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COLOSSEO C O L O S S E O euro 39,00 ISBN 978-88-918-1389-3 Nel- la mia errabonda giovinezza, rammento, in una notte come questa, sostai entro la cerchia del Colosseo, tra le alte reliquie di Roma onnipotente; nella mezzanotte azzurra gli alberi cupi ondeggiavano lungo gli archi frantumati e oltre gli squarci dei ruderi splendevano le stelle […] E tu splendevi, errabonda luna, stendevi il tuo lume vasto e tenero, placavi la solenne austerità di quel deserto scabro e colmavi le lacune dei secoli: lasciando la bellezza che era tale ancora, creando quella che non era, finché il luogo fu re- ligione e il cuore traboccò di taciturna adorazione per i grandi antichi… George Gordon Byron, Manfred, 1817 James Tibbetts Willmore, Lord Byron contempla il Colosseo, XIX secolo, Parigi, Bibliothèque des Arts Décoratifs

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COLOSSEOCOLOSSEO

euro 39,00ISBN 978-88-918-1389-3

Nel-la mia errabonda

giovinezza, rammento, in una notte come questa, sostai

entro la cerchia del Colosseo, tra le alte reliquie di Roma onnipotente;

nella mezzanotte azzurra gli alberi cupi ondeggiavano lungo gli archi frantumati e oltre gli squarci dei ruderi splendevano le stelle […] E tu splendevi, errabonda luna, stendevi il tuo lume vasto e tenero, placavi la solenne austerità di quel deserto scabro e colmavi le lacune dei secoli: lasciando la bellezza che era tale ancora, creando quella che non era, finché il luogo fu re-

ligione e il cuore traboccò di taciturna adorazione per i grandi antichi…

George Gordon Byron, Manfred, 1817

James Tibbetts Willmore, Lord Byron contempla il Colosseo, XIX secolo, Parigi, Bibliothèque des Arts Décoratifs

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COLOSSEO

a cura diRossella ReaSerena RomanoRiccardo Santangeli Valenzani

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8 LE MOLTE STORIE DEL COLOSSEO Michela di Macco 18 IL COLOSSEO IERI, OGGI. E DOMANI? Rossella Rea 44 STORIE DI UNA IDENTITÀ CONTESA: IL COLOSSEO,

DA TERTULLIANO A MUSSOLINI Domenico Palombi

66 IL COLOSSEO NEL MEDIOEVO TRA BARONI, PRETI E MERCANTI

Riccardo Santangeli Valenzani, Giulia Facchin

76 FINO AL TERREMOTO DEL 1349: IMMAGINE DELLA CITTÀ E CRISTIANIZZAZIONE DENTRO E FUORI IL COLOSSEO

Giulia Bordi

92 SAN GIACOMO AL COLOSSEO E LE SUE PITTURE Philine Helas, Giulia Bordi

102 IL COLOSSEO E LE CONFRATERNITE ROMANE, UNA PAGINA DI DEVOZIONE

Anna Esposito

114 IL COLOSSEO COME LUOGO DI DEVOZIONE DAL CULTO PER I MARTIRI ALLA VIA CRUCIS

Roberto Rusconi

128 PRESENZE CRISTIANE NEL COLOSSEO: DA SANTA MARIA DELLA PIETÀ ALLE EDICOLE DELLA VIA CRUCIS

María Margarita Segarra Lagunes

144 IL COLOSSEO, MODELLO DI ARCHITETTURA DAL RINASCIMENTO ALLE UTOPIE NEOCLASSICHE, AGLI ENVOIS ACCADEMICI, AL NOVECENTO

Barbara Nazzaro

166 COLOSSEO AL NERO: DISTOPIE DEL RUDERE Enrico Parlato

182 IN POSA PER IL GRAND TOUR: L’IMMAGINE INTERNAZIONALE TRA CINQUECENTO E SETTECENTO

Guido Cornini

202 DELLE FRONDE E DEL CHIARO DI LUNA, DEGLI AGGUATI E DELLA FEBBRE. IL COLOSSEO ROMANTICO

Serena Romano

216 IL MODELLO DI CARLO LUCANGELI: UN COLOSSEO DI LEGNO

Cinzia Conti

226 LE SCOPERTE ARCHEOLOGICHE NELL’OTTOCENTO Rossella Rea

252 RICOSTRUZIONI E RESTAURI NELL’OTTOCENTO Rossella Rea

272 I “GRANDI” RESTAURI DELL’OTTOCENTO E I “GRANDI “ARCHITETTI: STERN, VALADIER, SALVI, CANINA

Barbara Nazzaro

292 IL COLOSSEO E L’AREA ARCHEOLOGICA CENTRALE NELLA FORMAZIONE DELLA CITTÀ CAPITALE

Francesco Cellini

308 MONUMENTO CONTINUO Stefano Chiodi

326 LA PERSISTENZA DELLA COPIA CONFORME Giorgio Gosetti

344 IL COLOSSEO E LA FOTOGRAFIA CONTEMPORANEA Marco Delogu

352 IL PATRIMONIO DISSONANTE. UN ANTROPOLOGO AL COLOSSEO

Vincenzo Padiglione

378 IL COLOSSEO: UNA STORIA CULTURALE Simone Verde

388 BIBLIOGRAFIA

SOMMARIO

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1. Moneta con raffigurazione del Colosseo emessa nel 222 d.C. sotto il regno di Alessandro Severo

2. Moneta di Gordiano III del 238 d.C. con raffigurazione del Colosseo

3. Iscrizione che documenta i restauri tardoantichi a cura di Rufo Cecina Felice Lampadio

e mutevole nella quale il ruolo e il significato del Colosseo nella storia e nella immagine della città furono contesi da prospettive culturali e ideologiche spesso contrapposte: in effetti, pochi altri monumenti di Roma antica hanno assunto e inverato tante identità, accompagnando i diversi momenti della storia politica e culturale dell’Urbe, espressione di aspirazioni e ideali differenti nonché specchio e testimoni delle diverse stagioni del rapporto con l’antico, con la sua memoria, con i suoi simboli.

Già intorno al 200 d.C., nel pieno della fortuna ideologica del “panem et circenses”, l’apologeta cristiano Tertulliano sferrava il primo, durissimo, attacco ai luoghi e alla pratica degli spettacoli anfiteatrali: “Che cosa concludere su quell’orrido luogo che neppure i falsi giuramenti riescono a contenere? L’anfiteatro, infatti, è consacrato ad esseri più numerosi e più terribili del Campidoglio, è il tempio di tutti i demoni. Tanti spiriti impuri vi dimorano quanti uomini vi contiene” (Tert. de Spect. 12.7) 6.

Il tema della condanna di ogni genere di spettacoli – il furor del circo, l’impudicitia e il falsum del teatro, la voluptas per la violenza sanguinaria dell’anfiteatro, massima sede di saevitia, empietas e feritas (figg. 1, 2) – non esprimeva semplicemente il rigorismo morale del cristianesimo più antico e intransigente, ma costituiva una critica radicale al sistema di valori sociali, culturali, religiosi e politici della civiltà romana: a Roma, infatti, gli spettacoli non erano soltanto un irrinunciabile piacere per il popolo e uno strumento di consenso ideologico per gli imperatori ma rappresentavano una vera e propria “istituzione pubblica”, costitutivi e qualificanti del calendario festivo, riflesso dell’ordine civile e politico, primaria occasione di sociabilità in un quadro cerimoniale e cultuale dalle complesse valenze simboliche7.

Non a caso, il rifiuto degli spettacoli avrebbe costituito il principale segno di riconoscimento per un cittadino convertito al cristianesimo (Tert. de Spect. 24.3: “Eppure da questo, soprattutto, [i pagani] capiscono che si è diventati cristiani: dal rifiuto degli spettacoli”) e nell’anfiteatro, non a caso, i cristiani si consideravano le vittime privilegiate della ottusa superstizione pagana (Tertull. Apolog. 40.2: “Se il Tevere inonda gli edifici, se il Nilo non esonda nei campi, se il cielo si ferma, se la terra si muove, se scoppia la carestia o la peste, subito si grida: i cristiani ai leoni !”).

L’invettiva di Tertulliano e le analoghe critiche dei Padri della Chiesa non sortirono, nell’immediato, l’effetto sperato se l’Anfiteatro di Roma e il suo denso programma di spettacoli continuarono a ricevere, per più di tre secoli, le massime

I festeggiamenti per il Carnevale del 1874 costituirono l’occasione per una aspra polemica intorno al ruolo e al significato dell’Anfiteatro Flavio nella vita e nella immagine della giovane Capitale d’Italia. Allora, la proposta del comitato promotore, sostenuto dalla Municipalità, di allestire nell’arena spettacoli all’antica, scatenò la reazione della stampa cattolica che arrivava a titolare “Guerra dichiarata al Cristianesimo: disegno di Saturnali pagani al Colosseo di Roma; il Governo li impedisce ma profana il Colosseo”1.

In effetti, il divieto di ogni manifestazione da parte del Ministro della Pubblica Istruzione Antonio Scialoja, non poteva bastare a compensare l’oramai pianificata “profanazione del Colosseo” che, motivata dagli imminenti scavi archeologici dell’arena affidati al primo Sovraintendente di Roma Pietro Rosa, avrebbe mirato, in realtà, a estirparne ogni pratica e simbolo della religione cristiana: la memoria del supplizio dei primi martiri della fede, le ormai storiche cappelle della Via Crucis e la grande croce che campeggiava al centro del monumento sarebbero per sempre scomparse2.

In verità, già nel corso del Risorgimento, la secolarizzazione del monumento aveva conosciuto alcune esperienze isolate ma particolarmente significative: il 21 aprile 1849 il Colosseo aveva costituito, con la piazza di San Pietro e il Campidoglio, lo scenario delle celebrazioni del Natale di Roma opportunamente rievocato dalla Repubblica Romana3; il 22 settembre 1870, appena due giorni dopo la Breccia di Porta Pia, l’arena dell’Anfiteatro era stata prescelta per accogliere il “comizio popolare” per la elezione della prima Giunta Provvisoria di Governo di Roma italiana4.

In quei momenti epocali per la costruzione della nuova identità dell’Urbe, il richiamo all’antico era stato, ancora una volta, inevitabile e, con altri emblematici testimoni della memoria monumentale della città, il Colosseo si avviava a entrare stabilmente nel nuovo tessuto simbolico della “Terza Roma”, quella laica e “popolare” auspicata da Mazzini, finalmente erede della Roma dei Cesari e dei Papi5.

Quelli appena evocati costituirono gli ultimi capitoli di una vicenda millenaria

DOMENICO PALOMBISTORIE DI UNA IDENTITÀ CONTESA: IL COLOSSEO, DA TERTULLIANO A MUSSOLINI

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4. Piatto in terra sigillata africana con probabile scena di martirio ad bestias, Mainz am Rhein, Römisch-Germanisches Zentralmuseum

trasferiti in Campidoglio13 – per sempre ne avrebbero trasmesso il ricordo14. Questo supremo luogo della superstitio, la cui straordinaria mole si doveva alle arti negromantiche del celebre “mago” Virgilio15, accoglieva gli adoratori del più potente dei demoni (“colo” proclamava il devoto alla richiesta “colis eum ?”, che si credeva all’origine del nome stesso dell’edificio) 16 e ospitava (in una delle ambientazioni della leggenda) la portentosa macchina magica della Salvatio Romae17.

