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Consiglio direttivoPresidente: Ferruccio CrennaVice presidente operativo: Eugenio GrassiVice presidenti: Luca RicciEmma AscariTesoriere:Francesco DisaròDirettrice dei corsi:Giuliana ColomboConsiglieri:Roberta Sacchetto Sergio TognellaSegretario: Vincenzo Zucchi

RedazioneGiuseppe Ascari

Ferruccio CrennaLuciano Nardi

Bruno ProserpioAnny Rossi

Gruppo gestioneSistemi Informatici:Antonio GalimbertiAntonio MauriCorrado SantambrogioGiuseppe Trisiano Luciano Vergani

Gruppo gestioneSistemi Hardware:Dino BaresiUmberto EsteEugenio GrassiRoberto Pavan

Collaboratori di segreteriaCarla Arienti

Emma AscariSimona Bergo

Vera CeoloniClara ContieroTamara Fabris

Luisa FurlanPaola Mauri

Milena PoglianiMaria Luisa Sambruna

Mario SevesoVincenzo Zucchi

2 Pro-memoria per il nuovo anno Modifiche alla struttura organizzativa 3 Grazie dottor Sivelli 4 Unitre: i ricordi, un bilancio, un progetto 6 Unitre: 30 anni fa 7 Unitre e storia dell'arte 8 Foto serate di chiusura15 Foto open day20 Vai col vento... a Dervio22 Genova Viaggio a Parigi23 Le nostre uscite musicali24 Maestri d'Arte e Mestieri25 Indovinate chi è26 Il tempo27 La solitudine28 Il palazzo Crivelli a Mombello30 Monarca la farfalla migratrice31 La cometa mancata32 Premiazione 4° concorso letterario33 Nel cortile36 Un mistero inquietante: Majorana37 Rubrica dei nonni38 Intelligenza emotiva40 La mia vita41 La madre al figlio42 Quel ramo del lago di Como...43 Argus

Grafica e impaginazioneGiovanna Cesari

Maria Spotti

Sito UnitreCorrado Santambrogio

Libretto programmi e documenti vari per la

gestione dei corsiGiuseppe Ascari

S ommario

Pro-memoria per il nuovo anno Come consuetudine, all’inizio del nuovo anno accade-mico riteniamo opportuno ricordare le date dei nuovi impegni che ci aspettano.

La novità di quest’anno: da lunedì 10 settembre a ve-nerdì 14 settembre 2018, dalle 9.30 alle 11.30, si potran-no iscrivere i corsisti degli elenchi di prelazione.

Nella stessa settimana ci sarà la tradizionale presen-tazione dei corsi.

Le iscrizioni inizieranno lunedì 17 settembre, dal le 9.30 alle 11.30.

Le lezioni inizieranno lunedì 8 ottobre.Le vacanze natalizie saranno da lunedì 24 dicembre

a venerdì 4 gennaio 2019 compresi. Le vacanze pasquali saranno da giovedì 18 aprile

a martedì 23 aprile 2019 compresi. Le lezioni infine termineranno venerdì 31 maggio

2019.

Modifiche alla struttura organizzativa Unitre

Orario di segreteriaDa lunedì a venerdì:

ore 10.00 – 11.30 ore 14.30 – 18.30

Diamo notizia di alcune modifiche alla strut-tura organizzativa dell'Unitre di Cesano Ma-derno decise nell'assemblea dei soci del 5 giugno 2018:• Il docente Eugenio Grassi assume la ca-

rica di vicepresidente operativo e affian-cherà il presidente Ferruccio Crenna.

• Vincenzo Zucchi diventa responsabile della segreteria.

• Emma Ascari è stata confermata vicepre-sidente e continuerà ad essere operativa dell'ambito della segreteria.

• Francesco Disarò è stato confermato nel-la carica di tesoriere.

TecniciFranco AlbertiDino BaresiValter CanatoAntonio MauriMaria Spotti

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Il primo incontro che ebbi con il dottor Annibale Sivelli risa-le ai miei vent’anni, periodo

in cui hai bisogno di trovare per-sone ricche di giovinezza, colte, preparate che ti ascoltino, che ti accolgano e con le quali sentire odore di umanità. Tutto questo ed altro io l’ho trovato. Senza sa-perlo è diventato, poco alla vol-ta, mio padre culturale. Se ho operato certe scelte educative lo devo anche a lui.

L’ho sempre considerato una roccia solida e sicura, un faro al quale specchiarmi e quando po-tevo sapeva cogliere in me l’a-spetto educativo-umanitario.

Lo trovai poi nei primi anni di esperienza scolastica. Era Pre-sidente del Patronato Scolastico, situato al primo piano della scuo-la di Piazza Duca D’Aosta, ora I Comprensivo, ed io per tre anni fungevo da segretario.

Tra i diversi compiti vi era anche quello di formare le gra-duatorie delle domande che per-venivano per assegnare un con-tributo in denaro alle famiglie che non se la passavano tanto bene. E negli anni settanta-ot-

tanta anche a Cesano ce n’erano. Bene, lui non teneva tanto e solo conto del numero dei figli, del la-voro dei componenti la famiglia, ma sapeva cogliere aspetti e sfac-cettature che non potevano esse-re elencati e sapeva valorizzare e umanizzare ciò che sembrava solo un elenco.

E questo per me era ciò che faceva la differenza.

Diventato educatore l’ho chiamato per ben due volte a raccontare alle mie classi cosa comportasse essere Sindaco; sì, perché nel frattempo lo era di-ventato. E lui mi ha esaudito una prima volta con gli alunni di quinta elementare e una secon-da con un gruppo delle medie. Raccontava con passione e con precisione ai giovani quali valori cercasse di trasmettere per infon-dere e rafforzare il senso civico alle generazioni future. Forse adesso sembra quasi scontato che la scuola abbia tali finalità, ma allora non lo era così tanto. Poi avere un sindaco in classe faceva la differenza; non avevi davanti un film, o uno schermo che parlava ma una persona con cui interloquire e così capace di comunicare umanità.

Più tardi, all’inizio del nuovo secolo, l’ho trovato all’Unitre, prima come Presidente e suc-cessivamente come presidente onorario. Sulla fine degli anni

’80 aveva contribuito all’inse-diamento dell’Unitre in Cesa-no, anche se inizialmente aveva incontrato qualche inevitabile difficoltà per convincere l’Am-ministrazione comunale di allo-ra. Sivelli, però, che ha sempre visto nella cultura un elemento fondante per la persona uma-na, con la sua costanza e lucidità riuscì a far accogliere l’iniziati-va del cittadino avv. Luca Ricci e del dott. Silvio Bolognini. “Il compito essenziale dell’Unitre è la socializzazione, così da abbat-tere l’egoismo di cui è piena la nostra società”.

Negli anni della sua presiden-za onoraria vari sono stati i suoi interventi, sia in fase di inizio che di chiusura dell’anno accademi-co; interventi nei quali ha sem-pre manifestato l’orgoglio per la grande macchina a cui aveva contribuito a dar vita con l’indi-scussa qualità del corpo docente e della segreteria, vero motore dell’accademia.

La sua inesauribile sete di cultura riusciva a comunicarla nei suoi brevi ma incisivi inter-venti, i cui contenuti sono stati ripresi più volte anche nel nostro giornale come spunti di riflessio-ne e come guida ai docenti du-rante l’anno accademico.

Luciano Nardi

Grazie, dottor Sivelli

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La celebrazione di un anniver-sario porta con sé inevitabil-mente i ricordi, conduce ad

un bilancio e determina un progetto.Innanzi tutto i ricordi. UNITRE

nasce a Cesano trent’anni fa per una mia intuizione ed una sovrapposi-zione di eventi che mi riguardano.

Due anni prima, in Università Cattolica, lavoravo alla tesi in Fi-losofia del diritto seguito dal prof. Silvio Bolognini, che in quegli anni aveva fondato UNITRE a Milano e ne era il presidente. Dopo la laurea egli mi chiese di tenere il corso di diritto penale e fu per me un’avven-tura stimolante: i partecipanti ai cor-si UNITRE sono persone con espe-rienza di vita, parlare loro – anche di una materia tecnica – equivale sempre ad instaurare un dibattito, io partivo dai processi che la cronaca sottoponeva all’opinione pubblica e ricostruivo i principi giuridici.

Il mio primo contatto con il mon-do UNITRE ebbe successo e mi fece vivere un’esperienza significa-tiva che ritenni di poter replicare a Cesano Maderno.

La mia formazione cattolica, con figure di riferimento come don Pep-pino Gerosa e fratel Franco Faggin, mi portava con naturalezza verso l’impegno sociale e culturale, ero stato presidente della Biblioteca ci-vica e redattore de Il Cittadino, sul quale scrivevo di politica, conosce-vo le difficoltà, ma anche le soddi-sfazioni che si incontravano nel pro-

porre cultura al nostro territorio.Il segreto di UNITRE, tuttavia,

era nel mix fra approfondimento culturale e umanità, fra desiderio di conoscenza, di approfondimento ed esperienza di vita. Ed il segno forte del volontariato.

Ne parlai ad Annibale Sivelli, che ricopriva in quel momento il ruolo di Sindaco della città e che aderì con entusiasmo. Organizzai un incontro con lui e Bolognini e si cominciò a pensare alle persone da coinvolgere.

Ritengo che il successo di UNI-TRE nasca proprio dalla scelta delle persone di quel primo nucleo fon-dante, dalla loro voglia di dare agli altri, dalla serietà del loro impegno.

Gli ambienti dove andammo a pescare erano quelli delle mie fre-quentazioni: la biblioteca, con Lucia Elli, il centro don Bosco, con Emma Ascari, Savina Crippa, Francesco e Giulia Disarò, cui mi legava grande affetto nel ricordo di Paolo e Davi-de, amici e compagni di scuola, il Liceo di Meda, con Antonio Silva, primo direttore dei corsi.

Via via si sono aggiunte tante al-tre figure significative per la nostra associazione, tutte caratterizzate da un comune segno distintivo: fornire il proprio contributo personale sulla base delle proprie conoscenze e ca-pacità, in un contesto che ciascuno aiuta a far crescere, ma che conte-stualmente è motivo di crescita per-sonale.

Così i numerosissimi docenti ed i componenti della segreteria che, insieme, costituiscono il motore che muove l’intera organizzazione. Fra costoro mi si consenta di ricordare mio papà, il cui amore per UNITRE era pari all’entusiasmo con cui ope-rava ed ai profondi rapporti umani che aveva costruito nel tempo.

Dieci anni fa, intervistato in oc-casione del ventennale, dissi che “la ragione principale del successo di UNITRE nasce dalla magia della parola volontariato”. Ne sono tut-tora convinto, fornire cultura, svol-gere un compito sociale, aiutare le persone a formarsi in modo perma-nente, ma anche a socializzare e ad impiegare positivamente il proprio tempo libero, è un impegno che non può non entusiasmare e coinvolge-re, perché tutto ciò che si dà ritorna ed appaga.

UNITRE è oggi, soprattutto grazie a chi ne ha curato negli anni la gestione, un’associazione con un’organizzazione strutturata che fornisce una proposta formativa completa e variegata, con grande successo anche sul piano dei nume-ri. Ed è ciò che vuole continuare ad essere.

Il progetto, tuttavia, comprende anche un’apertura al territorio ed all’approfondimento dei grandi temi e dei segnali che derivano dal dibat-tito quotidiano.

In pieno periodo di Mani Pu-lite organizzammo un convegno

2006. Gli adolescenti nell’attuale società: vittime e colpevoli. Da destra: don Gino Rigoldi, Giovanni Basso, Luigi Losa, Livia Pomodoro

1998. Dieci anni in città e nel territorio. Il disagio globale attuale. Il cardinale Ersilio Tonini

i ricordi, un bilancio, un progettoUNITRE:

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su Diritto di cronaca e diritto alla riservatezza, con i protagonisti di quell’epoca, nel 1999 ci fermammo a riflettere sul fenomeno dell’im-migrazione insieme a chi, a vario titolo, era impegnato su quel fronte, negli anni successivi ancora un ap-profondimento su Minori e società.

