rita degl’innocenti pierini - nei cieli di icaro

28
5 Echo Centro di Studi sulla Fortuna dell’Antico “Emanuele Narducci” Aspetti della Fortuna dell’Antico nella Cultura Europea  Atti dell’Ottava Giornata di Studi Sestri Levante, 18 marzo 2011 a cura di Sergio Audano e Giovanni Cipriani

Upload: logocentrico

Post on 17-Oct-2015

34 views

Category:

Documents


0 download

DESCRIPTION

èok

TRANSCRIPT

  • 5Echo

    Centro di Studi sulla Fortuna dellAntico Emanuele Narducci

    Aspetti della Fortuna dellAnticonella Cultura Europea

    Atti dellOttava Giornata di Studi

    Sestri Levante, 18 marzo 2011

    a cura di

    Sergio Audano e Giovanni Cipriani

  • ECHO

    Collana di studi e commenti diretta da Giovanni Cipriani

    Comitato scientifico Sergio Audano, Pedro Luis Cano Alonso, Nicole Fick, Giulio Guidorizzi, Giancarlo Mazzoli, Robert Proctor, Giunio Rizzelli, Silvana Rocca, Elisa Romano, Valeria Viparelli.

    Segreteria di redazione

    Grazia Maria Masselli, Tiziana Ragno, Biagio Santorelli.

    2012 Edizioni Il CastelloVia Conte Appiano, 60, 71121 Foggia - ItalyTel. 0881.022 150 Fax 0881.1880147Sito web: www.ilcastelloedizioni.ite-mail: [email protected]

    Grafica: Alessandro GisoldiEditing: Alba Subrizio

    ISBN 978-88-6572-062-2

  • NEI CIELI DI ICARO E FETONTE,

    FRA ANTICO E MODERNO

    Rita DeglInnocenti Pierini(Universit di Firenze)

    Robert Vivier, poeta e saggista belga, nel 1962 a Bruxelles pubblica un volumetto dal titolo suggestivo Frres du ciel, il cui sottotitolo precisa Quelques aventures potiques dIcare et de Phaton: una prospettiva critica da studioso di letteratura comparata europea, che comunque non manca di offrire spunti interpretativi anche allo studioso di antichistica, se non altro per spingere a sondare pi approfonditamente da quali presup-posti e precedenti classici possa aver preso sviluppo la fortuna sterminata di due storie mitiche, presenti anche nellimmagina-rio dei non addetti ai lavori (in particolare la storia di Dedalo e Icaro)1. Del resto io stessa, quando ho proposto il tema del mio intervento, non mi ero resa conto fino in fondo di quanti studi

    1 Mantengo al mio contributo loriginario carattere di relazione orale (del 2009), integrandolo con unappendice bibliograica abbastanza esaustiva e aggiornata: far riferimento agli studi citati in calce, quindi, solo quando si presenter necessario il dialogo con i critici. Per il tema speciico qui affrontato, vale a dire le interferenze fra i miti paralleli di Icaro e Fetonte, oltre al libro di Vivier citato nel testo, il contributo pi importante , a mio parere, il saggio di La Penna 2001, cui si pu ora aggiungere De Vivo 2009, che nel titolo evoca il volo di Fetonte (le virgolette sono mie), e gli studi presenti in Hlkeskamp-Rebenich 2009. Sulluso paradigmatico dei paralleli miti di Icaro e Fetonte in Luciano, vd. Cistaro 2009, 144 ss. Nella nota conclusiva, ulteriori indicazioni bibliograiche sulla fortuna dei due miti in autori e testi che non trovano spazio nella mia analisi.

  • 104 Aspetti della Fortuna dellAntico nella Cultura Europea

    fossero stati dedicati soprattutto al mito di Icaro nelle lettera-ture moderne, complice talvolta anche il mancato dialogo tra critici che si sono anche recentemente occupati di questo tema, partendo sovente da prospettive diverse nellanalisi dei testi e degli autori. Il sottotitolo, che vorrei proporre di aggiungere idealmente al mio percorso di lettura, Tra Orazio e Ovidio, tra Ovidio e Seneca, ovvero dellimportanza delle intermediazioni culturali, per porre laccento gi preliminarmente sul fatto che non esiste nel concetto di fortuna una recta via di trasmissione, ma una polifonia di voci interpretative2, che accompagnano il testo antico nel suo cammino verso il moderno e che si sovrap-pongono e si stratificano come le mani in un manoscritto anti-co, difficili da decodificare, ma ricche di suggestioni evocatrici. Anche nel caso di miti notissimi come quelli di Icaro e Fetonte, per i quali viene immediatamente in mente il nome di Ovidio e delle sue ampie narrazioni, credo che sar facile osservare come al plot narrativo di matrice ovidiana si avvicinino e si ag-greghino poi altre letture e numerosi altri interpreti.

    1. Orazio, Ovidio, SenecaNon certo questa la sede per esaminare tutte le attestazioni

    di questi notissimi miti in ambito classico, baster comunque osservare che in entrambe le storie assistiamo ad un analogo sviluppo diacronico: meno significative le presenze nella let-teratura greca classica, sporadiche le attestazioni allusive in latino, una compiuta e articolata narrazione in Ovidio, nelle Metamorfosi in particolare, che costituiscono chiaramente lar-chetipo fondamentale della fortuna delle due storie mitiche nel-la letteratura europea.

    Per la vicenda di Icaro3, in mancanza di fonti letterarie gre-

    2 Illustra molto bene la complessit e la polivalenza dei percorsi esegetici il volume di Boitani 2004.

    3 Ancora utile la dissertazione di Holland 1902.

  • 105 Rita DeglInnocenti Pieriniche significative antecedenti let augustea, ai poeti latini - Virgilio, nella particolare forma dellekphrasis nel VI dellEneide, vv. 16 ss., Orazio, Ovidio, Seneca tragico - che dobbiamo la gran-dissima fortuna, anche nelle arti figurative4, del mito di Dedalo ed Icaro ed in particolare della caduta spettacolare di Icaro. E comunque molto probabile lipotesi che Callimaco ne trattas-se negli Aitia dato che nel fr. 23, 3 Pf. si parla del mare Icario, che secondo il noto aition prese appunto nome dalla caduta del giovane: dalla notoriet del mito deriva verosimilmente lo svi-luppo molto sintetico, e quindi sottilmente allusivo, del motivo di Dedalo ed Icaro nelle odi di Orazio, da cui prende inizio la mia analisi. In Orazio infatti il mito di Icaro porta gi in s i segni distintivi di un suggestivo simbolismo, vagamente filoso-fico, relativo allascesa dellanima e allosservazione dallalto, e letterario, allusivo al volo del poeta al di sopra delle possibilit umane, del tempo e della storia, tema con cui si chiudono anche le stesse Metamorfosi ovidiane5. Si tratta di odi molto famose: in carm, 1, 3, il celebre propemptikon per il viaggio di Virgilio, nel contesto moralistico della critica alla navigazione e alle al-tre invenzione umane, che spingono luomo oltre i limiti imposti dalla divinit, Orazio ricorda expertus vacuum Daedalus aera / pennis non homini datis (vv. 34-5), in un contesto che si chiu-de con unepigrafica condanna senzappello della cieca hybris umana: nil mortalibus ardui est: / caelum ipsum petimus stul-titia. Altro notissimo passo costituito dallode conclusiva del secondo libro, dove la simbolica trasfigurazione di Orazio in un bianco ales implica una duplice metafora di volo, e Icaro evocato come simbolo della poesia sublime e del tema filosofico della visione dallalto, carm. 2, 20, 9-16:

