanti che secondo noi vale la pena diffondere, e un capitolo della
pubblicazione sostanzialmente sarà scritto dai partecipanti. Cioè, i coordinatori delle sessioni (che
sono dei compagni della CGIL) hanno raccolto la discussione che è venuta fuori dal dibattito e la
stanno sistematizzando.
Perché facciamo una cosa di questo genere? Perché pensiamo che chiunque, ma soprattutto su
questi temi e dentro un contesto come quello nostro, come quello sindacale, pur non avendo
ovviamente le competenze che ha un economista o che ha un sociologico, abbia un punto di vista e
una serie di competenze che gli consentono di fare un pezzo di elaborazione dal punto di vista
interno dell’organizzazione da affiancare alle elaborazioni che ci propone di chi sta dentro le
accademie, chi scrive i libri eccetera.
Noi crediamo molto in questo metodo perché crediamo che si apprenda anche di più; cioè,
pensando anche di elaborare qualcosa da proporre a una discussione successiva, questo rafforzi
anche il processo di apprendimento.
In che modo tutto questo può essere utile alle cose di cui stiamo ragionando stamattina? Tra gli
obiettivi di Agenquadri, quindi tra le cose che Agenquadri istituzionalmente fa c’è quella di
supportare le attività della confederazione e delle categorie. E lo facciamo nelle pratiche
contrattuali, lo facciamo in tanti modi. Ci mettiamo anche a disposizione per farlo anche dentro la
progettazione di giornate di formazione, di interventi formativi eccetera, mettendo a disposizione,
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se vi piace e se lo ritenete utile, tutto quello che vi ho raccontato, un po’ le idee che vi ho
raccontato su come abbiamo organizzato la nostra summer school, sia dal punto di vista delle
competenze di metodo e di merito e anche dal punto di vista delle reti di relazione che
un’associazione di alte professionalità in qualche modo sviluppa e che spesso hanno una natura un
po’ diversa rispetto a quelle classicamente sindacali.
Noi pensiamo che tutto questo possa essere utile a ognuno di voi. Con Giancarlo ne abbiamo già
parlato e so che lui ritiene utile essere al coordinamento.
Quindi buona continuazione del lavoro e sicuramente riusciremo a fare delle cose insieme.
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CINZIA RODAResponsabile Formazione Cgil Emilia Romagna
Penso che davvero vi ruberò solo cinque minuti rispetto alle cose che ho da dire; nel senso che,
ripensando un po’ all’intervento che avevo fatto l’anno scorso più o meno in questo periodo, non
ho grosse novità da portare. Mentre nell’altro intervento mi ero soffermata sul metodo e sul
modello di formazione che abbiamo in Emilia Romagna, oggi proverò a raccontare qualcosa di più
rispetto ai contenuti.
In che senso? Ai progetti avviati ed in essere nel 2016, sarà data; nel corso di quest'anno alcuni
corsi sono stati sviluppati e altri conclusi, altri ancora verranno implementati ma queste sono le
nostre priorità.
I quattro filoni su cui stiamo lavorando come regionale, proprio pensando al tema della formazione
come cambiamento e come strumento dell’organizzazione per il cambiamento, sono filoni legati
alla contrattazione, alla rappresentanza, alla formazione ed autonomia dei formatori, ai
cambiamenti organizzativi.
Sulla contrattazione sociale territoriale, un corso che replichiamo annualmente, insieme allo SPI
regionale, abbiamo, in questa edizione, sperimentato la interregionalità, componendo un'aula
mista insieme alle Marche, perché ci sembrava interessante mettere insieme e provare a
confrontare, modelli produttivi e forme di contrattazione sociale di due realtà limitrofe, ma diverse,
per scambiare esperienze, punti d'analisi, proposte per la contrattazione futura.
In aula abbiamo approfondito i nodi delle due realtà produttive e dei sistemi di welfare, discusso
possibili tendenze e ipotesi future. Per l'Emilia Romagna la novità presentata riguarda la proposta
di accordo con la regione di fondo sanitario integrativo universalistico per coprire le spese
odontoiatriche della fascia di popolazione da 5 a 25 anni. Questa proposta è in parte frutto delle
elaborazioni svolte nelle edizioni precedenti di questo corso; l'esito del confronto con le istituzioni
regionali è diventato tema di discussione con il gruppo dirigente delle Marche. Lo stesso è
avvenuto rispetto alle problematiche del mercato del lavoro nella regione Marche e più in generale
sullo sviluppo di una nuova contrattazione sociale nei due territori.
Stamani ascoltavo la campagna di NIDIL parlare di nuove identità, chiedersi come è possibile
costruire un passaggio tra le identità e le modalità di approccio al sindacato che abbiamo avuto noi
come dirigenti passati ed i giovani delegati; questo è un po’ il tema di un corso che stiamo facendo
insieme alle camere del lavoro. Il problema da cui siamo partiti nel progettare il corso è il
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trasferimento della memoria contrattauale; cioè, come costruire un nesso tra il passato e il
presente rispetto alle esperienze di contrattazione che hanno avuto dirigenti sindacali del passato e
la realtà sindacale che vivono oggi i delegati. Perciò portiamo in aula delle narrazioni, casi o
esperienze vissute da “Senior”, le ragioniamo con i delegati che a partire da quelle narrazioni
raccontano e si confrontano tra loro, prima, con i Senior poi, casi rappresentativi della loro realtà
lavorativa e di rappresentanza.
Questa modalità innesca una interazione e un dialogo non solo con il passato, quindi con i senior,
ma anche con le differenti realtà che vivono i delegati; i corsi sono infatti intercategoriali. In
assenza oramai di luoghi in cui strutturare un confronto tra quelle che oggi sono esperienze molto
verticalizzate di categoria, i delegati scoprono, spesso con sorpresa e sempre con piacere, l'utilità
dello scambio di esperienze per sentirsi meno soli e trarre spunti per adottare soluzioni o
comportamenti analoghi.
Al termine dell'attività sono i delegati per primi a chiedere di dare continuità a questa modalità di
formazione.
Nel 2016 abbiamo poi concluso la prima parte del progetto regionale sulla diffusione dei contenuti
del Testo Unico sulla Rappresentanza. Anche qui il tema è come affrontare il cambiamento che si
determina nella rappresentanza, rispetto alle regole della sua certificazione ma parliamo anche di
cambiamenti nel ruolo che i delegati avranno nella contrattazione integrativa e nel rapporto
organizzazione - RSU.
Dalla valutazione dell'andamento del corso regionale con delegati di diverse categorie, abbiamo
progettato con i formatori della regione dei format di una e due giornate da trasferire nei territori.
Per noi questa è la scommessa del 2017: realizzare corsi per i delegati in ogni camera del lavoro. È
chiaro che questo è un tema delicato che va preparato anche dal punto di vista politico,
condividendo con le strutture obiettivi e modalità di realizzazione. Convocheremo, quindi, il
coordinamento regionale della formazione, insieme al dipartimento organizzazione e al
dipartimento della contrattazione, affinchè si assuma politicamente questo progetto, rendendolo
parte dell' attività e della discussione che sul Testo Unico si sta facendo nelle strutture territoriali.
Infine abbiamo realizzato il primo corso del progetto che riguarda la figura dell' operatore
polifunzionale. Di questo abbiamo già ampiamente parlato in altre occasioni. In Emilia Romagna
sono stati svolti nove giornate, distinte in tre moduli per un'aula composta da partecipanti
provenienti da quasi tutte le camere del lavoro. L’obiettivo non è stato di formare delle competenze
specialistiche a chi è stato investito di questo nuovo compito ma quanto di ragionare sulla
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dimensione confederale di questa figura che dovrà operare in rete nell'organizzazione ed essere
capace di raccogliere, analizzare i bisogni dell'utenza, orientare e dare prime risposte alle persone
che si rivolgono alle struttre sindacali.
Per questo i tre moduli proposti regionalmente, sono moduli dedicati ad acquisire competenze
trasversali: siamo partiti da definire il ruolo dell'operatore polifunzionale, come lavorare in gruppo;
abbiamo ragionato di cambiamento organizzativo perché l'introduzione della figura dell'operatore
polifunzionale dovrà necessariamente produrre cambiamenti nelle modalità di organizzazione e di
lavoro delle Camere del Lavoro.
Infine abbiamo fornito qualche infarinatura sulle tematiche specifiche oggetto della mansione ,
affinché i futuri operatori potessero acquisire un livello comune di conoscenze valorizzando la
socializzazione delle conoscenze pregresse dei partecipanti ed incentivando la creazione di una
rete tra il gruppo cui dare continuità anche dopo il corso. Alle Camere del Lavoro è stato affidato il
compito di approfondire la formazione “specialistica” in relazione ai bisogni ed al progetto
organizzativo del territorio.
Andrà svolta una verifica degli esiti del percorso formativo e dello sviluppo del progetto
organizzativo nel corso di questi mesi prima di approntare la nuova edizione del corso regionale .
L’ultimo progetto avviato, che proseguirà nel prossimo anno, riguarda la formazione formatori. Un
anno fa, ragionando di modello, dicevo che in Emilia Romagna un sistema di formazione non può
funzionare se la formazione non è una formazione diffusa sul territorio, non viene coltivata
un'autonomia dei territori rispetto alla capacità di gestire la formazione. Per questo abbiamo
messo in piedi un corso di formazione formatori che allarghi il gruppo dei formatori territoriali:
sappiamo tutti che la mobilità del gruppo dirigente produce una forte mobilità anche di chi ricopre
incarichi sulla formazione, non essendo quasi nessuno, io per prima, formatore a tempio pieno.
Quindi abbiamo bisogno di estendere la squadra ma anche di mettere insieme vecchi e nuovi
formatori.
Per questo abbiamo pensato a un percorso di formazione che sia inizialmente per i nuovi ma che
poi includa anche le vecchie figure su metodologie di formazione specifiche.
Nel progettare abbiamo pensato all’integrazione tra sistema della rappresentanza e sistema servizi,
ai progetti che nel corso di questi ultimi anni stiamo portando avanti insieme, cercando di
mescolare competenze e specificità che sono di figure, ruoli e di funzioni diverse. Perciò l'aula è
composta da funzionari di camere del lavoro o categorie sindacali ma anche da operatori dei servizi
(INCA, TEOREMA) di prima formazione.
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Di tutto questo discuteremo nel coordinamento che avremo a fine mese. Sentiremo anche quali
sono le proposte che invece vengono dal coordinamento e dai territori rispetto all’attività che loro
hanno in programma.
Chiudo qui aggiungendo alcune considerazioni sul punto contenuto nella relazione introduttiva di
Giancarlo Pelucchi e che riguarda il Coordinamento Nazionale. Io sono soddisfatta del fatto che si
sia avviato il percorso di costituzione e di formalizzazione del Coordinamento Nazionale della
Formazione. Sento la necessità che questa divenga una sede più operativa rispetto a quello che
dobbiamo fare sulla formazione, agli orientamenti che ci diamo ed alla proposta di Piano
Nazionale.
Sono d’accordo, in linea di massima, anche sui criteri di composizione del Coordinamento. Si
prospetta però un Coordinamento molto ampio e composito. Penso perciò che debba essere
pensata una modalità di lavoro efficiente, per esempio gruppi di lavoro strutturati in base ai
contenuti da sviluppare ed alle competenze specifiche presenti.
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ADA LORANDIResponsabile Formazione Fillea
Già in parte avevamo descritto i nostri obiettivi e le nostre impostazioni nella precedente riunione.
Comunque quello che è successo nel corso di quest’anno è che abbiamo creato il programma e
quindi da gennaio cominceremo a lavorare su questo nuovo modello di formazione che è diverso
da quello che avevamo adottato precedentemente.
La nostra formazione è nello specifico per funzionari sindacali. Nel periodo precedente avevamo
puntato molto sui master; tant’è vero che hanno creato anche il nuovo gruppo dirigente che oggi è
in buona parte in posizioni di segretari generali. Tutte persone abbastanza giovani, un centinaio di
persone sono state formate con i master. Adesso invece il nostro orientamento è quello di fare la
formazione per tutti i funzionari. Quindi una cosa di massa obbligatoria. Quindi c’è un po’ da ridere
però questo è l’obiettivo.
Quindi praticamente si tratterebbe di fare dodici corsi obbligatori, che sono venti giornate di
formazione in due anni, per tutti i funzionari sindacali su tutto il territorio.
Il costo (l’abbiamo calcolato) dovrebbe attestarsi intorno ai 200 euro all’anno di costo per
funzionario di formazione. Quindi, anche rispetto all’impatto che può avere sia sul bilancio
nazionale che poi sui bilanci territoriali, dovremo fare un ragionamento (e lo faremo nei prossimi
giorni insieme ai regionali e ai territoriali) per capire anche come ripartire un costo che comunque
è molto grande, tenuto conto che poi è una categoria che sta soffrendo moltissimo la crisi, e quindi
abbiamo davvero molte meno risorse di una volta.
Comunque questa formazione per tutti obbligatoria è sicuramente un modello un po’ dirigistico
perché è il nazionale che ha deciso e appunto, nel prossimo mese, costruiremo tutti i calendari
facendo la formazione a livello regionale, interregionale oppure infraregionale. Per esempio nelle
regioni grosse, avendo la necessità di avere delle aule di non più di venti persone, ci saranno due o
tre edizioni per ogni corso. Quindi in questo senso è molto cospicuo come impegno.
Si tratta di formazione di aggiornamento su temi che riguardano soprattutto l’edilizia e tutta la
filiera produttiva delle costruzioni, ma anche corsi di formazione sui comportamenti. Quindi
lavorare in squadra, comunicazione e altri temi di questo tipo che in realtà non sono realmente mai
stati affrontati in FILLEA tranne che per quanto riguardava la comunicazione interculturale perché,
avendo comunque tanti migranti al nostro interno sia come lavoratori ma poi anche come
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funzionari, è sempre stata una necessità quella di ragionare sulla comunicazione interculturale.
Quindi adesso amplieremo questi aspetti.
I docenti sono tendenzialmente docenti interni (anche per non far lievitare in modo esorbitante i
costi), alcuni tecnici esterni e poi, per quanto riguarda alcuni corsi, facciamo riferimento alla
Fondazione Di Vittorio che quindi ce li terranno loro.
Oltre a questi corsi obbligatori ovviamente c’è anche un catalogo di corsi aggiuntivi, che in
nazionale rende disponibili, sia per funzionari che per delegati ma appunto non sono obbligatori.
Se poi i territori li vogliono realizzare noi, come in passato, siamo disponibili anche a
organizzarglieli sul territorio, a procurare i docenti eccetera.
Un’altra cosa che stiamo proprio terminando in questi giorni è il fatto che noi abbiamo un sistema
informatizzato che racchiude tutte le informazioni sui funzionari, sulle Rsu e sugli iscritti. In realtà è
partito da questo sistema che si chiama FILLEA office che appunto riguardava soltanto gli iscritti e
man mano l’abbiamo potenziato. All’interno di questo metteremo il libretto formativo, che
dovrebbe appunto partire un po’ prima, per ogni funzionario; libretto formativo che
automaticamente dovrebbe poi generare addirittura (dico ‘addirittura’ perché sarà dura mettere
dentro tutti i dati) i curricula per ogni funzionario secondo il modello europeo. Quindi non solo la
formazione è fatta dalla FILLEA, che è già un archivio molto grosso perché, se andiamo a ritroso,
comunque i corsi fatti anche solo per i funzionari sono stati moltissimi, e in più però inserendo
anche anagrafica, formazione, esperienze lavorative di ogni persona. Adesso stiamo anche
cercando di attrezzarci cu come fare concretamente la cosa perché ovviamente è anche molto
complesso. Probabilmente la delegheremo in parte anche al fatto che saranno gli stessi funzionari
che compileranno e poi ci saranno delle verifiche da parte delle strutture.
Questo è sostanzialmente quello che stiamo facendo e che stiamo mettendo in piedi.
Perché puntare così tanto sui funzionari? Perché l’edilizia è fatta così, nel senso che abbiamo
pochissime Rsu solo nelle grandi aziende ma, visto che le imprese edili hanno una media di due o
tre addetti, chiaramente pensare di avere un delegato sindacale è impossibile. Quindi in realtà
tutto il lavoro sindacale viene fatto sul territorio dai funzionari, che quindi sono caricati anche di
tante necessità e di competenza. Quindi la formazione dei funzionari è necessariamente fatta per
dargli tutte le competenze necessarie per affrontare queste situazioni, oltre poi anche a tutti i temi
invece delle crisi aziendali, mercato del lavoro eccetera che purtroppo riguardano anche poi tutti
gli aspetti delle imprese della filiera, quindi legno, cemento eccetera, che comunque noi seguiamo.
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Purtroppo c’è sempre questo limite: che ci occupiamo poco dei delegati, dei nostri iscritti e dei
nostri Direttivi. Questo è veramente un limite. L’idea è, da un lato, quella che comunque
tendenzialmente la loro formazione viene fatta dalle Camere del lavoro, e quindi dalla CGIL in
realtà. Dunque noi ci specializziamo un po’ sulle cose che riguardano appunto funzionari e cose
solo dell’edilizia. Però abbiamo anche visto, dall’altro lato, che ci sono delle ricadute positive
perché, avendo dei corsi dove comunque il materiale didattico è molto dettagliato eccetera, è
successo spesso che poi i segretari che vengono a fare i corsi (si fanno anche aiutare naturalmente
magari da qualche docente nazionale) riportano nei loro Direttivi e magari fanno dei Direttivi
monografici su dei temi che hanno trattato e che hanno affrontato nella formazione. Quindi
qualche volta questo aspetto diventa addirittura un circuito virtuoso perché addirittura è il
segretario che appunto poi fa la formazione ai propri Direttivi.
Grazie.
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BRUNO TALARICOResponsabile Formazione Calabria
Io rappresento la Calabria.
Io non voglio ripercorrere il ragionamento che abbiamo fatto l’anno scorso ma è stato un
ragionamento che noi abbiamo iniziato, ci siamo visti a dicembre al Centro congressi Frentani e
abbiamo fatto una prima riunione per quanto riguarda la formazione. Lì noi come Calabria ci siamo
presentati rispetto anche ad alcune situazioni che abbiamo fatto prima che come CGIL nazionale si
costruisse questo percorso.
Noi in Calabria abbiamo fatto delle cose che non sto qui a ripetere perché grossomodo già le
conoscete rispetto anche ai nostri percorsi formativi che abbiamo in Europa, alcune iniziative che
abbiamo fatto con la Fondazione Di Vittorio e l’Ires per quanto riguarda alcune iniziative anche per
il progetto Discover, in cui Simona per esempio è stata preziosissima; abbiamo anche organizzato,
sempre con la Fondazione Di Vittorio, un master per giovani calabresi dove abbiamo cercato di
intuire quelli che potessero essere i nostri bisogni.
È indubbio che sulla formazione ci si gioca tutto; ci si gioca anche, secondo il mio modesto avviso,
quello che è il futuro della CGIL. Noi quest’anno festeggiamo i 110 anni e penso che anche
attraverso la formazione, tenendo conto che, almeno per quello che ho modo di rilevare, noi non
abbiamo una selezione come un tempo che veniva dalla fabbrica, dai cantieri, dal partito, spesso e
volentieri abbiamo anche giovani ragazzi che si avvicinano alla nostra organizzazione sindacale (noi
non dobbiamo avere la vergogna di dirlo) anche spinti dalla necessità e bisogno di lavoro e
pensano che anche nella nostra organizzazione sindacale si possa dare soddisfazione a questo
bisogno.
Non c’è dubbio che noi abbiamo quindi l’obiettivo di fare in modo di creare quelle condizioni
affinché i giovani dirigenti e i senior dirigenti (perdonatemi il termine poco corretto) abbiano
questa integrazione tra di loro.
Certo, non è semplice perché il rischio che si scada verso una burocratizzazione del ruolo è sempre
lì, la linea di confine e di demarcazione è abbastanza labile.
Penso, per esempio, al fatto che comunque tu hai avuto modo di parlare anche con il nuovo
segretario generale. Per cui già hai avuto modo di confrontarti anche se non sei venuto da noi.
Bene o male le nostre intenzioni sono queste.
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Noi, per il 2015 e 2016, ci siamo limitati più che altro a coordinare o quantomeno a dare una mano
alle varie categorie regionali che si sono approcciate ai loro metodi formativi, perché non c’è
dubbio che la formazione passa attraverso anche quelli che sono i bisogni.
Poi noi dobbiamo tenere conto di alcune caratteristiche fondamentali della nostra regione.
Innanzitutto siamo una regione dove vi è una forte presenza di lavoro pubblico e quindi noi
dobbiamo tenere conto di quelle che sono le esigenze dei dirigenti sindacali che si approcciano con
il mondo del lavoro pubblico. Poi in maniera particolare noi non abbiamo una grossa presenza, per
esempio, di funzioni centrali ma abbiamo, per esempio, una forte presenza di autonomie locali e
del settore della sanità sia pubblica che privata. Per cui il nostro approccio formativo deve tenere
conto anche di queste specificità.
Così come, per esempio, siamo una regione nella quale vi è la forte presenza di lavoro agricolo e
soprattutto anche di lavoro dei migranti. In alcune parti della nostra regione, ad esempio nell’area
metropolitana di Reggio Calabria, la presenza dei migranti è più massiccia che non in altre parti
della nostra regione. Quindi anche lì ci sono degli interventi formativi che ci interessano in maniera
particolare anche per come noi ci approcciamo nei confronti di questi nuovi lavoratori che
comunque presentano dei bisogni e delle esigenze completamente diversi da quelli a cui noi siamo
abituati.
Non c’è dubbio che, per esempio, la conoscenza della lingua italiana o comunque consentire loro di
studiare anche la nostra lingua diventa anche un momento fondamentale.
Noi siamo anche una regione nella quale è presente anche una timida ripresa del settore del
commercio. Per cui anche l’interazione con la FILCAMS diventa fondamentale perché è opportuno
cercare di creare quelle condizioni, in questo settore e nella filiera del commercio e del turismo,
anche di come io accolgo i lavoratori di questo settore, perché poi fondamentalmente, al di là delle
questioni puramente organizzative e tecniche, diventa importante far conoscere il discorso di come
si legge una busta paga e di tante altre questioni, di come ci si approccia con l’ufficio vertenze, che
spesso e volentieri diventa per noi un elemento fondamentale perché il primo approccio a volte,
sbagliando, secondo me, perché non dovrebbe essere l’ufficio vertenze il primo approccio che il
lavoratore ha quando entra in una Camera del lavoro, però tutte queste condizioni ci condizionano
– scusate il bisticcio di parole –.
Voglio concludere dicendo che come Calabria, per il 2017, noi stavamo ragionando (e ne
parlavamo con Giancarlo) sulla creazione del corso per operatori polifunzionali ma, accanto a
questo, noi vorremmo anche mutuare (forse peccando di non originalità ma, da questo punto di
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vista, ne faremo ammenda e cercheremo di chiedere scusa) altre esperienze di compagni che
stanno nel resto d’Italia. Per esempio mi sto muovendo, grazie anche all’input del nuovo segretario
regionale, per la creazione di un master rivolto a giovani dirigenti sindacali, e non solo, che possa
darci le condizioni per una maggiore e migliore integrazione con le tre università calabresi che noi
abbiamo di Cosenza, Reggio Calabria e Catanzaro.
Ho visto che è di recente istituzione la facoltà di psicologia. Io mi soffermerei su questo perché a
volte con i lavoratori bisogna avere grandi dosi psicologiche di accoglienza per i drammi che a volte
loro ti propongono (e diventi quasi come se fossi un confessore) e per i problemi familiari.
Quindi c’è l’intenzione, da questo punto di vista. C’è l’intenzione per esempio di ragionare anche
sulla costituzione (di questo ne avevamo già parlato) di un comitato scientifico che tenga conto
sempre delle tre università calabresi e che sia un momento non solo formativo ma anche di
collaborazione e di costruzione anche di momenti fondamentali di quella che potrebbe essere la
nostra azione sindacale all’interno di questo.
Stiamo lavorando sul libretto formativo per creare l’anagrafica. Non è facile. Ci stiamo lavorando
con molte difficoltà perché non è semplice andare a ripercorrere i momenti storici in cui si è fatta
formazione perché a volte l’attenzione rivolta alla formazione non era quella che ci si aspettava.
Questi sono gli obiettivi che ci proponiamo per il 2017. Ovviamente, così come abbiamo già
ragionato con Giancarlo, faremo molto affidamento alla struttura nazionale e chiaramente a quelli
che saranno i corsi che riusciremo a creare possibilmente in sede locale, perché anche noi
facciamo i conti, purtroppo, con una forte spending review che non ci consente grandi margini di
(?).
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ANTONIO LEANDROResponsabile Formazione Funzione Pubblica
Buongiorno a tutti.
Innanzitutto mi scuso per la mancata presenza a questa due giorni, ma impegni formativi
precedenti non mi hanno permesso di essere lì con voi.
In quest’intervento registrato vi illustro , come da programma, quello che è stato il percorso
formativo che la Funzione pubblica ha messo in campo nel 2016 . Lo stesso si colloca in un
percorso quadriennale ( 2015/2018) sancito dal documento d’autoriforma licenziato dal direttivo
della categoria. Il tema principale da sviluppare in questo periodo è una formazione di base
capillare sui posti di lavoro che coinvolgano i comitati degli iscritti ed i componenti delle RSU.
“ La centralità dei posti di lavoro” una formazione al ruolo, che si articola in varie tematiche non
solo contrattuali. Percorsi che formino la nostra base ad una ricomposizione dei diritti nei luoghi di
lavoro, attraverso la contrattazione, partendo dai valori che la nostra organizzazione esprime.
Abbiamo la necessità di far comprendere che la gestione delle relazioni contrattuali, all’interno di
strutture che erogano servizi pubblici, non è semplice. E’ sempre più complicato far coesistere il
diritto soggettivo dei lavoratori con l’interesse legittimo dei cittadini che giustamente chiedono
servizi più efficienti, orari più flessibili, maggior partecipazione alle decisioni “ organizzative”.
Tornando al 2016 quest’anno ci ha visto protagonisti in varie tipologie di formazione. Formazione
in aula, che abbiamo strutturato soprattutto con un progetto nazionale per i delegati delle
cooperative sociali. Abbiamo scelto di investire sui delegati delle cooperative sociali perché
abbiamo la necessità di far crescere, sempre più, una cultura sindacale all’interno di un settore
che oramai sta occupando sempre più spazio nell’erogazione di servizi pubblici.
Ad oggi la Categoria ha circa un 40 per cento di iscritti provenienti dai settori privati, quindi la
scelta di investire massicciamente in questo settore, anche dal punto di vista formativo, è utile
oltre che necessaria .
Poi abbiamo fatto, sempre per quanto riguarda la formazione in aula, un corso nazionale per i
delegati della Polizia penitenziaria e vari corsi territoriali nei vari comparti di contrattazione.
Abbiamo sperimentato anche un percorso formativo con la FILCAMS, su una materia molto
specifica, le società partecipate; società partecipate che sono state investite da un’evoluzione
normativa peggiorativa, che ha richiesto e richiederà un intervento coordinato sui territori per far
fronte anche ad eventuali problematiche occupazionali. A questo percorso di formazione ha
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partecipato anche la confederazione, con un contributo offerto da Michele Gentile. Sono stati tre
interventi che hanno coinvolto il gruppo dirigente regionale e d’aree metropolitane accorpati per
aree geografiche, nord, centro e sud.
Sempre sul tema delle Società partecipate, il 25 ottobre la Fondazione Di Vittorio ha organizzato
una giornata conclusiva che ha raggruppato tutti i partecipanti ai tre moduli precedenti.
Inoltre, sempre per quanto riguarda la formazione d’aula, anche se questa si può definire più come
un seminario- formativo, abbiamo organizzato la seconda puntata la dell’iniziativa, proposta nel
2015, comunicazione e utilizzo dei social.
Continuiamo ad utilizzare per i nostri iscritti e delegati la formazione a distanza. Per il 2016
abbiamo strutturato due percorsi di FAD, uno sulle tutele individuali e l’altro sulla previdenza. I due
moduli formativi sono stati realizzati in collaborazione con l’INCA ed entrambi con la fattiva
collaborazione della Fondazione Di Vittorio, che ci supporta dal punto di vista organizzativo
mettendo in campo una competenza ed una capacità fuori dal comune. I prodotti elaborati, a
detta degli utilizzatori, sono davvero d’ottima qualità.
Infine, ma non per ultimo, sempre in aula abbiamo strutturato dei percorsi di ECM, cioè
educazione continua in medicina. È un capitolo a parte. Si tratta di una formazione dedicata:
dedicata agli iscritti, dedicata agli operatori, alle figure sanitarie che operano appunto in sanità. È
stato strutturato in collaborazione con Proteo Bergamo. È una convenzione che abbiamo siglato
della dura di tre anni che prevede 100 corsi di formazione in aula, aule strutturate con un
massimo di 100 discenti, una potenziale platea di 10.000 iscritti in 3 anni.
Questo tour (come lo chiamiamo noi) di formazione “ ECM” è svolto in collaborazione con altri
due compagni della struttura nazionale, Antonio Marchini e Gianluca Mezzadri, insieme stiamo
girando in lungo ed in largo l’Italia.
Oltre i percorsi in aula per l’ECM abbiamo previsto anche due percorsi di formazione a distanza.
Questo il 2016. Poi, come vi ho detto all’inizio, il piano è quadriennale, per il 2017 abbiamo già
qualche idea che anticipo, fare altri due corsi di formazione a distanza: uno sul contratto (poiché
siamo in fase di rinnovo ) e l’altro per i candidati alle elezioni delle Rsu 2018. Continueremo a fare
corsi di formazione in aula per quanto riguarda le cooperative sociali, inoltre stiamo pensando
anche ad una formazione articolata per il gruppo dirigente diffuso..
Ho parlato di me, della categoria, di noi, di come stiamo lavorando per dare gambe ad un progetto
ambizioso, il documento d’autoriforma della categoria, anche attraverso la formazione.
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Ora un pensiero su quello che dovrebbe essere l’intervento confederale sulla formazione. Mi trova
pienamente d’accordo l’idea che vede la confederazione coordinare gli interventi formativi delle
categorie. Sono altresì d’accordo che la confederazione debba fare, anche in maniera più massiccia,
un intervento costante per la formazione e l’aggiornamento dei formatori.
Inoltre credo che debba intervenire su due questioni di carattere organizzativo:
costituire un libretto formativo confederale da affiancare ai libretti formativi categoriali;
sviluppare una formazione trasversale, una formazione su temi specifici che veda coinvolte
diverse categorie, gestita e coordinata dalla confederazione.
Non vi porto via altro tempo, vi saluto caramente, alla prossima.
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GIANCARLO SPAGGIARIUfficio Formazione Cgil Modena
Intanto ciao a tutti.
L’anno scorso in questa sede avevo avuto modo di illustrare il sistema formativo della CGIL di
Modena, direi anche in maniera piuttosto ampia. Ricordo solo che la CGIL di Modena ha una
tradizione di formazione sindacale abbastanza antica e un sistema piuttosto strutturato.
Oggi, a un anno di distanza, vorrei fare alcuni approfondimenti e soprattutto riflessioni aggiornate
rispetto alla formazione sindacale, sia in relazione a quella svolta nel nostro territorio, che a livello
generale. Sento però la necessità di ricordare brevemente i tratti essenziali del sistema della
formazione modenese, per facilitare la comprensione delle valutazioni che farò in seguito.
Il sistema formativo confederale per delegati della CGIL di Modena (parlo soltanto di questo, e non
della formazione per funzionari o pensionati, per ragioni di tempo) si articola su tre livelli.
Il I° livello è il cosiddetto livello di base, la cui funzione è quella di sviluppare il significato del ruolo
del delegato. L’obiettivo formativo è quello di affrontare cosa significa essere rappresentante
sindacale secondo la cultura organizzativa della CGIL, alla luce dei principi fondamentali del diritto
del lavoro in Italia e rispetto agli obiettivi del Testo Unico sulla rappresentanza. Il modulo è
strutturato in tre giornate di formazione. Le aule sono tutte intercategoriali. Questa caratteristica è
importante ed è frutto di una scelta ben precisa, di cui parlerò in seguito.
Il II° è un livello di approfondimento del ruolo stesso, che prevede due ambiti distinti di
formazione.
Il primo ambito riguarda la dimensione relazionale del ruolo, potremmo dire le cosiddette
competenze relazionali del rappresentante sindacale. Il modulo è di sei giornate; di fatto è un corso
di comunicazione sindacale e prevede anch’esso aule intercategoriali. Nella progettazione
formativa partiamo da una lettura del ruolo, secondo la quale fare sindacato all’interno delle
aziende significa svolgere principalmente tre attività: tutela, rappresentanza e contrattazione. Per
interpretare adeguatamente il ruolo di RSU o RSA, dunque, occorre conseguire una sufficiente
autorevolezza nel gestire i rapporti con i diversi interlocutori presenti in azienda (lavoratori,
direzione aziendale, altre organizzazioni sindacali). Se è così, dobbiamo fare i conti con un assunto
lapidario: “nella comunicazione il potere non viene regalato da nessuno, ma bisogna saperselo
conquistare”. L’autorevolezza si consegue se si è attrezzati nella gestione dei propri comportamenti
sia nella tutela, che nella rappresentanza, che nella contrattazione.
