riletture del mercante di venezia il romanzo di guido ...narratori italiani del secondo novecento....

1
n. 243 DOMENICA - 4 SETTEMBRE 2016 Il Sole 24 Ore 29 Letteratura riletture del mercante di venezia Se neppure Jessica ama la musica Il testo di Shakespeare disturba per la quantità di odio e pregiudizio, che neanche l’amore da «romance» riesce a redimere di Piero Boitani I l Mercante di Venezia è uno dei drammi che più turbano e disturbano nel canone del grande drammaturgo di Stratford. Nella Venezia cinquecentesca un presti- to di tremila ducati concesso dall’usura- io ebreo Shylock al giovane gentiluomo Bassanio su garanzia del mercante Antonio sta per finire in tragedia. Perché Shylock pre- tende, in caso di mancato pagamento entro tre mesi, una libbra della carne di Antonio, e le na- vi di quest’ultimo, dalle quali dovrebbero ve- nire proventi bastanti a onorare il debito, fan- no naufragio. Le cose, però, si mettono male anche per Shylock, perché sua figlia Jessica fugge di casa per sposare il cristiano Lorenzo, portandosi via duemila ducati. Shylock porta la propria causa dinanzi al Doge. Il quale, natu- ralmente, deve far rispettare la legge. Nel tri- bunale compare allora Porzia in veste di avvo- cato padovano. Dopo aver invitato l’ebreo alla misericordia, davanti al suo rifiuto Porzia ne appoggia le richieste («Un vero Daniele!», esclama Shylock in apprezzamento), ma insi- ste perché tutta la legge sia rispettata: se una sola goccia di sangue cristiano venisse versata nell’asporto della carne di Antonio, i beni del- l’ebreo sarebbero confiscati, e lui condannato a morte o alla conversione. Shylock esce scon- fitto dal processo: senza figlia, senza averi, senza la sua religione. I cristiani vincono: le tre navi di Antonio rientrano, non erano naufra- gate, e le trame amorose si risolvono. Le cose, però, sono infinitamente più com- plesse. La prima parte del dramma, per esem- pio, contiene una feroce discussione sulla di- versa interpretazione che della Bibbia danno ebrei e cristiani, e sulle conseguenze etiche, giuridiche ed economiche che le differenti letture comportano. Shylock, per dirne una, sostiene che l’interesse da lui praticato sia le- gittimato da un passo della Genesi, mentre Antonio lo accusa: «Il diavolo cita le Scritture a suo comodo». Deve essere costato più di una goccia di san- gue a Dario Calimani, anglista tra i più seri ed ebreo veneziano, affrontare Il Mercante di Ve- nezia. Lo fa, infatti, con evidente sofferenza, ma in maniera impeccabile. È chiaro che Shakespeare ha voluto rappresentare nel Mer- cante un dibattito tra giustizia e legge da una parte, e giustizia e misericordia dall’altra, aspettandosi anche che il suo pubblico identi- ficasse la prima – il coincidere della giustizia con la legge – con la posizione degli ebrei, e la seconda – giustizia temperata da misericordia – con quella dei cristiani. Tuttavia, Shakespea- re complica le cose in maniera pressoché ine- stricabile, inserendo contraddizioni di ogni ti- po all’interno di ciascuna posizione: «Chi è il mercante qui? E chi l’ebreo?», domanda infatti Porzia. Lo Shylock che esige soltanto il rispetto della legge e rifiuta la misericordia, ignora che essa è presente, forte e chiara, già nella Bibbia ebraica. Porzia, che celebra la misericordia in un inno famoso («Per sua natura, la clemenza non si impone, / scende gentile come pioggia dal cielo»), sostiene però: «allora l’ebreo deve essere clemente». Dice Porzia a Shylock: «dato che invochi giustizia, sta’ sicuro / che giustizia avrai, e più di quanta tu ne chieda». Nel som- ministrare tale “di più” di giustizia, Porzia, e poi il Doge e Antonio, non mostrano tuttavia nessuna misericordia. Shylock viene privato dei suoi soldi (e cioè, come egli dice, della vita stessa) e della figlia, e costretto a convertirsi. Insomma, il processo ha condotto in un vicolo cieco di contraddizioni. Non c’è giustizia sen- za misericordia, ma nessun tribunale umano possiede la misura perfetta di entrambe. Quel- la misura, la possiede soltanto Dio, come rico- nosce Paolo proprio nel momento in cui fonda la distinzione tra ebraismo e cristianesimo nella Lettera ai Romani. Sarebbe del tutto ridicolo negare che i pro- blemi discussi nel Mercante di Venezia diven- gono quasi insopportabili perché la posta in gioco è il denaro e, in stretta congiunzione con esso, un pezzo stesso del corpo umano, e so- prattutto perché il protagonista è ebreo: per- ché l’essere ebreo è considerato sufficiente per la discriminazione e l’esclusione: perché Shylock stesso invoca «le mie azioni ricadano sul mio capo!» come i Giudei durante il proces- so a Gesù gridarono «il suo sangue ricada su di noi e i nostri figli»: e perché Shylock stesso preferirebbe avere un discendente di Barabba come genero piuttosto che un cristiano. C’è in- somma nel Mercante una quantità tale di odio, disprezzo, e pregiudizio reciproci da rendere il dramma una pietra d’inciampo. Sino a non molto tempo fa pensavo che l’amore tra il cristiano Lorenzo e l’ebrea Jessi- ca potesse costituire la risposta a questo stato di cose: quando Lorenzo invita Jessica a guar- dare le «patène d’oro sfolgorante» che tra- puntano il cielo e ad ascoltare la musica celeste che da esse proviene e che disegna una «dolce armonia». Ora, però, dopo aver letto l’intro- duzione e il commento di Dario Calimani al Mercante, comincio a dubitare seriamente an- che del potere di redenzione che l’unione di Lorenzo e Jessica potrebbe avere. Calimani fa notare che Jessica, al suono della musica, dice: «Non mi dà mai gioia la musica soave». «Jessi- ca non ama la musica, come Shylock», scrive Calimani; «malgrado la conversione, qualco- sa