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Siate di ispirazione Ispiriamo il cambiamento, progettiamo per il territorio Barry Rassin Presidente Rotary International Salvatore Iovieno Governatore Distretto 2100 Realtà Rotariana dicembre 2018 Anno Rotariano 2018 - 2019

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Siate di ispirazione

Ispiriamo il cambiamento, progettiamo per il territorio

Barry Rassin Presidente Rotary International Salvatore Iovieno Governatore Distretto 2100

Realtà Rotariana

dicembre 2018

Anno Rotariano 2018 - 2019

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1 - Cattedrale della Santissima Achiropita di Rossano

2 - Cetraro, la costa

3 - CIRELLA-Isola-e-centro-balneare

4 - BELMONTE CALABRO Veduta del Centro Storico

5 - FIUMEFREDDO BRUZIO - Veduta del Centro Storico

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“Realtà Rotariana”

supplemento della rivista

“Rotary 2100”

n. 5 dicembre 2018

Autorizzazione del Tribunale di Torre

Annunziata n. 5 / 2018

R.G. 1326 / 2018

editore e redazione

rivista Rotary 2100

Associazione Distretto 2100

del Rotary International,

via Toledo 228 - 80132 Napoli

direttore editoriale

Salvatore Iovieno

[email protected]

direttore responsabile

Giuseppe Blasi

[email protected]

coordinatore redazionale

Paolo Rocca Comite Mascambruno

[email protected]

https://www.distrettorotary2100.org/realtarotariana

SOMMARIO

4 Comunicare i valori rotariani Giuseppe Blasi

5 Distretto 2100: donne, giovani, territorio

Salvatore Iovieno

7 Gestire il Cambiamento

Gherardo Mengoni

9 Adattarsi ai mutamenti

Ugo Leone

11 La cultura come paradigma per l’accoglienza

Carmela Dromì

13 Francesco Fiorentino, filosofo ed educatore

meridiano

Giovanni Martello

16 L’Erasmus e i futuri cittadini d’Europa

Laura Fucci

19 Le malattie infettive nel mondo globalizzato: un

pericolo sottovalutato

Carlo Torti

23 La parola ai Past Governor: Badolati, Esposito,

Martirano, Mello, Rosano

Lucia de Cristofaro

30 Noi rotariani dobbiamo agire da apostoli laici

Antonio Brando

31 Aniello Montano, Rotariano di spessore e di gran

pregio

Gherardo Mengoni

33 Rotariani famosi nel mondo

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Comunicare i valori rotariani

di Giuseppe Blasi

Comunicare i valori rotariani. In una società eticamente fluida, lievita, soprattutto oggi, un possibile impegno che

dovrebbe rendere e ritrovare significativamente protagonisti i Soci di tutti i Club.

Noi ogni mese pubblichiamo la Rivista del nostro Distretto. Ma allegato al numero di dicembre 2018 di “Rotary

2100” è possibile leggere, come supplemento on line, “Realtà Rotariana”. E a questo supplemento altri numeri

seguiranno nei prossimi mesi.

Il nostro governatore Salvatore Iovieno è profondamente convinto che anche per le informazioni e le comunicazioni

del Distretto e dei Club occorre certamente affidarsi agli strumenti di comunicazione tradizionale, ma è anche

opportuno puntare sulle moderne tecnologie, affidabili veloci efficaci: internet, facebook, twitter, instagram,

youtoube. Informare e diffondere utili e sensate conoscenze contribuisce ad arricchire la coscienza civile di ogni

individuo.

È stato affermato, e già oggi non sembra una favola, che fra poco più di venti anni il computer supererà la capacità

di tutti i cervelli umani combinati tra loro. A questo punto il problema non sarà più di procurarci informazioni, ma di

come selezionarle, interpretarle e sensatamente usarle. L’IBM ha messo a punto due microprocessori che elaborano

informazioni in quasi conformità coi neuroni (i neuroni sono cellule nervose destinate alla produzione ed allo scambio

di segnali). L’obiettivo è quello di ottenere dei computer capaci di analizzare la realtà con la quasi consapevolezza

critica degli esseri umani, ma con l’ardita nota aggiuntiva della immediata potenza di calcolo e di memoria

incomparabilmente più solida. Una cosa ci deve sorreggere e convincere: non dobbiamo avere preventivamente paura

della rivoluzione tecnologica. Il nuovo, il moderno, il progresso ci devono spingere ad essere più eticamente

attrezzati, più responsabili individualmente e politicamente, più consci più preparati più impegnati, per non tradire o

annichilire il futuro che ci corre baldanzosamente incontro.

Il nostro precipuo e modesto impegno è proiettato a raccontare l’umanità e le speranze per il futuro, col possibile

sostegno del sogno e degli occhi rotariani. Ma noi cercheremo tracce e segni e viaggi chiedendo contributi a rotariani

e non rotariani. Intorno a noi si allungano storie silenziose, dimenticate, superate dalla quotidianità che però sono in

attesa di essere vissute e raccontate. Viviamo in un mondo con tanti esempi di generosità, ma anche di chiusure, muri,

steccati, frontiere. È compito di noi rotariani, e non solo, di saper raccontare le sfide del mondo, la trasformazione

della società, le crisi, i progressi in ogni settore. Ed è quello che vogliamo fare con la Rivista stampata ogni mese e

con la periodica Rivista on line.

Auguriamo a tutti buona lettura, con la speranza che anche questo canale dell’informazione rotariana possa essere

benevolmente accolto e utilizzato dai nostri Soci.

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Distretto 2100:

donne, giovani, territorio

Vi proponiamo l’articolo che il nostro Governatore,

Salvatore Iovieno, ha pubblicato sull’ultimo numero

della rivista nazionale del Rotary.

Il nostro programma ha avuto sin da subito un'attenzione particolare al mantenimento e

rafforzamento della Membership e alla creazione di nuovi club Rotary. Particolare attenzione è stata, inoltre, posta

anche per la creazione di club Rotaract e Interact, fermamente convinti che il futuro è nell'essere vicino ai giovani,

senza dimenticare, però, i soci dei nostri 107 club, uomini e donne che hanno fatto del Rotary la loro ragione di vita.

Guardando al futuro dobbiamo essere consapevoli che il Rotary è la più grande storia realizzata per oltre un secolo,

quindi è essenziale lavorare per rafforzare non solo la Membership ma anche il brand Rotary. Già prima di quest'anno

di servizio abbiamo lavorato in silenzio per fare e non per ottenere riconoscimenti. Un lavoro silenzioso che va, però,

raccontato a quanti di animo buono e di buoni sentimenti, desiderano unirsi a noi.

La comunicazione, quindi, è al centro dell'interesse del Distretto 2100, che vede in essa, sotto tutte le sue forme

diversificate del 21nesimo secolo, un mezzo importante per scambiarsi idee, azioni e rafforzare l'identità visuale del

Rotary. Operare, poi, vicino ai club ed ai progetti da loro messi in campo, significa dare forza ed attenzione a tutti i

territori rotariani, ascoltando le esigenze e confrontandosi nella quotidianità. La risposta dei club è stata immediata e

forte con decine e decine di progetti elaborati dagli stessi a servizio del territorio. Ed è partendo dal motto del

Presidente Internazionale “Siate d'ispirazione” e dall'ascolto delle esigenze dei territori, che ho pensato alle tematiche

che potevano ispirare i club dell'intero Distretto 2100, creando progetti che potessero essere d'impatto, ampiamente

partecipati dai soci dei club, persone che vedono il mondo come un luogo in cui uomini e donne si uniscono e

agiscono per creare un cambiamento duraturo.

Ecco perché l'attenzione ai “Beni Culturali”, allo “Spreco Alimentare”, alla “Protezione Civile”, di cui ho potuto

vedere da vicino l'efficienza e la professionalità, quando mi sono recato sulla Sila, all'indomani della tragedia nelle

Gole del Fiume Raganello, alla “Donazione degli Organi”, al “Cammino per la Pace”, al “Sostegno all'obbligo

Vaccinale”, Progetti Distrettuali cui hanno aderito la quasi totalità dei club del Distretto 2100. Sono in avanzato stato

di realizzazione il progetto “Beni Culturali”, con già una reale operatività sui siti individuati dai club, e “Spreco

Alimentare”, per il quale si è già realizzata una concreta collaborazione tra club e una fattiva interlocuzione con le

scuole.

In un Distretto del “Fare”, le parole sono utili solo nella misura in cui sono di rafforzamento all'azione. Attraverso i

Progetti siamo impegnati verso il “Pubblico Interesse”, vicini alle Istituzioni Scolastiche, veicolo fondamentale per

la formazione di giovani, affinché conoscano i valori rotariani: integrità, diversità, servizio, leadership e amicizia.

Spesso mi viene chiesto, come siamo riusciti a mettere in campo tutto ciò, in pochi mesi di impegno di servizio,

ebbene il tesoro più grande, che è dentro i cuori dei nostri soci, è di sicuro l'affiatamento, il crederci, l'impegno

continuo e costante. Devo ancora riconoscere ai club del Distretto l'impegno a favore della “Polio Plus”, con le tante

iniziative attivate per far conoscere: i grandi risultati del progetto “Polio Plus”, la dedizione dei nostri volontari e

contribuire a sostenere il “Countdown to History”, cui anche mia moglie Angela, ha voluto contribuire personalmente

e con la raccolta fondi straordinaria: “Una goccia per la Polio”.

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Il cammino che dobbiamo percorrere è ancora lungo e siamo pronti a dare tutti noi stessi, affinché tutte le persone di

“azione”, di cui è composto il nostro Distretto 2100, si uniscano insieme per giungere a rafforzare il confronto

culturale a favore della Pace e di uno sviluppo economico, che possa migliorare il benessere delle comunità vicine e

lontane. Per quest'ultime sono stati sostenuti due progetti di “Global Grant”: Alfabetizzazione Tanzania: Morogoro,

Toward Syria. Siamo certi dell'efficienza dei risultati finali e dell'alto impatto positivo sulle popolazioni cui sono

rivolti.

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Gestire il Cambiamento

di Gherardo Mengoni

Riferendoci alle vicende che caratterizzano la nostra vita

ed il mondo che ci circonda ripetiamo spesso, con

fatalistica acquiescenza, che “attraversiamo un periodo

di transizione e che bisogna attendere che esso termini”.

Il ricorso alla definizione di “periodo di transizione” in

questo caso non è affatto appropriato.

Con “transizione” si definisce l’insieme di fattori che

interrompono un sistema statico per condurre verso un

altro sistema statico; in altre parole da una condizione

sociale stazionaria ad un’altra.

Tutto ciò non corrisponde al vero perché noi viviamo in

una costante, dinamica mutazione che definiamo in

maniera semplificata Cambiamento.

Già Eraclito di Efeso, il filosofo presocratico, quasi

sempre oscuro e criptico nell’espressione del suo

pensiero, fu molto chiaro, invece, quella volta che, in una

lapidaria frase, poi richiamata più tardi nei suoi scritti

anche da Aristotele, disse: “Non c’è nulla di immutabile

tranne l’esigenza di cambiare!”.

Tempo fa lo scienziato Allen Taffler, ci ricordava

preoccupato che: “Il Cambiamento è il processo con il

quale il futuro invade le nostre vite”. Qualcuno più

conciliante come Ernst von Weizsäcker avvertiva che:

“La Storia ci fornisce le radici e il Cambiamento innesta

i rami. Solo noi con la volontà ed il sacrificio potremo

far crescere quei rami fino a toccare il cielo.” E ancora

Charles Darvin, vate dell’Evoluzionismo, ammoniva:

“Sopravvive la specie che supera meglio il

Cambiamento”.

Atteso, pertanto, che l’entità complessa, che per

semplicità stiamo definendo Cambiamento, è un

fenomeno dinamico che procede in forma autonoma,

indipendente dalla nostra volontà, è opportuno chiedersi

quale possa essere il miglior criterio per gestire tale

fenomeno. È come se, di fronte ad un indomabile puledro

selvaggio andassimo alla ricerca dei migliori strumenti,

non per addomesticarlo, il che risulterebbe utopico, ma

almeno per poterlo cavalcare.

Un bel dire! E quali risorse umane e tecniche potremmo

impiegare per gestire le mille frange entro le quali il

fenomeno Cambiamento si esplica? Quali specialisti ci

potranno indicare come gestire, ad esempio, l’espansione

tecnologica dei sistemi di comunicazione da un canto, il

riscaldamento della Terra, la crescente desertificazione e

lo scioglimento dei Ghiacciai dall’altro?

Per reperire soggetti di talento con caratteristiche idonee

ad un compito tanto complesso, appare, quale

indispensabile presupposto, il porre in essere un iter

educativo che parta dalla analisi della curiosità che si

sviluppa nei primi anni di vita dell’uomo. La “curiosità”,

quella che spinge il bambino a portare alla bocca ogni

cosa, dal bavaglino alle scarpette; quella che poi farà sì

che smonti automobiline e bambole per vedere come

sono fatte, è un fattore primario che non va ostacolato né,

come in certi casi, addirittura represso. Crescendo

l’individuo la curiosità, si accompagna spesso

all’immaginazione, altra virtuosa essenza del nostro

apparato cognitivo. La copresenza e la elaborazione di

queste due componenti apre le porte a studi scientifici

come medicina, ingegneria, geologia, architettura. Ma

quando curiosità ed immaginazione superano valori

medi in soggetti particolari può svilupparsi la creatività,

che si manifesterà in espressioni artistiche, musicali,

letterarie. In alcuni casi, peraltro, la predisposizione

creativa e intuitiva indirizza la mente dell’individuo

verso la “ricerca pura”.

