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Le iniziative legislative in tema di responsabilità dei medici 1
SEMINARIO DI AGGIORNAMENTO SU
“LA RESPONSABILITA’ NELLA MATERIA SANITARIA”
Organizzato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Ancona
in collaborazione con l’associazione
“Accademia marchigiana di logica giuridica”
12 e 13 dicembre 2008
“La responsabilità civile, penale e amministrativa del medico
e il consenso informato”
Sabato 13 dicembre 2008 – ore 12.10
Avv. Laura Catena
LE INIZIATIVE LEGISLATIVE
IN TEMA DI RESPONSABILITA’ DEI MEDICI
La disamina delle ipotesi di riforma legislativa intervenute in materia di
responsabilità medica è un tema che potrebbe a prima vista apparire meramente
dottrinario in quanto, trattandosi di disciplina de iure condendo, appare di scarsa
utilità pratica per un auditorio di avvocati. Tuttavia la copiosa presenza di
disegni di legge e proposte di riforma in proposito è sicuro indice del fatto che la
vigente normativa viene percepita come inadeguata o comunque non esaustiva.
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In particolare si lamenta da più parti la mancanza di una disciplina ad hoc che,
come avviene nella maggior parte dei Paesi, preveda leggi specifiche in ambito
sanitario. In Italia la responsabilità professionale del personale medico sia in
ambito civile che penale viene riconosciuta e sanzionata attraverso la
riconduzione a istituti e figure di reato generali.
Un dato è comunque certo: il problema del contenzioso per lesioni personali od
omicidi colposi ascritti al personale sanitario, medico in primis, ha subito un
notevole incremento negli ultimi anni, comportando da un lato un sempre
maggior accanimento giudiziario dei pazienti e, dall’altro, atteggiamenti
“difensivi” dei sanitari, preoccupati di tutelare la propria immagine
professionale. Questo circolo vizioso corre il pericolo di portare il medico a
scelte terapeutiche finalizzate non all’interesse effettivo del paziente, bensì a
salvaguardare la propria reputazione. Ciò metterebbe a repentaglio un diritto
fondamentale ed inviolabile del cittadino, quello alla salute, garantito dall’art. 32
della nostra Carta Costituzionale.
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La responsabilità civile:
E’ utile ricordare che, da una situazione di quasi immunità del medico
impegnato in attività di diagnosi e di cura, quale risultato di un’interpretazione
dell’art. 2236 c.c. accusata di sbilanciamento a favore della classe medica, si è
progressivamente giunti ad un atteggiamento di favore giurisprudenziale per la
posizione del paziente.
Le Società Scientifiche presenti sul nostro territorio lamentano una situazione di
disagio venutasi a creare in particolar modo per la classe dei medici chirurghi,
ginecologi, ostetrici e radiologi. Secondo una statistica frutto di un’indagine
anonima eseguita dalla Cattedra di Diritto Penale dell’Università Cattolica di
Milano, infatti:
- nel corso della propria vita professionale 8 medici su 10 ricevono almeno una
richiesta di risarcimento e molti di loro incorrono in un procedimento
giudiziario;
- il costo delle assicurazioni personali per colpa professionale è salito negli
ultimi anni del 300%;
- l’80% dei medici intervistati dichiara di aver adottato nell’ultimo mese di
lavoro almeno uno dei c.d. comportamenti di “Medicina difensiva” che di
seguito si riportano:
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l’inserimento nella cartella clinica di annotazioni evitabili, determinato
dalla preoccupazione di possibili problemi medico-legali;
la proposta di ricovero di un paziente in ospedale, anche se le condizioni
avrebbero consentito una gestione ambulatoriale;
la prescrizione di un numero maggiore di esami diagnostici rispetto a
quello necessario;
la consultazione non necessaria di altri specialisti.
La situazione dei professionisti si è fatta ancora più complessa nella recente
interpretazione giurisprudenziale che, riconducendo i vari profili della
responsabilità medica nell’alveo della responsabilità contrattuale, assegna al
medico l’onere di provare la non colpevolezza, il tutto in procedimenti il cui
giudizio finale è forzatamente basato su conclusioni probabilistiche (c.d. criterio
del più probabile che non).