la lega ancora al padre. E forse la tristezza le deriva dalla coscienza dell’infedeltà e dell’ab- bandono». L’introduzione si chiude così: «Sembra che rimanga, alla fine, un senso amaro di incompletezza, per l’incapacità di tutti i personaggi di armonizzare la necessità con il riconoscimento e con la riconoscenza, l’amore con il disinteresse, il dovere con il di- ritto, la giustizia con l’umanità, la misericor- dia con la giustizia, la società con il diverso, l’uomo con l’uomo». Forse il miglior commento a un dramma ormai classico della nostra immaginazione è la ri-scrittura. In Inghilterra (e in America), la gloriosa Hogarth Press di Leonard e Virginia Woolf viene resuscitata da Crown per pubbli- care i rifacimenti contemporanei di opere shakespeariane per mano di scrittori di presti- gio: in Italia, se li è assicurati la Rizzoli. Sono già usciti Lo spazio del tempo (Racconto d’inver- no) di Jeanette Winterson e Vinegar Girl (Bisbe- tica domata) di Anne Tyler. C’è grande attesa per la versione della Tempesta rielaborata da Margaret Atwood. Il mio nome è Shylock di Howard Jacobson, il secondo titolo della serie, è un vero e proprio tour de force che trasporta il Mercante nell’ovest dell’Inghilterra di oggi e che cambia trama e personaggi lasciando in- tatto, per così dire, il solo Shylock: il quale vola, rabbioso come sempre, dal Cinquecento ve- neziano al Cheshire odierno grazie a un trucco degno di Garcia Marquez. La storia è piena di sorprese, la narrazione tesa, l’ironia sempre presente, i personaggi – in particolare Simon Strulovitch e Shylock – ben costruiti. Ci sono persino l’ambiguità e l’incertezza. Insomma, lo si legge molto volentieri. Allora, cosa man- ca? Beh, Shakespeare. © RIPRODUZIONE RISERVATA William Shakespeare, Il mercante di Venezia, a cura di Dario Calimani, Marsilio, Venezia, pagg. 296, € 17,50; Howard Jacobson, Il mio nome è Shylock, traduzione di Laura Pignatti, Rizzoli, Milano, pagg. 298, € 19 paolo volponi L’AUTORE Paolo Volponi nasce a Urbino il 6 febbraio 1924. Esordisce nel dopoguerra come poeta, con libri come Il ramarro (Istituto d’arte 1948), L’antica moneta, i poemetti di Le porte dell’Appennino (Feltrinelli 1960), che si aggiudica il premio Viareggio, e Foglia mortale (Bucciarelli 1974), che tutti insieme confluiscono nella raccolta Poesie e poemetti 1946-1966 (a cura di Gualtiero De Santi, Einaudi 1980). Intanto ha conosciuto Adriano Olivetti ed è stato assunto nella sua azienda di Ivrea. Pubblica il romanzo Memoriale (1962), che lo avvia a diventare uno dei maggiori narratori italiani del secondo Novecento. Un nuovo volume einaudiano, Con testo a fronte. Poesie e poemetti (1986) riunisce i versi scritti fra il 1967 e il 1985. Senatore a partire dal 1983 per il Partito comunista italiano e poi per Rifondazione comunista, Volponi prosegue la sua attività letteraria, stampando fra l’altro i versi di Nel silenzio campale (Manni 1990). Deputato nel 1992, Volponi muore ad Ancona il 23 agosto 1994. Curato da Emanuele Zinato, il volume complessivo delle Poesie 1946-1994 esce da Einaudi nel 2001, con una prefazione di Giovanni Raboni. NOTA DI LETTURA «La bellezza del mondo quale viene accepito dai sensi infantili s’identifica con la sua purezza: e di tale poeticità morale sono infatti concrezioni gli sprofondati e percossi, i patetici paesaggi volponiani»: così scriveva Pasolini nel 1956 recensendo L’antica moneta, secondo libro poetico del nuovo amico Paolo Volponi. Ed è molto interessante, credo, cogliere in questo Volponi, per così dire, “pre-industriale”, ancora legato a certi moduli ermetici e alla terra natìa, quell’accen- sione psichica che poi innescherà i grandi quadri narrativi dello sconvolgimento contempora- neo. Il primo magnifico verso di questa poesia è un annuncio, quasi un’autorizzazione ad accedere all’irrazionale. Il paesaggio ha le sue conseguenze, che sono riportate con l’asciuttezza lirica di sintomi collaterali. L’ora notturna infligge ossessioni rapide, erranti come «uccelli forestieri» o un «gregge delle nubi»; ed è ciò che sta in alto (appunto il «cielo che sgomenta», «pascolo d’orrore» privo di luna, l’ombra in cui gridano inquieti uccelli pascoliani) ad avvolge- re l’io poetico, ad assistere allo sprofondamento dei suoi tesori mentali. La notte delle ceneri Giunto è il momento d’impazzire. Arrampichiamoci sui campanili, inseguite a cavallo il sole che fugge. Serrate l’acqua nelle fontane, amica della sera e scrollate dagli alberi gli uccelli. Affondano a quest’ora i miei tesori in un fiume dietro la foresta; in alto nel cielo che sgomenta riprende il passo di uccelli forestieri. In queste lunghe notti, che intere la luna non sostiene, erra a un pascolo d’orrore il gregge delle nubi; si apre l’anima mia, come l’angiolo sulle chiese che s’anima d’inferno. A un attimo di luce astrale vola nell’ombra con un grido l’uccello che vide Giuda suicida sull’albero di fico. poesia d’oggi a cura di Paolo Febbraro (tratto da L’antica moneta) Vallecchi 1955 Elogio della vendetta Il 7 maggio del 2006 su Domenica Remo Bodei rifletteva sulle tesi di uno studioso americano, William Ian Miller, che rivalutava la «legge del taglione»: non usanza barbarica, ma ristabilimento di un diritto violato. Si trattava anche del Mercante di Venezia e dell’onestà di Shylock www.archiviodomenica.ilsole24ore.com Friedrich Nietzsche, Crepuscolo degli idoli Newton Compton, Roma, 2011 L’aforisma scelto da: Gino Ruozzi Formula della mia felicità: un sì, un no, una linea retta, una metaa mantova Howard Jacobson parlerà di «Il mio nome è Shylock» con Lella Costa durante Festivalette- ratura a Mantova, domeni- ca 10 settembre alle 10.45 a Palazzo