Il complesso di queste tradizioni si era formalizzato, con varianti e complementi, tra l’XI e il XIV secolo con echi e strascichi ancora all’inizio del Cinquecento18. Tuttavia, nello stesso arco temporale, il Colosseo poteva, più “razionalmente”, essere identificato con il palacium Titi et Vespasiani19 oppure, con una intuizione archeologica degna di essere sottolineata, con “un castel chè quasi tondo: / coperto fu di rame e d’alti seggi / dentro a guardar chi combattea nel fondo”20.

Questa differente impostazione, certamente minoritaria e decisamente contro tendenza, parrebbe appartenere a uno specifico contesto politico di matrice filo-imperiale che caratterizzava gli ambienti culturali ghibellini di Roma e dell’Italia21: essa sembra consapevolmente rifiutare le credenze favolistiche della tradizione dei Mirabilia Urbis in favore di una impostazione già apertamente classicista che identifica nel Colosseo il principale simbolo della grandezza di Roma antica22.

Certo non casualmente, l’Anfiteatro connota le rappresentazioni dell’Urbe nella serie dei sigilli degli imperatori svevi, da Federico Barbarossa (1155-1190) a Ludovico IV il Bavaro (1328-1346), dove la rappresentazione della città è accompagnata dal celebre motto Roma caput mundi regit orbis frena rotundi: in essi, l’Aurea Roma è evocata a fondamento ideologico della legittimità del potere e delle prerogative imperiali e, nella immagine della città murata posta al rovescio del ritratto del sovrano, la grande mole del Colosseo riassume l’essenza e la storia dell’Urbe23.

In questo contesto, appare forse più comprensibile l’inatteso omaggio reso a Ludovico il Bavaro il 3 settembre 1332 quando, a rievocazione dei fasti di Roma antica, nell’Anfiteatro si tenne una tauromachia, con allestimento di appositi palchi destinati ad accogliere il numeroso pubblico di aristocratici e popolo convenuto ad assistere a una giostra che, cruenta e spettacolare quanto le antiche venationes, sarebbe stata ricordata per le numerose, illustri vittime24.

La scelta dell’Anfiteatro come emblema della grandezza dell’Urbe al servizio dell’ideologia imperiale, riconosceva al monumento il ruolo di testimone e pegno della aeternitas di Roma e del mondo che, già secoli prima, era stato attribuito al Colosseo (certamente sulla scorta di una tradizione più antica relativa al Colosso) da Beda il Venerabile (circa 673-735): “Quamdiu stabit Colyseus stabit et Roma; quando cadet Colyseus cadet et Roma; quando cadet Roma cadet et mundus”25.

In questa funzione di simbolo universale di perennità, l’Anfiteatro si sarebbe inevitabilmente trovato al centro delle rivendicazioni sulla eredità di Roma – fons e caput imperii – non soltanto da parte dell’impero latino-germanico, ma anche del papato e del rinato Senato Romano, in un contesto politico fortemente condizionato dalle dinamiche baronali che caratterizzavano la città medievale26.

In effetti, questa complessa definizione semantica accompagnava la trasformazione del Colosseo nella principale fortezza urbana, a controllo del quadrante meridionale della città e della regione del Laterano27: nel nuovo scenario conseguente all’incendio di Roma di Roberto il Guiscardo (1084), l’edificio divenne un inespugnabile fortilizio al servizio di famiglie baronali di opposta fazione e punto di riferimento strategico per gli stessi pontefici nei momenti di maggiore pericolo28.

Così avvenne nello scisma del 1133, quando Innocenzo II dei Papareschi, avversato da Anacleto II dei Pierleoni, trovò rifugio nel fortilizio del Colosseo29 e, ugualmente, nel 1167 quando Alessandro III, Federico Barbarossa alle porte di Roma, preferì la protezione della stessa fortezza al più vulnerabile palazzo Lateranense30.

cure dell’autorità imperiale: la successione ininterrotta delle iniziative di restauro e manutenzione documentate dalle fonti letterarie, epigrafiche, iconografiche e archeologiche (fino all’inizio del VI secolo: fig. 3)8, testimonia la centralità dell’edificio nella politica monumentale di Roma anche dopo l’affermazione del cristianesimo, mentre venivano progressivamente aboliti i munera gladatoria (gli ultimi si tennero nel 434-435 e l’abolizione definitiva fu decretata da Valentiniano III dopo il 438), ma continuavano a essere organizzate le spettacolari venationes (almeno fino al 523 sotto Teodorico, autore degli ultimi restauri del monumento)9.

Tuttavia, le ripetute condanne degli apologeti cristiani avrebbero generato un’onda lunga e dagli effetti duraturi: la visione di Tertulliano dell’Anfiteatro “tempio di tutti i demoni” può considerarsi, in effetti, il fondamento della rappresentazione dell’edificio come luogo di suprema espressione del paganesimo (in questo pari solo al Campidoglio) che è alla base della visione demoniaco-apocalittica che accompagnerà il Colosseo fino alla fine del Medioevo.

Per apparente contrasto, mentre nel mutato contesto della città tardoantica l’edificio perdeva le sue originarie funzioni e subiva, insieme a tanti monumenti del centro di Roma, un progressivo abbandono (nel V-VI secolo sono documentate sepolture nell’area e dalla seconda metà del VI secolo si avvia la parziale occupazione del monumento a fini abitativi10), nella letteratura agiografica si consolidava l’immagine dell’Anfiteatro (e di altri luoghi ad esso connessi, a cominciare dalla vicina statua del Colosso) come luogo di supplizio dei primi cristiani: almeno otto passiones martyrum, databili orientativamente tra il V e il VII secolo, ricordano i seguaci della nuova fede condannati ad bestias, verosimilmente nell’arena del Colosseo (fig. 4)11.

Sarà proprio l’intreccio di questa doppia identità dell’Anfiteatro – al contempo, massimo simbolo del paganesimo e primo testimone del nascente cristianesimo – a condizionare, nei secoli successivi, la storia e l’immagine del monumento; in parallelo, la memoria archeologica dell’edificio si sarebbe progressivamente smarrita per poi lentamente riemergere e prestarsi a esprimere e rappresentare, come testimone e simbolo della classicità, differenti istanze ideologiche e culturali.

Tra la fine del X e la metà del XII secolo, la trasformazione dell’Amphitheatrum romano nel Coliseum medievale, testimonia la perdita totale della nozione storica e funzionale del monumento antico e stabilisce una connessione qualificante e definitiva tra l’Anfiteatro e la vicina statua colossale del Sole, sebbene da secoli scomparsa12.

Tale nesso, onomastico e semantico, è all’origine della (inusitata, occorre ammettere) interpretazione dell’Anfiteatro come templum Solis il cui temibile simulacro sarebbe stato abbattuto, secondo i più, da papa Silvestro: i resti del colossale idolo – testa, mano e globo per secoli esposti in Laterano e nel 1471

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Roma di Pomponio Leto (che identificava nel Colosseo il centro della città antica) e quelle, non meno accurate, dei fiorentini Giovanni Rucellai, Bernardo Rucellai e Francesco Albertini41.

In questo processo di riscoperta della identità dell’Anfiteatro assunsero un ruolo del tutto particolare gli studi sull’architettura antica, inesauribile fonte di ispirazione per la costituzione del linguaggio formale del Rinascimento e occasione di una sorta di “restauro” ideale e paradigmatico del monumento antico: Leon Battista Alberti, Pietro Averlino, Fra Giocondo e via via fino a Sebastiano Serlio, indagarono e documentarono forma e decorazione dell’edificio con un approccio archeologico e filologico che ne garantiva la esatta interpretazione storica e funzionale42.

Le architetture del Rinascimento, primario instrumentum regni nella città sede e simbolo del papato monarchico, si nutrirono anche materialmente di quel patrimonio e in special modo del Colosseo in un rapporto, apparentemente “schizofrenico”, tra ammirazione e protezione della mole antica e sua inarrestabile spoliazione43.

Si trattava, in realtà, di una consuetudine inveterata che aveva assunto nuove dimensioni a seguito dei crolli causati dal terremoto del 1349 e, in modo via via più sistematico, nel contesto del rinnovamento monumentale della città avviato dai pontefici dopo il rientro da Avignone: non a caso, ancora alla metà del Cinquecento, a Roma si affermava che era stato proprio Gregorio XI (1370-1378) a istituzionalizzare quella pratica, “il quale diede principio a far rovinare il detto Colisseo et ancora fece romper di molte statove di marmo et ne fece far calcina per murar et riparar le chiese rovinate di questa città”44.

Nonostante gli appelli degli eruditi umanisti per lo straordinario monumento “ob stultitiam Romanorum, maiori ex parte ad calcem deletum”45 e alcune misure di tutela assunte dai pontefici (a cominciare dalla bolla emanata da Pio II nel 146246), il Colosseo continuò a fornire materiali per le principali imprese architettoniche del periodo: dal restauro della tribuna di San Giovanni in Laterano

Nel generale fenomeno di incastellamento dei monumenti antichi nel corso del medioevo, l’Anfiteatro era, infatti, divenuto una delle roccaforti della famiglia Frangipane che, a partire dall’XI secolo, aveva fatto del Palatino e delle sue adiacenze una enorme residenza fortificata31. Dagli inizi del XIII secolo, la munitio del Colosseo fu ripetutamente contesa alla famiglia dagli Annibaldi: già nel corso della crisi politica del 1204, nella guerriglia urbana che ebbe come epicentro proprio l’area tra il Laterano e il Colosseo, Pietro Annibaldi, nipote di Innocenzo III (Lotario dei conti di Segni, 1198-1216), tentò di costruire una torre di fronte alla fortezza dei Frangipane, ghibellini e in quel frangente difensori, con i Capocci, delle prerogative Comunali32.

In effetti, già nella breve parentesi del rinato Senato Romano (1143-1155) il Comune aveva rivendicato, di fronte all’impero e contro il papa e i baroni, il possesso dei monumenti antichi – primo tra tutti il Colosseo – nella loro doppia valenza di temibili fortilizi e di testimoni di Roma antica, eletta a cardine culturale e ideologico della renovatio Senatus33.

Nei secoli successivi, le rivendicazioni degli Annibaldi sul Colosseo ebbero riconoscimenti e revoche da parte di imperatori e papi: se nel 1244 la famiglia aveva temporaneamente ottenuto metà della fortezza34, certamente ancora la deteneva nel 1312 quando Enrico VII, a Roma per ricevere la corona imperiale dai messi pontifici giunti da Avignone, ne impose la restituzione al pontefice35.

Le prerogative pontificie vennero ribadite, anche nei confronti dei Frangipane, dai legati di Clemente V che, da Avignone, nel 1311 poneva l’Anfiteatro sotto la giurisdizione del Senato e del Popolo Romano affermando il principio di esclusiva proprietà del monumento da parte della Curia romana che ne affidava le cure al Comune di Roma36.

Veniva così ristabilita, a distanza di secoli, la condizione pubblica del monumento, finalmente sottratto alle turbolenze politiche e alle visioni fantastiche del medioevo romano. In questa ulteriore metamorfosi, la temporanea perdita di senso e funzione del monumento predisponeva alla ricerca e alla creazione di una sua nuova identità, in sintonia con la riaffermazione della centralità morale e politica di Roma perseguita dai papi, dopo il lungo periodo avignonese (1309-1377), lo scisma d’Occidente (1378-1417), il concilio di Costanza (1414-1418).

