“scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli” · e il nostro rispetto, e che chiama in...

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“Scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli”

Emilio Salgari

Negli anni, questo è il terzo, i racconti in viaggio dei ragazzi che salgono sugli autobus, i pullman e i treni reggiani rivelano sempre più, come una cartina di tornasole, il valore e l’intelligenza dell’iniziativa assunta a suo tempo da un gruppo di appassionati insegnanti e

dall’Azienda Consorziale dei Trasporti di Reggio Emilia. Proposta alla quale Comune e Provincia di Reggio Emilia sono stati con convinzione al fianco.Giovani non consumatori, ma protagonisti. Quello che instancabilmente ripetiamo e ci prefig-giamo nelle politiche che riguardano non solo le nuove generazioni, ma tutta la città, trova piena applicazione in questo progetto. Con la motivazione importante dello scrivere, del guardarsi dentro e del guardare fuori da sé, osservando gli altri frequentatori del mezzo pubblico e il mondo oltre il finestrino appannato, questi ragazzi hanno compiuto una azione positiva. Un’azione racchiusa in una domanda: cosa vedo e cosa ne penso? E siccome crediamo che siano le domande che ci portiamo dentro, a fare di noi dei cittadini respon-sabili e attenti, questo processo, avviato su un “tram”, una “corriera”, un “trenino”, è prezioso. Le domande rendono “non troppo straniero” il nostro viaggio e vanno tenute care.Da alcuni racconti letti, emerge come l’ambiente del trasporto pubblico prenda una sua familiarità per questi giovani: l’autista, i personaggi “soliti”, il sonnellino prima di arrivare a scuola, quella prospettiva sul mondo alzata da terra che è tipica del passeggero, ma anche dell’età giovanile. È una dimensione di vicinanza che ci auguriamo possa restare.

I dati recenti della ricerca dei diversi enti sulla mobilità a Reggio Emilia, in realtà, ci dimostrano che, una volta lasciata la scuola superiore, i giovani tra i 18 e i 25 anni sono coloro che, più di altre fasce di età, si spostano principalmente con l’automobile, con frequenti viaggi durante la giornata. Se è per una condizione di precarietà e di incertezza o se è perché i nostri giovani debbano essere maggiormente accompagnati nelle dinamiche della loro vita da iniziative sulla mobilità sostenibile, queste sono domande che ci coinvolgono direttamente come amministrazioni pubbliche. Avere le chiavi giuste per interpretare la realtà, avere care le domande, dare risposte chiare con parole chiare, questo è il compito a cui siamo chiamati e nel quale contiamo di ritrovarci in viaggio, come istituzioni, con i nostri cittadini di adesso e del futuro.

Le domande dei giovani ci sono care

Graziano Delrio Graziano Delrio

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Graziano DelrioSindaco di Reggio Emilia

Un momento di incontro unico nel suo genere

Il viaggio in autobus rappresenta un appuntamento fisso per migliaia di reggiani che ogni giorno si recano al lavoro o a scuola utilizzando il servizio pubblico. Proprio agli studenti l’Azienda Con-sorziale Trasporti dedica da tempo “Racconti in viaggio”, una riuscita iniziativa alla quale anche

quest’anno la Provincia ha dato con piacere e convinzione il proprio patrocinio.

Ai ragazzi viene chiesto di mettere nero su bianco le proprie emozioni legate a questo apparente-mente semplice, ripetitivo gesto quotidiano: viaggiare su un mezzo pubblico. In questo modo le loro riflessioni diventano un vero e proprio patrimonio comune: per gli studenti è un’occasione di creati-vità; per l’azienda, e per chi a diverso titolo si occupa di mobilità, è l’opportunità di leggere la realtà attraverso una lente di ingrandimento del tutto particolare.

Ancora una volta sono tanti gli spunti di riflessione che “Racconti in viaggio” offre, grazie a uno spaccato di realtà ricco di situazioni e persone che si prestano alla penna degli osservatori più attenti. Perché il viaggio rappresenta un momento di incontro quasi unico nel suo genere. E gli scritti dei giovani studenti ci svelano tanti piccoli mondi, tutti da scoprire, rendendo immortali situazioni che altrimenti durerebbero solo il tempo di una corsa in autobus.

Come anche i racconti premiati quest’anno confermano, attraverso chi su questi mezzi lavora oppure viaggia - e soprattutto attraverso la fantasia - si può cogliere il fascino di tante storie. Si può far ‘viverÈ perfino una macchinetta timbra-biglietti, raccontarci questa città che cambia, svelarci gli amori, i sogni e... gli incubi che accompagnano chi ogni giorno sale e scende dai bus.

Sonia Masini Sonia Masini

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Sonia MasiniPresidente della Provincia di Reggio Emilia

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La carica dei 101

Giulio Fantuzzi

E proprio così che l’abbiamo ribattezzata, quest’anno, la terza edizione del nostro “Racconti in viaggio”: la carica dei 101. Perché tanti – e tutti interessanti - sono stati i racconti che i docenti di Lettere delle classi del biennio delle scuole superiori reggiane hanno prima opportuna-

mente pre-selezionato e poi sottoposto all’attenzione dei membri della Giuria, alla quale mi pregio appartenere: tanti perché attingono ad una messe via via più ampia, dal momento che sempre più numerosi sono gli istituti scolastici che sono venuti aderendo alla nostra iniziativa; interessanti perché - prim’ancora che sotto il profilo strettamente “letterario” - i componimenti dei giovani studenti che ci siamo visti “consegnare in giudizio” sono, nel loro complesso e ciascuno singolarmente, assai ricchi di spunti, anche (ma non solo) “antropologici”.Essi ci danno conto, infatti, di una realtà sociale in profondo mutamento, di anno in anno cangian-te, e ancora tutta da “cogliere” e “interpretare” nei suoi risvolti più profondi: per esempio, sempre più spesso, i ragazzi che oggi approdano alle nostre scuole superiori – e che partecipano al nostro “premio letterario” - appartengono a famiglie di “italiani recenti”, provenienti da tutto il mondo (chi dai Balcani e dai Paesi dell’Europa dell’Est, chi dall’Africa, altri ancora dal Sudamerica, o dai Paesi asiatici, Cina compresa). Il loro “italiano” forse non è sempre impeccabile (diciamo che non è quello propriamente “prescritto” dall’Accademia della Crusca, così come del resto non lo è quello di tanti “emiliani doc” loro coetanei, che al piacere della lettura e della scrittura sembrano ormai prediligere quello dei videogiochi, o dei reality televisivi), ma i pensieri, le emozioni, i vissuti che questi giovani

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Giulio Fantuzzi Giulio Fantuzzi

in formazione ci propongono sono assolutamente degni di nota. Non solo perché ci portano l’eco (i colori, i sapori e talvolta i profumi), o il rimpianto di mondi “altri” – reali, come le strade di terra rossa battuta, che sanno di polvere e fame, del Burkina Faso, o sognati, come il turchese acceso e l’odore di salmastro sapido dei mari dei Carabi; non solo perché sottendono realtà terribili alle quali i ragazzi, con le loro famiglie, sono fortunosamente sfuggiti (non a caso la menzione speciale della Giuria è andata quest’anno al racconto “Un viaggio nell’incubo”, che ha per autore un ragazzo nato a Saraje-vo: la storia di una deportazione e di una fuga da un campo di sterminio nazista, che al tempo stesso rimanda fortemente, in un cortocircuito immaginifico, alle atrocità della guerra fratricida che si è consumata nei Balcani), ma perché danno un ritratto vivido delle trasformazioni e dei turbamenti che attraversano le vite dei nostri figli, gli adolescenti di oggi che saranno gli adulti di domani, e dunque coloro ai quali consegneremo il nostro futuro (per farsene un’idea, basti leggere “La trasformazione” o “Un messaggio d’amore”, cui abbiamo tra l’altro conferito il nostro terzo premio ex aequo). Partendo dalla scrittura come gioco, i nostri ragazzi hanno intrapreso un importante viaggio di cono-scenza di sé e del mondo, il cui approdo non è ancora certo, ma che merita tutta la nostra attenzione e il nostro rispetto, e che chiama in causa la nostra capacità di ascolto più profonda.Per questo, ed è la novità della presente edizione del nostro premio, noi “grandi” questa volta non ci siamo voluti limitare a “leggere e giudicare”, ma abbiamo voluto significativamente “metterci in gioco”, cimentandoci a nostra volta nell’impresa – inedita e stimolante anche per molti di noi – di

raccontare (così come abbiamo chiesto di fare ai nostri ragazzi) “ciò che si ascolta, si vede, si pensa e si prova quando si viaggia in autobus, o su uno dei nostri treni locali”. È questo il motivo per cui, in-sieme ai racconti dei ragazzi, potete trovare in questo libretto gli “esperimenti” con cui alcuni membri della Giuria che mi onoro di presiedere (insegnanti, giornalisti o scrittori, non fa differenza) hanno voluto dare un contributo alla nostra iniziativa, arricchendola di nuovi stimoli e nuove scoperte.

A tutti voi e a tutti noi, buon viaggio e buona lettura.

Giulio FantuzziPresidente ACT

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Scrivere a scuola serve agli studenti perché possano dare forma alle conoscenze che apprendono. La scuola italiana, e in particolare l’istruzione professionale, riuscirà a realizzare il proprio potenziale, vero motore e condizione di crescita economica del Paese, solo se si compirà una “rivoluzione del-l’idea della scrittura” e se si considererà lo studio della lingua e della comunicazione come necessario per un accesso qualificato al mondo del lavoro. Chi non sa scrivere, dunque, non farà carriera o, perlomeno, avrà un importante strumento in meno per realizzare pienamente le proprie capacità e i propri talenti sul posto di lavoro. Attenzione, però: la scrittura esiste solo se letta, la scrittura senza la lettura cessa di esistere (Roland Barthes). Il presente volumetto è pertanto un contributo in questa direzione: gli scritti qui raccolti si propongono di innescare lo stimolo a nuove scritture e a sempre nuove letture.

Mauro Bertani, Gabriella Bonini, Claudio Davoli

Anche quest’anno ACT ci ha dato l’occasione di proporre ai nostri studenti un percorso di scrittura creativa. E gli studenti dei nostri Istituti superiori hanno risposto con entusiasmo. Sulle nostre cattedre sono pervenuti racconti in numero molto superiore a quello presente

in questo volume. Quelli qui pubblicati sono il frutto di una non facile selezione, in quanto tutti sono comunque degni di attenzione, perché specchio della personalità, anche per il modo di scrivere, di chi li ha prodotti.Qualcuno potrebbe stupirsi del consolidarsi di questa pratica anche all’interno di Istituti superiori, nei quali si è soliti ritenere prevalgano gli insegnamenti più tecnici e strettamente professionalizzanti. La realtà produttiva, però, mostra come la capacità di scrivere, soprattutto nell’era di Internet, sia deter-minante nel successo professionale di un individuo che non si accontenta di essere un attore passivo nella propria professione. Infatti saper gestire in modo chiaro e coerente un testo scritto è sinonimo di un’efficace organizzazione del proprio pensiero, dunque del proprio lavoro. Una buona forma scritta, pertanto, è un bisogno inderogabile per chi voglia intraprendere – e non, in un certo senso, subire – una professione.Non si tratta, dunque, di un esercizio puramente letterario in senso tradizionale, quasi una “scrittura per la scrittura”. Primo Levi da chimico, James Herriot da veterinario, André Breton da medico, Carlo Emilio Gadda da ingegnere, Carlo Levi da medico-pittore, e tanti altri, hanno praticato con eccellenti risultati la scrittura creativa, pur provenendo da una formazione tecnico-scientifica.

Chi non sa scrivere non fa carriera

Mauro Bertani, Gabriella Bonini, Claudio Davoli

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Mauro Bertani, docente Istituto Statale “Silvio d’Arzo” Montecchio Emilia Gabriella Bonini, docente I.P.S.S.C.T. “Filippo Re” Reggio Emilia

Claudio Davoli, docente I.P.S.I.A. “Adelmo Lombardini” Reggio Emilia

“Cercando la parola si trovano i pensieri”

Joseph Joubert

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Il “solito” pullman

Mi ritrovo qui, vicino alla solita fermata. Ancora cinque minuti e salirò sul solito autobus, siederò sul solito sedile, pronta per cominciare la solita giornata da domestica. A volte è molto imbarazzante essere chiamata domestica, ma se penso al bello stipendio che mi

danno, da lavoro imbarazzante diventa un lavoro conveniente. È arrivato l’autobus, salgo e rimango a bocca aperta: ci sono tantissimi ragazzi, tutti molto strani, ca-pelli colorati, orecchini qua e là, noto persino un tipo con un tatuaggio sulla fronte (che fantasia!). Comincio a scrutare con gli occhi in giro in cerca del mio unico amico che di solito sale su questo autobus, ma tristemente mi accorgo che non c’è. Inizio ad avanzare in cerca di un posto, sperando di trovarne uno. No... non ci posso credere... l’unico libero è l’ultimo in fondo a destra. Aumento il pas-so, mi siedo vicino a una “tipa” che ascolta musica; è lì mezza addormentata, forse l’unica silenziosa su questo pullman. Chissà, perché tutti questi ragazzi oggi? Credevo che la scuola fosse finita...mah! Il tempo passa molto velocemente, mi metto a guardare fuori dal finestrino: tutto sembra così diverso, anzi così nuovo... Sarà l’effetto del sonno che rende questo un luogo più ospitale e non il solito paesino sperduto con al centro la solita casa dove io lavoro? Il tragitto sembra più lungo, tra poco dovrei essere arrivata.Non so perché, ma il mio punto di riferimento sembra sparito, il cartello con su scritto “Bagnolo in Piano” non c’è... si vede che ci sarà ancora un po’ di strada. Ritorno a guardare fuori dal finestrino e all’improvviso leggo su un cartello tutto storto il nome “Guastalla”.

Sara Anceschi

Inutile

Colori. Tanti sono i colori delle scritte sugli autobus: in prevalenza rosso e nero. Scritte, s’intende, maleducate se non teppistiche. Spaziano dalla classica tifoseria a cori e ad inni da stadio, fino ad arrivare ad insulti e dediche. Io le vedo, sono sempre qui, non scendo

mai dall’autobus che, in fondo, è la mia casa. Non me ne vado mai e osservo, non notato, le rea-zioni delle persone a queste incisioni. Queste ultime possono risultare buffe, seriose, stupide, ma anche, purtroppo, veritiere. Così possono causare sia grasse risate che espressioni come “Teppi-sti...” bofonchiate (spesso dal soggetto direttamente interessato dal graffito). Osservo anche l’auti-sta che, in fondo, come tutti gli autisti, ci tiene, al mezzo che guida; e vorrei gridargli che anch’io condivido la sua impotenza, che lo vorrei avvertire quando i teppisti colpiscono. Ma non posso. Io non ho voce in capitolo e posso solo guardarli mentre scrivono le loro più o meno intelli-genti frasi, illusi di essere soli. Non lo sono, certo, ma questo mi fa sentire inutile e mi fa pensa-re che, in fondo, posso solo tentare di avvisare tutti che ciò che sta succedendo è sbagliato, che bisogna fermare i vandali. Le persone, però, non mi sentono e continuano la loro normale vita, si siedono su di me e non mi danno ascolto. E rendono, così, la mia vita di sedile, triste e vuota.

Luca Alberici

Luca Alberici è nato a Montecchio Emilia, dove risiede; le sue letture consistono principalmente in romanzi “horror” o “fantasy”. Nel tempo libero legge o gioca alla PlayStation.

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Alan Bagalà

Anna ragazza ideale

Sento un rumore fastidioso: «Cos’è?» mi chiedo sobbalzante.È la sveglia, sono le 7:00 in punto.Mi vesto, faccio colazione e scendo a prendere l’autobus.

Sento una voce strana che mi chiama: «Baga, Baga!!»«Chi è?» mi chiedo, mi giro ma non vedo nessuno.Di nuovo quella voce: «Baga, Baga!!»È il cellulare che suona, che sbadato, per un attimo ho preso paura; è un semplice squillo.Arrivo alla fermata e trovo Gino, il suo vero nome è Luca, ma io lo chiamo così, perché l’ho cono-sciuto quando non sapevo ancora come si chiamasse.«Ciao Gino!» lo saluto con un’espressione da bullo.«Ciao Baga!» mi saluta con naturalezza.«Tutto a posto?» gli domando.«Certo» risponde.Mentre spengo la sigaretta a terra, vedo una ragazza e penso :“Speriamo che sia lei!” Sì è lei, è Anna!Anna ed io siamo molto legati, siamo amici per la pelle.Lei non sa che mi piace “un casino”. È alta 1.65 cm, bionda, occhi azzurri e molto snella. È “la ragazza ideale” per uno come me.

Guastalla... non ci sono mai stata, ma penso che un giorno ci andrò, mi hanno parlato di un bellissimo centro commerciale... Guastalla?!? Il mio cuore comincia a battere a mille, mi avvicino all’autista e, facendo la figura della turista sperduta, gli chiedo: “Ma qui dove siamo?”. Lui mi risponde: “A Gua-stalla”. “Cosa?? Mi faccia scendere alla prima fermata per favore!”. L’autista un po’ incredulo mi apre le porte e riparte.Tremo dalla paura e dalla tristezza, con il pensiero: come farò a tornare a casa?! Una sola cosa è certa: ho sbagliato pullman! Ecco perché c’erano così tanti ragazzi!