Nel solco di questi eventi, quest’anno vogliamo ricordare la

UNITRE – UNIVERSITÀ DELLE TRE ETÀ - Cesano Maderno (MB)

nel trentennale della sua fondazione organizza il Convegno

LA COSTITUZIONE ITALIANAA 70 ANNI DALLA SUA ENTRATA IN VIGORE

Presenta e coordina i lavoriPETER GOMEZDirettore de “Il Fatto Quotidiano” online

Interventi“Una testimonianza di gratitudine alla Carta Costituzionale”GIOVANNI MARIA FLICKPresidente emerito della Corte Costituzionale e autore del libro “Elogio della Costituzione”

“L’equilibrio tra i poteri dello Stato: politica, inchieste giudiziarie ed informazione”PAOLO MIELIGiornalista e saggista

“La cultura della legalità, il giusto processo e il diritto di difesa”LUCA RICCIAvvocato penalista

LUNEDÌ 12 NOVEMBRE 2018 ORE 21,00TEATRO EXCELSIOR Via San Carlo 20 CESANO MADERNO

Costituzione Italiana a 70 anni dalla sua entrata in vigore e lo faremo con personaggi di primo piano come il presidente emerito della Corte Co-stituzionale Giovanni Maria Flick e i giornalisti Paolo Mieli e Peter Go-mez.

Si tratta di appuntamenti nei quali UNITRE coniuga la propria vocazione alla cultura e all’appro-

fondimento tematico con l’impegno sociale e l’attitudine al dibattito, nella consapevolezza che il con-fronto di opinioni, anche diverse, è sempre motivo di crescita.

Luca Ricci

1993. Trasparenza, diritto di cronaca e diritto alla riservatezza. Da sinistra: Antonio Silva, Maurizio Losa, Piercamillo Davigo, Annibale Sivelli, Raffaele Della Valle, Peter Gomez, Luca Ricci

i ricordi, un bilancio, un progetto

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Sistemando la libreria di casa ho ritrovato tutto il mate-riale dell’UNITRE che ho

conservato. Trent’anni di storia. All’inizio ho svolto attività di se-greteria attratta dall’istituzione che stava nascendo, incarico che ho portato avanti per 13 anni, poi lasciato per seguire meglio le le-zioni, cosa che mi ha legato all’U-NITRE fino ad oggi.

Comincio a smistare ed ecco fra le mani il programma dei cor-si del primo anno accademico 1988/1989. Mi prende la curiosità di ricordare quali materie mi han-no interessata in quegli anni e qua-li docenti abbia avuto.

Le prime lezioni si sono tenute nell’aula consigliare della scuola Duca d’Aosta. Accanto a questa aula c’era un vano comunicante che era adibito a segreteria. L’ora-rio era identico a quello di oggi: tre ore, tre lezioni. Le materie erano tredici più tre laboratori; c’era un clima famigliare che mi piaceva molto. I mezzi a disposizione era-no esclusivamente carta e penna.

Il primo giorno di scuola è stato lunedì 27 febbraio 1989 alle 17,30 con il corso di inglese.

La prima dispensa che ri-trovo nel mio archivio è datata 1989/1990 e si riferisce alla lezio-ne di dialetto milanese di giovedì 18 gennaio 1990. Parte con queste parole:”Finalment se vedum! Fi-nalment se guardum in di oeucc !” Caterina Sangalli, la docente,

era innamorata della sua materia che considerava una vera e propria lingua che non voleva lasciar mo-rire. Gli argomenti trattati erano parte in italiano e parte in dialetto e comprendevano temi culturali, letterari, poesie, proverbi, racconti di vita vissuta.

Rigiro tra le mani le dispense: rigorosamente in bianco e nero, semplici fogli dattiloscritti pin-zati insieme. Rovistando trovo la prima dispensa di uno squillante color verde: maggio 1993: Si parla della storia della fabbrica del Duo-mo e della dominazione austriaca. Poi c’è una dispensa intitolata “I gridi di Milano”: il venditore di calzature che annunciava il suo arrivo con la frase “bei zibrett per idonnett! scalparett… zoccorett!” e usava la sua persona come ve-trina espositiva su cui appendeva la merce; il venditore di castagne gridava “gh’emm i caramell per quej che va a scola!” e così via, un elenco di venditori.

Ricordo che la professoressa Sangalli scrisse una poesia che ha commosso tutta la classe, era inti-tolata “I me mann”, considerazio-ni di una donna non più giovane mentre guarda con sgomento le sue mani invecchiate. Ritroverà consolazione e serenità ricordan-do i mille gesti lodevoli delle sue mani.

Nel primo anno di apertura dell’UNITRE iniziava e continua-va per vent’anni le sue lezioni di

storia dell’arte la professoressa Maderna. Le sue lezioni spaziava-no in ogni secolo e in ogni campo. Più avanti divenne direttrice dei corsi. Nel 1988/1989 il corso ave-va come tema “la questione fem-minile” partendo dalla condizione della donna al tempo degli Ebrei fino al Concilio Vaticano II. Il suo bagaglio culturale era veramente notevole.

Queste due insegnanti le ri-cordo in modo particolare: la professoressa Sangalli per la sua personalità semplice, molto aper-ta, cordiale e con una forte voce; la professoressa Maderna invece rappresentava la studiosa, la catte-dratica. Aveva un timbro piuttosto freddo che si riscaldava ed enfatiz-zava commentando le opere pitto-riche, le sculture e l’architettura. Le ho molto ammirate.

Il dottor Vittorio Basilico è stato il docente del corso di “Ge-ologia della Brianza” materia per me affascinante. Le lezioni teori-che sulle trasformazioni del nostro territorio sono state rese pratiche durante una giornata di visita at-traverso la Brianza fino al lago di Como e risalendo a Colico verso i ghiacciai.

In trent’anni molte cose sono cambiate: l’UNITRE ha cambiato sede e ci sono a disposizione mol-te aule, palestre, sussidi didattici. Si è ampliata tanto da avere oggi oltre 160 corsi.

In ventinove anni ho segui-to molte lezioni seguendo la mia curiosità; mi ha dato modo di cre-scere in conoscenze e… di invec-chiare con lei. È stato un percorso affascinante che consiglierei a tutti coloro che hanno la salute, il tem-po e la possibilità di attuarlo.

Approfitto dell’occasione per ringraziare tutte le persone che hanno lavorato e lavorano per questa causa donando intelligen-za, tempo, fantasia, mezzi affinchè questa realtà possa continuare.

Elena Cova Strada

UNITRE: 30 anni fa

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Storia dell’arte: denominazione magica per l’Italia e gli italiani. Infatti l’Italia ha rea-lizzato, dagli Etruschi ad oggi, il 75% del

patrimonio di bellezza (arte visiva) che abbiamo, oggi, nel mondo. Patrimonio che tutta la storia universale ci riconosce e ci invidia. Patrimonio però poco apprezzato dagli italiani, perché da essi poco conosciuto: se non si conosce non si apprezza.

Esempio: davanti alla Pietà Rondanini, gruppi, sia giovanili che adulti, rimangono a bocca aperta quando faccio notare: “Vedete che il Cristo morto non è adagiato, come da tradizione, sulle ginoc-chia della madre, bensì è in piedi, mentre Maria è posta dietro di lui, aggrappata al suo collo?! Dunque è Cristo che, metaforicamente, regge la madre, non viceversa”. Nessuno ci aveva pensato, prima di Michelangelo. Gli uditori rimangono in-cantati. Poi chiedono: “E quel misterioso braccio? E quei due volti nell’unica testa? E quello strano non finito?”. Risposta: “la Pietà Rondanini è stata eseguita da Michelangelo in due tempi diversi, fra loro piuttosto distanziati. Nell’ultima fase della sua tribolata vita il grande maestro ha rielabora-to il celebre gruppo marmoreo senza l’intento di concluderlo; egli lavorava ormai solo per se stes-

so”. A questo punto gli uditori si fanno pensosi e rin-graziano.

Ma quanti infiniti altri capolavori bisognerebbe conoscere e far conoscere, almeno superficialmente. Il contributo della scuola italiana è vergognosamente basso. Chi scrive (fratel Claudio) è un modestissimo storico dell’arte che è subentrato, come docente di storia dell’arte, alla professoressa Letizia Maderna, nella nostra Unitre.

Ora, però, non ho più l’età per sostenere un corso teorico e impegnativo di questo tipo.

Attualmente accompagno il promettente gruppo di corsisti di Accademia di pittura, avendo accolto, forse indegnamente, il compito che fu del caro col-lega professor Franco Galimberti (che il cancro ci ha portato via), corso pratico-esecutivo e quindi, per me, più distensivo. Naturalmente non tengo a digiu-no di storia dell’arte i miei affezionati corsisti-pit-tori, inserendola, di tanto in tanto, nelle lezioni. E altrettanto fanno altri docenti di varie discipline ar-tistiche.

Ma un’Unitre, come quella di Cesano Maderno, non può mancare di un corso completo di pura Sto-ria dell’arte.

Occorre trovare un docente, relativamente giova-ne, preparato in storia dell’arte e appassionato, che sappia trasmettere cultura ed entusiasmo, che inse-gni storia dell’arte e non l’arte delle storie. Cosa non facile da trovare.

Senza scoraggiamenti e con l’aiuto della Provvi-denza diamoci tutti da fare.

Fratel Claudio

UNITRE ESTORIA DELL’ARTE

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Ballo Country

Un viaggionella matematica

Training autogenoBoogie Woogie

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Bridge

Burraco

Training autogeno Compagnia Unitre

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Il presidente Crenna e l'assessore alla cultura Boldrini

Danza e movimento

Gruppo docenti

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Lingua francese (C. Bouchet)

Lingua tedesca (S. Pagani)

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Lingua inglese (R. Sacchetto)

Lingua italiana

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a Musica corale Tombolo

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Il pubblico

Recitazione

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aLingua spagnola

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Tai Chi Chuan

Tango argentino

Balli di gruppo

Il servizio fotografico delle serate di chiusura è di NEW PHOTO VOLPI di Baruccana di Seveso

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Accademia di pittura

Acquarello

Bigiotteria

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Pizzo Cantù

Tombolo

Taglio e confezione

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Bonsai

Creatività artistica

Di-segno e colore

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Enologia

Fotografia

Esperienze shiatsu

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Micologia

Pittura e decorazione

Il servizio fotografico dell'Open Day è di Anny Rossi

Pittura su porcellanaLaboratorio di sartoria

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Venerdì 20 Aprile 2018

Finalmente, dopo tanta “te-oria”, è il momento di met-tere in pratica quanto ap-

preso. Dal “banco” in un’aula ad una e vera propria barca a vela in acqua. Tanta curiosità ma anche un po’ di apprensione, come sarà?

È proprio vero, anche da adul-ti, quando ci si avvicina ad una disciplina sportiva, pur affasci-nante come la vela, l’obiettivo principale resta sempre quello di imparare sì, ma divertendo-si. Sono diverse le motivazioni, le aspettative, il tempo dedicato all’attività formativa, ma l’entu-siasmo dell’adulto non è affatto inferiore a quello del bambino… e lo si vede subito, in “acqua”.

Navigare spinti solo dalla forza del vento, regolare le vele e rendersi conto che la barca si muove in pieno controllo, in ar-monia con il mare e con la natura è una delle sensazioni più belle che solo una barca a vela sa rega-lare. Per godersi appieno la navi-

gazione a vela non occorre essere superdonne o superuomini: basta lasciarsi cullare dalle onde ed avere un minimo di idea su cosa accade a bordo e come compor-tarsi per rendere la veleggiata più piacevole.