San Sebastiano. Venerdì 9 alle 19.30 a palazzo Ducale dialogherà con Jeanette Winterson e Peter Florence sul tema: «Le vice anglais, l’illusione della Brexit » la poesia Sera di  Cees Nooteboom In memoria di Hugo Claus L a sedia azzurra sulla terrazza, caffè, sera, l’euforbia si tende verso divinità assenti, nostalgica della costa, ogni cosa un alfabeto di desideri segreti, questa è la sua ultima visione prima del buio, il velo dentro la sua testa. Lui sa, svaniranno le forme delle parole, nel calice solo la feccia, linee tra loro scollegate che un tempo erano pensieri, non verrà piú parola alcuna che sia vera. Grammatica sbriciolata, immagini sfocate senza legame, del vento il suono ma non piú il nome, qualcuno l’ha detto e la morte era distesa sul tavolo, domestico pigro, in attesa in corridoio, sorride stupidamente sfogliando il giornale con le sue folli notizie. Tutto questo lui lo sa, l’euforbia, la sedia azzurra, il caffè in terrazza, il giorno che lentamente lo avvolge. Traduzione di Fulvio Ferrari da Licht overal, Luce ovunque(2012) La poesia, dedicata al poeta fiammingo Hugo Claus parla della sua malattia, l’Alzheimer: decise infatti che non voleva più vivere, perché non avrebbe più potuto scrivere © 2016 Cees Nooteboom, © 2016 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino cees nooteboom Gioco con l’enigma di  Paolo Febbraro N arratore, poeta, errabondo scrittore di viaggio, Cees Nooteboom appare oggi in italiano con un libro poetico che comprende un’ampia scelta dalla raccolta più recente, che dà il titolo all’in- tero volume, e una più severa selezione di poe- sie tratte dai volumi via via precedenti. Chi ama la sua prosa, dunque, ha la possibilità di coglier- ne la radice quadrata, poiché la poesia è un ac- celeratore di verità. Ci troviamo di fronte a me- ditazioni sul tempo, a specchi inquisitori, al- l’ossessione dello sguardo che non cattura e che allora si prolunga in una “litania dell’oc- chio”. Nooteboom sembra rassegnarsi alla propria saggezza: «Guarda il pendio, gli alberi sul pendio. / […] / Vedere tutto, non capire niente: il motto del pittore. / Alberi incompresi, pendio frainteso». La materia impressiona i suoi versi, ma li lascia allo stato di fantasma, co- me fossero una lastra radiografica di ciò che vorremmo vedere vivo. È l’effetto paradosso della “luce ovunque”: lo sguardo non può po- sarsi su qualcosa senza tradire il grande resto, che s’irraggia («quanti raggi ha la ruota / di un solo / giorno?») nello spazio-tempo, propone fughe prospettiche, trappole cronologiche. Del resto, il già celebre Canto dell’essere e dell’appari- re terminava con un richiamo alla teoria della relatività. E le poesie sono qui disposte, per dir così, in senso antiorario, come in una confuta- zione del tempo, o per un suo diverso utilizzo. Così il poetare dello scrittore olandese consi- ste in una calma tessitura dell’arbitrio: è senten- ziosoperchélaletteraturadevefirmareconlesue limpide formule i fatti più sfuggenti e sconcer- tanti,farlipassarepereterni,sovrapponibili.Tut- ti sappiamo che un cavallo, da solo, non avrebbe senso: ne ha solo quando ne appare un secondo. Tuttavia, questa somiglianza del mondo con sé stesso non dipana il mistero. In un dialogo ideale con Wittgenstein Nooteboom allude al filosofo austriaco come a un «cavaliere errante / caduto inunatrappoladisegnatadaluistesso».Esicom- prende che in tanto prestigio della parola autore- vole (i riferimenti a Borges appaiono inevitabili; ma ci sono anche Orazio e Virgilio, un ciclo di componimenti dedicato al De rerum natura e un catalogo di evocazioni che comprende Esiodo, il poeta dell’VIII secolo Meng Jiao, Shelley, Carte- sio,Ungaretti,WallaceStevens,Omero…),delsa- peredepositatosulmondoechiusonell’universo postmoderno del rimando continuo, l’autore ce- lebri la poesia come sperdimento e vertigine. Essa è celebrata infatti come un «inconfutabi- le palazzo di parole», o «ripetizione / di prece- denti mitologie». Metafore di nobiltà non fre- schissima («nel lago dei tuoi occhi», «onde di pa- role») o viceversa figlie di moderate euforie mo- derniste («tua moglie brasata», «le tue tracce di miele sul registro catastale»), percorrono poesie che s’interrogano sulla percezione e l’identità, e in che modo esse vengano tradite o assicurate dalla scrittura. Siamo chiamati dentro un ele- gantegiococonl’enigma,coidilemmiquotidiani del silenzio, della notte e dell’assenza. Di conse- guenza, l’esotismo del grande viaggiatore, che attraversa decine di luoghi e migliaia di pagine, è un’illusione ottica: su ogni cosa si distende la stessa luce perplessa, sognata e fluttuante. Noo- teboom canta l’essere e l’apparire, ma ha troppo poca fiducia nel loro rapporto. © RIPRODUZIONE RISERVATA Cees Nooteboom, Luce ovunque. 2012- 1964, traduzione di Fulvio Ferrari, Einaudi, Torino, pagg. 216, € 14,50, in libreria dal 6 settembre a lui il premio lerici Il premio Lerici Pea alla carriera sarà assegna- to l’11 settembre a villa Marigola, San Terenzo di Lerici (La Spezia) a Cees Nooteboom: «Per il suo percorso esemplare di poeta nel mondo e nella storia, attento all’esterno come all’intimo, compagno di viaggio e interlocutore di maestri come Shelley e Ungaretti». Noteboom sarà venerdì 9 settembre a Festivaletteratura di Mantova alle 11.15 alla basilica palatina di santa Barbara e alle 17.30 alla chiesa di san Barnaba. il romanzo di guido conti Miseria e nobiltà del Rinascimento di  Gino Ruozzi N ovembre1510.Lascenasiapresuun episodio di principesca efferatezza. Il duca di una corte padana nei pres- si del Po uccide la moglie con una fe- roce decapitazione. Nello stesso istante un mi- sterioso cavaliere elude la