relazione storica

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RELAZIONE SUI DOCUMENTI E SCRITTI DEL SERVO DI DIO GIUSEPPE AMBROSOLI A conclusione di una accurata ricerca delle fonti documentarie inerenti a padre Giuseppe Ambrosoli viene presentata la seguente relazione con l’intento, pur nella brevità, da una parte di evidenziare la completezza di tali ricerche svolte in numerosi archivi, dall’altra di far emergere un primo profilo della figura del servo di Dio, profilo che sarà poi svolto in modo approfondito nella eventuale futura positio super virtutibus. La relazione è stata suddivisa in quattro capitoli: nel primo viene valutata l’autenticità dei documenti presentati, nel secondo si esaminano i documenti anagrafici e biografici, nel terzo gli scritti di padre Ambrosoli, nell’ultimo sono proposti alcuni tratti della figura spirituale così come emergono dai documenti. A. AUTENTICITÀ DEI DOCUMENTI SCRITTI I documenti relativi a padre Giuseppe Ambrosoli e i suoi scritti, originali e fotocopie, si trovano tutti depositati presso l’Archivio storico comboniano di Roma (ACR, sezione B, caselle 233, 253, 405). La loro autenticità è assicurata dall’attenzione posta nelle ricerche che si sono svolte sia presso archivi di istituzioni sia presso privati cittadini. Per quanto riguarda i documenti provenienti da archivi di istituzioni, naturalmente, gli originali si conservano presso tali sedi dove è possibile controllarne l’autenticità rispetto alla raccolta documentaria che viene presentata. I documenti posseduti da singole persone (per lo più si tratta delle lettere di padre Ambrosoli) in parte sono stati donati all’Archivio comboniano di Roma, in parte è stato concesso di entrarne in posseso tramite fotocopie. Con la stessa attenzione si è proceduto poi a depositare tutti i documenti presso l’Archivio comboniano. Inoltre, in vista di questa relazione si è ritenuto indispensabile svolgere una revisione di tutto il materiale che si conserva in fotocopia presso l’Archivio comboniano,

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Giornalini della Parrocchia: Padre Giuseppe Ambrosoli

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Page 1: Relazione storica

RELAZIONE SUI DOCUMENTI E SCRITTIDEL SERVO DI DIO GIUSEPPE AMBROSOLI

A conclusione di una accurata ricerca delle fonti documentarie inerenti a padre

Giuseppe Ambrosoli viene presentata la seguente relazione con l’intento, pur nella

brevità, da una parte di evidenziare la completezza di tali ricerche svolte in numerosi

archivi, dall’altra di far emergere un primo profilo della figura del servo di Dio, profilo che

sarà poi svolto in modo approfondito nella eventuale futura positio super virtutibus.

La relazione è stata suddivisa in quattro capitoli: nel primo viene valutata

l’autenticità dei documenti presentati, nel secondo si esaminano i documenti anagrafici e

biografici, nel terzo gli scritti di padre Ambrosoli, nell’ultimo sono proposti alcuni tratti della

figura spirituale così come emergono dai documenti.

A. AUTENTICITÀ DEI DOCUMENTI SCRITTI

I documenti relativi a padre Giuseppe Ambrosoli e i suoi scritti, originali e

fotocopie, si trovano tutti depositati presso l’Archivio storico comboniano di Roma (ACR,

sezione B, caselle 233, 253, 405).

La loro autenticità è assicurata dall’attenzione posta nelle ricerche che si sono

svolte sia presso archivi di istituzioni sia presso privati cittadini. Per quanto riguarda i

documenti provenienti da archivi di istituzioni, naturalmente, gli originali si conservano

presso tali sedi dove è possibile controllarne l’autenticità rispetto alla raccolta

documentaria che viene presentata. I documenti posseduti da singole persone (per lo più

si tratta delle lettere di padre Ambrosoli) in parte sono stati donati all’Archivio comboniano

di Roma, in parte è stato concesso di entrarne in posseso tramite fotocopie.

Con la stessa attenzione si è proceduto poi a depositare tutti i documenti presso

l’Archivio comboniano.

Inoltre, in vista di questa relazione si è ritenuto indispensabile svolgere una

revisione di tutto il materiale che si conserva in fotocopia presso l’Archivio comboniano,

Page 2: Relazione storica

controllando, in particolare, la segnatura archivistica, che talvolta è mutata rispetto a

quando il documento era stato fotocopiato, e la completezza del documento riprodotto

rispetto all’originale.

B. VALUTAZIONE DI DOCUMENTI DI PERSONE VARIE

Vengono qui presi in esame i documenti inerenti a padre Giuseppe Ambrosoli,

distinti dai suoi scritti. L’ordine di esposizione segue la suddivisione con cui si presenta la

raccolta documentaria.

1) Documenti anagrafici

Con una meticolosa ricerca sono stati raccolti i documenti anagrafici relativi a

padre Ambrosoli (serie I1), sia quelli più propriamente “anagrafici” (certificati di nascita, di

battesimo, stato di famiglia, ecc.), sia quelli comprovanti gli studi fatti, sia quelli che

testimoniano l’ordinazione ai diversi gradi del presbiterato.

2) Documenti biografici

I documenti biografici sono stati suddivisi in tre serie:

- documenti relativi al periodo dell’infanzia e degli studi fino al conseguimento della

laurea (serie II);

- documenti relativi al periodo del seminario fino all’ordinazione presbiterale (serie III);

- documenti relativi al periodo della missione a Kalongo fino alla morte (serie IV).

Attraverso l’utilizzo di queste fonti è possibile tracciare in modo approfondito la

biografia di padre Giuseppe. Qui ci si limita a indicare alcuni momenti fondamentali in

modo da poter conoscere sommariamente la sua vita.

Giuseppe Ambrosoli nacque a Ronago, in provincia di Como, il 25 luglio 1923 da

Giovanni e Palmira Valli. Il padre era proprietario di una nota industria produttrice di miele.

Dopo le classi elementari a Ronago, Giuseppe frequentò il collegio “Calasanzio” dei padri

1 Si fa riferimento alla suddivisione in serie dell’ “Elenco dei documenti” che viene allegato.

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Page 3: Relazione storica

scolopi di Genova per poi terminare gli studi liceali presso l’Istituto “A. Volta” di Como. Nel

frattempo, era entrato a far parte di un gruppo denominato “Il Cenacolo”, “movimento”

avviato da don Silvio Riva per la formazione più approfondita di quei giovani che già

appartenevano all’Azione cattolica.

Il 27 marzo 1944 fu arruolato a Como nell’esercito e trascorse il successivo mese

all’ospedale militare di Baggio, in provincia di Milano, nella reparto Sanità. Fu poi mandato

in Germania nel lager di addestramento di Henberg dove rimase dal 26 aprile all’8

dicembre 1944. Nei successivi mesi invernali venne spedito nei paesi del Parmigiano,

mentre tra marzo-aprile del 1945 fu all’ospedale militare di Berceto (Parma) (serie V – 9).

