rivista di carita' politica 2012 giugno

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SETTIMANA LA SPIRITUALITÀ DEL LAVORO NEL CENTENARIO DELLA CHIESA DEDICATA A SAN GIUSEPPE VOLUTA E FONDATA DA SAN LUIGI GUANELLA PUBBLICAZIONE QUADRIMESTRALE ANNO 2012 - 15,00 - ANNO XVII - N. 1 - GIUGNO 2012 - REDAZIONE: VIA CALZECCHI, 2 - 20133 MILANO

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Rivista di Carita' Politica 2012 Giugno

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Page 1: Rivista di Carita' Politica 2012 Giugno

S E T T I M A N A

LA SPIRITUALITÀ DEL LAVORO

N E L C E N T E N A R I O D E L L A C H I E S A

D E D I C ATA A S A N G I U S E P P E

V O L U TA E F O N D ATA

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Page 2: Rivista di Carita' Politica 2012 Giugno

CARITÀ POLITICAgià e non ancora

SOMMARIO

Anno XVII - N. 1Giugno 2012Rivista Quadrimestrale dell’Associazione Carità Politica

Direttore Responsabile: Alfredo LucianiCoordinamento redazionale: Rossella SempliciEdito da: Associazione Internazionale Missionari della Carità Politica V.le Milizie 140 - 00192 Roma - Tel. 06 3723511Redazione: Via Calzecchi 2 - 20133 MilanoRedazione: [email protected]: www.caritapolitica.it; www.caritapolitica.com; www.caritapolitica.orgRegistrazione Tribunale di Milano n. 536 del 27/11/93

Bravo Communications - VeronaStampa: Stamperia Editrice commerciale srl - Bergamo

uesta è l’ora della carità sociale e politicacapace di disegnare le strade

della pace, della giustizia e dell’amicizia tra i popoli

Giovanni Paolo IIL’Osservatore Romano - 30 ottobre 2004

S.Em.R. Cardinale Salvatore De Giorgi 6Arcivescovo Emerito di Palermo

Dott. Luigi Angeletti 7Segretario Generale UIL

S.E. Juan Pablo Cafiero 8Ambasciatore della Repubblica Argentina presso la Santa Sede

Prof. Giorgio Faro 9Pontificia Università della Santa Croce

S.Em.R. Cardinale Manuel Monteiro De Castro 10Penitenziere Maggiore

S.E. Bogdan Tataru Cazaban 11Ambasciatore della Romania presso la Santa Sede

Dott. Alfredo Maiolese 12President of European Muslims League

Padre Franco Imoda S.I. 13Presidente Agenzia AVEPRO

S.E. Théodore Loko 14Ambasciatore del Bénin presso la Santa Sede

Prof.Michele Lenoci 15Preside Facoltà Scienze dell ’educazione e della formazione

Università Cattolica del Sacro Cuore

Dott.Mario Gatti 16Direttore Sede di Milano Università Cattolica del Sacro Cuore

S.E. Mons. Zygmunt Zimowsky 17Presidente Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari

S.E. Al-Sadr Habbeb Mohammed Hadi Ali 18Ambasciatore dell ’Iraq presso la Santa Sede

Dott.ssa Marina Panfilo 19Direttore Relazioni Istituzionali Pfizer Italia

Prof.Franco Grassetti 20Direttore Università Cattolica del Sacro Cuore

Complesso integrato Columbus Urologia

S.E. Mons.Giorgio Corbellini 21Presidente Ufficio del Lavoro della Santa Sede Apostolica

Dott.ssa Susanna Camusso 22Segretario Generale CGIL

Padre Alfonso Crippa 23Superiore Generale Opera Don Guanella

Dott. Fabrizio Palenzona 24Vice Presidente Unicredit

Prof. Dott. O.O.Massimo Grisolìa 25Studio Grisolia & Associati

S.E. Mons Eros Monti 26Vicario Episcopale per la Vita Sociale – Arcidiocesi di Milano

S.Em. R. Cardinale Francesco Coccopalmerio 27Presidente Pontificio Consiglio per i testi legislativiDott. Raffaele Bonanni 28 Segretario Nazionale CISL

Dott. Pietro Maria Brunetti 29Direttore Relazioni esterne ed istituzionali Ferrero

Prof. Mario Cicala 30Magistrato Corte di Cassazione – Presidente Commissione Tributi

Dott. Sandro Scarfini 31Direttore Commerciale AgenParl, Agenzia Parlamentare

S.E. Eduardo Delgado 32Ambasciatore di Cuba presso la Santa Sede

Avv. Carlo Fratta Pasini 33Presidente Banco Popolare di Verona

Prof. Stelvio Pietrobono 34Presidente Onorario CONFEDERAZIENDE

Dott.ssa Manuela Di Martino 35Board President della Libera Università degli Studi di Scienze

Umane e Tecnologiche di Lugano – (L.U.de.S.)

Mons. Vittorio Formenti 36Responsabile Ufficio Centrale di Statistica della Chiesa S.E. César Mauricio á Velásquez Ossa 37Ambasciatore della Colombia presso la Santa Sede

P. Ciro Benedettini 38Vice Direttore Sala Stampa Santa Sede Dott. Andrea Torracca 39Amministratore Unico della Gordon Global Group srl

Dott. Giorgio Balduzzi 40Presidente WIC Group – WORLDWIDE ITALIAN COMPANIES GROUP

Dott. Marco Decio 41Direttore Polo Residenziale & Oil - COFELY Italia Spa GDF SUEZ

S.E. Mons. Claudio Maria Celli 42Presidente Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali

S.E. Jozef Dravecky 43Ambasciatore della Slovacchia presso la Santa Sede

Dott. Antongiulio Lombardi 44Direttore Affari Regolamentari ed Istituzionali -3 ITALIA

Dott. Alberto Contri 45Presidente Fondazione Pubblicità Progresso

S.E. Carlos De La Riva Guerra 47Ambasciatore della Bolivia presso la Santa Sede

Don Sergio Mercanzin 48Direttore Centro Russia Ecumenica

Prof. Alessandro Meluzzi 49Psichiatra e Psicoterapeuta

S.Em.R. Cardinale Saraiva Martin Josè 50Prefetto Emerito della Congregazione

delle Cause dei Santi

Don Nino Minetti 51Superiore Provinciale- Opera Don Guanella

Don Mario Carrera 52Direttore La Santa Crociata in onore di San Giuseppe

Dott. Leonardo di Gennaro 53Policlinico Universitario Agostino Gemelli

Dott. Salvatore Esposito 54Vice Presidente Nazionale A.N.T.A.

Associazione Nazionale Tutela Ambiente

Natalia Tsarkova 55Ritrattista ufficiale dei Papi

Don Wladimiro Bogoni 56Parroco di San Giuseppe al Trionfale, Roma

Conclusione 57

Prof. Alfredo Luciani Presidente dell ’Associazione Carità Politica 58

Page 3: Rivista di Carita' Politica 2012 Giugno

3 C a r i t à P o l i t i c a

ella crisi della modernità emerge una nuova

domanda di spiritualità. Per troppo tempo la

spiritualità si è impegnata con scrupolo alla miniatura

della perfezione interiore, dimenticando la storia e le

sue tragedie, le sue utopie e i suoi gemiti rigeneratori

(cf. Rm 8,22).

Oggi le viene richiesto dalla congiuntura storica

e dalla trasformazione culturale di entrare in una

stagione di nuova investigazione, esplorativa e

creativa insieme. In questa situazione abbiamo cercato

di esprimere la proposta di una nuova spiritualità che

aiuti a discernere, e che alimenti nuovi impegni per la

giustizia, la solidarietà, l’armonia con la creazione e la

pace. Su questa strada intendiamo evidenziare alcune

possibilità e compiti della spiritualità nell’epoca

moderna.

Prima di tutto riscoprire il lavoro in quanto primario

“luogo di spiritualità cristiana” e mettere in risalto

Cristo, l’uomo del lavoro: sorgente di una rinnovata

spiritualità da vivere dentro il quotidiano.

Il lavoro non è soltanto un mezzo necessario per

vivere. L’uomo attraverso il lavoro esprime la sua

personalità, collabora al piano creativo di Dio e

redentivo di Cristo.

Il lavoro è perciò un atto che rende testimonianza

e tributo a Dio e un servizio agli uomini. Alla luce

di questa concezione vanno risolti problemi-oggi

particolarmente sentiti – connessi al lavoro, quali il

“diritto al lavoro” e i “diritti del lavoro”.

Forse oggi quel che più manca nel discorso sul lavoro

è la sottolineatura delle sue dimensioni spirituali.Con

questo nuovo evento internazionale, l’Associazione

Carità Politica ne intende fare argomento di una

rifl essione di studio.

Abbiamo invitato a testimoniare e a ragionare insieme

RECUPERARE

LA DIMENSIONE SPIRITUALE

(e ci auguriamo che questa rifl essione rappresenti

solo l’inizio di un lungo cammino) Responsabili

dei Dicasteri della Curia Romana e Ambasciatori

accreditati presso la Santa Sede, e personalità di vari

settori lavorativi.

Con le parole del Beato Giovanni Paolo II diciamo:

“Bisogna, dunque, che questa spiritualità cristiana del

lavoro diventi patrimonio comune di tutti. Bisogna

che, specialmente nell’epoca odierna, la spiritualità

del lavoro dimostri quella maturità, che esigono le

tensioni e le inquietudini delle menti e dei cuori”.

(Laborem exercens, 25).

Questo numero di Carità Politica raccoglie le sintesi

delle relazioni presentate durante la settimana “La

Spiritualità del lavoro” svoltasi a Roma dal 12 al

17 marzo 2012 presso la Basilica Parrocchiale San

Giuseppe al Trionfale – Opera Don Guanella.

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4 C a r i t à P o l i t i c a

Prof. LORENZO ORNAGHIMinistro per i Beni e le Attività Culturali

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6 C a r i t à P o l i t i c a

n capitolo preminente e costante della Dottrina sociale della Chiesa è indubbiamente quello del lavoro. Al lavoro dell’uomo, infatti, dalla Enciclica Rerum novarum di Leone XIII alla Caritas in veritate di Benedetto XVI, il Magistero della Chiesa ha sempre guardato con particolare attenzione.

E’ stato, tuttavia, il beato Giovanni Paolo II che sul tema del lavoro ha dedicato un’intera Enciclica “Laborem exercens” fi rmata il 14 settembre del 1981, a novant’anni dalla “Rerum novarum”, richiamandone i contenuti dieci anni dopo nella Centesimus annus alla luce delle “res novae” del decennio precedente, come il crollo del comunismo, dovuto a diverse cause, tra le quali non va dimenticato “il vuoto spirituale provocato dall’ateismo” (n.24), come anche la presa di coscienza della propria dignità da parte dei lavoratori, illusi e oppressi dal marxismo.

Ed è proprio all’inizio della Laborem exercens che il grande Papa sintetizza il tema della dignità e della funzione del lavoro umano, con lo sguardo rivolto all’uomo che lavora e dà dignità al lavoro: “L’uomo, mediante il lavoro, deve procurarsi il pane quotidiano e contribuire al continuo progresso delle scienze e della tecnica, e soprattutto all’incessante elevazione culturale e morale della società, in cui vive in comunità con i propri fratelli. E con la parola «lavoro» viene indicata ogni opera compiuta dall’uomo, indipendentemente dalle sue caratteristiche e dalle circostanze, cioè ogni attività umana che si può e si deve riconoscere come lavoro in mezzo a tutta la ricchezza delle azioni, delle quali l’uomo è capace ed alle quali è predisposto dalla stessa sua natura, in forza della sua umanità. Fatto a immagine e somiglianza di Dio stesso nell’universo visibile, e in esso costituito perché dominasse la terra, l’uomo è perciò sin dall’inizio chiamato al lavoro. Il lavoro è una delle caratteristiche che distinguono l’uomo dal resto delle creature, la cui attività, connessa col mantenimento della vita, non si può chiamare lavoro; solo l’uomo ne è capace e solo l’uomo lo compie, riempiendo al tempo stesso con il lavoro la sua

S.EM.R. CARDINALE SALVATORE DE GIORGIArcivescovo Emerito di Palermo

esistenza sulla terra. Così il lavoro porta su di sé un particolare segno dell’uomo e dell’umanità, il segno di una persona operante in una comunità di persone; e questo segno determina la sua qualifi ca interiore e costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura”.

Secondo il Beato Giovanni Paolo II la spiritualità del lavoro è un mezzo per avvicinarsi Dio, per realizzare la propria santifi cazione e per partecipare alla missione di salvezza portata da Gesù nel mondo. Considerarsi ed essere collaboratori di Dio Creatore per la realizzazione del suo piano provvidenziale nella storia signifi ca riconoscere l’espressione più alta della dignità di lavoratori. Ma proprio perché collaboratori di Dio creatore, essi devono sentirsi ed essere più vicini a lui, che è anche e soprattutto Padre. Collaboratori di Dio Creatore, i lavoratori sono anche collaboratori di Gesù Redentore, in quanto, col lavoro, partecipano alla sua incessante opera di salvezza dell’umanità. Figlio di Dio fatto uomo, Gesù Cristo si è presentato alla storia come un lavoratore, come il carpentiere (cfr. Mc 6,2), ha riscattato il lavoro dall’antica maledizione e, lavorando con mani d’uomo, ne ha fatto uno strumento di salvezza e di santifi cazione, esaltandolo alla luce della sua morte e risurrezione.

Sopportando la fatica del lavoro in unione con lui Crocifi sso e Risorto per noi, i lavoratori collaborano in qualche modo con lui alla redenzione dell’umanità, per cui la loro mente e il loro cuore, soprattutto durante il lavoro vanno rivolti a lui, che è un collega che non tradisce, non abbandona, non illude e non delude.

Ciò signifi ca che il lavoro deve essere compiuto come una missione affi data da Dio, e quindi con spirito di fede, con competenza professionale, con onestà morale, con amore verso il prossimo, con apertura alla più ampia solidarietà, senza chiusure e senza egoismi, col più alto profi lo possibile della laboriosità.

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Dr. LUIGI ANGELETTISegretario Nazionale UIL

l lavoro è una parte indissolubile dell’esistenza dell’uomo. Non è una convenzione impostata dalla consuetudine, né dalla legge. Nella storia del lavoro lo stesso concetto si è trasformato adeguandosi alla società e ai cittadini che la compongono.

Come indica la stessa radice latina del termine, il lavoro nasce dalla fatica. Il labor degli antichi romani descrive, infatti, una condizione lavorativa non libera, propria della schiavitù. Dopo, con il Cristianesimo il concetto del lavoro ha subito una radicale trasformazione: il lavoro non è più soltanto fatica, ma è la condizione per essere appagati. Fino a quando il lavoro era considerato una forma prevalente obbligata, le società non hanno conosciuto un grande sviluppo, né dal punto di vista economico-produttivo, né tantomeno demografi co. Al contrario, quando il lavoro non è più stato prevalentemente obbligatorio, le società si sono sviluppate, la popolazione mondiale ha cominciato a crescere, la tecnologia ha subito grandi trasformazioni migliorando la qualità della vita delle persone. Gli individui hanno cominciato ad acquisire la libertà e la coscienza di sé, auto-affermandosi come persone proprio attraverso il lavoro. In questa accezione, il lavoro è, dunque, il modo per realizzare se stessi, dando il proprio apporto alla società aiutando gli altri. I concetti di libertà e della valorizzazione dell’essere umano sono estremamente correlati alla libera scelta del lavoro. Nella storia recente questo aspetto è stato subordinato a un’altra visione che si basa sul rapporto tra l’organizzazione del lavoro e il valore del capitale fi nanziario inteso come sostanza e fi ne della società.

Oggi due fenomeni hanno rivoluzionato il mondo, e conseguentemente, il mondo del lavoro: le tecnologie e la cosiddetta globalizzazione. Queste grandi trasformazioni hanno provocato, come tutte le “rivoluzioni”, cambiamenti e disagi. Di fronte al cambiamento, infatti, la comunità deve trovare nuove regole e nuovi equilibri ridefi nendo il valore del lavoro, non solo sul piano materiale ma anche etico e valoriale.

Oggi, più che mai rispetto al passato, è molto più semplice trasmettere il messaggio che il valore del lavoro ha una sua dimensione spirituale. Qualsiasi attività lavorativa, prescindendo dalla fede religiosa, rappresenta un valore per la comunità perché fornendo beni e servizi, arricchisce un nostro simile e soddisfa bisogni individuali e sociali. E questa dimensione spirituale del lavoro diventa sempre maggiormente evidente e manifesta grazie al fenomeno della tecnologia e della globalizzazione. Le nuove forme di comunicazione e le moderne tecnologie hanno permesso un’estensione della conoscenza e dei saperi più diffusa e capillare che non hanno di fatto ampliato vicende di cronaca, guerre e fenomeni di malessere e schiavitù, ma hanno semplicemente portato più facilmente, rispetto al passato, la nostra attenzione su determinate tematiche.

Non è mai esistito e non esisterà mai un equilibrio stabile e non confl ittuale tra la tecnologia e gli individui. La conoscenza e la creatività dell’uomo che permette di creare attraverso il lavoro trasforma il rapporto tra l’essere umano e i servizi di cui esso stesso ha bisogno e ne induce di nuovi.

Noi non viviamo più il lavoro come un puro e semplice strumento per soddisfare i bisogni più elementari e di pura sopravvivenza. Viviamo in una società profondamente e radicalmente nuova, mutata e instabile in cui l’obiettivo principale di ogni individuo è aumentare la responsabilità e la libertà delle singole persone perseguendo i propri obiettivi e i fi ni della propria esperienza umana. A mio avviso è necessario avere una grande fi ducia non nelle ideologie, che si fondano su una visione dell’uomo molto limitata, ma nella persone. Quel che mi conforta è l’insegnamento della Chiesa. Siamo stati creati a immagine e somiglianza di Dio. Il miglior dono che abbiamo ottenuto dal Creatore è la libertà, anche quella di peccato, ed è questo quello che ci distingue dagli altri essere viventi e che ci permette di vivere il lavoro non come fatica o schiavitù ma come vero valore e obiettivo nella vita.

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l recupero economico dalla gravissima crisi che aveva colpito il mio Paese nel 2001 ebbe inizio dal terzo trimestre del 2002 attraverso l’adozione di quello che fu soprattutto un cambiamento culturale e di mentalità, tanto da parte del governo e dell’impresa che da parte del sindacato, e si concretizzò nell’applicazione di una serie di misure controcorrente rispetto al modello neoliberale, tra le quali la negoziazione con i creditori, la protezione dell’economia, la creazione d’infrastrutture pubbliche, l’espansione delle cooperative e microcredito. Tutto ciò cominciò a prendere corpo durante il processo del “Dialogo Argentino” che fu una grande esperienza di ricerca del consenso settoriale e politico. In quel contesto si concordarono le misure di base che vennero sviluppate in seguito, come le imposte sulle esportazioni di cereali e grano, l’universalizzazione dei fi nanziamenti ai settori che ne erano esclusi, l’abolizione dei privilegi pensionistici (pensioni politiche), la riduzione della spesa militare e tante altre ancora.

Una menzione particolare spetta però alla riforma della legislazione del lavoro, tanto per la sua entità e il suo carattere innovativo rispetto all’orientazione delle politiche precedenti, quanto per la drammaticità con cui la crisi colpi questo settore. Essa impose alle imprese la sospensione del licenziamento senza giusta causa fi no a che il tasso di disoccupazione non fosse sceso al di sotto del 10%, pena il pagamento di un indennità doppia al lavoratore in caso di licenziamento, favorendo così l’assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori e abbattendo la precarizzazione.

A questa legge seguirono poi la riforma delle politiche migratorie, culminata con il programma di regolarizzazione “Patria Grande”- che permise l’assunzione di circa 2.300.000 lavoratori immigrati dai paesi vicini, concedendo loro il permesso di soggiorno - nonché i vari programmi volti ad incentivare l’occupazione e la formazione professionale, ultimo dei quali il programma “Argentina Trabaja” (“L’Argentina Lavora”).

Ricordiamo infi ne la legge che promosse l’adozione del concetto di Lavoro Decente nelle politiche nazionali, provinciali e municipali, favorendo organismi ed iniziative volte ad implementare la formazione professionale dei lavoratori e a favorire

S.E. JUAN PABLO CAFIEROAmbasciata della Repubblica Argentina presso la Santa Sede

l’occupazione e il reinserimento dei disoccupati. Tale concetto è stato infatti inserito nel novero degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (OMS) proprio su iniziativa dell’Argentina.

Certo, l’obiettivo della piena occupazione non è stato ancora raggiunto. Tuttavia, osservando gli attuali indicatori del mercato del lavoro, possiamo constatare che ciò che maggiormente incide sulla possibilità di trovare un’occupazione, non è più l’età o la provenienza sociale, bensì il livello di formazione del lavoratore. Certo, bisogna ammettere che, seppure la tendenza controcorrente rispetto al modello neoliberalista ha funzionato in Argentina e in alcuni paesi in via di sviluppo, ciò non vuol dire che questa sia l’unica risposta possibile. Ogni paese ha la sua, il suo proprio cammino. Ogni società in democrazia decide per sé.

Alla luce di quanto appena esposto, mi si consenta però di presentare quello che la crisi argentina ha insegnato al mio paese. La lezione che abbiamo appreso è che una soluzione per la famiglia dei lavoratori non va cercata nel mercato. La nostra esperienza, al contrario, sconfessa il “dogma del mercato”, imperversante in quegli anni ed ora tornato di moda, non solo dimostrando la sua incapacità di far fronte alla crisi, ma addirittura ponendolo in evidenza come delle possibili origini della crisi stessa.

È piuttosto un preciso compito del settore pubblico quello di andare a proteggere la vita, la salute e la dignità di ogni famiglia. Ciò che la diffi cile contingenza attuale richiede non sembra dunque essere solamente un’autorità economica, bensì anche un’autorità politica veramente affi dabile.

Tuttavia, quel che - a mio avviso - sarebbe realmente necessario ricostruire è piuttosto un’autorità sociale all’interno della quale la vita degli individui/attori sociali ed all’interno essa il concetto di un lavoro stabile e decente per tutti gli uomini e le donne mantengano il proprio valore e la propria dignità.

Ed è precisamente nella costruzione collettiva di una simile autorità che la dottrina sociale della Chiesa può contribuire a disegnare il nuovo orizzonte della giustizia sociale.

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9 C a r i t à P o l i t i c a

’Opus Dei promuove la santità e l’apostolato nel mondo. Lo spirito dell’Opus Dei si rifà agli anni della vita nascosta di Cristo. Ai trent’anni di vita di lavoro, di famiglia, di relazioni sociali, trascorsi nella piccola Nazareth: privi di miracoli, normali, dedicati alla vita ordinaria. L’aspetto più originale dell’Opus Dei è che il mezzo principale per santifi care la vita ordinaria, è il lavoro. In esso san Josemaría vedeva realizzarsi tre fi ni: uno transitivo, santifi care il lavoro, inteso come trasformazione del mondo, al servizio degli altri; uno immanente, ovvero santifi carsi nel lavoro, visto che il lavoro stesso esige mettere in gioco molte virtù: professionali e personali; ed infi ne il fi ne apostolico, che è ancora transitivo: santifi care gli altri, tramite il lavoro, dando il buon esempio.

Proprio un’omelia dedicata a san Giuseppe, per il quale san Josemaría aveva una particolare devozione, ci ricorda che attraverso il lavoro l’uomo partecipa all’impresa della Creazione. Dio ha creato il mondo, ma lo ha lasciato volutamente imperfetto perché fosse l’uomo a portarlo a compimento. Quando lavoriamo con slancio, trovando soluzioni creative e originali, non solo svolgendo un “buon” lavoro, ma anche un “bel” lavoro, sentiamo la gioia di essere co-creatori. E, dal momento che la consapevolezza della fi liazione divina è il fondamento del nostro essere cristiani, è chiaro che un fedele dell›Opus Dei che lavora nella grande impresa della Creazione, non si sentirà un dipendente o un gregario qualsiasi, ma fi glio di Colui che governa l›impresa. Per cui, se anche il suo lavoro non fosse valorizzato o riconosciuto, l›amore di Dio e al prossimo è già un movente suffi ciente per lavorare con gioia e responsabilità. Tuttavia il lavoro ci ricorda anche l›altra faccia della medaglia: il dolore, la fatica, l›ingiustizia, la discriminazione, le malattie professionali. Questo non spaventa il cristiano, perché cercando di difendere i diritti dell›uomo, e non solo i suoi, offrirà tutta questa carica negativa che un lavoro può comportare, associandola alla Passione di Cristo.

San Josemaría ha sempre voluto ricordare che l›Opus Dei non dice nulla di nuovo sul lavoro; nulla che non sia stato già praticato dai primi cristiani: “la realtà dell’Opus Dei, ricorda quella dei primi

Prof. GIORGIO FAROPontifi cia Università della Santa Croce

cristiani. Ogni comunità di fedeli riuniva persone di ogni provenienza, accomunate dalla fede in Cristo, cui si erano convertite. In queste comunità erano rappresentate tutte le professioni: medici come Luca, giuristi come Zena, fi nanzieri come Erasto, accademici come Apollo, artigiani come Alessandro, piccoli e grandi commercianti, guardie carcerare, schiavi e liberi, civili e militari, come Sebastiano”.