sorveglianza della città e fugge nella notte, non prima di essere stato però ferito da un abile balestriere. È il movimentato inizio del nuovo roman- zo di Guido Conti, La profezia di Cittastella. L’ambiente è quello di una corte tra Lombar- dia ed Emilia, sul tratto di Po tra Viadana e Ostiglia, il cui centro politico è l’immaginaria sede ducale di Cittastella e quello religioso la celebre abbazia benedettina di Polirone a San Benedetto Po. Gli anni sono quelli iniziali e determinanti del Cinquecento, dal 1510 al 1525, luminosi e tragici, tempo delle più alte espressioni artistiche e letterarie del Rinasci- mento (da Machiavelli a Michelangelo) e dei processi politici, religiosi e militari della Mo- dernità. Il romanzo è siglato al principio dal- l’assedio di papa Giulio II alla città modenese di Mirandola (gennaio 1511), alla fine dalla ter- ribile battaglia di Pavia (24 febbraio 1525) tra truppe francesi e imperiali e dal successivo arrivo dei lanzichenecchi e della peste in Ita- lia. Sono decenni di mutamenti radicali nella concezione della società e della guerra, pro- prio a cominciare dal «memorabile» assedio di Mirandola da parte di Giulio II, definito da Guicciardini nella Storia d’Italia «una cosa inaspettata e inaudita per tutti i secoli», cioè che il pontefice intervenisse «personalmente negli eserciti contro alle terre de’ cristiani». Tutto ciò è materia del romanzo di Conti, in cui le vicende personali si legano agli eventi pubblici formando un persuasivo intreccio narrativo. Il filo conduttore è la storia di Rug- gero, prima bambino poi ragazzo, che attra- verso l’aiuto provvidenziale di frate Berardo porta a compimento la propria formazione e un decisivo compito storico (la «profezia» del titolo). I personaggi che lo accompagnano in questo percorso sono molti, amici e nemici, come esige la natura di un racconto che vuole essere anche di avventura, ricco di colpi di scena, di giochi degli equivoci, di conflitti e congiure, di tensioni e svelamenti. In primo piano è il personaggio del duca, principe di una corte animata da adulatori e astrologi, nani e buffoni. Conti scrive a proprio modo un «libro del cortigiano» narrativo e critico, mo- strando il diritto e il rovescio delle corti cin- quecentesche magistralmente illustrate da Castiglione e da Bembo. Quest’opera di rivisi- tazione dell’universo cortigiano è uno degli obiettivi del romanzo, che coniuga la tradi- zione novellistica, quella storica e saggistica, quella aneddotica. Tra i protagonisti spicca il buffone Gonella, vissuto nella corte estense di Ferrara e noto attore di facezie del Quattrocento, presente in numerose novelle di Matteo Bandello, a cui Conti guarda per l’unione di toni drammatici e comici. A Gonella, buffone impertinente e uomo di pochi scrupoli, Conti affida un ruolo primario nell’evoluzione del romanzo, così come alla comunità dei nani di corte. Per que- sti ultimi, capeggiati dal proprio «principe» Rodomonte (molti dei nomi utilizzati hanno matrici cavalleresche e funzioni eroicomi- che), Conti rievoca la stravagante residenza estense dei nani vogatori, ideata per dare agli uomini «normali» la «sensazione di essere invincibili e giganti». Nobiltà e miseria si me- scolano di continuo nel romanzo di Conti, in cui le poche figure valorose sono bilanciate dalle molte deboli e contraddittorie; ai rari personaggi che assomigliano a padre Cristo- foro si affiancano i tanti che rispecchiano don Abbondio, in una storia virtuosamente ali- mentata dall’invenzione manzoniana, anche nell’atroce descrizione della peste. Nel testo un altro personaggio essenziale è «il grande fiume». Al Po l’estro narrativo di Conti si è sempre ispirato, dai racconti del Coccodrillo sull’altare (1998) al romanzo Il tra- monto sulla pianura (2005) al viaggio del Grande fiume Po (2012). Egli si inserisce nella fertile scia di Bacchelli, Zavattini e Guareschi, Soldati e Brera, Bassani e Cibotto, Celati e Pe- deriali. Il Po come mito e come realtà, territo- rio di fuga e di asilo, paradiso perduto di ecce- zionale bellezza che tuttora conserva il fasci- no di un mondo fantastico. Nel romanzo «il grande fiume» ha un rilievo prioritario, sia come rifugio sia come oasi da cui bisogna poi emanciparsi per affrontare i tumulti della «città», sull’esempio (dalla prospettiva spe- culare della montagna) del giovane protago- nista della «novella delle papere» del Decame- ron di Boccaccio e di Renzo Tramaglino nei confronti di Milano e della rivolta del pane. È un passaggio necessario per crescere ed è perciò la rottura traumatica che deve com- piere Ruggero: lasciare le proprie sicurezze (comunque labili) e approdare ai rischi della storia e dei sentimenti. Il romanzo di Conti mescola l’avventura e l’amore, l’amicizia e la guerra, i tradimenti e le beffe, con rapide e intense riflessioni aforisti- che. Una delle più illuminanti è affidata al sar- castico indovino Aronte e sintetizza stile e contenuto del romanzo: «Non è beffardo il destino? Pensiamo che la nostra vita abbia un senso e, tutt’a un tratto, la nostra storia cam- bia, cambia il nostro passato e il nostro futuro. Basta un particolare per cambiare il senso di un destino. Basta un fatto, una parola e il de- stino prende un’altra forma. La tragedia di- venta farsa e la farsa si trasforma in tragedia». © RIPRODUZIONE RISERVATA Guido Conti, La profezia di Cittastella, Mondadori, Milano, pagg. 324, € 20 500 anni dopo | Dal 26 al 31 luglio 2016 la Compagnia de' Colombari (Usa) in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari per la prima volta ha messo in scena «Il Mercante di Venezia» di Shakespeare nel Ghetto di Venezia, ambientazione originaria del dramma

