renzi a testa bassa contro i pm - opinione · 2016. 4. 5. · renzi a testa bassa contro i pm renzi...

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delle Libertà Renzi a testa bassa contro i Pm Renzi ed il marchio che uccide S e Matteo Renzi vuole schiantarsi dal ridere quando lo accusano di guidare il Governo delle lobby lo faccia pure. Ma dopo essersi schian- tato si tranquillizzi ed incominci a ri- flettere sulla circostanza che un’etichetta del genere rischia di schiantarlo sul serio. Non per ec- cesso di risa ma per mancanza di voti. Il Presidente del Consiglio dimen- tica troppo spesso di essere entrato a Palazzo Chigi senza alcuna legitti- mazione popolare. Ha vinto le pri- marie del Partito Democratico ed è diventato segretario del proprio par- tito ma non si è mai misurato in una competizione elettorale nazionale in qualità di leader di una formazione politica decisa a raccogliere i voti ne- cessari per governare il Paese. Le europee, vinte da Renzi con largo margine sui concorrenti, non fanno testo. Sono da sempre elezioni anomale che non incidono in alcuna maniera sugli equilibri politici in- terni. Il Premier, quindi, deve ancora ot- tenere dal corpo elettorale l’incarico di guidare un esecutivo. Per il mo- mento esercita questa funzione con- tando sulla legittimazione ottenuta a suo tempo... P O L I T I C A R O M I T I A P A G I N A 2 L’inevitabile ogoramento del Premier P O L I T I C A G U I D I A P A G I N A 4 L’Italicum e l’Italia C U L T U R A B O N A N N I A P A G I N A 7 “La Regina Dada” e l’impegno di Luca Barbareschi P R I M O P I A N O M A F F I A A P A G I N A 3 Mandare un prete a Pannella: perché no? E S T E R I D I C I A N O A P A G I N A 5 Primarie Usa 2016: Cruz Vs Trump? Caso Guidi: la destra e la fatica della coerenza L o scandalo per i traffici delle lobby del petrolio lucano è an- cora tutto da scrivere. Per ora siamo solo agli scoop. Per capire se dietro il tanto fumo mediatico vi sia anche l’arrosto delle responsabilità penali bisognerà che gli inquirenti lo spie- ghino. Sarebbe facile oggi sparare addosso a questo Governo con il ba- zooka del giustizialismo, ma a quale prezzo per la libertà? Prima regola di uno Stato di diritto: la giustizia non si usa per fare lotta politica. Certo, non vale per tutti. La sinistra ha lu- crato in modo vergognoso sull’uti- lizzo delle notizie di reato, fuoriuscite dagli spifferi delle Procure e ingigan- tite dagli sparring partner del circo mediatico. C’è stato un tempo vicino che non rimpiangiamo nel quale anche la nobile scienza della geome- tria è diventata criminale per effetto C ome diceva quel tale: nella vita, il guaio è che tutti hanno le loro buone ragioni. E dicasi anche della questione “Moschea” a Milano. Su cui era talmente prevedibile - e com- prensibile - il no secco e spietato di Matteo Salvini da rendere addirit- tura ovvia nella sua affermatività la risposta di Stefano Parisi. Dunque: prevedibili e comprensibili le dichia- razioni opposte dei due, peraltro al- leati per la (ri)conquista del Comune. Il che, tra l’altro, la dice lunga sulle stesse prese di posizioni tranchant salviniane: mai una Moschea con la Lega a Milano e mai insieme con chi sta al Governo con Renzi, ovverosia con Maurizio Lupi, alleato di Parisi a sua volta alleato di Lupi per la mi- tica “reconquista” di Palazzo Ma- rino. Di contraddizioni è piena la poli- tica, e va bene. Ma il cuore della ve- xata quaestio milanese non sta tanto negli atteggiamenti odierni di Lega, Moschea sì, Moschea no: ci vorrebbe un patto dei teoremi trasformati in armi di di- struzione dell’avversario. Poi teo- remi, ipotesi, sospetti e pregiudizi sono finiti nei campi urticanti delle sentenze assolutorie insieme con le vite distrutte di troppi innocenti, già presunti colpevoli. Nuovo Centrodestra, Federazione dei Liberali, Forza Italia, Partito De- mocratico, Sinistra Ecologia Libertà e chi più ne ha più ne metta; quanto, piuttosto, nell’impressionante e col- pevole distrazione con cui le giunte comunali - di tutti i colori da quasi 25 anni - hanno affrontato il tema del diritto al culto per ogni religione, in primis quella dell’Islam, sancito solennemente dalla Costituzione. Ci si chiede come mai non sia stato in grado nessun sindaco, da Formentini in poi, di porsi e porre alla città questo problema, e ciò so- prattutto di fronte all’esplosione del numero di moschee e centri musul- mani vari spuntati come funghi in garage, seminterrati, ripostigli ed ex capannoni industriali con controlli quasi impossibili. Certo, la Lega è sempre stata con- traria al progetto di qualsiasi Mo- schea, a parte il fatto che è stato proprio il governatore leghista Ro- berto Maroni a promuovere una legge ad hoc, sia pure restrittiva e sia pure respinta in due o tre punti dalla Suprema Corte, ma comunque una legge tesa a promuovere una mo- schea, pur con paletti, prescrizioni e garanzie: chi la gestisce, chi la fre- quenta e, soprattutto, in che lingua vi si tengono sermoni e preghiere: in Italia si prega in italiano, o no? Ovviamente, parlare oggi di nuova Moschea significa...

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  • delle Libertà

    Renzi a testa bassa contro i Pm

    Renzi ed il marchioche uccide

    Se Matteo Renzi vuole schiantarsidal ridere quando lo accusano diguidare il Governo delle lobby lofaccia pure. Ma dopo essersi schian-tato si tranquillizzi ed incominci a ri-flettere sulla circostanza cheun’etichetta del genere rischia dischiantarlo sul serio. Non per ec-cesso di risa ma per mancanza divoti.

    Il Presidente del Consiglio dimen-tica troppo spesso di essere entrato aPalazzo Chigi senza alcuna legitti-mazione popolare. Ha vinto le pri-marie del Partito Democratico ed èdiventato segretario del proprio par-tito ma non si è mai misurato in unacompetizione elettorale nazionale inqualità di leader di una formazionepolitica decisa a raccogliere i voti ne-cessari per governare il Paese.

    Le europee, vinte da Renzi conlargo margine sui concorrenti, nonfanno testo. Sono da sempre elezionianomale che non incidono in alcunamaniera sugli equilibri politici in-terni.

    Il Premier, quindi, deve ancora ot-tenere dal corpo elettorale l’incaricodi guidare un esecutivo. Per il mo-mento esercita questa funzione con-tando sulla legittimazione ottenuta asuo tempo...

    POLITICA

    ROMITI A PAGINA 2

    L’inevitabile ogoramento del Premier

    POLITICA

    GUIDI A PAGINA 4

    L’Italicum e l’Italia

    CULTURA

    BONANNI A PAGINA 7

    “La Regina Dada” e l’impegno

    di Luca Barbareschi

    PRIMO PIANO

    MAFFIA A PAGINA 3

    Mandare un prete a Pannella:

    perché no?

    ESTERI

    DI CIANO A PAGINA 5

    Primarie Usa 2016:Cruz Vs Trump?