Sara Anceschi

Sara Anceschi è una ragazza dolce, serena, sempre disponibile ad ascoltare i compagni. Si sente circondata da “un mondo di amici” che le riempiono di calore le giornate e da genitori buoni e attenti. Con loro il colloquio è aperto e il parlare non finisce mai.

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«Vuoi venire a cena con me sabato?» Lei rimane senza parole.La mia fermata è sopraggiunta, prima di scendere la saluto e ripeto:«Pensaci, non sei obbligata»«Ciao Alan» Poi di nuovo ancora senza parole.Scendo dall’autobus, non passa neanche un minuto e sento di nuovo qualcuno che mi chiama, mi giro verso tutti i punti cardinali, ma non vedo nessuno. È ancora il cellulare! È Anna che mi telefona.«Pronto!» rispondo.«Ok, verrò a cena con te, sei un tipo strano e ti vorrei conoscere meglio»«Ok!» rispondo riattaccando.La cosa è fatta.Il coraggio ha vinto sulla timidezza e mi ha fatto diventare sicuro di me stesso.Che bello è fare amicizie sull’autobus!

Alan Bagalà

Alan Bagalà vive a Reggio Emilia, ma è nato in Argentina, a Buenos Aires. La sua passione è il calcio, ma il suo vero amore sono le donne: con loro esce il sabato sera, in assoluto il giorno più atteso della settimana. Trascorre il resto del tempo libero con gli amici.

È arrivato l’autobus, si aprono le solite porte a pannelli ripiegabili a fisarmonica, salgo, cerco un posto in cui sedermi con Anna, ma sono tutti occupati come di consuetudine.Sento di nuovo il mio nome: «Baga, Baga!»Guardo il cellulare ma non è lui che squilla, mi giro e vedo Carmelo, un mio compagno di squadra di calcio; è lui che mi chiama. Lo saluto alzando la testa, com’è di abitudine tra adolescenti.«Anna che fai questo sabato?» le chiedo mentre guardo fuori dal finestrino le auto che ci sorpassano a 150 Km/h.«Per ora non ho programmi» risponde.-Allora vuoi venire a cena con me?- le avrei voluto chiedere, ma la mia timidezza è più forte del mio coraggio.«E tu che fai?» mi chiede«Io... ehm... niente...» rispondo nervosamente.Inizia a palpitare forte il cuore e senza accorgermene aggiungo: «Vuoi venire a cena fuori con me sabato?»È come se il mio coraggio si fosse triplicato all’improvviso nell’arco di due secondi.«Che hai detto? Vuoi...?»Ormai non ho più scampo, devo rifare la domanda.

Alan Bagalà

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l’umore di chi aveva atteso così a lungo. L’autobus, con un soffio potente, aprì entrambe le porte, permettendo così l’entrata ai viaggiatori. Il sorrisetto smorzato dell’autista augurava un incolore “Buon giorno”. In sottofondo, il rumore acuto e fastidioso dell’obliteratrice in funzione. I posti a sedere erano quasi totalmente liberi e i vetri erano appannati dalla condensa.Chiuse le porte, il piede premette sul pedale e il motore ricominciò a prendere giri.Il paesaggio dal finestrino scorreva veloce e si poteva vedere che la città circostante riprendeva poco a poco la quotidiana attività. Fermata dopo fermata, la corriera arrancava per arrivare alla meta.Chi era nei primi posti, poteva già vedere la scuola. Gli sguardi stanchi delle persone sembravano impreparati alla giornata che li aspettava. Si potevano leggere le intenzioni e i pensieri di tutti in quella corriera. A parte quelli di quello strano individuo in terza fila: chissà perché i suoi occhi erano così spaventati. Una verifica, forse?No, non dava l’idea di essere uno studente...Un peccato non saperne il motivo.Un vero peccato.

Davide Baruffi

Davide Baruffi è nato a Montecchio Emilia; ora vive a Campegine; le sue letture consistono principalmente in riviste di informatica. Nel tempo libero smonta e rimonta il suo motorino per continue migliorie.

Peccato non saperlo

La fredda mattina si poteva sentire lungo tutto il corpo. I brividi causavano un leggero tremito alle ginocchia e piegavano gli esili corpi in attesa dell’autobus, che, come gli spogli arbusti, si lasciavano cullare dal vento pungente.

In quel momento era il silenzio l’incontrastato padrone.La mano congelata gli scivola lungo l’impermeabile di pelle e con sicurezza afferra l’accendino, con un altro movimento, preciso, sfila una sigaretta dal pacchetto nuovo e la stringe tra le labbra. Difendendo la fioca fiamma dell’accendino con l’improvvisata barriera delle sue mani, l’avvicina lentamente alla sigaretta e, come d’abitudine, inspira per accenderla. Il sapore di sigaretta é diverso in queste mattine; il suo letale piacere è contornato da una forte sensazione di calore. Ora si sente meglio. L’accavallamento dei suoi pensieri per un attimo si è fermato.-“Scusi, signore, che ore sono?” si riesce a sentire in lontananza-“Le sette e mezza passate”-“E l’autobus, quando crede arriverà?”-“Non prima di dieci minuti”.L’attesa, infatti, non si era protratta più di una decina di minuti. Eccolo. Era riuscito ad uscire da quella distesa di nebbia e ad arrivare a destinazione. L’autista aveva scalato tutte le marce fino a rallentare e a fermarsi definitivamente. I colori della corriera non si distac-cavano molto dal freddo paesaggio e, insieme all’odore forte di ruggine, non riuscivano a rallegrare

Davide Baruffi

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Povero, povero viaggio... Nessuno si ricorda di lui, è l’ultimo dei nostri pensieri.Nessuno mai se lo gode, tutti in preda alla routine, alla monotonia e alla fretta... Invece do-vremmo semplicemente “vedere”, perché dietro a questo comune verbo, si celano tante

sensazioni ed emozioni...Potremmo e dovremmo percepire, osservare ciò che ci circonda e... com-prendere!In realtà noi, distratti viaggiatori, “guardiamo” dritto per la nostra strada...Ah, scusate sono stata un po’ sbadata (anch’io); e anche un po’ maleducata: non mi sono nemmeno presentata... Ho fatto la rima! Senza volere, sono una poetessa, ma anche un po’ filosofa, dati inutili per una MACCHINETTA TIMBRA-BIGLIETTI ... Ora, parliamo un po’ di me! I miei migliori amici sono i biglietti, ai quali devo mordicchiare la testa per stampare i numeri su quella loro carta verdina... Se sapeste che dolore ai denti a fine giornata!Un altro mio caro amico è il controllore, fidato e attento, che multa i furbacchioni che credono di sfuggirmi! Quei furbacchioni, appunto, sono i miei peggiori nemici che, quando ogni tanto mi faccio un pisolino, dopo una giornata di duro lavoro, mi picchiano e mi insultano perché hanno troppa fretta per aspettare che timbri i loro biglietti!Quei mascalzoni li conosco tutti, siedono sempre in fondo; gridano e litigano di continuo. Bulletti senza sostanza, che scrivono inutili scritte e insulti per il nuovo “odiato” del giorno. Infatti, da quello che ho sentito, ultimamente a scuola ci sono molte risse...

La macchinetta “filosofa”

Alessandra Canal

Sono sull’autobus, sono le 11 di sera, qualche fermata prima del capolinea sale un uomo vestito di nero con aria tetra e cupa, mi si avvicina, ma per fortuna si siede un posto davanti a me. Non mi fido molto di quel tipo, non mi fido affatto; all’improvviso si alza e si sposta dietro di

me, ora sono io ad essere davanti a lui.Nella mia testa passano mille pensieri, riguardo a questo individuo; ho sempre più paura che mi succeda qualcosa di brutto da un momento all’altro.Il conducente guarda sempre avanti, non si volta, oltretutto è vestito in modo strano e mentre guida mangia un panino e parla al cellulare.D’un tratto il conducente annuncia l’ultima fermata, l’uomo si alza e si appoggia a me, l’autobus frena di colpo, l’uomo mi strattona per restare in piedi e io rimango immobile. L’autobus si ferma e apre le porte per l’ultima volta, l’uomo scende e nella mia mente mi dico che sono salvo, perché non mi è successo niente.Anche l’autista scende, perché quello è il deposito dei pullman, e io rimango solo in prima fila. Gli altri miei amici seggiolini, uguali a me, sono tutti dietro.

Michele Calvi

L’ultima corsa del giorno

Michele Calvi vive a Reggio Emilia e dedica tutto il suo tempo libero all’atletica e al paracadutismo. È questo, per lui, una vera passione: le emozioni che si provano nell’aria sono fortissime e la libertà è totale. Se gli resta un po’ di tempo (ma poco), legge qualche romanzo, di preferenza quelli che vedono protagonisti i giovani.

Ma ci sono anche ragazzi “quieti” che badano a se stessi e a nient’altro. Ci sono Carla e Federico, la nuova coppietta del mese, lui, così tenero, le timbra sempre il biglietto e poi la raggiunge sui sedili per coccolarla durante il viaggio.Poi c’è Valentina, minuta e carina, che purtroppo non timbra il suo biglietto perché ha l’abbonamen-to... Spesso si appoggia a me, mentre ripassa la lezione che il giorno prima non ha studiato bene.Sul primo sedile invece si siede Anna, che vive di musica, con l’MP3 alle orecchie e persa a guardar fuori dal finestrino, assorta nei suoi pensieri.Questi sì che sono ragazzi simpatici, timidi, ma di buon cuore!Ma che siano buoni o cattivi, quei ragazzi, sono tutti come dei miei nipotini, infatti ormai sono vec-chia, potrei essere la loro nonna...Sui pullman ormai i miei compagni sono stati quasi tutti sostituiti da modelli moderni, digitali e con il display! Invece io appartengo a un’altra era...Ma non fa niente, qui nel pullman “2” siamo tutti una grande famiglia dell’ACT.

Alessandra Canal

Alessandra Canal è nata a Torino e vive a Montecchio; oltre ai libri di scuola, legge principalmente riviste di infor-matica, TV, cinema e musica. Nel tempo libero esce con gli amici, ascolta musica e fa teatro.

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Ena Cipriani Marelja

mi riconosca... ma quello stupido cosa fa?!?!?Mi chiede il numero di cellulare ed io riesco solo a balbettare un “no”.Poi mi accorgo che anche la mia voce non è più la stessa.Che giornata che mi sono beccato!!!Michele un po’ abbattuto per il no, se ne va e mi lascia solo come un cagnolino indifeso. Tra un paio di fermate tutti scenderemo.

Comincio ad essere nervoso, non so come affrontare la giornata conciato in questo modo.Siamo arrivati. Fuori c’è molta gente che guarda le nuove persone arrivate e le critica.

Non so cosa fare, vorrei scappare!!! Aiuto!!!!!!!!! È il mio turno per scendere, appoggio il piede destro avanti

e cosa vedo?

La trasformazione

Ena Cipriani Marelja

Mi chiamo Marco, ho 17 anni e mi trovo sull’autobus che prendo tutte le mattine.In questo momento ho un grande problema: un corpo da femmina.Non so come spiegarlo, mi sono addormentato solo un attimo, diciamo cinque minuti e al

risveglio mi sono ritrovato con un corpo diverso.Tutti i miei vestiti sono cambiati, prima indossavo dei jeans larghi, quelli da rapper, con una T-shirt di Heavy-metal e la mia felpa preferita, tutta nera con un teschio bianco sulla schiena e adesso?!!? Mi ritrovo con una specie di “tovagliolo” denominato minigonna e adesso so anche perché si chiama così. È molto “mini”: copre solo fino alle cosce e sento un terribile freddo; ho delle calze strettissime, che hanno la forma di un paio di jeans; sono trasparenti e scomodissime, non so come le ragazze riescano a starci dentro. Al posto della mia felpa preferita ho una maglietta della “Scout” che in questo momento va molto di moda, ma che io non sopporto. La mia T-shirt non c’è più e non so dove sia finita. Cerco aiuto, mi guardo intorno, finalmente vedo degli amici. Spero che mi riconoscono, perché non è che fisicamente sia cambiato molto, loro invece mi fanno l’occhiolino e strani gesti, che in questo momento non sono quelli che mi aspetto.Mi rigiro verso il finestrino, quello che vedo non mi incanta per niente, sono truccato con dei colori come l’arancio, il giallo e il rosso e ho qualcosa sulle ciglia che mi fa bruciare gli occhi. Aiuto mi sembra di diventare cieco!!!Forse un po’ di fortuna è dalla mia parte, infatti si avvicina Michele, il mio migliore amico, spero che

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Istituto d’Arzo, piazzale di sosta ACT: area di incontri, di attese, di scarico e carico di ragazzi con lo zaino sulle spalle. C’è l’autobus!! Attento a non perdere l’autobus! Quello è il mio, lo so! Sono tutti slogan giornalieri, un appuntamento ripetitivo, ma anche liberatorio, che dà ritmo alla giornata, alle

settimane, ai mesi........a un lungo anno scuola. Ce l’ho fatta, l’ho preso! Che soddisfazione potersi si-stemare in uno dei suoi comodi sedili: “il senso del dovere” diventa un piacere quando si conquista un posto a sedere. Siamo tutti qui, i fans dell’ACT: si spinge e ci si accalca, ma c’è anche chi vuol rimanere giù. Romba il motore e si chiudono le porte, finalmente siamo partiti! Lo spettacolo sta per iniziare: l’autobus diventa adesso un palcoscenico dove ognuno recita la sua parte, con la magica regia di ACT che libera la fantasia. Si passa dalla commedia, dove può accadere “di ogni”, alla tragedia. Qualcuno, annoiato, si appisola ascoltando la musica. Ma si sa come finirà l’avventura: ”ragazzi, siamo arrivati!” Motto finale: domani è un altro giorno, ACT aspetto il tuo ritorno.

Eugenio Luca Antonio D’Ecclesiis

L’autobus

Eugenio Luca Antonio D’Ecclesiis è nato a Montecchio Emilia e vive a San Polo; le sue letture preferite si colloca-no nella narrativa contemporanea. Nel tempo libero pratica basket, frequenta gli amici e colleziona monete antiche.

Vedo degli stivali, con un tacco di circa quattro centimetri, non so come fare a muovermi, ma poi ci riesco. Adesso ci sono le scale, scendo e tutti mi guardano male e si mettono a ridere.Ad un tratto mi gira la testa, sento una voce famigliare, quella di mia madre che mi chiede se va tutto bene. La intravedo ogni volta che batto le ciglia e quando mi strofino gli occhi, mi ritrovo nel mio letto. Che spavento!!!Per fortuna è stato tutto un grande sogno!Dopo questa esperienza, prometto che non mi addormenterò più in autobus.

Ena Cipriani Marelja

Ena Cipriani Marelja è nata a Rijeka, in Croazia; ora vive a Cadelbosco di Sopra. È una ragazza aperta, cordiale, disponibile, chiacchierona al punto giusto. Le piace uscire con gli amici e giocare a basket: sogna di diventare una brava giocatrice, forse in nazionale. È in questo che si sta impegnando con tutte le forze, così come a scuola, dove ama soprattutto le materie letterarie.

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Come ogni mattina aspettiamo al freddo tutti con la giacca, il capellino e la sciarpa al collo, quando arriva l’autobus. Tutti si precipitano per trovare un posto dove sedersi e mi viene in mente della verifica di storia. Durante il viaggio, mentre guardo il panorama, ricordo quello

dall’Africa che è così diverso. Nel mio paese ci sono pochissimi parcheggi e poco traffico a differenza di qui. Ci sono anche più parchi; addirittura le strade principali non sono asfaltate, ma le nostre auto camminano su strade di terra rossa battuta. La mia città in Africa si sveglia più tardi, ma i lavoratori si danno subito da fare.Ora l’autobus passa davanti a un mercato e mi ricordo che anche nella mia città ci sono molti mercati dove vendono oggetti utili, tappeti, tam tam, oppure collane africane portafortuna. Io non credo a queste cose anche se sono attaccato alla cultura africana. Il mio paese è il Burkina Faso dove si posso-no anche incontrare animali della savana come leoni, zebre, giraffe, elefanti...A differenza di come si crede, la vita nel Burkina non è povera e difficile, anzi è molto piacevole ed ero contento di viverci anche se in questa città mi sono inserito bene grazie anche ai miei amici, che ogni giorno ritrovo sull’autobus. Con loro parlo di molte cose: musica, ragazze, studio e con loro la mattina decido se entrare a scuola o fare fuga. Ora l’autobus arriva alla mia fermata; dannazione ero sovrappensiero e ho scordato di ripassare storia. Ho paura che prenderò due nella verifica, allora cercherò di convincere i miei compagni a non entrare a scuola, oggi.Mentre tra me e me penso che prima o poi ci voglio tornare, a vedere la mia città.

Verso la mia città

Hamadou Diabre

Hamadou Diabre ha diciotto anni e una vera passione per l’elettronica. Durante il tempo libero, ama ascoltare la musica (la sua preferita è l’hip-hop). Il suo massimo desiderio è tornare al suo Paese d’origine, una volta com-pletati gli studi.