Quando Marta si lamenta che Maria non l’aiuti, in realtà la rimprovera - secondo Eckhart - perché si limita ad un aspetto necessario, ma limitato della santità: la sola vita interiore. La incita ad andare oltre. E quando Gesù sembra rimproverare Marta, lo fa a benefi cio di tutti i lettori del Vangelo. Maria si è presa la parte migliore, perché in quel momento coltivare innanzitutto la propria vita interiore è la cosa migliore che si può fare. Più in là, Maria seguirà Marta, che appare ad uno stadio più perfetto perché fa regnare Dio: e nella vita interiore, e nella vita esteriore. Gesù sembra allora, per Eckhart, rimproverare Marta, nel senso che le anime sono come delle pianticine. Ognuna ha i suoi tempi. Non si può, come pretende Marta, tirarle ora, perché crescano più in fretta: se no, si strappano. Lasciamo dunque che Maria si prenda la parte migliore che, in questo momento, è far regnare Cristo nella sua vita interiore, tappa necessaria per un›ulteriore perfezione: farlo regnare poi anche nella vita attiva, almeno fi nché viviamo in questo mondo.

La vita attiva santifi cata è condizione per raggiungere la vita contemplativa dei beati e qui il rapporto si inverte. Si tratta di “fondere in intima unione la parte di Marta e quella di Maria, perché l’una è altrettanto necessaria all›altra, dal momento che quella di Marta è mezzo e condizione di quella di Maria”. In tal senso, possiamo dire che l’itinerario della vita santa si snoda verso il suo fi ne, secondo questo ritmo: contemplazione (vita interiore) - azione (vita esteriore) - contemplazione (vita beata). Il fondatore dell’Opus Dei affermava che “l’arma dell’Opus Dei non è il lavoro: è l›orazione. Per questo trasformiamo il lavoro in orazione e abbiamo anima contemplativa” Non si trattava, dunque e solo, di lavorare pregando; ma di trasformare il lavoro in preghiera.

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10 C a r i t à P o l i t i c a

l lavoro, arricchito dalla spiritualità, ha come oggetto il bene comune insegnato da Gesù Cristo e proclamato costantemente dalla Chiesa e dai successori di Pietro.

A proposito dei testi liturgici che abbiamo ascoltato, i quali c’invitano a meditare sul nostro sì a Dio, alla volontà, al disegno di Dio su noi, la prima lettura racconta la guarigione di Naamàn, di Siria, capo dell’esercito del re Aràm. Colpito dalla lebbra, ha sentito dire da una sua schiava ebrea che in Israele c’era un profeta che aveva il potere di guarirlo. Con la sua comitiva è andato all’incontro del profeta Eliseo, il quale gli mandò un messaggero per dirgli “Va a bagnarti sette volte nel Giordano: la tua carne tornerà sana e tu sarai guarito”. Naamàn non era soddisfatto. Non voleva accettare la parola del profeta. Diceva: i fi umi di Damasco sono migliori di questi di Israel. Considerava il suo viaggio inutile. Ma, poi, accettò il parere dei suoi servi, che gli dissero:“Se il profeta ti avesse ingiunto una cosa gravosa, non l’avresti forse seguita? Tanto più ora che ti ha detto: Bagnati e sarai guarito”. Accettò. Si lavò sette volte nel Giordano e scese guarito. Le sue disposizioni interiori resero effi cace la preghiera.

Come sono le mie, le nostre, disposizioni interiori?

Il Signore spera nella nostra docilità alle indicazioni e ai consigli delle persone che Dio ci ha messo accanto per aiutarci a cercare la santità in mezzo al nostro lavoro e nella vita familiare.

È espressivo al riguardo l’atteggiamento del salmista. Si rivolge a Dio, esprime il desiderio d’incontrarlo e Gli chiede: “Manda la tua luce e la tua verità, siano esse a guidarmi […] verrò all’altare di Dio, a Dio mia gioiosa esultanza”. Dio è luce, verità e vita. Il Salmista ha chiesto. Anche noi dobbiamo chiedere, pregare. Infatti, la presenza di Dio nel nostro cuore rende luminoso il percorso della nostra esistenza, ci mostra la verità e rende gioiose le nostre attività anche nei momenti diffi cili.

S.EM.R. CARDINALE MANUEL MONTEIRO DE CASTROPenitenziere Maggiore

Come sono le mie, le nostre, disposizioni interiori verso Gesù Cristo?

Un sabato entrò Gesù nella Sinagoga di Nazareth, abbiamo ascoltato nella lettura del Vangelo d’oggi, e lesse un testo messianico del profeta Isaia. I suoi conterranei aspettavano fatti prodigiosi da lui, ma non avevano fede, non accoglievano la parola di Gesù, non lo riconoscevano come il Messia, il Figlio di Dio, non avevano fede. E Gesù disse loro: “C’erano molti lebbrosi in Israel al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro”. Non trovò buona disposizione tra i suoi concittadini e perciò non ha operato alcun prodigio.

Cari amici, un dono speciale l’abbiamo nella Santa Messa. Benedetto XVI lo rileva con le seguenti parole di Giovanni Paolo II: “La Chiesa ha ricevuto l’Eucaristia da Cristo suo Signore non come un dono, pur prezioso fra tanti altri, ma come il dono per eccellenza, perché dono di se stesso, della sua persona nella sua santa umanità, nonché della sua opera di salvezza” (Benedetto XVI, Giornata Mondiale di Preghiere per le Vocazioni, 3 maggio 2009; Giovanni Paolo II, Enciclica Ecclesia de Eucharistia, 11).

Continuiamo la Santa Messa, implorando dal Signore, per intercessione della nostra Madre Santissima, la grazia di lavorare bene e di cooperare sempre con la grazia divina.

Page 11: Rivista di Carita' Politica 2012 Giugno

11 C a r i t à P o l i t i c a

S.E. TATARU-CAZABAN BOGDANAmbasciatore Romania

er questa rifl essione sulla spiritualità del lavoro vorrei presentare le seguenti tre osservazioni:

La prima riguarda il rapporto tra la dignità dell’ uomo e la dignità del suo lavoro. Il lavoro rappresenta, così come provavo a dire prima, l’espressione della capacità di produrre, di esteriorizzarsi in modo creativo. In senso cristiano, tale capacità “artigianale”, produttiva, generatrice di cose nuove, rispecchia proprio l’ impronta dell’ immagine del Creatore nella persona umana. C’è un’ intera tradizione che arriva dall’ Antichità cristiana e interpreta la creazione “secondo l’ immagine e la somiglianza di Dio” come ricevere un dono creatore: la trasfi gurazione della natura materiale. Il possesso del mondo materiale ha proprio il senso di trasformarlo in uno ricettacolo dello spirito, di consentire una comunicazione dello Spirito attraverso la materia, il che presuppone esercizio, lotta, sforzo, ascesi per il riacquisto della dimensione iconica del mondo. Donde si può capire che il senso del lavoro rappresenta il rifl esso di una vocazione di natura spirituale.

La seconda osservazione rimanda al rapporto tra lavoro e defi nizione di sè dell’ uomo. Essendo frutto di una persona, actus personae, come a ragione viene ricordato nell’ Enciclica Caritas in veritate, dove si fa riferimento allo “signifi cato esteso dell’impreditorialità”, il lavoro non è soltanto merce, bensì sforzo dell’ edifi cazione di sè, ad impatto diretto sulla personalità, facendo così parte della coscienza di sè di ogni persona. Per questa ragione (che non è la sola!), dobbiamo assumere il fatto che il lavoro non è anonimo e che nel più umile sforzo c’è un rapporto stretto con ciò che è unico e irripetibile in ciascun uomo.

La terza notazione riguarda la necessità di concedere uno spazio alla spiritualità o alla vocazione spirituale profonda della persona nella stessa area defi nita dal lavoro, uno spazio di respiro, uno spazio “suffi cente per ritrovare le proprie radici a livello personale, familiare e spirituale”, secondo quanto scrive Sua Santità Papa Benedetto XVI° nell’Enciclica Caritas in veritate. Il lavoro estenuante, il lavoro ossessionato dal rendimento, il lavoro che pare esaurire la volontà

dell’ uomo di essere sè stesso è privo della più elementare umanità; un lavoro che non può essere vissuto.

Stimo che queste tre peculiartità viste in una prospettiva personalistica – la dignità, la personalità, la spiritualità – potrebbero contribuire ad una cultura del lavoro in cui l’uomo sia guardato nella sua integralità. In particolar modo, il rapporto tra spiritualità e lavoro esprime la doppia dimensione della persona, così come essa viene descritta da Jacques Maritain: da una parte la trascendenza della persona in relazione alla società e allo Stato (la sua fi nalità ultima non essendo la società, bensì Dio – origine della sua unicità irriducibile, e, d’altra parte, la tendenza naturale della persona di entrare in relazione, di formare una comunità: la sua tendenza societale. La formula di forza di Maritain è: “la persona chiede la società e tende sempre a superarla per entrare in fi n dei conti nella società di Dio”. Ossia, la doppia vocazione, trascendente e immanente, strutturale dell’ essere umano, mette la sua impronta sull’ espressione della sua creatività, che è il lavoro ed implica la condizione spirituale di esso.

La prospettiva che propongo parte dunque dall’ assumere la dimensione spirituale intrinseca del lavoro, il che porta ad un approccio più ampio e allo stesso tempo più concreto, più vicino ai bisogni e alle aspirazioni della persona di chi lavora. Riconoscere l’ importanza della spiritualità del lavoro è solo un primo passo, però uno decisivo nel processo di decisione e nel piano delle esigenze di chi lavora, nel piano dei suoi diritti. Inoltre, nell’ ambito della complessa problematica della crisi economica, che esige fl essibilità, innovazione, nuove vie di rinascita del dinamismo economico, affrontare il lavoro anche dalla prospettiva del suo carattere spirituale contribuisce, forse più di ogni altra cosa, alla fondatezza della responsabilità e soprattutto della solidarietà. Perché questi due concetti non defi niscano soltano degli orizzonti di nobile attesa, bensì coprire delle realtà concrete, devono essere vissute a livello personale, devono essere “incarnate”: ciò che diventa sicuramente possibile contemporaneamente all’assumersi il rapporto tra spiritualità e lavoro.

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’Islam pone grande enfasi sul lavoro. L’Islam è una religione che ordina ai suoi membri di essere parte integrante di una società basata sul lavoro e sulla produttività.

Lo stesso Profeta Muhammed (pace e benedizione su di Lui), che è considerato un esempio di virtù nell’Islam, pregava Dio in cerca di rifugio dalla pigrizia o dall’indolenza. Ancor prima di essere stato scelto come un messaggero di Dio, era una persona laboriosa. Negli insegnamenti che il Profeta Muhammed (pace e benedizione su di Lui) raccomandò ai musulmani, diede molta enfasi al raggiungimento dell’equilibrio tra il culto e il lavoro. Così, come i musulmani devono essere costanti nei loro atti di culto, devono anche lavorare sodo per guadagnarsi da vivere, e qui ricordiamo uno dei detti famosi: “Lavora duro, come se stessi per morire”.

Inoltre, esortando i musulmani sull’importanza del lavoro, il Profeta Muhammad (pace e benedizione su di Lui) ha chiarito che ottenere il sostentamento dal proprio lavoro è uno degli atti lodevoli di culto.

L’Islam cerca di sradicare i mali e vizi sociali che derivano dalla disoccupazione, l’ozio, e la povertà. Tutte le persone sane sono esortate a lavorare per guadagnarsi da vivere. Nessuno che sia fi sicamente e mentalmente in grado di lavorare gli è permesso di diventare un peso per la propria famiglia o per lo Stato attraverso il vagabondare. In quel giorno gli uomini usciranno in gruppi,affi nché siano mostrate loro le loro azioni: Chi avrà fatto (anche solo) il peso di un atomo di bene lo vedrà e chi avrà fatto anche (solo il peso) di un atomo di male lo vedrà. Si raccoglieranno insomma i frutti del lavoro.

L’Islam incoraggia l’uomo ad utilizzare, il più possibile, tutte le risorse che Dio ha creato e gli ha affi dato come responsabilità. La mancata utilizzazione di tali risorse per il suo bene e per quello della società equivale a ingratitudine alla prestazione di Dio di queste risorse come irresponsabilità e stravaganza.

Dott. ALFREDO MAIOLESEPresident of the European Muslim League

Il guadagno della ricchezza è qualifi cato attraverso l’enfasi sul fatto che la ricchezza è solo un mezzo per il raggiungimento dell’obiettivo ultimo dell’uomo e non un fi ne in sé.

La Sharia la legge islamica,specifi ca non ammissibili le professioni e le attività economiche che possono portare alla ricchezza illecitamente. La ricchezza illecitamente acquisita o accumulata per se stesso è condannata come “corruzione” ed è condannata l’avidità.

L’Islam non vieta alla donna di lavorare, al contrario, le permette di darsi al commercio anche senza il consenso del tutore o del marito. Detto lavoro viene però circoscritto entro limiti precisi e fondato su principi che richiedono di essere scrupolosamente osservati. Qui di seguito indichiamo alcune delle condizioni che reggono il lavoro femminile.

• E’ necessario che non ci sia incompatibilità tra il lavoro femminile e la funzione della donna a casa, in particolare il lavoro non deve scaricare la donna dalle sue responsabilità nei confronti del marito e nei confronti dei fi gli, nè toglierle l’incarico di reggere le vicende di casa.

• La donna deve lavorare in compagnia di donne come lei, lontano dalla promiscuità e dalla presenza maschile per non rischiare di diventare la preda di lupi che possono abusare di lei e calpestare la sua dignità e il suo onore.

Inoltre il rispetto del lavoratore. Il Profeta Muhammed (pace e benedizione si su di Lui) ha detto esplicitamente di pagare il lavoratore prima che uno goccia di sudore scenda dalla sua fronte.

In conclusione vorrei comunque sottolineare che solo Dio l’altissimo è colui che da il successo, la ricchezza, la felicità e pur essendo responsabili di lavorare onestamente, impegnandoci per l’ottenimento del proprio pane quotidiano, lo dobbiamo fare non come unico scopo della vita ma solo come adorazione.

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Padre FRANCO IMODA S.I.Presidente Agenzia AVEPRO

a presente rifl essione cerca di sottolineare l’importanza di un contributo a livello antropologico al di là delle considerazioni puramente tecnologiche, sulla scia di quanto suggerito da Benedetto XVI in ‘‘Caritas in veritate’’. Si legge infatti al n.70 di questo documento : «Chiave dello sviluppo è un’intelligenza in grado di pensare la tecnica e di cogliere il senso pienamente umano del fare dell’uomo, nell’orizzonte di senso della persona, presa nella globalità del suo essere».

Lo sviluppo umano integrale, già presentato da Paolo VI nella ‘Populorum progressio, n.4’, viene ripreso e riletto alla luce della situazione odierna. Molte sono le sfi de specifi che, sullo sfondo delle quali emerge che l’umanità stessa e il suo sviluppo integrale sono minacciati nella loro pienezza e autenticità. Tale minaccia, evidente a livello di problemi settoriali (biologico, demografi co, migratorio, ambientale, tecnologico, economico, fi nanziario, sociale, politico), rimanda alle radici di tipo culturale, antropologico.Si vuol sottolineare il ruolo dell’educazione/formazione come elemento importante per la spiritualità del lavoro, del fare, evocando tre punti: una sfi da, un appello, un percorso.La sfi da chiama in causa la realtà complessa della persona umana, concepita come «mistero» e minacciata in tre aree fondamentali da tre corrispondenti fragilità. Psicologi, altri pensatori e fi losofi hanno indicato come la fragilità che ci sfi da: la frammentazione del signifi cato per quanto riguarda l’ambito cognitivo; la diffi coltà nell’impegno, se non proprio paralisi, della libertà, che nell’azione coinvolge la volontà e la libertà; e una diffusione di identità che tocca l’area affettiva dei desideri/amori, fondamento della motivazione personale. L’appello signifi ca che ogni generazione è chiamata a riscoprire e realizzare un progetto educativo con cui non soltanto far sopravvivere la cultura e i valori ricevuti, ma anche preparare i suoi membri a ulteriori scoperte e conquiste. “Si può pensare legittimamente che il futuro dell’umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza.” (Gaudium et Spes n.31).

L’io assai confuso che l’educatore incontra e cerca di interpretare è il soggetto capace di conoscenza, e in ricerca della verità intera. Quale è l’oggetto, il fi ne di questaa ricerca più o meno implicita nelle sue domande? Qual’è divenuta l’altérità, la ricca alterità in cui è chiamato a ritrovarsi?

Nell’ambito dell’agire, del volontario e della libertà, in quanto attore libero, il soggetto è confrontato alla lotta o le lotte proprie ad una libertà condizionata, che attraverso scelte, piccole o grandi, è chiamato a «fare» la verità. I processi pedagogici che favoriscono o impediscono l’impegno della libertà nella risposta alla chiamata non sono soltanto cruciali per ogni crescita umana, ma costituiscono di fatto il «materiale» dove si costruisce o si dissolve un’ «avventura» spirituale, religiosa, libera ed equilibrata o magari fanatica, fondamentalista.

L’ambito affettivo motivazionale con le sue articolazioni costituisce la terza componente antropologica importante, nella diversità e integrazione, dei diversi stadi si sviluppo. Molto spesso i due primi ambiti (conoscenza e azione) dipendono nella loro autnticità da questo.

Nella persona, soggetto psico-fi sico-spirituale, sottoposta ad una gamma di forze motivanti, di passioni e di «amori», che essa riesce con successo più o meno grande a unifi care o integrare, coesistono pulsioni della natura, interessi sociali e umani e forme d’affetto culturalmente legittimate o valorizzate, un amore con dimensione divine.

Il percorso educativo sarà percorso autentico, di valore spirituale, se sarà capace di rispettare in pieno la realtà antropologica della persona umana, ricchezza facilmente dimenticata da elementi della cultura dominante.

Dovrà essere un percorso verso sempre più autentiche forme di ortodossia, di ortoprassi e di ortopatia. Ortodossia nel senso di un corretto pensare che rende capaci di porre la domanda corretta, di permettere l’emergere di domande sul senso ultimo della vita, domande spesso sepolte nel profondo del cuore.

E poiché la realtà umana, irriducibile a soli problemi tecnici, può essere avvicinata non attraverso una defi nizione ed una comprensione astratta, ma attraverso decisioni ed impegni della volontà che esercita così nell’ortoprassi, il dono della libertà.

“Ortopatia” signifi ca, inoltre, apprendere il corretto sentire. E’ il percorso in cui si formano sia l’homo sentiens che l’ homo patiens: imparare a vivere correttamente le proprie emozioni, sia nel presente che come accettazione del passato nel processo di sviluppo verso l’autotrascendenza del mistero.

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bisogno del contratto, per regolare i rapporti di scambio tra valori equivalenti. Ma ha altresì bisogno di leggi giuste e di forme di ridistribuzione guidate dalla politica, e inoltre di opere che rechino impresso lo spirito del dono”.

I diritti inalienabili dei contadini e delle comunità rurali dei paesi poveri sulle semenze nascono da pratiche che essi attuano per compiere il loro dovere di gestione della biodiversità. Questi diritti devono essere difesi di fronte ai trattati e accordi internazionali che le rimettono in causa perché costituiscono il preambolo alla sicurezza alimentare e alla lotta contro la povertà. La conservazione e lo sviluppo della biodiversità non possono essere più alla sola discrezione degli Stati diventati debolissimi di fronte alle multinazionali delle semenze. I contadini e la società civile devono quindi organizzarsi ai livelli regionali e mondiali per arrivarci. È una questione di sopravvivenza e questa forma di difesa dei diritti dell’uomo rientra nella logica dei diritti economici, culturali e sociali (DESC) Infatti, nonostante l’affermazione dei DESC con un testo che li rende obbligatori, questi diritti sono molto spesso oggetto di numerose violazioni e questo è dovuto al fatto che sono i primi ad essere colpiti dagli effetti perversi della globalizzazione e della liberalizzazione acuta degli scambi. La globalizzazione dell’economia si traduce con degli attacchi specifi ci alla realizzazione di certi DESC. Le attività delle multinazionali e i grandi progetti d’infrastruttura sostenuti dalle Istituzioni Finanziari e Commerciali Internazionali (IFCI) sboccano spesso su distruzioni ambientali, su espulsioni, sull’inquinamento dell’acqua e dell’alimentazione, su una perdita delle attività economiche e delle fonti di guadagno delle popolazioni vicine. La globalizzazione si è quindi tradotta con una degradazione delle condizioni di vita, con l’esplosione delle ineguaglianze e delle discriminazioni e con una regressione in materia di diritti. La problematica della proprietà intellettuale e i diritti degli agricoltori ne sono un’illustrazione.

La dignità della persona non è il concetto vago e buono per tutte le necessità dialettiche, di cui si fa talvolta abuso nel dibattito politico e sindacale. Implica, molto precisamente, che “l’ordine delle cose deve essere adeguato all’ordine delle persone e non viceversa”, e che bisogna “considerare il prossimo come un altro sé stesso, tenendo conto prima di tutto della sua vita e dei mezzi necessari per viverla degnamente”.

n organismo geneticamente modifi cato (OGM) è un animale, una pianta o un microorganismo in cui, grazie alle biotecnologie moderne, l’uomo ha introdotto uno o più geni specifi ci, per sviluppare una nuova caratteristica. Il trasferimento del materiale genetico da una specie a un’altra permette di ottenere organismi che altrimenti non potrebbero esistere naturalmente. La tecnica ha come nome transgenesi o genio genetico. Teoricamente, il trasferimento di un gene da un organismo a un altro è possibile perché, seppur con certe variazioni, tutti gli organismi viventi (virus, batterie, vegetali, animali) hanno lo stesso sistema di codifi ca e d’espressione dell’informazione genetica (DNA acido desossiribonucleico). Cosi, il genio genetico permette di ottenere degli organismi resistenti agli insetti (patata, granoturco, cotone, …) o tolleranti agli erbicidi (soia, granoturco, colza, cotone) o ai virus (peperone, papaia, zucca, patata, …) o alla siccità (grano, granoturco …) o alla salinità … Numerose medicine e vaccini sono oggi stesso prodotti da biotecnologie. Perciò, gli OGM occupano ora un posto non indifferente nell’ambito dell’agricoltura e della sanità. In passato, non esisteva il diritto alla proprietà intellettuale sul vivente, ma, essendo prodotti da biotecnologie moderne, gli OGM sono protetti da diritti di proprietà intellettuale che portano vantaggi al loro autore.

Questa situazione pone il problema della sicurezza alimentare nei paesi poveri e bisogna chiedersi fi no a dove va oggi in quest’ambito la funzione protettrice del diritto internazionale. La verifi ca della situazione dimostra una confusione totale nelle dimensioni oggettive e soggettive del lavoro umano e una contraddizione nella politica internazionale in materia di sicurezza alimentare. Da qui la necessità di cercare una soluzione sostenibile.

La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende “in nessun modo immischiarsi nella politica degli Stati”. Essa ha tuttavia una missione di verità a compiere, in ogni tempo e in ogni circostanza, in favore di una società a misura d’uomo, della sua dignità e della sua vocazione. La fedeltà all’uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà e garanzia della possibilità di uno sviluppo umano integrale. Nell’enciclica “Caritas in Veritate” Benedetto XVI indica che gli attori della vita economica non si possono limitare al solo mercato, ma che l’economia deve anche coinvolgere lo Stato e la società civile. “La vita economica ha senz’altro

S.E. THEODORE COMLANVI LOKOAmbasciatore del Benin presso la Santa Sede

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Prof. MICHELE LENOCIPreside Facoltà Scienze dell’educazione e della formazione Università Cattolica del Sacro Cuore

l tema della santifi cazione del lavoro è importante di per sé e per ogni uomo che lavora in considerazione del fatto che il lavoro è il mezzo con cui ogni uomo cerca di realizzarsi e santifi carsi.

Avere in mente che il lavoro è un’occasione, un motivo di santifi cazione, aiuta a trovare un senso nel lavoro che ognuno di noi svolge, anche quello più alienante o che si svolge in situazioni di disagio.

E’ fondamentale comprendere la preziosità del lavoro e la necessità di svolgere il proprio lavoro nel migliore dei modi, nelle condizioni più adatte e soprattutto con i migliori risultati nell’ottica non soltanto dell’effi cienza ma soprattutto in quella della piena realizzazione personale.

Ed ora qualche rifl essione sulla spiritualità del docente in quanto studioso e in quanto ricercatore, perché l’attività di ricerca caratterizza primariamente il docente universitario.

Poi, c’è il compito e la spiritualità del docente in quanto educatore, dimensione questa molto importante, che va tenuta in sintonia con l’attività di ricerca.

Ma qualche volta si tende a privilegiare la ricerca a discapito della didattica, altre volte la didattica diventa molto assorbente e va a danno della ricerca.

Inoltre il docente universitario è certamente un intellettuale; e l’attività intellettuale diventa il percorso che un docente cristiano deve perseguire e realizzare per potersi santifi care.

In tal modo, il lavoro risulta santifi cato e fonte di santità.

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di educare comunicare e ricercare, desiderio comune a noi tutti.

La nostra università è “il luogo del lavoro”. Cosa signifi ca lavorare in una grande università? Nel nostro caso, signifi ca lavorare con dei giovani, signifi ca lavorare con dei grandi scienziati, un enorme privilegio.

Un privilegio che, però, diventa tale solo se anch’io faccio passi avanti nella mia vita di appartenenza a Cristo.

Se le persone che lavorano con me mi danno l’anima, ma io non faccio passi in avanti alla fi ne della giornata, alla fi ne mi demotivo.

Al contrario, il lavoro deve essere la piena realizzazione di sé ed io sono contento di lavorare nella mia università, perché ogni giorno posso mettere in pratica un’idea di lavoro che mi realizzi, fare qualche passo avanti nella comprensione del mistero che l’uomo è, posso andare avanti nella mia vita cristiana e incontrare persone che hanno la mia stessa idea di educazione e di ricerca della scoperta del mistero della vita.

Quest’idea di educazione e di ricerca rappresenta l’unico vero vantaggio competitivo che l’educazione cattolica ha nei confronti delle altre università non cattoliche.