Dopo Martino V (1417-1431), che dalla cura riservata alla città nella sua doppia identità pagana e cristiana ottenne l’inusitato titolo di pater patriae, per la prima volta nella storia del papato, Eugenio IV (1431-1447) vietava demolizioni e spoliazioni al Colosseo che, con un (involontario ?) riecheggiamento della profezia di Beda, tornava a testimoniare il valore universale dei monumenti di Roma antica: “Nam demoliri urbis monumenta nihil aliud est quam ipsius urbis et totius orbis excellentiam diminuere”37.

A partire da questo momento, la nascente cultura Umanistica si avviava a restituire identità storica all’immenso patrimonio di rovine ereditato dalla città antica: l’abbandono delle tradizioni dei Mirabilia costituì il risultato di un progetto culturale e politico del papato fondato sulla alleanza e sul sostegno degli intellettuali dell’epoca, nel quale lo studio e il recupero dell’antico, in breve assurto a paradigma ideale di ogni espressione della civiltà europea, produsse la riscoperta della storia e della natura dei monumenti urbani38.

Dopo i martiri e i demoni, la precoce intuizione di Giovanni Doddi che, intorno al 1375, studiando e misurando i monumenti di Roma (di cui copiava anche le iscrizioni), definiva il Colosseo “ad modum arenae Veronensis” (in questo certamente favorito dalle sue origini venete)39, anticipava il recupero filologico e archeologico del monumento: già alla metà del Quattrocento, l’identità dell’Anfiteatro Flavio era perfettamente nota a Biondo Flavio e Poggio Bracciolini che, alla luce di questa rinnovata consapevolezza, tra i primi ne lamentarono l’indiscriminata spoliazione40. Alla fine del secolo e nel primo decennio del Cinquecento, la funzione e la storia del monumento potevano considerarsi unanimemente riconosciute, come testimoniano l’eruditissima descrizione di

5. I santi Abdon e Sennen gettati tra le fiere, particolare dell’Arca dei Martiri, XII secolo, Parma, cattedrale di Santa Maria Assunta

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6. Luca Antonio Chracas, Roma trionfante nel glorioso possesso preso il giorno di domenica 16 novembre 1721 dalla santità di nostro signore papa Innocenzo XIII romano ..., In Roma: nella stamperia di Galeazzo Chracas presso S. Marco al Corso, 1721

al Salvatore – de insula et Coliseo (presso o entro l’edificio antico), de rota Colisei (forse la Meta Sudans), de arcu Trasi (l’arco di Costantino)57 – che, per la intitolazione, parrebbero essere state in qualche relazione con la Compagnia del SS. Salvatore ad Sancta Sanctorum alla quale, dalla metà del XIV secolo, era affidata la sicurezza e l’ordine pubblico nell’area dell’Anfiteatro: per questa benemerenza, nel 1381 il Senato di Roma concedeva in proprietà alla Compagnia un terzo del monumento, prerogativa confermata da Martino V (con l’autorizzazione a sfruttarne i materiali) e, in seguito, ribadita fino al XVII (dal 1511 si dichiara che i restanti due terzi dell’edificio appartengono alla Camera Apostolica e che, nel complesso, esso è direttamente sottoposto alla autorità del papa)58.

Forse in considerazione di questo insieme di memorie cristiane, il Colosseo non rimase estraneo alla topografia liturgica romana e costituì una delle tappe delle processioni papali come riportate nel Liber Politicus dello stesso Benedetto Canonico: tra XI e XIII secolo, infatti, la litania septiformis, la cui istituzione si faceva risalire a Gregorio Magno in occasione di una celebre epidemia, nel percorso tra il Laterano e San Marco, si celebrava proprio in corrispondenza del Colosseo59. Anche la processione dell’Assunta, di tradizione altomedievale, prevedeva l’incontro dell’icona della Madonna di Santa Maria Maggiore con l’icona acheropita del SS. Salvatore del Laterano, presso la chiesa di San Giacomo al Colosseo60.

In questo contesto, la connessione con i primi martiri cristiani, pure confinata in una dimensione di labile memoria, era destinata ad attraversare i secoli del Medioevo per approdare alla letteratura umanistica. L’Itinerarium Urbis Romae di Fra Mariano da Firenze, redatto nel 1518 al termine di un biennio trascorso a Roma, rievoca, in una suggestiva combinazione di leggende medievali e recenti acquisizioni archeologiche, la tradizione martiriale del Colosseo: “Innumeri Christi milites in moedio Amphitheatri pro confessione fidei dilacerati iugulatique vel a bestiis suffocati fuere, adeo quod ipsum sanguine eorum sacratum, venerandum reddunt…”61.

Furono forse queste memorie ad attrarre nel Colosseo una delle manifestazioni di pietà popolare più celebri della Roma rinascimentale: almeno dall’ultimo decennio del Quattrocento (ma la data di inizio doveva essere piuttosto risalente), la Confraternita del Gonfalone (istituzionalizzata sin dal 1246) organizzava nell’arena le sacre rappresentazioni del Venerdì Santo (una cappella dedicata alla Pietà fu eretta nel 1517 e restaurata nel 1622)62 con tale partecipazione di popolo che, per motivi di ordine pubblico, vennero talvolta sospese e definitivamente soppresse nel 1539 (misura ribadita nel 1561)63.

Il dramma sacro della Passione di Cristo (martirio prototipico) proponeva, con ricco e suggestivo apparato di congegni e macchine sceniche, “quadri viventi” narrati in rima con accompagnamento musicale, in un allestimento che conferiva una potente aura di sacralizzazione al monumento antico, percepito come ineguagliabile scenografia classica secondo i gusti e le pratiche del teatro rinascimentale64.

É in questa stratificata mole di tradizioni, pratiche e luoghi di culto che devono riconoscersi i fondamenti del progetto di definitiva consacrazione funzionale e simbolica che investirà il Colosseo a partire dalla metà del Seicento65.

In verità, si faceva risalire a Pio V (1566-1572) un primo tentativo di integrazione del monumento nella topografia devozionale dell’Urbe se è vero, come si riteneva alla metà del Seicento, che il pontefice aveva prescritto la raccolta della terra dell’arena, intrisa del sangue dei martiri66: per la prima volta, nel clima radicalmente controriformista del primo periodo post-tridentino, un papa avrebbe affermato il valore di reliquia del suolo del Colosseo67. Tuttavia, la considerazione del pontefice verso l’Anfiteatro deve ritenersi per lo meno contraddittoria: ne rappresentava una palese valorizzazione la inattesa variante del cerimoniale della presa di possesso del Laterano che, il 23 gennaio 1566,

(1439) alla scala, loggia delle benedizioni e piazza di San Pietro in Vaticano (1461-1462), dal palazzo di San Marco (1455-1467) al Ponte Sisto (1473-1479), dal palazzo della Cancelleria (1486-1496) al palazzo Farnese (1514-1589)47. Forse non un consumo indiscriminato e inconsapevole ma uno sfruttamento pianificato e controllato di materiali tratti da un colosso monumentale che, in effetti, poteva essere percepito come inesauribile e immaginato secondo nuove forme e funzioni48.

Nel corso del Quattrocento, tuttavia, a fronte delle acquisizioni filologiche e archeologiche dell’Umanesimo, la potenza della tradizione medievale si manifestava ancora in alcuni trattati topografici (il cd. Anonimo Magliabecchiano49) e in alcune guide di Roma a uso dei pellegrini stranieri (come quelle redatte da John Capegrave50 e Nicolas Müffel51), giungendo ad opere del secolo successivo (Fra Mariano da Firenze52 e Bernardo Gamucci53) che proponevano ricostruzioni conciliative della storia del monumento, oramai correttamente identificato ma ancora scenario, pure con differenti soluzioni narrative, delle favolose visioni dei Mirabilia.

Entro quel medesimo repertorio di credenze sussisteva un ulteriore tema ereditato dalla tradizione agiografica tardoantica e altomedievale e che, rimasto per secoli un latente rumore di fondo, era destinato a divenire determinante nella definizione dell’identità cristiana del Colosseo in età tardorinascimentale e barocca.

Come si è visto, tale aspetto era rimasto marginale nella vita dell’Anfiteatro che, di fatto, non era stato coinvolto in quel processo di interpretatio christiana, caratteristico della cultura medievale, che estraniava i luoghi e i monumenti di Roma antica dall’originario contesto storico per integrarli in un nuovo repertorio di miti e narrazioni come testimoni e simboli della visione salvifica del cristianesimo54.

Durante il Medioevo, la memoria dei primi cristiani condannati ad bestias nell’Anfiteatro, come tramandata da acta e passiones martyrum, era sicuramente rimasta viva; lo testimoniano i Mirabilia Urbis che, nella redazione più antica attribuita a Benedetto canonico di San Pietro (1140-1143), riguardo le persecuzioni dell’imperatore Decio, affermavano: “Occidit istos sanctos martires clarissimos Abdon et Sennen in Amphitheatrum” (fig. 5)55.

A riprova di questa tradizione esisteva una chiesa iuxta Coliseum dedicata agli stessi martiri persiani, già menzionata in un atto di vendita del 1127 dell’Archivio di Santa Maria Nova e regolarmente registrata nei Cataloghi delle chiese di Roma dal XII al XVI secolo56.

Gli stessi Cataloghi registrano, tra XI e XII secolo, due o tre chiese dedicate

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non lambì soltanto, come da tradizione, il monumento ma vide sfilare il solenne corteo a cavallo per medium Collossaei (fig. 6)68; in seguito, la proverbiale diffidenza del pontefice verso i monumenti pagani non avrebbe risparmiato il Colosseo, di cui si paventò addirittura la demolizione69; in alternativa, se ne programmava la destinazione a sede del ripristinato ghetto degli Ebrei: “Si dice che S. S.tà vuole che li hebrei vadino ad habitare al Coliseo, onde per le quotidiane restrizioni questi poveri se ne vanno, più tosto che obligarsi a così dura novità”70.

Successivamente, anche Sisto V (1585-1590), sospettato di voler demolire una parte del monumento per favorire la viabilità tra Campidoglio e Laterano (la sorte che era già toccata al vicino Settizodio), ne annunciava un generale restauro e conseguente sistemazione urbanistica in vista di una sua prossima consacrazione: “ha il papa levato il dubbio à Romani che havevano di vedere a terra qualche pezzo del Coliseo per l’apertura della nuova strada da Campodiglio a San Gio. Laterano con palesarli il pensiero che ha, di risarcirlo tutto e dedicarlo un giorno al culto divino con una piazza bella d’ogni d’intorno senza invidia di quelle bellezze de suoi primi architetti e fondatori” 71.

Il progetto avrebbe certamente trovato una coerente collocazione nel programma di costruzione delle Roma sancta perseguito dal pontefice e che aveva nella “riconsacrazione” dei monumenti antichi (dalle colonne agli obelischi) uno strumento efficace e qualificante72.

Tuttavia, la marginalità urbanistica del monumento (ben documentata dalla cartografia del XVI e XVII secolo), le spoliazioni e i continui crolli (che lo caratterizzano nei disegni dell’epoca), l’insicurezza del contesto sociale (come emerge dalle cronache del tempo), la mancanza di specifiche motivazioni politiche e ideologiche, lasciavano l’immenso rudere in una condizione di isolamento con incerte prospettive di riqualificazione funzionale e urbana73.