Se ci soffermiamo su di un aspetto essenziale di

quest’ultimo tema e cioè sulla “ricerca pura in campo

scientifico e tecnico” ci rendiamo conto che, al presente,

questo settore si è in parte mutuato in “ricerca

finalizzata”, ambito che toglie un margine relativo alla

libertà del ricercatore ma tende a produrre, in termini

immediati, un beneficio effettivo e tangibile mirato al

progresso umano. Attraverso la ricerca finalizzata si

producono effetti che rientrano, in generale, nella sfera

di quell’ampio fenomeno che chiamiamo Innovazione. È

in questo modo che l’uomo, con l’innovazione di cui è

portatore, si inserisce in maniera diretta nel processo

inarrestabile definito poc’anzi come Cambiamento. È

altrettanto comprensibile che l’innovazione potrà avere

effetti positivi per la vita sul Pianeta Terra oppure potrà

generare conseguenze catastrofiche che incideranno sul

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processo di Cambiamento. Una cosa, dunque, è

l’innovazione che nasce dalla ricerca di Alexander

Fleming e di Albert Sabin, per opera dei quali la

Penicillina ed il vaccino Antipolio hanno modificato, in

maniera largamente positiva, l’aspettativa di vita delle

generazioni presenti. Altro è pensare che fattori anche

essi innovativi come la scoperta dell’energia nucleare,

con le ricadute in campo bellico, costituiscono, al pari

dei primi, elementi generatori di Cambiamento. Discorso

non meno drammatico potrebbe sortire dall’analisi

obbiettiva di altri fattori innovativi, influenti sul

Cambiamento come la diffusione incontrollata dell’uso

di sostanze plastiche o di sistemi informatici di

comunicazione. Un primo elemento, dunque, emerge. Il

Cambiamento non potrebbe avere e non ha in sé principi

etici e, pertanto, resta assolutamente neutro nella sua

inarrestabile progressione, nel bene e nel male. Vista così

la questione, si può adottare la forma atarassica dei

‘paria’ indù dei libri salgariani che, immoti, aspettano

sulla riva del Gange il trascorrere della vita. Ma, al

contrario, si può reagire e cercare di montare su quel

cavallo ideale di cui innanzi per correggere e guidare gli

effetti delle innovazioni. In tal maniera il contributo

umano, affiancandosi alle mutazioni naturali,

contribuirebbe a formare l’ossatura del Cambiamento.

Grande responsabilità dunque in questa prospettiva e

grande stimolo per l’intera umanità!

Il monito classico “Est modus in rebus” ci soccorre

riportando al centro del discorso l’homo sapiens-

sapiens confidando nella sua cultura, nella sua etica e

nelle sue capacità tecniche.

È questa la sola essenza vitale alla quale, può essere

affidata la gestione del Cambiamento.

Il Rotary International, nella lungimiranza del suo

dettato, richiama con vigore i Club affinché si operi in

ogni settore di partecipazione considerando prioritaria la

funzione sociale e la responsabilità di guida morale insita

nella appartenenza alla famiglia rotariana.

È certo che, anche per le considerazioni innanzi riportare,

fra i compiti irrinunciabili demandati ai Club c’è quello

di attivarsi nella gestione del Cambiamento con le risorse

che le comunità rotariane, piccole o grandi che siano,

possono porre in gioco. Il secondo elemento, che appare

conseguenziale, è quello di reperire tra i soci, personalità

in grado di gestire, nella misura proporzionata alle

predette risorse, il Cambiamento. Indispensabile in tale

prospettiva è la partecipazione di soggetti giovani, con il

ricorso ad elementi facenti parte dei Club Rotaract ed il

coinvolgimento dell’Interact per l’aspetto orientativo,

formativo e di conoscenza del tema.

Se si riuscisse a veicolare tra i Club del Distretto il

messaggio che sintetizza le considerazioni innanzi

sviluppate si potrebbero reperire, se necessario

incrementando il parco dei soci, personalità idonee a

sostenere in loco e per la parte di competenza, il ruolo di

gestori del Cambiamento. Abbiamo bisogno di geologi,

di chimici, di ecologi, di biologi che, disseminati sul

territorio, analizzino le carenze e, attraverso l’autorevole

voce del Rotary, chiedano che si corregga in tempo

quello che appare già troppo compromesso. Non penso

che quello che andiamo ad ipotizzare sia un programma

irrealizzabile, anche se lo stesso dovesse avanzare a

piccoli passi. Appare piuttosto un nostro imprescindibile

dovere verso le generazioni che ci seguiranno. Non

vorremmo che si dicesse fra trenta Anni che noi siamo

rimasti fermi sulla riva del fiume lasciando trascorrere il

tempo e lasciando accrescere i guasti di un Cambiamento

incontrollato.

Ingegnere. Socio Onorario del Rotary Club Napoli Angioino. Già Segretario del Distretto Rotary 2100

per l’Anno2000-2001. Senatore emerito dell’Ordine degli Ingegneri di Napoli. Autore di pubblicazioni

scientifiche e di articoli di ordine sociale e di costume. Cultore di Storia del Meridione, ha romanzi

storici fra cui: Itinerario Borghese Ed. Guida; Querce sul Mediterraneo Ed. Graus; la Ragnatela Ed.

Paparo.

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Adattarsi ai mutamenti

di Ugo Leone

Viviamo in un pianeta che, 4,5 miliardi di anni dopo la

sua nascita, vive una situazione sempre più preoccupante

per i suoi abitanti umani. La principale e più “allarmante”

causa di preoccupazione dipende dagli incalzanti

mutamenti climatici i cui effetti già da tempo si

manifestano su tutta la Terra.

Prima o poi potrebbe accadere il peggio. Cioè potrebbe

innescarsi quella catena di eventi provocati dall’aumento

delle temperature: progressivo scioglimento dei

ghiacciai polari; innalzamento del livello dei mari;

sommersione delle aree costiere a cominciare dalle

piccole isole; inaridimento di aree prima fertili o coperte

da foreste; avanzata della desertificazione.

Con queste prospettive non dobbiamo più pensare solo al

prima e al dopo il verificarsi di un evento catastrofico,

ma anche al durante il suo prevedibile verificarsi.

Nel caso dei mutamenti se si vuole intervenire prima che

sia troppo tardi occorre limitare l’immissione e

l’accumulo in atmosfera di quelli che si chiamano gas

serra: anidride carbonica e metano innanzitutto, che

provocano quell’effetto serra che innesca i processi di

cui dicevo. Questo è l’obiettivo che si sono proposti i 195

Paesi firmatari di un accordo a Parigi nel dicembre del

2015 con lo scopo di raggiungere entro fine secolo, la

limitazione dell’incremento delle temperature medie a 2

gradi centigradi, meglio ancora se a 1,5.

Bene. Ma mentre si mettono in atto queste azioni di

prevenzione che cosa può accadere? È il “durante” sul

quale prima mi interrogavo.

Il problema si pone perché nella realizzazione delle

azioni di difesa preventiva i tempi sono più o meno

lunghi. E questo è il caso degli accordi di Parigi dal

momento che da dicembre 2015 a dicembre 2100

passano 85 anni per cui c’è da chiedersi: “e nel

frattempo?”.

Voglio dire che il prima, cioè la previsione e la

prevenzione dei danni sono di fondamentale importanza;

così come è importantissimo che una volta subìto il

danno si intervenga con la ricostruzione delle cose e delle

persone, cioè con quella che si chiama resilienza. Ma

questi due fondamentali obiettivi non possono ignorare

che gli eventi provocati dai mutamenti climatici hanno

effetti che durano molto a lungo. Tanto da costringere a

modificare i nostri comportamenti sino ad adattarci al

mutato contesto di vita. E dobbiamo farlo sapendo bene

che non abbiamo la possibilità di interferire con la

probabilità che l’evento si manifesti, mentre possiamo

ridurre la vulnerabilità dell’area esposta.

Oggi, insomma, fenomeni come un terremoto o

un’eruzione vulcanica, non devono essere visti come una

sciagura da subire. Perché è sempre più diffusa la

consapevolezza di poter convivere con molti fenomeni

naturali riducendone la pericolosità. Per cui il problema

non è solo come prevenire e difendersi, ma è anche

“dopo e durante il disastro che fare?”.

Le risposte sono due e rientrano nelle pratiche della

resilienza e dell’adattamento.

La resilienza avviene in modi e tempi diversi e consiste

nella capacità umana di affrontare le avversità (un

terremoto, un’eruzione, una frana…), superarle e uscirne

riprendendo la condizione pre-disastro. È quanto si cerca

di fare quando si interviene nelle aree disastrate nel

tentativo di ricostruire gli stati di animo, i comportamenti

dei superstiti.

Ma oggi c’è una situazione che può coinvolgere la Terra

nella sua interezza e la totalità dei suoi abitanti che, nel

frattempo potrebbero essere diventati 10 miliardi. È il

fenomeno dei mutamenti climatici alle cui conseguenze

o ci si adatta o si corre il rischio della paventata sesta

estinzione.

Adattarsi, dunque. Che non è assuefazione o

rassegnazione.

La storia della vita sulla Terra è proprio la storia

dell’adattamento all’ambiente. Attraverso una serie di

mutazioni e di selezioni, le specie vegetali e animali si

sono continuamente adattate all’ambiente in

trasformazione, trovando ogni volta le soluzioni giuste

per sopravvivere nei climi più diversi. Poi è intervenuta

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la specie umana che ha ritenuto di modificare questa

tendenza cercando di adattare l’ambiente alle sue

esigenze come sta facendo da almeno dodicimila anni.

Sino a rischiare l’estinzione.

Quello dei mutamenti climatici è l’esempio più calzante.

Perciò, pur puntando “fiduciosi” al rispetto degli accordi

di Parigi è importante porsi il problema dell’adattamento

perché non c’è automatismo tra la riduzione della

emissione di gas serra in atmosfera e il blocco degli

eventi provocati dal mutamento del clima già in atto da

tempo. Né è immaginabile che una volta raggiunto

l’obiettivo tutto tornerà ad essere com’era cinquant’anni

fa.

La conclusione è che le cose non sono semplici come si

potrebbero immaginare.

Non si tratta, infatti, di adattare i personali

comportamenti ad una situazione meteorologica che va

gradatamente mutando. Ma a farlo in un ambiente in

mutamento anche profondo.

Insomma le generazioni future vivranno su un pianeta

diverso e questa diversità richiede un adattamento

globale per vivere nel migliore dei modi possibili, nel

migliore dei mondi possibili.

Già ordinario di Politica dell’ambiente alla Federico II di Napoli, è stato Presidente del Parco Nazionale

del Vesuvio. Pubblicista dal 1969. Autore di numerose pubblicazioni sui temi dell’ambiente e del rischio,

dirige il quadrimestrale “Ambiente Rischio Comunicazione” e co-dirige la rivista “.eco”; collabora alla

edizione napoletana di “la Repubblica”. Ha pubblicato con Angeli, Cuen, Guida, ESI, Giappichelli,

Carocci, L’Harmattan, Intra Moenia. Ultimi volumi: Fragile (2015), Napul’è (2107), Terra mia (2018)

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La cultura

come paradigma

per l’accoglienza

di Carmela Dromì

Accostare il termine “cultura” al termine “paradigma”

presenta una sfida di fronte a ciò che si pone in maniera

variegata, secondo testi e contesti che rappresentano il

mondo nella sua esemplare molteplicità.

Viviamo una realtà che, piuttosto che fare delle

differenze una risorsa, preclude ipotesi di pensiero

divergente, ingabbiando spesso uno sguardo che

altrimenti sarebbe proiettato verso forme di solidale e

plurale convivenza. Ciò che ci anima, spesso, è la

consapevolezza, potremmo dire alquanto incerta, di

essere i portatori culturali di un modo unico di guardare

ciò che ci circonda.

Se il termine “paradigma”, assume quell’effettivo valore

che crea flessibilità in tutto ciò che in esso viene

declinato, coniugato, moltiplicato, potrebbe anche

rappresentare una chiave di lettura per decodificare realtà

differenti e, in quanto tali, diverse. Sicuramente la sua

variabile avrebbe una sostanziale consistenza in una

capacità tutta umana determinata dal livello di sensibilità

dentro il quale muoversi dilatando spazi e orizzonti.

L’uomo non può “sapere” senza “sentire”, senza mettere

in gioco emozioni, sensazioni, sentimenti; dentro di lui

alberga una storia millenaria che, partendo dal mito è

approdata ad un mondo di scientifiche “conferme”; tutto

ciò, seguendo la traccia segnata da una “naturale”

evoluzione intessuta ad un bisogno di conoscenza ed alla

necessità di misurare capacità e inclinazioni, “provando

e riprovando”, sperimentando su se stesso e

determinandosi.

Passare dalla consapevolezza dell’io, del noi, alla

consapevolezza dell’altro, leggere non solo il “vicino”,

ma accostarsi anche al “lontano”, rappresenta

quell’arricchimento necessario che, al di là dello spazio

e del tempo, permette ad ogni uomo di migliorare,

allontanandoci da ciò che oggi ci pervade e

confrontandoci con le diverse “lingue” del mondo;

considerando ogni “voce” diversa facente parte di un

unico coro!

Letteratura, arte, religioni, usanze, tradizioni, paesaggi:

elementi questi, insieme a tanti altri, che permettono

all’uomo di incontrare se stesso, di guardare a se stesso,

di dialogare ponendo al centro se stesso, dentro la storia

del mondo.

La letteratura e l’arte contengono il tempo e lo spazio

dell’uomo che, in un determinato momento storico, ha

dato forma e voce a percezioni, pensieri; esse non sono

contenute dal tempo ma trascendono in una dimensione

a-temporale, divenendo espressione universale che

richiama alle vere ragioni dell’esistenza.

