schelling - introduzione alle idee per una filosofia della natura

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  • 7/31/2019 Schelling - Introduzione Alle Idee Per Una Filosofia Della Natura

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    F.W.J. Schelling

    IN TRODUZION E ALLE IDE E PE R UNA FILOSOFIA DELLA NATURA

    http://www.ousia.it/
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    (1797 I ed., la traduzione qui presente basata sulla II ed. del 1803 che presenta lievimodificazioni rispetto alla p rima)

    Che cosa sia in generale la Filosofia, una domanda alla quale non si pu rispondere cosimmediatamente. Se fosse possibile accordarsi su di un determinato concetto d i Filosofia, basterebbe

    analizzare questo concetto per venire in possesso di una Filosofia universalmente valevole. La cosa stacos: la Filosofia non qualcosa che sia presente originariamente e per natura al nostro spirito senzabisogno di alcuna attivit da parte di questo; ma essa invece opera della libert. Essa per ciascunosoltanto ci che egli fa; e perci anche lidea della Filosofia soltanto risultato della Filosofia stessa, laquale, in quanto una scienza infinita, insieme la scienza di se stessa.

    Quindi, invece di premettere un concetto qualsiasi di Filosofia in generale, o di Filosofia della

    Natura in particolare, per poi risolverlo nelle sue parti, mi sforzer di far sorgere davanti agli occhi dellettore un tale concetto .

    Ma poich bisogna pur prendere le mosse da qualche cosa, io presuppongo che una Filosofia della

    Natura debba dedurre da principii la possibilit di una Natura, cio del mondo complessivodellesperienza. Ma questo concetto non lo tratter analiticamente, n, presupponendolo come giusto,vorr trarne delle conseguenze: ma prima di tutto ricercher se abbia in generale realt, o se esprimaqualco sa che si possa realizzare.

    SUI PROBLEMI CHE DE VE RISO LVERE UNA FILOSOFIA D ELLA NATURA

    Chi si immerso nello studio della Natura o nel mero godimento del suo regno non si chiede seuna Natura ed una esperienza siano possibili. Per lui essa l, e tanto basta, egli lha resa molto realecon lazione; e la domanda che cosa sia possibile la fa solo chi non crede di tenere in mano la realt.

    Epoche intere sono trascorse nellindagine della natura, e non si ancora stanchi di essa. Individui

    hanno dedicato tutta la loro vita a questa impresa e non hanno ancora cessato di adorare la dea velata.Grandi spiriti, senza aver cura di esaminare i principii su cui erano fondate le loro scoperte, sono vissutinel loro proprio m ondo: e che co sa tutta quanta la gloria dellacuto genio di colui che dub ita inconfronto alla vita di un uomo che ha portato un mondo nel suo cervello e tutta quanta la natura nellasua imm aginazione?

    Come sia possibile un mondo fuori di noi, come sia possibile una natura e con essa unesperienza,sono dom ande che dobbiamo alla Filosofia: o m eglio, con queste d omande nata la Filosofia. Prima gliuomini erano allo stato di natura (in senso filosofico). Allora luomo era ancora uno con s e con ilmondo che lo circondava. In oscure reminiscenze questo stato si presenta ancora agli occhi anche diquei pensatori che se ne sono pi sviati. Molti non lo abbandonerebbero mai e sarebbero felici in sestessi, se non li seducesse il malo esempio; perch la natura non libera spontaneamente nessuno dalla

    sua tutela, e nessuno nato figlio della libert. N on si potrebbe neppure concepire come luom o avessepotuto uscire da quello stato, se non sapessimo che il suo spirito, il cui elemento la libert, aspira arendersi libero, e doveva prima svincolarsi dai ceppi della natura e dalle cure di essa, lasciandolaallinconsapevole sorte delle sue pro prie forze, per p oter p oi tornare co me vincitore e per opera p ropriaa quello stato in cui, inconscio d i s, aveva vissuto la fanciullezza della sua ragione.

    Non appena luomo si pone in opposizione con il mondo esterno (e come lo faccia lo vedremo inseguito), fatto il primo p asso verso la Filosofia. Con quella separazione ha inizio la riflessione; dora in

    poi egli separa ci che la natura aveva unito per sempre, separa loggetto dallintuizione, il concettodallimmagine, e alla fine, facendosi oggetto a se stesso, separare s da s.

    Ma questa separazione soltanto mezzo non fine. Perch lessenza delluomo lazione. Ma quantomeno egli riflette su di s, tanto pi attivo. La sua attivit pi alta quella che non conosce se stessa.

    Non appena egli fatto oggetto di s, non pi tutto quanto luomo che agisce: egli ha annullato unaparte della sua attivit per riflettere sullaltra. Luomo non nato per sciupare la sua forza spiritualenella lotta contra il fantasma di un mondo immaginario, ma per usare tutte le sue forze nei confronti

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    con un m ondo ch e influisce su di lui, ne met te a pro va la potenza e sul quale egli pu agire di rimando ;quindi fra lui e il mondo non deve essere aperto alcun abisso; fra di essi deve essere possibile il contattoe lazione reciproca ch solo cos luomo diventa uomo. Originariamente nelluomo vi un assolutoequilibrio delle forze e della coscienza; ma egli mediante la libert pu distruggere questo equilibrio, perpo i ristabilirlo mediante la libert. Ma so lo nellequilibrio delle fo rze vi sanit.

    La mera riflessione dunque una malattia dello spirito delluomo, soprattutto in quanto essainstaura la sua signoria su tut to quanto luomo, signor ia che uccide in em brione la sua pi alta esistenza

    e alle radici la sua vita spirituale, che rampolla soltanto dallidentit. Essa una male, che accompagnaluomo nella vita e distrugge in lui ogni intuizione anche per i pi comuni oggetti della conoscenza. Lasua opera di separazione non si limita al mondo fenomenico; separando da questo il principio spirituale,riempie il mondo intellettuale di chimere contro le quali non possibile lotta alcuna, perch esse stannodel tutto al di l della ragione. Essa rende permanente la separazione delluomo dal mondo,considerando questultimo come una cosa in s, che n intuizione n immaginazione, n intelletto n

    ragione riescono a raggiungere.D i fronte ad essa sta la Filosofia, che con sidera la riflessione generale semplicemente come un

    mezzo. La Filosofia deve presupporre quella separazione originaria, ch senza di quella non avremmo

    bisogno di filosofare.Perci essa non accorda alla riflessione che un valore negativo. Parte da quella separazioneoriginaria per to rnare ad unire mediante la libert ci ch e nello sp irito umano era originariamente unitosecondo necessit, cio per superare per sempre quella separazione. E poch si fatta essa stessa

    necessariamente mediante quella separazione e ci pure era soltanto un male necessario, unadisciplina della ragione traviata , da questo punto di vista alla distruzione di s. Quel filosofo cheavesse speso tutta o una parte della sua vita a seguire la filosofia di riflessione nel suo infinito duplicarsi,per poi superarlo nelle sue ultime opposizioni, per questo servigio, che anche se negativo dovrebbeessere considerato pari agli altri pi elevati, si guadagnerebbe il posto pi degno, anche se non avessepotuto arrivare alla gioia di vedere la filosofia nella sua forma pi assoluta risorgere dalle lacerazioni

    introd otte dalla riflessione per s. Lesposizione pi semp lice di prob lemi complessi semp re la

    migliore: chi per primo fece attenzione a ci, che egli poteva distinguere se stesso dalle cose esterne, equindi le sue rappresentazioni dagli oggetti, e viceversa, fu il primo filosofo. Per primo egli ruppe ilmeccanismo del suo pensiero, distrusse lequilibrio della coscienza nella quale soggetto ed oggetto sonouniti nella maniera pi intima.

    In quanto mi rappresento loggetto, oggetto e rappresentazione sono una e la medesima cosa. E

    proprio in questa incapacit di distinguere, nellatto della rappresentazione, loggetto dallarappresentazione, che si fonda per lintelletto comune la convinzione della realt delle cose esterne, dicui tuttavia ha not izia soltanto attraverso rappresentazioni.

    Questa identit delloggetto e delle rappresentazioni viene tolta dal filosofo, in quanto egli chiede:come si formano in noi le rappresentazioni di cose esterne? Mediante questa domanda trasportiamo lecose fuori di noi, le presupponiamo come indipendenti dalle nostre rappresentazioni. E quindi ci deve

    essere fra loro e le nostre rappresentazioni un rapporto. Ma noi non conosciamo altro rapporto realefra cose diverse che quello di causa ed effetto; perci la prima ricerca della filosofia consiste nel cercaredi porre oggetto e rapp resentazione n el rappo rto d i causa ed effetto.

    Ma abbiamo posto espressamente le cose come indipendenti da noi. Tuttavia ci sentiamodipendenti dagli oggetti, perch la nostra rappresentazione reale solo in quanto noi siamo necessitatiad ammettere una concord anza fra essa e le cose: perci non possiamo con siderare le cose com e effettidelle nostre rappresentazioni. Quindi non rimane altro che considerare le rappresentazioni come

    dipendent i dalle cose, queste come cause, quelle come effetti.Ma subito a prima vista si scorge che con questo tentativo non otteniamo quello che volevamo.

    Volevamo spiegare come avvenga che in noi oggetto e rappresentazione siano uniti in manierainseparabile, poich solo in questa unione sta la realt del nostro sapere di cose esterne, ed proprio

    questa realt che il filosofo deve esporre. Solo se sono causa delle nostre rappresentazioni le cosepossono precedere le rappresentazioni: ma con ci la separazione delle une dalle altre diviene

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    permanente. Ma noi, dopo aver separati mediante la libert oggetto e rappresentazione, volevamo dinuovo mediante la libert riunirli; volevamo sapere che, e perch, fra di essi non v separazione alcuna.

    Ino ltre no n con osciamo le cose che mediante le nostre rappresentazioni, e in esse: e perci nonabbiamo alcun concetto d i che cosa mai siano esse in quanto precedent i le nostre rappresentazioni, cioin quanto non rappresentate.

    Infine, se io chiedo come avviene che io abbia rappresentazioni, pongo me stesso al di sopra dellarappresentazione; mediante questa stessa domanda io divengo un essere che si sente originariamente

    libero nei riguardi di ogni attivit rappresentatrice, che contempla al di sotto di s la stessarappresentazione e tutte le connessioni fra le sue rappresentazioni. Attraverso questa stessa domanda iodivengo un essere che, indipendentemente dalle cose esterne, ha un Essere in se stesso.

    Quindi con questa domanda io mi tiro fuori dalla serie delle mie rappresentazioni, mi dico scioltodal rapporto con le cose, pervengo ad un punto ove alcuna forza esterna non pu raggiungermi; ed oraper la prima volta si scindono due entit nemiche, lo Spirito e la Materia. Io le colloco in due mondi

    diversi fra i quali non pi possibile rapporto alcuno. Per il fatto che esco dalla serie delle mierappresentazioni, anche causa ed effetto sono concetti che contemplo al di sotto di me: infatti essirisultano solo dalla necessaria successione delle mie rappresentazioni, dalla quale io mi sono sciolto.