    Caso Guidi: la destra e la fatica della coerenza

    Lo scandalo per i traffici dellelobby del petrolio lucano è an-cora tutto da scrivere. Per ora siamosolo agli scoop. Per capire se dietroil tanto fumo mediatico vi sia anchel’arrosto delle responsabilità penalibisognerà che gli inquirenti lo spie-ghino. Sarebbe facile oggi sparareaddosso a questo Governo con il ba-zooka del giustizialismo, ma a qualeprezzo per la libertà? Prima regola diuno Stato di diritto: la giustizia nonsi usa per fare lotta politica. Certo,non vale per tutti. La sinistra ha lu-crato in modo vergognoso sull’uti-lizzo delle notizie di reato, fuoriuscitedagli spifferi delle Procure e ingigan-tite dagli sparring partner del circomediatico. C’è stato un tempo vicinoche non rimpiangiamo nel qualeanche la nobile scienza della geome-tria è diventata criminale per effetto

    Come diceva quel tale: nella vita,il guaio è che tutti hanno le lorobuone ragioni. E dicasi anche dellaquestione “Moschea” a Milano. Sucui era talmente prevedibile - e com-prensibile - il no secco e spietato diMatteo Salvini da rendere addirit-tura ovvia nella sua affermatività larisposta di Stefano Parisi. Dunque:prevedibili e comprensibili le dichia-razioni opposte dei due, peraltro al-leati per la (ri)conquista del Comune.Il che, tra l’altro, la dice lunga sullestesse prese di posizioni tranchantsalviniane: mai una Moschea con laLega a Milano e mai insieme con chista al Governo con Renzi, ovverosiacon Maurizio Lupi, alleato di Parisi asua volta alleato di Lupi per la mi-tica “reconquista” di Palazzo Ma-rino.

    Di contraddizioni è piena la poli-tica, e va bene. Ma il cuore della ve-xata quaestio milanese non sta tantonegli atteggiamenti odierni di Lega,

    Moschea sì, Moschea no: ci vorrebbe un patto

    dei teoremi trasformati in armi di di-struzione dell’avversario. Poi teo-remi, ipotesi, sospetti e pregiudizisono finiti nei campi urticanti dellesentenze assolutorie insieme con levite distrutte di troppi innocenti, giàpresunti colpevoli.

    Nuovo Centrodestra, Federazionedei Liberali, Forza Italia, Partito De-mocratico, Sinistra Ecologia Libertàe chi più ne ha più ne metta; quanto,piuttosto, nell’impressionante e col-pevole distrazione con cui le giuntecomunali - di tutti i colori da quasi25 anni - hanno affrontato il temadel diritto al culto per ogni religione,in primis quella dell’Islam, sancitosolennemente dalla Costituzione.

    Ci si chiede come mai non sia

    stato in grado nessun sindaco, daFormentini in poi, di porsi e porrealla città questo problema, e ciò so-prattutto di fronte all’esplosione delnumero di moschee e centri musul-mani vari spuntati come funghi ingarage, seminterrati, ripostigli ed excapannoni industriali con controlliquasi impossibili.

    Certo, la Lega è sempre stata con-traria al progetto di qualsiasi Mo-schea, a parte il fatto che è statoproprio il governatore leghista Ro-berto Maroni a promuovere unalegge ad hoc, sia pure restrittiva e siapure respinta in due o tre punti dallaSuprema Corte, ma comunque unalegge tesa a promuovere una mo-schea, pur con paletti, prescrizioni egaranzie: chi la gestisce, chi la fre-quenta e, soprattutto, in che linguavi si tengono sermoni e preghiere: inItalia si prega in italiano, o no?

    Ovviamente, parlare oggi dinuova Moschea significa...

  • Oramai che i buoi del pubblicodiscredito cominciano aduscire alla spicciolata, è tardi peril Premier Renzi chiudere la stalladei consensi in rapida fuga. Perquesto motivo sul casoGuidi, ennesimo episodiodi ordinario intrallazzo instile repubblica delle ba-nane, a ben poco è servitol’essersi precipitato daLucia Annunziata a spie-gare al popolo dei telespet-tatori che al Governo c’èun clima diverso e che ilcambiamento in atto inItalia è certo e progressivo.In realtà, come dimostranoi numeri e la percezionedei cittadini, soprattuttocoloro i quali non vivonodi spesa pubblica, il Paesereale è inchiodato ad unasorta di stagnazione infe-lice, afflitto da un inesora-bile declino di sistema dicui la vicenda summenzio-nata rappresenta solo unepifenomeno. Il problemadi questo disgraziato Paesecontinua ad essere rappre-sentato da un peso ecces-

    sivo esercitato dalla mano pub-blica in ogni ganglio vitale dellasocietà e dell’economia. Da ciò de-rivano a cascata due aspetti stret-tamente correlati: bassa crescita ecorruzione molto diffusa.A tutto questo il fiorentino di

    belle speranze che occupa lastanza dei bottoni ha cercato inogni modo di rispondere con il co-siddetto modello del Governo mi-gliore. Un’idea di cambiamento,peraltro condivisa dalla stra-grande maggioranza dei profes-

    sionisti della politica, che si basasul presupposto di lasciare inalte-rato l’enorme perimetro pubblicoche soffoca il sistema, ma po-nendo ai posti giusti le personegiuste, come per l’appunto nelcaso della ministra dello Sviluppo

    Economico, Federica Guidi.Ora, dato che l’unica direzione

    per salvare il Paese da un inarre-stabile declino è quella che pas-sava e che passa, pur con legradualità imposte da un regimedemocratico, invece per una ridu-

    zione delle competenzedello Stato, con meno assi-stenza per tutti in cambiodi maggiori opportunità,era inevitabile che il fintocambiamento renzianoalla lunga finisse per logo-rare senza scampo l’at-tuale Presidente delConsiglio. Al timone diuna nazione che continuaad essere la maglia nera inEuropa sul piano dello svi-luppo, alle prese con laspada di Damocle di un di-savanzo pubblico semprepiù fuori controllo ed af-flitto dai più che deludentirisultati delle sue politichekeynesiane, l’oscura vi-cenda di una ministra e delsuo fidanzato rischia didare, politicamente par-lando, il colpo di graziaalla già scossa credibilitàdi un ragazzotto che avevapromesso miracoli.

    del capoluogo lucano a scapito del dogmacivile della presunzione d’innocenza. Mac’è dell’altro. Sull’affare Guidi-TempaRossa grava il peso di un’ipotesi di reatopiuttosto scivolosa: traffico d’influenze il-lecite. Sul tema dell’effettiva consistenzagiuridica di questo reato piacerebbe udirela voce di certi “Soloni” del diritto, oggi in-solitamente silenziosi. A introdurlo nel nostro ordinamento

    penale, nel 2012, fu l’ennesimo atto auto-lesionistico di una legislatura isterica cheaveva creduto che un Mario Monti qual-siasi potesse davvero salvare la patria. Perla cronaca: il reato di cui parliamo è con-tenuto nella cosiddetta legge Severino, lastessa che consentì di buttare fuori dalparlamento Silvio Berlusconi. I 5 Stellesono pronti a presentare la mozione di sfi-ducia contro il Governo Renzi. Il centro-destra è orientato ad appoggiarel’iniziativa. Votare per mandare a casaquesto Governo è sacrosanto ma bisognasaper scegliere gli argomenti. Stare dietroai 5 Stelle è sbagliato. Loro sono unabanda di sfascisti che campano di giusti-zialismo, la destra non può seguire lostesso gioco. Ci sono tra i forzisti, i leghi-sti e i Fratelli d’Italia buone teste pensanti.Che ci pensino loro a scrivere una mo-zione di sfiducia accettabile sulla qualechiedere la convergenza delle altre forze.Non c’è bisogno di copiare dalle artico-lesse de “Il Fatto Quotidiano” per direqualcosa di sensato agli italiani. Così si ri-schia solo di creare martiri. Avete sentito Renzi domenica a Rai 3 da

