riassunto giddens

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CAPITALISMO E TEORIA SOCIALE A. GIDDENS

Parte I: MARX (1818-1883, 65 anni) 1. LE OPERE GIOVANILI Ci restano varie lettere e frammenti scritti durante l’adolescenza tra cui 3 brevi saggi privi però di interesse ed originalità ma danno l’idea dell’entusiasmo che ispirò molte delle sue opere successive: 1) Considerazioni di un giovane sulla scelta del proprio avvenire →tratta degli obblighi morali e delle possibilità per un uomo che sta per scegliere la propria professione (Marx scrive: il criterio principale che deve essere alla base della scelta è il bene dell’umanità; solo così si può raggiungere la perfezione individuale e nobilitare sé stessi) →la teoria del pieno sviluppo di sé e del conseguimento della propria perfezione Marx la ritrova nello studio attento della filosofia di Hegel dopo esser rimasto inappagato dalla filosofia di Kant e Fichte (→dualismo kantiano tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere per Marx è incompatibile con le esigenze dell’individuo che vuole servirsi della filosofia per conseguire i suoi obbiettivi →filosofia di Fichte isola la logica e la verità dall’intervento del soggetto umano in un mondo in continuo mutamento). L’incontro con Hegel: mediato da due fonti indispensabili: 1) insegnamento di Edward Gans durante i corsi a Berlino 2) appartenenza al Doktor–Club dell’Università di Berlino in cui Marx entra in contatto con un eterogeneo gruppo di seguaci di Hegel = Gruppo dei Giovani hegeliani che conservano l’interesse per la teologia cristiana di centrale impegno nelle opere di Hegel. 1841 →anno in cui Marx pubblica la sua tesi e Feuerbach “l’Essenza del Cristianesimo” che ebbe notevole influenza sia su Marx sia sui giovani hegeliani anche se Marx non accettò in blocco la posizione di Feuerbach (punto di partenza per lo studio dell’umanità deve essere l’uomo reale che vive nel mondo materiale) Hegel vede il reale come emanazione del divino per Feuerbach il divino è solo un prodotto illusorio del reale. Per Feuerbach Dio esiste solo nella misura in cui l’uomo è diviso da esso, quindi è un essere immaginario in cui l’uomo ha proiettato le sue facoltà più elevate per cui è considerato perfetto e onnipotente mentre l’uomo di fronte a lui è limitato e imperfetto →divario tra uomo e Dio che però secondo Feuerbach può essere uno stimolo alla realizzazione delle capacità umane. La filosofia pertanto deve aiutare l’uomo a recuperare il suo io alienato affermando la supremazia del mondo materiale (→capovolgimento della prospettiva Hegeliana). L’umanismo deve soppiantare la religione e l’amore rivolto solo verso Dio verrà rivolto verso l’uomo per la riconquista di un vincolo di solidarietà tra gli esseri umani. Marx tentò di applicare la nuova prospettiva indicata da Feuerbach al campo della politica: sembrava offrire la possibilità di fondere in uno solo il metodo critico e quello analitico per realizzare così la filosofia. Marx non accettò mai l’idea di Feuerbach che la filosofia costituisse un’alternativa al sistema hegeliano →Marx cercò sempre di combinare l’idealismo di Hegel con il materialismo di Feuerbach conservando così la prospettiva storica centrale in Hegel abbandonata da Feuerbach. Lo Stato e la “vera democrazia” 1843 →Marx scrive Critica della Filosofia Hegeliana del Diritto Pubblico (forte influenza di Feuerbach) prima opera in cui si intravede la concezione materialistica della storia. Costituisce il punto di partenza per lo studio dell’alienazione nei Manoscritti del 1844. scopo di questa analisi è riscoprire il vero soggetto della storia (= l’individuo che agisce, che vive nel mondo materiale) e delineare il processo della sua oggettivazione nelle istituzioni politiche dello Stato →è l’ideale che va considerato come un risultato storicamente determinato dal reale, non il contrario. Secondo Hegel la società civile è dominata da uno sfrenato egoismo, ogni uomo è in lotta contro ogni altro. Gli uomini sono esseri razionali e disciplinati solo se accettano l’ordine inerente allo Stato, lo Stato è un’entità separata dalla vita degli individui nella società civile, trascendente gli interessi egoistici delle azioni umane e preesistente all’individuo stesso →L’individuo che agisce e che crea la storia è così

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subordinato agli ideali della partecipazione politica incarnati nello Stato che diventa la forza motrice dello sviluppo sociale. Marx dice che Feuerbach ha mostrato che nella religione gli uomini partecipano in modo alienato ad un mondo irreale di armonia e felicità mentre la loro vita quotidiana è solo dolore e miseria. Allo stesso modo lo Stato è forma alienata di partecipazione politica in cui si incarnano diritti universali illusori come quelli dell’idealizzato mondo religioso. Secondo Marx i diritti di rappresentanza politica servono da mediazione tra individualismo egoistico della società civile e universalismo dello Stato. Marx dice →negli Stati esistenti la partecipazione di tutti alla vita politica è un ideale, reale è solo il perseguimento degli interessi di parte. Il concetto vero e proprio di Stato distinto dalla società civile è di origine moderna, solo in epoca moderna si ha la separazione tra il privato o individuale e il politico (sfera pubblica) →la distribuzione della ricchezza dovrebbe essere indipendente dalla strutturazione del potere politico. Per realizzare la vera democrazia per Marx è necessario superare l’alienazione tra l’individuo e la comunità politica, realizzare mutamenti concreti nelle relazioni tra Stato e società così che la partecipazione universale alla vita politica da ideale diventi reale. →la democrazia deve partire dall’uomo facendo dello Stato l’uomo oggettivato (non vale il contrario come per Hegel). Il suffragio universale per Marx dà un’esistenza politica a tutti i membri della società civile eliminando il politico come categoria separata. La prassi rivoluzionaria L’opera Critica della filosofia Hegeliana del Diritto Pubblico non è completa e va considerata come un’analisi preliminare della politica. Essa è improntata al giacobinismo radicale →per eliminare l’attuale forma di Stato è necessario realizzare gli astratti ideali incarnati dalla rivoluzione del 1789. Il problema, all’epoca, era visto da Marx come una riforma della coscienza, non mediante dogmi né mediante analisi della coscienza mistica →tutti i dogmi, politici e religiosi, devono essere messi in discussione. Nel settembre 1843 Marx si trasferisce in Francia ed entra in contatto con il socialismo francese: alla fine del 1843 Marx scrive l’introduzione per la Critica del Diritto di Hegel e qui sostiene che la soppressione della religione in quanto felicità illusoria del popolo e il presupposto della sua vera felicità. Si deve rinunciare alle illusioni sulla propria condizione (ormai non bastano più) e spostarsi direttamente al campo della politica →ciò vale soprattutto per la Germania data l’arretratezza della sua struttura sociale sul piano intellettuale, non si può più risolvere le contraddizioni esistenti ma si deve passare alla prassi, è necessaria una rivoluzione radicale perché si possa risollevare. Marx menziona per la prima volta il PROLETARIATO che ha appena iniziato a presentarsi sulla scena sociale ed economica della Germania. In esso Marx trova l’universalità che Hegel cercava negli ideali incarnati dallo Stato nazionale. Ha un carattere universale a causa della sua sofferenza universale, non rivendica un diritto particolare perché non ha subito un torto particolare ma l’ingiustizia assoluta. La miseria in cui si trova a vivere non è una povertà naturale che nasce dalla mancanza di risorse materiali ma è il risultato artificiale dell’organizzazione capitalistica della produzione industriale. Inizi 1844 Marx inizia a studiare con passione Economia Politica, da queste ricerche nascono i Manoscritti Economico Filosofici pubblicati nel 1932 studi che lo portarono sempre più a divergere dalla scuola dei Giovani Hegeliani. Costituiscono il primo dei tanti abbozzi del Capitale e il primo tentativo compiuto da Marx di una critica all’Economia Politica. Qui dedica per l’ultima volta una certa attenzione al problema della religione. L’alienazione e la teoria dell’Economia Politica Posto centrale ha l’analisi dell’alienazione che sarà alla base delle sue opere mature. Due sono le critiche che Marx rivolge agli economisti: 1- per gli economisti le condizioni caratteristiche del capitalismo sono valide in ogni tipo di economia, dando per scontata l’esistenza sia dell’economia mercantile che della proprietà privata, egoismo e ricerca del profitto sono per loro innate caratteristiche della natura umana. Per Marx l’economia mercantile è il risultato di un processo storico e il capitalismo è un modo di produzione storicamente determinato.

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2- Per gli economisti i rapporti economici possono essere studiati in astratto, parlano di capitale, merci, prezzi come se tutto ciò avesse una vita indipendente dalla mediazione degli esseri umani. Ogni fenomeno economico è invece al tempo stesso un fenomeno sociale e l’esistenza di un particolare tipo di economia presuppone un particolare tipo di società. Per gli economisti è irrilevante che gli oggetti reali della loro analisi siano uomini che vivono in una determinata società, è per questo che riescono a nascondere il fatto che il capitalismo si regge su una divisione di classe (proletariato/classe operaia e borghesia/classe dei capitalisti) →2 classi in diretto antagonismo per la distribuzione dei frutti della produzione industriale. L’analisi dell’alienazione della produzione capitalistica parte da un fatto economico:→quanto più il capitalismo si sviluppa, tanto più si allarga l’abisso tra i capitalisti e gli operai e le condizioni di vita della classe operaia diventano sempre peggiori. I capitalisti si appropriano della ricchezza che la produzione capitalistica rende possibile e l’operaio viene espropriato del prodotto del suo lavoro che gli apparteneva di diritto, anzi gli oggetti materiali prodotti sono considerati sullo stesso piano del lavoratore stesso. →L’operaio diventa merce tanto più a buon mercato quanto più crea delle merci e tanto più valgono le merci quanto più si svaluta il mondo umano. Il processo di produzione assume la forma di perdita dell’oggetto e il lavoratore diventa schiavo del suo oggetto. L’alienazione della classe operaia si fonda pertanto sulla disparità tra la forza produttiva del lavoro e la perdita di controllo da parte dei lavoratori sui prodotti del loro lavoro che sono esterni al lavoratore perché essi vengono appropriati da altri senza poterne trarre alcun beneficio. Siccome nella produzione capitalistica lo scambio e la distribuzione dei beni sono determinati dall’azione del mercato (che è tale da favorire gli interessi dei soli capitalisti) il lavoratore non ha potere di determinare la sorte di ciò che produce. Il lavoratore è alienato anche all’interno della stessa attività produttiva perché non ne trae alcuna soddisfazione, non rende possibile il libero sviluppo delle sue energie fisiche e mentali perché è lavoro imposto dalla forza di circostanze a lui esterne e siccome ogni rapporto economico è anche un rapporto sociale, il lavoro alienato ha implicazioni sociali. In regime capitalista i rapporti umani tendono ad essere subordinati ai movimenti del mercato, inoltre per Marx ciò che distingue la vita umana dal quella animale è che le facoltà, le capacità e i gusti degli uomini sono foggiati dalla società in cui vivono. Ogni individuo racchiude in sé la cultura delle generazioni che l’hanno preceduto e interagendo col mondo naturale e sociale in cui vive contribuisce alla sua ulteriore modifica. Il lavoro alienato degrada l’attività produttiva ad una funzione di adattamento alla natura anziché di dominio attivo →l’uomo viene separato così dal suo essere generico, da ciò che differenzia la vita umana da quella animale. Gli effetti dell’alienazione sono determinati dalla divisione della società in classi ma vengono sperimentati solo dal proletariato. Per Marx l’alienazione non riguarda solo il lavoratore salariato, anche il capitalista è subordinato al capitale, la sua esistenza è dominata dalle leggi del denaro e dalle proprietà privata. L’alienazione dell’uomo dal suo essere generico ha la natura di una separazione prodottasi socialmente da qualità ed inclinazioni create dalla società stessa. La concezione originaria del comunismo I Manoscritti contengono anche un’analisi del comunismo che si collega a quella della vera democrazia, qui però si sente l’influenza del socialismo francese (è per questo he Marx abbandona il termine democrazia) l’instaurazione della vera democrazia per Marx non può bastare perché tutte le altre forme di alienazione (religiose e politiche) sono determinate da quella nella produzione. E’ allora necessaria una radicale riorganizzazione della società basata sull’eliminazione degli attuali rapporti tra proprietà privata e lavoro salariato. Distinzione tra comunismo rozzo (1) e la sua concezione di comunismo (2): 1- nasce dall’avversione sentimentale per la proprietà privata sostenendo un livellamento generale e una distribuzione egualitaria della ricchezza→qui il ruolo del capitalista viene assunto dalla comunità invece che dal singolo individuo e la proprietà è ancora dominante.

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2- Condizione necessaria per passare ad una nuova forma di società è l’abolizione della proprietà privata quale auto-alienazione dell’uomo e l’appropriazione dell’umana essenza da parte dell’uomo. La società comunista non si fonderà sul perseguimento dei propri interessi egoistici ma sulla consapevolezza della reciproca dipendenza tra l’individuo e la comunità, essa permetterà lo sviluppo delle particolari capacità di ciascun individuo. 1844 anno di svolta più significativa del suo sviluppo intellettuale! 2. CONCEZIONE MATERIALISTICA DELLA STORIA Fine 1844 →la Sacra Famiglia, in collaborazione con Engels, documenta la rottura definitiva di Marx con i Giovani Hegeliani. Tra il 1845 e il 1846 Marx scrive L’Ideologia Tedesca, libro critico in cui traccia le linee generali della teoria del materialismo storico. Il testo integrale dell’opera venne pubblicato dopo la sua morte. I temi più importanti sviluppati da Marx nelle opere giovanili e incorporati in quelle mature sono 5: 1- concezione della progressiva auto-creazione dell’uomo – tratta da Hegel – la storia universale non è che la generazione dell’uomo dal lavoro umano. 2- concetto di alienazione 3- nucleo della teoria dello stato e del suo superamento nella futura società socialista 4- il materialismo storico inteso come la prospettiva in cui inquadrare l’analisi dello sviluppo sociale. Nelle sue opere giovanili Marx usa spesso il linguaggio di Hegel e Feuerbach ma la sua posizione costituisce una decisa rottura epistemologica con tali autori. Marx non cerca una nuova filosofia da sostituire ai loro sistemi rigettando ogni approccio di tipo filosofico per un’impostazione sociale e storica. 5- Concezione della teoria della prassi rivoluzionaria per Marx la filosofia critica svolge un ruolo importante solo negli stadi iniziali di un movimento rivoluzionario: l’analisi teorica delle possibilità di trasformazione nella storia deve essere integrata da un programma di azione concreta, i cambiamenti nascono solo dall’unità di teoria e pratica (concreta attività politica) La svolta tra i Manoscritti e l’Ideologia va ricercata nelle critiche che Marx rivolge a Feuerbach in “Tesi su Feuarbach“ contro la sua impostazione astorica e la sua concezione di uomo come un essere astratto, preesistente alla società, contro il suo materialismo che resta a livello di una dottrina filosofica che considera le idee come riflessi della realtà materiale considerata a sua volta come la causa determinante dell’attività umana senza considerare l’azione degli uomini sulle modificazioni del mondo. Il materialismo di Feuerbach è per Marx contemplativo o passivo perché è incapace di render conto del fatto che l’attività rivoluzionaria è il risultato delle azioni coscienti e volontarie degli uomini. La concezione materialistica La concezione materialistica della storia di Marx si stacca pertanto sia dal materialismo di Feuerbach che dalla precedente tradizione del materialismo filosofico. La posizione di Marx è realista: le idee sono il prodotto del cervello umano, sono gli uomini con le loro azioni a plasmare il mondo in cui vivono e sono da esso a loro volta plasmati (anche la nostra percezione del mondo materiale è condizionata dalla società). La storia secondo Marx è il processo in cui gli uomini creano e soddisfano i loro bisogni generandone di nuovi. Questo è il processo che differenzia gli uomini dagli animali i cui bisogni sono fissi e immutabili. Il lavoro (→scambio creativo tra l’uomo e il suo ambiente naturale) è il fondamento della società umana. Il rapporto tra l’individuo e il suo ambiente naturale è mediato dalle caratteristiche particolari della società a cui appartiene. Per studiare la società umana si deve costruire una scienza sociale basata su dati empirici cioè sullo studio dell’interazione dinamica tra l’uomo e la natura. Tranne in quello presente ne L’ideologia Marx non dà in nessun altro scritto una completa esposizione dei principali tipi di società che distingue. La storia per Marx non è altro che la successione delle singole generazioni che da una parte continuano l’attività ereditata e dall’altra modificano le vecchie circostanze con un’attività del tutto nuova. Marx basa la sua classificazione della società sul grado di sviluppo della divisione del lavoro il cui aumento