Se così non fosse Dante non sarebbe stato Dante,

Michelangelo non sarebbe stato quel geniale “artista

artigiano”; Galileo Galilei non avrebbe puntato il suo

cannocchiale verso il cielo e con Albert Einstein la teoria

della relatività non avrebbe avuto un ulteriore sviluppo

ed egli stesso non avrebbe scritto alla figlia queste

bellissime parole: “Dopo il fallimento dell’umanità

nell’uso e il controllo delle altre forze dell’universo, che

si sono rivolte contro di noi, è arrivato il momento di

nutrirci di un altro tipo di energia. Se vogliamo che la

nostra specie sopravviva, se vogliamo trovare un

significato alla vita, se vogliamo salvare il mondo e ogni

essere senziente che lo abita, l’amore è l’unica e l’ultima

risposta. Forse non siamo ancora pronti per fabbricare

una bomba d’amore, un artefatto abbastanza potente da

distruggere tutto l’odio, l’egoismo e l’avidità che

affliggono il pianeta. Tuttavia, ogni individuo porta in sé

un piccolo ma potente generatore d’amore la cui energia

aspetta solo di essere rilasciata. Quando impareremo a

dare e ricevere questa energia universale, Lieserl cara,

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vedremo come l’amore vince tutto, trascende tutto e può

tutto, perché l’amore è la quintessenza della vita. (…)

Tuo padre Albert Einstein”.

“La cultura non è solo un supporto della natura umana,

ma il fondamento della sopravvivenza stessa della nostra

specie”. Quanto afferma Marco Aime nel suo saggio

Cultura è un monito; richiama quanto scritto da Einstein

nella lettera alla figlia. Ogni qualvolta l’uomo ha

dimenticato che la cultura rappresenta la vera fonte di

sopravvivenza, la storia ha generato mostruosità; ogni

politica, ogni azione, ogni scoperta, ogni avventura,

necessariamente deve tener conto dell’uomo, del valore

e del senso che racchiude nel mistero di una vita che val

la pena di essere vissuta solo se rivolta unicamente al

bene!

La cultura è strumento di riscatto, è àncora di

salvataggio, è rifugio e nello stesso tempo proiezione

verso un futuro, è libertà, diritto naturale, quel diritto

naturale che nasce con l’uomo e che deve servire l’uomo

il cui pensiero sia rivolto unicamente al Bene.

Tempo e spazio -così come afferma ancora Aime- che

non hanno valore in sé; essi sono soggettivizzati dal

senso dell’uomo che vive quel determinato tempo e quel

determinato spazio, divenendo l’uomo stesso “prodotto”

culturale caratterizzato e differenziato secondo la sua

collocazione nel mondo.

Cultura, quindi, dovrebbe essere sinonimo di Uomo: di

un uomo che vive e sussulta ammirando l’immensità, la

vastità, la varietà, la ricchezza, la diversità, la

molteplicità e l’unicità di un Mondo il cui centro è il

cuore, risorsa e motore indiscutibile di ogni azione

umana.

Tutto ciò, rappresenterebbe la naturale inclinazione a

vivere l’accoglienza come valore, una apertura riferita

alla piena condivisione intesa come lettura della vita.

Rifuggire dalla “gabbia” di un modello a consumo

individuale e creare le basi di un sistema comunitario e

solidale, condividendo noi stessi, le nostre pienezze e le

nostre fragilità, rifiutando ogni forma di esasperata

violenza e praticando la libertà, affidando ad essa un

senso che vada oltre quel “funzionalismo” dentro il quale

bisogna essere necessariamente all’altezza di un insieme

predeterminato, unicamente basato su criteri di efficacia

ed efficienza. Cultura che nell’accoglienza trova la

massima espressione e permette di vedere l’altro come

hospes – chi ospita ed è ospitato- e non hostis -nemico-,

riconoscendo come nella vita non c’è possibilità di

crescita se non attraverso lo scambio, accogliendo le

differenze, ciò che è diverso rispetto al nostro ordine,

all’ordine che ognuno di noi ha dato alla propria vita.

Tutto ciò richiama la responsabilità di ciascuno nello

stare al mondo; non è buonismo, termine bruttissimo, ma

consapevolezza che se non c’è apertura verso l’altro, non

vi sono alternative per sfuggire come dice Glissant

“all’uniformità dell’essere”. Il problema, continua

Glissant, sta” nell’ossessione classificatoria dell’essere

che accompagna la visione occidentale”, che porta alla

separazione e non alla comunicazione e a un’eventuale

convivenza. È fondamentale abbandonare

cristallizzazioni antropologiche stratificate nel tempo, ed

adottare un pensiero che ci permetta uno sguardo verso

l’altro che possa cogliere, in termini di reciprocità, la

“comune umanità”.

Docente di materie letterarie e latino presso il liceo "T. Campanella" di Lamezia Terme.

Impegnata nel mondo dell'associazionismo. Presidente di "Sinergie culturali" associazione che da anni

organizza la Fiera del libro calabrese. Numerose pubblicazioni in riviste culturali. E' tra i curatori di

diverse monografie tra le quali "Pax pace peace" realizzata dal Distretto 2100. Ha ricoperto vari

incarichi distrettuali interessandosi in modo particolare dell'Azione rivolta alle Nuove Generazioni.

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Francesco Fiorentino

filosofo ed educatore meridiano

di Giovanni Martello

E. Cassirer ed E. Garin nei loro scritti ci ricordano che la

filosofia non è solo fatta di vette altissime, cioè di filosofi

sistematici e geniali che hanno dato una svolta

improvvisa alla storia del pensiero, da cui sono derivati

nuovi indirizzi filosofici, nuove visioni del mondo, ma è

fatta anche di piccole altezze. Fuori di metafora, sia la

filosofia che la storia della filosofia sono spesso

rappresentate da eccellenti divulgatori, da solidi studiosi

che hanno educato le giovani generazioni a pensare,

hanno insegnato loro a essere fiere della loro identità e

dato un orizzonte di senso e delle chiavi ermeneutiche

per farle muovere agevolmente nel loro tempo.

Fiorentino è stato una di queste personalità, un educatore

a tutto tondo, che tramite lavori molto documentati frutto

di uno studio pluriennale e gravoso, portato avanti senza

risparmiarsi, ha reso grandi servigi sia alla comunità

scientifica che a generazioni di studenti. Attraverso

scritti appassionati, sanguigni, alcune volte polemici e

spesso devastanti, ha insegnato ai giovani a riflettere, ha

predicato loro la dirittura morale, ha valorizzato

l’identità meridionale che affonda le sue radici culturali

nei valori magnogreci e in quelli rinascimentali. Inoltre,

ha cercato di essere un esempio autorevole e un modello

positivo in un’epoca di trasformismo politico e

filosofico, ma anche di formazione della coscienza e

dell’identità italiana.

Mario Alcaro, nell’Introduzione alla sua storia del

pensiero filosofico calabrese parla, di una necessaria

“opera di disoccultamento e di sottrazione dall’oblio di

una tradizione di pensiero che non merita di essere

dimenticata”, a proposito dei tanti autori calabresi che si

sono interessati di filosofia.

L’opera e il pensiero di Fiorentino meritano di essere

riportati alla luce per essere messi a disposizione delle

giovani generazioni, oggi nativi digitali poco avvezzi a

ricerche lunghe e faticose, quali sono quelle archivistiche

e storiografiche. Pur non rappresentando una vetta

filosofica, Fiorentino possiede una certa rilevanza

teoretica e un notevole spessore storico e culturale tanto

da essere stato, lo è ancora anche oggi, un importante

esponente di quel pensiero oggi definito “meridiano”.

Oltre a essere un importante punto di riferimento per i

giovani e gli studiosi, l’esistenza di Fiorentino è anche

una testimonianza vivente di un’indomita passione civile

e di un impegno filosofico; come ha anche confermato

alcuni anni fa P. Colonnello.

Il Fiorentino, diceva G. Gentile, con molta convinzione,

ha concorso a formare, con i suoi scritti, intere

generazioni. Basti qui pensare che i suoi fortunati

Elementi di filosofia del 1877, rivisti e corretti fino al

1884, anno della sua morte, saranno il manuale di

filosofia che continuerà a nutrire le generazioni

successive e verrà usato come libro di testo ancora nel

secondo dopoguerra del Novecento.

Noi siamo convinti che, ancora oggi, Fiorentino possa

dire qualcosa di significativo alle nostre generazioni.

Basti rileggere qualche suo pensiero che, a parte la

forma, non teme il giudizio del tempo da sembrare di

essere scritto oggi.

Ecco che cosa scriveva ai giovani nel 1876.

Ai giovani, alla crescente generazione inculco questo

consiglio: usate la vostra ragione senza riguardi a

persona; non adulate nessuno; non abbiate, nello scrivere

altro fine, che quello di esprimere sinceramente il vostro

pensiero. Siate severi, e prima con voi stessi: non vi

avvezzate a procacciarvi facili lodi, e nettampoco a

contentarvene: ricordatevi, che chi si lascia gonfiare, non

può a meno di essere vuoto; e chi s’induce ad adulare,

non può a meno di aver l’anima servile.

Alla luce di quanto detto, Fiorentino può essere, per

citare ancora una volta Alcaro, «l’occasione per fare

mente locale sulla nostra tradizione di pensiero […] e per

farci tutti riflettere sul grosso debito che la cultura

italiana ed europea ha nei confronti del Meridione

d’Italia». E credo che questa possa essere considerata la

cifra che contraddistingue tutta la ricerca filosofica e

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culturale di Fiorentino. Basti pensare ai suoi studi sul

Bruno, sul Pomponazzi e sul Telesio che, nell’Ottocento,

colmarono un vuoto che esisteva da secoli nella storia

della filosofia. Lo riconobbero allora i tedeschi che

avevano ancora l’egemonia culturale e la leadership

filosofica e quel riconoscimento, in parte, è valido ancora

oggi. C’è da aggiungere che Fiorentino provava rabbia e

sconcerto nel vedere che gli autori stranieri trattassero

argomenti relativi all’Italia, prima ancora che lo

facessero gli studiosi italiani. Egli affermava che non

bisognava aspettare i tedeschi, in quel caso il Voigt, per

trattare importanti argomenti con la dovuta competenza.

In una lettera del 2 novembre 1883, indirizzata a E.

Capialbi così si esprimeva «Sto leggendo presentemente

la storia del Voigt intorno al nostro Risorgimento […].

Quando vedo che i Tedeschi sanno le cose nostre meglio

di noi, mi monta il rossore in viso».

....la filosofia

è libertà....

Fiorentino era solito affermare che «la filosofia è

libertà». Libertà che, a suo parere, era stata una conquista

iniziata nel Rinascimento: “Noi italiani iniziammo la

nuova speculazione nel Risorgimento, noi affrancammo

l’Europa dal giogo dell’autorità, nostri furono i campioni

e i martiri del pensiero veramente libero: l’Europa ce ne

deve tener conto e deve serbare per noi senso di

riconoscenza”.

Ventisei anni dopo, lo stesso Croce, nell’editoriale

relativo alla presentazione del programma della

“Critica”, pubblicato il 1° novembre 1902, affermava,

esplicitando un sentire diffuso fra molti intellettuali

italiani, ma anche copiando o, almeno, ripetendo di fatto,

idee e frasi di Fiorentino: “Vorremmo aspettare […]

anche dagli stranieri dei libri sull’Italia letteraria e

scientifica?”.

Dopo la pubblicazione, nel 1861, del saggio Il Panteismo

di Giordano Bruno, con cui ottenne la cattedra

universitaria a Bologna, dedicato alla marchesa

Marianna Bacinetti Florenzi Waddington, Fiorentino

inviò al Cousin un esemplare del libro, tramite questa sua

amica e studiosa perugina.

Cousin ringraziò la marchesa e le rispose il 12 ottobre

1862. Considerato che l’anziano filosofo francese era in

corrispondenza epistolare con mezza Europa, possiamo

ritenere la risposta data, abbastanza veloce.

Diamo la nostra traduzione della parte di lettera riportata,

in francese, dal Di Carlo, nella quale il Cousin oltre a

fornire precisi consigli al giovane studioso calabrese ne

tenta anche un primo profilo umano e filosofico.

La prego di ringraziare a nome mio il suo giovane e

spirituale amico, il sig. Fiorentino. Il suo scritto risente

del suo soggetto e lo storico di Bruno ha la verve,

l’impetuosità e l’accento entusiasta dello sfortunato

napoletano. Ma, gliel’ho già detto non è Bruno, è Vico

che bisogna imitare. Il signor Fiorentino è alla ricerca di

una filosofia italiana. […] Io sono molto grato al signor

Fiorentino di voler conservare nella nazione il Vangelo e

nella scuola una filosofia che non sia in contraddizione

con la fede nazionale; lo esorto a tenersi incrollabilmente

su questa strada. Gli auguro di unire allo studio che ha

fatto di Gioberti e di Rosmini, quello del filosofo più

originale, o piuttosto il solo originale del nostro tempo in

Italia, il signor Galluppi.

[…] il suo giovane amico è un uomo di buona volontà.

Fiorentino non poteva lasciarsi sfuggire la ghiotta

occasione di entrare in contatto con uno dei suoi miti

filosofici e gli rispose dopo alcuni mesi, con una lettera

datata Bologna 21 febbraio 1863, alla quale allegò la sua

prolusione universitaria su Aristotele, tenuta nell’anno

accademico 1862-63; “un tenue libretto”, così egli lo

definiva, nel quale aggiungeva “vi troverà qualche

dottrina che si discosta da quelle da lei insegnate”.