    Lucia Annunziata? Sull’emendamento in-criminato ha detto: “L’ho deciso io, è robamia. Se i Pm vogliono sentirmi su questosono pronto anche subito”. Protegge la Bo-schi e gioca a fare l’eroe cercando di somi-gliare a qualcun altro. “Ma poi, o signori,quali farfalle andiamo a cercare sotto l’arcodi Tito? Ebbene, dichiaro qui, al cospettodi questa assemblea e al cospetto di tutto ilpopolo italiano, che io assumo, io solo, laresponsabilità politica, morale, storica ditutto quanto è avvenuto”. Era il 3 gennaio1925 e in una Camera dei deputati ancorasconvolta dall’assassinio del deputato so-cialista Giacomo Matteotti, Benito Musso-lini, chiamato in causa come mandante delsequestro e dell’uccisione del capo dell’op-posizione al suo Governo, prende la parolaper mostrare all’Italia la tempra del con-dottiero. Non vi sembra che il giovanottofiorentino voglia scimmiottarlo? E voi,

    Politica

    segue dalla prima

    ...dal Pd di Pier Luigi Bersani e da quei par-lamentari che sono stati eletti nelle file delcentro destra e successivamente hannoscelto di seguire un indirizzo diverso daquello avuto dai propri elettori. Ma allafine della legislatura in corso, non importase alla scadenza prevista del 2018 o primadel termine naturale, dovrà presentarsi difronte al corpo elettorale e chiedere i con-sensi necessari per continuare a governare.Ed è per questo che deve attentamente ri-flettere se gli convenga ridere sull’etichettaappioppata al suo Governo di essere al ser-vizio delle lobby o, addirittura, rivendicareorgogliosamente di aver voluto lui l’emen-damento favorevole alle gradi compagniepetrolifere o di preferire Sergio Marchionnea qualsiasi esponente sindacale.Nessuno dubita che la decisione di Renzi

    di assumere la piena personale responsabi-lità della subordinazione del Governo agliinteressi delle grandi lobby serva a tenere abada la tempesta di polemiche scoppiate sulcaso Guidi. Il Premier fa da parafulmine enel breve periodo la sua può risultare unatattica vincente. Ma una volta passata laburiana sarà difficile impedire che il suovenga definitivamente bollato come l’ese-cutivo dei superpoteri economici e finan-ziari.Quanto incide in termini elettorali que-

    sto marchio? Mario Monti, che era apparsoagli occhi degli elettori come l’uomo dei po-teri forti europei, grazie a quell’etichetta èstato praticamente espulso dalla scena po-litica nazionale. Se non corre ai ripari Renzipuò fare la stessa fine!

    ...Ora si presenterebbe l’occasione per ren-dere la pariglia alla sinistra giustizialista mala destra non si abbassi a tanto. Sarebbe untragico errore, oltre che un supremo attod’incoerenza morale. Se si è garantisti, nonlo si può essere a corrente alterna. Renzi ei suoi sono il peggio che sia capitato al no-stro Paese e per questo bisogna sfrattarli,ma non sperando che lo facciano i giudici

    Renzi ed il marchio che uccide

    iono integrati ma pur sempre e legittima-mente appartenenti ad una religione di-versa. Appaiare il diritto costituzionale alrispettivo culto, col dovere (e diritto) di ri-spettare leggi, norme, comportamenti, abi-tudini, modi di vivere e lingua del Paese incui si vive e si lavora - godendo del welfaree delle libertà democratiche - è o potrebbeessere un passo significativo in avanti.Ci vuole - come dire - un patto, un ac-

    cordo sottoscritto dai contraenti; compostodi pochi e chiari punti in cui si spiega chisiamo e che significano, a Milano e in Ita-lia, i diritti e i doveri sanciti dalla Costitu-zione, il cui rispetto è la conditio sine quanon per giovare di quei diritti. L’integra-zione, o meglio la convivenza, fallisce eMolenbeeck, Bruxelles, Parigi lo insegnano;quando manca da uno dei contraenti la vo-lontà di “integrarsi”, di convivere, a livellodella società civile.Nessuno in Europa mette in discussione

    la religione dei musulmani, molti dei qualiperò confondono il diritto sacrosanto alproprio culto col quello, che diritto non è,di costituirsi, ad autorappresentarsi chiusidentro la società laica occidentale, a ser-rarsi identitariamente dentro una città nellacittà; una città, una società chiusa nella so-cietà aperta. La nostra.

    L’inevitabile logoramento del Premier

    “anime lasse” del centrodestra, glielo con-sentirete?

    ...quanto meno rendersi assai poco graditoal comune sentire che persino in una città“diversa” come Milano è pregiudizialmenteostile all’Islam tout court, posponendo leragioni dei musulmani che hanno diritto apraticare la loro religione con le ragioni deicittadini sempre più angosciati di fronte al-l’escalation di terrorismo fondamentalistaislamico: con che coraggio chiedono unaMoschea, proprio loro!Ha buon gioco Salvini a negare un di-

    ritto in nome di un clima diffuso ostile,sullo sfondo del grande tema della sicu-rezza. Ma ha anche buon gioco Parisi a re-plicare, sia pure coi toni consueti pacati,che una Moschea ci vorrebbe, previa unachiara legge nazionale. Ragiona da poten-ziale sindaco piuttosto che da candidatoalla corrida elettorale, e un sindaco, futuri-bile quanto si vuole, non può non rispettaree far rispettare la Costituzione.Questo è dunque il punto centrale: il ri-

    spetto della Costituzione, delle norme, delleleggi, della cultura, dell’identità (anche lin-guistica) dell’Italia. Fino ad ora una per-versa concezione dell’integrazione coimusulmani in Italia ha come rovesciato itermini prescrittivi della Costituzione conun’interpretazione e un’applicazione nellaquale gli obblighi di legge richiesti al-l’ospite finiscono annacquati, quasi vanifi-cati, da una sorta di complesso di colpa, daun senso di colpevolezza secolare o di ne-cessità utilitaristica tali da autoimporrel’obbligo opposto dell’accoglienza sempree comunque, di un’integrazione senza alcunesame o patto, tanto “quelli” sono mode-rati, rispettosi delle leggi, e, diciamocelo,servono al Paese: luoghi comuni che hannopesato e pesano ancora.La via maestra per uscire da un cotale la-

    birinto esiste, ancorché ardua e complicata.Ma fino ad un certo punto. Perché, infatti,non approfittare a Milano della questioneMoschea per lanciare l’idea di un pattovero e proprio fra cittadini e musulmani?Una solenne convenzione - civile, civica elaica - fra gli abitanti di una città, in genere,ospitale e musulmani, molti dei quali appa-

    Caso Guidi: la destra e la fatica della coerenza

    Moschea sì, Moschea no:ci vorrebbe un patto

  • Primo Piano

    Il Partito e la galassia radicale sonoformulazione politica dal caratterelibertario e in quanto tale l’unica re-sponsabilità che conta è quella indivi-duale. Per comprendere meglio,ognuno può far ciò che vuole, l’im-portante è l’impegno nella promo-zione dello Stato di diritto el’iscrizione, la famosissima “assicura-zione sulla vita”. Decenni di analisipolitica hanno prodotto la propostatransnazionale ai problemi della so-cietà globale: la transizione dalla ra-gion di stato allo Stato di diritto,attraverso l’affermazione del dirittoumano e civile alla conoscenza. La vi-sione politica del Partito Radicale edelle sue organizzazioni non governa-tive è quella dei diritti umani, del raf-forzamento della democrazia, delloStato di diritto e del federalismo con-

    tro il prevalere dei nazionalismi, deisecessionismi delle piccole patrie edelle ragion di Stato. Nel mondo occi-dentale, e altrove, assistiamo allo sgre-tolarsi della certezza del diritto, losvilimento dei caratteri universali im-

    pressi dalle Convenzioni internazio-nali per la tutela delle libertà fonda-mentali, individuali, politiche e sociali.Anche la realtà del regime italiano ètale da impedire un sano dibattitopubblico sui programmi e le visionipolitiche di tutti gli schieramenti.