Il povero bottoncino

Veronica De Rosa

Ed ecco un nuovo giorno... sono le 6.30 e incomincio ad essere torturato. Salgono alcuni ragazzi, ridono e parlano della giornata che li aspetta, il tram si incammina e dopo qualche chilometro... ecco che vengo nuovamente schiacciato per far salire altri giovani, ma guardan-

do bene... non sono tutti studenti, ci sono anche delle signore anziane. Ogni giorno mi chiedo come queste signore riescano a sopportare tutti questi giovani “scatenati” perché, anche se sono le 7.00 del mattino... urlano, cantano, ridono, sporcano e soprattutto maltrattano il mio più caro amico, il tram!! Questi ragazzi, io li osservo da tanto e ho notato che, appena mettono piede su questo povero mezzo di trasporto, anche se l’autista dice loro di non farlo, oppure li “minaccia” di far pagare tutto, prima di tutto cercano un posto per sedersi e, appena lo trovano, si siedono mettendo i piedi anche sul sedile di fianco, tirando fuori un pennarello da loro chiamato indelebile e incominciano subito a scrivere sui finestrini con il loro linguaggio: t.v.b., tv1kdbxs oppure t.a.t. e il nome della persona interessata.Oddio!!! Aiuto!!! Eccola di nuovo... “quell’arma assassina” sta per... Che male! Mi ha appena schiac-ciato! Ma per fortuna questa è la fermata della scuola e ciò vuol dire che io e i miei amici potremo passare il resto della giornata in santa... anzi aspettate forse dovrò ritirare tutto quello che ho detto perché alcuni ragazzi non sono ancora scesi... noooooooooooo! Questi ultimi sono rimasti, quindi dovrò subirmeli ancora per qualche ora! Uff! Però devo ammetterlo: non sopporto molto i ragazzi, ma questo lavoro mi piace veramente tanto!P.S.: se non l’avete capito, sono il bottoncino che viene schiacciato per aprire le porte.

Veronica De Rosa è nata a Montecchio Emilia, dove risiede; oltre ai libri scolastici, non legge molto altro. Nel tempo libero ascolta musica e pratica pallavolo.

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E un giorno come un altro; un’altra giornata è cominciata, la nebbia della Valpadana mi ac-compagna alla fermata dell’autobus per andare a scuola, le goccioline della nebbia mi fanno increspare i capelli, “Uffa, ma quando ritorna l’estate?”.

L’autobus arriva, puntuale come un orologio svizzero e penso: “Ma qualche volta l’autista non può scordarsi a letto?!”.Salgo, uno degli ultimi posti è il mio; cuffie alle orecchie per accorciare il viaggio diretto agli inferi; sul vetro appannato dal mese di novembre leggo “TESORO TI AMO””.Mi fa tanto ricordare quando io e Simone stavamo insieme, quando scrivevo su ogni dove quel messaggio.L’autista inchioda e questa brusca frenata mi riporta alla realtà, così sul finestrino appannato e gelido aggiungo “TESORO RITORNA!”. Chissà se “il mio tesoro” lo leggerà...Uffa!!! Siamo già arrivati a scuola, ma quando chiude?Ore 13.10; mi sto dirigendo verso “la caserma” per ritornare a casa; arriva l’autobus, salgo e mi siedo sempre in uno degli ultimi posti... Anzi no, quello di stamattina...Mah?! Si è aggiunta una scritta “TESORO, IO NON ME NE SONO MAI ANDATO, TUO SIMO.”Il mio cuore batte come il motore di un’auto impazzita...Leggo meglio la scritta, è proprio lui, è la sua scrittura!Gli mando un SMS, non riesco a resistere e gli scrivo “Ma sei tu quello che scrive sui vetri

Sara Falcone

Un messaggio d’amoreappannati?!”; tengo il cellulare in mano in attesa di una sua rispo-sta, dopo tre minuti non risponde ancora, l’ansia cresce, e il cuore batte sempre più forte dentro al mio petto... Otto minuti BEEP-BEEP!Risposta: “Sì, Tesoro!”La mano mi trema, il cuo-re impazza dentro al mio corpo, una lacrima di gioia nasce dai miei occhi e penso “CHI L’HA DETTO CHE GLI AU-TOBUS SERVONO SOLO PER PORTARCI A SCUOLA?!”

Sara Falcone vive a Castelnovo di Sotto; ama ballare perché si sente libera, legge-ra e felice. A casa, davanti allo specchio, fa prove e riprove. Ha anche un grande sogno nel cassetto: diventare una brava giornalista, per viaggiare e soprattutto per raccontare le cose in modo vero e utile.

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E mattina e come ogni giorno sono alla fermata dell’autobus, il sole è tiepido e c’è un’aria friz-zante. L’autobus arriva, salgo, mi siedo nel primo posto libero, ascolto musica con il walkman. Mi guardo intorno e intravedo una donna sulla cinquantina con in braccio uno splendido

bambino. Come tutti i giorni siede allo stesso posto e amo ammirarla mentre è intenta a coccolare il suo piccolo. Yuri è meraviglioso: biondo con occhi azzurri come il mare, circa sui tre anni, in bocca ha un “ciuccio” e indossa una tutina di Winnie the Pooh troppo carina. Incuriosito dal mondo esterno scruta il paesaggio, mentre la mamma lo tiene stretto tra le sue braccia, come un tesoro inestimabile.Guardando quell’amore così forte che c’è tra loro, penso a come sarebbe avere un bambino così bello, così dolce come lui... Sarebbe una favola! Yuri è calmo, non piange mai e quando ti guarda con quegli occhi così profondi ti perdi ad osservarli; se scopre che lo osservo, come impaurito, si nasconde dietro la madre e ogni tanto mi spia per vedere cosa sto facendo. Quando sono triste e vedo quella faccina così adorabile mi torna il sorriso e vorrei andare da lui per tenerlo in braccio e stringerlo forte forte.La cosa che amo di più è quando la madre gli fa il solletico e lui si dimena ridendo... a guardarlo mi viene voglia di vivere! Spengo la musica: tra due fermate devo scendere e sorridendo mi avvicino alla porta centrale, passando davanti a loro che mi guardano felici.Scendo dall’autobus: una nuova giornata di scuola mi attende e la noia mi perseguita, ma penso al giorno dopo quando rivedrò Yuri.

Yuri

Chiara Gnani

Chiara Gnani abita ad Albinea, adora ascoltare musica e ballare. Ama il caldo, il sole, il mare. L’inverno la rende triste. Sogna di vivere in un paese tropicale, dove l’estate non finisce mai e dove c’è sempre tempo per ballare.

Il pulsante

Ciao a tutti! Sono Lello, il campanello, appartengo al tram numero 5 che collega Reggio a Montecchio. Il mio lavoro è quello di comunicare all’autista di arrestare il tram alla fermata richiesta. Tutti i santi giorni vengo continuamente premuto da ragazzini che lo fanno soprat-

tutto per divertimento.All’interno di questo autobus, io, però, sono quello che si lamenta di meno, perché sento molte volte che anche i miei amici seggiolini lo fanno, però loro hanno dei motivi più validi dei miei, perché ven-gono davvero rovinati dai piccoli vandali (che sarebbero poi gli studenti!). Dunque, non condivido l’idea di questi ragazzi che si divertono in quel modo assurdo.Sono molto contento, invece, quando salgono i controllori perché molte volte danno delle multe ai ragazzini senza biglietto o senza abbonamento (e per me è come se fosse un tipo di vendetta!)I momenti in cui vengo torturato maggiormente sono dalle 7 di mattina, quando gli studenti vanno a scuola, alle 13:30 quando tornano a casa.Ogni giorno passo le pene dell’Inferno perché mi stanco tantissimo, mi premono continuamente con mani sudate, sporche, a volte mi picchiano anche e il mio unico sollievo è quello di pensare alla sera quando mi potrò riposare un po’. Secondo il mio parere, io lavoro più di un essere umano, e oltretutto non vengo mai rispettato né ringraziato come si dovrebbe.Invito dunque tutti i ragazzi e le ragazze a riflettere bene sul problema del vandalismo sui tram; e a rispettare tutti i mezzi pubblici.

Giuseppe Floramo

Giuseppe Floramo è nato in Sri Lanka; vive a Tortiano di Montechiarugolo; oltre ai libri di scuola, legge poco, solo qualche rivista. Nel tempo libero frequenta gli amici.

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E pomeriggio, fa un caldo che forse neanche il sole potrebbe resistere. La mitica Reggio Emily è piena di persone a me estranee. Ti ho conosciuto sull’autobus, sul quale viaggio tutte le matti-ne e i pomeriggi per andare e tornare da scuola. Ti vedo, stai salendo sull’autobus. La tua vista

scorre sui sedili per cercare un posto. Ci sono tanti posti liberi, ma tu ti avvicini a me e con un sorriso profondo e inquietante allo stesso tempo, con delle labbra stupende e con un profumo fantastico, mi chiedi se puoi sederti accanto a me. Mentre guardo fuori dal finestrino, osservo il paesaggio che cambia e ricambia, vedo il tuo sguardo sul mio corpo che mi guarda e riguarda con passione. Per iniziare una conversazione mi chiedi che ore sono.Io ti rispondo con indifferenza e freddezza.Ormai sono le 14:00 e sto per arrivare a casa.Prima della mia fermata mi chiedi, con una voce calda e tranquilla che registro profondamente e in-tensamente nella mia testa, come mi chiamo, quanti anni ho... Dopo un po’ imbarazzato mi chiedi se puoi accompagnarmi a casa, io rispondo di sì, mentre mi faccio mille domande in testa, ma purtroppo non so che sta per iniziare una storia intensa, piena di dolore, piena di scontri, litigi e gelosie da parte tua. Da quel giorno gli autobus mi riportano alla mente ricordi che fanno male. Ogni volta che le nostre compagne ci vedono insieme, ci chiedono se ci frequentiamo ancora, io molto bruscamente rispondo che è storia passata. Ma nella mia testa penso di essere stata fortunata ad avere conosciuto il mio “strano EX” su un autobus.

Il tuo sguardo

Martina Iotti

Martina Iotti vive a Bagnolo in Piano; è una ragazza molto attiva, si dedica alla pallavolo e alla danza, discipline che riempiono ogni attimo libero della sua giornata. Tiene un diario, personale e segreto. Ama la lettura delle opere epiche; in questo momento è particolarmente affascinata dal mondo della Divina Commedia.

Samantha Iodice

In viaggio verso il mare

Sono le sette e trenta e sto aspettando il treno che da Ciano mi porterà a Reggio e da lì a Raven-na, precisamente verso il campeggio Adria di Casal Bonsetti. Sono felice perché i miei genitori si fidano di me e mi hanno permesso di raggiungere, da sola, la mia migliore amica al mare

con la sua famiglia. Ma il vero motivo della mia felicità è poter riprovare le emozioni dell’anno scorso, quando a metà agosto sono stata in quel campeggio. Anche se non è accaduto niente di particolare, sento una grande nostalgia e non vedo l’ora di tornarci.Il treno è arrivato, parto e più felice che mai mi affaccio al finestrino con gli occhi chiusi, anche se non si può. Penso al venticello che soffia dal mare e al sole caldo che ti batte contro. Per un attimo non mi sembra più di essere in treno, fino al momento in cui il controllore mi rivolge la parola. Mi giro verso di lui come se mi fossi appena svegliata lasciando un sogno a metà, come accade certe mattine quando sto sognando e mia madre mi chiama per andare a scuola, così lascio molti sogni a metà. Ora ho solo voglia di arrivare presto in campeggio.Il cambio del treno a Reggio, senza intoppi e poi.... Via al mareeee!!!!! Il tragitto si accorcia e il cuore aumenta in velocità.Sono a Ravenna; tanta gente scende, tanta gente aspetta. L’odore di mare è nell’aria. Sono sola per la prima volta. Mi sento grande. Vedo la mia amica e suo padre che mi sono venuti a prendereSono travolta da una grande felicità e gli occhi mi diventano lucidi.

Samantha Iodice vive a Reggio Emilia; le piace lo sport, soprattutto la pallavolo, ma non disdegna le altre di-scipline; frequenta la palestra ed ama sentirsi in forma. Ha un sogno nel cassetto lungo un mondo: raggiungere l’Australia e “abbracciare” un piccolo canguro.

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Milos Joksimovic

molte persone che tremano di paura. Chiedo a una signora cosa ci fa-ranno, e lei mi dice: “Se lei è in buone condizioni di salute la faranno lavorare, se no...” “Perché non ci ribelliamo?”, chiedo io. “Non possiamo, siamo in pochi, e poi... ci ucciderebbero”, dice lei. “Ha ragione, signora, ci ucciderebbero, ma allora cosa possiamo fare?”. “Niente, solo aspettare e pregare”.Dopo molte ore il treno si ferma,

Milos Joksimovic

Un viaggio nell’incubo

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Compito di storia, questa mattina. Per fortuna si tratta di storia contemporanea, la mia preferita. Il viaggio in corriera per raggiungere la scuola mi

permette di ripassare.

È ancora buio il mattino e il viaggio concilia al sonno. Socchiudo gli occhi e...Sono un quarantenne e mi trovo in Italia; sto per partire. Vado in un campo chiamato Birkenau: come ho sentito dire, si trova in Ger-

mania. Qui fa freddo e i cani che stanno insieme ai sodati

tedeschi abbaiano e ci attaccano; i soldati tedeschi dicono ai cani che prima o poi saremo il loro cibo.Sono alla stazione e vedo un fumo nero, è il treno che ci porterà in Germania. Ecco, si è fermato. Salgo e mi guardo un po’ intorno e vedo

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Vedo, guardo, osservo

Ore 5.30 del mattino, la solita sveglia interrompe tutti quei sogni fatti di semafori e strisce pe-donali. Su di una poltrona poco lontana dal letto, la stessa divisa, camicia azzurra e pantaloni scuri che aspettano di essere indossati come tutti i giorni. Esco di casa che è ancora tutto buio

e vado a prendere il mio compagno di una vita: il bus. Insieme, poi, iniziamo il solito giro che faccia-mo da trent’anni: stesse strade, stessi alberi, stesse fermate, ma soprattutto stesse persone.Via Mazzini: come ogni mattina sale un operaio ancora assonnato che timbra il biglietto di malavoglia.Fermata successiva: una badante russa sale portando con sé quell’odore di vodka e indossando come al solito quel giaccone viola troppo pesante per essere maggio.Terza fermata: arriva quell’anziano signore, vagamente somigliante a Poirot, sicuramente di origini aristocratiche che scende come ogni mattina al caffè in piazza.Poi da quel quartiere che tutti vogliono evitare: il solito bullo che deve raggiungere la sua fidanzata, cappotto di pelle con borchie, tatuaggi e soprattutto una cicatrice forse dovuta a una lite causata da un bicchiere di troppo. Ormai a me non mette più paura, probabilmente mi ha preso in simpatia, perché io non provo neanche a fare polemica per i suoi comportamenti scorretti. Infatti continua a salire senza biglietto, ad attaccare cicche dappertutto e a litigare con l’albanese che sale qualche via avanti e che ha solo la colpa di non essere italiano e di essere troppo buono.Poi ci sono le ultime due soste del giro che io considero dell’alba. Prima sale una coppia di ragazzi evidentemente innamorati: arrivano con il solito bel sorriso salutandomi per poi andarsene a sedere

Sara Lanzani

i soldati tedeschi ci dicono di scendere; scendo e vedo molte persone accalcate sulle reti di recin-zione, tutte magre e sporche. Siamo all’entrata e chiedo di nuovo alla signora “Cosa stanno facendo all’ingresso?” “Stanno smistando le persone che devono lavorare da quelle che non devono lavora-re”. “Speriamo bene” dico io. È arrivato il mio turno: il soldato mi dice di mettermi nudo e di andare a fare la doccia. Io non so che lui intende la doccia nella camera a gas. Piano piano vado. Chiudono la porta. Dentro c’è così tanta gente che non si riesce a muovere un dito. Per fortuna trovo una fessura da cui esce dell’aria, ci metto dentro naso e bocca, così posso respirare. A un tratto sento un sibilo: è il gas che fuoriesce. Dopo qualche minuto mi giro e vedo tutte le persone morte: in un momento sento la porta aprirsi e vedo entrare una ruspa che deve portare tutti i cadaveri fuori, così fingo di essere morto. La ruspa mi prende e mi porta fuori dal campo in una fossa comune, insieme agli altri cadaveri. Ne approfitto e scappo. Non so ancora come, riesco a raggiungere la sta-zione, l’unica ad essere stata liberata dai russi.Mi metto coricato in un angolo della carrozza del treno che trasporta carbone, e così rimango fino all’arrivo in Italia. Quando arrivo vedo la mia bella casa e corro, corro, corro...

“Milos, Milos, sveglia! Siamo al capolinea!”, mi dice – scuotendomi – Paolo, il compagno di tanti viaggi in corriera.E via, la corsa riprende... Fortunatamente, questa volta, “solo” per arrivare in tempo utile a scuola.

Milos Joksimovic, di origini serbe, è nato a Sarajevo, in Bosnia, e vive a Cadelbosco Sopra. In Italia è arrivato nel 1992, a causa della guerra. Nel tempo libero, suona la fisarmonica e pratica il Kung Fu. Gli piace molto lavorare al computer e leggere libri di elettronica.