Su questo periodo, di grande importanza è la dichiarazione di don Carlo Barcelli,

cappellano militare della divisione “Italia”, che fu con l’Ambrosoli in Germania e in Italia dal

maggio 1944 all’aprile 1945. Egli scrisse che Giuseppe «ha sempre tenuto ottima

condotta morale e religiosa, con frequenza quotidiana dei santi sacramenti, e non ha

contratto impedimenti che gli vietino di farsi religioso nella congregazione missionaria dei

Figli del sacro Cuore di Verona» (serie II – 12, 2 dicembre 1951).

Terminata la guerra, l’Ambrosoli riprese gli studi universitati di medicina e dopo la

laurea nel 1949 si presentò al superiore generale dei Comboniani di Rebbio (Como),

accompagnato da don Silvio Riva, per diventare prete missionario. In quell’occasione,

sempre don Carlo Barcelli scrisse al superiore dei Comboniani: «non faccia tardare

l’ammissione dell’ottimo giovane dottor Ambrosoli al noviziato» (serie II – 11, 2 dicembre

1951).

Conseguita la specializzazione in medicina tropicale presso il Tropical Institut di

Londra, durante il noviziato praticò la chirurgia generale e ostetrica nell’ospedale di

Tradate (Varese) e di Lendinara (Rovigo).

Nel 1955 fu ordinato sacerdote dall’arcivescovo di Milano, cardinale Giovanni

Battista Montini.

Un anno dopo, raggiunse la missione di Kalongo nel nord-Uganda, più

precisamente nell’East-Acholi, in prossimità della zona abitata dai Karimojong (questi

ultimi spesso sconfinavano facendo razzie nei villaggi e provocando vittime e distruzioni).

L’odio tribale si perpetuava da generazioni. Lì padre Giuseppe rimase per tutta la vita (dal

1956 al 1987).

Al suo arrivo a Kalongo trovò funzionante un piccolo centro di maternità e un

dispensario con trenta letti (serie IV – 23) che trasformò in un ospedale provvisto di gran

parte dei servizi specialistici. Diede vita anche a una scuola per ostetriche che prepara

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Page 4: Relazione storica

alla professione le ragazze locali con il rilascito di un diploma riconosciuto dal governo

(serie IV – 5).

Presentiamo brevemente l’opera svolta da padre Ambrosoli in Africa. Nel 1972 il

ministero della sanità gli affidò la direzione della Leprosy control di cinque distretti dove

erano già registrati circa 8000 malati di lebbra. Un medico dell’ospedale di Kalongo ebbe

dall’Ambrosoli la gestione diretta. Nel corso degli anni abilitò all’esercizio della chirurgia

generale e ostetrica un buon numero di medici (non meno di dodici), che diressero poi

quasi tutti il reparto chirurgico, o anche tutto l’ospedale, in diverse nazioni del Terzo

mondo. Durante le sue vacanze in Italia frequentò sale operatorie di varie specialità,

cosicché, oltre alla chirurgia generale e ostretica già acquisite, divenne un sicuro

traumatologo, oculista e chirurgo toracico per le emergenze. La fama dell’ospedale di

Kalongo non rimase dentro i confini dell’Uganda tanto che vi giungevano pazienti

provenienti dal Sudan e dal Kenia (serie IV – 15, 1986 circa).

Per completare il quadro biografico di padre Giuseppe non si può tralasciare di

fornire alcune indicazioni sulla situazione politico-sociale in cui si trovò a vivere e che lo

portò, nel 1987, alla morte. Già alcuni anni prima, all’inizio della settimana santa del 1983,

i Karimojon, ricordati sopra, diedero il via a nuove razzie contro gli Acholi prendendo

d’assalto prima Patongo e Adilang, poi Kalongo. Il 10 aprile, domenica in Albis, arrivarono

fino alla missione sparando colpi di fucile e lanciando bombe. Per tutto quel giorno, il

personale dell’ospedale fu impegnato nel soccorrere i feriti. In una relazione su quanto

avvenuto padre Ambrosoli scrisse: «Eppure in chi sperare, a chi rivolgerci se non a quel

Cristo che prima di noi aveva subito ingiustamente persecuzione e morte per salvarci e il

cui sacrifico si stava rinnovando ancora oggi su quell’altare?» (serie IV – 14).

Ma è nel febbraio del 1987 che la situazione degenerò in seguito alle lotte politiche

e sociali che travagliarono l’Uganda dal luglio 1985 quando le truppe di Tito Okello

occuparono la capitale. La missione di Kalongo fu chiusa «dopo 53 anni di lavoro

missionario, di evangelizzazione, di promozione umana a tutti i livelli, in particolare in

campo educativo, sanitario o nella preparazione di ostetriche qualificate». Il 7 febbraio il

comandante di brigata dell’esercito di resistenza nazionale (N. R. A.) informò tutti gli

europei che dovevano lasciare Kalongo e trasferirsi a Lira portando via tutto il possibile.

«Ancora increduli ci siamo ritrovati qualche minuto dopo per la messa vespertina del

sabato. Alla preghiera dei fedeli c’è stato un unico grido: “Signore, aumenta in noi la fede,

donaci forza per compiere la tua volontà, proteggi il nostro popolo, donaci la pace”» (serie

IV – 16, relazione di padre Ambrosoli, 20 febbraio 1987). Lunedì 9 partiva un primo

convoglio di quattro camion, due suore, un padre e il dottor Tacconi con la famiglia. Il 13

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Page 5: Relazione storica

febbraio tutti quanti erano rimasti a Kalongo dovettero lasciare la missione in direzione di

Lira. Come ultimo gesto, padre Ambrosoli si diede da fare per permettere il

proseguimento della scuola di ostetriche, trasferendo i corsi nell’ospedale missionario di

Angal, a nord-ovest dell’Uganda. A questo proposito, padre Francesco Pierli, superiore

generale dei Comboniani, scrisse all’Ambrosoli il 16 marzo 1987: «il sacrificio e il

trambusto che questo spostamento di studentesse ha comportato è un ulteriore segno del

tuo amore agli Ugandesi e al popolo in generale» (serie IV – 17). Successivamente, padre

Giuseppe volle tornare a Lira «per lasciare tutte le cose a posto e per smistare tutto quello

che era riuscito a salvare dall’esodo forzoso dall’ospedale di Kalongo» (serie IV – 16).

Domenica 23 marzo 1987, l’Ambrosoli cominciò a non stare bene. Si pensava di

portarlo a Lachor, ma non fu possibile a causa della guerra. Grazie alla somministrazione

di antibiotici verso mercoledì la febbre diminuì. Giovedì sera, però, la situazione si

aggravò: «Nulla faceva prevedere la sua prossima fine e non c’erano in lui segni di

affaticamento (come ha detto padre Cona che per anni era stato per lui la persona che

con autorità lo teneva a freno). Indubbiamente aveva sempre mascherato il suo stato

d’animo e il suo morale depresso dopo essere stato costretto ad abbandonare l’ospedale

di Kalongo e tutta la sua gente. Oltre al fatto renale è di certo intervenuto un affaticamento

da stress del cuore ed è proprio il cuore che ha ceduto ad un certo punto della sua

malattia» (serie IV – 18). Con le parole – «O Dio mio che sia fatta la tua volontà» (serie IV

– 18) – padre Ambrosoli concluse la sua vita terrena. Troppo tardi giunse l’elicottero che

avrebbe dovuto portarlo a Gulu con la possibilità di mandarlo subito in Italia.