    L’accesso all’informazione pubblicarisulta sempre più difficile ed è visibileun progetto politico dispotico finaliz-zato alla giustificazione popolare dellostato emergenziale e securitario. Laforza del regime italiano, che è dive-nuto percettibilmente europeo, èquella di scegliersi la propria opposi-zione e in tale scontro-incontro di re-gime a rimetterci sono solo le garanzietransnazionali del diritto umanitario edello Stato di diritto. Numerosi com-pagni della galassia radicale hanno de-ciso di presentarsi alle elezionipolitiche di quello che, anche loro,concepiscono come regime e attra-

    verso lo strumento elettorale vorreb-bero tentare di conquistare “fortezze”di diritto e di libertà. A loro va il mioimmenso in bocca al lupo e i miglioriauguri di buon lavoro, ma il processoin corso di “democrazia reale” nelmondo occidentale e le ragioni distato del mondo mediorientale nonpossono ridursi alla presenza eletto-rale in alcune delle maggiori città ita-liane. La concepibilità del carattereuniversale dei diritti storicamente ac-quisiti va difesa attraverso meccanismitransnazionali, in seno alle NazioniUnite e nel continuo dialogo con am-basciate, organizzazioni non governa-tive e istituzioni internazionali.Attraverso tale logica possiamo com-prendere il lavoro di Marco Pannella,Matteo Angioli e dell’ambasciatoreGiulio Terzi per il progetto di transi-zione dalla ragion di Stato allo Statodi diritto; secondo tali parametri va

    letto ciò che si sta intraprendendo conl’ex ministro Franco Frattini e con laSocietà Italiana per l’OrganizzazioneInternazionale (Sioi).

    Il Partito Radicale resta, per for-tuna, un partito libertario e ognuno li-beramente sceglie la visione politicada concepire e concretizzare. Sempli-cemente, cerchiamo di non abbando-nare l’interpretazione illuminista euniversale contemporanea che ci con-traddistingue, battendoci con forza edeterminazione nella difesa dei dirittiumani, anche attraverso la codifica-zione del nuovo diritto alla cono-scenza. Il Marco nazionale direbbe:“Essere speranza, non avere spe-ranza”.

    * Consiglio direttivo di Nessuno tocchi Caino

    e membro della Lega italiana per i diritti dell’Uomo (Lidu)

    L’eterno dibattito tra universalismi e particolarismi della libertà

    Camillo Langone, in un recente ar-ticolo su “Il Foglio”, suggerisce dimandare un prete a Marco Pannella.Ottima idea: può essere utile, senzadubbio, per il prete. È una proposta daraccogliere, se si pensa che il piùgrande contributo del cristianesimoalla filosofia mondiale è stato la cen-tralità del concetto della scelta; e tra ivari aspetti della drammaticità dellascelta c’è, banalmente, quello di sce-gliere il male: è un problema che èstato posto dal cristianesimo, anche(ma non solo) in relazione al peccato,sia nel senso strettamente teologico,che nel suo significato più ampio dirottura del rapporto tra sé e l’univer-sale.

    Senza la scelta i miei atti sono ov-viamente privi di qualsiasi valore mo-rale, figurarsi di un valore religioso:che significato religioso avrebbe sce-gliere di tenere un bambino o di restareal fianco della donna della propria gio-vinezza (Prv 5:18), se l’aborto, il di-vorzio o magari l’adulterio fossero giàseveramente proibiti dalla legge degliuomini? Se il timore nascesse non dallatrascendenza, ma dall’immanenza?

    Pannella può vantare di aver tra-scorso un’intera vita a difendere la li-bertà di scelta individuale, primaancora che collettiva, sulla base delprincipio di autodeterminazione. Inquest’ottica vanno letti i “fiumi diaborti e divorzi” di cui chiacchieraLangone su “Il Foglio”: aborti e di-vorzi che non è stato Pannella a porrenel mondo, perché ci risulta esistesserogià prima di lui, il quale ha posto in-vece il problema della scelta come ilcristianesimo contemporaneo non haavuto, purtroppo, il coraggio di fare.

    Mentre era impegnato a riempire ilvuoto lasciato da troppe chiese nelladifesa della libertà di scelta del singolo,Pannella lottava contro l’ingiustizia, lafame, per le vite degli ultimi, ripu-diando e contrastando ogni forma diviolenza dell’uomo sull’uomo. MaPannella non lottava solo contro l’ini-quità: no, lui ha trovato il tempo di lot-tare per la verità contro la menzogna ed’impegnarsi contro ogni forma di di-scriminazione, di razzismo e d’ipocri-sia.

    Quell’ipocrisia che oggi permea lechiese come la peste, e che Cristo ad-ditava come il lievito dei Farisei (Lc12:1). E mentre Pannella lottava per laverità, al tempo stesso si assicurava chedella verità non si facesse un uso ci-nico, come avvertiva Dietrich Bonho-effer nel libro sull’etica che stavascrivendo prima di essere ucciso dallafollia nazista. Si è accontentato di que-

    sto, Marco Pannella? Niente affatto.Perché se non fosse stato per lui, in

    quanti avrebbero toccato Caino (Gen4:15)? Perché ha fatto dell’Agape unostrumento di lotta politica, contrappo-nendola alle pallottole degli anni dipiombo. Perché anche in queste ore,sta lottando per il diritto alla cono-scenza: quella conoscenza che deter-mina l’autenticità della scelta, perchénon posso scegliere se non so cosa stoscegliendo. Mentre Pannella, quindi, èimpegnato ad andare perfino oltre lascelta, ripartendo dal frutto sul ramo(Gen 2:9), altri radicali, com’è tradi-zione, si dedicano con gli atti a quellarilevanza simbolica della Bibbia tantocara a Paul Tillich.

    Rita Bernardini, dal Venerdì santoal lunedì dell’Angelo, insieme ai com-pagni di “Amnistia, Giustizia e LibertàAbruzzi” visita tutte le carceri della re-gione in cui è candidata garante dei de-tenuti: una caratteristica che lascia abocca aperta di Marco Pannella è pro-prio la capacità di mettere in relazionele Scritture con la quotidianità.

    Il valore dell’insistenza dei radicalisulla banalità del male non si puòcomprendere leggendo unicamenteHannah Arendt, se non si comprendeprima dove quest’ultima nasce. Ilmondo pettegolo continua a ficcare ilnaso nella sua relazione con MartinHeidegger, ma nessuno ricorda maiche la Arendt non diede la tesi con lui,bensì con Karl Jaspers. Il concetto dibanalità del male è impossibile da

    comprendere nella sua intera rilevanzase si cercano chiavi di lettura dellaArendt unicamente in Heidegger:l’aspetto più spigoloso del pensiero dilei non deriva da lui, ma da Jaspers.