    4 Dedalo igura molto presente nelle gemme: vd. Toso 2007, 112 ss. Fondamentale comunque Nyenhuis 1986.

    5 Sulle complesse valenze del volo, da leggere almeno Luck-Huyse 1997 e Boitani 2004.

  • 106 Aspetti della Fortuna dellAntico nella Cultura Europea

    Iam iam residunt cruribus asperae

    pelles et album mutor in alitem

    superne nascunturque leves

    per digitos umerosque plumae.

    Iam Daedaleo notior Icaro

    visam gementis litora Bosphori

    Syrtisque Gaetulas canorus

    ales Hyperboreasque campos

    La poesia sublime appare capace di elevare il poeta al di so-pra degli altri esseri umani, ma si rivela rischiosa per Orazio, che, per pretendere di essere un novello Pindaro, paventa per s un inglorioso fallimento, come si legge in carm. 4, 2, 1-4: Pindarum quisquis studet aemulari, / Iule, ceratis ope Daedalea /

    nititur pennis, vitreo daturus / nomina ponto. Un passo questul-timo che implica, con studiata sintesi, tutta lambiguit del mito icario, che potremmo enucleare in un duplice interrogativo de-stinato anche per gli antichi a non avere risposta: fu vera gloria quella di Dedalo ed Icaro? E vera gloria quella del poeta?

    Ma naturalmente ad Ovidio6, che si deve la fama e il maggior sviluppo narrativo del mito dedalico: Ovidio elabora unampia narrazione della vicenda mitica sia nel secondo libro dellArs amatoria che nellVIII libro delle Metamorfosi, dove si snoda in connessione con le peripezie cretesi di Teseo, che costituisce il fil rouge sotteso a miti cos diversi nel libro centrale del poema. Anche se Ovidio evita uninterpretazione moralistica esplicita, il racconto di Dedalo ed Icaro implica di per s generici risvolti didascalici, nella misura in cui, da una parte, Icaro perde la vita per non aver rispettato i prudenti consigli del padre, mentre Dedalo paga con la perdita del figlio laver preteso con la sua invenzione di superare i limiti imposti alluomo dalla divinit.

    6 Non certo possibile citare la sterminata bibliograia sulla fortuna ovidiana: rimando a lavori recenti e ben documentati come Picone- Zimmermann 1994; Anselmi-Guerra 2006.

  • 107 Rita DeglInnocenti Pierini

    In apertura del secondo libro dellArs amatoria, lexcursus mi-tologico trae spunto, piuttosto artificiosamente, dalla difficolt di imporre il modus al libero volo di Amore: dal racconto emer-ge lesigenza del rispetto della misura, che il saggio artefice Dedalo tenta invano di insegnare al figlio, ma traspare anche limpulso a superare il limite, lammirazione per labilit umana. II confronto con lode 1, 3 di Orazio sembra imporsi: il viaggio di Virgilio spingeva Orazio a dare una valutazione negativa del-la navigazione e del volo, come infrazioni sacrileghe dei limiti imposti alluomo dalla divinit (vv. 25-6 Audax omnia perpeti / gens humana ruit per vetitum nefas), una visione arcaizzante e antiprogressiva, che trova riscontro nelle molte sfaccettature del mito delle et; in questottica i gesti di Prometeo e di Dedalo, per il quale Orazio parla di pennis non homini datis,

    sono carichi

    di hybris al pari della violazione dellAde da parte di Ercole o dellassalto al cielo dei Giganti.

    Molteplici interpretazioni simboliche del mito icario in Ovidio sono state tentate anche di recente, particolarmente nellArs, dato che in questopera il poeta stesso si presenta come un magister, che illustra larte di amare, come lartifex Dedalo insegna al figlio larte di volare: non possiamo addentrarci ora in analisi come queste spesso troppo sottili7, ma certo ci preme sottolineare almeno lanalogo epilogo della vicenda nelle due opere ovidiane, quando si mette in luce che, venuta meno la paura, Icaro osa sfidare il cielo, finch, invocato invano dal pa-dre, precipita nelle acque di quel mare cui dar nome.

    Cum puer incautis nimium temerarius annis

    altius egit iter deseruitque patrem.

    [...]Decidit atque cadens pater o pater, auferor inquit;

    clauserunt virides ora loquentis aquae.

    At pater infelix, nec iam pater, Icare clamat,

    7 Un esempio costituito dallampia analisi di Sharrock 1994, 87-195.

  • 108 Aspetti della Fortuna dellAntico nella Cultura Europea

    Icare clamat,ubi es, quoque sub axe volas?

    Icare clamabat; pinnas aspexit in undis.

    Ossa tegit tellus, aequora nomen habent.

    (ars 2, 83-4; 91-6)

    cum puer audaci coepit gaudere volatu

    deseruitque ducem caelique cupidine tractus

    altius egit iter

    [...]oraque caerulea patrium clamantia nomen

    excipiuntur aqua, quae nomen traxit ab illo.

    At pater infelix nec iam pater Icare dixit,

    Icare dixit ubi es? qua te regione requiram?

    Icare dicebat: pennas adspexit in undis

    devovitque suas artes corpusque sepulcro

    condidit, et tellus a nomine dicta sepulti.

    (met. 8, 223-5; 229-35)

    Dai due passi paralleli emerge unambiguit di fondo nel de-scrivere la fine del giovane, che appare vittima di una temeraria imprudenza nellArs, ma anche audace sperimentatore del volo nel poema esametrico: diversa, e niente affatto ambigua, la con-clusione dellepisodio di Fetonte delle Metamorfosi, dove le so-relle pongono sullEridano unepigrafe, che non sembra lasciare dubbi sulla natura eroica dei magna ausa (met. 2, 325 ss.):

    Naides Hesperiae trifida fumantia flammacorpora dant tumulo, signant quoque carmine saxum:

    Hic sitvs est Phaethon cvrrvs auriga paterniqvem si non tenuit magnis tamen excidit avsis.

