questo È il testo del 2 maggio 2000 su cui sto...
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NOTA: dopo la parola “fine” ci sono brani scartati o
doppi Mi ci sono voluti almeno 6 mesi per preparare
per la stampa Mistero buffo. Una lavorata incredibile!
Ho scartato moltomateriale interessante perché Dario non ne ha voluto sapere!!! Franca
ULTIMA EDIZIONE PER
“I MILLENNI”
MARZO 2001
MISTERO BUFFO EDIZIONE 2000
di Dario Fo
a cura di Franca Rame
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Indice Prologo
Rosa fresca e aulentissima
Il rito dei mammuthones e dei capri
La strage degli innocenti
Moralità del cieco e dello storpio
Il miracolo delle nozze di Cana
Nascita del villano
La nascita del giullare
La resurrezione di Lazzaro
La Madonna incontra Marie
Maria alla croce
Il Matto e la Morte
I crozadór (inchivatori)- (Il gioco del Matto sotto la
croce)
Il Matto sotto la croce a monologo
BonifacioVIII
Storia di san Benedetto da Norcia
Il primo miracolo di Gesù bambino
I grammellot
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La fame dello Zanni
Il grammelot di Scapino
Il grammelot dell’ avvocato inglese
Il grammelot napoletano di Razzuillo
Grammelot “Caduta del potere”
Golfo---Nozze Cana- Lazzaro-
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PROLOGO
I MISTERI
ATTORE “Mistero” è il termine usato già dai greci
dell’epoca arcaica, per definire una rappresentazione sacra:
misteri eleusini e dionisiaci. Il termine fu ripreso dai cristiani
per indicare i propri riti fin dal II e III secolo dopo Cristo.
Ancora oggi, in chiesa ci capita di ascoltare il sacerdote che
declama: “Nel primo mistero glorioso... nel secondo
mistero...”, e via dicendo. Mistero significa dunque
rappresentazione sacra, mistero buffo significa
rappresentazione di temi sacri in chiave grottesco-satirica.
Ma sia chiaro che il giullare, cioè l’attore comico popolare
del Medioevo, non si buttava a sbeffeggiare la religione, Dio
e i santi, ma piuttosto si preoccupava di smascherare,
denunciare in chiave comica le manovre furbesche di coloro
che approfittando della religione e del sacro si facevano gli
affari propri.
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Fin dai primi secoli dopo Cristo, i fedeli si divertivano, sotto
la direzione di giullari o preti particolarmente spiritosi, a
mettere in scena spettacoli in forma ironico-grottesca,
proprio perché per il popolo, il teatro, specie il teatro
comico, è sempre stato il mezzo primo d’espressione, di
comunicazione, ma anche di provocazione e di agitazione
delle idee.
Il teatro era il giornale parlato e drammatizzato delle
cosiddette “classi inferiori”.
ROSA FRESCA AULENTISSIMA
Per quanto riguarda la nostra storia, o meglio la storia del
popolo minuto, uno dei testi primi del teatro parodistico-
grottesco, satirico, è “Rosa fresca aulentissima” di Ciullo -
o Cielo - d’Alcamo.
Ebbene, perché noi vogliamo parlare di questo testo?
Perché è il testo più mistificato che si conosca nella storia
della nostra letteratura, in quanto mistificato è sempre stato il
modo di presentarcelo.
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Al liceo, al ginnasio, quando ci propongono quest’opera, di
fatto ci propinano una vera e propria truffalderia. Prima di
tutto ci fanno credere che si tratti di un testo scritto da un
autore aristocratico, probabilmente un letterato-poeta alla
corte dell’imperatore Federico II di Svevia, che, pur usando
il volgare, si è dimostrato talmente dotato da riuscire a
tramutare “il fango in oro”. Egli ha trasformato un tema
bassamente triviale, una situazione rasentante l’osceno,
come il dialogo che prelude a un amplesso d’amore carnale,
in una poesia sublime e “culta”, propria della “classe
dominante”.
Per dimostrarci l’assoluta attendibilità di questa teoria, i sacri
autori illuminati, chiosatori dei testi scolastici, da De Sanctis
al D’Ovidio, eseguono serie incredibili di capriole e salti
mortali da applauso spaccapalme. E qui voglio svelarvi che
il primo a eseguire un gioco di prestigio e truffa è stato
Dante Alighieri. Infatti, più o meno esplicitamente, nel suo
De Vulgari Eloquentia, commentando “Rosa fresca e
aulentissima” sentenzia con una certa sufficienza “…
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d’accordo… c’è pure qualche crudezza in questo
“contrasto”, qualche rozzezza, ma certamente l’autore è da
ritenersi un erudito, un colto”.