Milos Joksimovic

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Sara Lanzani

Sara Lanzani è nata a Montecchio Emilia, dove risiede; le sue letture spaziano un po’ in tutti campi, ma prediletto è il genere del romanzo, in particolare quello giallo. Nel tempo libero pratica nuoto, suona il pianoforte e frequenta gli amici.

abbracciati pensando di non aver fatto niente quando invece mi hanno rallegrato la giornata.Infine sale la signora Gina: ogni tanto mi porta qualche biscotto fatto da lei per rendermi meno pesante il lavoro. Chiacchieriamo un po’ fino a quando scende davanti al suo ristorante dove da tanti anni ormai fa la cuoca.Successivamente, in un attimo, tutti spariscono e io e il bus rimaniamo da soli, pronti per tornare indietro e rifare il giro. E ogni volta, ogni giorno, assisto a scene divertenti, strane, ma anche tristi; persone che scivolano, persone che si conoscono, persone che si danno il primo bacio, persone che corrono dietro al bus per non perderlo, persone che si lasciano.E in questo modo capisco che io, semplice autista, e il mio fedele bus non siamo solo coloro che tra-sportano, non siamo di passaggio, bensì facciamo parte della storia di tante persone. Ed è per questo che, ancora dopo trent’anni, amo ancora il mio lavoro come se fosse il primo giorno.

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Sveglia Giada!”, ecco questa è la voce ancora assonnata di mia sorella che anche questa mat-tina mi sveglia.Stamane sono piuttosto nervosa, perché alla prima ora ho il compito in classe di matematica;

così mi vesto in fretta e furia ed esco senza neanche sapere bene cosa indosso.Sono quasi arrivata alla fermata, quando vedo passare davanti ai miei occhi l’autobus: Nooooo!Non ci posso credere, proprio stamattina che devo essere puntuale; non mi rimane altro che aspettare il prossimo.Ore 7.30 come al solito il 13 è in ritardo, salgo e trovo posto di fronte a un ragazzo che non so perché ha un’aria conosciuta; lui inizia a scrutarmi dalla testa ai piedi ed io non posso non ricambiare lo sguardo. Indossa una t-shirt rossa, un paio di jeans all’ultima moda e ha le “Converse” ai piedi; in quel momento mentre il tram mi scaraventa da una parte all’altra, la mia mente comincia a pensare dove ho incontrato questo ragazzo.“Oh, no!” mi esce un urlo dalla bocca: è Matteo!!! Un ragazzo che ho conosciuto qualche mese fa, insieme ad un’amica e a cui ho mandato una lettera rivelandogli che lo trovavo veramente carino.“Sbaglio o tu sei Giada, l’amica di Valeria?”, mi dice Matteo. Con aria del tutto indifferente, mi guardo intorno e poi con un filo di voce gli dico: “Stai parlando con me?!”.Sono imbarazzatissima, la voce mi trema e le mani cominciano a sudarmi; “Sì, proprio con te!” lui

Perdere l’autobus

Sonia Marinello

Il mio paese

Come tutte le mattine, mi alzo alle 6,40: mi preparo, faccio colazione e parto da casa mia alle 7,06.Arrivo alla fermata. Ci sono tutti, amici e amiche, e tra una chiacchiera e l’altra arriva il tram.

Saliamo: come al solito non si trova mai il posto! Nella mia testa ho mille pensieri e, mentre guardo dal finestrino, penso al mio paese: Cutro...Mi sembra di essere a casa mia. Esco dalla porta e sento quel delizioso vento fresco che accarezza i miei capelli. Mi siedo sulla sedia nel cortile davanti a casa mia e avverto il dolce calore del sole sulla mia pelle: “Ah, che bella sensazione!”, penso.Apro per un attimo gli occhi: rivedo la solita confusione. Così li richiudo di nuovo e mi perdo tra i miei ricordi.Ecco il mare: sento l’acqua fresca che scivolando bagna la mia pelle; dopo il tramonto torno a casa e ascolto in lontananza il suono di una voce sempre più nitida: “Alle, svegliati! Sbrigati che stiamo arrivando a scuola!”. È la Patty!Scendo dal tram e mi sembra di essere in un altro mondo, però poi penso: “Tanto vado a scuola e rivedo le mie amiche” e, dopo otto ore di scuola, si riprende il tram e io ritorno ...nella mia magnifica terra.

Alessandra Maida

Alessandra Maida abita a Cella; le piace leggere, ama la musica, ma soprattutto adora il suo paese: Cella è il suo mondo, il suo tutto, gli amici, la famiglia, i vicini di casa. Parla volentieri di Cella, vorrebbe che tutti lo conoscessero: come fanno a non conoscerlo”! Non vede l’ora di ottenere il diploma per continuare gli studi e, perché no, fare onore alla sua amata Cella!

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Una mattina, sull’autobus, andando a scuola, sto seduto pensando ai fatti miei e bado che non salga il controllore. Provo a leggere un libro, ma le persone stanno chiacchierando. Non che il loro parlare mi dia molto fastidio, ma non riesco comunque a concentrarmi.

C’è una ragazza seduta, capelli castani, morbidi e lucenti, occhi chiari che risaltano sulla pelle fresca e liscia. Insomma, una vera bellezza, che al solo sguardo procura un’onda di calore, ma questo calore passa presto, pensando che appartenga già ad un’altra persona. Per questo motivo penso ad altro, facendo l’indifferente. A dir la verità giungo alla conclusione che non sia il caso di disturbarsi, visto che la persona lì a fianco sarà il suo ragazzo. Piano piano nella mia mente prende forma il pensiero che lei non sia poi così irraggiungibile, ma cerco di non farci caso e ignoro le voci dentro di me. Pochi minuti dopo, i due si alzano e vanno verso l’uscita, aspettando di raggiungere la fermata e lei si trova in piedi rivolta verso di me. I nostri sguardi si incrociano. “Lo sguardo si può incrociare con tutti”, penso io. Ci guardiamo di nuovo, mi prende il panico. Non so cosa fare: un mezzo sorriso? Avvicinarmi con la scusa di chiedere un’informazione? Sono paralizzato. Da un lato penso sia una situazione senza speranza, dall’altro penso sia una delle decine d’occasioni perse per strada. Sempre più immobile, continuo a dare occhiate dolci per tenere viva la speranza. Il muro che ho costruito per contenere l’insieme di emozioni che provo continua a reggere, non filtra nulla, non si

Viaggio interiore

Federico Mastellari

ribatte. Io annuisco con un cenno del capo.“Allora, cosa mi racconti di bello?” mi chiede. Le parole non riescono ad uscirmi di bocca, “Niente, la solita vita!...” Che frase banale!Finalmente la mia fermata; mi alzo per scendere ma all’improvviso l’autobus fa una brutta frenata ed io “casco” proprio su di lui: “Scusami, non volevo, è solo che...”, le sue parole mi interrompono prima che io possa finire la frase.“Non preoccuparti, comunque spero di vederti presto!”.Mentre scendo lo saluto con la mano, non posso crederci, ho parlato con Matteo, il ragazzo dei miei sogni!Quell’incontro ha cambiato completamente la mia giornata e per una volta posso dire di essere con-tenta di aver perso l’autobus!!!

Sonia Marinello

Sonia Marinello abita a Reggio Emilia e ama trascorrere tutto il tempo libero con le sue amiche. Insieme a loro il tempo vola in chiacchiere, pettegolezzi e “lavoro” con gli sms. Ma quando si potrà scrivere con sms a scuola?

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Il viaggio di un disabile

Ogni giorno prendo il treno R803 delle7.07 con un po’ di difficoltà, perché sono un disabile e mi sposto in carrozzina, per cui quando arriva mi avvicino alle porte del secondo vagone e attendo che si aprono, poi ringrazio i due controllori che mi prendono in braccio e pian piano

mi fanno salire, perché se dovessi aspettare gli altri ragazzi verrebbe Natale.Tutti loro guardano con occhi da pesce lesso, mettendo la borsa sotto le braccia e poi salgono tran-quillamente come se non avessero visto nessuno bisognoso di aiuto.Una volta salito, tutti i ragazzi della mia età e anche i più grandi mi guardano e poi scoppiano a ridere.Io non capisco il motivo del loro riso, mi ritengo uguale a loro, l’unico problema è che io sono disabile a entrambe le gambe. Mi giro verso il finestrino appannato, ci scrivo sopra il mio nome, poi lo cancello con il guanto e in-travedo così i campi ghiacciati, la brina e in lontananza una palla di fuoco arancione che mi abbaglia il viso, il cielo pennellato di mille colori: rosso, giallo, azzurro.Osservo nei campi pochi fagiani con i loro piccoli che svolazzano qua e là. Questo spettacolo della natura mi provoca la voglia di vivere, invece quando mi giro dall’altra parte e vedo quei ragazzi, che mi prendono in giro, il mio umore si altera.Nel frattempo arrivo alla penultima fermata: REGGIO EMILIA SANTA CROCE e prendo posto per scendere, però dò la precedenza agli altri passeggeri, che vanno di corsa per riuscire a prendere l’au-

Pasquale Matichecchia

aprono crepe. Nel frattempo, nemmeno lei si scompone, ed io penso nella mia mente: “Perché dovrebbe? Non ne ha bisogno, il mondo è pieno di ragazzi più belli di me, pronti a stare al suo servizio”. Scende e viene verso il mio finestrino, le lancio un ultimo implorante sguardo, ma non lo coglie. Se solo si fosse girata almeno avrei portato via l’illusione di piacerle un po’, magari mi trova inte-ressante. Forse sarebbe stato peggio, avrei buttato un’altra occasione per strada e questa sensazione persiste. In fondo non le importa nulla, spero nella mia mente. Con la faccia che mi ritrovo, mi ha guardato perché le ricordo certamente qualcuno. Mi ritrovo nella più brutta depressione, tutta la mia solitudine e la voglia di lasciarla alle spalle mi prendono in pieno come un treno in corsa. Sono stordito, pensando che non cambierà mai nulla. “Perché non cambierà mai nulla? Mi domando con rassegnazione. Comincio a pensare alle mie presunzioni e imbarazzanti incapacità, finché non vengo sopraffatto da un grandissimo dolore. Scendo dall’autobus e attraverso la strada che sembra troppo breve e vorrei che non finisse mai e vorrei continuare a camminare, solo camminare......

Federico Mastellari

Federico Mastellari è nato e vive a Reggio Emilia; si interessa di calcio, segue tutte le partite della squadra del cuore. Il calcio è anche lo sport che pratica, ma si allena pure a basket. È un tipo all’apparenza taciturno, ma molto socievole e con tanti amici. Ha una passione che, per i suoi, è oggi una fobia: la PlayStation 2.

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Driin...Driin!” questo è il solito “strillare” della sveglia che, come ogni mattina alle 7.20, “stop-pa” i miei fantastici sogni per mandarmi a scuola; così mi tocca alzarmi, darmi una sistemata e uscire di corsa per avviarmi alla fermata dell’autobus con in mano la velenosa sigaretta che

mi fa compagnia tutte le mattine. Ecco, sono arrivata! Salgo, cerco un posto e mi siedo. Come ogni mattina sul tram ci sono le solite persone:- la signora Maria, che finisce di sistemare le sue bambine per accompagnarle a scuola.- il signor Gianni che, con la sua gamba zoppa e il bastone fra le mani, ci mette prima un quarto d’ora per salire sul tram e poi una decina minuti per cercarsi un posto e sedersi.- poi un gruppetto di ragazzi che prendono sempre i posti dietro del tram e parlano, ridono, si pren-dono in giro già di prima mattina- e infine lui, un ragazzo bellissimo con gli occhi verdi, alto, biondo e con quello sguardo affascinante che mi fa restare senza fiato.Ad un tratto, lo vedo alzarsi e avvicinarsi a me. Io divento tutta rossa, con le mani che mi tremano e sudano a tutt’andare; ma ecco che arriva, mi guarda e mi chiede: “ Scusa è libero il posto vicino a te?” Io immobile...e senza parole per due o tre minuti gli rispondo: “Ma certo!”. Dopo un po’, lui attacca con un fuoco di domande a cui io rispondo a monosillabi.Sapete, tra me e me penso che oggi sia il giorno più bello della mia vita.Vorrei sapere qualcosa in più di lui, ma non riesco a chiedergli nulla.

Una giornata iniziata bene

Antonella Mendicino

tobus, la corriera o il minibus per recarsi a scuola o al lavoro.Scesi tutti, tocca a me, per cui vedo arrivare i controllori, che con molta pazienza mi aiutano anche nel sottopasso. Arrivato nel piazzale della stazione, dove riesco a muovermi da solo, ringrazio di cuore, perché non tutti si comportano così nei miei confronti.Li saluto e con la forza delle mie braccia che spingono la carrozzina, mi dirigo alla scuola, “FILIPPO RE” che per fortuna è vicina alla stazione. Penso ancora a quei ragazzi e mi viene da piangere, perché anche loro avrebbero potuto trovarsi nella mia identica situazione.Credo che offendere i disabili sia un comportamento molto deplorevole, perché loro non possono fare le stesse cose degli altri, come giocare a calcio, fare passeggiate in riva al mare o conquistare spavaldamente una ragazza.

Pasquale Matichecchia

Pasquale Matichecchia è nato a La Spezia e vive a Bagnolo in Piano. Gioca a calcio nella Bagnolese ma spera che qualcuno si accorga del suo talento e lo ingaggi in una squadra “nazionale”. Lo studio non è il suo forte, ma ama andare a scuola, perché è lì che incontra i suoi migliori amici. Nel tempo libero adora giocare con i videogiochi.

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NO! La sveglia sta suonando!Sono le sei e trenta. Ecco la voce di mia madre là, lontano, quasi dall’oltretomba, che dice:“Alzati, Mattia!”........“Sì - penso tra me - alzati e cammina!”.

Mi preparo velocemente, metto sulle spalle lo zaino stracolmo di libri e via, verso nuoveavventure, più o meno piacevoli.Prima però c’è lei! Chi?La corriera!Quella cosa che tutte le mattine mi strappa dal letto e dal calduccio di casa mia e mi porta a scuola dove mi gioco cinque anni delle mia vita.Quando la vedo arrivare da dietro la semicurva del mio quartiere, mi pare abbia disegnato sul muso una specie di sogghigno: per i fanali che sembrano occhi spiritati, a volte lampeggianti, per la masche-rina metallizzata che rappresenta la bocca e per l’immenso parabrezza che funge da fronte. Mi sembra, per una frazione di secondo, che l’autobus sia un po’ come Caronte, che portava le anime dei dannati all’inferno. Tra poco si fermerà qui, davanti a me, aprirà le sue fauci ed io dovrò entrare, proprio come capitò a Pinocchio con la balena. L’unica differenza è che Pinocchio, all’interno del mammifero, trovò suo padre; io invece troverò le facce sconvolte e preoccupate dei miei compagni di sventura. Appena i miei amici mi vedono, mi salutano e mi fanno domande sull’imminente giorno di scuola.

La corriera del destino

Mattia Musatti

Lui mi guarda e mi dice:”Io mi chiamo Michael” e mi stringe la mano.“Ecco!” Dico subito: “Io sono arrivata, questa è la mia fermata”, così mi alzo e subito Michael mi stringe il braccio e mi chiede se un giorno ci saremmo mai rincontrati. Lo guardo ed annuisco con un cenno del capo, non ci sono parole per descrivere il mio stato d’animo: sono alle stelle!Il tram riparte e dal finestrino mi guarda, sorride e mi saluta con la mano. Mentre percorro il viale che mi porta verso scuola penso “LA GIORNATA È INIZIATA BENE!”

Antonella Mendicino

Antonella Mendicino vive a Reggio Emilia, ama ballare, ballerebbe sempre, anche al mattino presto, quando gli altri sono tutti assonnati. Ogni momento è buono per fare “due passi” o una piroetta. Sogna di diventare una grande ballerina, ma di danza latino-americana.

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Anna Rastiello è nata a Napoli e vive a Montecchio Emilia; oltre ai libri scolastici, non legge molto altro. Nel tempo libero guarda film, ascolta musica e fa teatro.

Il biglietto

Oddio... io sono claustrofobico... mi deve aver rinchiuso di nuovo in quello schifoso portafogli, rimango sempre al buio in mezzo a quei $ e a tutti quei documenti!Mi piace essere mostrato perché sono un po’ narcisista e, quando passa il controllore, è il mio

momento di gloria! Di me esistono tre tipi: annuale, mensile e quello di ogni giorno. Io sono “men-sile” quindi non ho mai provato la “macchina timbra-biglietti”, cioè sì, ma solo una volta (al mese), e quando l’ho provata è stato davvero doloroso passare là sotto.Ogni mese la mia “padroncina” mi butta e io mi ritrovo in un cestino... e poi i miei compagni biglietti prendono il mio posto, mi sostituiscono e dopo un mese finiscono esattamente come me!Ecco...! Oggi è l’ultimo giorno del mese! Avrà già comprato un nuovo biglietto... e me? Mi butterà via... E se non lo facesse? E se i biglietti che compra, poi, li tenesse? Beh lo spero, se no sigh sigh! Finirò in mezzo a lattine e a cartacce... Non voglio stare solo!