    Ma tutto questo non è niente se sipensa al contributo che Pannella hadato al concetto di spes contra spem.Nella Lettera ai Romani (4:18), ilmotto si riferisce ad Abramo e vienetradotto generalmente come “colui chesperò contro ogni speranza”. È celebrel’interpretazione di Søren Kierkegaard,per il quale Abramo rappresenta lostadio religioso, in quanto è il singoloche esce dall’eticità per entrare in rap-porto assoluto con l’Assoluto.

    Se Kierkegaard esalta la drammati-cità insita nel concetto, Pannella esaltainvece la luminosità. Infatti ponendola speranza stessa in relazione con l’As-soluto, a Pannella interessa liberarel’individuo non tanto dall’eticitàquanto dalla contingenza. Un esempioè proprio in relazione all’amnistia: se idetenuti diventano vittime della“strage carceraria”, come lui stessol’ha definita più volte, in un Paese cheviola sistematicamente lo Stato di di-ritto ed è peraltro invaso da un forca-iolismo crescente, che speranza ho iodi ottenere un provvedimento di cle-menza? Nessuna.

    Ma questo avviene perché sto po-nendo la speranza in rapporto col fi-nito. Se anziché rivolgere la miasperanza al particolare la rivolgo al-l’universale, la speranza è libera dal

    contingente che la rinchiudeva nel fi-nito, non è più cioè una speranza cheesiste in relazione a una determinatacontingenza, ma una speranza che è inrelazione al concetto assoluto di spe-ranza: anziché avere speranza, devo es-sere speranza, sperare universalmenteper liberare il particolare dalla soffe-renza, sperare infinitamente per gua-rire il finito.

    Posso io sperare in Dio senza spe-rare nell’Assoluto? Posso io sperare inDio senza sperare nell’Essere? Possoio sperare in Dio senza essere, a miavolta, speranza? Oppure devo limi-tarmi ad averla in relazione alla con-tingenza? Non sarebbe una formaottusa d’idolatria limitarmi a sperareche qualcosa accada, e che Dio me laconceda? Non devo piuttosto iostesso essere speranza in modo asso-luto, indipendentemente dalla contin-genza e dalla limitatezza della miacondizione esistenziale?

    Non è forse l’esistenza a darmil’angoscia, e l’angoscia il fondamentostesso della speranza? Come può lasperanza essere “un’ancora”, secondole parole di Papa Francesco, se que-st’ancora poggia su un’esistenza fi-nita, particolare, soggetta inqualunque momento a essere spaz-zata via? Non deve, la speranza, es-sere al di là di ogni limitazione, e ioessere speranza a mia volta? Comesperò Abramo? Sperò nella contin-genza?

    Nella contingenza l’evidenza è tale:

    Abramo deve sacrificare il figlio (Gen22:2), quindi il figlio morirà. Non c’èsperanza. Ma Abramo ha “speratooltre”, ed è stato speranza.

    Andando con Pannella nelle carceri,con lui e con Rita Bernardini, si di-scende nell’eretico abisso di un cristia-nesimo che può fare a meno della fede,ma non delle opere; che cerca la giu-stificazione prima ancora di ammet-terla; che fa servo l’arbitrio mentre neestende oltre lo scandalo i confini dellalibertà. Marco Pannella è il terzo chegode mentre litigano Lutero ed Era-smo, portando l’amore in una mano eil sigaro nell’altra.

    Non si sarà detto cristiano: ma lohanno fatto le chiese che hanno ap-poggiato e finanziato i più sanguinosiregimi del Novecento, mentre Pannelladigiunava per fermare quelli contem-poranei e per impedire la ripetizionedei regimi passati. È cosa terribile,oggi, dirsi cristiani, per il rapporto checorre tra i Vangeli e gli atti nell’attua-lità: così tremenda che è quasi più cri-stiano non dirlo; così atroce che vieneda fuggire dall’ossimoro quotidianodel cristianesimo intollerante; così spa-ventosa che basterebbe a malapena ilcoraggio per uscire di notte, insieme aNicodemo (Gv 3:2; 19:39).

    Marco Pannella è uno cui nonsiamo degni di sciogliere i legacci deisandali (Mc 1:7).

    E qualunque cosa resterà del PartitoRadicale, sarà certamente più facilesentire Dio in quel che ne resta, piut-tosto che nell’attico di cardinal Ber-tone. Già, perché c’è gente comePannella che è andata in giro senza bi-saccia né due tuniche (Mt 10:9-10), ri-nunciando al finanziamento pubblico,mentre altri lo prendono con l’in-ganno, con la nota truffa dell’otto permille. Ma di questi ha già detto tuttoFëdor Dostoevskij, ne “Il Grande In-quisitore”. Dostoevskij, che se avessevisto “Nessuno Tocchi Caino” avrebbepianto e riscritto “I Demoni” da capo,nel vedere come la più atroce rappre-sentazione dell’entropia del male do-veva cadere come tale, davanti allanonviolenza.

    Mandatecelo, un prete da Pannella,per carità. No, non un prete in car-riera, né uno di quelli che vanno in te-levisione, o peggio: no, mandateci donManuel Bueno. Nel racconto di Mi-guel De Unamuno il prete, consideratosanto già in vita, confessa privata-mente il suo segreto, angosciato atei-smo, e la sua capacità di consolarsisolo consolando gli altri, anche se laconsolazione che gli dà non è la sua.

    Che bello sarebbe vedere don Ma-nuel Bueno, per una volta soltanto, es-sere consolato!

    Mandare un prete a Pannella: perché no?

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    Politica

    Il proporzionalismo disegnato dal-l’Italicum, con soglia di sbarra-mento al 3 per cento, i capilistidesignati dagli apparati di partito eil premio di maggioranza ricono-sciuto al partito che, al secondoturno, prende anche un solo voto inpiù degli altri, non può garantire ilgiusto equilibrio tra le esigenze dirappresentanza del corpo elettorale eil bisogno di governabilità dell’Italiadi oggi.

    La stabilità dei governi e la giustarappresentatività del sistema politicosono due facce della stessa medaglia.Governare senza rappresentatività èpericoloso, così come rischioso è unsistema rappresentativo incapace digarantire le condizioni minime di go-vernabilità.

    Nella prima Repubblica, dove igoverni democristiani privilegiavanola consociazione, hanno prevalso leesigenze inclusive. Una scelta obbli-gata nell’era del compromesso ar-mato tra Democrazia Cristina ePartito Comunista Italiano. Unascelta che, tuttavia, stiamo pagando epagheremo per molti decenni, peruna serie di conseguenze negative,tra cui: lo sfondamento del bilanciodello Stato, il gigantismo del deficit edel debito pubblico e la messa sottotutela da parte degli organismi eco-nomico-finanziari della Ue.

    Oggi è un’altra storia, siamo ob-bligati a pretendere un Governo chegoverni, anche a scapito di una mi-nore capacità rappresentativa, perfronteggiare tutte le emergenze cheincombono. Per questo, sia che sitratti di rivedere la Costituzione, osemplicemente di delineare il sistemaelettorale della Camera, siamo anchedisposti a sopportare qualche deficitdi rappresentanza, in cambio di go-vernabilità. Tuttavia, nell’ultimoanno qualcosa è cambiato nel pano-rama politico, imponendo la revi-

    sione di alcune scelte, non più com-patibili.

    Quando nel 2013 si è messomano all’Italicum, Matteo Renzi eSilvio Berlusconi intendevano realiz-zare il modello Westminster, dove chivince, anche per un solo voto go-verna, e chi perde, fa l’opposizionecostruttiva. Ciò sulla base di un si-stema bipartitico in cui, secondo latradizionale contrapposizione destra-sinistra, conservatori-progressisti,popolari-socialisti, il partito vincentegoverna per l’intera legislatura.Un’esigenza legittima questa, condi-visa allora da gran parte dei partitiitaliani.