In questo contesto si inseriscono gli stentati progetti di destinazione industriale che coinvolsero l’Anfiteatro sotto il pontificato dello stesso Sisto V (nel 1590 Domenico Fontana vi progettava l’impianto di una filanda con annesse abitazioni per gli operai)74 e di Clemente XI (nel 1700 i portici dell’Anfiteatro furono adibiti a deposito di letame per le fabbriche di salnitro del Palatino e del Colle Oppio)75, nonché l’occasionale utilizzo dell’arena per l’organizzazione di festeggiamenti non altrimenti precisabili 76.

In questo incerto panorama funzionale e simbolico, l’Anfiteatro poteva continuare a covare la sua oscura identità pagana fatta di demoni e visioni. Così avvenne che, durante la peste che colpì Roma nell’estate del 1523, si vide un mago di origine greca sacrificare un toro nel Colosseo per placare i demoni adirati77. Così testimonia con straordinaria vividezza, circa un decennio più tardi, Benvenuto Cellini che partecipò a due riti di magia nera officiati nel monumento da un prete negromante: narrata in prima persona e con dovizia di particolari (dal macabro al grottesco), l’avventura (paradigmatica di una vita vissuta sempre oltre la norma) testimonia la natura magica e demoniaca che ancora caratterizzava il suggestivo rudere78.

Fu, dunque, nella seconda metà del Cinquecento – non un secolo più tardi, come comunemente si ritiene – che le memorie dei martiri del Colosseo entrarono, seppure in forme del tutto preliminari, nei programmi religiosi della città papale, acquisendo, via via, una dimensione ideologica autonoma ed esclusiva in grado di condizionare l’immagine e la percezione del monumento nei secoli successivi. Infatti, sebbene ancora a margine dei percorsi devozionali fino alla metà del Seicento79, già dagli inizi dello stesso secolo l’anfiteatro fu esplicitamente identificato (con qualche significativa eccezione) come il principale luogo di martirio dei primi cristiani80.

É, certamente, in questa fase di ridefinizione della identità del monumento che compare una singolare ed enigmatica epigrafe (murata, nella metà del Seicento, da Pietro da Cortona nella cripta della chiesa dei SS. Luca e Martina)

nella quale si volle riconoscere l’iscrizione sepolcrale di Gaudenzio (fig. 7), il leggendario architetto cristiano del Colosseo messo a morte da Vespasiano: si tratta di un testo epigrafico di dubbia origine e cronologia ma che, per la iperbolica interpretazione che allora ne veniva proposta, appare straordinariamente significativo e rivelatore degli orientamenti e delle prassi adottate nella costruzione della identità cristiana dell’Anfiteatro81.

In questo processo, un qualche ruolo potrebbe avere avuto Cesare Baronio il quale, per volontà di Gregorio XIII, aveva revisionato il Martyrologium Romanum (editio princeps 1584) e redatto gli Annales Ecclesiastici (dal 1588 in poi), opere destinate a rinnovare l’agiografia cattolica e a fondare la moderna storiografia ecclesiastica82.

Lo affermava, senza esitazione, Carlo Fontana il quale, all’inizio del Settecento, scriveva un documentato trattato sul Colosseo (edito, postumo, nel 1725) a sussidio del progetto per un grandioso santuario da erigere all’interno del monumento antico: nell’opera, l’architetto non solo esibiva una approfondita conoscenza delle storie dei martiri e dei supplizi da essi patiti nell’arena (già doviziosamente illustrati nell’accuratissimo catalogo degli orrori di Antonio Gallonio)83 ma attribuiva direttamente all’autorità del Baronio la testimonianza di antiche pratiche devozionali che si erano compiute (e, eventualmente, avrebbero ricominciato a compiersi) nel Colosseo: “Quindi si è, che fino nei primi Secoli, se prestiamo fede alla eruditissima Penna del Cardinal Baronio, i devoti Fedeli passavano genuflessi su quell’Arena, servita di Letto mortale ad infinitissimi Martiri: ne contenti di questo venerabil Rispetto, si davano à prendere di quella Terra, recandosela alle proprie Case, e tramandandola alle più remote Regioni, per insigne e sacrosanta Reliquia”84.

Quali che fossero le diverse vie per le quali, nel corso della seconda metà del Cinquecento, si era venuta definendo l’identità cristiana del Colosseo, di fatto, fino alla seconda metà del secolo successivo essa non trovò motivazioni e occasioni per innescare la compiuta e definitiva risemantizzazione del monumento antico fino alla seconda metà del secolo successivo.

Infatti, il tema dei primi testimoni della fede martirizzati nel Colosseo venne compiutamente valorizzato solo in occasione del Giubileo del 1675, concepito in funzione antiereticale e di apologia del cattolicesimo, in una difficile congiuntura politica e culturale per l’autorità e l’immagine del papato85: in questo, Clemente X pareva programmaticamente voler seguire le orme di Pio V (da lui stesso beatificato nel 1672) quando riconosceva valore di reliquia al suolo dell’arena dell’Anfiteatro.

Il tema era stato vigorosamente riproposto dal padre Teatino Carlo de’ Tomasi che, condannando la sacrilega pretesa dei Conservatori di Roma (per altro già autorizzata dal cardinal nepote Paluzzo Altieri) di allestire una tauromachia nel Colosseo nel giugno 1671, perorava presso il pontefice la definitiva consacrazione dell’Anfiteatro, “consecrato con il sangue pretioso d’innumerabili Santi Martiri”86.

Ottenuta l’approvazione di Clemente X (e il sostegno finanziario del principe Pamphilj), de’ Tomasi commissionava a Gian Lorenzo Bernini un progetto di

7.Epigrafe di Gaudenzio, Roma, chiesa dei SS. Luca e Martina (da Colagrossi 1913, fig. 6)

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“riqualificazione” in chiave cristiana del Colosseo87: Bernini (del cui lavoro, purtroppo, non sopravvive documentazione diretta), nel rispetto della storia e della immagine del monumento antico, proponeva la generale chiusura delle arcate del piano terra (indispensabile per il controllo e la protezione della enorme struttura) “ma di ciò ne anco contento, per haverne l’approvatione del Papa, e con la sua Auttorità fare, che totalmente si chiudesse, et impedisse, per maggior veneratione di esso, il transito per quello di Carrozze, Carette e simili …”; inoltre progettava l’allestimento di due “facciate” monumentali delle quali, quella rivolta verso il Laterano, avrebbe interessato una sola arcata mentre quella settentrionale ne avrebbe occupate tre, chiuse da inferriate al piano inferiore stabilendo che “ne’ trè archi poi superiori, si dipingesse il Coliseo con molti SS. Martiri Triomfanti, e sopra di quelli si ergesse una gran Croce, vessillo, e trofeo, de’ Santi Martiri …”; infine si progettava di erigere “ancora nel centro del Coliseo, ove era prima l’ara, ò l’altare, dove si sacrificava a Giove, un piccolo Tempio, per non impedire la gran macchina in onore de’ Santi Martiri” (fig. 8).

Il circoscritto allestimento barocco ideato da Bernini salvaguardava i valori storici e formali del monumento antico pur definendone l’inequivocabile risignificazione in chiave cristiana e il definitivo riscatto da ogni precarietà funzionale e simbolica: “… ma per farlo ci vuole molta spesa, perché non vogliamo altrimenti alterare punto la Venerabile Antichità, ma solo farla comparire e custodirla”, poiché “hor questo santo Meraviglioso memorabile e venerando luogo, non solamente pare abolito dalle menti degli huomini, ma quasi abborrito dà loro cuori per essere divenuto un letamaio d’Animali, e un Postribolo di Persone infami…”88.

Pure approvato dal pontefice, il progetto rimase inattuato (il de’ Tomasi moriva, tra l’altro, giusto il 1 gennaio 1675 e Clemente X l’anno successivo) e del disegno berniniano rimasero solo i cancelli di legno a chiusura delle arcate inferiori, le tamponature di quelle del primo ordine, una grande croce lignea eretta sulla sommità del monumento e due solenni iscrizioni commemoranti l’avvenuta consacrazione del Colosseo alla memoria dei martiri89.

Al volgere del secolo, quando il Colosseo era ormai “più celebre per li trionfi acquistati dalli santi Martiri, che per l’eccellenza della fabrica”90, il progetto e la prospettiva berniniani vennero raccolti da Carlo Fontana che affrontava uno studio globale del monumento antico e ne proponeva una radicale riformulazione, finalizzata alla realizzazione di “edifici templari per restituire la venerazione che merita l’Anfiteatro Flavio”. A fronte di una consapevolezza storica, filologica e archeologica senza precedenti, Fontana proponeva la totale trasfigurazione del monumento antico in termini devozionali, trasformando il Colosseo nell’“involucro” del santuario cristiano: al fondo dell’asse maggiore dell’edificio antico (nel sito della preesistente cappella della Pietà), una imponente chiesa a pianta circolare (un quarto della larghezza dell’arena) coperta a cupola (alta quanto l’attico del Colosseo), era inquadrata da un porticato disposto lungo l’ovale dell’arena (la balaustra dominata da 42 statue di martiri) e era preceduta da una grande fontana circolare sorretta dalle allegorie di Fede, Fortezza, Costanza e Amor di Dio (una sintesi tra la vicina Meta Sudans e la berniniana fontana di Piazza Navona)91.

Così, dopo il “tempio dei demoni” della tradizione dei Mirabilia, nel Colosseo prendeva forma il “tempio dei martiri”, al quale gli ideali culturali ed estetici del tardo Barocco potevano conferire una immagine in grado di rivaleggiare con quella fantasmagorica del templum Solis immaginata dai chierici e dai pellegrini medievali.

Il progetto di Fontana, pure presentato a Innocenzo XII, non si realizzò e i suoi studi vennero pubblicati postumi: esso, tuttavia, ebbe un significato decisivo per la definizione dell’identità e della percezione del monumento antico nel XVIII e XIX secolo.

Se già nel 1744 Benedetto XIV faceva pubblicare dal Governatore di Roma un editto che proibiva la “profanazione” del Colosseo92, nel 1749 lo stesso

8.Ricostruzione della facciata del Colosseo secondo il progetto di Gian Lorenzo Bernini (elaborazione di M. Fagiolo, disegno di C. Capitani)

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culturale – avrebbe assunto un ruolo vieppiù determinante nei programmi di gestione e fruizione del patrimonio monumentale urbano: i papi (già dalla fine del Settecento e anche dopo la Restaurazione) e gli occupanti Francesi (nella breve parentesi di governo, 1809-1814, che fruttò alla città una innovativa visione del suo rapporto con l’antico) promossero (pure tra aspre polemiche) studi, documentazioni, scavi, consolidamenti e restauri, nonché progetti di sistemazione urbanistica, che fornirono occasione e strumenti per la costruzione della conoscenza e della identità contemporanea del Colosseo96.

Se ne sarebbe giovata la nuova capitale d’Italia nel processo di “laicizzazione” del patrimonio monumentale di Roma, quando l’archeologia divenne lo strumento privilegiato di una strategia pedagogica nazionale di massa: tra i molti programmi di valorizzazione del patrimonio monumentale urbano, la concezione di un modernissimo (e osteggiatissimo) progetto di parco archeologico (“Zona Monumentale Riservata di Roma”, la cd. Passeggiata Archeologica, 1887) poneva il Colosseo a caposaldo di in vasto perimetro urbano ad alto valore ambientale e archeologico ma, al contempo, a margine di un’area oramai destinata a una capillare lottizzazione (Piano Regolatore 1873 con relative varianti 1883 e 1903)97.