    Come posso dunque sottopormi a mia volta a questi concetti, e fare agire su di me le cose che sonofuori di me? [C i stato fin dal principio obiettato alla filosofia k antiana da alcuni uomin i acuti. Q uesta filosofia fanascere tut ti i concetti di causa ed effetto n el nostro spirito, nelle nostre rappresentaz ioni, e poi di n uovo fa causare in me

    dalle cose esterne le rappresentaz ioni stesse, secondo la legge di causalit. U na volta ci non lo si voleva sentire; ma ora lo

    si dovr pur udire. N .d.A .]Oppure possibile fare il tentativo opposto, lasciare che le cose esterne operino su di noi e poi

    spiegare come noi, malgrado ci, perveniamo alla domanda come siano possibili in noi lerappresentazioni?

    A dire il vero, non concepibile come le cose possano agire su di me (un essere libero). Concepiscosolo come le cose agiscono sulle cose. Ma in quanto io sono libero (ed io lo son o, in quanto mi elevo al

    di sopra dellinsieme delle cose, e mi chiedo come questo stesso insieme sia possibile) io non sono

    una cosa, un obietto. Io vivo in un mondo che tutto mio proprio, sono un essere, che non esiste peraltri esseri, ma solo per se stesso. In me possono essere solo atto e attivit; da me possono soltantoavere inizio azioni, ma non pu esservi alcun patire, perch patire si ha solo l ove sia azione e reazione,e questa solo nel rapporto delle cose, al di sopra delle quali io mi sono innalzato. Supponiamo pureche sia cos, che io sia una cosa confusa anchessa nella serie delle cause e degli effetti, e tutto quanto il

    sistema delle mie rappresentazioni sia un mero risultato delle molteplici azioni che hanno adoperato sudi me dallesterno in breve, che anchio sia una mera opera del meccanismo. Ma ci che compresonel meccanismo , non pu uscire dal medesimo e ch iedere: come stato possibile tutto ci? Qui, in senoalla serie dei feno men i, lassoluta necessit

    Gli ha assegnato il suo posto: se esso lo abbandona, non pi questo essere, e non si comprendepi come una qualunque causa esterna possa agire su questo essere indifferente, completo e perfetto in

    se stesso.Per poter filosofare bisogna dunque essere capaci di quella stessa domanda, con la quale ha inizioogni filosofia. E questa domanda non tale che si possa ripetere ad altri senza unattivit da parte diquesti: essa un problema liberamente posto, spontaneamente impostato. Il fatto che io sia capace disollevare questa questione dimostra a sufficienza che in quanto tale sono indipendente dalle coseesterne: altrimenti non avrei potuto chiedere come siano possibili per me, nella mia rappresentazione,queste stesse cose.

    Si dovrebbe dunque pensare che chi anche soltanto pone questa domanda, proprio per ci rinunciaa spiegare le sue rappresentazioni come effetti dellazione di cose esterne. Ma questa do mand a cadutain mano di persone che erano completamente incapaci di porsela da s; e nel passare sulle loro labbraessa ha preso un senso diverso, o meglio ha perduto ogni senso e significato. Essi sono esseri che non

    si conoscono se non in quanto leggi causali ne dispongono a loro piacimento: Io, in quanto pongoquesta domanda, mi sono innalzato al di sopra di queste leggi. Essi sono implicati nel meccanismo del

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    loro pensiero e delle loro rappresentazioni: Io ho spezzato questo meccanismo. Come possono essiintendermi?

    Chi per se stesso non altro che ci che hanno fatto di lui cose e circostanze; chi, privo di poteresulle proprie rappresentazioni, travolto e trascinato dal torrente delle cause e degli effetti come pusapere donde viene, dove va, e come divenuto ci che ? Lo sa forse londa che va alla deriva con la

    corrente? Egli non ha neppure il diritto di dire di essere il risultato dellazione concomitante delle coseesterne, perch per poter dire ci deve presupporre di conoscere se stesso e quindi di essere qualcosa

    per se stesso: ma egli non lo . Egli solo per altri esseri ragionevoli non esiste per s, un merooggetto che fa parte del mon do, ed utile per lui e per la scienza che egli non abbia mai sentito altro, naltro si sia imm aginato .

    Dai tempi pi remoti gli uomini comuni hanno opposto ai maggiori filosofi cose che anche ibambini e gli infan ti capirebbero . Si sta a sentire, si legge, e ci si meraviglia che s grandi uomini abb ianoignorato cose cos comuni che uomini notoriamente piccoli avrebbero potuto insegnare loro. Nessuno

    pensa che probabilmente essi tutte queste cose le sapevano, altrimenti come avrebbero potuto nuotarein tal modo contro la corrente dell'evidenza? Molti sono convinti che Platone, se avesse potuto leggereLocke, sarebbe scappato vergognosamente; parecchi credono che anche Leibniz, se potesse

    resuscitare dai morti per andare a scuola da loro anche per un'ora, si convertirebbe; e quanti sono gliscemi che hanno cantato inni di vittoria sul sepolcro di Spinoza?Allora cosa stato, chiederete voi, ci che ha spinto tutti questi uomini ad abbandonare le opinioni

    comuni della loro et e ad elaborare sistemi che sono cos in contrasto con quello che i pi hanno

    sempre creduto e si sono immaginato? E stato un libero slancio, che li ha innalzati ad un piano in cuivoi non potete pi comprenderne neppure i problemi, mentre ad essi diventavano inconcepibili moltecose che a voi semb rano estremamente semplici e comprensibili.

    Per loro era impossibile connettere e porre in contatto cose che in voi natura e meccanismo hannounito per sempre. Similmente erano incapaci di negare sia che vi fosse un mond o fuo ri di loro sia che vifosse in loro uno spirito, e tuttavia non appariva loro possibile alcun rapporto tra i due. A voi, anche

    se pensate a quei problemi, non viene mai fatto di tramutare il mondo in un giuoco di concetti o lo

    spirito in vo i in un mo rto specchio della cose.Per molto tempo lo spirito umano (ancora giovane di forse, e appena nato dagli dei) si era perdutoin mitologie e fantasie poetiche sullorigine del mondo, e tutte le religioni erano fondate su quella lottafra spirito e materia, quando un genio felice il primo filosofo trov i concetti con i quali tutte leepoche successive compresero e fissarono i due poli del nostro sapere. I maggiori pensatori

    dellantichit no n o sarono uscire da quellantinomia. Platone ancora p one la materia come un altro difronte a Dio. Il primo che consider con piena consapevolezza spirito e materia come una cosa sola,pensiero ed estensione come modificazion i dello stesso principio, fu Spinoza. I l suo sistema fu la primaardita concezione di unimmaginazione creatrice, che ricomprese immediatamente il finito nellideadellinfinito, concepito puramente come tale, e riconobbe quello solo in questo. Poi venne Leibniz epercorse la strada opposta. E venuto il tempo che si pu restaurare la sua filosofia. Il suo spirito

    disdegnava le pastoie della scuola: non c quindi da meravigliarsi se egli fra di noi sopravvissuto soloin pochi Spiriti a lui affini e fra tu tti gli altri divenuto da m olto tem po uno straniero. Egli appartenevaalla piccola schiera di coloro che trattano anche la scienza come unopera della libert; aveva in s lospirito universale del mondo che si rivela in molteplici forme e dove giunge porta vita. Perci duevolte in giusto che si pretenda di aver trovate solo ora le parole giuste per la sua filosofia, e che la scuolakantiana gli appioppi le sue invenzioni, facendogli dire cose esattamente contrarie a ci che egli hainsegnato. N on c cosa d a cui Leibniz p otesse essere tanto lontano quanto dalla chiusura speculativa di

    un mondo di cose in s che, sebbene nessuno spirito lo conosca e lo intuisca, tuttavia opera su di noiproducendo tutte le rappresentazioni. La prima idea, da cui egli prese le mosse, fu che lerappresentazioni delle cose esterne sorgerebbero nella nostra anima in virt delle sue proprie leggi comein un universo particolare, come se non esistessero altro che Dio (lInfinito) e lanima (intuizione

    dellIn finito ). Ancora nei suoi ultimi scritti egli sottoline limpossibilit dellazione di unacausa esterna sullintimo di uno spirito; afferm che di conseguenza tutte le intuizioni, tutto ilsuccedersi delle percezioni e delle rappresentazioni in uno spirito non potevano sorgere che da un

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    principio interno . Quando Leibniz diceva quetse cose, parlava a filosofi; ma oggi si sono date afilosofare persone che avevano testa per tutto tranne che per la filosofia, e di conseguenza chi di noidice che non possono sorgere rappresentazioni per effetto dunazione esterna non finisce di essereguardato con meraviglia. Oggi ritenuto filosofico il credere che le monadi abbiano finestre dalle qualile cose posson o entrare ed uscire.

    E facile mettere nellimbarazzo con questioni di ogni genere anche il pi deciso sostenitore dellecose in s come causa efficiente delle rappresentazioni. Gli si pu dire: capisco come la materia possa

    operare sulla materia, ma non come una realt in s possa operare su di unaltra, poich nella sferadellintelligibile non possono esserci cause ed effetti, n come questa legge di un mondo possa operarein un altro del tutto d iverso, ed anzi oppo sto: dunque tu dovresti, se io dipendo da imp ressioni esterne,ammettere che io stesso non sono altro che materia, una specie di cristallo, in cui si rifrange il raggioluminoso delluniverso. Ma il cristallo non vede se stesso, soltanto un mezzo nelle mani dellesseredotato di ragione. Che dunque della certa cosa in me che ritiene che si sia esercitata su di me

    unimpressione? Di nuovo, sono io, che dunque, in quanto giudico, non sono passivo, ma attivo quindi qualcosa in me che si sente libero dallimpressione, la conosce, la concepisce, la eleva allaconoscenza.

    Inoltre, nellatto dellintuizione non sorge alcun dubbio sulla realt dellintuizione esterna. Ma poiviene lintelletto, che comincia a dividere, e divide allinfinito. Se la materia fuori di noi reale, deveconstare d i infinite parti. Se consta di infinite parti, dovrebbe essere composta d a queste. Ma per questacomposizione la nostra immaginazione ha solo una misura finita; quindi una composizione infinita

    dovrebbe essere fatta in un tempo finito. Oppure la composizione cominciata da qualche parte, cioci sono parti ultime della materia: allora io nella divisione devo imbattermi in queste parti; ma io trovosempre e di nuovo corpi uniformi e non vado mai oltre la superficie; il reale sembra sfuggirmi odileguarmisi tra le mani, e la materia, il fondamento primo di ogni esperienza, diventa la cosa piinsostanziale che conosciamo.