Certamente, dobbiamo essere dei bravi educatori e degli eccellenti formatori, ma non possiamo dimenticarci che il nostro particolare scopo è quello di educare i giovani alla ricerca della verità e della comprensione del mistero che è l’uomo.

Qualunque risultato che sia meno di questo ci farà perdere di competitività, perché avrà indebolito la nostra stessa ragion d’essere.

Dott. MARIO GATTIDirettore della Sede di Milano Università Cattolica del Sacro Cuore

’Università Cattolica del Sacro Cuore è ormai un’azienda che impiega circa 2500 persone e che fattura all’anno diversi milioni di euro. Un miracolo nel panorama europeo.

Il motivo per il quale la mattina vado al lavoro, oltre che per mantenere la mia famiglia, questo è chiaro, anche se il lavoro non è solo un accessorio, è perché, insieme ai miei colleghi e collaboratori, sono profondamente convinto che i giovani meritino un posto adeguato in cui studiare e i ricercatori un luogo dove poter fare le loro ricerche.

Ciascuna delle persone che prestano il loro servizio presso la nostra università, dal Decano fi no all’ultimo dei bidelli, è responsabile del processo educativo dei nostri studenti. Il contesto in cui si apprende è fondamentale, poiché il contesto è fatto del lavoro di ciascuno e della dedizione al lavoro di ciascuno.

Ciò che rende diversa l’Università Cattolica del Sacro Cuore da qualunque altra università nel mondo sta nell’unica risorsa di cui noi possiamo disporre, ossia sta in ciò che le persone che vi lavorano riescono a dare, nel loro senso di appartenenza all’istituzione. Ed è proprio questo senso di appartenenza e la loro straordinaria dedizione al lavoro che colpisce per prima sia gli studenti sia i docenti, che mettono per la prima volta piede da noi, sia i convegnisti che per caso entrano nel nostro chiostro bramantesco.

Quando avremo perso questo grande senso di appartenenza all’istituzione allora perderemo anche il confronto con le altre università, anche perché le libere università non ricevono gli stessi fi nanziamenti delle università statali, ma molto meno. Siccome i Cattolici in Italia stanno anche diminuendo, non potremo neppure contare su una platea vasta come venti o trent’anni fa. Ecco allora che il senso di appartenenza alla nostra università, e la dedizione al lavoro, è la nostra vera grande risorsa.

Il lavoro non può ridursi solo all’espletamento di una pratica sulla scrivania, ma deve tradursi nel desiderio

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S.E. MONS. ZYGMUNT ZIMOWSKY Presidente Pontifi cio Consiglio per gli Operatori Sanitari

l Santo Padre Giovanni PaoloII nell’enciclica “Laborem Excercens” sul lavoro umano nel 90° anniversario della “Rerum Novarum” parlando degli elementi per una spiritualità del lavoro sottolinea il particolare compito della Chiesa in materia.

Questo compito si esprime nella formazione di una spiritualità del lavoro. Dopo l’enciclica parla del lavoro come partecipazione all’pera del Creatore e più avanti, mostra Cristo come l’uomo del lavoro per far vedere il lavoro umano alla luce della Croce e della Risurrezione di Cristo:

“Nel lavoro umano il cristiano ritrova una piccola parte della croce di Cristo e l’accetta nello stesso spirito di redenzione, nel quale il Cristo ha accettato per noi la sua croce .Nel lavoro, grazie alla luce che da risurrezione di Cristo penetra dentro di noi, troviamo sempre un barlume della vita nuova, del nuovo bene, quasi come un annuncio dei “nuovi cieli e di una nuova terra”, i quali proprio mediante al fatica del lavoro vengono partecipati dall’uomo e dal mondo. Mediante la fatica – e mai senza di essa. Questo conferma, da una parte, l’indispensabilità della croce nella spiritualità del lavoro umano; dall’altra parte, però, si svela in questa croce e fatica un bene nuovo, il quale prende inizio dal lavoro stesso: dal lavoro inteso in profondità e sotto tutti gli aspetti – e mai senza di esso.

E’ già questo novo bene – frutto del lavoro umano – una piccola parte di quella “terra nuova”, dove abita la giustizia? In quale rapporto sta esso con la risurrezione di Cristo, se è vero che la molteplice fatica del lavoro dell’uomo è una piccola parte della croce di Cristo? Anche a questa domanda cerca di rispondere il Concilio, attingendo la luce dalle fonti stesse della Parola rivelata: “Certo, siamo avvertiti che niente giova all’uomo se guadagna il mondo, ma perde se stesso (cfr. Lc 9, 25). Tuttavia, l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì stimolare piuttosto la sollecitudine a coltivare questa terra, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce

ad offrire una certa prefi gurazione che adombra il mondo nuovo” (LE, n.25).

L’uomo coronato di gloria e di onore, costituito da Dio sopra tutto il creato, sottomette e offre al Signore l’intera creazione, i beni materiali, professionali, spirituali, la sua creatività, il pane e il vino frutti della terra e del suo lavoro.

“I doni rappresentano in primo luogo tutte le sue creature, le quali – attraverso Cristo – vengono poste in grado di raggiungere il loro fi ne, Dio”.

Nell’offertorio, con questo atto di sovranità dell’uomo, il mondo intero trova la sua massima attualizzazione, “l’intera creazione è santifi cata”, la liturgia diviene cosmica.

Il Beato Giovanni Paolo II con realismo poetico argomenta sul pane e sul lavoro dell’uomo, e aiuta a comprendere il senso che assumono anche nel momento dell’offertorio della Messa: “L’uomo si nutre di questo pane col sudore del suo volto”.. ”Il lavoro porta su di se un particolare segno dell’uomo e dell’umanità, il segno di una persona operante in una comunità di persone; e questo segno determina la sua qualifi ca interiore e costituisce, in un certo senso, la stessa sua natura”. Quindi, il pane nutre l’uomo ed è carico della sua esistenza e della sua storia, il lavoro è umanizzato e contrassegnato di umanità.

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S.E. AL-SADR HABBEB MOHAMMED HADI ALIAmbasciatore dell’Iraq presso la Santa Sede

er quanto riguarda il grande tema della Spirituali-tà del lavoro, qui intendiamo solo accennare ad alcuni traguardi spirituali dello staff medico.

Partendo da una visione apostolica, i medici iracheni sono impegnati a rispettare la dignità umana e hanno il compito di custodire la vita che è dono di Dio, il quale l’ha affi data nelle nostre mani affi nché possia-mo tutelarla e non abusarne per alcun motivo.

Le leggi irachene e i precetti islamici, così come la Santa Sede, non ammettono dunque: l’eutanasia, l’aborto, l’uso improprio delle cellule staminali, la fe-condazione artifi ciale, perché queste pratiche vanno contro il volere di Dio, contro i diritti e la dignità uma-na e rappresentano una giustifi cazione al peccato.

I regolamenti del Ministero della Salute iracheno sottolineano l’importanza dell’etica, il dovere di ri-spettare la vita del paziente senza alcuna discrimina-zione legata al sesso, alla razza, alla religione, all’ap-partenenza di partito, allo status sociale o all’età. I medici sono come soldati ignoti che combattono un nemico, che è rappresentato dalla malattia impeden-dole di infl uire nelle anime e nei cuori dei pazienti. Per questo sono protettori della vita umana e candele della speranza: si uniscono ai loro pazienti nella sof-ferenza, perché le loro opere pure sono strumenti nelle mani del Signore a servizio della sua creatura. Per questo sono stati nominati come angeli della miseri-cordia perché i sofferenti non vedano altro che la loro bontà e questa è una peculiarità senza precedenti.

In passato nel nostro paese si diceva (Il diritto ha due precetti ; uno per l’anima e uno per il corpo) e se gli uomini di fede e i religiosi curano e nutrono l’ani-ma così anche i medici difendono e curano la vita umana che è dono di Dio .

Mentre tutti gli esseri umani si riposano durante il sonno, il medico al contrario sacrifi ca il proprio riposo vegliando il paziente, circondandolo con amo-re, visitandolo tra grida e sofferenza e mettendo da parte i piaceri della vita cura le malattie di chi soffre. I

medici si svegliano dopo il loro breve sonno e guarda-no le facce appassite e le anime stanche poi chiudono l’ultima pagina della loro cartella clinica nella notte. .. e al mattino l’unica luce di speranza è rappresentata dai colori dei fi ori che sorridono attraverso le fi nestre circondati da farfalle che sussurrano promettendo for-tuna in questa e nell’ altra vita.

L’amore degli angeli di guarigione è un vero amore perseverante, essi sono come la candela che consuma il suo olio piano piano per affrontare gli oscurantisti.

Non stupisce che le profonde ferite degli iracheni e le loro sofferenze siano riunite nell’amore per il pro-prio Paese sofferente che auspica di risollevarsi al più presto.

Infi ne cosa dire in merito al vostro compito, o nobili, di fronte ai vostri immensi sacrifi ci la mia lingua si pietrifi ca nella totale ammirazione del vostro operato.

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Dott.ssa. MARINA PANFILO Direttore Relazioni Istituzionali Pfi zer Italia

l tema della spiritualità del lavora tocca particolarmente chi opera in Sanità infatti, chi lavora in questo settore così delicato deve considerare il paziente innanzitutto come una persona umana e successivamente come paziente o corpo ammalato.

Ascoltare il paziente, coinvolgerlo nelle cure serve sia per la medicina (per fare meglio il compito al quale siamo chiamati) sia per la qualità della vita del malato.

Oggi si vive molto più a lungo ma quello che è lo sforzo di tutti i sistemi sanitari più evoluti è quello di consentire una vita più lunga con una migliore qualità della stessa; tutto ciò non può prescindere da una umanizzazione delle cure che vuol dire non soltanto avere attenzione e ascolto del paziente ma coinvolgerlo, ascoltarlo affi nché sia parte attiva nella decisione relativa alle cure che lo aspettano secondo il principio: “Niente che mi riguardi senza di me” perché questo può migliorare il suo esito di salute.

Abbiamo realizzato una bellissima iniziativa insieme con l’Istituto Superiore di sanità che riguarda la raccolta delle storie di malattia; all’interno di queste storie, che spesso riguardano malattie rare raccontate dai pazienti, i medici riescono a comprendere meglio qual è la strada che porta alla diagnosi e alla terapia con successo.

Questa è soltanto una delle attività di innovazione che abbiamo realizzato nei processi sanitari basata sulla dignità della persona umana per trasformare quello slogan sulla centralità del paziente in una realtà che passa attraverso tutti gli uomini e le donne che lavorano in ambito sanitario con la passione ed il senso di fare qualcosa che sì è un lavoro ma che ha anche una nobiltà superiore ad altre attività professionali.

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Prof. FRANCO GRASSETTIDirettore Università Cattolica del Sacro Cuore Complesso integrato Columbus Urologia

uò sembrare strano parlare oggi di dimensione spirituale del lavoro e per lo più in ambito sanitario. Anche in ambito sanitario, l’aziendalizzazione sembra aver risposto a criteri di effi cienza economica e di risparmio di spesa pubblica, più che aver focalizzato l’attenzione sul bene della persona.

Ha allora senso parlare di “dimensione spirituale del lavoro?”. E come coniugare questa dimensione spirituale con le esigenze di produttività imperanti nell’ambito lavorativo e ormai anche in quello sanitario?

Credo che uno degli errori della “modernità” laicista sia proprio quello di contrapporre la sfera spirituale a quella della vita concreta degli individui. Gli affari spirituali toccano l’ambito della coscienza del singolo, sono parte della sua sfera privata, si dice, ma non hanno nulla a che vedere con la dimensione pubblica dell’uomo, quindi con il suo inserimento nel mondo del lavoro. Nel caso poi degli operatori sanitari, si pensa troppo spesso che la scienza debba essere norma a se stessa, per cui si fi nisce con l’ammettere, anche se forse senza esplicitarlo del tutto, che ciò che è tecnicamente possibile sia anche moralmente lecito.

Con opinioni come queste, però, si fi nisce con il chiudere la scienza su se stessa, impedendogli il dialogo con altre discipline che s’interessano del vero bene umano.

Ritengo che questa premessa fosse necessaria per capire la diffi coltà che mi si pone nel dover parlare della dimensione spirituale del lavoro in ambito sanitario. Ritengo invece che proprio a chi si occupa di sanità non possa sfuggire alla necessaria integrazione che ci deve essere tra mondo dello spirito e mondo della professionalità, essendo l’oggetto dell’intervento sanitario l’uomo. L’uomo è sì un corpo che soffre, un organo malato, una struttura biologica di cui, ricomporre la funzionalità, ma il suo vissuto di malattia s’inserisce nella totalità di essere uomo, non la si può ridurre al defi cit funzionale del singolo organo o tessuto malato. Lo stato d’infermità riverbera i suoi effetti si tutta la dimensione spirituale della persona, sulle sue reazioni psichiche, sullo stato delle sue relazioni, perfi no sul suo vissuto di fede (quante volte una malattia fa sorgere domande sulla fede e mette in discussione la propria immagine di Dio!).

Questo per quanto riguarda l’oggetto dell’interveto sanitario, il paziente. Ma credo che questo abbia indubitabili effetti anche sul soggetto dell’intervento sanitario, sull’operatore sanitario. Come il paziente non è riducibile al suo organo malato, così l’operatore sanitario non è riducibile a una macchina che dia risposte stereotipate secondo dei protocolli stabiliti. Di fronte al mistero dell’uomo, e per di più dell’uomo sofferente, non si può essere dei semplici tecnici: la nostra umanità è interpellata in profondità perché mai come nella malattia si percepisce la interdipendenza che tutti ci lega.

Di fronte al bisogno umano del malato è tutto l’operatore che è interpellato, non solo la sfera della sue competenze tecniche, non solo le sue conoscenze scientifi che, ma la sua relazionalità, la sua stessa fede, perché non potrà dividere se stesso in compartimenti stagni. Mi ha colpito leggendo la prima enciclica del papa Benedetto XVI, Deus Caritas Est, la domanda che a un certo punto Lui si poneva: che senso ha nei moderni paesi occidentali, in cui la sanità è quasi dovunque gestita dallo Stato, che certe congregazioni di religiose o religiosi mantengano Ospedali o cliniche? Ebbene, rispondeva il Papa, ha senso anche oggi, perché una clinica di Suore dovrebbe mostrare una attenzione alla persona del malato, che la struttura pubblica potrebbe non prestare, e questo perché nella struttura religiosa l’intervento tecnico sanitario dovrebbe avere un plus-valore legato alla prospettiva di fede degli operatori, che non riduca il paziente a un numero di tessera sanitaria, ad un numero di posto letto, ma sia capace di testimoniare la carità di Cristo verso di lui.

Allora il contatto con il malato schiude prospettive che vanno al di là del contatto con la sua malattia. Se nessun uomo, anche per un operatore sanitario non credente, dovrebbe essere ridotto ai suoi dati biochimici dei suoi parametri vitali o delle sue analisi cliniche, a fortiori per un credente il contatto con il malato rimanda sempre al contatto con il Cristo che, come ascoltiamo proprio nel tempo di quaresima, “si è incaricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori,” come ricorda il profeta Isaia. Con queste considerazioni la professione sanitaria diventa un luogo anche di esperienza di fede, alimento stesso di una vita di fede che dal lavoro giornaliero trae forza di personale crescita.

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MONS. GIORGIO CORBELLINI Presidente Uffi cio del Lavoro della Santa Sede Apostolica

n ordine al Diritto del Lavoro nello SCV già dal 1929, quando lo Stato è nato, non è stata recepita la legislazione italiana in ciò che “attiene …al trattamento economico e giuridico dei funzionari ed impiegati”.

La ragione è da ricercarsi nella volontà di regolamentare in modo autonomo la materia, per altro già regolamentata da disposizioni proprie della Santa Sede, vigenti prima della nascita dello SCV e mantenute quindi in vigore.

I principi che regolano oggi il lavoro presso la Sede Apostolica sono contenuti nella Lettera del Sommo Pontefi ce Giovanni Paolo II al Cardinale Segretario di Stato Agostino Casaroli, del 20 novembre 1982.

Diamo qui di seguito una enucleazione di alcuni principi enunciati nella suddetta lettera:

1) Tutti coloro che prestano la loro opera sia presso i vari Organismi ricompresi sotto il nome di “Santa Sede” sia presso lo Stato della Città del Vaticano costituiscono, pur nello svolgimento di compiti diversi, una particolare comunità con un compito unitario, in quanto partecipano tutti all’unica ed incessante attività della Sede Apostolica;

2) Tale singolare comunità deve conformare la sua vita alle verità del “Vangelo del lavoro” e della dottrina cattolica sul lavoro umano;

3) L’impegno a promuovere la “comunità” tocca sia gli ecclesiastici, sia i religiosi, sia i laici, sia coloro che occupano posti di alta responsabilità, sia gli impiegati sia gli addetti ai lavori manuali:

tutti devono impegnarsi ad istaurare buoni rapporti umani in ogni settore di lavoro e tenere sempre presente il compito essenziale della Sede Apostolica ed il suo vero interesse.

La Cost. Ap. Pastor Bonus (=PB) sulla Curia Romana (28/06/1988) prevedeva che, della prestazione del lavoro nella Curia Romana e delle questioni connesse, si occupasse l’Uffi cio Centrale del Lavoro.

La stessa Cost. Ap., nell’Adnexum II, intitolato “ I collaboratori della Sede Apostolica come costituenti

una Comunità di lavoro, di cui agli articoli 33-36”, parlava dell’istituzione dell’Uffi cio del Lavoro della Sede Apostolica (=ULSA), tramite un Motu proprio (=MP) , a cui doveva essere unito un documento che ne descrivesse e specifi casse la composizione, la competenza, i compiti, gli organi direttivi e consultivi con le norme per il suo funzionamento.

Con Motu Proprio Venti anni orsono del 7 luglio 2009 Benedetto XVI ha approvato il nuovo Statuto dell’Uffi cio del Lavoro della Sede Apostolica, all’art. 1 defi nito << Organo preposto alla promozione e al consolidamento della comunità di lavoro della Sede Apostolica>>.

Tale Motu Proprio, in particolare, afferma: << Al passo con le trasformazioni sociali, culturali e del mondo del lavoro in genere, nonchè del cammino di sensibilizzazione e di collaborazione realizzato all’interno dei vari Organismi vaticani, l’ULSA avverte il compito particolare che è chiamato oggi a sviluppare nella formazione professionale, spirituale e sociale del personale coerentemente con la missione ecclesiale di tutti coloro che collaborano con il Successore di Pietro nel suo ministero al servizio della Chiesa universale. Nell’ambito delle proprie funzioni, l’Uffi cio non mancherà pertanto di adoperarsi per la partecipazione a iniziative interne o esterne volte all’elevazione culturale e all’aggiornamento professionale del personale così da alimentare la necessaria identifi cazione di ciascuno con i valori e gli ideali dell’istituzione>>.

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Dott.ssa. SUSANNA CAMUSSOSegretario generale CGIL

a storia del lavoro nel nostro Paese, come nel mondo, non è semplice né sempre rosea, per lungo tempo fu lotta contro la schiavitù. Ovvero cosa produceva la ricchezza, la ricchezza stessa o la fatica delle donne e degli uomini, nei campi, nelle miniere, nelle fabbriche. Tema che torna di straordinaria attualità, quando si teorizza nuovamente che sia il denaro che crea denaro e non invece il lavoro che produce.

Per questo si potrebbe raccontare la storia del mondo parlando del lavoro, del suo sfruttamento, dell’organizzazione dei lavoratori. Quelle organizzazioni mondiali e nazionali che hanno sempre intersecato i grandi temi dell’economia e quelli della condizione dei lavoratori.

Le otto ore, che diamo per scontate, acquisite, mentre spesso non lo sono ancora, possono essere indicate a simbolo della relazione tra lavoro e vita delle persone.

Il rispetto innanzitutto nel riconoscere un tempo per il riposo, ma in quel riposo vi è anche la salute, che poi sarà rispetto della sicurezza, salvaguardia del valore della persona, della sua vita. Non si può morire di lavoro, né per fatica né per incidente sul lavoro. Oltre al riposo, il tempo per sé nelle tante accezioni che può avere. Allora il tempo del lavoro è il tempo del produrre ricchezza per il Paese, una ricchezza per sé, il saper fare, il produrre ed avere un reddito per la propria autonomia, la propria dignità di vita, altro che dignità nel lavoro. Ma il tempo del lavoro come tempo che ti fa riconoscere, soggetto sociale e collettivo.

Dignità è la parola che più raccoglie il senso del lavoro, una delle dimensioni della vita. Che traduce quella dimensione di identità della persona. Certo come ricorda Amartya Sen, le identità sono multiple, non tutto si riconduce a uno, ma dalla molteplicità alla negazione c’è il fi nire del Novecento e il nuovo secolo.

Quando si teorizza che il lavoro è solo un mezzo non rilevante, che non identifi ca, anzi che è il consumo

il tratto identitario, in questo modo il saper fare non è più tratto di sé, e così si inventano i lavori poveri, quelli che non permettono una vita dignitosa ed autosuffi ciente, quelli che parlano quotidianamente della precarietà.

Questo passare dal riconoscere il valore personale, sociale, collettivo del lavoro, ai consumi nasconde la “grande” valorizzazione del lavoro, quella che tutti i giorni declama il mercato “libero” come motore del mondo e dell’economia.

Quel mercato libero che ha teorizzato la diseguaglianza, moltiplicato la distanza tra ricchi e poveri, fi n nelle retribuzioni tra manager ed operai.

Molto si discute della crisi, come si esce, tanti teorizzano l’impresa come centro di tutto, quella stessa impresa che poco ha investito e molto ha spostato sulla fi nanza, poi lo si somma all’idea del rigore.

Un rigore che taglia welfare, taglia pensione e salari, riduce le condizioni dei tanti, taglia l’istruzione e nega valore sociale alla maternità ostacolando il lavoro delle donne. Ecco così dalla crisi non si esce.

Non si esce perché non vi è risposta alle persone, alla loro emancipazione, alla loro libertà, alla loro dignità.

Per questo pensare ad uscire della crisi, che molto pesa sul lavoro, che genera mostri come la precarietà, che produce disoccupazione di massa vissuta come perdita di dignità, vuol dire ripartire dal lavoro, dalla creazione di lavoro, dal riconoscere la funzione per il singolo e la sua funzione sociale.

Vuol dire rivalorizzare il lavoro dare un senso alla trasformazione del lavoro, alla necessità di conoscenza, di formazione, ma riconoscere che è in quel trasformare un seme, una materia, un’informazione che vi è la passione del lavoro, e il fondamento per una società di liberi ed eguali.

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P. ALFONSO CRIPPA Superiore Generale opera Don Guanella

on Guanella può offrirci spunti validi per capire in che cosa consiste e come vivere la spiritualità del lavoro, particolarmente per un cristiano.

- Egli è stato un fervido lavoratore nella vigna del Signore, e ha dedicato tutta la sua vita (è morto a 73 anni) a offrire forme di assistenza e di promozione delle persone meno dotate, che da sole sono lasciate ai margini della società, del progresso.

- La caratteristica più marcata che don Guanella attribuisce al lavoro è lo spirito di sacrifi cio che lui aveva imparato già da bambino, in famiglia e nell’ambiente austero di montagna. Aveva maturato fortemente la convinzione che nulla si può ottenere senza ‘fatica’.

- Anche nella sua devozione alla Madonna don Guanella ha voluto lasciare la sua impronta spirituale concreta: oltre ai titoli più comuni di Immacolata oppure di Madre della Provvidenza (devozioni a lui tanto care), ha voluto aggiungere il titolo di Madonna del Lavoro, che ha voluto che si onorasse con speciale devozione nel Santuario che lui aveva costruito a Nuova Olonio.

Preghiera e lavoro sono due componenti essenziali contenute nel programma di vita “pregare e patire”, che don Guanella ci ha lasciato: un programma secondo l’esempio dei monaci benedettini: il lavoro deve servire a creare una civiltà cristiana. Nella sua attività di pastore egli coltivò sempre un grande interesse per il mondo del lavoro. I suoi studi e le sue letture tendevano a fornire ai suoi parrocchiani, occupati nel lavoro della terra o nelle poche industrie della sua Valle, un’assistenza culturale, religiosa e anche civile. Voleva arricchire la scarsa cultura agricola dei suoi compaesani con lezioni di agricoltura. E’ lui stesso che si racconta, in terza persona: “Gli premeva la coltura più razionale dei prati, dei boschi, dei pascoli; si industriava di parlare sovente e di tenere pure qualche specie di conferenza”.

Nella sua visione dell’uomo, il lavoro occupa un posto di primo piano e di fondamentale importanza. “Il lavoro è sacro”, ripete spesso nei suoi scritti, come mezzo di elevazione umana e cristiana e come mezzo di salvezza, in quanto purifi cazione dal peccato e forza per compiere il bene. “Il lavoro è sacro perché scampa l’anima da molti peccati e rende felice un popolo”. Il suo non era un insegnamento solo teorico. Fin dalla sua infanzia imparò la legge del lavoro quotidiano: “La Provvidenza mi ha dato genitori virtuosi che mi hanno infuso spirito di lavoro e di sacrifi cio: da loro imparai a sempre lavorare”. Nella sua operetta “Il montanaro” egli rifl ette, in forma quasi autobiografi ca, le virtù proprie del montanaro: “Scorgo che, come ad un Sansone di fortezza, non è sforzo di lavoro che arresti il montanaro. Par che tu, quasi novello Giosué arresti il sole affi nché abbia compiuto il lavoro della tua giornata (…). Buon montanaro, tu sei come Davide pastorello che, alla cura del gregge, accompagni il suono del liuto, il maneggio delle ari alla caccia di fi ere o alla difesa dei tuoi fratelli (…). Tu sei più spesso la fi gura pietosa di Noemi che viene su spigolando per un campicello mietuto, e raccogli il fi lo d’erba per il giumento, il frutto sparso d’una castagna per la famiglia . Il montanaro trova il senso della sua vita in Dio e le sue virtù (che sono anche le virtù di Don Guanella) sono paragonabili a quelle di alcuni personaggi biblici, quali Giosué, Davide e Noemi.