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L’altro ambito relativo alla formazione di II° livello (o approfondimento del ruolo) è quello che
potremmo chiamare tecnico – gestionale e viene demandato alla formazione di categoria. In
questo caso è necessario intervenire in modo verticale sugli aspetti di carattere contrattuale sia da
un punto di vista tecnico, che da un punto di vista politico – strategico.
Il III° livello del nostro sistema formativo si interessa di specifici progetti organizzativi; tali progetti
possono essere di categoria – quelli che noi chiamiamo laboratori formativi – e possono essere
dedicati, a seconda delle esigenze delle singole strutture, alla contrattazione aziendale, alla
comunicazione in pubblico, al tesseramento, ecc…, oppure di tipo confederale. In questo secondo
caso si perseguono obiettivi di sviluppo di profili di RSU o RSA di tipo generale. Ci si riferisce in
particolare ai progetti Spartaco e Prometeo, il primo dedicato alla contrattazione inclusiva e il
secondo alla diffusione della tutela individuale nei luoghi di lavoro.
Se nella formazione di I° livello le tipologie degli obiettivi formativi erano quelle della conoscenza e
della motivazione, se in quella di II° livello sono la conoscenza, la motivazione e la consapevolezza
del proprio ruolo, nei progetti di III° livello l’obiettivo è l’azione. Si forma per agire.
Chiudo la prima parte del mio discorso col fornirvi qualche dato ed informazione di dettaglio. Negli
ultimi 5 anni abbiamo formato circa 1.100 delegati (considerando quelli realmente frequentanti); i
corsi di base sono stati oltre 50; i corsi complessivamente più di 90. Sempre negli ultimi 5 anni,
inoltre, abbiamo organizzato tre corsi di formazione per formatori, per attrezzare i formatori di
categoria a svolgere i ruoli di progettisti e docenti nei corsi tecnico – contrattuali di tipo settoriale.
Infine ricordo che ai delegati di norma consegniamo attestati di partecipazione al termine di ogni
corso e che teniamo per ogni corsista una sorta di libretto formativo elettronico in GPS (il sistema
informativo della CGIL di Modena). Ad ogni persona (non solo delegati, per capirci, ma anche
funzionari e pensionati) che frequenta almeno il 70% delle ore previste per ogni corso viene
riconosciuta appunto la certificazione di frequenza.
Detto ciò, vorrei fare alcune annotazioni su 3 finalità strategiche del nostro sistema formativo.
La prima. Perché facciamo tanti corsi intercategoriali? Perché secondo noi è attraverso la
contaminazione in aula tra delegati di diverse realtà che si crea l’immagine di cosa significa
“sindacato generale”. Il poter condividere le singole opinioni ed esperienze con altri delegati,
soprattutto se di settori differenti dal proprio, offre una visione del ruolo di RSU od RSA più ampia.
Si comprende in questo modo cosa vuol dire essere delegato della CGIL, la confederazione
generale del lavoro. Le differenze di esperienze arricchiscono e, soprattutto, sensibilizzano; creano
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valore aggiunto. Si apprende l’identità della CGIL, vivendo la “generalità” in aula a contatto con gli
altri, e non solo perché qualcuno (il docente) ne racconta la teoria – cosa che comunque si fa.
Seconda finalità. L’obiettivo di conferire autonomia al delegato è il principio ispiratore della
formazione sindacale della CGIL di Modena e su questo si modellano i progetti, tentando di
sviluppare competenze utili a tal fine. Il Testo Unico sulla rappresentanza costituisce per noi una
stella polare, che cerchiamo di tenere a riferimento in tutto il sistema. La seguente finalità è molto
ambiziosa; se pare scontata nella teoria non lo è affatto nella pratica. Successivamente svilupperò
qualche riflessione in merito, soprattutto su ciò che attiene il rapporto nell’organizzazione tra
delegato e funzionario.
Infine, terzo obiettivo: sviluppare ed agire confederalità. Su questo tema vorrei fare una riflessione
più approfondita, anche perché sia stamattina che oggi pomeriggio sono stati offerti diversi
contributi. Sostanzialmente è stato detto che viviamo in un sistema complesso in cui il quadro
sociale che si è determinato (che chiama in causa soprattutto il lavoro e il welfare, e quindi i bisogni
di chi rappresentiamo) costituisce il prodotto di logiche e finalità di tipo economicistico. Stamattina
si è parlato di algoritmi sociali, di capitale e della società dell’opinione pubblica. Alla luce della
nostra visione di sindacato confederale, queste cose ci debbono vedere protagonisti nella scena
politica. Perché? Perché, in un contesto collettivo cambiato, e non per scelte finalizzate a fortificare
il quadro sociale o per rispondere ai bisogni delle persone, ma a causa di orientamenti di carattere
economicistico, la società stessa ne ha risentito negativamente; e così la democrazia e i suoi valori
portanti. Oggi ci troviamo in una collettività (non c’è alcun dubbio: i delegati ce lo riportano
continuamente – basta saperli ascoltare) in cui i principi di coesione che abbiamo conosciuto nel
tempo e che per noi sono fondanti (quali la partecipazione, la solidarietà, l’uguaglianza, la libertà)
hanno cambiato connotazione.
Ora, io sono assolutamente convinto che noi, attraverso la formazione, dobbiamo “fare cultura”.
Prima si è parlato di istruzione e di conoscenza. Certo, io sono assolutamente d’accordo. Tuttavia
personalmente per “cultura” intendo soprattutto stile di pensiero e stile di comportamento.
Questo è il campo fondamentale su cui dovremmo intervenire. Io ritengo che in fondo noi,
individualmente e collettivamente, siamo come ci pensiamo. Allora come non curarsi della
formazione dell’opinione pubblica nei luoghi di lavoro e nella società?
Se l’opinione pubblica sisviluppa in modo superficiale, individualistico e populista, il rischio di
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trovarci Trump presidente degli Stati Uniti è davvero molto forte.3
Qualcuno potrebbe pensare; cosa c’entriamo noi in tutto questo? Secondo me c’entriamo molto,
soprattutto c’entra la formazione. Dovremmo essere un’agente di cambiamento che si interfaccia
con le persone che lavorano, a partire dai nostri delegati; i quali non vengono dalla luna: sono
anch’essi lavoratori, sono cittadini, sono persone che comunque vivono in questa società, in cui ci
sono bisogni variegati e in cui tende a prevalere un certo stile di pensiero e di comportamento. Le
nostre RSU ed RSA, però, sono persone che hanno scelto volontariamente di svolgere un’attività
sindacale e quindi di rappresentare altri lavoratori; e per di più in CGIL. E questo non può essere
considerato un caso, né un fatto accessorio. Io credo che sia da loro che dobbiamo partire se
vogliamo agire il cambiamento. Questa è una mia personale convinzione.
Quanto affermato, però, richiede all’organizzazione di mettersi in sintonia con le esigenze di
cambiamento.
E allora, prima di tutto l’organizzazione dovrebbe funzionare confederalmente in modo da poter
attivare sinergie al proprio interno e da poter elevare la confederalità a paradigma del
cambiamento organizzativo. Anche questa è un’opinione personale.
Noi veniamo da una Conferenza d’Organizzazione che ha messo al centro alcuni temi: la
contrattazione inclusiva, la contrattazione sociale (o territoriale, che dir si voglia), la diffusione della
tutela individuale nei luoghi di lavoro, la costituzione della figura dell’operatore polifunzionale (che
non può essere considerato lo schiavetto di turno, ma, così come lo abbiamo definito in Emilia
Romagna, un reale sindacalista polivalente, e perciò policompetente).
Ora se la formazione deve essere uno strumento strategico per il cambiamento – altro punto
cardine della Conferenza d’Organizzazione – è necessario che la CGIL sia consapevole che la
formazione da sola non potrà riuscire a raggiungere gli obiettivi sopra definiti se l’organizzazione
stessa non sceglierà di attivare a sua volta in modo consapevole e convinto alcuni cambiamenti.
A questo punto presento due nodi con cui a Modena abbiamo avuto a che fare nell’attuazione del
nostro sistema formativo. Ci tengo particolarmente a parlare dei nostri punti problematici. Potrei
limitarmi a dire che le valutazioni dei delegati contenute nei questionari di gradimento sono
ottime. Ma non sarebbe utile al dibattito.
Il primo nodo riguarda i corsi confederali di III° livello. Sinora in CGIL a Modena per iniziare le
edizioni dei progetti Prometeo e Spartaco la confederazione ha chiesto alle categorie il loro parere
3 Il mio intervento al coordinamento nazionale della formazione è stato l’8 novembre. Trump venne effettivamente eletto il giorno dopo…
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per organizzare aule di delegati al fine di portare nei luoghi di lavoro azioni di tutela individuale o
per sviluppare la contrattazione inclusiva. Le categorie hanno sinora affermato: “Perbacco!
Assolutamente sì, siamo d’accordo. Diamo il nostro consenso e a breve forniremo anche i
nominativi”. Di conseguenza si è fatta la formazione, con lo scopo di sviluppare progetti di tutela
individuale in azienda attraverso l’organizzazione di campagne specifiche (Prometeo) e di
promuovere una maggiore conoscenza delle imprese da parte dei delegati e di sviluppare azioni di
contrattazione inclusiva (Spartaco).
In sede di valutazione dei risultati prodotti (in termini di azione organizzativa), potremmo
affermare che il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto (a seconda delle preferenze); certamente
ed oggettivamente va visto come mezzo: abbiamo un 50% di successi ed un 50% di vicoli ciechi,
cioè di percorsi di formazione di competenze avanzate che dopo il momento dell’aula si
interrompono, spesso senza che vengano effettuati gli stage previsti e a volta nonostante gli stage
effettuati. In questi casi non viene implementata l’azione organizzativa.
A Modena abbiamo deciso di interrogarci sulla quantità e sulla qualità del risultato organizzativo
della formazione confederale di III° livello. Non ci basta fermarci al bicchiere mezzo pieno. Non è
sufficiente. Bisogna invece capire perché è mezzo vuoto.
Stamattina qualcuno diceva: Siamo troppo irrigiditi nelle dimensioni verticali”. Io non so se sia
questo il problema. Certo nella mia testa non c’è la scomparsa (o la riduzione del potere) della
categorie. Ci mancherebbe! Però non possiamo pensare che sia sufficiente da parte delle strutture
verticali un mero consenso formale a progetti formativi ed organizzativi ambiziosi e impegnativi,
quali Prometeo e Spartaco. Senza la presenza di sinergie reali, sostanziali non credo si possano
ottenere i risultati a cui si aspira.
A Modena stiamo abbozzando l’ipotesi di modificare la progettualità dei corsi di III° livello. Un pool
di strutture dovrebbe sviluppare progetti basati su sinergie realmente sentite; successivamente
consegnare al confederale la progettazione organizzativa; su questa l’ufficio formazione dovrebbe
strutturare la progettazione formativa; infine la formazione dovrebbe avere più chance per
preparare i delegati all’azione. Si tratterebbe, quindi, di ridisegnare il processo formativo, partendo
da un’analisi sostanziale dei bisogni e ridefinendo la modalità di partecipazione dei diversi soggetti
all’analisi stessa.
Ho parlato di bozza di ipotesi perché, ci tengo a precisare, è una riflessione in corso, tutt’altro che
conclusa.
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Secondo e ultimo nodo: il rapporto fra delegati e funzionari. Personalmente non sono convinto
che, se il Testo Unico sulla rappresentanza afferma che ai delegati va conferita maggiore
autonomia, d’emblée i funzionari dichiarino convinti: “Sì, è vero. Siccome lo dice il Testo Unico,
sicuramente ci comporteremo di conseguenza”; perché, se l’operatore sindacale ha consolidato un
determinato costume di azione nel tempo, metterà in atto resistenze al cambiamento. Il Testo
Unico non è un libro di magia che è sufficiente leggere o recitare perché si cominci a ragionare in
un altro modo. E infatti registriamo dei problemi.
Oggi il funzionario sindacale davvero delega? A mio parere il funzionario sindacale delega quando
la propria sensibilità personale gli consiglia (o gli permette) di farlo. Di fatto di fronte alla specifica
questione dipendiamo dalla mera discrezionalità individuale del funzionario sindacale.
In certi casi è stato detto: “I delegati imparano troppo. Dopo mettono in difficoltà il sindacalista di
categoria”. Io capisco che il delegato che si specializza nella tutela individuale possa assumere più
conoscenze sugli assegni familiari o sulla maternità del funzionario di categoria. Tuttavia questo
dovrebbe essere considerato valore aggiunto; certamente mai un fatto negativo.
Qui io vedo due ordini di problemi. Il primo è legato al potere. E’ necessario formulare una
domanda retorica. “Io funzionario sindacale, sono disposto a cedere potere alle RSU all’interno
delle aziende che seguo, sapendo che il delegato potrà essere su alcune questioni un soggetto più
specializzato di me?” A questa domanda bisognerebbe dare una risposta sincera. E poi discutere di
conseguenza.
Secondo. Ricordo che il funzionario sindacale (quando il sistema di valutazione è oggettivo) viene
valutato sui risultati che raggiunge nell’attività di tesseramento e/o di contrattazione.
Personalmente non mi è mai capitato di sentire: “Questo funzionario è bravo; merita
considerazione nel percorso di carriera sindacale, perché è stato capace di far crescere i delegati”.
Questo parametro è generalmente assente nel nostro schema di valutazione dei quadri.
Credo che si debba cominciare a parlare seriamente della questione, se vogliamo una CGIL che si
possa evolvere grazie a funzionari e delegati che siano in grado di svolgere in modo competente ed
autonomo la propria attività. Sarebbe davvero un bel segnale che chi svolge il lavoro di tutoraggio
verso i delegati possa avere – per questa ragione – un riconoscimento formale e sostanziale da
parte dell’organizzazione.
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VALERIA CAMMELLIFormazione, Responsabile Sportello DonnachiamaDonna – Cgil Firenze
In questo periodo, con il completamento della segreteria confederale sono ripartite a pieno tutte le
attività e nel campo della formazione stiamo lavorando principalmente su due versanti:
da un lato stiamo provando a sviluppare un monitoraggio ed una sorta di anagrafe della
formazione, non solo confederale ma di tutte le categorie, per capire quali sono gli spazi che
restano “scoperti” e tarare l’offerta confederale per colmare le carenze, oltre che per proporre
percorsi ad integrazione degli argomenti specifici individuati dalle categorie.
Sull’altro versante, oltre a continuare attività strutturate, stiamo lavorando su progetti, provando a
sviluppare e accrescere la consapevolezza politica del contesto dentro il quale opera il sindacato.
Lo stretto intreccio di tutto ciò che accade richiede a tutti competenze specifiche sempre maggiori
e sempre aggiornate e interconnesse, che servano ad una organizzazione fortemente integrata.
Quindi:
il corso confederale per i nuovi delegati: strutturato da 14 anni, con le dovute modifiche nel
corso del tempo, molto apprezzato da tutte le categorie, intreccia alla storia e ai valori della
CGIL il lavoro e i lavori che si trovano nelle diverse categorie, mettendoli a confronto ed
integrandone la conoscenza fra i e le delegati/e
(domani…..)
Strutturata anche la formazione permanente per i servizi, con un ciclo già definito di
incontri, sia per l’aggiornamento che per lo scambio: cioè l’attivazione di una buona pratica
fra uffici che potrebbero rischiare di rimanere chiusi nella loro specifica attività
progetto “ufficio migranti”: già attivo con la collaborazione di immigrati e/o delegati e/o
pensionati…offre consulenza su tutte le pratiche che interessano la permanenza dei
migranti nel nostro paese, le cui competenza è da allargare a delegati e/o funzionari delle
categorie con un corso di due gg. In collaborazione con la struttura regionale.
Poi i nuovi progetti
Seguendo il Progetto dello sportello OPLA’: acronimo di Orientamento Previdenza Lavoro
Assistenza, trovate in cartellina il programma di docenza
con INCA Naz.le su diritti previdenziali, assistenziali e sociali del malato oncologico;
con Nidil Naz.le su opportunità e prospettive per il lavoro in somministrazione e atipico
con Filcams Naz.le su bilateralità e assistenza sanitaria integrativa;
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con Cerion (Ispo e Lilt) accoglienza: la malattia, l’ascolto attivo, il lavoro come percorso di rinascita.
Hanno partecipato al corso le categorie (tranne due), i responsabili dei servizi – INCA, UVL, Front
office – la responsabile del coordinamento donne confederale (il progetto nasce dallo sportello
donna chiama donna ed è, naturalmente aperto a tutti: primo utente un lavoratore artigiano) per
un tot. Di 18 persone che rimarranno in rete a supporto dello sportello.
Seguendo il progetto CONTRATTAZIONE: percorso del tutto sperimentale per la nostra CdLM
l’obiettivo finale dei percorsi, per la CdL, risiede nel rafforzamento di un metodo confederale di
approccio alle problematiche, ed è dedicato a dirigenti e funzionari delle categorie e della CdL.
I prodromi sono contenuti nei documenti della ultima Conferenza d’organizzazione e nel Piano del
Lavoro, quindi i formatori in aula sono dei “facilitatori” della discussione e dell’assunzione di
consapevolezza di formare un gruppo trainante sulle materie prese in considerazione.
Sono state costruite due aule:
a) contrattazione di sito cui partecipano Filcams, Fillea, Fiom, F.P, FLC,Filt, Filctem,Nidil per un
tot. di 15 tra funzionari e dirigenti.Individuati due percorsi, sulla sicurezza e sulle buone pratiche
per la contaminazione delle categorie, e già individuato e avviato un percorso per la costituzione di
un unico RLS di sito
L’altra aula è sulla
b) contrattazione sociale territoriale: partecipano Filcams, Fillea, Fiom, Filt, FP, SPI, CdL,
Coordonne per un tot. di 15 tra dirigenti e funzionari. E’ stato individuato il limite comunale come
ambito territoriale utile al nostro ragionamento, e già definite le prime informazioni da assumere
come metodo per una corretta mappatura del territorio. Il prossimo incontro definirà quali
strumenti utilizzare per poi individuare uno o più bisogni da condividere con la popolazione
residente e su cui costruire la nostra proposta alla controparte. Questo anche sulla traccia del
percorso individuato da Gaetano Sateriale
abbiamo intenzione di proporre, e discutere con le categorie, anche un progetto sulla
contrattazione di II° livello che prenda avvio dal Decreto 25 marzo 2016: in un periodo in cui le
risorse sono sempre più scarse, la valorizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori in azienda
può essere qualificante anche del lavoro sindacale.
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Stiamo lavorando anche su un progetto di formazione di genere con aule miste, per affrontare
insieme il riconoscimento e la destrutturazione degli stereotipi che uomini e donne vivono
quotidianamente – lavoro un po’ impegnativo, ma possibile
Il lavoro da fare quindi può essere tanto e certamente è, per me, incredibilmente stimolante; devo
dire che può anche essere più difficile del dovuto, se non si riparte con un lavoro culturale verso le
categorie e verso i singoli, per rendere la formazione una priorità, e non un accessorio, soprattutto
una volta condiviso un progetto
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PATRIZIO FRANCESCONIResponsabile Formazione Cgil Marche
Sono Patrizio Francesconi, responsabile della formazione delle Marche.
Come prima cosa che volevo dire intanto è esternare una piccola soddisfazione per questa
riunione, seppur pesante, perché, siccome ero presente anch’io l’anno scorso a dicembre, a me
pare che complessivamente l’organizzazione nostra, sia nei territori e sia nelle categorie, abbia
assunto questo tema, grazie anche al coordinatore nazionale, e lo stia sviluppando con un impegno
che fa piacere ascoltare.
Poi dopo farò anche una piccolissima riflessione critica.
La seconda cosa, pur non essendo stata programmata, che volevo socializzare è che nel nostro
piano formativo del 2016 (che assomiglia molto a quello dell’anno scorso, arricchito da quelle che
erano state le indicazioni della Conferenza di organizzazione della CGIL, che continua a fare una
quantità importante di formazione in termini numerici) sento di stopparci un pochino perché
probabilmente è meglio fare qualche unità in meno da mettere in formazione ma puntare di più
alla qualità perché c’è ovviamente anche questo problema.
Quindi si va avanti con il piano formativo. Forse non tutti i compagni e compagne conoscono (non
so se è una particolarità nel panorama nazionale o comunque ve la racconto in un istante) che noi,
nelle Marche, da diversi anni, saranno ormai una decina di anni, abbiamo costituito un fondo
regionale per la formazione, alimentato dall’1 per cento dei bilanci di tutte le strutture. Questo
permette di fare formazione a tutte. Ciò che prima solo o le Camere del lavoro o le categorie che se
lo potevano permettere, oggi invece è una situazione trasversale.
Dentro la programmazione seguiamo un po’ le cose che sono state indicate da Cinzia dell’Emilia
Romagna, perché anche da noi le Marche poi, per definizione, sono al plurale e quindi tutti quanti i
territori, le categorie ovviamente hanno del suo. E va bene. In una visione unitaria, anche questo…
Quello che in più abbiamo fatto noi quest’anno, con l’aiuto di Giancarlo di Modena, per la prima
volta, è stata la formazione ai formatori, anche con la prospettiva ovviamente (che dicevo poc’anzi)
di migliorare la qualità nella progettazione e nella conduzione delle aule. Abbiamo coinvolto 12 e in
certi momenti 15, insomma un buon gruppetto e ovviamente adesso si tratta di lavorare per
consolidarlo o comunque per immettere altre energie perché naturalmente anche nelle Marche le
compagne e i compagni sono soggetti a (girare?) nelle loro responsabilità.
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Abbiamo utilizzato per l’ennesima volta Fon.Coop. Fon.Coop probabilmente, come è organizzato in
quanto fondo, essendo che nelle Marche (non so dalle altre parti ma credo che ci assomigliamo un
po’ dappertutto) con la 460 ogni categoria praticamente è autonoma con il suo bilancio e quindi lo
0,30 lo versa a nome e per conto della categoria, ma lo 0,30 di un mezzo tempo, perché tante volte
abbiamo categorie così minuscole di uno 0,30, metti da parte 30-40 euro, e per prendere quei 30-
40 euro e per metterli tutti insieme c’è da fare molta fatica, il fondo da questo punto di vista non
aiuta. E non aiuta anche perché, se in tutte le regioni piccole come la mia non riesci a mettere
insieme 5mila euro, non puoi farla la formazione.
Comunque l’abbiamo utilizzato e l’abbiamo utilizzato nel senso, molto vagamente, dell’intervento
del contributo che ci ha dato Vita questa mattina, nel senso che l’abbiamo utilizzato per cercare di
impossessarci il più possibile delle nuove tecnologie per migliorare la comunicazione verso i nostri
lavoratori, e più in generale l’esterno, dell’attività che come CGIL facciamo.
In modo particolare, anche lì abbiamo fatto un esperimento interessante, ossia di sviluppare,
attraverso un corso, le tecnologie attraverso i filmati che metti in rete, della durata massima di un
minuto. Dentro questo minuto abbiamo tentato di fare comunicazione. Naturalmente in un minuto
ne fai poca però incuriosisci; incuriosisci perché chi fa uso e abuso di questi aggeggini qua oggi
naturalmente si guarda tutte le cose in pochissimi secondi. Anche i video che riprendiamo come
pubblicità quando sfogliamo le pagine dei giornali durano 15-20 secondi e ti danno il messaggio
che ti vogliono dare. Noi, mutuando quella roba là, in un minuto cerchiamo di dare l’informazione
di un’assemblea, di uno sciopero, di un blocco stradale, di un terremoto adesso ecc. ecc.
Questo l’ho detto solo perché è una cosa molto interessante che può avere degli sviluppi e, se voi
volete, se ne può parlare.
Naturalmente, come ho detto già precedentemente, quelle piccole cose che facciamo siamo
sempre disponibili ovviamente a metterle in circolo.
Continua questa nostra esperienza e si consolida dell’e-learning, della piattaforma del FAD. È utile
soprattutto se accompagna la formazione classica (chiamiamola così per capirci) ma non sarebbe
utile se la sostituisse, però anche quello è uno strumento assolutamente efficace.
Ultime due cose. Ci è capitata questa bella cosa non programmata che prima Cinzia ci ricordava,
cioè stiamo facendo un percorso formativo che riguarda il gruppo dirigente confederale e dello SPI,
con i compagni dell’Emilia Romagna, ed è un’esperienza assolutamente interessante.
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Sembra una cosa banale ma, anche se siamo confinanti, e vagamente io parlo romagnolo, per dire
che sto nelle Marche del Nord ma, se parlate con uno di Ascoli Piceno, sembra che sia di un altro
mondo come linguaggio…
Voce fuori microfono incomprensibile
Patrizio Francesconi: Dicevo, questa cosa di mettere a confronto le esperienze è assolutamente
importante. Per cui, anche qui, quando andremo a sviluppare il piano formativo, oltre alle cose
decisive che abbiamo scritto in testa (referendum, Carta dei diritti e quant’altro), riusciremo a
sviluppare esperienze che possono mettere a confronto le diverse…
Io per esempio ho un grande desiderio. Abbiamo lanciato unitariamente, insieme ai compagni
della Toscana e dell’Umbria, “L’Italia di mezzo”, e purtroppo cogliendo anche l’occasione del
terremoto. Penso che sia una possibilità di sperimentare una formazione trasversale, coinvolgendo
anche le categorie, perché lì la ricostruzione, l’edilizia, la FLAI, i servizi, potrebbe diventare una
cosa interessante. Come interessante è quest’altra cosa, che riguarda le nostre regioni ma tutte le
regioni adriatiche, che è il corridoio Ionico-Adriatico, che per altro potrebbe mettere anche a
confronto anche con altre esperienze sindacali dei paesi che si affacciano al di là dell’Adriatico, per
dire. Ma intanto per queste nostre regioni adriatiche, che dalla Puglia arrivano su fino al Veneto,
potrebbe essere un’altra cosa assolutamente interessante magari da fare – come idea, dico – con
l’ETUI perché potrebbero anche darsi la possibilità di sviluppare dei finanziamenti europei in quel
senso.
Ecco, l’ho richiamato solo per sottolineare il valore di questa cosa.
Ultime due piccole cose. Volevo fare intanto una piccola proposta. Giancarlo, te ne avevo parlato.
Siccome domattina per qualche ora non ci sarò e quindi non riuscirò probabilmente a interloquire
con Calleri, tutti quanti sapete che la Conferenza Stato-Regioni di luglio di quest’anno ha dato la
possibilità di fare, in l’e-learning, la formazione generale sulla sicurezza, sia per quanto riguarda il
modulo che già c’era di 4 ore per la formazione generale e sia la formazione specifica per le
aziende che sono a basso rischio CGIL. Io non so in giro per l’Italia sul versante della formazione dei
dipendenti della CGIL e dei collaboratori come siamo messi. Mi risulta che non siamo sempre messi
benissimo. E allora avere anche questa opportunità utilizzando la piattaforma, Giancarlo, di
progettare dei (modulini?), che non occorre che siano attestati perché li possiamo produrre per noi
stessi e certificare per noi stessi, la legge ci dà questa possibilità. Quindi trasferiremmo delle
competenze che sono necessarie ai compagni e alle compagne e siamo anche messi in regola con
la legge.
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L’ultima questione che volevo sottolineare è questa. Il piccolo dispiacere che voglio manifestare è
questo. Mi sarebbe piaciuto (lo metto in positivo) che ci fossero (spero che magari domani possano
esserci) un po’ tutte le categorie. Ci sono tutti i compagni e le compagne delle categorie che sono
intervenuti (anche in modo molto interessante) ma, da un punto di vista sindacale, per la portata
dei ragionamenti che stiamo facendo, abbiamo la necessità assolutamente di recuperare non solo
una presenza ma proprio di ragionare attorno a questo tema del cambiamento e della formazione.
Io continuo a pensare ai limiti che riscontriamo nella mia regione (per le altre è tutta un’altra roba,
sicuramente) sulla contrattazione sociale territoriale, con lo scarso coinvolgimento dei posti di
lavoro, dei delegati, delle categorie. Per fortuna, dico sempre, ci sono i compagni dello SPI che
affiancano i funzionari delle Camere del lavoro che si confrontano, ma tutto il tema del welfare
aziendale, con quello che sta succedendo, non avrebbe necessità di un passaggio, anzi più di un
passaggio, di carattere formativo dentro i temi della contrattazione sociale e territoriale?
Io ti sarei molto grato se riuscissi a recuperare anche questo dato, un contributo ancora più
importante di quello già importante che stanno facendo le categorie.
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FABRIZIO NICOLETTIDipartimento Organizzazione Cgil Veneto
Io mi occupo (?) però cerco di dare l’idea di quello che sta facendo il Veneto e che ha soprattutto
idea di fare.
Partiamo da una specie di situazione in cui molto era demandato alle Camere del lavoro, non c’era
una forte cabina di regia regionale. Questo è stato recuperato negli ultimi 2-3 anni, però
distinguendo bene le tipologie di formazione.
La scelta che si è fatta (poi adesso stiamo riunendoci tutti i vari responsabili delle Camere del
lavoro per capire se la cosa ha avuto l’effetto desiderato) è che, sugli Rsu, la formazione è
demandata alle Camere del lavoro; viaggiamo su un piano di formazione che viaggia da un minimo
di 5 giornate a 8 giornate annue per i nuovi Rsu o i giovani Rsu. Questa è la media per le nostre
Camere del lavoro.
Ovviamente la formazione ha più aspetti: (?) la motivazione, la storia della CGIL, sicurezza del
lavoro, previdenza eccetera. Tutti gli argomenti sono toccato.
Ho detto 8 perché da quest’anno abbiamo inserito i due momenti formativi aggiuntivi. Il primo è
legato a come teniamo insieme la contrattazione aziendale di secondo livello con quella
territoriale, visto che la Conferenza ha lanciato quest’idea. Il secondo, un po’ più organizzativo da
verificare e sistemare, è quello legato invece all’aspetto dell’integrazione dei servizi, come i
delegati possono essere uno strumento che può aiutare l’integrazione dei servizi e risolvere il
problema delle code nelle nostre sedi sindacali. È stata abbozzata un’idea, non è proprio andata
bene, dobbiamo aggiustarla.
Con il regionale (anche utilizzando, come le Marche, visto che ci sono, i fondi Fon.Coop) abbiamo
messo in piedi un corposo progetto formativo, che doveva partire a inizio anno e invece, per una
serie di problemi burocratici e slittato e partirà a giorni, che dovrebbe coinvolgere circa 150
funzionari e che va da competenze legate all’INCA, al servizio INCA, le normative previdenziali e le
novità, ad aggiornare gli operatori degli uffici vertenze su Jobs Act eccetera. Poi invece la parte più
corposa delle persone viene impegnata sugli appuntamenti web. Noi abbiamo un sistema
regionale che permette di prendere gli appuntamenti. È sviluppato dal CAAF e oggi lo stiamo
integrando nell’INCA e vorremo portarlo anche all’ufficio vertenze.
Poi la finalità ultima è quella del funzionario polivalente che dovrebbe prendere gli appuntamenti
per tutti, anche per le categorie. Quindi rifaremo un’accoglienza.
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Ovviamente i 150 parliamo di funzionari e dipendenti; poi abbiamo una serie di uditori che è
altrettanto numerosa perché lì mandiamo i collaboratori dello SPI e i delegati sindacali perché
quello a cui si vorrebbe arrivare a fine percorso è che sia il delegato dell’azienda a prendere
appuntamento per i propri iscritti. È un percorso però vorremmo arrivare lì perché il resto aiuta
sicuramente un po’ a snellire i (?) dei procedimenti però non risolve.
La quarta parte di questi corsi che abbiamo messo in piedi con Fon.Coop invece riguarda la
fidelizzazione, la continuità dell’iscrizione. Dai dati che abbiamo analizzato attentamente del nostro
tesseramento nel Veneto possiamo vedere che noi abbiamo una perdita sia all’interno delle
categorie nel passaggio da un settore a un altro e a maggior ragione nel passaggio da attivo a
pensionato. Una dispersione degli iscritti di cui, se fossimo un’azienda, qualcuno ci chiederebbe
conto vista la dispersione che abbiamo. Cioè, non riusciamo a curare bene i nostri iscritti. Questo
dimostra che non abbiamo la sufficiente attenzione e non abbiamo messo in moto e quello che
abbiamo sperimentato in questi anni si è dimostrato inefficace. Quindi dobbiamo trovare qualche
altra soluzione.