Per quanto riguarda la naviga-zione, la prima volta non è che ci si capisca granché (se non hai fat-to il corso teorico): cazza di qua, lasca di là, orza, poggia e issa. Aiutoooo! Quante parole diffici-li! E tutte quelle funi? Ah, non si dice funi? Corde va bene? No, nemmeno? Oddio, che ho detto? Ah ok, devo dire cime o scotte. E quali sono le une, e quali le altre? Boh? Sottocoperta, la chiglia… calo l’ancora? Ah calare non si dice per l’ancora, va bene per la pasta ma per l’ancora no. E allo-

ra come devo dire? Ok, va bene, devo dire “dò fondo”… che paro-loni! Insomma, quando ti immer-gi in un mondo nuovo ti senti un po’ spaesato, ma poi pian piano e con un buon maestro si impara un sacco di cose e oltre a un bel po’ di termini tecnici si possono imparare i primi rudimenti della

VAI COL VENTO A… DERVIO

Uscita a vela sulle “perigliose” acque del Lago di Como

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navigazione e si potrà poi aiutare lo skipper a governare (sì, si dice governare e non guidare!) la bar-ca. E devo dire che allora inizia il vero divertimento. Che gran sod-disfazione, ragazzi!

Ringraziamo la scuola di vela “ORZA MINORE” che ci ha ospitato presso la sua base di Dervio e che ci ha messo a dispo-sizione quattro cabinati. Hanno partecipato all’uscita in barca a vela tutti gli iscritti al corso “Vai Col Vento” più tre simpatizzanti.

La giornata è stata così orga-nizzata: • Briefing prima dell'uscita in

acqua durante il quale sono state introdotte dal capo base le nozioni di base dell'andare a vela per i neofiti e il pro-gramma della giornata.

• Formazione degli equipag-gi con quattro allievi ed un istruttore su ogni barca.

• Consegna dei giubbotti di salvataggio.

• Armo delle barche e descrizio-ne sommaria delle manovre.

• Uscita a vela di tutta la gior-nata con prove di andature, manovre base e ormeggio.

• Pausa pranzo a metà giornata

sulla sponda opposta del lago.• Rientro in porto, disarmo

delle imbarcazioni.• Saluto di fine giornata.

Abbiamo trovato una gior-nata ideale per la vela per dei principianti, sole, caldo, vento non troppo, così che nessuno ha avuto problemi, anzi tutti avreb-bero voluto osare di più. Tanto meglio, iniziare in sicurezza crea il desiderio di riprovarci.

Commenti post veleggiata:Paolo: Bellissima giornata di

vela speriamo di farne altre anco-ra grazie a tutti i velisti del grup-po e ai nuovi iscritti e soprattutto all’organizzazione di... grande

Pietro: Grazie per la giorna-ta… riuscitissima

Maria Cristina: Grazie a tutti! Organizziamone ancora!!! Giu-gno o anche prima…

Marinella: Voglia di mare e di velaaaaa

Pasquale: Veleggiare è stato un primo amore tardivo. Le sen-sazioni sono state come quelle di uno scolaretto tra gioia e timori, ma addolcite da un tempo vera-mente benevolo. Nessuno è mai solo e tutti sono con tutti in quel piccolo scafo uniti con spirito di

squadra come sempre si dovreb-be...

Elisabetta: Fantastica giornata passata con persone tutte piace-voli che mi hanno fatto sentire subito a mio agio nonostante non conoscessi nessuno. Non ave-vo nessuna voglia di rientrare a casa. Da rifare…

Sicuramente una giornata ri-uscita che ha premiato l’assidua partecipazione al corso “Vai Col Vento” con dimostrazione agli istruttori della propria prepara-zione teorica essenziale al rapido apprendimento delle manovre pratiche e nel portare la propria barca, in sicurezza, nelle varie andature.

La vela è per tutti, tutti pos-sono andare a vela, ognuno al proprio livello ed a qualsiasi età.

Lucio Rusin

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Domenica 29 aprile 2018 il docente di Lingua italiana e Lingua latina

ha accompagnato un simpatico gruppo di corsisti in visita alla città di Genova. La meta principale è stata l’Acquario, imponente nella sua costruzione cubica. E’ stato impressionante vedere questo enorme contenitore dove erano collocate innumerevoli vasche in cui si muovevano le più svariate specie di fauna marina nel loro habitat abituale, sapientemente posto e creato dagli esperti genovesi.

Il pomeriggio è stato trascorso visitando il centro medievale della città e il nucleo storico. Un esempio per tutti è lo splendido monumento che è la Cattedrale di San Lorenzo, con la tipica facciata a bande bianche di marmo di Carrara e bande scure di ardesia di Lavagna. Anche passeggiando tra le vie della città e attraversando la piazza De Ferrari, dove abbiamo ammirato la

sua bella fontana, hanno permesso al gruppo visitatore di respirare, gustare e assaporare lo spirito e il clima della città.

Genova

Dopo aver visitato, negli scorsi anni, diverse re-gioni e città francesi, è

giunto anche il momento di par-tire per Parigi. Così il 19 marzo scorso abbiamo iniziato il nostro percorso, comodamente sistema-ti sul pullman di Andrea, che ci aveva accompagnato in altre due occasioni.

È stato un piacere ritrovare pa-

recchie persone che già avevano partecipato a queste uscite, ma è stato bello anche constatare che altre hanno ritenuto interessante la nostra meta e si sono unite a noi dando vita a un gruppo sim-patico e affiatato.

Essendo il percorso piuttosto lungo, abbiamo fatto sosta a Ne-vers, città ricca di storia come del resto è per tante altre, e non solo

francesi. Lì abbiamo scoperto an-che un legame con il nostro Paese dal momento che un duca di Gon-zaga, divenuto per matrimonio duca del Nivernais, aveva intro-dotto in città la lavorazione della porcellana grazie a maestri vasai di Albisola. Attività artistica che per secoli fu motivo di sviluppo e di benessere ma che ora, come ci ha illustrato la guida indicandoci

Viaggio a Parigi

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varie insegne di laboratori ormai chiusi, è notevolmente ridotta a causa della concorrenza straniera, del costo della materia prima e del mancato ricambio generazionale.

Cittadina piacevole, Nevers ci ha permesso di ammirare so-prattutto il suo elegante Palazzo Ducale i cui giardini si affacciano sulla Loira, ma anche la sua pre-gevole cattedrale.

Il viaggio è proseguito in di-rezione di Parigi: la città ci ha accolto con una temperatura piut-tosto bassa ma la neve caduta il giorno precedente si era fortuna-tamente sciolta.

Sylvie, la nostra guida, si è di-mostrata subito attenta e la sua ot-tima preparazione ha soddisfatto sia chi già conosceva la città (ma chi può dire di conoscere a fondo una metropoli così ricca di storia, di monumenti, di proposte cultu-rali?), sia chi visitava per la prima volta la “ville lumière”. È infatti sempre affascinante percorrere i suoi ampi boulevards, soffermar-si in qualche bel giardino, davanti alla tour Eiffel, nelle monumenta-li piazze: la grandiosa place de la Concorde, l’elegante place Ven-dôme, la straordinaria place des Vosges… senza dimenticare la sua bella Cattedrale, le numerose chiese, alcune delle quali sono di solito meno visitate ma altrettanto interessanti, respirare a volte l’at-

mosfera tragica dei giorni della Rivoluzione o il vivace quartiere ebraico... e fare puntate piacevoli dalla “rive gauche”- la “rive qui pense”, un tempo più che oggi frequentata dagli intellettuali, dagli artisti,- alla “rive droite”, la “rive qui dépense”, quella dei commerci, delle attività finanzia-rie, del lusso, dei bei palazzi co-struiti secondo il piano urbanisti-co del barone Haussmann.

I tre giorni che ci siamo con-cessi non ci hanno permesso vi-site a qualche museo ma ciò che abbiamo potuto ammirare, senza volerne fare qui un elenco, è sta-to comunque appagante per tutti. Tuttavia non posso non accenna-re alla breve navigazione serale sulla Senna: la luna, la tour Eiffel splendente di luci, alcuni fuochi d’artificio in lontananza hanno creato un’atmosfera davvero ac-cattivante.

Dato infine uno sguardo pa-noramico alla città dall’alto di Montmartre, abbiamo intrapre-so la via del ritorno sostando in un’altra grande città un tempo famosa soprattutto per la produ-zione della seta: Lione, che sorge alla confluenza del Rodano e del-la Saona ma che possiede, come simpaticamente ci ha suggerito la giovane guida che ci ha accompa-gnato nella visita dei monumenti più significativi, un terzo “fiu-

Le nostre uscite musicaliQueste sono le uscite musicali effettuate nel corso del passato anno accademico, organizzate dalla nostra Segreteria Unitre:

20/12/2017 Teatro alla Scala La dame aux camelias25/02/2018 Teatro di Milano La Traviata29/04/2018 Teatro Strehler Accademia di ballo della Scala07/05/2018 Teatro alla Scala I cameristi della Scala

me”. il beaujolais, il vino tipico della regione.

Particolarmente interessante, a mio avviso, l’atmosfera che si re-spira nel “vieux Lyon”, un vero e proprio dedalo di vicoli e di scali-nate, e soprattutto la scoperta del-le “traboules”, passaggi ricavati, anticamente, all’interno delle abi-tazioni per potersi spostare più velocemente da una via all’altra.

Così si sono concluse le no-stre giornate transalpine. Ci sarà un’altra opportunità il prossimo anno?

Giuliana Colombo Gattei

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Lo scorso 4 giugno, presso il salone d’Onore della Triennale di Milano, si è svolta la ceri-monia finale della seconda edizione MAM,

Maestro d’Arte e Mestiere.La Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, in

collaborazione con ALMA, Scuola Internaziona-le di Cucina Italiana, ha ideato e promosso questo speciale riconoscimento che rappresenta un inedito tributo dedicato ai Maestri d’Arte italiani. Le 23 categorie dell’artigianato artistico riconosciute dal-la Fondazione spaziano dalla ceramica alla gioiel-leria, dal legno all’arredo, dai metalli alla mecca-nica e mosaico, dalla pelletteria alla stampa d’arte, dal restauro al tessile… fino ai mestieri del gusto e all’arte dell’ospitalità. Il fine ultimo è di valoriz-zare e portare all’attenzione del grande pubblico e dei media la straordinaria opera di alcuni dei più significativi protagonisti dell’artigianato dell’ec-cellenza.

Nella sala gremita da un pubblico giunto da ogni parte d’Italia per rendere omaggio al talento inimi-tabile dei nostri artigiani italiani, sono stati applau-diti i 77 Maestri riconosciuti “eccellenze” nella propria categoria.

Con grande orgoglio comunichiamo che per la sezione “Merletto e ricamo” è stata insignita del ti-tolo di MAM la nostra insegnante Renata Colombo, che da molti anni svolge con passione e tenacia l’in-segnamento di questa meravigliosa arte presso que-sta Università, tenendo il corso di PIZZO CANTÙ.

Passione che è riuscita a trasmettere a tutte noi, per far sì che questo lavoro possa essere passato ed ereditato alle generazioni future.

Il riconoscimento tangibile, ricevuto nel corso della premiazione, è una medaglia realizzata ap-

Maestri d’Arte e Mestieri

positamente dalla Scuola dell’Arte della medaglia dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato. È inol-tre entrata di diritto a far parte del Libro d’oro del-le Eccellenze Italiane. A tutt’oggi sono solo tre le merlettaie che hanno avuto questo riconoscimento sul territorio nazionale.

Con questo scritto vogliamo rendere pubblica la nostra gratitudine per la nostra meravigliosa inse-gnante.