Pertanto le varie proposte di modifica legislativa si pongono principalmente i
seguenti obiettivi:
- attenuare la pressione psicologica e l’animo a volte vendicativo del
paziente nei confronti dei sanitari;
- accelerare la soluzione delle vertenze giudiziarie;
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- garantire, nelle vicende giudiziarie, che gli esperti chiamati ad esprimere
un parere spesso determinante in tema di responsabilità medica (CTU ed
arbitri) siano all’altezza della situazione.
Per realizzare tali obiettivi, i vari disegni di legge succedutisi dal 2004 ad oggi
(si fa riferimento in particolare alla proposta di legge d’iniziativa dei deputati
Marras, Bernardo, Ciccioli, Colucci, Conti, Fallica, Ferrigno, Franzoso, Giudice,
Holzmann, Lenna, Lo Monte, Mazzocchi, Mistrello Destro, Misuraca, Mormino,
Romagnoli e Tucci presentata il 16/5/2006 ed al recente disegno di legge n. 50
d’iniziativa dei senatori Tomassini e Malan comunicato alla Presidenza il
29/4/2008) propongono le seguenti soluzioni:
I) Innanzi tutto, ricondurre la responsabilità civile per danni a persone sempre ed
in ogni caso alla struttura sanitaria, pubblica o privata che sia. Tale
responsabilità va estesa a tutte le prestazioni erogate dall’ente ospedaliero,
incluse le attività ambulatoriali e diagnostiche. Far ricadere tutte le
responsabilità per danni occorsi nelle strutture sanitarie ospedaliere sugli enti
stessi è possibile in base al principio affermato dalla più recente giurisprudenza
secondo cui l’attività del sanitario (medico, infermiere, ostetrica) è solo un
momento, una parte di una più complessa prestazione alla cui realizzazione
concorre integralmente un assetto organizzativo che ha come compito
istituzionale l’erogazione di servizi sanitari in regime contrattuale.
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A differenza della situazione attuale, che prevede una responsabilità
patrimoniale solidale tra medico e struttura all’interno della quale opera, in tal
modo il paziente dovrebbe agire per il risarcimento dei danni, patrimoniali e
non, unicamente nei confronti dell’ente ospedaliero.
Per quanto concerne la posizione del medico (nei cui confronti, come detto, il
paziente danneggiato non potrebbe più pretendere alcun risarcimento) la
proposta di legge prevede che la struttura sanitaria possa avviare un’azione
disciplinare contro i propri dipendenti solo qualora il fatto dannoso sia stato
compiuto dal professionista con dolo o colpa grave.
Solo in caso di dolo, potrebbe essere avviata dall’ente ospedaliero azione di
rivalsa o azione amministrativa per danno erariale nei confronti dei sanitari
responsabili.
Infine, solo in caso di colpa grave accertata con sentenza passata in
giudicato, il Direttore Generale della struttura ospedaliera, sentito il Collegio di
Direzione, potrebbe disporre nei confronti del medico responsabile il parziale
recupero del risarcimento del danno riconosciuto, il cui ammontare, fissato in
modo equitativo, sarebbe recuperato attraverso trattenute sullo stipendio, nella
misura massima di un quinto, per un periodo comunque non superiore a cinque
anni.
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Tutte le suddette modifiche permetterebbero di “alleggerire” notevolmente la
posizione dei professionisti. Tuttavia, non possono tacersi le seguenti
considerazioni critiche:
a) Per quanto concerne il profilo della responsabilità disciplinare del medico,
rispetto alla situazione attuale, il disegno di legge n. 50 del 2008
introdurrebbe una scriminante disciplinare nelle ipotesi di colpa lieve,
ponendo in discussione sostanzialmente le sanzioni dell’avvertimento e
della censura (ex art. 40 del D.P.R. n. 221 del 1950), ma incidendo
sensibilmente su una materia – la determinazione delle regole
deontologiche, dalla cui violazione discende la responsabilità disciplinare
– demandata agli Ordini Professionali.
b) Come può notarsi dal dettato legislativo, il DDL 50/2008 pone in
correlazione la responsabilità disciplinare e la responsabilità civile,
prevedendo che l’azione disciplinare possa essere esperita solo nel caso in
cui la condotta del medico abbia determinato un danno a terzi : al riguardo
può osservarsi che risulta del tutto arbitrario esautorare gli Ordini
Professionali Medici di un autonomo potere decisionale, dovendo essi
essere liberi di adottare provvedimenti nei confronti dei loro iscritti a
prescindere dalla provocazione o meno di danni a terze persone.