    Lepigrafe ovidiana rimanda implicitamente al tema metapo-

  • 109 Rita DeglInnocenti Pierini

    etico8 che Orazio aveva affrontato nelle odi in cui allude ad Icaro, saldando cos idealmente nel complesso immaginario letterario dei lettori augustei le due storie, che anche a livello narrativo in Ovidio presentano evidenti punti di contatto, per esempio nei consigli paterni di mantenere la via mediana (con parole non dissimili, met. 2, 137 medio tutissimus ibis;140 inter utrumque tene), cui corrisponde in entrambi i giovani unattrazione irre-frenabile verso lalto, che in Fetonte si accompagna alla sua ine-sperienza nella guida del carro: se Icaro caeli cupidine tractus, Fetonte emicat et concipit aethera mente (met. 1, 776 s.) brilla al pari delle stelle e sempie la mente di cielo (come si legge nella bella traduzione di Ludovica Koch). Comunque il mito di Fetonte, che peraltro fruiva di un notevole precedente tragico euripideo, nella Roma augustea si piegava ad altre e pi sotti-li implicazioni, anche di sapore attualizzante9: non era come Icaro un docile strumento nella mani del padre, ma un giova-ne ambizioso, che chiedeva orgogliosamente di guidare il car-ro del Sole, come prova riconosciuta di paternit e che con la sua imperizia rischiava poi per di coinvolgere lintero cosmo in una catastrofica conflagrazione. evidente quindi che il mito di Fetonte si presta ad interpretazioni simboliche10 pi impe-gnative rispetto a quello di Icaro: lexemplum fetonteo pu es-sere impiegato per es. quale paradigma del monarca incapace ed irresponsabile, sfruttando due diverse, ma entrambe diffu-sissime, immagini metaforiche del governare: lassimilazione, gi presente nellopera platonica11, tra chi regge governando lo stato e lauriga, si salda qui alla simbologia solare del potere, di derivazione orientale, ma ben presente a Roma12. Icastico il

    8 Vd. Barchiesi 2005, ad loc.9 Mi permetto di rimandare a quanto osservavo in DeglInnocenti

    Pierini 1990, 251 ss.10 Vd. Chevallier 1982, passim. Cfr. anche Hardie 1987, 139 s.; Poulle

    2002.11 Valga soprattutto ricordare il famoso passo di rep. 566 d. 12 Della sterminata bibliograia sul tema mi limito a citare Weinstock

  • 110 Aspetti della Fortuna dellAntico nella Cultura Europeaflash esemplare di Orazio in carm. 4, 11, 25 ss. Terret ambustus Phaethon avaras / spes, in unode in cui13 il poeta consiglia la-more solo tra pari, seguendo un noto adagio proverbiale14, e vede in Fetonte (e Bellerofonte15) lesempio di chi, avido e am-bizioso, ha spinto troppo in alto le sue speranze: un tema che, come vedremo, non mancher di rimodularsi nella poesia ita-liana.

    Non mi risultano prima di Ovidio paralleli fra Icaro e Fetonte, ma i modi allusivi della narrazione ovidiana fanno s che ai let-tori antichi e moderni non sia sfuggito il sottile legame tra i due episodi mitici che Ovidio vuol suggerire; meno scontato inve-ce evidenziare che Ovidio stesso se ne serve in funzione auto-biografica nella produzione dellesilio e che quindi come spesso capita ci offre a ritroso anche la chiave interpretativa del mondo mitico del suo poema maggiore. Ovidio esule, attraverso esem-pi come questi, riflette sulla sua condizione, ponendo laccento proprio sul tema della mediocritas e del modus, e questo gi a partire dalla prima elegia dei Tristia: chi ha osato troppo salire come Icaro caduto in basso, anche se ha lasciato memoria di s nel mare (1, 1, 87-90), mentre Fetonte ricordato in un distico precedente (vv. 79-80) avrebbe preferito vitare caelum:

    Vitaret caelum Phaethon, si viveret, et quos

    optarat stulte, tangere nollet equos.

    [...]Ergo cave, liber, et timida circumspice mente

    ut satis a media sit tibi plebe legi!

    Dum petit infirmis nimium sublimia pennis Icarus, aequoreis nomina fecit aquis.

    Gli esempi trovano pi ampio sviluppo in trist. 3, 4, unelegia

    1971, 381 ss.13 Una recente e documentata lettura ne offre Traina 2003, 103-115.14 Vd. Citti 2000, 163-181.15 Cfr. Boitani 2004, 13 s.

  • 111 Rita DeglInnocenti Pierini

    interamente dedicata al motivo dellamicizia tra uguali, nella quale Ovidio teorizza il tema delloscura mediocrit come unica ncora di salvezza per gli individui, che non devono aspirare ad altezze, da cui inevitabile poi precipitare, come nel caso ap-punto di Icaro e Fetonte:

    Quid fuit, ut tutas agitaret Daedalus alas,

    Icarus inmensas nomine signet aquas?

    Nempe quod hic alte, demissius ille volabat:

    nam pennas ambo non habuere suas.

    Crede mihi, bene qui latuit, bene vixit, et intra

    fortunam debet quisque manere suam

    [...] nec natum in flamma vidisset, in arbore natas, cepisset genitor si Phaethonta Merops.

    Ovidio quindi conferma con questultimo passo lambiguit di fondo che caratterizza queste vicende mitiche e che aprir la strada a due diversi filoni della loro interpretazione16: si tratta di unaudacia blasfema e trasgressiva, oppure di una legittima aspirazione a superare gli angusti limiti della fisicit imposti alluomo dalla sua natura? Non si pu infatti dimenticare che il testo ovidiano del mito di Fetonte in una famosa rilettura offer-ta da Seneca nel De providentia assume una pregnanza nuova, accentuando la valenza positiva della spinta orgogliosa verso lalto e il tema poi della caduta eroica17 del generosus adule-

    16 Vd. Sozzi 1994 (e, indipendentemente, La Penna 2001). 17 Sen. prov. 5, 10-11: Contra fortunam illi tenendus est cursus multa

    accident dura, aspera, sed quae molliat et conplanet ipse. Ignis aurum probat, miseria fortes viros. Vide quam alte escendere debeat virtus: scies illi non per secura vadendum. [...] Haec cum audisset ille generosus adulescens, placet inquit via, escendo; est tanti per ista ire casuro. [...] Post haec ait: iunge datos currus: his quibus deterreri me putas incitor: libet illic stare ubi ipse Sol trepidat. Humilis et inertis est tuta sectari: per alta virtus it. Unanalisi capillare e ben documentata della presenza di Fetonte in Seneca ha svolto Berno 2003, 93 s. n. 103; 261-263; su ulteriori

  • 112 Aspetti della Fortuna dellAntico nella Cultura Europea

    scens: credo che lintertesto senecano sia stato presente a molti scrittori e poeti italiani, che si riappropriano in seguito del mito classico. Del resto lo stesso valore esemplare assume anche il mito di Icaro in un coro dellOedipus senecano (vv. 892 ss.), che si conclude col motto Tutto quello che eccede la misura resta sospeso nellinsicurezza (come traduce Paduano), motivo gno-mico presente anche in un coro dellHercules Oetaeus 675 ss. e non a caso illustrato dagli esempi di Fetonte (vv. 677-682) e di Dedalo ed Icaro (vv. 683-691): si intrecciano gi in Seneca evi-denti suggestioni e contaminazioni oraziane e ovidiane ad apri-re la strada alle riscritture moderne. La pensosa cornice gnomi-ca dei Tristia, venata di soggettivismo, si esalta nel tessuto argo-mentativo della tragedia senecana, dove il tema della mediet assunto a regola di vita anche per influsso di Orazio18.