Le allieve del corso PIZZO CANTÙ

Invito a collaborareInvitiamo tutti i partecipanti all’Unitre (docenti e corsisti) a collaborare per il nostro giornale, for-nendo articoli, poesie, racconti, fotografie, dipinti od altro.In linea di massima i pezzi non dovranno superare le 3.000 battute, spazi inclusi. Il materiale (pos-sibilmente in formato elettronico) dovrà essere consegnato in segreteria Unitre, oppure inviato per posta elettronica all’indirizzo: [email protected], entro il 9/11/2018.La redazione si riserva la decisione di pubblicare, a suo insindacabile giudizio.

La Redazione de leNotizie

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“Ragazze, signore e donne di ogni età, vi siete mai chieste chi,

fra i bellissimi attori cinematogra-fici, potrebbe essere il vostro par-tner ideale?”

Eh, eh, ehi, calma, calma, non avevo dubbi! Un coro simultaneo di sì mi sta giungendo all’orrec-chio e, anche a mia volta, la fanta-sia vola su una stella prediletta di Hollywood del quale non vi sve-lerò subito il nome bensì vi darò alcuni indizi sul ruolo da protago-nista che ha interpretato per poter-lo indovinare.

1° Julian Kay amato dalle don-ne per la sua prestanza e bellezza fisica. Il suo modo di camminare, l’eleganza con cui abbina camicie, cravatte, pantaloni e calzini. Inca-strato ingiustamente, poi arrestato, viene salvato da un’estrema prova d’amore dalla moglie di un candi-dato al ruolo di governatore della California fornendogli un alibi di ferro.

2° Zack Mayo giovane dell’Oklahoma arruolatosi in ma-rina per diventare pilota di aerei, dopo un corso durissimo scontra-tosi molteplici volte col suo ser-gente dal quale viene più volte deriso, riesce egregiamente a con-seguire il diploma. Diventato uffi-ciale va alla cartiera dove lavora la

sua amata e prendendola in braccio la porta via con sè per iniziare una vita insieme.

3° Edward Lewis affarista mi-liardario che in Hollywood Boule-vard incontra una giovane prosti-tuta alla quale propone un affare che dura un’intera settimana. Lei è diversa da tutte le donne che finora ha conosciuto, lo ha letteralmen-te cambiato e a contratto scaduto quando se ne va, lui si accorge che è veramente importante e non può più farne a meno. Si fa accompagnare dal suo autista privato dove ella abi-ta e raggiunge il suo appartamento sulla scala antincendio dichiarando-le il suo amore.

4° Parker Wilson professore universitario di musica. Una sera al suo ritorno in stazione, trova un cucciolo di Akita smarrito e decide di portarlo a casa anche se la moglie all’inizio non è concor-de. Hachi non è un cane comu-ne, il suo legame col padrone è più forte di qualsiasi altra razza e ogni mattina lo accompagna e alla sera lo aspetta sempre pun-

tualmente al solito posto .Quando il professore muore per lungo tem-po esso è sempre lì alla stazione ad attenderlo nonostante siano passati ben 10 anni fin quando, malconcio esala l’ultimo respiro.

Immagino che a questo punto il nome dell’attore misterioso sia stato intuito e per l’esattezza lui è il mitico, glorioso, straordinario Richard Gere.

Quando mi sento un pò giù di tono, le pile scariche ecc.ecc., per ricaricarmi sapete dove vado? Ma... in camera! No, non sono fuori di testa, apro semplicemente le ante del mio armadio personale ed osservo i suoi ritratti: al lato de-stro giovane, vigoroso, incantevo-le e a quello sinistro com’è tuttora e anche coi capelli canuti sempre attraente, seducente, dal fascino senza età.

Immediatamente, come un col-po di spugna, i miei pensieri grigi svaniscono, mi sento più leggera quasi come volare lassù oppure atterrare e camminare mano nella mano con lui a piedi nudi sull’erba fresca del parco.

Marisa Cermenati

Indovinate chi è

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Vorrei proporre a modo mio una riflessione sul tempo: che cos’è, che

significato ha per me e come lo impiego e lo vivo.

È veramente difficile rispon-dere alla domanda che cos’è il tempo; credo che nessuno abbia mai dato una risposta esauriente a questo eterno quesito. Penso che si possa rispondere in modo tradizionale, così come per tradi-zioni sociali e culturali mi è stato insegnato.

C’è il tempo delle stagioni, il tempo della crescita, quello del lavoro, del riposo, il bel tempo e il brutto tempo. Secondo il di-zionario Zingarelli il tempo è il trascorrere degli eventi in una successione di istanti. Nella sto-ria poi vi è stato uno studio lungo e sistematico per precisare e sco-prire meglio il vero significato.

Quale significato ha per me il tempo? Gli do un significa-to molto importante perché mi rendo conto che il tempo è tutto quello che possediamo: solo nel tempo si vive e solo in esso po-niamo grandi soddisfazioni per noi e per chi ci vuole bene.

Credo che il tempo sia l’es-senza stessa della vita. Senza la vita non si potrebbe avere nessu-

na cognizione del tempo.Allora come lo vivo io e come

lo impiego. Penso che impiegare e vivere il tempo sia sostanzial-mente la stessa cosa. Io lo im-piego nei più svariati modi. Con-siderandolo nella divisione di una settimana e da quando sono in pensione lo divido in diversi momenti: momenti di impiego sociale, momenti di lavoro e di svago.

Passo tre mezze giornate fa-cendo volontariato all’AUSER e alla Camera del lavoro.

Per lo svago compio passeg-giate a piedi, in bicicletta sia nel parco delle Groane sia in monta-gna, mi tengo informato leggen-do un quotidiano e frequento al-cuni corsi all’Unitre.

Durante i momenti di lavoro sbrigo le faccende domestiche, occasionalmente restauro mobili antichi.

Questo modo di impiegare il tempo mi gratifica abbastanza, anche se alla fine della giornata mi accorgo che non ho fatto tut-to quello che avrei voluto fare… ma diamo tempo al tempo.

Adriano Cappello

IL TEMPO

Cari pessimista, ottimi-sta e realista

mentre eravate impegnati a discutere

del vostro mezzo bicchiere, me lo sono

bevuto.

L'opportunista

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Perfettamente centrato il messaggio che i corsisti di La Bottega Creativa con il loro docente Este hanno voluto trasmettere con

il corto “La solitudine” da loro realizzato e pre-sentato in apertura della serata finale dell’anno accademico 2017/2018 al cine teatro Excelsior di Cesano Maderno.Nell’importante traguardo del trentesimo raggiun-to dalla sede cesanese dell’UNITRE sono tante le persone giovani o meno che potranno dire di es-sersi riconosciute nel protagonista e di essere state aiutate a superare solitudine, problemi o vicissi-tudini.La solitudine è la “bestia nera” che affligge il pro-tagonista, la sveglia mattutina è un peso, la gior-nata è lunga da trascorrere, il tempo da riempire è tanto e nella casa regna il silenzio, si aspetta uno squillo dal telefono che non arriva, si guar-da all’apparecchio con ansia quasi a evocarne il suono, si aspetta una telefonata o si vorrebbe farla ma forse non si può o non si osa per mancanza d’interlocutori.L’abitudine a stare soli porta spesso a isolarsi ma nessuno sta veramente bene solo, siamo “animali” sociali e come tali dobbiamo comportarci.

Tutti cercano un contatto, anche solo per un saluto veloce.Per il nostro protagonista il salvagente è venire a conoscenza dell’esistenza di UNITRE, associazio-ne che proprio tra gli scopi statutari di fondazione ha la diffusione di cultura attraverso momenti di socializzazione.Ecco trovato la “medicina” che guarisce e allonta-na la tristezza, un posto accogliente dove poter svi-luppare i propri interessi tra le più svariate materie.

In una società iperconnessa dove tutti pensano, di non essere mai soli, soprattutto tra i giovani è facile esserlo senza rendersene conto.“Ho tanti amici in ogni parte del mondo, ho tanti followers e likes, non sono solo” ripetono i ragazzi senza rendersi conto di esserlo chiusi come sono nella loro stanza a chattare senza alcun contatto emozionale, dove gli emoticons (faccette) sono surrogati delle emozioni vere!Ben venga e lunga vita all’UNITRE.

Anny Rossi

Per visionare il filmato, digitate in internet il seguente indirizzo:https://www.youtube.com/results?search_query=pippobaooppure se preferite entrate in youtube e cercate pippobao.

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Nel 1819 si concluse con Ferdinando Crivelli il periodo di magnifi-

cenza privata e di nobiltà della Villa omonima. Nei primi ses-sant’anni dell’Ottocento alcune famiglie borghesi si contesero la proprietà. I primi furono i fratelli Bernardo e Bartolomeo Catena. Nel 1824 il Palazzo di Mombello e sue adiacenze fu acquistato dal parroco di Varedo don Giovanni Battista Bigatti. Dopo nove anni, il 16 agosto 1833, il sacerdote vendette una parte di Mombello a Carlo Tirelli. Alla proprietà Ti-relli subentrò Giovanni Battista Fiori che lasciò il complesso in eredità alle figlie, le quali vendet-tero il palazzo e i fondi alla Pro-vincia di Milano, con scrittura privata del 14 settembre 1863 e dal successivo e definitivo rogito del dott. Rinaldo dell’Oro dell’11 febbraio 1865.

1865 proprietà della Provin-cia di Milano

Nell’atto notarile dell’11 feb-braio 1865 la nuova proprietà, Provincia di Milano, è così de-scritta: “Stabile di Mombello co-

stituito dai terreni e palazzo con caseggiati rustici colonici e filan-de, serbatoi e condotti d’acqua, i due laghi e relative ragioni di ac-qua, il tutto insieme denominato il tenimento di Mombello, ca-dente nel territorio di Bovisio per ettari 1.71.81.08, nel territorio di Binzago per ettari 0.6.54.31, nel territorio di Limbiate per ettari 33.20.24.66: in complesso di et-tari 34, are 98, centiare 60”.

Questo palazzo venne così a costituire la residenza collettiva per la degenza dei malati psichi-ci, di cui si fece carico la nuova istituzione della Provincia di Mi-lano.

La nuova destinazione d’uso comportò, sia per il palazzo sia per l’intero complesso, numero-se modifiche e l’inserimento nel parco di nuovi edifici e impian-ti di servizio. Divenne anche il luogo della sperimentazione dei nuovi impianti di illuminazione elettrica e di fornitura di acqua secondo i più moderni sistemi in-gegneristici sviluppati a cavallo tra XIX e XX secolo.

L’ospedale psichiatricoAll’inizio del 1872, Mombel-

lo da qualche anno casa succursa-

le della Senavra (già manicomio in Milano), venne trasformato a grande Manicomio della Provin-cia di Milano; fu un importante esempio di struttura manicomia-le, raggiungendo la compiutezza in pochi anni. Questo “stabili-mento” doveva in origine, nel 1865, accogliere solamente i paz-zi tranquilli; ma nel 1873-1879 fu ampliato e assunse carattere di manicomio provinciale; suc-cessivamente vennero aggiunti altri padiglioni che permise tale funzionamento con destinazione netta dei compartimenti delle va-rie forme psicopatiche (tranquil-li, agitati, semi-agitati, epilettici, paralitici e sudici). L’impianto si completò in seguito con: cap-pella, gabinetto anatomo-patolo-gico, servizi necroscopici, sala mortuaria, colonia industriale (lavori di cardatura, tessitura, da calzolaio, ecc.), teatro, scuo-la per infermieri, compartimen-to pediatrico, bagni, isolamento contagiosi (attuato nel 1887), lavanderia a vapore (1888), cro-nici (1900 e 1912). Negli anni 1882-1903 sotto la guida del dott. Edoardo Gonzales venne apprestato il reparto fanciulli e reparto isolamento, furono aperti

IL PALAZZO CRIVELLI A MOMBELLO

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IL PALAZZO CRIVELLI A MOMBELLO

la farmacia, il macello, il locale dei forni nell’edificio molino-pa-nificio-pastificio, ed ebbe vita il grande acquedotto che fornisce acqua a Mombello e a Limbiate.