Rivolgendosi al Cousin, diceva di scrivergli “per

significarle la stima che ho del suo ingegno, e l’affetto

che ho per le parti piuttosto singolari che rare dell’animo

suo”. Così continuava la lettera: Dai libri di V.S. ho

imparato due cose, tra le molte altre; vale a dire

l’indipendenza del filosofare e l’amore ardente per la

propria nazione. Ella ha detto che Cartesio conservava

nella solitudine del suo scrittoio gli spiriti guerreschi che

lo spingevano vincitore a Praga, e io nato in Calabria, e

giovane negli anni non so dismettere l’ardore del mio

paese e della mia età. Ella ama appassionatamente la

Francia, e io la lodo; ma per la medesima ragione io amo

l’Italia, e credo che essa pure abbia fatto qualche cosa: e

quel vederla posta lì da un canto, come se non fosse stata

al mondo, mi fa gran male, e non mi riesce di portarlo in

pace. Tranne questo differente di vedere, io

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schiettamente sono uno dei più caldi ammiratori di V. S.

[…] E se un giorno mi fosse consentito di conoscerla di

persona, l’accerto che esso sarebbe da me tenuto come

uno dei più lieti della mia vita.

Con questo breve e incompleto profilo ho cercato di

rendere ragione dell’importanza di Fiorentino nel

panorama culturale italiano nonché della sua passione

civile, che vive come un impegno al quale non può

sottrarsi. C’è ancora tanto da dire su Fiorentino filosofo

e storico, ma soprattutto uomo e persona che cerca di

dare il suo originale contributo al pensiero meridionale,

a quello nazionale ed europeo. In un elenco ideale dei

filosofi calabresi potremmo collocarlo, per importanza,

subito dopo Telesio, Campanella e Galluppi.

È stato docente di filosofia e storia nei licei. Attualmente è dirigente presso il Liceo Statale “Tommaso

Campanella” di Lamezia Terme. Studioso di filosofia, storia, pedagogia e psicologia, esperto di

problematiche educative e di teorie dell’organizzazione., scrittore e saggista. Collabora con riviste

nazionali e internazionali.

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L’Erasmus

e i futuri cittadini d’Europa

di Laura Fucci

Le parole Socrates ed Erasmus richiamano alla memoria

di molti di noi diversi ricordi scolastici; in realtà il

programma "SOCRATES" e l'azione "ERASMUS" o il

programma ERASMUS sono ben noti a molti italiani che

direttamente o indirettamente ne hanno avuto esperienza.

Quanti di noi hanno avuto figli, nipoti o amici che sono

stati all'estero per motivi di studio nell'ambito di tale

iniziativa, per seguire corsi universitari, sostenere esami

o svolgere la tesi?

Il programma chiamato comunemente ERASMUS

(acronimo di European Region Action Scheme for the

Mobility of University Students) è promosso e finanziato

dall'Unione Europea e riguarda la cooperazione e gli

scambi internazionali nel settore dell’istruzione

superiore. Il nome del programma deriva dall’umanista e

teologo olandese Erasmo da Rotterdam, vissuto nel XV

secolo, che viaggiò a lungo in Europa per comprenderne

le differenti culture.

Il programma è attivo dal 1987 con nomi diversi:

Erasmus, Socrates (Azione Erasmus), Socrates fase 2

(Azione Erasmus), LLP (life-long learning program)

(Azione Erasmus) e Erasmus+ (Azione AK103).

Dal 2000 è un programma istituzionale a cui oggi

partecipano 33 stati che fanno già parte dell'Unione

Europea o sono candidati all'adesione e solo

recentemente la Serbia tra i Paesi Partner.

L’Erasmus mira a sostenere la realizzazione di uno

spazio europeo dell’istruzione superiore, rafforzare il

contributo fornito dall’istruzione superiore e

dall’istruzione professionale avanzata al processo di

innovazione, a migliorare la qualità e aumentare il

volume della mobilità di studenti e personale docente in

tutta Europa, accrescere il livello di trasparenza e

compatibilità tra le qualifiche dell’istruzione superiore e

dell’istruzione professionale avanzata conseguite in

Europa, migliorare la qualità ed incrementare la

cooperazione multilaterale tra gli istituti di istruzione

superiore e tra questi ultimi e le imprese.

L’Erasmus rappresenta uno straordinario incentivo per

allargare i propri orizzonti, approfondire una lingua

straniera, conoscere altre culture, fare una splendida

esperienza di vita; contribuisce significativamente a una

formazione culturale di alto livello e offre in futuro

migliori opportunità di lavoro a livello europeo.

Di seguito tenterò di trattare unicamente delle attività

relative all’istruzione universitaria che hanno nel tempo

subito cambiamenti nelle regole. All’inizio l’Erasmus

poteva essere svolto solo una volta nella vita, oggi può

essere svolto sia nel periodo della laurea triennale che

nella magistrale per un numero di mesi maggiore rispetto

al passato e può anche essere svolto per il tirocinio. Gli

studenti, usufruendo di una borsa di studio, possono

trascorrere da un minimo di tre mesi ad un massimo di

un anno, per mobilità, presso l'università straniera

prescelta per seguire corsi e sostenere esami che

verranno convalidati al rientro, o per svolgere il lavoro

di tesi, o presso Istituzioni/Imprese europee per tirocinio

(placement/traineeship).

Il programma prevede che lo studente sia esonerato dal

pagamento delle tasse universitarie all’estero.

Ovviamente le mobilità possono essere rivolte

unicamente verso istituzioni estere con cui l’Università,

a cui lo studente è iscritto, ha siglato accordi di mobilità

in ambito Erasmus in specifiche aree di studio. Il

programma parla di scambi e quindi è previsto che

studenti stranieri decidano di svolgere un periodo di

formazione presso le nostre sedi universitarie.

La sottoscritta, che è da molti anni delegata del Rettore

dell’Università di Napoli Federico II all’Erasmus, può

tentare di descrivere sinteticamente come il processo si

attua presso la Federico II, che partecipa sin dal 1987 a

tale programma in cui sono coinvolte tutte le ex facoltà

dell'Ateneo. Gli altri Atenei seguono più o meno lo

stesso percorso.

Ogni anno tra gennaio e febbraio l'Università Federico II

pubblica un bando di partecipazione alla selezione che è

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ampiamente pubblicizzato. Inoltre ciascuno studente

iscritto riceve una E-mail di comunicazione della

pubblicazione del bando. La selezione viene fatta sulla

base della media riportata agli esami superati, sulla

percentuale dei crediti formativi acquisiti rispetti ai

previsti e sulle conoscenze linguistiche. Se l'esito della

selezione è positivo, lo studente prepara un piano di studi

(learning agreement) da svolgere all’estero, prende

contatti con l'università ospitante ed è finalmente pronto

per la partenza. Al suo ritorno si vedrà riconosciute tutte

le attività svolte sulla base delle certificazioni rilasciate

dai competenti uffici stranieri (transcript of records).

Nell'ultimo anno accademico sono partiti dall'ateneo

partenopeo oltre 1000 studenti e sono stati accolti circa

400 studenti stranieri.

Ritengo che l'esperienza sia estremamente positiva per i

nostri studenti e, utilizzando le loro parole al rientro in

Italia, posso affermare: “l'Erasmus è stato uno dei

momenti più significativi del mio percorso

universitario”; “l'Erasmus è una esperienza

estremamente positiva per la vita formativa e culturale di

uno studente”; “L’Erasmus dovrebbe rappresentare un

periodo obbligatorio nella formazione di tutti gli

studenti”. Per comprendere i risultati positivi

dell'esperienza vorrei di nuovo utilizzare le parole dei

diretti interessati: “Il perfezionamento della lingua

straniera, il confronto con una realtà diversa, i rapporti

umani e di amicizia che ho stabilito hanno dato un grande

contributo alla mia formazione”; “Ho avuto la possibilità

di conoscere differenti metodi di apprendimento, ho

migliorato la mia conoscenza della lingua ed ho imparato

a confrontarmi ed a convivere con persone di culture e

paesi diversi”.

La nota negativa enfatizzata dalla gran parte degli

studenti riguarda l'aspetto economico del programma, in

quanto la Comunità Europea fornisce un minimo

contributo mensile e non rimborsa le spese di viaggio.

Per risolvere questi aspetti negativi l'Ateneo Federiciano

stanzia ulteriori fondi sul proprio budget e, in particolare,

anticipa le quote spettanti agli studenti.

Ricordiamo che si sono registrati effetti tangibili

dell'esperienza di mobilità perché alcuni studenti hanno

continuato gli studi all'estero, altri hanno ricevuto offerte

di dottorati di ricerca o di posti di lavoro. Opportunità

che non si sarebbero mai presentate agli studenti se non

fossero apparsi all'orizzonte europeo. Tutto ciò

rappresenta una piccola goccia che noi oggi immettiamo

nel mare dell'Europa, che però avrà nel futuro una

cascata di ricadute positive.

Ritengo che il programma di mobilità studentesca

Erasmus abbia centrato completamente gli obiettivi

proposti al momento della presentazione del progetto. La

finalità era quella di dischiudere l’orizzonte europeo alle

nuove generazioni in modo da farle sentire parte della

grande comunità europea, abbattendo tutte le barriere

esistenti. E così è successo! Pensate oggi come è facile

che i nostri ragazzi ci presentino amici stranieri o siano

in partenza per paesi europei per incontrarli e farsi

ospitare. Ed è inutile menzionare quanti di loro si

trasferiscono all’estero per lavoro, sia per scelta che per

necessità. Il programma Erasmus ha certo molto

contribuito ed ancora contribuisce a tutto ciò!

È quindi veramente utile partecipare al progetto

Erasmus? Non ho nessun dubbio a rispondere

positivamente, perché nella mia esperienza quasi

ventennale ho visto i nostri studenti partire timorosi con

mille dubbi e tornare soddisfatti dell’esperienza e maturi,

avendo superato tutte le difficoltà connesse ad una realtà

di vita diversa. Quindi l’esperienza aumenta sicuramente

l’emancipazione e l’autostima. Inoltre è quasi superfluo

ricordare le ricadute positive quali l’incremento del

livello di occupazione e del miglioramento delle

prospettive di carriera, la sperimentazione di un

differente sistema didattico, la conoscenza della lingua,

degli usi e costumi diversi, le relazioni internazionali che

s’intrecciano con altri studenti Erasmus provenienti da

tutta Europa e, molto spesso, anche i legami di affetto.

Tutti avrete sentito parlare delle famiglie Erasmus che si

sono venute a formare tra i giovani delle ultime

generazioni in seguito a questa esperienza di mobilità, e

dei figli Erasmus che sono nati da questi rapporti!

Vorrei inoltre sfatare il mito per cui “fare l’Erasmus”

significa semplificare il corso di studi: sfido chiunque a

trovare facile, per esempio, sostenere l’esame di

Anatomia in lingua tedesca! Non c’è dubbio che esistono

grosse differenze nei sistemi didattici ma non è detto che

il nostro sia il sistema migliore sotto tutti gli aspetti.

Ricordiamo, per esempio, che all’estero si utilizzano

approcci molto più pratico-sperimentali nel corso degli

studi di materie scientifiche e che molto spesso gli esami

non sono orali. E cosa dire dell’altro mito da sfatare: fare

l’Erasmus significa perdita di tempo. Può mai essere

considerata perdita di tempo arricchire il proprio

bagaglio culturale di tutte le esperienze fino ad ora

descritte?

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In conclusione vorrei richiamare l’attenzione dei lettori

su di uno studio della Comunità Europea da cui risulta

che gli studenti Erasmus hanno mediamente delle

caratteristiche particolari in comune: sono più curiosi,

hanno acquisito maggiori capacità di problem solving,

hanno sviluppato maggiori capacità di adattamento,

hanno una buona conoscenza linguistica e risultano più

occupati a lungo termine.

Inoltre il 64 per cento dei responsabili delle risorse

umane ritiene importante l’esperienza internazionale ai

fini delle assunzioni. In conclusione, come detto da uno

degli ex Commissari della Comunità Europea

all’istruzione, Androulla Vassilou:

“Chi studia e si forma all’estero migliora le proprie

prospettive lavorative”.

L’Erasmus quindi rappresenta un programma

straordinario che incentiva gli studenti ad allargare i

propri orizzonti, mediante la conoscenza di altre culture

e l’approfondimento di una lingua straniera, e permette

di fare una splendida esperienza di vita. Inoltre

contribuisce efficacemente ad una formazione culturale

di alto livello che ha come conseguenza migliori

opportunità di lavoro a livello europeo. A mio parere la

partecipazione al programma di mobilità, nel migliorare

la consapevolezza del progetto europeo e dei valori

dell’UE, sta realmente creando i veri e nuovi cittadini

d’Europa.

Professore Ordinario di Biologia molecolare, dell’Università di Napoli Federico II, Delegato del Rettore

all'Erasmus e Promotore di scambi di mobilità Erasmus, Referente accademico per il Supplemento al

Diploma (DS), Membro della Commissione Internazionalizzazione dell'Ateneo Federico II (CIA). Ha

pubblicato numerosi articoli scientifici nel campo della regolazione dell'espressione genica e del

differenziamento.

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Le malattie infettive

nel mondo globalizzato:

un pericolo sottovalutato

di Carlo Torti

“Il 90 per cento del denaro investito

in ricerca sui farmaci è per malattie

che colpiscono il 10 percento della

popolazione mondiale. Un

paradosso su tutti: ogni anno le

aziende farmaceutiche dedicano

gran parte di fondi a patologie come

obesità o impotenza, mentre

malaria e tubercolosi, che da sole

uccidono 5 milioni di persone ogni

anno nei Paesi in via di sviluppo,

non attirano alcun finanziamento”.