Don Guanella assimilò così, le qualità del montanaro: la pazienza e la fatica del crescere. E mette a frutto queste doti naturali del proprio ambiente per trasformarli in spiritualità e metodo di vita. Sviluppa così una serie di virtù che gli permetteranno di realizzare la sua vocazione e trasmetterci una eredità ricca di linee pedagogiche e di spunti di spiritualità concreta. Il messaggio che don Guanella ci dà è forte e chiaro. Nel suo programma di vita ripete per tre volte: “Lavorare, lavorare, lavorare!” a cui fa eco il proposito nel giorno della sua Prima Messa: “Voglio studiare, studiare, studiare”. Questo ci lascia come preziosa eredità il nostro Fondatore.

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io ha creato l’uomo e la donna a Sua “immagine e somiglianza” ed ha posto il creato al loro servizio. Bisognerà però attendere la Rivoluzione Cristiana, l’Incarnazione del Verbo, Gesu’ Cristo, vero Dio e vero uomo, perché divenga patrimonio comune, principio condiviso, la centralità della persona, fi no ad allora considerata “merce” senza diritti propri. E’ su questo “valore non negoziabile” che il lavoro, cioè la principale attività umana, diviene diritto da tutelare in quanto elemento fondamentale della dignità dell’uomo.

Giovanni Paolo II ci ricorda che “il primo fondamento del valore del lavoro è l’uomo stesso” (Laborem Exercens, 1981). L’uomo deve contribuire al continuo progresso, in primo luogo culturale e morale, della società in cui vive in comunità con il prossimo, senza questa relazione l’uomo non può essere. E’ dall’attività individuale, in rapporto a quella altrui, che si realizza il Disegno che Dio ha, sin dall’inizio, su ciascuno di noi. Per “ottimizzare” il risultato, Dio ci dona la Fede, la forza necessaria per raggiungere il comune obiettivo.

La Fede richiede azioni e di esse si alimenta, così come il lavoro richiede azioni e di esse si alimenta. La Fede dunque svolge un ruolo di guida anche nel lavoro, quale strumento promotore dello sviluppo umano e sociale. Ogni professione racchiude in sé una responsabilità oggettiva che rende ogni persona “custode” di un’altra. Questo, per noi credenti, è il legame fra economia e Fede. La dignità del lavoro è un tema concreto e la sua misura è il bene comune che genera. Ogni tipo di lavoro, dal più umile al più sofi sticato, è uguale in quanto svolto da persone con la medesima dignità e pari diritto e, pertanto, non può essere disgiunto dalla solidarietà e dalla fraternità. Solo su questi principi si può costruire una organizzazione sociale equa, cioè che realizzi la uguaglianza dei diritti nella diversità dei compiti e dei talenti. E’ la scuola francescana, a cui si fa riferimento come “istitutrice” del mercato, ad attribuire, per prima, all’economia questi valori facendone derivare i tre principi dell’ordine sociale: principio dello scambio di equivalenti, che assicura l’effi cienza del sistema attraverso il prezzo equivalente, in valore, di un bene o di un servizio; principio di redistribuzione, che assicura l’equità attraverso la redistribuzione

Dott. FABRIZIO PALENZONAVice presidente Unicredit

della ricchezza tra tutti i soggetti che ne fanno parte; principio di reciprocità, secondo qui l’azione umana non è mossa dalla pretesa di ricompensa, ma dalla sua aspettativa. La crisi odierna ci rimanda, prepotentemente, all’attualità di questi temi e all’urgenza di un diverso paradigma economico globale che poggi su una diversa economia di mercato, che sia sociale e civile, rimetta l’uomo al posto che gli compete, cioè al centro della società, cambiando le logiche dominanti, superando il modello egoistico di sviluppo basato unicamente sul PIL. L’economia ha bisogno dell’etica per declinare effi cienza e solidarietà, attraverso la piena valorizzazione della persona umana nel rispetto della natura che Dio ha posto al suo servizio.

Da questa profonda crisi si potrà uscire non tanto con nuove regole, che pure sono indispensabili e che la politica deve saper imporre, ma agendo sulla coscienza. Non si può cambiare l’uomo dall’esterno. Non si può imporre un’etica. Occorrono la scuola, i valori, la cultura, la consapevolezza, intendere la vita come relazione (per noi d‘amore) con gli altri, il prossimo, fi nalizzata al bene comune. Insomma, l’etica della gratuità e del dono, come ci insegna Benedetto XVI nella “Caritas in Veritate”, è la strada giusta per l’umanità del terzo millennio!

Bisogna sforzarsi di trovare soluzioni che valorizzino la collaborazione tra le parti promuovendo nuove forme di partecipazione in modo da responsabilizzare tutti gli attori economici. Occorre stimolare la crescita assicurando un’equa redistribuzione della ricchezza, attuando il principio della solidarietà e della coesione sociale. Non c’è nulla di facile, ma neppure nulla di impossibile; nelle gravi diffi coltà l’uomo, le persone, agiscono già così: i casi di calamità umane (guerre, campi nazisti, gulag) e naturali (terremoti, inondazioni) sono lì a dimostrarlo. Occorre farlo sempre. Deve divenire regola e non eccezione dettata dalla paura e dalla necessità.

In conclusione, il lavoro non può essere distinto dalla dignità umana, dalla relazione coi fratelli e dal perseguimento del bene comune. Per noi cristiani, inoltre, anche il lavoro, come la vita stessa, è mezzo per raggiungere l’unico vero fi ne: l’Eternità da cui veniamo ed a cui vogliamo tornare.

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Prof. Dott. O.O. MASSIMO GRISOLIA Studio Grisola & Associati

l tema di questo incontro trascende il semplice discorso etico e morale del lavoro, e ciò è chiaro già dal titolo che, sapientemente scelto dagli organizzatori, pone sotto chiari rifl ettori una parola, u concetto di cui forse abbiamo perso il vero signifi cato: la spiritualità.

Il fatto stesso che oggi ci ritroviamo qui tutti insieme a dibattere su questo argomento dovrebbe essere, per i più attenti, un chiaro segnale di quanto bui siano i tempi che ci troviamo a vivere.

Sembra quasi che negli ultimi decenni l’uomo materiale abbia preso il sopravvento sull’uomo spirituale.

Parafrasando Sant’Agostino, possiamo dire che sebbene l’inscindibile unione dello spirito al corpo rimanga tanto affascinante quanto misteriosa all’uomo, è proprio in essa che egli consiste. E’ proprio dalla sua natura spirituale che l’uomo acquista una superiorità nei confronti di ogni altra creatura; un valore che lo rende più responsabile delle proprie azioni. Egli non può e non deve curare solo le proprie individualistiche aspirazioni, ma deve farsi carico delle diffi coltà di tutti i suoi fratelli e sorelle. Egli deve riportare nella sua vita e nel suo lavoro quella spiritualità che lo eleva a prediletto agli occhi del Signore: Dobbiamo riappropriarci di noi stessi. Riconoscere che carità e solidarietà sono valori umani e non divini. E tuttavia, valori che ci sublimano e ci rendono divini in parte.

L’evoluzione del lavoro non può prescindere dall’evoluzione spirituale dell’uomo. Occorre una matura presa di coscienza delle nostre responsabilità verso noi stessi ed i nostri fratelli e sorelle.

Non importa se la nostra fede è cattolica, musulmana, giudaica o atea, siamo uomini e in questo identici. “Non uscire da te stesso, rientra in te stesso: nell’intimo dell’uomo risiede la verità” diceva Sant’Agostino.

Dobbiamo accettare che nulla può cambiare fi nché noi non saremo pronti a cambiare noi stessi.

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possibile una spiritualità, un senso profondo del lavoro umano?

Riportando l’interrogativo al suo ambito più immediato, più proprio e più ristretto, quello della persona che lavora, ciò che si può dire in estrema sintesi è che risposte di questo tipo non possono essere date in forma puramente intellettuale. Il senso del lavoro non può essere dato semplicemente dall’esterno, a mo’ di formula risolutiva e una volta per sempre: occorre piuttosto, da parte di ciascuno, continuare a ricercarlo, cogliendone ogni suo manifestarsi per sceglierlo, volerlo, potersene appropriare. Esso è sì iscritto nel lavoro stesso, è pronto a concedere innumerevoli manifestazioni della sua presenza, ma a prezzo che si sia disponibili a raccoglierne la sfi da; è disponibile al vissuto di ciascuno ma non diviene realtà a meno del prezzo di una scelta.

Occorrono inoltre, per questo, adeguate condizioni, non riducibili al livello personale, ma sociale. Se dare un senso al lavoro è risposta ad una chiamata insista nel lavoro stesso, le condizioni che rendono possibile la risposta stessa esigono di essere predisposte a livello sociale, perché non determinabili dal singolo lavoratore. E’ quanto, fra l’altro, Papa Benedetto XVI esplicita in Caritas in veritate, ai paragrafi 25 e 63.

Neppure questo passaggio, tuttavia, è da ritenersi ultimativo. Il lavoro non può manifestare il suo senso pieno, se non in quanto a sua volta riferito ad un oltre da sé che lo porti a compimento. Se si vuole evitare una “ideologia del lavoro”, o quanto meno una sua idealizzazione, per aprirsi invece ad una vera e propria “teologia del lavoro”, così come Laborem exercens prospetta, occorre mettere in luce con forza il fatto che lavoro ha bisogno, a sua volta, di essere iscritto entro qualcosa di più grande, mirato non soltanto alla ricerca di un suo senso, ma ad una salvezza, ad un compimento di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. In ultima analisi, anche il lavoro può e deve essere salvato; rimane fi ne intermedio, non ultimo dell’uomo. Come il libro della Genesi

rivela in modo insuperabilmente espressivo, e come Laborem exercens magistralmente afferma, l’uomo è fi n dalle origini chiamato al lavoro, ma ultimamente quel lavoro è fi nalizzato al riposo supremo in Dio, alla risurrezione, al prendere parte a quel “giardino della vita” di cui l’uomo può possedere, nella storia, alcune vere quanto provvisorie anticipazioni, non la pienezza.

Il lavoro è bene alto, non ultimo. Carico di valenze pratiche, educative, relazionali, etiche, simboliche, teologali, richiede in ogni caso la luce e l’apporto della grazia che lo liberi e lo salvi, come ogni darsi storico della libertà. Anche il lavoro infatti è luogo, in ultima analisi, di possibile santifi cazione, purché accolto in quanto posto originariamente e realmente entro l’unica Santità, quella di Dio. Come diverse fi gure esemplari di testimonianza cristiana attestano, si può anche diventare santi nell’esercitarlo: come a dire che anche il lavoro ha un posto nel piano di Dio, nel suo disegno di salvezza. Ma non è, esso stesso, salvezza. E il fi ne ultimo dell’uomo, di ogni uomo, dell’umanità nel suo insieme, è altro: anzi, è un Altro … Umanizzazione e santifi cazione del lavoro, ci è stato rivelato e insegnato, corrono nella stessa direzione. Il prossimo Incontro Mondiale delle Famiglie che si terrà proprio a Milano, dal 30 maggio al 3 giugno 2012, sul tema: “La Famiglia: il lavoro e la festa”, sarà ulteriore, favorevole occasione per riscoprirlo.

S.E. MONS. EROS MONTIVicario Episcopale per la Vita Sociale - Arcidiocesi di Milano

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S.Em.R. Cardinale FRANCESCO COCCOPALMERIO Presidente Pontifi cio Consiglio per i testi legislativi

a dignità dell’uomo, fondata sul suo essere “immagine” di Dio, si realizza non solo nel custodire le opere da Lui fatte, ma anche nel riconoscerne il senso e nel portarle a compimento con la sua libertà. Allora Dio, creando l’uomo, non dà vita ad un soggetto passivo, a un servo che gli sia utile e gli risparmi la fatica, ma ad uno “come” lui. L’uomo perciò non si limita a lavorare “per” Dio, ma la sua attività è un lavorare “con” Dio. Un Dio che cerca amici e collaboratori, non servi.

Il Concilio Vaticano II, a questo proposito, ricorda che la consapevolezza che il lavoro umano rappresenta una collaborazione all’opera di Dio deve permeare “le ordinarie attività quotidiane” perché esse “danno un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia” (Gaudium et spes n.34). Quanto dista tutto ciò dal pensare che il lavoro non sia altro che la punizione del peccato originale! Il lavoro appartiene alla condizione originaria dell’uomo e precede la sua caduta; non è perciò né punizione né maledizione.

D’altra parte, lavorare per dio e con dio signifi ca affermare la positività del creato e della vita che il Verbo stesso di Dio ha assunto facendosi carne.

L’affermazione della positività della materia non è un fatto scontato. Infatti, tra quei grandi sistemi di signifi cato che sono le religioni, il Cristianesimo è in pratica l’unico a dare una valutazione positiva della materia. Le religioni non abramitiche, in particolare quelle orientali, per lo più vedono la materia come un inganno che ostacola la fusione dello spirito individuale con la totalità dell’essere. Ma se il distacco del mondo materiale diventa l’aspirazione ideale, allora il lavorare per migliorare il mondo mediante la ricerca scientifi ca e la tecnica perde di signifi cato. Il Cristianesimo, invece, ha riconosciuto grande importanza al lavoro. Nel mondo antico sono gli schiavi a lavorare, i liberi si occupano di altre cose. La concezione cristiana emerge soprattutto in un passo del Vangelo di Giovanni: “Il Padre mio opera

sempre e anche io opero” (5,17).

Gesù parla del Creatore del mondo, che rimane Creatore, che non si è ritirato dal mondo ma continua a lavorare con i nostri cuori e con la nostra intelligenza per costruire un mondo che dovrebbe diventare una città di Dio.

Questa materia di per sé buona, affi data alle mani e all’intelligenza dell’uomo, è innanzitutto un dono, che l’uomo è chiamato ad utilizzare e a far crescere.

Mediante il lavoro allora egli esprime il suo compito e il suo desiderio di trasformare la realtà per renderla una dimora più umana, più idonea alle sue esigenze.

Attraverso il lavoro, inoltre, l’uomo rende presenti le condizioni necessarie perché egli possa esprimere le altre dimensioni della sua personalità quali quelle amicali, affettive, familiari, sociali, politiche e religiose.

Il lavoro, alla luce della Bibbia, dunque, consente all’uomo di conoscere meglio sé stesso e la realtà che lo circonda e gli permette di maturare non solo nelle sue capacità e competenze ma anche nella sua personalità.

A condizione però che il lavoro sia fatto bene, innanzitutto perché da esso dipende la dignità di chi lavora e la possibilità per lui di provare gusto e soddisfazione nello svolgerlo.

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a riforma del mercato del lavoro che il Governo ha inviato al Parlamento contiene in larghissima parte quanto defi nito nel confronto che le parti sociali hanno avuto con il Governo nelle ultime settimane. Le riforme devono essere costruite con il consenso sociale. Anche i governanti più forti ed autorevoli hanno bisogno della partecipazione e del coinvolgimento dei corpi sociali. Questa esigenza rientra nello spirito della dottrina sociale della Chiesa, perché riconosce il ruolo del sindacato quale strumento per ridare dignità al lavoro e a coloro che lo esercitano. Sulla scia di questo concetto, che è stato anche alla base delle tante encicliche sociali, a cui recentemente anche Papa Benedetto XVI si richiama, occorre far maturare all’interno del mondo cattolico l’idea stessa che ci vuole una maggiore cooperazione nel paese. Una cooperazione capace di sostenere quel progetto popolare che già nel dopoguerra aveva contribuito a far rinascere l’economia italiana dalle macerie della guerra. Un progetto globale in cui l’individuo non era semplicemente tale ma parte di un tutto, in uno scambio reciproco di aiuto e tutela. Adesso bisogna ritrovare quello spirito del dopoguerra che era alla base della solidarietà sociale. Tocca a noi cattolici, tutti insieme riaffermare lo spirito vero del lavoro orientato al bene degli altri. Non dobbiamo sottrarci dalle nostre responsabilità, sperando che ci sia sempre qualcun altro che agisca per noi, confi dando sempre nel taumaturgo della situazione. Abbiamo toccato con mano la fragilità di quel sistema, i cui frutti sono stati l’individualismo e il consumismo più sfrenati, fi nendo nelle mani dei soloni dell’economia e delle lobby dei mercati fi nanziari. Adesso che abbiamo fi nalmente capito, in maniera tragica e pesante le conseguenze di un simile approccio, dobbiamo ritrovare la forza per mobilitarci sugli aspetti più naturali della vita.

Il mondo cattolico in questo senso può fare moltissimo, non solo perché è composto da tante associazioni che si rifanno alla dottrina sociale della Chiesa o addirittura perché si organizzano all’interno della struttura ecclesiale della Chiesa, ma anche per la presenza di tante Associazioni di volontariato, di

Dott. RAFFAELE BONANNISegretario Nazionale CISL

movimenti postconciliari in grado di ritornare al cattolicesimo popolare e al progetto di Don Sturzo. La Cisl pur essendo laica e aconfessionale si è fatta promotrice di questo percorso nuovo, anche perché nel proprio Statuto porta i semi del cattolicesimo. Lo spirito del Forum delle Associazioni cattoliche di Todi è stato proprio quello di rimettere tutti i cattolici in contatto, per creare un collegamento forte in grado di farci riprendere tutti insieme il carico delle nostre responsabilità. Non si tratta di far nuovi partiti. La nostra speranza è che la classe politica possa tornare a rappresentare gli interessi dei cittadini, in un rapporto diretto tra eletti ed elettori. La politica deve essere rifondata, riscoprendo i valori dell’umanesimo del lavoro, dell’etica pubblica, della solidarietà, dell’equità fi scale. Prima si fa tutto questo, meglio è per il nostro paese.

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Dott. PIETRO MARIA BRUNETTI Direttore Relazioni esterne ed istituzionali Ferrero

a profonda consapevolezza dei principi etici e sociali insiti nella cultura del Gruppo Ferrero sono state le fonti ispiratrici di Michele Ferrero nella costituzione delle Imprese Sociali. Lo scopo del progetto Imprese Sociali è di estendere l’impegno della Ferrero nel contribuire concretamente al miglioramento delle condizioni di vita e di sviluppo delle popolazioni delle aree più povere del mondo, partendo dal presupposto che la povertà e le sue disastrose conseguenze si combattono effi cacemente soprattutto creando posti di lavoro e fonti di produzione.

Sul tema, ci fornisce uno spunto di rifl essione Benedetto XVI con la Sua enciclica Caritas in veritate: gli aiuti internazionali allo sviluppo, “al di là delle intenzioni dei donatori, possono a volte mantenere un popolo in uno stato di dipendenza e perfi no favorire situazioni di dominio locale e di sfruttamento all’interno del Paese aiutato. Gli aiuti economici, per essere veramente tali, non devono perseguire secondi fi ni. Devono essere erogati coinvolgendo non solo i governi dei Paesi interessati, ma anche gli attori economici locali e i soggetti della società civile portatori di cultura, comprese le Chiese locali” (58).

Ma quale “sviluppo” ha in mente il Papa? Secondo la dottrina sociale della Chiesa, la fame non si combatte da sola. La sfi da è complessiva. È una sfi da alla povertà, a favore della pace, della giustizia e della libertà, a cominciare dalla libertà di professare la propria fede religiosa. E lo sviluppo non può coincidere nel semplice aumento del benessere economico, nel profi tto. Lo sviluppo è anche, e prima di tutto, morale e spirituale: “Rispondere alle esigenze morali più profonde della persona – scrive il Papa nella sua recente enciclica sociale – ha anche importanti e benefi che ricadute sul piano economico. L’economia infatti ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento; non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona. Questi processi suscitano apprezzamento e meritano un ampio sostegno” (Caritas in veritate, 45).

Senza anima – sembra volerci dire papa Ratzinger nella sua enciclica sociale – nessuno sopravvive. Senza anima, perfi no l’economia si ammala, deperisce, e infi ne muore. Ma che cosa può dare “anima” all’attività produttiva? Il Papa è convinto

che “possano essere vissuti rapporti autenticamente umani, di amicizia e socialità, di solidarietà e di reciprocità, anche all’interno dell’attività economica e non soltanto fuori di essa o “dopo” di essa”. In particolare, “nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica” (Caritas in veritate, 36).

Il Papa disprezza il profi tto? No, e neppure lo sottovaluta. Ma sa che non tutto è profi tto: “Occorre che nel mercato si aprano spazi per attività economiche realizzate da soggetti che liberamente scelgono di informare il proprio agire a principi diversi da quelli del puro profi tto, senza per ciò stesso rinunciare a produrre valore economico” (37).

Il Progetto Imprese Sociali oltre ad offrire all’individuo la possibilità di ottenere un reddito che consenta di affrontare il costo della vita per sé e la famiglia:

• Dà a chi lavora un rinnovato senso della dignità e soprattutto la consapevolezza di divenire protagonista del proprio destino.

• Assicura una duratura formazione professionale.

• Contribuisce a creare la cultura del lavoro, fonte di progresso e di evoluzione civile. Ad esempio: in Camerun, il potenziamento del reparto pediatrico dell’ospedale St. Martin De Porres; in Sudafrica, il fi nanziamento del progetto “Love Matters”: workshops settimanali dedicati ai giovani sulla prevenzione dell’AIDS; in India, il sostegno al “Centro di accoglienza Don Bosco” rivolto ai bambini abbandonati di Mumbay, dando loro un’educazione professionale, e il sussidio al centro “Un tetto a Mumbay”, che aiuta nell’educazione le bambine provenienti da famiglie povere.

In tal modo le Imprese Sociali trovano nel benessere degli individui, nel rispetto della dignità di chi lavora e non nel perseguimento della ricchezza, il fi ne che le ispira.

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l convincimento che ci sia qualcosa oltre al lavoro è un modo di essere del lavoro stesso. Quindi, quale spiritualità nella Magistratura?

Il posto in cui lavoro, il Palazzo della Corte Suprema di Cassazione, comunemente chiamato a Roma “il palazzaccio”, fu apertamente costruito in contrapposizione a Castel Sant’Angelo, quindi concepito in contrapposizione alla presenza della Chiesa Cattolica a Roma: l’Italia moderna e progressista contro l’Italia cupa delle tenebre e dell’oscurantismo. Non è una cosa tanto assurda da credere, perché chiunque visiti il Palazzo ha l’immediata sensazione di essere entrato nel tempio del dio laico. Ci sono i Santi, ossia i Giuristi; la Cappella Palatina, ossia l’Aula Magna, dove invece del Cristo ci sono Giustiniano e Teodora che promulgano le leggi dello Stato. La Cappella è seppellita, quasi nascosta, sotto le scale “trionfali”. L’apertura dell’Anno Giudiziario può essere quindi anche considerato come la celebrazione in pompa magna di un dio diverso, il dio laico.

Qual è il pericolo di questo meccanismo? E’ il pericolo che trapela in vari punti anche dalle Sacre Scritture. Lo Stato può essere considerato una creazione “indiretta” di Dio, per dirla con le parole di San Tommaso d’Aquino, indiretta perché Dio ha creato l’uomo sociale che deve vivere in comunità e la comunità per eccellenza è lo Stato. Oppure, come si evince dall’Apocalisse, lo Stato è il Leviatano che emerge dalle acque, un mostro che gli artisti del Cinquecento seppero magistralmente disegnare come un corpo fatto di tanti omini.

Detto questo, qual è la vera natura dello Stato? Qual è la vera natura dell’attività pubblica? Certamente, possono essere date diverse e numerose risposte, ma è proprio qui che entra in gioco la spiritualità. Infatti, quello che sicuramente la mia professione non deve essere è esercizio del potere per fi ni e scopi personali, quindi strumento di affermazione del proprio potere. Il mio lavoro dovrebbe essere fatto bene e con umanità.

Prof. MARIO CICALAMagistrato Corte di Cassazione – Presidente Commissione Tributi

Personalmente, se penso a quella che dovrebbe essere la caratteristica spirituale del magistrato, allora penso all’umiltà, che però può diventare “presunzione”. Accade ogni volta che un magistrato afferma di essere un “umile strumento nelle mani della giustizia”, perché con queste parole egli evita di assumersi la responsabilità dei propri atti. Insomma, il senso di quelle parole è che anche quando sbaglia egli resta strumento nella mani della giustizia.

Nel caso della professione che ho l’onore di praticare la vera umiltà dovrebbe essere il dubbio, il senso della sproporzione fra ciò che dobbiamo fare e ciò che sappiamo. Se un magistrato è convinto di poter raggiungere la verità, allora il problema non se lo pone neppure e scade nella presunzione. Al contrario, se non vi è certezza di essere in grado di arrivare alla verità, allora in quel momento nasce il dubbio. Il dovere del dubbio è anche il dovere di non credere fi no in fondo in se stessi. La presunzione non può appartenere ad un magistrato. Se non c’è il senso del “relativismo”, ma non del “relativismo della verità”, quanto piuttosto del “relativismo della conoscenza”, allora il pericolo per la nostra professione è lo stravolgimento della verità, prodotto dall’assenza di spiritualità. L’assenza di spiritualità produce l’atteggiamento presuntuoso che disumanizza la professione di magistrato.

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Dott. SANDRO SCARFINI Direttore Commerciale Agenzia Parlamentare

alla Genesi dell’Uomo, il Lavoro è stato argomento principe dell’Umanità, dapprima punizione per l’incontrollato desiderio di conoscere il Bene ed il Male, dopo strumento meritocratico per avere ogni cosa solo dopo la fatica dell’impegno lavorativo.