    Oppure questa contraddizione esiste soltanto per illuminarci sopra noi stessi? Forse lintuizione

    soltanto un sogno, che fa apparire agli esseri ragionevoli una falsa realt; e a questa dato lintelletto

    soltanto per svegliarli di tanto in tanto perch si ricordino quello che sono e che la loro esistenza(poich mi pare abbastanza evidente che noi siamo esseri intermedi) divisa fra il sonno e la veglia? Maun tale sogno originario no n lo concepisco; tutti i sogni sono di solito ombre d ella realt, ricordi di unmo ndo che fu. Se si ammettesse che un E ssere superiore m anda in noi queste immagini umb ratili dellarealt, si ripresenterebbe anche qui la questione circa la reale possibilit di un concetto di tale relazione;

    poich in questo campo non ho mai conosciuto nulla che possa seguire da alcunch come una causadalleffetto, e poich quellEssere mi comunicherebbe qualcosa che egli stesso avrebbe prodotto,quindi, presupponen do, com necessario, che esso non pu esercitare alcuna azione transitiva su d i me,non resterebbe altra possibilit se non che io abbia conseguite quelle immagini umbratili semplicementecome una limitazione o modificazione dellassoluta produttivit di esso e perci, entro questi limiti, dinuovo mediante produzione.

    La materia non insostanziale, voi dite, perch essa ha delle forze originarie che non possonovenire distrutte da alcuna divisione. La materia ha forze: so che questa espressione assai usuale. Mache significa la materia ha? Essa viene dunque qui presupposta come un quid che sussisteindipendentemente d alle sue forze. Perci queste forze sarebb ero in essa soltanto accidentali? Poich lamateria esiste fuor i di voi, essa deve anche r icevere le sue forze da una causa esterna. Esse vi sono forsestate, come dicono alcuni newtoniani, imm esse da una m ano superiore? Ma delle operazioni medianti lequali le forze vengono immesse non avete alcun concetto. Voi sapete soltanto come la materia opera

    sulla materia, cio le forze nei confronti delle forze; come si possa operare su qualcosa cheoriginariamente non forza noi non lo possiamo concepire. Queste cose si possono ben dire, epossono ben passare di bocca in bocca, ma non diventeranno mai reali pensieri nella testa di un uomo,perch nessuna testa umana in grado di pensarle. Quindi non p otete pensare la materia priva di forza.

    Ino ltre: quelle forze son o fo rze di attrazione e repulsione. Attrazione e repulsione: ma pu averluogo nello spazio vuoto, o non presupp one invece uno spazio riempito, cio la materia? D ovete quindiconfessare che non ci si pu rappresentare n forze senza materia, n materia senza forze. Ma la

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    materia il substrato ultimo della nostra conoscenza, oltre il quale non potete andare: e poich nonpotete spiegare quelle forze partendo dalla materia, non potete affatto spiegarle non empiricamente,cio partendo da qualcosa che fuori di voi, il che tuttavia sarebbe richiesto dalla coerenza del vostrosistema.

    Malgrado ci, nella Filosofia si chiede come sia possibile la materia fuori di noi, e quindi come siano

    possibili quelle forze fuori di noi. Si pu rinunciare del tutto alla Filosofia (e volesse il Cielo, che cosfacessero coloro che non ci capiscono niente); ma se volete proprio fare i filosofi, non dovete

    tralasciare questo problema. Ma non potete in nessun modo rendere comprensibile che cosa possaessere una forza indipendentemente da voi. Perch la forza in generale si manifesta unicamente alvostro sentimento. Ma il sentimento da solo non vi d alcun concetto obiettivo. Infatti voi spiegate ilmovimento dei corpi cosmici i gravi universali mediante le forze dellattrazione, ed affermate dipossedere in questa spiegazione un principio assoluto di questi fenomeni. Ma nel vostro sistema laforza di attrazione non ha n p i n men o che il valore d i una forza fisica. Poich la materia esiste fuori

    di voi e indipendentemente da voi, quali forze essa abbia lo potete sapere soltanto mediantelesperienza: ma come principio di spiegazione fisica la forza di attrazione non n pi n meno cheuna qualit occulta. Per, esso ci permette primamente di vedere se in generale certi principii empirici

    siano sufficienti a dimostrare la possibilit di un sistema del mondo.La domanda ha in s la sua risposta negativa: perch lestrema conoscenza che si pu attingeredallesperienza questa che esiste un universo. Questa proposizione rappresenta il limitedellesperienza: o, piuttosto, questa che lUniverso esista essa stessa soltanto unidea. E quindi

    questo principio dellequilibrio generale delle forze delluniverso, che avete attinto allesperienza, deveessere qualcosa di molto meno. Infatti: se essa proprio unidea, non potete ricavarla dallesperienzaneppure per il singolo sistema, ma dovete estenderla alla totalit mediante il ragionamento analogico:ma un tale ragionamento d soltanto un probabilit, mentre le idee, quale quella dellequilibriodelluniverso, devono essere vere in se stesse e quindi devono essere prodotte, o fondarsi su qualcosache in se stesso assoluto, e n on dipendente dallesperienza. Dovete quindi convenire che questa stessa

    idea invade un campo pi alto di quello della mera scienza della natura. Newton, che a questa idea non

    si affid mai completamente e ricerc solo le cause efficienti dellattrazione, disse soltanto, e moltobene, che si trovava ai limiti della Natura, dove si separavano due mondi. Raramente sono vissuti nellastessa epoca due grandi ingegni senza che essi collaborassero allo stesso scopo da punti di vista affattodiversi. Mentre Leibniz fondava sullarmonia prestabilita il sistema del mondo degli spiriti, Newtontrovava il fondamento di un mondo materiale nellequilibrio delle forze delluniverso. Ma se in altri

    campi il nostro sapere unitario, e se in questi ci riesce di unificare gli estremi, dobbiamo sperare cheanche qui, dove Leibniz e Newton si separano, sorga un ingegno pi comprensivo che trovi il centroattorno al quale si muove l'universo del nostro sapere (si muovon o en trambi i mo ndi fra i quali ancoradiviso il nostro sapere), s che l'armonia prestabilita di Leibniz e il sistema della gravitazione d i Newtonci appaiano come identici, o almeno come diverse prospettive dello stesso sistema.

    Procedo. Soltanto la materia bruta, cio la materia pensata semplicemente come ci che riempie lo

    spazio, il solido fondamento e il terreno su cui viene innalzato ledificio della Natura. La materia deveessere qualcosa di reale. Ma ci che reale oggetto di sensazione. O ra, come possibile in me lasensazione? Il dire, come fate voi, che viene prodotta in me dal di fuori non sufficiente: deve esserciin me qualcosa che sente, e fra questo e ci che voi presupponete fuori di me non possibile alcuncontatto. Altrimenti, se questa cosa esterna agisce su di me, come la materia sulla materia, io possosoltanto reagire (mediante la forza repulsiva) su questa cosa esterna, ma non su me stesso; e invece proprio questo che deve accadere: perch io devo sentire, devo portare questa sensazione alla

    coscienza.Ci che della materia oggetto della vostra sensazione, lo chiamate qualit, e chiamate reale la

    materia solo in quanto essa ha una determinata qualit. Che in generale abbia qualit, necessario: mache abbia questa determinata qualit, vi sembra accidentale. Se cos, la materia non pu in generale

    avere una sola e identica qualit: ci deve essere, quindi, una molteplicit di propriet, che conoscetetutte mediante la mera sensazione. Ma che ci, che produce le sensazioni? Qualcosa di interno, unapropriet interna della materia. Queste sono parole, non cose. Infatti, dove questa interiorit della

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    materia? Potete dividere allinfinito e non andrete mai oltre la superficie dei corpi. Tutto ci vi erachiaro da molto tempo; e perci gi da tempo avete stabilito che ci che oggetto di una sensazioneabbia il proprio fondamento solo nel vostro modo di sentire. Ma ci troppo poco: perchlammissione che non deve esistere nulla che sia in s dolce o salato, non rende pi comprensibile lasensazione; giacch ammettete pur sempre un causa che, reale fuori di voi, produce in voi questa

    sensazione. Ma posto pure che vi si conceda linflusso dal di fuori, che cosa hanno in comune con ilvostro spirito i colori, gli odori, ecc., o le cause esterne di queste sensazioni? Voi ricercate con molta

    acutezza come la luce, irraggiata dai colori, operi sui vostri nervi visivi, ed anche come limmagine, chesulla vostra retina rovesciata, appaia nella vostra anima non rovesciata ma diritta. Ma cos che in voivede questimmagine sulla retina e ricerca come essa abbia potuto giungere nellanima raggiustata?Evidentemente qualcosa che completamente indipendente da questa impressione esterna, ed allaquale questa impressione non sconosciuta. Allora, come ha fatto limpressione a giungere in quellaregione della vostra anima in cui vi sentite del tutto liberi e indipendenti da impressioni? Potete

    introdurre fra limpressione dei vostri nervi, del vostro cervello, ecc., e la rappresentazione di una cosaesterna fuori di voi tanti termini intermedi quanti volete, ma riuscirete soltanto ad ingannare voi stessi;perch, secondo le vostre stesse opinioni il passaggio dal corpo allanima non pu avvenire con

    continuit, ma mediante un salto, che tuttavia voi pretendete di evitare.Inoltre, una massa agisce su di unaltra in virt del semplice movimento (per limpenetrabilit), e cilo chiamate urto o movimento meccanico. Op pure un a materia opera su di unaltra materia anche senzala conddizione di un m ovimento precedente, in m odo che il mo to nasce dalla quiete, mediante

    lattrazione; e ci lo chiamate gravit. Pensate anche la materia come inerte, cio come qualcosa chenon capace di movimento autonomo ma pu essere mosso solo da cause esterne.

    Di pi, la gravit che attribuite ai corpi la ponete uguale, come peso specifico, alla quantit dimateria, prescindendo dal volume.

    Ma trovate che un corpo pu imprimere del movimento ad un altro senza esser mosso a sua volta,cio senza agire su di esso mediante urto.