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c) Arbitraria risulta altresì la correlazione effettuata tra responsabilità
disciplinare e responsabilità patrimoniale nella parte in cui si prevede che,
in caso di colpa grave accertata con sentenza passata in giudicato, è
possibile addivenire alla misura (in realtà disciplinare) del parziale
recupero del risarcimento del danno in base a parametri stabiliti dalla
Direzione Sanitaria.
d) Infine non può non segnalarsi, in particolare all’attenzione dei
rappresentanti della Corte dei Conti, come il disegno di legge n. 50 del
2008, prevedendo espressamente la possibilità del giudizio di rivalsa nei
confronti dei sanitari responsabili del danno unicamente nelle ipotesi di
dolo degli agenti (e pertanto escludendo la possibilità di azionare il
giudizio amministrativo per danno erariale in caso di condotta colposa),
introdurrebbe, qualora convertito in legge, un’arbitraria violazione dei
principi stessi posti alla base della responsabilità amministrativa.
* * *
II) Il secondo punto fermo nelle varie proposte di legge è la necessità che le
strutture sanitarie, cui, come detto, spetterebbe sempre la responsabilità nei
confronti dei pazienti, stipulino obbligatoriamente l’assicurazione per
risarcimento dei danni causati a persone da personale medico e non medico.
Tutte le strutture ospedaliere pubbliche o private non coperte dall’assicurazione
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per la responsabilità civile nei confronti degli assistiti non potranno esercitare
alcuna attività.
In analogia con l’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile
automobilistica, il contratto tra struttura sanitaria e compagnia assicurativa dovrà
essere stipulato con massimali idonei a garantire la copertura assicurativa della
responsabilità civile di tutti gli operatori sanitari e prevedendo elementi
integrativi per quei reparti quali pronto soccorso, terapia intensiva, unità
coronarica, rianimazione, sala parto, neonatologia, ad elevato rischio.
In tale modo il paziente danneggiato a seguito di prestazioni sanitarie ricevute in
strutture per le quali vi è l’obbligo dell’assicurazione obbligatoria, avrebbe
azione diretta per il risarcimento del danno nei confronti della compagnia
assicuratrice. La domanda di risarcimento potrebbe essere presentata
direttamente dal paziente danneggiato molto semplicemente, inviando alla
assicurazione una lettera raccomandata con avviso di ricevimento, corredata da
idonea documentazione medica comprovante il danno subito.
L’assicuratore, entro novanta giorni dalla domanda di risarcimento, comunicherà
al danneggiato la misura della somma offerta, ovvero indicherà i motivi per i
quali ritiene di non fare alcuna offerta; nello stesso periodo di tempo il paziente
danneggiato sarà tenuto ad acconsentire agli accertamenti, ai controlli ed alle
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verifiche che si rendano necessari per l’accertamento e la quantificazione del
danno subito.
Se il danneggiato dichiara di accettare la somma offertagli, l’assicuratore dovrà
provvedere al pagamento entro venti giorni dal ricevimento per iscritto
dell’accettazione. Qualora, invece, la somma offertagli sia inferiore a quella
richiesta ed il danneggiato si dichiari non soddisfatto del risarcimento, l’impresa
dovrà comunque corrispondere tale somma entro venti giorni, che verrà
imputata a titolo di acconto nella liquidazione definitiva del danno.
Inoltre, al fine di prevenire i contenziosi, si prevede che ogni Regione istituisca
presso tutte le strutture ospedaliere presenti nel proprio territorio, pubbliche o
private che siano, un ufficio di valutazione del rischio di responsabilità civile del
personale sanitario denominato “unità di rischio”. Ogni Regione ha altresì
facoltà di istituire un Fondo di garanzia per la responsabilità civile del personale
di tutte le aziende sanitarie ubicate sul proprio territorio sostitutivo delle polizze
assicurative, attribuendo al Fondo direttamente le risorse finanziarie necessarie.
* * *
III) In caso di mancato raggiungimento di un accordo tra il danneggiato e la
compagnia di assicurazione si propone di favorire, senza renderlo obbligatorio
(il che potrebbe porsi in contrasto con gli artt. 24 e 25 Cost.), il ricorso
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all’arbitrato. Il deferimento al collegio arbitrale deve avvenire su proposta del
danneggiato e previa accettazione della controparte.