Upload: others

Post on 27-Feb-2021

9 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: riletture del mercante di venezia il romanzo di guido ...narratori italiani del secondo Novecento. Un nuovo volume einaudiano, Con testo a fronte. Poesie e poemetti (1986) riunisce

n. 243 DOMENICA - 4 SETTEMBRE 2016 Il Sole 24 Ore 29

Letteratura

riletture del mercante di venezia

Se neppure Jessica ama la musicaIl testo di Shakespearedisturba per la quantitàdi odio e pregiudizio,che neanche l’amore da «romance» riesce a redimere

di Piero Boitani

Il Mercante di Venezia è uno dei drammiche più turbano e disturbano nel canonedel grande drammaturgo di Stratford.Nella Venezia cinquecentesca un presti-to di tremila ducati concesso dall’usura-io ebreo Shylock al giovane gentiluomo

Bassanio su garanzia del mercante Antoniosta per finire in tragedia. Perché Shylock pre-tende, in caso di mancato pagamento entro tremesi, una libbra della carne di Antonio, e le na-vi di quest’ultimo, dalle quali dovrebbero ve-nire proventi bastanti a onorare il debito, fan-no naufragio. Le cose, però, si mettono male anche per Shylock, perché sua figlia Jessica fugge di casa per sposare il cristiano Lorenzo, portandosi via duemila ducati. Shylock porta la propria causa dinanzi al Doge. Il quale, natu-ralmente, deve far rispettare la legge. Nel tri-bunale compare allora Porzia in veste di avvo-cato padovano. Dopo aver invitato l’ebreo allamisericordia, davanti al suo rifiuto Porzia ne appoggia le richieste («Un vero Daniele!», esclama Shylock in apprezzamento), ma insi-ste perché tutta la legge sia rispettata: se una sola goccia di sangue cristiano venisse versatanell’asporto della carne di Antonio, i beni del-l’ebreo sarebbero confiscati, e lui condannatoa morte o alla conversione. Shylock esce scon-fitto dal processo: senza figlia, senza averi,senza la sua religione. I cristiani vincono: le trenavi di Antonio rientrano, non erano naufra-gate, e le trame amorose si risolvono.

Le cose, però, sono infinitamente più com-plesse. La prima parte del dramma, per esem-pio, contiene una feroce discussione sulla di-versa interpretazione che della Bibbia danno ebrei e cristiani, e sulle conseguenze etiche,giuridiche ed economiche che le differenti letture comportano. Shylock, per dirne una,sostiene che l’interesse da lui praticato sia le-gittimato da un passo della Genesi, mentreAntonio lo accusa: «Il diavolo cita le Scritture asuo comodo».

Deve essere costato più di una goccia di san-gue a Dario Calimani, anglista tra i più seri ed ebreo veneziano, affrontare Il Mercante di Ve­nezia. Lo fa, infatti, con evidente sofferenza, ma in maniera impeccabile. È chiaro cheShakespeare ha voluto rappresentare nel Mer­

cante un dibattito tra giustizia e legge da una parte, e giustizia e misericordia dall’altra, aspettandosi anche che il suo pubblico identi-ficasse la prima – il coincidere della giustiziacon la legge – con la posizione degli ebrei, e la seconda – giustizia temperata da misericordia– con quella dei cristiani. Tuttavia, Shakespea-re complica le cose in maniera pressoché ine-stricabile, inserendo contraddizioni di ogni ti-po all’interno di ciascuna posizione: «Chi è il mercante qui? E chi l’ebreo?», domanda infattiPorzia. Lo Shylock che esige soltanto il rispettodella legge e rifiuta la misericordia, ignora cheessa è presente, forte e chiara, già nella Bibbia ebraica. Porzia, che celebra la misericordia in un inno famoso («Per sua natura, la clemenza non si impone, / scende gentile come pioggia dal cielo»), sostiene però: «allora l’ebreo deve essere clemente». Dice Porzia a Shylock: «datoche invochi giustizia, sta’ sicuro / che giustiziaavrai, e più di quanta tu ne chieda». Nel som-ministrare tale “di più” di giustizia, Porzia, epoi il Doge e Antonio, non mostrano tuttavianessuna misericordia. Shylock viene privato dei suoi soldi (e cioè, come egli dice, della vita stessa) e della figlia, e costretto a convertirsi.Insomma, il processo ha condotto in un vicolocieco di contraddizioni. Non c’è giustizia sen-za misericordia, ma nessun tribunale umano possiede la misura perfetta di entrambe. Quel-la misura, la possiede soltanto Dio, come rico-nosce Paolo proprio nel momento in cui fondala distinzione tra ebraismo e cristianesimonella Lettera ai Romani.

Sarebbe del tutto ridicolo negare che i pro-blemi discussi nel Mercante di Venezia diven-gono quasi insopportabili perché la posta in gioco è il denaro e, in stretta congiunzione conesso, un pezzo stesso del corpo umano, e so-

prattutto perché il protagonista è ebreo: per-ché l’essere ebreo è considerato sufficiente per la discriminazione e l’esclusione: perché Shylock stesso invoca «le mie azioni ricadanosul mio capo!» come i Giudei durante il proces-so a Gesù gridarono «il suo sangue ricada su dinoi e i nostri figli»: e perché Shylock stessopreferirebbe avere un discendente di Barabba

come genero piuttosto che un cristiano. C’è in-somma nel Mercante una quantità tale di odio,disprezzo, e pregiudizio reciproci da rendere il dramma una pietra d’inciampo.

Sino a non molto tempo fa pensavo chel’amore tra il cristiano Lorenzo e l’ebrea Jessi-ca potesse costituire la risposta a questo stato di cose: quando Lorenzo invita Jessica a guar-dare le «patène d’oro sfolgorante» che tra-puntano il cielo e ad ascoltare la musica celesteche da esse proviene e che disegna una «dolcearmonia». Ora, però, dopo aver letto l’intro-duzione e il commento di Dario Calimani alMercante, comincio a dubitare seriamente an-che del potere di redenzione che l’unione di Lorenzo e Jessica potrebbe avere. Calimani fa notare che Jessica, al suono della musica, dice:«Non mi dà mai gioia la musica soave». «Jessi-ca non ama la musica, come Shylock», scrive Calimani; «malgrado la conversione, qualco-sa la lega ancora al padre. E forse la tristezza lederiva dalla coscienza dell’infedeltà e dell’ab-bandono». L’introduzione si chiude così: «Sembra che rimanga, alla fine, un sensoamaro di incompletezza, per l’incapacità di tutti i personaggi di armonizzare la necessità con il riconoscimento e con la riconoscenza,l’amore con il disinteresse, il dovere con il di-ritto, la giustizia con l’umanità, la misericor-dia con la giustizia, la società con il diverso, l’uomo con l’uomo».