    In realtà, già nel 2013 lo scenariopartitico riscontrava una distribu-zione del consenso elettorale su trepoli, con il Partito Democratico al25,4 per cento, il Popolo della Li-bertà al 21,6 per cento ed il Movi-

    mento 5 Stelle al 25,5 per cento. Lìperò il bipolarismo classico destra-si-nistra era ancora ben delineato, per-ché il Movimento 5 Stelle simostrava vocato ad assolvere soloun ruolo di protesta, senza alcunapretesa di governo. La Lega poi nonaveva ancora intercettato la voca-zione lepenista.

    Una serie di ragioni, tra cui le di-sgrazie giudiziarie di Berlusconi, laconseguente disintegrazione dell’areamoderata di centro-destra, unita-mente all’abile guida del duo Grillo-Casaleggio, hanno contribuito a faredel M5s un vero e proprio partitocon ambizioni di governo. Da questomomento, i presupposti politici sot-tostanti alle scelte bipartitiche del2013, sono evaporati. Del resto i si-stemi elettorali non sono mai avulsidalla politica. Per questo, si deveprendere atto che oggi siamo nel bel

    mezzo di un vero e proprio “triparti-tismo”, con un preteso ruolo ege-mone della Lega sul versante delladestra-destra.

    A leggere le intenzioni di voto deicittadini che saranno chiamati adeleggere il Comune di Roma, questoquadro si consolida. Nessun candi-dato sindaco otterrà la maggioranzaassoluta al primo turno e il ballot-taggio vedrà lo scontro tra Pd e M5s.

    Un’analoga tendenza si riscontraguardando le intenzioni di voto, rile-vate sull’intero territorio nazionalealla fine del mese di marzo. Se si rin-novasse oggi la Camera dei Deputati,il Pd conseguirebbe un consenso at-torno al 33 per cento, M5s 25 percento, Lega 14,2 per cento, Fi 12,5per cento, Fdi 4 per cento, Ncd Udc2,5 per cento. Uno scenario total-mente rivoluzionato rispetto al 2013,soprattutto per un fatto: l’inesistenza

    partitica e politica dell’area mode-rata di centro-destra, incapace diporsi come antagonista di Governoal partito di Renzi.

    Si può prescindere, nell’attualecontesto interno ed internazionale,da un competitore politico che in-vece, in tutti i Paesi d’Europa, inter-preta vasti settori di elettorato,assolve una funzione di conteni-mento della destra populista ed èasse portante del Ppe nell’ambitodel Parlamento europeo? Rebus sicstantibus è molto alta la possibilitàche, di fronte a un’alternativa di se-condo turno Pd-M5s, l’elettoratomoderato italiano possa continuaread inseguire, così come per tradi-zione, la sola opzione di alternativapossibile alla sinistra, privilegiandol’M5s (modello Parma), nonostantel’assoluta ambiguità della colloca-zione europea ed internazionale diquesto Movimento.

    Il bipartitismo trova la giusta col-locazione nei sistemi dove è radicatoil senso di appartenenza adun’unica, identitaria, comunità na-zionale, cioè nei sistemi stabilizzati,inclusivi, con un alto grado di omo-geneità politica e sociale. L’Italia sipuò annoverare tra questi? Pareproprio di no. In Gran Bretagna chivince governa. Chi perde non vasulle barricate ma si prepara a go-vernare secondo la migliore tradi-zione della Opposition of yourMajesty. In Gran Bretagna e neiPaesi maturi i movimenti populisti eoltranzisti, anche se non sono mar-ginali, sono collocati nella margina-lità. Da noi, invece, il Movimento 5Stelle e la Lega danno prova dipoter competere e concorrere as-sieme, per il comune di Roma comeper il governo dell’Italia. Da noi ilbipartitismo non esiste, per questoanche l’Italicum non può più resi-stere, perché già invecchiato, primadi aver potuto compiere i primipassi.

    L’Italicum e l’Italia

  • Un recente articolo della testataonline “The Hill” ha approfit-tato del lancio di un nuovo spotelettorale intitolato “Lyin’ Ted”(realizzato dal Super-Pac “New Dayfor America”, supporter della can-didatura di John Kasich) al fine direalizzare una breve analisi diquanto, nella campagna elettoraledel senatore junior del Texas, ha fi-nora giustificato questa efficaceespressione coniata dal front-runnerTrump e, con tutta evidenza, dive-nuta ora anche una delle frecce nellafaretra del governatore dell’Ohio.

    Desiderando comunque marcareuna certa differenza di stile rispettoa “The Donald”, lo spot ha evitatoallusioni riguardo le recenti accusetrumpiane di essere un pluri-fedi-frago, limitandosi a rimproverare aCruz principalmente le voci fattetrapelare dal suo staff riguardo il ri-tiro (in realtà inesistente) dalle pri-marie repubblicane del dottor BenCarson in coincidenza con il caucusdell’Iowa, Stato a forte improntaevangelica in cui le posizioni netta-mente pro-life del neurochirurgo diDetroit avrebbero danneggiato elet-toralmente il senatore texano. Altroelemento di critica sarebbe rappre-sentato dai recenti sondaggi presi-denziali che vedrebbero Kasichcome l’unico in grado di sconfiggere

    nettamente la Clinton, malgradoCruz continui ad affermare di esserel’unica scelta possibile e vincenteper il Grand Old Party.

    Se nel Bel Paese l’accusa, rivoltaad un politico, di essere un menti-tore seriale ha quel retrogusto naifche la rende quanto meno un’arma

    spuntata, non altrettanto può dirsinegli States dove - non a caso - sonooramai mesi che i media vicini alGop (e gli stessi candidati alla no-mination) non perdono occasioneper affibbiare l’epiteto alla ex firstLady Clinton, per la serie concla-mata di bugie con le quali ha ten-

    tato di coprire il suo nefasto ope-rato alla Segreteria di Stato (ricor-diamo tra gli altri il Benghazi-gate elo scandalo sulle e-mail riservate deiservizi segreti inoltratele dal suostaff su un indirizzo di posta perso-nale non protetto). Se tuttavia taliscandali sembrano non aver finorasabotato la campagna elettorale perla nomination democratica di Hil-lary, l’accusa di essere un mentitoreseriale (il trumpiano “Lyin’ Ted”) ri-voltagli dai due compagni di corsarischia di avere maggiore successonel danneggiare Cruz presso quellafetta di elettorato conservatore distampo evangelico e pentecostaleche - pur non essendo monopoliz-zato dal senatore texano - ha finorarappresentato comunque la spinadorsale dei movimenti grassrootscon i quali ha potuto condurre unacampagna elettorale old-style ma al-trettanto efficace.

    Pur ricordandoci con le paroledel Cancelliere tedesco Bismarckche “la politica è l’arte del possibile”sarebbe tuttavia il caso di scomo-dare il forse più consono (e ameri-cano) romanziere Francis ScottFitzgerald, autore di quel monu-mento nazionale su carta rappre-sentato dalla sua ruggente edecadente America degli anni ‘20narrata ne “Il grande Gatsby”. Seeffettivamente, foto alla mano, l’af-fascinante Jay Gatsby protagonista

    del romanzo (interpretato nei dueadattamenti cinematografici rispet-tivamente da Robert Redford e Leo-nardo Di Caprio) potrebbe averepoco a che spartire con il tutt’altroche patinato senatore texano di ori-gini cubane, il ritratto umano cheinvece vorrebbero suggerirci i duerivali per la nomination repubbli-cana è per l’appunto quello di unimpostore che si dipinge come l’ico-nico portabandiera della destra reli-giosa e teapartista - e del mondoconservative in generale - senzaavere i requisiti morali per esserlo(al pari del carismatico milionarioself-made Gatsby, volto presentabilee immacolato della malavita orga-nizzata).