    Non sar un caso che la sentenziosit icastica tipica della gnomica elegiaca e degli intermezzi corali senecani trovi una naturale prosecuzione in et, ambiti culturali e generi poetici molto diversi, ma tutti accomunati dalla volont di sfruttare la pregnanza simbolica del mito classico: mi limito a sondare bre-vemente tre esempi emblematici di questa variet interpretati-va, Dante, la lirica napoletana del 500 e DAnnunzio.

    2. DanteNel canto XVII dellInferno per scendere dal settimo allotta-vo cerchio, dagli usurai a Malebolge, Dante raccontando la sua

    straordinaria e terribile esperienza di volo sulle spallacce di Gerione (vv. 91-3), macchina inerte, vascello senzanima, se-condo lefficace definizione di Piero Boitani19, paragona il suo volo a quello dei due giovani eroi del mito classico, Fetonte ed

    elementi interpretativi, cfr. anche DeglInnocenti Pierini 1990, 251 ss.; 2008, 120 ss.; vd. per unulteriore indagine DeglInnocenti Pierini 2012.

    18 Vd. DeglInnocenti Pierini 1999, 39 ss.19 Boitani 2004, 83.

  • 113 Rita DeglInnocenti Pierini

    Icaro, Inf. XVII 106-114:

    Maggior paura non credo che fosse

    quando Fetn abbandon li freni,

    per che l ciel, come pare ancor, si cosse;

    n quando Icaro misero le reni

    sent spennar per la scaldata cera,

    gridando il padre a lui Mala via tieni!,

    che fu la mia, quando vidi chi era

    nellaere dogni parte, e vidi spenta

    ogni veduta fuor che della fera.

    Gli exempla mitologici sono qui funzionali per dimostrare che la dismisura e la hybris portano allannientamento delle-roe classico, mentre solo la misura e lhumilitas guidano leroe cristiano verso lindiamento. La paura che Dante-Icaro prova non quella dellIcaro ovidiano, incosciente e sicuro di s fino in fondo, mentre, nota Michelangelo Picone in una fine analisi dellepisodio20, semmai il maturo Dedalo a temere per lim-presa in cui si accinge a coinvolgere il figlio; da una descrizione oggettivizzata e minuziosa come quella ovidiana, in Dante si sci-vola verso una sintesi soggettiva del mito, come dimostra le reni sent spennar, immagine che conferisce un forte pathos realistico ed espressivo alla scena21, mentre lincisivo mala via tieni! implica gi un riferimento macrotestuale al tema dan-tesco del viaggio, dove la mala via dellorgoglioso Icaro caeli cupidine tractus (come leggiamo in met. 8, 224) si contrappo-ne alla diritta via del pellegrino cristiano guidato dallumilt e da Virgilio. E del resto non dimentichiamo che anche il Dante impegnato nella sua lotta contro le degenerazioni della chiesa contemporanea nellEpistola ai Cardinali italiani (11, 5) descri-

    20 Picone 1994.21 Unanalisi della scena ed una rassegna delle interpretazioni nei

    commenti alla Commedia in Wlassics 1975, 183-188.

  • 114 Aspetti della Fortuna dellAntico nella Cultura Europea

    ve questultimi come simili a Fetonte nel loro exorbitare, nella loro palese incapacit di guidare il carro della chiesa (non aliter quam falsus auriga Pheton exorbitastis) e tali quindi da condurla fino al precipizio.La funzione esemplare in Dante non appare quindi lontana dallOvidio dei Tristia e apre la strada ad emblematiche e future riletture dei due miti: soprattutto io credo che laccostamento esplicito del destino dei due eroi classici costituir anche una legittimazione a successivi giochi allusivi presenti nella poesia italiana di secoli diversi. Dante sottintende e supera linterpre-tazione medievale che incontriamo per es. nellOvide moralis, dove si legge a proposito di Fetonte: chi vola troppo alto si-norgoglisce di beni di Dio e non propri, chi troppo in basso ama troppo il mondo. Quelli che cadono somigliano al loro maestro Lucifero e lo seguono fino agli Inferi.

    3. Lirici del 500Un momento di grande fortuna del mito di Icaro costituita

    dallesperienza dellumanesimo napoletano, una presenza mol-to significativa a partire da un bel sonetto di Iacopo Sannazaro (79)22 :

    Icaro cadde qui: queste onde il sanno,

    che in grembo accolser quelle audaci penne;

    qui fin il corso, e qui il gran caso avvenneche dar invidia agli altri che verranno.

    Aventuroso e ben gradito affanno,

    poi che, morendo, eterna fama ottenne!

    Felice chi in tal fato a morte venne,

    cun s bel pregio ricompensi il danno.

    Ben p di sua ruina esser contento,

    se al ciel volando a guisa di colomba,

    22 Cito da Opere volgari, a cura di A. Mauro, Bari 1961.

  • 115 Rita DeglInnocenti Pierini

    per troppo ardir fu esanimato e spento;

    et or del nome suo tutto rimbomba

    un mar s spazioso, uno elemento!

    Chi ebbe al mondo mai s larga tomba?

    Sanazzaro esalta in Icaro lardimento ed una morte eroica ca-pace di riscattare una vita che non sar dimenticata, un motivo questo che non certo in Dante n nellOvidio delle Metamorfosi, che mettono in luce invece la paura del giovane; mi pare di po-ter dire che qui paiono innervarsi soprattutto tracce oraziane, anche per lidea degli interminati spazi (anche Ovidio in trist. 3, 4, 22 parla di immensas aquas), che sembra derivare dagli sce-nari di volo pindarico delle odi oraziane e quindi sottintendere unidentificazione del poeta con lessere alato, metafora gi an-tica, ma molto frequentata anche nella poesia di Petrarca23. comunque un successivo sonetto di Luigi Tansillo Amor mimpenna lale24, a differenza di quello del Sannazaro espres-so in prima persona, che collega in modo esplicito il motivo di Icaro con quello del volo di Amore:

    Amor mimpenna lale, e tanto in alto

    le spiega lanimoso mio pensiero,

    che, ad ora ad ora sormontando, spero

    a le porte del ciel far novo assalto.