Anna Rastiello

Altri mi domandano cosa avremmo potuto fare durante il pomeriggio, io rispondo: ”super partitone di calcio, chiama tutta la gente che puoi”. Dall’altra parte della corriera vedo un gruppo di ragazzi tutti intenti a copiare dei compiti o a studiare per una eventuale interrogazione. Chissà quale sarà il loro destino! La “reclusione” all’interno della corriera durerà il tempo necessario per percorrere una distanza di circa dieci chilometri; poi lei si fermerà, riaprirà le fauci e ci scaricherà senza troppi riguardi di fronte al nostro destino: l’Istituto.Quindi, più leggera che mai, con uno “sbuffo” nero che le esce dal tubo di scappamento, si allontane-rà per ritornare a riprenderci qualche ora dopo.Questo accadrà per nove mesi all’anno e per cinque anni.Forse, alla fine del quinto anno di liceo, mi mancherà questa sottile tortura della corriera, ma adesso, credetemi, non vedo l’ora di rimpiangerla!

Mattia Musatti è nato a Montecchio Emilia, dove risiede; oltre ai testi scolastici, legge articoli dalla Gazzetta dello Sport. Nel tempo libero gioca a calcetto, alla PlayStation, al computer, ed esce con gli amici.

Mattia Musatti

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di vederlo, quando arriva all’incrocio, lo riconosco per il solito aggraziato stridio dei freni; allora mi pre-paro per salire. Il torpore che fino a qualche secondo prima aleggiava alla fermata viene allora spazzato dai ragazzi più giovani che si accalcano di fronte alle porte per riuscire a prendere un posto. Mentre noi, oramai veterani pendolari, saliamo lentamente ancora insonnoliti e ci sediamo di fianco al nostro solito amico che fin dal primo giorno, attraverso un tacito accordo, ci tiene il posto accanto. Dopo aver scambiato i rituali saluti con i mie amici, mi abbandono sullo sporco schienale e, chiudendo gli occhi, percepisco il caratteristico odore d’olio bruciato e sudore, lontano ricordo della mia adolescenza. È così che il vecchio pullman mi culla fino all’arrivo. Altre volte, invece, aspettando alla fermata, non sento stridio dei freni; allora vedo arrivare, non il solito vecchio pullman, ma uno nuovo, rombante, che senza un tintinnio si ferma davanti a me. Appena salgo, sento l’odore delle cose nuove, appena uscite dalla fabbrica, e rimpiango il lezzo del vecchio pullman. Seduto al solito posto, di fianco al solito compagno, mi sento soffocato dal getto gelido della aria condizionata. Allora l’unico mio pensiero è quello di arrivare a scuola al più presto per poter fuggire da quel concentrato di tecnologia che non regge il confronto con la sana arretratezza del vecchio. Non c’è che dire: ogni persona ha le sue abitudini preferite, il suo colore preferito; dunque può avere anche il suo pullman preferito, che lo faccia sentire un po’ come seduto sul sedile posteriore dell’auto di sua madre. Perché ogni pullman, come ogni uomo, ha una sua personalità che si trasmette attraverso particolari per molti insignificanti, ma non per chi, come me, è un pendolare che oramai conosce ogni singolo rumore, ogni singolo sedile rotto e ad ogni singolo suo movimento.

Giovanni Reggi è nato a Montecchio Emilia; vive a Bibbiano; oltre ai testi scolastici, legge saltuariamente qualche opera del genere “fantasy”. Nel tempo libero segue il campionato di calcio, guarda film ed esce con gli amici.

Giovanni Reggi

Pensare ad un racconto sulla vita da pendolare non è poi così complicato; sul pullman o alla fermata è facile, a meno di non essere particolarmente timidi od insensibili, riuscire a conoscere nuove e, per certi versi, variegate esperienze umane. Eppure quel gesto, quell’occhiata frenetica

all’orologio ed alla strada laggiù in fondo, quello spazientirsi, non rappresentano per tutti qualcosa di piacevole. Il mio non è un lungo viaggio, almeno non è di quelli che ti permettono di guardare i finestrini e pensare a quando si era ragazzi o di innamorarti del sorriso della tua vicina di posto. Ti svegli, ed ogni mattina speri di trovare qualcosa che valga la pena di osservare; un po’ come i ciclisti che fanno sempre lo stesso tragitto e che, ormai, conoscendo sasso a sasso, ramo a ramo, la strada che percorrono perdono interesse per quello che fanno e lasciano i soli occhi aperti e indifferenti sul nastro nero dell’asfalto. La fermata è la prima scrivania della giornata; ognuno prende possesso di un posto, il suo solito. Le scarpe lucidate di fresco, le chiavi fredde nella tasca e la mentina sfuggita all’annoiata golosità garantiscono una sicurezza da alunno preparato che comunque accarezza il libro pieno di sottolineature che stringe nella mano. Il netturbino fuma indifferente una stropicciata sigaretta appoggiato alla porta del bar, un cane abbaia stizzito, le auto stentano a schiarirsi la voce ed il sole, ancora con gli occhi cisposi, inizia a stiracchiarsi. Ti sorride il conoscente mentre passa con l’auto, e ti suona, avvolto nel suo caldo abitacolo. Infine arriva il pullman; anche lui da poco svegliatosi, e ti rivela, tossicchiando, ancora le tracce di un sonno tutt’altro che lungo. Ho notato, infatti, che anche i pullman hanno, come gli uomini, la loro età e le loro abitudini. Quello che di solito arriva alla mia fermata è uno vecchio, malinconico. Prima ancora

Ogni pullman è diverso

Giovanni Reggi

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do....mi aveva visto!Iniziò così a pigiare sul pedale del freno...; il rumore assordante dei freni continuò incessante per dieci secondi, fino a quando la corriera si fermò definitivamente in mezzo alla strada, che in quel momento appariva stranamente deserta.Avevo paura, non riuscivo nemmeno a muovermi per cercare una via di fuga. L’autista si alzò lenta-mente dal posto di guida, mentre io finsi di dormire per non essere riconosciuto.Lui procedeva con passo lento, trascinandosi la gamba destra faticosamente...aveva un aspetto orribi-le, sembrava essere uscito da un film horror di Dario Argento.Infine mi vide e si accorse che ero io il passeggero sveglio di prima; ormai era ad un passo da me: io mi raggomitolai su me stesso quando all’improvviso una mano fredda mi sfiorò la spalla.Era l’autista, stavolta quello vero, che era venuto a svegliarmi dopo che per tutto il viaggio avevo dormito come un ghiro, mentre gli altri ragazzi schiamazzavano e discutevano tra di loro.Mi ero addormentato e avevo sognato tutto il tempo senza rendermi conto di essere arrivato, sano e salvo, a destinazione.

Cristian Romano

Cristian Romano è nato a Montecchio, vive a Cavriago e frequenta le scuole a Reggio Emilia. Adora il calcio che è tutta la sua vita. Ne parla, lo pensa, lo sogna e lo pratica: gioca nel Val d’Enza United. Per lui il sabato sera è intoccabile: lo trascorre solo con gli amici. È un tipo curioso e divide il tempo libero tra videogames e la ricerca di nuovi amici.

Eccomi ero lì, al mio solito posto vicino al finestrino e come sempre la corriera era piena come un uovo! Stranamente quella mattina ero particolarmente stanco. Gli occhi erano pesanti, la testa si appoggiava stremata sul seggiolino e ad un certo punto tutti i rumori dei ragazzi, il

vociare e le urla scomparsero misteriosamente.I finestrini erano chiusi, eppure faceva freddo; l’atmosfera che circondava i passeggeri era spettrale. Lo strillare dei ragazzi non si sentiva più, si udiva solo il procedere imperterrito della corriera. La gros-sa scatola blu con le ruote macinava chilometri su chilometri ad una velocità al limite dell’irreale. All’improvviso sembrava ci fossi solo io sulla corriera, non udivo e non percepivo più alcuna presenza intorno, fino a che un clacson assordante iniziò a suonare a meno di trecento metri di distanza.Mi affacciai al finestrino e guardai avanti........era un enorme automezzo col rimorchio che procedeva sulla nostra stessa corsia di marcia ma in senso opposto.Non c’era più molto tempo, se uno dei due non si fosse spostato, avremmo sicuramente avuto una collisione mortale e catastrofica. L’automezzo era a meno di 50 metri......ormai l’incidente sarebbe stato inevitabile, ed io mi preparavo allo scontro....eccolo...............................! (10 secondi di silenzio). Riaprii gli occhi, mi guardai attorno; tutti i ragazzi avevano le palpebre chiuse. Guardai lo specchietto retrovisore...subito non notai nulla di strano, guardando meglio, però, mi accorsi che alla guida c’era uno zombie con un cappello a cilindro sulla testa. Continuai a guardarlo fino a che non girò lo sguar-

La corriera fantasma

Cristian Romano

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chiamata da mia madre. Era euforica, non smetteva di parlare, più o meno come me adesso.Pensa, siamo riusciti a vendere la casa vecchia, possiamo finalmente comprare la nuova. La dovresti vedere, è in via Newton n. 2, è stupenda. Ci sono tre piani, è una villa adorabile, abbiamo due garage e un grande giardino. E poi mia mamma al telefono ha detto che mia sorella è stata dal medico, è incinta. Avrò un nipotino o una nipotina. Marta, mia sorella, ha detto che se è maschio lo chiama Ste-fano, se femmina, Maria. Spero tanto che sia un maschio, così alla casa nuova quando sarà più grande gli insegnerò a giocare a calcio. A proposito di calcio, stamane mi è arrivato un sms dalla società in cui gioco: il Modena è interessato ad acquistarmi... spero che tutto questo non sia un sogno, e se lo è voglio dormire ancora un po’.” L’uomo sgrana gli occhi stupito... poi mi dice: “Mi fa piacere che sei così felice, e mi dispiace rovinare tutto, ma se non hai il biglietto ti devo fare una multa.” “Ah! È vero la multa.” Il tram si ferma alla fermata in Piazza della Vittoria. La porta si apre, è il momento per scappare. “Ciao amico, e grazie per avermi ascoltato.” Corro via e l’autista si alza e va dal controllore: “Perché non lo stai inseguendo?” L’altro tranquillo: “Conosco il suo nome, dove abita, dove lavora, e in che squadra gioca, so persino come sua sorella Marta vuole chiamare il figlio che sta per avere. Gli farò arrivare la multa alla sua nuova, stupenda, splendida casa a tre piani con due garage e giardino.”INVIDIOSO!!!

Renato Torre è un ragazzo di 17 anni che, durante il tempo libero, esce con gli amici. Come sport, pratica il calcio a livello amatoriale. Fuori dall’ambito scolastico scrive solo la lista della spesa.

Renato Torre

Questo è uno di quei momenti in cui ho solo voglia di parlare con qualcuno, chiunque sia, e non mi importa che mi ascolti sul serio, mi accontento della convinzione che gli affari miei interessino a qualcuno. Non ho bisogno di sfogarmi, non sono arrabbiato, o stressato, anzi

è uno dei momenti della mia vita in cui tutto fila liscio, però ho ricevuto tante belle notizie che ho bisogno di parlarne a qualcuno... chiunque sia. Così mi sono avvicinato alla prima faccia amichevole, la prima cosa che mi sorprende è che ha incominciato a parlarmi lui.Sono le 17:27 del 4 giugno 2005 e sono sulla linea urbana 5 dell’ACT. Il sole picchia forte e non capisco come fa l’uomo di fianco a me a restare in camicia. Certo l’aria condizionata del tram aiuta, e per fortuna non è affollato a quest’ora. Questo è uno di quei tram nuovi con i posti a sedere larghi e comodi e con tanto spazio per chi non trova posto. Comunque ora torniamo a me. L’uomo si rivolge a me chiedendomi: “Come hai detto che ti chiami ragazzo?” ecco, è il momento, posso spiegargli la mia felicità tutta di un fiato. “Io mi chiamo Diego, ma il nome non è importante, la cosa importante è quello che mi è successo oggi. Oggi se faccio due conti, è la giornata più bella della mia vita... sono due mesi che cerco un lavoro per questa estate tramite agenzie e pensa che oggi andandomi a divertire, l’ho trovato. Vengo adesso dalla piscina, ha presente la piscina dietro lo stadio? Si bravo quella. Ero andato a divertirmi, e pensi un po’ ho trovato un lavoro nel bar, part-time, e ben pagato. Posso andare a lavorare tutti i giorni, e a metà giornata posso rilassarmi in piscina. E non è finita qui, due ore fa, ho ricevuto una

Invidia

Renato Torre

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mese. Anziché procurarsi una macchina da minimo 30.000 Euro, se non vuoi uno scassone usato senza comfort, si può comprare un biglietto del pullman, che costa un tot in meno, e per di più non ci devi pagare l’assicurazione, il bollo, la revisione e la benzina, che gli italiani sognano la notte al posto degli incubi. Devi solo andarlo a comprare e magari fargli qualche carezza ogni tanto, in modo che non si demoralizzi perché lo usi poco. È anche vero che l’auto consente insostituibili vantaggi rispetto all’autobus: è sempre disponibile e ti porta sempre nel posto esatto in cui vuoi andare, risparmiandoti gli impicci dovuti alla posizione delle fermate, diventando insostituibile per le persone che viaggiano molto senza una meta fissa. A questo punto conviene domandarsi: chi sono gli sfig? Noi senza patente, costretti a prendere il pullman, se non vogliamo andare a piedi, o gli altri che vanno in auto con il loro onore da consumisti? È tutta una questione di mentalità.

Andrea Santi

Andrea Santi è nato a Reggio Emilia; ora vive a Barco di Bibbiano; legge opere di genere “fantasy”, periodici di videogame e riviste sportive. Nel tempo libero gioca alla PlayStation, frequenta gli amici e gioca a calcio nel Boca Barco.

Andrea Santi

Lautobus è ormai diventato una vera pattumiera. Ormai sale in autobus solo la gente conside-rata sfig...: noi poveri studenti martoriati dalle verifiche o gli immigrati clandestini martoriati dalla polizia o dagli strozzini. Chiunque sfrutti un autobus è vicino ad essere considerato la

feccia della società, perché é passato di moda e le auto o le moto sono diventate un bene primario, fonte di rispetto e di onore, come le spade al tempo dei samurai. E, andando avanti, sarà sempre peggio. Bisogna, però, considerare gli aspetti per lo meno decenti (se non proprio fonte d’onore) dell’autobus: non si è mai sentita, al telegiornale, la notizia di cronaca “Un pullman a super velocità, con autista ubriaco e pazzo con precedenti penali in preda a una crisi omicida, si è schiantato contro un palo tirando sotto un’allegra famiglia e trucidando tutta la gente a bordo. Questo perché l’ACT non mette degli ubriaconi alla guida dei suoi pullman. Inoltre noi ci lamentiamo spesso perché i pullman sono perennemente in ritardo. Ma perché? Perché, magari, sulla Via Emilia c’è un intoppo di auto e il pilota deve bestemmiare per passare, scatenando una rissa. Se quegli autisti avessero tutti invece usato il pullman, con due o tre mezzi si sarebbe combinato e la Via Emilia avrebbe avuto il suo 25 Aprile! Ma che figura ci farebbe un imprenditore con giacca e cravatta, armato di portatile e Motorola ultimo modello, che si reca al suo lussuosissimo ufficio scendendo da uno squallido pullman reso un’opera d’arte da un graffitaro?! Una figuraccia. Ecco che così si equipaggia con una Mercedes Euro 4 (con climatizzatore e cerchi in lega di serie) intoppando, insieme ai suoi colleghi, la Via Emilia. Preoccupiamoci anche delle questioni economiche: l’Italia si lamenta che non riesce ad arrivare a fine

Chi sono gli sfig... ?

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Silvia Trotta

stasera, se starà a casa o uscirà per andare a mangiare qualcosa.Oltre a lui salgono altre persone, sempre le stesse che prendono il tram o per andare al lavoro o per andare a scuola, ognuno con le sue preoccupazioni, i suoi pensieri. I ragazzi pensano all’interroga-zione di oggi e si preoccupano per il voto che darà loro la professoressa, le ragazze pensano a cosa dirà la loro migliore amica e il loro ragazzo per la maglietta nuova, forse un po’ troppo scollata per andare a scuola.Il tram si ferma di nuovo, quinta fermata. Il quartiere è ancora più grande di quello precedente e sal-gono molte più persone. Il tram comincia a riempirsi. Io mi preparo per scendere, no scherzo, mi pre-paro perché tra poco comincia il mio lavoro, infatti, subito dopo vedo un dito che si avvicina sempre di più, mi sta per schiacciare... Ti prego fai piano! Forse non lo sai ma potresti farmi male... DING!!! Mi ha suonato, non mi ha fatto male, ha prenotato la fermata, così il tram la fermata successiva si fermerà solo per lui e l’autista gli aprirà le porte per farlo scendere.Io sono tutti i giorni qui, allo stesso posto, mi hanno toccato dita di tutti i tipi, questo è il mio lavoro, almeno fino a quando io e il tram saremo troppo vecchi e ci butteranno da qualche parte, probabil-mente in discarica. Quasi nessuno fa caso a me, tranne quando mi devono suonare, sono piccolo ma utile... io sono il campanello!!!

Silvia Trotta abita a Reggio Emilia; è una ragazza solare, ama cantare, viaggiare, ridere. Ha un sogno nel cassetto: andare in Finlandia, per immergersi in quei grandi spazi silenziosi e sprofondare nell’aurora boreale.