I singoli padiglioni sono ugua-li fra loro per la configurazione esterna e la disposizione interna, ad eccezione di quelli destinati agli agitati e agitate; questi re-parti hanno un complesso di do-dici celle, disposte in forma cir-colare e destinate all’isolamento, stanze per bagni e docce fredde particolari.

Al 31 dicembre 1928, Mom-bello accoglieva 3421 degen-ti, sorsero i “padiglioni aperti” così denominati per mancanza di cinta a muro, vennero edificati i “reparti osservazione” e “cura donne”. Secondo quanto descrit-to dal suo Direttore, lo psichiatra Giuseppe Antonini, il complesso manicomiale era strutturato con 25 grandi fabbricati per servizi generali, “è abbastanza adatto, simpatico, decoroso e arieggian-te”. Il manicomio moderno non può essere un semplice ospizio di ricovero di malati cronici od una caserma di custodia pei pe-ricolosi, ma vero ospedale di cura per i malati di mente e una

colonia di lavoro; poiché nel la-voro, nell’ergoterapia, si trova il miglior alleato per impedire nei cronici il decadimento nella demenza e per il ricupero delle attività socialmente utili nei con-valescenti e che consentisse ai malati di condurre un’esistenza dignitosa e avesse un’importante funzione terapeutica.

In tutte le lavorazioni del ma-nicomio: cucina, dispensa, orta-glia, giardino, lavanderia, sar-toria, fabbri, calzolai, tessitura, sono adibite squadre di ricovera-ti, che, sotto la sorveglianza ed in unione al personale tecnico e di custodia, compiono esattamente e con profitto il loro lavoro.

Gli ultimi cinquant’anni di storia: dal 1960 ad oggi

Il complesso di Mombello ospita il Manicomio fino al 1978, anno in cui la Legge 180, nota come Legge Basaglia, ne decre-ta la chiusura. In conseguenza di ciò la proprietà è smembrata e comincia il lento declino di al-cune parti, dovuto al non uso e all’abbandono. La Provincia di Milano riesce a rimanere pro-prietaria della Villa, dell’azien-

DAL 1865 ADIBITO A OSPEDALE PSICHIATRI-CO DELLA PROVINCIA DI MILANO

da agricola e dei terreni ad essa connessi perché li destina a sede staccata dell’Istituto Tecnico Agrario di Codogno (Lodi), che diventerà sede autonoma nel 1980. Nell’anno 2005 la scuola verrà intitolata a Luigi Castiglio-ni (1757-1832), importante natu-ralista. Attualmente il complesso è in parte proprietà della Provin-cia Monza e Brianza e in parte dell’Azienda Ospedaliera G. Sal-vini di Garbagnate, che utilizza solo una parte degli edifici un tempo destinati all’assistenza.

Ildefonso Valota

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MONARCA la farfalla migratrice

La bella e colorata farfalla monarca (Danaus plexip-pus) è la protagonista di una

straordinaria migrazione di massa lunga quasi 5000 chilometri: dal Canada al Messico passando per gli Stati Uniti, attraversando cate-ne montuose e vaste pianure.Questo volo verso Sud è opera di un’unica generazione.E’ fantastico quello che riescono a fare questi insetti che pur pesando poche decine di grammi e con ali delicate, dimostrano una resisten-za incredibile ed una stupefacente capacità di orientamento.La loro migrazione incomincia in autunno e solo le farfalle nate in estate affrontano il lungo viaggio di andata e di ritorno.Prima di partire mangiano mol-to nettare e continuano a nutrir-si anche durante il loro viaggio, sostando di tanto in tanto sui nu-merosi fiori che trovano durante l’incredibile volo. Il loro tragitto termina a novembre ma la scorta di lipidi che riescono ad accumu-lare durante il percorso, permette loro di superare l’inverno. Durante i mesi invernali cadono in una sorta di letargo conservando energia per i riti nuziali di accop-piamento che avverranno in pri-mavera. Ad aprile le stesse farfalle ripartono e compiono il viaggio inverso. Arrivate a destinazio-ne, trovano abbondanti distese di asclepiadacee e su queste piante le femmine depongono le uova.

Le farfalle che usciranno da queste uova rimarranno nei loro luoghi di nascita e vivranno qualche setti-mana così per altre due genera-zioni ma quando nascerà la quarta generazione la loro vita sarà di 6-8 mesi e sarà questa generazione che in autunno migrerà per tornare la primavera successiva. E’ un ciclo particolare e quanto mai affascinante!

Ci sono altre farfalle migratrici ma si tratta sempre di un volo di sola andata dove il ritorno spetta alla generazione successiva.

Ecco alcuni esempi

Cynthia cardui (vanessa del car-do) dal nord Africa per raggiunge-re i paesi europei attraversando il mare Mediterraneo, le Alpi e rag-giungendo anche la Scandinavia ed alcuni esemplare persino l’Islanda

Vanessa atalanta che passa i mesi invernali sulle coste meridionali del mediterraneo per poi migrare in estate verso l’Europa del nord fino a raggiungere il Polo Nord!Ci sono anche delle falene migra-

trici per le quali occorre tenere presente che effettuano il volo di notte

Autographa Gamma una falena che si sposta per centinaia di chilo-metri ad una velocità incredibile: km 50 orari! E’ stato effettuato un rilevamento durante uno sposta-mento da un entomologo in Gran Bretagna per mezzo di un radar.

La sfinge del convolvolo (Agrius convolvuli) è una falena origina-ria delle zone meridionali euroa-siatiche ed è in grado di compiere lunghe migrazione verso quelle settentrionali. È di grande dimen-sione con un’apertura alare di cm 8-12 ed una spirotromba di cm 10

La Acherontia atropos – falena testa di morto che dall’Africa e dalla parte meridione dell’Europa migra fino alla ScandinaviaQuante meraviglie nel mondo ani-male!

Santina Cairoli

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Ricordo ancora il 5 gennaio 1981, un giorno invernale con una temperatura fred-

da e ventosa, ideale per piaz-zare il mio binocolo nel giardino di casa in attesa del crepuscolo serale. Era mia abitudine con quelle condizioni di cielo appo-starmi per ricercare nuove co-mete che si avvicinano all'orbita terrestre. Erano appena passate le 18 quando, osservando l'o-rizzonte, notai dentro il mio bi-nocolo un'oggetto: una piccola stella sfuocata con un accenno di coda. Purtroppo, data la mia giovane età e la poca esperienza, non ri-uscii a dare il giusto valore all'og-getto celeste appena osservato. La settimana seguente venni a conoscenza di un astrofilo au-straliano chiamato BRADFIELD,

che pochi giorni prima aveva scoperto una nuova cometa. La cometa in questione fu avvi-stata anche in Italia dall'astrofilo MARIO CAVAGNA in contem-poranea alla mia osservazione. CAVAGNA fu il primo a comu-nicare l'avvistamento al mondo scientifico. A distanza di anni mi rimane ancora il rammarico di non es-sere stato il primo osservatore e di conseguenza di non aver immortalato il mio nome ad una cometa.

GIanfranco Bonfiglio

LA COMETA MANCATA

La solitudine è la miglior compagna; non fa mai domande inopportune e spesso dà risposte

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2° classificata: Cristiana Vigo3° classificata: Tiziana Tarantola

UNITRE CESANO MADERNOAnno Accademico 2017 - 2018

4° Concorso letterario

Tema: Un'esperienza vissuta: luoghi, persone, emozioni,

riflessioni

La motivazione della Giuria

NEL CORTILE“Nel cortile” si presenta come un'esperienza del RICORDO, che emerge da una sosta davanti a un vecchio cancello.L'Autrice osserva ogni partico-lare spostando il suo pensiero lontano nel tempo. Ed ecco il cortile, il grande spazio dei gio-chi con tanti bambini; l'orto, il dopo-lavoro dei genitori; il cam-po di grano; il piccolo bosco per la scappatelle proibite; le chiac-chiere tutti assieme alla sera; e poi l'arrivo della TV con i suoi tanti cambiamenti. Luci, colori, rumori, profumi, voci, abitudini, non tanto lontani nel tempo, ma tanto diversi dall'oggi, sono rie-vocati con tenerezza e “pacata nostalgia”.Il testo è equilibrato, ben artico-lato nelle sue parti, corretto nella forma. Il ricordo, la memoria, è ciò che costituisce la nostra iden-tità; coltivarlo e narrarlo dà spes-sore alla nostra vita, soprattutto oggi, il tempo della fretta, delle troppe cose da fare, della dimen-ticanza e della superficialità.

Per il settore poesia non è stato assegnato il premio causa il troppo limitato numero di partecipanti.

1° classificata: Maria Teresa Borgini

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“Casa mia” è la casa della mia infanzia e della mia giovinezza; è la casa delle prime amicizie, dei primi giochi, delle

prime uscite, del primo amore, delle prime lacrime versate di nascosto; è la casa dei diari segreti na-scosti in fondo ad un cassetto, dell’affetto silenzio-so e sicuro di una famiglia di altri tempi.“Casa mia” è ancora là, molto invecchiata, trascu-rata, in mezzo ad un cortile vuoto di chiacchiere, di urla di bimbi ,di panni stesi al sole. Il verde non è più tanto verde, gli alberi sono vecchi e stanchi, le aiuole e gli orti abbandonati a se stessi. Quante volte sono passata davanti a quel cortile senza avere il coraggio di guardare, senza avere il coraggio di ricordare, con la paura che nostalgia e tristezza mi avvolgessero e mi stringessero come in una morsa. Non so cosa mi abbia spinta oggi a fermare la mia macchina davanti a questo cancello, ma sono qui a guardare, forse per la prima volta, dopo tanti anni, il mio vecchio cortile che non na-sconde i segni della sua età. Lascio che il pensiero accompagni i miei occhi lontano nel tempo, che af-fiori la magia dei ricordi e, perché no, una pacata nostalgia.

Quando ci andai ad abitare, circa sessant’anni fa, mi sembrava di essere in paradiso. Due palazzine, una grigia e una arancione, moderne, anche se es-senziali, nella loro struttura, al centro di un gran-dissimo cortile.Eravamo dodici famiglie, genitori tutti più o meno della stessa età, figli più o meno della stessa età.Pochi ricordi ho dei primi anni della mia vita ma il giorno in cui inaugurarono quel complesso abitati-vo è ben stampato nella mia mente.Era l’inizio della primavera, una bella giornata di sole con il cielo azzurro e terso e l’aria fresca.Avevo tre anni. Indossavo un cappottino beige da cui pendeva il mio vestitino elegante. Papà era in giacca e cravatta, mamma con il soprabito blu, un capo che ha sempre avuto nell’armadio per le “oc-casioni”. Con noi tutte le altre persone a cui era stato assegnato un appartamento. Per me, abitua-ta a vivere in una vecchia casa un po’ malandata con poco spazio a disposizione, tutto in quel cortile aveva un fascino. Ci furono discorsi ufficiali a cui io, naturalmente, non ero interessata; la mia atten-zione era tutta per lo spazio e per i tanti bambini

Nel cortilecon cui feci subito “comunella”.Mentre rivedo quella bambina con il cappottino beige che corre per il cortile come se fosse arrivata in paradiso, mi accorgo che le mie labbra hanno il sorriso della tenerezza.