Quindi, sappiamo comunque, che è solo attraverso il quotidiano lavoro, strumento indispensabile a discernere il Bene dal Male nel sereno distinguo dettati dai valori cristiani, che possiamo sempre più avvicinarci a Dio.

Con questa consapevolezza e con questo impegno fondante, ogni cristiano, ogni giorno attraverso il lavoro appaga i suoi desideri e contribuisce al Bene Comune.

Purtroppo, oggi l’uomo, il lavoro se lo deve conquistare in una società sempre più invasa dall’egoismo di “accaparratori capitalisti” che tendono a relegare la risorsa umana come utilizzo ricattatorio, in cambio di un format consumistico vuoto, formale e fi ne a se stesso. L’esatto opposto di ogni principio rivolto alla solidarietà, al sociale, al Bene Comune.

In questa crisi planetaria economica, ma soprattutto di valori, un grande compito lo ha lo strumento dell’informazione e della comunicazione. Da sempre sappiamo che gli “accaparratori” hanno modellato e indirizzato le due tematiche a seconda dei loro interessi specifi ci. Oggi, attraverso internet, questo assolutismo è diventato vulnerabile, tant’è che una socialità organizzata è in grado di mettere in diffi coltà il “sistema” (social-network).

I giornali e la carta stampata stanno perdendo terreno non avendo la possibilità di essere adeguatamente tempestivi al succedersi delle notizie e, per di più, essendo gravati da costi insostenibili, è diventata materia marginalizzata anche da parte degli “accaparratori”. Sono rimaste al passo, a fatica, solo le testate “classiche”, icone internazionali.

Per velocità di comunicazione, per pregio di sintesi e per volumetria del fl usso di notizie a livello locale, nazionale e internazionale da tempo il mezzo che più si adatta ai nostri tempi è quello dell’Agenzia Stampa. Infatti, da queste attingono notizie che poi i giornali ne confezionano gli orientamenti interpretativi nel rispetto di una sana democrazia d’opinione.

Orbene, noi dell’Agenzia Parlamentare, da più di un anno, abbiamo fatto partire un progetto di

informazione e comunicazione a livello, non solo politico-economico, ma soprattutto “sociale”, questo è stato possibile fornendo la sintesi della notizia direttamente al lettore, in modo che la metabolizzi e, solo dopo, la confronti con i pareri e le valutazioni della carta stampata. Tale obbiettivo si è raggiunto promuovendo forme di abbonamento annuali per pochi

euro, in modo che la possibilità di accesso possa essere consentita a tutti.

Certo questo impegno ci allontana dalle lusinghe degli “accaparratori”, ma la nostra missione sociale ci impone di dare una notizia “certifi cata” istituzionalmente, non inquinata da interessi specifi ci e rivolta ad ogni ceto sociale, soprattutto quelli più disagiati.

Siamo coscienti del ruolo delicato che svolge il mondo dell’informazione, come presupposto essenziale per una formazione etica delle coscienze dei giovani e come strumento per un migliore inserimento nel mondo del lavoro. Impegno che a tal fi ne ci vede attivi per una comunicazione equilibrata e di qualità. Sullo stesso piano rileviamo con soddisfazione il lavoro che quotidianamente svolge l’Ordine dei Giornalisti, assicurando istituzionalmente la competenza e l’eccellenza dei giovani quale nuova classe dirigente politica, professionale e industriale del Paese.

Ogni giorno siamo contattati da 15 milioni di persone in 189 Paesi, ci auguriamo che il nostro esempio sia seguito da altri e, che altre Agenzie Stampa a livello internazionale, si affermino nel mondo Arabo, Africano, Sud America e in tutti i Paesi in via di sviluppo, soprattutto democratico.

La interconoscenza culturale della gente, attraverso l’aggiornamento tempestivo dei fatti, è indispensabile per quell’obiettivo a cui ogni cristiano ambisce, che è l’integrazione pacifi ca dei popoli attraverso una serena interazione preludio indispensabile alla naturale convivenza politico-religiosa.

Chi si impegna con profonda spiritualità nel lavoro non conosce precariato, mobbing o sopraffazioni, infatti risponde ad essi con la conoscenza profonda del Bene, fi no all’estremizzazione dell’applicazione di ogni forma di Volontariato.

Il vero cristiano, nessuno mai potrà distoglierlo dal Lavoro, perché vorrebbe dire allontanarsi da Dio.

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S.E. EDUARDO DELGADOAmbasciatore di Cuba presso la Santa Sede

a Rivoluzione cubana e il Governo del mio paese considerano il lavoro un diritto, un dovere ed un motivo di onore per ogni cittadino. Siamo un paese con una cultura ed una composizione etnica mista. Di conseguenza, nel cubano non c’è spazio per la discriminazione e tanto meno per lo sfruttamento di un uomo sull’altro.

Nel 1971, in una riunione con un gruppo di sacerdoti cattolici a Santiago del Cile, il nostro Eroe Nazionale José Martì disse: “Io vi dico che esistono moltissime più coincidenze tra il cristianesimo ed il comunismo che con il capitalismo”. Su questa idea tornerà quando parlerà ai membri delle chiese cristiane in Giamaica nel 1977: “Bisogna lavorare insieme per fare in modo che quando la politica trionferà, l’idea religiosa non rimanga distante, non sembri nemica dei cambiamenti. Non esistono contraddizioni tra i propositi della religione ed i propositi del socialismo”.

Queste sono le nostre convinzioni e guidati da esse lottiamo per creare una migliore esistenza materiale e spirituale per il nostro popolo. E, tuttavia, il nostro paese affronta condizioni esterne molto negative. Attualmente siamo impegnati in un Processo di Aggiornamento del Modello Economico e Sociale che mira al perfezionamento della nostra società e al raggiungimento di un livello di sviluppo superiore e di soddisfacimento delle richieste materiali e spirituali del nostro popolo. A novembre del 2010 è stato presentato il Progetto di Lineamenti di Politica Economica e Sociale del Partito e della Rivoluzione, nel quale sono poste grandi aspettative da parte del popolo. Si è deciso di scartare la possibilità di eliminare di colpo il sistema di distribuzione di prodotti di base regolati e sussidiati, senza creare preventivamente le condizioni necessarie. Ciò si traduce nella realizzazione di altre trasformazioni del Modello Economico per incrementare l’effi cienza e la produttività del lavoro, in modo che si possano garantire con stabilità livelli di produzione ed offerta dei prodotti e servizi di base a prezzi non sussidiati e nel contempo accessibili a tutti i cittadini. A Cuba, con il socialismo, mai ci sarà spazio per le “terapie di confl itto” verso i più bisognosi che sono, tradizionalmente, quelli che appoggiano la Rivoluzione con maggiore fermezza. Qui c’è la differenza radicale con le misure che si impiegano frequentemente su mandato del Fondo Monetario Internazionale e di altri organismi economici mondiali in danno dei popoli del Terzo Mondo ed anche, negli ultimi tempi, delle nazioni più sviluppate, dove si reprimono con violenza le manifestazioni popolari

e studentesche. La Rivoluzione non lascerà nessun cubano senza protezione ed il sistema di assistenza sociale si sta riorganizzando per assicurare il sostegno differenziato e razionale di quelli che realmente lo richiederanno. Invece di sussidiare massicciamente prodotti, come facciamo ora, si passerà progressivamente all’assistenza di persone che non hanno alcun sostegno.

Questo principio conserva la sua totale vigenza nella riorganizzazione delle forze di lavoro, già in attuazione, per ridurre i costi infl azionati nel settore statale, valorizzando necessariamente l’idoneità dimostrata. Processo che continuerà ad essere portato avanti, senza fretta, ma senza pause, dove il ritmo sarà determinato dalla nostra capacità di creare via via le condizioni richieste per il suo totale compimento.

A tutto ciò dovrà contribuire, tra gli altri fattori, l’ampliamento e la fl essibilità del lavoro nel settore statale. Questa forma d’impiego, in cui sono stati accolti più di 200 mila cubani dall’ottobre del 2010, essendosi raddoppiata la quantità di lavoratori in proprio, costituisce un’alternativa di lavoro tutelata dall’attuale legislazione e perciò appoggiata e protetta dalle autorità, a tutti i livelli. Esigendo, nel contempo, il rigoroso rispetto degli obblighi, incluso quelli tributari. L’incremento del settore non statale dell’economia, lungi dal signifi care una presunta privatizzazione della proprietà sociale, è al contrario un fattore che facilita la costruzione del socialismo a Cuba, visto che permetterà allo Stato di concentrarsi nel miglioramento dell’effi cienza dei mezzi fondamentali di produzione, proprietà di tutto il popolo, e di disfarsi dell’amministrazione di attività non strategiche per il paese.

Tutto ciò contribuirà a far si che lo Stato continui ad assicurare a tutta la popolazione, in maniera equa e gratuita, i servizi di Salute ed Educazione, a proteggerla in maniera adeguata con i sistemi di Sicurezza e Assistenza Sociale, a promuovere la cultura fi sica e lo sport a tutti i livelli, a difendere l’identità e la conservazione del patrimonio culturale e della ricchezza artistica, scientifi ca e storica della nazione.

Lo Stato Socialista avrà allora maggiori possibilità di trasformare in realtà il pensiero di José Martì che ispira la nostra Costituzione: “Voglio che la prima Legge della nostra Repubblica sia il culto dei cubani alla piena dignità dell’uomo”.

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Avv. CARLO FRATTA PASINIPresidente Banco Popolare di Verona

a volontà di affermare il lavoro come fonte di dignità della persona e pilastro della Costituzione è la sfi da che la Caritas in Veritate di Benedetto XVI pone alla politica.

La sfi da per il lavoro è, in primo luogo, un’opzione etico-politica. Ma è anche un’opzione per lo sviluppo sostenibile. Equità e sviluppo vanno insieme. L’equilibrio saltato tra il 2007 e il 2008 era insostenibile in quanto sorretto dalla regressione del lavoro nelle economie mature e dalla conseguente massiva concentrazione del reddito e della ricchezza. La fi nanza allegra era funzionale ad alimentare a debito la macchina dei consumi.

Gli eventi degli ultimi mesi lo dimostrano. Le domande che provengono dalle piazze del Maghreb sono domande di lavoro, di miglioramento delle condizioni materiali di vita. Sono domande di libertà, di dignità della persona. Come le domande degli indignatos a Puerta del Sol a Madrid e davanti al Parlamento di Atene. Come le domande dei ragazzi e delle ragazze di Occupy Wall Street a Manhattan. Come le domande dei giovani italiani, precari e disoccupati, rimbalzate dalle manifestazioni «Non +» del 9 aprile 2011. Sono domande di recupero di centralità della persona, di riappropriazione della politica, di riavvio della regolamentazione democratica dell’economia. Le democrazie nazionali non hanno strumenti adeguati per rispondere alle domande. La debolezza della democrazia ha le stesse radici della debolezza del lavoro. Il futuro del lavoro è il futuro della democrazia.

Per orientare la rotta, sono di grande interesse le rifl essioni contenute nell’ultima enciclica di Benedetto XVI, la Caritas in veritate (29 giugno 2009). Quali sono i punti essenziali proposti dalla rifl essione del Pontefi ce e nei più importanti interventi della Chiesa sulle questioni economico-sociali? Mi riferisco al documento predisposto dal Pontifi cio Consiglio della Giustizia e della Pace (ottobre 2011) per il G20 di Cannes («Per una riforma del sistema fi nanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale») e alla prolusione del cardinale Bagnasco al Convegno nazionale dei direttori della Pastorale sociale svolta il 25 ottobre scorso a Rimini («Educare al lavoro dignitoso. Quaranta anni di pastorale sociale in Italia»).

La rifl essione di Benedetto XVI mette in discussione alla radice il paradigma liberista e il primato dell’economia sulla politica. In particolare, mette in

discussione la logica di funzionamento dell’ordine economico e sociale stratifi catosi a partire dall’inizio degli anni ottanta. E, soprattutto, mette al centro della prospettiva una visione dell’uomo incompatibile con l’impianto dell’individualismo metodologico, ossia con la visione fondativi del liberismo.

Quali sono i pilastri del neo-liberismo con i quali fare i conti? Primo: l’economia fa da sé e, quando servono regole, se le fa da sola. Secondo e conseguente pilastro: meno regole uguale più sviluppo, in particolare, meno regole nel mercato del lavoro uguale più sviluppo. Terzo pilastro: l’economia tende sempre alla piena occupazione. Sono le interferenze della politica e della politica economica a portare il sistema fuori equilibrio. Tra le interferenze ci sono il sindacato e le associazioni delle imprese. Tra le interferenze c’è il contratto collettivo nazionale di lavoro che impedisce la riduzione dei salari nominali necessaria a occupare quanti si offrono sul mercato del lavoro ma la soglia dei minimi contrattuali rende inutilizzabili a causa della loro scarsa produttività. Tra le interferenze c’è un diritto del lavoro che ancora assume un’irriducibile asimmetria nei rapporti di forza tra domanda e offerta di lavoro e che, nella nostra Costituzione, ancora prevede qualche protezione per i lavoratori.

Le conseguenze del trionfo liberista e degli interessi materiali ad esso sottostanti sono sotto gli occhi di tutti. È la regressione delle condizioni del lavoro e la conseguente disuguaglianza nella distribuzione del reddito, della ricchezza e delle opportunità di mobilità sociale la causa prioritaria della rottura dell’ equilibrio dell’ultimo trentennio.

Valorizzare la persona che lavora è condizione per promuovere lo sviluppo sostenibile. Qualità del lavoro e qualità dello sviluppo sono le due facce della stessa medaglia. Valorizzare la persona che lavora è condizione per segnare in senso progressivo la transizione in corso e rivitalizzare le democrazie delle classi medie e, così, uscire dal tunnel buio della recessione.

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Prof. STELVIO PIETROBONOPresidente Onorario Confederaziende

’imprenditore può assimilare la recessione ad un inatteso nemico che vuole distruggergli l’azienda e, pertanto, è costretto a difendersi ed a sconfi ggere l’avversario per far sopravvivere la propria azienda sul mercato, raffi gurabile come un campo di battaglia. Ma, per fronteggiare l’attacco e vincere, occorre un esercito adatto allo scopo.

L’esercito è l’azienda che deve essere attentamente valutata nella forza della sua articolata composizione prima di iniziare “la battaglia”, pena la soccombenza.

Ogni imprenditore, se vuole, può misurare la forza della propria azienda, intendendo la forza come la capacità di competere con successo sul mercato.

Come fare ? Occorre prima di tutto verifi care se ci sono eventuali punti di debolezza o criticità indagando le “aree d’interesse dell’azienda”, inizialmente divise in macroaree.

Pertanto, traccerò delle “linee guida” rappresentate dall’individuazione di queste macroaree, quelle più caratteristiche, dopodiché, rispetto ad esse, porrò alcune domande signifi cative affi nché l’imprenditore, o chi lo rappresenta, possa comprendere dalle risposte l’esistenza di eventuali guasti o problemi nella gestione della propria azienda.

Una volta acquisita la conoscenza e consistenza delle diffi coltà, l’imprenditore potrà verifi care, con l’eventuale ausilio dei consulenti, la reale possibilità di risolvere le negative situazioni venute alla luce.

È opportuno puntualizzare che ogni macroarea d’interesse dell’azienda può essere esplorata per livelli di analisi sempre più minuziosi dove, ogni livello, rappresenta un’area d’indagine più piccola e ricca di particolari della precedente. Ciascuna macroarea nella visione dinamica può essere raffi gurata come uno zoom in azione, il quale, inizialmente, fi ssa un territorio, che è la macroarea in esame e, poi, in avvicinamento, intercetta sempre con maggiore nitidezza, i particolari ritenuti interessanti ai fi ni

dell’indagine.

Sempre più spesso, mi sento porre dagli imprenditori della PMI il seguente interrogativo: “L’azienda non va bene e l’economia è in recessione. Cosa posso fare ?” Rispondo che in questi casi occorre affrontare il problema con rapidità e giudizio. Infatti, lo scorrere del tempo, senza l’adozione degli opportuni cambiamenti, peggiora la situazione. Anche il chiudere i battenti, se non c’è altro da fare, rappresenta una soluzione dura e dolorosa da accettare per l’imprenditore, ma ha il vantaggio di essere liberatoria, psicologicamente e praticamente.

Ma la soluzione che comporta la cessazione dell’attività aziendale è quella estrema, quella che si deve adottare quando l’azienda, oggettivamente, non ha più vitalità, non ha più futuro. Prima di arrivare a questa estrema decisione è essenziale acquisire consapevolezza sull’eventuale patologia che affl igge l’impresa per capire se i problemi sono risolvibili, come lo sono ed in quanto tempo. Per pervenire alla comprensione di ciò che è fondamentale conoscere prima di operare la corretta scelta sul da farsi vengono utili le suddette linee guida. Il comprendere è sempre propedeutico al fare !

Molti imprenditori della PMI, nella fase della recessione, sono portati a ridurre i budget per il marketing attendendo istintivamente che le condizioni di mercato migliorino ma, nell’attesa, accumulano perdite d’esercizio e s’indebitano. Non hanno chiaro, questi imprenditori, che con la loro inutile attesa espongono le aziende al grave rischio della perdita di quote di mercato e, nei casi estremi, all’estinzione. L’attendere non può produrre risultati positivi in quanto il sistema sociale economico e fi nanziario è mutato per sempre e le imprese, per sopravvivere, devono operare un tempestivo, intelligente articolato cambiamento che le sintonizzi sulla lunghezza d’onda della nuova composita realtà dei mercati nei quali competono.

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Dott.ssa. MANUELA DI MARTINOBoard President della Libera Università degli Studi di Scienze Umane e Tecnologiche di Lugano (L.U.de.S.)

a L.U.de.S., con sede a Lugano, è una realtà giovane, dinamica, aperta al dialogo e al confronto culturale e scientifi co con enti, strutture, istituzioni locali, nazionali e internazionali, nel segno del comfort esistenziale e ambientale, della professionalità, dell’affi dabilità, della sicurezza, fi nalizzate al singolo uomo, alla sacrale custodia della sua unicità.

Lo spirito informatore dell’Ateneo si riassume, appunto, nella centralità dell’uomo, quale libero essere progettante, abitato da quello stupore originario che da sempre alimenta la sua azione nel mondo.

L’attenzione alla persona come singolarità irripetibile, nell’ordine dei valori, delle scelte e dell’agire, costituisce a tutto tondo il punto di partenza e d’arrivo di ogni attività della L.U.de.S., i cui standard di eccellenza si concretizzano anche attraverso la Certifi cazione Federale Svizzera di Qualità, EduQua .

Fa parte integrante della L.U.de.S. anche Il Poliambulatorio clinico, istituito nel 2007, fi nalizzato a soddisfare le necessità connesse alla didattica, all’attività di tirocinio di pratica clinica e alla ricerca scientifi ca, nel convincimento che didattica, applicazione pratica e ricerca devono interagire in un continuum operativo, in modo che gli studenti, i ricercatori e i docenti possano integrare effi cacemente le nozioni teoriche con le verifi che “sul campo”.

Il Poliambulatorio eroga, attraverso i suoi professionisti, anche servizi direttamente sul luogo dove si svolgono eventi e attività sportive, sempre nel segno dell’attenzione alla persona come realtà totale di senso.

Vale, a questo proposito, una nitida pagina di Karl Jaspers, che costituisce il messaggio di fondo della L.U.de.S.: “Il pensiero-guida dovrebbe essere questo: solo il medico che si relaziona ai singoli malati adempie all’autentica professione medica. Gli altri praticano un onesto mestiere, ma non sono medici”.

L’Università nasce con due Facoltà, Scienze Mediche

e Scienze Umane, con punte d’eccellenza nei seguenti ambiti:

- Medicina Riabilitativa e dello Sport, con Corsi di Laurea in Fisioterapia di ormai consolidata tradizione e un importante Corso di Alta Formazione in Riabilitazione e Riatletizzazione e Perfezionamento del Recupero Sportivo, coordinato dal Prof. Franco Combi, Direttore Area Medica FC Internazionale-Milano.

- Alimentazione, Salute e Benessere, con particolare attenzione all’agroalimentare e alla fi losofi a della persona come sintesi di biologia e cultura.

- Antropologia, Criminologia, Investigazione e Sicurezza, con un rilevante Executive Master in Antropologia criminale e Tecniche investigative.

- Scienze giuridiche, sociali ed economiche, con importanti studi nel campo del trust e della fi scalità internazionale.

Nel 2009 è stato attivato l’Istituto “Paolo Sotgiu” per la Ricerca in Psichiatria e Cardiologia Quantitativa e Quantistica, che costituisce ormai un punto di riferimento internazionale per gli studi e le ricerche sulla Depressione Maggiore e i disturbi dell’umore in genere.

L’Istituto, diretto dal Prof. Massimo Cocchi, vanta la collaborazione di personalità del mondo scientifi co di fama internazionale, privilegiando un taglio interdisciplinare e transdisciplinare: biologia, biochimica, antropologia, fi losofi a, fi sica quantistica, matematica superiore… L’Istituto pubblica la sua ricerca su importanti riviste scientifi che di livello internazionale.

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a ricorrenza di un centenario di presenza pastorale di una parrocchia in un quartiere di Roma rappresenta occasione e stimolo per bilanci e prospettive future. Lo hanno fatto i Servi della Carità dell’Opera Don Guanella che hanno profuso e continuano a farlo con il loro impegno di pastori generosi e attenti. Generazioni intere di Religiosi motivati ed entusiasti hanno prestato la loro opera, la loro creatività pastorale in mille iniziative che hanno fatto crescere la consapevolezza che l’edifi cio è solo la metafora visibile della tenda di Dio tra gli uomini, che il tempio e le strutture annesse sono unicamente al servizio gratuito della Comunità delle persone del quartiere.

I Padri Servi della Carità che si succedono alla guida della Comunità parrocchiale si propongono sin dall’inizio di annunciare la Buona Novella alle nuove famiglie, appartenenti al ceto medio della città. Si comincia con la catechesi, la liturgia, l’esercizio della carità, con in ogni parrocchia. La spiritualità del lavoro entra nella logica di questa azione pastorale. E qui veniamo al tema che illustri relatori hanno approfondito in occasione del centenario.

Rammento a tale proposito un intervento del Beato Giovanni XXIII, il papa buono. In un documento che entra in merito al valore delle indulgenze, scrisse che la spiritualità del lavoro comincia con un atto dovuto: la preghiera mattutina del buon cristiano. Se si affi da la giornata al Signore, tutto il lavoro diviene preghiera: è preghiera il lavoro del professionista che redige progetti e li realizza. E’ preghiera l’educazione impartita da un insegnante agli alunni mediante la scuola. E’ preghiera il lavoro faticoso dell’operaio e quello creativo dell’artigiano. E’ preghiera il lavoro di una casalinga che ogni giorno ripete, con monotonia, gli stessi gesti relativi alle faccende domestiche.

Certo, il tema della spiritualità del lavoro attinge alle grandi encicliche sociali dei Pontefi ci, dalla Rerum Novarum di Leone XIII (1891), alla Quadragesimo Anno di Pio XI (1931), alle encicliche sociali Mater et Magistra (1961) e Pacem in terris (1963) del

Beato Giovanni XXIII, alla Populorum progressio (1967) e Octogesima adveniens (1971) di Paolo VI. Il tema viene richiamato dal Concilio Vaticano II nella Gaudiun et spes. Ma è il Beato Giovanni Paolo II a donarci la più bella sintesi sull’argomento nell’Enciclica Laborem exercens (1997), laddove si ripensa in termini nuovi al senso e alla ragion d’essere della presenza e dell’attività dell’uomo nel mondo, con indicazioni pratiche per superare atavici confl itti sociali ed il mysterium iniquitatis (è un’espressione del papa polacco) delle nefaste ideologie del nazismo e del materialismo ateo che tante macerie di uomini e di cose materiali hanno provocato nel XX secolo.

Alla Laborem exercens si rifà il magistero di papa Benedetto XVI soprattutto nell’enciclica Caritas in Veritate (2009), defi nita da un eminente economista italiano l’unico documento che ha saputo prevedere la crisi economica in atto e ha saputo suggerire con coraggio e lungimiranza la via e gli strumenti per poterne uscire.

Sarebbe bello poter evidenziare i passaggi fondamentali che esaltano in tutti questi documenti il tema ricorrente e portante della spiritualità del lavoro, ma saremmo… fuori dai limiti di tempo concessi. Tali documenti del passato, sia pure recente, si suturano con quelli del futuro prossimo. L’incontro mondiale delle Famiglie che si terrà a Milano dal 30 maggio al 2 giugno e che vedrà la presenza di Papa Benedetto XVI, avrà come tema “La Famiglia, il lavoro e la festa”. Ci sia lecito supporre i possibili commenti dei relatori all’incontro. Si parlerà sicuramente del nesso inscindibile tra la famiglia, cellula e supporto fondamentale della società, il lavoro, la cui dimensione teologica richiama la collaborazione dell’uomo a Dio per continuare l’opera della creazione, e la festa, anticipo escatologico della grande festa alla quale siamo destinati quando entreremo nella dimensione dell’eternità.

MONS. VITTORIO FORMENTIResponsabile Uffi cio Centrale di Statistica della Chiesa

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a spiritualità del lavoro vuole evidenziare due idee principali, la prima sull’essenza in se stessa del lavoro inteso come servizio agli altri nella società e la seconda circa l’opportunità di ogni persona di trascendere e migliorarsi per mezzo del lavoro.

In questo senso vorrei parlare dei doveri che ogni essere umano deve vivere nel suo lavoro. Tutto ciò in accordo con quelli che sono i diritti dei lavoratori: Diritto ad un congruo stipendio; Diritto ad un periodo di vacanze; Diritto ad essere promossi; Diritto a ricevere incentivi.