Silvia Trotta

Piccolo, ma utile

E freddo, come del resto ogni mattina d’inverno, sempre sul solito tram nello stesso posto ogni giorno. Partiamo puntuali dalla stazione degli autobus. Prima fermata, il solito ragazzo, a mio parere bellissimo, sale sul tram: ha i capelli neri, gli

occhi azzurri, oggi ha un paio di jeans neri e aderenti, una maglietta nera e sopra una giacca di pelle sempre nera; porta le borchie sia al braccio sia al collo e ha un orecchino al lobo sinistro, le cuffie alle orecchie e come sempre siede al solito posto, quello in fondo, isolato da tutti, vicino al finestrino. Il tram riprende la sua corsa, altra fermata, salgono i soliti tre, amici da sempre a quanto pare. Il tram riparte, i tre cominciano a parlare e a ridere, parlano della scuola, dell’interrogazione che farà oggi la professoressa di storia, della verifica di inglese, delle ragazze più carine della scuola.Il tram si ferma ancora, terza fermata, sale una ragazza, non molto magra, con dei jeans blu strappati e una maglietta troppo aderente per lei, si siede vicino al ragazzo salito per primo e poi prova a parlare con lui, ma il ragazzo non la sente per la musica troppo alta oppure lo fa apposta, non la vuole sentire, così lei rinuncia, si alza e si siede in un altro posto.Il tram nel frattempo va, si divincola fra le strade, le macchine, le piccole case, i grandi palazzi e corre sempre più veloce per arrivare puntuale alla fermata successiva.Quarta fermata. Siamo in un quartiere più popolato rispetto agli altri; salgono molte persone, sale il solito uomo vestito elegante, giacca e cravatta, ha sempre la sua solita valigetta, probabilmente lavo-rerà in una banca. Chissà a cosa pensa, magari al lavoro che dovrà svolgere oggi oppure a cosa farà

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Sono tutto giallo, a volte colorato dalle pubblicità che mi attaccano sopra.Ho quattro zampe, sono lungo e ho la forma di un rettangolo, riesco a portare tanto peso.Inizio a lavorare presto di mattina e torno a casa tardi e stanco la sera.

Porto la gente in tanti posti, riesco ad arrivare in centro e anche fuori città: arrivo vicino alle fabbriche tutte grigie che gettano fuori in continuazione il loro malefico fumo; arrivo anche vicino alle scuole e lì sento il vociare allegro dei ragazzi; vicino alle chiese odo il rintocco delle campane e osservo la gente tutta ordinata ed elegante entrare per la messa.Durante la giornata la gente ha sempre fretta, è impaziente di arrivare al lavoro; al mattino, però, è assonnata, ancora non completamente sveglia, immersa nei propri sogni ad occhi aperti oppure ha lo sguardo triste di chi è sprofondato nei propri problemi; poco dopo mezzogiorno vedo i ragazzi affannati che tornano a casa con i loro zaini pesanti; e, al termine della mia fatica quotidiana, vedo la gente stanca che torna a casa dopo la lunga giornata di lavoro.Ascolto sempre le chiacchiere della gente che parla di pettegolezzi vari o dei propri segreti; a volte assisto ai litigi che nascono tra ragazze e ragazzi o tra le coppie di innamorati.Avverto certi brividi fastidiosi quando i ragazzi mi scrivono sopra; sento, invece, il solletico quando i bambini curiosi mi accarezzano.Avete indovinato chi sono?

Qiu Xinfeng

Uno strano indovinello

Qiu Xinfeng è arrivata con la sua famiglia a Reggio Emilia, dalla Cina, quasi dieci anni fa. È una ragazza in gam-ba, studiosa, attenta, sensibile, riservata, ma molto socievole. Per questo ha molte amiche. Un grande desiderio: è venuta in Italia da un lontano grande Paese, ora vuole viaggiare per conoscere altri mondi, pure grandi e lontani.

“La lettura rende un uomo completo, la conversazione lo rende agile di spirito e la scrittura lo rende esatto”

Francis Bacon

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sorgevano, passavano e ritornavano, e ribollivano nella sua mente. Là, solo e solitario in mezzo al castagneto, la sua vita trascorsa non scorreva davanti ai suoi occhi come in un film, come spesso si dice. No, nella sua testa si avvicendavano, in un succedersi vorticoso, spezzoni su spezzoni di com-battimenti, di sconfitte, di gioie e di vergogne. Sì, di vergogne. E adesso la corriera, con tutto il suo frastuono studentesco, gli stava riportando alla mente la sua tormentata persona di adolescente. Sempre in piedi sul pullman, i libri racchiusi da un elastico rosso sotto braccio, l’espressione esageratamente seria come ridicolmente solo certi adolescenti possono avere, per sembrare più grandi di quello che sono. Quel giorno, però, nella ressa degli studenti che si recavano alle scuole superiori a Reggio, aveva entrambe le mani alzate al corrimano, quasi un Cristo novello. Stretta di schiena a lui dalla calca, saltellava e si agitava lei, spumeggiante come mai, Marilena! I suoi capelli mossi, biondo-scuri, gli frustavano il viso mentr’essa si girava di qua e di là nell’assedio dei tanti ammiratori. Rigido nelle sue braccia aperte dietro di lei, lui sopportava la cosa con galante pudore. Là in fondo, però, c’era Castarelli, come tante altre volte furioso e piangente dopo lunghi minuti di blocco. E solo ora, al ripensarci, si rendeva conto del perché quel ragazzo a volte così allegro, ma a volte così disperato, non fosse mai chiamato dagli altri per nome o per soprannome ma, a differenza di tutti, per cognome. Nel solito baccano assordante, i maschi sghignazzando lo stavano provocando e urtando, mentre le femmine, da parte loro, partecipavano con incoscienti gridolini. Lei, oh lei, lui lo indovinava da dietro, non poteva essere così sguaiata e sciocchina, sorrideva superiore,

Mauro Bertani

Da sotto, dalla curva del Ventaglio, gli giunse agli orecchi il suono del solito cambio di marcia della corriera che a quell’ora riportava a casa gli studenti. E con quello gli sovvenne l’odore della nafta con cui ai suoi tempi si trattavano i pavimenti delle corriere. Verso le nove era arri-

vato su quell’altura per raccogliere funghi nel castagneto, ora così luminoso nel sole autunnale. Molte foglie erano già cadute e quelle che ancora rimanevano erano di un magnifico giallo-oro venato di rosso. Subito dopo i luminosi momenti della colazione a cui lui e sua moglie erano così affezionati da tanti anni - e quanto erano importanti, quelli, per i sensi e per l’anima - si era incamminato per il sentiero che da dietro casa portava all’antico castagneto abbandonato. Ma, poi, i funghi erano rimasti in terra. Si era seduto su di un masso sporgente dal terreno a fianco del sentiero, ben asciugato e in una qualche maniera riscaldato dal timido sole di novembre. E dal pro-fondo del suo cuore fiotti di sentimenti di ringraziamento erano sgorgati al Creatore di così magnifico creato mentre il suo sguardo si spostava ripetutamente dai suoi pantaloni di velluto ai suoi scarponi, al bosco, al cielo così azzurro quel giorno. Alle narici saliva il familiare odore del sudore della salita frammisto al profumo di sapone di Marsiglia che emanava dalla flanella della camicia appena tolta dall’armadio. Era sua moglie che gliel’aveva fatta trovare pulita e stirata, quella mattina, nel profumo di caffè che invadeva la cucina. Oh, che compagna aveva ricevuto in dono, e per così tanti anni! E quanta crescita assieme!E mentre nel bosco assaporava con tutti i suoi sensi il piacere del ringraziamento, fiotti di ricordi

Ricordi educativi di corriera

Mauro Bertani

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C è silenzio oggi sul pullman. Di fronte a me due donne: una giovane dai tratti stranieri e una

anziana ma distinta signora. Li vedo bene dallo specchietto retrovisore. Le due trascorrono sempre il viaggio insieme, in silenzio, sedute l’una di fronte all’altra.

È il loro sguardo a parlare: quello dell’una è perso nel vuoto, quello dell’altra sulla persona di fronte. Entrambe vedono altro rispetto ai loro occhi. Per l’anziana, tutta una vita vissuta, per la giovane una vita gettata alle spalle.Immagini di 85 anni di vita e scene di vita da un paese lontano: flash di 30 anni.La guerra, con le paure, i sacrifici e gli spostamenti forzati; il matrimonio da sposa di guerra, la nascita dei tanti figli, i lutti, i nipotini, la pensione; il dolore per le perdite, l’amore, le delusioni e gli scoraggia-menti, la tristezza e la stanchezza, e ora lo sconforto nel sentirsi invecchiata, indebolita, impedita nei movimenti e costretta ad essere sorvegliata da una sconosciuta.Il peso della separazione dai figli, la rassegnazione per aver annullato la vita in cambio di una cifra, la monotonia di giornate tutte uguali, di gesti e compiti ripetuti ogni giorno alla stessa ora, l’attesa delle telefonate, l’angoscia del non sapere quando poter tornare a casa e essere di nuovo mamma, moglie, sorella, figlia e non più badante; la paura di trovare cambiamenti al rientro e scoprire che la vita è andata avanti anche senza di lei e che il suo sacrificio non è valso che a farla sentire una estranea a casa sua.

Nei loro occhi

Gabriella Bonini

badando bene a non perdere il contatto con gli sguardi dei suoi assedianti. E lui, oh lui: non doveva schierarsi a fianco dei deboli? Eppure, quasi ebbro del profumo che saliva dalla giacca di Marilena, non riusciva a staccarsi da quel piacevole contatto. Doveva davvero mostrarsi uomo, indifferente ai sentimenti più buoni, come il duro mondo dell’adolescenza spietatamente ai maschi richiede. Non solo, quando lei, splendida nella sua abbagliante giovinezza, si volse per un attimo a controllare la sua reazione, i suoi occhi sembrarono chiamarlo, e il tradimento si consumò senza sforzo: sorrise quasi sicuro e mostrò di nemmeno conoscere Castarelli. Così facile era stato, indurire la coscienza che sua madre gli aveva consegnata così ben modellata e mentire a se stessi ed agli altri. Così facile davvero. Ora, mentre la corriera, superata la curva, proseguiva per Costarotta, continuava a sperare di un gior-no potere di nuovo incontrare Castarelli. Per chiedergli perdono e, adesso che da grande si sentiva così piccolo, confessargli tutta la sua piccolezza di quando si sentiva così grande. Ne era stata fatta, di strada; ne era passata, dell’acqua, sotto il ponte dell’Enza...

Mauro Bertani

Mauro Bertani, docente Istituto Statale “Silvio d’Arzo” Montecchio Emilia. Testo tratto da “Una vita”, Reggio Emilia 2004

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Un banale episodio di vita quotidiana su un autobus e sette variazioni sul tema, in cui la storia viene riraccontata. Un esperimento ispirato a “Esercizi di stile” di Raymond Queneau.

TelegraficoVia Emilia, autobus numero 2, affollato, un tipo magro di circa vent’anni con cappello e cravatta si ar-rabbia con un vicino. Gli rimprovera di spingerlo. Tono cattivo. Si butta sul primo posto che si libera. Arriva una bella ragazza, forse la “sua amica”. Cambia espressione. Tono seducente.RetrogradoParlava con tono seducente alla “sua amica”, dopo essersi precipitato avidamente sul primo posto libero a sedere. Aveva appena finito di protestare per la spinta di un altro viaggiatore che secondo lui ripetutamente lo urtava. Questo giovanotto scarnificato portava cappello e cravatta. Accadeva sull’autobus numero due, affollato di passeggeri in viaggio sulla via EmiliaSognoTutto era immerso nella nebbia, bianca, impalpabile e soffice. Tra mille presenze indistinte, si stagliava la figura di un giovane uomo filiforme con cappello e cravatta. Al suo fianco, pian piano, emergeva dalla bruma un altro individuo. Lo affiancava, lo urtava, quello urlava, ma non arrivavano le sue parole. In un alone di luce compariva lei, la “sua amica”. Lui si illuminava, il sogno svaniva.

Giocando con le parole

Esercizio collettivo di scrittura creativa

Mi incanto ad osservare queste due donne terribilmente diverse e che il caso ha unito.L’anziana alla fine del suo viaggio, ricorda ma certo non programma, chiusa nel suo silenzio e nel suo mondo; la giovane che del suo viaggio è soltanto a metà, che vive una vita che non è la sua, che soffre ma si consola guardando avanti, che non parla perché ancora non sa. Due donne, tanto diverse, ma con tanto in comune: il non poter scegliere, innanzitutto. Una non è autonoma, né può ribellarsi all’altra che le è stata imposta. Nemmeno la giovane può ribellarsi.E poi il silenzio. Un silenzio forzato per entrambe. Un silenzio che è l’espressione dell’unica scelta loro rimasta, la scelta di dimenticare un presente per entrambe stretto, in cui nessuna delle due si rico-nosce, da cui entrambe sperano di uscire presto, anche se attraverso vie di fuga sicuramente diverse.Alla prossima scenderanno, come tutti i giorni, alla stessa ora, sullo stesso tragitto. Anche questo è un pezzo del viaggio della loro vita, e anche della mia.

Gabriella Bonini

Gabriella BoniniDocente Istituto Professionale per i Servizi Commerciali e Turistici “Filippo Re” Reggio Emilia

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GergaleCasino sul 2 che sgomma in via Emilia. Un fighetto palestrato e lampadato con cappello e cravatta strippa e urla al suo vicino sfigato, perchè lo spintona: “Vaff... “ Si becca il primo posto free . Arriva una bella ... Cambia faccia e se la fila.PrecisazioniAlle 12.21, sulla via intitolata al console romano Marco Emilio Lepido che qui la traccia nel 187 a. C., su un autobus della linea due, lungo 8 metri, alto tre metri, largo tre metri, a 8000 metri dal suo ca-polinea, carico di 82 persone, un essere umano di sesso maschile, di vent’anni, due mesi, otto giorni, alto 1.80, 62 chili di peso, con un cappello largo 40 centimetri, la calotta schiacciata, interpella un uomo di cinquant’anni meno una settimana, alto 1.50, peso 80 chili.Il colloquio dura quattro secondi, per dirsi e ridirsi che l’uno è spinto e l’altro spingeva.Alla diciottesima fermata, dalla partenza sale un essere umano di genere femminile, capelli rossi e lunghi, alto 1.70, taglia 42, fisico procace, 40 di scarpe, 42 con la punta, aspetto sorridente.Il lagnante in un nanosecondo si va a sedere quattro sedili più in là, a una distanza di due millimetri dall’angelica creatura.

Gabriella Bonini, Annamaria Scalabrini, Manuela Zinani - Docenti Istituto Professionale per i Servizi Commerciali e Turistici “Filippo Re” Reggio Emilia

Esercizio collettivo di scrittura creativa

NegativitàNon era un aereo, non era una nave, era un automezzo di trasporto terrestre. Non era sera, non era mattina, era -diciamo- mezzogiorno. Lui non era un bambino, non era un vecchietto, ma un giova-notto. Non aveva il foulard, non aveva il papillon, ma la cravatta.Non c’era calma, non c’era silenzio, ma grande confusione e lui non era né malvagio né buono, era un attaccabrighe. Non ieri, non domani, ma oggi. Non via Roma, non corso Garibaldi, ma la via Emilia. Non la sorella, non la moglie, ma la “sua amica”.SvolgimentoIeri la professoressa di Italiano ci ha portato a fare una gita in autobus, linea 2, per fare interessanti esperienze umane, capire meglio i nostri simili e ispirarci per la scrittura dei “racconti in viaggio”.Abbiamo socializzato con un ragazzo di vent’anni con cappello e cravatta che non si è comportato in modo educato perché ha litigato con un altro signore che lo spingeva, poi è andato a sedersi al primo posto che si è liberato. Questo episodio ci insegna che non bisogna mai perdere il controllo di noi stessi e che dobbiamo capirci, perdonarci e dopo ci sentiremo molto più buoni.Alla fermata successiva è salita una bella ragazza, la “sua amica”; i due si sono messi a parlare ama-bilmente. Noi abbiamo capito che gli adulti cambiano molto in fretta e inspiegabilmente il loro com-portamento. Ma la professoressa ci ha fatto osservare che questo episodio è molto istruttivo perché rivela l’opportunismo umano.

Esercizio collettivo di scrittura creativa

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bianchi e poi anch’io non sono più interessato alle conquiste femminili: amo la vita tranquilla senza più scosse o sorprese.Ma da quando il mio cane ha cominciato a fermarsi davanti a quell’albero, l’incontro con quest’uomo mi ossessiona sempre più. Il suo sguardo, i suoi occhi, la sua calma, la sua rassegnazione mi rodono il cervello. Dove andrà? Perché ogni giorno, alla stessa ora, tutte le mattine, che ci sia pioggia o neve, vento o sole, sale sul tram? Cosa lo spingerà a salire? Certo non il lavoro, ma allora...Ho deciso: prenderò io lo stesso tram, andrò al capolinea e accerterò direttamente dove va.