Noi ragazzi avevamo uno spazio immenso per or-ganizzare i nostri giochi e le nostre famiglie uno spazio per organizzare gli orti.L’orto, una passione più che una necessità. Gli uo-mini lavoravano dalla mattina alla sera ma nella bella stagione, appena rientravano dal lavoro, si cambiavano e scendevano a coltivare.Quanta passione nello spingere la vanga a sollevare le zolle; quanta delicatezza nel nascondere i semi sotto il terreno; quanto entusiasmo nell’accudire le pianticelle di verdura, nel proteggerle dagli eccessi del tempo. Io amavo andare nell’orto in estate, staccare i po-modori e passarli direttamente nella bocca del con-sumatore, che era la mia. Quel sapore mi è rimasto impresso nella memoria: l’ho cercato per anni nel mio piccolo orto ma non l’ho più ritrovato. In ogni orto un angolo era dedicato ai fiori, curato dalle donne: primule, calle, rose, settembrini, fiori per ogni stagione.Giro un po’ intorno al muro di cinta a cercare im-magini da accarezzare. Lì, dove ora c’è solo erba incolta, il prato offriva un tappeto di margherite bianche : quante coroncine fatte con le corolle e quanti “m’ama non m’ama” staccando i piccoli pe-tali nella speranza che si avverasse ciò che il nostro piccolo cuore di bambine desiderava. I malumori c’erano ma sotto controllo, qualche pet-tegolezzo da cortile ogni tanto ma alla fine prevale-va sempre il buon senso per il quieto vivere.Noi bambini sfruttavamo ogni angolo del giardino per i nostri giochi organizzati o inventati al mo-mento.Lo sguardo si ferma sulla parete della mia vecchia casa.…tonf…tonf…sento il rumore della pallina che batte contro il muro.…15 a 0…15 pari… Le voci tornano prepotenti alla mente e le riconosco tutte…Dario, Anna, Gian-carlo, Lele, Norberto.Quante partite a tennis contro quel muro! Ogni tanto mia madre si affacciava e ci urlava di

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smettere perché non si poteva sopportare il tonfo della pallina.A quel punto si smetteva, ma il giorno dopo erava-mo di nuovo lì, infervorati nella partita.Le sere d’estate le passavamo in giardino a giocare a “mago libero”, mentre i nostri genitori si sede-vano sulle panchine a chiacchierare e a godersi la frescura serale. C’era un campo di grano intorno al cortile dentro cui ci intrufolavamo di nascosto a raccogliere pa-paveri e fiordalisi o a nasconderci quando si gioca-va a “nascondino”.Il massimo della trasgressione era andare nel pic-colo bosco a cui si accedeva direttamente dagli orti. I genitori non volevano perché c’erano le vipere e perché non eravamo “in vista”, ma quando erava-mo nel cortile a giocare trovavamo sempre il modo di andarci.Di quel “boschetto”, così noi lo chiamavamo, non è rimasto che qualche groviglio di rovi che nascon-dono bottiglie di plastica, lattine e spazzatura varia. Le nuove costruzioni hanno portato via tutti gli al-beri.Nel giardino c’erano tre alberi di ciliegie, un noce e un pero. I ciliegi erano il nostro divertimento: a maggio, quando maturavano i frutti, passavamo in-tere giornate lì intorno. Chi saliva sugli alberi, chi cercava di servirsi direttamente dai rami più bassi e chi spezzava interi rami utilizzando le pertiche a forcina che le donne usavano per tenere sollevati e tesi i fili su cui si stendeva la biancheria.Ciliegie ce n’erano tante ma anche discussioni tra chi era più svelto e ne mangiava di più e chi ne mangiava meno.

I miei occhi vagano alla ricerca di ricordi. Ecco, laggiù proprio davanti a me, i pali con i fili per stendere, i panni stesi al sole che danzano col ven-to, le donne con la bacinella appoggiata sul fianco che indugiano nelle chiacchiere domestiche. Che fascino ha questa immagine! Il ritmo delle giornate non conosceva la fretta e lo stress. Una delle poche cose che oggi mi concedo di fare senza lasciarmi inghiottire dal ritmo frene-tico della giornata è stendere i panni in giardino al primo sole primaverile. Mi piace ripetere mo-vimenti antichi, accarezzare la biancheria bagnata, guardarla ondeggiare, piegare ogni singolo capo quando lo ritiro. È sapore di infanzia, di famiglia, di semplicità.Ogni anno per la festa di Sant’Antonio i nostri ge-nitori accatastavano legna di ogni genere e, come vuole la tradizione, si accendeva un falò: le fiam-me altissime, ci prendevamo tutti per mano, grandi e piccoli e , girando intorno al fuoco, cantavamo canzoncine. Tutto il paese ci invidiava quel falò!Nessuno di noi possedeva un animale ma, un’esta-te, arrivò in giardino un cagnolino di taglia piccola, un meticcio bianco con le macchie nere. Non era propriamente quel che si dice un bel cane: aveva il pelo ispido e le zampe troppo corte rispetto al corpo ma seppe subito conquistare l’affetto di tutti.Cominciammo a dargli da mangiare, gli avan-zi, zuppa di pane e brodo: Bibo, così l’avevamo chiamato, era di bocca buona e mangiava qualsiasi cosa. Nella bella stagione dormiva sotto la pan-china, in giardino; d’inverno, noi della palazzina arancione, gli permettevamo di dormire sulle sca-le interne così, al mattino, ce lo ritrovavamo fuori

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dall’uscio, sdraiato ora su uno zerbino, ora sull’al-tro. Sembrava non volesse far torto a nessuno.Divenne il nostro inseparabile compagno. La mat-tina ci accompagnava a scuola e poi tornava a casa; seguiva le mamme che andavano a fare la spesa e le aspettava fuori dal negozio per tornare con loro; seguiva gli uomini quando uscivano in bicicletta o in motorino. Tutti gli volevamo bene perché era simpatico, buono, affettuoso.Rimase con noi alcuni anni poi, un giorno, ci ac-corgemmo che non era più in giardino.Eravamo disperati e forse fu in quel momento che ci rendemmo conto di quanto era importante quel silenzioso compagno della nostra vita.Il signor Santo e il signor Alfonso, con il motorino, girarono per tutto il paese per cercarlo, finchè non lo trovarono in un fosso: era stato investito.La tristezza, per parecchi giorni, ci impedì di gio-care; stavamo seduti a parlare di lui, a ricordare i suoi atteggiamenti buffi, poi, come tutte le cose, piano piano il dolore si affievolì. Bibo rimase nei nostri ricordi e, sono certa, ancora oggi è nel cuore di tutti noi che lo abbiamo avuto come amico.

Nei primi anni sessanta, io avevo circa dieci anni, arrivò nel nostro cortile la televisione.L’ aveva comperata la signora Eleonora, che abita-va al piano rialzato della mia palazzina. Fra tutte, era la famiglia che stava economicamente meglio.Fu un avvenimento. Tutti andarono da lei per ve-dere da vicino questo splendido “oggetto del desi-derio”.E lei, ebbe un’idea fantastica. Nelle belle sere di quell’estate, metteva la televisione davanti alla fi-

nestra aperta e tutti noi ci portavamo da casa una sedia o uno sgabello e ci sistemavano in giardino, davanti alla finestra, a guardare lo spettacolo sera-le. Tutti insieme.Fu un’estate meravigliosa e irripetibile!Ma fu anche l’ultima estate che passammo tutti in-sieme nel cortile.Piano piano arrivò la televisione in altre case e gli adulti non si ritrovarono più come prima: ognuno in casa propria, davanti al proprio schermo.Anche per noi ragazzi arrivò il momento di lasciare i giochi e pensare di più allo studio.Venne il tempo degli amici, delle serate a zonzo per il paese, dei primi amori. Il cortile divenne luogo di incontri occasionali.In pochi anni le cose cambiarono: i panni si sten-devano sul balcone, troppo anziane le donne; gli orti furono abbandonati, troppo stanchi gli uomini; nelle aiuole del giardino i fiori lasciarono il posto all’erba; i ciliegi smisero di fare frutti, quasi offesi perché nessuno più li raccoglieva.Gli anni passavano, chi diventava anziano, chi si sposava e andava a vivere altrove, chi si allontana-va per lavoro, chi ci lasciava per sempre.Il silenzio divenne piano piano padrone assoluto del cortile.Oggi, per un attimo, il cortile si è riempito di nuovo di voci, di giochi, di movimento, di colori.L’emozione dei ricordi preme nel petto: caro, vec-chio cortile resterai sempre così, vivo, nella mia mente.

Maria Teresa Borgini

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Proprio accanto alla nostra UNITRE’ sorge un Istituto Tecnico, intitolato ad un

prestigioso scienziato italiano: Ettore Majorana. Nasce a Cata-nia nel 1906 e fin dalla più tenera età, rivela un’eccezionale intel-ligenza e predisposizione per le materie scientifiche fino alla sua iscrizione nel 1928 alla facoltà di fisica a Roma sotto la direzione di Enrico Fermi, Premio Nobel per la Fisica nel 1938.Le ricerche di Ettore Maiorana diedero un enorme contributo allo sviluppo della fisica moder-na nel campo della spettroscopia atomica, nella teoria del legame chimico e nel calcolo della pro-babilità del ribaltamento dello spin (spin-flip). Successivamente si occupò in maniera eccelsa nel-lo studio sulle forze nucleari oggi dette “di Majorana“, al lavoro sulle particelle con momento in-trinseco arbitrario e quello sulla teoria simmetrica dell’elettrone e del positrone, nonché la famosa omonima “equazione Majorana”, applicata ad infinite componenti che formano la base teorica dei Sistemi Quantistici Aperti (Com-putazione Quantistica, Crittogra-fia e Teletrasporto). Non vorremo altresì farci mancare i suoi studi sui Neutrini, vero? Già fin da allora!!!La moglie di Enrico Fermi de-scrive Ettore come un ragazzo dal carattere un po’ strano, ecces-sivamente timido e chiuso in sé. La mattina, nell’andare in tram

all’Istituto di via Pa-nisperna, si metteva a pensare con la fronte accigliata. Gli veniva in mente un’idea nuova, la solu-zione di un problema difficile o la spiegazione di certi risultati sperimentali che erano sembrati incomprensibili, allora si frugava nelle tasche, ne estraeva una ma-tita e un pacchetto di sigarette su cui scarabocchiava formule com-plicate. Sceso dal tram se ne an-dava tutto assorto, col capo chino e i capelli arruffati, fino all’Isti-tuto dove chiedeva di Fermi, Ra-setti, Amaldi o Segrè e, pacchetto di sigarette alla mano, spiegava la sua intuizione.Ma appena gli altri l’approva-vano, restavano meravigliati e lo esortavano pubblicare la sua eccezionale scoperta, Majorana si richiudeva in sé, farfugliava che era roba da bambini, che altri avrebbero avuto la sua idea, che non valeva la pena di discorrer-ne e, appena fumata l’ultima si-garetta (e non ci voleva molto), buttava il pacchetto, i calcoli e le sue teorie nel cestino.Ma che fine ha fatto Ettore Majo-rana?L’ultima volta che è stato visto “ufficialmente“ è stato il 27 Mar-zo 1938 a bordo di un piroscafo della società Tirrenia che lo stava trasportando da Palermo a Napo-li. All’altezza dell’isola di Capri, scomparve misteriosamente e a Napoli non arrivò mai.Si suppone che Majorana abbia

voluto “sparire“ per non parteci-pare al progetto Manhattan, cioè alla realizzazione delle prime bombe atomiche sganciate su Hi-roshima e su Nagasaki alla fine della seconda guerra mondiale. Ma tante ipotesi e tanti avvista-menti si sono succeduti da allora.È stato visto e incontrato per le strade di Napoli, in Germania, in Argentina e in Venezuela. Agli inizi degli anni ‘80 un testimo-ne, rimasto anonimo, afferma di aver incontrato un clochard se-duto sugli scalini dell’Università Gregoriana a Roma che asseriva di avere la soluzione dell’ultimo teorema di Fermat, un enigma che ha impegnato per secoli i più grandi matematici e che all’epo-ca era ancora irrisolto.Ma una quasi certezza, raccon-ta della strana presenza nel mo-nastero dei frati camaldolesi a Visciano (NA), di uno strano personaggio che scriveva incom-prensibili formule fisiche e ma-tematiche sui muri, sui fogli di giornale e specialmente sui pac-chetti di sigarette.Il “professore“ come veniva de-nominato, aiutava i ragazzi del paese nei compiti di matematica e di fisica e veniva descritto con le seguenti caratteristiche: aveva una cicatrice sul dorso della mano

ETTORE MAJORANA:

UN MISTEROINQUIETANTE

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destra; un forte accento siciliano; l’abate del convento di Visciano lo chiamava Ettore; si appoggia-va ad un bastone di legno su cui era incisa la sua data di nascita e aveva l’abitudine di scrivere con-cetti matematici e fisici su pac-chetti di sigarette e fiammiferi.Con il passare degli anni e il cambiamento del mondo, anche la ricostruzione della vicenda della scomparsa dello scienziato sembra scivolare in altre discus-sioni e in altri contesti. La pro-cura di Roma non si è espressa sui motivi della scomparsa di Majorana, e non è un caso che la tematica nucleare sia rimasta sul-lo sfondo. Un uomo vicino alla famiglia Majorana come Stefano Roncoroni presenta il caso di Et-tore come quello di un dramma psicologico e di un segreto tenu-to nascosto dai parenti. La verità, nel caso Majorana, sembra più che mai sfuggente e figlia del tempo.