É in questo programma di reintegrazione urbanistica – dopo secoli di isolamento e abbandono – che nasce il progetto di collegamento stradale tra il Colosseo e la Piazza di Venezia che, nell’ultima variante del Piano Regolatore del 1923 (“Variante generale al Piano Regolatore del 1909”) avrebbe assunto la forma, le funzioni e i significati simbolici della mussoliniana Via dell’Impero, realizzata a partire dal 1930 con il sacrificio di tanto patrimonio archeologico e monumentale, a cominciare dalla Meta Sudans e dalla base del Colosso, intollerabili ostacoli alle parate fasciste98.

Così il Colosseo, al pari dei principali complessi archeologici urbani, entrava

pontefice accoglieva la richiesta del predicatore Leonardo da Porto Maurizio per la istituzione del “divoto esercizio della Via Crucis … e l’approvazione della confraternita degli Amanti di Gesù e Maria al Calvario”: la sera del 27 dicembre 1750, a chiusura dell’Anno Santo, con una suggestiva e affollatissima cerimonia notturna celebrata dalle massime gerarchie ecclesiastiche, furono benedette la croce eretta al centro dell’arena e le quattordici cappelle della Via Crucis disposte intorno ad essa; il 19 settembre 1756, lo stesso Benedetto XIV dichiarava il Colosseo “chiesa pubblica” consacrata alla memoria della Passione di Gesù e dei martiri del primitivo cristianesimo93.

Si potrebbe osservare che, come Pio V aveva reagito agli attacchi della Riforma così ora Benedetto XIV rispondeva alla temibile offensiva dei Lumi: nell’intenso programma pastorale e penitenziale attuato in occasione del Giubileo del 1750, il Colosseo appariva risignificato e sacralizzato come testimone e scenario della chiesa visibile e trionfante94.

Nella cultura europea del Settecento, tuttavia, questa radicale impostazione ideologica generava un nuovo, insanabile conflitto intorno alla identità del monumento, conteso tra l’affermazione della sua dimensione religiosa e i valori della cultura neoclassica dell’Illuminismo positivista: così, per più di un secolo, il Colosseo avrebbe continuato a accogliere le “pittoresche” pratiche di devozione e, al contempo, l’ininterrotto flusso di visitatori cosmopoliti sedotti dal sentimento potente evocato dal monumento antico e dalla sua rovina, attori di quell’incessante “pellegrinaggio culturale” che, per oltre tre secoli, aveva alimentato una ricca letteratura di viaggio e un fiorente mercato di quadri, stampe e disegni dei monumenti di Roma antica, tra i quali il Colosseo appariva certamente il più emblematico95.

In questo contesto, l’archeologia – al contempo prassi scientifica e strumento

10. Iscrizione fascista della croce ripristinata al Colosseo

9. Roma, 28 ottobre dell’anno undecimo: il Duce, a cavallo, alla testa di tredici legioni di mutilati inaugura la nuova Via dell’Impero, copertina de “Il Mattino Illustrato”, 14-21 novembre 1932, foto Luce riprodotta a colori

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nel novero delle scenografie delle parate e delle liturgie del regime (fig. 9) ma qui, più che in ogni altro luogo, mito della romanità, impero fascista e cattolicesimo romano potevano trovare sintesi e reciproca legittimità: specialmente dopo che, il 24 ottobre 1926, era stata riportata la croce nell’arena e la rinnovata celebrazione della Via Crucis nell’Anfiteatro aveva assunto valenze politico-ideologiche dichiarate (fig. 10)99.

Nel fotomontaggio che staglia la figura del Duce/nuovo Colosso sull’immagine dell’Anfiteatro (fig. 11) si riassume una storia millenaria di interpretazioni, appropriazioni, manipolazioni e fraintendimenti intorno al monumento forse più incerto e conteso di Roma antica (fig. 12).

In effetti, come appariva ben chiaro già ai più accorti viaggiatori dell’ultima stagione del Grand Tour – poco prima dell’avvio dell’ultima, radicale trasformazione della immagine e dell’idea di Roma – dopo l’età antica, il Colosseo era stato, di volta in volta (e spesso tutto insieme) “la fortezza dell’uomo libero, la cittadella del despota, il patibolo del martire, il palcoscenico del buffone, il rifugio dell’assassino !, il sacrario dell’uomo pio, e il luogo dove si incontrano i dissoluti e i gaudenti di tutte le parti del mondo moderno”100.

11. Benito Mussolini di fronte al Colosseo, 1940 circa

12. La sezione della mostra Colosseo. Un’icona sul ruolo giocato dal monumento in seno alla propaganda ideologica fascista

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I Ante Coloseum templum Solis, ubi fiebant caerimoniae simulacro quod stabat in fastigio Colosei (Valentini, Zucchetti 1946, p. 58). Sul documento vedi di recente Miedema 1996; Mirabilia urbis Romae 2004; Kinney 2007. Per i più tardi esiti di questa tradizione, vedi Le miracole de Roma (metà XII secolo) e il De mirabilibus civitatis Romae (metà XIV secolo): Valentini, Zucchetti 1946, pp. 122, 195 sg. Graphia aureae urbis Romae (metà XII sec.): Ante Coloseum templum Solis ubi fiebant caerimoniae simulacro, quod stabat in fastigio Colossei, habens in capite coronam auream gemmis ornatam, cuius caput et manus nunc sunt ante Lateranum. (Valentini, Zucchetti 1946, p. 90). Sull’opera, attribuita a Pietro Diacono, Bloch 1984. Nel Libro imperiale attribuito a Giovanni Bonsignori (inizio XIV secolo ma edito nel 1484), il Colosseo è un tempio grandioso dedicato al sommo Giove (al suo simulacro appartenevano i bronzi del Laterano), attorniato dalle statue di tutte le divinità, dove “venivano le genti di tutto il mondo a fare nel detto tempio sagrificio”. Cfr. Graf 1882, pp. 236 sgg. Sull’opera e il suo autore vedi in Leeker 1996.15 Nel Myreur des Histors de Jean d’Outremeuse (verso la fine del Trecento), l’edificio è tra quelli attribuiti a Virgilio che, nella tradizione medievale, è veggente e mago, autore di prodigiose realizzazioni a Roma e Napoli: dopo Comparetti 1941, pp. 61-68 (e 147-161 per il contributo di Jean d’Outremeuse) vedi, approfonditamente, Loicq-Berger 2011; Loicq-Berger 2012; Poucet 2012.16 Così nella Florita di Armannino Giudice (1325): Mazzatinti 1880, pp. 1-55, part. p. 45.17 Sulla leggenda della Salvatio Romae: Graf 1882, pp. 188-213; Cilento 1984. La complessa formazione di questa tradizione – a partire almeno da Alessandro Neckam, De laudibus divinae Sapientiae, dell’inizio del Duecento – è stata analizzata da Poucet 2013.18 Sul complesso delle tradizioni medievali sul Colosseo vedi Graf 1882, pp. 116-130; di Macco 1971, pp. 30, 34-37, 68-69. Un compendio delle tradizioni dei Mirabilia si ritrova ancora, agli albori del Rinascimento, nel Tractatus de rebus antiquis et situ urbis Romae, cd. Anonimo Magliabecchiano (circa 1411: Valentini, Zucchetti 1953, pp. 132, 146), nella Beschreibung der Stadt Rom di Nicola Muffel (post 1452: Muffel ed. Wiedemann 1999, p. 107) e, con ricchezza di dettaglio, nella guida per i pellegrini dell’inglese John Capgrave (1447-1452): Capgrave ed. Billi, Giosuè 1995, pp. 67-69 (qui l’originale etimologia di Colosseo da Colis Deum! intimato da papa Silvestro all’idolo colossale venerato nel “tempio”). Ancora all’inizio del Cinquecento, La rappresentazione di Rosana (in Graf 1915, p. 108) lo fa sede di un idolo pagano “lo quale aveva nome l’ydolo Pantaleo … et era lo mazore idolo di tuta Roma”.19 Maestro Gregorio, De Mirabilibus urbis Romae (metà del XII sec.): Coloseum autem, Palacium Titi et Vespasiani, transeo. Quis enim artificiosam compositionem eius et

magnitudinem sermone exequi potest? (Valentini, Zucchetti 1946, p. 166); lo stesso Mastro Gregorio conosce la vicina statua colossale del Sole la cui distruzione attribuisce a Gregorio Magno: Valentini, Zucchetti 1946, p. 149 sg. Per l’autore e l’opera: Nardella 2007, part. pp. 25-55 (nella traduzione proposta a p. 173 si considerano indipendenti il Colosseo e il palazzo di Tito e Vespasiano).20 Fazio degli Uberti, Dittamondo, lib. II, c. 31: Valentini, Zucchetti 1953, p. 62. Deve essere sottolineato che nel codice Parigino del Dittamondo (Paris, BnF, ms. ital. 81, f. 18 r.), Roma che parla a Fazio degli Uberti e al suo accompagnatore Solino, è una anziana donna seduta accanto al Colosseo, posto al centro della rappresentazione della città. Sull’autore e sull’opera che, sebbene risenta della tradizione medievale si apre già a una prospettiva umanistica, vedi D’Amico 2009, pp. 152-174. Amphitheatrum compare con giusta denominazione già nell’Anonimo di Einsiedeln tra le tappe dell’VIII itinerario A porta sancti Petri usque porta Asinaria: Valentini, Zucchetti 1942, p. 196. Sull’autore, un colto monaco di età carolingia, basti citare: Miglio 1999, pp. 32-43; Del Lungo 2004, part. p. 104 sg. per il monumento.21 Sul tema di Macco 1971, pp. 33, 38-40.22 Questa tendenza affianca, a partire dall’XI secolo, la tradizionale visione di Roma cristiana, in una dialettica costante tra potere papale e potere imperiale: Vauchez 2001, pp. 467-476, part. p. 471.23 Sull’idea di Roma e la sua evocazione nella ideologia e nella politica imperiale del Medioevo: Houben 2001. Per le rappresentazioni di Roma sui sigilli imperiali: Nilgen 2001, part. p. 452 sg. Sulle immagini, simboliche e ideogrammatiche, di Roma nel Medioevo: Maddalo 1990. Per la eventuale influenza dei sigilli imperiali sulla creazione cartografica medievale di Roma: von den Brincken 2001, part. pp. 225-229.24 La cronaca dell’evento si trova in Ludovico Bonconte Monaldeschi, Frammenti delle cose accadute dall’anno 1328 sino all’anno 1340 (trascritto in Colagrossi 1913, pp. 157-161), verosimilmente un falso di XVII secolo ma costruito su documenti originali e attendibili: particolarmente efficace la descrizione del torneo e la enumerazione dei partecipanti (con descrizione degli abiti, dei blasoni e dei motti) tra i quali si contarono ben diciotto morti poi sepolti in Laterano e Santa Maria Maggiore. Su questo straordinario spettacolo, eccezionalmente allestito nel Colosseo, vedi da ultimi, Balestracci 2001, p. 164 sg.; Di Santo 2016, pp. 97-99.25 Beda Venerabilis, In Excerptis, seu collectaneis in Dufresne Du Cange 1842, p. 427 sg. Cfr. Graf 1915, p. 92. Su Beda e il primato di Roma: Carragáin 1995; Hoenicke Moore 2005. Nella versione medievale (erroneamente attribuita allo stesso Beda) del catalogo delle Sette Meraviglie del mondo (di Filone di Bisanzio), tra i monumenti di Roma si nomina soltanto, ma in posizione preminente, il