Il collegio arbitrale è composto da 3 membri, dei quali due designati da ciascuna
delle parti ed il terzo dal Presidente del Tribunale, secondo le forme e le
modalità di cui all’art. 810 c.p.c.. Il procedimento, il lodo e le impugnazioni
devono essere svolti in conformità agli artt. 816 e seguenti c.p.c., con la
differenza che il procedimento arbitrale dovrà concludersi nel termine breve di
90 giorni dalla data in cui è avvenuta l’ultima accettazione da parte degli arbitri,
salvo che le parti stabiliscano di comune accordo un termine diverso. Ciò
consentirebbe la rapida risoluzione di numerose vertenze, con auspicabile
soddisfazione sia del danneggiato sia delle imprese di assicurazione che non
vedrebbero protratte all’infinito le loro vertenze giudiziarie.
Si contempla, inoltre, la facoltà delle parti di chiedere di comune accordo al
collegio arbitrale insediato una pronuncia secondo equità, con la conseguenza
che il lodo emesso sarà esente da ogni impugnazione. Questa eventualità
dovrebbe auspicabilmente riguardare le vertenze minori, che sarebbero così
risolte definitivamente in tempi brevi.
* * *
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IV) Infine, il disegno di legge n. 50 disciplina la costituzione in ogni Regione o
Provincia autonoma di un albo nazionale di arbitri e consulenti tecnici d’ufficio
cui ricorrere obbligatoriamente in caso di simili contenziosi.
Tale albo dovrebbe prevedere l’annotazione delle singole specialità in modo che
il giudice sia in grado, qualora venga inoltrata specifica istanza delle parti, di
nominare un CTU o un arbitro con piena cognizione sui temi oggetto della
vertenza.
La responsabilità penale:
Per quanto concerne i profili di responsabilità penale del medico, le iniziative
legislative più recenti suggeriscono di apportare modifiche radicali al Codice
penale vigente, al fine di disciplinare la responsabilità medica in modo difforme
rispetto alle altre fattispecie di responsabilità dei prestatori d’opera intellettuali;
lo specifico reato di colpa medica, infatti, presente nei Codici penali di tutto il
mondo, latita in quello italiano e in un solo altro paese al mondo, il Messico.
Tra le esperienze straniere a noi vicine, il recente Codice penale della Slovenia
(aggiornato nel 1995) prevede specifiche figure di reato in tema di assistenza e
di negligenza nelle prestazioni del personale medico e sanitario in genere.
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Singolarità è rappresentata dal fatto che il Codice penale sloveno dedica un capo
apposito ai reati contro la salute dell’uomo.
Il Servizio Sanitario Nazionale Italiano spende per assicurazioni 500 milioni di
Euro l’anno e la conflittualità fra medico e paziente è in costante aumento, con
un numero crescente di cause che finiscono in Tribunale (sono 16mila l’anno gli
esposti dei malati per danni legati a presunti errori medici). La questione della
sicurezza e il rischio clinico, temi costantemente d’attualità nella sanità italiana,
sono ora diventati di emergenza dopo lo scandalo della clinica Santa Rita di
Milano.
Un documento redatto dall’Ordine dei medici in collaborazione con i sindacati
di categoria e le Società Scientifiche ed approvato dalla Conferenza Nazionale
della Professione medica, propone l’introduzione di alcune novità nelle
disposizioni giuridiche che possono così sintetizzarsi:
- introdurre nel Codice penale lo specifico reato di colpa medica;
- riformare la disciplina degli artt. 40 (rapporto di causalità) e 41 (concorso
di cause) del Codice penale, precisando il significato ed i limiti del nesso
eziologico in medicina;
- definire la problematica relativa al consenso informato, dando una giusta
dimensione al difetto di consenso (che oggi può far sconfinare un atto
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terapeutico in un atto doloso), magari inserendo nel Codice penale tra i
delitti contro la libertà morale il trattamento medico-chirurgico su persona
non consenziente o trattamento medico-chirurgico arbitrario;
- limitare la punibilità del medico ai soli casi di colpa grave, da intendersi
come divergenza della condotta del camice bianco rispetto a quella che
avrebbe dovuto tenere in base alla regola cautelare violata;
- introdurre il tentativo obbligatorio di conciliazione (come nel civile);
- introdurre misure di sostegno per una tutela extrapenale cui il giudice
possa subordinare la non punibilità del medico: l’esito positivo
dell’accordo con il paziente sul risarcimento del danno; l’adozione di
misure preventive da parte dell’ospedale in cui è avvenuto l’errore; la
frequenza del medico a corsi di formazione anti-sbaglio; l’apertura di un
procedimento disciplinare da parte dell’Ordine;
- istituire un Osservatorio Nazionale con il compito di raccogliere tutti i dati
regionali sugli errori in medicina;
- nominare, all’interno di ogni ASL, un risk manager, figura preposta a
valutare i rischi di errore in ogni servizio di cura offerto e già operativo in
alcune strutture ospedaliere del nord.