Adelio Radice

NOME DATA ORA PESO KG NONNINOAH 26/05/2018 16.15 4,400 nonna GRAZIELLA GIUSSANI

Potete lasciare l'annuncio in segreteria Unitre, oppure farcelo avere via e-mail ([email protected])

Riservata a tutti i nonni e le nonne che partecipano all’Unitre. Dateci notizie dei vostri nipoti, le renderemo pubbliche.In caso di nascita: nome, data, ora, peso, il nonno/nonna che annuncia.In caso di laurea: nome, data, specializzazione, titolo della tesi, voto, nome dell’università

Rubrica dei nonni

ALESSIA ROMANO si è laureata il 29/03/2018 allo IULM nella specialità Arti, design e spettacolo (Scienze della comunicazione). Il titolo della tesi è Web e gior-nalismo: conflitto, opportunità e possibilità di integrazione. Il settore culturale tra cartaceo e online.La votazione conseguita è 100/110. Complimenti vivissimi all’interessata ed alla nonna Lucilla Masiero.

Il tema dell’anno è: Molti paragonano le stagioni dell'anno alle diverse epoche della vita.Racconta la tua stagione preferita.

5° Concorso Letterario di POESIA E NARRATIVA anno 2018/2019

Gli elaborati dovranno essere presentati in Segreteria dal 19 novembre 2018 al 12 aprile 2019.Modalità e regolamento saranno disponibili in Segre-teria e pubblicati sul sito dell’Unitre.

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L’intelligenza emotiva ci aiu-ta a definire qual è lo scopo della nostra vita, la nostra

mission (parola chiave oggi molto in voga anche nel settore commer-ciale), quel quid che si colloca oltre il lavoro che svolgiamo, gli affetti da cui siamo circondati, ecc., ma che costituisce un nucleo di sen-so solo nostro, che conferisce un aspetto SPECIALE ed UNICO alla nostra vita, la meta verso la qua-le siamo direzionati. Tutto quanto accade (incontri, professione, rela-zioni, ecc., le decisioni prese da noi e quelle che ci riserva il “destino”) è solo lo strumento, il mezzo che ci permette di diventare la “pian-ta” che siamo e che dobbiamo far crescere. In questo processo sta la nostra GIOIA, l’APPAGAMENTO INTERIORE, la PACE DELLO SPIRITO, la REALIZZAZIONE, che conferisce significato ai nostri giorni.

Guadagnare tale consapevolez-za significa mutare radicalmente la nostra vita e iniziare a STARE BENE, in sintonia con la profon-dità del nostro essere. Qualcuno

potrà pensare dove si possono “ap-prendere” simili concetti e atteg-giamenti, a quali scuole, in quali forme. All’uomo che ha perso con-tatto con se stesso, che nel tempo ha snaturato la sua essenza, ascol-tando solo il martellamento di una società che ci vuole tutti uguali e lontani dal nostro centro, tutto ciò può apparire strano, difficile, un linguaggio proveniente da una ga-lassia irraggiungibile.

Eppure è il processo più sempli-ce che si possa immaginare, e che riceviamo in dote al nostro conce-pimento e al nostro arrivo sul pia-neta Terra.

“CIÒ CHE CONTA È TUTTO DENTRO DI NOI; DA FUORI NESSUNO CI PUÒ AIUTARE. NON ESSERE IN GUERRA CON SE STESSI, VIVERE D’AMORE E D’ACCORDO CON SE STES-SI: ALLORA TUTTO DIVENTA POSSIBILE. NON SOLO CAM-MINARE SU UNA FUNE, MA ANCHE VOLARE” Hermann Hesse

In realtà tutto si trova dentro

di noi. Pur avendo vissuto spesso questa esperienza, mi stupisco an-cora quando constato l’elevato nu-mero di persone che, per una strada o un’altra, giungono alla medesima conclusione. Ricevo spesso mail dense di significato e di senso. Quest’anno, un’empatica corsista mi ha scritto di essersi ritrovata in pieno nei contenuti di una lezione e mi ha reso partecipe dell’incontro con una persona saggia, che le ave-va detto una frase importante per lei: “Ricorda, Lucia (nome a caso), che TUTTO È DENTRO DI TE”. Stupore e meraviglia sempre. Sa-pienza nuova, che affonda le radici in un sapere antico.

“CONOSCERE È RICORDA-RE” Platone

Se tutto è dentro di noi, significa che la nostra intelligenza emotiva SA che esiste una saggezza diver-sa, costruttiva, proattiva, resiliente, che può contare su una vasta gamma di emozioni positive, a molte delle quali non sappiamo neppure dare un nome. Si tratta di codici di consape-volezza antichi, se già Platone nel

“SCOPO DELLA VITA É DIVENTARE LA VERSIONE PIÙ GRANDIOSA E SUBLIME DI NOI STESSI” Roy Martina, medico olistico, psicoformatore

(seconda parte)

EMOTIVA

INTELLIGENZA

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IV sec. a.C. asseriva che “conoscere significa ricordare”. La conoscen-za consiste quindi in un’attività di riflessione su se stessi, di distacco, di quiete del corpo» e di «intimità» nell’anima, dove, più propriamente, risiedono le forme e le conoscenze dei principi.

“NON E’ PERCHE’ LE COSE SONO DIFFICILI CHE NON OSIAMO, MA LE COSE SONO DIFFICILI PERCHE’ NON OSIAMO” Seneca

L’uomo contemporaneo crolla spesso emotivamente perché pensa che ciò che gli appartiene per es-senza, per eredità, per diritto di na-scita, ciò che costituisce il suo DNA “dello spirito” debba essere fatico-samente elemosinato, chiesto, con-quistato, come se noi fossimo alla mercé di eventi oscuri, orchestrati da un destino imperscrutabile, pre-cario e transeunte. È vero: a volte la fragilità visita la nostra vita e si abbatte su di noi violentemente, la-sciandoci tramortiti.

Tuttavia, noi non siamo solo piccoli arbusti che il vento dell’e-sistenza piega come vuole: dentro ognuno c’è una QUERCIA, un CEDRO DEL LIBANO, fermo, centrato, sicuro, radicato: soffiano i venti, si abbattono bufere e tem-peste, grandine, fulmini e siccità; si susseguono roventi estati riarse ed inverni impietosi. Eppure le pian-te maestose rimangono ancorate, salde al terreno, resistendo ad ogni avversità.

Panta rei. Tutto passa. Tutto scorre. Eppure dentro di noi esiste UN POTERE INFINITO, INCRE-DIBILE, RISORSE spesso inedite ed inesplorate, che non vengono dalla mente, ma dalle infinite sfac-cettature della nostra intelligen-za emozionale. Esiste un’energia SUPERIORE a quella scoperta dai fisici dentro l’atomo. Esiste dentro di noi una scintilla spirituale che può rendere possibile ciò che appa-re impossibile.

Questa è la PERLA PREZIO-SA, il TESORO che è racchiuso in

noi, che ci soccorre sempre nelle avversità, che ci inclina ad instau-rare costruttivi rapporti con gli al-tri, sul lavoro, in famiglia, con pa-renti ed amici. È quella forza che ci permette di FARE DELLA NO-STRA VITA UN CAPOLAVORO, qualunque età abbiamo, qualsiasi lavoro svolgiamo, in ogni situazio-ne fisica in cui ci troviamo.

Un esempio, preso dalla vita vera, può servire a chiarire questo concetto e sono certa che a molti verranno alla memoria tanti altri casi, con volti più o meno noti.

Ho conosciuto due signori in circostanze diverse, entrambi pa-raplegici. A ciascuno di loro è acca-duta una vicenda simile: nell’anno della maturità, quindi verso i 18/19 anni, un incidente terribile ha tolto loro l’uso assoluto delle gambe e delle braccia. Per il primo si trattò di un incidente in moto, il secondo subì la sua disgrazia durante un tuf-fo in piscina. Ebbene, il risultato fu il medesimo: paralisi irreversibile agli arti inferiori e superiori e una carrozzina per compagna.

Ma la loro vita è stata la stes-sa? Decisamente no. Il primo ha trascorso la sua esistenza con forti crisi depressive alternate a qual-che sprazzo di sereno in cui si de-dicava ad alcuni interessi, per poi ripiombare nel buio dell’anima. Il secondo aveva un sogno: diventare un ortopedico, una professione non certo semplice per chi non usa gli arti. Ha creduto con tutto se stes-so nel suo progetto e ha conside-rato la sua disabilità solo come un ostacolo, uno dei tanti che la vita pone dinanzi. Oggi è uno stimato ortopedico, che lavora con un as-sistente che lo aiuta dove serve la manualità, ma che formula diagno-si ineccepibili.

Al termine di una lezione, in cui spiegavo come l’intelligenza emo-tiva ci aiuti a superare situazioni complesse, traendone addirittura benefici, una giovane signora mi disse che anni prima, nel corso di una importante esperienza di che-

mioterapia oncologica, ripeteva spesso a se stessa i concetti di cui si ragionava nel corso, senza averne mai sentito parlare prima. Durante le lezioni aveva preso consapevo-lezza di quelle intuizioni, doman-dandosi, meravigliata, da dove fos-sero scaturite. Erano già dentro di lei, come si trovano in ciascuno di noi e in quella situazione estrema erano emerse “dall’interno”, co-stituendo la sua dote e il suo aiuto nella lotta per la sopravvivenza, che aveva prodotto esiti positivi.

Per questo non amo l’espressio-ne che asserisce come nel percorso della vita noi invecchiamo (anche se è vero che le nostre funzioni bio-logiche si deteriorano e declinano). Mi piace piuttosto dire che ogni giorno evolviamo, avvicinandoci sempre di più al completamento dello scopo per cui siamo sulla ter-ra: diventare la versione più subli-me e grandiosa di noi stessi. Non importa se una volta correvamo ed adesso dobbiamo camminare. Va bene, camminiamo. Magari non possiamo più cimentarci in esperienze che in passato ci erano consuete. Qual è il problema? Ne faremo altre. OGNI GIORNO È UN NUOVO INIZIO.

È questa l’intelligenza emotiva di cui tanto si parla oggi, con il ri-schio, però, di parlarne e basta.