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è parallelo alla crescita della proprietà privata e dell’alienazione. La formazione di una società classista dall’originario sistema di proprietà comunitaria è collocato all’aumento della divisione del lavoro che priva gli uomini delle loro capacità come produttori universali perché li identificano con le loro particolari mansioni lavorative (per esempio il lavoratore salariato). Le società pre-capitalistiche Ogni società umana presuppone una qualche forma di divisione del lavoro, la società tribale, il tipo più semplice, la divisione del lavoro è minima ed implica una divisione di compiti tra i sessi (donne ruolo meno produttivo degli uomini). L’individualizzazione è legata ad una divisione del lavoro sempre più specializzata perché originariamente l’uomo si presenta come un esser del tutto comunitario: dalla complessità nella divisione del lavoro deriva la possibilità di produrre un eccedenza di beni per soddisfare i bisogni fondamentali che a sua volta porta con sé lo scambio dei prodotti mezzo che determina la progressiva individualizzazione dell’uomo →processo che pertanto si attua nella storia. Lo stesso vale per la proprietà che in origine era comune →quella privata non deriva da uno stato naturale ma è il risultato dello sviluppo sociale. La società tribale più semplice è quella nomade che vive di caccia, pesca e pastorizia: essendo nomadi gli uomini non sono integrati con l’ambiente circostante, per diventare tali devono trasformarsi in una comunità agricola stabile, punto di partenza per il suo successivo sviluppo parallelo all’aumento della divisione del lavoro. L’esistenza di più comunità dà impulso al commercio, allo scambio dei prodotti (dapprima schiavi, bestiame, metalli tramite baratto poi la produzione di una più ampia varietà di merci rende necessario l’uso del denaro) che stimola un ulteriore specializzazione nella sfera produttiva →produzione di merci = beni prodotti solo per lo scambio. Nelle sue opere giovanili Marx identifica una linea di sviluppo, dalle società tribali alla società antica (Grecia e Roma) e più tardi fa riferimenti anche alle società orientali (Cina e India) e distingue una forma specifica di società tribale, quella Germanica che con la dissoluzione dell’impero romano ha costituito in nesso da cui si è sviluppato il feudalesimo nell’Europa occidentale. Società orientale: molto restia al cambiamento, tendenza al ristagno per il rigido controllo del governo centrale e per l’autosufficienza della comunità di villaggio che contiene in sé tutte le condizioni della riproduzione e produzione in eccedenza. Mancanza di proprietà privata della terra (solo possesso). L’autosufficienza →limite allo sviluppo delle città a differenza della Grecia e di Roma dove la città è elemento di centrale importanza. Per Marx lo sviluppo dell’urbanizzazione fornisce l’indice più evidente della specializzazione nella divisione del lavoro. Il mondo antico La società antica è prevalentemente urbana ed è la prima forma di società divisa in classi, ha origine dall’unione di più tribù in una città mediante patto o conquista, città che costituisce un’unità economica. Marx focalizza l’attenzione sul caso di Roma, società urbana in cui il proprietario terriero è anche allo stesso tempo un cittadino urbano e la classe dominante è legata alla proprietà privata della terra (patrizi che detengono il monopolio del bene pubblico e dell’organizzazione militare) mentre sono gli schiavi a sorreggere l’intero peso del lavoro produttivo. Con la crescita della popolazione si verificò, per la penuria di terra, il fenomeno dell’emigrazione forzata sottoforma di fondazione di colonie, anche perché non c’era nessun incentivo ad aumentare la produttività sulla base delle risorse esistenti →al ricchezza aveva valore solo per i piaceri individuali che poteva dare e il lavoro in generale (attività commerciali, manifatturiere ecc.) era guardato con disprezzo dalla classe dominante. All’interno della società romana i conflitti di classe si svolgono tra patrizi e plebei, i primi sfruttavano i secondi con l’usura che influenzò negativamente l’economia perché indebolì la piccola proprietà contadina sino alla rovina (tassi con un altissimo interesse). Allo sfruttamento dei piccoli contadini subentrò l’economia schiavistica ma il sistema basato sulla schiavitù alla fine si disgregò e giunse per Roma il declino perché mentre le forze produttive raggiunsero un alto grado di sviluppo (grandi proprietà→latifondi con una produzione agricola su larga scala) la struttura della società

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impedì che tale sviluppo andasse oltre un certo punto (incapacità di commercio e industria di svilupparsi oltre). Si ebbe un declino delle attività commerciali e allo stesso tempo la decadenza delle città. Si abolisce la schiavitù e le grandi proprietà vengono spezzate e date ai fittavoli (piccoli poderi) →l‘agricoltura su piccola scala riacquista una posizione preminente. Il feudalesimo e le origini dello sviluppo capitalistico La dissoluzione dell’Impero Romano crea nell’Europa occidentale le basi per lo sviluppto della società feudale. La servitù del gleba assume un ruolo predominante a partire dal IX secolo, Marx è interessato soprattutto al processo di transizione dal feudalesimo al capitalismo. Analisi dell’economia feudale →si basa sulla produzione agricola su piccola scala, imperniata sull’uso dei servi della gleba, sull’industria domestica e la produzione artigianale nelle città. Il servo della gleba è padrone di sé stesso, produce per sé e per la sua famiglia anche se deve consegnare una parte del suo prodotto al signore, il grdo di alienazione del produttore dal suo lavoro è ancora basso. Per Marx la storia delle prime fasi del capitalismo è la storia della separazione del produttore dal prodotto del suo lavoro. Le fasi iniziali del capitalismo coincidono con la disgregazione del feudalesimo e la rinascita delle città che è parallela alla formazione del capitale mercantile e usuraio e di un sistema monetario che sono elementi disgregatori del sistema basato sulla produzione agricola (siamo nel XII secolo, 1100). Il capitalismo si sviluppa in periodi e modi diversi nei vari paesi, Marx si concentra sul caso dell’Inghilterra dove alla fine del XV secolo, 1400, il contadino indipendente si trasforma in lavoratore salariato in parallelo al declino dell’aristocrazia feudale, al fenomeno delle recinzioni e al coinvolgimento dell’aristocrazia terriera in un economia di scambio. Con l’espropriazione dei contadini dalle terra coltivabili trasformate in terreni da pascolo si ebbe la formazione di una grande massa di mendicanti e vagabondi →agli inizi del XVI secolo, 1500, fa la sua comparsa il proletariato fatto di contadini separati dai loro mezzi di produzione (terre) che vengono gettati sul mercato del lavoro come liberi lavoratori salariati. Anche lo sviluppo massiccio del commercio d’oltremare fece la sua parte nello sviluppo di una produzione più avanzata (capitalismo). Allo stesso tempo si ha una continua ascesa della borghesia (classe che detiene il controllo del capitale), un forte aumento dei prezzi per l’afflusso di oro e argento sul mercato e grandi profitti per le attività manifatturiere e commerciali che determinarono la rovina dei grandi proprietari terrieri e l’aumento dei lavoratori salariati. La conseguenza politica fu la prima rivoluzione inglese. Origine dei primi capitalisti →per Marx ci sono due forme di passaggio al modo di produzione capitalistico: 1- Caso dell’Italia →qualche commerciante si sposta dall’attività commerciale per partecipare direttamente al processo produttivo; 2- Forma rivoluzionaria →i produttori individuali che accumulano i capitali allargano la sfera delle loro attività: produzione + commercio. 3. I RAPPORTI DI PRODUZIONE E LA STRUTTURA DI CLASSE Per Marx lo sviluppo della società è il risultato della continua interazione produttiva tra l’uomo e la natura che lo circonda, l’uomo pertanto si distingue dagli animali perché ha iniziato a produrre i suoi mezzi di sussistenza. L’attività produttiva è alla base della società si in senso storico che in senso logico: è la prima azione storica e deve essere compiuta ogni giorno per mantenere in vita gli uomini. Nelle sue azioni quotidiane, ogni individuo ricrea e riproduce le società determinandone il continuo mutamento. Ogni modo di produzione implica relazioni sociali tra gli individui che vi partecipano, l’individuo non è isolato (critica di Marx contro l’economia politica e l’utilitarismo). L’uomo non produce mai come individuo ma sempre come membro di un tipo di società →ogni forma di società si fonda su un insieme di rapporti di produzione. Nella produzione gli uomini non agiscono solo sulla natura ma anche gli uni sugli altri determinando legami e rapporti reciproci. Secondo Marx i mutamenti nelle forze produttive hanno determinato la transizione dal feudalesimo al capitalismo. Il dominio di classe

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Per Marx le classi si formano quando i rapporti di produzione implicano una specializzazione nella divisione del lavoro che permette l’accumulo di sovrappiù di cui si appropria una minoranza che entra in un rapporto di sfruttamento con la massa dei produttori. Marx muore proprio mentre iniziava a fare un’analisi sistematica del concetto di classe →che non può essere identificata con la fonte del suo reddito né con la funzione svolta dall’individuo nell’ambito della divisione del lavoro. Nel Capitale Marx afferma che la distribuzione dei beni economici non è una sfera separata dalla produzione ma è determinata dal modo di produzione stesso. Le classi pertanto costituirebbero un aspetto dei rapporti di produzione: sono cioè determinate dal rapporto tra gruppi di individui e la proprietà dei mezzi di produzione →concezione dualistica, in genere sono due classi antagoniste, una dominante e l’altra subalterna →rapporto conflittuale. Per esempio i capitalisti formano una classe perché sono costretti condurre una lotta contro un’altra classe. I capitalisti sono in concorrenza reciproca sul mercato alla ricerca del profitto. La struttura di classe e i rapporti di mercato Solo la società borghese però (società classista) si approssima al modello dualistico di Marx. Caratteristiche: le classi giocano un ruolo politico ed economico importante ma sono marginali perché traggono la loro origine da un insieme di rapporti di produzione superato o appena emergente. Gli strati sociali dipendenti funzionalmente da una della due classi antagoniste, tendono ad identificarsi politicamente con essa; vi sono poi gruppi eterogenei di individui ai margini del sistema di classe perché non integrati nella divisione del lavoro (ladri, vagabondi senza un mestiere definito) per Marx la posizione delle classi e la natura dei loro conflitti cambia nel passaggio da una forma di società all’altra. Le società pre-capitalistiche sono decentrate nella loro organizzazione, sono costituite da una somma di grandezze identiche: i rapporti economici non sono rapporti di mercato e il dominio o la subordinazione si accompagna a legami personali tra gli individui (il proprietario terriero feudale domina attraverso rapporti personali di servitù e il pagamento diretto delle decime, il servo della gleba conserva un notevole controllo sui suoi mezzi di produzione). Con l’avvento del capitalismo i rapporti di mercato sono il fattore determinante dell’attività produttiva umana ma la società borghese ha lasciato tra gli uomini solo il nudo interesse →sfruttamento diretto e arido non più velato da illusioni religiose o politiche, i rapporti di classe vengono così semplificati, si creano due grandi classi antagoniste sul mercato: la borghesia e il proletariato, le altre (proprietari terrieri, piccola borghesia, contadini) vengono via via assorbite dall’una o dall’altra. Per Marx i rapporti di classe sono l’asse principale da cui dipende la distribuzione e l’organizzazione del potere politico →potere politico e potere economico sono per Marx strettamente collegati: la forma delle istituzioni politiche è connessa al modo di produzione e perciò dipende anche dal peso dei rapporti di mercato nell’economia. Sia nella società antica che nel Medio Evo la proprietà privata è in larga misura legata alla comunità, lo stesso avviene per i rapporti di dominio di classe. L’esercizio del potere politico è decentrato nell’ambito delle comunità. Il capitalismo moderno invece, condizionato dall’industria e dalla concorrenza ha cancellato ogni traccia di comunità. La forma assunta dallo stato nella società borghese muta con le circostanze in cui la borghesia ha conquistato il potere. In Francia →alleanza tra borghesia e monarchia favorisce lo sviluppo di una solida burocrazia. In Inghilterra →lo stato rappresenta un compromesso arcaico tra aristocrazia terriera (potere formale) e borghesia (potere reale), minor peso della burocrazia nell’apparato statale. Ideologia e coscienza Il diritto privato ha origine dalla dissoluzione della comunità naturale reale che determina lo sviluppo della proprietà privata. Venne per la prima volta codificato dai romani, ebbe poi una nuova fase di formazione col sorgere del capitalismo. In diritto privato l’autorità si fonda su norme razionali e non su prescrizioni di carattere religioso come nelle comunità tradizionali. Il sistema legale e giudiziario moderno è uno dei principali sostegni ideologici dello stato borghese. In tutte le società classiste la classe dominante riprende e rielabora le forme ideologiche passate per legittimare il suo dominio. Nell’Ideologia Tedesca Marx dice che la classe che dispone dei mezzi di produzione materiale dispone

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anche dei mezzi della produzione intellettuale quindi ad essa sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. La coscienza degli uomini è determinata dall’attività umana sociale, il loro essere sociale determina la loro coscienza (vedi esempio del linguaggio che è un prodotto sociale, l’espressione delle idee dipende dall’esistenza di esso, l’individuo acquisisce le categorie linguistiche della sua coscienza in virtù della sua appartenenza alla società). Non esiste una relazione univoca tra forme ideologiche e potere →la classe dominante diffonde idee che devono legittimare la sua posizione di dominio, per esempio le libertà giuridiche della società borghese di fatto servono a legittimare la realtà di un obbligo contrattuale in cui i salariati si trovano in una posizione sfavorevole rispetto ai capitalisti. L’Ideologia va studiata in relazione ai rapporti sociali in cui è inserita. Le idee si evolvono come elementi della coscienza degli uomini che vivono all’interno della società e si comportano in modi socialmente determinati. La diffusione delle idee dipende dalla distribuzione del potere economico all’interno della società. L’ideologia fa quindi parte della sovrastruttura sociale: l’etica predominante in ogni epoca è quella che legittima gli interessi della classe dominante. La caratteristica più importante della sovrastruttura che è costituita da idee è che comprende un insieme di relazioni sociali (politiche, religiose, giuridiche) che regolano un sistema fondato sul dominio di classe. I mutamenti sociali realizzati dall’ascesa al potere di una nuova classe rivoluzionaria non sono necessariamente uguali nei diversi tipi di società, anche se ogni processo rivoluzionario presenta caratteristiche comuni. Analisi dei mutamenti sociali di carattere rivoluzionario: In ogni società c’è un equilibrio tra il modo di produzione, i rapporti sociali e la sovrastruttura, se nella sfera dell’attività produttiva si verificano mutamenti graduali, nasce una tensione tra le nuove forze produttive e i rapporti di produzione esistenti che diventano ostacoli allo sviluppo delle nuove forze. Da ciò nascono conflitti di classe che sfociano in una lotta rivoluzionaria combattuta nella sfera politica e si manifestano invece come uno scontro di principi inconciliabili nel campo ideologico. Le lotte possono concludersi o con la rovina comune della classi in lotta (Roma) o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società (passaggio feudalesimo/capitalismo). Dopo aver conquistato il potere il carattere rivoluzionario della classe si trasforma in una difesa dell’ordine esistente (sua egemonia). Con l’ascesa al poter della nuova classe si inaugura un periodo di relativa stabilità. L’ascesa al poter della borghesia ha prodotto profondi mutamenti nei rapporti di classe dell’epoca feudale: si ha uno sviluppo delle forze produttive impensabile in epoche precedenti, reso possibile dalla formazione della classe sempre più numerosa di lavoratori salariati nullatenenti. Per Marx i mutamenti storici favoriti dalla società borghese culminano con l’ascesa del proletariato. 4. LA TEORIA DELLO SVILUPPO CAPITALISTICO La teoria del plusvalore Il Capitale è in gran parte un testo di analisi economica ma anche qui Marx è interessato alla dinamica della società borghese per scoprire la “legge economica” del suo movimento attraverso lo studio della dinamica della base produttiva su cui poggia. Teoria del plusvalore →per Marx, il capitalismo è un sistema di produzione di merci che comporta un mercato di scambio a livello non solo nazionale. Ogni merce ha due valori: 1- VALORE D’USO si attua nel processo di consumo e riguarda i bisogni che una merce è in grado di soddisfare. 2- VALORE DI SCAMBIO che il prodotto assume quando viene scambiato con altri prodotti. Esso presuppone un rapporto economico determinato ed è inseparabile da un mercato di scambio. Ogni oggetto può avere valore solo so per produrlo è stata spesa forza lavoro umana, sia il valore d’uso che il valore di scambio devono essere rapportati alla quantità di lavoro incorporata nella produzione di una merce. Il valore di scambio non può essere derivato dal valore d’uso ma deve dipender da qualche caratteristica del lavoro espressa in termini quantitativi (quantità di tempo spesa dal lavoratore nella produzione di una merce)→lavoro astratto in generale che è la base del valore di scambio mentre il lavoro utile è la base del valore d’uso. La duplicità delle merci è l’espressione della duplicità del lavoro che intesa come forza lavoro (dispendio fisico di energie

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dell’organismo umano) è qualcosa di comune a tutte le forme di attività produttive, come il lavoro concreto è invece un insieme di operazioni in cui tale energia viene incanalata ed è inerente alla produzione di merci destinate ad usi specifici. Il concetto di lavoro astratto è applicabile solo alla produzione di merci perciò costituisce una categoria storica e la sua esistenza per Marx dipende da alcune caratteristiche intrinseche del capitalismo che richiede alla forza lavoro una grande mobilità ed adattabilità a diversi tipi di lavoro. Il concetto di valore di scambio intermini di unità temporali di lavoro astratto si applica non ai lavoratori individuali ma al tempo di lavoro socialmente necessario (quantità di tempo richiesto per la produzione di una merce nelle normali condizioni di produzione) che può essere calcolato mediante ricerche empiriche. Con un’innovazione tecnologica si può ridurre il tempo di lavoro socialmente necessario per produrre una certa merce si riduce così anche il suo valore. Questa analisi insieme a quella del plusvalore si trova nel primo libro del Capitale, in cui Marx ipotizza sempre una situazione in cui domanda e offerta siano in equilibrio mai però ignora l’importanza della domanda →per Marx non determina il valore delle merci ma può influenzare i prezzi e svolge un ruolo nella distribuzione più importante della forza lavoro nei diversi settori dell’economia. Quando la domanda di una merce aumenta, i produttori di altri beni sono stimolati a spostarsi nel ramo di produzione di quella merce così il prezzo aumentato si ridurrà in direzione del suo valore. Secondo l’analisi del valore di scambio i prodotti vengono scambiati al loro valore, cioè , secondo la quantità di tempo di lavoro socialmente necessario in essi incorporato. Il capitalista compra e vende merci ai loro valori reali ma alla fine del processo deve trarne più valore di quanto ne abbia immesso, paradosso apparente che viene risolto sulla base del fondamento necessario del capitalismo →esistenza di lavoratori liberi di vendere il loro lavoro sul mercato, la forza lavoro umana è una merce che si vende e che si compra sul mercato. Essa comporta dispendio di energia fisica che deve essere ricostituita con la possibilità per l’individuo di soddisfare i bisogni connessi alla sua esistenza, perciò il valore della forza lavoro è dato dal tempo di lavoro socialmente necessario a produrre i mezzi di sussistenza del lavoratore. L’operaio pertanto scambia il suo stesso lavoro con il capitale. Il lavoratore impiega solo una parte della sua giornata lavorativa per produrre l’equivalente del valore della sua forza lavoro, ciò che produce in più costituisce il plusvalore →eccedenza di produzione di cui si appropria il capitalista è perciò la fonte del profitto che è la manifestazione superficiale visibile del plusvalore. Il capitalista, per avviare il processo produttivo, investe il suo denaro non solo nell’acquisto di forza lavoro (pagamento dei salari→capitale variabile V) ma anche nell’acquisto di mezzi di produzione (materie prime→capitale costante C); C non cambia la sua grandezza di valore nel processo di produzione mentre V è l’unico che crea valore. Saggio del plusvalore: è il rapporto tra il plusvalore e il lavoro necessario o tra plusvalore e

capitale variabile. (Pv/V) Saggio del profitto: si calcola con il rapporto tra il plusvalore e la somma del capitale

costante e del capitale variabile. (Pv/C+V) Composizione organica del capitale: è il rapporto tra capitale costante e capitale variabile (C/V). Il saggio del profitto dipende dalla composizione organica del capitale perciò è inferiore al saggio di plusvalore. Nel terzo libro del Capitale Marx applica ai prezzi reali la teoria semplificata del plusvalore esposta nel primo libro. Nel mondo reale la composizione organica del capitale varia molto da industria a industria: per esempio nell’industria del ferro o dell’acciaio l’investimento annuale di capitale costante è più forte che nell’industria dell’abbigliamento. Ma il capitale tende sempre a spostarsi verso quei settori di produzione che offrono i livelli più alti di profitto. Marx conclude che le merci non vengono vendute ai loro valori ma secondo i loro prezzi di produzione (prezzi reali delle merci che si possono calcolare dividendo il capitale complessivo sociale per il plusvalore totale). I prezzi di produzione sono uguali al prezzo di costo, cioè alla somma delle spese effettivamente sostenute nel corso del processo produttivo (capitale costante + capitale variabile), più il saggio medio di profitto sul capitale impiegato. Perché le merci sono vendute ai loro prezzi di produzione e non ai loro valori? È la struttura competitiva del capitalismo che ha determinato questa condizione. Per quanto complessi siano i