1 La Civiltà Cattolica 25, ser. IX, vol. I, quad. 568, 1874, pp. 467-469: “Sotto pretesto di restituire i monumenti d’arte all’antico loro stato, si rovescia davvero la Croce… [Per i festeggiamenti del carnevale del 1874] Si dovea ricostruire in legname il podium, coprire con una colossale statua la Croce posta al centro; poi simularvi i varii ludi, coi gladiatori e il resto. Il programma uscì stampato anche nella Riforma del 23 gennaio. I cattolici si indegnarono per tal profanazione disegnata; e non pochi degli stessi liberali assai la biasimarono. Il Governo si ricordò di aver l’anno scorso vietato il famoso Comizio, bandito dai Democratici che voleano tenerlo nel Colosseo. Perciò lo Scialoia, alla cui sovrintendenza è affidato il monumento, richiesto dalla Società di Pasquino della necessaria licenza, la negò. Ma perché non si credesse che il rifiuto era dettato dalla riverenza alla memoria dei Martiri cristiani che ivi sparsero il sangue, od ai monumenti religiosi ivi eretti, per autorità del Papa, da San Leonardo da Porto Maurizio, il moderato Scialoia allegò i danni che poteva patire il monumento pei lavori da farvisi per la festa, e la necessità di non ritardare gli scavi per trarne all’aperto cielo le sostruzioni e l’antica arena. Questi scavi furono subito ordinati, e il famigerato Pietro Rosa, grande scavatore di terra e fabbricatore di antichità, pose subito mano ad atterrare le edicole della Via Crucis, il pulpito e da ultimo la Croce che sorgeva nel mezzo, levando via dal Colosseo tutti i simboli religiosi. Erasi di ciò dato avviso al cardinal Guidi; il quale, per ordine del Papa, intimò agli ordinatori e esecutori di tal profanazione, la scomunica. Ma essi se ne risero, ed il Colosseo divenne pagano”. La vicenda tenne banco sui giornali romani: per i suoi echi, tanto polemici quanto dozzinali, nella stampa cattolica romana, cfr., per esempio, La Frusta. Giornale politico morale anno V, n. 23 del 29 gennaio e n. 37 del 15 febbraio 1874 (con molte citazioni delle opposte posizioni della stampa laica e liberale; numerosi altri riferimenti ai fatti nei giorni precedenti e successivi). Sulla Società di Pasquino, promotrice dei festeggiamenti, largamente frequentata da artisti e intellettuali liberali: Sacchi Lodispoto 1999, pp. 299 e 311; Viglione 2005, p. 161. Un cenno agli eventi, ma senza riferimenti documentari, in Colagrossi 1913, p. 229. 2 Per gli scavi di Pietro Rosa al Colosseo (dicembre 1874 - maggio 1875) e per le conseguenti critiche che portarono alla sua destituzione vedi, tra i contemporanei, Schingo 1999, pp. 115-128; Delpino, Dubbini 2011, part. pp. 405 sg.3 Amante 1879, pp. 99 sg. Cfr. Tobia 2002, pp. 343-378, part. p. 363; Storia racconta 2009, pp. 112-117.4 Montecchi 1870; cfr. Canucciari 1970.5 Sull’idea mazziniana della Roma del popolo, basti qui il rimando a Giardina, Vauchez 2000, pp. 169-177.6 Su Tertulliano e sulla condanna degli spettacoli come fondamento dell’etica cristiana in rapporto alla cultura classica, basti citare Saggioro 1996, pp. 93-161 (part. pp. 147-149 per l’anfiteatro) e Lugaresi 2005.

7 Iuv. Sat. 10.78-81, con l’imprescindibile riferimento a Veyne 1976, part. pp. 84-94, 701-730.8 Pensabene 1988; Rea 1993a; Rea 1999, part. pp. 161-191.9 Sull’ultima stagione dei giochi anfiteatrali a Roma: Orlandi 1999a, pp. 249-263; Jiménez Sánchez 2010, part. pp. 75-267, 350-368. Per i ludi e munera nel calendario festivo tardoantico: Salzman 1990, part. pp. 19-23, 196-206, 179.10 Rea 1986b; Rea 1993b.11 Per una recente lista vedi Cartocci 1993, p. 35. In precedenza, fondamentale Delehaye 1897 e Delehaye 1933, pp. 79 sg., 96 sg., ipercritico sulla affidabilità di acta e passiones martyrum e del tutto scettico sulla possibilità di documentare un reale legame tra supplizi dei cristiani e Colosseo. Una tradizione poco nota, identifica l’ultimo “martire” del Colosseo nel monaco orientale Telemaco (alias Almachio) che nel 403, regnate Onorio, scese nell’arena per impedire il combattimento gladiatorio, finendo linciato dalla folla (Teodoreto Storia Eccl. 5.26). A fronte della contraddittoria tradizione agiografica relativa al personaggio, l’attendibilità dell’opera storica di Teodoreto di Cirro è riconosciuta: Simonetti, Prinzivalli 1999, pp. 351-359. Sulla natura, gli scopi e il valore storico di acta e passiones martyrum: Lanata 1973, pp. 3-40; Atti e Passioni 1987, pp. IX-XL; Dehandschutter 1995; Saxer 1990; Mara 2000. I loca martyrum di Roma (connessi ai processi, agli interrogatori e alle condanne dei primi cristiani) si estendevano dal Colle Oppio, nel quartiere delle Carinae (nell’area detta in Tellure, dove si trovavano i tribunali della Praefectura Urbi), alla valle del Colosseo (dove si localizzavano Colossus, lacus Pastoris, petra scelerata), fino al Palatino (hippodromus Palatii): Delehaye 1897, pp. 222-252; Palombi 1997, pp. 151-153.12 Dopo le speculazioni paretimologiche medievali e rinascimentali intorno al nome Coliseum (alle quali si accennerà in seguito), del processo di trasformazione toponomastica dell’originario Amphitheatrum si è molto discusso: la soluzione prevalente ne identifica l’origine nel vicino Colosso neroniano, trasformato da Vespasiano in immagine del Sole e trasferito da Adriano dall’atrio della domus Aurea al basamento posto presso l’angolo sud-orientale della platea del tempio di Venere e Roma. Non sono tuttavia mancate proposte alternative: il nome sarebbe stato ispirato dalla colossale mole dello stesso monumento oppure, del tutto fantasiosamente, dalla prossimità con il tempio di Iside che avrebbe dato origine a un non altrimenti documentato toponimo “collis Isaeum”. Per tutto, vedi Colagrossi 1913, pp. 135-146; di Macco 1971, p. 30; Lega 1989-1990, part. pp. 357-361, 364-370.13 Sui bronzi del Laterano basi citare Herklotz 2000, pp. 57-87, part. pp. 71-75 per i resti del colosso bronzeo.14 Mirabilia Urbis Romae (1140-1143, nella redazione più antica di Benedetto Canonico):

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I 51 Nikolaus Müffel, Beschreibung der Stadt Rom (post 1452): Valentini, Zucchetti 1953, p. 369.52 Fra Mariano da Firenze, Itinerarium urbis Romae (1518): Fra Mariano da Firenze ed. Bulletti 1931, p. 170.53 Gamucci 1580, p. 48.54 Sugli orientamenti e gli obiettivi dell’antiquaria romana medievale vedi Nardella 1996; Nardella 2001. Come giustamente sottolineato da Delehaye 1897, pp. 210-216 nessuna delle istituzioni (confraternite), pratiche (riti del Venerdì Santo) e costruzioni religiose (cappella della Pietà) che si trovano o agiscono all’interno del Colosseo o nei suoi pressi fanno mai riferimento a questa tradizione. 55 Valentini, Zucchetti 1946, p. 38; cfr. Mirabilia urbis Romae 2004, pp. 66-68; Per la passio, la sepoltura e il culto: Manna 1923, pp. 163-171; Delehaye 1933, pp. 72-85; Verrando 1990.56 Fedele 1901, pp. 180-182 (doc. XLV: 17 settembre 1127); Valentini, Zucchetti 1946, pp. 242, 285, 303, 307; Valentini, Zucchetti 1953, p. 187; Lanciani 19902, p. 275. Sulla chiesa vedi Armellini 1887, p. 96 sg.; Hülsen 1927, p. 163 sgg.; Rea 1993b, part. pp. 653-655 (che riconosce l’edificio presso la base del Colosso di Nerone in direzione della Meta Sudans).57 Armellini 1887, p. 601; Hülsen 1927, p. 452. La precisa localizzazione e la eventuale identificazione dei resti delle numerose chiese gravitanti nell’area del Colosseo e al suo interno rimane un problema aperto. Ad oggi, almeno otto edifici di culto si collegano, a vario titolo, all’Anfiteatro: Colagrossi 1913, pp. 187-211.58 Cfr. Colagrossi 1913, pp. 166-169. Sulla potentissima confraternita, fondatrice dell’ospedale poi al Laterano, vedi: Pavan 1984; Noreen 2007.59 Parlato 2000, part. p. 73 sg.; Dyer 2008, part. pp. 128-131.60 Jounel 1977, p. 379; Capitelli 1998, pp. 61-66; Helas, Wolf 2011, pp. 106-112.61 Fra Mariano da Firenze ed. Bulletti 1925, p. 170 sg. Sull’opera e l’autore: Nuti 2008, pp. 61-67.62 Vitali 1955; D’Onofrio 1969, pp. 30, 121 (da F. Martinelli, Roma ornata dall’architettura, pittura e scultura, 1660-1663); Wisch 1992, 94-111.63 Sulla Confraternita del Gonfalone: Ruggeri 1867; cfr. Maroni Lumbroso, Martini 1963, 186-203; Pagano 1990, pp. 11-33 e ad indicem per il rapporto con il Colosseo. Vedi il saggio di A. Esposito in questo volume.64 Su questa rappresentazione: Vattasso 1903, pp. 71-89; Wisch, Newbigin 2013, pp. 269-271 con bibliografia. Sul teatro rinascimentale a Roma: Cruciani 1983, part. pp. 210-218, 263-270, 470-473 e 522-524 per le rappresentazioni della Compagnia del Gonfalone. Nel contesto delle manifestazioni religiose, vedi in generale, Carandini 2000 con diversi riferimenti al Colosseo e al suo