    E osservate anche che due corpi possono attrarsi reciprocamente in maniera affatto indipendente

    dal rapporto delle loro masse, cio indipendentemente dalle leggi di gravit.Io ammetto dunque che la ragione di questa attrazione non possa trovarsi n nella gravit n sullasuperficie del corpo mosso in tale modo, che la ragione debba essere interna e dipendere dalla qualitdel corpo. Per voi non avete ancora spiegato che intendiate con interno di un corpo; e per di pi dimostrato che la qualit esiste soltant in rapporto alla vostra sensazione. Ma qui non si tratta della

    vostra sensazione, ma di un fatto o biettivo, che avviene fuo ri di voi, che voi cogliete con i vostri sensi eil vostro intelletto vuol tradurre in concetti intelligibili. Posto dunque che noi ammettiamo che la qualitsia qualcosa che non consiste soltanto della vostra sensazione, ma ha un fondamento nel corpo fuori divoi posto pure ci, che vogliono dire le parole: un corpo attira laltro in virt delle sue qualit?Perch, ci che in questa attrazione vi di reale, cio tale che lo possiate percepire, soltanto ilmovimento del corpo. Ma il movimento una grandezza puramente matematica, e pu essere

    determinato in m aniera puramente forono mica. Che relazione h a questo mo vimento esterno con un aqualit interna? Voi prendete in prestito dalla vita espressioni immaginose, per esempio quelladellaffinit: ma sareste ben imbarazzati se voleste tradurre questimmagine in un concetto intelligibile.E inoltre accumulate sostanze fondamentali su sostanze fondamentali: ma queste non sono altro chealtrettanti asili della vostra ignoranza. Che mai, infatti, pensate mediante esse? Non la materia stessa, peresempio il carbone, ma qualcosa che in questa materia non solo contenuto ma addirittura nascosto, ele comunica queste qualit. E in quale parte del corpo si trova, alla fine, questa sostanza fondamentale?

    Lavete trovata mediante qualche partizione o scissione? Finora non avete potuto rendere sensibileneppure una di queste sostanze. Ma posto anche che ne ammettiamo lesistenza, che cosa ciguadagnamo? Forse che con ci viene spiegata la qualit della materia? Io ragiono cos: o la qualitappartiene alle sostanze fondamentali stesse, che poi la partecipano ai corpi, o no. Nel primo caso non

    avete spiegato nulla, perch il prob lema era prop rio questo: come sorgono le qualit? Nel secondo caso,pure non avete spiegato nulla: perch io capisco come un corpo possa (meccanicamente) urtare controlaltro e cos comunicargli il movimento; ma come un corpo del tutto destituito di qualit possa

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    comunicare delle qualit ad un altro, questo non lo capisce nessuno e nessuno pu renderlo intelligibile.Infatti la qualit in generale qualcosa, di cui finora non siete stati ingrado di dare un concettoobiettivo, e di cui tuttavia fate, per lo meno nella Chimica, un uso obiettivo.

    Questi sonon gli elementi del nostro sapere empirico. Infatti, se presupponiamo prima la materia econ essa le forze di attrazione e repulsione, ed in un secondo tempo uninfinita molteplicit di materie

    che si differenziano le une dalle altre mediante qualit, abbiamo, seguendo la guida della tavola dellecategorie:

    1. movimen to quantitativo, che pro porzionale alla quantit dell materia: gravit;2. mo vimento qualitativo, che dipende dalle prop riet interne della materia: movimento

    chimico;3. movimen to relativo, che viene com unicato ai corp i med iante unazione dallesterno

    (urto): movimento m eccanico.Questi sono i tre possibili movimenti sui quali si erige e in cui consiste tutto quanto il sistema della

    natura.Quella parte della Fisica che si occupa del primo si chiama Statica; quella che si occupa del terzo

    Meccanica: questa la parte pi importante della Fisica, perch in sostanza la fisica non altro che

    meccanica applicata. [N ella M eccanica possono venir prese in consideraz ione anche le propriet generali dei corpi,quali lelasticit, la durez z a, le densit, in quanto esse influiscono nel movimento meccanico. M a la teoria generale delmovimento non appartiene alla scienza empirica della natura. Credo che con questa divisione la Fisica consegua una

    sistemaz ione molto pi semplice e natu rale di quella che abbia finora ricevuta nella maggior parte dei trat tati N .d.A .]

    Quella parte che si occupa della seconda specie di movimento, ha nella Fisica soltanto una funzionesecondaria: intendo la Chimica che ha propriamente per oggetto la deduzione della differenzaspecifica della materia; essa sola fornisce alla Meccanica (che in s una scienza del tutto form ale)contenuto e molteplicit di applicazioni. Infatti costerebbe poca fatica il dedurre dai principii dellaChimica gli oggetti principali che la Fisica studia dal punto di vista dei loro movimenti meccanici edinamici; per esempio, dal fatto che si riscontra unattrazione chimica fra i corpi si pu concludere che

    ci deve essere una materia che si espande ed opera in senso contrario allinerzia: luce e calore; e inoltre,

    che ci sono sostanze che si attraggono scambievolmente, e, per ottenere la massima semplicit, che cisia un'unica sostanza fondamentale che attratta da tutte le altre. E poich la natura stessa per poterdurare necessita di molti processi chimici, queste condizioni presenti nei processi chimici devono essereovunque presenti: quindi deve esserci laria vitale, prodotta dalla luce e dalla sostanza fondamentale. Epoich questaria alimenta troppo la potenza del fuoco, esaurirebbe troppo i nostri organi: quindi

    necessaria una miscela di essa e di una specie di aria ad essa direttamente antagonista lariaatmo sferica, ecc.

    Q uesta senza dubbio la via per la quale si pu con durre a p erfezionare la scienza della N atura. Manoi non dobbiamo occuparci dellesposizione di un tale sistema, se esso esiste, ma di come in generaleun tale sistema possa esistere. Il problema non se e come esista realmente fuori di noi quellinsieme difenomeni e quella serie di cause ed effetti che chiamiamo corso della natura, ma come esso divenga

    reale per noi, come quel sistema e quellinsieme di fenomeni abbiamo trovato la via per giungere alnostro spirito, e come essi nella nostra rappresentazione conseguano quella necessit con la quale noisiamo assolutamente necessitati a pensarli. Perch dobbiamo presupporre come fatto innegabile che larappresentazione di una successione di cause ed effetti fuori di noi tanto necessaria al nostro spiritocome se appartenesse al suo essere e alla sua essenza. Spiegare questa necessit il problemafondamentale di ogni Filosofia. Non si chiede se questo problema in generale debba esistere, ma comeesso, dal momento che esiste, debba ven ir risolto.

    E, prima di tutto, che vuol dire che noi dobbiamo pensare una successione di fenomeni che assolutamente necessaria? Evidentemente ci: che questi fenomeni possono seguirsi luno allaltrosoltanto in questa determinata successione, e viceversa, che in questa successione possono susseguirsisolo questi determinati fenomeni. Perch dal fatto che queste determinate rappresentazioni si seguano

    in questo determinato ordine, per esempio che il lampo preceda e non segua il tuono, non cerchiamo laragione in noi non dipende da noi il modo in cui le rappresentazioni si succedono in noi; la ragionedeve dunque essere nelle cose; e noi affermiamo che questa determinata successione una successione

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    delle cose stesse, non semplicemente delle rappresentazioni che abbiamo, solo perch i fenomeni in sestessi si susseguono cos e non altrimenti, perch siamo necessitati a rappresentarli in questordine;questa successione soggettivamente necessaria solo perch e in quanto obiettivamente necessaria.

    Ne consegue, inoltre, che questa determinata successione non pu venir separata da questideterminati fenomeni; la successione deve quindi farsi e sussistere con i fenomeni, e, viceversa, i

    fenomeni con la successione; luna e gli altri, successione e fenomeni, sono quindi in una relazione direciprocit, luna e gli altri son o vicendevolmente, luna in relazione agli altri, e viceversa, necessarii.

    Basta analizzare i giudizi pi comuni che ad ogni mo mento pronun ciamo sullinsieme dei fenom eni,per tro vare che vi sono imp liciti quei presupposti.

    Poich n i fenomeni sono inseparabili dalla loro successione, n la successione dai suoi fenomeni,sono possibili soltanto questi due casi:

    ? o la successione e i fenomeni esistono contempo raneamente e unitamente fuori dinoi;

    ? oppure essi esistono contemporaneamente e unitamente in noiSolo in questi due casi la successione che ci rappresentiamo una reale successione di cose e non

    semplicemente un ideale susseguirsi delle nostre rappresentazioni.

    La prima asserzione quella del senso comune degli uomini, ed anche dei filosofi Reid, Beattie ecc.form almente op posti allo scetticismo di Hume. In questo sistema le cose si susseguono in s le une allealtre, e a noi non resta che lo scorgere ci: ma come mai possa giungerne in noi la rappresentazione,questo un problema troppo elevato per questo sistema. Ma noi non vogliamo sapere come la

    successione sia possibile fuori di noi, bens come mai questa determinata successione, che si svolge deltutto indipendentemente da noi, possa venir da noi rappresentata come tale e quindi con assolutanecessit. A questo problema quel sistema non presta alcuna attenzione, e quindi non suscettibile dialcuna critica filosofica: non ha in comune con la filosofia neppure un punto, dal quale noi possiamoanalizzarlo, provarlo o confutarlo perch esso non si occupa punto di quel problema la cui soluzione il vero e proprio scopo della Filosofia.

    Quel sistema, per poterlo anche soltanto giudicare, si dovrebbe prima rendere filosofico. Ma in

    questo caso si corre il pericolo di combattere una mera finzione, perch il senso comune non cosconseguente e un sistema che rappresentasse il senso comun e reso con seguentem ente no n mai esistitodi fatto nella mente di alcuno, giacch non appena si cerca i dargli unespressione filosofica diventacompletamente inintelligibile. Esso parla di una successione, che, indipendentemente da me, deve averluogo fuori di me: ma come una successione (di rappresentazioni) abbia luogo in me, questo lo

    comprendo; invece una successione che si svolga nelle cose stesse, indipendentemente dallerappresentazioni finite mi del tutto incomprensibile. Supponiamo infatti un essere che non fossefinito, perch in questo caso sarebbe legato alla successione delle rappresentazioni, ma tale che potesseabbracciare in una sola intuizione il presente e il futuro: per questo essere non ci sarebbe nelle cosefuori di lui alcuna successione; questultima c quindi in generale a condizione che la rappresentazionesia finita. Ma se la successione avesse un fondamento nelle cose in s, ed esistesse indipendentemente

    da ogni rappresentazione, dovrebbe esserci una successione anche per quellessere che abbiamosuppo sto in quesl modo il che contraddittorio.Perci finora tutti i filosofi hanno concordemente affermato che la successione una cosa la quale

    non pu venir pensata se non come dipendente dalle rappresentazioni di uno spirito finito. Maabbiamo stabilito che, perch la rappresentazione di una successione sia necessaria, essa debbe nascerecontemporaneamente alle cose, e viceversa; e che la successione senza cose altrettanto poco possibilequanto le cose senza la successione. Quindi se la successione una cosa che possibile solo nelle

    nostre rappresentazioni, si devono scegliere fra questi due casi:1. O si tiene per fermo che le cose esistano fuori di noi, indipendentemente dalle nostre

    sensazioni. Allora la necessit obiettiva con la quale noi ci rappresentiamo una determinatasuccessione delle cose si spiega come una mera illusione, poich si nega che le successione

    abbia luogo n elle cose stesse.