    Difficile al momento capire effet-tivamente quale sia il limite tra laverità e la fiction elettorale, con tuttii suoi artifizi e le sue tempeste inbicchieri d’acqua (o di tea, come di-rebbero gli statunitensi), lasciamodunque che a stabilir una momenta-nea e riconciliatoria tregua siano leparole che Fitzgerald mette in bocca- in conclusione di romanzo - al gio-vane agente di cambio Nick, vocenarrante della storia e unico veroamico del tormentato protagonista:“Ricordai di come eravamo tutti ve-nuti da Gatsby col sospetto dellasua corruzione, mentre lui stava inmezzo a noi nascondendo un sognoincorruttibile”.

    Politica

    Il grande Cruzby?

    Il giorno dopo l’attacco terroristicodi Bruxelles, i monumenti e gli edi-fici pubblici del Regno Unito si sonoilluminati con i colori della bandierabelga. Una parte della stampa bri-tannica ha criticato aspramente que-sta decisione. Perché, essa si èchiesta, la oramai tradizionale ceri-monia stucchevole si è svolta l’indo-mani degli attentati e non la serastessa degli attacchi? Perché illumi-narsi un giorno dopo, mentre altrecittà sono riuscite a esprimere subitola loro “solidarietà”? Questa è la no-stra epoca. E questi sono i nostri in-terrogativi.

    Ciò che occorrerebbe chiedersinon è perché il Regno Unito ci abbiamesso più di 24 ore a illuminarsi coni colori della bandiera belga, ma per-ché dopo 67 anni di terrorismo, iluoghi pubblici non siano stati an-cora illuminati con i colori bianco eblu della bandiera di Israele.

    E ci sono state molte opportunitàper farlo. I nemici di Israele ci hannofornito un maggior numero di op-portunità per illuminare i nostri mo-numenti rispetto a quante neabbiano offerto i seguaci dell’Isis.

    Si potrebbe dire che negli ultimisettant’anni, l’atteggiamento del-l’opinione pubblica è cambiato; cheoggi i futili gesti di “solidarietà” sonoall’ordine del giorno, ma non eracosì per le generazioni precedenti.Sarebbe stata una cosa inaudita che ipalazzi istituzionali inglesi si fosseroilluminati con i colori della bandieraisraeliana nel 1948, 1956, 1967 o nel1973. Ma quando il sentimentalismoè sbarcato in Gran Bretagna non loha fatto in sordina. Se non ci avevaancora colpito al tempo della primaIntifada (1987-1993), di certo lo feceall’epoca della seconda (2000-2005).

    In quel periodo, migliaia di israe-liani furono uccisi e feriti dai terrori-sti palestinesi. Eppure, gli edificipubblici non si illuminarono con i co-lori della bandiera israeliana. Inoltre,durante la guerra tra Hezbollah eIsraele del 2006, gli edifici pubblici ri-masero spenti; come dopo ogni salvadi razzi lanciata verso Israele dallaStriscia di Gaza, evacuata da Israele,per consentire agli arabi che risiede-vano là di creare la Singapore o laCosta Azzurra del Medio Oriente.

    Quando Israele è attaccato, i gra-dini delle sue ambasciate a Londra enelle altre capitali europee non ven-

    gono riempiti di fiori, orsacchiotti,candele o messaggi di condoglianze.In verità, ogni volta che gli israelianisono attaccati e uccisi, c’è una rea-zione davanti alle ambasciate israe-liane, dove non c’è ombra di orsettidi peluche ma si assiepano folle cheurlano la loro rabbia contro Israelee che devono essere trattenute dallapolizia locale per evitare che manife-stino ulteriore antagonismo.

    È possibile che qualcuno pensi cheIsraele non è parte del continente eu-ropeo e che nonostante sia una so-cietà sostanzialmente occidentale,non ci sentiamo sufficientemente vi-cini ad essa. Ogni volta che in unacapitale europea viene sferrato un at-tacco terroristico c’è sempre chichiede perché il dolore per gli atten-tati di Parigi o Bruxelles sia più fortedel dolore per quanto accaduto adAnkara o Beirut.

    Ma l’interrogativo Parigi/Bruxel-les raramente si pone a proposito diGerusalemme. Si potrebbe semplice-mente dire che questo accade perchéin Israele le vittime sono ebree. Maesiste anche un’altra spiegazione,vale a dire che Israele è consideratoin modo diverso perché quandoviene attaccato dai terroristi, non èvisto da un gran numero di personein Occidente come una vittima inno-cente. Piuttosto, è considerato comeun Paese che in qualche modo ha at-tirato su di sé la violenza.

    Le motivazioni a riguardo pos-sono variare, andando dall’opposi-zione alle fattorie sulle alture delGolan al rifiuto di Israele di permet-tere che le armi destinate a distrug-gerlo entrino nella Striscia di Gaza.Tra le altre motivazioni spiccanoanche gli “insediamenti” israeliani inCisgiordania, trascurando il fattoche per la maggior parte dei palesti-nesi tutto Israele, “dal fiume Gior-dano al mare Mediterraneo”, comeessi dicono, è un grande “insedia-mento”, che deve essere distrutto,come espresso apertamente nello sta-tuto di Hamas e di quello dell’Olp.Se si guarda a qualsiasi carta geo-grafica della “Palestina”, di fatto èuna carta di Israele, con “al-Quds” alposto di “Gerusalemme” e “Giaffa”anziché “Tel Aviv”. Per questi pale-stinesi, esiste un unico e solo reatoimplicito: l’esistenza stessa delloStato di Israele.

    Tuttavia, in questo pezzo di terra,come a Canaan, nella MezzalunaFertile, e nella Giudea e Samaria, gliebrei vivono da quasi 4mila anni no-nostante i Romani, Saladino, l’Im-pero ottomano e il Mandatobritannico.

    Ciò che resta sono i fatti. E i fattidimostrano che tutte queste “giusti-ficazioni” per il terrorismo sono sba-gliate. Ad esempio, Israele noncommette “crimini di guerra”,“apartheid” o “genocidio”, come in-

    vece ritengono gli europei, indotti apensarlo dai propagandisti. Israele,al contrario, combatte un nemicoche viola qualsiasi norma di conflittoarmato e Israele risponde in manieracosì proba e corretta (come ha ar-guito il gruppo High Level MilitaryGroup nel suo rapporto intitolato“An assessment of the 2014 Gazaconflict”) che i Paesi alleati sono pre-occupati di non essere all’altezza deiprincipi morali dello Stato ebraico laprossima volta che andranno inguerra.

    Israele, come il resto del mondo,cerca di trovare un modo legale ecorretto di rispondere a una serie distrategie terroristiche illegali e ripro-vevoli. È altresì falso asserire che ladisputa territoriale dei nemici diIsraele sia legittima. Essi già control-lano l’intera Striscia di Gaza e seavessero voluto la maggior partedella Cisgiordania, avrebbero potutoaverla in qualsiasi momento dal1948, anche a Camp David nel2000. Ogni volta, sono stati i pale-stinesi ad aver rifiutato tutte le of-ferte, senza nemmeno fare unacontroproposta.