differente statuto prima e dopo la Controriforma.65 In questo senso andrebbe riconsiderata la comune convinzione che al Colosseo non fossero legati ricordi cristiani fino al XVIII secolo: cfr., per esempio, Giardina, Vauchez 2000, p. 30. Sull’ambivalente rapporto della cultura umanistica cristiana rispetto ai monumenti pagani – tra esaltazione e protezione dell’antico e sua reinterpretazione e consumo – vedi Patetta 2014. Molto si trova anche nei saggi raccolti in Roma pagana 2014.66 C. de’ Tomasi, Breve relazione dell’Anfiteatro, consacrato col sangue prezioso dei Martiri, serrato e dedicato in onore dei medesimi, l’anno del Giubileo 1675 (in A. Macca, Fiori spirituali del Servo di Dio D. Carlo Tomasi, Roma 1675: citato in di Macco 1971, p. 79); di seguito Marangoni 1746, p. 64. L’affermazione, se veritiera, sarebbe un ulteriore riferimento alla valorizzazione del suolo di Roma come reliquia sostenuta da Pio V in un’altra celebre occasione: “Questa terra è tutta insuppata di sangue de’ martiri” aveva affermato il pontefice offrendo un pugno di terra raccolta in Piazza San Pietro all’ambasciatore del re di Polonia che chiedeva una reliquia per il suo sovrano: Ditchfield 2000, p. 50.67 Rimane al momento non verificabile la notizia di un progetto di Sisto V per la costruzione di una chiesa “in mezzo del Culiseo … in cui i religiosi di quattro monasteri, che si sarebbero fabbricati sotto i portici, o scale di disimpegno di quel superbo anfiteatro, avrebbero successivamente e senza interrompimento celebrato i divini uffizj” come afferma l’anonima Storia cronologica de’ papi, Genova 1798, p. 461 opportunamente segnalata e discussa in Fagiolo 2016, p. 27.68 Cancellieri 1802, p. 111; cfr. Moroni 1842, p. 23. Sulla cerimonia della cavalcata del possesso, nel contesto dei riti di sovranità del pontefice, vedi Boiteux 1997; Fagiolo 1997; Visceglia 2002, pp. 63-82. In questa cerimonia era onere della comunità ebraica di addobbare il percorso in corrispondenza del Colosseo e il monumento stesso con cartelli con brani tratti dai Salmi.69 von Pastor 1951, pp. 78, 611 per le dicerie che attribuivano a Sisto V il proposito di far abbattere il Colosseo e altri celebri monumenti pagani che a Roma “distraevano” i pellegrini (come rivelava l’“agente segreto” Niccolò Cusano all’imperatore Massimiliano II il 26 marzo 1569).70 Avvisi di Roma, 14 maggi 1569: Urb. Lat. 1041B, f. 76r, BAV citato in Simoncini 2008, p. 236 sg., 243.71 Avvisi di Roma, 2 settembre 1587: Urb. Lat. 1055, f. 383r, BAV citato in Simoncini 2008, pp. 331, 365 sg., ivi ulteriori riferimenti a sterri e all’isolamento del Colosseo.72 Fagiolo 2016, part. pp. 23-28.73 La condizione di isolamento dell’immenso rudere è ben illustrata nella cartografia urbana del XVI secolo, da Leonardo Bufalini (1551) a G.A. Dosio (1561) e É. Du Pérac, A. Lafréry

Campidoglio (“Primum miraculum est Capitolium Romae, quae totius mundi civitatum civitas est”); significativamente, è citato anche il Colosso, solo di poco inferiore a quello di Rodi (“duodecim namque pedum altior est ista imago Colossi illa que Romae est”): su questo documento vedi ancora Omont 1882.26 In generale, sulla competizione tra papato, impero e comune intorno alla eredità di Roma antica, vedi, con bibliografia precedente: Giardina, Vauchez 2000, pp. 3-34; Hesch 2001; D’Amico 2009, pp. 61-101; Maire Vigueur 2011, pp. 415-432.27 Per le forme, le modalità e i tempi della integrazione del Colosseo nella struttura urbana di Roma medievale: Hubert 1990, ad indicem.28 Sulle problematiche storiche e storiografiche relative all’incendio del 1084: Hamilton 2003.29 Su queste vicende e sulla loro ambientazione nello spazio urbano, vedi da ultimo Doran 2016.30 Vedi in Brezzi 1947, pp. 357-361; Alessandro III nell’VIII centenario 1985, p. 53.31 Sul Colosseo nelle lotte baronali vedi, in sintesi, Colagrossi 1913, pp. 147-155; di Macco 1971, pp. 31-32, 38-40; Mocchegiani Carpano, Luciani, 1981, part. p. 43 sg. Sulla storia e la consistenza della fortificazione Frangipane al Palatino e al Colosseo: Augenti 1996, pp. 89-110; Di Santo 2010, pp. 95-110; nel contesto delle fortezze baronali urbane, basti il rimando a Maire Vigueur 2011, pp. 30-43; sulla famiglia: Thumser 1991.32 Su questi scontri vedi Brezzi 1947, pp. 395-401; Barone 2003, part. pp. 662-666; Di Santo 2016, pp. 195-219; sulla politica nepotistica di Innocenzo III, Carocci 1999, pp. 111-116. Per la politica degli Annibaldi e dei Frangipane e il loro possesso al Colosseo: Brezzi 1947, pp. 427-462; Dykmans 1975; Carocci 1993a, pp. 311-319 e ad indicem; Carocci 1993b, pp. 137-173. Sugli schieramenti dei baroni romani, più in generale, Shaw 2009.33 Nel 1149 il Senato di Roma scriveva a Corrado III re dei Romani a sostegno dell’impero e auspicava per Roma un ritorno alla sua naturale condizione di capitale imperiale: tra le drastiche misure prese contro i nemici dell’impero si ricorda l’acquisizione della fortezza del Colosseo: Codice diplomatico 1948, pp. 3-6. Sulla politica della renovatio Senatus: Miglio 1998. Ampia trattazione del rapporto con la memoria di Roma nelle dinamiche politiche tra Senato Romano e impero nel XII e XIII secolo in Strothmann 1998 (dove, tuttavia, non emerge il ruolo del Colosseo).34 Documenti in Colagrossi 1913, p. 153.35 Moroni 1842, p. 21; Colagrossi 1913, p. 145.36 Colagrossi 1913, p. 166. Per le ultime vicende delle proprietà dei Frangipane e degli Annibaldi al Colosseo e le relative alienazioni: Cerasoli 1902.37 Lanciani 1896; Lanciani 19892, p. 51.

38 Imprescindibile Weiss 1973; in seguito, con ulteriore bibliografia, si vedano almeno Stinger 1985, part. pp. 59-76 e i saggi raccolti in Roma, centro ideale 1989 e Sisto IV. Le arti a Roma 2000. In seguito Giardina, Vauchez 2000, pp. 58-116. Cfr., con ulteriore bibliografia, Christian 2010, part. pp. 13-35.39 Giovanni Dondi, Iter Romanum (1375): Valentini, Zucchetti 1953, p. 72.40 Biondo Flavio, De Roma instaurata, Torino 1527 (ma 1444-1446): Valentini, Zucchetti 1953, p. 310; nel libro III dell’opera, il tema anfiteatrale è trattato con particolare ampiezza: Raffarin 2012, 145-161. Poggio Bracciolini, De varietate fortunae urbis Romae (1448): Valentini, Zucchetti 1953, p. 238. 41 Pomponio Leto, Excerpta a Pomponio dum inter ambulandum cuidam domino ultramontano reliquias ac ruinas Urbis ostenderet (post 1484): Valentini, Zucchetti 1953, p. 423. Giovanni Rucellai Delle bellezze e anticaglie di Roma (1457): Valentini, Zucchetti 1953, p. 414. Bernardo Rucellai, De urbe Roma (1492-1494): Valentini, Zucchetti 1953, p. 445 sg. Francesco De Albertinis, Opusculum de mirabilibus novae et veteris Urbis Romae, Roma 1510: Valentini, Zucchetti 1953, p. 474.42 Per il Colosseo negli studi di architettura nel XV e XVI secolo: di Macco 1971, pp. 46-49, 58-63.43 Per un rapido excursus delle fonti sul tema: Miglio, Maddalo 1991, part. pp. 55-60.Per le conseguenze della politica monumentale pontificia sulla distruzione dei monumenti antichi (a cominciare dal Colosseo) vedi, in sintesi, Patetta 2013. Sui progetti edilizi dei cardinali a Roma e il relativo approvvigionamento di materiali (compresi quelli dal Colosseo): Esch 2007.44 Documenti in von Pastor 1951, p. 611. Per le condizioni del Colosseo dopo il terremoto del 1349 (verosimilmente) evocate da Petrarca: di Macco 1971, pp. 41-42; cfr., su Petrarca e Roma, Bernacchio 2004.45 Poggio Bracciolini, De varietate fortunae urbis Romae (1448): Valentini, Zucchetti 1953, p. 238. 46 Franzoni 2001.47 Per il Colosseo cava di pietra, Colagrossi 1913, pp. 163-166; di Macco 1971, pp. 50-52. Documentazione in Lanciani 19892, pp. 58 sg., 62, 73, 79-81, 87, 101, 271, 274; Lanciani 19902, pp. 31, 165; Lanciani 19922, pp. 89, 147, 219. Per ulteriori episodi di reimpiego dei materiali (fino al XVIII secolo) vedi in Cerasoli 1902.48 Per una aggiornata riconsiderazione della problematica vedi ora Karmon 2011, part. pp. 118-143 per il Colosseo.49 Tractatus de rebus antiquis et situ urbis Romae (1411): Valentini, Zucchetti 1953, 132: “Coliseum, id est colossum graece, latine rotondum amphitheatrum denominabatur, idest templum Solis …”.50 John Capegrave, Ye solace of pilgrimes (1450 ca.): Billi, Giosuè 1995, pp. 67-69.

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I citazione diretta del Colosseo: C. Baronio Sorano, Martyrologium romanum ad novam kalendarj rationem, Venetiis 1605, VI-VIII, 516 (septembris 16 c).85 Sulla specifica valenza politico-religiosa del Giubileo del 1675 vedi Caffiero 1997.86 C. de Tomasi, Breve relazione dell’Anfiteatro Flavio detto comunemente il Coliseo consecrato con il sangue pretioso d’innumerabili Santi Martiri, serrato, e dedicato ad onore, e gloria de’ medesimi gloriosissimi Martiri l’Anno del Giubileo MDCLXXV, Roma 1675. 87 di Macco 1971, p. 82 sg., che attinge da Bagatta 1746, pp. 188-190 qui citato.88 di Macco 1971, p. 84 sgg., che cita da Archivium Gen. Clericorum Reg. (Theatin.) Romae, vol. 241, fol. 61r.89 Fagiolo 2000; Fagiolo 2016, part. pp. 29-38. Per il testo delle iscrizioni vedi in di Macco 1971, p. 143. A questo stesso contesto è stato ricondotto l’affresco della pianta di Gerusalemme nell’ingresso principale del Colosseo: Bull-Simonsen Einaudi 1994.90 Martinelli 1725, p. 37.91 C. Fontana, L’Anfiteatro Flavio descritto e delineato, Haia 1725. Sui progetti di Bernini e Fontana al Colosseo: di Macco 1971, pp. 82-89. Sul progetto di Carlo Fontana al Colosseo basti il rimando a Hager 1973; Hager 2002, pp. IX-XXXVI; Fagiolo 2016, part. pp. 29-38.92 Colagrossi 1913, p. 219.93 Colagrossi 1913, p. 221 sg.; di Macco 1971, pp. 79-89. L’operazione avrebbe finalmente previsto l’edificazione di una chiesa nell’arena ma il progetto fu abbandonato per “il ricorso de’ Letterati d’ogni nazione per impedire la deformazione del Colosseo”, ricorso forse ispirato del Commissario alle Antichità Ridolfino Venuti: Pasquali 1998, pp. 141-147; Pasquali 2002, part. p. 331. Cfr. Caffiero 1999; Nanni 2000, pp. 64 sg., 74 sg. Per la “continuità” di pensiero e di azione, a un secolo e mezzo di distanza, tra Cesare Baronio e Benedetto XIV; Ditchfield 2000, pp. 42-49. Sulle quattordici edicole della Via Crucis, progettate da Paolo Posi: Pasquali 199894 Dettagliata ricostruzione di temi, prassi e protagonisti del Giubileo del 1750 in Nanni 1997.95 Per il Colosseo meta obbligata del Grand Tour, dopo di Macco 1971, pp. 90-94, vedi Wegerhoff, 2012, pp. 109-147. Sul fenomeno, a titolo di orientamento, vedi la bella messa in prospettiva di Garms 1982 ove si insiste, opportunamente, sulla complessità delle immagini e dei significati evocati dall’Urbe e dai suoi monumenti. Per la fortuna iconografica del monumento in questo particolare momento della storia culturale europea, vedi i molti riferimenti in Garms 2002.96 Sull’archeologia al Colosseo vedi, in questo volume, il saggio di R. Rea. Per la politica pontificia e francese in tema di patrimonio archeologico nella prima metà dell’Ottocento, tra la vasta bibliografia, vedi almeno in Forma 1985, pp. 21-91, Ridley 1992 (part. pp. 216-