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rapporti tra prezzi e valori i primi dipendono dai secondi →ogni aumento o diminuzione del plusvalore totale influenzerà i prezzi di produzione. La teoria di Marx dello sviluppo capitalistico si fonda sulla natura del processo di formazione del plusvalore: mentre il capitalismo è originariamente strutturato intorno ad un sistema di libero mercato in cui le merci trovano i loro valori sulla base dell’iniziativa imprenditoriale individuale, la tendenza della produzione capitalistica mina le condizioni materiali su cui si fonda l’economia capitalistica. Le “contraddizioni” economiche della produzione capitalistica Il capitalismo si fonda sulla ricerca del profitto in condizioni di concorrenza quindi il progresso tecnologico è una delle armi più potenti del capitalista per sopravvivere sul mercato. Le innovazioni tecnologiche infatti permettono di aumentare il profitto producendo ad un costo più basso rispetto ai concorrenti. Il successo del singolo spinge gli altri capitalisti ad introdurre analoghi miglioramenti tecnologici aumentando in generale la composizione organica del proprio capitale con una conseguente diminuzione del saggio medio di profitto a cui non consegue necessariamente una diminuzione del profitto assoluto nell’economia, anzi esso può aumentare anche se il saggio del profitto diminuisce Marx identifica diverse cause antagonistiche rispetto alla diminuzione del saggio di profitto, per controbilanciare la diminuzione del saggio di profitto il capitalista può importare merci a buon mercato (riduce il valore del capitale costante) ma soprattutto Marx sottolinea quelle che comportano un prolungamento della giornata lavorativa e una riduzione dei salari al di sotto del loro valore (sfruttamento del lavoro) (aumenta il saggio del plusvalore). La produttività di lavoro in relazione al capitale costante può essere aumentata sfruttando più intensamente gli impianti (aumento ritmi di lavoro, turni sulle 24h.). le crisi periodiche che affliggono regolarmente il sistema capitalistico sono per Marx la manifestazione più evidente delle sue contraddizioni interne. Marx confece un’analisi della natura di queste crisi, il capitalismo per lui è un sistema anarchico perché il mercato non è regolato da nessun meccanismo che coordini produzione e consumo ed è caratterizzato da una continua tendenza all’espansione per l’incessante ricerca del profitto. Ogni situazione che genera un forte squilibrio tra il volume delle merci prodotte e la possibilità di smercio delle stesse (sovrapproduzione), genera una crisi →espansione della produzione oltre la capacità di assorbimento del mercato ad un saggio di profitto adeguato. Se diminuisce il saggio di profitto diminuiscono gli investimenti e una parte della forza lavoro viene licenziata, di conseguenza diminuisce il potere d’acquisto del consumatore che determina un’ulteriore riduzione del saggio di profitto, la spirale continua fino a quando si raggiunge un livello di disoccupazione talmente alto da far ridurre i salari ad un livello in cui esistono nuovamente le condizioni per produrre ad un più alto saggio di plusvalore e quindi lo stimolo alla ripresa degli investimenti. Il ciclo si rinnova e inizia una nuova fase di sviluppo. Le crisi non sono perciò il crollo del sistema capitalistico ma ne sono il meccanismo regolatore, ristabilendo l’equilibrio turbato rendendo possibile un ulteriore sviluppo. La teoria dell’impoverimento Le crisi favoriscono la crescita della coscienza rivoluzionaria perché rendono manifesta la comune situazione di classe del proletariato. Esercito industriale di riserva →gruppo stabile di disoccupati, lavoratori espulsi dalla produzione per la meccanizzazione, indispensabile al sistema capitalistico perché ha la funzione di contenere il livello dei salari (quello che per gli economisti è il saggio naturale di disoccupazione). In periodi di prosperità parte di esso viene riassorbito nella forza lavoroin altri costituisce una fonte potenziale di lavoro a buon mercato che blocca i tentativi della classe operaia di migliorare la propria condizione. L’esercito cresce sempre più con lo sviluppo del capitalismo ed è costretto a vivere in condizioni di estrema povertà →sfruttamento crescente dell’operaio man mano che il capitalismo si sviluppa a cui è collegato anche un crescente divario tra i redditi della classe capitalistica e i salari della classe operaia. Per Marx i veri effetti del capitalismo sulla classe operaia sono gli effetti alienanti della divisione del lavoro che avviliscono l’operaio a insignificante appendice della macchina.

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Concentrazione e centralizzazione L’aumento della composizione organica del capitale che si verifica con lo sviluppo del capitalismo è connesso con una tendenza alla concentrazione e alla centralizzazione del capitale. 1- Concentrazione →singoli capitalisti allargano la quantità di capitale sotto il loro controllo. Maggiori sono le risorse controllate da un singolo imprenditore e maggiore è la sua efficienza produttiva perchè è in grado di affrontare più facilmente recessioni causate da temporanee contrazioni del mercato. In generale le grandi unità produttive tendono ad eliminare le più piccole dal mercato ed assorbirne i capitali. 2- Centralizzazione →processo di fusione di capitali già esistenti. Riceve ulteriore impulso dal sistema creditizio (banche) che al tempo stesso però elimina il carattere privato del capitale perché ne toglie il controllo dalle mani dei singoli capitalisti. Esso è organizzato come una singola impresa capitalistica sulla base del profitto privato che proviene dagli interessi sulle somme prestate. Il superamento del capitalismo In un primo tempo la concezione marxiana della società socialista è la seguente: si abolisce la proprietà privata e con ciò si compie la socializzazione della produzione, la proprietà diventa collettiva, i salari sono distribuiti secondo un criterio fissato, una parte del prodotto sociale totale è destinato ai bisogni sociali (scuole, ospedali ecc.) e ogni lavoratore riceve dalla società esattamente ciò che dà ( cioè tanti mezzi di consumo quanto costa il lavoro corrispondente). Ma questa organizzazione sociale continua a trattare il lavoro come un valore di scambio anche se esteso a tutta la società e non solo al proletariato. Dal punto di vista politico, dopo la soppressione del capitalismo, ci sarà una fase di transizione (dittatura del proletariato) in cui la classe dominante (proletari) cercherà di strappare alla borghesia tutto il capitale per accentrare nello Stato tutti gli strumenti di produzione. Lo stadio successivo è caratterizzato dalla subordinazione dello stato alla società: l’amministrazione della cosa pubblica sarà mediata dall’organizzazione sociale nel suo complesso. (è possibile solo con la scomparsa del carattere di classe dello Stato). Nel momento in cui viene abolita la proprietà privata, l’organizzazione sociale è già una società senza classi, ma il dominio dei beni materiali su tutto l’ambito della vita umana e il superamento dell’alienazione può essere raggiunto solo con l’abolizione della divisione del lavoro. Nel Capitale Marx dice che la società del futuro sostituirà all’operaio di oggi l’individuo pienamente sviluppato. Così si elimineranno anche gli antagonismi tra città e campagna, tra lavoro intellettuale e lavoro manuale. Nella società socialista i rapporti sociali non sono più dominati dagli oggetti che sono il prodotto della creatività umana. Parte II: DURKHEIM (1858-1917, 59 anni) 5. LE OPERE GIOVANILI Tra Marx e Durkheim vi lo scarto tra due generazioni di studiosi della società ed anche un rilevante cambiamento nel contesto sociale e nella tradizione culturale. Durkheim fu meno coinvolto personalmente negli avvenimenti politici del suo tempo: le sue opere rispetto a quelle di Marx e Weber sono meno impegnate politicamente e hanno un carattere interamente accademico. Gli autori che più lo influenzarono appartengono alla tradizione culturale francese: il tema centrale della sua opera è quello di conciliare la teoria dello stadio positivo della società elaborata da Compte con l’interpretazione dell’industrialismo sviluppato da Saint-Simon. Altri autori: Montesquieu, Rousseau. La sociologia e le scienze della vita morale

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Tuttavia i suoi primissimi scritti prendono in esame le opere di alcuni autori tedeschi contemporanei: tra il 1885 e il 1887 Durkheim pubblica alcune critiche sull’opera di Shaffle, di Lilienfeld e altri sociologi tedeschi sostenitori della teoria organicista secondo la quale le leggi accettate che regolano il funzionamento e l’evoluzione degli organismi animali forniscono un modello utile per porre i fondamenti di una scienza naturale della società. Durkheim condivide alcune tesi di Shaffle per esempio Shaffle condusse una feconda analisi morfologica delle fondamentali componenti strutturali delle diverse forme di società servendosi di analogie con il mondo organico e paragonando le varie parti della società agli organi e ai tessuti del corpo senza però dedurne i caratteri dell’organizzazione sociale ma solo come metafore per facilitare l’analisi della sociologia. La differenza tra vita organica e vita sociale →per Shaffle e per Durkheim la vita dell’organismo animale è regolata meccanicamente, la società invece è unita da legami di idee, non da una relazione materiale. Concetto di società ideale →la società ha specifici caratteri diversi da quelli degli individui che la compongono perché la società non è un aggregato di individui ma preesiste e sopravvive ad essi, ha quindi una propria vita, una propria coscienza, propri interessi e un proprio destino. Con ciò, Shaffle, rifiuta la concezione di Rousseau dell’individuo isolato più libero e felice nello stato di natura che quando è unito in società. La vita umana è superiore all’esistenza animale grazie al patrimonio culturale e tecnologico accumulato dalla società: ideali e sentimenti di una società sono impersonali, si sviluppano socialmente non sono perciò né prodotto né proprietà dei singoli individui. Secondo Durkheim l’opera degli autori tedeschi rivela i grandi progressi realizzati in Germania nello studio della società mentre in Francia, patria natale della sociologia, vi è un notevole ritardo. Nel 1887 Durkheim pubblica “la scienza positiva della morale in Germania” il cui scopo è di esaminare i contributi che gli studiosi tedeschi hanno dato alla fondazione di una scienza della vita morale. Mentre in Francia esistono solo due generi di teoria morale (idealismo Kantiano e utilitarismo) i sociologi tedeschi hanno iniziato a porre l’etica su una base scientifica:la società è un’unità con proprie caratteristiche specifiche diverse da quelle degli individui che la costituiscono (un intero non è in questo caso uguale alla soma delle parti) principio che deve essere applicato anche alle regole morali della vita all’interno della società: la moralità è una proprietà collettiva da studiare in quanto tale e così vale per lo studio dei fenomeni economici che non sono separati dalle norme morali che regolano la vita degli individui →le relazioni economiche sono sempre soggette a regole sancite dalla tradizione e dalla legge senza le quali nel mondo economico regnerebbe un disordine caotico. Siccome la vita umana non si può ridurre a poche massime formulate astrattamente, per Durkheim, i tedeschi hanno il merito di aver dimostrato che l’etica (regole e azioni morali) va studiata scientificamente , nelle sue forme concrete come proprietà dell’organizzazione sociale perché esse sono modellate dalla società sotto la pressione dei bisogni collettivi. Durkheim analizza anche lo studio di Wundt sull’importanza fondamentale delle istituzioni religiose nella società: per Wundt, la religione costituisce una forza che promuove l’unità sociale perché offre ideali da seguire. Durkheim aggiunge che gli ideali possono mutare nelle diverse società ma sono comunque sempre esistiti perché corrispondono ad un bisogno radicato nella natura umana e per Wundt l’individualismo è solo un prodotto dello sviluppo sociale. Secondo Durkheim le azioni morali hanno due aspetti, entrambi essenziali al loro funzionamento: 1- Attrazione positiva verso un ideale 2- Carattere di obbligo e costrizione La problematica di Durkheim in “la divisione del lavoro “ Già dai suoi primi scritti risulta chiaro che Durkheim aveva una chiara consapevolezza dei seguenti punti: importanza degli ideali e unità morale per la stabilità della società, individuo come agente attivo e passivo delle influenze sociali, duplice natura del legame individuo/società (obbligo più impegno attivo verso gli ideali) società con proprie caratteristiche non deducibili direttamente dai suoi componenti ecc. Nel 1893 Durkheim scrive “la divisione del lavoro” opera polemica contro l’individualismo utilitaristico degli economisti politici e dei filosofi inglesi: secondo Durkheim la società moderna, nonostante la progressiva decadenza delle tradizionali credenze morali, non tende alla disgregazione anzi, la

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condizione normale prodotta dalla specializzazione nella divisione del lavoro è una condizione di stabilità organica. Questo effetto di coesione non va però interpretato in termini utilitaristici non è cioè il risultato di vari contratti individuali perché il contratto ha norme che non derivano da vincoli contrattuali ma costituiscono gli impegni morali generali. Il culto dell’individuo inoltre corrisponde al processo di individualizzazione prodotto dall’espansione della divisione del lavoro ed è la base morale su cui esso si fonda. L’opera. Afferma lo stesso Durkheim, è un tentativo di considerare i fatti della vita morale con il metodo delle scienze positive, distinto da quello della filosofia morale: Durkheim non vuole derivare la morale dalla scienza ma fare la scienza della moralità che ha lo scopo di studiare come i cambiamenti delle forme sociali determinino i mutamenti nei caratteri delle norme morali, li vuole quindi osservare, descrivere e classificare. L’espansione dell’individualismo che dipende dall’aumento della divisione del lavoro determina la specializzazione delle mansioni lavorative quindi favorisce lo sviluppo di talenti, capacità specifiche che sono prerogativa solo di gruppi particolari. Nell’epoca di Durkheim sono radicati gli ideali per cui la personalità individuale deve svilupparsi in base alle qualità specifiche che si possiedono per cui ognuno deve ricevere un’educazione differenziata. Allo stesso tempo però sono diffusi anche altri ideali che esaltano l’individuo universalmente sviluppato →ideali morali contraddittori (dobbiamo specializzarci - dobbiamo realizzare tutti lo stesso ideale). Per Durkheim si può capire l’origine solo analizzando storicamente e socialmente le cause e gli effetti dell’espansione della divisione del lavoro che deriva dal modo di produzione industriale moderno, ma anche negli altri settori della società contemporanea si osserva lo stesso processo (politica, diritto, scienza, arte) →la specializzazione sempre più evidente in tutte le aree della vita sociale. Il suo aumento può paragonarsi ad alcuni principi biologici (in principio, nella scala evolutiva, organismi di natura semplice poi quelli con un livello più elevato di specializzazione interna delle funzioni). Per capire il significato della specializzazione della divisione del lavoro si devono confrontare i principi organizzatori della società sviluppate con quelli delle società progredite tentando di misurare i cambiamenti nella natura della solidarietà sociale→non misurabile direttamente quindi Durkheim fa riferimento alle regole del diritto che la rappresentano perché in ogni forma di vita sociale stabile, le regole morali sono sempre state codificate in leggi. Un precetto giuridico è una regola di condotta che viene sancita: ci sono sanzioni repressive (per i delitti, diritto penale) che impongono all’individuo una punizione per la sua trasgressione e sanzioni restitutive che ristabiliscono, tramite un risarcimento, i rapporti quali erano prima della violazione. Il diritto repressivo non specifica la natura dell’obbligo morale (indica solo le pene) perché ciascuno lo conosce e lo accetta. Per Durkheim affinché possa perdurare il diritto penale nel sistema giuridico di una data società deve esistere una coscienza collettiva definita da un insieme di credenze e sentimenti condivisi dai membri della società. Per Durkheim la funzione primaria della pena è di tutelare e riaffermare la coscienza collettiva di fronte agli atti che mettono in dubbio la sua sacra inviolabilità. Nelle società più semplici la personificazione delle credenze e dei sentimenti comuni della coscienza collettiva è rappresentata da un sistema religioso unitario che regola non solo i fenomeni religiosi ma anche la morale, il diritto (penale), la scienza e la politica. Sono società in cui i legami di coesione si fondano sulla solidarietà meccanica: hanno una struttura segmentata perché formate da una serie di gruppi (clan) politico-familiari simili tra loro nell’organizzazione interna. Nel loro insieme formano, in quanto unità culturale (credenze e sentimenti condivisi da tutti i membri), una società ma ogni gruppo di tale società può distaccarsene senza causare danni agli altri che sono autosufficienti. Posto questo viene lasciato poco spazio per la differenziazione degli individui: ogni individuo è un microcosmo delle totalità, la personalità collettiva è la sola che esista così vale per la proprietà. Non affronta per nulla il problema della proprietà privata. Lo sviluppo della solidarietà organica Più alto è il livello di sviluppo sociale e maggiore è la presenza di leggi restrittive all’interno della struttura giuridica. La società moderna è altamente differenziata il paradosso è che l’estrema divisione del lavoro può portare alla collaborazione più fitta, alla massima unione, alla massima solidarietà. L’esistenza di un diritto restrittivo presuppone il prevalere della specializzazione nella