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    2. oppure ci si decide per laffermazione che anche i fenom eni nascono e si form anoinsieme alla successione solo nelle nostre rappresentazioni, e che soltanto in questo sensolordine secondo il quale essi si susseguono un vero ordine obiettivo.

    La prima affermazione conduce evidentemente al pi stravagante sistema che sia mai esistito e che stato sostenuto per la prima volta nella nostra epoca da alcuni pochi, senza che essi stessi lo sapessero.

    E giunto il momento di confutare completamente lassioma che le cose agiscono su di noi dal di fuori.Ci si chieda una buona volta: che cosa sono le cose fuori di noi, indipendenti dalle nostre

    rappresentazioni? Prima di tutto dobbiamo spogliarle di tutto ci che appartiene alla peculiarit dellanostra facolt rappresentativa. A questa appartengono non soltanto la successione, ma anche i concettidi causa ed effetto; e, se si vuole essere conseguenti, anche tutte le rappresentazioni di spazio e diestensione, le quali senza il tempo, da cui noi abbiamo staccate le cose in s, non sono puntorappresentabili. Tutte queste cose in s, sebben totalmente inaccessibili alla nostra intuizione,dovrebbero esserci realmente, non si sa come e dove forse negli intermundia di Epicuro; e queste cose

    dovrebbero agire su di me producendo le mie rappresentazioni. Certamente non ci si mai presi labriga di meditare quale rappresentazione si abbia veramente di tali cose. Il rispondere che non sonorappresentabili una via di scampo che si taglia subito. Se se ne parla, bisogna pure averne una

    rappresentazione, oppure si parla di una cosa di cui non si deve parlare. Anche del nulla si ha unarappresentazione; si pensa perlomeno al vuoto assoluto come qualcosa di puramente formale, ecc. Sipotrebbe supporre che la rappresentazione della cosa in s fosse una rappresentazione di questo genere;ma men tre la rappresentazione del nulla si pu rendere intuitiva mediante lo schema dello spazio vuoto,

    le cos in s vengono espressamente separate dal tempo e dallo spazio perch questi ultimiappartengono soltanto alla forma specifica della facolt rappresentativa degli esseri finiti. Non rimanedunque altro che una rappresentazione che oscilla fra il qualcosa e il nulla, cio non ha neppure il pregiodi essere lassoluto nulla. In realt si stenta a credere che possa essere concepita dalla mente di un uomouna tale sintesi contraddittoria di cose che, private di tutte le determinazioni sensibili, ciononostantedevono agire come cose sensibili. Difatti: se si toglie tutto ci che appartiene alle rappresentazioni di

    un mondo obiettivo, che cosa rimane che io possa comprendere? Evidentemente, rimango solo io

    stesso. Quindi tutte le rappresentazioni di un mondo esterno dovrebbero uscire da me stesso; pocih,se la successione, la causa, leffetto, ecc. sono aggiunte alle cose solo nelle mie rappresentazioni, non siriesce a capire che cosa possano essere quei concetti senzale cose, e le cose senza quei concetti. Daquesta difficolt deriva la strana spiegazione dellorigine delle rappresentazioni che questo sistema stato costretto a dare. Alle cose in s contrappone uno spirito, e questo spirito contiene in s certe

    forme a priori, le quali rispetto alle cose in s presentano solo questo vantaggio, che perlomeno essepossono venir raggruppate come qualcosa di assolutamente vuoto. Le cose vengono incluse in questeform e nellatto in cui noi ce le rappresentiamo; e con ci gli oggetti senza fo rma acquistano una fo rma,e le forme vuote un contenuto. Ma come possa succedere, che vengano rappresentate in generale dellecose su ci, silenzio profondo. Esso dice soltanto che ci rappresentiamo cose fuori di noi, ma chesolo nella rappresentazione co nferiamo ad esse spazio e temp o, e po i i concetti di sostanza e accidente,

    causa ed effetto, ecc.; cos sorge in noi la successione delle nostre rappresentazioni, e precisamente unasuccessione necessaria; e questa successione autoprodotta, creata solo con la coscienza, la si chiama ilcorso della N atura.

    Questo sistema non ha bisogno di essere confutato: basta esporlo per rovesciarlo dai fondamenti.Realmente superiore ad esso, e con esso non paragonabile, lo scetticismo humeano. Hume, fedele aisuoi propri principi, lascia completamente insoluta la questione se alle nostre rappresentazionicorrispondano o no cose fuori di noi. In questo caso egli deve ammettere che la successione dei

    fenomeni si trova nelle nostre rappresentazioni; e spiega il fatto che noi pensiamo questa determinatasuccessione come necessaria, dichiarandola unillusione. Ma si ha il diritto di chiedere a Hume, che eglialmeno spieghi lorigine di questa illusione. Perch egli non pu negare che noi pensiamo realmentecome necessario un susseguirsi di cause ed effetti, e che su ci fondiamo tutte le nostre scienza

    empiriche, la teoria della natura e la storia (di cui egli stesso fu un grande maestro). Di dove viene, a suavolta, questa illusione? Hume risponde: dallabitudine; per il fatto che i fenomeni si sono finorasusseguiti in questo ordine, limmaginazione si abituata ad aspettarsi anche per il futuro lo stesso

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    Fu questa la via percorsa da Leibniz; ed qui il punto in cui egli si stacca da Spinoza e concorda conlui. E impossibile comprendere Leibniz se ci si pone da questo punto di vista. Jacobi ha mostrato chetutto quanto il suo sistema ha nel concetto di individualit il punto di partenza e di arrivo. Solo nelconcetto di individualit si trova originariamente unito ci che tutte le altre filosofie separano, ilpositivo e il negativo, lattivit e la passivit della nostra natura. Spinoza non poteva render

    comprensibile come nellInfinito fuori di noi potessero essere delle determinazioni, e indarno cercava dischivare il problema del passaggio dallinfinito al finito. Questo passaggio si evita solo dove il finito e

    linfinito sono originariamente uniti, e questa unione originaria non che nellessenza di una naturaindividuale. Perci Leibniz non pass n dallinfinito al finito, n da questo a quello, ma luno e laltrofurono resi reali ad un tempo con un solo identico atto dello spirito ugualmente con il medesimosvolgimento della no stra natura.

    Che le rappresentazioni si susseguano in noi luna dallaltra una conseguenza necessaria dellanostra finitezza; ma il fatto che questa serie sia infinita dimostra che essa deriva da un essere nella cui

    natura finitezza ed infinitezza sono unite.Il fatto che questa successione sia necessaria consegue nella filosofia di Leibniz da ci, che le cose

    insieme alle rappresentazioni sorgono in virt delle semplici leggi della nostra natura, secondo unb

    principio interno a noi, come in un proprio universo. Ci che Leibniz ritenne come unici esserioriginariamente reali e dotati in s di realt effettuale furono gli esseri che hanno rappresentazioni,perch solo in essi era come originaria quella unit dalla quale nasce e si sviluppa tutto ci che si chiamaeffettivamen te reale. In fatti tutto ci ch e reale fuori di noi un essere finito, e perci n on pensabile

    senza qualcosa di positivo che gli conferisca realt e qualcosa di negativo che gli ponga dei limiti. Maquesta unit di attivit positiva e negativa non originaria che nella natura di un individuo. Le coseesterne non erano reali in se stesse, ma lo sono divenute mediante le rappresentazioni delle naturespirituali; ma solo quella cosa da cui nasce primamente tutto ci che esiste, vale a dire lessere dotato dirappresentazioni, deve contenere in s la fonte e lorigine della propria esistenza.

    Ora, se tutta quanta la successione delle rappresentazioni sorge dalla natura dello spirito finito, si

    deve po ter dedurre da essa anche tutta quanta la serie delle nostre esperienze. Il fatto che tutti gli esseri

    della nostra specie si rappresentino i fenomeni delluniverso con la stessa successione necessaria si pucomprendere unicamente come conseguenza della nostra natura comune. Ma il voler spiegare questaconcordanza della nostra natura mediante larmonia prestabilita, significa non piegare effettivamentenulla, perch questa parola vuol dire soltanto che sussiste una tale concordanza, ma non dice come eperch. Ma implicito nel sistema stesso di Leibniz che dallessenza delle nature finite in generale segua

    quella concordanza: se infatti cos non fosse, lo spirito dovrebbe rinunciare ad essere lassolutoautofondamento del suo sapere e della sua conoscenza. Esso dovrebbe di nuovo cercare fuori di s laragione delle sue rappresentazioni, e saremmo ritornati al punto a cui eravamo da principio e cheavevamo abbandonato; luniverso e il suo ordinamento sarebbero per noi contingenti e larappresen tazione di essi ci verrebbe dal di fuori. E con ci usciamo inevitabilmente dai limiti di ci ch epossiamo comprendere. Perch se una mano superiore ci avesse regolato in modo che noi fossimo

    costretti a rappresentarci un tale universo e un tale ordine dei fenomeni, prescindendo dal fatto chequesta ipotesi per noi completamente inconcepibile, tutto quanto questo universo sarebbe di nuovounillusione; un gesto di quella mano potrebbe togliercelo o cambiarcelo in un ordinamento tuttodiverso delle cose; e diventerebb e anche completamente problematica lesistenza d i altri esseri dellanostra specie (aventi le stesse rappresentazioni che noi). Dunque Leibniz non deve aver annessa alleparole armonia prestabilita la stessa idea che ordinariamente vi si annette. Infatti egli asserisceespressamente che nessuno spirito potrebbe essere prodotto, cio che ad uno spirito non si possono

    affatto applicare i concett i di causa ed effetto. Esso assoluto autofond amento del suo essere e del suosapere, e per il fatto che esso in generale , anche ci che , cio un essere alla cui natura appartieneanche questo determinato sistema di rappresentazioni di cose esterne. La filosofia dunque non altroche una teoria della natura del nostro spirito. D a ora in poi ogni dogmatismo scalzato dalle sue

    fondamenta; noi consideriamo il sistema delle nostre rappresentazioni non nel suo essere, ma nel suodivenire, e la filosofia diviene genetica, cio fa sorgere e insieme scorrere davanti ai nostri occhi linteraserie necessaria delle nostre rappresentazioni. Da ora in poi non c pi alcuna separazione tra

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    esperienza e speculazione. Il sistema della natura insieme il sistema del nostro spirito, ed oggi per laprima volta da quando stata compiuta la grande sintesi il nostro pensiero ritorna allanalisi (alla ricercae allindagine). Ma questo sistema non esiste ancora; molti spiriti poco coraggiosi ne dubitano inprecedenza, poich parlano di un sistema della nostra natura (la cui grandezza essi non cono scono) nonaltrimenti che se si discutesse di un sistema di nostri concetti.