Forse il miglior commento a un drammaormai classico della nostra immaginazione è la ri-scrittura. In Inghilterra (e in America), la gloriosa Hogarth Press di Leonard e Virginia Woolf viene resuscitata da Crown per pubbli-care i rifacimenti contemporanei di opere shakespeariane per mano di scrittori di presti-gio: in Italia, se li è assicurati la Rizzoli. Sono già usciti Lo spazio del tempo (Racconto d’inver­no) di Jeanette Winterson e Vinegar Girl (Bisbe­tica domata) di Anne Tyler. C’è grande attesa per la versione della Tempesta rielaborata daMargaret Atwood. Il mio nome è Shylock diHoward Jacobson, il secondo titolo della serie,è un vero e proprio tour de force che trasporta ilMercante nell’ovest dell’Inghilterra di oggi eche cambia trama e personaggi lasciando in-tatto, per così dire, il solo Shylock: il quale vola,rabbioso come sempre, dal Cinquecento ve-neziano al Cheshire odierno grazie a un truccodegno di Garcia Marquez. La storia è piena disorprese, la narrazione tesa, l’ironia sempre presente, i personaggi – in particolare Simon Strulovitch e Shylock – ben costruiti. Ci sono persino l’ambiguità e l’incertezza. Insomma, lo si legge molto volentieri. Allora, cosa man-ca? Beh, Shakespeare.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

William Shakespeare, Il mercante di Venezia, a cura di Dario Calimani, Marsilio, Venezia, pagg. 296, € 17,50;

Howard Jacobson, Il mio nome è Shylock, traduzione di Laura Pignatti, Rizzoli, Milano, pagg. 298, € 19

paolo volponi

L’AUTOREPaolo Volponi nasce a Urbino il 6 febbraio 1924. Esordisce nel dopoguerra come poeta, con libri come Il ramarro (Istituto d’arte 1948), L’antica moneta, i poemetti di Le porte dell’Appennino (Feltrinelli 1960), che si aggiudica il premio Viareggio, e Foglia mortale (Bucciarelli 1974), che tutti insieme confluiscono nella raccolta Poesie e poemetti 1946-1966 (a cura di Gualtiero De Santi, Einaudi 1980). Intanto ha conosciuto Adriano Olivetti ed è stato assunto nella sua azienda di Ivrea. Pubblica il romanzo Memoriale (1962), che lo avvia a diventare uno dei maggiori narratori italiani del secondo Novecento. Un nuovo volume einaudiano, Con testo a fronte. Poesie e poemetti (1986) riunisce i versi scritti fra il 1967 e il 1985. Senatore a partire dal 1983 per il Partito comunista italiano e poi per Rifondazione comunista, Volponi prosegue la sua attività letteraria, stampando fra l’altro i versi di Nel silenzio campale (Manni 1990). Deputato nel 1992, Volponi muore ad Ancona il 23 agosto 1994. Curato da Emanuele Zinato, il volume complessivo delle Poesie 1946-1994 esce da Einaudi nel 2001, con una prefazione di Giovanni Raboni.

NOTA DI LETTURA«La bellezza del mondo quale viene accepito dai sensi infantili s’identifica con la sua purezza: e di tale poeticità morale sono infatti concrezioni gli sprofondati e percossi, i patetici paesaggi volponiani»: così scriveva Pasolini nel 1956 recensendo L’antica moneta, secondo libro poetico del nuovo amico Paolo Volponi. Ed è molto interessante, credo, cogliere in questo Volponi, per così dire, “pre­industriale”, ancora legato a certi moduli ermetici e alla terra natìa, quell’accen­sione psichica che poi innescherà i grandi quadri narrativi dello sconvolgimento contempora­neo. Il primo magnifico verso di questa poesia è un annuncio, quasi un’autorizzazione ad accedere all’irrazionale. Il paesaggio ha le sue conseguenze, che sono riportate con l’asciuttezza lirica di sintomi collaterali. L’ora notturna infligge ossessioni rapide, erranti come «uccelli forestieri» o un «gregge delle nubi»; ed è ciò che sta in alto (appunto il «cielo che sgomenta», «pascolo d’orrore» privo di luna, l’ombra in cui gridano inquieti uccelli pascoliani) ad avvolge­re l’io poetico, ad assistere allo sprofondamento dei suoi tesori mentali.

La notte delle ceneri

Giunto è il momento d’impazzire.Arrampichiamoci sui campanili,inseguite a cavalloil sole che fugge.Serrate l’acquanelle fontane, amica della serae scrollate dagli alberigli uccelli.

Affondano a quest’orai miei tesori

in un fiume dietro la foresta;in altonel cielo che sgomentariprende il passo di uccelli forestieri.

In queste lunghe notti,che intere la luna non sostiene,erra a un pascolo d’orroreil gregge delle nubi;si apre l’anima mia,come l’angiolo sulle chieseche s’anima d’inferno.