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divisione del lavoro perché esso protegge i diritti degli individui nei confronti della proprietà privata o di altri individui con diversa posizione sociale. Questo tipo di coesione è la solidarietà organica: la solidarietà non deriva da accettazione di credenze e sentimenti comuni ma dall’interdipendenza funzionale nella divisione del lavoro. La solidarietà organica presuppone non la somiglianza ma la differenza tra gli individui nelle azioni e nelle credenze →crescita individualismo e perdita d’importanza della coscienza collettiva anche se credenze e sentimenti riconosciuti collettivamente non scompaiono del tutto nelle società più complesse. Durkheim qui critica H: Spencer: non è vero che ognuno persegue solo il suo interesse personale perché la società si disgregherebbe subito →l’interesse è la cosa meno costante del mondo. Durkheim contro l’utilitarismo →questo ritiene che la causa nell’aumento della divisione del lavoro sia la maggior ricchezza materiale che si può ottenere dalla specializzazione e dallo scambio più aumenta la produzione, tanto più aumenta la produzione tanto più sono soddisfatti i bisogni umani e tanto più aumenta la felicità umana. Durkheim obietta questa posizione che peraltro è smentita dall’esperienza →l’altra incidenza del suicidio nella società contemporanea dimostra che la differenziazione dei ruoli sociali non determina necessariamente un aumento del livello di felicità. La divisione del lavoro si sviluppa invece con la graduale scomparsa della società segmentata, con l’instaurazione di relazioni tra gruppi prima isolati che sono perciò stimolati allo scambio sia economico che culturale →più numerosi sono gli individui a contatto per poter agire e reagire gli uni su gli altri, quanto più aumenta la divisione del lavoro. La frequenza di questo contatto è chiamata da Durkheim densità morale o dinamica: il suo aumento dipende dall’aumento della densità fisica della popolazione. Più una società è voluminosa e densa più aumenta la divisione del lavoro. Individualismo e anomia La specializzazione della divisione del lavoro determina quindi una diminuzione del grado di diffusione della coscienza collettiva nella società. L’espansione della divisione del lavoro è concomitante con lo sviluppo dell’individualismo che può svilupparsi solo a spese delle credenze e sentimenti comuni. Nonostante questo la società contemporanea conserva un assetto morale: la coscienza collettiva si è di certo consolidata nel culto dell’individualismo il cui sviluppo è stato possibile solo con la laicizzazione di molti settori della vita sociale →i sentimenti e le credenze comuni dell’individuo si accentrano sul valore e sulla dignità dell’individuo non su quelli della collettività. Il culto dell’individualismo è il corrispondente morale dell’espansione della divisione del lavoro ma è diverso per il contenuto delle forme tradizionali di comunità morale: perché allora tutti i conflitti del mondo moderno? Per Durkheim il sorgere del conflitto di classe tra capitale e lavoro ha accompagnato l’espansione della divisione del lavoro derivata dall’industrializzazione: il conflitto però non deriva dalla divisione del lavoro ma dal fatto che la divisione delle funzioni economiche ha sopravanzato lo sviluppo di un sistema di regole morali ad esso adatto, in assenza di queste la formazione delle relazioni contrattuali tende ad esser determinata dall’imposizione di una forza coercitiva →divisione coercitiva del lavoro. I conflitti si possono eliminare solo se la divisione del lavoro procede parallelamente alla distribuzione della capacità e dei talenti e se le posizioni più elevate non sono monopolio di una sola classe. La situazione attuale per Durkheim è transitoria perchè la progressiva scomparsa dell’ineguaglianza di possibilità è una tendenza storica che accompagna l’espansione della divisione del lavoro. La divisione del lavoro è uno stato anomico per cui non produce ovunque coesione. Condizione di uguaglianza solo come uguaglianza delle opportunità→uguaglianza sociale: tutti hanno la possibilità di partecipare alla costruzione e alla conduzione della società stessa in modo attivo e paritetico. 6. LA CONCEZIONE DEL METODO SOCIOLOGICO Le teorie sviluppate in “La divisione del lavoro” sono la base della sociologia di Durkheim, le opere successive sono rielaborazioni delle tematiche lì affrontate. Il problema del suicidio Nel 1887 scrive il suicidio, basato sullo studio del problema come affrontato da diversi autori alla fine del ’77 ma Durkheim parte anche da alcune conclusioni sull’assetto morale delle forme di società

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presentate in “La divisione del lavoro”. La preoccupazione di Durkheim è scoprire la natura di questa lacuna morale nelle società contemporanee con una precisa analisi del fenomeno applicando il suo metodo sociologico (il suicidio solo a prima vista può sembrare un fenomeno individuale). Mentre gli esperti di statistica avevano concluso che l’andamento dei tassi di suicidio, presentando una distribuzione uniforme di anno in anno con fluttuazioni periodiche, dipende da fenomeni di carattere geografico, biologico o sociale distribuiti in modo uniforme, Durkheim sostiene che i primi due fenomeni non possono spiegare la distribuzione dei tassi di suicidio ma solo il terzo, quello sociale. Nell’Europa occidentale si nota che esiste un netto rapporto tra tassi di suicido e confessione religiosa: più bassi nei paesi cattolici più alti nei paesi protestanti ma, poiché entrambi i credi proibiscono il suicidio con ugual severità, la spiegazione va cercata nella differenza nell’organizzazione sociale delle due chiese. Differenza evidente →il protestante è incoraggiato al libero esame, egli è solo davanti a Dio, senza punti di riferimento, quindi la chiesa protestante è meno integrata di quella cattolica dove invece si ha il clero la cui autorità in materia di dogmi religiosi è vincolante. Per Durkheim è il rapporto che intercorre tra i tassi di suicidio e il grado di integrazione nei vari settori della società che può spiegare l’andamento. Per esempio: integrazione nella struttura familiare: i non sposati in genere presentano tassi di suicidio più alti degli sposati di età corrispondente → rapporto inverso tra tassi di suicido e grandezza dell’unità familiare, lo stesso vale per tassi di suicido in tempo di guerra o crisi politica che determinano un coinvolgimento, un’integrazione più salda della società →diminuiscono rispetto ai tempi di pace. Il suicidio varia in ragione inversa al grado di integrazione dei gruppi sociali di cui l’individuo fa parte. Si parla di suicidio egoistico caratteristico della società contemporanea →conseguenza di uno stato in cui l’io individuale si afferma eccessivamente rispetto all’io sociale e a danno di questo. È quindi in correlazione con lo sviluppo del culto dell’individuo (personalità). Altro tipo di suicidio è quello anomico: lo stato anomico è privo di regolazione morale (nelle relazioni economiche) →i tassi di suicido sono più alti nell’industria e nel commercio che nell’agricoltura: nei primi due settori i tassi di suicido son inversamente proporzionali al livello socio-economico, più alti tra i benestanti e liberi professionisti, più bassi tra i disagiati →le ristrettezze economiche costituiscono una fonte di freni morali, le occupazioni più elevate invece sono svincolate da una costante regolazione morale. Anche nei periodi di depressione economica i tassi di suicido presentano un forte aumento ma questo vale anche per periodi di forte prosperità →le fluttuazioni del ciclo economico hanno un effetto distruttivo sui modi tradizionali di vita perché le abituali aspettative sono messe in crisi. L’anomia per tanto come l’egoismo è una delle fonti da cui si alimenta la massa dei suicidi. Il suicidio anomico è patologico, per cui non è una caratteristica inevitabile delle società contemporanee. Suicidio egoistico e suicidio anomico sono connessi: inevitabile che l’individuo egoista tenda a porsi fuori dalla regolazione morale, essendo distaccato dalla società questa non ha influenza per controllarlo. Nelle società tradizionali si ha una terza forma di suicidio quello altruistico obbligatorio →in certe situazioni l’individuo ha il dovere di uccidersi. Altruistico facoltativo quando fa parte della conservazione di codici d’onore e prestigio. Entrambi presuppongono l’esistenza di una forte coscienza collettiva che domina le azioni dell’individuo. Esteriorità e Costrizione Esteriorità non è un criterio empirico. Durkheim sostiene che il fenomeno del suicidio vada esaminato attraverso ricerche empiriche e il metodo deve essere il risultato della pratica. La psicologia non può invece spiegare il fenomeno ma si può limitare a studiare i motivi e le condizioni che spingono determinati individui a suicidarsi. È nell’opera “Le regole del metodo sociologico” (1895) che Durkheim rende espliciti i criteri metodologici della sociologia che ha come oggetto lo studio dell’uomo nella società. Durkheim cerca dapprima di definire il concetto di fatto sociale (superiore storicamente e spiritualmente all’individuo) →i fatti sociali sono esterni all’individuo in due sensi:

1) ogni uomo nasce in una società che già sussiste e che condiziona la sua personalità 2) ogni individuo è solo un singolo elemento all’interno della totalità delle relazioni sociali che

sono create da molteplici interrelazioni tra gli individui.

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Nessuna teoria o analisi che parta dall’individuo può comprendere le specifiche proprietà dei fenomeni sociali. I fatti sociali per Durkheim risiedono nella società che li produce e non nelle sue componenti. Per determinare allora la natura dei fatti sociali, Durkheim usa il criterio della costrizione morale (criterio empirico): ci sono modelli di comportamento che non sono creati dall’individuo ma costituiscono parte di un sistema di doveri morali in cui è inserito insieme agli altri uomini (esempio della paternità →duplice aspetto, biologico -con la procreazione- e morale -leggi che impongono certi comportamenti-). Il rispetto di tali doveri per Durkheim si fonda raramente sul timore delle sanzioni applicate per le trasgressioni, nella maggior parte dei casi infatti gli individui riconoscono la legittimità dell’obbligo e non sono consapevoli del suo carattere coercitivo. L’obbligo morale però ha anche un altro aspetto →l’adesione all’ideale che sta alla base di esso. Funzione di un fatto sociale →solo sociale ed è sufficiente esaminare i fatti sociali per poter comprendere la società e regolarla. La logica della generalizzazione esplicativa La tesi più famosa delle Regole →considerare i fatti sociali come cose, principio dell’oggettività, come elementi che pertanto si contrappongono e si impongono all’individuo anche se questo intende mutarli. È un postulato di carattere metodologico più che ontologico a cui vennero rivolte molte obiezioni. Durkheim giudica i fatti sociali simili al mondo della realtà naturale solo in quanto essi, come gli oggetti naturali, hanno proprietà che non sono conoscibili tramite un’intuizione immediata e non sono modificabili dalla volontà umana individuale. Per applicare questo principio dell’oggettività è necessario un distacco da parte di chi indaga sulla realtà sociale, si deve assumere cioè un atteggiamento di neutralità emotiva. All’inizio della ricerca si deve definire in termini concettuali l’oggetto della ricerca con riferimento ai caratteri esterni che possono essere subito percepiti, solo per prendere contatto con le cose. La ricerca inizia, cioè, dai fenomeni osservabili, due sono i modi con cui si può affrontare la spiegazione dei fenomeni sociali:

1- storico 2- analisi funzionale: si deve stabilire una corrispondenza tra il fatto preso in esame e i bisogni

generali dell’organismo sociale e definire in cosa consiste. La funzione va separata dalla finalità psicologica perché i fenomeni sociali non sussistono in vista dei risultati positivi che producono. La società non è un aggregato di motivazioni individuali ma una specifica realtà con caratteristiche proprie: “non può essere il nostro bisogno delle cose a farle esistere né a conferire ad esse la loro natura”. Le cause di un fenomeno sociale sono distinte dalla sua funzione nella società. Per Durkheim si deve prima determinare le cause e poi cercare le funzioni specifiche. Nonostante tutto però esiste una reciproca relazione tra cause e funzioni: “l’effetto non può esistere senza la propria causa, questa a sua volta ha bisogno del proprio effetto, dalla causa l’effetto trae la propria forza e in certi casi gliela restituisce” ad esempio l’esistenza della punizione dipende causalmente dalla prevalenza di sentimenti collettivi radicati e la funzione della pena è di mantenere tali sentimenti al medesimo grado di intensità (se non preservati andrebbero persi). Normalità e patologia Durkheim rifiuta il dualismo Kantiano tra mezzi e fini →tutti i mezzi sono essi stessi dei fini e la dicotomia può essere superata applicando principi simili a quelli che regolano in biologia la distinzione tra normalità e patologia. Nel campo sociale, per Durkheim, si può individuare ciò che è normale tramite la caratteristica esterna e visibile dell’universalità, considerando cioè il prevalere di un fatto sociale nelle società di un dato tipo. Un fatto sociale è quindi normale se si dimostra che questa generalità si fonda sulle condizioni di funzionamento di quel tipo di società. 7. INDIVIDUALISMO, SOCIALISMO E “GRUPPI PROFESSIONALI” Il confronto con il socialismo Già da studente Durkheim aveva iniziato ad avvicinarsi alle dottrine di Saint-Simon e agli scritti di Marx ma durante la stesura di “La divisione del lavoro” la sua conoscenza della teoria socialista era

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alquanto scarsa. Facendo riferimento alla crisi delle società contemporanee (anche nel suicidio) Durkheim afferma che non si tratta di crisi con radici economiche pertanto non può risolversi con provvedimenti economici. Per Durkheim i programmi dei socialisti sono incapaci di cogliere i problemi più importanti dell’era moderna. Il socialismo è sicuramente una manifestazione del malessere della società contemporanea ma non è una base sufficiente alla necessaria ricostruzione sociale per superarla. Per Durkheim le teorie socialiste vanno studiate in rapporto al contesto sociale in cui sorgono, distingue tra comunismo e socialismo: le idee comuniste si sono presentate in vari periodi storici (socialismo →prodotto di un recente passato). Platone, Thomas Moore, Campanella →autori comunisti le cui opere hanno forma di utopie immaginarie dove causa primaria dei mali della società è la proprietà privata. La ricchezza materiale è considerata un pericolo morale, inoltre la vita economica è sempre separata dalla sfera politica →no influenza. Il socialismo invece è il risultato dei cambiamenti sociali che hanno trasformato le società europee tra il XVIII e il XIX secolo: il presupposto è che politica ed economia vanno unificate →la produzione va accentrata nelle mani dello stato che ha il compito di dirigere e amministrare l’economia. Inoltre il socialismo sostiene che la produzione industriale moderna realizza un’abbondanza di beni per tutti i membri della società. Prevede la regolazione e il controllo della produzione per moralizzarla e vincolarla allo Stato. Nel comunismo anche si parla di regolazione della produzione per escludere però lo Stato, perché il consumo è comune la produzione rimane privata. Durkheim sostiene che il comunismo è un credo politico adatto alle società con un basso sviluppo di divisione del lavoro (sorge infatti in esse per la prima volta) dove ogni individuo o famiglia è un produttore universale e non c’è cooperazione nella produzione. Ma ciò che ognuno produce non gli appartiene, lo consegna alla società e ne fa uso solo quando la società ne fa collettivamente uso. (vedi Utopia). Il socialismo invece poteva sorgere in società dove la divisione del lavoro è molto sviluppata. Secondo Durkheim la lotta di classe non è parte essenziale dei principi fondamentali del socialismo: i socialisti sostengono che solo abolendo le classi si può abolire il carattere di sfruttamento della società capitalistica dove la condizione della classe operaia è determinata dal fatto che la sua attività produttiva è al servizio esclusivo degli interessi dei capitalisti. Ma per Durkheim la lotta di classe è il solo mezzo storico con cui si devono realizzare finalità più importanti e il miglioramento delle condizioni dei lavoratori può derivare dal collegamento delle attività economiche con gli organi direttivi della società. Il ruolo dello Stato Durkheim rifiuta l’idea di riorganizzare la società tramite una rivoluzione di classe però prevede la tendenza verso la scomparsa delle divisioni di classi. Per risolvere la crisi è certo necessaria una regolazione dell’economia e programmi assistenziali ma non basta perchè si tratta di una crisi più morale che economica. Socialisti e teorici dell’economia politica sono perciò in errore se pensano che i provvedimenti economici siano il solo mezzo per superare le attuali difficoltà. Per Durkheim è il predominio sempre crescente delle relazioni economiche la prima causa dell’anomia della società contemporanea. Lo stato quindi deve svolgere un ruolo sia morale che economico e si devono adottare provvedimenti più morali che economici, si devono cioè riconciliare le libertà individuali con il mantenimento della regolazione morale da cui dipende l’esistenza stessa della società. Per Durkheim la società politica è una società formata dall’unione di un minore o maggior numero di gruppi sociali secondari soggetti ad una stessa autorità che a sua volta non è soggetta a nessun altra autorità. Il termine Stato va riservato all’apparato di funzionari →strumento con cui si organizza l’attività di governo. Lo Stato non è né superiore né inferiore alla società, esso regola qualcosa di più della semplici relazioni economiche: esso deve assolvere funzioni morali ma questo non comporta la subordinazione dell’individuo allo Stato. Democrazia e gruppi professionali Durkheim dice che lo Stato tende a crescere d’importanza con il crescere della specializzazione nelle divisione del lavoro. Nelle società moderne lo Stato è però un’istituzione responsabile in primo luogo

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delle tutela e della difesa dei diritti dell’individuo. L’espansione dello Stato è pertanto legata al progredire dell’individualismo morale all’aumento della divisione del lavoro. Durkheim ammette la possibilità che lo Stato diventi un apparato repressivo staccato dagli interessi degli individui quando i gruppi secondari che agiscono tra individuo e Stato non sono molto sviluppati e saldi da controbilanciare lo Stato. Per Durkheim è necessario il pluralismo: richiesta di rinascita delle associazioni professionali (corporazioni) per la sua idea di democrazia. Una società è più o meno democratica nella misura in cui in essa esiste una comunicazione reciproca tra Stato e gli altri livelli della società. Dall’esistenza di un sistema democratico deriva che la condotta della vita morale assume un carattere consapevole. Lo Stato si occupa quindi della vita economica, dell’educazione, dell’amministrazione della giustizia, dell’organizzazione delle arti e delle scienze. Ruolo dello Stato in democrazia →lo Stato è l’io sociale, la coscienza sociale, la coscienza collettiva invece è l’anima sociale (comprende vari modi di pensare abituali). Lo Stato guida la società spesso dando origine ad idee innovative ma allo stesso modo è guidato dalla società. La funzione primaria delle associazioni professionali per Durkheim è rafforzare la regolazione morale nei punti di scambio tra strati con occupazioni diverse e promuovere così la solidarietà organica. È il loro ruolo sociale, devono essere sottoposti al controllo giuridico dello Stato e svolgere un ruolo importante direttamente nella sfera politica oltre ad attività educative e ricreative. 8. RELIGIONE E DISCIPLINA MORALE Già dalle sue prime opere Durkheim riconosce l’importanza della religione nella società come fonte originaria di tutte le idee morali filosofiche scientifiche e giuridiche sviluppate in seguito. La diminuzione progressiva dell’importanza della religione nelle società contemporanee è la conseguenza di una minore incidenza della solidarietà meccanica. “le forme elementari della vita religiosa” →Durkheim vi espone una teoria di tipo funzionale cioè si occupa del ruolo funzionale della religione nelle società chiarendo la natura della continuità tra le forme tradizionali di società e quelle moderne. Per comprendere queste nuove forme per Durkheim è necessario relazionarle alle loro origini religiose. Il carattere del sacro Affinché esista una religione, per Durkheim, non è necessaria l’esistenza o la personificazione di divinità sovrannaturali queste infatti sono del tutto assenti o di secondaria importanza in sistemi di credenze religiosi (totemismo australiano →la religione più semplice e più primitiva che conosciamo). La peculiare caratteristica delle credenze religioso è il fatto di classificare tutte le cose reali e ideali in due ordini distinti, il mondo cioè è diviso in due classi di oggetti e simboli in assoluta contrapposizione: il sacro e il profano. Il sacro è circondato da prescrizioni e proibizioni rituali e la religione non è solo un insieme di credenze ma comprende anche pratiche rituali relative alle cose sacre stabilite e con una determinata forma istituzionale (chiesa →organizzazione cerimoniale con regole precise e un determinato gruppo di credenti, comunità morale). Il totemismo corrisponde al sistema di organizzazione sociale a clan caratteristico delle società australiane. Il totem indica un oggetto materiale che si crede possieda proprietà particolari. Ogni clan totemico ha il nome di tale oggetto: il totem è la linea di separazione tra il sacro e il profano, è il prototipo delle cose sacre e anche i membri del clan possiedono caratteri sacri come lo stesso simbolo totemico (nelle religioni più progredite il credente è invece un essere profano). Tutta la natura è classificata in un clan sotto un totem per cui non esiste alcuna cosa che non riceva una connotazione di religiosità. Il loro carattere sacro emana da una fonte di energia sacra che li comprende tutti. Essa è una presenza diffusa che permea tutte le cose ed è la fonte originaria di tutte le successive incarnazioni di tale forza generale che nelle religioni più elaborate si manifesta come divinità, spiriti o demoni. Durkheim si chiede: se il totem è allo stesso tempo simbolo della divinità e della società non significa che divinità e società sono una cosa sola? Con ciò non vuol dire che la religione crea la società ma che la religione è la manifestazione dello sviluppo autonomo della società umana.