    Il dogmatico, che presuppone tutto come gi esistente fin dallorigine fuori di noi (e non comequalcosa che si fa e sorge da noi), deve per lo meno prendersi limpegno di spiegare ci che fuori di

    noi mediante cause che siano pure esterne. E ci gli riesce finch si mantiene in seno al rapporto dicausa ed effetto; ma non potr mai a sua volta render comprensibile come questa relazione di causa edeffetto sia stata, a sua volta, prodot ta. Non appena egli si innalza al di sopra del singolo fenom eno, tutt ala sua filosofia finita: i limiti del meccanismo sono anche i limiti del suo sistema.

    Ma il meccanismo lungi dal costituire esso solo la Natura. Infatti, non appena noi entriamo nelcampo della Natura organica ci viene a mancare qualunque collegamento di causa ed effetto. Ogni

    prodotto organico sussiste per se stesso, la sua esistenza non dipende da alcunaltra esistenza. Ma lacausa non mai la stessa cosa delleffetto, e solo per cose diverse possibile un rapporto di causa edeffetto: invece lorganismo produce se stesso, deriva da se stesso; ogni singola pianta prodotta

    soltanto da un individuo della sua specie, e cos ogni singolo organismo continua a produrre e ariprodurre allinfinito soltanto il suo genere. Quindi nessun organismo prosegue in avanti, ma ritornasempre in se stesso allinfinito. Perci un organismo come tale non mai n causa n effetto di unacosa fuori di s, e quindi non cosa che possa essere compresa nel sistema del meccanismo. Ogni

    prodotto organico porta in s la ragione del proprio essere, ed causa ed effetto di se stesso. Nessunaparte singola potrebbe sussistere se non in questo tutto, e questo tutto stesso consiste solo nellazionereciproca delle parti. In ogni altro oggetto le parti sono arbitrarie: esse esistono in quanto io divido;invece nellessere organizzato esse sono reali, esistono senza mia attivit, perch fra esse e il tutto vi una relazione o biettiva. Quindi a fondamento di ogni organismo sta un concetto poich si haconcetto appunto l ove sussiste una relazione necessaria del tutto con le parti e delle parti con il tutto.

    Q uesto con cetto sta n ellorganismo stesso, no n p u venirne separato lorganismo che organizza se

    stesso, e non unopera darte il cui concetto stia fuori di essa, nella mente dellartista. Non soltanto lasua forma, ma il suo essere stesso conforme a scopi: esso non potrebbe organizzarsi se non fosse giorganizzato. La pianta si nutre e si mantiene in vita med iante lassimilazione di sostanze estern e, maessa non potrebbe assimilare nulla se non fosse gi organizzata. Il mantenersi in vita del corpo vivente legato alla respirazione. Lossigeno che esso introduce con respiro viene scomposto dai suoi organi per

    fargli poi percorrere i nervi come fluido elettrico. Ma per rendere possibile questo processo deve essercigi lorganizzazione, la quale a sua volta senza questo processo non si mantiene in vita. E quindilorganizzazione si forma solo dallorganizzazione. A causa di ci nel prodotto organico la forma e lamateria sono inseparabili; questa determinata materia potrebbe farsi e sussistere con e insieme a questa determ inata forma, e viceversa. Ogni organismo quindi un tutto ; la sua unit sta in lui stesso, enon dipende dal nostro arbitrio il pensarlo come una unit o una molteplicit. Il rapporto di causa ed

    effetto qualcosa di transitorio, di dileguante, pura apparenza (nel senso comune della parola):lorganismo invece non pura apparenza, ma esso stesso oggetto, un oggetto che sussiste per sestesso, intero in se stesso, indivisibile; e poich in esso la materia non separabile dalla forma, si pualtrettanto poco spiegare meccanicamente lorigine di un organismo in quanto tale, quanto poco si puspiegare lorigine della materia.

    Se quindi deve essere spiegato il finalismo del prodotto organico, il dogmatico si vede del tuttoabbandonato dal suo sistema. Qui non serve pi a niente il separare a nostro piacimento concetto e

    oggetto, forma e materia. Perch per lo meno qui luna e laltra cosa sono unificate originariamente enecessariamente, non nella nostra rappresentazione, ma nelloggetto. Desidererei che su questo camposi cimentasse con noi qualcuno di coloro che prendono un giuoco di concetti per filosofia e chimereper cose reali.

    Prima di tutto dovreste concedere che qui si parla di ununit che no n si pu spiegare con la materiacome tale. Infatti unit del concetto: e questa unit esiste solo in relazione ad un essere che intuisca erifletta. Infatti questo che in un organismo vi unassoluta individualit, che le parti di esso sono

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    possibili solo mediante il tutto, e il tutto non possibile non per la composizione, ma per lazionereciproca delle parti un giudizio, e non pu venir giudicato nulla se non da uno spirito che riferiscagli uni agli altri le parti e il tutto, la forma e la materia: e soltanto mediante e in questa relazione sussistee si fa qualsiasi finalit e fusione nellinsieme di un tutto. E che cosa queste parti, che sono soltantomateria, hanno in comune con una idea che originariamente estranea alla materia e con la quale esse

    tuttavia concordano? Qui non possibile alcuna relazione, se non mediante un terzo alle cuirappresentazioni appartengano sia la materia sia il concetto. Ma questo terzo pu essere soltanto uno

    spirito che intuisce e riflette. Dovete quindi ammettere che lorganismo in generale pensabile solo inrelazione ad uno spirito.

    Q uesto lo ammetton o p ure coloro che fanno derivare anche il prodotto o rganico d a un m iracolosoaggruppamento di atomi. Infatti essi, in quanto derivano lorigine di queste cose dal cieco caso, netolgono ogni finalismo e con ci ogni concetto di organismo. E questo si pu dire un pensieroconseguente; infatti, se il finalismo rappresentabile solo in relazione ad un intelletto che giudica, anche

    alla dom anda com e i prod otti organici esistono indipendentemente da me si deve rispondere come sefra essi e un intelletto giudicante non vi fosse alcuna relazione, vale a dire come se in essi non fosse ingenerale finalismo alcuno.

    La prima co sa, dunque, che voi concedete questa: qualsiasi concetto di finalismo pu esistere soloin un intelletto, e solo in relazione ad un tale intelletto si pu chiamare conforme a scopi una cosaqualsiasi. Ma ugualmente non siete meno costretti ad ammettere che il finalismo dei prodotti naturali hain essi stessi la sua sede, che esso obiettivo e reale e quindi appartiene non alle vostre rappresentazioni

    arbitrarie, ma a quelle necessarie. Potete benissimo distinguere ci che nei collegamenti dei vostriconcetti arbitrario e ci che necessario. Tutte le volte che raccogliete in ununit numerica cose chesono separate dallo spazio, operate in maniera del tutto libera: lunit che conferite loro imposta adesse dal vostro pensiero; ma nelle cose stesse non c alcuna ragione che vi necessita a pensarle come ununo. Ma dal fatto che pensate ogni pianta come un individuo in cui tutto cospira ad un medesimo fine,dovete cercare la ragione nella cosa fuori di voi; vi sentite necessitati nel vostro giudizio, e dovete quindi

    ammettere che lunit, con la quale pensate ci, no n m eramente logica (unit del vostro pensiero), ma

    reale (effettuata fuo ri di voi).Ora vi si chiede come potreste rispondere alla domanda: come avviene che unidea, la qualeevidentemente non pu esistere che in voi e pu avere realt soltanto in relazione a voi, debbacionono stante essere intuita e rappresentata da voi stessi come reale fuori di voi?

    Certo, ci sono filosofi che per tutte queste domande hanno pronta una sola risposta universale, che

    essi ripetono in ogni circostanza e sembra loro di non ripeterla mai abbastanza: ci che nelle cose forma essi dicono siamo noi che la imponiamo alle cose. Ma io desidererei sapere, se potetedirmelo, che cosa mai siano le cose senza la forma, che voi imponete loro, o che cosa mai sia la forma,senza le cose a cui la imponete. Dovreste ammettere che almeno qui la forma assolutamenteinseparabile dalla materia, il concetto dalloggetto Oppre, se sta nel vostro arbitrio limporre o no a cosefuori di voi lidea di finalismo, come avviene che imponete questidea solo ad alcune cose, e non a tutte,

    e inoltre ch e in questa rappresentazione di prod otti confo rmi a scopi non vi sentite affatto liberi, ma deltutto necessitati? Di questi due fatti non potete dare altra ragione, se non questa, che quella formafinalistica appartiene senzaltro a certe cose fuori di voi originariamente e senza vostra partecipazioneattiva.

    Ci presupposto, vale anche qui ci che valeva prima: che la forma e la materia di queste cose nonposson o m ai venir separate, e luna e laltra no n p otrebb ero farsi se non assieme e con azione reciproca.Il concetto, che sta alla base di questo organismo, non ha in s realt alcuna, e viceversa, questa

    determinata materia non materia organizzata in quanto materia, ma soltanto il concetto che leimmanente. Questo oggetto determinato quindi potrebbe esistere solo insieme a questo concetto, equesto con cetto solo insieme a questo oggetto.

    Seguendo questo principio si possono giudicare tutti i sistemi che ci sono stati fin qui.

    Per comprendere questunione di concetto e materia voi ammettete un superiore intelletto divino,che ha concep ite nellideale le sue creazioni e conformem ente a questo ideale ha prod otto la Natura. Maun essere nel quale il concetto precede latto e la concezione precede lesecuzione, non pu creare, pu

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    soltanto formare la materia che esiste di gi, pu soltanto imprimere nella materia, dal di fuori, ilmarchio dellintelletto e della finalit. Ci che egli crea conforme a scopi non in se stesso, ma solo inrapporto allintelletto del creatore, non originariamente e necessariamente, ma solo in modo accidentale.Non lintelletto una facolt morta e serve forse a qualcosa daltro che ad afferrare e comprendere larealt, in quanto questa c? E in luogo di produrre la realt, non deriva da questa la realt sua propria?

    E questa capacit di descrivere i contorni della realt, ci che costituisce la mediazione tra esso e larealt, che altro se non la schiavit di tale facolt? Ma qui sorge il problema come sussista il reale, e

    con esso, ma separato da esso, lideale (la finalit). Vogliamo che ci si spieghi non come le cose dellanatura in generale possano essere conformi a scopi, cos come lo ogni opera dellarte, ma come maiquesta finalit sia qualcosa che non pu venire ad esse partecipata dal di fuori, ma tale che le cosesono confo rmi a scopi originariamente e mediante se stesse.

    Voi dunque ricorrete al potere creativo di una divinit da cui derivano e vengono poste in essere lecose reali insieme alle loro idee. Vi accorgerete di dover far persistere la realt insieme con il finalismo,

    il finalismo insieme con la realt, se volete ammettere fuori di voi qualche cosa che sia conforme a scopiin s e mediante s.