    Temio, qualor gi guardo, il vol troppalto,

    ondei mi grida e mi promette altero,

    che, sal superbo vol cadendo, io pero,

    lonor fia eterno, se mortal il salto. Ch saltri, cui disio simil compunse,

    di nome eterno al mar col suo morire,

    23 Vd. Afribo 1994, 43 s.; cfr. anche analoghi componimenti nelle Rime estravaganti del Tebaldeo 347, 409, 600, 693, 716 (vd. ledizione di J.-J. Marchand, Modena 1989-1992).

    24 Cito da Lirici del Cinquecento, a c. di L. Baldacci, Milano 1975.

  • 116 Aspetti della Fortuna dellAntico nella Cultura Europea

    ove lardite penne il sol disgiunse,

    ancor di me le genti potran dire:

    - Questaspir a le stelle, e sei non giunse,

    la vita venne men, ma non lardire!

    Tansillo si dimostra qui molto probabilmente memore dellO-vidio dellArs amatoria, ma anche, mi sembra di poter sostenere, di Orazio nellode 4, 11, un componimento tematicamente affi-ne, dove lesempio di Fetonte era inserito nel contesto di unode, che metteva in guardia dal perseguire un oggetto damore lon-tano dalle proprie possibilit: appare quindi evidente che le due storie mitiche attraverso i modelli poetici latini si sovrappongo-no nella memoria poetica di Tansillo. Infatti se la prima quar-tina stata ricollegata, e non a torto, allalbus ales e allIcaro di Orazio carm. 2, 20, non senza echi del Petrarca, soprattutto per luso pregnante di impennare25, il novo assalto tansilliano sembra recuperare da Ovidio il concetto della straordinariet dellimpresa di Icaro, quale descritta anche da Orazio in carm. 1, 3. Il venosino Tansillo, lettore appassionato del conterraneo Orazio, secondo la pi nobile tradizione dellarte allusiva, in questo suo famoso sonetto anche in grado di far percepire la determinante mediazione di Petrarca, che nel Canzoniere, RVF 307, 8 s., sosteneva A cader va chi troppo sale, / n si fa ben per uom quel che l ciel nega e soprattutto nella cosiddetta canzo-ne della metamorfosi (RVF 23, 52-53), chiaramente rielaborava con filigrana allusiva26 i miti di Icaro e Fetonte su eleganti varia-zioni oraziane (N meno anchor magghiaccia / lesser coverto poi di bianche piume / allor che folminato et morto giacque / il mio sperar che troppalto montava).

    Il Tansillo, consapevole del suo umile ruolo di paggio di cor-

    25 Vd. Petrarca, sonetto 157, 3-4 Amor, cha suoi le piante e i cori impenna / per fargli al terzo e lei volando ir vivi.

    26 Di iligrana parla R. Bettarini (Torino 2004) nel suo commento a sonetto 307.

  • 117 Rita DeglInnocenti Pierini

    te, considera il suo amore per la marchesa del Vasto come una prova di ardimento, come unimpresa per cui vale la pena mori-re, un amore ambizioso e quindi pericoloso come la sfida al cie-lo di Icaro, ma in questo caso soprattutto di Fetonte, prima im-plicitamente evocato attraverso le raffinate allusioni ad Orazio e Petrarca, e in conclusione del sonetto esibito apertamente nellevidente rielaborazione, quasi una traduzione, dellepitafio fetonteo di Ovidio (sei non giunse ne la spia pi certa, un vero e proprio marker allusivo ricalcato com sul si ovidiano di met. 2, 32827 quem si non tenuit magnis tamen excidit ausis). La conta-minazione, a mio parere evidente, con lepitafo conclusivo della vicenda di Fetonte in Ovidio28 confermata dallaccostamento dei due miti e del destino eroico dei due giovani anche nelli-nizio di un madrigale dello stesso Tansillo (3 Prcopo)29: Sun Icaro, un Fetonte / per troppo ardir gi spenti il mondo esclama:/

    quel che perder di vita, elli han di fama.Un altro sonetto del Tansillo offre una variazione sullo stes-

    so tema, presentando ancora il motivo dellardimento amoroso, che accetta il rischio di una rovinosa dbcle, perch compen-sato dal pensiero della sublime eroicit dellimpresa, novello e ardimentoso Icaro:

    Poi che spiegate ho lale al bel desio,

    quanto per lalte nubi altier lo scorgo,

    pi le superbe penne al vento porgo,

    e, dardir colmo, verso il ciel linvio.

    27 Lo osserva giustamente Velli 1983, 69 n. 13, che nel suo saggio sottolinea anche la probabile intermediazione della tragedia senecana.

    28 Rudd 1988, 42, ad altro proposito, nota delle contaminazioni col mito di Fetonte, ma parla di errore, non di scelta poetica.

    29 Il Tansillo innesta pi chiaramente il mito di Icaro (sotteso secondo Rudd 1988, 30 in Petrarca 307) Io pensava assai destro esser su lale / (non per lor forza, ma di chi le spiega) / per gir cantando a quel bel nodo eguale / onde Morte massolve, Amor mi lega. / Trovaimi a lopra via pi lento et frale / dun picciol ramo cui gran fascio piega, / er dissi: A cader va chi troppo sale, / n si fa ben per uom quel chel ciel nega.

  • 118 Aspetti della Fortuna dellAntico nella Cultura Europea

    N del figliuol di Dedalo il fin riofa chio paventi, anzi via pi risorgo:

    chio cadr morto a terra ben maccorgo;

    ma qual vita sagguaglia al morir mio?

    La voce del mio cor per laria sento:

    - Ove mi porti, temerario? China,

    ch raro senza duol troppo ardimento.

    -Non temer, - rispondio, - lalta rovina;

    poich tantalto sei, mori contento,

    se l ciel s illustre morte ne destina.

    Questo sonetto fu nel passato attribuito a Giordano Bruno30, perch il filosofo lo fa esporre al Tansillo stesso quale interlo-cutore del terzo dei Dialoghi degli Eroici furori (con la sola va-riante al v. 3 di le veloci penne), ma il sonetto era stato pubbli-cato dal Tansillo gi nel 1558. Secondo Benedetto Croce, in un breve, ma famoso saggio31, nella complessa contestualizzazione del dialogo bruniano il sonetto di Tansillo viene ad assumere anche un diverso e pi profondo significato: il bel desio non sarebbe qui pi lamore, ma laspirazione alla Conoscenza. Non dimentichiamo del resto che Giordano Bruno stesso lo imi-t in un suo sonetto, premesso allopera De linfinito, universo e mondi, e che inizia appunto con E chi mi impenna, e chi mi scalda il core32, che non fa riferimento esplicito al mito di Icaro, ma rimanda invece allusivamente, attraverso il pregnante im-pennare, alla tradizione petrarchesca di Tansillo e nello stesso

    30 Vale la pena ricordare almeno lesempio autorevole del De Sanctis nella sua Storia della letteratura italiana.

    31 Ripubblicato in Problemi di estetica, Bari 1910. Sulle innervature platoniche del sonetto si sofferma Sozzi 1994, 194 s.