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Questa forza sacra assume la figura di un totem perché questo è il simbolo del clan ed è ad esso che si fissano i sentimenti comuni che identificano il gruppo. Che un dato oggetto possa o no diventare sacro non dipende dalle sue proprietà intrinseche ma dalla forza sacra che scaturisce dalla collettività riunita (si realizza attraverso gli individui e trascende dalla collettività stessa). Le categorie della conoscenza La tesi che Durkheim espone non è una teoria della conoscenza che postula un insieme di connessioni tra l’organizzazione sociale e le idee collettive, anzi, Durkheim sottolinea che nel processo di sviluppo sociale un aspetto fondamentale riguarda il cambiamento dei contenuti dei sistemi di idee che si è verificato nella società contemporanea inoltre dimostra che non vi possono essere credenze morali collettive che non abbiano un carattere sacro. Pertanto, nonostante il mutamento di forma e contenuto dell’assetto morale nelle società contemporanee rispetto a quelle tradizionali, non vi è soluzione di continuità tra le forme moderne di solidarietà e quelle tradizionali. Nel mondo moderno si sta diffondendo il razionalismo che per Durkheim è l’aspetto culturale dell’individualismo morale che esige una moralità razionale. Ma allontanare la morale dalla religione può portare al rifiuto di tutte le regole morali che possono sopravvivere solo se rispettate e considerate come inviolabili. Razionalismo, etica e culto dell’individuo Ogni uomo nasce come un essere egoistico (non anomico) conosce solo le sue sensazioni e solo i bisogni corporei determinano le sue azioni. Appena il bambino si socializza, la sua natura egoistica viene offuscata da quello che impara dalla società, conserva però un lato egoistico nella propria personalità, ma le esigenze morali della vita in collettività non sono del tutto compatibili con le tendenze egoistiche. Per Durkheim il nostro vero egoismo è in parte un prodotto della società. Il cristianesimo, e nello specifico il protestantesimo, sono la fonte diretta del moderno individualismo morale (ha avuto uno sviluppo incessante attraverso la storia) il mondo moderno vive un vuoto morale: “ gli antichi dei stanno morendo e i nuovi non sono ancora nati, è la vita che dà origine ad un culto rigoglioso non un moto passato… ma attualmente non è possibile la vita in condizione di incertezza e confusa inquietudine”. La tendenza verso un crescente individualismo è irreversibile perché è il risultato dei profondi cambiamenti della società. La società è un organizzazione di rapporti sociali, ciò implica la regolazione dei comportamenti secondo principi stabiliti (regole morali9 solo accettando la regolazione morale l’uomo può ricevere i vantaggi che gli offre la società. Le forme della regolazione morale non sono tutte uguali, cioè la regolazione (società) non può essere semplicemente posta accanto in modo astratto e universale alla mancanza di regolazione (anomia). I problemi della società moderna, dice Durkheim, non si possono risolvere con un ritorno alla disciplina autocratica delle società tradizionali ma solo con un consolidamento morale della specializzazione nella divisione del lavoro che richiede forme di autorità diverse da quelle dei precedenti tipi di società. Parte III: MAX WEBER (1864-1920, 56 anni) 9. PROTESTANTESIMO E CAPITALISMO Contemporaneo di Durkeim ma vissero in una diversa atmosfera intellettuale. Le opere di Simmel influenzarono la formazione delle concezioni weberiane mentre Durkeim se ne discostò. Gli scritti di Schmoller e dei socialisti della Cattedra, influenzarono le opere giovanili di Durkeim, Weber invece le respinse assumendo una posizione polemica. Manca del tutto un’influenza reciproca tra i due. L’opera di Weber ha le sue radici nella tradizione culturale tedesca, quella di Durkeim francese; le ricerche giovanili di Durkeim sono di natura abbastanza astratta e filosofica, i primi lavori di Weber sono invece studi storici concreti da cui parte per allargare l’orizzonte della sua ricerca a questioni teoriche generali. Le Opere Giovanili

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1889: Weber scrive la sua tesi di laurea, essa tratta tecnicamente dei provvedimenti di legge che regolano la imprese commerciali medioevali dando particolare rilievo alle città mercantili (Genova, Venezia), evidenziando il tipo di capitalismo commerciale sviluppato determinò un sistema di leggi che regolavano come rischi e profitti si dovevano suddividere tra i partecipanti all’impresa. Già qui si nota l’interesse di Weber per l’influenza del diritto romano sullo sviluppo del sistema giuridico europeo medio e post medioevale. Roma è al centro del secondo lavoro di Weber ancora di natura tecnica: è un analisi dell’evoluzione della proprietà terriera a Roma, aspetto collegato ai mutamenti giuridici e politici (Come Marx, anche Weber intravede nell’antica Roma alcuni elementi che determinarono la formazione del capitalismo moderno). Nonostante la loro relativa importanza questi scritti manifestano già la preoccupazione di Weber per un problema che diverrà centrale nella sua opera successiva: natura nell’impresa capitalistica e caratteristiche del capitalismo europeo occidentale. In seguito Weber pubblica una ricerca sulla condizione dei contadini all’est dell’Elba e altre sul capitale finanziario in Germania. Le conclusioni a cui Weber pervenne lo condussero direttamente ai problemi affrontati in “L’etica protestante”. Tra il 1894 e il 1897 Weber scrive articoli sulla Borsa e sui suoi rapporti con il finanziamento delle imprese: per Weber la Borsa non è un mezzo di cospirazione contro la società, con cui solo una minoranza di capitalisti può arricchirsi ma svolge una funzione di mediazione nell’economia, cioè l’imprenditore può facilitare l’espansione della sua impresa sulla base di una pianificazione nazionale, la borsa quindi promuove il comportamento razionale del mercato anche se l’espansione delle operazioni commerciali ha l’effetto di neutralizzare i vincoli etici necessari al funzionamento delle transazioni commerciali. 1892: Weber scrive uno studio sul lavoro agricolo nella Germania orientale: il fiume Elba costituisce una vera e propria linea di demarcazione per quanto riguarda la struttura dell’impresa agricola: ad ovest i contadini sono per la maggior parte agricoltori indipendenti mentre ad est, si trova ancora un’organizzazione semi-feudale con gli Junker che conservano grandi proprietà e i contadini legati ai loro datori di lavoro da contratti annuali (simili ai contadini medioevali) o salariati e pagati giornalmente (simili al proletariato industriale). Gradualmente i secondi sostituiranno i primi e questo processo cambierà la struttura complessiva della proprietà perché i giornalieri sono assunti sulla base di un contratto salariale senza avere alcun rapporto organico con il contesto sociale in cui vivono i lavoratori tradizionali (non hanno solo un rapporto economico con i datori di lavoro ma anche precisi diritti e doveri) per cui il loro interesse primario è ottenere il salario più alto possibile. Ciò determina un maggior conflitto economico fra lavoratori e datori di lavoro ed un peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori. Nonostante ciò Weber nota la tendenza da parte dei lavoratori annuali a rinunciare alla propria sicurezza (esistenza incerta del giornaliero) per la ricerca della libertà personale dai vincoli di dipendenza di tipo patriarcale e per conservarla saranno disposti a sopportare le più dure privazioni. Le conclusioni raggiunte da Weber nei suoi studi giovanili lo spinsero sempre più a contatto con i problemi su cui si era impegnato il pensiero Marxista (capitalismo, caratteristiche, condizioni di nascita e sviluppo). Le Origini dello Spirito Capitalistico 1905: Weber pubblica sotto forma di due articoli “L’Etica Protestante” e “Lo Spirito del Capitalismo” in cui Weber si chiede il perché la proprietà dell’impresa capitalistica, le élites operaie più colte e il più alto personale tecnico e commerciale delle imprese nell’Europa moderna abbiano tutti un carattere in prevalenza protestante (questo è un fatto storico poiché anche nel 1500 alcuni dei primi centri di sviluppo capitalistico erano in prevalenza protestanti). Non si può credere che la causa della rottura con il tradizionalismo economico derivi dal fatto che con la Riforma si volle sfuggire al controllo della Chiesa (visto anche il parallelo indebolimento della religione tradizionale) perchè il passaggio al protestantesimo implicò l’accettazione di vincoli più stretti di quelli richiesti dal cattolicesimo (es. atteggiamento molto severo verso il lassismo) per spiegare il rapporto tra protestantesimo e razionalità economica si devono allora analizzare i contenuti delle dottrine protestanti. Weber rifiuta la tesi di Marx secondo cui il protestantesimo era un riflesso ideologico dei

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mutamenti economici avvenuti con il primo sviluppo del capitalismo. Il capitalismo moderno non è fondato sulla ricerca amorale di guadagno personale ma sull’obbligo e la disciplina del lavoro concepito come un dovere. L’avarizia e l’egoismo si trovano in tutte le società ed ancor più in quelle pre-capitalistiche. Per Weber le caratteristiche dello spirito del capitalismo moderno sono: il guadagno, considerato come lo scopo della vita dell’uomo tramite un’attività economica legittima e non è più il mezzo per soddisfare i suoi bisogni materiali (inversione del rapporto naturale), la professione concepita sia come dovere sia come virtù, i mutamenti tecnologici che hanno determinato una ristrutturazione razionale della produzione finalizzata alla massimizzazione dell’efficienza, anche delle piccole imprese ancora gestite con modelli tradizionali. Tali mutamenti sono il risultato dell’introduzione di un nuovo spirito di iniziativa imprenditoriale (spirito capitalistico) che si trova in contrasto sia con la vita a giornata del contadino sia con il capitalismo di avventura (ricerca del guadagno attraverso la pirateria o la conquista militare). Il concetto di vocazione professionale si è configurato al tempo della Riforma: la vocazione dell’individuo consiste nel compiere il suo dovere verso Dio mediante una condotta morale nella sua vita quotidiana, da qui deriva il distacco del Protestantesimo dall’ideale cattolico di vita monastica, con il rifiuto del mondo e la sua accentuazione degli scopi mondani. L’influenza del Protestantesimo Ascetico La Riforma giocò un ruolo essenziale nel rendere la pratica di attività terrene un dovere essenziale ma il Luteranesimo non deve essere considerati come la fonte principale dello spirito capitalistico. Sono semmai le successive sette protestanti (che per Weber costituiscono il protestantismo ascetico ) che elaborano ulteriormente il concetto di vocazione: Calvinismo, Metodismo, Pietismo, Anabattismo. Weber è interessato a quegli apparati dottrinali che riguardano la condotta pratica dell’individuo nella sua attività economica. Calvinismo: 3 sono i capisaldi che Weber identifica: 1. il mondo è stato creato per magnificare la gloria di Dio e ha significato solo in relazione agli scopi divini: l’uomo è per Dio 2. gli scopi divini sono imperscrutabili all’uomo 3. predestinazione: solo pochi uomini sono eletti alla vita eterna e le azioni umane non fanno alcuna differenza Da tutto ciò secondo Weber deriva una grande solitudine interiore per il credente, nessuno può intercedere presso Dio per la sua salvezza (differenza con il cattolicesimo) distanza incolmabile tra l’uomo e Dio. Per Calvino solo un’intensa attività nel mondo era il mezzo per sviluppare e conservare la necessaria fiducia in sé stessi, la fiducia della propria salvezza. La realizzazione di opere buone venne considerata così come segno di predestinazione alla salvezza (non un mezzo per ottenerla ma per eliminare i dubbi in proposito) Richard Baxler (puritano inglese) per esempio nei suoi scritti ammonisce contro i peccati dell’inattività e dello spreco del tempo. Il calvinista assegna il massimo del valore etico al lavoro nel mondo materiale: lavorare con devozione è comandamento divino perchè si deve realizzare la vocazione professionale che Dio ci ha dato. L’accumulazione di ricchezze viene condannata solo quando costituisce una tentazione ad una vita oziosa, negli altri casi è invece valutata positivamente da un punto di vista morale (ciò vale anche per il Puritanesimo). Per Weber le origini dello spirito del capitalismo devono perciò ricercarsi nell’etica religiosa sviluppata dal calvinismo. E’ il carattere specialistico della divisione del lavoro capitalistica che costringe l’uomo moderno in uno specifico ruolo professionale a differenza di quanto accade nel caso del puritano perchè la sua fede religiosa sceglieva deliberatamente un ruolo professionale. Questa è la conclusione dell’Etica Protestante. 10. I SAGGI METODOLOGICI DI WEBER Sono un approfondimento della sua posizione critica nei confronti delle interpretazioni materialistiche ed idealistiche della storia: esse servono poco alla verità storica perchè pretendono di essere la conclusione dell’indagine e non semplicemente una preparazione ad essa. Gli scritti vanno visti sullo sfondo del dibattito del tempo, sulle relazioni tra scienze naturali e scienze sociali. Mentre Durkeim si

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riallaccia ad una tradizione positivistica, Weber rifiuta la nozione comptiana per la quale le scienze sociali implicherebbero un’estensione dei metodi delle scienze naturali allo studio dell’uomo. Soggettività ed Oggettività Il primo saggio è una critica a Rocher e Knies, Weber ammette che le scienze sociali riguardano fenomeni spirituali o ideali di natura umana del tutto estranei all’oggetto delle scienze naturali →differenziazione tra soggetto ed oggetto che però non esclude che le scienze sociali possano essere obiettive. In un altro saggio, Weber nota che le scienze sociali hanno avuto origine da problemi pratici e sono state influenzate dalla volontà umana di realizzare certi mutamenti nella società. E’ impossibile però per una disciplina empirica stabilire in modo scientifico valori che determinano ciò che dovrebbe essere. Tuttavia, anche se i giudizi di valore (determinano ciò che dovrebbe essere) non possono essere convalidati da procedure scientifiche non significa che debbano escludersi dalla sfera della discussione scientifica. Le tesi di Weber sono illustrate facendo riferimento alle aspirazioni del Socialismo Rivoluzionario: per realizzare una società socialista con i mezzi rivoluzionari si deve ricorrere alla violenza per ottenere i mutamenti sociali desiderati ma questa implica una qualche forma di repressione politica dopo la rivoluzione e la costituzione di un’economia socialista, si formerà inevitabilmente uno stato burocratico che annullerà lo stesso obiettivo per cui è stata costituita. La scienza sociale, mediante procedure scientifiche, sa determinare l’adeguatezza di un determinato insieme di mezzi per conseguire un certo fine, sa stabilire quali costi e vantaggi sono associati ai vari mezzi alternativi per ottenere un fine prefissato, sa infine valutare il fine in sé stesso cioè la sua concreta possibilità di realizzazione in specifiche circostanze storiche. La scienza empirica e l’analisi logica ci aiutano a stabilire ciò che è possibile realizzare e quali ne saranno le conseguenze e a chiarire la natura dei nostri ideali ma non possono stabilire quali decisioni dovremmo prendere, cioè non esiste alcun ideale che l’analisi scientifica può dimostrare giusto o sbagliato. Non può pertanto esistere un etica universale. Per Weber gli ideali e i significati che non possono essere dedotti dalla scienza si costituiscono invece nelle lotte religiose e politiche. Analisi della politica: la politica si può condurre in due modi: 1. sulla base dell’Etica della Convinzione secondo cui l’uomo rivolge la sua azione politica al perseguimento di un ideale senza riguardo al calcolo razionale dei mezzi. Questa condotta ha in comune con la religione il fatto che in essa l’individuo crede che il suo unico dovere sia far sì che si conservi la purezza delle sue convinzioni tramite azioni irrazionali; 2. sulla base dell’Etica della Responsabilità: questa comporta una consapevolezza delle conseguenze probabili della propria condotta. Nell’ambito di quest’etica le applicazioni delle scienze sociali sono significative mentre sono irrilevanti nell’etica della convinzione. Weber non considera la realizzabilità come criterio di verità ma è convinto che esista una lacuna incolmabile tra verità fattuali e verità etiche e che nessuna conoscenza empirica possa convalidare un sistema etico. Giudizi di Fatto e Giudizi di Valore Il sociologo deve essere il più cosciente possibile dei propri valori per non escluderli dal proprio lavoro. Per Weber l’obiettivo primario delle scienze sociali è la comprensione della caratteristiche uniche della realtà in cui viviamo (perchè determinati fenomeni storici accadono in un certo modo e non in un altro) ma non ci potrà mai essere una descrizione scientifica completa della realtà, ogni forma di ricerca scientifica implica una scelta da parte dello studioso di problemi interessanti e ci si deve chiedere quali siano i criteri di valore che determinano ciò che vogliamo conoscere. La formulazione di principi esplicativi generali (è solo strumentale) non è il fine delle scienze sociali ma è il mezzo che facilita l’analisi di fenomeni particolari che devono essere spiegati, e stabilisce l’esistenza di relazioni causali tra il generale e il particolare. Formulazione di Concetti Tipico-Ideali