* * *
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Come auspicato da diversi camici bianchi (ginecologi in primis in quanto
categoria maggiormente a rischio di contenziosi), il 20/05/2007 il Consiglio dei
Ministri, su proposta dell’ex Ministro della Salute Livia Turco, aveva approvato
un disegno di legge per:
- creare un sistema per la gestione del rischio clinico per la sicurezza dei
pazienti, incluso il rischio di infezioni nosocomiali;
- istituire all’interno di ogni Azienda Sanitaria un servizio di ingegneria
clinica che garantisse il controllo tecnico delle strutture e la verifica delle
apparecchiature. Il servizio di ingegneria clinica contribuisce alla
programmazione delle nuove acquisizioni ed alla formazione del
personale all’uso delle tecnologie;
- creare meccanismi o camere di conciliazione tra medico e paziente, invece
di far scattare la denuncia penale, per la definizione stragiudiziale delle
vertenze.
Tale proposta non si è trasformata in legge a causa dello scioglimento anticipato
delle Camere e l’indizione di nuove elezioni.
Tuttavia la bontà del disegno di legge Turco ha ricevuto consensi da più parti e
il successivo governo, accogliendo un suo spunto, ha istituito con delibera del
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25/07/2007 una Commissione Parlamentare d’inchiesta sugli errori in campo
sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari nazionali.
Quello che è stato criticato del DDL Turco è la mancata previsione di un
Osservatorio del Contenzioso Medico, che invece sarebbe utile per avere dati
che ci facciano capire le reali dimensioni della “malpractice” dei nostri medici,
distinguendola dalle ipotesi in cui viene sporta denuncia con il solo scopo di
attivare il procedimento civile. Inoltre non è contemplata l’istituzione di fondi di
garanzia dell’alea terapeutica per risarcire i pazienti dei danni dovuti alle
complicanze incomprimibili e imprevedibili, insite nelle cure stesse.
* * *
Nell’attuale legislatura, è dello scorso giugno la rivoluzionaria proposta del
sottosegretario al Welfare con delega alla Salute Ferruccio Fazio (l’attuale
governo ha ritenuto che un ministro ad hoc non fosse più necessario) di
depenalizzare la responsabilità dei medici.
Tale proposta di legge nasce dalla constatazione che l’85% dei processi contro
medici si concludono con l’assoluzione ed introdurrebbe nei Codici penale e
civile una serie di aggiunte e nuovi articoli che definiscano la colpa
professionale legata ad un atto medico e chiariscano i meccanismi del nesso di
causalità. Inoltre, per una parte dei reati di malpractice sarebbe prevista
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l’automatica competenza del Tribunale civile: un meccanismo che, oltre ad
alleggerire il carico spesso inutile sui Tribunali penali, renderebbe
psicologicamente più libero il medico. Per queste ragioni il DDL Fazio è stato
accolto con favore dai medici che, ormai da anni, chiedono un argine alla loro
punibilità ed anche da alcuni parlamentari (i deputati Iole Santelli e Giuseppe
Palumbo sono tra i primi firmatari). Sembra addirittura che possa diventare
presto vigente grazie al meccanismo del decreto legge.
D’altra parte, però, la proposta di legge ha suscitato notevoli dissensi, soprattutto
dopo il clamore mediatico prodotto dal recente scandalo della “clinica
dell’orrore” di Santa Rita a Milano.
In definitiva appare condivisibile l’opinione di quanti, ritenendo eticamente
discutibile la depenalizzazione dei reati commessi nell’esercizio della
professione medica, suggeriscono ed auspicano piuttosto di superare le
problematiche legate all’eccessiva conflittualità medico-paziente attraverso la
previsione dello specifico reato di colpa medica.