    32 Vd. i versi che pi interessano E chi mi impenna, e chi mi scalda il core, / chi non mi fa temer fortuna o morte, / chi le catene ruppe e quelle porte, / onde rari son sciolti ed escon fore? [...] / Quindi lali sicure a laria porgo, / n temo intoppo di cristallo o vetro; / ma fendo i cieli, e a lininito mergo.

  • 119 Rita DeglInnocenti Pierinitempo la supera con la tensione etica verso linfinito filosofi-co33. Qui posso solo accennare al problema, ma evidente che il tema funzionale alla nostra analisi, giacch come dicevo alli-nizio e come mi sembra dimostrato dalle nostre letture di oggi, anche le mediazioni hanno importanza, specialmente quando si tratta di esempi e di simboli: la cornice dialogica, la letteratu-ra al secondo grado dei genettiani palinsesti si direbbe oggi, il contesto con la sua trama di relazioni sono in grado di mutare di segno il significato primo e originario di un testo anche clas-sico e notissimo, ma gi Croce a proposito di questo sonetto di Tansillo parlava di palinsesti, cio di opere darte, che si crea-no su opere darte.

    4. DAnnunzioVeniamo ora allultimo esempio, che dovr nella mia espo-sizione sintetizzare al massimo, perch si tratta di DAnnunzio,

    che al mito di Icaro ha riservato ovviamente uno spazio privi-legiato, collegato com al tema eroico del volo pionieristico in cui si cimenta gi dal 1909, quando dichiara che la modernit supera sia il mito antico che il sogno del Rinascimento, Icaro e Leonardo: Ecco la metamorfosi della vita civile. una nuova ebbrezza, un nuovo bisogno. Non penso che a volare ancora34.

    Il testo pi emblematico il sonetto Lala sul mare, che pre-lude ad Altius egit iter, il cui titolo tratto da Ovidio ( sia in Ars 2, 84 che in met. 8, 225), e al Ditirambo IV, che segue da vicino la

    33 Cfr. Sabbatino 2004, 158. Mi sembra interessante aggiungere anche la menzione di Teoilo Folengo, Caos del Triperuno, vv. 19-21: Or dunque, di pi sana audacia e senno / chIcaro mai non ebbe, a lardua via / ambo gli piedi, ambo le braccia impenno.

    34 Cito da un inedito presente in un articolo di una specialista come Annamaria Andreoli, Corriere della Sera (11 aprile 2003, p. 35), articolo scritto alla vigilia dellinaugurazione della mostra DAnnunzio e Trieste, nel centenario del primo volo aereo. Interessante anche luso del mito icario in testi prosastici celebrativi, vd. Taccuini, a cura di E. Bianchetti, R. Forcella, Milano 1965, 854, 857.

  • 120 Aspetti della Fortuna dellAntico nella Cultura Europea

    narrazione ovidiana:

    Ardi, unala sul mare solitaria.

    Ondeggia come pallido rottame.

    E le sue penne, senza pi legame,

    sparse tremano ad ogni soffio daria. Ardi, veggo la cera! E lala icaria,

    quella che il fabro della vacca infame

    foggi quando fu servo nel reame

    del re gnossio per lopera nefaria.

    Chi la raccoglier? Chi con pi forte

    lega sapr rigiugnere le penne

    sparse per ritentare il folle volo?

    Oh del figlio di Dedalo alta sorte!Lungi dal medio limite si tenne

    il prode, e ruin nei gorghi solo.

    Sono presenti nel sonetto molti elementi che richiamano Ovidio35: soprattutto la suggestiva apparizione dellala sulle onde del mare chiaramente suggerita da Ovidio che sia in Ars 2, 95 che in met. 8, 233 parla di Dedalo che pennas adspexit in undis. Il folle volo volge a nuovo significato limmagine famo-sa, che Dante aveva impiegato per Ulisse (Inf. XXVI, 125 dei remi facemmo ali al folle volo): folle per Dante evocava un concetto di audacia carica di hybris36, per DAnnunzio connotato positi-vamente, come indicano poi alta sorte e il prode. La terzina conclusiva del sonetto sembra del resto riecheggiare allusiva-mente i componimenti del 500, che abbiamo prima citato, recu-perandone sia il gusto epigrafico che la movenza sentenziosa: e anche nel Ditirambo IV la fine di Icaro tale da attribuirgli lode

    35 Tengo conto delle note di commento di F. Roncoroni, Milano 1995, e di P. Gibellini, Torino 1995.

    36 Vd. Baldelli 1998, 370: folle e follia nella Commedia indicano un eccesso, qualcosa di temerario e d colpevole, perch appunto non misurato; ed dunque di anime superbe e magnanime.

  • 121 Rita DeglInnocenti Pierini

    eterna.Anche qui in DAnnunzio larte allusiva al servizio di un progetto innovativo che vuole guidare il lettore dallantico al moderno attraverso le tappe di un percorso personale quasi iniziatico: non certo un caso che, sin dalle prime pagine del ro-manzo Forse che s forse che no del 1910, DAnnunzio citi se stes-so ricordando la prima ala duomo caduta sul Mediterraneo, lala icaria composta con le verghe dellavellano con lomento secco del bue con le penne maestre degli uccelli rapaci. Per DAnnunzio la scelta di Icaro si configura come una decisione eroica, della quale si sottolinea spesso enfaticamente la solitu-dine, come sar per es. nel Dit. IV 550-1 Solo / fui, solo e ala-to nellimmensit: in questo contesto il recupero letterale della iunctura ovidiana medio limite37 permette a DAnnunzio non solo di alludere esplicitamente al modello ovidiano, ma anche di prenderne le distanze, giacch se in latino limes implica sem-plicemente la via, la rotta da seguire, nellitaliano limite invece presente unidea negativa, che appare chiaramente an-titetica rispetto alla visione superomistica dannunziana38. Il Dedalo ovidiano pone laccento sulla prudente pedagogia della mediocritas, mentre nella visione dannunziana la figura di Icaro chiaramente simbolo di eroico titanismo, come suona il titolo del successivo componimento preditirambico Altius egit iter39,

    37 Ov. met. 8, 203-5 (Instruit et natum medioque ut limite curras / Icare, ait moneo, ne, si demissior ibis unda / gravet pennas, s celsor, ignis adurat) tradotto quasi letteralmente nel Ditirambo IV vv. 496-9: Giova nel medio limite volare; / che, se tu voli basso, lacqua aggreva / le penne, se alto voli, te le incende / il fuoco. Tieni sempre il giusto mezzo; vd. anche 511 (la mia via) sar dovunque e non nel medio limite.

    38 Sottolinea opportunamente alcune differenze tra Ovido e DAnnunzio Fornaro 1994, 224: il folle volo di Ulisse fa tuttuno con quello del iglio di Dedalo [...] uomo e pur, pi del titubante Fetonte, degno di essergli iglio. La differenza di merito stabilita fra due eroi imprudenti propria di DAnnunzio: non in Dante, che collega i due folli voli nel segno della paura (Inf. XVII, 106 ss.) e non reperibile neppur in Ovidio.