E quando ci lamentiamo o ci sentiamo imprigionati all’interno delle sbarre che noi stessi abbiamo costruito, ripetiamo una frase nota di James Joyce:“LA VITA È COME UN’ECO: SE NON TI PIACE QUELLO CHE TI RIMANDA, DEVI SOLO CAM-BIARE IL MESSAGGIO CHE INVII”.

Potrebbe essere un interessan-te progetto e l’inizio di una nuova esperienza.

Augusta Maria Castellani

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La mia vita

È qui la mia vitaraccoglie i ricordicon un sorrisoche sono paginedi un amore antico.Storia da raccontare,storia complicatasulle ali del tempodove il solesi nasconde nelle ombre profumate,sono qui dentro il mio cuoremai sarà cancellato.Ma, un respiro mi sfioral’eco del vento,un brividoè l’aria che accarezzale prime gemme primaverili.La luce del soleaccarezza i miei passidove una farfalla volteggiasopra un garofano cineseappena sbocciatomentre io cerco una traccialasciata nell’ariasi colora di rosamentre il mio cuoretacenel mio magico mondo

Gioconda Borroni

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La poesia parla di una madre che si rivolge al figlio, per ricordargli le proprie difficoltà nella vita e incoraggiarlo a guardare avanti. Le difficoltà incontrate dalla donna sono rap-presentate da una scala di legno irta di chiodi, schegge, tavole sconnesse, tratti senza tappeto. Le espressioni metaforiche “raggiungere un pianerottolo” significano raggiungere un obiettivo; ”svoltare un angolo” affrontare nuo-ve situazioni; “entrare nel buio” avere problemi e difficoltà. Questa poesia ha una struttura circolare per-ché comincia e finisce con la stessa espressione.

Autore: HUGHES Langston (1902-1967) è un poeta e scrittore statu-nitense. E’ stato uno dei massimi rappresentanti della cultura afroame-ricana dei primi anni ’50 dello scorso secolo. La sua poesia, che ritrae la vita della comunità nera americana, è condizionata dal ritmo della musica jazz. Di lui ricordiamo "Blues stan-chi " e "Simple dice la sua".

a cura di Luciano Nardi

Figliolo, ti dirò una cosa:la vita per me non è stata una scala di cristallo.C’erano chiodi,e schegge,e tavole sconnesse,e tratti senza tappeto:nudi.Ma sempre continuavo a salire,raggiungere un pianerottolo,svoltavo un angolo,e certe volte entravo nel buiodove non c’era luce.Perciò, figliolo, non tornare indietro.Non fermarti sugli scaliniperché ti è faticoso andare.Non cadere adesso:perché io continuo ancora, amore,ancora mi arrampico,la vita per me non è stata una scala di cristallo.

La madre al figlio di Langston Hughes

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Anch’io come centinaia di migliaia di studenti ho letto “odiandolo” e

amandolo, il Manzoni, ricordo che la “sventura” di leggere in classe i vari capitoli, toccava so-vente a me, mentre i miei com-pagni si facevano allegramente i fatti loro.

Pochi giorni fa leggendo sul nostro giornalino la proposta del mio Professore Nardi, docen-te della materia “Bellezza della lettura e della scrittura”, il qua-le invitava i lettori a riprendere in mano l’opera: “ ...con tran-quillità, piacere, orgoglio e sen-so di cultura a leggere per intero “almeno” un capitolo” la sua sfida mi ha ritrovata a ri-legge-re l’intero capolavoro tutto d’un fiato...

Ri-leggere i “Promessi Spo-si” dopo oltre cinquant’anni, lontana da “obblighi” scolastici, su un vecchio libro di mia nipo-te, dalle pagine un po’ ingiallite, con appunti a matita, in tutti i capitoli, mi ha regalato emozio-ni fortissime.

Un mondo, quello del Man-zoni, fatto di realismo, ironia, comicità e tragedia che induco-no tanto al riso quanto alla com-mozione, dove spesso il male e l’ingiustizia prevalgono sulla ret-titudine del bene, una storia del passato che confluisce fatalmente nel nostro presente, una specie di diaspora del suo stato d’animo, dove la fede domina incontrasta-ta in ogni manifestazione del suo vissuto e proprio alla luce della fede tutto il suo mondo ideale, storico, politico, estetico e poeti-co acquista solidità e coerenza e diviene una “Pietra Miliare” nel-la storia del pensiero umano.

I Promessi Sposi sono un capolavoro della letteratura di tutti i tempi, ogni episodio ci aiu-ta a giudicare il mondo d’oggi, allora come oggi i prepotenti: ra-

pinano, rubano, uccidono, cor-rompono, intrallazzano... prover-biale l’ignavia di Don Abbondio, patologicamente pauroso, sempre preoccupato di scansare qualsiasi “problema” come i “ciottoli” sul viottolo, un vaso di terracotta tra tanti vasi di ferro... la collusione tra magistratura e politica, perso-naggi come Azzecca-Garbugli e Don Rodrigo, ricordano bene la doppiezza dei nostri politici.

L'Innominato, figura com-plessa e interessante, oppresso dalla noia del male, impegnato a distribuire “pizzini” di sofferenza e di morte, ma grazie a Dio, anche l’umanità più iniqua, non sfug-ge alla Provvidenza... “Dio...Dio... se lo vedessi” emozionan-te la sua conversione alla legge dell’Amore, ad un Dio capace di capire l’uomo, come cin-quant’anni fa, ahimè... ancora oggi non capisco la storia delle “grida” non ho ancora l'acume e la “maturità” per captare il sot-tile sarcasmo verso il potere. La figura di Perpetua rappresenta-

ta con l’acutezza manzoniana e destinata a diventare la figura di “serva” del prete, padre Cristofo-ro il simbolo dell’eterna lotta de-stinata a trionfare, dotato di forte personalità un po’ “missionario” che ricorda il nostro Papa, dedito al servizio del prossimo e della carità, soccorre umili, aiuta i de-boli e ben conosce i valori più alti dell’Umiltà, Gertrude desti-nata, suo malgrado, a continuare l’opera del male in quel secolo corrotto... Agnese, degna prota-gonista, tipica donna delle con-trade contadine brianzole, nella sua sicurezza, propria della gente di limitata cultura, è incapace di compromessi e con quel non so che... di eroico che la riscatta agli occhi del mondo .

Un capitolo che mi ha “cattu-rata” letteralmente, nonché molto molto... emozionata è il XXXIV, questo è carico di patos ed emo-zione, nel passaggio in cui rac-conta quando Renzo dirigendosi verso quella che è oggi Via Mon-tenapoleone, assiste alla scena

“ Quel ramo del lago di Como..” il mio tormentone notturno scolastico “Certe notti”....

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toccante trattenendo a stento le lacrime... Le strade di Milano, attraversate dalle morte, dalla disperazione e dal silenzio inter-rotto solo dai rumori dei carri e dal lamento dei moribondi. C’era in quel dolore, un non so che di pacato e di profondo che attesta un’anima tutta consapevole e presente. L’aspetto della donna lascia trasparire una bellezza ve-lata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale, poiché risulta evidente che essa ha versato mol-te lacrime e che ha già su di sé i segni del contagio della peste; la bambina morta che porta in braccio è ben pettinata coi capel-li divisi sulla fronte e indossa un vestitino bianco e lindo, come se fosse agghindata per una festa, mentre la madre la tiene col capo eretto e appoggiato a sé come se fosse ancor viva, anche se un braccio che le cade abbandonato è un chiaro indizio che la bambi-na è ormai spirata.

L’autore al paragrafo quindi-ci del capitolo descrive, uno dei

momenti più lirici e commoventi dell’intero romanzo e prepara il lettore ad una scena di intensa e singolare pietà... la pietà di una madre che ha perso una figlia a causa della peste, descrive in modo singolare la dignità di una madre che attende, abbracciata alla figlia più piccola, la morte, che la riunirà a Cecilia.

Il romanzo termina con la celebre morale di Renzo: “ Ho imparato a non mettermi nei tumul-ti... ho imparato a non predicare in piazza...” ...” Lucia invece non ha imparato nulla perché i problemi hanno cer-cato lei e non il contra-rio...” io penso e nulla è più veritiero, che i guai arrivano anche se si è stati cauti e innocen-ti, vengono per colpa o senza, ma la fiducia in Dio li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore.

Clara Vanosi

Alla fine dello scorso mese di mag-gio presso la sala civica Radio di Meda il nostro collaboratore Bru-

no Proserpio (Argus) ha presentato la nuo-va edizione del suo libro di Puesìi in dialèt dé Medé.

Durante la presentazione, avvenuta in contemporanea con una mostra collettiva di pittori locali, l’autore ha declamato al-cune delle sue composizioni. La serata ha visto una numerosa partecipazione di pub-blico, che ha espresso più volte la sua sod-disfazione, con calorosi applausi.

ARGUS

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Apertura Segreteria: da martedì 4 settembre 2018, ore 10.00 - 11.30.

Presentazione dei corsi dell'anno accademico 2018/2019:da lunedì 10 a venerdì 14 settembre 2018, in sede Unitre, dalle 14.30 alle18.30, negli orari previsti per le lezioni.

Iscrizioni: a partire da lunedì 17 settembre 2018 in poi, dalle 09.30 alle11.30.

I corsi inizieranno lunedì 8 ottobre 2018, ore 10.00-11.20; 14.30-18.30 etermineranno venerdì 31 maggio 2019.

L'Università delle Tre Età è un'Accademia di cultura e di umanità facente parte di un'Associazione Nazionale che conta circa 350 sedi intutta Italia. Nel Comune di Cesano Maderno è nata nel 1988.

Obiettivo stabilito dallo Statuto (che potete leggere nel nostro sito) è la promozione culturale, sociale e umana della persona, al di là diogni ideologia. Essa si rivolge sia a chi è nel mondo del lavoro, sia a chi ne è uscito e disponga di tempo libero. I corsi sono di indirizzoscientifico, umanistico ed artistico. Durante l'anno sono previsti anche viaggi, uscite, e altre iniziative culturali.

I corsi sono aperti a tutti. Non è necessario alcun titolo di studio. L'età minima richiesta è 18 anni.

Aula d'informaticaCorredata da 19 PC tipo

desktop, dotata divideoproiettore e schermo.

Sono previsti corsi diInformatica di Base, Disegnotecnico 3D, Data base e

internet, Grafica, Fotoritocco,Video editing, Programmazione

e Bottega Creativa.

Aula di disegno epitturaSono previsti corsi diAccademia dipittura, Accademia diacquarello, Di-segnoe colore e Pittura edecorazione.

PalestraAmpia palestra con pavimentazione in linoleum, spogliatoi e servizi. Sonoprevisti corsi di Danza e movimento, Ginnastica, Hata Yoga,Shiatsu, Tai Chi Chuan, Ballo Country, Boogie Woogie e TangoArgentino.

Laboratoriolinguistico

Corredato di 24 postazionicollegate col PC master del

docente, dotato divideoproiettore con

schermo. Sono previsticorsi di lingua Francese,Inglese, Tedesco,Spagnolo e Arabo.

UNITRE: Via Federico Borromeo, 11 - 20811 CESANO MADERNO (MB)

Tel. 0362.540.085 - Fax 0362.585.010 - [email protected] - www.unitrecesano.it

Per ulteriori dettagli descrittivi ed organizzativi si prega di consultare il sito internet indicato a lato,

Aule didattiche10 aule insonorizzate di varie

dimensioni, dotate di attrezzaturemultimediali (PC, proiettore,schermo e casse acustiche).

Ubicate su due livelli, sono serviteda ascensore per l'accesso ai

disabili. Sono previsti circa 100 corsidi carattere sia umanistico che

scientifico, di semplice ascolto, distudio e di laboratorio.