Non parliamo poi di cosa abbiano escogitato gli studiosi
della poesia trobadorica giullaresca del Settecento e
Ottocento a proposito dell’origine “alta” di questo testo; il
culmine dello spasso l’abbiamo avuto sotto il fascismo, ma
anche poco prima non si scherzava. Lo stesso Croce,
Benedetto Croce, il filosofo liberale, dichiara: “A proposito
di Ciullo d’Alcamo ci troviamo di fronte a un autore privo di
ogni affinità con giullari o fabulatori d’origine popolare.
Infatti, l’espressione poetica delle classi culturalmente
assoggettate, si limita immancabilmente a ripetere i temi e le
chiavi stilistiche delle classi dominanti”.
Il popolo, si sa, non è in grado di creare, di elevarsi al di
sopra della sua innata e normale banalità. Il volgare è la sua
costante vitale e quindi riesce al massimo a copiare
“meccanicamente” dagli autori aristocratici, i soli in grado di
creare espressioni d’arte. Il poeta di alta conoscenza e livello
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morale può trovarsi anche a sguazzare nel fango... ma ecco
che gli basta fare ricorso al proprio lirico afflatto e... un,
due... un saltello, uno zompo fantasticante... ecco che si libra
nell’aria come un airone leggiadro... miracolo della classe.
Invece, il giullare uso ad esibirsi sui banchi dei mercati può
prendere rincorse a spaccafiato, sgambarsi, sbattere braccia a
mulinello... SFLAM!... ricade immancabilmente nella melma
maleodorante da cui nasce e prende linfa.
Ma a buttare all’aria tutta questa bell’impostazione ecco
spuntare all’improvviso due sciamannati spaccatutto, nel
senso cordiale naturalmente del termine, un certo Toschi e
un altro che si chiama De Bartolomeis; notate bene, due
studiosi di formazione cattolica, oltretutto. Costoro hanno
combinato una vera e propria carognata, cioè hanno
dimostrato che il “contrasto” in questione è un testo
straordinario, ma opera di un giullare di estrazione e cultura
popolare.
Come? Ecco qua, basta analizzare con attenzione l’impianto
dell’opera e scopriremo che chi parla è proprio un giullare,
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ovvero il classico buffone dei mercati. Il giullare si presenta
nei panni di un gabelliere, più precisamente di un
personaggio che come professione si preoccupa di ritirare la
tassa, che permette di metter banco nei mercati. Anticamente
a questi gabbellieri si appioppava un soprannome piuttosto
curioso, li si chiamava gru o grue, il noto fenicottero
trampoliere. Perché? Per il fatto che tenevano un libro, un
registro, attaccato ad una coscia con una cinghia e quando
dovevano ritirare i soldi per segnare l’introito incassato dai
vari mercanti si ponevano in questa posizione piuttosto
curiosa (solleva una gamba, appoggiando il piede ginocchio
della gamba ritta), appunto come le gru e tutti i fenicotteri in
genere così poteva comodamente sollevare il gonnellone e
scoprire il registro sul quale andava scrivendo.
Ora questo gru o grue si trova a dichiarare il suo amore
appassionato a una ragazza affacciata a una finestra. E come
il giovane, nascondendosi il libro che ha sulla coscia con una
falda della sottana, si fa credere nobile e ricco, così anche la
ragazza dal verone, inventa truffaldina di essere la figlia del
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proprietario del palazzo. In verità si tratta di una ragazza a
servizio in quella casa, la classica servetta. Da cosa lo si
intuisce? Da un sonetto ironico recitato dal corteggiatore che
così si esprime: “Di canno - da quando - ti vistìsti di maiùto -
vestita di maiùto, di saio - bella, da quello jòrno so’ ferùto -
ferito”, cioè la ragazza appare vestita di telo di juta,
abbigliamento classico delle sguattere, delle lavandaie. Il
gabelliere, gabba la ragazza ricordandole evidentemente
d’averla veduta sciacquare i panni nella posizione assisa coi
glutei all’aria frementi dallo sbattere nel risciacquo, classica
azione che innamora alla follia i fortunati transitanti a tergo.
Ora conosciamo la collocazione sociale dei due personaggi:
la ragazza che millanta la propria posizione aristocratica e il
giovane che fa altrettanto.