Ci sono altri due corsi che abbiamo in progettazione (vado per titoli per non essere lungo). Il primo
è soprattutto rivolto ai funzionari e ai delegati di categoria e riguarda la contrattazione e la
partecipazione alle regole. Quindi la riforma introdotta con gli accordi interconfederali eccetera. Lì
quello che si vuole fare è come appunto reinterpretiamo il nostro ruolo (quello che diceva il
compagno prima), il ruolo dei delegati con il nuovo Testo unico in cui dovremo cedere il potere. E
forse che noi passiamo atraerso, ,altrimenti come tutti della natura umana.
Il terzo e ultimo finalizzato un ulteriore non so se ci riusciremo un corsi di formazione cooperazione
sociale che vorremmo poi corsi di formazione come facciamo la contratto aziendale con la
contrattazione sociale che è la vera scommessa perché complessiva ai lavoratori.
Questi sono i tre progetti come regionale. Poi – ripeto – ogni Camere del lavoro che quella si ripete
sistematicamente aggiornamento dalle dimensioni non sempre in tutte le Camere del lavoro.
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ROBERTO GARGIULOSegreteria Filctem Cgil Lazio – delega alla Formazione
Ho avuto la delega sulla formazione per quanto riguarda la FILCTEM CGIL del Lazio. Quindi con un
gruppo stiamo sperimentando, stiamo revisionando i materiali e ci stiamo facendo un po’ un’idea
sul modello di formazione, cogliendo anche quelle che sono le novità che vengono avanti, come
quelle del FAD, della formazione a distanza, per capire rispetto alle platee che abbiamo e agli
obiettivi che abbiamo. Ci rivolgiamo soprattutto alle Rsu. Poi un discorso a parte va fatto per le
segreterie, per i funzionari che secondo me hanno avuto una formazione un po’ da autodidatti, e
sarebbe invece interessante fare una formazione più strutturale, anche e soprattutto sul diritto del
lavoro visto che siamo operatori poi del diritto, perché il diritto sindacale è una branca del diritto
del lavoro. Quindi sarebbe molto interessante strutturare un po’ meglio anche le competenze
piuttosto che lasciare alla spontaneità. Però è un discorso a parte quello sulla professionalità dei
funzionari e dirigenti.
Noi come Rsu giochiamo su delle risorse molto scarse, che è l’agibilità sindacale. Quindi è chiaro
che la fantasia non ci manca, potremmo fare corsi di tutti i generi perché i bisogni e i fabbisogni
espressi e inespressi possono essere effettivamente molto ampi, però su questo dovremmo
ottimizzare tra risorse che abbiamo a disposizione, quindi le agibilità scarse, evitando anche di
avere un’iniquità tra i delegati che lavorano in piccole aziende e quelli che lavorano in grandi
aziende, perché avremmo poi un’aristocrazia dei delegati che è più formata perché ha più agibilità
e gli altri che non possono farla. Nelle piccole aziende addirittura abbiamo delle Rsa in giro.
Quindi sarebbe interessante appunto utilizzare tutti gli strumenti, in un modulo di formazione
continua, ad esempio? Ragionavamo di come, in che modo.
Questa cosa del FAD, questa piattaforma anche di formazione a distanza, beh noi crediamo che la
formazione d’aula possa introdurre e quindi dare un po’ la cassetta degli attrezzi, degli strumenti.
Dopodiché quello che fa il delegato è il percorso che fa dentro l’azienda, probabilmente anche
tirando fuori quella che è la formazione tacita dei delegati più esperti che hanno appunto
l’esperienza e che quindi hanno vissuto la formazione. La contrattazione va vissuta, non si può
trasferire solo attraverso una formazione d’aula e comunque nemmeno con il FAD. Quindi avviene
attraverso sicuramente l’acquisizione di conoscenza ma la trasformazione in competenza è
conoscenza agita.
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Quindi sarebbe bene anche stimolare un percorso di acquisizione attraverso il contatto con i
delegati esperti ma anche stimolare lo studio; stimolare lo studio mettendo anche a disposizione
una piattaforma con anche delle lezioni, con il FAD appunto.
(?) ragionavamo su un modulo che era Rls, sui rischi specifici. Qualche formatore diceva: il rischio
chimico avrebbe bisogno di un approfondimento, avere un’aula tutta di chimici. Cioè si aggiungono
delle complessità che, attraverso la caratteristica d’aula, non è possibile risolvere, è un’equazione
indeterminata, cioè dobbiamo spostare delle risorse, scarse, solo su un tema. Allora (parlo di
questo ma è generalizzabile) ad esempio l’aula della sicurezza, parlare dei rischi specifici in modo
generale, dare degli strumenti di base, non nozionismo, stimolare la curiosità, la passione per lo
studio, che è quella la via attraverso la quale poi si cresce, e quindi dare però, attraverso ad
esempio il FAD e la piattaforma, degli approfondimenti sul rischio chimico, sui vari rischi, sui carichi
muscolo-scheletrici eccetera.
Questa era un po’ l’idea, quindi dare degli strumenti in un modello complessivo che si compone di
un percorso.
Un’altra idea potrebbe essere anche quella di aula studio, attraverso la formazione a distanza, e
poi, in un successivo incontro d’aula, fare delle esercitazioni, però facendo tesoro di un tempo che
è individuale e di studio. Però questa è un’idea un po’ (?), sicuramente più evoluta nel senso che
dovremmo arrivare al fatto di avere proprio una scuola e dei percorsi strutturati. Non vedo gli
strumenti in opposizione, anzi vedo gli strumenti che dovrebbero unirsi per avere una
composizione e fare proprio l’ottimizzazione sulle risorse.
È quello che noi stavamo pensando, e chiederemo insomma l’aiuto alla CGIL nazionale, per vedere
se si può fare qualcosa con il FAD, e alla Fondazione Di Vittorio. Cercheremo poi di coltivare questo
tipo di interlocuzione per capire che cosa si può fare insieme, attraverso anche il nazionale della
FILCTEM.
Un’altra cosa che pensiamo (e questo si collega alla Conferenza di organizzazione) è un modello
che sia intrecciato (quindi confederazione, CGIL, categorie, sarebbe (?) anche attraverso il FAD, ad
esempio) su delle lezioni su temi che sono trasversali, un poco sul modello Modena che dice: ci
sono delle competenze che devono essere trasversali perché quelle danno cultura della
confederalità ma la danno senza che te ne accorgi. È un qualcosa che ti entra dentro perché la vivi
vivendola insieme ad altri, o perché ci sono delle lezioni che sono traversali.
Per esempio l’orario di lavoro potremmo declinarlo in una lezione che vale per tutti e non
duplichiamo nemmeno e non spendiamo tutte le risorse per fare lo stesso tema. Se stiamo in CGIL
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quello è l’orario di lavoro, come viene spiegato, la parte giuridica può essere assolutamente
impostata. Poi, attraverso un gruppo… confederalità non vuol dire che c’è qualcuno al centro e
qualcuno fuori che è di categoria. La convocazione significa un gruppo di lavoro che elabora quel
progetto, quelle lezioni e poi viene comunicato e trasferito attraverso uno strumento che può
essere la piattaforma.
Quindi parliamo di l’orario di lavoro? È comune. La declinazione è categoriale su un contratto
specifico, sui vari contratti specifici. Sarebbe bello avere questa cosa che è a cascata e allora, sì,
avremmo un modello complessivo di formazione che abbraccia un po’ tutti e lega tutti insieme
perché poi tutti si lavora nei vari segmenti per mettere insieme le cose. E lascia anche spazio ai
territori perché, rispetto a questo, poi con le aule riesci poi a fare esercitazioni, magari ad
approfondire o a mettere in pratica le cose.
È un po’ un progetto in divenire. Quindi è un po’ aperto, si gioca con i formatori e si fanno dei
ragionamenti per capire come possiamo. Ci si rende conto che le risorse anche economiche sono
quelle che sono. È sempre più difficile fare i corsi residenziali, è diventato quasi impossibile. Però
non è la stessa cosa perché (fare due giorni?) non residenziali significa avere gli orari effettivi delle
lezioni molto più ridotti, si arriva tardi e si va via presto.
Quindi non è la stessa cosa che farlo residenziale: non si fa team building eccetera. Insomma,
rinunciamo a qualcosa. Quindi bisogna progettarli anche un po’ diversamente, però stiamo
lavorando su questo. Ci sono delle idee però non è che da soli possiamo fare molto. Possiamo fare
insieme a voi cose interessanti. Tutto qua.
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GIORGIO GIFUNIDelegato – Formatore Filcams Cgil Ticino Olona
Sono Giorgio Gifuni, delegato. Lei è Barbara Gadda, delegata. Sono della FILCAMS, lei è della FILT.
Manca Franca Marino, anch’essa delegata della FILCTEM, che, per problemi di urgenza aziendale,
non è potuta venire.
Quindi, noi non siamo funzionari in apparato politico o in apparato tecnico ma siamo dei delegati
che abbiamo dato la nostra disponibilità, la nostra passione e il nostro impegno alla Camera del
lavoro territoriale del Ticino Olona per cercare di costruire un progetto; un progetto che abbia
come finalità la creazione di un dipartimento formazione, che è stato istituito da poco e che ha
cominciato da pochi giorni a camminare con le proprie gambe.
Ma il progetto grosso è nato un anno fa, quindi abbiamo un piano di lavoro, che ha una durata
stimata di 18-24 mesi. Il progetto è iniziato nel settembre 2015 ed è cominciato con l’ascolto di
tutto l’apparato tecnico e produttivo della Camera del lavoro. Abbiamo fatto dei focus group e
coinvolto 61 persone, sono tutti i partecipanti. Li abbiamo suddivisi in gruppi misti, massimo di 9
persone e abbiamo pianificato il loro ascolto in diverse date. Questo lavoro è andato avanti per
circa 3 mesi ed e terminato a dicembre . Terminato l’ascolto dei gruppi , abbiamo in plenaria
restituito il lavoro che avevamo fatto nei mesi precedenti.
Le giornate di lavoro sono state programmate insieme dal team della formazione della Camera del
lavoro, costituito da noi tre delegati ,coordinati e supportati da Ermanno Porro, che è il
coordinatore regionale della formazione confederale della Lombardia. Questo lavoro è consistito,
come dicevo prima, nel costruire le interviste, fare l’analisi dei bisogni perché poi, alla fine di
questo ciclo di lavoro di 3 mesi, dopo la restituzione, nasce il vero e proprio progetto.
Progetto che ha una durata di 2 anni a partire dal gennaio del 2016.
I temi principali del progetto fondamentalmente sono 6:-
la CGIL e la grande trasformazione economica e sociale (questo per star dentro a quel
cambiamento di cui stamattina si è parlato e si è accennato);
lo sviluppo dei processi identitari e di affiliazione (cosa che non diamo assolutamente per
scontata, anzi abbiamo riscontrato che è uno dei campi di intervento dove più di tutti è
necessario intervenire in modo deciso);
lavoro di squadra e cooperazione attiva (per lavoro di squadra e cooperazione attiva
intendiamo far lavorare le persone in team sia all’interno del proprio dipartimento o della
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propria categoria e sia tra diverse categorie, perché uno dei nostri obiettivi fondamentali è
quello del superamento di compartimenti stagni che purtroppo oggi sono presenti
all’interno sia delle categorie che della Camera del lavoro);
la comunicazione (abbiamo riscontrato come la comunicazione rappresenti un grosso
problema, è un’area di intervento fondamentale, dal nostro punto di vista);
il team working (cioè lavorare in squadra, lavorare insieme);
competenze del sindacalista (che noi tutti diamo per scontate ma che scontate non sono.
Per competenze del sindacalista intendiamo un elenco a 360 gradi di intervento).
In più c’è la gestione organizzativa.
Queste sono aree di lavoro individuale di coaching gestite soprattutto da Ermanno Porro che,
come dicevo prima, ci coordina e ci supporta quotidianamente nella nostra attività.
Diciamo che queste sono le aree di intervento e le finalità che noi come dipartimento di
formazione ci siamo dati. I soggetti interessati e coinvolti sono:
l’apparato politico (per apparato politico intendiamo tutto l’apparato politico delle varie
categorie);
poi c’è l’apparato tecnico (per apparato tecnico intendiamo l’INCA, l’ufficio vertenze, il
CAAF, tutto ciò che riguarda il comparto dei servizi della Camera del lavoro);
i tecnici più accoglienza (per i tecnici più accoglienza intendiamo il personale centralinista o
la prima accoglienza che, secondo noi, rappresenta un filtro. È un primo passaggio molto
importante per indirizzare poi anche l’utenza, come oggi si suol definire coloro che
chiamano il centralino della Camera del lavoro).
La finalità del progetto:
questi sono i corsi e le giornate di lavoro che abbiamo messo in campo e che dobbiamo
mettere in campo da qui fino alla fine del progetto:
identità; lavoro di squadra; la cultura organizzativa; organizzazione per funzioni; sistema di
competenze specifico; mentalità positiva (anche questa è un’area di grosso intervento
quella della mentalità positiva).
Le modalità di svolgimento, cioè quando costruiamo e teniamo le giornate formative, sono:
a livello singolare (singolare significa basato sul lavoro individuale all’interno della giornata
formativa e con il supporto del coaching);
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dedicato (dedicato significa che i vari apparati, sia quello tecnico che quello politico, hanno
dei momenti formativi specifici, cioè indirizzati esclusivamente al loro comparto);
condiviso (condiviso significa che sia l’apparato tecnico che l’apparato politico avranno dei
momenti e delle giornate formative miste in cui tutti e due gli apparati lavoreranno
contemporaneamente all’interno delle stesse giornate).
Questi, fondamentalmente, sono gli obiettivi che ci siamo posti come Camera del lavoro.
I nostri due obiettivi fondamentali, quelli grossi sono la gestione e il governo del cambiamento e il
superamento (ci teniamo a questo) dei compartimenti stagni.
Noi abbiamo notato come purtroppo, all’interno della nostra Camera del lavoro, i vari apparati
comunicano poco e interagiscono ancora meno tra di loro.
Il nostro obiettivo (presuntuoso, chiamiamolo come vogliamo) è quello di riuscire a mettere
sempre di più in contatto e a far interagire sempre di più i diversi apparati, quello tecnico e quello
politico, perché oggi abbiamo notato che c’è una divisione netta, cioè spesso l’uno non sa cosa fa
l’altro e questo è veramente un grosso problema perché tante volte si possono risolvere diverse
problematiche con una semplice comunicazione che oggi purtroppo manca.
Il dipartimento formazione che è appena nato nel territorio del Ticino Olona è costituito da nostri 3
delegati, più abbiamo a supporto le varie categorie che già oggi fanno attività formativa tra di loro.
L’obiettivo è anche quello di cercare di mettere in rete e di cercare di costruire un archivio
condiviso tra le diverse categorie, in modo tale che il lavoro non vada assolutamente disperso.
In più il dipartimento mette a disposizione le proprie competenze anche per fare l’analisi dei
bisogni delle diverse categorie per poi poter svolgere quei corsi dove non c’è la possibilità o non ci
sono le capacità di poterli fare.
Abbiamo appena cominciato con le nostre gambe. Fateci un grosso “in bocca al lupo” e siamo
pronti a dare il nostro contributo.
Grazie.
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Interventi 9 novembre 2016
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GIANCARLO PELUCCHIResponsabile Formazione Sindacale Cgil Nazionale
Buongiorno a tutte e a tutti.
Ieri abbiamo fatto la nostra discussione. Ci sono stati 30 interventi e abbiamo terminano alle
quattro e un quarto. Stamattina riprendiamo la discussione e abbiamo ancora qualche relazione e
gli interventi. Io ho 15 persone iscritte a parlare. Quindi dovremmo farcela abbondantemente a
chiudere entro l’ora di ieri e anche prima.
È previsto la pausa pranzo, al contrario di ieri che abbiamo avuto una mezza idea di non farla, poi
invece c’è stata l’insurrezione popolare ed è stato meglio così. Quindi riusciamo anche a fare la
pausa pranzo.
Però, rispetto alla discussione di ieri e al tono anche degli interventi (che probabilmente, a
differenza del primo seminario dell’anno scorso, dove dopo tanti anni non si discuteva e c’è stata
una serie anche lunga di interventi che raccontavano tutti quegli anni), ieri intanto c’è stata la
restituzione del lavoro che in quest’anno di lavoro e di censimento abbiamo svolto nei territori e
come coordinamento dei lavori dei territori, ma soprattutto gli interventi raccontavano l’ultimo
anno, il progetto del 2017, Inoltre, sulla proposta che abbiamo avanzato, sostanzialmente (faccio
un riassunto delle puntate precedenti per chi non c’era) una proposta condivisa, vi è l’idea di fare
un passaggio alla normalità e di lavoro un po’ più stabile, un po’ più ordinario.
Noi oggi cominciamo con la prima relazione di Sebastiano Calleri che ci racconta il progetto su
salute e sicurezza.
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SEBASTIANO CALLERIResponsabile Salute e Sicurezza Cgil Nazionale
Vorrei iniziare questa mia breve comunicazione raccontandovi un episodio. La prima volta che misi
piede in questo palazzo, nell’ormai lontano 2007, (era il mio secondo giorno di lavoro nella
struttura nazionale confederale) mi mandarono a partecipare ad una riunione di giuristi
sull’articolo 2087 del Codice civile (non avevo ancora avuto il tempo di capire cosa fosse) e sulle
tutele dei lavoratori su salute e sicurezza. Io avevo fatto tutt’altro nel mio percorso sindacale. Lì
cominciai a capire che forse il primo ad aver bisogno di un po’ di formazione ero io, perché ci capita
spesso durante le vertenze, durante il nostro percorso sindacale, di assume responsabilità o di
provare a ricoprire dei ruoli anche se quello che abbiamo sono sicuramente le nostre esperienze e
il nostro saperci muovere all’interno di questi percorsi ma non magari il background necessario,
che è di altro tipo.
Da questa riflessione (che poi si è allargata pian piano che ho cominciato a conoscere anche i
compagni e le compagne che si occupano di questo settore e soprattutto le rappresentanze
sindacali sulla sicurezza, le Rls e gli Rls che abbiamo in tutto il paese, e ne abbiamo tanti) ho
cominciato a capire che, anche per una vecchia consuetudine nella nostra organizzazione, il ruolo
delle Rls era particolarmente difficile non solo per come è delineata l’articolazione della
rappresentanza ma anche perché ci voleva un qualcosa in più. Mentre, ad esempio, tutti i
rappresentanti territoriali della salute e sicurezza, i cosiddetti Rlst, che agiscono soprattutto in
ambito artigianato o di alcuni organismi paritetici di categoria, hanno anche, per effetto della legge
che istituisce questi organismi paritetici, assicurata una formazione anche di un certo livello (anche
perché il loro ruolo è molto importante, poi vanno a fare sopralluoghi in azienda, come sappiamo,
fanno la consultazione sui DVR, insomma fanno un sacco di cose molto importanti e molto difficili),
per tutti gli altri la situazione è molto variegata. Ci sono alcune categorie che fanno formazione di
categoria e ne fanno tanta, soprattutto per rispondere a uno dei problemi che abbiamo, che è
quello dell’abbastanza accentuato turnover degli Rls; cioè succede molto spesso che la figura tipica
dell’Rls è qualcuno che lo fa non vi dico per tutta la vita lavorativa ma quasi, e dall’altra parte
invece chi dopo qualche anno non riesce a esercitare il suo ruolo, o almeno sente di non poterlo
fare in maniera sufficiente e quindi passa la mano a qualcun altro.
Questo lo possiamo dire, immagino, in molti ambiti della nostra organizzazione però, rispetto alla
salute e sicurezza, c’è un qualcosa in più. Chi ha avuto occasione di sentire qualche mio intervento
105
sicuramente si ricorderà che io sono sempre molto convinto che il ruolo delle Rls non sia solo un
ruolo tecnico ma sia anche un ruolo politico contrattuale. Però la tecnica ci vuole, nel senso che
capire come funziona il nostro sistema prevenzionale in Italia non è facile. È una cosa che si
apprende anche con molto tempo e con molto studio. E anche affrontare i ruoli che anche la legge
ci mette in capo come rappresentanza sulla sicurezza è molto complicato.
Vi ho raccontato questo per farvi un po’ capire quali sono gli antefatti anche delle cose che
pensiamo di fare nei prossimi anni.
Quindi c’è una situazione di categoria molto varia, di vario livello ma molto diffusa e molto
presente. C’è qualche formazione confederale che si focalizza soprattutto sull’aspetto generale
della formazione delle Rls che ovviamente riceve una formazione obbligatoria dal datore di lavoro
per quanto stabilito dalla legge ma ha sempre molto bisogno di un rapporto costante e continuo
con l’organizzazione sindacale anche dal punto di vista formativo, anche semplicemente per un
travaso di esperienze, una comunicazione di esperienze e di saper fare all’interno dei luoghi di
lavoro.
Poi ci sono molte formazioni specifiche perché, come sappiamo, i rischi specifici di settore ma
anche di mansione e di aspetti professionali sono molto diversi e molto variegati. Non è la stessa
cosa se una persona lavora con un regime contrattuale rispetto a un altro (questa è un’altra cosa
sulla quale dobbiamo, secondo me, fare anche molto avanzamento) e non è la stessa cosa se una
persona ovviamente lavora in un’industria chimica o in un ufficio.
Quindi abbiamo ancora un’altra difficoltà rispetto a questo.
Però finalmente una cosa buona ce l’abbiamo avuta; nel senso che, dopo una difficilissima
contrattazione, si arrivò, nell’ormai lontano 2010, a un accordo tra tutte le parti sociali e l’INAIL e il
ministro del Lavoro, che ci metteva in quel caso i soldi, e a una campagna di formazione per gli Rls
massiccia su tutto il territorio nazionale attraverso un bando nazionale di un progetto.
Purtroppo, come in tutte queste grandi operazioni io dico quasi di stampo illuministico, poi bisogna
fare i conti con la realtà e i rapporti di forza. A realizzare questa cosa ci abbiamo messo ormai quasi
6 anni e ancora non siamo alla fine. Però abbiamo presentato il nostro progetto che è un progetto
unitario, un progetto forte, un progetto elaborato e sentito con tutte le parti che hanno
contribuito, con le categorie e con la segreteria nazionale che ci ha dato una grande mano affinché
questa cosa fosse portata a compimento. E abbiamo però dovuto scontare un’iscrizione preventiva
dei corsisti che ha significato raccogliere, territorio per territorio, Camera del lavoro per Camera del
lavoro e categoria per categoria, le pre-adesioni a questa iniziativa formativa. È come se, in qualche
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modo, ci avessero detto: “Ok, vi diamo 100 lire però, prima che ve le diamo, voi ci dovete dare il
progetto, ci dovete dire chi partecipa, per quanti giorni, per quante ore, secondo quali contenuti e
poi noi giudichiamo se va bene e forse ve lo facciamo fare”. Qualche problema ce l’hanno
presentato.
Grazie però anche al fatto che quell’accordo era un accordo firmato anche dalle imprese (che
anche loro ricevevano un aiuto per formare i loro quadri, i loro dirigenti ma anche i loro lavoratori
dove non fossero riusciti a fare per esempio formazioni specifiche su alcuni aspetti, sui preposti
eccetera) e grazie ad alcune azioni che abbiamo fatto, siamo riusciti a far rimandare il bando.
Adesso ci siamo in pieno. Abbiamo presentato il bando con tutti quanti i requisiti necessari, tra cui
anche i partecipanti che hanno fatto delega firmata dalla CGIL per fare formazione su salute e
sicurezza. Il che non è esattamente un dettaglio banale. Questo da una parte.
Quindi adesso stiamo aspettando che parta questo progetto. Abbiamo incardinato la domanda.
Adesso, essendo un progetto unitario che ha esattamente tutti i requisiti di punteggio per passare,
credo che la cosa non abbia questo grande problema, salvo sorprese dell’ultimo minuto che
conosciamo.
Questo significherà ovviamente, anche per il tipo di progetto che è, un grande impegno da parte di
tutti noi perché questo progetto si occupa soprattutto di tre cose.
Primo, di formare gli Rls e le Rls delle piccole e piccolissime imprese, cosa che in Italia è molto
difficile. Questi nostri rappresentanti sono quelli che hanno più in generale più problemi perché il
rapporto in un’azienda fino a 10 dipendenti non è esattamente quello che si ha in un contesto più
grande e più strutturato, ed è anche quello dove c’è il maggior deficit di conoscenza, soprattutto
rispetto a rischi specifici delle mansioni e non solo rispetto in generale al rischio. Cioè, pensate ad
esempio alle autocarrozzerie, ai panificatori, a piccole imprese agricole, tutti contesti in cui ci sono
altissimi rischi di manipolazione di sostanze chimiche, di nanoparticelle eccetera che sono
ovviamente molto spesso non conosciute neanche dai datori di lavoro, eh!
Cioè siamo a livello che anche i datori di lavoro che poi maneggiano queste cose non ne sono
pienamente a conoscenza. Quindi questo è l’aspetto generale.
Da questo qui ne è discesa, nel nostro progetto che abbiamo soprattutto elaborato con la
Fondazione Di Vittorio, anche l’idea di cominciare ad abbozzare uno strumento che non è proprio
formazione a distanza ma che è un sito (che adesso cercheremo di capire bene come funzionerà
pian piano e che ovviamente rientra in un discorso di economia di scala anche delle risorse del
dipartimento su cui vogliamo sviluppare i progetti) che è partito da un’intuizione semplice. Noi
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abbiamo detto: “Va beh, su Facebook ci stanno tantissimi gruppi, dagli amici di Donald Trump ai
nazisti dell’Illinois ecc. ecc., ci potrebbe stare pure magari qualcuno che parla di salute e sicurezza
della CGIL”. Dice: “Va beh, ma quanta gente vuoi che ti si iscriva a parlare di salute e sicurezza? È
una cosa pallosissima, da iniziati, da cavalieri Jedi, 100 in tutta Italia”. Ebbene, abbiamo 5mila
persone. Cioè noi siamo arrivati a oggi a un gruppo che conta diverse discussioni al giorno e 5mila
e passa iscritti.
Da qui abbiamo capito che forse qualche strumento di comunicazione maggiore lo dovevamo
usare e pensiamo di sviluppare una strategia su tre direzioni sempre dal punto di vista della
comunicazione: sia questo gruppo Facebook che rimarrà inalterato; un sito che invece darà
formazione e informazione a distanza per gli Rls e per i quadri; e speriamo, se riusciamo anche a
portare a una dimensione accettabile le risorse dell’INAIL, anche uno sportello on line (ce l’hanno
diverse categorie) sui problemi contrattuali non solo e anche pratici degli Rls.
Questo, da una parte, credo che sia un impegno. Ovviamente ce la siamo presa con molta calma,
nel senso che una cosa così si fa almeno in tre/quattro anni se va bene. Adesso abbiamo instaurato
un canale di comunicazione, riceviamo input, cerchiamo anche di statisticare quali sono i bisogni
non solo formativi ma anche informativi delle persone che si rivolgono a questo spazio.
L’altro grande filone di cose che abbiamo provato a cominciare a fare (ed è anche stato il motore
per cui alla fine sono qui a parlarne invitato da Giancarlo) riguarda la questione alternanza scuola-
lavoro. Al netto di tutte le grandi discussioni di cui siamo tutti edotti sulla valenza o meno
dell’alternanza scuola-lavoro eccetera, su salute e sicurezza noi siamo partiti da una constatazione
semplice. Siccome probabilmente a un ragazzo di quell’età che non ha mai sentito parlare del
mondo del lavoro e tanto meno di come proteggersi da quello che di male succede in un posto di
lavoro, ma anzi vede probabilmente il posto di lavoro come un approdo finalmente fortunato dopo
una vita di precarietà, spiegargli che in qualche modo nel mondo del lavoro bisogna anche
difendersi da alcuni insidie che possono anche dare fastidio alla propria salute e alla propria
incolumità non è proprio facilissimo. E secondo noi è un valore spiegarglielo. Anche se c’è una
legge sbagliata che istituisce questo spazio, anche se ci sono mezzi che noi non riteniamo idonei,
però noi in questa cosa pensiamo di volerci stare.
Questa cosa come si fa? In due modi. O partecipando a quelle che sono le attività formative che
abbiamo deciso come CGIL più in generale di fare, cioè rispetto ai diritti e al mercato del lavoro, e
quindi anche a salute e sicurezza e che non hanno bisogno di un titolo specifico di abilitazione per
farlo; dall’altra parte, invece, con una formazione appunto specifica perché la legge prevede che i
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ragazzi, così come i lavoratori al loro primo ingresso nel mondo del lavoro, debbano fare le famose
quattro ore di formazione obbligatoria come la fanno i lavoratori, uguale.
Noi vi assicuro che abbiamo sul territorio, proprio perché le esigenze formative sono grandi, una
pattuglia di compagne e compagni che quel titolo ce l’hanno, siano essi Rls di lunga data perché
questo titolo lo si prende anche per esperienza sul campo, non solo per studi. Quindi chi ha
lavorato per più di tre anni come Rls o come Rls di sito o come Rlst, insieme a un altro paio di
requisiti, ce l’ha e può fare questa formazione obbligatoria. È ovvio che, se gliela fa una nostra
compagna o un nostro compagno o se gliela fa un formatore a 500 euro a prestazione, qualche
differenza c’è. E io credo che, anche per uscire da una logica di mercato stretta e da una logica di
mercato miope che non investe invece sulle competenze su salute e sicurezza che per la nostra
organizzazione sono sicuramente un valore aggiunto, per di più se vengono trasmette alle nuove
generazioni, noi in questa partita ci vogliamo stare.
Dopo questo seminario ci vedremo per capire come continuare e dare le gambe a questa
questione, se fare una cosa flessibile sul territorio, cioè poter partecipare a questi eventi formativi
più generici e in qualche caso fare la formazione specifica, o se decidere di partire invece con un
progetto prima di formazione dei formatori e poi di diffusione sul territorio solamente sull’aspetto
salute e sicurezza. Però questa ovviamente non sarà una decisione che potremo prendere da soli
che però anche questa sarà importante.
Lo dico perché credo che sia importante, anche in questo caso, non fare una cosa a macchia di
leopardo e perché credo che sia importante che, se vogliamo spingere un’alternanza scuola-lavoro
di qualità, come diciamo, non lasciamo buchi all’interno dei nostri territori.
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GIOVANNI CAPUTODelegato progetti formativi Fiom Roma COL
Buongiorno a tutti e grazie per ospitarmi in questa attività.
Sono qui in rappresentanza di Bruna Cossero, che è la collega della struttura formativa di CGIL
Roma Lazio, che non può essere qui perché ha un’attività formativa a Genzano, sta tenendo la
seconda giornata di formazione sulla contrattazione inclusiva e quindi mi ha dato delega.
Solitamente lavoriamo insieme. Quindi quello che volevamo fare era raccontare che cosa stiamo
realizzando sul territorio di Roma e del Lazio andando in giro, come ci piace dire, porta a porta,
casa a casa, nelle varie strutture.
Stiamo lavorando su diversi ambiti formativi che rispondono ovviamente alle esigenze delle
strutture o dei vari comparti. Abbiamo lanciato, proprio in questo ultimo mese, un’attività
formativa su Industria 4.0 e sull’evoluzione dell’attività industriale, con un percorso formativo che è
partito il 28 ottobre scorso con cui abbiamo promozionato una locandina a “Tempi moderni”,
qualcuno può averla vista, è girata anche sul sito della CGIL.
L’attività avrà un laboratorio formativo, definito “Laboratorio sindacato 4.0” al fine di dare
strumenti a chi partecipa per adeguarsi alle variazioni in essere nell’ambito dell’Industria 4.0.
Abbiamo lavorato (proseguo con altre attività) sulla contrattazione di secondo livello. Abbiamo
fatto territorialmente, in diverse province, accorpando le strutture, corsi sulla contrattazione di
secondo livello e la rappresentanza allargata, chiamando esperti di struttura nostra o esterni che
sono venuti a presentarci le (variazioni?) e le ipotesi di contrattazione.
Abbiamo lavorato anche sulla contrattazione sociale. Questo è stato il modulo più corposo (e
questo è destinato alle segreterie delle Camere del lavoro) perché è iniziato a settembre e si
chiuderà, con un terzo modulo finale, con tutta una serie di workshop che verranno svolti, ad aprile
del 2017. Quindi quest’attività occuperà gran parte dell’azione della struttura.
Infine, un altro elemento cruciale formativo, un progetto che ci ha impegnato, è quello sul percorso
formativo per l’accoglienza. Qui i target erano i responsabili organizzativi delle Camere del lavoro e
i responsabili dei sevizi. Abbiamo sperimentato tematiche che ci erano state richieste durante
l’attività e andavano dal modulo sulla leadership e sul coaching, quindi proprio per sviluppare le
competenze nell’incontro, a tematiche più classiche, come la soluzione dei problemi, più
prosaicamente detto “problem solving”, e fino anche ai contenuti di marketing associativo per
condividere le best practices che venivano individuate in questi percorsi.