«Tutti i Comboniani d’Uganda ringraziano di avere avuto padre Giuseppe che è

stato per tutti loro un esempio edificante per l’amore ai poveri ed al prossimo, e mandano

a tutti noi, sconvolti e afflitti per quello che è successo, le loro condoglianze. Dio lo ha

voluto e sarà di certo un segno di pace per tutta l’Uganda» (padre Egidio Tocalli a padre

Vittorino Cona, provinciale d’Uganda, 28 marzo 1987, serie IV – 23).

Nel pomeriggio del 28 marzo si svolsero i funerali celebrati dal vescovo diocesano

e da alcuni sacerdoti comboniani e diocesani, alla presenza di una folla numerosa. La

salma, secondo il desiderio di padre Giuseppe, è stata tumulata nel cimitero di Lira (serie

IV – 19).

Suor Romilde e le altre suore di Kalongo scrissero nella relazione sugli ultimi giorni

di padre Ambrosoli: «Siamo fiduciosi che padre Giuseppe, vittima eletta della carità più

disinteressata, aiuterà l’Uganda a ritrovare la pace e la concordia, quella che fiorisce dalla

tomba del Risorto» (serie IV – 24).

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Page 6: Relazione storica

3) Testimonianze – fama di santità

In questa sezione sono stati inseriti tutti i documenti in cui si fa riferimento alle virtù

dell’Ambrosoli, alla sua “santità”, ma anche i documenti che dimostrano come in questi

anni non sia venuto meno il suo ricordo. Si è deciso, infatti, di non presentare due sezioni

separate, quella delle testimonianze e quella della fama di santità, essendo apparso

spesso impossibile per un documento decidere se inserirlo in una piuttosto che nell’altra

sezione: le testimonianze di quanti hanno conosciuto padre Giuseppe costituiscono la

prima e fondamentale attestazione della sua fama di santità.

Per questo sono qui raccolte sia le testimonianze di quanti in vario modo hanno

conosciuto il prete missionario (testimonianze o lettere-testimonianze), sia documenti in

memoria dell’Ambrosoli, articoli di giornali, testi di prediche in suffragio, ecc., che

mostrano la continuità della fama di santità. Più precisamente:

- Articoli di giornale pubblicati all’indomani della morte.

- Necrologi (es. «dopo una vita trascorsa santamente», da «La Provincia», 28 marzo

1987, serie VII – 5).

- Telegrammi e lettere di condoglianze (es. padre Francesco Pierli, superiore generale

dei Comboniani, 28 marzo 1987: «crediamo di avere ora un santo che alla destra di

Dio ci accompagna […]», serie VII – 6; lettera di Giovanni Battista Cesana, vescovo di

Verona, a padre Palmiro Donini, 25 aprile 1987: «Ha chiuso la sua santa vita con la

domanda di essere seppellito in Uganda e il suo funerale fu un trionfo di fede e di

amore. Padre Ambrosoli fu un vero apostolo di carità, di amore, di dedizione per tutti.

Fu un grande esempio per tutti noi missionari», serie VII – 48).

- Testimonianze, scritte nei mesi successivi alla morte, di padri comboniani, di suore

comboniane, di medici che lo hanno conosciuto in missione, di volontari, di amici, ecc.

(es. Luciano Terruzzi, medico, 28 aprile 1987: «[…] forse non mi è mai capitato di

raccogliere testimonianze tanto elevate come ho visto risplendere in padre Ambrosoli.

Mai un momento di ribellione o di sconforto, mai un atteggiamento di critica o di

intolleranza verso chi pure l’avrebbe meritato. L’accettazione della malattia in totale

serenità, l'umile pazienza, la fedeltà ai fastidiosi periodici controlli, senza alcuna ansia

per se stesso, ma con la sola preoccupazione di poter continuare a servire il prossimo,

mi conducono a formulare una conclusione: c’era in padre Giuseppe, solido e

compatto, tutto quel tessuto di equilibrio, di virtù umane e di coerenza ai principi della

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Page 7: Relazione storica

fede in Dio che è Amore, della carità per il prossimo che soffre e della speranza di un

mondo più giusto, sul quale tessuto non può non disegnarsi il ricamo di un’eroica

santità», serie VII – 53).

- Testimonianze scritte un decennio dopo la morte dell’Ambrosoli in vista dell’apertura

della Causa di beatificazione.

Oltre agli accenni appena fatti di alcune testimonianze, è sembrato opportuno

dedicare maggior spazio alla testimonianza di Palmiro Donini, sacerdote e medico, che

conobbe padre Giuseppe nel 1963 in occasione del suo primo viaggio in Africa. L’anno

successivo si trasferì presso la missione di Kalongo. Oltre a lettere e appunti padre Donini

è autore di un libro su Giuseppe Ambrosoli.

Per quanto riguarda la fama di santità prima della morte, significativa è la sua

testimonianza scritta nel novembre del 1986, quattro mesi prima della morte

dell’Ambrosoli, su richiesta di padre Lorenzo Gaiga in vista di un futuro necrologio. Padre

Donini – che precisa all’inizio: «scrivo ben lontano (almeno spero) dalla situazione in cui si

è portati a dir bene degli altri per l’accresciuto affetto generato dal dolore del distacco» –

ricorda le virtù che hanno caratterizzato la vita di padre Giuseppe, virtù che gli derivavano

dalla fede e dalla «sua pratica religiosa profondamente convinte» (serie VII – 2).

Dopo la morte dell’Ambrosoli, padre Donini tracciò un breve profilo della figura

dell’Ambrosoli facendo un parallelo con le beatitudini. Ci sembra utile riportarlo per

presentare in modo generale, e nello stesso tempo il più possibile completo, la figura del

servo di Dio: «Prego considerare quella riflessione [...] fatta sulla scorta delle beatitudini da san Matteo

come più che fondata sul suo comportamento. Infatti:

era da tutti notato quale missionario che viveva nella povertà. Chi non lo conosceva pensava

che fosse avaro o tirchio che dir si voglia. Era rigorosissimo con se stesso. Magnanime con

gli altri cui dava il doppio di quello che gli si chiedeva. Attentissimo a non sprecare e ad

utilizzare tutto quanto era riciclabile. Così pure ad amministrare nel modo più intelligente le

offerte che gli provenivano sopratutto dai privati. Sopratutto nel senso che da enti od

associazioni fino agli ultimi tempi non aveva avuto nulla eccetto che la perforazione di un

pozzo e il serbatoio dell’acqua. Ma la nuova pediatria, chirurgia, sala operatoria, padiglione

per Tbc, reparto privati, vennero costruiti senza il contributo di enti eretti allo scopo (e come

dico altrove, tutte queste costruzioni, accettando consigli di altri - se glieli davano -

progettava tutto lui, aumentando il suo lavoro).

gli afflitti … che saranno consolati! Fu un’altra sua caratteristica quella di non chiedere

consolazione a gente qui sulla terra. Da notare che era sensibilissimo a quanto poteva far

soffrire, soprattutto, spiritualmente.