Carlo Urbani (nato il 19 ottobre 1956 e morto di

SARS il 23 marzo 2003 a Bangkok, dopo avere

individuato per primo sul campo il virus letale,

donando se stesso al di là di tutte le frontiere per

la salute del mondo)

In tempi moderni, il vaso di Pandora delle malattie

infettive non ha ancora esaurito i suoi pesanti fardelli.

Sono particolarmente i Paesi a medio e basso reddito a

pagare le spese delle malattie infettive, sia per le scarse

condizioni igienico-sanitarie, che per l’insufficiente

accesso alle strutture sanitarie che erogano prestazioni

generalmente inferiori agli standard accettabili. In effetti,

ancora oggi, sono 10 milioni i morti ogni anno nel mondo

a causa delle malattie infettive e il 92% di questi 10

milioni di morti avviene nelle regioni più povere del

Pianeta. Ma anche i Paesi industrializzati sono

pesantemente interessati da malattie infettive che stanno

pericolosamente dilagando e che, in larga misura, sono il

frutto di un mancato ricorso a strategie preventive e

terapeutiche razionali e efficaci.

Le matrici fondamentali di questi pesanti fardelli per

l’umanità che vive nei cosiddetti Paesi del sud del mondo

sono in ogni caso rappresentate da un mancato progresso

o regresso economico, sociale e quindi culturale che

segnano la cifra della diseguaglianza e

dell’opportunismo spesso perpetrato dai Paesi più ricchi

nei confronti di quelli più poveri come nuova forma di

colonialismo ormai eticamente non più accettabile. In

effetti, si calcola come il 50% della popolazione

mondiale non abbia oggi accesso ai servizi sanitari di

base. Tale percentuale è notevolmente più elevata nei

Paesi a risorse limitate, mentre in Europa, ad esempio,

tale percentuale si abbassa al 28%.

L’obiettivo di evitare le oltre otto milioni di vittime

attribuibili a una scarsa qualità dell’assistenza può essere

raggiunto solo grazie a uno sforzo comune in global

health che deve passare attraverso scelte basate sui valori

di equità, solidarietà, progresso economico, sociale,

culturale e cure per tutti.

Le drammatiche condizioni in cui versa la maggior parte

delle persone nei Paesi a risorse limitate giustificano

l’enorme impatto dei flussi migratori sugli equilibri del

mondo moderno. Si stima che entro il 2050 saranno 200

milioni i migranti che avranno abbandonato il loro Paese

d’origine. Ne è causa principale anche il progressivo

incremento della temperatura atmosferica che è

contemporaneamente motivo e conseguenza dello

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scioglimento dei ghiacci (global warming) e che trova il

suo primum movens nell’inquinamento dell’aria. La

conseguenza ultima è rappresentata dall’estensione delle

aree desertificate, povertà e fame in quei Paesi più

sfortunati del mondo. Solo nell’anno 2000, il global

warming ha causato oltre 150.000 vittime nei Paesi a

risorse limitate che tuttavia producono solamente il 2%

dell’emissione dei gas serra. Per giunta, questi Paesi

sono doppiamente vittime ove si consideri come le

multinazionali tendano a incentivare le mono-colture

intensive in quei Paesi, frequentemente sottraendo i

terreni di proprietà agli agricoltori del posto grazie a

meccanismi di vero furto legalizzato (land grabbing).

Nel mondo globalizzato assistiamo oggi, quindi, a

enormi flussi migratori di popolazioni attraverso rotte

mutevoli. A ciò si aggiunga l’enorme e rapido flusso di

persone attraverso i viaggi aerei per ragioni

professionali, personali o di turismo, ma anche la

migrazione di volatili (e degli insetti che essi portano)

lungo nuove e variabili rotte migratorie. Purtroppo, gli

insetti trovano nelle loro destinazioni finali condizioni

ambientali e di temperatura idonee alla loro vita e

proliferazione. È questo il motivo principale per cui, con

le temperature sta aumentando anche la diffusione di

pericolose malattie tropicali trasmesse da insetti vettori

in tutta Europa.

Secondo il Centro europeo per la prevenzione e il

controllo delle malattie (ECDC), fino a metà agosto 2018

sono stati accertati 400 casi di malattie derivanti da

punture di zanzara che hanno trasmesso il virus della

febbre del Nilo Occidentale, con 3 vittime e oltre 100

contagi nel nostro Paese. Oltre al virus del Nilo

Occidentale, si sono diffuse anche malattie come la

Chikungunya, la febbre dengue, il virus Zika e altre che

trovano un comune denominatore nella crescente

diffusione di insetti quali la cosiddetta zanzara tigre

(Aedes albopictus). Conseguenza ne è l’aumento di

infezioni da agenti patogeni estranei a livello locale, ma

portati in Europa da chi viaggia. In effetti, il rischio

maggiore di diffusione delle malattie tropicali si verifica

nei mesi di agosto, settembre e ottobre, quando molte

persone viaggiano e provengono, principalmente tramite

i viaggi aerei, da aree in cui tali patologie sono diffuse.

Per contro, il rischio di importazione di tali infezioni a

causa dei flussi migratori in atto è molto più scarso per il

noto effetto di “migrante sano”: solo le persone più sane

e in forza decidono di abbandonare il loro Paese

affrontando viaggi di lunga durata e in condizioni

disumane per cui, alla destinazione finale, si verifica una

vera e propria selection of the fittest.

Nondimeno, i migranti possono essere portatori di

infezioni che non si manifestano ancora come malattie

conclamate o sono addirittura latenti, quindi allo stato

non infettive, ma in grado di riattivarsi successivamente

(spesso per le disagiate condizioni in cui i migranti si

trovano a vivere e per l’assenza di controlli e terapie

precoci o profilassi), con conseguente rischio di

trasmissione alle popolazioni autoctone non immuni nei

Paesi ospiti. Parliamo di malattie infettive eterogenee e

non generalizzabili sul piano epidemiologico, clinico e

terapeutico quali la tubercolosi, il morbo di Chagas, le

schistosomiasi, le parassitosi intestinali e le epatiti virali

croniche, le infezioni sessualmente trasmissibili (queste

ultime tuttavia molto spesso contratte nei Paesi ospiti) e

altre ancora.

Per tutte è prioritario un intervento di assistenza e

controllo da parte del Sistema Sanitario Nazionale,

eventualmente coadiuvato da Associazioni di

volontariato, allo scopo di individuare precocemente i

pazienti con infezioni trasmissibili, procedere a un

idoneo trattamento ed evitare pericolosi eventi di

trasmissione. In tale caso, l’azione dell’infettivologo ben

si caratterizza come garante della salute pubblica. Dal

punto di vista anche solo meramente medico, vediamo

quindi con preoccupazione qualsiasi azione (anche

legislativa) che possa marginalizzare le persone

migranti, rendendo di fatto difficile il loro contatto con il

Sistema Sanitario nel cui ambito tali azioni di diagnosi,

cura e prevenzione della trasmissione delle malattie

infettive dovrebbero continuare a svolgersi.

Un problema globale che interessa senza distinzione i

Paesi del nord e del sud del mondo è destinato causare

oltre 10 milioni di morti per anno a partire dal 2050 se

non verrà arrestato. Si tratta delle infezioni da batteri

resistenti agli antibiotici, per l’impiego di antibiotici

spesso indiscriminato non sono in medicina umana ma

anche in veterinaria e in agricoltura. In altri termini, gli

agenti d’infezione si sono abituati a sopravvivere in

presenza di quei farmaci che tante vite hanno salvato

dalla scoperta della penicillina in poi ma che oggi

manifestano importanti segnali di inefficacia. Secondo i

dati riportati dall’ECDC, ogni anno, nell’Unione

Europea, circa 33 mila persone muoiono per infezioni da

batteri resistenti agli antibiotici, la maggior parte

contratte in Ospedale.

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Di questi decessi, circa un terzo avvengono nel nostro

Paese in cui la probabilità di contrarre infezioni durante

un ricovero ospedaliero è addirittura del 6%, con 530

mila casi ogni anno. Gli ospedali quindi non più solo

luogo di salute ma anche sede di acquisizione di

pericolose malattie infettive. Per questo motivo, è più

che mai necessario aumentare la consapevolezza dei

cittadini e sensibilizzare gli operatori sanitari sul tema

della prevenzione e dell’antibiotico-resistenza. Corrette

pratiche di prevenzione, che passano da rinnovati e

adeguati protocolli, potrebbero ridurre del 20-30%

questo problema. Pazienti più informati e sicuri e

personale sanitario aggiornato sulle migliori pratiche

cliniche e sulle azioni per una prevenzione più efficace

aiuteranno a ridurre gli eventi avversi correlati alle

infezioni ospedaliere. Ma è altresì necessario che gli

interventi necessari vadano estesi anche ai veterinari,

agricoltori, farmacisti, amministratori dei sistemi sanitari

fino al livello politico secondo un approccio one health

inteso a coinvolgere al massimo livello tutti gli attori

interessati sul fronte comune della lotta alle antibiotico-

resistenze.

Non da ultimo, nel nostro Paese, devono venire

potenziate le strutture ospedaliere dotandole di un

maggiore numero di stanze a singolo letto con bagno

personale allo scopo di consentire gli isolamenti dei

pazienti infetti o colonizzati con germi multi-resistenti

agli antibiotici e i reparti di Malattie Infettive dovrebbero

essere dotati di un maggiore numero di posti letto e di

personale per fare fronte alle nuove esigenze. Infine un

paradosso: mentre il 92% dei 10 milioni di morti per

malattie infettive avviene nelle aree più povere del

Pianeta e, di queste, il 47% è provocato da malattie per

le quali non sono ci sono vaccini registrati, nei Paesi

industrializzati ci si ammala sempre più frequentemente

e si muore per malattie infettive prevenibili con le

vaccinazioni a causa del rifiuto delle stesse da parte di

persone adulte suggestionate dalle assurde e

irresponsabili motivazioni dei movimenti anti-vaccinisti,

spesso decidendo in tale senso anche per i propri figli. E

così si ignora che, tra il 2000 e il 2016, circa 9 milioni di

morti sono state evitate grazie alle vaccinazioni. I

risultati sono tragici e deprimenti.

Ad esempio, l’epidemia di morbillo che sta dilagando in

tutta Europa vede l’Italia maglia nera per l’elevata

incidenza di casi che va di pari passo con i bassi tassi di

copertura vaccinale. Ed è così che in Italia, in soli 10

mesi, dal 1 gennaio al 31 ottobre 2018 sono stati

segnalati 2368 casi di morbillo in pazienti con età

mediana di 25 anni, inclusi 463 bambini di età inferiore

a 5 anni. È stato segnalato un decesso in Friuli Venezia

Giulia, in un paziente di 23 anni affetto da leucemia, che

porta a otto il numero di decessi segnalati nel 2018 e a

13 da gennaio 2017 a oggi.

È importante quindi, da un lato mettere in campo

tecnologie molto innovative per la scoperta di nuovi

vaccini, dall’altro estendere la copertura vaccinale sia in

Paesi a risorse limitate per problemi logistici (catena del

freddo) ed economici, che in Paesi industrializzati come

il nostro vincendo la diffidenza della popolazione

alimentata dalle campagne anti-vaccinali. L’obiettivo

finale è attraversare la 'valle della morte' dei vaccini,

ossia quel vuoto che si crea fra la dimostrazione

dell'efficacia e l'arrivo ai pazienti, costellato da costi

altissimi e difficoltà di produzione e fornitura, ma anche

da difficoltà pratiche e mancata accettazione da parte

della popolazione di soggetti vulnerabili.

...la vaccinazione contro il papillomavirus

umano (HPV) ha già riscosso l’interesse

dei club Rotary...

L’azione rotariana è stata determinante verso l’obiettivo

ormai vicino dell’eradicazione della poliomielite nel

mondo. Una volta ottenuta l’eradicazione della

poliomielite, ormai prospettiva realistica grazie a Rotary,

vero protagonista della salute del mondo, l’azione

rotariana potrebbe ora continuare su questa via con una

rinnovata campagna a favore di tutte le altre

vaccinazioni. Tra queste, la vaccinazione contro il

papillomavirus umano (HPV) ha già riscosso l’interesse

dei club Rotary con progetti e azioni distrettuali volti

anche a sensibilizzare i giovani verso il rischio di

infezioni sessualmente trasmissibili tra cui lo stesso

HPV. È importante proseguire su questa strada già

tracciata ove si consideri come ogni giorno si verifichino

almeno un milione di casi di infezioni sessualmente

trasmissibili (tra cui anche alcune ormai dimenticate ma

in pericoloso incremento come la sifilide) e come in

Italia sia particolarmente a rischio la fascia di età tra i 15

e i 24 anni! Per quanto riguarda specificamente HPV,

ancora responsabile di circa 4000 casi di carcinomi della

cervice uterina ogni anno in Italia, più molti casi di

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carcinomi della testa e del collo anche nel nostro Paese,

le recenti proiezioni indicano come realistica la

possibilità di giungere alla progressiva eliminazione di

tale virus e delle sue pericolose conseguenze.

Come si vede, quindi, la strada verso la sconfitta delle

malattie infettive è costellata di molti successi ma anche

di molti problemi.

A rendere notevolmente più complesso il tema, le

problematiche strettamente mediche si legano a doppio

filo con questioni di natura economica, politica e sociale.

È solo attraverso una prospettiva etica di tutela della

salute globale in ogni parte del mondo che potremo

sperare di ottenere un controllo più efficace delle

malattie infettive nel mondo, a vantaggio nostro e delle

future generazioni.