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Sempre il percorso formativo per l’accoglienza individua anche un’altra parte che è quella dedicata
agli operatori dei servizi. Questa è da sviluppare nel 2017. Per quella rivolta ai responsabili siamo
già in itinere, l’altra va sviluppata.
Come l’abbiamo fatta questa cosa qui? Abbiamo utilizzato, in particolar modo per i corsi rivolti alle
segreterie confederali, il fondo Fon.Coop e abbiamo operato il progetto DROID che ha occupato
quasi 18 mesi di attività, con formazione frontale ma anche con un’attività importante in outdoor
che ha visto coinvolti quasi 100 segretari e responsabili di struttura. Eravamo dalle parti dove è
oggi Bruna, Genzano.
Questo è per quanto riguarda la parte confederale.
In particolare, con altri compagni e Bruna, siamo stati fortemente impegnati in un’attività porta a
porta che è stata quella che vede la formazione delle rappresentanze di base, le Rsu e i neo Rsu, ai
quali portiamo proprio competenze cruciali (proprio il kit, la cassetta degli attrezzi) per iniziare a
svolgere il loro mestiere. In queste attività abbiamo proposto momenti formativi che vanno dalla
CGIL e la sua struttura (splendido il video, lo potremmo utilizzare nelle nostre attività), lavoro sullo
Statuto della CGIL e anche quelli che possono essere alcuni strumenti di efficacia comunicativa
nelle assemblee, perché questi nuovi compagni eletti rappresentanti sindacali unitari si ritrovano a
dover comunicare con platee che non sempre sono semplici.
Non solo nell’ambito del kit di partenza ma sempre rivolto alle Rsu siamo andati sugli elementi di
negoziazione, la loro gestione del tempo tra lavoro e rappresentanza e anche (e spesso è stato
molto stimolante) come accedere al fondo sociale europeo e alle varie tipologie, perché spesso le
realtà in cui operiamo possono poter beneficiare di una competenza e portare anche questa
competenza in azienda.
Infine ci sono i corsi confederali che sono destinati ai delegati e alle delegate che sono ovviamente
finanziati dalle strutture di comprensorio, sono auto-finanziati. Lo stesso dicasi per le segreterie.
Quello che metto in conclusione è: che cosa facciamo, che cosa ci proponiamo e cosa chiediamo.
La nostra struttura lavora sul territorio , quando va a fare un’attività formativa, occupandosi di
quello che è il processo più standard della formazione, parte proprio dal fabbisogno perché ciò che
può essere utile appunto a Genzano andrà non altrettanto bene per Frosinone. Quindi partiamo
dall’indagine del fabbisogno formativo e andiamo, insieme ai docenti, li coinvolgono, che possono
essere risorse interne o esterne, a progettare la micro-progettazione, fino all’approvazione del
progetto.
111
La struttura CGIL Roma e Lazio, con Bruna e con il coordinamento anche di Tina Balì, si occupa di
tutto quanto: dalle docenze al tutoraggio alla tenuta d’aula.
Moltissime delle cose che noi facciamo – ho dimenticato di dire prima – le abbiamo svolte con la
Fondazione Di Vittorio, nello specifico del progetto DROID è stato il nostro compagno di viaggio per
tutta l’attività.
In chiusura, la nostra proposta è quella di creare uno spazio fisico e anche virtuale in cui far
incontrare i formatori delle diverse strutture regionali, confederali, dove poter condividere le loro
esperienze perché quello che noi abbiamo progettato dovremmo trovare un modo per
confrontarlo con quello che hanno fatto altre strutture, altre realtà.
Quindi (non so se ieri era già passata questa cosa, noi volevamo ribadirla) creare questo spazio
dove confrontarsi sui programmi, sulle modalità che abbiamo scelto e sull’efficacia perché questo
permette, a chi deve ricominciare in una struttura nuova o che cambia il referente della
formazione, di avere un bacino di riferimento a cui attingere per poi da lì partire e non dover
ricominciare tutto da capo.
Vi ringrazio per l’attenzione e buona prosecuzione.
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SIMONA MARCHIDirettrice Area Formazione Fondazione Di Vittorio
Introduzione
Buongiorno a tutte e a tutti.
Mi scuso per essere stata impegnata in aula ieri e per non aver potuto ascoltare le diverse relazioni
che sono state – mi hanno detto – estremamente interessanti. Quindi, da un lato mi sono persa un
pezzo importante ma, dall’altro lato, ciò mi avvantaggia perché molte cose sono state dette e
quindi andrò più velocemente.
L’idea è di dividere questo intervento in tre parti per una durata massima totale di 10 minuti. Le tre
parti hanno una durata inversamente proporzionale a mano a mano che andiamo verso la fine.
La prima parte tenterà di rispondere al mandato che Giancarlo mi ha dato, cioè quello di
raccontare quale sia stato il contributo della Fondazione Di Vittorio a partire dall’ultima Conferenza
di Organizzazione fino a oggi. Tenterò, quindi, nella prima parte, di raccontare il che cosa. Nella
seconda parte invece vorrei iniziare con voi - semplicemente iniziare perché oggi non ce ne sarà il
tempo, magari approfondiremo in un altro appuntamento - un ragionamento sul come. Poi
terminerei con un piccolo scherzo, un augurio che faccio a tutti noi.
Che cosa è stato fatto dalla Conferenza di Organizzazione ad oggi
Le grandi questioni che, alla base della VI Conferenza di Organizzazione del 2015, hanno consentito
di rinnovare l’attenzione e l’importanza attribuita alla formazione sindacale, non solo sussistono
ancora ma, se possibile, si sono radicalizzate. In quell’occasione, non solo fu dato un mandato
specifico alla formazione sindacale, ma sono stati indicati anche alcuni capitoli di intervento: a
partire dalla contrattazione in tutte le sue declinazioni e articolazioni, a partire dal concetto più
generale di contrattazione inclusiva, è stata posta la questione della centralità del territorio, delle
regole, democrazia e partecipazione, e così via.
Dovendo, dunque, raccontare il contributo della Fondazione, questo non può che essere fatto a
partire da quel mandato. Per semplicità di racconto, un po’ forzatamente, ho cercato di
schematizzarlo in alcune slide.
Nella torta che vedete nella slide ho cercato di organizzare in grandi ambiti tematici i singoli corsi
che abbiamo realizzato a partire da quell’appuntamento.
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I grandi capitoli formativi che abbiamo realizzato riguardano identità, organizzazione,
comunicazione (scusate se li organizzo così ma chiaramente ciascuno di loro è declinato in tanti
sotto-temi e altrettante attività formative che però non sto qui a raccontarvi); la contrattazione in
tutte le sue declinazioni, la questione della rappresentanza e della bilateralità; il tema grande del
dialogo sociale, dello sviluppo economico e sociale, di una capacità di analisi del territorio in una
logica di anticipazione rispetto a un’idea di sviluppo condivisa, il tema della legalità; il grande tema
del mercato del lavoro - che in particolare in questi due anni ha occupato molto spazio nella
riflessione sindacale e quindi anche nella riflessione che abbiamo fatto in aula- ; il welfare; il
grande ambito della tutela individuale e del suo rapporto con la rappresentanza collettiva, il
sistema servizi e non da ultimo il tema dell’operatore polifunzionale; la dimensione europea e
internazionale come attività formativa specifica sull’Europa, sugli organismi, ruoli e funzionamento,
ma anche la declinazione, nei territori e nelle categorie, dei principali risultati che ottenuti
attraverso i progetti europei realizzati in questi ultimi anni. E poi, non da ultimo, la formazione dei
formatori in tutte le sue declinazioni.
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Visto che si parla di contributo, quindi utilizzando un po’ un lessico contabile, diciamo che i
partecipanti alle attività formative in questo ultimo biennio sono stati 4mila e 200, di cui mille e
900 provenienti dalle categorie e il resto dalle strutture confederali a tutti i livelli. Le persone
coinvolte in attività formative a distanza sono state 850. Abbiamo avuto tutte le tipologie di
partecipanti, dai delegati fino ai dirigenti e segretari nazionali.
Sono state adottate metodologie didattiche di diverso tipo, dal seminario tradizionale all’aula,
nonché percorsi formativi più lunghi in cui è stato possibile utilizzare, quasi sempre, metodologie
miste, attive, laboratori e sperimentazioni, formazione a distanza, uso delle nuove tecnologie e dei
nuovi social.
Le tipologie di attestazione utilizzate sono: l’attestato di frequenza, i libretti formativi – dispositivi
che richiedono un’attività di aggiornamento sistematico - e crediti formativi laddove la formazione
richiedeva un obbligo di aggiornamento continuo. Un esempio tra tutti: coloro che tra i
comunicatori CGIL sono anche giornalisti e hanno l’obbligo di frequentare corsi accreditati presso
l’Ordine per il rilascio dei crediti della formazione continua.
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La durata media dei percorsi che abbiamo realizzato è di circa 6-7 giornate, ciascuna delle quali di
circa 6 ore nel corso di un anno. Per quanto riguarda la variazione, la forbice è molto ampia: si va
da una giornata di 6 ore fino a 10 giornate di 6-8 ore – come è accaduto, ad esempio, nel progetto
formativo sul dialogo sociale Discover che è stato citato ieri e che ha coinvolto i compagni operanti
nelle Regioni del Mezzogiorno, ex obiettivo convergenza –.
Essendo la media spostata un po’ più verso 6-8 ore, ciò significa che, in ogni caso, si tratta di corsi
abbastanza impegnativi dal punto di vista temporale.
La tipologia di progetti varia dal livello nazionale, al regionale e territoriale, progetti confederali e di
categoria, progetti europei e grandi progetti unitari come quello che citava prima Calleri su salute e
sicurezza, oppure come altri già citati, ad esempio quello sul dialogo sociale.
Le risorse che tentiamo di utilizzare sono diverse, si tratta di fondi europei, fondi nazionali, fondi
interprofessionali, fino ai fondi ministeriali, INAIL e così via, e poi risorse interne.
Di cosa la FDV si è dotata, negli anni, per poter realizzare un’attività formativa che preveda il
coinvolgimento ogni anno di circa 2mila partecipanti? Un impianto di progettazione abbastanza
corposo, metodologie didattiche che consentano di andare incontro, di volta in volta, al fabbisogno
specifico emergente, albo di docenti distinti per area tematica, sistema di convenzioni e
accreditamento, a partire da quello base che hanno quasi tutti i soggetti che fanno formazione, che
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è la certificazione di qualità, fino ad arrivare agli accreditamenti regionali e a quelli nazionali
ministeriali e così via, aule accreditate e non accreditate - in questo caso la Fondazione Di Vittorio,
oltre ad avere delle aule proprie, è accreditata presso il Centro congressi Frentani, che è luogo di
attività formativa della Fondazione Di Vittorio per quanto concerne l’attività accreditata-, sistema di
certificazione e attestazione della formazione e degli apprendimenti, sistema logistico e
organizzativo - organizzare attività su tutto il territorio nazionale ha bisogno di una segreteria
organizzativa e logistica -, una dotazione tecnologica adeguata per la formazione a distanza
-supportare la presenza simultanea sulla FAD di un migliaio di soggetti richiede strumentazioni
adeguate - e poi un’amministrazione in grado di sostenere queste attività e di rendicontarle
quando si tratta di progetti finanziati.
Con questo termino la prima parte, che era la più lunga, che è sul “che cosa”, per dire due cose sul
“come”.
Come andare avant, insieme
La particolare fase che stiamo vivendo - so che è stata ripresa più volte la questione della crisi e
dell’impatto della crisi -, richiede che tra di noi formatori si avvii, a mio avviso, una riflessione, non
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solo sul “cosa” facciamo, basata sul racconto e sul confronto tra le varie attività – seppure molto
importante -, ma anche sul “come”. Mentre il “cosa” risponde a una domanda di esigenza di
circolazione delle informazioni, il “come” risponde a un’altra domanda, ossia: quali sono le
categorie interpretative che noi decidiamo di costruire insieme per leggere le dinamiche in atto e
per definire in che modo intendiamo fare formazione oggi.
Non solo. Tentare di rispondere al “come”, attraverso la definizione di categorie di analisi adeguate,
significa anche prendersi una precisa responsabilità politica come formatori.
La questione del come della formazione è un tema di politica della formazione, che richiede la
definizione di specifiche categorie interpretative. Quando parliamo di formazione mi vengono in
mente almeno tre soggetti: (1) il soggetto del lavoro o del non lavoro o del dopo lavoro o del
disagio (il lavoratore); (2) il soggetto della rappresentanza e della tutela (i sindacalisti); (3) il
soggetto della formazione (cioè noi, i formatori, chi fa formazione).
Rispetto a questi tre soggetti noi siamo chiamati a rispondere. Il soggetto del lavoro oggi vive una
sofferenza enorme, le nuove forme di organizzazione e gestione del lavoro generano sofferenza.
La gestione delle risorse umane è organizzata in funzione delle costrizioni di flessibilità. Il
lavoratore è costretto a elaborare le capacità in modo tale da agire in modo proattivo, in una
temporalità limita, incerta, in un ambiente instabile. A governare il lavoro sono le capacità di
adattamento ai rischi della domanda e non più l’esecuzione del lavoro, con perizia, nei dettagli.
Inoltre dato che il lavoro è strutturato, anche quello industriale, sempre più come una relazione di
servizio, il contenuto relazionale ed affettivo viene posto sotto stress. I nuovi metodi
contribuiscono a degradare le condizioni di lavoro. Quindi occorre tener conto delle contraddizioni
generate da queste nuove forme di gestione e organizzazione del lavoro, inserendole nel retaggio
della questione sociale, ponendo l’accento sul punto centrale del dolore: il problema
dell’ingiustizia.
La sofferenza generata dall’attuale condizione del lavoro riguarda, in estrema sintesi:
1. l’incertezza del lavoro;
2. la paura dell’incompetenza, di non essere all’altezza, legata all’impossibilità di distinguere
tra fallimento dovuto a un’anomalia dei sistemi e quello risultante da un’incompetenza dell’indivi-
duo;
3. la costrizione a lavorare male, in pessime condizioni, in condizioni incerte, che è una delle
condizioni principali di sofferenza sul lavoro (che si collega al tema della salute e sicurezza);
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4. l’assenza di riconoscimento di quello che ciascuno ha dovuto fare affinché il lavoro fosse di
qualità.
Questi aspetti riguardano il valore che il soggetto è in grado di accordare a se stesso, hanno a che
fare con la stima di sé, con l’identità.
Il soggetto sindacalista, della rappresentanza e della tutela, è un lavoratore anche lui. E’ possibile
che soffra in parte, in prima persona, delle questioni di cui dicevamo prima, però deve fare uno
sforzo in più: quello di organizzarle collettivamente, di dare una risposta e di porle a un livello più
alto che è quello della questione sociale e sindacale, del conflitto. Quindi non solo deve saperle
leggere ma deve avere gli strumenti adeguati per trasformarle.
Il soggetto della formazione, infine, oltre a vivere gli aspetti di cui dicevamo prima, deve essere in
grado di fornire gli strumenti, individuare le lenti per leggere i fenomeni in atto, elaborare le
categorie interpretative, e mettere a punto gli strumenti per rispondere.
Bisogna tenere conto di un altro aspetto: nella crisi si genera un apprendimento specifico, un
apprendimento che potremmo descrivere utilizzando la categoria di Amartya Sen capacitazione
però capovolgendola, ossia incapacitazione, cioè potremmo parlare di apprendimento ma
deprivato di tutti quegli aspetti che invece rendono un soggetto di diritto attivo nel mercato del
lavoro, cioè la libertà, la giustizia, i diritti. È un apprendimento specifico ed è un apprendimento
che sta durando da tanto. Rispetto a questo tipo di apprendimento nessuno è escluso. Ciò richiede
una riflessione sulla genesi dei soggetti incapacitati.
Questo tipo di apprendimento si basa su una crisi cognitiva e su una crisi normativa. La crisi
cognitiva è una crisi di saperi e competenze socialmente utili e coesive. Essa implica anche un
tendenziale abbandono dell’idea che sapere conti qualcosa, sia come risorsa privata che come
risorsa collettiva. La crisi normativa è assenza, non comprensione, mancato riconoscimento,
mancato rispetto delle regole.
Se il soggetto del lavoro è dentro questo processo di apprendimento che è incapacitante, allora il
soggetto della rappresentanza e della tutela lo è doppiamente: in quanto lavoratore e in quanto
soggetto della rappresentanza.
Pertanto, rispetto a questo, la formazione sindacale deve assumere un ruolo forte, attivo,
proattivo.
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Un augurio: la fortuna e la forza
L’augurio. Questa è una carta dei tarocchi ed è la ruota della fortuna. Si tratta del decimo arcano
dei tarocchi e rappresenta una ruota, appunto, della fortuna, che dovrebbe girare. Adesso la
vedete così, è apparentemente immobile, sta appoggiata su un mare che un po’ si muove, dunque
è immobile ma instabile. Come vedete, la manovella della ruota esce fuori dalla carta, e nei
tarocchi, quando qualcosa esce fuori dalla carta, vuol dire che ci si aspetta una ruolo della carta
successiva. L’arcano successivo è la forza, e quindi la ruota della fortuna aspetta la forza per essere
girata. Vedete inoltre i due animali, il giallo e il rosa: uno che tende, seppur all’indietro, di far girare
la ruota verso il futuro e l’altro, seppure in avanti, di portare verso il passato. In cima c’è una sorta
di sfinge che ha il mantello della saggezza e che aspetta che arrivi la forza, affinché la ruota possa
girare per poter proseguire in questa riflessione. Dunque, un augurio a tutti noi di buon lavoro!
Grazie.
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RICCARDO SANNACapo Area - Area Politiche dello Sviluppo Cgil Nazionale
Intanto buongiorno a tutti, compagne e compagni.
Un ringraziamento sentito, non retorico, per questo seminario e in generale per il lavoro che si sta
facendo sulla formazione, il censimento, il coordinamento. Insomma, un’idea lungimirante di
rafforzamento delle nostre fila nei gruppi dirigenti alla base e in generale direi di investimento
come base per un’idea diversa proprio di politica dei quadri.
Ci volevano forse i tarocchi per capire che avrebbe vinto Trump. Permettetemi un piccolissimo
prologo. Le previsioni economiche in realtà richiedono formazione, richiedono analisi. L’analisi è
alla base di tutte le scelte che la CGIL ha svolto e sta portando avanti, le sue strategie principali.
Un’analisi che può essere svolta, al contrario che con il caso, la fortuna o il destino, in maniera
molto, molto razionale e compiuta. Badate, è un’analisi che ha portato la CGIL a non sbagliare mai
l’analisi delle tendenze economiche e le previsioni di quello che sarebbe successo all’economia
internazionale e all’economia italiana.
Dicevo, concedetemi un piccolo prologo, un piccolo scherzo. Personalmente credo di aver fatto tre
grandi previsioni fallite completamente.
La prima, che la Roma avrebbe vinto lo scudetto.
La seconda. Nel 2007 mi capita l’incidente di incontrare Veltroni che voleva candidarmi al
Parlamento insieme a Marianna Madia. Io, come Nino sa bene, scelgo di fare il sindacalista e dico,
all’allora mia amica Marianna: “Non si va così in Parlamento, così non farai strada”. E infatti. È
diventata ministro e ha rovinato gran parte della pubblica amministrazione.
La terza e finale peggiore previsione che ho fatto è stata quando mi è capitato, per ragioni
diplomatiche, di stare a una serata in cui c’era Renzi, allora sindaco di Firenze, serata allegra,
onestamente non indusse in me tantissima stima. Mi girai verso mia moglie e dissi: “Questo non
farà strada, non andrà da nessuna parte”.
Io penso onestamente che, al netto delle previsioni sulle tendenze politiche, però posso
annoverare decine e decine di volte in cui l’analisi economica (ovviamente un’analisi collettiva,
un’analisi strutturata della nostra organizzazione) è riuscita a capire dove stava andando in
generale la storia e non solo l’economia, dagli ultimi documenti che certificano quello che noi
avevamo già detto a febbraio, cioè che la crescita dell’Italia non avrebbe raggiunto l’1 per cento
quest’anno e a stento l’anno prossimo, dall’analisi delle tendenze internazionali e, al di là delle
121
battute, della stessa attenzione verso nazionalismi proprio generati da scelte liberiste che hanno
portato prima il Brexit e oggi a scegliere una politica di potenza come quella che promette Trump.
Tutto ciò per dirvi cosa? Che lo studio dell’economia (non è necessario che l’argomenti oltremodo)
è indispensabile per capire la fase storica, non solo la stessa economia. Già Robinson diceva: “Il
fine dello studio dell’economia non è acquisire una serie di soluzioni bell’e pronte per i problemi
economici ma imparare a non lasciarsi ingannare dagli economisti”. Guardate, il livello di
conoscenza economica in Italia, credo meno magari nel nostro sindacato ma in generale nel nostro
paese, non è molto alto però l’economia non è l’economia che leggiamo sui giornali e basta. La
differenza tra un economista finanziario e un economista politico (e qui arrivo al nostro corso, al
corso che abbiamo pensato insieme io e Giancarlo) è la filosofia, non è la matematica. C’è
un’attualità fortissima nella lettura, nelle tendenze internazionali, della teoria del valore del lavoro
di Marx, c’è un’attualità fortissima della teoria generale a ottant’anni dalla sua diffusione.
Ora, io credo che, per capire come sta cambiando in generale quindi il mondo, le nuove tendenze,
gli squilibri che hanno portato alla crisi che riguardano esattamente i rapporti di forza di cui
viviamo noi tutti i giorni, è necessario avere alcuni strumenti fondamentali dell’economia, come li
chiamano i professori. E, grazie anche alla disponibilità dei nostri studiosi economisti, quasi cento
ormai militanti nel forum dell’economia della CGIL, siamo riusciti a immaginare una formazione a
distanza; un progetto pilota con lezioni agili, veloci a distanza, la disponibilità di materiali,
approfondimenti bibliografici, dispense nell’idea di generare una conoscenza, stratificare dei
principi sull’economia politica e fare dei collegamenti espliciti, anche utilizzando elementi di
statistica economica, con il nostro mestiere.
Naturalmente, essendo un corso, prevede un accreditamento, una password, un accesso, dei test
per passare di volta in volta alla fase successiva. Abbiamo immaginato anche un piccolo forum
digitale in cui interagire con i docenti e con i tutor, e lo abbiamo immaginato sostanzialmente
diviso in tre parti. È piuttosto ambizioso, a dir la verità, però non siamo riusciti a fare meno.
Le parti sono: l’economia politica e la politica economica (trovate in cartellina l’indice di questo
corso di formazione di economia politica), quindi la storia del pensiero economico, i grandi classici
oggi riscoperti da tutti i filosofi e gli storici del pensiero economico, le teorie, i modelli, la
domanda, l’offerta, le curve, la base per analizzare le dinamiche economiche, l’analisi strutturata
della crisi e della grande trasformazione che stiamo vivendo e quale intervento pubblico in
economia naturalmente ne deriva, la politica di bilancio, capire davvero l’austerità, le possibilità di
una politica espansiva, le scelte che sta facendo oggi l’Europa e l’Italia (scelte che – vi ripeto –
122
hanno fortemente a che vedere con quello che è successo negli Stati Uniti), una parte legata più
alla cassetta degli attrezzi del sindacalista, quindi una parte dedicata proprio alle relazioni
industriali e alla politica economica, salari, inflazione, produttività, la distribuzione del reddito, pre-
distribuzione del reddito tra capitale e lavoro e redistribuzione del reddito tra fisco e welfare. Infine
una terza parte, attualissima, sull’economia del lavoro e il mercato del lavoro, e quindi una lettura
integrata degli indicatori del mercato del lavoro che probabilmente tutti pensiamo di conoscere e
invece nascondono tantissime informazioni, a partire anche dal legame tra l’indicatore
dell’occupazione e della disoccupazione e della stessa crescita e tenuta dei conti pubblici, quello
che ha a che vedere con deregolazione e de-collettivizzazione del lavoro, quindi l’analisi dei
cambiamenti legislativi del lavoro legati però a fattori economici e alla stessa sindacalizzazione (ci
sono degli indici precisi che possono dar conto di cosa succede in economia quando si fa il Jobs
Act), e naturalmente un’analisi più compiuta delle nostre strategie di fondo, quindi nella ricerca
della piena e buona occupazione, il Piano del lavoro, il Piano straordinario per l’occupazione, la
Carta dei diritti, la stessa intesa unitaria del moderno sistema di relazioni industriali.
Il tutto corredato da alcuni focus economici. Faccio alcuni esempi. Un focus sulle statistiche di
genere, le statistiche sulla green economy, le statistiche sul Mezzogiorno o sui giovani. E poi
naturalmente l’Almanacco dell’economia della CGIL, di cui io sono curatore, cioè quel quadro di
analisi congiunturale della ripresa effettiva che ogni mese inviamo alle nostre strutture e che è
redatto sulla base di alcuni indici statistici e alcuni elementi grafici di tendenza dell’economia.
Insomma, per farla breve, già Keynes nel ’36 diceva che i difetti più evidenti della società in cui
viviamo (così chiamava lui il capitalismo) sono l’incapacità a provvedere a una piena occupazione e
la distribuzione arbitraria e iniqua delle ricchezze e del reddito. Questo non è un elemento di
economia bensì è una cosa che ci riguarda tutti i giorni.
123
GUIDO IOCCADirettore Rassegna Sindacale
Buongiorno a tutte e a tutti, e grazie per l’invito.
Partirei da una considerazione, che poi attiene al motivo specifico per il quale oggi sono qui, in
qualità di direttore di Rassegna Sindacale, chiamato a intervenire in questa iniziativa seminariale. E
cioè quello di abbozzare un ragionamento sul nesso che intercorre in casa Cgil tra formazione e
comunicazione. Sul nesso che intercorre oggi e, se possibile, sul nesso intercorso nel passato.
Bene, si può tranquillamente dire che nella storia della Cgil l’attività della formazione si è spesso
intrecciata, ha per lungo tempo interagito con quella della comunicazione. Per quanto mi riguarda,
ho vissuto abbastanza primavere per ricordare gli anni in cui i redattori di Rassegna venivano
invitati (ufficialmente) ai seminari di formazione (anche a quelli per formatori) che si svolgevano
periodicamente nella splendida cornice della scuola di Ariccia.
Erano gli anni in cui si riteneva che i momenti formativi, questo almeno nelle intenzioni dei suoi
promotori (l’organizzazione della Cgil, in buona sostanza), dovessero permeare l’intero, articolato
corpo della Confederazione, dai suoi funzionari ai suoi delegati, fino agli uomini e alle donne
chiamati a occuparsi di comunicazione. Perché poi – la logica era, del resto, stringente –
l’immagine, i contenuti che della Cgil venivano veicolati all’esterno dai suoi comunicatori (nella
fattispecie, dai giornalisti di Rassegna), fossero in linea, e comunque coerenti, con il senso comune
del momento, con la lettura della fase politico-economica elaborata di volta in volta dalla Cgil
stessa. Questo il motivo per cui i redattori di Rassegna, ma anche i componenti dell’ufficio stampa,
partecipavano, presenziavano alle attività formative, al pari delle altre iniziative istituzionali, come i
comitati direttivi, le conferenze di organizzazione o i congressi.
Oggi, va detto che, dopo anni in cui sia la centralità della formazione, sia la strategicità della
comunicazione si sono un po’ offuscate, si registra un ritorno di interesse della Cgil nei confronti di
questi importanti snodi strategici. Una sorta di “ritorno al passato”, se mi è consentito dirlo, inteso
nel senso buono del termine, non nel significato conservatore, passatista, bensì nell’accezione di
recupero di ciò che nel passato ha effettivamente funzionato.
La svolta si è avuta nella Conferenza di organizzazione del 2015, in occasione della quale la
formazione è stata definita una risorsa strategica e indispensabile, stabilendone la centralità e
accompagnando tale definizione con la decisione di ricostituire un coordinamento nazionale delle
politiche formative nell’ambito dell’area dell’organizzazione.
124
Pur non potendo contare sui crismi di un’ufficialità di pari peso, di una decisione strategica come
quella garantita dalle delibere di una Conferenza d’organizzazione, anche la comunicazione torna
ad avere da qualche tempo in Cgil un ruolo di primo piano nell’ambito dell’organizzazione, oltre ad
aver intrapreso un importante processo di riorganizzazione.
Com’è noto, la confederazione si è dotata dal 2008 di una web radio, RadioArticolo1, che ha
apportato sul versante della comunicazione targata Cgil il valore aggiunto – e prezioso – delle
dirette. Mentre, nell’ambito di un progetto di comunicazione nelle intenzioni sempre più
interattivo, Rassegna Sindacale – la storica pubblicazione fondata da Giuseppe Di Vittorio nel 1955
– si è trasformata da settimanale cartaceo a quotidiano on line.
Una vera e propria rivoluzione copernicana. La nuova testata online è dal 2015 quotidianamente
impegnata nel far convivere il flusso selezionato di informazione sulle vicende del giorno –
aggiornato ora per ora, minuto per minuto –, con l’approccio all’approfondimento, sempre
prendendo spunto dall’attualità; un’impostazione (per certi versi un’autentica vocazione) propria di
Rassegna settimanale cartaceo, che ne ha caratterizzato il profilo editoriale per gran parte della sua
esistenza.
Ora, paradossalmente, e vengo al dunque, il ritorno al passato a cui facevo pocanzi riferimento ha
permesso (e sta tuttora permettendo) di far interagire momento formativo e momento della
comunicazione anche utilizzando le opportunità messe a disposizione dalla Rete, da Internet e dai
cosiddetti nuovi media.
Faccio riferimento, da un lato, alla scelta editoriale di Rassegna e, dall’altro, alla decisione politica
del responsabile della formazione della Cgil, di mettere in rete i risultati dell’attività che
sull’argomento viene realizzata dalla Cgil su scala nazionale, con l’obiettivo di diffondere le
principali esperienze poste in essere, consolidarle e metterle a disposizione di un percorso
d’innovazione organizzativa. Facendo così dialogare tra loro realtà che, altrimenti, con molta
difficoltà riuscirebbero a farlo.
Strumenti, piattaforme in grado – e anche ben liete – di ospitare questa gran mole di iniziative, si
sono rivelate RadioArticolo1, con la trasmissione “Quadrato Rosso”, e Rassegna Sindacale, con la
sua rubrica “Conoscenza&Organizzazione”. Nella rubrica ospitata su Rassegna si dà periodicamente
conto di tutto ciò che si muove sul versante della formazione sindacale, anche utilizzando i
materiali messi a disposizione dalla radio.
Mi sono appuntato alcuni tra gli ultimi articoli della rubrica da noi pubblicati. Leggo alla rinfusa: il
progetto del delegato inclusivo, dall’Umbria; un altro sul progetto formativo della Fillea. E poi
125
ancora dai territori: il Progetto Spartacus, da Modena, e l’esperienza in Trentino di Lares, il
laboratorio di relazioni sindacali. Ma si tratta solo degli ultimi in ordine di tempo e solo per
sottolineare la ricchezza e la molteplicità di contenuti delle esperienze sulla formazione messe in
campo.
Naturalmente, sul versante della comunicazione, per la formazione, ancora molto si può (e si deve)
fare. A questo riguardo, concludo con un invito rivolto ai responsabili della formazione dei diversi
territori a inviare, molto di più di quanto non si sia fatto fino a oggi, all’indirizzo
[email protected], dunque direttamente alla rubrica “Conoscenza&Organizzazione” – e non
più attraverso il prezioso lavoro di intermediazione di Pelucchi – i resoconti delle diverse
esperienze realizzate in giro per l’Italia.
Credo che solo così, moltiplicando, implementando la conoscenza delle attività formative,
facendole dialogare tra loro, il concetto di Rete, sulla cui falsariga la Cgil ha in animo di costruire il
suo Coordinamento nazionale sulla formazione, cesserà di essere un mezzo, uno strumento al
servizio esclusivo dell’organizzazione, per trasformarsi in un fine al servizio del cambiamento
Grazie.
126
LUCIA ROSSISegretaria nazionale SPI
Non è molto che seguo la formazione per lo SPI nazionale. Quindi, se dirò qualche stupidaggine,
penso che sarò assolutamente assolta da una discussione politica di questo tipo.
Io sono molto d’accordo con le considerazioni che sono state fatte anche nei documenti che mi ha
fornito Giancarlo; e credo che l’impostazione rispetto al costruire meglio un coordinamento o
comunque a ricostruirlo, perché in realtà il coordinamento c’è sempre stato o perlomeno nella mia
categoria c’è sempre stato, ma farlo diventare sistema probabilmente è quello che manca in una
politica formativa diversa.