    Ma ammettiamo pure per un momento ci che affermate (sebben voi stessi non siate in grado di

    renderlo intelligibile), ammettiamo che tutto il sistema della Natura e con esso tutta quanta la variet deiprodotti conformi a scopi esista fuori di noi per il potere creativo di una divinit: abbiamo con cialmeno fatto almeno un reale passo avanti o n on ci troviamo allo stesso punto dal quale eravamopartiti? Ci che io cercavo di sapere non era come divengano reali prodotti organizzati fuori e

    indipenden temente da me: perch come potrei farmi di ci almeno un concetto chiaro? Il problema era:come sia venuta in me la rappresentazione di prodotti esterni conformi a scopi, e come mai io sianecessitato a pensare questa finalit come reale fuori di me e necessaria, sebbene essa appartenga allecose soltanto in relazione al mio intelletto. E a questa dom anda no n avete risposto.

    Infatti, non appena considerate le cose della N atura come reali fuori di voi e insieme come opera d iun creatore, in esse non pu ugualmente essere immanente alcun finalismo, perch questo vale solo in

    relazione al vostro intelletto. Oppure volete presupporre anche nel creatore delle cose i concetti di

    scopo ecc.? Ma non appena fate ci, egli cessa di essere creatore: diviene un mero artefice, egli almassimo lArchitetto della Natura; ma voi distruggete dal fondamento ogni idea di Natura, se fateentrare in essa il finalismo dallesterno facendovelo passare dallintelletto di qualche essere. Non appenaquindi voi rendete finita lidea del Creatore, egli cessa di essere creatore; se lampliate fino a renderlainfinita vanno perduti tutti i concetti di finalit e di intelletto e non rimane che lidea di una forza

    infinita. Da questo momento ogni finito una modificazione dellinfinito; ma voi comprendete cospoco come nellinfinito in generale sia possibile una modificazione, quanto poco comprendete comepossano essere entrate nella vostra rappresentazione queste modificazioni dellinfinito, cio linterosistema delle cose, che nellessere infinito pu essere solo ontologica, nel nostro intelletto sia divenutateleologica.

    Po tevate cercare di spiegare ci con la natura prop ria di uno spirito finito. Ma se fate ci non avete

    pi bisogno dellinfinito come qualcosa che sia fuori di voi: potreste subito far divenire e nascere tuttonel vostro spirito. Perch anche se supp onete co se fuori e indipendenti da voi, che in s siano conformia scopi, ciononostante dovreste spiegare come mai le vostre rappresentazioni concordino con questecose esterne. D ovreste rifugiarvi in unarmonia prestabilita; dovreste ammettere che anch e le cose fuoridi voi sono dom inate da uno spirito che analogo al vostro, perch so lo in uno spirito dotato d i poterecreativo concetto e realt, ideale e reale po ssono compenet rarsi e unirsi in maniera tale che fra essi nonsia possibile separazione alcuna. Ed io non posso pensare altro che ci che Leibniz pensava con la

    forma sostanziale, cio uno spirito che sia immanente allessere organico e che regga questultimo.Questa filosofia deve dunque ammettere che nella natura ci sia uno sviluppo di gradi della vita: che

    anche nella materia meramente organizzata ci sia vita, solo una vita di specie limitata. Questa idea cosantica e si manifestata fino ad oggi in forme cos diverse (nei tempi pi antichi si diceva che tutto

    quanto luniverso compenetrato da una principio vivente detto Anima del Mondo; e nella pi recenteepoca di Leibniz si attribu ad ogni pianta unanima), che si pu sospettare che nello spirito umanostesso ci debba essere qualche fondamento di questa credenza della natura. Ed infatti cos. La

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    meraviglia che circonda il problema dellorigine dei corpi organici si fonda su ci, che in queste cosenecessit e contingenza sono intimamente unite. Necessit perch il loro stesso essere concreto, nonsoltanto la loro forma (come nellopera darte), che conforme a scopi; contingenza perch questaconfo rmit a scopi effettuale soltanto per un essere che intuisca e rifletta. Da ci lo spirito umano gidal tempo pi antico stato condotto allidea di una materia che organizza se stessa, e, poich

    lorganismo rappresentato solo in rapporto ad uno spirito, ad ununit originaria dello spirito e dellamateria in queste cose. E sso si vide necessitato a cercare il fondamento di queste cose da una parte nella

    natura stessa, dallaltra in un principio superiore alle natura; e cos pervenne presto a pensare spirito enatura come uno. Qui per la prima volta esso trasse dalla sua sacra oscurit quellessere ideale nel qualeesso pensa come una sola cosa concetto e atto, progetto ed esecuzione. Qui per la prima volta luomofu colto da un presentimento della sua propria natura, nella quale intuizione e concetto, forma eoggetto, ideale e reale sono originariamente la stessa cosa. Di qui il vero e p roprio mistero che circondaquesti problemi mistero che la filosofia meramente riflessiva, la quale ha il suo punto di partenza nella

    separazione, non pot svelare; mentre invece la pura intuizione, o piuttosto limmaginazione creatricetrov gi da gran tempo il linguaggio simbolico, che basta interpretare per accorgersi che la natura ciparla in un linguaggio tanto pi intelligibile quanto meno la pensiamo in maniera riflessiva.

    Non ce da meravigliarsi se quel linguaggio, usato dogmaticamente, perdette subito di senso e disignificato. Finch io sono identico alla natura, comprendo che cosa sia una natura vivente tanto benequanto la mia stessa vita; concepisco come questa vita universale si riveli in molteplici forme, in unosviluppo graduale, in successivi avvicinamenti alla libert. Ma non appena io separo me, e con me tutto

    lideale, dalla natura, non mi rimane altro che un morto obietto e non capisco pi come sia possibileuna vita fuori di me.

    Se interrogo il senso comune, egli crede di vedere vita solo l ove sia movimento libero. Infatti lefacolt degli organi degli animali sensibilit, eccitabilit, ecc. presupp ongono un p rincipio imp ulsivo,senza il quale lanimale non sarebbe in grado di opporre una reazione agli stimoli esterni: e soltantomediante questa libera reazione degli organi lo stimolo prodotto dal di fuori diviene eccitamento ed

    impressione. Qui regna la pi piena reciprocit dazione: lanimale determinato a produrre movimenti

    solo dallo stimolo esterno, e viceversa, limpressione esterna diviene uno stimolo solo per questacapacit d i pro durre in s movimenti. (Perci n on po ssibile n eccitabilit senza sensibilit, nsensibilit senza eccitabilit).

    Ma tutte queste facolt degli organi non bastano puramente come tali a spiegare la vita. Infattipotremmo pensare un insieme di fibre, nervi, ecc. nei quali venissero prodotti mediante eccitamenti

    esterni dei movimenti liberi (come si fa, p. es., mediante lelettricit o il galvanismo, ecc. coi nervi di uncorpo organico distrutto), senza perci poter attribuire la vita a questa cosa composta. Si pot rebbe forseobiettare che la concorrenza di tutti questi movimenti a produrre la vita: ma allora ci implica unprincipio superiore, che n on possiamo pi spiegare con la materia in se stessa, un principio che ordina eraccoglie tutti i singoli moviment i e in t al modo fa un tutto di una m olteplicit di movimenti fra di loroconcordanti e che si producono e riproducono a vicenda. Cos ci imbattiamo di nuovo in quella

    assoluta unit di natura e libert in un medesimo essere: lorganismo vivente deve essere un prodottodella natura, ma in questo prodotto naturale deve dominare uno spirito che ordini e unifichi; e questidue principii devono essere in esso non separati, ma intimamente uniti essi non si devono poterdistinguere nellintuizione, fra di essi non ci deve essere un prima e un dopo, ma assolutacontem poraneit e reciprocit dazione.

    Non appena la filosofia distrugge questa intima unit, sorgono due sistemi opposti fra di loro, deiquali nessuno dei due in grado di confutare laltro, perch entrambi distruggono fin dal suo

    fondamento lidea di vita, la quale sfugge loro quanto pi essi credon o d i avvicinarlesi.Non parlo della sedicente filosofia di coloro che fanno sorgere anche il pensiero, la

    rappresentazione e la volont in noi o da unaggregazione accidentale di corpuscoli gi organizzati o dauna composizione veramente artificiale di muscoli, fibre, membrane, gangherelli, che compongono il

    corpo, e materie fluide che lo percorrono, ecc. Affermo tuttavia che noi non concepiamoempiricamente un a vit a fuori di noi pi di quanto non riusciamo a concepire una coscienza fuori di noi;che n luna n laltra cosa si possono spiegare con ragioni fisiche: e da questo punto di vista del tutto

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    equivalente se il corpo venga considerato come un aggregato accidentale di particelle organiche, o comeuna macchina idraulica, o come un laboratorio chimico. Se, per esempio, tutti i movimenti di unamateria vivente si potessero spiegare con alterazioni nella miscela dei suoi nervi, delle sue fibre o delfluido che in essi si fa circolare, ci si chiede non soltanto come siano state prodotte quelle alterazioni,ma anche quale sia il principio che le raccoglie insieme e armonizza tutte quante. Finalmente, se si vuole

    dare uno sguardo da un punto di vista filosofico alla natura come un sistema che non mai costante ein quiete, ma si volge, si scopre che la natura, insieme alla materia vivente, esce dai quadri della morta

    Chimica, e quindi, poich i pro cessi chimici nel corpo sarebbero necessari e daltra parte il corpo mo rtoviene distrutto da una vera dissoluzione chimica, deve essere nel corpo vivo un principio che losottrarre alle leggi della Chimica. E se questo principio lo si chiama forza vitale, io affermo che la forzavitale (per quanto comoda e corrente possa essere questa espressione), presa in questo senso,costituisce un concetto del tutto contraddittorio. Infatti possiamo pensare la forza solo come qualcosadi finito; ma per sua natura nessuna forza finita se non in quanto essa venga limitata da una forza

    contraria; quindi dove noi pensiamo una forza (come nella materia), dobbiamo pensare la forza ad essacontraria. Ma fra forze contrarie possiamo pensare soltanto a una doppia relazione: o esse sono inequilibrio relativo (se fossero in equilibrio assoluto si annullerebbero completamente), e allora si

    pensano in riposo, come nella materia, la quale appunto per ci detta inerte; oppure si pensano in uncontrasto perpetuo, mai deciso, in modo che a vicenda una vinca e laltra sia vinta ma in tal caso cideve essere una terza cosa, che rende perpetuo questo contrasto di forze a vicenda vincenti e vinte e inesso tiene in vita la costruzione della natura. Questa terza cosa non pu essere a sua volta una forza,

    perch in tal caso ritorneremmo allalternativa di prima. Deve esserci dunque qualcosa di superiore allaforza stessa; ma la forza lultima cosa a cui (come dimostrer) possano risalire tutte le nostrespiegazioni fisiche: quindi quella terza cosa dovrebbe essere un quid che sta completamente fuori dailimiti della indagine empirica sulla natura. Ma la rappresentazione comune non conosce alcunch disuperiore, posto fuori e sopra la Natura, che non sia lo Spirito. Ma se soltanto tentassimo di concepirela forza vitale come principio spirituale, ne annulleremmo con ci stesso il concetto. Infatti si chiama

    forza ci che, almeno come principio, possiamo porre alla sommit della scienza della Natura, e ci che,

    anche se in se stesso non spiegabile, per determinabile, nel suo modo di agire, mediante leggifisiche. Ma di come uno spirito possa agire fisicamente n on abbiamo il menom o con cetto, e perci nonpossiamo n eppure chiamare un principio spirituale con il nom e di forza vitale, espressione che esprimealmeno la speranza di poter fare agire quel principio secondo leggi fisiche.