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Il centro di interesse delle scienze sociali è costituito da situazioni storiche uniche ma i concetti utilizzati dalle scienze sociali non possono desumersi direttamente dalla realtà senza l’intervento di giudizi di valore perchè anche la scelta stessa dei problemi è governata da scelte di valore. Per interpretare e spiegare una situazione storica data è necessario usare concetti costituiti per quello scopo particolare: concetti Tipico-Ideali: il loro scopo è quello di facilitare l’analisi di questioni empiriche; essi vengono costituiti mediante un’operazione di astrazione e combinazione di elementi che benché tutti presenti nella realtà si trovano raramente in quella forma specifica presa in esame. 11. CONCETTI FONDAMENTALI DELLA SOCIOLOGIA La sociologia comprendente Monumentale opera: Economia e Società →qui l’interesse di Weber si sposta alla sociologia (come formulazione di uniformità nelle strutture sociali ed economiche). L’oggetto della sociologia per Weber è la formulazione di principi generali e di concetti di tipi riferiti all’agire umano sociale; la storia invece mira all’analisi causale di azioni, di formazioni, di personalità individuali che rivestono un’importanza culturale; c’è un diverso orientamento nelle scelte tematiche di Weber. Nell’opera egli sottolinea che la funzione dell’analisi sociologica in essa contenuta è solo preliminare allo studio di concreti fenomeni storici; è poi la storia che deve formulare una spiegazione causale di queste caratteristiche particolari. La sociologia deve proporsi di intendere e interpretare l’agire sociale e spiegarlo casualmente nel suo corso e nei suoi effetti. L’agire sociale è quello in cui il senso intenzionato dall’agente è riferito ad un altro agente o gruppo di agenti. Non si può affrontare questa situazione solo con il metodo induttivo ma la sociologia deve basarsi anche su tecniche di interpretazione che siano ripetibili e controllabili alla luce del metodo scientifico. W distingue due tipi di comprensione interpretativa del senso dell’agire: 1. Comprensione Diretta →il senso di un’azione sia razionale sia emotiva (irrazionale) si apprende mediante l’osservazione diretta; 2. Intendere Esplicativo →comporta la specificazione di una motivazione che colleghi il comportamento osservato al senso intenzionato dall’agente. L’intendere un motivo implica una correlazione tra il comportamento considerato e un quadro di riferimento normativo ampio entro cui l’individuo colloca i suoi singoli atti. Come approccio allo studio della vita sociale per Weber il Funzionalismo ha la sua utilità: è uno strumento di illustrazione pratica e di orientamento provvisorio, l’analisi funzionale permette di identificare le parti della società (totalità) che sono oggetto della nostra analisi anche se in seguito l’analogia tra società ed organismo viene meno perchè nell’analisi della società è necessario andare oltre la determinazione di regole funzionali. Weber ammette che nelle scienze sociali si devono usare concetti di tipo collettivo (Stato, impresa industriale….) anche se questi sono comunque processi e connessioni dell’agire specifico di uomini singoli. Per quanto concerne la Psicologia, Weber sostiene che al sociologo non interessa la struttura psicologica dell’individuo in quanto tale ma l’analisi interpretativa del suo agire sociale. Rapporti Sociali e Orientamento del Comportamento Sociale Il rapporto sociale si stabilisce in relazione alla reciprocità da parte di due o più individui ciascuno dei quali riferisce le proprie azioni a quelle effettive o solo previste dagli altri. Molti dei rapporti sociali sono di carattere transitorio, si costituiscono e si dissolvono di continuo; l’esistenza di un rapporto sociale non presuppone necessariamente una cooperazione da parte di chi vi partecipa (il conflitto per esempio è la caratteristica anche dei rapporti più stabili). Weber distingue 4 tipi di orientamento nell’agire sociale: 1. Agire determinato Razionalmente rispetto allo Scopo: l’individuo calcola razionalmente gli esiti probabili di un’azione in termini di mezzi e fini; valuta cioè l’efficacia di ogni mezzo a disposizione per raggiungere lo scopo prefissato e valuta le conseguenze di tale raggiungimento. 2. Agire determinato Razionalmente rispetto al Valore: è diretto verso un valore incondizionato chiaramente formulato che guida le sue azioni (dovere, onore, dedizione ad una causa).

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3. Agire Affettivamente: caso limite di agire dotato di senso e si sviluppa sotto l’influenza di qualche stato emotivo. 4. Agire Tradizionale: è determinato dall’influenza di abitudini (per esempio l’agire quotidiano) Questa classificazione non è esaustiva dell’agire sociale, si tratta piuttosto di uno schema tipico-ideale che permette di sviluppare l’analisi dell’agire sociale con l’uso di tipi-ideali razionali rispetto a cui si possono valutare le deviazioni irrazionali. Ogni relazione sociologica si basa sulla probabilità che un agente si comporterà in un modo specificato (Weber riconosce pertanto all’agire umano un margine di casualità). W utilizza il concetto di Probabilità: ogni relazione sociale di carattere relativamente stabile presuppone regolarità di comportamento: questa è un Uso se la probabilità della sua sussistenza è data in virtù di una consuetudine di fatto, è un Costume quando si tratta di un uso consolidato da molto tempo. Sono entrambi modelli di comportamento abituali la cui osservazione non è imposta da sanzioni ma dipende dal comportamento volontario dell’agente (costituiscono spesso la fonte delle regole che diventano leggi). Se la regolarità dei comportamenti è invece basata su interessi personali (imprenditore sul mercato concorrenziale) allora i rapporti sociali hanno minore stabilità di quelli basati sul costume. Legittimità, Potere e Autorità Le forme più stabili di rapporti sociali si hanno quando l’atteggiamento soggettivo degli individui coinvolti è informato alla credenza di un ordinamento legittimo mediante l’osservanza di norme dettate da tale ordinamento. L’applicazione delle sanzioni è uno strumento potente per garantire il rispetto di un ordine costituito. L’esistenza del diritto per Weber non implica però che l’apparato coercitivo abbia un carattere politico. Un ordinamento legale infatti esiste quando un gruppo (religioso o parentale) si incarica di applicare le sanzioni alle trasgressioni. Per Weber una società si definisce politica quando la validità dei suoi ordinamenti è garantita con l’impiego e la minaccia di una coercizione fisica da parte dell’apparato amministrativo, questa deve però essere usata quando tutti gli altri strumenti falliscono. Se l’organizzazione politica riesce ad esercitare il monopolio della coercizione fisica (violenza/forza legittima) allora si parla di Stato. Quando un individuo riesce a realizzare i suoi obiettivi in una relazione sociale anche in presenza di un’opposizione, allora si parla di Potenza. Nei casi in cui la potenza si esercita come obbedienza di un agente individuale ad un comando emesso da un altro, allora si parla di potere. Nessun potere può restare stabile se non si basa culla convinzione, da parte si chi ne è soggetto, della legittimità della propria subordinazione. Per Weber i tipi puri di potere legittimo sono tre: tradizionale, carismatico e legale. Sia quello tradizionale che quello legale sono sistemi amministrativi stabili, la loro funzione è l’espletamento dei compiti ordinari della vita quotidiana. La legittimità del potere tradizionale si fonda su antichi ordinamenti, esistenti da sempre e poteri di signoria. Le forme di potere tradizionali sono il patriarcalismo, la cui base è generalmente costituita dal nucleo familiare, il capofamiglia detiene il potere e lo trasmette di generazione in generazione. Quando si forma un apparato amministrativo, subordinato a un signore da legami di fedeltà personale si sviluppa il patrimonialismo (se su vasti territori decentramento dell’amministrazione e conflitti del signore con i “notabili”). Il potere legale si caratterizza dal fatto che i detentori del potere lo fanno in virtù di norme impersonali, stabilite razionalmente in rapporto a valori o scopi. L’obbedienza dovuta non è di tipo personale ad un superiore ma è dovuta in base ai limiti in cui la sua competenza è chiaramente specificata. La burocrazia possiede le seguenti caratteristiche: i compiti dell’apparato amministrativo costituiscono doveri d’ufficio ben determinati; le sfere di competenza dei funzionari sono chiaramente delimitate in base ad un principio gerarchico; le regole di condotta sono fissate per iscritto; i membri dell’apparato amministrativo sono reclutati sulla base di una competenza specifica che è accertata tramite esami di concorso; la carica non è di proprietà del funzionario; egli viene remunerato con uno stipendio fisso e regolare; la sua posizione professionale gli permette di percorrere una carriera concepita come un avanzamento progressivo nella gerarchia dell’autorità. Prima del capitalismo esistevano già delle burocrazie, quella dell’Egitto, della Cina del tardo principato romano e della Chiesa Cattolica medioevale. Erano soprattutto a carattere patrimoniale e basate sulla ricompensa in natura dei funzionari. Lo sviluppo della burocratizzazione nel mondo moderno è strettamente collegato

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all’aumento della divisione del lavoro nei diversi settori della vita sociale. Per Weber il fenomeno della specializzazione professionale non è solamente limitato al campo dell’economia. Lo stato capitalistico moderno dipende completamente dall’organizzazione burocratica per la sua stessa esistenza, più esso è grande, più esso è potente e maggiore sarà l’espansione dell’apparato burocratico. Quello carismatico, invece, è di carattere straordinario: il carisma per Weber è una qualità straordinaria attribuita ad una persona per cui essa viene considerata come dotata di forze, poteri, proprietà sovrumane che la pongono al di fuori della norma. Figure carismatiche si trovano in diversi contesti sociali (religione, politica). Il potere carismatico rivendica la sua legittimità sulla base della convinzione della validità della sua missione condivisa dal capo e dai suoi seguaci. Per Weber il poter carismatico è un fenomeno irrazionale perchè poggia solo sul riconoscimento dell’autenticità delle parole del leader; è anche una forza rivoluzionaria perchè rovescia, entro il proprio ambito, il passato con una profonda avversione per la pratica quotidiana ed ordinaria e si fa strada attraverso le regole stabilite sia di tipo tradizionale sia di tipo legale che governano l’ordinamento esistente. L’influenza dei Rapporti di Mercato: Ceti e Classi Secondo Weber classi, ceti e partiti sono tre diverse dimensioni della stratificazione sociale, ciascuna distinta concettualmente dall’altra. Come Marx, Weber non esclude un’analisi approfondita del concetto di classe e questo prende avvio dalla sua analisi più generale dell’agire economico all’interno di un mercato. L’agire economico è per Weber un comportamento che cerca di ottenere, con mezzi pacifici, il controllo di beni e servizi. Il mercato comporta un agire economico speculativo, orientato alla ricerca di un profitto tramite lo scambio competitivo. Se già esiste un tale tipo di mercato (che presuppone la nascita di un’economia monetaria), si formano le classi. Il denaro consente di stimare i valori scambiati non su una base soggettiva ma su una base numerica fissata con un criterio oggettivo →è da qui che iniziano le lotte di classe. Coloro che condividono la stessa situazione di mercato o di classe si trovano in una condizione economica simile. Una classe è un insieme di individui che condividono la medesima condizione. E’ il possesso e la mancanza di possesso il fondamento della divisione di classe in un mercato concorrenziale (simile a Marx). Tra i possidenti, Weber distingue una classe di redditieri (la loro fonte di reddito è data dalla proprietà delle terre, miniere…) che rappresentano la classe possidente privilegiata in senso positivo e una classe di imprenditori o classe acquisitiva (imprenditori industriali che vendono beni sul mercato e imprenditori bancari che partecipano al finanziamento di tali operazioni). - possidenti in senso positivo: redditieri - possidenti in senso negativo: coloro che non hanno né possesso né servizi da offrire (proletari romani declassati) - classe acquisitiva in senso positivo: imprenditori - classe acquisitiva in senso negativo: lavoratori salariati Tra i gruppi privilegiati in senso positivo e quelli in senso negativo stanno le classi medie (piccola borghesia dotata di piccola proprietà, funzionari amministrativi dotati di competenze vendibili sul mercato come servizi). Weber distingue anche le classi sociali costituite da individui che possono liberamente muovesi entro un insieme comune di situazioni di classe. La situazione di ceto di un individuo, invece, è la valutazione che altri danno di lui o della sua posizione sociale attribuendogli una qualche forma di prestigio o stima sociale. A differenza delle classi, i ceti (più individui che condividono la medesima situazione), sono sempre consapevoli della loro condizione comune. Si distinguono gli uni dagli altri aderendo ad un particolare stile di vita e selezionando i propri rapporti sociali. Essi possono influire direttamente sul funzionamento del mercato per cui possono avere un’influenza causale sui rapporti di classe. I partiti sono associazioni volontarie con lo scopo di garantirsi il controllo di un dato organismo per attuarvi un certo programma. Hanno origini diverse ma non devono necessariamente essere puri partiti di classe o di ceto. Con lo sviluppo dello stato moderno si sono formati partiti politici di massa con politici di professione →la fonte principale di reddito è la loro attività politica per cui si dice che vivono di politica; chi invece si impegna nella politica a tempo pieno senza però trarne il suo reddito, vive per la politica, questi ultimi sono in genere possidenti (redditieri più che imprenditori).

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12. RAZIONALIZZAZIONE, LE RELIGIONI DEL MONDO E LO SPIRITO DEL CAPITALISMO L’etica economica delle religioni del mondo: opera in cui Weber raccoglie i suoi studi sull’Ebraismo e sulle religioni di India e Cina. Questi studi non costituiscono una tipologia sistematica delle religioni né un lavoro puramente storico, ciò a cui Weber è interessato è l’influenza dell’etica religiosa sull’organizzazione economica. Il termine etica religiosa non implica che le religioni esaminate contengano un esplicito riferimento al tipo di attività economica consentito. Weber è interessato piuttosto alle conseguenze sociali e psicologiche che un etica religiosa ha sull’agire individuale. Le credenze religiose possono essere un fattore che influenza la formazione di un’etica economica ma quest’ultima non è solo una funzione di una data forma di organizzazione economica e la stessa religione è influenzata da altri fenomeni sociali, politici, economici. Religione e Magia Si parla di religione quando gli uomini si rivolgono alla divinità con preghiere, atti di culto e venerazione. La differenza con la Magia consiste nel fatto che le forze magiche non sono oggetto di venerazione ma sono usate per soddisfare certi desideri tramite incantesimi o formule magiche. La distinzione tra religione e magia coincide con una differenza di ceto e di potenza tra clero e stregoni. Il clero è formato da un gruppo stabile di funzionari con il permanente incarico di svolgere le funzioni di un culto. Il profeta invece è il portatore di un carisma personale che annuncia una dottrina religiosa o un comando divino. Per Weber la missione profetica costituisce l’origine storica delle dottrine che trasformano le istituzioni religiose e costituisce l’unico mezzo per spezzare il potere della magia, per poter sviluppare un atteggiamento razionale verso il mondo e creare i presupposti di scienza e tecnologia moderna. La profezia può essere etica (il profeta insegna attraverso la predicazione di una missione affidata da Dio; l’obbedienza a un comando o a una norma è un dovere morale, più comune in medio oriente→ebraismo) o esemplare (il profeta indica la via per la salvezza con il suo esempio; più comune in India). La teodicea indiana e cinese Nella Cina tradizionale, il profetismo entrò in crisi assai presto, in India sorse una religione della redenzione. L’induismo è una religione tollerante perchè la fede in esso non impedisce di accettare dottrine che caratterizzano esclusivamente il cristianesimo. Include però dogmi e verità che non possono essere negate, la trasmigrazione delle anime e la remunerazione etica (karma) strettamente collegate all’ordinamento sociale basato sul sistema di caste→gli Indù appartenenti alla casta più bassa hanno un mondo da guadagnare: mediante incarnazioni successive possono aspirare realisticamente a raggiungere i livelli più alti per diventare divini. La dottrina del Karma era indiscutibile per cui l’ortodossia Indù opponeva ostacoli insuperabili a qualunque tipo di critica dell’ordinamento sociale esistente (inconcepibili idee rivoluzionarie o sforzi per il progresso). La comparsa del sistema di caste e l’ascesa del clero bramino impedirono che lo sviluppo economico raggiunto si evolvesse ulteriormente come in Europa. Nell’attività economica, il sistema di caste si limitò a dare una base rituale stabile alla struttura occupazionale: ogni individuo deve restare nel proprio ruolo professionale altrimenti si riduce per lui la possibilità di ottenere una migliore reincarnazione nella sua vita successiva (determinerebbe cioè una degradazione spirituale). Su tali basi sarebbe impossibile il sorgere del capitalismo industriale. Nella Cina tradizionale invece Weber identifica importanti sviluppi verso una razionalizzazione dell’economia: formazione di città, corporazioni, un sistema monetario, un sistema giuridico, un’integrazione politica nell’ambito di uno stato patrimoniale. Nonostante ciò. Nessuno di questi aspetti raggiunse mai livelli che invece si raggiunsero in Europa (basso livello di autonomia politica e indipendenza giuridica della città; basso livello del volume del commercio interno; l’imperatore aveva sia la supremazia politica sia quella religiosa, burocrazia statale legata sia all’imperatore sia allo stato) e quindi soltanto una rivoluzione violenta dall’alto o dal basso avrebbe potuto cambiare la situazione. Lo sviluppo del capitalismo razionale per Weber venne bloccato dalla mancanza di una particolare mentalità (→costituitasi in Europa con la formazione del capitalismo ascetico) per il

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confucianesimo, infatti, il bene supremo è l’uomo colto che si comporta sempre con dignità e correttezza e che deve trovare l’armonia sia con sé stesso sia con il mondo esterno→è un adattamento armonioso dell’individuo ad un ordine necessario. La diffusione del Razionalismo Laico Lo sviluppo storico europeo è caratterizzato dalla forma specifica dello Stato e dall’esistenza di un razionale sistema giuridico. Nell’ambito del successivo sviluppo economico e sociale e nella formazione dello Stato moderno dell’Europa, Weber dà molta importanza all’eredità del Diritto Romano. Il capitalismo moderno si sviluppò prima in Inghilterra che in altri paesi, nonostante che essa fosse stata influenzata dal Diritto Romano. Lo sviluppo dello Stato e quello di un ordinamento economico-capitalistico sono intimamente connessi. Per Weber una caratteristica essenziale della moderna impresa capitalistica è il calcolo del capitale (calcolo razionale in termini monetari di profitti e perdite) che distingue il capitale moderno da altre attività capitalistiche (usura e capitalismo d’avventura) perchè sia possibile il calcolo del capitale deve esistere: 1. una larga massa di lavoratori salariati costretti a vendere la loro forza lavoro sul mercato per guadagnarsi la vita. 2. assenza di restrizioni allo scambio economico sul mercato. 3. l’applicazione di una tecnologia razionale (meccanizzazione). 4. separazione dell’impresa produttiva dall’economia domestica. Tutte queste condizioni si poterono formare solo in un apparato amministrativo razionale tipico del moderno stato di diritto. Avvento del socialismo: secondo Weber esso implicherebbe molte degenerazioni sia nell’industria sia nello Stato e ciò ridurrebbe ulteriormente l’autonomia politica della massa della popolazione. La moderna burocrazia, con una specializzazione di funzioni molto elevata , è molto resistente ad ogni tentativo di liberare la società dal suo dominio e rende sempre più impossibile una rivoluzione (creazione violenta di formazioni di potere del tutto nuove). Concetto di Razionalizzazione Weber lo utilizza in vari campi, nella religione per esempio dove indica il progressivo disincanto del mondo cioè l’eliminazione dei modi di pensare e di agire magici sostituiti da sistemi di credenze coerenti. Distinzione tra Razionalità Formale e Materiale (di primaria importanza per l’analisi sociologica). La razionalità formale dell’agire riguarda il grado in cui il comportamento è strutturato in base al calcolo razionale. Quella materiale riguarda l’applicazione del calcolo razionale per la realizzazione di scopi e valori concreti. Valutando il capitalismo moderno in base a criteri di efficienza e di produttività allora esso è il miglior sistema economico mai sviluppato dall’uomo ma esso ha prodotto una razionalizzazione anche della vita sociale che ha contraddetto i valori più tipici della cultura occidentale (creatività, autonomia dell’individuo) per cui la vita è diventata una prigione in cui gli uomini sono sempre più confinati →Contraddizione Insolubile. Parte IV: CAPITALISMO,SOCIALISMO E TEORIA SOCIALE 13. L’INFLUENZA DI MARX Il rapporto tra gli scritti di Marx e quelli di Durkheim e Weber si può analizzare solo tenendo presente i mutamenti sociali e politici avvenuti tra il primo e i secondi. Durkheim e Weber a loro modo furono dei critici di Marx, il marxismo e il socialismo rivoluzionario costituirono un elemento importante nell’orizzonte culturale sia di Durkheim che di Weber. Marx concepì le sue opere come strumenti per dare un fondamento teorico alla realizzazione di una prassi determinata e non come studi accademici sulla società. Anche Durkheim e Weber rivolsero i propri scritti alla soluzione dei problemi sociali e politici più urgenti dell’uomo contemporaneo ma da una prospettiva alternativa rispetto a quella di Marx.