Io apprezzo molto questo seminario e il lavoro che si intende fare. Anch’io condivido le
considerazioni che faceva chi mi ha preceduto, cioè che probabilmente c’è un ritorno al passato.
Chi come me e come altri hanno vissuto la storia di questo sindacato negli ultimi anni penso che
abbia vissuto momenti diversi nella costruzione di politiche di formazione che potevano diventare
politiche più generali.
Quando ero piccola io ho partecipato a un corso di formazione per giovani dirigenti sindacali. Era al
Nord, al Centro e al Sud. Mi sono ritrovata in quel corso con tantissimi successivamente, come
Ghiselli il segretario delle Marche, Walter Schiavella, molti componenti della segreteria regionale
del Lazio, dell’Abruzzo eccetera. Insomma, ci siamo ritrovati nei diversi ruoli testimoniando il fatto
che probabilmente quel percorso formativo, che è durato un anno, che è stato molto completo e
che si chiudeva a Bruxelles proprio perché anche allora c’era l’orizzonte di un’Europa sociale, il fatto
che comunque avremmo dovuto fare i conti con una politica sindacale assolutamente diversa a
testimonianza che sicuramente corsi di formazione che accompagnavano e devono accompagnare
le leve naturali su cui si costruiscono i gruppi dirigenti che sono più riferiti alla socializzazione ma si
accompagni come strumento formativo le leve naturali su cui appunto, in qualche modo, si
costruiscono i gruppi dirigenti, sicuramente si fa un buon lavoro.
Quando la formazione diventa una politica dei quadri vera, sicuramente questo agevola. I progetti
formativi collettivi anche dentro lo SPI (di cui vi parlerò tra un attimo) quando diventano di tutta
l’organizzazione, in qualche modo, e legittimano la formazione stessa, la fanno riconoscere come
una pratica sindacale vera.
Noi abbiamo la necessità di fare un bilancio, anche dentro lo SPI, per capire quello che abbiamo
fatto, qual è il progetto futuro e come costruiamo, dentro un percorso più confederale, il nostro
127
coordinamento. Anche qui il coordinamento c’è dentro lo SPI e c’è un’attività molto importante di
formazione. Ma la stessa esigenza di monitorare meglio quello che si produce non solo dal punto di
vista nazionale ma in tutte le realtà territoriali l’abbiamo anche noi. La dimensione dello SPI, la
capillarità in cui si agevola l’azione dello SPI in tutti i territori ci porta a dire che le iniziative sono
tantissime, ma qui c’è bisogno davvero di ricostruire un sistema. In questi anni i compagni (come
Vanni che è qui, Maurizio Fabbri) hanno lavorato tantissimo per costruire un coordinamento e una
politica formativa che guardasse alle esigenze reali e bisogni di formazione dei compagne e dei
compagni dello SPI, però noi abbiamo la necessità di avviare una campagna di formazione
probabilmente più legata alle sfide che abbiamo davanti. Anche lo SPI ha la necessità di agevolare
una sfida al cambiamento, non solo le altre categorie e la confederazione.
Noi pensiamo, tra l’altro, leggendo il documento di Giancarlo, che la campagna formativa per i
referendum sia la priorità in questa fase. Questo deve essere in qualche modo un progetto
condiviso e comune perché lo SPI è punto di riferimento in tutti i presidi territoriali, nei quartieri,
nei paesi. Quindi abbiamo la necessità lì di identificare un percorso comune che possa parlare lo
stesso linguaggio.
L’altro tema che a noi affascina molto e sul quale abbiamo costruito tantissima formazione è la
contrattazione territoriale sociale, la contrattazione inclusiva, cioè quella che, alla Conferenza di
organizzazione, si è definita, insieme al contratto nazionale e alla contrattazione di secondo livello,
come un punto di necessità su cui intervenire.
Noi abbiamo fatto molta formazione su questo terreno perché è la prerogativa dello SPI. Lo SPI si
esercita nella negoziazione sociale. Nella negoziazione territoriale esercita la propria azione
sindacale. Anche qui il coordinamento è necessario perché abbiamo anche noi l’esigenza di
ricostruire un piano di formazione, non solo la necessità della confederazione ma anche dentro lo
SPI. Pur avendolo avuto nel corso degli anni ma qui noi abbiamo la necessità di individuare anche
criteri e modalità che ricostruiscono, attraverso il protagonismo del coordinamento, un piano
formativo.
Il progetto formativo dello SPI ripercorre un modello già in atto che prevede la costruzione di
progetti formativi su diversi contenuti, che sono gestiti o direttamente dallo SPI nazionale oppure
dai territori. Adesso qui cito alcuni corsi che noi abbiamo fatto individuando alcuni limiti e alcuni
invece pregi dei corsi che abbiamo costruito.
La formazione formatori. Questa è la formazione più importante per noi. Anche qui abbiamo la
necessità di ricostruire il coordinamento dei formatori che abbiamo formato perché non sappiamo
128
tutti se sono ancora dentro lo SPI, quali azioni hanno costruito nel proprio territorio di formazione
ovviamente e se questo ha avuto una ricaduta forte come noi invece vorremmo, una ricaduta
importante sulla formazione nelle leghe perché è il punto terminale del nostro insediamento ma è
il punto principale del nostro insediamento. È lì che costruiamo le politiche non solo della
formazione, le politiche dello SPI; è lì che intrecciamo la tutela individuale e collettiva. Quindi
l’esigenza di tenere insieme i servizi insieme all’azione sindacale dello SPI. Lì c’è il terminale vero
del nostro insediamento.
I corsi per formatori sono stati il punto d’eccellenza dell’azione formativa dello SPI, insieme al
master dello SPI, alla formazione sulle politiche organizzative, alla formazione sul tema
previdenziale più in generale (ci torno tra un attimo ma vado rapidamente alla chiusura), al
progetto memoria. Noi facciamo tante iniziative nel territorio sulla memoria insieme ai ragazzi e
alle ragazze della Rete e dell’UDU, insieme ai docenti iscritti alla nostra organizzazione che si
rendono disponibili a costruire iniziative nelle scuole. Ne facciamo tantissima. Non riusciamo
ancora a oggi ad avere un monitoraggio vero di quello che produciamo e non riusciamo a costruire
rete che può in qualche modo dare senso al Progetto memoria.
Inoltre la formazione sulle politiche internazionali; la contrattazione sociale (senza che ci torno è
quella su cui investiamo maggiormente la nostra azione formativa, oltre all’azione negoziale vera e
propria); la formazione sulla comunicazione; le politiche per il benessere; la formazione di genere.
Poi abbiamo tentato di fare la formazione sulla legalità. Su questo apro una piccolissima parentesi.
Noi partecipiamo, come SPI nazionale, con i nostri volontari, a tantissimi campi che sono i campi
della legalità, dell’Arci, di Libera a seconda di dove ci troviamo. Lì c’è un’attività formativa. Molti di
voi non lo sapranno. La mattina c’è l’attività di lavoro vero e proprio nel terreno, nel campo, nel
bene confiscato; il pomeriggio, per cinque giorni alla settimana, c’è la formazione. Viene
individuata come formazione, in realtà è uno scambio tra i ragazzi che partecipano ai campi e gli
organizzatori dei campi stessi. Però il linguaggio dei nostri volontari dello SPI che invece
partecipano ai campi e partecipano anche alla formazione forse deve essere più comune. Io, ogni
volta che vado in questi campi, chiedo ai ragazzi: “Sapete che cos’è la CGIL?”, e molti di loro (che
sono ragazze e ragazzi che sono delle scuole medie superiori) non lo sanno, ti guardano basiti, poi
alla fine qualcuno dice: “Siete quelli che tutelano i diritti”. Insomma, c’è una difficoltà nel far
transitare quella che è non solo la nostra azione ma la nostra identità. Quindi abbiamo la necessità
di ricostruire meglio.
129
Sulla formazione di genere noi qui scontiamo (non so se le compagne saranno d’accordo) una
difficoltà. Noi abbiamo costruito corsi di formazione attraverso Daniela che è qui e l’abbiamo
chiamati “Formazione di genere” per le donne, soprattutto le donne delle leghe, le compagne delle
leghe che hanno una difficoltà maggiore, rispetto agli uomini, a entrare dentro il percorso della
nostra organizzazione. Quello che io credo noi dovremmo fare (questo riguarda un po’ la politica
generale) è questo: noi dovremmo costruire una formazione di uomini e donne sulle politiche di
genere. Se penso alla violenza sulle donne, noi non possiamo costruire iniziative che siano solo
delle donne perché l’agiscono gli uomini. Non possiamo neanche pensare che ci sia una
formazione che riguardi le politiche di genere soltanto indirizzate alle donne perché poi non
sempre sono le donne che costruiscono percorsi di negoziazione sociale. Quindi è chiaro che, se le
politiche di genere non diventano politiche generali della nostra organizzazione, avremmo sempre
difficoltà.
Chiudo. La fase attuale (alcuni lo dicevano e lo ricordava anche Riccardo nel suo intervento)
prevede una maggiore capacità di costruire politiche formative che guardano al cambiamento. Noi
siamo visti, al di là di tutto quello che possiamo pensare e anche al di là delle nostre ragioni, che
pure ne abbiamo tantissime, come il soggetto conservatore in questa società, in questo mondo.
Sappiamo che non è così però è inutile che ci raccontiamo le cose che conosciamo. Quello però di
cui abbiamo la necessità, secondo il mio punto di vista, è capire come possiamo darci noi gli
strumenti per essere soggetti attivi del cambiamento.
Per lo SPI riguarda la contrattazione sociale, cioè il tema tutto completo della contrattazione
sociale e anche della seconda fase del verbale di sintesi. Noi abbiamo la necessità di porre, insieme
alla confederazione, alcuni temi che riguardano la previdenza. Sulla previdenza io penso che sia
necessaria una formazione della confederazione insieme alle compagne e ai compagni dello SPI
perché spesso non sappiamo di cosa parliamo. Lo dico per prima io perché, arrivata allo SPI dopo
un’attività confederale, la previdenza è un tema non di così facile gestione. E affrontare una
trattativa che tiene insieme pensionati e pensionandi ha bisogno anche di alcune conoscenze che
poi dobbiamo riportare nei luoghi di lavoro e dentro le assemblee dello SPI.
In più il lavoro di cura. Anche qui abbiamo detto che c’è stato in questa fase il riconoscimento del
valore sociale del lavoro di cura. Su questo probabilmente serve un’azione mirata che possa
consentire a tutti di avere gli elementi e gli strumenti formativi per capire come possiamo
esercitare meglio l’azione nei confronti del governo, non solo per avere il riconoscimento del valore
130
sociale ma anche il riconoscimento dal punto di vista economico. Vedremo come ma insomma di
avere gli strumenti per caratterizzare meglio la seconda fase del confronto (speriamo ci sia) in atto.
Chiudo essendo completamente d’accordo con l’impostazione del coordinamento. Avremmo modo
poi successivamente di capire modalità, strumenti, caratteristiche anche nella costruzione del
piano di formazione che deve tener conto delle diverse realtà. Grazie.
131
STEFANO VANNI
Coordinamento Formazione Spi
Buongiorno a tutti.
Sono Stefano Vanni, sono responsabile dello SPI Veneto e collaboro con lo SPI nazionale. Sono
stato in passato responsabile nazionale della formazione della FILCTEM. A me dispiace molto non
essere stato presente alla riunione di ieri ma purtroppo ho avuto dei problemi familiari e non ho
sentito ne la relazione ne il dibattito. L’obiettivo della mia comunicazione è quello di raccontarvi
l’esperienza della formazione su Statuto, delibere e regolamenti che abbiamo svolto in Campania,
corredandola anche di una serie di considerazioni sulla formazione su questo argomento.
Quando Giancarlo Pelucchi ha proposto, a un gruppo di formatori, di partecipare come docenti
alla realizzazione di percorsi formativi per la regione Campania chiedendo a ognuno di noi di
scegliere un tema sul quale effettuare alcune giornate, io mi sono candidato sulla parte delle
regole e delle risorse. Questo nonostante la presenza, nello stesso percorso, di altri temi
interessanti, come la comunicazione, la negoziazione, lavorare in gruppo; materie sulle quali ho
svolto numerosi corsi e sulle quali ho maturato maggiore esperienza.
Ho scelto questi argomenti perché nella mia attività, ho maturato la convinzione (naturalmente
può essere anche sbagliata) che, sui temi dello Statuto e delle delibere , dei regolamenti
amministrativi e personali, ci sia una scarsa conoscenza della maggioranza del gruppo dirigente
della nostra organizzazione.
Da qui siamo partiti nella progettazione dell’iniziativa formativa. Apparentemente sembrava facile
perché in fondo si trattava di illustrare delle norme, ma qui c’erano diversi elementi di criticità.
Il primo era il tempo. Il tempo a disposizione erano due giornate. Nelle mie esperienze precedenti
questa materia veniva trattata in tre giornate e mezzo. Inoltre i partecipanti dei corsi erano o
componenti dei collegi di verifica o sindaci revisori o ispettori. Quindi persone che già avevano un
certo livello di conoscenza della materia.
Qui io ho dovuto fare una scelta. Ho cercato di mantenere la logica, che sempre mi ha ispirato, che
l’importante non sono le cose che fai in aula ma quelle che i partecipanti si portano a casa. Quindi
ho selezionato, in particolare sul regolamento amministrativo e quello del personale, alcuni articoli
per lasciare spazio, nel pomeriggio, ai lavori di gruppo.
132
Inoltre ho inserito, nella prima mattina, una parte sul ruolo delle norme e dei valori nelle
organizzazioni.
Era importante, a mio avviso, far comprendere ai dirigenti sindacali come le norme e il sistema dei
valori svolgono un ruolo importante nelle organizzazioni ai fini dell’integrazione organizzativa.
Altro elemento di complessità era il confezionamento del lavoro di gruppo. Era evidente che, a dei
dirigenti sindacali, non si potevano fare dei lavori di gruppo troppo specifici. Quindi ho scelto dei
lavori di gruppo che, da un lato, avevano come riferimento l’applicazione degli articoli dello Statuto
ma, dall’altro consentivano anche una parte di discussione politica.
L’obiettivo di questi lavori era quello di mettere i partecipanti di fronte al quesito se rispettare le
norme ma perdere consenso o inseguire il consenso senza rispettare le norme. E’ stata questa una
discussione che li ha molto coinvolti.
Altro aspetto critico era che i destinatari del corso facevano parte di una struttura che era stata
commissariata e che naturalmente, su alcuni aspetti, si potevano toccare dei nervi scoperti. Quindi
– come diceva con una battuta il compagno Pelucchi – si correva il rischio di parlare di corda in
casa dell’impiccato.
Con una notevole sorpresa ho trovato invece uno forte interesse, con un livello di attenzione
molto alto. Sicuramente ha influito la vicinanza del prossimo congresso della Campania. In ogni
caso, per quello che mi hanno riferito, è emerso un alto grado di soddisfazione dei partecipanti.
Qualcuno dei partecipanti ha proposto, come spesso accade con i corsi che raccolgono interesse, di
ripetere questo corso anche per le strutture territoriali.
Il grado di diffusione della conoscenza dello Statuto e delle delibere e dei regolamenti è un
problema che la nostra organizzazione dovrebbe porsi. Questo non solo per realizzare il necessario
rispetto delle norme, per mettere i compagni e le compagne in grado di conoscere i loro diritti e i
loro doveri. ma anche per altre considerazioni che intendo sviluppare.
Quando un’organizzazione usa insieme ai valori un sistema di norme e sanzioni per contribuire a
realizzare una sufficiente conformità di comportamenti organizzativi, (integrazione organizzativa),
in particolare nei momenti più delicati e importanti della sua vita, è necessario che, insieme a
norme e sanzioni, ci sia un efficace sistema di controllo. Avere delle norme e delle sanzioni senza
controllo significa che le norme finiscono per non agire.
In un’organizzazione democratica dove la legittimazione avviene dal basso, è evidente che anche il
controllo deve partire dal basso. L’azione di controllo deve essere svolta da coloro che sono più
133
vicini ai comportamenti da controllare. Questo si realizza solo se chi ha la possibilità di controllare
conosce le norme e la loro modalità di applicazione, in modo che possano essere segnalate
eventuali inadempienze.
Il rischio che spesso corriamo è che il controllo dal basso si realizzi solo in caso di conflitto, ovvero
mettendo in campo norme e regolamenti come strumento di battaglia politica.
La conoscenza dello Statuto e dei regolamenti influenza anche la gestione delle risorse vedi: il
tema della della canalizzazione automatica e i vincoli legati ai bilanci, alle assunzioni, all’obbligo
del passaggio delle consegne ( solo per citare alcuni effetti).
Come si sono resi conto i compagni della Campania, tante sono state le norme che non sono state
rispettate, per portare alla fine a una situazione di commissariamento. Penso che, come
formazione, dobbiamo porci il problema di come diffondiamo questa conoscenza.
Il problema che abbiamo di fronte è: Come realizzare un apprendimento diffuso su questi
contenuti in un contesto caratterizzato da numeri elevati (pensate ai gruppi dirigenti che abbiamo),
con risorse economiche e temporali limitate.
Questa è una questione che, a mio avviso, abbiamo spesso analizzato in merito alla formazione dei
componenti delle le Rsu dove anche in questo caso i numeri sono ampi e le risorse economiche e
umane sono limitate .
Quella che si sta sperimentando è la formazione a distanza (il FAD) che, con l’intervento di internet
e le piattaforme di e-learning, ha numerose potenzialità. Io conosco benissimo tutti i vantaggi che
forniscono questi sistemi, che hanno costi più limitati, una maggiore ottimizzazione dei tempi e la
possibilità di larghissima diffusione dei contenuti. Inoltre per i discenti una maggiore autonomia
nella scelta del luogo e dei tempi della formazione, e la possibilità di aumentare il loro successo
dell’apprendimento attraverso materiali interattivi.
Le mie perplessità non derivano solo da una preferenza verso la formazione in presenza in aula,
contesto nel quale ho lavorato in questi anni. La mia perplessità riguarda il problema della
motivazione. Ovvero, la presenza di disponibilità alle informazioni, sia che siano lezioni che
materiali su piattaforme, non garantisce di per sé che le persone siano stimolate ad accedervi e a
seguire un corso. Anche adesso l’accesso ai materiali, ad esempio lo Statuto e le delibere, è facile
(perché questa documentazione ce la dovrebbero avere quasi tutti i dirigenti della nostra
organizzazione) ma non è per questo che il dirigente sindacale è stimolato a leggerla. Quindi non è
la facilità di accesso alle informazioni o la loro chiarezza che di per sé garantisce l’utilizzo di questi
134
materiali per apprendere i contenuti. Non è un caso che la diffusione nelle aziende di sistemi FAD è
sempre più accompagnata, soprattutto per i corsi obbligatori (sicurezza, leggi sugli appalti, leggi
antimafia eccetera), da un legame tra completamento del corso e i premi di risultato. Non
individuali ma di reparto in modo che, se qualcuno non completa il percorso, gli altri rischiano di
perdere una parte dell’incentivo. Questo determina un controllo sociale che, da questo punto di
vista, diventa efficace.
Non voglio affermare assolutamente che dobbiamo copiare queste esperienze. L’idea di
intervenire su questa materia attraverso sistemi FAD la considero ottima ma nello stesso tempo
ritengo che , per avere successo, dobbiamo essere in grado di costruire un sistema che stimoli la
motivazione all’accesso dei contenuti. La soluzione di questo aspetto chiama in campo non solo la
formazione ma anche l’organizzazione.
Due considerazioni sulla relazione introduttiva ( che ho letto stamattina abbastanza velocemente)
riguardano l’attività che si è svolta fino a ora dalla formazione nazionale CGIL. La cosa che ho
apprezzato di più è la mesa in campo di strategie finalizzate a costruire delle sinergie. E quella
parte che nella relazione mi sembra che venga denominata interconnessione o
interconnettività. Si è attivato un processo di ascolto vero, anche molta umiltà, scegliendo di
partecipare alle iniziative formative svolte dalle strutture della cgil, per acquisire idee ,
informazioni, contenuti formativi, cercando di ricostruire il puzzle della formazione nella CGIL
costruendo e ricostruendo le connessioni. E vero quello che si afferma nella relazione: “la
formazione che fa la CGIL è tanta,” e il problema che abbiamo è come noi riusciamo a socializzarla,
come riusciamo a costruire le necessarie sinergie e come riusciamo a costruire progetti formativi
anche complessi ma che trovano condivisione dentro l’organizzazione. Ecco, questa secondo me è
la sfida che ci troviamo di fronte.
Grazie.
135
CARMINE RANIERISegreteria Cgil Regionale Abruzzo
Il caso dell’Abruzzo forse è un po’ diverso dalle tante esperienze che sono state riportate nelle
giornate di ieri e di oggi, perché in effetti nella nostra regione, dal momento della formazione dei
20mila, che voi ricorderete, e ormai parliamo di diversi anni fa, la formazione confederale in realtà
è stata effettuata con il lumicino, in alcuni casi è stata anche totalmente assenza, almeno su alcune
materie.
Quindi ci trovavamo in una situazione per cui il 90 per cento della formazione è stata garantita
dalle categorie, dalle strutture INCA e CAF, e come abbiamo visto, tra l’altro, molta formazione ha
una strutturazione nazionale che quindi arriva direttamente sui territori. Dunque il pilastro
confederale era piuttosto assente dalla formazione.
Ovviamente il lavoro di alcune categorie, importantissimo qual è, però non può essere esaustivo.
La Conferenza di organizzazione giustamente ha ribadito il diritto-dovere per i delegati, i funzionari,
i dirigenti di dedicare tempo, spazio e risorse alla formazione. Così in Abruzzo stiamo ripartendo
perché si tratta di un vero e proprio inizio, il nostro.
Il confronto di queste giornate quindi innanzitutto è stato davvero utile per me per capire quello
che succede nel mondo CGIL.
Noi abbiamo cominciato a discutere, con le Camere del lavoro, con la CGIL Abruzzo, con la CGIL
nazionale, e lì sono venute fuori delle cose interessanti. Tra l’altro i contributi anche delle categorie
sono stati numerosi. Tutte le Camere del lavoro ritengono sostanzialmente la formazione una leva
strategica e tuttavia, prese dai continui impegni e dalle continue emergenze di questo periodo,
l’hanno trascurata per troppi anni. Quindi c’era la consapevolezza comune che il cambiamento, che
la CGIL deve intercettare e che deve compiere anche al suo interno, deve passare necessariamente
attraverso un processo di formazione.
Il fatto che la formazione si facesse a spot e in modo abbastanza isolato faceva sì che ogni Camera
del lavoro aveva la percezione che le altre Camere del lavoro stessero facendo più di loro. C’era una
sostanziale formazione fatta a spot da ogni singolo soggetto che ci metteva buona volontà. Tutte le
Camere del lavoro nelle riunioni hanno sentito la necessità di mettere insieme i loro sforzi
centralizzando la formazione a livello regionale.
È venuto fuori anche che tutte le strutture erano fortemente pressate da loro organismi direttivi a
fare la formazione per i delegati e per gli Rsu; i quali chiedevano con forza, anche in sede di
136
approvazione dei bilanci preventivi, di inserire adeguate risorse nella formazione. Quindi i nostri
delegati sentono il bisogno della formazione, lo sentono fortemente.
C’è la condivisione della necessità di darci un metodo di lavoro e quindi di creare un’infrastruttura
della formazione perché la formazione spot sostanzialmente non ha gran senso.
Non eravamo soli, questo è stato un punto importante, perché abbiamo potuto contare e
possiamo contare sull’apporto della CGIL nazionale che ha inteso seguirci e metterci a disposizione
le sue conoscenze e il suo know-how.
Poi abbiamo anche avuto modo di vedere che alcune regioni limitrofe, anche di piccole dimensioni,
sviluppavano da anni una formazione di buon livello. Quindi noi potevamo fare riferimento alle
buone pratiche già in atto per intraprendere il nostro percorso formativo. Per esempio è stato
detto ieri ma anche noi vogliamo avere l’obiettivo di inserire risorse strutturalmente nei nostri
bilanci, fino ad arrivare all’1 per cento della spesa per la formazione.
Cosa abbiamo fatto, quindi? Abbiamo chiesto a tutte le nostre strutture, con un processo a cascata,
quali fossero i bisogni delle categorie ed è venuto fuori che i bisogni non sono poi così diversi. Ma
soprattutto questo lavoro è stato importante perché ci ha consentito di condividere, perché solo se
c’è condivisione i piani formativi poi possono diventare una realtà.
Uno dei punti comuni, tra l’altro, un po’ a tutte quante le strutture è stato proprio come vivere la
confederalità e dunque come qualsiasi punto di contatto della CGIL con i nostri iscritti e anche con i
nostri iscritti possa far percepire come la CGIL sia di più della sola categoria o del singolo servizio
offerto. Questo quindi è uno degli obiettivi prioritari che ci siamo dati.
Poi la condivisione ci ha dato anche modo di vedere che molte strutture avevano già implementato
una formazione di qualità. Per esempio lo SPI sulla contrattazione sociale e territoriale ha una
formazione, dal nostro punto di vista, avanzata. E se è vero che questa contrattazione va potenziata
e che spesso è appannaggio del solo SPI, ecco allora lo SPI stesso può aiutarci nella formazione dei
delegati dei posti di lavoro, che è un’esigenza che abbiamo per sviluppare quella contrattazione a
tutti i livelli, e può aiutare anche la confederazione in un’ottica di compenetrazione. Su questo
siamo già partiti con dei percorsi di formazione.
Io penso che la condivisione sia anche uno dei punti di forza del coordinamento nazionale che
Giancarlo vuole costruire per mettere in sinergia il lavoro di tutti e aiutare tutti a fare un passo in
avanti. Poi per noi è stato anche facile chiedere aiuto perché inaspettatamente una piccola regione
come il Molise (regione con la quale tra l’altro stiamo sperimentando delle sinergie con la volontà
anche di divenire a unica struttura già dal prossimo congresso) aveva una struttura formativa più
137
avanzata della nostra. Quindi stiamo sviluppando dei ragionamenti comuni per arrivare, già dal
prossimo anno, al piano formativo Abruzzo-Molise.
Il piano dell’Abruzzo muove su dei principi, ovviamente, che sono certamente quelli che noi
dobbiamo fare una formazione di base, di parte valoriale ma anche che noi dobbiamo fare una
formazione per il cambiamento perché, se vogliamo far vivere la confederalità, dobbiamo sì
ovviamente far conoscere cos’è la CGIL, la sua storia e i suoi valori ma poi dobbiamo anche
ragionare su come la CGIL deve modificarsi per far vivere appunto la confederalità e per
intercettare i nuovi bisogni in un mondo, come è stato detto anche in altre relazioni, sempre più
difficile da interpretare e sul quale agire.
Quindi formazione su come dobbiamo integrare la tutela collettiva e la tutela individuale, su come
dobbiamo integrare contrattazione e servizi, su come dobbiamo pensare la comunicazione, il
sistema dell’accoglienza, ma contestualmente anche un addestramento sull’utilizzo degli strumenti
dell’integrazione. Noi abbiamo caricato e stiamo utilizzando un (?) gestionale, un nuovo sistema
informatico che ci permette di fare ciò ma è importante che tutti, dal dirigente al funzionario,
sappiano utilizzare questi strumenti, li utilizzano subito e quindi il sistema entra in funzione
immediatamente. Così come utilizzare nuovi strumenti di comunicazione per raggiungere i nostri
delegati.
Quindi una formazione sostanzialmente che vada di pari passo con i cambiamenti della nostra
politica sindacale (pensiamo alla Carta dei diritti che ci deve aprire un nuovo orizzonte politico sul
lavoro che è cambiato) e una formazione che vada di pari passo con i cambiamenti organizzativi
che la CGIL deve realizzare; nuovo investimento sulla formazione, un rinnovato entusiasmo, una
verifica continua dei risultati raggiunti. Insomma, una leva strategica per vincere le nuove sfide.
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ERMANNO PORROResponsabile Formazione Cgil Lombardia
Per iniziare voglio fare un complimento a tutte e a tutti noi perché, dopo parecchio tempo che
facciamo formazione in modo sparso, abbiamo ricominciato a rimetterci insieme e a darci la
possibilità, davvero, di valutare e valorizzare il lavoro che facciamo.
Ieri sera, mentre cercavo di prendere sonno ho ripensato al lavoro che abbiamo fatto ieri e quindi
alle sollecitazioni che ho ricevuto, al dibattito svolto e, soprattutto, alla ricchezza delle esperienze
che stiamo conducendo in giro per l’Italia.
Mentre pensavo a tutto ciò mi sono venute in mente, contemporaneamente, due cose.
La prima suggerita da un fatto: un giorno, nell’ultima settimana di agosto di quest'anno, andando a
pranzo con alcuni compagni della sede regionale, su una brulla strada milanese, a un certo punto
ho notato una pianta di pomodori che credeva tra il selciato e il marciapiede. Un fatto
particolarmente strano ma interessante perché mi ha suggerito un'idea: la vita resiste e prende
forma anche in contesti difficili.
La seconda riguarda invece una riflessione proposta dalle donne di via Dogana che dice piu o meno
così: una difficoltà proposta dai tempi di cambiamento riguarda lo sguardo, il nostro modo di
guardare a cosa accade. Lo sguardo non trovando ciò a cui è abituato, vede di preferenza
frammentazione, disordine, disastri. Non vede che la realtà sta trovando nuove forme, che risposte
valide sono già in circolazione.”
Riflettendo su ciò mi è tornato alla mente una frase del compagno Paolo Tavella: il nostro presente
dipende dallo sguardo che abbiamo sul futuro. Quel che noi siamo oggi ha in qualche modo radici
nel futuro.
Allora, pensando all’esperienza che stiamo facendo in Lombardia mi sono venuti in mente questi
riferimenti e la necessità che abbiamo di affondare lo sguardo nel futuro per realizzare il presente.
In Lombardia, dunque, accanto alle attività che normalmente svolgiamo nelle Camere del lavoro e
nelle categorie, abbiamo attivato un percorso di pratiche nuove guidate dalla riflessione
sull'esperienza sin qui condotta e dalle conclusioni del dibattito svolto con la Conferenza di
organizzazione.
La riflessione e la sperimentazione che abbiamo avviato riguarda, innanzitutto, da una parte gli
esiti e i risultati organizzativi ottenuti, dall'altra le finalità, i criteri, le connessioni con i processi
operativi del lavoro sindacale con cui abbiamo organizzato e svolto le attività di formazione. A
139
questo proposito il suggerimento che ci ha offerto Simona mi sembra particolarmente
interessante, sopratutto per lo sviluppo delle attività del coordinamento nazionale: è più utile
condividere le nostre esperienza quando sono chiari ed espliciti i criteri che le informano, che le
guidano.
Per cui cercherò di esplicitare, meglio che posso, i criteri che stanno guidando il nostro progetto
sperimentale di innovazione organizzativa e formativa, progetto svolto dal dipartimento regionale
con la collaborazione di un gruppo nutrito di compagne e compagni delle CdL e delle Categorie
lombarde.
La nostra è una sperimentazione che, in qualche modo, prende le mosse da una riflessione
articolata su vari livelli.
Politica, sulla fase sociale e de conosci anche stiamo vivendo; Organizzativa: sugli esiti della
formazione svolta; Epistemologica: cioè che tende a mettere in luce quali sono sono i modi e
processi di apprendimento che un’organizzazione come la nostra usa e mette in movimento e,
d'altro canto, come apprendono le persone che formano questa nostra organizzazione.
Il presupposto del nostro progetto, il nostro sguardo sul futuro, il nostro punto di partenza
operativo e riflessivo è il seguente: abbiamo vissuto e stiamo vivendo una "Grande
Trasformazione".
Usiamo non a caso il titolo del saggio di Polanyi del ’44. Ci serve a significare un taglio netto, un
cambio di paradigma sociale ed economico, una rottura che ci porta e che proietta in un mondo
che è incommensurabilmente diverso (uso la definizione che T. Kuhn da di paradigma scientifico)
dal mondo che abbiamo praticato, in cui abbiamo vissuto fino al nostro più prossimo passato ma
che ora è irrimediabilmente cambiato.
Sono almeno tre le dimensioni su cui questa Grande trasformazione si è realizzata (non mi dilungo
perché sono oggetto della nostra discussione e riflessione quotidiana: vi faccio cenno brevemente
per sostanziare la riflessione).
1) Sistemi economici e modalità del processo di accumulazione: quello su cui stiamo riflettendo in
particolare sono le modificazioni radicali dei mercati del lavoro e le nuove identità che queste
trasformazioni creano e fanno emergere. Il trasferimento da Ovest a Est dei processi di
produzione e di creazione di valore, e quindi anche la ricaduta che questi processi hanno sui
mercati del lavoro, dunque sugli universi di vita e di senso percepiti e definiti da uomini e
donne che vogliamo rappresentare.