    39 Espressione attestata sia nellars 2, 84 che nelle met. 8, 225, ma

  • 122 Aspetti della Fortuna dellAntico nella Cultura Europea

    parole che nelle Metamorfosi sono precedute da audaci coepit gaudere volatu e caeli cupidine tractus.

    Non possiamo certo ripercorrere in questa sede tutto il lun-ghissimo Ditirambo IV (650 versi), nel quale un Icaro adulto in prima persona narra per quadri successivi, scanditi dallincipit anaforico Icaro disse, la sua vicenda esistenziale, iniziando dai prodromi cretesi caratterizzati dal suo amore, quasi un rap-tus fascinatorio e premonitore, per Pasifae, figlia del Sole, cui il padre Dedalo andava preparando la vacca lignea. Proprio da questo amore devastante e morboso Icaro cerca di riscattarsi in unansia eroica di autodistruzione, che non ha evidentemen-te pi nulla in comune collingenuo puer del mito ovidiano40. NellIcaro di DAnnunzio non c paura, ma in un primo momento collaborazione attiva al progetto del padre, poi rifiuto del medio limite e infine ebbrezza di altezze, rappresentate dal ricercato contatto col Sole. Molto elaborata e insistita la descrizione di quella sorta di estasi del volo che coglie Icaro, in un brano per-vaso da forti sensazioni emotive (vv. 530 ss.), e caratterizzato da una sorta di nuova metamorfosi del corpo umano, che si identi-fica con aria, fuoco e poi infine acqua. LIcaro dannunziano da-gli occhi solari denuncia cos, a mio parere, anche la sua stretta affinit con Fetonte, quando si esalta al punto di voler lui stesso guidare il carro solare, attingendo alla descrizione ovidiana del II libro delle Metamorfosi, nellevocazione anche dei nomi dei mitici destrieri (vd. met. 2, 153-5), vv. 586 ss.:

    Poi non vidi altro pi, se non il Sole.

    Poi non volli altro pi, se non da presso

    mentre nellars ci che precede cum puer incautis nimium temerarius annis, il passo che sicuramente inluenza DAnnunzio met. 8, 223-5, citato sopra nel testo.

    40 Vd. il citato commento di Roncoroni 1995, 588 s. Nella caduta di Icaro si legge autobiograicamente anche la caduta dellillusione mitica di DAnnunzio, che dora in poi nel libro dAlcyone canter la nostalgia (ricordiamo che in questa ultima sezione presente Pastori, per fare un solo celeberrimo esempio).

  • 123 Rita DeglInnocenti Pierini

    mirarlo eretto sul suo carro ignto,

    giugnerlo, farmi ardito

    di prendere pei freni il suo cavallo

    sinistro, Etonte dalle rosse nari.

    La presenza sottilmente allusiva del Fetonte ovidiano nel Ditirambo IV di DAnnunzio, presenza che non sembra essere sufficientemente valutata nei commenti e negli studi sul mito icario in Alcyone41, alla luce del nostro percorso di lettura non ci appare semplicemente un intarsio erudito e baroccheggiante, ma si inserisce in una linea che, partendo dai classici antichi, si nutre nel suo percorso di altre voci e di altri autori, come la lirica del 500, sottolineando continuit e discontinuit: il gioco eru-dito imprime nel marino Icaro anche un pi marcato sigillo di solarit attraverso i riferimenti allusivi alla vicenda di Fetonte.

    Molto altro potremmo aggiungere al nostro viaggio aereo42, ma tempo di finire, perch non vorrei anchio per essermi troppo innalzata e soffermata nei cieli di Icaro e Fetonte rischia-re una rovinosa e poco eroica caduta nel sottrarre tempo agli altri interventi e nellannoiare il pubblico.

    Bibliografia A. Afribo, Aspetti del petrarchismo di Luigi Tansillo, Riv.lett.it.

    12, 1994, 43-77.C.F. Ahern, Daedalus and Icarus in the Ars amatoria, HSCP

    92, 1989, 273-296.G.M. Anselmi - M. Guerra (a cura di), Le Metamorfosi di Ovidio

    nella letteratura tra Medioevo e Rinascimento, Bologna 2006.

    41 Non ne parla per esempio Paratore 1966, uno studio peraltro ancora valido e suggestivo.

    42 Riferimenti ai due miti paralleli sono frequenti in Tasso, su cui vd. in particolare Colaninno 1996; Prandi 2004, 122-123. Sulla presenza di Fetonte, e di Icaro, in Leopardi si sofferma ora Sandrini 2010, 92 ss.

  • 124 Aspetti della Fortuna dellAntico nella Cultura Europea

    J.W. Ashton, The Fall of Icarus, PhQ 20, 1941, 345-351.I. Baldelli, Dante e Ulisse, Lettere italiane 50, 1998, 358-373.A. Barchiesi, Ovidio. Metamorfosi. Volume I (libri I-II), Milano

    2005.- Phaethon and the Monsters, in Ph. Hardie (ed. by), Paradox and

    the Marvellous in Augustan Literature and Culture, Oxford 2009, 163-188.

    F. R. Berno, Lo specchio, il vizio e la virt. Studio sulle Naturales quaestiones di Seneca, Bologna 2003.

    P. Boitani, Parole alate. Voli nella poesia e nella storia da Omero all11 settembre, Milano 2004.

    F. Bordone, Un Fetonte cristiano? Lascesa al cielo di Elia in Paolino di Nola (carm. 6, 77-78) tra memoria ovidiana e nuo-ve connatazioni simboliche, BStudlat 2006, 497-515.

    R. Chevallier, Le mythe de Phathon dOvide G. Moreau. Formes et symboles, in AA. VV., Colloque Prsence dOvide, Paris 1982, 387-425.

    M. Cistaro, Sotto il velo di Pantea: Imagines e Pro imaginibus di Luciano, Messina 2009.F. Citti, Disparem vites. Tra Callimaco e Orazio, in Studi oraziani, Bologna 2000, 163-181.

    M. Colaninno, Gli echi del precipizio. Il mito di Fetonte nelle Rime di Tasso, Studi tassiani 44, 1996, 134-146.

    B. Croce, A proposito di un sonetto del Tansillo, La Critica 1908, 237-240 [poi in Problemi di estetica, Bari 1910, 136-139].J. Dalfen, Ikarus ging unter... hoch ber den anderen. Erzhlter und angewandter Mythos durch zwei Jahrtausende, WS 114, 2001, 323-339.M. Dancourt, Ddale et Icare. Mtamorphoses dun mythe, Paris 2002.M. H.T. Davisson, The Observers of Daedalus and Icarus in Ovid, CW 90, 1996-1997, 263-278. R. DeglInnocenti Pierini, Tra Ovidio e Seneca, Bologna 1990.