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Società e politica in Germania: la prospettiva di Marx Le prime opere di Marx furono scritte in previsione di una rivoluzione in Germania, proprio la consapevolezza di Marx per l’arretratezza delle strutture economiche e sociali della Germania sta alla base della sua concezione originaria del ruolo del proletariato nella storia. Alla fine del 1800 la Germania è composta da 39 principati in lotta tra loro. La rivalità dei due Stati guida (Austria e Prussia) era uno dei fattori che impediva l’unificazione. Lo sviluppo del paese fu ostacolato maggiormente dalle sue caratteristiche della struttura sociale ed economica essendo ancora ad uno stadio quasi medioevale mentre in Prussia i proprietari terrieri (Junker) conservavano una posizione di dominio sia nell’economia che nel governo. Per Marx, dato il basso sviluppo di strutture sociali ed economiche, sarebbe stata impossibile una progressiva emancipazione, l’unica soluzione di avanzamento era una rivoluzione radicale realizzata dal proletariato rivoluzionario. Ma siccome quest’ultimo alla metà del 1800 esisteva appena Marx era sicuro che si sarebbe trattato prima di una rivoluzione borghese e poi di quella proletaria. Le rivoluzioni del 1848 fallirono, non produssero alcuna riforma radicale anche molti dei liberali accettarono un compromesso con le forze al potere che favorì solo divisioni nelle loro file. Marx sceglie l’esilio in Inghilterra e riconosce l’importanza di dimostrare in dettaglio le leggi di movimento del capitalismo in quanto sistema economico. Rapporto di Marx con Lassalle →fondatore del movimento socialdemocratico, ambivalenza con le dottrine di Marx che alimentò una continua divisione all’interno del partito. Lassalle infatti sul piano pratico agiva spesso in modo opposto alla concezione di Marx. →in contrasto ad esempio con l’opinione di Marx secondo cui la classe operaia doveva unirsi alla borghesia per garantire la rivoluzione borghese e per porre le condizioni per la presa del potere da parte del proletariato →Lassalle guida la classe operaia allontanandola dalla collaborazione coi liberali, questo preparò il terreno all’unificazione della Germania ad opera di Bismark, avvenne grazie ad una line di realpolitk e di nazionalismo fondato sull’uso spregiudicato del potere politico dall’alto entro un sistema sociale con la struttura tradizionale. Il decollo dell’industrializzazione si compì diversamente dal processo di sviluppo inglese. Marx è convinto che il potere economico sia ovunque la base del potere politico e considera l’Inghilterra il paese fornitore del modello della sua teoria di sviluppo capitalistico. Ma nella Germania di fine 1800 né socialisti né liberali avevano un adeguato modello storico a cui fare riferimento (solo l’esperienza inglese di fine 1700 inizio 1800). Il rapporto di Weber con il marxismo e con Marx L’atteggiamento di Weber nei confronti della politica è caratterizzato dall’importanza del potere politico in quanto distinto da quello economico (per Marx invece il potere economico è la base per quello politico), come aveva fatto Bismark quando realizzò l’unificazione interna e lo sviluppo della Germania. Così Weber aderì al nazionalismo e pose sempre l’accento sul primato dello Stato tedesco. Allo stesso tempo però, Weber aderì risolutamente ai valori classici del liberalismo europeo. 1895 → Weber tiene alla conferenza di Friburgo un discorso inaugurale che esprime una difesa degli interessi imperialistici dello Stato nazionale analizzando la posizione delle principali classi della società tedesca dal punto di vista della loro capacità di fornire la direzione politica necessaria a conservare l’integrità tedesca di fronte alle pressioni internazionali. Secondo Weber questo lavoro sociale ha lo scopo di creare l’unificazione sociale della nazione, la stessa che ha spronato l’evoluzione economica moderna. La speranza principale di direzione politica deve esser riposta nella borghesia anche se non ancora preparata ai compiti politici che deve assumere perché la sua crescita è stata ostacolata dal domino di Bismark. Non si può considerare la rivoluzione radicale l’unico mezzo per l’avanzamento economico della classe operaia e per al sua emancipazione politica perché queste sono possibili all’interno del capitalismo stesso in quanto sono nell’interesse della borghesia. Se quest’ultima viene rafforzata ne deriva lo sviluppo di un sistema di governo basato su un reale potere politico del parlamento e un serbatoio di veri dirigenti politici. In Germania per Weber maggior problema politico è sfuggire alla rete di dominio arbitrario della burocrazia. →nel caso in cui si instaurasse un governo socialista e un’economia pianificata si avrebbe un espansione della repressione burocratica. Nei confronti del partito socialdemocratico tedesco Weber disse che esso giungerà ad un compromesso

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con le strutture politiche dominanti piuttosto che fornire un’alternativa realisticamente rivoluzionaria ad esso. La maggior parte dell’opera di Weber su capitalismo e religione non è riconducibile direttamente ad una semplice risposta teorica alle opere di Marx perché altre influenze furono certo più importanti. Weber di sicuro riconosce che Marx ha dato contributi fondamentali all’analisi storica e sociologica ma la sua concezione dello sviluppo può essere considerata solo come un insieme di spunti illuminati o di concetti tipico-ideali applicabili all’interpretazione di particolari periodi storici. Per Weber e illegittimo alla storia un senso globale razionale (vedi Marx) e rifiuta la formulazione di schemi deterministici fondati su teorie generali dello sviluppo. Weber non crede nella concezione secondo cui i rapporti economici sono la base dello sviluppo storico. L’importanza dell’economico, essendo variabile, va valutata attraverso lo studio empirico delle situazioni particolari. I fattori economici per Weber non spiegano scientificamente il corso della storia, teoria che non ha più valore. In nessuna sua opera, Marx, definisce in modo preciso come si distingue la sfera economica dalle altre sfere sociali, Weber invece colma questa lacuna con la distinzione tra: a) fenomeni economici b) economicamente rilevanti c) economicamente condizionanti Quelli economicamente rilevanti sono forme dell’agire umano (es. pratiche religiose) che, sebbene prive di carattere economico, hanno incidenza sull’azione economica perché influenzano i modi con cui gli uomini cercano di ottenere beni e farne uso. Quelli economicamente condizionanti sono azioni non economiche ma influenzate in modo casuale da fattori economici perché l’ambito dei fattori economici è mobile e non delimitabile in maniera precisa. Inoltre Marx nei suoi scritti non riesce a distinguere chiaramente l’aspetto economico da quello tecnologico: per Weber non si può affermare che il mulino a braccia darà la società col signore feudale e quello a vapore la società col capitalista industriale perché un dato tipo di tecnologia può accompagnarsi a forme diverse di organizzazione sociale (il socialismo comporta la stessa base tecnologica del capitalismo ma per Marx dovrebbe costituire una forma di società diversa). Importanza dei conflitti di classe nella storia: Weber la riconosce ma il loro ruolo non è così rilevante come per Marx. Possesso e mancanza di possesso costituiscono il fattore più importante delle divisioni in classi ma per Weber la definizione di interessi conflittuali non può essere limitata agli interessi economici ma deve allargarsi alle altre sfere della vita sociale (per es. conflitti tra ceti o tra gruppi politici e Stati nazionali) L’opera di Marx implica l’adesione all’etica scientifica della convinzione che comporta l’accettazione di una concezione totale della storia. Per Weber, invece (vedi ruolo che svolge il concetto di carisma nella sua opera), è impossibile interpretare lo sviluppo storico sulla base di uno schema razionale che indica ciò che è valido sul piano normativo. La Francia nel XIX secolo: Marx e lo sviluppo del marxismo Nonostante un periodo di studi in Germania, la prospettiva culturale di Durkheim rimase quasi del tutto francese anche se elaborò la sua sociologia in un contesto socio-politico paragonabile a quello che influenzò Weber. Elaborò in un periodo in cui due contrastanti correnti di pensiero e politica minacciavano i principi liberali della rivoluzione francese: socialismo radicale e nazionalismo conservatore (da ognuno si a Durkheim che Weber accolsero alcuni elementi all’interno delle loro teorie socio-politiche). Ma Durkheim e Weber vennero a conclusioni in parte diverse, ciò dovuto anche alla diversa situazione di sviluppo di Francia e Germania nella seconda parte dell’ottocento. Tra il 1840 e il 1850 Marx guardava la Francia come un paese in cui il livello di maturazione politica era superiore nei confronti della Germania per il fatto che già da tempo aveva operato una decisiva rottura con il passato feudale e criticava la maggior parte dei socialisti tedeschi che importavano le idee dalla Francia senza tener conto della diversità della condizione materiale dei due paesi. Dopo le insurrezioni di Parigi (1848-49) però fu chiaro che la borghesia aveva raggiunto un’influenza politica a livello governativo abbastanza limitata: di certo il proletariato vi aveva svolto un ruolo di primo piano ma la vittoria fu di fatto della borghesia. Marx analizza tale situazione in due ricerche: “ Le lotte di classe in Francia” e “Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte”. In Marx manca una concezione

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meccanicistica del rapporto tra economia e Stato →considera l’Inghilterra il modello per la teoria economica nel Capitale: le condizioni del suo particolare sviluppo storico hanno creato uno Stato fondato sull’alleanza di borghesia e residui dell’aristocrazia, compromesso che invece non si è realizzato in Francia (esempio più chiaro della politica della borghesia liberale avanzata) per cui si è manifestato più chiaramente il carattere politico dei conflitti di classe. Con la caduta di Luigi Filippo, per Marx, furono i grandi industriali che ricavarono i maggiori vantaggi perché prima avevano un accesso limitato al governo. La lotta di classe inizia a chiarificarsi così come diventa più manifesta la divisione tra borghesia e classe operaia, ciò costituì l’origine di un successivo confronto politico diretto tra le due grandi classi della società industriale. Marx però non si aspetta una nuova rivoluzione se non dopo una nuova crisi che in effetti avvenne circa venti anni dopo per effetto della disastrosa guerra che Luigi Napoleone intraprese contro la Germania (1870) e che provocò disorientamento politico e sentimenti di umiliazione tra la popolazione. La Comune ebbe l’esito di propagare gli odi di classe e in seguito ci fu la ripresa del nazionalismo che favorì la ricostruzione dell’unità nazionale. Sotto la Terza Repubblica molti furono i progressi fatti verso l’emancipazione del paese dalla lunga influenza esercitata dalle forze conservatrici. La storia del marxismo in Francia nel 1800 resta nell’ombra in confronto alla rinascita di fine secolo del partito socialdemocratico in Germania. Dopo la repressione della Comune, comunque, il pensiero marxista iniziò a mescolarsi alle tradizioni socialiste francesi, ma la sinistra marxista ebbe una posizione alquanto debole per cui la dottrina che si sviluppò fu più che altro un’approssimazione. Il giudizio di Durkheim su Marx Marx ebbe una scarsa influenza sulle opere giovanili di Durkheim (vedi come fattore la situazione Francia). Durkheim era poco portato all’impegno attivo in politica e si mantiene sempre distaccato da lotte e dibattiti. Rifiutò sia il conservatorismo che il socialismo rivoluzionario rimanendo un liberale. In tutti i suoi scritti è impresso il segno di una generale preoccupazione per il rafforzamento morale della sua nazione (ricostruzione di fondamentale importanza) e per il mantenimento della coesione in una società altamente differenziata. Per Durkheim la nuova etica dell’individualismo è in sé stessa morale (la persona umana è considerata sacra) e i problemi attuali si possono risolvere estendendo le possibilità morali alla base del moderno orientamento sociale. La diffusione sempre più ampia del marxismo in vari settori del movimento operaio francese (ultimo decennio del 1800) portò Durkheim ad affrontare direttamente il rapporto tra sociologia e socialismo (Il Socialismo, scritto da Durkheim). Per Durkheim l’esigenza di trovare delle soluzioni per i problemi sociali urgenti va al di là di ciò che può fondarsi sulla conoscenza stabilita in modo scientifico, da qui deriva la spinta allo sviluppo delle dottrine socialiste con programmi completi per la necessaria riorganizzazione sociale. Ma per Durkheim gli scritti di Marx pur presentando un completo sistema di pensiero fatto di un insieme di proposizioni stabilite in modo scientifico, troppo superiori alle conoscenze attualmente accessibili, esiste una grande distanza tra le proposizioni del sistema teorico e le osservazioni empiriche su cui si fonda. Secondo Durkheim il socialismo va considerato, dal punto di vista sociologico, come un qualunque fatto sociale, esso ha origine in una determinata condizione della società ma non esprime necessariamente le condizioni sociali che l’hanno determinato. Durkheim si oppone anche alla tesi centrale del materialismo storico secondo cui l’origine delle idee dipende direttamente dai rapporti economici →contraria ai fatti accertati. Durkheim dice che è stato dimostrato che tutti i sistemi di idee più diversi si sono sviluppati dalla religione (fonte originaria). Nelle forme più primitive di società per esempio il fattore economico è embrionale, influenzato più dalla pratica e dal simbolismo religioso (la religione infatti è più ricca e multiforme). Durkheim rifiuta anche l’ipotesi marxiana che i rapporti economici (struttura di classe) siano la base primaria del potere politico nella società. Nel modello da lui proposto, Durkheim, sottolinea di più il valore dei cambiamenti graduali nella storia che la dinamica rivoluzionaria. Per Durkheim il conflitto di classe è il sintomo del malessere del mondo moderno, non ne è la prima causa e dipende dalla mancanza di ordine, per cui rifiuta anche l’ipotesi che la società contemporanea sia radicalmente organizzata sulla base di un cambiamento rivoluzionario.

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La riorganizzazione economica non è la soluzione alla crisi del mondo moderno che ha originato il socialismo perché non si tratta di una crisi economica ma morale. Il programma di Marx si fonda su provvedimenti economici con la concentrazione del capitale e della forza produttiva sociale nelle mani dello Stato. Tutto ciò non potrà però diminuire il vuoto morale derivante dalla condizione anomica dell’industria moderna. 14. RELIGIONE, IDEOLOGIA E SOCIETA’ Influenza della religione sulla vita sociale → problema centrale in Durkheim e Weber, presente anche in Marx che ritrova nella filosofia di Hegel due elementi caratteristici della religione come forma di ideologia (rappresentazione rovesciata di valori creati poi dall’uomo nella società e la giustificazione di principio dell’ordine sociale esistente). Analisi del carattere ideologico della religione, due i problemi da analizzare:

1) origine del contenuto dei simboli religiosi nel cui ambito rientra il dibattito sulla concezione materialistica della storia;

2) conseguenze della laicizzazione della vita moderna →progressiva sostituzione del pensiero e della pratica religiosa con il razionalismo in tutte le sfere della vita sociale.

Per Marx le idee non possono attuare niente, per l’attuazione delle idee c’è bisogno degli uomini che impiegano una forza pratica. Marx e Weber: il problema della religione come ideologia Gli scritti di Marx sull’argomento hanno un carattere frammentario e la sua posizione nei confronti delle istituzioni religiose e della loro influenza è piuttosto distaccata e negativa; dopo il 1845 superò del tutto l’esigenza di analizzarla nel dettaglio. Insufficiente la sua trattazione della società orientale per poter fare un confronto con le analisi approfondite de Weber sulle religioni in India e Cina. Nei confronti del Cristianesimo Marx con accenni sparsi rifiuta il punto di vista idealistico con cui ne era stata analizzata l’influenza: per Marx il cristianesimo non nacque come una religione di vagabondi, si diffuse grazie al decadimento interno dell’impero romano a cui oppose, con la sua etica, nuove energie vitali; nella successiva evoluzione il cristianesimo fu analoga rinascita morale di fronte alla disgregazione interna della società feudale europea, rappresentata dalla Riforma con cui è stata spezzata la fede nell’autorità con la restaurazione dell’autorità della fede liberando l’uomo dalla religiosità esteriore e facendo della religiosità l’interiorità dell’uomo. Le interpretazioni di Marx sulla religione si possono meglio affrontare nel contesto della sua concezione del materialismo storico (Marx non si interessò mai alla formulazione di una teoria solo filosofica, non vuole solo interpretare il mondo ma trasformarlo; non scrisse mai un’esposizione sistematica della sua concezione materialistica della storia nemmeno rispetto alla società borghese che era al centro della sua attenzione). Per Marx non si deve parlare dell’uomo in astratto (come fece Feuerbach) perché l’errore è non capire che gli uomini esistono solo nel contesto specifico della società che muta nel corso dello sviluppo storico; è anche nel considerare le idee come un riflesso dell’azione umana nella realtà materiale →la realtà invece va concepita come attività umana sensibile, pertanto, l’analisi del contenuto delle ideologie non spiega l’azione umana. Le ideologie per Marx si fondano sulle condizioni della vita materiale, le idee sono dei prodotti sociali ma non necessariamente deve esserci un rapporto diretto tra la base reale della società e la nuova struttura politico-giuridica. Il legame è invece tra l’ideologia e la struttura di classe, questa esercita una certa influenza sulle idee che diventano dominanti in una data società e viceversa, il sorgere di idee che possono una critica all’esistente ordine sociale (per esempio idea del comunismo) presuppone già l’esistenza di rapporti di classe (classe rivoluzionaria) che vi diano una base strutturale. L’ideologia è pertanto il riflesso (è l’effetto) passivo delle circostanze materiali (sono le cause) ma con ciò si nega il ruolo attivo degli uomini in quanto creatori della realtà sociale. Weber rifiuta l’idea che la concezione del materialismo meccanicistico possa costituire un valido presupposto per l’analisi sociologica. Weber usa il concetto di affinità elettiva nella sua analisi dei rapporti tra i sistemi di idee e l’organizzazione sociale (come Marx): il rapporto tra il contenuto delle credenze che gli individui accettano e le conseguenze di tale adesione sull’azione sociale per Weber ha un carattere storicamente variabile, viceversa, il modo di vita di una classe o ceto sociale può generare un’affinità con certi modelli di etica religiosa senza