Una vecchia canzone dei caraibi parla di un “ragazzo di colore del batey che si lamenta di ogni cosa e considera il lavoro come un castigo”. Questa visione totalmente materialistica e pragmatica non prende assolutamente in considerazione i doveri dell’essere umano nei confronti della società e di se stesso.

Il primo dovere di una persona che lavora è quello di servire; ed il secondo è unito al primo: farlo bene. Non si serve quando non si lavora bene. Qui si concentra il messaggio principale della spiritualità del lavoro. Tutto ciò che compie una macchina manca di dignità. La dignità è propria di ogni essere umano che è stato creato per lavorare in piena libertà, sforzandosi e donando se stesso.

Il lavoratore deve servire e non semplicemente servirsi del lavoro. Il servizio è un elemento comune ad ogni tipo di lavoro ed è fonte sicura per la spiritualità; tale principio e dovere è un buon antidoto contro l’egoismo, la monotonia e la visione pessimista del ragazzo di colore dei caraibi. Lavorare bene è un dovere che esige virtù umana e sovrannaturale e incomincia dalla formazione professionale o tecnica, con ordine, effi cacia, e pazienza. In alcuni lavori, tali elementi sono di fondamentale importanza. Giustamente, non è paragonabile la responsabilità di colui che pilota un aereo con la vita di duecento persone e di chi lavora nella raccolta dell’uva o del caffè. Non è possibile vivere in pienezza un lavoro quando non si ha come obiettivo quello di servire gli

altri, o quando si considera il lavoro come una mera fonte di guadagno, di potere, di piacere, di onori e di interessi egoistici.

Questa visione annichilisce la spiritualità del lavoro. Un altro dovere è orientato all’onestà: il lavoratore deve essere onesto, sia l’autista di un autobus, sia il ministro di un governo. L’onestà come sentimento non varia in base alla dimensione più o meno pubblica dell’incarico e tanto meno dal livello di stipendio o dalla durata del lavoro.

Il lavoratore deve cercare scrupolosamente la perfezione nel suo lavoro. Non c’è diritto alla superfi cialità. Non è possibile vivere la spiritualità del lavoro con un impegno mediocre. Il lavoro deve divenire mezzo per crescere nella dimensione umana, professionale e spirituale. La visione materialistica del lavoro nega ogni possibilità di crescita spirituale.

A partire da ciò, un altro dovere del lavoratore mira alla trascendenza, a scoprire l’essenza divina del suo lavoro, occupazione o professione. In questo processo si può raggiungere e toccare con mano il massimo dello sviluppo personale, il signifi cato profondo della santifi cazione per mezzo del proprio lavoro, a santifi care gli altri ed a santifi care il proprio posto di lavoro. Tutto questo può essere percepito come un progetto per gli angeli, ma in realtà è solo possibile quando si vive con i piedi per terra.

La spiritualità del lavoro dipenderà dalla fi nezza dell’anima di colui che vive il lavoro e dall’accortezza delle piccole cose, solo per Amore, con il volto ed il cuore rivolto e proteso a Dio senza egoismo e senza vanagloria.

S.E. CESAR MAURICIO VELASQUEZ OSSAAmbasciatore di Colombia presso la Santa Sede

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l punto di partenza per parlare della spiritualità del lavoro non può che essere la Sacra Scrittura. Dal libro della Genesi: “Con il sudore del tuo volto mangerai il pane” (Gn 3,19). Un’affermazione evidente: il lavoro è fatica e insieme mezzo per provvedere al proprio sostentamento. Il secondo riferimento è una benedizione ad Adamo ed Eva: “Dio li benedisse e disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela” (Gn 1,28). Dio associa l’uomo nella sua opera di creatore in due modi: con la fecondità matrimoniale e con il lavoro per “soggiogare” la terra, cioè gestirla e amministrarla con saggezza perché sia casa ospitale e giardino pieno frutti e di fi ori per l’uomo. Dio ha fi ducia nelle capacità dell’uomo e gli affi da il compito di prolungare, completare la sua attività creatrice.

La componente della fatica, sia essa fi sica o psichica, è innegabile nel lavoro, ma più drammatica ancora appare oggi l’assenza di un lavoro retribuito, la disoccupazione. Ed è proprio questa assenza che evidenzia un altro aspetto importante: la dignità del lavoro. “Senza lavoro sono senza dignità”: è l’espressione di un intimo sentimento che prova il lavoratore disoccupato, non solo per non poter provvedere alle proprie necessità ed a quelle della propria famiglia, ma anche per la sensazione di inutilità e sterilità sociale. E allora quella che in alcuni passi della Bibbia potrebbe apparire come una maledizione, un castigo di Dio (“Con il sudore del tuo volto mangerai il pane”), in realtà esplicita un’esigenza insita nel più profondo dell’uomo: il lavoro come autorealizzazione. Sia pure a prezzo della fatica, alle debite condizioni, il lavoro non solo non umilia l’uomo, ma gli permette di esprimersi e autoaffermarsi. Il lavoro è “bello e nobilitante” (Pio XII, Natale 1942). Un ulteriore signifi cato del lavoro: quello della solidarietà verso il prossimo. La concezione biblica del lavoro non è individualistica: non si lavora solo per se stessi, ma anche per gli latri, per contribuire al bene del prossimo.

Volendo riassumere, il lavoro, in tutti suoi elementi,

P. CIRO BENEDETTINIVice Direttore Sala Stampa della Santa Sede

non solo non deve allontanare da Dio, ma deve avvicinare a Lui perché inserisce nel piano creativo e salvifi co di Dio e trasforma il lavoro in un’opera privilegiata di costruzione dei cieli nuovi e della terra nuova, dove ritroveremo trasfi gurato in gioia e gloria tutte le nostre fatiche.Il lavoro, così come è nel cuore della vita sociale è anche nel cuore della vita cristiana. Per il cristiano il lavoro è il luogo primario della propria santifi cazione. Concretamente come si vive una spiritualità del lavoro?

• Il prerequisito è che vi sia una vita spirituale intensa, una vita di impegno a vivere in comunione con Dio, che comporta la preghiera, la partecipazione ai sacramenti e soprattutto all’Eucaristia.

• Il rapporto con Dio fa sì che il lavoro sia vissuto in unione a Dio.

• Il lavoro perciò si trasforma in preghiera.Alle motivazioni umane si aggiungono quelle spirituali per cui ci si sente responsabili non solo di fronte agli uomini, ma di fronte a Dio stesso.

• Il rapporto con Dio nel lavoro produce un supplemento di energia, di serenità che si rifl ette sull’ambiente di lavoro, favorendo un più intenso rapporto di collaborazione e amicizia con i colleghi, migliorando qualità e risultati del lavoro di tutti.

• L’offerta della propria vita e del proprio lavoro raggiunge la massima espressione nell’Eucaristia quando è unita all’offerta che Gesù Cristo fa di sé al Padre sulla croce e ci rende partecipi del dono della salvezza.

• La partecipazione al sacerdozio di Cristo ed alla sua offerta sulla croce trasfi gura in valore anche la fatica del vivere, la sofferenza, l’insoddisfazione, gli insuccessi, che sono in parte ineliminabili dal lavoro. Tutto diventa materiale di salvezza, di costruzione del Regno, dei cieli nuovi e della terra nuova.

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Dott. ANDREA TORRACCAAmministratore Unico della GORDON GLOBAL GROUP

nnanzitutto volevo ringraziar il prof. Alfredo Luciani, Presidente di Carità Politica.

Gordon Global Group è una realtà imprenditoriale che intende rendere pratico e tangibile un processo di eticità, un’etica applicata ai bisogni primari e imprescindibili. Il canale da noi seguito per la facilitazione del processo è una comunicazione snella e moderna, perché pensiamo che la dignità non sia divisibile per classi sociali, perché l’uomo è libero solo se è veramente in grado di poter scegliere.

La nostra più grande attenzione è stata rivolta verso la casa, il vestito dell’uomo o meglio della famiglia. Davanti ad una speculazione insensata che non è stata in grado di rispondere alla domanda di prima casa, una domanda che negli ultimi anni è radicalmente cambiata, un cambiamento dovuto ad un processo di erudizione guidato da internet ed altri sistemi di comunicazione. Tutti ormai sanno che cosa sia un gres porcellanato, il parquet, il riscaldamento a pavimento, un triplo vetro e infi ne si riscontra un fortissimo avvicinamento all’eco sostenibilità.

Come dicevo l’offerta non è riuscita a leggere questo cambiamento e si è interessata solo a far tornare i conti economici riducendo le spese e gli spazi abitativi, dunque ci troviamo davanti a monolocali di 25 metri quadri con il wc accanto al lavello della cucina. Questo comportamento ha portato ad un congelamento totale delle vendite, vorrei citare alcuni numeri, in Italia ci sono circa 330.000 alloggi costruiti e invenduti questo comporta fermi di cantiere con evidenti squarci di cemento e gru abbandonate con enormi esposizioni bancarie e pericolose posizioni di incaglio, tutto condito con una diffi coltà elevatissima per l’accesso al credito, diffi coltà in parte dovuta ai nuovi contratti di lavoro.

Se nel mercato libero la famiglia la coppia giovane il single l’anziano non riescono ad essere accontentati, nell’edilizia sociale troviamo luoghi non troppo accoglienti intrisi di una tristezza e di un profi lo di ghettizzazione poco camuffabile.

Da questa base purtroppo attuale, Gordon Global Group crea un nuovo concetto di housing che avvicina il nuovo modo di approcciarsi della così detta fascia grigia alla prima casa, unendo grazie a studi specifi ci su nuovi materiali costruttivi, che con le stesse performance anzi migliorandole e con un tempo di realizzazione più che dimezzato, garantiscono lo sviluppo della nostra idea.

Il nostro modo di vedere l’abitazione : il Contemporary Housing

Contemporary Housing è minor tempo, minor costo, e migliore qualità.

Qualità di tre tipi, qualità abitativa, rispettando gli spazi vitali, qualità architettonica, forme moderne ma lineari e qualità del vivere con spazi destinati al verde contestualizzati in un contesto abitativo degno di essere chiamato tale.

Mi ha fatto moto piacere sentire in questo convegno che anche le persone più vicine alla Chiesa abbiano utilizzato la parola lavoro come unica speranza per risorgere dalla crisi.

Non è l’unione che fa la forza, ma è l’unione di forze che fa la vera forza.

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Dott. GIORGIO BALDUZZIPresidente WIC Group – WORLDWIDE ITALIAN COMPANIES GROUP

ingrazio, innanzitutto Carità Politica per l’opportunità di presentami a questa convention, e presentare il lavoro che stiamo facendo per contrastare la CRISI affi ancando le aziende con politiche di miglioramento dell’Offerta.In pochi minuti voglio illustrare come opera WIC Group per favorire l’affermazione del singolo e come ciò possa essere di supporto al rilancio dell’economia in cui opera. Per raggiungere i nostri obbiettivi di crescita, e quelli dei nostri clienti, stiamo creando una ambiente di lavoro che faciliti lo sviluppo dell’OFFERTA e di conseguenza stimoli la domanda.La nostra, che è ancora una piccola realtà, sta cercando di creare un ambiente di lavoro basato sulla fi ducia nel risultato e sul merito, dove la qualità e professionalità premiano non solo nel tempo ma anche nell’immediato e dove chi non è in grado di mantenere ciò che promette non trova spazio.L’attività del Network ha le sue fondamenta nel principio di RISCHIO condiviso. Solo se il team raggiunge il risultato ognuno dei partecipanti trova il giusto posizionamento, e la remunerazione del proprio lavoro.Possiamo dire che il Network è esso stesso il risultato dei processi aggregativi che WIC sta promuovendo.Chiediamo ai nostri collaboratori di ispirarsi, nella loro partecipazione al gruppo, alla fi gura del Venture Capitalist, in quanto riteniamo che lo spirito di partecipazione al rischio dell’investitore sia ciò che deve animare gli operatori ed i professionisti di WIC.Il nostro progetto, è di fatto in linea con la politica economica adatta ai tempi in cui viviamo, ridurre i costi del sistema e ambiente di lavoro, e stimolare l’offerta di prodotti e servizi mediante lo sprone all’ innovazione e all’aggregazione imprenditoriale, al fi ne di stimolare la domanda.Questo obbiettivo può essere raggiunto, anche attraverso il controllo pubblico affi dato a professionisti specializzati delle risorse investite nelle aziende, cercando di ridurre il capitale di debito aumentando quello di rischio, nel capitale aziendale con i principi del Venture. Questo consente di implementare il controllo nell’investimento, e l’impegno nell’affi ancamento all’imprenditore nelle politiche di sviluppo.

Le capacita delle piccola impresa italiana, si sa non sono all’altezza della competizione internazionale, e spesso nonostante la qualità del prodotto non si riesce ad affrontare i mercati internazionali a causa delle dimensioni, e dalla mancanza di competenze.Il processo di trasformazione dell’offerta anche se dispiega i suoi effetti sull’economia lentamente può avere notevoli effetti immediati. Non occorre aspettare che una riforma del sistema di ricerca si sia tradotta in un aumento del fl usso annuo di brevetti per trarre benefi cio dalla riforma. Quegli effetti verranno anticipati, incorporati nelle aspettative di reddito a medio termine e sosterranno la domanda di consumo e di investimento oggi. È questo effetto keynesiano delle politiche di offerta che dovremmo perseguire.L’ambiente di lavoro Wic prevede la creazione di una serie di strutture che lavorando in sinergia permettono all’impresa di risolvere ogni tipo di esigenza grazie alle esperienze acquisite; lo scopo è anche quello di ristimolare l’offerta , al fi ne di aumentare la domanda e nel nostro piccolo contribuire allo stimolo del PIL nazionale, mediante una formula che se adottata da molti potrà ristimolare l’economia generale, e dare spazio a tutti coloro che vogliono mettersi in gioco.

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Dott. MARCO DECIODirettore Polo Residenziale & Oil - COFELY Italia Spa GDF SUEZ

ggigiorno, l’impatto del clima è pesante e ridurre le emissioni nocive è diventato un dovere prioritario che necessita l’impegno dell’uomo che è chiamato ad avere degli obiettivi , che rispetti ciò di cui si occupa a livello professionale e che viva in una condizione idonea per poter svolgere il suo lavoro.

Il tema energetico affrontato nella giusta maniera costituisce seriamente un anello della catena fondamentale per la vita di ognuno di noi.

Sono disponibili dati, numeri che provengono dagli studi degli esperti che ci informano che per ridurre le emissioni di CO2, che sono davvero nocive, bisogna progettare soluzioni nuove da mettere in moto e da gestire, che accompagnino l’uomo e siano al suo servizio al fi ne di vivere meglio.

Con il nostro lavoro infatti aiutiamo il mondo a vivere meglio perché operare nel nostro settore solo per business non può e non deve bastare.

Le nostre iniziative attuali? Il nostro personale ad esempio sta studiando in Africa la possibilità di realizzare un piccolo impianto di fotovoltaico da impiantare sopra ad un orfanotrofi o; inoltre, abbiamo creato una Onlus dal nome “Energia Assistenza Italia” che è presente in più Paesi nel mondo (in Italia è appena nata) il cui fi ne è portare le nostre soluzioni competenti per far si che le nostre braccia siano al servizio di chi ha bisogno di soluzioni non per vivere meglio ma, in questo caso, per sopravvivere e non ha le risorse necessarie per farlo.

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S.E. MONS. CLAUDIO MARIA CELLIPresidente Pontifi cio Consiglio delle Comunicazioni Sociali

l tema della spiritualità del lavoro nel campo delle comunicazioni è un tema affascinante, ma allo stesso tempo complesso.

Nel nostro settore di competenza usiamo spesso le parole, cercando di approfondire la comprensione del loro signifi cato. Quindi, quale il signifi cato della parola “spiritualità”? Ebbene, a questo riguardo, ho potuto consultare tre dizionari:

1) La defi nizione che ne dà il Dizionario Palazzi è “qualità che si riferisce allo spirito in quanto intelligenza e sentimento”.

2) La defi nizione che ne dà il Dizionario Zanichelli è “attitudine a vivere secondo le esigenze dello spirito e a dare loro preminenza”

3) La defi nizione che ne dà il Dizionario Enciclopedico è “ciò che si riferisce allo spirito puro astratto dalla materia”.

In questa sede, preferisco richiamare la defi nizione che ne dà il Dizionario Zanichelli. Per affrontare meglio l’argomento della spiritualità del lavoro nel campo della comunicazione, ho voluto suddividere l’analisi in più parti: una parte che tenga conto della persona in quanto tale e un’altra parte che si soffermi sulla professionalità della persona chiamata ad operare nel campo delle comunicazioni sociali.Alla luce dell’insegnamento di Papa Benedetto XVI, un primo aspetto che mi preme sottolineare è che la comunicazione è una dimensione profonda dell’uomo. Noi diventiamo più umani attraverso la comunicazione. Non è un caso che proprio coloro che hanno problemi di comunicazione non riescano a sviluppare pienamente la loro personalità.Se veramente siamo ad immagine e somiglianza di Dio, Dio che è in sé comunicazione profonda di amore (Padre, Figlio e Spirito Santo), allora l’uomo, che è creato a Sua immagine, è creato in questa profonda dimensione comunicativa. Il secondo aspetto su cui vorrei soffermarmi è quello della dimensione della libertà. Il cammino dell’uomo è tale proprio perché esercita

profondamente una sua libertà. Nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, Papa Benedetto XVI ha sottolineato che la vita dell’uomo non è un semplice succedersi di esperienze, ma una continua e libera ricerca della verità, del bene e del bello. Qui emerge un altro tema forte che è la ricerca della verità. L’uomo ha sete di verità, è alla ricerca della verità, poiché qui risiede uno degli aspetti più profondi della sua dignità.

Il terzo aspetto di questo cammino spirituale dell’uomo è la conoscenza. Oggi, le nuove tecnologie forniscono un accesso ampio al sapere. Oggi è più facile trovare informazioni e notizie, è più facile condividere le proprie idee, è più facile l’accesso alle fonti, ai documenti, alle ricerche scientifi che. E’ più facile giungere alla verità, alla verità dei valori e delle tradizioni degli altri. Ma quale verità? Non può trattarsi solamente della “nostra” verità, poiché noi ci relazioniamo e in questo nostro relazionarci sta la crescita del nostro cammino personale. Per usare le parole di Papa Benedetto XVI, pronunciate a Lisbona nel 2012, “dobbiamo imparare a relazionarci con le verità altrui in un dialogo rispettoso”. Credo che questo sia un grande cammino di spiritualità personale, la consapevolezza di ciò che porto nel mio cuore, ma allo stesso tempo il rapporto dialogico e rispettoso nei confronti degli altri.

Il rischio di oggi è uno “scontro di ignoranze”, per dirla con le parole del Cardinale Tauran, Presidente del Pontifi cio Consiglio per il Dialogo interreligioso, nel corso di una intervista alla TV araba Al Jazeera; è la scarsa conoscenza degli altri, dei loro valori e delle loro tradizioni.

Una delle dimensioni profonde della comunicazione moderna è la comunicazione relazionale. Le nuove tecnologie non stanno cambiando soltanto il modo di comunicare, ma la comunicazione in se stessa. E’ in atto una vera e propria trasformazione culturale, perché le nuove tecnologie non aiutano soltanto a diffondere la conoscenza, ma offrono inedite opportunità di costruire nuove relazioni.

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S.E. JOZEF DRAVECKYAmbasciatore della Slovacchia presso la Santa Sede

a Slovacchia da più di ventidue anni gode della libertà dal totalitarismo comunista e il prossimo 1° gennaio festeggerà venti anni della sua indipendenza. Nello stesso tempo abbiamo una forte tradizione cristiana.

Secondo i dati del censimento realizzato in maggio 2011, 66 percento degli abitanti si sono dichiarati cattolici.

Tutto questo, nonché la vita politica democratica, si rispecchia nella legislazione del lavoro.

Il nostro attuale Codice del Lavoro è stato approvato in luglio di 2001 è fi nora è stato modifi cato più di venti volte.

Nei confronti della disoccupazione sempre alta, attuale più di 13 percento e del fatto che ci sono molte persone senza lavoro per anni, si implementano nella legge gli approcci dei partiti politici al governo per proteggere gli impiegati e allo stesso tempo di facilitare la creazione dei nuovi posti di lavoro e la mobilità della forza di lavoro, ma queste sono esigenze contraddittorie, quando si vuole proiettarle nei paragrafi della legge.

Dal punto di vista dell’etica politica è molto importante che ogni progetto di una nuova norma legislativa venga pubblicato sull’internet così ogni cittadino può presentare la propria opinione al ministero responsabile ed esso deve occuparsene.

Esiste anche la cosiddetta tripartite, dove devono essere negoziate tutte le misure con impatto sociale. Ci sono rappresentati il governo, i datori del lavoro e i sindacati.

Non sempre viene raggiunto accordo tra loro, ma posso dire che gli scioperi in Slovacchia non si manifestano così spesso quanto in Italia.

Ciò che può essere diffi cile nei casi particolari, è invece una necessità generale. La legge deve essere

confrontata con i principi morali prima di esser creata e promulgata. La legislazione sul lavoro n’è un campo importante.

Il lavoro ha un ruolo cruciale nella società e nella vita dei cittadini.

Allora nella legislazione sul lavoro e nell’implementazione di essa s’incrociano le dimensioni della persona umana, come la sua dignità inalienabile, quelle della famiglia da sostenere e quelle dell’economia nazionale e solidarietà più ampia.

La Repubblica Slovacca n’è esempio e può offrire sua esperienza.

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Dott. ANTONGIULIO LOMBARDIDirettore Affari Regolamentari e Istituzionali – 3 Italia

n punto fondamentale è individuabile nel rapporto con il cliente e la relativa tutela dello stesso nell’offerta di servizio e dunque la sua consapevolezza e volontarietà nella scelta e nell’acquisto di determinati servizi: tanto più alta è questa consapevolezza, quanto più alto è il livello etico dell’offerta dell’azienda.

Altro aspetto altrettanto importante è quello del controllo dei minori. La tutela dei minori nell’offerta di servizi di comunicazione elettronica è estremamente rilevante, perché lo strumento può essere sia positivo sia pericoloso per il minore stesso e in quest’ottica è fondamentale l’attività di educazione che l’azienda fa nei confronti dei consumatori adulti, i quali a loro volta sono gli unici che possono indirizzare il cliente minore. In questi anni si è andata accentuando, la consapevolezza di questo importante aspetto.

Oggi i bambini tra i 7 e i 15 anni ne sanno molto di più dei genitori stessi, e questo implica una problematica da parte dell’adulto di comprensione dei rischi possibili, e per questo la società che offre servizi deve adoperarsi per aiutare l’adulto ad educare il minore. L’azienda deve far capire l’importanza dello strumento con le enormi potenzialità dello stesso se utilizzato in maniera corretta.

Inoltre importante è il rapporto con i consumatori, con relative politiche di risoluzione delle problematiche che possono sorgere tra azienda e cliente.

Il secondo aspetto è dato dal rapporto tra azienda e consumatore, con due approcci differenti: approccio di tipo legale, con la lettura puntuale della norma, o approccio etico, con un rapporto proattivo. Tale approccio è quello utilizzato dalla nostra azienda, con ad esempio la creazione di asili nido, o attenzione a handicap, che va al di la del rapporto normale tra azienda e lavoratore.

L’ultimo ambito di cui è importante parlare, è quello che riguarda il mondo e la società. Siamo attivi come operatori di telecomunicazioni, in un ambito di raccolta fondi immediata, attraverso l’invio di sms.

Grazie a particolare normativa fi scale, tali sms sono esenti da Iva, e si alimenta un borsellino che l’azienda gira all’associazione che lo ha promosso, e si dà la possibilità di raccogliere fondi, senza fi nalità di lucro ma fi nalizzati a risolvere problematiche di emergenza strutturali o improvvise.

Questo è il modo in cui la nostra azienda cerca di declinare l’attività etica, che non deve essere attività volta al lucro ma con risvolto sociale e con attenzione alla crescita del lavorare e del cliente.

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Dott. ALBERTO CONTRIPresidente Fondazione Pubblicità Progresso

Pubblicità Progresso nasce nel 1971 come associazione senza fi ni di lucro.

Nel 2011 ha compiuto quarant’anni di vita all’insegna della sussidiarietà: contrariamente a quanto molti pensano, non è una istituzione dello Stato ma un Ente che vive da sempre della gratuità dei comunicatori italiani.

Nell’ottobre 2005 diventa una Fondazione, per creare una struttura dotata di risorse economiche adeguate al perseguimento dei suoi obiettivi.

La Fondazione, oggi presieduta da Alberto Contri, conta in qualità di soci partner importanti attenti ai problemi sociali. Essi provengono da tutte le aree professionali ed economiche coinvolte nella dinamica della comunicazione: aziende, agenzie, mezzi di comunicazione, produttori, istituti di ricerche di mercato.

Le campagne sociali sono state da sempre l’attività istituzionale di Pubblicità Progresso. Dal 1971 ad oggi ne sono state realizzate 38 sulle tematiche sociali più diverse: dai diritti delle minoranze, alla difesa dell’ambiente, dai problemi dell’infanzia ai diritti e doveri dei cittadini. Tutto questo con l’intento di dimostrare l’utilità di un’azione di comunicazione coordinata e effi cace, effettivamente capace di stimolare la coscienza civica dei cittadini.

Con la trasformazione in Fondazione, Pubblicità Progresso ha allargato in maniera rilevante il proprio raggio di azione, fornendo un servizio di sostegno professionale ad associazioni, enti e fondazioni che realizzano campagne sociali, per aiutarle a produrre campagne realmente utili alla collettività.