140
2) sistemi politici e, in particolare, sistemi di rappresentanza. La trasformazione di ciò che oggi, in
modo un po’ enfatico, viene chiamato il processo di disintermediazione. Anche su questo punto
la riflessione che conduciamo non è una riflessione astratta: ha a che fare sugli impatti che
queste trasformazioni hanno su di noi, sul nostro lavoro e sulla nostra vita quotidiana come
soggetti e organizzazione di rappresentanza di interessi generali.
3) Sistemi culturali, in particolare, sistemi di produzione di identità di lavoratori e lavoratrici, di
uomini e di donne che vogliamo rappresentare.
Faccio una digressione breve sul tema dell'identità poiché lo reputo centrale per i nostri
ragionamenti e le nostre pratiche organizzative.
Quando parliamo di identità facciamo riferimento a due processi tra loro complementari e
oppositivi.
Da un lato, la creazione di identità avviene attraverso processi di identificazione, di ricerca di
somiglianze, di similitudini in altre persone, gruppi e/o organizzazioni. Per vogliamo assomigliare
alle persone/organizzazioni con cui ci mettiamo in relazione .
D'altro canto, però, costituendoci come individui o gruppi cerchiamo di diventare individui unici,
totalmente differenti da altri.
Cioè attiviamo processi di dello sviluppo che tendono a esaltare e a sottolineare l’aspetto
individuale (di individuazione, contrario all'identificazione) cioè l’aspetto di creazione di un valore
di sé a prescindere dalla relazione con l’altro.
Questo è interessante, secondo me, perché appunto, per questioni di sguardo, oggi noi, per
costruire e rafforzare una forza sindacale nella Grande Trasformazione, dobbiamo appoggiarsi su
questo secondo aspetto cercando di capirlo e cercare di intercettare i modi e le forme che, oggi, i
differenti gruppi di lavoratori e cittadini a cui noi siamo interessati, attivano i processi di
costruzione di questa dimensione e, quindi, mettersi in relazione con questa dinamica di
produzione di senso e con essa costruire con-senso.
L’altro tema importantissimo che attiene a quest’area delle trasformazioni identitarie è il tema che
ha a che fare con la crisi della mascolinità tradizionale. Oggi (questo è il nostro punto di vista) non
possiamo ricostruire, riattivare un processo di ricostruzione di collegamento e di affiliazione con le
'nuove figure' del mondo del lavoro se non adottiamo l'idea che queste 'figure' sono persone
sessualmente definite e che il tema della differenza è un tema centrale (la differenza di genere,
ovviamente).
141
Un terzo aspetto importante riguarda quelli che chiamiamo i processi di apprendimento. Anche ieri
la discussione su questo si è sviluppata in modo davvero interessante. Sottolineo solo due aspetti
su cui stiamo riflettendo e sui quali stiamo facendo sperimentazione.
I processi di apprendimento, e quindi di adattamento, avvengono in qualche modo (lo diceva e lo
sottolineava anche Vincenzo Vita ieri) attraverso algoritmi (così lui li chiamava), schemi di
produzione delle conoscenze e del sapere, differenti da quelli tradizionali, da quelle che abbiamo
praticato e conosciuto nel passato anche recente. L’apprendimento avviene attraverso percezioni di
tipo visuale e di tipo digitale.
Lascio ad altro momento la riflessione sulla percezione visuale e mi soffermo sulla percezione
digitalizzata. La percezione digitalizzata è una percezione fratta, decomposta. Il tema è: dal punto
di vista dei processi formativi organizzati, come riusciamo a ricomporre questa frattalità, questa
decomposizione dei processi in un eventuale orizzonte di senso condiviso e ricomposto? È questa
una domanda sensata e se si, allora, come possiamo fare oggi formazione adatta?
Un altro aspetto secondo me interessante è che i processi di senso e di significazione oggi
tendenzialmente avvengono non lungo linee verticali di approfondimento ma lungo linee
orizzontali. Oggi si fa surfing, così si dice, si salta da un luogo all’altro non si 'scende in profondità' e
specializzazione?
Io tendo a non sottovalutare questo aspetto. In che senso? Nel senso che il problema è sempre
quello di cui sopra: come le persone apprendendo costruisco senso e significato per la loro vita
individuale e sociale e, quindi, come possiamo, con la formazione ma non solo, identificare sono le
linee di intersecazione e facilitare l'incontro tra questi processi e l'azione sindacale organizzata, e la
CGIL, generare processi di affiliazione.
Questo è un po’ il tema che in qualche modo dobbiamo affrontare.
Tutto ciò come impatta su di noi?
Il lavoro che stiamo facendo in lombardia, le pratiche che stiamo conducendo tenendo conto di
queste riflessioni si svolgono almeno in due direzioni.
La prima è: azioni per ricostruire, appunto di fronte a questa frattalità, 'relazioni', e quindi relazioni
di senso condiviso con i mondi, con gli universi di lavoro che vogliamo non solo intercettare ma che
vogliamo rappresentare.
La seconda ci guida a ridefinire, tenendo conto dei grandi cambiamenti, del cambio di paradigma,
le dinamiche organizzative e le routine operative del lavoro quotidiano di funzionarie e funzionari,
delegate e delegati.
142
Dal nostro osservatorio lombardo vediamo che il lavoro dei funzionari di zona è sempre più un
lavoro orientato da relazioni individuali.
Cosa voglio dire? Voglio dire che bisognerebbe fare una specie di analisi della ripartizione di tempo
di lavoro di funzionari. A Napoli la settimana scorsa ho chiesto alle compagne e ai compagni di
considerare una settimana del loro lavoro e fare una conteggio/verifica quante ore lavorano e di
come sono suddivise Quante ore settimanali passano al telefono a rispondere a richieste
individuali di delegati o di delegate, di singoli lavoratori, singole lavoratrici?
Questa verifica, davvero, ci può mettere di fronte concretamente alla trasformazione del modo
con cui siamo e facciamo sindacato. Non solo perché scopriremmo che il lavoro sindacale è sempre
più 'fatto' da relazioni quasi-individuali (individualistiche), ma anche che i temi su cui lavoriamo
sono temi che si sono spostati (bisognerebbe fare un lavoro di ricerca più approfondito su questo
punto) su questioni che hanno a che fare con la tutela individuale del lavoro (gestione e
applicazione delle norme) più che con la promozione (definizione negoziale delle norme), con
richieste, cioè, che possiamo anche chiamare proprio di assistenza nel senso stretto del termine.
Infatti, molti funzionari e molte funzionarie in Lombardia dicono che il lavoro che fanno è da
assistente sociale.
Questo dato mi interessa come un punto importante per il lavoro di sviluppo organizzativo e di
formazione conseguente che ti amo attivando e promuovendo a due livelli.
Il primo, di ordine strategico, riguarda la formazione al servizio di progetti di reinsediamento o di
nuovo insediamento prima che siano propedeutici a conseguenti progetti di contrattazione, in una
logica circolare e in una logica che posso dire di rete.
Reinsediamento che cosa vuol dire? Vuol dire recupero e ricostruzione di una relazione di fiducia e
di affidamento, che è il presupposto per l’affiliazione.
Il secondo, di ordine organizzativo. Oggi la domanda centrale a cui dobbiamo rispondere è: che
cosa le Direzioni delle nostre strutture chiedono (vogliono e possono chiedere) di fare a funzionari
e funzionarie di zona, e a delegati e delegate? Qual è davvero l’attività che vogliono che loro
svolgano? Su che cosa chiedono di concentrarsi e di essere focalizzati? Quindi quale deve essere il
profilo di competenze che oggi un funzionario di zona deve avere (cosa deve sapere e saper fare in
relazione agli affidamenti operativi)? Questo è un campo di sviluppo su cui stiamo operando con
progetti di analisi organizzativa, sviluppo organizzativo e formazione.
143
Altro problema: oggi, la complessità delle tematiche e delle problematiche che una funzionaria o
un funzionario incontra quotidianamente non può essere affrontata né tanto meno risolta da un
lavoro singolare.
Lo strumento di lavoro organizzativo, oggi, non può che essere la squadra; una squadra con
competenze articolate e differenti al suo interno. Una squadra dove il funzionario o la funzionaria
funge o può fungere da attivatore di risorse, da coach (nel senso di allenatore), da sostenitore o
sostenitrice di processi di lavoro sindacale.
Un funzionario o una funzionaria che sappia, sopratutto, sviluppare e promuovere in modo
sostanziale e sostanzioso, la visione di che cosa oggi significa fare e aderire a un sindacato, alla
CGIL. Che fondi il suo lavoro su un sistema di competenze specifico: è adatto ai tempi: capacità
costruzione di relazioni efficaci in situazione di scarsa fiducia sociale e, di comunicazione strategica,
di narrazione, di pensiero strategico e sistemico.
Tutto ciò pensando (questa è un po’ l’ipotesi su cui stiamo lavorando) che al centro dei progetti di
sviluppo organizzativo, mi piace proprio chiamarlo così, inteso come progetto di empowerment,
(concetto proposto come suggerito Paulo Freire, il teorico della pedagogia degli oppressi) di
potenziamento, di rafforzamento, di crescita di tutti i nostri militanti e tutte le nostre militanti, di
tutti i nostri quadri e di tutte le nostre dirigenti come leva di sviluppo organizzativo. Per far questo
servono competenze di supporto fondamentali. Non serve più solo la formazione ma servono
anche competenze di coaching e counseling, cioè di competenze e professioni finalizzate allo
sviluppo delle persone. Per cui dobbiamo costruire una rete fiduciaria di lavoro.
Queste sono le ipotesi su cui stiamo lavorando. Dove le stiamo realizzando? Ieri i compagni del
Ticino Olona e di Legnano hanno rappresentato un po’ una parte del progetto. L’idea
fondamentale, come dicevo, è lavorare sui processi di insediamento e su nuove forme
organizzative che facilitino il collegamento con i luoghi di lavoro e con gli uomini e le donne che
vogliamo rappresentare.
A Legnano stiamo lavorando
1) all’interno della Camera del lavoro, per ricostruire una confederalità effettiva tra categorie,
servizi, direzione camerale e relazione con le Rsu.
2) per attivare una sperimentazione in un call center dove non abbiamo iscritte e iscritti.
L'obbiettivo è coniugare il lavoro di formazione con un progetto di affiliazione specifico (organizing
lo chiamerei) e di introduzione di modalità di lavoro basate sulla squadra.
144
Un progetto del genere lo stiamo pensando anche per altre Camere del lavoro relativamente
piccole (Como, Sondrio, Pavia) in cui sperimentare anche. Sbagliando ci possa insegnare molto.
D'altro canto abbiamo in discussione anche un grosso progetto di particolare interesse che sul sito
di Malpensa.
Ho un'ultima cosa a cui voglio far cenno perché mi interessa in modo particolare.
Nel comprensorio di Monza-Brianza stiamo realizzando un progetto di formazione-
sperimentazione negoziale dal titolo: rappresentanza di genere e rappresentanza generale. Il
progetto vede coinvolte sia donne che uomini.
Adesso non ho il tempo di raccontarne lo sviluppo ma davvero è un’esperienza particolarmente
interessante. L'idea da cui muoviamo è che la rappresentanza di genere si basa sul
riconoscimento della differenza di genere, su riconoscimento e la valorizzazione delle diversità che
permetta di uscire da una rappresentazione androcentrica del mondo che conferma una visione
patriarcale delle relazioni tra i sessi. Anche nelle organizzazioni produttive, anche nelle
organizzazioni di rappresentanza. Quindi non esclusa la CGIL. È un progetto che sta generando solo
parecchie discussioni e contrarietà, ma anche nuove idee e proposte sui temi, appunto, della
rappresentanza, di nuovi insediamento e di nuove e più adatte forme contrattazione.
Grazie per l'attenzione.
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MAURO BOTTINELLISegretario di Organizzazione Cdlt Terni
Grazie alla compagna di Perugia che mi ha lasciato lo spazio per l’intervento.
Chiaramente io salto a piedi pari tutta la parte che riguarda la condivisione la necessità della
formazione e tutto quello che è stato detto in merito. sono qui anche perché devo ringraziare
intanto chi ha collaborato nella realizzazione di questo progetto : Laura Ricci che doveva essere qui
al mio posto ma, per motivi non gravi di salute, non può esserci e il dipartimento nazionale della
formazione , soprattutto nella figura di Giancarlo Pelucchi, perché fattivamente e personalmente
ha partecipato alla realizzazione di questo progetto che è partito circa ad aprile, e da aprile a oggi
ha visto lo svolgimento e la preparazione di tutto quello che è il suo contenuto. Domani ci sarà la
presentazione ufficiale a Terni di questo corso di formazione con la partecipazione di tutti i
protagonisti e degli organi di stampa.
Terni è una realtà piccola come numeri. Mi facevano sorridere, durante l’intervento del compagno
della c.d.l. di Milano ,i numeri in merito ai lavoratori all’aeroporto e il suo indotto cioè 80mila unità.
Terni è una realtà di 120mila abitanti, compresa Narni, che è una cittadina vicina, che è
industrializzata come Terni, ha circa 150mila abitanti ma è la sesta realtà manifatturiera italiana
anche grazie alla presenza sul territorio delle acciaierie. Vi farò un cenno storico, tanto per variare
un po’ sul tema. Nel 204 avanti Cristo il censore Curio Dentato di bonificare la piana di Rieti
creando le famose cascate’ gettando le basi per il destino di Terni. Perché? Perché la Cascata delle
Marmore, oltre all’aspetto ambientale, fornisce da ormai fine Ottocento l’energia e l’acqua
necessaria a produrre dell’ottimo acciaio; successivamente, negli anni Cinquanta, grazie agli
investimenti dello Stato, si creò un grande polo chimico e anche grazie al professor Natta, che
inventò il famoso polimero, quello che usiamo tutti anche oggi nel cellophane, polimero che è
usato oggi in tutto il mondo, la conca ternana acquisì quella denotazione fortemente industriale.
Questa nascita delle acciaierie a fine Ottocento creò un substrato particolarissimo perché la città e
le fabbriche che ne fanno parte diventarono un po’ un tutt’uno. La crescita della classe operaia
dentro la città dà anche oggi l’opportunità di fare questo corso , disegnato sulla realtà particolare
del territorio ,che dia risalto alla storia della classe operaia del territorio .
Diciamo che, insieme a noi, alcuni importanti professori universitari hanno voluto partecipare alla
realizzazione di questo corso (come il professor Carnieri , il professor Sandro Portelli ed altri).
Questi professori hanno fatto negli anni passati studi e ricerche che ci portavano a conoscenza del
146
fatto che le nuove classi di lavoratori ,quelle di oggi , non sapevano quasi nulla del passato. Tanto
meno i giovani dirigenti sindacali presenti sul territorio, nella Camera del lavoro di Terni, non
avevano un’idea precisa e chiara di quella che era stata la loro storia.
Ora, l’idea e l’obiettivo del corso è proprio questo. Tentare di riconsegnare il passato, la storia di chi
erano, e di chi possono di nuovo essere i lavoratori di Terni intesi come “classe” a cui si può
appartenere con orgoglio.
Il corso è strutturato in questa maniera. Intanto il titolo “Terni: libertà e lavoro. Dal passato al
futuro, il sindacato che cambia”. Questo è un titolo che praticamente dà un po’ il senso aa sopra
cita. Sarà Il corso è strutturato in questa maniera. Intanto vi dico il titolo “Terni: libertà e
lavoro. Dal passato al futuro, il sindacato che cambia”. Questo è un titolo che praticamente dà un
po’ il senso aa sopracitato. Sarà un corso particolare, strutturato in cinque giornate. In queste
cinque giornate ci sarà una parte nella quale verranno proiettati dei video, simili a quello che
abbiamo visto prima, che daranno un’idea di quella che è stata la storia di Terni, ci sarà una parte
formativa curata dai professori, il numero dei quali si è allargato p0ichè piano piano è girata voce
negli ambienti didattici della realizzazione di questo percorso formativo , creando aspettative
interessi, per inciso ogni giorno mi arrivano richieste di partecipazione anche da parte di professori
delle scuole che, in realtà, prima si erano un po’ tirati indietro sapendo che era la CGIL (diciamo
che la visione della CGIL all’esterno non è più quella di una volta ….). questo corso sta attirando
attenzioni e mi hanno chiesto di partecipare, come studenti, praticamente questo modo di ridare
smalto alla storia di Terni piace a molti.
Quindi ci saranno cinque lezioni ci sarà una presentazione , una parte formativa da parte dei
professori, più una parte in cui ci saranno dei gruppi di lavoro ,ovviamente composti dagli studenti
che insieme produrranno un lavoro finale rispetto a quello che è stata la lezione. Tutta questa parte
poi si concluderà, al termine del corso, con una resa alla città del lavoro svolto cercando di allargare
ai cittadini di Terni quella che è stata la parte formativa, con un’iniziativa che abbiamo previsto,
verso maggio-giugno, con un connubio di divertimento, musica e formazione partecipata per chi
interverrà, un’iniziativa pubblica che ridarà alla città quello che è stato fatto nel corso , con il
doppio scopo di avvicinare al nostro mondo i cittadini della comunità ternana e dare risalto alla
nostra cura per la storia della città attraverso i suoi principali protagonisti : i lavoratori.
Quindi la doppia veste è quella di fare formazione, ridare spirito di appartenenza ai giovani ternani,
ai nostri delegati, con il l’obbiettivo non secondario di un ritorno alla CGIL sia in termini di
rappresentanza che di consenso , che si riverberi anche con una rinascita del tesseramento.
147
Quindi questa è la prima parte del corso.
Per quanto riguarda la seconda parte invece abbiamo pensato a un mini-master ( qualcuno
propone un master) in cui ci sarà un ulteriore passaggio formativo ancora più approfondito in cui,
sempre con la partecipazione di alcuni professori universari, ci sarà anche la partecipazione
dell’ordine dei giornalisti e quindi un’ulteriore fase di approfondimento. Diciamo che il corso
complessivamente durerà un mese e mezzo, occupando la parte pomeridiana del giorno, abbiamo
cercato di fare una cosa snella, in modo tale chi incomincia il corso non si divincoli e sparisca
nell’arco della durata dello stesso.
Di fatto questo è quanto abbiamo preparato. In ogni caso l’obiettivo principale è quello della
partecipazione, della nuova modalità di far partecipare i compagni alla realtà cittadina, alla realtà
storica di Terni (che è stata attraversata da fasi di lotte che non si ricordano più), che questa
divulgazione di conoscenza possa avere utilità nei posti di lavoro. Chi ci rappresenta deve sapere da
dove arriva.
Ho cercato di dare un’idea del progetto , quello che sarà il corso . Faremo del nostro meglio perché
tutto vada bene. Grazie dell’attenzione.
148
ANTONIO CASTAGNOLIFiom Cgil Monza e Brianza
Io andrò molto velocemente anche perché sinceramente non ero in programma nel fare
l’intervento, però ho ritenuto necessario poter prendere la parola e pertanto rubo veramente
cinque minuti perché sono stato spinto nel voler intervenire perché, nel momento in cui ho aderito
a questo evento con altri compagni della Lombardia, sinceramente non riuscivo a capire come si
andava a impostare queste due giornate. Sinceramente sono rimasto meravigliato in maniera
molto positiva perché effettivamente questo, al di là della condivisione di come deve strutturarsi
un coordinamento relativamente alla formazione, mi ha dato l’impressione di resettare il tutto e
partire da capo per cercare di parlare un linguaggio totalmente differente relativamente al tema
della formazione perché oggi la formazione è molto importante.
Per cui credo che oggi bisogna dare più attenzione magari rispetto a quanto non è stata data fino a
oggi. Per cui sono rimasto colpito positivamente e questo mi ha dato anche il senso e la necessità
di dover intervenire, anche per raccontare molto rapidamente l’esperienza che noi stiamo facendo
come categoria FIOM all’interno della Camera del lavoro Monza e Brianza, ma non è perché è un
qualcosa di autonomo, ci isoliamo. No. È perché sono percorsi che stiamo facendo vuoi con una
discussione con la confederazione con Monza e Brianza ma vuoi anche con il supporto non
indifferente di quello che ci viene dato da Ermanno Porro che mi ha preceduto.
Pertanto io credo che la formazione deve essere legata non solamente nei confronti del delegato,
cioè il delegato è la cinghia di trasmissione che sta all’interno del luogo di lavoro e pertanto c’è la
necessità di formare il delegato. Cioè, tanto per dire, è un punto di riferimento per cui devo fargli la
formazione, in che maniera. Cioè, non deve essere più la maniera classica, quella tradizionale, ma
deve essere una formazione molto più approfondita, molto più focalizzata su determinate
tematiche in quanto oggi il mondo del lavoro è totalmente cambiato rispetto a prima.
E faccio la battuta. Se una volta per arrivare a determinare la fermata dei lavoratori bastava uno
slogan, bastava un semplice comunicato, oggi non è più così, oggi si ha la necessità di fare
determinati passaggi, si ha la necessità di avere anche all’interno dei luoghi di lavoro dei delegati
che si sono formati per poter interagire con i propri colleghi di lavoro. Devono essere formati su
tante tematiche a cui oggi siamo di fronte e che la realtà si sta consegnando per come è cambiato il
mondo del lavoro.
149
E siamo di fronte anche a un mondo del lavoro totalmente cambiato non solo in relazione a quelle
che sono le nuove normative ma anche com’è cambiata la vita sociale delle persone. Pertanto noi
in Brianza abbiamo avviato anche un corso formativo di delegato sociale perché sono sempre di
più le persone e i lavoratori, per la crisi che c’è stata nel corso di questi anni, che, colpiti da
situazioni di questa natura, oggettivamente si sono indebitati oltre a quello che era il proprio
fabbisogno. Pertanto abbiamo situazioni di questa natura non in una singola azienda ma in diverse
aziende.
Pertanto abbiamo ritenuto di introdurre un corso formativo per il delegato sociale, così come
stiamo rispettando i tanti altri corsi, quelli tradizionali ma focalizzandoli rispetto a quelle che sono
le tematiche relativamente alla sicurezza e all’ambiente, non tralasciando assolutamente nulla.
Però noi ci siamo detti anche un’altra cosa. Cioè, per arrivare a fare i corsi di formazione
innanzitutto riteniamo che non debbano essere fatti solo nei confronti dei delegati sindacali perché
crediamo che anche i funzionari sindacali, i dirigenti sindacali abbiano la necessità di avere la
formazione perché a volte diamo per scontato sempre tutto ma effettivamente non è così. Per cui
noi abbiamo la necessità di fare formazione. Pertanto anche in Brianza abbiamo una forma di
collaborazione in cui chiediamo anche un appoggio al patronato sindacale o all’ufficio vertenze per
andare a impostare dei corsi formativi, dei seminari che ci riguardano in maniera molto
approfondita su determinate tematiche.
Per andare a concludere, io non credo che si possa fare una formazione senza far capire ai delegati,
non solamente ai neodelegati ma in senso generale, da dove arriva la CGIL, cioè chi siamo stati. Io
penso che sia fondamentale perché, se non si fa formazione da questo punto di vista, sembra che
tutto quanto lo abbiamo e tutto quanto è scontato. Non è così. Tant’è vero che anche in Brianza
abbiamo avviato una forma di formazione facendo spiegare quelle che sono state le lotte operaie
di aziende di una certa dimensione, che purtroppo oggi non ci sono più, e richiamando i vecchi
delegati sindacali per arrivare a ottenere quelli che sono i diritti che oggi anche le nuove
generazioni e i nuovi delegati possono portare avanti.
Pertanto noi abbiamo ritenuto che la formazione innanzitutto deve avvenire sapendo quella che è
la storia perché, se non si conosce la storia, quello che è stato il passato, difficilmente si riesce a
capire come si deve andare avanti e l’importanza di mantenere i diritti che purtroppo (le vicende di
oggi) qualcuno ci sta portando via, ci sta togliendo terra da sotto i piedi.
Io mi sono permesso di intervenire per raccontare questa cosa.
Grazie.
150
IDA SALERNOCoordinatrice Coordinamento reg.le Campania Fisac Cgil Campania e Cgil Campania
Buongiorno a tutti.
Io vi voglio dire che questi due giorni mi hanno fatto bene, sto meglio. Sto meglio perché la crisi
prende anche il lavoratore, il sindacalista e il formatore, perché anche io ho bisogno di ritrovare
motivazione, di ritrovare un senso perché in questo momento storico è sempre più difficile. È
sempre più difficile nella quotidianità del tuo agire, come persona prima di tutto.
Ecco perché io sono d’accordo sul fatto che la formazione oggi debba essere anche uno sviluppo
sulla persona e non solo un apprendimento di tipo tecnico, oggi più che mai perché siamo di fronte
a un cambiamento culturale che ha devastato, dal mio punto di vista, non solo l’esser sindacalista
ma l’esser persona, (e di conseguenza?).
Io voglio ringraziare tutti perché credo che siano stati due giorni alti, molto, anche con mia
sorpresa. Io sono della Campania. Sono entrata in CGIL facendo formazione, poi l’ho sospesa
perché sono diventata segretaria dell’organo di coordinamento e quindi per un tempo l’ho
sospesa. Ho memoria di quanto fosse difficile parlare di formazione in questa organizzazione
seppur facendone tanta e di grande qualità, ma questo coordinamento oggi è, a mio avviso, più
necessario che mai.
L’utilità si è vista in Campania. Praticamente recentemente la Campania è stata nominata più e più
volte da Giancarlo in relazione, da Ermanno, da Stefano. Perché? Perché la Campania è una regione
dove la formazione è stata fatta, è stata fatta anche con picchi di grande qualità ma assolutamente
a macchia di leopardo, non in maniera sinergica e con categorie che non l’hanno proprio o l’hanno
fatta poco o l’hanno fatta anche male.
Su un tessuto particolare come quello della Campania è arrivato questo progetto, il progetto
Fenice, in un momento in cui la Campania è ferita (perché la Campania è ferita) e si aggiunge, in
una situazione di crisi complessiva, una ferita profonda.
È arrivato questo progetto Fenice che è il risultato della CGIL Campania con la CGIL nazionale. Io
voglio ringraziare tutti ma voglio ringraziare i nomi. Quindi voglio ringraziare Bruna Cossero (che
non c’è), Cristiana Ricci, Stefano Vanni, Ermanno Porro, Marco Cattaneo, Giancarlo Spaggiari (che
aspettiamo) nonché Ilaria Romeo. Perché? Perché è stata fatta un’operazione (che non è ancora
finita) che non solo attraversa i temi che derivano dalla Conferenza di organizzazione e quindi
cominciando dalla storia e dall’identità della CGIL. Per esempio su questo pezzo è stata fatta
151
un’operazione molto importante, cioè la storia è stata collegata all’oggi. Noi abbiamo una platea di
circa 32 persone che stiamo seguendo anche con un tutoraggio, quindi non solo con le docenze
che vengono dal territorio nazionale ma anche con un tutoraggio, creando un gruppo e una
squadra (e qualcuno lo ha detto prima) che è l’elemento che ci aiuta a superare anche
quell’individualismo culturale che c’è anche nel sindacato, noi non siamo esenti dalle
trasformazioni.
Credo che la CGIL abbia intelligentemente pensato che noi abbiamo bisogno della formazione, non
ne possiamo fare a meno. Ne abbiamo bisogno per la nostra sopravvivenza e (questa è la mia
opinione personale) per il senso che noi dobbiamo dare alla nostra esistenza, che è un senso antico
ma diverso, antico ma diverso. Io ho sentito la parola ‘futuro’, è stata ripetuta più volte. Noi
dobbiamo essere interpreti di un futuro che poi in realtà è già presente.
Il progetto Fenice. Io parlavo anche con quelli che di voi ci hanno dato una mano e sono venuti da
noi e se ne sono andati con grande soddisfazione, ma i ragazzi… poi noi utilizziamo il termine
‘ragazzi’ impropriamente perché i ragazzi hanno 25 anni, queste sono persone che hanno
mediamente 35 anni ma noi li chiamiamo anche ‘giovani’, e anche lì ormai dobbiamo riparare le
generazioni perché non ci ritroviamo più. Anche questa è una bella riflessione da fare. Io vorrei i
ventenni in formazione ma non li abbiamo. Dicevo, stanotte anch’io pensavo che se qualcuno fosse
entrato ieri e vi avesse sentito parlare, qualche giovane, secondo me gli sarebbe venuta la voglia
per tutto quello che avete detto.
Il progetto Fenice ne è stata l’espressione; ne è stata l’espressione perché, al di là di storia e
identità della CGIL, le regole e le risorse, il tesseramento, le competenze e il ruolo, il team building,
il cambiamento e il conflitto che viene generato dal cambiamento, non dico che abbiamo risanato
la ferita ma noi abbiamo ridato a queste persone un’idea di confederalità, abbiamo dato loro la
possibilità di lavorare insieme, di creare gruppo, di esprimersi liberamente, che non è una cosa
ininfluente perché noi abbiamo un problema tra il vecchio e il nuovo. Il vecchio resiste,
sicuramente in Campania ma io credo che questo sia trasversale sul territorio nazionale, perché la
paura del cambiamento ci fa trattenere anche nell’essere generosi. E non è una colpa: è insito
nell’uomo rispetto a momenti di cambiamento epocali (io penso che questo sia un momento che
rimarrà nella storia) e si tende a essere egoisti. Allora i senior, i vecchi tendono a essere non solo
poco generosi ma anche, in qualche modo, a sviluppare la dipendenza e non l’autonomia, a non
aiutare allo sviluppo della capacità critica ma tendono alla dipendenza, a creare gambe che non
possono camminare da sole.
152
Il progetto Fenice in Campania ha cercato e sta cercando di fare il contrario con degli effetti
assolutamente importanti in una regione commissariata. Abbiamo anche creato un
coordinamento. Anche lì non sono tutte rose e fiori. In Campania molto spesso si è tentato…
Sono un poco emozionata. Sì, sono emozionata perché non è un periodo di cose buone, e le cose
buone mi emozionano per fortuna ancora un po’ perché altrimenti me ne dovevo andare. Io non
sono una che sa lavorare senza passione e la passione e la motivazione è molto minata in questo
momento. Per cui l’emozione deriva dal fatto che sono tante le cose negative, e non è un problema
solo di essere passionali: il problema è che io ho la necessità di attaccarmi alle cose positive. Questi
due giorni lo sono e prima di tutto per me sono motivazione per tornare nella mia regione e,
poiché noi partiamo dall’anno zero perché tante volte abbiamo cercato di creare il coordinamento
e non ci siamo riusciti, anche questa volta non sarà facile. Noi siamo in una fase precongressuale e
mi insegnate che cosa significa essere in una fase precongressuale e tutto quello che accade in una
fase precongressuale soprattutto in una regione come la nostra che – ripeto – è sicuramente ferita
e difficile, perché non è ininfluente essere nel Mezzogiorno d’Italia, è una realtà. C’è una
differenza, ci sono maggiori difficoltà. Quindi non è facile.
Questo progetto ha ridato anche a me motivazione e speranza. Il commissario è una persona che
ha, almeno a mio avviso, la voglia di rompere un po’ gli schemi come penso che la CGIL debba fare.
Qualcuno diceva: “Forse recuperiamo nella formazione un’idea che era presente nel passato”. Un
passato molto lontano, per quello che mi riguarda. Io ho 52 anni e me la ricordo la formazione una
ventina di anni fa. Sì, è vero: noi dobbiamo legare la formazione poi a… la vogliamo chiamare la
progressione, non la vogliamo chiamare la promozione. Non penso che sia pensabile ormai. E lo
dico molto semplicemente. Mi rendo conto, non sono ingenua e frequento questa organizzazione e
lavoro in questa organizzazione da tanto tempo, ma noi dobbiamo cambiare prima di tutto noi,
dobbiamo cambiare profondamente noi.
Credo che per questo sia necessaria la formazione. Oggi un giovane ha bisogno di vedere la sua
formazione poi in qualche modo portatrice di risultati, deve vedere che quella formazione servirà a
fare quella cosa. L’effetto più dirompente lo hanno avuto i laboratori intermoduli. Vi assicuro che (e
ci sono prove testimoniali di quello che dico) quello che questi sindacalisti, tra dirigenti e delegati,
tra funzionari e delegati, hanno prodotto sono cose di estrema qualità che la stessa organizzazione
può riutilizzare ma, per quello che mi riguarda, io dico che il feedback che noi abbiamo è che
queste persone non solo del pensare, non solo del sentire ma hanno bisogno dell’agire, di produrre
cose che siano tangibili, altrimenti anche la formazione si perde, si dimentica, diventa anche quello
153
poi uno strumento individuale quando invece deve essere strumento collettivo di questa
organizzazione e deve avere una sua consequenzialità all’interno delle funzioni, dei ruoli e
dell’agire dell’organizzazione.