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doverne determinare la natura delle sue credenze. Sia per Marx che per Weber i sistemi religiosi rappresentano la creazione di valori umani che sono il risultato di un processo storico: i sistemi religiosi legittimano i rapporti di dominio. La sociologia della religione di Weber non è affatto una confutazione del materialismo storico di Marx perché mostra il ruolo dell’ideologia come un fattore di influenza indipendente sulle trasformazioni sociali. Differenze: per Marx nella storia c’è una razionalità interna da scoprire ed esiste una logica dello sviluppo che si può ricavare dallo studio empirico del processo storico. Per Weber invece non c’è motivo per costruire uno schema razionale dello sviluppo storico. Dallo studio della storia e della società non si possono ricavare norme che siano verificabili oggettivamente, cioè la scienza non può confermare la fede morale dell’individuo. Weber inoltre sebbene riconosca come Marx l’importanza del legame tra le idee e gli interessi non accetta invece la tesi di Marx per cui gli interessi di classe siano privilegiati rispetto all’ideologia. Secondo Weber invece l’adesione ad un dato insieme di ideali (religiosi, politici, economici ecc.) produce degli interessi che si possono definire solo in riferimento ai contenuti degli ideali stessi. La laicizzazione e lo spirito del capitalismo moderno Laicizzazione: termine che però non esprime adeguatamente l’insieme degli effetti che Marx e Weber attribuiscono alla graduale eclissi delle credenze religiose parallela all’avanzamento del capitalismo per Weber il progressivo disincanto del mondo è un processo avviato dalla nazionalizzazione inerente la profezia religiosa. Il carattere rituale magico è eliminato totalmente dall’avvento del capitalismo che perde importanza nel momento in cui la produzione capitalistica industriale entra nella sua fase matura. Marx accetta l’importanza storica della connessione tra etica protestante e spirito dell’impresa capitalistica e sottolinea la razionalità ascetica del capitalismo moderno →ascetico perché la azioni dei capitalisti si fondano sull’astinenza e sul continuo reinvestimento dei progetti e la scienza della ricchezza è al tempo stesso la scienza della rinuncia, della penuria, del risparmio. La razionalità ascetica del capitalismo si esprime nel dominio del mercato sulle relazioni umane e nella ricerca dell’utile economico come fine in sé stesso. Per Weber e per Marx il capitalismo maturo è un mondo in cui la religione è sostituita da un’organizzazione sociale in cui la razionalità tecnologica regna sovrana e in cui “ogni cosa sacra viene sconsacrata”. Per Marx la fine della religione rende possibile la realizzazione pratica delle credenze illusorie →il raggiungimento di una vita migliore in cielo è il sostituto della reale possibilità di un’esistenza più soddisfacente per tutti su questa terra. La soppressione della religione per Marx non comporta la scomparsa dei valori morali ma l’eliminazione di ideologie che legittimano gli interessi particolari di classe. Per Weber l’organizzazione di una società laica comporta necessariamente il rifiuto di alcuni valori fondamentali che hanno guidato lo sviluppo di quella società →per Weber solo la rinascita carismatica di nuovi dei forse fornisce un’alternativa. Marx e Durkheim: la religione e l’individualismo moderno Gli interessi che Durkheim manifesta nella sua sociologia della religione in Le forme elementari differiscono in molti aspetti da quelli di Weber che non volle per esempio formulare una teoria generale della religione. Nell’opera Le forme elementari Durkheim cerca di individuare l’importanza funzionale della religione essendo la base fondamentale della solidarietà nelle società tradizionali ed esprime la tesi secondo cui la società e l’origine di credenze e rappresentazioni nuove →le cerimonie religiose per esempio non sono solo momenti in cui si rafforzano le credenze esistenti ma anche momenti di creazione delle credenze, quindi per Durkheim la religione è qualcosa di sociale ma essa non si limita a tradurre in un altro linguaggio le forme materiali della società e le sue necessità vitali. Durkheim non accetta la teoria della conoscenza secondo cui esiste un rapporto univoco tra le idee e la loro base sociale. L’opera di Durkheim ha come oggetto la forma più semplice di religione esistente per cui la teoria della conoscenza lì esposta non si può applicare ai tipi di società più differenziati: nel totemismo le categorie del pensiero sono costituite dalle rappresentazioni dei fatti sociali (si basano cioè sull’ordinamento sociale e non sui fenomeni naturali) per cui per Durkheim il contenuto delle credenze religiose non può essere puramente illusorio. Durkheim insiste sulla netta separazione tra

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natura e società: il legame tra realtà sociale e idee nella società semplice è invece diretto, anche Marx è d’accordo →nelle società semplici la conoscenza si limita all’ambiente sensibile immediato: l’uomo primitivo è come alienato (alienazione che si esprime nella religione naturale) dalla natura che gli appare come una forza, una potenza estranea, onnipotente, indomabile per cui verso essa si comporta in modo animale →è pertanto una coscienza animale della natura (religione naturale). Ma anche tutto questo per Marx si fonda sullo scambio tra uomo e natura nella produzione e l’aumento della popolazione è fondamentale per progredire oltre questo stadio di coscienza tribale (Durkheim è d’accordo). Durkheim ammette che l’attività economica possa influenzare i sistemi di idee della società semplice ma per lui è più probabile che i rapporti economici siano subordinati alle condizioni religiose. Le divergenze tra Marx e Durkheim non riguardano il grado a cui le idee sono dipendenti dall’infrastruttura. Sia Weber che Marx concordano sul fatto che non esista alcun ideale morale che abbia una validità universale (cioè che possa essere adatto a tutti i tipi di società): per Durkheim però la validità di un dato insieme di idee morali è in corrispondenza ai bisogni dell’organismo sociale, per Marx è radicata nei rapporti di classe (la moralità esprime pertanto la disuguaglianza della distribuzione del potere economico nella società). Per Marx inoltre in capitalismo aumenta il dominio dell’uomo sulla natura per cui le credenze religiose diventano più complesse e si esprimono in sistemi di idee più razionalizzati rappresentanti l’autoalienazione dell’uomo. Marx dice: la religione è l’oppio dei popoli perché ha la funzione di legittimare il ruolo subordinato di una classe soggetta (l’assetto sociale esistente) mentre per Durkheim la religione consola i poveri insegnando loro ad esser paghi del loro destino anche se però non può essere illusoria, lo è solo quando un insieme di credenze non è più compatibile con l’esistenza di un dato tipo di società. Durkheim riconosce nel protestantesimo l’origine del culto moderno dell’individualismo (il cristianesimo infatti pone l’accento sulla salvezza dell’anima individuale). L’individualismo morale è indicativo dei cambiamenti della società moderna (fine 1600) che hanno comportato la diffusione del razionalismo in tutti i settori della vita sociale. Identifica la religione con la regolarizzazione morale la cui responsabilità nella società contemporanea deve essere assunta dallo Stato. Diversa l’interpretazione data da Marx e Durkheim delle conseguenze della laicizzazione: per Marx la religione è sempre una forma di alienazione perché le credenze religiose tipicamente attribuiscono le capacità e i poteri che di fatto sono degli uomini a entità mistiche. Il superamento della religione è possibile solo con la soppressione dell’opposizione tra individuo e società →pura utopia per Durkheim perché non può più essere ristabilita la solidarietà organica e la coscienza collettiva. 15. DIFFERENZIAZIONE SOCIALE E DIVISIONE DEL LAVORO Alienazione, anomia e lo stato di natura Gli scritti di Marx, Durkheim e Weber in modi diversi svolgono sia un’analisi che una critica morale della società moderna. In Marx e Durkheim, punto nodale di questa analisi critica sono i concetti di alienazione e anomia. Le differenze tra questi due concetti si fondano su due diverse concezione dell’uomo nello stato di natura:

- alienazione, vicino più a Rousseau →l’uomo è per natura buono ma la società lo ha corrotto - anomia, più vicino a Hobbes →l’uomo è per natura un essere asociale e la società deve

reprimerne severamente l’egoismo valutare alienazione e anomia rispetto ad uno stato di natura, tuttavia, significa trascurare la natura storica dell’uomo →dimensione essenziale sia in Marx che in Durkheim e infatti entrambi distinguono la loro posizione da quella della filosofia astratta posta al di fuori della storia (Rousseau e Hobbes ritengono che l’uomo è per natura refrattario alla vita in comune può rassegnarsi ad essa solo quando vi è costretto). Per Durkheim l’egoismo è in parte un prodotto della società e la spinta al miglioramento economico viene considerata anche da Marx un risultato della società moderna in cui l’individualità è molto sviluppata e l’egoismo è una minaccia maggiore per la coesione sociale. Anche se l’individualismo non coincide con l’egoismo tuttavia può aumentare le inclinazioni egoistiche e l’allargamento dei moventi individuali è riflesso dallo stato di anomia prevalente in certi settori sociali moderni. L’uomo moderno, quando vive in situazioni di anomia è un essere diverso dall’ipotetico

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selvaggio dello stato presociale di natura che non si trova in una situazione anomica →se scompare la vita sociale, scompare anche quella morale perché non ha più obbiettivi per cui lo stato di natura a cui fanno riferimento i filosofi del 600 è per Durkheim amorale. La posizione di Marx è simile: consapevole che i razionalisti del 700 attribuivano all’uomo nello stato di natura facoltà che derivano poi dalla società sostiene che è proprio il carattere sociale dell’uomo che lo rende umano distinguendolo dagli animali. I bisogni dell’uomo , per Marx, sorgono dalla società e li misuriamo in base ad essa: anche Durkheim concorda col fatto che bisogni, motivazioni e qualità dell’uomo sono il prodotto dello sviluppo sociale. Critica di Marx all’economia politica: l’individuo per Marx non può essere concepito come un atomo, questo infatti è privo di bisogni e autosufficiente invece i membri della società civile sono legati gli uni agli altri da rapporti di interdipendenza →l’espansione del capitalismo distrugge la comunità autonoma locale rendendo gli uomini sempre più interdipendenti (ciò si verifica al prezzo di un aumento del grado di alienazione). Concezione di libertà: in Marx è affine alla nozione di autocontrollo di Durkheim: si avvicina alla concezione di Hegel per cui la libertà non è l’esercizio dell’egoismo ma essere liberi significa essere autonomi cioè non costretti né da forze interne né da forze esterne che sfuggono al controllo razionale →La libertà è pertanto una prerogativa umana. Per Marx la libertà è possibile solo quando si presuppone una riorganizzazione pratica della società (costituzione di una società comunista) dove accettare gli obblighi morali significherà per l’individuo riconoscere la razionalità non accettare una costrizione esterna. Per Durkheim la personalità individuale è influenzata dalle caratteristiche della società in cui vive e si è formato: in ogni uomo però esiste una contrapposizione tra gli impulsi egoistici e quelli morali (Marx non è d’accordo →la vita individuale e quella genetica non sono distinte, non esiste cioè un antagonismo interno tra individuo e società) per Marx la contrapposizione che l’egoismo determina tra individuo e società è il risultato dello sviluppo della divisione del lavoro (si rileva in modo particolare nella società borghese). Il futuro della divisione del lavoro Due sono per Marx le forme di alienazione proprie del modo di produzione capitalistico:

- alienazione tecnologica →nel processo lavorativo, nell’attività produttiva dell’operaio; - alienazione di mercato →alienazione dell’operaio dal suo prodotto, dal risultato del

processo lavorativo. Entrambe derivano dall’espansione della divisione del lavoro e ne sono inseparabili. Il sorgere di società divise in classi dipende dall’aumento della specializzazione delle mansioni possibile dalla produzione di un surplus. La formazione di una società senza classi porterà all’abolizione della divisione del lavoro consentendo anche all’individuo la piena realizzazione delle sue capacità nel suo lavoro. Quindi Marx non crede ad un’integrazione morale dell’individuo all’interno della divisione del lavoro, l’eliminazione della disumanizzazione dell’operaio dipende solo dalla dissoluzione effettiva della divisione del lavoro. La posizione di Durkheim è del tutto diversa, Durkheim descriva lo sviluppo della divisione del lavoro dal punto di vista non della formazione di sistemi di classe ma dei suoi effetti di integrazione →i conflitti di classe per Durkheim sono infatti sintomi della carenza di coordinamento morale tra i vari gruppi professionali nella divisione del lavoro. Per Durkheim la causa principale della crisi moderna è dovuta alla dissoluzione delle istituzioni tradizionali per cui la disumanizzazione dell’operaio dipende dalla regolazione morale della divisione del lavoro →solo l’integrazione morale dell’individuo all’interno della divisione del lavoro è la soluzione per uscire dallo stato anomico (solo cioè se l’individuo accetta dal punto di vista morale il suo ruolo particolare nella divisione del lavoro diventando autocosciente e consapevole della finalità del suo lavoro). La posizione di Marx (eliminazione dell’alienazione tecnologica) implica un ritorno a principi morali che secondo Durkheim non sono più adeguati alla forma della società moderna →la solidarietà organica (interdipendenza funzionale nella divisione del lavoro) è il tipo normale della società moderna, l’era dell’uomo universale è finita. Marx conserva invece questo ideale →per superare il

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capitalismo si deve recuperare le qualità universali dell’uomo che sono comuni ad ogni individuo. Secondo Durkheim si deve dare posto centrale al problema dell’integrazione morale (anomia). I problema della burocrazia Sia Weber che Durkheim non negano la possibilità di instaurare società socialiste ma entrambi sostengono che questa transizione al socialismo non muterà radicalmente la forma di società esistente. Tuttavia la posizione di fondo di Durkheim è nettamente diversa da quella di Weber. Confronto tra l’analisi dello sviluppo del capitalismo svolta da Weber e quella svolta da Marx. Nell’analisi dello sviluppo della razionalizzazione, Weber è interessato a delineare i fattori che la favoriscono in base al senso, nella sfera delle credenze religiose per Weber non è importante solo il grado di razionalizzazione ma anche la direzione che essa assume: nel capitalismo moderno occidentale molti sono i settori in cui essa è proceduta in una direzione sino ad un grado altrove sconosciuto (vedi per esempio il settore della scienza). Nell’economia moderna si ha non solo l’applicazione delle innovazioni scientifiche alla tecnologia ma anche l’introduzione dei metodi di calcolo razionale (contabilità) →questi sono i criteri di una gestione razionale del capitalismo che ovviamente comportano conseguenze inevitabili nell’organizzazione sociale e incoraggiano l’espansione della burocrazia. Weber considera la specializzazione burocratica della mansioni la caratteristica essenziale del capitalismo: questa tesi è avallata dalla sua analisi sui processi di burocratizzazione nell’economia e nella politica →la formazione dello Stato nazionale con la sua burocrazia specializzata ha cerato le condizioni per la nascita del capitalismo. L’espropriazione del lavoratore dai mezzi di produzione per Weber è stata applicata non solo al settore industriale ma anche agli altri ambiti istituzionali →Ogni organizzazione con una gerarchia di autorità può diventare soggetta ad un processo di espropriazione: per esempio qualche associazione politica si può organizzare in una forma di proprietà in cui i funzionari possiedono i mezzi di amministrazione. Lo Stato moderno nacque quando la burocrazia professionale specializzata (impiegati/operai dell’amministrazione) venne separata del tutto dal possesso dei mezzi di amministrazione. Questa specializzazione burocratica, nel capitalismo occidentale, si estende ad altri settori (esercito, ospedali, università ecc.) perché presenta una superiorità tecnica nel coordinamento delle mansioni amministrative dipendente dal fatto che i posti nella burocrazia sono ricoperti da persone in possesso di un’istruzione specializzata. Nel capitalismo si tende inevitabilmente verso la burocrazia per cui, nell’assetto sociale moderno, il fenomeno della specializzazione delle funzioni è necessario perché è la condizione dell’efficienza della produzione moderna. Questo fenomeno, per Weber, non si può trasformare tramite una rivoluzione socialista. Posizione di Marx nei confronti della burocrazia: per Marx la burocrazia non rappresenta l’interesse comune ma un interesse particolare e la sua autorità si fonda su un’illusoria universalità perché di fatto nasconde l’interesse particolare di classe. La burocrazia statale è un organo amministrativo con cui il potere della classe dominante viene istituzionalizzato →può eliminarsi solo dopo la rivoluzionaria transizione al socialismo con cui si potrà semplificare l’amministrazione dello Stato e la società civile potrà creare i propri organi indipendenti dal potere governativo. Conclusione Alla base delle prospettive sociologiche dei tre autori ci sono dunque concezioni divergenti sulla struttura della società moderna e della sua tendenza di sviluppo. Marx e il capitalismo →esiste un legame tra espansione della divisione del lavoro e la struttura di classe, il capitalismo è una società di classe sorta dal processo storico di espropriazione dei produttori dai mezzi di produzione. L’esistenza della classe borghese presuppone una classe subordinata di lavoratori privi di proprietà e viceversa. Il capitalismo trasforma i legami della società civile in rapporti di mercato. L’espropriazione materiale del lavoratore dall’espressione delle sue capacità e facoltà. La razionalità del capitalismo ha comportato la sostituzione del dominio degli dei con il dominio del mercato per cui scopi e finalità umane sono condizionate dalle forze economiche esterne. La produzione capitalistica si basa sul valore di scambio e lo stesso lavoro umano ha valore solo in quanto forza lavoro. Le crisi ricorrenti del capitalismo derivano dalla separazione del

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produttore dal consumatore (stessa produzione di sempre più merci non per i bisogni esistenti). Solo superando il sistema di classe per Marx si svilupperà una società in cui la divisione del lavoro verrà trasformata radicalmente. Durkheim e Weber: la struttura di classe non è fattore costitutivo della specializzazione nella divisione del lavoro; la società moderna è sì divisa in classi ma questo non è il suo carattere distintivo. Per Durkheim la divisione coatta del lavoro è una forma anormale non è conseguenza dell’espansione della divisione del lavoro. Le lotte di classe risultano dal fatto che l’istruzione delle classi non corrisponde più alla distribuzione dei talenti naturali. La società moderna è caratterizzata dalla solidarietà organica, non si deve confondere egoismo e individualismo: è la mancanza di riconoscimento morale della divisione del lavoro (individualismo) alla base della crisi della società moderna. Il riconoscimento morale non può più essere garantito dalla religione come nel passato per cui sono lo Stato e le associazioni professionali che devono svolgere questo ruolo. Lo Stato non deve essere pertanto un apparato esclusivamente politico. Per Weber è il calcolo razionale l’elemento primario della moderna impresa capitalistica e la moderna società occidentale è caratterizzata dalla razionalizzazione della vita sociale. I miglioramenti economici sono conseguibili solo tramite un’ulteriore espansione della burocratizzazione. Il disincanto del mondo trasforma la ricerca razionale del guadagno dal mezzo al fine dell’attività umana.