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Page 8: Relazione storica

Beati i miti = so che alle volte aveva diritto di ottenere questo o quello, non per lui

naturalmente, ma per le grandi necessità dell’ospedale: se appena notava che c’era da

“litigare” per ottenere, cedeva per quanto alle volte noi lo esortassimo a perseguire lo scopo

contrastato. Preferiva cedere. L’avevo visto leggere il libro della LUBICH: “l’arte di perdere”

che apprezzò almeno credo.

i misericordiosi : anche qui. Non faccio aggiustamenti per “farlo rientrare” Quanto discutere

alle volte per decidere sanzioni contro chi s’era comportato male e quanta misericordia da

parte sua!

i puri di cuore : se entrava una suora nella sua stanza la porta doveva essere aperta. Se

visitava le donne doveva avere la nurse nell’ambulatorio. L’approccio al malato era sempre

fatto nel rispetto di quel senso di riservatezza che anche il malato certamente apprezzava.

Se qualche frase equivoca, nel senso della scurrilità, veniva pronunciata, lui non rideva,

anche se [...] [doveva] [...] astenersi da un “coro” di risata”.

operatori di pace : mai il pettegolezzo, piuttosto il consiglio della conciliazione (mi ricordo un

caso che non posso certo esporre apertamente, ma interrogato se al mio posto non “avesse

rotto i ponti”, “neanche per idea. Andrei avanti e… buonanotte” mi disse). Ricordo che

credetti che lui non avrebbe rotto i ponti, ma mi chiedevo: ma come farebbe! Non pensavo

alla profondità delle sue soprannaturali fondamenta! Se gli rendevano noti certi

comportamenti disdicevoli di qualcuno, non a scopo di pettegolezzo ma per la ricerca di

buone soluzioni, cominciava col dire: “Non c’è difetto che noi rimproveriamo agli altri che

anche noi non accettiamo!”. Facevo un rapido esame di coscienza e me ne andavo come…

quelli che volevano lapidare l’adultera…

quelli insultati : la sua cordialità, amabilità, disponibilità con tutte le altre virtù

abbondantemente rappresentate in lui, non gli potevano attirare opposizioni od inimicizie od

insulti. Ma negli ultimi tribolati difficilissimi tempi di Kalongo venne pesantemente accusato

ed insultato da gente che non aveva capito nulla della funzione di carità che il suo ospedale

rendeva a tutti. E venne insultato. Ebbene anche questa occasione fu per lui motivo di

beatitudine. Infatti chi si mantenne sereno, chi volle leggere in quella tristezza la

Provvidenza amabile di Dio fu proprio lui, che espresse per scritto questa ricerca animata

dalla certezza della presenza della mano benefica di Dio» (serie VII – 78).

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Page 9: Relazione storica

GLI SCRITTI DI PADRE GIUSEPPE AMBROSOLI

Sono gli scritti di padre Giuseppe che ci permettono di conoscere in profondità, per

quanto possibile, la sua figura spirituale. A questo proposito, insieme a una breve analisi

di essi, verrano riportate alcune sue frasi come tentativo di far emergere ancor più

chiaramente la sua figura.

1) Quaderni e appunti spirituali

Tre sono i diari spirituali di padre Giuseppe, due relativi agli anni giovanili, prima

dell’entrata nella Congregazione dei Comboniani (1946-1948, 1949-1951 con allegato del

1947), uno iniziato al momento dell’entrata in seminario e conservato fino a poco prima

della morte.

In essi si trovano principalmente appunti riguardanti le meditazioni degli esercizi

spirituali cui l’Ambrosoli prese parte. All’interno si trovano spesso anche i “propositi” che il

servo di Dio faceva per la sua continua conversione: sono essi, in un certo senso, la parte

più importante di questi diari, in quanto mostrano la costante coscienza delle sue

mancanze e nello stesso tempo la consapevolezza che solo nel Signore vi è possibilità di

salvezza.

2) Lettere

Le lettere di padre Ambrosoli che si conservano furono scritte nella quasi totalità

dopo la sua entrata nella Congregazione dei Comboniani, e di queste la maggior parte si

riferiscono agli anni della missione a Kalongo.

Del periodo della giovinezza rimangono alcune lettere che l’Ambrosoli inviò a

Virgilio Somaini, suo amico e compagno del gruppo “Il Cenacolo”. Pur essendo poche,

questi scritti rivestono una notevole importanza nel far emergere, ancor prima di quella

che diventerà la sua vocazione definitiva, ciò che per Giuseppe Ambrosoli era importante

nella vita. Il 27 dicembre 1947 scriveva all’amico Virgilio:«Ora tocca a me farti gli auguri per il prossimo anno: auguri non come quelli che si fanno la

maggior parte degli uomini nella speranza di beni terreni; ma il nostro augurio reciproco

deve essere improntato nella speranza di realizzare frutti spirituali, ad una grande

confidenza nel Signore, all’accettazione della sua volontà, ad un fortissimo desiderio della

sua gloria! Caro Virgilio ci trovi e ci veda il prossimo anno sempre uniti dagli stessi intenti di

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Page 10: Relazione storica

bene e di apostolato, nello stesso lavoro per l’Azione cattolica, nell’unanime, fervido,

generoso amore col Cristo! Ecco come voglio intendere l’augurio sincero che ora ti rivolgo.

[…] Dobbiamo sentire il bisogno di lavorare di più per il Signore perché questo è ciò che

conta nella nostra vita: tutto il resto è passeggiero, è nulla, quando non è poi nocivo. […] E

nella preghiera stiamo sempre uniti. Troviamoci al mattino ai piedi dell’altare ricordandoci

reciprocamente al Signore» (serie V – 81).

E qualche mese prima:«Dobbiamo metterci d’accordo per lavorare un poco di più per il Signore. Fino adesso son

volate per l’aere solo parole, ma la luce del sole ha potuto vedere pochi (o niente) fatti. Non

pensare che parli solo a te (per carità!). Queste cose prima le dico a me ed a me le devo

rimproverare; poi di rimbalzo potrebbero interessare anche te. Ma son io che debbo tremare

per primo pensando ai miei talenti che (anche se pochi) tengo nascosti sotto terra e dei quali

dovrò rendere esatto conto a chi è misericordia infinita, ma anche giustizia. Caro Gino,

preghiamo insieme e preghiamo tanto perché il Signore possa costruire sulla rovina delle

nostre miserie, colla sua grazia, la sua opera» (serie V – 83).

Tutta la sua vita non fu poi altro che un lavorare per portarsi «sempre più vicino a

Lui, il Cristo» (lettera a Virgilio Somaini, 21 novembre 1946, serie V – 79).

È quanto testimonia l’epistolario dell’Ambrosoli, il quale dedicava tutto il poco

tempo che gli rimaneva dopo il lavoro in ospedale, dopo la sua missione di prete e dopo il

tempo dedicato alla preghiera, mantenere la corrispondenza: «[…] sono da quattro

settimane a letto per una nefrite. Ora però sto già bene. Mi tengono a letto (eccetto

qualche scappatina al tavolino per qualche lettera) per prudenza e nella speranza che il

male guarisca e completamente. Anche questa dobbiamo prenderla dalla mano di Dio»

(lettera a Piergiorgio Trevisan, 17 settembre 1982, serie V – 93). Era comunque sempre

poco il tempo che poteva dedicare a questo compito: «Resta il guaio della corrispondenza

che si ammassa in attesa» (lettera a Piergiorgio Trevisan, 30 settembre 1981, serie V –

91). E un mese dopo: «Qui abbiamo avuto mesi di intenso lavoro. La mia corrispondenza

è in un arretrato spaventoso. Non so letteralmente più come fare. Ma ringrazio sempre il

Signore che il lavoro sia tanto, perché siamo qui proprio per questo ed è attraverso al

lavoro medico che possiamo arrivare all’anima di tanti malati… In questi paesi la pastorale

passa quasi sempre attraverso il corpo» (Lettera a Piergiorgio Trevisan, 25 novembre

1981:serie V – 93).