Questa è un’occasione che noi non possiamo permetterci di sprecare nella maniera più assoluta. Io
penso che non ne avremo un’altra. Io non sono tendenzialmente una persona pessimista, anzi, e
sono molto contenta di questa occasione perché secondo me è un’occasione strategica, la CGIL
nazionale lo ha capito. Ed è per questo che, secondo me, in maniera diversa dal passato noi siamo
qui. Questo coordinamento deve esistere e deve prendere le forme che decideremo insieme. (?)
che vorrei fare dei piccoli gruppi di lavoro sulla progettazione perché l’intercategorialità è un
elemento importante. Aver messo insieme 32 persone che vengono da tutte le categorie ha
consentito uno scambio di un estremo valore e soprattutto la costituzione di una squadra. Dico
solo che tre dei sindacalisti presenti, per esempio, sono diventati segretari generali in Campania e
sono tutte persone di cui l’età media è 35 anni, sono persone sotto i 40 anni. Secondo me è un
grandissimo obiettivo raggiunto, enorme.
Noi siamo all’anno zero. Io posso solo imparare da noi. Sono stata molto in ascolto. Chiederò molto
aiuto perché in Campania cominciamo veramente dall’anno zero. Tant’è che lo dico a Giancarlo
perché anche questo percorso del progetto Fenice ha subito delle modifiche che (parla?) della
capacità di grandi professionalità sulla formazione di tarare anche a seconda della platea che ci si
trova davanti, e i formatori nazionali non sapevano bene e hanno ritarato anche in corso d’opera. E
ritaro anch’io rispetto a una proposta di un modulo che possa far parte del progetto Fenice e che
sia sulla violenza sulle donne, con una riflessione che possa essere anche inizialmente dedicata
solamente agli uomini.
Io lo dico a questa platea, lo dico a Giancarlo, lo dico a Cristiana, lo dico a Ilaria, lo dirò anche a
Peppe Spadaro perché mi sembra che sia perfettamente coerente anche con un progetto
coraggioso soprattutto perché fatto in Campania.
Io vi ringrazio dell’ascolto e ribadisco non solo l’importanza ma la qualità che esprime e che avete
espresso. Mi ha dato idee, mi ha dato nuovi strumenti, ha tracciato un percorso più lineare adesso
nella mia mente.
Voglio chiudere dicendo che chiederò aiuto perché anche in Campania si possa creare un
coordinamento che possa far parte di una formazione messa a sistema della CGIL, perché questo è
quello di cui abbiamo bisogno.
Grazie.
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MARCO NENCETTICamera del Lavoro Metropolitana di Firenze
Buongiorno a tutti.
Intanto io vi racconto una storia. Anzi, come ha detto Pelucchi, la faccio raccontare a un video che
abbiamo prodotto a Firenze, auto-prodotto, quindi nulla di che. La colpa è di Pelucchi perché,
siccome la storia che vi vogliamo raccontare è quella di un corso di formazione dei delegati
confederale, Pelucchi mi disse: “Dovresti raccontarla questa storia” e ci è venuta l’idea di mettere
insieme un po’ di immagini.
Non vi faccio la spiegazione del video. Vi dico solo che il titolo (lo leggo perché le parole sono
importanti) è: “Corso di formazione confederale dei delegati su tecniche di comunicazione,
negoziazione (utile anche ai fini del proselitismo)”. Vi dico che è importante perché per definire con
le categorie questo titolo abbiamo speso del tempo.
Come nasce il video? Come vedrete è un video anche abbastanza sporco perché nasce dal girato
che abbiamo fatto durante il corso di formazione con i formatori che utilizzavano (ci sono anche
delle scene girate da me con il telefonino) una piccola telecamera per far rivedere le simulazioni
che si facevano anche in aula, ci sono delle interviste fatte un po’ all’improvviso per mettere i
delegati davanti magari anche a situazioni un po’ di stress per farli comunicare in quella maniera.
Quindi sono molto dirette. Ci abbiamo aggiunto due contributi (uno del segretario della Camera
del lavoro di Firenze e uno del sottoscritto per spiegare un pochino le finalità di quel video. Anche
quelle sono interviste “buona la prima” perché chi ha fatto quel video, che è uno dei formatori, ha
tenuto quella linea là. Quindi anche quelle sono un po’ sporche.
L’idea è stata quella di provare a utilizzare questo strumento per spiegare, soprattutto alle
categorie (perché ovviamente è rivolto alle categorie alle quali appartengono i delegati che
partecipano al corso), le modalità e il valore dei corsi confederali. Come diceva prima la compagna
della Campania, ha un valore credo davvero questo assoluto.
È una demo, lo ripeto. Quindi è da migliorare e da (affinare? finalizzare?). Non va diffusa perché
non ho le liberatorie e c’è anche un po’ di musica che è coperta da diritti. Quindi vi prego di non
mettere in difficoltà la Camera del lavoro di Firenze. Gira tra di noi e si utilizza appunto proprio per
promuovere la formazione confederale nei confronti delle categorie. Lo facciamo con i delegati e
viene bene con i delegati. Ora guardate il video e poi provate a riflettere se questo tipo di corso
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(credo si capisca un po’ qual è il senso) potrebbe essere anche ripetibile con i funzionari delle
nostre strutture. Buona visione. (segue proiezione video)
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RENATO SOCCIResponsabile nazionale Progetto Sportivi Slc
Per uno come me, “ che di Formazione Sindacale non si è mai occupato”, ascoltare la discussione e
il dibattito di ieri, al quale vanno aggiunte le analisi proseguite con la presentazione delle tante
esperienze esposte di questa mattina, sono un’ottima carrellata di conoscenza. Presentarmi come
neofita della formazione ha fatto sorridere chi in questa sala mi conosce da tempo e conosce le
tante esperienze formative a cui ho preso parte e nelle quali ho provato a dare il mio contributo.
Ho iniziato ad occuparmi di formazione prima ancora di diventare dirigente della CGIL. Dalla mia
prima esperienza alla scuola sindacale di Ariccia ad oggi di tempo ne è passato talmente tanto, e se
non interveniva la Fornero a ringiovanirmi di qualche anno oggi non ero neanche più al lavoro. La
formazione a cui ho partecipato è stata di qualità e quantità tanto vasta che ha segnato la mia
quotidianità di sindacalistica.
Prima di addentrarmi ed esporre il mio contributo a questo nostro incontro, volevo chiarire: per la
SLC non sono io che mi occupo di formazione. Elisabetta Ramat, che ne ha delega, era impegnata
questa mattina in un’attività formativa con scrittori e autori, non avrebbe potuto partecipare a tutti
e due i giorni del convegno. La categoria ha pertanto preferito che venisse qualcuno che poteva
seguito tutto il dibattito. Ed eccomi qua! ad ascoltare le vostre riflessioni e a portare un piccolo e
modesto contributo.
In questo momento e in questa fase mi occupo per la CGIL di un progetto completamente nuovo e
sperimentale. Prima di illustrarlo vorrei porre alcune considerazioni rispetto al grande dibattito di
ieri e agli stimoli di questa mattina. Ci sono tante e buone esperienze fra quelle portate e
raccontate, cosi come tante sono quelle effettuate nel passato che vanno recuperate rammentate e
valorizzate. Esperienze che questa organizzazione non deve disperdere e deve tenere in debita
considerazione: vanno selezionate quelle che possono essere riproposte; quelle da migliorare e
aggiornare; quelle che vanno escluse perché ci hanno fatto più danni che utili; quelle che vanno
implementate o anche strutturate in maniera del tutto nuova.
Perché dico questo?
Abbiamo passato varie esperienze e vari momenti nell’attività formativa, sostenendo da sempre il
tema della formazione come una priorità. Ricordo un convegno del lontano metà anni ottanta (da
poco tempo ero funzionario sindacale alla Camera del lavoro di Rimini), in una delle immagini
esposta qui, fuori dalla sala, si vede la scuola di Ariccia, ho riconosciuto chi mi ha avvicinato
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all'attività di formazione, il segretario della Camera del lavoro. Già da allora, in quel convegno, si
parlava di priorità della formazione. Attività e scelta prioritaria che immancabilmente veniva
relegata a una priorità da realizzare dopo tante altre priorità. Il tempo è passato ma la priorità della
Formazione sindacale, dei suoi gruppi dirigenti, dei delegati e dei quadri finiva sempre nella coda
delle nostre iniziative.
Perché non abbiamo mai realmente scelto quale deve essere il modello decisionale strategico e
progettuale rispetto all’attività formativa non sono mai riuscito a spiegarmelo.
Va definito come strategico e non più rinviabile l’intreccio tra politiche organizzative, politica dei
quadri e politiche della formazione.
In un’organizzazione che lavora sulle idee, sui contenuti che riguardano i diritti alle persone e sulle
tutele da riconoscere alle persone in carne e ossa, si deve tenere conto di due elementi. Seguivo
con attenzione l’intervento della compagna Simona Marchi della Fondazione Di Vittorio e credo
che quelli da lei presentati siano gli elemento di riferimento. Primo elemento: individuare chi ha il
compito di dare indicazioni sulle scelte strategiche, che può e deve essere un coordinamento con
caratteristiche politico strategiche. Secondo elemento: il coordinamento deve essere affiancato da
un’altra struttura alla quale demandare il compito e la definizione del piano nazionale di
formazione con riguarda alla progettazione, alla gestione, alla dinamiche dei contenuti, la
condivisione e il coordinamento dei progetti di tutte le strutture e alla loro possibile diffusione.
Se non distinguiamo le responsabilità, i ruoli e i compiti da assegnare, rischiamo, come spesso
abbiamo fatto, di avere tante belle esperienze che disperdiamo e cancelliamo o che non riusciamo
mai a portare a sintesi o non le facciamo veicolare per essere utilizzabili da parte di tutte le
strutture.
In sintesi: non costruiremo un progetto strategico.
Per esporvi le motivazioni di questa riflessione provo a pensare alla mia esperienza nelle attività
formative svolte e rappresentarvi quella che reputo una fra le più innovative, alla quale dare
continuità. Ce ne sarebbero altre, che cito solo come titoli. Una, lontana nel tempo: la formazione
per giovani delegati e delegate che si svolgeva ad Ariccia durante l'estate “quella chiamata Corsi
Estivi”, una iniziativa angola, che porti al confronto delle esperienze dei nostri giovani andrebbe
pensata e progettata. L'altra, di recente esperienza: “ L'università del lavoro”, che rivisitata e
aggiornata andrebbe costruita come forma strutturale di alta formazione per tutti i nostri gruppi
dirigenti.
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Quella che volevo un po più sviscerare riguarda la formazione svolta in Emilia Romagna in
preparazione delle elezioni delle RSU del pubblico impiego di quattro anni fa. Si avviò un progetto
di formazione “ Partire dai mille per una nuova rappresentanza della Funzione pubblica CGIL in
Emilia Romagna”. Un Progetto di formazione che coinvolse centinaia e centinaia di attivisti, quasi
mille, appunto, che si erano candidati per essere eletti nelle RSU. Una formazione preventiva, utile
e necessaria a chi si sarebbe cimentato in una campagna elettorale che serviva a raccogliere fiducia
consenso e legittimazione a chi si apprestava a diventare rappresentante delle proprie compagne e
compagni di lavoro.
Produrre un progetto di formazione preventivo, sulle competenze relazionali, sui contenuti
identitari e sulle conoscenze delle norme del diritto contrattuale, per tutti quelli che vogliono
cimentarsi a diventare delegati e delegate della CGIL è per la nostra organizzazione una necessità
fondamentale.
Le elezioni della RSU sono e sempre più saranno una competizione, per questo dovremmo
occuparcene programmando e predisponendo per tempo progetti che preparino i nostri candidati
a tale competizione. Ai futuri eletti andranno poi forniti gli strumenti per svolgere il proprio ruolo
con capacità e competenza.
Memore dell'esperienza svolta in Emilia Romagna ho prospettato alla SLC di raccogliere le proposte
in essa contenuta e tradurla in un progetto da fornire ai delegati di poste Italiane ancor prima delle
elezioni della RSU. Poste è l'azienda iscritta alla Confindustria più grossa del nostro paese, come
CGIL siamo sindacato di minoranza, se non vogliamo restare tali dobbiamo cimentarci con coraggio
in una azione nuova e a far sì che le nostre idee, il nostro modello di sindacato, i nostri contenuti,
dentro un'azienda così grande, vengano veicolati sin dalla elezione della appresentanza da tante
persone capaci, competenti e motivate.
Questa esperienza fatta in Emilia Romagna ho voluto esternarla come esempio rispetto al
panorama delle tante che abbiamo e che dobbiamo poter e saper utilizzare. Dobbiamo portare a
sintesi la tanta formazione fatta, per realizzare un tale scopo la struttura che ci diamo non è neutra.
Nei coordinamenti della formazione ci andranno gli organizzatori regionali o di categoria, ma non
sempre e non tutte le strutture hanno la possibilità di avere nella stessa figura l’organizzatore e nel
contempo il formatore. Sono due mestieri diversi, uno è complementare all’altro. Ben venga se
nella stessa persona ci sono presenti entrambe le competenze, ma se non le abbiamo? Dobbiamo
tenere conto che nella stragrande maggioranza dei casi (l’abbiamo visto, perlomeno l’ho sentito
anche dal dibattito di questi due giorni) nello svolgere i ruoli di organizzatore e formatore le
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differenze ci sono e dobbiamo superarle, non solo costituendo un ottimo coordinamento politico
ma affiancando a questi una struttura che abbia autonomia sulle competenze progettuali e
formative.
Volevo ora brevemente fra conoscere il progetto che la SLC ha lanciato per i lavoratori dello Sport.
Tutto nasce da un’idea dell’SLC sul concetto di inclusione. Il congresso nazionale di questa
categoria aveva un unico titolo, un’unica parola: “Inclusione”. Se dobbiamo includere dobbiamo
pensare di partire da quelli che sono i più esclusi. Come dirigente sindacale ho avuto la fortuna di
esser stato segretario proviciale di NIDIL e penso di aver raccolto, in quei 5-6 anni di esperienza,
l'idea di quante figure nel lavoro, pur svolgendo attività manuali o intellettuali non si sentono
lavoratori. Non è un’eresia, nel nostro ambiente è un'idea non concepibile, eppure vi assicuro che
ci sono tante persone che lavorano con mansioni anche umili che si sentono poco lavoratori e
questo lo noto ancora di più fra chi lavora del mondo dello sport. Nel mondo sportivo, escludendo
gli atleti e soprattutto gli atleti professionisti, tutti quelli che lavorano nel mondo sportivo con
prestazioni lavorative che equivalgono alle mansioni più manuali del lavoro non si considerano
lavoratori. Esiste una strana condizione, presente un po’ in tutto il mondo dello spettacolo. Se voi
parlate con un musicista, con un attore, non si ritiene lavoratore, si ritiene un artista, un uomo o
una donna dello spettacolo. Nello sport è la stessa cosa, non ci si annovera fra lavoratori ma ci si
considera sportivi, e nello sport il fenomeno rappresenta centinaia di migliaia di persone.
Colta la dimensione del fenomeno abbiamo pensato di proporre alla confederazione un progetto
per un’azione organizzativa-formativa. Abbiamo individuato e scelto una serie di realtà territoriali
più permeanti, farlo inizialmente in modo diffuso avrebbe rischiato forse di fallire. Il progetto
interesserà inizialmente cinque regioni, nelle regioni saranno individuati i territori e le province che
maggiormente hanno dimostrato interesse al progetto. Per favorire il progetto organizzativo gli
abbiamo affiancato un’azione formativa che dovrà sostenere i delegati e funzionari che si
occuperanno di questi lavoratori. La formazione riguarderà i contenuti e la costruzione di un
modello organizzativo propedeutico ad avvicinare e rappresentare le motivazioni di chi svolge un
lavoro, che prima di considerarlo un mestiere o una mansione lo considera una passione. E' su
questa passione che strumentalizza chi fa lavorare queste persone trattandoli peggio che con i
voucher… Pensate che non ci sia nulla nel trattamento economico peggiore dei voucher? Invece
esiste: ci sono i lavoratori del mondo dello sport che possono essere retribuiti con un compenso
fino a 7mila e 500 euro (che qualcuno vorrebbe portare anche oltre 10) senza nessuna copertura
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previdenziale, senza tutela assicurativa, senza copertura sulle responsabilità civili. Nulla. Pagati
pressoché nel pugno.
A fronte di una condizione del genere, che investe diritti essenziali e primari, aspetti di carattere
previdenziale assicurativo e sociale, in una realtà dove il diritto del lavoro non viene riconosciuto,
anzi, dove ci sono norme che demandano alle federazioni sportive e al CONI quali sono le mansioni
che possono non essere considerate prestazione di lavoro ma semplice prestazione sportiva, a chi
dovrà affrontare il problema con queste persone vanno forniti strumenti tutti nuovi. In questa
nuova stagione dei diritti, quella della carta dei diritti universali del lavoro, non potremmo avere
momento migliore per aggredire un settore non solo perivo di diritto ma anche poco trasparente.
Lo strumento che abbiamo individuato è proprio quello di un legame fra il progetto organizzativo e
la programmazione della attività formativa. Abbiamo iniziato facendo l’analisi dei bisogni, prima
organizzativi, per poi definire come possiamo rappresentare figure nuove per il panorama della
rappresentanza sindacale, abbiamo poi iniziato ad individuare quali sono i territori in cui la
presenza è più diffusa, abbiamo indicato quali potrebbero essere le realtà sindacali più permeabili
al problema. Fatta l'analisi e individuati i temi su cui costruire le competenze, nel mese di dicembre
cominceremo con il progetto formativo vero e proprio.
Grazie per l'attenzione.
161
ROBERTA LISIRadio Articolo 1
Innanzitutto io mi scuso per essere arrivata soltanto adesso ma noi alla radio non siamo moltissimi
e c’era una diretta importante da fare stamattina e non sono riuscita a liberarmi prima.
“Quadrato rosso. La formazione va in rete” nasce l’11 gennaio del 2016. Quella è la data della
prima puntata che ha riguardato una trasmissione che nasce come sperimentazione e che poi
invece è una sperimentazione che si è radicata nel palinsesto della radio. Abbiamo fatto 27
puntate, andiamo in onda tutti i lunedì dalle 15.00 alle 15.25. Abbiamo costruito una pagina del
nostro sito nella quale è possibile rintracciare i 27 podcast delle 27 trasmissioni.
Che cosa sono queste trasmissioni? Sono un incrocio tra alcune delle voci di questo disegno. In
qualche modo è un censimento; è un censimento della formazione che il sistema della CGIL mette
in campo: la formazione dei territori, la formazione delle strutture, la formazione delle categorie.
È un censimento ma è anche una messa in rete (da qui anche il titolo della nostra trasmissione)
perché è un censimento messo a disposizione di tutti e degli altri. È l’esperienza di formazione
delle singole categorie o delle singole strutture che, attraverso il racconto di “Radio articolo 1”, è
nella disponibilità di altri e altre che la vogliono ascoltare.
Abbiamo fatto anche un altro esperimento. Abbiamo utilizzato un paio di lezioni che la CGIL
nazionale ha fatto come formazione per l’esterno, due corsi di formazione per i giornalisti (uno
sulla legge di stabilità dello scorso anno e uno sulle pensioni) che abbiamo poi trasformato in
trasmissioni pensando (e questo è uno dei filoni che cercheremo di approfondire nel prossimo
anno) che la radio possa anche essere uno strumento al servizio della formazione nazionale. E
quindi diventare luogo essa stessa per appunto lezioni o spazi di formazione.
Ancora, proprio per l’idea della radio come strumento al servizio della formazione nazionale e della
rete della formazione nazionale, e quindi al servizio dell’organizzazione della CGIL, abbiamo in due
o tre occasioni raccontato agli ascoltatori e alle ascoltatrici di “Radio articolo 1” come la CGIL può
formare on-line non solo i propri iscritti e i propri aderenti ma anche quanti fossero interessati a
capire che cos’è la CGIL, che cosa fa, qual è la propria identità e quali sono gli strumenti che si dà.
Grazie alla collaborazione degli archivi nazionali della CGIL, abbiamo raccontato come una parte
della formazione della CGIL passata e anche presente è in rete e come questa può essere raggiunta
da chi ne fosse interessato. Proprio su questo abbiamo fatto, per quanto riguarda la Carta, un uso
importante degli strumenti formativi che sulla Carta sono stati messi on-line.
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A quasi un anno dall’inizio di questa esperienza, quale bilancio “Radio articolo 1” può trarre?
Innanzitutto abbiamo fatto una scoperta. Noi pubblichiamo in podcast tutto quello che
trasmettiamo. Una selezione dei podcast che archiviamo la pubblichiamo nell’home page della
radio, non tutto quello che trasmettiamo ovviamente va in home page. “Quadrato rosso. La
formazione va in rete” va in home page e ci rimane 24 ore. Però, come dicevo, abbiamo fatto una
scoperta. All’inizio pensavamo che fosse casuale e invece è consolidata nel tempo. Tra i podcast di
“Radio articolo 1”, “Quadrato rosso” è uno di quelli più ascoltati, più scaricati, più cliccati. L’ultima
sorpresa è stata per l’ultima puntata di “Quadrato rosso”. Abbiamo raccontato e stiamo
raccontando in due puntate come si costruisce e come è costruita la formazione dell’INCA. Ebbene,
quel podcast già lunedì sera era tra i primi dieci scaricati e nei giorni seguenti ha aumentato la
propria posizione.
Questo è un primo bilancio. C’è evidentemente, negli ascoltatori di “Radio articolo 1” (che sono
nella stragrande maggioranza ovviamente iscritte e iscritti, funzionari e dirigenti
dell’organizzazione), però un interesse alla formazione e a mettersi in contatto con i momenti
formativi della CGIL che la CGIL offre a chi ne fosse interessato. Questa è la prima scoperta.
La seconda scoperta è che c’è una necessità, un bisogno di rete, appunto, tra chi fa formazione e
chi si occupa di formazione. E “Radio articolo 1” in qualche modo svolge, in maniera soddisfacente,
questa idea di mettersi a disposizione della rete per far conoscere ad altri i momenti di formazione
che le singole strutture fanno.
Il futuro. Il futuro è quello di provare a realizzare un equilibrio un po’ più bilanciato tra il racconto
della formazione che si fa e della formazione che c’è e diventare la radio uno dei momenti di
formazione vera e propria della CGIL e dell’organizzazione, moltiplicando le esperienze diciamo di
lezione ma cercando di rispondere anche a bisogni formativi – tra virgolette – che vengono dagli
ascoltatori e dalle ascoltatrici.
Insomma, ci pensiamo come uno degli snodi della rete che qui è stata disegnata, con ovviamente
peculiarità tutte nostre che sono quelle della radio ma che mettiamo molto volentieri al servizio
dell’organizzazione.
163
MONICA CEREMIGNAArea Politiche europee e internazionali Cgil Nazionale
Salve.
Io lavoro nell’area delle politiche europee e internazionali della CGIL, mi occupo di progettazione
europea e coordino la formazione a livello transnazionale, sia quella finanziata attraverso i fondi
europei, sia quella che viene realizzata in collaborazione con l’istituto sindacale europeo (ovvero
con l’ETUI).
L’ETUI vi è stata presentata lo scorso anno (se vi ricordate) dal direttore del dipartimento
formazione, Ulisses Garrido, per cui non sto a dilungarmi ulteriormente. Ovviamente sapete che
l'Etui ha una vasta offerta formativa raccolta in un catalogo che potete scaricare dal loro sito.
Su loro sollecitazione abbiamo cercato, l’anno scorso, di riprendere e ottimizzare il rapporto di
collaborazione esistente. C’è stato richiesto, e noi abbiamo subito accolto, di individuare un punto
di contatto all’interno dell’organizzazione. Perché? Il punto di contatto è quello che riceve le
informazioni da parte dell’ETUI, le elabora, le sistematizza e le mette a disposizione
dell’organizzazione nazionale fornendo informazioni e assistenza, raccoglie le richieste di
partecipazione ai corsi e, dopo averle, se necessario, scremate o selezionate, le inoltra all’ETUI.
Dopodiché segue l’iter amministrativo, organizzativo eccetera e soprattutto, a conclusione della
formazione, raccoglie le impressioni dei partecipanti a questi corsi.
La CGIL ha individuato me, nella fattispecie, per svolgere questo tipo di attività.
Che cosa è successo? Abbiamo potuto rilevare che il numero degli iscritti, a partire dalla metà dello
scorso anno a oggi, è triplicato, sia per quanto riguarda la partecipazione ai corsi frontali, sia per
quanto riguarda la partecipazione ai corsi di lingua inglese on-line che l’ETUI organizza due volte
l’anno tutti gli anni.
Però vorrei anche sottolineare il fatto che una grossissima attività di partecipazione ai corsi
l’abbiamo effettuata insieme al dipartimento politiche giovanili, perché l’anno scorso cinque dei
nostri giovani hanno frequentato il corso portante del catalogo ETUI, che è quello per i dirigenti
sindacali del futuro. Quest’anno c’è un’altra nostra delegata che sta frequentando questo corso di
formazione e molti giovani hanno preso parte a diverse altre attività formative. Stiamo cercando di
incentivare quest’attività proprio promuovendo i corsi per i delegati, i quadri, i sindacalisti più
giovani.
164
Il nostro ruolo però non si è solo limitato a fruire della formazione fornita dall’ETUI infatti, siccome
il catalogo dell’ETUI può essere integrato con proposte che provengono dai sindacati nazionali,
abbiamo provato lo scorso anno a proporre un corso che è stato approvato - e che sarà realizzato
in febbraio - sulla legalità e sulle sue ripercussioni nel mondo del lavoro (è un corso sul quale
stiamo lavorando insieme al dipartimento confederale nazionale e sul quale stiamo investendo
molto perché ci sembra un’iniziativa molto, molto interessante) mentre, per la prossima annualità,
quella 2017-2018, abbiamo proposto un altro corso di formazione un pochino più specifico che
riguarda l’applicazione di una direttiva, la 95-2014, sulla rendicontazione non finanziaria. La CGIL
nazionale sta partecipando a un progetto europeo di ricerca sull’applicazione di questa direttiva
che impone alle imprese, diciamo quelle più grandi, di rendicontare non solo la parte finanziaria,
ma anche quella conosciuta fino a oggi come bilancio sociale, e che apre spazi di contrattazione
per delegati, rappresentanti CAE e anche per sindacalisti che potrebbero rivelarsi interessanti. Per
cui anche questo corso è stato approvato e messo in catalogo, programmato a novembre del
prossimo anno, sempre in Italia.
Ora, per il prossimo anno, come vi ho detto, vi invito a scaricare il catalogo dell’ETUI dal loro sito e
guardare qual è l’offerta formativa. Perché? Perché ci aspetteremmo anche da voi qualche
suggerimento rispetto a possibili corsi da realizzare. Voi fate un enorme lavoro a livello nazionale,
come è stato illustrato in queste giornate, per cui avete senz’altro un quadro molto più chiaro di
quanto possiamo averne noi su questo argomento. Per cui, se avete idee di corsi da realizzare che
possono avere un taglio europeo, fatecelo sapere e noi provvederemo a inoltrarle, a proporle
all’ETUI per poterle inserire nel catalogo. Si tratta di corsi finanziati, per cui diciamo che potrebbe
essere un’opportunità interessante per tutti.
Inoltre volevo anche suggerirvi, visto che siete tutti dei formatori molto esperti, di pensare a
partecipare a una formazione che l’ETUI fa per diventare formatori europei. Si tratta di un corso
piuttosto importante. Un formatore europeo è il formatore del quale l’ETUI si serve per
somministrare i propri corsi. Al momento la CGIL ne ha soltanto uno effettivamente riconosciuto
come tale. Per cui vi inviterei a frequentare il prossimo corso, che sarà a febbraio, un corso base,
che darà luogo poi a un percorso formativo seguito da un tutor che durerà un anno, e approderà a
un secondo momento formativo, ovvero tra due anni, al termine del quale si avrà, oltre alla
qualifica di euro-formatore riconosciuta dall’ETUI, anche una certificazione dell’università di Lille.
Lascerei adesso spazio al contributo di Fabio Ghelfi, che è appunto attualemnte l'unico euro-
formatore della CGIL, nonché responsabile delle politiche europee e internazionali per la CGIL
165
Lombardia, che ci racconterà la sua esperienza e che non è qui proprio perché sta facendo una
formazione europea a Malta.
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FABIO GHELFIResponsabile Politiche Internazionali CDLM Milano
Buongiorno a tutti.
Io sono Fabio Ghelfi. Oggi non posso essere con voi perché sono impegnato in una attività di
formazione. Mi scuso per la mia assenza.
Mi è stato chiesto di dare un piccolo contributo al lavoro che state facendo perché mi occupo
dell’euro-formazione per l’Istituto sindacale europeo.
In questo senso provo a dire alcune cose che ritengo possano essere utili alla nostra discussione e
alla riflessione che si sta facendo.
Non andrò in dettagli organizzativi eccessivi e neanche nella descrizione particolare delle attività
che svolgono gli euro-formatori (perché è voi Ilaria Costantini e poi c’è la nostra Monica Ceremigna
che segue tutta la progettazione formativa dell’ETUI per la CGIL), ma vorrei dare alcune valutazioni
su quello che faccio e sulle opportunità che questa attività offre.
Una piccola parentesi, oggi sto iniziando a tenere un corso su una tematica che trovo molto
stimolante e interessante. Colleghi britannici, qui con me a Malta, stanno producendo un modulo di
apprendimento sul loro sistema di union learning e soprattutto sull’organizzazione che si sono dati,
una quindicina di anni fa, di delegati sindacali per lo sviluppo della formazione per i lavoratori.
Questo penso che sia un primo esempio delle opportunità e dell’utilità che può esserci nel lavorare
nella formazione a livello europeo e nelle reti dell’ETUI. In questi anni ho seguito diversi moduli
sperimentali e lavoro stabilmente in due network di formazione dell’ETUI.
Ho progettato recentemente, insieme a colleghi di altri paesi, un modulo di formazione sulle
migrazioni, e ora ne stiamo progettando uno proposto dalla CGIL sulle mafie, sul crimine
organizzato in Europa, in collaborazione con i sindacati tedeschi e rumeni. Inoltre faccio formazione
su diverse imprese per i Comitati aziendali europei.
In particolare appartengo al network dell’ETUI che si occupa della formazione dei giovani quadri ma
annualmente partecipo al modulo formativo che l’ETUI ha progettato (a cui ho partecipato nella
progettazione) sul lobbismo in Europa e sull’azione sindacale di influenza sul processo decisionale
delle istituzioni europee.
L’ETUI, come sapete, ha altri network, oltre a quello dei giovani quadri: sviluppa un network sul
project management e uno più squisitamente pedagogico dove si elaborano nuove metodologie e
si fa aggiornamento pedagogico.
167
Voglio darvi qualche spunto su quelle che ritengo siano le opportunità e le utilità di essere un
formatore e di partecipare a queste attività a livello europeo, che di certo non sono una cosa
leggera ma si al carico di lavoro che ognuno di noi ha a livello locale e nazionale. Questa attività
permette però di svolgere un ruolo importante : innanzitutto di contribuire in modo sostanziale e
concreto alla coesione del movimento sindacale europeo, inoltre in quanto formatori delle reti si
sviluppano buoni rapporti di cooperazione con istituti di formazione sindacale e altri formatori di
culture diverse, e questo è un arricchimento costante.
Attraverso i network e attraverso l’attività di euro-formazione vi è la possibilità di aggiornare gratis
le proprie competenze in termini di metodologie formative e di sperimentare moduli nuovi su nuovi
contenuti, nonché (ed è una cosa che stiamo sviluppando con il corso sulle mafie) la formazione
diviene uno modo per promuovere in Europa gli obiettivi strategici della CGIL.
In conclusione, credo che vi siano diverse e molte opportunità, alcune anche direttamente da
portare a casa, come la contaminazione che si può sviluppare nella cultura della formazione della
CGIL, qualcuna molto concreta, il fatto che fare euro-formazione produce risorse, anche
economiche, per le proprie strutture e per la CGIL.
In ultimo, credo che fare quest’attività offra l’opportunità e l’utilità di rafforzare anche una visione
strategica sull’apprendimento partecipativo, che è una mentalità molto affine al sindacalismo,
proprio perché in quanto partecipativa è basata sull’idea centrale del sindacalismo, la
partecipazione e la partecipazione dei lavoratori.
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ILARIA COSTANTINIFormatrice Etui
Buongiorno a tutti.
Il mio intervento ha come titolo “La formazione sindacale europea nella mia esperienza”. Abbiamo
pensato che può essere più interessante parlare della formazione sindacale a partire
dall’esperienza personale perché le altre informazioni le potete trovare da fonti on-line.
Parlerò di tre cose: uno, da dove vengo; due, dove sono e cosa vedo; tre, una reazione a quello che
ho sentito in questi due giorni. Ovviamente ringrazio per l’invito, che era in primis rivolto al mio
direttore che per fortuna sua è in vacanza a Cuba e mi ha gentilmente delegato e per me è sempre
una gioia poter venire qua.