Le attività della Fondazione comprendono:

• la Conferenza Internazionale della Comunicazione Sociale, che si tiene ogni anno dal 2005, sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica;

• l’attività di formazione, che prevede ideazione e organizzazione di corsi formativi, seminari e conferenze

• la mediateca, che raccoglie in un archivio on-line le migliori campagne di comunicazione sociale realizzate ogni anno nel mondo.

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S.E. CARLOS DE LA RIVA GUERRAAmbasciatore della Bolivia presso la Santa Sede

ué es el trabajo. Sobre el tema social la Iglesia Católica ha hablado de manera consistente siempre. Desde los primeros santos, Doctores de la Iglesia hasta nuestros días, con singular mesura en algunas ocasiones, pero siempre con claridad. El problema es que quienes deberían leer la doctrina social de la Iglesia, no lee porque no le interesa.

Sobre el trabajo voy a recurrir a dos fuentes, el Vaticano II y la encíclica, Laborem Exercens de Juan Pablo II.

En la Constitución sobre la Iglesia, Lumen Pentium, leemos en el No. 34 lo siguiente: Cristo Jesús supremo y eterno Sacerdote, desea continuar su testimonio y su servicio también por medio de los laicos; por ello, vivifi ca a éstos con su Espíritu e ininterrumpidamente los impulsa a toda obra buena y perfecta... Pues todas sus obras preces y proyectos apostólicos, la vida conyugal y familiar, el trabajo cotidiano, el descanso del alma y del cuerpo, si se realizan en el Espíritu, incluso las molestias de la vida si se sufren pacientemente, se convierten en hostias espirituales, aceptables a Dios por Jesucristo... En el No. 36 dice: Procuren, pues, seriamente, que por su competencia en los asuntos profanos y por su actividad, elevada desde dentro por la gracia de Cristo, los bienes creados se desarrollen al servicio de todos y cada uno de los hombreas y se distribuyan mejor entre ellos, según el plan del Creador y la iluminación de su Verbo, mediante el trabajo humano, la técnica y la cultura civil; y que a su manera estos seglares conduzcan a los hombres al progreso universal en la libertad cristiana y humana.

Solo esto es ya una declaración de parte de la Iglesia solemne del valor y sentido del trabajo. Para entender esta declaración constitucional hay que abrir el corazón y la mente y el mundo del trabajo cambiará.

De la encíclica permítanme extraer algunas ideas, piensen que esta encíclica fue escrita hace 30 años pero mantiene su vigencia, es más, aún no se la ha leído con seriedad:

Empieza la encíclica indicando que con el trabajo el hombre debe procurarse el pan cotidiano

El trabajo contribuye al progreso de las ciencias y la tecnología

Pero especialmente a la incesante elevación cultural y moral de la sociedad en la que vive

El trabajo es todo tipo de actividad realizada por el hombre independientemente de sus características o circunstancias

El trabajo debe ser perenne y fundamental en la vida del hombre

El trabajo es la clave de toda la cuestión social

El trabajo tiene que servir a la realización humana, al perfeccionamiento de esa vocación de persona

El trabajo tiene un valor ético, indudablemente, por tanto, es el meollo del problema social

El trabajo en función del hombre, no al revés

Rechazo absoluto a entender el trabajo como una mercancía

El trabajo es el fundamento de la vida familiar, condición necesaria para poder fundar una familia

El problema clave de la ética social es el de la justa remuneración por el trabajo realizado

La espiritualidad del trabajo consiste en acercarse a Dios a través del trabajo

El trabajo humano es la participación en la obra creadora de Dios.

Hoy me atervo a plantear una sóla vía para no distraer la atención. La que considero la más relievante, la más importante desde la perspectiva cristiana: que en el alma de las personas exista sensibilidad profunda, explícita ante las víctimas del sistema. Tener compasión (no es lástima) por la mitad de los habitantes de este planeta que están desnutridos, millones de muertos de hambre por año, millones de niños y mujeres esclavos laboral o sexualmente, etc. Esta sensibilidad ética (para nosotros cristiana) ha de atender inevitablemente a las estructuras económicas del planeta. No nos podemos contentar con gestos asistenciales como si las víctimas fueran efecto de una catástrofe natural, estas víctimas son resultado de una acción intencionada hecha por el hombre Esta sensibilidad provocará un ordenamiento diverso al que hoy tenemos, para el caso que hoy nos ocupa, atenderá a organizar el aparato productivo en función al bienestar de todos y no al bienestar de unos cuantos en desmedro de los más.

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DON SERGIO MERCANZINDirettore Centro Russia Ecumenica

a Chiesa ortodossa russa, che è la più importante delle chiese ortodosse al mondo, si è dotata di una dottrina sociale.

La dottrina sociale che la Chiesa ha dal 1800 almeno, mancava nella Chiesa ortodossa russa e ciò costituiva una simpatica invidia di quest’ultima nei confronti della Chiesa cattolica, dotata invece di questa ricchezza.

La Chiesa ortodossa russa riprende molto dalla dottrina della Chiesa cattolica che ha una sua dottrina cristiana.

In questo particolare periodo storico, ci troviamo di fronte alla gente che muore sia sul lavoro che a causa del lavoro (per mancanza dello stesso).

La spiritualità del lavoro dovrebbe essere intesa come la generosità di tutti, dei governanti e della società in generale a creare nuove possibilità di lavoro.

“Padre nostro dacci oggi il nostro pane quotidiano…” e chiedere il pane quotidiano vuol dire chiedere il lavoro per poter avere il pane facendo assumere al lavoro una valenza spirituale.

Cosa può fare la Chiesa? La Chiesa sta già facendo tanto in quanto stimola i governanti a creare posti di lavoro (anche la Chiesa crea posti di lavoro ma è più una responsabilità delle autorità civili).

I nostri fratelli orientali dicono che l’uomo non è solo fatto di corpo e anima ma di corpo, anima e spirito anche quando lavora e quindi la parte spirituale è sempre presente in qualunque forma di lavoro.

Solo così il lavoro diventa dignitoso nel senso che possiede la dignità che l’uomo merita.

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Padre e fratelli di Cristo che con la sua presenza dentro di noi riesce a dare una luce di senso perfi no ad una croce che è ben altro rispetto ad un licenziamento.

Il lavoro non ha come contenuto solo il denaro che produce o il sostentamento materiale che da esso ne proviene, il lavoro è anche fonte di identità e di soddisfazione, è un erogatore di senso non solo di mezzo.

Prof. ALESSANDRO MELUZZIPsichiatria e Psicoterapeuta

l lavoro è una chiamata dell’uomo alla vita infatti nel giardino dell’Eden nella piana coincidenza tra il volere dell’uomo e quello di Dio, il lavoro dell’uomo era amare un Dio che viveva in lui ed in cui lui viveva.

Il nostro peccato di autonomia e di superbia, il peccato dei progenitori che purtroppo vive anche ed ancora nella coscienza e nei limiti di ognuno di noi, ci condanna a partecipare all’opera della creazione attraverso il lavoro e l’anatematizzazione di Dio ad Adamo è proprio questa: “Tu uomo trarrai dalla terra con sudore e fatica il tuo sostentamento”.

Il lavoro non è puro dolore, pura fatica, il lavoro è generativo; l’uomo quindi è chiamato ad essere creativo, ad essere homo faber.

Il lavoro se non è illuminato dal senso della vita, dell’amore e dal senso di Dio trasforma l’uomo in uomo macchina, uomo della pura accumulazione materiale.

La dottrina della Chiesa ci dice che il centro del tutto non è il lavoro, non è il denaro o la produttività ma è la persona umana nella sua totalità e nella sua complessità quindi noi non siamo la professione che facciamo ma siamo delle persone con un nome che si defi niscono sì per ciò che fanno ma soprattutto per ciò che sono.

Oggi, nell’ottica della crisi attuale ci domandiamo il perché di tanti suicidi per esempio.

Dobbiamo pensare che prima di essere abitanti di questa Terra, siamo cittadini del Cielo.

Il cristiano è l’uomo dell’ ” et…et” , siamo concreti e sognatori, pieni di fede ma anche di ragione, pieni di amore ma anche di una profonda concretezza nelle cose e viviamo in mezzo agli altri.

Sartre diceva: “L’enfer c’est les autres”, invece per il cristiano gli altri sono il nostro paradiso perché li amiamo e perché ci amano in quanto fi gli di un unico

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S.EM.R. CARDINALE SARAIVA MARTIN JOSÈPrefetto Emerito della Congregazione delle Cause dei Santi

l lavoro fa parte dell’esistenza umana; è espressione dell’esistenza umana, della sua fi nitezza creaturale e del suo bisogno di salvezza. E’ ovvio che il lavoro è, dunque, considerato entro la visione antropologica biblica, cioè in riferimento a Dio: il lavoro e il riposo come comando di Dio. Dio comanda all’uomo non solo di lavorare, ma anche di riposare il sabato. Non possiamo pensare di ricavare dalla Bibbia una visione organica del lavoro umano o una dottrina biblica sul lavoro.

E’ caratteristico della liturgia ebraica designare il lavoro con termini che indicano rispettivamente sia lo svolgimento dell’attività sia il risultato o l’opera prodotta sia la fatica connessa. L’attività lavorativa è colta concretamente sia nel soggetto che la compie con fatica e dolore sia nell’oggetto che è prodotto dalla prestazione sia nelle caratteristiche intrinseche sia nei rapporti sociali che crea.

La polivalenza semantica del lessico biblico lascia intravedere la mancanza di un’elaborazione teorica, rivela un approccio piuttosto indifferenziato alla “realtà del alvoro”. Forse, ciò è dovuto al fatto che la Bibbia non considera il lavoro in sè, come un segmento isolato dell’esistenza umana, ma lo considera nel tessuto vivo e complesso della vita dell’uomo.

Il lavoro, dice al riguardo il Concilio Vaticano II, è un diritto fondamentale ed è un bene per l’uomo (6), un bene utile, degno di lui, perchè adatto appunto ad esprimere e ad accrescere la sua dignità umana. Il Magistero sociale della Chiesa evidenzia il valore del lavoro, non solo perchè esso è sempre personale, ma per il carattere di necessità (7). Il lavoro è necessario per formare e mantenere la famiglia (8), per avere diritto alla proprietà (9), per contribuire al bene comune della famiglia (10). Una società in cui il diritto al lavoro fosse vanifi cato o sistematicamente negato e in cui le misure di politica economica non consentissero ai lavoratori livelli soddisfacenti di occupazione, “non può conseguire né la sua legittimazione etica né la pace sociale” (11). La capacità progettuale di una

società orientata verso il bene comune e proiettata verso il futuro, si misura soprattutto sulla base delle prospettive di lavoro che essa è in grado di offrire (12). Una rifl essione che ritengo particolarmente importante relativamente alla dimensione spirituale del lavoro umano è che nell’esperienza del lavoro quotidiano e dei rapporti con i membri della propria famiglia si sollevano, in modo concreto, per ciascun uomo, i grandi interrogativi sulla vita e sul destino, i quali costituiscono e articolano la cultura dell’uomo; nonchè, più in concreto, sul rapporto tra il lavoro, la fede e la vita spirituale dell’uomo, sul lavoro, cioè, e la santità alla quale tutti gli uomini, e in particolare tutti i battezzati, sono chiamati. La risposta della Chiesa a quest’ultimo interrogativo è chiara e categorica. Se il lavoro rappresenta una dimensione fondamentale dell’esperienza umana, esso gli consente di modifi care non soltanto la realtà materiale che lo circonda, ma anche se stesso, portandolo a ispirare sempre più la sua vita ai principi del Vangelo. Ecco come si esprime, in proposito, il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Sopportando la penosa fatica del lavoro in unione con Gesù, l’artigiano di Nazareth e il crocefi sso del Calvario, l’uomo in un certo senso coopera con il Figlio di Dio nella sua opera redentrice. Si mostra discepolo di Cristo portando la Croce, ogni giorno, nell’attività che è chiamato a compiere. Il lavoro può essere un mezzo di santifi cazione e un’animazione delle realtà terrene nello Spirito di Cristo” (19).Così raffi gurato, il lavoro, ogni lavoro, si presenta come espressione della piena umanità dell’uomo; il legato in forza del quale la sua azione libera e responsabile rivela l’intima relazione con il Creatore ed il suo potenziale creativo; la via normale per raggiungere quella “misura alta” della vita cristiana, ossia la santità, che è una vera e propria esigenza del battesimo; la chiamata della Provvidenza indirizzata a tutti, a cooperare, con il lavoro, al disegno della creazione. Non mancano nell’agiografi a cristiana coloro che si sono santifi cati, lavorando. Come San Giuseppe “lavoratore”, di cui si celebra la festa liturgica il 1° Maggio.

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DON. NINO MINETTISuperiore Provinciale Opera Don Guanella

n don Guanella la caratteristica prima, indiscutibile sta nella carità concreta. Ma ecco, subito dopo, la capacità organizzatrice di cui la Provvidenza volle dotare il sacerdote valtellinese. Lavoratore indefesso nel campo della carità, ma al tempo stesso di essa grande organizzatore.

In trenta anni di questo lavoro indefesso nel cantiere della carità, don Guanella è sorretto anche e soprattutto da altre incrollabili convinzioni.

La fi ducia e l’ottimismo nel recupero ed educabilità dei suoi assistiti, che non derivano solo da simpatia o da compassione, ma trovano radici più lontane nella visione cristiana dell’uomo.

Don Guanella non semplifi ca né in direzione dell’ottimismo di Rosseau, né in favore del pessimismo di Giansenio.

“Il cuore di ogni persona è terra da giardino” egli afferma. Certo una terra contesa dalle opposte e innate fazioni del bene e del male, dove quindi può nascere l’erbaccia. Ma se viene coltivata questa “terra” è in grado di produrre “fi ori e frutti di benedizione” o come dirà altrove fuori metafora, “cittadini industriosi e cristiani esemplari”, se si tratta di ragazzi e giovani; “persone cui si può migliorare la loro condizione”, se si tratta “dei meno favoriti dal benefi cio della salute o dal dono dell’intelligenza” (concretamente anziani e disabili).

Ma c’è l’altra convinzione che segna marcatamente il suo servizio: attenzione indefessa per la vita, sia quella spirituale, che quella fi sica. Impressiona don Guanella l’avvilimento in cui giace la vita cristiana e la vita spirituale intorno a sé: c’è indifferenza, c‘è ignoranza. Talora per la vita di fede c’è anche disprezzo. Nelle sue case, ragazzi, anziani, sofferenti, disabili, operatori, amici, dovranno sperimentare quel benessere spirituale che si alimenta al Vangelo e alla preghiera cristiana.

Ma don Guanella soffre anche per il degrado in cui

giace la vita fi sica dei suoi poveri, non solo perché vilipesa nella sua dignità, ma anche e soltanto perché nella malattia, nella disabilità, nella precarietà, specialmente nel pericolo di perderla.

“Tutti coloro che sono in questa condizione, meritano, dice, la nostra attenzione, anzi la nostra venerazione. Farete opere di misericordia quando verrete coricando nel vostro cuore queste miserie umane e la stessa attenzione che usate per i vostri familiari, la userete per loro: i malati, i sofferenti delle nostre case, delle nostre corsie”. Ad indicare questo atteggiamento di massima attenzione alla vita aveva coniato due semplici slogan che voleva si stampassero anche sui muri delle sue case: “Date Pane e Signore”. “Date Pane e Paradiso”.

L’ultima convinzione che doveva acquisire chi si metteva come lui al servizio dei poveri era politica, pur senza entrare in schieramenti o fazioni partitiche.

L’abbandono, la solitudine, certe ferite di handicap, la fragilità del piccolo rimasto solo o dell’anziano senza appoggio, sono ragioni più che suffi cienti per la sua vasta azione di solidarietà. Don Guanella ragiona così: in una civiltà degna di questo nome, gli ultimi dovrebbero fare da punto di riferimento. Da loro bisognerebbe iniziare per progettare qualsiasi ordinamento sociale e istituzionale.

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DON MARIO CARRERADirettore La Santa Crociata in onore di San Giuseppe

La passione al lavoro ha permesso a Don Guanella di maturare la sua quasi-teologia del lavoro e la va organizzando nell’architettura delle sue congregazioni.

La congregazione maschile sarà chiamata dei Servi della Carità:

<<servo>> ha un evidente richiamo evangelico.

Nel campo del lavoro o si era padroni o si era servi.

L’esercizio di questa servitù volontaria ed evangelica nel religioso guanelliano si esercitava in questi ambiti:

a) Santifi candosi nel lavoro come un atto di culto di adorazione a Dio creatore e fonte della vita;

b) Santifi cando il mondo là dove si vive per mezzo del lavoro come collaboratori di Dio, costruendo il Regno della giustizia, della fraternità, dell’amore.

c) Santifi ca il lavoro dandogli un’anima, strappandolo dalle barbarie della lotta per la sopravvivenza.

La sua visione, ovviamente, non è una concezione laica o laicista del lavoro stesso: altro è lavorare per mangiare, altro è lavorare per amore.

I discepoli di Don Guanella per il battesimo ricevuto (preti e laici) tutti sono sacerdoti del lavoro. La ragione è sempre la carità che può chiedere tutto e donare tutto per partecipare alla costruzione del regno.

La congregazione femminile assumerà il nome di Figlie di Santa Maria della Provvidenza, dopo essere passate dal nome di <<crocine>>con un evidente richiamo al dono totale di Gesù sulla croce, quindi, a <<vittime di amore>>, e anche <<serve povere>>.

Da questo zoccolo duro della laboriosità e dalla concezione del lavoro nasce anche la sua pedagogia del lavoro:

- Le sue case erano tutt’altro che ospizi! Ognuno lavori

per quanto e come può. Falso concetto di Provvidenza da evitare;

- Avvio dei laboratori, delle colonie agricole, delle scuole: diventino qualunque cosa, ma non dei mantenuti!

- Al salesiano <<labor, sudor et fervor>> (sogno di Don Bosco del 1861) don Guanella sostituisce le mitiche quattro “effe”: fame, fumo, freddo e fastidi che esprimevano il suo retroterra culturale, ma anche una robusta spiritualità di confi denza e fi ducia nella Provvidenza spesso collaudata.

- Interessante anche la sua spinta verso una certa versatilità nel lavoro: dalla scopa all’altare, dall’orto al confessionale, dalla cattedra alla stalla, dalla strada alla penna…

La persona si rigenera nel lavoro, vigilando che non ne sia abbrutita.

Di qui anche la basilica di San Giuseppe al Trionfale.

Infi ne non sorprende che la sua teologia mariana, si arricchisca con la devozione alla Madonna del Lavoro.

Era amata e invocata con questo titolo perché potesse sostenere l’impegno di inserire la fede nella vita e la vita nella fede.

Prende l’idea anche per la statua da Leone Harmel che invocava la Madonna con il titolo << Notre Dame de l’Usine>> (Madonna dell’Offi cina).

Contributo viene anche dall’enciclica sociale <<Rerum Novrum>> di Leone XIII.

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Dott. LEONARDO DI GENNAROPoliclinico Universitario Agostino Gemelli

’è un libro del medico e scrittore mantovano Mario Benatti che si intitola Sanità e Santità. Un semplice paragramma o queste parole sono davvero così vicine? A me piace pensare che a separarle sia solo una T o magari un τ, segno caro a San Francesco e simbolo della Croce di Cristo e della Salvezza.

Nella Sanità credo sia ancora più semplice coltivare l’intima vocazione dell’uomo alla Santità. Questo implica lavorare da medico privilegiando la dimensione interiore nella propria opera, coniugando l’azione dell’intelletto, la sapienza degli studi e l’utilità dell’aggiornamento professionale con l’amore verso l’altro, l’empatia, la solidarietà nella sofferenza, l’esercizio della Carità. L’esercizio della Carità è condizione inderogabile per l’elevazione spirituale della professione medica. Non mancano esempi in questo senso: medici santi come san Giuseppe Moscati, santa Gianna Beretta Molla, il beato Pietro Tarrès. Ecco, tutti questi modelli di santità, insieme ad altri, discepoli del più grande maestro e medico Gesù Cristo, devono rappresentare un modello per la mia professione. Il medico può armonizzare il rispetto della dignità della persona umana, il diritto di ogni uomo alla salute e il primato della interiorità sulla corporeità. È imperdonabile per il medico dimenticare queste regole nella sua pratica quotidiana. Il medico che guarda solamente al sintomo, al segno clinico, al danno d’organo, pur essendo la sua osservazione condita da abilità e perizia, senza guardare all’uomo è un insulto all’intimo signifi cato della professione.

La fredda e distaccata interpretazione dei segni e dei sintomi dimenticando l’uomo nella sua complessità olistica è più da aruspice, che da medico. Dove sarebbe in questo agire la spiritualità del medico? In queste dinamiche piuttosto si possono scorgere tutte le attuali problematiche che hanno svilito la mia professione. Vedo le radici del confl ittuale rapporto medico-paziente, la nascita di una nuova branca specialistica come la Medicina Difensiva, la proliferazione degli avvocati esperti in contenziosi legali sull’errore del medico e vedo anche le violenze e gli attacchi perpetrati ai danni dell’etica della scienza medica. Perché non si

arrivi ad un divorzio tra spiritualità e lavoro, volendo appropriarmi di un assioma concettuale del prof. Cesare Kaneklin, Ordinario di Psicologia del Lavoro dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, bisogna prima di tutto rivedere alcuni comportamenti, curare il rapporto interpersonale con il paziente e con il suo ambiente familiare eliminando le barriere all’ascolto e al dialogo. Ci vuole fatica, impegno, certamente. Avviandomi alla conclusione del mio intervento voglio lasciarvi alcuni spunti ulteriori di rifl essione, discutendo alcuni concetti che ritengo imprescindibili per la costruzione di una spiritualità vera della professione medica. Primo. Nel momento in cui frappongo tra me e il mio paziente una barriera, se in questo muro di supponenza e talora tracotanza lascio aperto un unico spiraglio, solo quello stretto necessario a far passare il mio onorario, non elevo me e la mia società spiritualmente, ma a causa del mio stesso lavoro la danneggio. Il lavoro, quindi, più che partecipazione all’opera creativa di Dio diventa persino strumento di discordia e divisione. Secondo. Nell’attesa di una più sapiente e illuminata regolamentazione della gestione della sanità pubblica e privata così come della libera professione, penso che anche l’onorario del medico debba essere caratterizzato dal principio di equità e decoro. Terzo. Perché la professione medica sia stimolata a recuperare una dimensione più etica, spirituale è necessario che la politica sanitaria abbia al centro l’uomo e non i sistemi, i piani di rientro, la razionalizzazione delle risorse. Manca Carità nella politica e senza Carità nessuno si illuda: non ci saranno miglioramenti senza sconvolgimenti, risanamenti senza creare nuove malattie, volti felici senza volti scontenti. Non illudiamoci: non ci sarà ripresa economica se non ci riprendiamo l’uomo. La politica senza la centralità dell’uomo è esempio di mistifi cazione; la politica sanitaria senza la centralità dell’uomo è la negazione assoluta dell’idea di politica.

Come vedete, per concludere, tornano prepotenti le parole di San Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi. Tutto diviene miseramente nulla se la nostra professione e l’azione che da essa deriva non sono animate dalla Carità.

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Dott. SALVATORE ESPOSITOVice Presidente Nazionale A.N.T.A. Associazione Nazionale Tutela Ambientale

n saluto a tutti gli illustri relatori ai convenuti, al Parroco e un ringraziamento al Professor Luciani per aver organizzato questo momento di rifl essione su un argomento oggi quanto mai attuale e importante come il lavoro.

La nostra Associazione Nazionale per la Tutela dell’Ambiente ANTA è attualmente presente in 20 regioni di Italia e rappresenta circa 70.000 iscritti, questo nostro legame con il territorio ci da modo di capire quanto i temi legati alla gestione e al controllo delle risorse ambientali rientrino sempre di più negli interessi dei cittadini. A conferma di ciò un recente studio afferma che i cittadini ripongono nel mondo delle associazioni maggior fi ducia di quanto ne ripongano negli organismi istituzionali. Di ambiente purtroppo si interviene in termini “emergenziali” mentre una sana visione della fruizione del territorio e delle risorse ambientali passa per una logica di programmazione e di gestione tecnica funzionale, attraverso investimenti in : Ricerca tecnologica; Realizzazione di infrastrutture; Informazione; Formazione. Solo in questo modo si potranno gestire in maniera oculata le risorse ambientali con la possibilità di creare sviluppo, occupazione e al contempo coniugare la tutela dell’ambiente. E’ essenziale a tale scopo creare e ampliare i rapporti tra tutti le realtà interessate e il territorio, al fi ne di realizzare quell’indispensabile connubio tra mondo politico, della ricerca, delle associazioni imprenditoriali e di tutte le rappresentanze dei cittadini.

Come usufruttuari dei beni della terra dobbiamo tutti contribuire, analogamente alla parabola dei talenti, al passaggio, che credo indispensabile, da etica teorica ad etica pratica.

Vista la complessità delle problematiche ambientali è indispensabile che le azioni da intraprendere debbano essere pianifi cate con un approccio multidisciplinare, basato su informazioni “oggettive” e non parziali, attraverso scelte adottate con “ scienza e coscienza” e non subordinate a interessi parziali, o politici.

Coscienti che in campo ambientale non esistono soluzioni univoche invece è indispensabile adottare strategie multiple con tempi di intervento e di ritorno diversi. In questi ultimi anni si è passati da un economia industriale ad un economia dell’informazione e dei servizi, con la scomparsa di vecchi lavori e l’avvento di nuove professionalità. Proprio in campo ambientale negli ultimi anni si sono sviluppate nuove fi gure professionali con conoscenze multidisciplinari e sono convinto che il contesto socio economico del futuro si determinerà nel modo in cui interagiranno con l’economia tradizionale le nuove tecnologie verdi, quelle digitali ed informatiche, le biotecnologie, le nanotecnologie.