Rimandiamo al capitolo successivo per conoscere alcuni elementi della figura

spirituale del servo di Dio.

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LA FIGURA SPIRITUALE DEL SERVO DI DIO

a) Senso di Dio

Profonda fu la consapevolezza in padre Giuseppe che con la grazia di Dio tutto

era possibile. Poco prima di entrare nel seminario di Gozzano i Gozzano, scrisse a padre

Leonzio Bano: «Sono certo che il Signore mi aiuterà a superare ogni ostacolo prima e poi,

e di potere colla sua grazia dedicare tutta la vita alla causa missionaria per l’avvento del

suo Regno» (serie V – 3, 23 settembre 1951). Qualche giorno dopo, l’8 ottobre 1951, al

maestro dei novizi, padre Giovanni Giordani, scriveva: «Penso, però, purtroppo, che

metterò un po’ a repentaglio la sua pazienza perché, pur lasciando a casa tante cose, non

potrò certo lasciare il cumulo di tare e difetti miei. Verrò col desiderio di mettermi a

cercare e fare la volontà del Signore in tutto, ma so di avere tanti difetti, incapacità, e

forse una mentalità poco ortodossa per le abitudini della vita nel mondo» (serie V – 7).

In quasi tutte le lettere, poi, scritte durante la sua missione a Kalongo emerge la

profonda fiducia che padre Ambrosoli rimetteva nella Provvidenza. Durante un periodo in

cui la situazione in Uganda era difficile e nessun visto veniva concesso ai missionari, ai

sacerdoti, ai medici, alle infermiere e agli insegnanti, egli poteva scrivere agli amici della

Caritas di Bologna, il 4 marzo 1973: «con tutto questo andiamo avanti disposti a lavorare fino all’ultimo giorno, sapendo che

questa nostra gente ha ancora tanto bisogno di noi. Siccome non lavoriamo per il nostro

interesse continuiamo aspettando che la Provvidenza ci venga incontro a mettere a posto le

cose. […] Anche questo nostro lavoro in questo momento difficile andrà a gloria di Dio. Mi

pare che sia proprio questo il momento buono per fare vedere che non lavoriamo per il

nostro interesse. […] Mi pare che questo sia per noi più che il momento di chiedere aiuti

economici quello di chiedere aiuti spirituali perché il buon Dio salvi la cristianità ugandese. A

noi nello nostre viste umane pare che questo sia concesso con la salvezza delle nostre

missioni, ma a Dio dobbiamo chiedere che cerchi Lui ciò che è veramente meglio secondo le

sue viste. […] Ad ogni modo ci sentiamo più che mai nelle mani di Dio ed andiamo avanti

come nulla fosse cercando di purificare la nostra intenzione e nonostante tutto trovando in

Dio la forza di continuare con serenità» (serie V – 103).

Per testimoniare questo suo profondo senso di Dio riportiamo alcuni stralci di

lettere:

- Nella lettera a padre Antonio Todesco, datata 2 marzo 1958, l’Ambrosoli faceva

presente le difficoltà finanziarie che la missione stava attraversando, ma aggiungeva: «Ad

ogni modo la fiducia nella Provvidenza non manca ed in qualche modo si andrà avanti»

(serie V –16).

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- «Che il buon Dio ci aiuti per il futuro che pare di prevedere assai difficile» (serie V – 18,

lettera a padre Gaetano Briani, 8 ottobre 1962).

- Lettera alla madre superiora del monastero della Carmelitane scalze di Parma, 10

agosto 1975: «L’unica cosa che ci sostiene è la fiducia nella Provvidenza» (serie V –

127).

- Lettera al dott. Giovanni Purgato, 11 dicembre 1975: «Qui non ci sono grandi notizie.

Andiamo avanti sperando nella Provvidenza» (serie V – 72).

- Lettera a Irma Domenis, 24 dicembre 1980: «Quest’anno abbiamo tribolato molto e non

è ancora finita. Ad ogni modo speriamo che il buon Dio ci aiuti. Chiedo anche a te una

preghiera» (serie V – 29).

- Padre Giuseppe era consapevole che il problema più importante in Uganda non era

quello economico: «Che il Buon Dio ci aiuti! Intanto andiamo avanti pregando e

sviluppando la virtù della speranza e fiducia nella Provvidenza» (serie V – 5, 30 agosto

1981).

- Lettera alla Caritas di Bologna, 28 settembre 1982: «Ad ogni modo la cosa più bella è di

essere preparati a vedere in tutte queste cose la volontà di Dio. Anche l’inattività forzata,

vista dall’alto non ha nulla di triste ed il periodo di malattia è certo un periodo di grazia»

(serie V – 117).

- Lettera a suor Anna Fumagalli, 30 dicembre 1983: «La ringrazio soprattutto per avere

continuato a pregare. Il Signore mi ha tanto aiutato in questo periodo. Comincio a capire

che il più importante è fare la sua volontà. Il resto è niente. Quanto tempo perdiamo per

cose inutili nella vita! Ho ripreso la mia vita, a ritmo più calmo. Sono qui da sei mesi. Mi

sono ammalato ancora tre volte (per una settimana). Anche a Natale ero a letto, ma ora

sto guarendo e spero in Gesù di poter continuare, se lo vorrà» (serie V – 47).

- Lettera a Irma domenis, 17 agosto 1984: «Io vado avanti abbastanza bene, ma non

sono più quello di prima. Ogni tanto mi salta addosso qualche male. Il mese scorso ho

fatto due settimane a letto per una sciatica per cui non riuscivo più a stare in piedi. Ora va

meglio e sto riprendendo il lavoro. Sarà in ogni modo quello che Dio vuole e questo è

sempre una cosa bellissima» (serie V – 31).

- Lettera a suor Santina Pelizzari, 19 agosto 1986: «Certo se li guardiamo collo sguardo di

Cristo i nostri piccoli guai non ci preoccupano più, ma diventano fonte di apostolato e

martiri» (serie V – 64).

- Lettera a padre Donini, 30 novembre 1986: «Non pensare per noi. In qualche modo con

l’aiuto di Dio ce la caveremo sempre. A noi basta che tu preghi. […] Ti faccio carissimi

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auguri per la tua operazione ed anche per Natale. Sii certo della nostra preghiera forte

forte per te» (serie V – 39).

- Lettera a padre Donini, 5 marzo 1987: «Il futuro è veramente imprevedibile. E’ certo che

è nella mano di Dio; e noi vorremmo sapere sfruttare tutto a nostra crescita nel suo

amore. Prega per noi che siamo tanto duri da non sapere fare frutto di simili occasioni

irrepetibili» (serie V – 42).