D’altra parte, il genere umano, che prima di Pandora

aveva vissuto senza mali né morte, iniziò a soffrire la

condizione terrena, e la terra divenne simile a un inferno.

Infine, Pandora riaprì il vaso e fece uscire la Speranza

che non a caso viene detta “l’ultima a morire”.

Professore Associato di Malattie Infettive, Università degli Studi "Magna Graecia" di Catanzaro.

Direttore Scuola di Specializzazione in Malattie Infettive e Tropicali, Università degli Studi "Magna

Graecia" di Catanzaro. Direttore Unità Operativa di Malattie Infettive e Tropicali, Azienda Ospedaliero-

Universitaria "Mater Domini", Catanzaro. Presidente Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali

(SIMIT), sezione Calabria. Ha partecipato a numerosi studi in ambito nazionale e internazionale.

Docente e moderatore a numerosi congressi nazionali e internazionali. Section Editor di riviste

scientifiche.

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La parola ai Past Governor:

Badolati, Esposito, Martirano, Mello, Rosano

di Lucia de Cristofaro

Il Rotary tra passato e presente attraverso i ricordi, i

pensieri, le emozioni dei Past Governor. Iniziamo

con le prime cinque interviste a: Vito Rosano,

Coriolano Martirano, Felice Badolati, Mario Mello,

Gennaro Esposito, un viaggio nella Storia del nostro

Distretto, confrontando passato e presente, opinioni,

pensieri ed emozioni per un Rotary che tutti noi

abbiamo nel cuore.

PDG Vito Rosano

Governatore a.r. 1986-1987,

socio Club Vibo Valentia

Hipponion.

Attualmente ricopre

l’incarico: Linea di azione

sviluppo del Distretto

Il 1986/87, anno di Governatorato del PDG Vito

Rosano, fu un anno rotariano ricco di eventi a

livello internazionale, in un territorio che

comprendeva Campania, Calabria, Basilicata,

Puglia. Quali i momenti più salienti.

“Di sicuro uno dei momenti più significativi è stato

il Congresso, caratterizzato da una attività

internazionale; per la prima volta, dopo tale

esperienza non si è più ripetuta, il Congresso Rotary

del Distretto 2100, si è svolto su una nave

unicamente di rotariani, precisamente la nave

Ausonia della Grimaldi. Con 750 presenze abbiamo

celebrato il congresso nel Mediterraneo, realizzando

degli incontri inter paesi con: l’Egitto ad

Alessandria, Israele a Tel Aviv e in Greca a Corfù.

Nell’incontro in Israele si è avuta una presenza

rotariana di 1200 persone con i Rotary di Israele e la

presenza di una rappresentanza del Rotary

Canadese”.

Un evento unico dunque, potremmo dire che ha

dato il via al progetto “Pace nel Mediterraneo”

del Distretto 2100?

“Se non è iniziato proprio in quel momento, di

sicuro il Congresso posto in relazione alla pace, né

è stato un elemento fondante. Non bisogna mai

dimenticare le radici storiche delle nostre

esperienze, perché esse inevitabilmente hanno avuto

dei precursori, pensiamo ad esempio Benedetto

Musolino, senatore di progressista nel primo

parlamento d’Italia 1861, il quale già allora ideò una

proposta di allocazione dello stato di Israele dove

poi dopo la Seconda Guerra Mondiale, sarà di fatto

stanziato. Una prima visone dello stato ebraico era

stata ipotizzata in Argentina, mentre Musolino lo

colloca nei territori dove attualmente è situato con

una motivazione politica, ovvero far sì che Israele

diventasse una barriera per la sete espansionista

dell’allora potere dello Zar. Le parlo di tale visione

storica perché il volume che descrive il progetto del

senatore Musolino, “La questione d’oriente”, fu

consegnato in una delle tappe del Congresso, durato

dieci giorni, dalla pronipote di Musolino da me

invitata nelle mani del Primo Ministro Israeliano

Yitzhak Shamir”.

Un atto importante.

“Importante e irripetibile, pensi che il volume è stato

tradotto in ebraico e nell’anno successivo esso è

stato allocato nella nel settore d’onore della

Biblioteca di Tel Aviv. In quella sede mi fu dedicata

anche una pianta sulla collina di Gerusalemme. Lo

sviluppo della Pace attraverso l’intreccio culturale,

è un discorso molto profondo”.

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Vede in modo positivo, dunque, la scelta del

Governatore Iovieno di mettere in campo un

progetto distrettuale sulla “PACE”

“Assolutamente sì. Devo aggiungere che tale

aspetto si inserisce in una visione molto equilibrata

che il Governatore Iovieno sta portando avanti

egregiamente all’interno del Distretto”.

Torniamo al suo governatorato. Un altro fatto

importante accade a livello di Rotary

International, perché nel 1985, iniziò la

Campagna Polio Plus.

“Importante progetto rotariano, che mi vide tra

coloro che diedero il loro contributo alla

preparazione del progetto Polio Plus, che grazie al

sostegno di tutti noi è giunto alla sua conclusione”.

Pensando al “countdown history” per la Polio,

quale progetto potrebbe continuare dopo?

“Nella riunione internazionale che ci fu ad Assisi,

circa otto anni fa, sul tema Acqua, emerse questo

grande problema internazionale, quindi come la

Polio rappresentò un flagello in un settore del

mondo dove la civiltà istituzionale non aveva avuto

penetranza, andando oltre si dovrebbe guardare alle

carenze essenziali per vita umana. Li ad Assisi ci fu

un prologo molto bello proprio su questo tema. Noi

abbiamo degli elementi dominanti per combattere

quelli che possiamo considerare dei veri attentati: la

Polio era un attentato alla vita, ora i grandi attentati

possono essere quelli in relazione con le carenze

essenziali per la vita umana o contro lo stato civile

dell’uomo, come ad esempio la corruzione. I presidi

rotariani dovrebbero di fatto essere presidi contro la

corruzione, non perché mettono in atto progetti in

tal senso, ma perché conducono le persone ad

introiettare un pensiero valoriale e etico, perché solo

il “pensiero”, inteso come filosofia di vita, può

salvarci”.

Il Rotary dunque come punto di riferimento

valoriale?

“Certamente, ma, come dissi ai giornalisti che a fine

congresso 1987, mi chiedevano di sintetizzarlo, per

essere punto di riferimento valoriale vero il Rotary

deve abbandonare quel suo 70%, che lo vede essere

una magnifica accademia di “ipocrisia”, lasciando

solo al 30%, la realizzazione accademica di

conoscenza e di ricerca per la libertà, per la pace e

altro. Forse sono espressione di un piccolo gruppo

di sognatori del Rotary, ma credo che solo se

abbandoniamo l’“ipocrisia”, possiamo diventare

rotariani “veri”.

E da sognatore del Rotary, come vede quest’anno

rotariano?

“Quest’anno è un anno appagante appunto per

l’equilibrio con cui il Rotary Distrettuale è mandato

avanti dal nostro Governatore Iovieno”.

4 maggio 1987, una data importante per il Rotary

nell’anno del suo governatorato, ovvero

l’ammissione delle donne, secondo quanto

stabilito dalla Corte Suprema degli Stati Uniti.

“Di sicuro un passo importante, anche perché sono

convinto che nessuna universalità può essere

raggiunta solo dalla metà del genere umano, quello

maschile. L’immissione nelle donne nel Rotary ha

completato un naturale discorso evolutivo. Ciò non

ci deve però far dimenticare un'altra problematica

importante, ovvero i giovani”.

Ci spieghi meglio.

“Dopo aver accolto il ricorso relativo alle donne,

allora il Rotary non aveva alcuna attenzione per i

giovani, ossia i Rotaractiani. Allora il pensiero

rotariano era che il Rotaract non era un’anticamera

del Rotary, per fortuna ora, forse per il fatto che il

Rotary è in affanno, le cose sono cambiate. Ma

allora, credendo molto nelle potenzialità dei

giovani, insieme ad altri governatori fondammo i

Senior Act, dove i giovani non più rotaractiani e

impossibilitati ad entrare nel Rotary, potevano

trovare una loro dimensione rotariana. Ricordo il

pianto di una giovane a Strasburgo, perché per lei

l’esperienza Rotary sarebbe finita proprio per le

regole di allora”.

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È un bene dunque che ora ci sia la possibilità di

passaggio dal Rotaract al Rotary.

“Sicuro, anche se immettere i giovani è una

operazione molto difficile. Tale discorso può

avvenire solo in una auspicabile prospettiva che

possa esserci la realizzazione di un pensiero nuovo,

che fonda quello giovanile con l’esperienza di chi

come me può essere considerato un “vecchio”

rotariano, perché se i giovani pensano di essere

avanguardia coesa, senza tenere presente le

esperienze del passato, la prospettica non funziona,

ma se si riesce a realizzare un pensiero nuovo dalla

fusione di due visioni, allora potremmo brindare

all’evoluzione del pensiero rotariano in una giusta

prospettiva di senso”.

Concetti importanti questi.

“Concetti che penso di inserire in un libro: “Il

Rotary dalla Storia alla filosofia”, sottolineando che

il Rotary che ha una grande storia alle spalle non può

e non deve essere considerato da alcuni, come un

dopolavoro”.

A lei è stato dato anche l’incarico di sondare la

possibilità di creare club Rotary all’Est, prima

della caduta del Muro di Berlino, come fu quella

esperienza?

“Intensa, come del resto tutto il mio governatorato.

Nel 1987 fui delegato dal PI Mat Caparas di fare un

primo sondaggio sperimentale nei Paesi dell’Est per

la realizzazione di club Rotary. Allora grazie alla

collaborazione di alcuni amici rotariani di Bari,

riuscii ad incontrare il presidente della Repubblica

Socialista di Croazia, Ante Marković. Siamo stati

una settimana a Dubrovnik per cercare di poter

costituire il primo club Rotary, che si sarebbe poi

realizzato due anni dopo. Conservo ancora la lettera

del Presidente Caparas, che mi invitava a sondare la

possibilità di un impianto rotariano nei paesi

dell’Est”.

Una esperienza internazionale molto ampia,

dunque.

“Si impegnativa ed entusiasmante allo stesso tempo.

Il tema del Congresso, proprio per puntualizzare

l’importanza della cultura e del pensiero filosofico

fu: “Il Rotary tra liberalismo, cattolicesimo e

marxisismo”, presieduto dalla figura eccellente di

Raffaello Franchini, di cui ho goduto l’amicizia,

ultimo allievo di Benedetto Croce. Pur essendo

medico ho sempre avuto una predilezione per la

filosofia, in quanto come esseri umani non possiamo

prescindere da quelli che sono i valori essenziali che

proprio nella filosofia trovano radici profonde”.

Valori, che si riscontrano anche nei Progetti

Distrettuali messi in campo quest’anno.

“Quello del Governatore Iovieno è un ottimo

tentativo di riportare il Rotary su concetti di

pensiero, siano essi nell’ambito dell’arte,

dell’umanesimo o del sociale. Dobbiamo pensare ad

un Rotary che riscuota il consenso e il rispetto dai

territori in cui opera, e non ci può essere rispetto

senza nobiltà di pensiero. Se non recuperiamo la

nostra connotazione valoriale, potremmo avere

giudizi sul Rotary, come quello storico di Enzo

Biagi: “Bontà d’animo con coltelli e forchette

d’argento”. Uno smalto importante, rotarianamente

parlando, derivava prima da grandi uomini che lo

caratterizzavano, ora bisogna di nuovo ritrovare

quella dimensione umana”.

Un pensiero per concludere?

“Prima di tutto grande stima per la persona del

Governatore Iovieno e per il lavoro che sta facendo.

Un primo pensiero conclusivo mi permetto di

rivolgerlo ai giovani e soprattutto alla capacità che

dobbiamo ritrovare di uscire fuori dagli steccati.

Non possiamo pensare di parlare di situazione

giovanile, parlando solo con i nostri rotaractiani.

Dobbiamo aprirci al mondo giovanile incontrandoli

ovunque sia possibile, soprattutto chiaramente nelle

scuole, cosa che personalmente faccio di continuo.

Un secondo pensiero va al manto di “ipocrisia” di

cui ho parlato precedentemente, da cui uscire perché

altrimenti rischieremmo di esserne soffocati e

infine: Essere ammalati di Rotary, del vero Rotary,

non guasta”.

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Il Rotary tra passato e presente attraverso i ricordi, i

pensieri, le emozioni dei Past Governor. Iniziamo con le

prime quattro interviste a Martirano Coriolano, Felice

Badolati, Mario Mello, Gennaro Esposito. Un viaggio

nella Storia del nostro Distretto, confrontando passato e

presente, opinioni, pensieri ed emozioni per un Rotary

che tutti noi abbiamo nel cuore.

PDG Coriolano Martirano

Governatore a.r. 1989-1990,

socio Club Cosenza.

Attualmente ricopre l’incarico:

Linea di azione comunicazione

Sono passati quasi trent’anni

dall’anno rotariano di cui

Martirano Coriolano è stato

Governatore. Quali Cambiamenti nel Rotary in

questo arco di tempo?

“Allora il Distretto riguardava tutta l’Italia Meridionale,

con 100 club da seguire e visitare, come accade oggi con

i 107 club del nostro Distretto. Sul mio cammino di

Governatore ho trovato delle persone buonissime,

magnifiche, consapevoli dell’importante ruolo che

avevano da svolgere come rotariani, perché non

dobbiamo mai dimenticare che il rotariano oggi, come

allora, ha un ruolo importante da svolgere, ovvero quello

di fare e conservare quelli che sono i principi

fondamentali della vita. Anche se c’è un mondo che

cambia, i principi restano. L’innovazione deve sempre

avvenire nel rispetto di quelle che sono le regole della

vita e del nostro sociale, e ciò lo si può riscontrare nella

natura cristiana del Rotary.