    - Tra filosofia e poesia. Studi su Seneca e dintorni, Bologna 1999.- Il parto dellorsa. Studi su Virgilio, Ovidio e Seneca, Bologna

  • 125 Rita DeglInnocenti Pierini

    2008.- Medea tra terra, acque e cielo: sul prologo della Medea di

    Seneca, in L. Landolfi (a cura di), Atti del Convegno Paesaggi, luci e ombre nei prologhi tragici senecani (1-2 dicembre

    2008), Bologna 2012 [in corso di stampa].A. De Vivo, Il volo di Fetonte da Ovidio a Seneca, GIF 61, 2009, 123-137.L. Duret, Nron-Phathon ou la tmrit sublime, REL 66, 1988, 139-155.

    R. Faber, Daedalus, Icarus, and the Fall of Perdix: Continuity and Allusion in Metamorphoses 8, 183-259, Hermes 126, 1998, 80-89.

    P. Fornaro, Metamorfosi con Ovidio, II classico da riscrivere sem-pre, Firenze 1994.

    F. Gavazzeni, Le sinopie di Alcione, Milano-Napoli 1980. P. Gibellini, II volo di Icaro: nuove carte di Alcyone, Quaderni

    del Vittoriale 1, 1977, 15-29 [poi anche in Logos e Mythos. Studi su Gabriele DAnnunzio, Firenze 1985, 119-132].

    B. Guthmuller, Mito, Poesia, Arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, Roma 1997.

    B. Hebel, Vidit et obstipuit. Ein Interpretationsversuch zu Daedalus und Ikarus in Text und Bild, AU 15, 1972, 87-110.

    M. Hoefmans, Myth into Reality: the Metamorphosis of Daedalus and Icarus (Ovid, Metamorphoses, VIII 183-235),Ant. class. 63, 1994, 137-60.

    K.J. Hlkeskamp - S. Rebenich (edd.), Phathon: ein Mythos in Antike und Moderne. Eine Dresdner Tagung, Stuttgart 2009.

    R. Holland, Die Sage von Daidalos und Ikaros, Leipzig 1902.M.R. Jung, Aspects de lOvide moralis, in M. Picone - F.

    Zimmermann, cit., 149-172. A. La Penna, Tra Fetonte e Icaro. Ardimento o amore della scien-

    za?, Maia 53, 2001, 535-564.K. Luck-Huyse, Der Traum vom Fliegen in der Antike,

    Palingenesia LXII, Stuttgart 1997. R.O.A.M. Lyne, Further Voices in Vergils Aeneid, Oxford 1987.

  • 126 Aspetti della Fortuna dellAntico nella Cultura Europea

    R. Marchese, Figli benefattori, figli straordinari. Rappresentazioni senecane dellessere figlio, Palermo 2005.D. Martinelli C. Montagnani, Vocabolari e lessici speciali nelle-laborazione di Alcyone, Quaderni del Vittoriale 13, 1979, 5-59.

    G. Mazzoli, Due note anneane: II Linclitum carmen di Vagellio, Athenaeum 46, 1968, 363-368.

    V. Merriam Wise, Flight Myths in Ovids Metamorphoses: an Interpretation of Phaethon and Daedalus, Ramus 6, 1977, 44-59.

    J. Nyenhuis, s.v. Daidalos et Ikaros, LIMC III (1986), 313-321. A. Noferi, LAlcyone nella storia della poesia dannunziana, Firenze

    s.d. [ma 1946]. E. Paratore, Studi dannunziani, Napoli 1966. M. Picone, LOvidio di Dante, in A.A. Iannucci (a cura di), Dante e

    la bella scola della poesia. Autorit e sfida poetica, Ravenna 1993, 107-144.

    - Dante argonauta. La ricezione dei miti ovidiani nella Commedia, in M. Picone-F. Zimmermann, vd., 173-202. M. Picone F. Zimmermann (a cura di), Ovidius redivivus. Von Ovid zu Dante, Stuttgart 1994.

    B. Poulle, Phaton et la lgitimit dAuguste, in M. Fartzoff, . Smadja, . Geny (ed. par), Pouvoir des hommes, signes des dieux dans le monde antique, Besanon 2002, 125-134.

    S. Prandi, Il volo, il desiderio, la caduta: Icaro nella lirica italiana e francese del XVI secolo, Italiques 7, 2004, 103-135.

    M.C.J. Putnam, Daedalus, Virgil and the End of Art, AJPh 108, 1987, 173-198.

    P. Renucci, Dante disciple et juge du monde greco-latin, Paris 1954.

    R. Roncali, Ovidio, il mito di Dedalo e il tiranno, Quaderni di sto-ria 46-47, 1998, 45-58.

    N. Rudd, Daedalus and Icarus (i) from Rome to the End of the Middle Ages; (ii) from the Renaissance to the Present Day, in C. Martindale (ed.), Ovid Renewed, Cambridge 1988, 21-53;

  • 127 Rita DeglInnocenti Pierini

    257-263. P. Sabbatino, A linfinito mergo. Giordano Bruno e il volo del mo-

    derno Ulisse, Firenze 2004.G. Sandrini, Nel cielo di Ovidio: Calvino, Leopardi e le favole anti-

    che, in G. Sandrini, M. Natale (a cura di), Gli antichi dei mo-derni. Dodici letture da Leopardi a Zanzotto, Verona 2010, 79-108.

    A. Sharrock, Seduction and Repetition in Ovids Ars amatoria II, Oxford 1994.

    L. Sozzi, Coeli cupidine tractus: note sul mito di Icaro nella poe-sia del Rinascimento, in Mlanges de potique et dhistoire lit-traire du XVIe sicle offerts L. Terreaux, Paris 1994, 175-203.

    S. Toso, Fabulae graecae: miti greci nelle gemme romane del I secolo a.C., Roma 2007.

    A. Traina, Lultimo amore. Lettura dellode 4,11 di Orazio, in La lyra e la libra. Tra poeti e filologi, Bologna 2003, 103-115.

    J. Usher, Global warming in the sonnet: the Phaeton myth in Boccaccio and Petrarch, Studi sul Boccaccio, 28 (2000), 125-183.

    M. Valgimigli, A proposito di critica e di un sonetto del Tansillo, Giorn.stor.lett.it. 53, 1909, 176-178.

    G. Velli, Un sonetto del Sannazaro, in Tra lettura e creazione: Sannazaro, Alfieri, Foscolo, Padova 1983, 57-72.

    R. Vivier, Frres du ciel. Quelques aventures potiques dIcare et de Phaton, Bruxelles 1962.

    S. Weinstock, Divus Iulius, Oxford 1971.T. Wlassics, Dante narratore. Saggi sullo stile della Commedia,

    Firenze 1975.

  • Finito di stampare nello stabilimento tipografico Arti Grafiche Faviaper conto di

    Edizioni Il Castello

    nel mese di febbraio 2012