A un attimo di luce astralevola nell’ombra con un gridol’uccello che vide Giudasuicida sull’albero di fico.

poesia d’oggi a cura di Paolo Febbraro

(tratto da L’antica moneta)Vallecchi 1955

Elogio della vendettaIl 7 maggio del 2006 su Domenica Remo Bodei rifletteva sulle tesi di uno studioso americano, William Ian Miller, che rivalutava la «legge del taglione»: non usanza barbarica, ma ristabilimento di un diritto violato. Si trattava anche del Mercante di Venezia e dell’onestà di Shylockwww.archiviodomenica.ilsole24ore.com

Friedrich Nietzsche, Crepuscolo degli idoliNewton Compton, Roma, 2011

L’aforismascelto da: Gino Ruozzi

Formula della mia felicità: un sì,un no, una linea retta, una meta…

a mantova

Howard Jacobson parlerà di «Il mio nome è Shylock» con Lella Costa durante Festivalette­

ratura a Mantova, domeni­ca 10 settembre alle 10.45 aPalazzo San Sebastiano.Venerdì 9 alle 19.30 apalazzo Ducale dialogheràcon Jeanette Winterson e

Peter Florence sul tema: «Le vice anglais, l’illusione della Brexit »

la poesia

Sera

di Cees Nooteboom

In memoria di Hugo Claus

La sedia azzurra sulla terrazza, caffè, sera,l’euforbia si tende verso divinità assenti,

nostalgica della costa, ogni cosa un alfabetodi desideri segreti, questa è la suaultima visione prima del buio,il velo dentro la sua testa. Lui sa,svaniranno le forme delle parole,nel calice solo la feccia,linee tra loro scollegateche un tempo erano pensieri,non verrà piú parola alcunache sia vera. Grammatica sbriciolata,immagini sfocate senza legame,del vento il suonoma non piú il nome,

qualcuno l’ha dettoe la morte era distesa sul tavolo,domestico pigro, in attesain corridoio, sorride stupidamentesfogliando il giornalecon le sue folli notizie.Tutto questo lui lo sa, l’euforbia,la sedia azzurra, il caffè in terrazza,il giorno che lentamente lo avvolge.

Traduzione di Fulvio Ferrarida Licht overal, Luce ovunque(2012)La poesia, dedicata al poeta fiammingo

Hugo Claus parla della sua malattia,l’Alzheimer: decise infatti che non voleva

più vivere, perché non avrebbe piùpotuto scrivere

© 2016 Cees Nooteboom, © 2016 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino

cees nooteboom

Gioco con l’enigma

di Paolo Febbraro

Narratore, poeta, errabondo scrittoredi viaggio, Cees Nooteboom appareoggi in italiano con un libro poeticoche comprende un’ampia scelta

dalla raccolta più recente, che dà il titolo all’in-tero volume, e una più severa selezione di poe-sie tratte dai volumi via via precedenti. Chi amala sua prosa, dunque, ha la possibilità di coglier-ne la radice quadrata, poiché la poesia è un ac-celeratore di verità. Ci troviamo di fronte a me-ditazioni sul tempo, a specchi inquisitori, al-l’ossessione dello sguardo che non cattura e che allora si prolunga in una “litania dell’oc-chio”. Nooteboom sembra rassegnarsi alla propria saggezza: «Guarda il pendio, gli alberi sul pendio. / […] / Vedere tutto, non capire niente: il motto del pittore. / Alberi incompresi,pendio frainteso». La materia impressiona i

suoi versi, ma li lascia allo stato di fantasma, co-me fossero una lastra radiografica di ciò che vorremmo vedere vivo. È l’effetto paradossodella “luce ovunque”: lo sguardo non può po-sarsi su qualcosa senza tradire il grande resto, che s’irraggia («quanti raggi ha la ruota / di un solo / giorno?») nello spazio-tempo, propone fughe prospettiche, trappole cronologiche. Delresto, il già celebre Canto dell’essere e dell’appari­re terminava con un richiamo alla teoria della relatività. E le poesie sono qui disposte, per dir così, in senso antiorario, come in una confuta-zione del tempo, o per un suo diverso utilizzo.

Così il poetare dello scrittore olandese consi-ste in una calma tessitura dell’arbitrio: è senten-zioso perché la letteratura deve firmare con le suelimpide formule i fatti più sfuggenti e sconcer-tanti, farli passare per eterni, sovrapponibili. Tut-ti sappiamo che un cavallo, da solo, non avrebbe senso: ne ha solo quando ne appare un secondo. Tuttavia, questa somiglianza del mondo con sé stesso non dipana il mistero. In un dialogo ideale

con Wittgenstein Nooteboom allude al filosofo austriaco come a un «cavaliere errante / caduto in una trappola disegnata da lui stesso». E si com-prende che in tanto prestigio della parola autore-vole (i riferimenti a Borges appaiono inevitabili; ma ci sono anche Orazio e Virgilio, un ciclo di componimenti dedicato al De rerum natura e un catalogo di evocazioni che comprende Esiodo, il poeta dell’VIII secolo Meng Jiao, Shelley, Carte-

sio, Ungaretti, Wallace Stevens, Omero…), del sa-pere depositato sul mondo e chiuso nell’universopostmoderno del rimando continuo, l’autore ce-lebri la poesia come sperdimento e vertigine.

Essa è celebrata infatti come un «inconfutabi-le palazzo di parole», o «ripetizione / di prece-denti mitologie». Metafore di nobiltà non fre-schissima («nel lago dei tuoi occhi», «onde di pa-role») o viceversa figlie di moderate euforie mo-derniste («tua moglie brasata», «le tue tracce di miele sul registro catastale»), percorrono poesie che s’interrogano sulla percezione e l’identità, e in che modo esse vengano tradite o assicurate dalla scrittura. Siamo chiamati dentro un ele-gante gioco con l’enigma, coi dilemmi quotidianidel silenzio, della notte e dell’assenza. Di conse-guenza, l’esotismo del grande viaggiatore, che attraversa decine di luoghi e migliaia di pagine, èun’illusione ottica: su ogni cosa si distende la stessa luce perplessa, sognata e fluttuante. Noo-teboom canta l’essere e l’apparire, ma ha troppo poca fiducia nel loro rapporto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Cees Nooteboom, Luce ovunque. 2012-1964, traduzione di Fulvio Ferrari, Einaudi, Torino, pagg. 216, € 14,50, in libreria dal 6 settembre

a lui il premio lerici

Il premio Lerici Pea alla carriera sarà assegna­to l’11 settembre a villa Marigola, San Terenzo di Lerici (La Spezia) a Cees Nooteboom: «Per il 

suo percorso esemplare dipoeta nel mondo e nellastoria, attento all’esternocome all’intimo, compagnodi viaggio e interlocutore dimaestri come Shelley e

Ungaretti». Noteboom sarà venerdì 9 settembre a Festivaletteratura di Mantova alle 11.15 alla basilica palatina di santa Barbara e alle 17.30 alla chiesa di san Barnaba.

il romanzo di guido conti

Miseria e nobiltàdel Rinascimentodi Gino Ruozzi

Novembre 1510. La scena si apre su unepisodio di principesca efferatezza.Il duca di una corte padana nei pres-si del Po uccide la moglie con una fe-

roce decapitazione. Nello stesso istante un mi-sterioso cavaliere elude la sorveglianza della città e fugge nella notte, non prima di essere stato però ferito da un abile balestriere.