- Lettera a Mario Mazzoleni, 9 marzo 1987, dopo la chiusura della missione di Kalongo:

«Con un gran “magone” abbiamo dovuto abbandonare Kalongo. Ma il Signore è grande e

ci ha dato la forza d iaccettare tutto dalla sua mano. E’ questa anzi una occasione

meravigliosa per crescere e maturare spiritualmente e distaccarci da tante cose terrene.

Quindi ringraziamo di tutto il Signore» (serie V – 63).

- Lettera a Piergiorgio Trevisan, 22 marzo 1987: «Ti mando il ciclostilato della nostra triste

storia di Kalongo. Ora siamo esuli! E’ stata molto dura, ma il buon Dio ci ha aiutato e dato

la forza. Possa anche questo servirci per crescere nel suo amore e maturare

spiritualmente. Quello che Dio vuole non è mai troppo» (serie V – 95).

b) Vita di preghiera

Dalle lettere emerge poi un altro tratto della figura dell’Ambrosoli. Il profondo senso

di Dio che lo caratterizzava lo spingeva a cercarlo continuamente nella preghiera, tanto

che anche dopo una giornata di lavoro continua in ospedale, a notte inoltrata si metteva a

pregare: «Ora interrompo perché è mezzanotte e devo ancora pregare un poco … così

prego per loro!» (lettera alle signorine Rimoldi, 26 marzo 1982, serie V – 74). In uno dei

pochi periodi di riposo che si concesse, padre Ambrosoli poteva esultare per la possibilità

che gli era concessa di avere più tempo per la preghiera, come scrisse alle signorine

Rimoldi, il 12 maggio 1982: «Scrivo da Patongo, una missioncina a 30 Km da Kalongo

dove mi trovo per fare due settimane di riposo approfittando che un medico mi sostituisce

a Kalogo. E' un posticino quieto, niente di bello, in pianura, piove quasi continuamente,

così me ne sto quasi sempre in camera a scrivere un po’ di lettere. Ha però il gran

vantaggio di avere la chiesa che comunica colla casa dei padri e la porticina interna è

aperta giorno e notte» (serie V – 75).

Anche quando le sue condizioni di salute lo costringeranno a ridurre i tempi di

lavoro in ospedale, ciò che lo rendeva lieto era proprio la possibilità poter pregare di più,

come testimonia la lettera a padre Salvatore Calvia dell’11 giugno 1983: «Grazie a Dio sto

meglio, anche se i risultati di laboratorio sono sempre un po’ severi ed indicano che la

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ripresa non è completa. E’ già una grande grazia poter tornare in missione e cercherò di

essere prudente in modo da poter continuare nel lavoro anche se a ritmo ridotto. L’idea

non mi dispiace completamente perché vorrà dire che troverò il tempo di pregare durante

il giorno» (serie V – 6).

La preghiera era per padre Ambrosoli il modo più semplice per poter capire quale

era la volontà di Dio: «La nostra situazione rimane sempre tesa… siamo bloccati in

missione, la nostra gente vive di stenti e di sofferenze… L’imprtante per noi è riuscire a

fare di questa situazione una occasione per fare meglio la volontà di Dio e per unirci di più

a Gesù. La cosa non è sempre facile a capirsi, ma dicendo il rosario e meditandone i

misteri ci si arriva facilmente… Prega tanto per noi» (lettera a suor Santina Pelizzari, 29

dicembre, 1986serie V – 65).

Lettera alle signorine Rimoldi, 26 settembre 1983: «Grazie di tutti i consigli per la

salute. Cerco di stare attento e di essere prudente. Qualcosa però devo pur fare. Ho

anticipato l’orario di andare a letto alla sera, ma il pregare a letto non è mai così bello

come passeggiando di notte sotto il cielo stellato … di Dio» (serie V – 77).

c) Carità e sacrificio

La consapevolezza di dipendere in tutto da Dio, compimento della propria vita, che

nella preghiera trovava il continuo sostegno, spinse padre Giuseppe Ambrosoli a una

carità e a un sacrificio già evidente negli anni della giovinezza. Per questo sapeva che la

prima carità – dalla quale derivano tutte le altre – è quella di far conoscere Cristo e di

seguirlo nel cammino di fede.

Un esempio è quanto emerge da due lettere scritte, durante gli anni del “Cenacolo”

all’amico Virgilio Somaini : «Domenica scorsa (ultima giornata del corso ad Uggiate)

abbiamo passato una lieta giornata, costruttiva ed edificante; però nel mio cuore c’era una

piccola ombra, ed era questa, il pensiero, anzi l’amara constatazione della tua assenza.

Dovrei tirarti le orecchie, ma non sono capace e non ne ho l’autorità. Dovrei piuttosto

cercare il trave nel mio occhio! […] Per questo son certo di concludere di più assicurandoti

che questa sera prenderò in mano la corona e la sgranocchierò per te» (11 maggio 1947,

serie V – 84). Qualche giorno dopo richiamava ancora l’importanza di non trascurare la

propria formazione:«Quest’oggi nella giornata lieta e serena di studio e meditazione, ma anche di gioia e

festosità, la giornata del Cenacolo, ho sentito tanto la tua mancanza. […] Ho sentito, in

poche parole, il timore che tu possa venir meno nella nostra unione intima, spirituale, unione

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al Cristo nostro fratello e maestro. […] Mi ha detto Afro che stai studiando per un esame. So

che cosa significa aver esami, perché ne ho anche io uno la settimana prossima. Anche gli

esami sono un mezzo per rendere gloria a Dio ed è soprattutto per questo scopo che

dobbiamo aspirare alla buona riuscita anche in questi. Ma a che servirebbe, caro Gino,

cercare di dar gloria a Dio in un esame quando per questo perdiamo delle ore preziose per

la nostra formazione, ore preziose per il rinvigorimento della nostra vita interiore? Ti prego di

sentire con me questo pensiero, così, nella sua limpida semplicità. L’apostolato nell’Azione

cattolica, è vero, caro Gino, non dà onori, no fa carriera, non dà benefici materiali, non dà

riconoscimenti esteriori, non suscita ricompense terrene da parte degli uomini; è vero, e

questo pensiero potrebbe essere terribile nel momento della prova, della crisi, dello

sconforto. Ebbene, nel ragionamento sereno, alla luce della grazia, è proprio questo

pensiero che ci dà conforto, che ci fa abbracciare con maggior entusiasmo il nostro ideale,

che ci fa amare maggiormente il nostro apostolato, che ce lo apprezzare, e desiderare e ce

lo fa sentire in tutto il suo fascino» (serie V – 85).

La carità che connotava l’agire di padre Giuseppe si approfondì negli anni della

missione. Era per questa carità che si sacrificava continuamente nel suo lavoro

all’ospedale, mettendo in secondo piano anche gli affetti familiari. Infatti, invitato da padre

Tarcisio Agostoni a fare ritorno in Italia per le condizioni della madre, padre Giuseppe fece

sapere che era impossibilitato a muoversi in quanto non c’era nessuno in quel momento

che poteva sostituirlo in chirurgia: «L’ospedale ha un impegno serio verso la vita di chi vi

accorre ed in coscienza non posso lasciare il posto gravemente scoperto per una ragione

familiare». (serie V – 1, 12 giugno 1977). Dopo aver parlato con il fratello Francesco e

aver appreso che non c’era urgenza per una sua venuta, decise che si sarebbe recato in

Italia al ritorno di un medico che poteva sostituirlo.