Quindi sono convinto che proprio il settore ambientale rappresenti un esempio di un area dove il lavoro non può essere inteso solo come una questione sociale, economica, politica e addirittura etica, ma come un esempio di crescita culturale e civile, al fi ne di perseguire un mondo migliore con cambiamenti che interessino anche una diversa organizzazione del vivere sociale.

Solo in questo modo potremmo veramente parlare di sviluppo sostenibile termine troppo spesso abusato nella speranza di lasciare un mondo migliore ai nostri fi gli.

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NATALIA TSARKOVARitrattista Uffi ciale dei Papi

ono stata fortunata quando, fi n da bambina, tra tutte le varie attività didattiche e sportive, ho intuito che il mio percorso era quello della pittura. Ho sempre considerato un dono Divino il mio talento, e non ho mai smesso di approfondirlo, di perseguirlo e di averne rispetto. Anzi ho sempre pensato che senza sacrifi ci ed impegno quel dono sarebbe andato perduto. Spero di averlo meritato e ringrazio il Signore per avermi dato questo privilegio.

Quando il Professor Luciani, mi ha proposto di intervenire a questo evento, gli ho chiesto quale testimonianza potevo dare sul tema del lavoro artistico. Lui mi ha detto: “ Tu riesci con i tuoi quadri a tirare fuori la spiritualità delle persone, racconta come fai” In realtà non lo so,anche per me è un mistero, perché tutto avviene in modo naturale, ma proverò a spiegarlo:

Innanzi tutto è fondamentale l’ispirazione, è come un fuoco divino che alimenta la mia sensibilità e la mia percezione della spiritualità di ciò che sto dipingendo.

Ogni volta che dipingo, prima di prendere il pennello in mano, prego il Signore perché mi stia vicino durante il lavoro. Questo per me è molto importante,perché la preghiera mi aiuta stabilire un legame energetico spirituale.

Fase di studio è molto faticosa,ma forse è più importante nella realizzazione del quadro

Quando faccio un ritratto lo scopo fondamentale è riuscire trasformare i colori della tavolozza nei colori dell’anima, spiritualità delle persone. Guardando il dipinto si deve avere la sensazione della vitalità del soggetto, non è tanto la somiglianza fi sica ma la sua interiorità che rende vivo il quadro.

Io amo il viso delle persone, non esistono visi brutti, ognuno è una storia, ha il suo carisma e la sua spiritualità. I segni, i pregi, i difetti, rendono ogni persona unica e interessante. Il mio compito è riuscire a evidenziare e tirare fuori questi tesori a volte nascosti.

Per scoprire questi tesori, ho bisogno di studiare e conoscere la persona, la sua storia e le sue abitudini, il suo modo di parlare, i suoi interessi, magari, se ha scritto dei libri leggerli. Sottolineo che in ciascun quadro è molto importante la simbologia, perché ciascun simbolo contiene un messaggio fondamentale con cui è composta la mia opera, come in un mosaico.

Per meglio esemplifi care questi concetti,spiego alcuni miei quadri.

Papa Benedetto XVI

Ho avuto l’onore di fare il ritratto uffi ciale di Sua Santità Benedetto XVI.

Quando ho avuto questo incarico ho subito sentito la grande responsabilità. Anche perché il ritratto del Papa è un simbolo che si manifesta su due piani: desideravo far vedere il papa sia ricchezza della sua spiritualità di uomo e il suo carisma di pontefi ce. E allora per comprendere come potevo realizzare la mia idea ho iniziato a partecipare a delle celebrazioni liturgiche proprio per entrare nell’atmosfera, in atteggiamento di attesa. In quelle celebrazioni pregavo, contemplavo, e così iniziavo a realizzare disegni della fi gura del papa, fi no a raggiungere l’idea che volevo rappresentare nella mia opera. Così ho deciso di raffi gurare il papa sul trono, come un grande teologo del nostro millennio che insegna dalla cattedra,con la Sua profonda fede,illuminata dalla forza dello Spirito Santo. Nel ritratto ogni dettaglio, anche minuscolo, è signifi cativo perché deve portare un messaggio. Soprattutto la forza della sua spiritualità emerge dalla postura del corpo, dinamica e forte, ma soprattutto dal suo sguardo sereno ma deciso, rivolto verso il futuro.

Papa Giovanni Paolo II

Questa opera è stata fondamentale nel mio destino artistico e professionale. Con questo quadro ho avuto inizio il mio rapporto di ritrattista dei Papi. Proprio Giovanni Paolo infatti II mi incoraggiò nel mio lavoro apprezzando la mia arte e per me le sue parole …“sei russa … viva l’arte russa, continua così” …. furono profetiche.

Da questa opera emerge la grande forza spirituale di Giovanni Paolo II.

Il Suo sguardo, rivolto alla Chiesa del terzo millennio, è pieno di amore e di speranza nell’umanità.

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DON WLADIMIRO BOGONIParrocco di San Giuseppe al Trionfale, Roma

a settimana di studio sulla spiritualità del lavoro ha voluto qualifi carsi come una sorta di Compendio da offrire ai parrocchiani del Trionfale e all’opinione pubblica in generale, su un tema, quello del lavoro, quanto mai attuale, non solo per la grave congiuntura che stiamo vivendo ma soprattutto per il modo distorto con cui lo si sta affrontando.

Questa settimana ha voluto essere una proposta forte…per andare oltre la schiavitù del lavoro, dell’economia, della fi nanza!

Diceva don Luigi Giussani nel lontano 1986: “La cultura occidentale possiede dei valori tali per cui si è imposta come cultura e operativamente, socialmente, a tutto il mondo (…) tutti questi valori la civiltà occidentale li ha ereditati dal cristianesimo: il valore della persona, assolutamente inconcepibile in tutta la letteratura del mondo; (…) il valore del lavoro, che in tutta la cultura mondiale, in quella antica ma anche per Engels e Marx, è concepito come schiavitù, è assimilato a una schiavitù, mentre Cristo defi nisce il lavoro come attività del Padre, di Dio; il valore della materia, vale a dire l’abolizione del dualismo tra un aspetto nobile e un aspetto ignobile della vita della natura, che non esiste per il cristianesimo; la frase più rivoluzionaria della storia della cultura è quella di San Paolo: “ogni creatura è bene”; il valore del progresso, del tempo come carico di signifi cato, perché il concetto di storia esige l’idea di un disegno intelligente. Questi sono i valori fondamentali della civiltà occidentale, a mio avviso. Non ne ho citato un altro, perché è implicito nel concetto di persona: la libertà”.1

Si deve a queste caratteristiche se l’Occidente cristiano ha realizzato progressi morali, intellettuali, scientifi ci, tecnologici e produttivi superiori a quelli di ogni altra società; e se – unico nella storia umana – l’Occidente considera giusto

solo un mondo in cui tutti abbiano pari opportunità di contribuire a realizzare sempre nuove conquiste materiali, intellettuali e morali e di goderne i frutti.L’incertezza su ciascuno di questi valori, il suo indebolimento, se non la sua negazione, - e purtroppo stiamo assistendo a questo declino - compromettono il futuro della civiltà che su di essi è stata edifi cata, le sue conquiste.

L’altra ragione…è forse più personale. Targhe, medagli, busti, lapidi, gadget piccoli o grandi: questi sono in genere i mezzi , per ricordare, per far passare alla storia un evento particolare, una ricorrenza, un giubileo, un centenario.

Vi devo confessare che io per queste cose ho letteralmente avversità, idiosincrasia. perciò ho voluto che il centenario della nostra parrocchia si iniziasse a ricordarlo per due “segni” particolari, che non conoscono il trascorrere del tempo: il 1° per far crescere l’anima ed è l’adorazione eucaristica perpetua, iniziata il 1° novembre scorso e confermata dalla settimana eucaristica, terminata domenica scorsa. Il 2° “segno” è per far crescere lo spirito e per nutrire l’intelligenza e si sta rivelando un monumento di idee ed è la settimana sulla spiritualità del lavoro

Le cose più importanti sono le idee. le cose sono logorate dal tempo…le idee no! Sono trasversali al tempo, allo spazio…

UN MONUMENTO ALLE IDEE (Gli Atti di questa settimana ricorderanno come è stato celebrato il Centenario). Le cose più importanti non sono le cose, ma le idee.

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Prof. ALFREDO LUCIANIPresidente Associazione Carità Politica

CONCLUSIONE

SETTIMANA LA SPIRITUALITA’ DEL LAVORO (12-17 marzo 2012)

DUE SCOPI PRINCIPALI:

1)Recuperare la dimensione spirituale

Forse oggi quel che più manca nel discorso sul lavoro è la sottolineatura delle sue dimensioni spirituali.

2)Coniugare la spiritualità con la giustizia e la solidarietà

Questo scopo deriva dalla consapevolezza che per troppo tempo la spiritualità si è impegnata con scrupolo alla miniatura della perfezione interiore, dimenticando la storia e le sue tragedie, le sue utopie e i suoi gemiti rigeneratori.

DIGNITA’ E FUNZIONE DEL LAVORO UMANO

Interessarsi oggi della dignità del lavoro non signifi ca affrontare un tema astratto, quanto piuttosto porsi in una prospettiva reale, come reale è la persona del lavoratore, non semplice “strumento”.

UNA PREVALENTE LOGICA DEL PROFITTO

L’applicazione talora indiscriminata delle innovazioni tecnologiche secondo una prevalente logica del profi tto, la crescente avanzata della speculazione rispetto agli investimenti economici reali minacciano le stesse imprese, l’uomo del lavoro e i suoi diritti.

L’uomo soggetto del lavoro, corre ancora una volta il rischio di essere ridotto a strumento di produzione, essere anonimo e senza volto, il cui valore è inferiore a quello dei beni materiali e tecnici, dei meccanismi economici e fi nanziari.

DIMENSIONE OGGETTIVA E SOGGETTIVA DEL LAVORO

Il lavoro va assunto in un duplice senso: oggettivo e soggettivo. In senso oggettivo è l’insieme di attività, risorse, strumenti, di cui l’uomo si serve per produrre. In senso soggettivo, invece, è l’uomo stesso, soggetto del proprio lavoro. La distinzione è decisiva in ordine sia alla comprensione del fondamento ultimo del valore e della dignità del lavoro, sia ad una organizzazione etica dei sistemi economici.

La dimensione soggettiva deve avere la preminenza su quella oggettiva.

La soggettività del lavoro è il fondamento per determinare il valore. Il metro della dignità del lavoro risiede in chi lo svolge.

Il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro.

Mediante il lavoro l’uomo non solo realizza dei prodotti e trasforma il creato, ma perfeziona se stesso.

Grazie all’esperienza sociale del lavoro, la famiglia umana si riconosce e si costituisce come comunità umanitaria.

IL LAVORO HA IL PRIMATO SUL CAPITALE

Nel processo di produzione la “risorsa” più importante è l’uomo del lavoro. Egli ha il primato sulle cose e sul capitale.

La proprietà, la cui detenzione va subordinata al diritto dell’uso comune dei beni, non deve costituire motivo di impedimento al lavoro e allo sviluppo altrui. La proprietà, acquisita anzitutto mediante il lavoro, deve servire al lavoro.

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IL LAVORO E’ UN BENE PER L’UOMO

La dignità del lavoro è sostanziata da un’essenza etica che si articola anche in dovere del lavoro, diritti al lavoro, diritti e doveri nel lavoro.

Il lavoro è un obbligo morale per ogni persona.

Corrispondentemente al dovere del lavoro, si può parlare di diritto di lavoro e diritto al lavoro.

Il diritto di lavorare non è una concessione dello Stato, ma proviene dalla stessa natura dell’uomo.

Il diritto di lavoro, è un diritto in senso stretto. Il diritto al lavoro, invece, è un diritto in senso lato.

CAUSE DELLA DISOCCUPAZIONE E SUPERAMENTO DELLE PROSPETTIVE NEOLIBERISTE

Chi è disoccupato o sotto occupato vede compromessa la propria personalità e rischia di essere posto ai margini della società.

La disoccupazione appare soprattutto conseguenza dell’incapacità dei sistemi economico-sociali di essere vitali, di

sapersi articolare ed organizzare nel modo più adatto per valorizzare adeguatamente le risorse umane, mettendo al centro le persone e i loro diritti, realizzando la loro primarietà e supremazia rispetto al capitale. Ciò è apparso chiaramente durante la crisi fi nanziaria 2008-2009, la quale ha alla sua origine, oltre che una speculazione dissennata, all’insegna dell’avidità e del primato accordato al profi tto per il profi tto, la carenza di regole più moderne e di controllo della fi nanza da parte della politica.

Occorre un profondo cambiamento etico-culturale che, mentre aiuta a vincere lo scoraggiamento e il fatalismo, consenta di adeguare i vari sistemi organizzativi, fi nanziari, formativi e di protezione sociale alle nuove condizioni del mondo del lavoro.

Soprattutto appare decisivo che il lavoro venga organizzato in funzione delle persone concrete e dei bisogni reali, trovando anche un nuovo rapporto tra formazione e lavoro. Alla supremazia del mercato, del capitale, della tecnica, del profi tto, del benessere materiale va opposta la supremazia dell’uomo, del suo sviluppo integrale.

La principale causa del sottosviluppo dei popoli, prima ancora che nella carenza di pensiero, sta nella mancanza di fraternità. Un discorso analogo si può fare anche nei confronti del problema della disoccupazione.

ALCUNI ORIENTAMENTI PER VINCERE LA DISOCCUPAZIONE

Il lavoro è un bene di tutti che deve essere disponibile per tutti coloro che ne sono idonei.

Il lavoro consente alle persone di divenire più libere e responsabili.

Prima del diritto all’assistenza sociale per disoccupazione, l’uomo è titolare di un diritto al lavoro. Va quindi perseguita una politica del lavoro per tutti, non solo in ragione della dignità della persona e per esigenze di giustizia, ma anche perché ciò è esigito dalla “ragione economica”.

La soluzione del problema della disoccupazione non può trovarsi assecondando le nuove ideologie liberiste che confi dano eccessivamente nella bontà spontanea dei meccanismi del libero mercato. Le politiche attive del lavoro implicano che si investa sulla costruzione di infrastrutture nella ricerca, nell’innovazione, nella creazione di un’economia ecologica, nella formazione professionale. Occorre, cioè, investire nell’istruzione, nella preparazione dei lavoratori di oggi ai mercati del lavoro di domani. E’ solo grazie ad un’adeguata formazione e preparazione che si può contrastare effi cacemente l’estromissione dal lavoro per lunghi periodi e quella dipendenza prolungata e alla lunga insostenibile dell’assistenza pubblica.

In defi nitiva, anche per trasformare le ricorrenti crisi economiche in opportunità, bisogna investire sul capitale umano, a partire dai giovani, progettando percorsi educativi di qualità accessibili a tutti e maggiormente coerenti con le esigenze del sistema produttivo.

In conclusione, nel lavoro è insita una soggettività, una spiritualità, una tensione al bene, una passione per quello che si fa, una dimensione di gratuità e di dono, di servizio e di collaborazione con altri, connotazioni queste che eccedono il prodotto del lavoro, al quale spesso è rivolta tutta l’attenzione. Ebbene, la globalizzazione del lavoro, bene per tutti, deve avvenire tenendo conto di questa eccedenza, favorendone l’espressione, creando condizioni e relazioni di lavoro ove essa si possa esprimere liberamente. E’ un impegno che deve essere di tutti: Stati, imprenditori, sindacati, amministratori, Chiesa. E’ un imperativo per rendere più umano il lavoro e nello stesso tempo per renderlo più produttivo.

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IMMAGINI DEL CONVEGNO

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INTERNO DELLA BASILICA DI SAN GIUSEPPE AL TRIONFALE

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INTERNO DELLA BASILICA DI SAN GIUSEPPE AL TRIONFALE

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INTERVISTA A PAOLO AGNELLI PRESIDENTE CONFIMI

D. – Presidente ci spiega che cos’è Confimi e i motivi della sua costituzione?

R. Confimi è l’acronimo di Confederazione delle industrie manifatturie italiane; è la volontà di rappresentare in Italia unicamente il mondo delle PMI manifatturiere. Sottolineo unicamente perché troppo spesso nel panorama associativo del nostro Paese si mescolano formule eterogenee nelle quali si mischiano aggregazioni di vario genere: pmi industriali e artigiane, società commerciali, liberi professionisti, assicurazioni, servizi alle persone, banche. Confimi ha l’obiettivo di specializzarsi nella salvaguardia dell’unico comparto che ha caratterizzato la fortuna del nostro Paese: la manifattura, senza rincorrere alla necessità di allargare i propri numeri solo per aumentare la rappresentanza fine a se stessa. Oggi è indispensabile svincolarsi dai metodi di gestione che certe organizzazioni datoriali nazionali adottano o hanno adottato come fondamento della loro politica industriale. Metodi che rappresentano l’antitesi degli interessi delle imprese e che, senza un cambiamento radicale, non saranno in grado di fronteggiare le profonde trasformazioni in atto.

D. – Cosa e chi rappresenta Confimi e quali obiettivi si pone nell’immediato e nel medio periodo ?

R – Due sono gli obiettivi prioritari: 1) In Confimi sono rappresentate tante piccole e medie industrie italiane che si pongono quale primo obiettivo quello di stare insieme sulla base volontaria perseguendo un progetto comune: quello di tornare ad essere il “sindacato” degli imprenditori manifatturieri in grado di tutelarli e di farli crescere. Confimi deve essere in grado di progettare e di predisporre per queste imprese situazioni “tailor made” come se si dovesse per loro confezionare sempre abiti sartoriali su misura. 2) all’esterno Confimi deve nell’immediato far capire alla politica e agli economisti la gravita' irreversibile e gravissima in cui versa la competitività del manifatturiero italiano e le relative ripercussioni sociali che potrebbero scaturire dall’ennesimo rinvio nell’individuare una vera politica industriale capace di guidarci per i prossimi 20/30 anni e che manca in questo Paese da almeno 20. D. – Non Le sembra che nell’attuale congiuntura la nascita di una nuova organizzazione imprenditoriale possa disorientare gran parte della PMI italiana e del Nord in particolare ? R - Al contrario. Le imprese sono stanche di associazioni autoreferenziali che non riescono ad intercettare i veri bisogni delle aziende aderenti e che non riescono a comprendere il linguaggio di queste imprese. Ci stanno lanciando dei segnali precisi. Le imprese manifatturiere vogliono un’associazione che parli la loro lingua, non il “politichese”, non il “burocratese”. Oggi siamo di fronte ad un cambiamento epocale in campo politico ed economico. Il mondo della rappresentanza non può restare sempre lo stesso, deve modificarsi o verrà spazzato via. Oggi tutti vogliono “rappresentare” tutti. La forte concorrenzialità ha portato a rappresentare all’interno della stessa organizzazione interessi fra loro inconciliabili. Noi invece cercheremo di lavorare per proporre soluzioni e risposte concrete indirizzate ad unico portatore di interessi. D. – Quali associazioni territoriali hanno aderito a Confimi? R - Al momento hanno aderito come soci fondatori le API (associazioni delle piccole e medie industrie) delle province di Bergamo, Modena, Verona, Vicenza. Sono in fase di definizione le adesioni di altre 10 realtà fra cui alcune categorie settoriali, API del Nord-Ovest, del Centro e un paio di realtà del Sud, in attesa di passaggi statutari e assembleari. D. – Quale rapporto intendete instaurare con le istituzioni locali, regionali, nazionali e comunitarie ? R – Innanzitutto conserveremo gli ottimi rapporti instaurati nei decenni con le istituzioni locali che sono mantenuti e monitorati in maniera eccelsa dalle nostre territoriali. Poi cercheremo di stimolare ancora di più le Istituzioni attraverso temi di confronto offrendo proposte concrete, provando a ribaltare il concetto secondo il quale le Istituzioni prima convocano le parti su temi suggeriti da questa o quella parte sociale/economica, e poi partono le consultazioni e i tavoli di confronto. Soprattutto a livello locale vorremmo insieme alle Istituzioni liberarci dai

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formalismi che spesso diventano ossequiosi ed infastidiscono le imprese che hanno bisogno di risposte in tempi brevissimi. Con i livelli regionali e nazionali dovremmo volare “più alto” provando ad individuare 2/3 temi di alta politica industriale fornendo analisi complete sulle necessità della nostra manifattura. A fine mese ci presenteremo a livello nazionale con una iniziativa che si terrà presso la Camera dei Deputati. Sul fronte comunitario diventa fondamentale il ruolo che si può intrecciare con le Istituzioni regionali su due direttrici: 1) lavorare insieme per ottenere a livello europeo normative maggiormente rispondenti alle esigenze delle imprese e meno penalizzanti; 2) formarsi per essere sempre più pronti a rispondere alle chiamate dei bandi europei che rappresentano ormai quasi le uniche forme di finanziamento per i progetti di innovazione e di ricerca. D. – E quale con le altre organizzazioni imprenditoriali ? R - In questo momento stiamo orientando tutti gli sforzi verso la promozione di una rappresentanza datoriale che sia trasversale rispetto agli attuali schemi associativi, in grado cioè di riqualificare le relazioni industriali ed economiche, partendo dalle reali esigenze delle aziende. Ci potranno essere campi di azione che ovviamente si intrecceranno con le altre associazioni imprenditoriali quando in questi campi troveremo interessi che vadano incontro alle esigenze dei nostri associati. Quindi massima collaborazione con tutti quando i programmi coincideranno negli obiettivi. D. – Tra i tanti problemi che dovrete affrontare come intendete muoverti con il sistema creditizio ? R - Cercheremo di tornare a stringere forti rapporti con le banche locali sul territorio e lavoreremo con due/tre partners adatti sul piano nazionale ad affrontare al meglio le sfide dell’internazionalizzazione. Un altro obiettivo deve essere quello della rivalutazione dei capitali intangibili delle PMI che restano le uniche vere risorse su cui contare per un rilancio della nostra economia a patto che lo Stato intervenga sui costi della manodopera e dell’energia, e sulle tassazioni che ostacolano investimenti e assunzioni. Chiederemo poi lo sblocco dei fondi già disponibili a favore di infrastrutture, mobilità, energie pulite. Proporremo un pacchetto di interventi esclusivamente rivolti alle esigenze della manifattura: primo tra tutti la necessità di studiare nuovi parametri di valutazione delle imprese manifatturiere diversi da quelli attuali. E’ già operativo un servizio ad esclusivo supporto delle PMI manifatturiere sul versante dell’analisi finanziaria e del calcolo del rating. D. – E con le organizzazioni sindacali ? R - Il rapporto con le Organizzazioni Sindacali per noi è uno dei temi principali della nostra agenda, perché il tema del lavoro è quello che ci sta maggiormente a cuore. Dovremo fare blocco comune contro un sistema politico ed economico che risulta incapace di coniugare rigore con crescita. Abbiamo obiettivi concreti per quanto riguarda le relazioni sindacali, segnate oggi da un’impasse che sconfina troppo spesso nell’ideologia da ambo le parti. Vogliamo proporre nuovi modelli e nuovi parametri che tutelino maggiormente la manifattura partendo da un dialogo aperto e costruttivo con le organizzazioni dei sindacati dei lavoratori, soprattutto a livello locale. L’obiettivo finale è l’adozione di un nuovo contratto unico per le PMI manifatturiere. Vogliamo che ci sia reciproca comprensione sulle difficoltà che il mondo dell’impresa manifatturiera sta vivendo da alcuni anni. Ma vogliamo che si sappia che noi negli anni abbiamo investito molto e mantenuto strutture solide con grandissimi sacrifici perché crediamo ancora che la manifattura nel nostro Paese sia la chiave di svolta per tornare a crescere. Chiediamo ai sindacati di credere con noi di Confimi a questa svolta e a questa voglia di tornare a crescere stringendo un’alleanza. Bisogna riformare insieme un sistema che deve alleggerire il costo del lavoro e riconoscere migliori livelli retributivi, passando anche da una rivisitazione del sistema della bilateralità che deve essere a sostegno unico del mondo delle imprese e dei lavoratori senza farsi condizionare da derivazioni utili magari al sostentamento delle associazioni e degli apparati centrali. D. – Che tipo di struttura organizzativa intendete adottare con Confimi? R – Le associazioni territoriali che sono già confluite in Confimi e quelle che aderiranno manterranno la loro autonomia e la loro organizzazione già esistente. In Confimi soltanto gli industriali manifatturieri potranno ricoprire le cariche più importanti, ciò per evitare che ai vertici della governance possano arrivare imprenditori improvvisati o personaggi “travestiti” da imprenditori con obiettivi inconciliabili con gli interessi delle nostre imprese. Confimi a livello nazionale si doterà di una struttura leggera la cui preoccupazione non sarà quella di giustificare la propria esistenza con apparati mastodontici quanto inefficienti, bensì quella di dare pronte risposte alle esigenze delle PMI italiane facendo sintesi delle proposte e delle richieste che proverranno dalle associazioni territoriali e dalle Categorie produttive. Ci saranno tanti focus group in loco con gli imprenditori per provare a trovare concretezza, tempestività nelle scelte e nelle risposte, individuando fra imprenditori e struttura finalmente una prospettiva di medio-lungo periodo su tematiche che effettivamente arrivano dalla base imprenditoriale. Da questo lavoro emergeranno documenti mirati che saranno oggetto di confronto con i decisori regionali e nazionali di riferimento. Il tutto dovrà essere finalizzato nei primi anni di attività ad ottenere significativi risultati su quattro macro aree: nuove relazioni industriali; credito; internazionalizzazione e nuovi mercati; cultura d’impresa.

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