È il movimentato inizio del nuovo roman-zo di Guido Conti, La profezia di Cittastella. L’ambiente è quello di una corte tra Lombar-dia ed Emilia, sul tratto di Po tra Viadana e Ostiglia, il cui centro politico è l’immaginariasede ducale di Cittastella e quello religioso la celebre abbazia benedettina di Polirone a SanBenedetto Po. Gli anni sono quelli iniziali e determinanti del Cinquecento, dal 1510 al 1525, luminosi e tragici, tempo delle più alte espressioni artistiche e letterarie del Rinasci-mento (da Machiavelli a Michelangelo) e dei processi politici, religiosi e militari della Mo-dernità. Il romanzo è siglato al principio dal-l’assedio di papa Giulio II alla città modenesedi Mirandola (gennaio 1511), alla fine dalla ter-ribile battaglia di Pavia (24 febbraio 1525) tra truppe francesi e imperiali e dal successivo arrivo dei lanzichenecchi e della peste in Ita-lia. Sono decenni di mutamenti radicali nellaconcezione della società e della guerra, pro-prio a cominciare dal «memorabile» assedio di Mirandola da parte di Giulio II, definito da Guicciardini nella Storia d’Italia «una cosa inaspettata e inaudita per tutti i secoli», cioè che il pontefice intervenisse «personalmentenegli eserciti contro alle terre de’ cristiani».

Tutto ciò è materia del romanzo di Conti, incui le vicende personali si legano agli eventi pubblici formando un persuasivo intreccio narrativo. Il filo conduttore è la storia di Rug-gero, prima bambino poi ragazzo, che attra-verso l’aiuto provvidenziale di frate Berardo porta a compimento la propria formazione e un decisivo compito storico (la «profezia» deltitolo). I personaggi che lo accompagnano in questo percorso sono molti, amici e nemici, come esige la natura di un racconto che vuoleessere anche di avventura, ricco di colpi discena, di giochi degli equivoci, di conflitti e congiure, di tensioni e svelamenti. In primo piano è il personaggio del duca, principe di una corte animata da adulatori e astrologi, nani e buffoni. Conti scrive a proprio modo un«libro del cortigiano» narrativo e critico, mo-strando il diritto e il rovescio delle corti cin-quecentesche magistralmente illustrate da Castiglione e da Bembo. Quest’opera di rivisi-tazione dell’universo cortigiano è uno degli obiettivi del romanzo, che coniuga la tradi-zione novellistica, quella storica e saggistica, quella aneddotica.

Tra i protagonisti spicca il buffone Gonella,

vissuto nella corte estense di Ferrara e noto attore di facezie del Quattrocento, presente innumerose novelle di Matteo Bandello, a cui Conti guarda per l’unione di toni drammatici e comici. A Gonella, buffone impertinente e uomo di pochi scrupoli, Conti affida un ruolo primario nell’evoluzione del romanzo, così come alla comunità dei nani di corte. Per que-sti ultimi, capeggiati dal proprio «principe» Rodomonte (molti dei nomi utilizzati hanno matrici cavalleresche e funzioni eroicomi-che), Conti rievoca la stravagante residenza estense dei nani vogatori, ideata per dare agliuomini «normali» la «sensazione di essere invincibili e giganti». Nobiltà e miseria si me-scolano di continuo nel romanzo di Conti, in cui le poche figure valorose sono bilanciate dalle molte deboli e contraddittorie; ai rari personaggi che assomigliano a padre Cristo-foro si affiancano i tanti che rispecchiano donAbbondio, in una storia virtuosamente ali-mentata dall’invenzione manzoniana, anchenell’atroce descrizione della peste.

Nel testo un altro personaggio essenziale è«il grande fiume». Al Po l’estro narrativo di Conti si è sempre ispirato, dai racconti delCoccodrillo sull’altare (1998) al romanzo Il tra­monto  sulla  pianura  (2005) al viaggio delGrande fiume Po (2012). Egli si inserisce nella fertile scia di Bacchelli, Zavattini e Guareschi,Soldati e Brera, Bassani e Cibotto, Celati e Pe-deriali. Il Po come mito e come realtà, territo-rio di fuga e di asilo, paradiso perduto di ecce-zionale bellezza che tuttora conserva il fasci-no di un mondo fantastico. Nel romanzo «il grande fiume» ha un rilievo prioritario, sia come rifugio sia come oasi da cui bisogna poiemanciparsi per affrontare i tumulti della «città», sull’esempio (dalla prospettiva spe-culare della montagna) del giovane protago-nista della «novella delle papere» del Decame­ron di Boccaccio e di Renzo Tramaglino nei confronti di Milano e della rivolta del pane. È un passaggio necessario per crescere ed è perciò la rottura traumatica che deve com-piere Ruggero: lasciare le proprie sicurezze (comunque labili) e approdare ai rischi della storia e dei sentimenti.

Il romanzo di Conti mescola l’avventura el’amore, l’amicizia e la guerra, i tradimenti e lebeffe, con rapide e intense riflessioni aforisti-che. Una delle più illuminanti è affidata al sar-castico indovino Aronte e sintetizza stile e contenuto del romanzo: «Non è beffardo il destino? Pensiamo che la nostra vita abbia unsenso e, tutt’a un tratto, la nostra storia cam-bia, cambia il nostro passato e il nostro futuro.Basta un particolare per cambiare il senso di un destino. Basta un fatto, una parola e il de-stino prende un’altra forma. La tragedia di-venta farsa e la farsa si trasforma in tragedia».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Guido Conti, La profezia di Cittastella, Mondadori, Milano, pagg. 324, € 20

500 anni dopo | Dal 26 al 31 luglio 2016 la Compagnia de' Colombari (Usa) in collaborazione con l’Università Ca’ Foscari per la prima volta ha messo in scena «Il Mercante di Venezia» di Shakespeare nel Ghetto di Venezia, ambientazione originaria del dramma