* * *
Di notevole interesse è altresì il disegno di legge n. 10 d’iniziativa di un elevato
numero di senatori tra cui Marino, Finocchiaro, Zanda, Latorre, Astore, Bassoli,
Chiaramonte, Cosentino, Di Girolamo, Poretto, Adamo, Agostini, Amati,
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Bonino, Levi Montalcini, Magistrelli ed altri, comunicato alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri il 29/4/2008 e contenente “Disposizioni in materia di
consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti
sanitari, al fine di evitare l’accanimento terapeutico, nonché in materia di cure
palliative e di terapia del dolore”.
L’attualità del problema si è evidenziato con il recente caso di Eluana Englaro
nel quale la Giurisprudenza di legittimità, con la nota sentenza Cass. Civ. n.
21748 del 16 ottobre 2007, ha riconosciuto, in caso di malato in stato vegetativo
permanente, la legittimazione ad intervenire, su richiesta del tutore e nel
contraddittorio con un curatore speciale, per disattivare presidi medici c.d.
salvavita, in presenza dei seguenti requisiti:
1) la condizione di stato vegetativo permanente deve essere, in base ad un
rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi deve essere alcun
fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello
internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di un
qualche, sia pur flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una
percezione del mondo esterno;
2) tale istanza deve essere realmente espressiva, in base ad elementi di prova
chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo, tratta da
sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di
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vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire,
prima di cadere in uno stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della
persona.
Pertanto la sentenza resa dalla Corte di Cassazione, Prima sezione civile, n.
21748/07, pur riconoscendo esplicitamente che l’alimentazione e l’idratazione
forzata non costituiscono accanimento terapeutico, ha ammesso la possibilità di
ricostruire la volontà del paziente attraverso le testimonianze dei familiari, in
assenza di una “dichiarazione anticipata di trattamento”, aprendo così la strada
verso il c.d. testamento biologico.
Dopo la pronuncia sul caso Englaro il Senato ha sollevato conflitto di
attribuzione tra i poteri dello Stato innanzi alla Corte Costituzionale dimostrando
come, in una situazione di vuoto legislativo in materia, sia risultato non
soddisfacente far colmare la lacuna da pronunce giurisprudenziali che hanno
destato clamore e diviso l’opinione pubblica.
Il DDL n. 10 si pone appunto l’obiettivo di dare soluzione al problema
dell’interruzione dei trattamenti sanitari al fine di evitare l’accanimento
terapeutico, nella consapevolezza che la vita biologica ha un limite, garantendo
comunque la qualità e la dignità della vita nelle fasi terminali di essa.
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Il Codice Deontologico dei medici italiani in tema di eutanasia esprime una
posizione perentoria ed inequivocabile: “Il medico, anche se viene richiesto dal
malato, non deve effettuare, né favorire, trattamenti diretti a provocare la morte
(art. 36 C.D.). Questo articolo rispecchia il Codice penale vigente che agli
articoli 579 (omicidio del consenziente) e 580 (istigazione ed aiuto al suicidio),
prevedono per chi li viola molti anni di carcere. Esso indubbiamente si ispira
alla tradizione culturale e religiosa cattolica, prevalente nel nostro Paese, per la
quale la vita è un bene indisponibile, che deriva da Dio e quindi non vi sono
incertezze né compromessi possibili con la morale laica su questo tema.
Ogni giorno, tuttavia, i medici sono posti di fronte a scelte drammatiche quando
per un paziente non c’è più una ragionevole speranza di recuperare l’integrità
intellettiva ed una vita indipendente dalle apparecchiature e dalle terapie che la
sostengono. La tecnologia attuale è un grado di mantenere in vita malati per i
quali in passato non c’era più nulla da fare, permettendo di prolungare
artificialmente la vita di una persona che ha perso ogni risorsa, che non ritroverà
mai più una condizione accettabile di salute, e tutto questo rende sempre più
drammatico il problema dell’interruzione volontaria della terapie al fine di
evitare l’accanimento terapeutico. Dall’altra parte, da una figura di medico
ippocratico, autoritario e paternalistico del passato, che prendeva
autonomamente le sue decisioni per il bene del paziente (c.d. principio di
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beneficialità) secondo scienza e coscienza, siamo passati ad un rapporto medico-
paziente nel quale un cittadino, più colto ed informato, rivendica la libertà di
scegliere se curarsi o meno e come curarsi ed il diritto di dare il suo consenso
alle proposte del medico dopo essere stato correttamente informato.