    Ma se rinunciamo, come necessario fare, a questo concetto di forza vitale, siamo necessitati a

    rifugiarci in un sistema completamente opposto, nel quale spirito e materia stanno ancora luno inopposizione allaltra: sebbene ora riusciamo tanto poco a capire come lo Spirito possa agire sullamateria, quanto poco prima capivamo come la materia potesse agire sullo Spirito.

    Lo Spirito, considerato come principio della vita, si chiama anima. Non star a ripetere ci che datemp o si obb iettato contro la filosofia dei dualisti. Finora la si combattuta con principii che avevanoancor meno consistenza del sistema che si combatteva. Noi non chiediamo come sia possibile in

    generale ununione dellanima con il corpo una domanda che non abbiamo il diritto di fare perchnon la capisce nemmeno colui che la fa ma che cosa mai si possa capire e che cosa si debbarispondere al problema circa soltanto il modo con cui in generale sia venuta in noi la rappresentazionedi tale unione. So b enissimo di pensare, percepire, volere, e che questo m io pensiero ecc. pu cos pocoessere un risultato del mio corpo, che anzi piuttosto vero il contrario, che questultimo diventa il miocorpo in virt di quella facolt di pensare e volere. Inoltre, concedendo pure alla speculazione laseparazione del principio dalla cosa mossa, dellanima dal corpo, sebbene poi, quando si tratti

    dellattivit, noi dimentichiamo del tutto tale separazione: pure, con tutti questi presupposti evidentesoltanto questo, che, se in me sono vita e anima, e questultima qualcosa di diverso dal corpo, dientrambe non posso avere certezza che con una esperienza immediata. Che io sono (penso, voglio,ecc.) qualcosa che io debb o sapere, se in generale sono capace di sapere almen o un a cosa. Comprendo

    dunque come possa venire in me una rappresentazione del mio proprio essere e della mia vita, perch,se soltanto p osso com prendere in generale qualche cosa, questa cosa debbo comp renderla. E poich houna coscienza immediata del mio proprio essere, la conclusione che c in me unanima, anche se la

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    conseguenza pu essere falsa, si fonda almeno su di una premessa indubitabile: questa, che io sono,vivo, ho rappresentazioni, voglio. Ma come pervengo ad attribuire lessere, la vita, ecc., a cosa fuori dime? Ch, non appena ci avviene, il mio sapere immediato, si muta in mediato. Ora, affermo chedellessere e della vita possibile soltanto un sapere immediato, e che ci che e vive, solo in quanto e vive, come ci che da principio e prima di tutto esiste per se stesso, ha coscienza della sua vita

    mediante la sua vita. Posto dunque che entri nella mia rappresentazione un essere organico che simuova liberamente, so che questo essere esiste, che esiste per me, ma non anche che esiste per s e in

    s. Poich la vita non pu essere rappresentata fuori della vita come la coscienza non pu essererappresentata fuori dalla coscienza: perci una convinzione, anche empirica, che viva qualcosa fuori dime, affatto impossibile. Infatti, pu dire lidealista, il fatto che tu abbia la rappresentazione di corpiorganici che si muovono liberamente pu anche dipendere dalla caratteristiche necessarie della tuafacolt rappresentat iva; e la stessa filosofia secondo la quale tutto vive fuori di me non fa sorgere in medal di fuori la rappresentazione di questa vita esterna.. E se questa rappresentazione nasce solo in me,

    come posso essere convinto che ad essa corrisponda qualche cosa fuori di me? Pure evidente che iosono certo solo praticamente di una vita e di unesistenza autonoma fuori di me: sono praticamentenecessitato a riconoscere lesistenza fuori di me di esseri uguali a me. Se io non fossi necessitato ad

    entrare in societ, ed in tut te quelle relazioni p ratiche ch e vi sono conn esse, con degli uomini; se io n onsapessi che gli esseri, che secondo lapparenza della figura esterna sono simili a me, non hanno piragione di attribuire a me spiritualit e libert di quanta io ne abbia di attribuirle a loro; se infine nonsapessi che la mia esistenza morale non riceve uno scopo e una missione che dallesistenza di altri esseri

    morali fuori di me se non sapessi queste cose potrei, abbandonarmi alla mera speculazione, dubitareaffatto che dietro a quel sembiante ci fosse dellumanit e dietro quel petto della libert. Tutto ci confermato dal senso comune. Riconosco che sono di specie spirituale solo quegli esseri esterni a meche han no lo stesso tenore di vita che ho io, con i quali completamen te reciproco il ricevere e il dare,il patire e il fare. Invece, non appena si solleva il curioso problema se anche le bestie abbiano unanima,luomo di buon senso rimane perplesso, perch rispondendo di s crederebbe di ammettere qualcosa

    che non pu sapere con immediatezza.

    Se infine risaliamo alla prima origine della credenza dualistica che almeno in me c unanimadiversa dal corpo: ma che poi quella tal cosa in m e che a sua vo lta giudica che io son o fatto di corpo eanima, che questo Io, che deve essere fatto di corpo e anima? Qui evidentemente c ancora qualcosadi pi elevato, che, libero e indipendente dal corpo, d al corpo unanima, unisce con pensiero corp o edanima e a sua volta non entra in questa unit a quanto pare, un principio superiore nel quale a loro

    volta corpo e anima sono identici.Finalmente, se ci arrestiamo a questo dualismo ci troviamo di nuovo di fronte allantitesi da cui

    eravamo partiti: spirito e materia. E di nuovo ci preme lincomprensibilit di come possa esserepossibile ununion e di materia e spirito. Ci si pu n ascondere il taglio netto di questa opp osizionemediante illusioni di ogni specie, si possono inserire fra lo spirito e la materia quante materie intermediesi vogliano, materie che diventano sempre pi sottili, ma sempre si dovr arrivare ad un punto in cui

    Spirito e materia sono una cosa sola, oppure il grande salto, che si cercato cos a lungo di evitare,diviene inevitabile: e da questo p unto di vista tutte le teorie sono equivalenti. Che io faccia percorrere eriempire i nervi da spiriti animali, da materie elettriche o sostanze gassose, e mediante essi facciatrasmettere le impressioni dallesterno al sensorio, oppure che io ricerchi lanima fino negli estremiumori (per giunta problematici) del cervello (un tentativo che almeno ha il merito di spingersi finoallestremo) nei riguardi della cosa del tutto equivalente. E chiaro che la nostra critica ha compiutoil suo intero ciclo, ma non che circa quel contrasto da cui eravamo partiti siamo divenuti di un tantino

    pi saggi di quanto eravamo allinizio. Ci siamo lasciati dietro luom o, come il pro blema visibile eamb ulante di ogni filosofia, e la nostra critica finisce in quei termini in cui aveva preso le mosse.

    Se racchiudiamo la natura in un a totalit, si trovano di fron te il meccanismo, cio una serie di causeed effetti che scorre dallalto al basso, e il finalismo, cio lindipendenza dal meccanismo, la

    contemporaneit di cause ed effetti. Se raccogliamo insieme anche questi estremi, sorge in noi lidea diuna finalit del Tutto: la natura diviene un circolo che scorre su se stesso, un sistema chiuso in se stesso.La serie della cause e degli effetti scompare co mp letamente e genera una relazione reciproca di mezzo e

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    fine: il singolo non potrebbe esistere senza il tutto, n il tutto potrebbe divenire effettivamente realesenza il singolo.

    Ora, questo assoluto finalismo della totalit della natura unidea che pensiamo nonarbitrariamente, ma necessariamente. Ci sentiamo spinti a riferire ogni singolo a tale finalit del tutto;quando troviamo nella natura qualcosa che sembra essere senza scopo o addirittura contrario ai fini,

    crediamo che si a rotta lintera economia delle cose, e non ci diamo pace finch lapparente mancanza difinalit non ci appaia conforme a scopi da altri punti di vista. E dunque una massima necessaria della

    ragione riflettente che nella natura si debba dovunque presupporre un rapporto di fine e mezzo. Eanche se n on tramutiamo questa massima in legge costitutiva, tuttavia la seguiamo cos costantemente enaturalmente, che presupponiamo evidente che la natura risponder, per cos dire, con spontaneacortesia al nostro scopo di scoprire in essa una finalit assoluta. E appunto perci procediamo, conpiena fiducia nellaccord o d ella natura con le m assime della nost ra ragione r ifletten te, dalle leggi specialie subord inate alle leggi universali e pi elevate; e persino dei feno men i che stanno isolati nella serie delle

    nostre conoscenze non manchiamo di presupporre a priori che anchessi si coordinino fra di loromediante un principio comune. E crediamo allesistenza di una natura fuori di noi solo l ovescorgiamo molteplicit di aspetti e unit di mezzi.

    Che dunque del vostro legame segreto che unisce il nostro spirito con la natura, o quell'organonascosto in virt del quale la Natura parla al nostro spirito o il nostro spirito alla Natura? Vi facciamosubito grazia di tutte le vostre spiegazioni circa il modo con cui una tale natura conforme a scopi siadivenuta reale fuori di noi. Perch lo spiegare questa finalit dicendo che un intelletto divino n

    l'autore non filosofare, ma fare pie considerazioni. Con ci ci avete spiegato tanto come niente:perch n oi non vogliamo sapere come sia nata una tale natura fuor i di noi, ma come l'idea di tale naturasia venuta in noi; e non come l'abbiamo arbitrariamente prodotta, ma come e perch essa originariamente e necessariamente stia a fondamento di tutto ci che la nostra specie ha semprepensato sulla natura. Infatti lesistenza di tale natura fuori di me non ne spiega lesistenza in me: e seammettete che fra luna e laltra ci sia unarmonia prestabilita proprio questo loggetto del nostro

    problema. Oppure se affermate che noi soltanto applichiamo alla natura questa idea, non vi entrato

    nellanima neppure il sospetto di che cosa sia e che cosa debba essere per noi la Natura. Perch noivogliamo non gi che la natura concordi accidentalmente (e magari per la mediazione di una t erza cosa)con le leggi del nostro spirito, ma che in se stessa e originariamente non soltanto esprima ma realizziveramente le leggi del nostro spirito, e che essa sia e si chiami Natura solo in quanto essa faccia ci.

    La Natura deve essere lo Spirito visibile, lo Spirito la