All’amico Piergiorgio Trevisan, in una lettera del 30 settembre 1981, scrisse :

«Felici di sacrificarci per questa nostra gente» (serie V – 91).

d) La virtù dell’umiltà

Padre Giuseppe Ambrosoli aveva una profonda coscienza del cammino di

conversione che doveva compiere. Poco prima della sua entrata nella Congregazione, il 5

ottobre 1951, scrisse a padre Leonzio Bano: «Purtroppo so che non potrò fare a meno di

portare tutto il cumulo delle mie tare e difetti. E penso che i superiori avranno bisogno di

esercitare molto la loro pazienza con me! Però, spero, coll’aiuto di Dio, di non essere più

di danno che di vantaggio» (serie V – 4).

Numerose sono le testimonianze che sottolinenano quanto fosse radicata in padre

Ambrosoli la virtù dell’umiltà:

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- Lettera di Palmira Ambrosoli a «signora», 20 aprile 1963: «credo che nella sua grande

modestia, quando avrà saputo del premio2 conferitogli, non si sarà creduto degno» (serie

Iv – 3).

- Lettera circolare di padre Egidio Tocalli, 31 marzo 1987: «Ricorderò sempre la sua

pazienza e sorriso, la sua resistenza alla fatica in sala operatoria e la sua serietà e

competenza professionale. E soprattutto porterò nel cuore tanti esempi della sua umiltà e

voglia di nascondersi e minimizzare i suoi meriti, e tutta quella voglia di servire a tavola,

anche se era stanco dopo tante ore di lavoro. Quelle ore che passava in Chiesa, assorto

col suo Dio, sono la chiave di spiegazione di tutto» (serie VII – 20).

- Lettera di suor Romilde Spinato a Mario Mazzoleni, 6 aprile 1987: «[…] come ha vissuto

è anche morto povero e distaccato da tutto. A Kalongo c’era tanto, ma lui non lo usava,

era tutto per gli altri e nulla per sé. […] Ha fatto una morte invidiabile da santo» (serie VII

– 42).

Molti altri aspetti si potrebbero aggiungere sulla personalità interiore del servo di

Dio, comunque ci è sufficiente annotare come il suo profondo senso di appartenenza a

Dio, medico misericordioso dei corpi e dello spirito, avesse portato padre Giuseppe

Ambrosoli a vivere in maniera unica e armonica la sua missione di prete e di medico,

come un tutto evangelizzante.

Il presidente della Commissione storica

don Saverio Xeres

dott.ssa Annalina Rossi

Como, 22 giugno 2001, Festa del Sacro Cuore

2 «Nel 1963 gli venne assegnato il premio “Missione del medico” con la motivazione: “… nel corso della sua attività ha compendiato la figura ideale ed eroica del medico con continuità di sacrificio e prestigio per la classe medica”» (serie IV – 5).

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Stato del noviziato, 31 dicembre 1951: «Pietà sentita, soda. Non è il tipo entusiasta però.

Sente una forte ripugnanza alle “regolette” dei novizi, però cerca di soffocarla e di

adattarsi. Difatti i novizi ammirano la sua osservanza e la sua semplicità.

Ha chiesto di potere fare catechismo; è sempre stata questa una sua passione. Pensa al

suo futuro apostolato, ma più che altro sotto l’aspetto della sua scienza medica» (serie III,

1).

Stato del noviziato, I teologia, 31 dicembre 1952: «Sempre di buon proposito sia nella

pietà che nell’osservanza delle sante regole e delle disposizioni.

Le piccole pratiche però […] gli pesano molto: però in tanto le fa, per obbedienza e per

educazione alla volontà, se non altro.

Sodo quanto ai principi, alla carità, la povertà» (serie III, 3).

Stato del noviziato, 30 giugno 1953: «Uomo maturo, il quale una volta deciso di prendere

una via buona marcia per quella senza rivoltarsi addietro, senza tentennamenti. […] Ha lo

spirito d’economia che potrebbe essere identificato, a questo punto del noviziato, con lo

spirito di santa povertà.

Molto solerte della salute altrui, più di loro stessi.

Spirito di sacrificio» (serie III - 4).

Cartella personale di G. Ambrosoli, al termine della teologia, 24 maggio 1956: «Nei tre

anni che fu a Venegono come teologo rifulse per pietà, carità, abnegazione, serietà,

spirito di disciplina, amore alle regole, a povertà» (serie III – 7).

Notizie informative per l’ammissione ai voti perpetui, 7 febbraio 1955:

«spirito di pietà profondo

pratica dell’obbedienza esemplare

pratica della povertà radicata

carità fraterna accentuata e sacrificata

virtù particolari da segnalarsi sacrificio, abnegazione, spirito di carità,

nonché preghiera

giudizio sull’ammissione o meno ai voti ottimo; ce ne fossero di tali scolastici»

(serie III – 11).

Notizie informative per l’ammissione ai voti perpetui, 25 giugno 1955:

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«giudizio sull’ammissione o meno ai voti ottimo» (serie III – 16).

Questionario per la preparazione di una scheda personale di attitudine e preparazione

professionale: osservazioni «direttore dell’ospedale. La sua vita sembra definitivamente

tracciata. A che pro’ un giudizio su di lui, la cui bonta è a tutti nota» (serie III – 21).

Lettera di padre Antonio todesco, superiore generale dei Comboniani, 13 febbraio 1958:

«permetta che la ringrazi anzitutto per la grande sua carità verso i confratelli» (serie IV –

2).

Verbale della riunione della Charitas di Bologna, 8 novembre 1971: «La sua esemplare

figura morale ed il suo esempio di apostolato a favore di chi soffre serviranno d’altra parte

a noi per rafforzare la nostra carica spirituale e la nostra comunione con il mondo

missionario» (serie IV – 4).

Scheda sull’opera di Giuseppe Ambrosoli in Uganda, 1986 circa: «amabilità che irradia

dalla sua persona: egli è sempre stato (a tutte le ore, in tutte le circostanze, anche le più

fatiganti per lui) a disposizione degli altri. Ne è prova la stima e l’affetto per lui da parte

degli ammalati, da parte dei medici. Di questi sia quelli che lavorano con lui all’ospedale,

sia quelli che vengono dall’Italia per un breve periodo di permanenza all’ospedale: in tutti

c’è e c’è stato il desiderio di ritornarvi» (serie IV – 15).

Lettera a Luigi e Ambrogina Donini, 10 agosto 1982: «Partecipo con cuore fraterno al

vostro dolore. Non dovete però lasciarvi abbattere dal vostro dolore. Graziella è andata

avanti dove noi pure speriamo di andare, e lavoriamo tutta la vita per questo. Il nostro

dolore cristiano è più forte, ma sereno nella speranza e nella attesa della futura riunione in

Dio» (serie V – 36).