Di qui l’esigenza di formare medici e cittadini e dotare la società di strumenti di
decisione, come il testamento biologico, che rappresenta un valido supporto a
favore del medico per orientare le sue decisioni secondo quanto avrebbe
desiderato il paziente e per non andare incontro a situazioni paradossali dove
sono tutti a decidere tranne il diretto interessato.
Negli Stati Uniti, in Canada, in Australia ed in diversi Paesi europei,
interrompere le terapie quando non esiste una ragionevole speranza di riportare
il paziente ad una condizione di vita accettabile non solo è una prassi comune
nelle strutture sanitarie, ma è una possibilità prevista da regole precise, rispettate
dagli operatori sanitari senza suscitare alcun clamore. Introdotto negli Stati Uniti
nel 1991, il living will, o direttiva anticipata di volontà, mira proteggere dal
rischio di accanimento terapeutico il paziente non più in possesso delle proprie
facoltà di intendere e di volere.
Con il disegno di legge n. 10 del 29/4/2008, si propone di introdurre anche nel
nostro Paese tale “dichiarazione anticipata di volontà”, ovvero un atto scritto,
datato e sottoscritto, con il quale ciascuno può disporre in merito ai trattamenti
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sanitari, nonché in ordine all’uso del proprio corpo o di parti di esso dopo la
morte, incluse le disposizioni relative all’eventuale donazione del proprio corpo,
di organi o tessuti a scopo di trapianto, ricerca o didattica, alle modalità di
sepoltura ed alla assistenza religiosa. Tale atto scritto, una volta formato, deve
essere unito alla cartella clinica, di cui costituisce parte integrante.
Le forme e le modalità pratiche di compilazione del testamento biologico
saranno disciplinate con decreto del Ministero della Salute, e comunque spetterà
alle ASL, tramite i medici di medicina generale, informare i propri assistiti della
possibilità di rendere la dichiarazione anticipata di trattamento. Naturalmente,
essa è rinnovabile, modificabile o revocabile in qualsiasi momento.
Il medico ha il dovere di tener conto di queste disposizioni nel momento in cui si
accinge ad assistere un malato che non ha più una ragionevole speranza di
miglioramento ed è così sollevato dal dover prendere delle decisioni in maniera
autonoma, senza conoscere quali siano le intenzioni e le volontà del paziente.
La proposta di legge prevede, infatti, che la dichiarazione anticipata di
trattamento produca effetto solo dal momento in cui interviene lo stato di
incapacità decisionale del disponente. Lo stato di incapacità è accertato e
certificato da un collegio composto da tre medici, di cui un neurologo, uno
psichiatra e un medico specializzato nella patologia da cui è affetto il paziente,
designati dalla direzione della struttura sanitaria di ricovero.
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Tale strumento, tuttavia, non deve essere rigido e il medico deve mantenere la
propria libertà di giudizio per valutare quando è il caso di proseguire le terapie e
quando è invece più giusto fermarsi, evitando un accanimento che non
rispetterebbe la dignità del paziente. Qualora il medico ritenga di dover agire
diversamente da quanto indicato nel testamento biologico, si ritiene necessario
coinvolgere il comitato etico dell’ospedale per valutare le motivazioni del
medico, confrontarle con le indicazioni del testamento e giungere ad una
decisione che salvaguardi il miglior interesse del malato anche nel rispetto
dell’art. 32 Cost. Rispettare un testamento biologico non dovrebbe mai portare
ad agire contro il benessere del paziente, come invece potrebbe accadere,
paradossalmente, nel caso di un documento redatto in maniera poco chiara o
pericolosamente restrittiva. Nello svolgere la propria professione, ogni medico
chiama in causa l’esperienza, la casistica, la letteratura scientifica e a volte
anche l’intuizione. Per questo un documento che stabilisca vincoli troppo stretti
non serve a scongiurare l’accanimento terapeutico, ma potrebbe addirittura
minare la concreta possibilità di recupero di un paziente non impossibilitato al
recupero dell’integrità intellettiva.