237 per la vicenda archeologica del Colosseo e le relative polemiche) e Simoncini 2009. Per una visione d’insieme sul periodo di occupazione francese di Roma basti citare Brice 2002. Gli interessi scientifici degli studiosi francesi verso il Colosseo avevano toccato prospettive molto originali: per la consulenza chiesta dall’antiquario abate J.-J. Barthélemy al matematico padre F. Jacquier per il calcolo dei costi di costruzione dell’Anfiteatro, vedi Montègre 2011, pp. 314 e 459 sg.97 Ciancio Rossetto 1983. Per i Piani Regolatori di Roma: Miano 2005 (con bibliografia). Per il ruolo dell’archeologia nella costruzione in chiave nazionale della immagine di Roma Capitale: Boucquet 2001; Brice 2001; Palombi 2006, pp. 53-112.98 Sugli sventramenti fascisti di Via dell’Impero e l’allestimento dello scenario archeologico dei Fori Imperiali: Cederna 1980, pp. 167-208; Insolera, Perego 1983, pp. 77-129; Manacorda, Tamassia 1985; Cederna 1988, pp. 81-101. Documentazione fotografica in Fori Imperiali 2007; L’invenzione dei Fori Imperiali 2008; Via dell’Impero 2009. Per una riflessione di lungo periodo sulle trasformazioni urbane nell’area dei Fori Imperiali: Palombi 2016.99 Sulla croce fascista al Colosseo: Orlandi 1999b, p. 226 e qui il saggio di R. Rusconi.Sulla costruzione della “Roma mussoliniana”, vedi di recente e con bibliografia: Anni del Governatorato 1995; Gentile 1993; Giardina, Vauchez 2000, part. pp. 231-241; Gentile 2007; Painter 2005; Nicoloso 2008, pp. 34-81.100 Lady S. Morgan, Italy, vol. II, Paris 1821, p. 335. Sul personaggio e l’opera: Abbate Badin 2007.

(1577); un significativo cambiamento dell’organizzazione urbanistica dell’area documenta G.B. Nolli (1748). Per disegni e incisioni che ritraggono la rovina del Colosseo basti qui il rimando a di Macco 1971, pp. 95-97. La pericolosità sociale del contesto rimase particolarmente avvertita fino alla fine del XVIII secolo: paradigmatica la picaresca avventura attribuita a Sisto V che ne aveva debellato i banditi: sulla repressione del banditismo perseguita dal pontefice vedi Polverini Fosi 1985, 135-163; Fumagalli Carulli 1992.74 Avvisi di Roma, 11 aprile 1590: Urb. Lat. 1058, f. 172r, BAV citato in Simoncini 2008, p. 365. Fontana 1603, p. 18: la filanda e il “quartiere operaio” del Colosseo erano parte del programma economico e sociale per Roma elaborato ma non realizzato da Sisto V “… di modo che se il Pontefice viveva anco un anno, il Coliseo saria stato ridotto in habitatione. La qual opera si faceva principalmente da N.S. a ciò tutti li poveri di Roma havessero havuto da travagliare, et da vivere senza andare per le strade mendicando … con animo di fare che detta città fosse tutta piena di artegiani di tutte le sorti”. Cfr. Cerutti Fusco 1988.75 Moroni 1842, p. 24: la deprecabile funzione aveva ridotto l’Anfiteatro a un “pubblico sterquilinio”. Su questo peculiare impianto industriale, vedi Scavizzi 2008.76 Una deliberazione del capitolo di San Giovanni in Laterano del 21 marzo 1517 accenna a non meglio precisate feste del Colosseo (“… si relinqueris causa festi Colissei”): Delehaye 1897, p. 212, nota 2.77 La vicenda è poco nota ma opportunamente annotata in Lanciani 19892, p. 271.78 Vita di Benvenuto Cellini 1.64: “Cominciato il negromante a fare quelle terribilissime invocazioni, chiamato per nome una gran quantità di quei demoni capi di quelle legioni e a quelli comandava per la virtù e potenzia di Dio increato, vivente ed eterno, in voce ebree, assai ancora greche e latine; in modo che in breve di spazio si empié tutto il Culiseo l’un cento più di quello che avevan fatto quella prima volta… Tutto il Culiseo arde e ‘l fuoco viene addosso a noi …” (Cellini ed. Davico Bonino 1973). La vicenda è notissima e frequentemente richiamata: cfr., per esempio Petrocchi 1957; Cardini 1985; Rietbergen 2006, p. 340.79 In effetti il Colosseo non compare né nella “guida romana” per i pellegrini del Giubileo del 1575 (Le cose meravigliose dell’alma città di Roma, 1575) né nella più erudita guida ai principali santuari urbani di Onofrio Panvinio (O. Panvinio, Le sette chiese principali di Roma, Venezia 1575).80 A cominciare da Panciroli 1600, pp. 114, 269 (con riferimento alla cappella della Pietà della Confraternita del Gonfalone “posta nel mezo d’un luogo si famoso, dove tanti combattendo per Christo gloriosamente sono morti”) seguito da Felini Martire 1625, p. 287 e Severano 1630, I, pp. 616-618; II, p. 136 (con una curiosa delocalizzazione nell’Anfiteatro Castrense), fino a Martinelli 1653, pp. 37-46 (con riferimento anche al

templum Telluris e alla petra scelerata, ulteriori luoghi di martirio prossimi all’Anfiteatro). Diversamente Franzini 1660, p. 225 (descrizione del monumento e degli antichi giochi, ricordo della sacra rappresentazione della Passione ma nessun riferimento ai martiri).81 SIC PREMIA SERVAS VESPASIANE DIRE / CIVITAS VBI GLORIE TVE AVTORI / PREMIATVS ES MORTE GAVDENTI LETARE / PROMISIT ISTE DAT KRISTVS OMNIA TIBI / QVI ALIVM PARAVIT THEATRV(m) IN CELO. Le scarne informazioni relative al testo epigrafico si trovano riassunte in Fea 1813, p. 53 sg.; Visconti 1825, part. pp. 628-631; Nibby 1839, p. 400; Colagrossi 1913, pp. 96-101. Stando a G.P. Bellori (Fragmenta vestigii veteris Romae ex lapidibus Farnesianis, 1673, tav. XVIII) l’iscrizione sarebbe stata rinvenuta nel cimitero di Sant’Agnese sulla Via Nomentana e secondo L.A. Muratori (Novus thesaurus veterum inscriptionum in praecipuis earundem collectionibus hactenus praetermissarum IV, Mediolani 1742, MDCCCLXXVIII, n. 4 “e schedis Ptolomeis”) sarebbe appartenuta a Pietro da Cortona, l’architetto della chiesa di SS. Luca e Martina (ricostruita tra 1634-1669) nella cui cripta ancora si trova. L’iscrizione compare (per la prima volta?) in A. Bosio, Roma subterranea novissima, Roma 1651, lib. III, cap. 9 e, per secoli, è stata considerata genuina testimonianza del martirio dell’architetto del Colosseo (per tutti vedi Marangoni 1746, p. 17 sg.): praticamente ignorata dalla storiografia contemporanea, che genericamente la considera un falso seicentesco, essa meriterà una approfondita revisione.82 Sul contributo di Baronio all’impianto scientifico della archeologia cristiana e sulla programmatica cristianizzazione dei monumenti antichi attuato nella sua immensa opera, vedi Spera 2009; Ghilardi 2009; Spera 2012. Su Baronio e le fonti sui martiri: Ronchey 2009. Sui protagonisti della costruzione della Roma sancta tra fine Cinquecento e inizio Seicento – Cesare Baronio, Antonio Gallonio, Antonio Bosio, Tommaso Bozio – vedi, in sintesi Ditchfield 2000.83 C. Fontana, L’anfiteatro flavio, Haia 1725, Libro Quarto. Erudizioni sacre intorno all’Anfiteatro flavio; cioè de santi che in esso furono martirizzati. Proemio. Del modo col quale si tormentavano i Christiani, nell’Anfiteatro Flavio.84 C. Fontana, L’anfiteatro flavio, Haia 1725, p. 159: Libro Quinto. Del restituire l’onore all’Anfiteatro Flavio; cioè, descrizzione dei edificii sacri da fare nella sua residual parte. Capitolo primo. Edificii templari da restituire la venerazione che merita l’Anfiteatro Flavio. Non è facile trovare riscontro all’affermazione di Fontana nell’immensa opera del Baronio: se negli Annales sono riportate le diverse persecuzioni subite dai cristiani, nel Martyrologium si trova più puntuale riferimento al supplizio “in theatrum” (termine comunemente usato per l’Anfiteatro) e alle pratiche devozionali più antiche nei confronti dei martiri ma, apparentemente, senza

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editorNunzio Giustozzi

copertinaTassinari/Vetta

ricerca iconograficaSimona Pirovano

Questo volume è stato pubblicato in occasione della mostra Colosseo. Un’icona (Roma, Anfiteatro Flavio, 8 marzo 2017 - 7 gennaio 2018) a cura di Rossella Rea, Serena Romano, Riccardo Santangeli Valenzani, promossa dalla Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l’Area archeologica centrale di Roma, in collaborazione con Electa.

© P. Blume, D. Gnoli, H. Yong Ping, S. Roberts by SIAE 2017

© 2017 Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del TurismoSoprintendenza Speciale per il Colosseo e l’Area archeologica centrale di Roma© 2017 Mondadori Electa S.p.A., Milano

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Questo volume è stato stampatoper conto di Mondadori Electa S.p.A.presso Elcograf S.p.A., via Mondadori 15,Verona, nell’anno 2017

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388 389Abbreviazioni ACS Archivio Centrale dello Stato, RomaASC Archivio Storico Capitolino, RomaASCRT Archivio Storico Chierici Regolari Teatini, RomaASR Archivio di Stato di RomaASV Archivio Segreto Vaticano, Città del VaticanoBAV Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano

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Si ringraziano gli autori per aver fornito alcune immagini autorizzandone la pubblicazioneL’editore è a disposizione degli aventi diritto per quanto riguarda eventuali fonti iconografiche non identificate

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editorNunzio Giustozzi

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Questo volume è stato pubblicato in occasione della mostra Colosseo. Un’icona (Roma, Anfiteatro Flavio, 8 marzo 2017 - 7 gennaio 2018) a cura di Rossella Rea, Serena Romano, Riccardo Santangeli Valenzani, promossa dalla Soprintendenza Speciale per il Colosseo e l’Area archeologica centrale di Roma, in collaborazione con Electa.

© P. Blume, D. Gnoli, H. Yong Ping, S. Roberts by SIAE 2017

© 2017 Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del TurismoSoprintendenza Speciale per il Colosseo e l’Area archeologica centrale di Roma© 2017 Mondadori Electa S.p.A., Milano

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Questo volume è stato stampatoper conto di Mondadori Electa S.p.A.presso Elcograf S.p.A., via Mondadori 15,Verona, nell’anno 2017