Quindi anche una natura cristiana alla base della

solidarietà rotariana?

“Certo, anche se questa solidarietà non deve essere

riferita a cose materiali.”

Ci spieghi meglio…

“Il rotariano non deve pensare che aprendo il portafoglio

per l’acquisto di qualcosa come dono alla comunità,

abbia esaurito il suo compito, perché ciò che realmente è

importante è il suo impegno, il suo agire all’interno delle

comunità per migliorarle, partendo dalle esigenze che

quest’ultime manifestano. Non è mettendo un tappo su

ciò che manca e facendo elemosina che risolviamo i

problemi.”

Allora condivide la linea del Dg Iovieno, che

quest’anno ha esortato i club a comprendere le

esigenze del territorio e a non perdere mai di vista il

motto del PI “Siate d’Ispirazione”?

“Il motto di Rassin ha colto l’importanza di essere

rotariano nell’esempio da dare alla comunità come

dicevo prima e partire dalle esigenze dei territori è

assolutamente essenziale. Dal mio governatorato sono

passati 30 anni, ma è chiaro che il Rotary con i suoi

principi e i suoi valori anche affrontando i cambiamenti

sociali, continua a contribuire alla società in modo

concreto.”

In relazione all’agire concreto del Rotary, parliamo

di Polio Plus…

“Il progetto Polio Plus ha di sicuro assicurato ai bambini

delle popolazioni colpite un futuro, che senza il

contributo umanitario del Rotary e dei suoi volontari,

non avrebbero avuto. E volendo vedere oltre l’attuale

progetto e guardare ad un futuro senza Polio, si dovrà

comunque indagare sempre sulle esigenze e capire in che

modo incidere e sostenere le popolazioni.”

Già Professore Universitario di Storia, e ancora oggi

è impegnato come studioso, come vede il progetto

Beni Culturali del Distretto?

“Un progetto che guarda ai Beni Culturali non può che

portare lustro ai territori interessati, troppi sono i beni

culturali nel nostro Distretto che non hanno la giusta

considerazione.”

So che per i suoi 50 anni di iscrizione al Rotary le è

stata fatta una sorpresa?

“Si, una sorpresa graditissima, un libro con tutte le

relazioni da me tenute ai club Rotary. Non posso celare

che è stata una grande emozione vedere che le mie parole

continuavano a vivere e a illuminare, come sottolineato

dagli autori di questa sorpresa, le menti rotariane. Per me

comunicare i principi e i valori rotariani continua ad

essere importante.”

Un augurio ai rotariani, che leggeranno la nostra

intervista?

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“Il mio augurio è che colui il quale è chiamato a

rappresentare il Rotary sia capace di leggere anche le

cose che non si dicono, nella consapevolezza che il

Rotary è una luce che viene accesa su altre luci, e

contribuisce ad illuminare il mondo verso il Bene.”

PDG Felice Badolati

Governatore a.r. 1993-1994,

socio Club Palmi.

Attualmente ricopre l’incarico:

Linea d’Azione rapporti con la

Pubblica Amministrazione

Gentile PDG, iniziamo con individuare i cambiamenti

sostanziali avvenuti nel Rotary?

“Ma il grande cambiamento di sicuro è avvenuto nella

comunicazione, con una rivoluzione vera e proprio in

campo informatico. Personalmente credo che pur

consapevoli che i mutamenti siano inevitabili si debba

sempre cercare di mantenere il giusto equilibrio e quindi

protendere solo per quelle che oggi chiamiamo piazze

virtuale è per il Rotary, così come per la società in

genere, un grosso errore. È importante poter leggere ciò

che accade non solo su pagine web, ma bensì anche su

rivista cartacea, incontrarsi tra soci nei club e non solo

scrivere e leggere i messaggi di Facebook o di

whatsapp.”

Sono d’accordo con lei, quindi non rinunciare mai ad

incontrarsi…

“Assolutamente. L’incontro, il confronto sono alla base

del nostro essere rotariani. Solo dal confronto nascono le

idee, seguite da azioni. Se di fatto il nuovo non si può

lasciare fuori dalla parte è importante che ciò che

rappresentava una comunicazione fino ad oggi non sia

messa da parte, ma continui ad avere un suo ruolo e

spessore.”

Un suo ricordo del suo anno di governatorato…

“Il nostro territorio allora ricopriva tutto il sud, compresa

Puglia, Sicilia, Malta. Ciò fece emergere subito

l’esigenza di unire e sviluppare i Rotary nel

Mediterraneo in un discorso di Pace, caro all’amico Lello

Pallotta, con il quale ci mettemmo subito in azione in

varie Nazioni che si affacciavano sul Mare Nostrum.

Famoso fu un incontro rotariano a Tel Aviv. La nostra

zione non solo fu significativa per la Pace, ma anche per

l’apertura di nuovi mercati, che favori di fatto

l’economia anche italiana.”

Anche quest’anno il Governatore Iovieno si è

impegnato in un Progetto per la “Pace nel

Mediterraneo”

“Lo considero un grande progetto, perché appare chiara

la sensibilità di Salvatore verso la sofferenza dei popoli

e perché nonostante lui sia di un’altra generazione, ha

seguito le orme della “Pace” già tracciate, realizzando

qualcosa d’importante.”

Pace nel Mediterraneo e nel mondo significa anche

salute, crede che il Rotary abbia contribuito a ciò?

“Il progetto Polio Plus è stato, ed è, un’opera degna

dell’umanità e i risultati raggiunto lo dimostrano

ampiamente. È importante, però, essere attenti perché

parlare di eradicazione significa essere totalmente sicuri

che non solo non ci siano più casi di tale malattia, ma

anche che essa sia scomparsa a livello ambientale.

Credo, dunque, che solo quando si sarà realmente sicuri

di aver messo la parola fine a tutti gli aspetti di questo

flagello chiamato Polio, si possa iniziare a pensare ad un

eventuale altro progetto, sempre nel rispetto delle

differenze culturali e delle storie dei popoli.”

La parola chiave è dunque “rispetto”?

“Assolutamente sì, ognuno di noi a qualsiasi latitudine

porta dentro di sé un valore, una storia, un pensiero e ciò

verso cui dobbiamo tendere è trovare una unione

spirituale, riconoscendo il diritto di ogni popolo alla sua

identità culturale.”

Cosa vuol dire essere rotariano oggi?

“Oggi, come ieri, ogni rotariano deve dimostrare al

proprio territorio e al mondo l’importanza dei progetti

che si mettono in essere, che debbono contenere sempre

qualcosa in più, che ad altri era sfuggita. Effettuare

almeno un incontro pubblico all’anno significa

incontrare le persone, parlare loro della propria azione e

di ciò che si intende realizzare. Se non si parte da ciò è

inutile chiamarsi rotariani.”

Un messaggio conclusivo?

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“Essere sé stessi e inseriti nella società per capirla e

ascoltarla. Dobbiamo superare gli egoismi umani e

remare tutti insieme, consapevoli che da soli non si

giunge a nulla. Non isole ma arcipelaghi, questo il

pensiero guida che dobbiamo portarci dentro.”

PDG Mario Mello

Governatore a.r. 1994-1995, già socio del RC Salerno

Est e Paestum, ora socio RC Battipaglia.

Attualmente ricopre l’incarico: Linea d’Azione Beni

Culturali

Iniziamo la nostra

conversazione sulla storicità

valoriale del Rotary?

“Certamente, tante cose sono

cambiate nel Rotary dal mio

governatorato ad oggi, ma di

certo i valori e i principi su cui esso è fondato non sono

cambiati e sono i nostri capisaldi da oltre cento anni,

questo è ciò che realmente è importante. Il pensiero alla

base del Rotary è lì per farci da esempio e da guida sul

nostro essere rotariani, senza dimenticare le radici

cristiane alla base della nostra cultura e del nostro

impegno. Ed è questo impegno che non deve mai

diminuire se vogliamo veramente incidere sulla società.”

Una società in continua evoluzione…

“Certamente, ed è per questo che anche il Rotary si è

adeguato aprendosi alle donne, ai giovani alle nuove

professioni. Ciò che però credo si debba mantenere è

guardare alla persona nella sua interezza, ossia la sua

realizzazione, il suo modo di rapportarsi agli altri, prima

di far sì che egli possa essere cooptato a diventare

rotariano. Meglio avere meno soci, ma tutti con la

consapevolezza di cosa sono realmente i valori del

Rotary che averne tanti, ma non tutti pianamente

coscienti dell’importante ruolo che ricoprono.”

Parliamo del suo governatorato?

“Correva l’anno 1994/95, quindi un po’ di tempo fa, io

ero professore a tempo pieno, ma ciò nonostante ho

visitato tutti i club e ho lavorato insieme a loro per la

realizzazione dei progetti a favore dei territori. Ho

creduto e credo che sia importante per un Governatore

essere vicino ai club e partire dalle loro idee per incidere

positivamente sulla società.”

Un impegno a 360 gradi il suo, ne ricordiamo qualche

particolare?

“Beh! Potrei ricordare il progetto a favore di un Bene

Culturale, come la Basilica paleocristiana di Paestum,

cui installammo il pavimento, oppure La Fiera

dell’Artigianato di San Giovanni in Fiore, iniziata con il

Distretto Rotary e continuata come esento Regionale.”

Come professore di Storia è vicino dunque al

Progetto Beni Culturali messo in campo quest’anno

dal Dg Iovieno?

“Salvatore ha avuto una grande visione nel rivolgere il

suo interesse ad un patrimonio culturale non sempre

apprezzato e soprattutto conosciuto. Un progetto che

contribuisca ad accendere o a continuare a tenere alta

l’attenzione sul patrimonio storico-culturale del territorio

distrettuale è importante soprattutto per i giovani, per far

sì che riscoprano i tesori delle nostre regioni e li

valorizzino, perché il futuro inizia proprio con i giovani.”

Il ruolo ricoperto quest’anno “Linea d’Azione Beni

Culturali” è di sicuro appropriato e vicino ai suoi

interessi…

“Iovieno è una persona colta e saggia e sono contento che

mi abbia coinvolto.”

Cosa dire in conclusione ai rotariani del Distretto

2100?

“Più fatti e meno parole e soprattutto maggiore

semplicità”.

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PDG Gennaro Esposito

Governatore a.r. 2002/ 2003,

socio Rotary Club Salerno Est

Attualmente ricopre l’incarico:

Linea d’Azione Finanze

Distrettuali

Iniziamo il nostro incontro individuando un punto

essenziale del cambiamento del Rotary nel terzo

millennio?

“Credo che uno dei punti fondamentali sia la

trasformazione del Rotary in Associazione italiana,

sminuendo in alcuni casi il suo ruolo a livello nazionale.

Mi spiego se il Rotary inizia ad essere paragonato ad una

qualsiasi altra associazione allora perde la sua

autenticità, il suo essere al di sopra dei vari sistemi

nazionali, per poter incidere ancora di più nella società.

Se si guarda alla storia del Rotary si comprende che la

nostra Fondazione è pronta e partecipe al cambiamento,

ma allo stesso tempo resta salda sui suoi principi e i suoi

valori e queste sono regole certe che indicano la strada a

tutti noi.”

Così come ha positivamente inciso per la lotta alla

Polio?

“Sicuramente. Durante il mio Governatorato il Distretto

ha inviato trecentomila dosi di vaccino, credendo

fortemente nella missione Polio Plus. Solo che anche in

questo caso si dovrebbe già avere una visione del futuro.

Siamo ormai giunti all’1% per la completa eradicazione,

quindi è importante iniziare già a pensare quale altro

grande progetto internazionale sarebbe opportuno

mettere in campo, che come la lotta alla Polio possa

contribuire a migliorare le condizioni di vita delle

popolazioni che maggiormente ne hanno bisogno.”

Come si vive il Rotary dopo essere stato

Governatore?

“Sono convinto che dopo aver svolto qualsiasi incarico

di servizio nel Rotary, compreso il Governatore, si

ritorna ad essere soci. Un PDG per me non deve dare

direttive né ai presidenti del proprio club, né ad altri

nominati a ruoli precisi. Se mi si chiede un consiglio, un

pensiero sono a disposizione del Club, del Distretto, dei

Giovani che danno vita a tanti progetti, ma ai quali non

ci si deve approcciare mai in modo imperatorio, ma al

contrario ascoltarli per poi operare insieme. È la coesione

che fa grande un club e un Distretto.”

Un impegno quello rotariano che va anche oltre il

Distretto?

“Certo, anche se credo sia importante che nei ruoli

internazionali siano destinati coloro che hanno delle

competenze specifiche e che quindi possono realmente

operare per il meglio. Rivolgersi alla competenza è

un’altra regola che deve sempre essere tenuta presente,

per il bene del Rotary, sia che essa operi all’interno di un

club, di Distretto o in Europa.”

Concludendo?

“Per concludere vorrei augurare a Salvatore buon lavoro,

continuando ad essere incisivo con i progetti distrettuali

ed anche augurare che si riesca a risolvere la questione

Divisione, mettendosi attorno ad un tavolo, cercando la

soluzione più opportuna per il bene dei territori e dei club

che operano in essi, che è l’unico obiettivo che ci

dobbiamo porre”.