Il posto in cui arrivo è desolato. Il tram si ferma in un grande piazzale grigio, intorno ci sono solo po-che case di contadini sparse lontano nei campi. Al lato estremo del piazzale c’è un cancello aperto su un meraviglioso giardino con un viale lunghissimo, si intravvede in lontananza una casa. Mi avvicino. Leggo un cartello in ottone posto su uno dei pilastri del cancello: “Villa del ritorno” c’è scritto. Strano nome per una villa. Che luogo sarà mai? Mi incammino per il viale: il giardino è alberato, i colori di questa mattina di autunno sono caldi e intensi. Mi sembra di entrare in un luogo incantato , un paradiso... un posto senza tempo. Tutto è pace e serenità. Lontano si intravvede qualche automobile, ci sarà qualcuno.Mi sento toccare sulla spalla. Mi volto: “Sapevo che saresti arrivato prima o poi. Hai scelto oggi. Ti chiedevi perché ogni mattina prendo il tram 13, perché vengo fin qui. Se quel giorno avessi preso il

Lucia Castagnetti

Ogni mattina esce con lo stesso passo lento, si avvia verso il tram, vi sale sopra, si siede vicino all’ultimo finestrino e parte. È presto quando sale, sono le sette.

Lo vedo perché alle sette in punto il mio cane deve fermarsi davanti all’alberello che svetta vicino al giardino del palazzo da cui esce e ogni giorno lo vedo salire sul tram.I nostri sguardi si incrociano. Per tanto tempo è successo così.Un giorno l’ho salutato e gli ho detto: “Parte presto per andare al lavoro, lei!”Mi ha risposto gentilmente: “No, non vado a lavorare. Magari...” ed è salito sul tram con la sua aria triste e malinconica e lo sguardo profondo e rassegnato.Ora continuiamo a salutarci, mentre lui sale sul tram.Io non resisto più. Chi porta ogni giorno a spasso il proprio cane sa come ogni particolare, ogni minimo oggetto, ogni sguardo, ogni passante, ogni automobile diventi un punto di riferimento su cui costruire ed immagina-re storie. Il mio cane ormai è vecchio e malandato, così ogni suo passo è lento e monotono e anche i miei pensieri si fissano sulle cose con un’insistenza nuova. Un tempo cercavo con lo sguardo altre proprietarie di cani impegnate nelle loro quotidiane passeggiate. Le osservavo, poi, con timidezza, le salutavo e con qualcuna di loro è sorta un’amicizia, con altre storie d’amore, felici o burrascose. Ma ora chi vorrebbe un compagno grasso e dimesso come me; i pochi capelli rimasti sono quasi tutti

Villa del ritorno

Lucia Castagnetti

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In bilico tra due mondi

Salì sul tram semideserto, estrasse il biglietto da quella parte del portafogli dove si tengono le cose che, pur inutili, hanno particolare significato per chi le conserva.Accidentalmente, al biglietto restò appiccicato un dollaro piegato in due.

La data sulla banconota indicava il 1967; i suoi undici anni.Il dollaro era americano; aveva viaggiato assieme a una delle tante lettere con cui sua zia Cleide comunicava, attraverso di lui, con la famiglia.Sì, perché spettava proprio a lui questo compito di intrattenere rapporti tra nonni, zii e altra parentela con questa zia oltre l’oceano. Ai suoi occhi di undicenne la cosa assumeva un tono piacevole e fastidioso a un tempo.Ricevere qualche banconota non gli dispiaceva certo, e valeva la pena ripetere ogni volta i rituali “stiamo tutti bene” oppure “speriamo ti sia passato l’ultimo acciacco di cui mi hai informato nella tua precedente” con qualche piccola variante che in genere accennava a novità sgradevoli come la perdi-ta di qualche congiunto che Cleide certo conosceva, ma che a lui veniva suggerito da qualcuno.Zia rispondeva regolarmente e, pensandoci, lì sull’autobus, si rese conto che anch’ella doveva aver capito e stava a quel gioco un po’ fasullo tra una ultra ottantenne che aveva scorrazzato da una sponda all’altra dell’oceano e un ragazzino che, forse, non ricordava nemmeno. Certo che Cleide doveva pur essere stata una gran donna se, sola, era partita per le Americhe a vent’anni, aveva avuto un primo marito, poi un secondo che, defunto, le aveva lasciato di che vivere

Claudio Davoli

tram; se avessi dato retta a mia moglie, forse, non sarei qui adesso. Ma io come al solito non le ho dato ascolto. Avevamo litigato violentemente, sai, uno di quei litigi tra innamorati di cui a volte i motivi con il tempo si dimenticano. Allora avevo il vizio di bere. Mi dava forza e coraggio, così dimenticavo tutti i miei problemi. È vero, ero alla guida ubriaco... non mi sembrava di esserlo tanto. Lui è sbucato come un razzo, non mi ha dato il tempo di frenare. Mi è comparso così improvvisamente. Hanno detto che andavo forte. Io non ricordo. L’ho visto cadere, il casco sbalzare sulla strada...la testa in una pozza di sangue.Aveva solo 16 anni, ora ne ha 26. È in coma da quel giorno. Ma non ho smesso di sperare. Un giorno si risveglierà. Ne sono sicuro.”

Lucia Castagnetti

Lucia CastagnettiDocente dell’Istituto Professionale per i Servizi Commerciali e Turistici “Filippo Re” Reggio Emilia

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dai ritmi e dagli stili di vita a cui si era abituata.Tutto doveva apparirle antiquato, inadeguato alla sua nuova vita e, certamente lacerante nella sua condizione di emigrante, in bilico tra due mondi per quegli anni ancora così diversi.Se ne tornò presto negli Stati Uniti, non più amata e non felice di restare.Quasi a cercare conferma per quel pensiero si guardò attorno, sul tram spopolato, alla ricerca di qualche volto di immigrato recente che cercasse una sua America nel nostro paese.Cleide continuò a tenere corrispondenza con lui via via più rada e ridotta fino oltre i suoi novant’anni; finché la casa di riposo che la ospitava comunicò la sua scomparsa.Sul tram, in quel momento, pensò al dollaro e al suo potere evocativo; a come il ricordo degli eventi si riproponga in forme ogni volta nuove e a come fosse piacevole riprenderne i frammenti dal cosmo della memoria.

Claudio Davoli

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tranquillamente, qualche figlio e, insomma, una vita americana in piena regola, come quella di qual-che altra italiana del suo tempo, che magari era diventata anche famosa.Era questa l’immagine, certo trasfigurata, che si era fatto di lei nei suoi pensieri di bambino.Mentre il tram superava l’ennesima fermata, pensò che il ricordo di questa figura si confondeva con la realtà che conosceva di lei e si ricostruiva in nuove immagini che attingevano da tutti gli anni che lo separavano da quella esperienza infantile.Qualche elemento di realtà doveva, tuttavia, aver contribuito a delineare l’immagine di quella Cleide che restava in lui. Il suo corpo filiforme, la chioma vaporosa, lunga e grigia, i suoi occhiali che sfuggi-vano con delle punte così americane. Ma anche sua madre aveva avuto due occhiali così; e la delica-tezza dei gesti, la bianchezza delle pelle e la leggerezza degli abiti, forse, glieli aveva descritti qualche parente per convincerlo meglio al suo ruolo di comunicatore per conto del clan famigliare.Forse l’aveva persino vista questa zia d’America in uno dei suoi rientri in patria, tra un marito e un altro, tra il desiderio di restare e quello di sentirsi definitivamente americana.Doveva aver deciso per il secondo se lui aveva continuato a scriverle.Del resto aveva sempre pensato che in quel nome, così insolito per una donna di una famiglia patriar-cale della pianura, fosse già scritto un destino americano.Gli pareva di ricordare che, nel periodo in cui era ritornata, Cleide fosse insofferente delle vecchie abitudini della famiglia, si sentisse imprigionata da quel mondo della provincia italiana così distante

Claudio Davoli

Claudio DavoliDocente Istituto Professionale Statale Industria e Artigianato “Adelmo Lombardini” Reggio Emilia

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giro? – replicò brusco il vecchio – Vivo con qualche pecora, l’unica luce è quella del sole e della luna, qui non c’è niente da comprare né da rubare. Qui non c’è niente per voi murmèikon».«Murmèikon?», una delle ragazze gialle e blu sgranò gli occhi. «Sì, i murmèikon, proprio voi, formiche umane con le ruote. Voi, la gente che devasta il mondo e distrugge se stessa. Andatevene ora».Il Direttore riprese a parlare con voce ferma: «Tu sei Ciro Cardano, nato ad Afragola, autista alla Til di Reggio Emilia e scomparso in circostanze mai chiarite nel 2031, nel pieno della Guerra dei Bus».Dopo lunghissimi secondi di silenzio, il vecchio socchiuse gli occhi azzurri e all’improvviso roteò con violenza il grosso bastone: «Siete un commando di Distruttori, vero? – gridò il vecchio – Ma non mi avrete facilmente, né me né quanto resta della vecchia civiltà».Nel panico generale solo il Direttore mantenne la calma. Sapeva che quel Ciro Cardano era l’ultimo guerriero della Guerra dei Bus, rimasto ad aspettare un nemico terribile che ormai esisteva solo nelle sue ossessioni. Si rivolse ancora al vecchio: «Non hai capito. Non siamo Distruttori, anche perché i Distruttori non esistono più da molto tempo. Siamo amici, siamo venuti a dirti che la Guerra dei Bus è finita, e che la tua causa ha trionfato».L’uomo ossuto strinse gli occhi: «Tu... tu vorresti farmi credere che la guerra è finita?». Il Direttore sbirciò rapidamente l’orologio immateriale che si disegnava al polso sinistro in una nuvoletta di pixel: «La Guer-ra dei Bus è finita, ehm, esattamente da 32 anni, cinque mesi, nove giorni e undici ore. Noi ne siamo la prova: come vedi, non siamo armati».

Pierluigi Ghiggini

L’ultimo guerriero

Il direttore del Museo Eurasiatico della Mobilità saliva lungo la pista abbandonata che penetrava nel folto della foresta appenninica. Era magro come possono esserlo le persone piuttosto anziane, la bar-ba canuta e incolta, ma il passo ancora deciso e vigoroso. Dietro di lui arrancava una strana comitiva

di persone arrivate da tre continenti: spiccavano le acconciature gialle e blu di due ragazze dall’aria appena svagata, e gli idiomi tradizionali si mescolavano alla neolingua, quel chiocciare veloce e metal-lico considerato insopportabile dagli intellettuali, ma che ormai era penetrato nelle teste di molti umani metropolitani.Sapeva, l’anziano Direttore, che dopo tanti anni di ricerche era arrivato il momento di un incontro straordinario, forse il più importante della sua vita. Ma neppure lui poteva immaginare quanto. Si fermò appena in tempo, e solo per puro caso non fu colpito da un grosso bastone dal quale spunta-vano antichi chiodi rugginosi. Dai margini in ombra della pista comparvero le spalle ossute e gli occhi scintillanti di un vecchio coperto di stracci: coperto, si fa per dire, da quanto restava di una giacca e brache lunghe color carta da zucchero dal taglio arcaico.Il Direttore si riparò con le mani: «Non colpirmi – disse con una voce calma e profonda - Ho combat-tuto per la tua stessa causa e ho subito la deportazione in un lager di Ricondizionamento. Siamo venuti per darti una notizia importante e ti prego solo di ascoltarmi. Poi ce ne andremo».«Avrà novant’anni», sussurrò una delle ragazze. «È incredibile come sia riuscito a resistere qui per decen-ni, solo e senza mezzi, dimenticato da tutti. L’ultimo giapponese nella jungla...». «Chi credi di prendere in

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due mani. Il Direttore divorava quel minibù con gli occhi, e balbettava come un bimbo davanti ai regali di Natale: «C’è tutto, proprio tutto, anche i marchi, e le scritte originali, Act, Til, di cui sino ad oggi ave-vamo solo delle ricostruzioni, a causa della distruzione di tutti gli archivi». Era frastornato, non riusciva a crederci. Chiamò il vecchio accanto a sé: «Ne ho viste tante, e molte volte mi sono pentito dei miei pregiudizi. Durante la Repressione ho fatto il controllore clandestino sul Nottetempo del Ministero della Magia, protetto segretamente dal grande Albus. Ancora oggi faccio fatica a credere che esista. Poi la fuga in Africa: trovai un posto come autista del servizio Gorilla Smarriti. Presi per pazzo il vecchio Osvaldo, quando me ne parlò. Eppure quante notti ho passato a bordo di quella corriera verde, a raccattare i gorilla che vagavano senza meta nelle strade fangose della città, per trasportarli sino alla foresta...». Un sorriso sottile gli illuminò le mille rughe del viso, mentre con la mano accarezzava la carrozzeria liscia e pulita come sessant’anni prima: «Questo però supera tutto. Mai e poi mai avrei immaginato di scoprire insieme all’ultimo guerriero anche l’unico minibù scampato alla Guerra». Ciro Cardano parlò: «È bello, vero? Un museo di sogni e nostalgia. All’epoca anche a Reggio operavano i combattenti clandestini che a rischio della vita cercavano di mettere in salvo qualcosa del passato. Una notte riuscimmo a impadronirci di questo mezzo e, grazie ai nostri fratelli sotto copertura, la scomparsa fu camuffata come esecuzione tecnologica, una delle tante. E qui è rimasto sempre. Lei capirà ora la mia reazione: ho vissuto tutti i giorni e le notti nell’attesa dei Distruttori, nell’attesa della morte. Sì, avrei di-feso il minibù sino alla fine». I due vecchi uscirono dalla stalla-garage. Si sedettero su una grossa pietra,

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Il vecchio appoggiò una mano a un albero, stringendo la corteccia, mentre l’emozione lo soffocava. «Ho sofferto la fame e l’ostracismo per anni sotto il giogo dei murmèikon, mentre in tutto il mondo autobus e treni venivano distrutti con metodo scientifico, mezzo dopo mezzo, linea dopo linea. Poi il lager, poi la fuga in questa montagna...». Il Direttore lo interruppe: «Sappiamo bene cosa è avvenuto. Ma tu, tu come hai fatto a sopravvivere e a nasconderti per tanto tempo, a salvarti dai Distruttori e dalla loro religione, e poi a sfuggire a ogni ricerca...». Il vecchio si mosse lentamente. «Seguitemi, faremo presto. Vedrete dove ho vissuto per tutto questo tempo». Il gruppo camminò in silenzio e neppure si rese conto, dopo pochi minuti, di trovarsi in una radura circondata dalle fronde di querce imponenti che nasconde-vano una capanna, un piccolo fienile e alcune pecore che brucavano.Entrò nella stalla di legno, piena sino al soffitto di paglia e fieno secco. Iniziò a togliere i mucchi fre-neticamente, ma erano sempre troppi: «Aiutatemi». Passò poco tempo, un breve lasso interminabile, e mentre il fieno si accumulava all’esterno, rapidamente veniva alla luce una sagoma metallica, elegante e contenuta. Una carrozzeria bianca, finiture in alluminio, e poi il muso, i fanali, i cristalli in condizioni perfette. Tutti, a un certo punto, fecero un passo indietro e rimasero impietriti: di fronte a loro, dentro alla falsa stalla illuminata da un filo di luce, comparve un meraviglioso modello di minibù urbano, in condizioni perfette. Era uno degli ultimi entrati in esercizio prima del tragico Pogrom Planetario, aveva la guida elettronica e le poltroncine con musica, video-Rete, barometro e chat incorporata. Un esem-plare unico al mondo, in un mondo in cui i bus sopravvissuti alla guerra si contavano forse sulle dita di

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tato un motivo d’orgoglio. Le gerarchie dello status sociale sono ribaltate rispetto a 30 anni fa. Anche perché il mezzo collettivo arriva dappertutto: lo chiami quando vuoi e dove vuoi, per ogni destinazione possibile. È veloce, e non devi pensare al bollo e al rifornimento d’energia». Il minibù eroicamente salvato da Ciro Cardano restò lassù nella foresta appenninica: la capanna e il fienile-garage furono dichiarati Patrimonio dell’Umanità e la radura tra le querce diventò un piccolo, celebre museo. Presto si moltiplicarono i pellegrinaggi degli ultimi reduci della Guerra dei Bus e soprattutto delle scolaresche da ogni parte del continente. Il vecchio, che aveva deciso di vivere ancora un po’, riceveva tutti seduto sulla pietra: spiegava i segreti del minibù d’anteguerra e a tutti ripeteva i suoi racconti. Guardava per-plesso quei ragazzi in gita che lo ascoltavano per lo più con sufficienza, sempre incollati al video virtuale tridimensionale che si formava a comando davanti ai loro occhi. Gli sembravano fastidiosi e troppo prevedibili. «Capiranno mai qualcosa?». Poi si rivedeva alla loro età, indolente a scuola e con la musica nelle orecchie, e più tardi, quando regolarmente veniva multato alla Til perché timbrava in ritardo dopo aver trascorso la notte in disco. «Capiranno anche loro, o sì che capiranno...». Sapeva che prima o poi avrebbero compreso e magari de-siderato la sua vita vissuta in nome dell’ultimo minibù: «Vale sempre la pena combattere per una causa giusta, anche se si resta soli. Prima o poi qualcuno scoprirà il tuo sentiero e seguirà i tuoi passi».