Lettera a Piergiorgio Trevisan, 2 novembre 1980: «Da un paio di mesi sto facendo una

esperienza nuova sprituale approfondendo la spiritualità di De Foucault, attraverso gli

scritti di Voillaume. E’ sulla linea di san Paolo e porta direttamente a Gesù. L’unica

delusione è che quando chiedo a qualcuno se si è accorto che sono cambiato in bene, mi

sento rispondere di no! Ad ogni modo vivo molto più felice di prima, anche se c’è più

sacrificio» (serie V – 88).

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Page 19: Relazione storica

Lettera a Piergiorgio Trevisan, 26 marzo 1981: «Sto cercando di vivere la quaresima

secondo lo spirito di De Foucauld (da cui sono lontanissimo!) per arrivare un po’ più vicino

a Gesù nella sua via della croce. Ti chiedo una preghiera per l’anima di questo povero

peccatore».

Lettera a padre Ettore Pasetto, 3 ottobre 1983: «Ad ogni modo l’importante non è quanto

facciamo, ma come lo facciamo, e se lo facciamo per amore di Dio. Ora che ho preso la

legnata ai reni comincio anch’io a capire un po’ questo punto, che è essenziale nella

nostra vita religiosa. Lasciare che Gesù tiri via quello che crede e quel poco che ci lascia

fare, farlo solo per amore suo… Vede che bella predica, ma la scrivo per farla a me»

(serie V – 97).

Lettera alla Caritas di Bologna, 31 gennaio 1983 (in Italia, per curarsi): «Questo tempo mi

serve per pensare, per pregare ed accettare anche il dono della malattia dalle mani di Dio.

E’ un po’ l’”insuccesso amato” (per amore di Dio) di De Foucauld. E’ certo più facile dirlo a

parole e per questo vi chiedo una preghiera perché veramente possa accettare tutto

ringraziando il Signore proprio per ciò che è contrario alla nostra volontà» (serie V – 118).

Lettera alla Caritas di Bologna, 19 novembre 1983: «Mi pare di stare abbastanza bene e

spero che i reni resistano alla ripresa, sia pure parziale, del lavoro. Ad ogni modo

dobbiamo guardare in alto e pensare che in qualunque modo il nostro vero bene è nella

volontà di Dio e non nel successo limitato delle nostre intenzioni. Questo ci dà anche un

senso di serenità e gioia che purtroppo mancano in molti nostri fratelli in cui scarseggia la

fede. E’ solo una constatazione, ma non dobbiamo vantarcene perché è dono di Dio»

(serie V – 119).

Lettera alla Caritas di Bologna, 12 maggio 1985: «E’ proprio vero che il valore delle nostre

azioni non è dato dalla quantità e bontà esteriore, ma dal quantum di amore per Dio e per

i fratelli che ci mettiamo» (serie V – 121).

Lettera alla Caritas di Bologna, 1 maggio 1986: «Siamo da poco usciti da una brutta

guerra che ci ha fatto vivere un periodo di tensioni e preoccupazioni. L’Uganda ne esce

impoverita fisicamente e moralmente. C’è tutto da ricostruire e non sappiamo come sarà il

futuro. Meno male che sarà sempe come Dio lo vorrà per noi e quindi per il nostro meglio.

Siamo nel centenario dei martiri d’Uganda e ci aspettiamo da loro l’intercessione per

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questo paese. Tutti questi sconvolgimenti poi ci aiutano a sentire tutta la nostra

debolezza, la nullità delle nostre sicurezze umane e quindi capire che solo in Dio

dobbiamo porre le nostre speranze» (serie V – 122).

Lettera alle suore del monastero delle Carmelitane scalze di Parma, 7 settembre 1986:

«Passano gli anni e ciò che vale è quello che abbiamo fatto per il Signore ed in

proporzione all’amore con cui l’abbiamo fatto. In febbraio ho compiuto 30 anni di

missione. Prego il Signore di avere misericordia per tutte le mie mancanze di questi anni e

per tutte le volte in cui ho cercato me stesso invece che Lui. Chiedo a loro una preghiera

perché questa pianta tanto storta possa raddrizzarsi un po’ almeno verso la fine» (serie V

– 128).

Lettera testimonianza di padre Palmiro Donini, novembre 1986: «Utilizza […] tutti i ritagli

di tempo (salvo la prima osservanza dei tempi dedicati alle pratiche di pietà) per pregare.

Ai tempi prescritti dalla congregazione alla preghiera, molto spesso, almeno in questi

ultimi anni, passa parecchio tempo la sera dopo cena in chiesa presso l’altare del

Santissimo. Dove starebbe anche di più se l’esigenza che gli urge di offrite la sua ambita

presenza ai colleghi non gli rubasse del tempo. […]

Penso alla sua stima della pregiera: vi riserva i tempi consigliati dalla Congregazione

comboniana ai suoi religiosi e appena può ne aggiunge degli altri. In macchina al volante,

tolto il dovere di rispondere a qualcuno che gli parla, prega. Se sentito il segnale di andare

a mensa si accorge poi che manca qualche minuto per mettersi a tavola, non si perde in

chiacchiere, prega passeggiando in cortile.» (serie VII – 2).

Lettera testimonianza di padre Palmiro Donini, novembre 1986: «Una suora mi disse […]

che al comando di chiudere Kalongo, chi fra tutti e tutte mantenne un atteggiamento

calmo e di padronanza della situazione fu proprio lui. […] Non esito ad interpretare la sua

apparente “fredda” reazione pensando all’ottica con cui guardava gli avvenimenti tristi:

l’ottica della fede, quindi al modo sovrannaturale di giudicare gli avvenimenti. Ne è prova

quanto mi scrisse circa un mese dopo: “il futuro è veramente nelle mani di Dio, e noi

dovremmo sapere sfruttare tutto a nostra crescita nel suo amore» (serie VII – 2).

Testimonainza di padre Vittorino Cona, 28 marzo 1987: «Come religioso era esemplare;

pregava molto, specilamente alla sera finite le ore di lavoro, prima di cena passava

spesso un’ora e più in chiesa nel silenzio, a colloquio personale con Dio; dopo cena tutte

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le sere prima di andare a letto di nuovo era in chiesa a pregare. Le sue messe erano la

fonte della sua forza, della sua serenità. Scrupoloso nella povertà, lui che riceveva milioni

ogni anno dai suoi fratelli e benefattori, non sprecava nulla; […] la sua stanza era

poverissima e intasata di libri, di medicine, di tutto … per gli altri. Amava il ministero ed

era sempre disponibile per le confessioni, per messe domenicali, anche per safari,

quando il lavoro non era troppo all’ospedasle; soprattutto amava dire la messa

domenicale per i suoi ammalati nel cortile dell’ospedale: lì si sentiva davvero realizzato

come medico delle anime oltre che medico dei corpi» (serie VII – 7).

Lettera-testimonianza di padre Simone Zanoner a padre Lorenzo Gaiga, 5 aprile 1987: «ti

scrivo […] per unirmi anch’io al coro di Cristo che ha detto: “Non sono venuto al mondo

per farmi servire, ma a servire” e “Non sono venuto a fare la mia volontà, ma la volontà

del Padre che mi ha mandato”. Credo che queste parole evangeliche riassumino molto

bene la immagine spirirtuale che ci possiamo fare di padre Ambrosoli» (serei VII – 39).

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