    Ciononostante, agli occhi di moltieuropei, Israele ha fatto qualcosa chegiustificherebbe gli attentati suicidi.Che sia detto o no, è questo il mo-tivo che fa del terrorismo controIsraele un crimine meno grave degliattacchi terroristici sferrati altrove.

    Ebbene, che shock dovrà subireun giorno il resto del mondo. Perché

    se si ammette una “giustificazione”per una falsa narrazione degli estre-misti islamici, allora si dovrà giusti-ficarne altre. Si dovrà ad esempioaccettare quanto dichiarato dall’Isis,ossia che il Belgio è un “Paese cro-ciato”, che merita di essere attaccatoperché è coinvolto in una “crociata”contro lo Stato islamico in Iraq eSiria (Isis). Si dovrà accettare il fattoche l’aver opposto resistenza agliestremisti islamici in Mali e Siria haindotto questi estremisti a sentirsi indiritto di attaccare la gente in Belgio,Francia, Sierra Leone, Canada, StatiUniti e Australia.

    Si dovrà accettare che gli europeipossono essere uccisi per aver pub-blicato una vignetta satirica, sempli-cemente perché lo dice un gruppoterroristico straniero e poi accettareche i vignettisti se la sono cercata.

    I nemici di Israele e i nemici delresto del mondo civilizzato sono leg-germente differenti, ma hanno moltoin comune. Essi sono motivati nonsolamente dalle stesse ideologie jiha-diste ma anche dal fatto che essi in-sistono a dire che la loro visionepolitica e religiosa del mondo è rile-vante non solo per loro, ma che vaapplicata contro il resto di noi.

    Potrebbe volerci un po’, ma siamotutti nella stessa barca. Potrebbeanche volerci un po’ fino a quandole città europee non si illuminerannocon i colori bianco e blu della ban-diera israeliana; ma se noi comin-ciassimo a chiederci dove sonoqueste finite queste luci, potremonon solo comprendere in quale si-tuazione difficile si trova Israele, maanche che questa situazione oggi è lanostra.

    “Giustificare” i terroristi

  • Cultura

    Al Teatro Eliseo di Roma è andatoin scena lo spettacolo di StefanoBollani e Valentina Cenni dal titolo:“La Regina Dada”. Musica e parole.Poche, in verità, quest’ultime. Perchéabdicare al potere è un po’ (anzi,molto) “tacere” sul potere. Così laparte dissacrante del Dadaismo (incui Dio e lo spazzolino da denti siequivalgono) entra con prepotenzanella metafora del vissuto: unamosca e una regina fantasy diven-tano equivalenti, dato che solo ilcaso ha voluto che la prima fosse piùpiccola e stupida della seconda. Ilmondo esterno che bussa alla portadell’abitazione del maestro di musicadella regina Dada è il lato oscurodella tastiera di un pianoforte, cheaccompagna con le sue musiche deli-ziose e i suoi ritmi, talvolta forsen-nati, le disquisizioni per assurdodella regina in fuga dai suoi fanto-

    matici sudditi. Poi, per ribadire il ca-rattere magico delle scene, le meravi-gliose dita snodate della Cenni siilluminano di luci multicolori, dise-gnando geometrie che imitano il volodegli uccelli notturni, per poi dive-nire ancora, in seguito, dei lunghi fla-gelli di luce, vortici di colori inrapida rotazione. Cento grandi luc-ciole filamentose sgretolano il buiocon il loro movimento perenne, acomplemento delle note di Bollaniche risponde e interagisce attraversole sue musiche con le parole e i gestidi lei.

    La scenografia si articola su gio-chi di luce, rigorosamente di unbianco luminoso abbagliante, impo-stati su cornici e telai che scandi-scono i cambi scena con i lorobagliori violenti, mentre una portasghemba collocata sulla parete difondo opera da Stargate tra la di-mensione presente e quella fanta-smatica, fiabesca e irreale di gabbie

    liberate dal fatto che non esistonopiù i prigionieri, “concetti” com-presi! Nulla è strutturato, in quantoil principio dadaista è per definizioneun criterio destrutturante che divienenel paradosso un principio fine a sestesso. Alla stregua di un grande can-tiere dialettico, in cui persino l’in-sulto è fonte di ispirazione perindagare a fondo l’animo di chi lo hapronunciato e pensato. Questo, indefinitiva, è il nuovo prodigio del-l’Eliseo che si va costruendo, giornodopo giorno, come una sorta di con-tenitore universale delle arti e unaproposta di sintesi per spazi creativieterogenei. Del resto, nel corso diuna recente conferenza stampa èstato proprio il suo “dominus”, LucaBarbareschi, a rivelarne la portatapresentando una prima trilogia suDavid Mamet, drammaturgoamericano da lui amatissimo. Adaccompagnarlo per l’occasionec’erano artisti di prima grandezza

    come Sergio Ru-bini e il direttoredel Teatro Stabiled’Abruzzo, Ales-sandro D’Alatri.

    E il vero, unicoprotagonista diquell’evento è statoil teatro. Quellodelle cose “nor-mali”, perché (cometestimoniato daRubini) “Mametci ha insegnato adaprire un frigori-fero!”. Relazioni,rete e socializza-zione sono lecomponenti fortidel discorso tea-trale di Mamet,biologo dei comportamenti del po-tere che vengono denunciati in modotagliente, con linguaggio accessibilea tutti, anche per quanto attiene le

    cose complesse. Ma è lostesso D’Alatri a far no-tare come la traduzionelinguistica dei detti po-polari (dallo slang aldialetto napoletano)sia molto complicata.Come lo è la dialettica -ricca di incongruenzesui falsi conflitti dei dueconcetti - tra il vecchiopotere e la sua rotta-mazione. E ciò che - lo-devolmente - si vuoletentare con questonuovo esperimento diteatro universale (perinciso: il Teatro Eliseoaspira a essere un luogodell’arte che non chiudemai, senza pause estive,arricchito da eventi jaz-zisti musicali che an-dranno avanti fino anotte) è di mettere in-sieme protagonisti constorie diverse, in mododa creare fertili interse-zioni avvalendosi delladiversificazione dellecarriere.

    L’impegno di Barba-reschi è di far diventare

    l’Eliseo una grande casa, in cui tuttigli artisti lavorino insieme, dive-nendo (un po’ come lo furono i bi-strot di Montmartre nei primi duedecenni del Novecento) un luogodove i creativi si siedano e discutano.Per tutto ciò vi sarà un “Logo” onni-comprensivo, un nuovo marchiod’azienda. In questo scenario è pre-visto che grandi autori statunitensitengano lezioni di drammaturgia inuno spazio di aggregazione peruna comunità di talenti, in cui se-dersi a parlare con qualcuno avràfinalmente un senso! Nei foyer ri-strutturati con wi-fi libero si rico-struiranno luoghi certi e affidabili diancoraggio e aggregazione perché ilteatro, in fondo, è equiparabile auna chiesa laica! E anche il cinemaavrà la sua parte, dato che oggi nelsettore sembra mancare molto piùl’offerta della domanda. La sfida èquella di fare un palinsesto dove ladomenica si proiettino due filmfuori circuito, come accadeva unavolta, negli anni Sessanta e Settantacon il mitico Nuovo Cinema Olim-pia.

    Oggi, infatti, è molto più sem-plice utilizzare piattaforme diverse,dove vengono distribuiti contenutidiversi, producendo spettacoli acosti bassissimi grazie alla modernatecnologia. Insomma, una grandescommessa che tutti gli intellettualiseri dovrebbero sottoscrivere!

    “La Regina Dada” e l’impegno di Barbareschi