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Noi rotariani dobbiamo agire

da apostoli laici

di Antonio Brando

Con il Rotary nel cuore, da oltre trenta anni, la Sua

“Ruota” gira nella mia vita. Accanto all'educazione dei

miei genitori, alla formazione scolastica di tanti maestri

e docenti e della guida spirituale del mio parroco, devo

riconoscere la presenza degli ideali di Paul Harris. La

presenza nella Società, o meglio nella mia Comunità, nel

territorio che ho calcato e continuo ancora oggi, è opera

dell'insieme di questi ingredienti; un noto Past Governor

del Distretto 2100 esortò e ricordò a tutti ì presenti il

nostro mandato: “agisci da apostolo laico”. Testimoniare

con il pensiero e le azioni quotidiane un'appartenenza,

uno stile. Ciascuno diventi un uomo capace di “fare la

differenza”, per la qualità del Pensiero e della Solidarietà

che va al di sopra del proprio interesse. In poche parole,

facciamo sì che l'Egoismo venga sconfitto dal “Saper

dare”. Fare bene il bene in ogni contatto con il Nostro

Prossimo, che attende, dal giovane, donna e uomo del

Rotary International, esempi concreti e tangibili di ciò

che si va scrivendo o parlando. La Solidarietà condivisa

con chi è ai “margini”, di chi per un tempo della propria

Vita, vive il disagio di una malattia o di una “crisi”.

L'avvicinarsi ai problemi, al malessere, con silenzioso

rispetto, con cautela, come quella che adottiamo verso un

piccolo bambino, per meritarne fiducia ed un sorriso.

Fiducia e sorriso questo il premio che ciascuno di Noi

ritengo possa chiedere dall'esperienza associativa in un

Club Rotary; sviluppare la capacità di ascoltare, prima di

parlare; di pensare ed analizzare prima di agire per la

risoluzione di un “solo” problema. Ho imparato che i

progetti vanno studiati, e vanno necessariamente

condivisi con chi manifesta specifica competenza.

Il Rotary non è per tutti, bensì per coloro i quali ritengo

abbiano la capacità di riscoprire la prima persona plurale,

il Noi abbandonare realmente, nella vita vissuta, non

quella dei social-pollice verso o bacetti-l'ipertrofia

dell'Ego.

Giovani, donne e uomini di buona volontà che nel

silenzio possano testimoniare risultati reali, non elenchi

di cose fatte. Verificare sempre ciò che si è fatto nella

continuità del Servizio, non chiudere l'esperienza,

quando questa è valida, ma proseguire.

Arricchire di nuove esperienze e di nuovi amici Soci, che

secondo le proprie attitudini e capacità non attendono

altro che poter dare. Li abbiamo scelti, perché leader;

capaci nelle loro competenze di essere i migliori. E

allora? Coinvolgiamo tutti i Soci del Club, chiediamo

aiuto ad altri sodalizi; lavorare in sinergia determina il

raggiungimento del massimo obiettivo con il minimo

sforzo. Ricordiamo ancora una volta la nostra priorità,

l'attenzione alle Nuove Generazioni, a cui passare il

testimone; coloro i quali rappresentano l'occasione per

rinnovare, in meglio, la Società. I Giovani al centro del

nostro lavoro, mediante il riconoscimento del merito,

mediante aiuti formativi nelle scuole di ogni ordine e

grado, attraverso progettualità ed opere condivise.

I giovani siano i protagonisti della nostra storia,

attraverso il ruolo guida di adulti che a vario titolo

rappresentino un valore educativo e formativo. La

squadra vince e convince nella progettazione reale, ma

soprattutto nel vedere noi tutti diretti verso un unico

obiettivo, la Pace, il benessere del nostro prossimo.

Medico Chirurgo-Specialista in Urologia, Dirigente medico presso Div. Urologia AORN S.G. “Moscati” di Avellino. Past

President del Rotaract Club Salerno. Socio del Club Rotary Salerno Est dal 1995, di cui è stato Presidente

nell'anno sociale 2008/2009. Ha ricoperto il ruolo di Assistente del Governatore, Istruttore Formator,

Delegato Rotary per il Rotaract nel Distretto 2100

.

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Aniello Montano

Rotariano di spessore

e di gran pregio

di Gherardo Mengoni

13 dicembre 2018, terzo anniversario della dipartita di

Aniello Montano, accademico illustre, di cui dottrina,

competenza e saggezza hanno per molti anni costituito

un faro di cultura in questa nostra terra del Sud dove

spesso l’apparire sovrasta l’essere e dove il prof.

Montano militava di certo fra i testimoni della seconda

specie, per riservatezza, stile e semplicità di vita.

I suoi colleghi, gli allievi e gli estimatori, in questo non

breve lasso di tempo, hanno potuto, in varie occasioni

tessere le sue lodi ricordandone le doti di raffinato

intellettuale. È stato, infatti, un analista ed un ricercatore

appassionato delle correlazioni esistenti sin dalla nascita

della Filosofia nello sviluppo del pensiero umano lungo

il corso dei secoli. La sua prematura scomparsa, non ha

ridotto l’attenzione né ha scalfito l’interesse degli

studiosi per i suoi specifici studi su Pitagora e i

Presocratici, su Giordano Bruno, e su Albert Camus,

senza dimenticare gli altri dedicati a Giovanbattista

Vico, Spinoza e Sartre. C’è di certo un fil rouge che lega

i Presocratici e Pitagora a Bruno ed a Camus. I concetti

di “misura” (la metròites-metro’ ites) e quello di

“limite”, così presenti e insiti nella visione del Mondo di

Pitagora, richiamati, peraltro, anche nel Gimnasium

platonico, si riverberano con pari centralità nel pensiero

moderno di Bruno ed in quello contemporaneo di Camus.

Aniello Montano, nello sviluppo di queste tesi

affascinanti, ha dato spazio all’espressione più

congeniale del suo carattere di Storico della Filosofia ed

al valore della disciplina accademica che lo ha visto

apprezzato ed amato docente universitario a Genova ed

a Salerno, nonché instancabile saggista e divulgatore.

Nei suoi lavori, dalle considerazioni sul pensiero di

Giordano Bruno alle osservazioni su temi di attualità

sociale espressi nel volume “Sermo Civilis”, emergono i

pregi dell’analista obbiettivo; del ricercatore dal pensiero

“libero”, svincolato dai lacciuoli dell’apparire. In uno

scritto del 2010 Montano, ad esempio, sintetizza

mirabilmente la figura di Bruno così: “il Nolano è

l’individuo che incarna la lotta contro tutti i limiti e le

costrizioni, scientifiche, politiche e morali. È stato, come

l’hanno definito molti interpreti, l’“araldo del libero

pensiero”, della parrèsia (parresia), della sfida all’idea

del finito, del passaggio dal mondo cognito e rassicurante

all’universo infinito, incognito e inquietante”.

Il rammarico generale per la perdita di una figura

accademica così brillante per i suoi studi e per i suoi

scritti risulterebbe, nonostante la “distrazione” che

impera d’intorno e lo scorrere del tempo, ampiamente

giustificata, ma Aniello Montano è stato ancor più amato

ed apprezzato per altro.

Esiste, infatti, un altro aspetto della vita e dell’opera di

questo gentiluomo infaticabile, dal tratto cordiale, dal

sorriso contenuto, dallo sguardo ceruleo che esprimeva

vivissima intelligenza e rara intuizione. È stato il suo

splendido approccio umano che risultava subito

percepibile anche fuori dal consesso accademico, e

particolarmente vincente in sede rotariana. Emergeva,

immediata, l’attenzione e la cura che egli poneva nel

dialogare con l’altro da sé. Un nuovo umanesimo

emanava in forma costante dal suo dire ed ha

caratterizzato il suo pluriennale contributo all’azione del

“servire” specialmente quando veniva rivolta alle

giovani generazioni! Era nemico della superficialità e del

pressapochismo che minavano, a suo dire, la sostanza del

viver civile!

In un discorso in difesa del “classico”, ad esempio, dopo

aver analizzato il significato della parola stessa; dopo

aver spiegato il rapporto fra classicismo e attualità della

cultura umanistica, introduce il problema giovanile

dicendo: “La preoccupazione di far acquisire ai giovani

autonomia e originalità di giudizio è oggi ancor più

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valida e attuale. Viviamo in un mondo civile e morale in

forte trasformazione, senza punti di riferimento certi e

fissi, con il pericolo di non riuscire più a distinguere tra

le varie opinioni. In un Mondo così aperto, di forte

ibridazione culturale, religiosa, politica, morale c’è

bisogno di educare la mente umana, di formarla

all’esercizio del giudizio libero e disinteressato, non

sottomesso né legato ad alcuna utilità …”.

Chi ha avuto la fortuna, di poter con lui intessere rapporti

di collaborazione, di partecipare con lui a riunioni, a

incontri, ha potuto apprezzare, in uno alla naturale

semplicità dell’eloquio ed al garbo della esposizione, la

profondità delle sue osservazioni e la intrinseca verità del

suo messaggio. L’indiscussa predilezione per il mondo

giovanile verso il quale lo portava, a buona ragione, la

lunga consuetudine con la Cattedra, non è stata mai

caratterizzata, peraltro, da logiche paternalistiche o da

atteggiamenti di superiorità. Tutto ciò era estraneo al suo

modo di concepire l’incontro dialogico, qualunque fosse

il tema trattato e la natura dell’interlocutore. In questo

equilibrio e rispetto dei ruoli, curati in ogni discussione,

in ogni costruttivo dibattito, è stato assertore della

Libertà dello spirito. Un laico convinto dotato di un’etica

invidiabile, senza incertezze, lontano da

condizionamenti o forzature confessionali.

Sui numerosi testi che ha dato alle stampe sarebbe quanto

mai opportuno meditare. Ne scaturirebbe l’emblematica

attualità della Sua dottrina e la possibilità di ritrovare,

come viva, la sua indimenticabile figura di saggio

Maestro!

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Rotariani famosi

nel mondo

Moltissimi gli uomini del mondo culturale, politico, imprenditoriale, sportivo e della chiesa

con esperienza di vita del Rotary.

Papa Francesco, dal 1999 è membro onorario del

Rotary Club di Buenos Aires

Leopoldo Pirelli, imprenditore italiano (RC Milano)

Emilio Pucci, stilista italiano (RC Firenze)

Guglielmo Marconi, scienziato e inventore italiano,

Premio Nobel per la fisica 1909 (RC Bologna)

Luciano Pavarotti, cantante lirico italiano

Cesare Merzagora, uomo politico italiano (RC Milano)

Asgeir Asgeirsson, Presidente dell’Islanda (RC Reykjavik)

Principe Axel di Danimarca, aristocratico danese (RC Copenaghen)

José Belloni, scultore uruguayano (RC Montevideo)

Eduard Benes, Presidente della Cecoslovacchia (RC Praga)

Harry A. Blackmun, giudice della Corte Suprema statunitense (RC Rochester, Minnesota)

Frank Borman, astronauta statunitense (RC Space Center, Houston, Texas)

John Briggs, pianista inglese (RC Bingley, Inghilterra)

Richard E. Byrd, ammiraglio statunitense (RC Winchester, Virginia)

Josep Ma. Vayreda Canadell, pittore spagnolo (RC Gerona)

Alcino Cardoso, uomo politico portoghese (RC Porto Douro)

Roger Chapelain-Midy, pittore francese (RC Parigi)

Max Cointreau, imprenditore francese (RC Paris, France)

Arthur Holly Compton, fisico statunitense, Premio Nobel 1927 (RC St. Louis)

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Gordon Cooper, astronauta statunitense (RC Space Center, Houston, Texas)

Michel Debré, uomo politico francese (RC Amboise)

Cecil B. De Mille, regista statunitense (RC Hollywood)

Maurice Denuzière, scrittore francese (RC Vitry-SudEst de Paris)

Jorge Fidel Duron, uomo politico honduregno (RC Tegucigalpa; ex vicepresidente del RI)

Marcelo B. Fernan, giudice della Corte Suprema filippina (RC Cebu West)

Raymond F. Firestone, presidente della Firestone Tire and Rubber Co. (RC Akron, Ohio)

Greve Af Rosenborg Flemming, aristocratico danese (RC Copenhagen)

J. William Fulbright, uomo politico statunitense (RC Fayetteville)

Hans-Dietrich Genscher, uomo politico tedesco (RC Bonn Süd-Bad Godesberg)

Reijiro Hattori, giapponese, presidente della Seiko (RC Tokyo Ginza)

Steingrimur Hermannsson, Primo ministro dell’Islanda (RC Reykjavik)

John F. Kennedy, Presidente degli USA (RC Hyannis, Massachusetts)

Chung Yul Kim, Primo ministro della Corea del Sud (RC Hanyang)

Karl Kobelt, Presidente della Confederazione Svizzera (RC St. Gallen)

Hans Küng, teologo tedesco (RC ReutlingenTübingen)

Jean Leclant, egittologo francese (RC Parigi)

Franz Lehar, compositore austriaco (RC Vienna)

Connie Mack, imprenditore sportivo statunitense (RC Fort Myers, Florida)

Thomas Mann, scrittore tedesco, Premio Nobel per la letteratura 1929 (RC Monaco di Baviera)

Konosuke Matsushita, presidente della Matsushita Electric Co. (RC Osaka)

Toyohiko Mikimoto, presidente della K. Mikimoto and Co. (RC Tokyo)

Duck Wo Nam, Primo ministro della Corea del Sud (RC Hanyang)

Heinrich Nordhoff, Presidente della Volkswagen (RC Braunschweig,

Germania)

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6 - Vesuvio, Napoli

7 – Sorrento

8 -

Abbazia del Goleto, Sant’Angelo dei Lombardi

9 -

Casina Vanvitelliana, Bacoli

10 - Templi di Paestum

11 - Punta Licosa

12 - Salerno, Luci d'artista

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Distretto 2100

Campania, Calabria, Territorio di Lauria