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circondati dagli altri. Nessuno voleva perdere una parola di quel momento straordinario, di portata sto-rica. «Immagino che la mia missione sia conclusa – sospirò Ciro Cardano – Sono felice di consegnarti questo minibù e, se lo vorrai, le mie memorie. Ma dimmi: come abbiamo fatto a vincere la guerra?».Il Direttore rispose: «Non l’abbiamo vinta noi, caro amico, l’ha vinta molto semplicemente l’umanità. Nella loro follia i murmèikon finirono per mangiarsi fra loro, come nel pasto delle foche. La messa al bando dei bus su scala mondiale provocò il collasso della società e del pianeta. Nella sola Europa arri-vammo ad avere 1800 automobili ogni cinquecento abitanti, un’automobile ogni due metri di strada. La paralisi fu totale. E un giorno, quando si scoprì che l’inquinamento e lo stress avevano reso sterili quasi il 60% delle coppie che vivevano nelle metropoli, i governi furono costretti anche a bloccare la circola-zione, per scongiurare la scomparsa dell’umanità. Ma già da tempo si profilava la fine del sistema: molta gente aveva deciso di non viaggiare più, neppure per andare al lavoro. Preferiva la povertà all’infelicità. Il meccanismo economico si bloccò rapidamente, fu chiusa la maggioranza dei centri commerciali, cominciarono i licenziamenti e presto caddero i primi governi murmèikon. Il crollo avvenne di colpo. Le automobili finirono in enormi cimiteri e solo una parte fu mantenuta per il trasporto collettivo, sino a quando non riprese in grande stile la produzione di mezzi pubblici, prima con i vecchi progetti salvati dal Grande Pogrom, poi con modelli sempre più sofisticati e diversificati». «Ma automobili, ne esistono ancora?». Il Direttore si grattò la barba: «Poche, per la verità. Non c’è più bisogno di proibirle. Oggi viaggiare tutti insieme sul bus voltaico o sulle caravelle magnetiche, è diven-

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Pierluigi Ghiggini, giornalista.

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Il libroPer la terza edizione (2006) di “Racconti in viaggio”, una Giuria presieduta dal presidente di ACT Giulio Fantuzzi ha scelto – sui 101 racconti pre-selezionati dai docenti e in seguito proposti all’attenzione dei giurati - i trenta migliori racconti classificati, che sono confluiti in questo libricino, di cui sono state ad oggi tirate 6.000 copie.

Il progettoMa “Racconti in viaggio” è qualcosa di più di un “premio letterario” (e del libro che ne trae origine).È anche, e soprattutto, un progetto. Anzi, tre progetti in uno, perché è al tempo stesso un progetto di scrit-tura creativa, un progetto editoriale e un progetto di comunicazione.

Si tratta infatti di un’iniziativa con caratteristiche particolari, per tre ordini di motivi:Il primo: nasce per iniziativa di un gruppo d’insegnanti di una scuola professionale, l’Istituto Professionale Statale per i Servizi Commerciali e Turistici “Filippo Re” di Reggio Emilia, che con il loro “credo forte” non solo sono riusciti ad avviare egregiamente l’iniziativa, ma sono stati poi capaci di allargarne il raggio d’azione, coinvolgendo gli insegnanti di Lettere di altri istituti superiori del reggiano e quindi un numero sempre più ampio di scuole e di studenti. Ad oggi, gli Istituti scolastici che hanno preso parte al progetto sono, oltre alla “Filippo Re”, l’Istituto Professionale Statale Industria e Artigianato “Adelmo Lombardini” di Reggio Emilia e l’Istituto Statale “Silvio D’Arzo” di Montecchio Emilia.

Sarah GrugnettiSarah Grugnetti

Racconti in viaggio” è il premio letterario istituito tre anni or sono dall’ACT e patrocinato dal Co-mune e dalla Provincia di Reggio Emilia (quest’anno con il contributo della Fondazione Pietro Manodori) per sostenere e supportare i progetti di scrittura creativa finalizzati a promuovere la

pratica della lettura e della scrittura tra gli studenti del biennio delle scuole superiori del reggiano. Dalla prima edizione del premio – che vide la partecipazione, nel 2003, delle otto classi del biennio dell’Istituto Professionale Statale per i Servizi Commerciali e Turistici “Filippo Re” di Reggio Emilia, per un totale di 182 alunni, guidati dai rispettivi docenti di Lettere (con la collaborazione del Laboratorio Baobab/Spazio Giovani Scritture del Comune di Reggio Emilia), scaturì un piccolo libro, “Racconti in viaggio”, edito da ACT in 5.000 esemplari. Il libro raccoglieva i ventitre racconti più riusciti, ispirati al tema del viaggio in bus, selezionati da una giuria di “specialisti della parola”, composta, tra gli altri, dall’allora presidente di ACT prof. Marco Bianchini (professore ordinario di Storia del pensiero economico presso l’Università di Parma), da Beppe Carletti dei Nomadi, dallo scrittore Giuseppe Caliceti e da alcuni tra i più noti gior-nalisti delle testate reggiane: Pierluigi Ghiggini, allora direttore di “Ultime Notizie”, Ippolito Negri, allora capocronista del “Resto del Carlino Reggio”, e Luigi Vinceti, redattore della “Gazzetta di Reggio”. Dopo il successo della prima edizione, negli anni scolastici successivi l’iniziativa si è estesa ad altri istituti superiori reggiani - alla “Filippo Re” si sono affiancati l’Istituto Professionale Statale Industria e Artigianato “Adelmo Lombardini” di Reggio Emilia e l’intero polo scolastico del “Silvio D’Arzo” di Montecchio -, i quali han-no dato vita a nuove esperienze di “scrittura creativa”, che hanno visto il coinvolgimento di un numero sempre più ampio di studenti delle classi del biennio di istruzione superiore: cinquecento nella seconda edizione (anno scolastico 2004/2005) e settecento nella terza edizione (anno scolastico 2005/2006).

Un premio letterario a sempre più ampio raggio

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- per l’Istituto Professionale Statale Industria e Artigianato “Adelmo Lombardini” di Reggio Emilia”: Donatella, Costa, Claudio Davoli;- per l’Istituto Superiore “Silvio D’Arzo” di Montecchio Emilia: Tiziana Badodi, Mauro Bertani, Ombretta Bertoletti, Matilde Lorente Hernandez, Valeria Manini, Anna Maria Montanari, Paolo Panciroli, Elisabetta Reggi, Silvia Simonazzi, Maria Teresa Torreggiani.

I laboratori sono nati dal desiderio condiviso dai docenti di Lettere di promuovere la pratica della lettura e della scrittura in modo concreto tra i ragazzi delle classi del biennio, partendo dai temi e dai modi di esprimersi a loro più vicini, come occasione per far loro capire che leggere, e poi scrivere, sono importanti momenti di osservazione, di comunicazione e di riflessione sulla realtà.

I laboratori di scrittura attivati hanno preso le mosse dai seguenti “presupposti”:

- Scrivere significa dar forma e voce al proprio mondo interiore, significa dare fiducia a se stessi, immer-gersi in un mondo pieno di parole, di ambienti veri e immaginari, di persone che non si sono mai incon-trate ma che si conoscono bene, di avvenimenti che possono non essere accaduti ma che, se accaduti, hanno cambiato la vita.

- Scrivere significa essere liberi e responsabili delle figure che si creano, di scegliere trama e finale, di fare una scelta.

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Il secondo: vede protagonista un’azienda di pubblico servizio, quale ACT, che - in coerenza con il suo mandato sociale e con il patrimonio di sensibilità degli enti locali reggiani, di cui essa è espressione - si è presa il compito di affiancare l’iniziativa in ogni suo passo (ideativo, redazionale, grafico, tipografico, editoriale) e di pubblicare e distribuire i racconti più belli e più riusciti prodotti dai ragazzi. Il terzo: coinvolge il Comune e la Provincia di Reggio Emilia, che, concedendo il loro patrocinio all’ini-ziativa, hanno deciso di accompagnarvisi e di offrire il proprio impegno perché essa potesse decollare e avere una buona riuscita.La comunanza d’intenti e l’esperienza preziosa che hanno preso corpo in “Racconti in viaggio” costitui-scono dunque un buon esempio di quanto Reggio Emilia e il suo territorio, la sua gente e i suoi ragazzi, così come le sue istituzioni e le sue aziende pubbliche, sanno esprimere.

I laboratori di scrittura creativaI laboratori di scrittura creativa previsti dal progetto “Racconti in viaggio” hanno visto la partecipazione, nell’anno scolastico 2005/2006, di un numero consistente di studenti reggiani: oltre settecento, apparte-nenti alle classi del biennio dell’Istituto Professionale Statale per i Servizi Commerciali e Turistici “Filippo Re”, dell’Istituto Professionale Statale Industria e Artigianato “Adelmo Lombardini” di Reggio Emilia e dell’Istituto Superiore “Silvio D’Arzo” di Montecchio Emilia, guidati dai rispettivi docenti di Lettere.Gli insegnanti che hanno aderito al progetto, coinvolgendo le loro classi, sono: - per l’Istituto Professionale Statale per i Servizi Commerciali e Turistici “Filippo Re” di Reggio Emilia:Gabriella Bonini, Lucia Castagnetti, Federica Ferrari, Luciano Pigoni, Luciana Reverberi, Annamaria Sca-labrini, Manuela Zinani;

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Tema:1. “Piccole scene che accadono in autobus”: cronaca, dialogo, resoconto del viaggio, il reportage in presa diretta che racconta un episodio accaduto al tempo presente, come fosse una scena teatrale. Il tempo del racconto è il tempo della narrazione.2. “Io sono... un pensionato/l’autista/il controllore/una casalinga...”, ossia: “Chi c’è sull’autobus?”- Identikit di un personaggio (chi è, aspetto esteriore, aspetto comportamentale...). L’io narrante scrive la propria presentazione, allo scopo di entrare nel personaggio.- Costruzione del racconto intorno alle domande: Chi sei? Perché sei qui? Dove stai andando?

Struttura:Racconto breve: una scena con unità di tempo e di luogo al tempo presente, con utilizzo di dialogo diretto e descrizione del/dei personaggio/i.Motore narrativo alla base è la domanda: “dove stai andando?”

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- Far leggere agli altri il proprio pensiero significa accettare di sottoporsi al loro giudizio, significa confron-tarsi, farsi accettare e sapersi accettare, avere quindi fiducia in sé: in altre parole, significa diventare adulti.- Leggere vuole dire essere liberi di sprofondare nell’immaginario, nel consultare se stessi, la propria memoria fisica, percettiva, emotiva, estetica, immaginaria, rispondendo al segno della parola con il senso dell’immagine.

Obiettivi didattici:- promuovere la pratica della lettura e della scrittura all’interno della vita scolastica- valorizzare la scrittura creativa degli studenti- favorire la riflessione linguistica e l’analisi dei testi- migliorare la padronanza dello strumento linguistico cogliendone le potenzialità comunicative ed espressive- favorire l’espressione personale- stimolare e promuovere la spontaneità, l’immaginazione, la creatività individuale- favorire l’abitudine all’osservazione di sé, degli altri e dell’ambiente circostante- valorizzare le potenzialità e le abilità comunicative degli studenti

Obiettivo finale:- realizzare un libro a stampa contenente una selezione dei racconti prodotti dagli studenti: testi di storie collettive o individuali, in grado di esprimere e mostrare cosa pensa e cosa scrive la generazione di oggi.

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delle istituzioni reggiane, dei vertici di ACT, del corpo docente e degli studenti coinvolti nel progetto “Rac-conti in viaggio”, nonché dei membri della Giuria che hanno partecipato alla selezione.Gli studenti ai quali è stato assegnato il premio ACT 2006 per i primi tre migliori racconti selezionati sono, nell’ordine:1- Alessandra Canal, dell’Istituto Superiore “Silvio d’Arzo” di Montecchio Emilia, indirizzo IGEA, prima classificata con “La macchinetta filosofa” (racconto pubblicato a pag. 27);2- Sara Lanzani, dell’Istituto Superiore “Silvio d’Arzo” di Montecchio Emilia, indirizzo Liceo Scientifico, seconda classificata con “Vedo, guardo, osservo” (racconto pubblicato a pag. 45);3- Ena Cipriani Marelja e Sara Falcone, dell’Istituto Professionale Statale per i Servizi Commerciali e Tu-ristici “Filippo Re” di Reggio Emilia, terzi classificati ex aequo, con “La trasformazione” (la prima) e “Un messaggio d’amore” (la seconda): racconti pubblicati rispettivamente a pag. 30 e a pag. 36;

La Giuria ha inoltre conferito una speciale menzione “Racconti in viaggio” a Milos Joksimovic, per l’Isti-tuto Professionale Statale Industria e Artigianato “Adelmo Lombardini” di Reggio Emilia, con “Un viaggio nell’incubo” (racconto pubblicato a pag. 42).

Sarah Grugnetti

La giuriaI racconti elaborati dagli studenti che hanno preso parte ai laboratori di scrittura creativa sono stati letti e selezionati da una Giuria specificamente designata, composta da:- Mauro Bertani, docente di Lettere dell’Istituto Statale “Silvio D’Arzo” di Montecchio Emilia- Maria Giuseppina Bo, giornalista (Il Resto del Carlino)- Umberto Bonafini, giornalista (Il Giornale di Reggio)- Gabriella Bonini, docente di Lettere dell’Istituto Professionale Statale per i Servizi Commerciali e Turistici “Filippo Re” di Reggio Emilia- Claudio Davoli, docente di Lettere dell’Istituto Professionale Statale Industria e Artigianato “Adelmo Lombardini” di Reggio Emilia- Giulio Fantuzzi, presidente ACT (e presidente Giuria)- Massimo Ghiacci, musicista (Modena City Ramblers)- Pierluigi Ghiggini, giornalista- Sarah Grugnetti, giornalista, responsabile Comunicazione ACT- Andrea Mastrangelo, giornalista (Reporter)- Luigi Vinceti, giornalista (Gazzetta di Reggio)

La cerimonia di premiazioneLa cerimonia di premiazione degli autori dei primi tre racconti prescelti dalla Giuria si è svolta il 19 dicem-bre 2006 presso la Sala Tricolore del Municipio di Reggio Emilia, alla presenza dei massimi rappresentanti

Sarah Grugnetti

Sarah GrugnettiResponsabile Comunicazione ACT

Yuri - Chiara Gnani 39

In viaggio verso il mare - Samantha Iodice 40

Il tuo sguardo - Martina Iotti 41

Un viaggio nell’incubo - Milos Joksimovic 42

Vedo, guardo, osservo - Sara Lanzani 45

Il mio paese - Alessandra Maida 48

Perdere l’autobus - Sonia Marinello 49

Viaggio interiore - Federico Mastellari 51

Il viaggio di un disabile - Pasquale Matichecchia 53

Una giornata iniziata bene - Antonella Mendicino 55

La corriera del destino - Mattia Musatti 57

Il biglietto - Anna Rastiello 59

Ogni pullman è diverso - Giovanni Reggi 60

La corriera fantasma - Cristian Romano 62

Invidia - Renato Torre 64

Chi sono gli sfig... ? - Andrea Santi 66

Piccolo, ma utile - Silvia Trotta 68

Uno strano indovinello - Qiu Xinfeng 70

Ricordi educativi di corriera - Mauro Bertani 74

Nei loro occhi - Gabriella Bonini 77

Giocando con le paroleGabriella Bonini, Annamaria Scalabrini, Manuela Zinani 79

Villa del ritorno - Lucia Castagnetti 82

In bilico tra due mondi - Claudio Davoli 85

L’ultimo guerriero - Pierluigi Ghiggini 88

Un premio letterario a sempre più ampio raggio - Sarah Grugnetti 94

Sommario

Le domande dei giovani ci sono careGraziano Delrio - Sindaco di Reggio Emilia 6

Un momento di incontro unico nel suo genereSonia Masini - Presidente della Provinciadi Reggio Emilia 8

La carica dei 101Giulio Fantuzzi - Presidente ACT 11

Chi non sa scrivere non fa carrieraMauro Bertani, Gabriella Bonini, Claudio DavoliDocenti 14

Inutile - Luca Alberici 18

Il “solito” pullman - Sara Anceschi 19

Anna ragazza ideale - Alan Bagalà 21

Peccato non saperlo - Davide Baruffi 24

L’ultima corsa del giorno - Michele Calvi 26

La macchinetta “filosofa” - Alessandra Canal 27

La trasformazione - Ena Cipriani Marelja 30

L’autobus - Eugenio Luca Antonio D’Ecclesiis 33

Il povero bottoncino - Veronica De Rosa 34

Verso la mia città - Hamadou Diabre 35

Un messaggio d’amore - Sara Falcone 36

Il pulsante - Giuseppe Floramo 38

Legenda simboli

Istituto Superiore “Silvio d’Arzo”, Montecchio Emilia

Istituto Professionale Statale per i Servizi Commerciali e Turistici “Filippo Re”, Reggio Emilia

Istituto Professionale Statale Industria e Artigianato “Adelmo Lombardini”, Reggio Emilia

Note Note

Progetto a cura dell’Ufficio Comunicazione Gruppo ACT - Azienda Consorziale Trasporti di Reggio Emilia

Responsabile: Sarah GrugnettiViale Trento Trieste, 11 - 42100 Reggio Emilia (RE)Tel. +39 0522/927.611 - Fax +39 0522/[email protected] - www.actre.it

Supplemento speciale al numero 38 (19/12/2006) di Info ACT, newsletter dell’Azienda Consorziale Trasporti di Reggio EmiliaRegistrazione del Tribunale di Reggio Emilia n. 1117 del 11/05/2004Direttore responsabile: Sarah Grugnetti

Finito di stampare nel mese di Dicembre 2006presso Grafiche dell’Artiere, Via Romagnoli 5/2, 40010 Bentivoglio (BO), ItalyPrinted in Italy