E’ comunque prevista la possibilità per il medico di disattendere le direttive
contenute nella dichiarazione anticipata di trattamento qualora, sulla base del
parere vincolante del comitato etico della struttura sanitaria, le stesse non siano
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più rispondenti a quanto l’interessato aveva espressamente previsto al momento
della redazione della dichiarazione anticipata di trattamento, sulla base degli
sviluppi delle conoscenze scientifiche e terapeutiche.
Per la stesura di un testamento biologico è fondamentale l’esistenza di un
rapporto di fiducia fra medico, paziente e familiari del paziente. L’obiettivo è,
infatti, che ognuno maturi individualmente la propria scelta, nella serenità di
valutazioni personali: ciò costituirebbe un notevole passo avanti rispetto a
decisioni prese in modo paternalistico da medici o familiari.
In presenza di dichiarazioni anticipate di volontà è fondamentale tuttavia la
presenza di un garante, detto fiduciario – figura introdotta dal disegno di legge –
che tuteli le indicazioni, ma che sappia, anche sulla base di un solido e
significativo rapporto personale, interpretare le volontà del paziente, così come
può avere un ruolo significativo l’intervento di un comitato etico nei casi più
complessi.
Il disegno di legge sottolinea altresì la necessità che ogni trattamento sanitario
sia subordinato all’esplicito ed espresso consenso dell’interessato, prestato in
modo libero e consapevole. Ogni persona capace di intendere e di volere ha il
diritto di conoscere i dati sanitari che la riguardano e di esserne informata in
modo completo e comprensibile, in particolare riguardo la diagnosi, la prognosi,
la natura, i benefici ed i rischi delle procedure diagnostiche e terapeutiche
Le iniziative legislative in tema di responsabilità dei medici 25
suggerite dal medico, nonché riguardo le possibili alternative e le conseguenze
del rifiuto del trattamento. L’informazione costituisce un obbligo per il medico,
il quale deve provvedere al costante e permanente aggiornamento nei confronti
del paziente. Inoltre tutte le informazioni date e ricevute devono risultare dalla
cartella clinica.
Ma il soggetto interessato ha anche il diritto di rifiutare in tutto o in parte le
informazioni che gli competono: in tal caso esse devono essere comunicate al
fiduciario e del rifiuto deve essere data menzione nella cartella clinica.
Il rifiuto del paziente a qualsiasi genere, anche se parziale, di trattamento
sanitario, è vincolante per tutto il personale sanitario, medico e non, nelle
strutture sia pubbliche che private. Inoltre il consenso può essere revocato in
ogni momento antecedente al trattamento sanitario stesso, con la conseguenza di
bloccare l’attività medica.
Il medico può prescindere dal consenso del paziente in un solo caso: quando la
vita della persona incapace sia in pericolo per il verificarsi di un evento acuto
(c.d. situazione d’urgenza), a causa del quale il suo consenso o dissenso non
possa essere ottenuto.
Nel caso in cui la persona da sottoporre al trattamento sanitario versi nello stato
di incapacità di accordare o rifiutare il proprio consenso, i medici sono tenuti a
Le iniziative legislative in tema di responsabilità dei medici 26
rispettare la volontà espressa nella dichiarazione anticipata di trattamento,
ovvero nel cosiddetto testamento biologico, cioè l’atto di volontà redatto dal
soggetto interessato e, nel caso siano subentrati eventi non previsti, quella
manifestata dal fiduciario. Infine, in assenza di questo, quella manifestata da
altre persone per le quali è comunque prevista una graduatoria (coniuge purché
non separato legalmente o di fatto, convivente, figli, genitori, parenti entro il
quarto grado).
Il soggetto che presta o rifiuta il consenso ai trattamenti per conto di chi versa in
stato di incapacità deve agire nell’esclusivo o migliore interesse dell’incapace,
tenendo conto della volontà espressa da quest’ultimo in precedenza, nonché dei
suoi valori e delle sue convinzioni.
In caso di contrasto tra i soggetti legittimati ad esprimere il consenso al
trattamento sanitario ed il medico curante, la decisione è assunta dal comitato
etico della struttura sanitaria, sentiti i pareri contrastanti. Infine, solo nel caso di
impossibilità del comitato etico a pervenire ad una decisione, questa è assunta,
su istanza del pubblico ministero, dal giudice tutelare.
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