Da dove vengo? La mia storia è questa. Inizio come lavoratrice in una piccola agenzia che si
occupava di cooperazione economica con i paesi dell’Europa dell’Est e a latere aiutava la
delocalizzazione di imprese italiane nell’Europa dell’Est. La chiamavano “’internazionalizzazione”.
Tre anni a progetto. Poi hanno avuto la malaugurata idea di assumermi con un contratto a tempo
indeterminato e mi sono tolta lo sfizio di iscrivermi al sindacato, alla CGIL, alla FILCAMS e di essere
la prima nella mia azienda. Altri mi hanno seguito. Poi sono diventata delegata. La FILCAMS ha
deciso di investire su di me e così ho cominciato la mia esperienza alla FILCAMS di Gorizia. Una
Camera del lavoro piccola. La FILCAMS aveva più o meno 700 iscritti. Quindi, grazie all’investimento
del nazionale come progetto di reinsediamento, ho potuto cominciare la mia attività.
Sono stata coinvolta parallelamente nell’attività di formazione formatori della CGIL e della FILCAMS
e poi, visto il mio background professionale, la FILCAMS nazionale - dipartimento internazionale -
ha provato a vedere se riuscivano un po’ a rafforzarsi nella loro progettazione europea. E così
abbiamo lavorato anche su quello, però il mio lavoro per il 99% del tempo era alla segreteria della
FILCAMS di Gorizia.
L’ho fatto per quattro anni. Nel frattempo un paio di volte sono stata mandata dalla FILCAMS a
partecipare a dei corsi dell’ETUI (parlo inglese, quindi via libera). Lì ho conosciuto questo ambiente
e loro hanno conosciuto me. Nel 2014 una formatrice dell’ETUI andava in pensione. Hanno aperto
la posizione, mi sono presentata con l’ok dell’organizzazione e voilà! Quindi da tre anni ormai
faccio la formatrice sindacale all’ETUI. Dunque ho dovuto chiudere il rapporto di lavoro con la
FILCAMS e con l’azienda dalla quale ero in distacco e lavoro lì esclusivamente. Non ho, dove lavoro,
169
alcun tipo di legame ufficiale e formale con l’organizzazione dalla quale vengo e devo avere un
approccio di tipo neutrale, ecumenico. Devo lavorare con tutti.
Non è stato facile. Vorrei utilizzarmi un po’ come piccolo caso di studio. Ho ho vissuto tutte le varie
fasi. Mi ricordo che sono stata mandata a fare una formazione formatori per il Nord-Est. Vi
ricordate il progetto 20 mila? Sono stata lanciata e io non sapevo chi fosse Di Vittorio. Me lo hanno
detto lì alla formazione formatori. Ho visto “Pane e libertà”, ho pianto un po’, mi sono innamorata e
via.
Sono stata mandata a fare il master a giovani dirigenti FILCAMS e non sapevo rispondere a una
lettera di contestazione. Quindi in qualche modo miracoloso ce l’ho fatta a sopravvivere fino a
poter fare la segretaria generale della FILCAMS di Gorizia, segretaria di me stessa perché ero da
sola in segreteria. Però questa esperienza così adrenalinica mi ha consentito di sperimentare nel
mio piccolo, dalla A alla Zeta, tutte le sfaccettature di questo incredibile lavoro che è il fare il
sindacalista in Italia. Esperienza per me fondamentale per fare bene il mio lavoro adesso.
Dove sono ora e cosa vedo nella mia esperienza di formatrice sindacale europea. Uso delle
immagini. Siamo tra formatori, quindi possiamo anche essere poco tradizionali nella presentazione
di quello che vogliamo dire.
Siamo a Roma.
Cosa vedete? La Torre di Babele un po’ disgregata, Dio punisce queste
persone che vogliamo avere tutte la stessa lingua e alla fine ognuno comincia
a parlare la sua di lingua. Questo è Bruegel, pittore olandese del 1500 che,
prima di dipingere questo, era passato per Roma, di cui sopra, prendendo
esplicita ispirazione.
Cosa abbiamo? Il Parlamento europeo a Strasburgo. Vedete un po’ lo stile c’è. Dicono che gli
architetti che hanno progettato questo edificio abbiano a loro volta preso
ispirazione dalla Torre di Babele. Il contesto in cui mi trovo a lavorare è
questo: incompleto, in fase di disgregazione (insomma, le dinamiche che
vediamo sono quelle) e di involuzione. Siamo in una fase di grossa crisi,
perdiamo i pezzi e siamo sfiduciati. Questo è quello che vedo quando entro in un’aula formativa
nei miei corsi.
170
Le aule formative nelle quali lavoro sono composte potenzialmente da sindacalisti di qualsiasi
paese europeo e di qualsiasi delle 89 confederazioni nazionali o 10 federazioni europee che sono
affiliate alla CES, quindi alla Confederazione europea dei sindacati. Ho
imparato a non dare nulla per scontato. Entro in un’aula e vedo un
caleidoscopio, per non dire un ammasso, di esperienze, di profili, di modi di
intendere il sindacato che sono molto diversi tra loro. In comune i
partecipanti hanno il fatto che lavorano per un sindacato, di solito sono dei
funzionari di livello medio-alto, raramente faccio formazione con dei
delegati, a volte ci sono anche loro, e vedo poco entusiasmo. Questo è Picasso, “Donna che
piange”. Gli manca proprio la coesione.
Ieri avete parlato della complessità di fare il formatore ad una platea eterogenea. Già un
formatore, ad esempio FILCAMS, si ritrova con delegati di settori diversi e deve creare l’amalgama.
Un formatore che si rivolge a una platea confederale ha un ulteriore elemento di difficoltà. Faccio
un esempio che probabilmente non si avvererà ma immaginate a fare una formazione di tipo
unitario, quindi delegati dei tre Sindacati. Ecco, riportatelo su 89 sindacati e immaginiamo la
difficoltà.
In una situazione del genere io ho davvero grossi problemi a dare delle
certezze, delle verità. Quindi qua abbiamo Dalì con la sua percezione della
memoria, e il tempo ognuno lo vede un po’ come vuole, poche certezze.
Non è possibile per me fare una formazione di tipo precettivo, ho pochi
precetti da dare a queste persone. Non è sconvolgente scoprire che in un’aula ci siano funzionari
che non siano così convinti che bisogna avere una posizione apertamente contraria alle
discriminazioni. Quindi non dico che ci può essere uno xenofobo tra noi nell’aula, però qualcuno
che sta zitto e non dice niente sì, e il silenzio conta. Parliamo di omosessuali, parliamo di diritti
come l’aborto. Ero in Polonia, abbiamo partecipato dopo un corso alla manifestazione delle donne,
alla protesta nera, e i partecipanti di Solidarnosc non sono venuti a camminare sotto la pioggia.
Quindi poche certezze posso dare.
Però, un po’ alla Leonardo con il suo elicottero, diciamo che, con una
formazione programmatica, possiamo dare degli strumenti ai partecipanti
affinché possano introdurre delle innovazioni che sviluppano una volta che
tornano nelle rispettive organizzazioni.
171
Nella pratica cerco sempre, alla fine del corso, di avere una sessione consistente che si può
intitolare, ad esempio, “Definire dei piani d’azione”. Fatta l’esperienza di due giorni abbondanti (un
po’ come diceva la campagna della Campania), fammi un piano di cosa succede quando torni a
casa, come generi il cambiamento nel tuo lavoro e nella tua azione, possibilmente in modo
innovativo e riportando a casa una dimensione europea.
In questo senso, quindi nella gestione del cambiamento e dell’approccio che i partecipanti hanno,
vediamo come il ruolo della formazione si riflette nel ruolo del sindacato, ovvero di come le
persone percepiscono il ruolo del sindacato. Come si dice in sindacalese, tagliata con l’accetta,
divido gli atteggiamenti, le visioni del ruolo del sindacato in due macro-categorie.
La prima: sindacato come prodotto della società. Questa è una domenica
pomeriggio di borghesi che si rilassano. Il sindacato prodotto della società
vuol dire sindacato che tira i remi in barca, spera di creare consenso con
meno sforzo possibile, ha paura di dire quello che pensa perché proprio non è il momento, i tempi
sono difficili. È un sindacato che segue la narrazione generale e spera che ci siano tempi migliori.
Parlo di sindacati, ad esempio, ma non esclusivamente, dei tanti paesi dell’Est che, dopo i grandi
cambi post ’89, sono tuttora alla ricerca di una loro identità, hanno paura a esporsi troppo, sono un
po’ confusi rispetto all’immagine e al ruolo che devono avere nella società e quindi loro sono un
prodotto della società.
All’estremo abbiamo Magritte, surrealista belga, che potrebbe rappresentarci il
sindacato come produttore di società. Uso l’esempio CGIL. Un sindacato che
prende il toro per le corna e propone la sua visione di società, costruisce
consenso sulle proposte, non è vittima. Quindi non è che semplicemente
reagisce, ma propone.
Se avessi i poteri per controllare tutti i corsi che fanno anche i miei colleghi e la
strategia complessiva (però più o meno ci siamo) partirei dal presupposto che questo è il sindacato
giusto, questo è il sindacato del quale abbiamo bisogno in Europa ora. Io non ho un ruolo politico
ma, come sapete, la formazione neutrale non esiste. Quindi se non posso dire io le cose le faccio
dire ai partecipanti.
Quindi il sindacato che produce società. Da questo passiamo al concetto di corpo intermedio;
corpo intermedio tanto odiato e tanto osteggiato dall’uomo solo al comando che vuole un
172
presunto contatto diretto con la massa. Il corpo intermedio credo sia l’unico antidoto che abbiamo
per evitare che piccoli dittatori continuino a proliferare in Europa e oltre all’Europa.
In questo senso, il sindacato è un corpo intermedio soprattutto quando riveste il ruolo e si prende
la responsabilità di produrre società. Tramite la formazione sindacale voi non solo auto-alimentate
un corpo intermedio fondamentale ma fate in modo che altri corpi intermedi si formino nella
società.
Mi spiego. I partecipanti ai vostri corsi saranno dei cittadini migliori. Questo è, penso, il nostro
obiettivo. Capiranno meglio come fare i delegati sindacali, capiranno tutta una serie di tecnicismi,
cominceranno ad avere delle visioni di tipo sindacale, però quello stesso delegato, grazie alla
formazione che voi gli proponete, in tantissime altre situazioni nella sua vita saprà agire da
cittadino. E questa è una cosa fondamentale, una cosa bellissima.
Ricordo quando facevo la formazione ai miei delegati alla FILCAMS in Friuli Venezia Giulia. Prima
lezione: i valori. Una lettura critica, semplice ma critica, della Costituzione. Ti trovi davanti dei
delegati di 35 anni che per la prima volta nella loro vita leggono la Costituzione. Quindi, da una
parte, c’è una disperazione perché pensi: “Non può essere che devo arrivare io a spiegargli le
cose”; dall’altra ti rendi conto del ruolo e della responsabilità che hai. E sono contenti e ti
ringraziano che finalmente qualcuno si prende la briga di spiegargli anche semplicemente la
Costituzione.
Io spero che, ad esempio, questi delegati, in attesa del 4 dicembre, abbiano almeno dell’interesse a
capire di più le cose. Quindi dei cittadini si spera migliori.
Un po’ come in una genesi, quindi corpo intermedio che genera corpo
intermedio.
Non abbiamo la pretesa di essere il dio di Michelangelo però ci si può
lavorare a creare tanti bravi Adami.
Un messaggio che sicuramente volevo darvi, prima di sentire tutti i vostri assolutamente
interessanti interventi di questi due giorni, era che c’è bisogno, in Europa, di fare le cose un po’ più
alla CGIL. Se avessi la lampada di Aladino, questo sarebbe il mio primo desiderio. Perché? Per i
motivi di cui sopra. Quindi un sindacato che produce società, un corpo intermedio che genera
corpo intermedio come unico antidoto per evitare di completare l’opera di distruzione della Torre
di Babele o dell’edificio che abbiamo a Strasburgo.
173
Quindi, da un lato, vi prego di continuare a fare con entusiasmo e passione
quello che già state facendo; allo stesso tempo fatelo sapere oltre i confini
nazionali. Quindi suonate la musica però anche a un volume piuttosto alto.
Ci sono dei modi per far sapere cosa voi fate. Uno di questi (il prossimo
appuntamento è a ottobre 2017) è la Conferenza annuale che il dipartimento
formazione dell’ETUI organizza. Quella è un’ottima opportunità per presentare un report, un
documento, fare una presentazione in cui si descriva cosa la CGIL sta facendo, con le motivazioni
strategico-politiche che ci sono alla base di questo grosso progetto.
In quella sede ci sono i responsabili della formazione di solito di 50-60 organizzazioni sindacali dei
vari paesi europei. Quindi è il momento perfetto per fare una bella suonata.
Alcune reazioni per concludere, alcune riflessioni che mi sono venute in mente dopo aver sentito i
vostri interventi. Vado un po’ in ordine sparso.
Alternanza scuola-lavoro. Non conosco e non voglio sapere tutte le discussioni rispetto
all’opportunità o alla bontà della normativa. Quello che c’è, di fatto, è una grande occasione che voi
avete come sindacato, in maniera direi formalizzata, istituzionalizzata e garantita, di entrare ed
esplorare una foresta vergine. Quindi a dei ragazzi delle scuole superiori che non sanno le cose, che
non possono saperle poiché nessuno gliele ha dette, arrivate voi e gliele dite voi. È fantastico.
Recentemente ho fatto un corso su organising e giovani. Organising cos’è? Non è il segretario
organizzativo. Organising è il nostro reinsediamento, è vedere a Malpensa 15mila e più lavoratori,
come creare un progetto per venire in contatto con loro, iscriverli, mobilitarli e mantenere
l’iscrizione. La riflessione nata da questo corso è: bisogna prenderli il prima possibile i futuri
lavoratori, i futuri iscritti. Dove? Nelle scuole.
C’era il caso di un’esperienza tedesca di un’importante federazione industriale. Loro contattano i
ragazzi che alternano scuola e periodo di apprendistato in azienda. Loro possono entrare come
sindacato nell’azienda, incontrare questi apprendisti e dirgli delle cose simili ai moduli che voi state
progettando per l’alternanza scuola-lavoro. Ho chiesto alla responsabile: “Ma voi approfittate
anche per trasmettere un po’ di valori pseudosindacali?”. Risposta: “Non molto, perché non è
proprio la narrazione dominante, un po’ forse si spaventano, potrebbe essere poco apprezzato”.
Sono rimasta piuttosto colpita in negativo, un po’ come la donna di Picasso che piange, però penso
che questo voi saprete farlo in maniera diversa. Quindi l’alternanza scuola-lavoro è una importante
opportunità per venire a contatto con i giovani e nel modo secondo noi giusto.
174
Formazione on-line. Possiamo prendere giorni per parlarne perché è una cosa complessa. Vi dico
che anche noi all’ETUI ci stiamo lavorando, con due corsi pilota che nei prossimi mesi verranno
messi a disposizione di una platea spero ampia di partecipanti. Non va a sostituire ma va a
integrare la formazione presenziale che abbiamo nel nostro catalogo. Noi, nonostante uno sforzo
economico notevole, e noi siamo per l’85 per cento finanziati dalla Commissione europea, con 3
milioni l’anno realizziamo circa 70 corsi dove paghiamo praticamente tutto ai partecipanti. Ma con
1.800-2.000 partecipanti l’anno a livello europeo noi non raggiungiamo le masse.
Quindi quanto incidiamo su quello che davvero è il lavoro dei sindacalisti in Europa? Non
abbastanza. Potenziamo questo, ci mettiamo vicino una formazione on-line su dei contenuti non
strettamente politici di dibattito e di elaborazione però su delle cose che dovrebbero essere,
secondo noi, un po’ il bagaglio minimo di qualsiasi sindacalista in Europa, ad esempio i comitati
aziendali europei e una conoscenza base delle istituzioni europee.
Siamo quindi a favore e vi consiglierei davvero di tenere in considerazione le esperienze che fate,
valutarle e vedere se e come questo può rispondere al meglio ai bisogni dei lavoratori, vostri e
dell’organizzazione.
Una cosa in più che ha sfiorato Fabio nel suo intervento, un’esperienza fatta in Gran Bretagna dove
c’è un sistema di formazione proprio anche interno di chi lavora per il sindacato, quindi dei
funzionari; un sistema di formazione ben strutturato. Pensando anche a quella che è stata la mia
esperienza (nei 20 mila senza conoscere Di Vittorio e dirigente senza saper rispondere a una lettera
di contestazione), ogni tanto c’è bisogno di avere il maestro, un maestro che ti guida, qualcuno che
ti dice: “Fai questo corso perché poi ti serve a...”. Non sempre questo c’è.
Nell’esperienza inglese, quello che hanno messo in piedi di fatto è un po’ il ruolo del mentor. In
tutte le vostre esperienze ci sono tre figure principalmente: un committente della formazione (di
solito è il livello politico); c’è il formatore che fa da tramite; e c’è il partecipante. Facciamo anche
libretti formativi. Io il mio libretto formativo ce l’ho a casa e non so cosa farmene. Qualcuno mi sa
dire come il corso che ho fatto si inserisce, si innesta nel mio lavoro, nel mio percorso di carriera,
chiamiamola come volete, all’interno del sindacato per meglio contribuire, per fare meglio quello
che sono chiamato a fare? Il mentor è un’ulteriore figura che mi può portare per mano e mi può
servire da riferimento; questa è un’idea che vi lancio.
Un altro suggerimento. Probabilmente è il caso della formazione sull’economia di cui parlava
all’inizio il compagno Sanna con i forum degli esperti di economia. Se potete, mettete un po’ di
175
dimensione europea nei vostri corsi, perché abbiamo bisogno di cittadini che abbiano questo tipo
di visione.
Un’ultima nota: l’uso del linguaggio. Ieri scherzavo con Giancarlo e con Monica dicendo che erano
tre anni che non mi facevo una full immersion così in sindacalese stretto. Ci ho messo anni per
imparare il sindacalese. Una volta andata a lavorare Bruxelles, non solo perché dovevo lavorare in
inglese o francese, ho dovuto praticamente dimenticarmi del sindacalese perché, se in questa
platea ci fossero stati degli stranieri e ascoltavano una traduzione in inglese di quello che dicevate,
io sono sicura che avrebbero forse capito il 10%. Il sindacalese in sé non è un problema, cioè è il
modo di parlare di un’organizzazione, però forse (ma questo lo sanno i formatori che lavorano
soprattutto con i delegati) uno sforzo per cambiare un po’ il linguaggio e renderlo accessibile a chi
si affaccia sul sindacato e sulla CGIL è uno sforzo che vale la pena fare. È un esercizio difficile
perché le parole sono importanti e contenuto e contenitore si legano a doppio filo, però vi
porterebbe a dei risultati interessanti e proficui per venire incontro meglio alle necessità, ai bisogni
dei nuovi delegati o di chi si avvicina per la prima volta al sindacato; ma sono sicura che i formatori
di primissima linea questa cosa ce l’hanno ben presente.
Chiudo qua. Vi auguro davvero di portare avanti questo enorme progetto. Non invidio Giancarlo, o
meglio vorrei essere al suo posto ma con una bacchetta magica grande così. È un lavoro di
pazienza, è un lavoro di democrazia, è un lavoro indispensabile e spero davvero che a ottobre del
prossimo anno, alla nostra Conferenza annuale con i formatori dei vari paesi europei, ci sia una
presentazione del progetto con cosa è successo dopo la mappatura e come sta procedendo il
coordinamento.
Auguri.
176
NINO BASEOTTOSegretario confederale Cgil – Area Politiche Organizzative
Penso che il titolo di questa due giorni, “Dal censimento al coordinamento”, non solo sia centrato
ma, da quello che ho capito dal dibattito di oggi e da quello che mi è stato raccontato anche di ieri,
si è lavorato molto sul tradurre questo titolo in una decisione, che prenderà il Comitato Direttivo, e
negli atti che dovranno seguire a questa decisione.
Siamo tutti d’accordo che la costituzione del coordinamento non è solo un atto dovuto o un atto
burocratico, ma un passaggio per rafforzare il progetto che ci siamo dati con la Conferenza di
organizzazione sul tema della formazione. Il coordinamento come strumento di lavoro per
rafforzare la rete e per diffondere quella comunità della formazione che esiste ed i cui fili di
connessione dobbiamo rendere sempre di più forti, diffusi ed efficaci, perché la nostra è una
straordinaria ed enorme organizzazione che ha spesso il problema di non conoscere abbastanza
cosa si fa al suo interno.
C’è un problema di socializzazione delle buone pratiche, ma c’è anche un problema che viene
prima: di conoscenza di quello che l’organizzazione, nei suoi mille modi e nelle sue mille
articolazioni, riesce a mettere in campo.
Da questo punto di vista, il lavoro fatto quest’anno è un lavoro prezioso perché consente di
cominciare a comporre una fotografia della grande mole di formazione che la CGIL ai vari livelli
mette in campo.
Però questa fotografia, per essere utile e per non appartenere solo ai nostri archivi o ai libri di
storia, deve anche essere accompagnata da una condivisione che va costruita, che va ricercata, che
va assimilata nel tempo da una condivisione di quelle che debbono essere le nostre priorità.
Provo a ragionare su questo, partendo dall’introduzione che ha fatto ieri Giancarlo e
concentrandomi sostanzialmente su un solo tema. Oggi, se noi pensiamo a quale deve essere l’asse
prioritario dell’attività di formazione della CGIL, dobbiamo immaginare come la formazione possa
accompagnare, stimolare, supportare il processo di cambiamento che la CGIL ha intrapreso. Prima
ancora che sindacale e organizzativo, è un processo di cambiamento culturale.
Mi riferisco alla Carta dei diritti universali del lavoro, perché la Carta, se ci pensiamo, se la leggiamo
con le lenti dell’approfondimento e della comprensione del suo senso profondo, è uno
straordinario fatto e motore di cambiamento, appunto culturale, sindacale e organizzativo.
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Il punto è se l'insieme dell'Organizzazione, sia il gruppo dirigente apicale sia quello diffuso, riesce a
introiettare fino in fondo la carica innovativa che la Carta rappresenta e le implicazioni che questa
carica innovativa comporta.
Se ci pensassimo in una riunione come questa, con qualcuno che da questo podio venisse a dirci:
“La CGIL, con tutto quello che vuol dire la CGIL per storia, per cultura eccetera, ha presentato una
proposta di legge di iniziativa popolare che prevede uguali diritti fondamentali per dipendenti,
parasubordinati e autonomi”, beh dovremmo ammettere che la gran parte di noi una cosa del
genere solo una quindicina di anni fa non l’avrebbe creduta e un pezzettino di noi sarebbe stato
anche contrario, giudicando un’eresia, un po’ una bestemmia il fatto che un sindacato di classe
come la CGIL si metta a immaginare uguali diritti anche per i lavoratori autonomi.
Qui c'è un salto culturale, prima ancora che sindacale e politico, che l’organizzazione fa. E non è
perché l’abbiamo votata, perché l’andiamo a presentare in giro per il mondo che dobbiamo dare
per scontato che noi tutti, per primo chi vi parla, abbiamo introiettato fino in fondo questa carica
innovativa e di profondo cambiamento culturale, sindacale e organizzativo che porta in sé.
La Carta, da questo punto di vista, potrebbe essere definita come la Carta dell’inclusione. E,
quando si dice questo, abbiamo delle implicazioni evidenti. Una è immediata: perché abbiamo
deciso che la Carta sia accompagnata da tre quesiti referendari che saranno oggetto poi di una
campagna referendaria molto impegnativa.
Non si tratta di consultare un milione e mezzo di iscritti, non si tratta nemmeno di raccogliere la
valanga di firme che abbiamo raccolto: si tratta di convincere 26 milioni di italiane e di italiani che
per loro sarà utile e conveniente andare a votare per quei referendum. Cioè si tratta di vincere la
sfida del quorum, innanzitutto.
Se pensiamo (e ce lo dicono gli esperti, quelli che citava anche Giancarlo della sua introduzione, ce
lo dicono gli amici di Tecnè, e quelli di “Anteprima”, la nostra società di comunicazione, ce lo dice
un esperto di cose elettorali come Alessandro Amadori) alla campagna referendaria come a un
fatto che può essere giocato solo dal gruppo dirigente e dal quadro attivo della CGIL, abbiamo già
perso. Amadori ci ha detto in esplicito: “Se pensate di fare una cosa così, risparmiate i soldi che vi
conviene”.
Non abbiamo speranze? No, invece non solo abbiamo speranze, ma possiamo avere anche qualche
certezza di poterci giocare la partita e di vincerla se mettiamo in campo quel numeretto a cui
nessuno pensa che è 200mila.
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200mila sono la somma dei circa 18mila donne e gli uomini che fanno parte a vario titolo degli
apparati della CGIL, pensionati piuttosto che attivi, più i circa 180mila tra Rsa, Rsu, Rls, Rlst e altri
attivisti di Lega che noi abbiamo in giro per il Paese. Cioè, noi abbiamo la possibilità di avere una
squadra, un esercito, chiamatelo come volete, di 200mila persone che, se attivate convinte,
motivate e messe all’opera, costituiscono una forza d’urto che è in grado di garantirci, con buona
ragionevolezza, un’altissima possibilità di vincere la sfida del quorum.
Da questo punto di vista, nei prossimi giorni (stiamo già raccogliendo i primi nomi), abbiamo il
problema (Giancarlo lo sa, ci baseremo anche molto sull’esperienza e sul contributo della rete dei
formatori), di realizzare una campagna di formazione, motivazione e mobilitazione di questo
esercito dei 200mila attraverso proprio un percorso tra il formativo e il motivazionale.
Ma questo è un impegno contingente. Fa tremare i polsi, ma è contingente.
L’impegno invece molto meno contingente è appunto come noi ragioniamo, anche con lo
strumento della formazione, sulle implicazioni evidenti che ha la Carta, sulla sua carica innovativa e
sulle coerenze necessarie.
Vedo tre piani di iniziativa.
Il primo. C’è un piano contrattuale. Abbiamo parlato, anche alla Conferenza di organizzazione, della
contrattazione inclusiva. Ripensiamo mentalmente a cosa dice la Carta e a cosa proponiamo con la
Carta e capiamo che la contrattazione inclusiva è un elemento fondamentale per la realizzazione di
questo progetto culturale, sindacale e organizzativo e immaginiamo come la contrattazione
inclusiva non sia qualcosa che si determina semplicemente perché mettiamo insieme il lavoratore
diretto con l’indiretto in un particolare luogo di lavoro, ma perché includiamo e immaginiamo una
impostazione contrattuale che tenga insieme i generi (ieri Loredana Taddei da questo punto di vista
ha detto delle cose particolarmente importanti), tenga insieme i soggetti (che sono quelli che
stanno negli appalti, sono le partite Iva, ma sono anche gli immigrati o gli altri soggetti che
popolano il mondo del lavoro e il mercato del lavoro oggi) e tenga anche insieme i temi. In
Conferenza di organizzazione abbiamo ricordato la bilateralità o il welfare aziendale, tanto per
citare solo due esempi.
Se immaginiamo la questione del genere, l’inclusione dei soggetti e dei temi, ci rendiamo conto
che la contrattazione inclusiva significa affrontare il tema o il problema di come riduciamo la
forbice che sta cambiando le nostre società, ma sta creando dei problemi anche al sindacato, cioè
la forbice delle disuguaglianze.
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La seconda coerenza e la seconda implicazione riguarda la nostra rappresentanza. Non credo che
questa organizzazione possa pensare di sopravvivere a lungo a una contraddizione che la proposta
della Carta ingenera e sta ingenerando in noi stessi. Mi spiego. Susanna Camusso domani sarà a
spiegare i contenuti della Carta (a proposito di Ilaria che ci chiedeva di alzare la voce del coro)
all’Organizzazione Internazionale del Lavoro a Ginevra; cioè facciamo un’operazione tesa a
diffondere la nostra proposta e farla conoscere non solo dentro i confini nazionali, ma cercando di
darle un respiro anche europeo e non solo. Però non possiamo essere quelli che presentano e
fanno grancassa su questa proposta, ma che poi continuano a pensare di rappresentare i soliti noti.
Perché arriverà un giorno, molto prima probabilmente di quanto ci immaginiamo, dove qualche
partita Iva, qualche parasubordinato, qualcuno di quelli per i quali noi chiediamo uguali diritti ci
verrà a dire: “Sentite, ma, oltre ad aver presentato quella proposta in Parlamento, di noi quand’è
che vi occupate? Quand’è che vi fate vedere? Quand’è che ci offrite uno spazio di partecipazione,
di organizzazione, di rappresentanza? Perché altrimenti state facendo solo chiacchiere, state
facendo solo fumo”.
Credo che questa sia una contraddizione che dobbiamo affrontare come oggettiva: perché una
grande organizzazione come la CGIL non può immaginare di fare una proposta importante come la
Carta e pensare che questa proposta riceva solo gli applausi, quando li riceve, e non sia considerata
da quella che l’ascoltano come l’assunzione di un impegno. Nè ci possiamo illudere che quelli che
registrano che la CGIL si è presa un impegno poi non ci chiedano il conto e non misurino la
coerenza e la credibilità dell’Organizzazione anche rispetto alle cose che fa.
La terza cosa è che, se pensiamo al fatto che siamo promotori di una legge che ha l’ambizione di
avere il rango costituzionale e di rappresentare un nuovo inizio per il diritto di lavoro in questo
Paese, abbiamo un problema di connessione, sempre più stretta e forse su basi nuove, del piano
della contrattazione collettiva con il piano della tutela individuale. Non possiamo più pensare che
questi siano piani considerati uno di serie A e l’altro di serie B e non possiamo più pensare che
questi piani che si parlino con difficoltà. La tutela individuale non può più essere, nell’accezione
che le vogliamo dare, un affare della Confederazione, dei servizi e dello SPI. La tutela individuale
deve essere qualcosa che impregna l’attività anche delle Categorie degli attivi a partire dai luoghi di
lavoro.
Ecco perché tra le priorità dobbiamo metterci l’operatore polifunzionale. Deve essere cura
dell’organizzazione che la formazione degli operatori polifunzionali non sia un fatto spontaneistico
che avviene laddove qualcuno decide di farla, ma deve essere un fatto che permea l’insieme
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dell’organizzazione perché è il tema dell’accoglienza e di come accogliamo, tuteliamo e includiamo
quelli che vogliamo rappresentare. È un tema che si pone ad Aosta come a Catania; si pone nel
paesino piccolo come nella grande metropoli.
Poi c’è un’ultima riflessione. Sono assolutamente convinto che dovremo con più calma e tempo
ragionare su quello che è successo stanotte negli Stati Uniti, senza indulgere in analisi liquidatorie o
in facili slogan. Per cui non voglio (non ne avrei nemmeno gli strumenti) fare una disamina di che
cosa vuol dire l’inattesa vittoria di Trump. A me pare però che ci sia, al di là delle peculiarità della
società americana che sono tutte da capire e da considerare, un elemento che colpisce che è il
fatto che tutti i mass media Nord-americani, tutti gli analisti politici Nord-americani e non avevano
previsto un’altra cosa. Poi adesso è l’ora, se leggete i social, di tutti quelli che dicono: “Io lo avevo
detto”. Dopo siamo tutti degli straordinari profeti, però nessuno ci aveva capito un accidente di che
cosa stava succedendo.
Quanto accaduto stanotte negli Stati Uniti, è accaduto non molto tempo fa in Francia con la Le Pen;
è accaduto da noi due volte: qualche anno fa con la Lega Nord e più recentemente con i 5 Stelle.
Penso che si imponga una riflessione: forse oggi le società moderne portano con sé dei
sommovimenti profondi dal punto di vista sociale e dell’orientamento delle persone che né noi e
né quelli che al contrario di noi di mestiere fanno gli analisti e prevedono cosa succede, riusciamo
più a comprendere. Sono pervase da fiumi più o meno carsici di cambiamento di opinione, di
cultura, di orientamenti che non riusciamo più a cogliere.
Allora, se vogliamo assumere, come priorità anche per l’attività di formazione, quella del sostegno
e della promozione della scelta di cambiamento che ha fatto la CGIL, dobbiamo anche porci un
problema di come innoviamo e rigeneriamo gli strumenti che offriamo all’organizzazione, agli
uomini e alle donne di questa organizzazione, per leggere meglio e più a fondo le dinamiche che si
stanno concretando sotto i nostri occhi e magari nella porta accanto alla nostra.
È un tema molto difficile, ma credo che sia una sfida che ci viene e anche uno straordinario stimolo
per chi immagina, come noi immaginiamo, che la formazione sindacale sia una leva strategica a
sostegno del rinnovamento, della forza e del futuro della nostra Organizzazione.
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