Il ragazzo declama: “Rosa fresca aulentissima ch’apàri in ver
la stati…” è linguaggio aulico, raffinato, volutamente
caricato per far intendere che il giovane sta inventandosi
spudorato una propria origine aristocratica.
“Rosa fresca aulentissima ch’apàri invèr’ la state,
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le donne te disìano, pulzèll’ e maritate”.
Cioè, sei talmente bella figliola, che tanto le fanciulle che le
maritate vorrebbero fare l’amore con te. Per non parlare
delle vedove!
Ma dico, è una pazzia! Ma pensate voi, a scuola, il povero
professore che dovesse spiegare il dialogo così come appare
in superficie: “ (Con tono professionale) È normale ragazzi...
nel Medioevo le donne s’accoppiavano tra di loro con molta
facilità”. Gli arriva un pernacchio misto a risate a non finire
e viene cacciato, spedito a insegnare in Libia da Gheddafi.
Ecco perché il povero insegnante, che fra l’altro “tiene
famiglia”, è costretto a mentire.
Attenti però, trovandoci noi davanti ad una giullarata, non
dobbiamo mai dimenticarci dei lazzi a ribaltone che il
fabulatore esibisce sempre in giochi di doppio senso, spesso
scurrili. Quindi declamando rosa fresca e aulentissima,
siamo sicuri che il corteggiatore alluda proprio alla ragazza?
Il verso termina con “c’appari in ver la stati”. Ma quando
mai la rosa fresca e profumata fiorisce nell’estate? Semmai
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in primavera. Nel caldo solleone la rosa si spampana! E
allora a che razza di rosa si allude? E a stati significa proprio
l’estate? No, il giullare nei panni del grue ha sollevato il
gonnellone che, guardacaso nell’antico linguaggio siciliano
si chiamava proprio astati, cioè una gonna composta da tante
“aste di stoffa” . Quindi quel bocciolo di rosa che spunta da
sotto il sottano è un fiore di ben altra origine e consistenza.
(Il pubblico immancabilmente esplode in una fragorosa
risata) Ohh!, ecco svelato il gioco satiresco.
Invero, la preoccupazione di correggere la verità nasce già
al momento di decifrare il soprannome dell’autore; infatti
viene, quasi sempre citato nei testi di scuola, non come
Ciullo d’Alcamo, ma come Cielo d’Alcamo.
Attenzione, i lombardi sanno cosa significhi il termine
“ciullo”. Senza voler fare della scurrilità gratuita, “ciullo”
allude correttamente al sesso maschile. Anche ad Alcamo,
sopra Palermo, ha il medesimo significato. Provatevi a
recarvi in quel paese ad apostrofare il primo abitante che
incontrate con “Ehi, testa di ciullo!” vi arriva una mazzata in
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fronte che vi stende secchi! Quindi, per evitare equivoci di
sorta vi ribadisco che Ciullo d’Alcamo significa “sesso
maschile d’Alcamo”.
Tornando alla scuola, vi rendete conto che questo termine
deve essere subito modificato e naturalmente il professore
dice: “C’è un errore!”. In aiuto degli insegnanti sono giunti
alcuni ricercatori che hanno fatto carte false per indicare
un’altra lettura. Prendere per buono un soprannome tanto
scurrile significava accettare che il Ciullo in questione fosse
sicuramente un giullare, infatti quasi tutti i giullari nel
Medioevo si fregiano di epiteti scopertamente triviali.
Abbiamo “Salsiccia tronfia”, “Ganassa scassa natiche” fino
ad Angelo Beolco Pavan, detto “il Ruzzante” che a nostro
avviso si può ben definire “l’ultimo dei giullari”. Il suo
soprannome viene da “ruzzare”... qualcuno che è di Padova
o delle vicinanze, sa che “ruzzare” significa “andare con gli
animali”. Ma in che senso “andare”? Ce lo svela un erudito
che così si esprime: “Ruzzante è colui che s’accompagna
agli animali non per andarci a passeggio ma per accoppiarsi
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ad essi nei tempi e nei modi preferiti dai medesimi”. Non si è
mai capito se i medesimi siano i ruzzati o i ruzzanti. Ma sono
particolari di poco conto. Dunque, non si può dire “ciullo”.
Non si può, in una scuola come la nostra, dove l’ipocrisia e
la morbosità si manifestano ancora, salvo eccezioni, fin
dall’asilo. Ora, proseguendo nella nostra analisi, scopriamo
un altro gioco satirico verso il linguaggio amoroso dei due
giovani. Il ragazzo supplica: “Tràgemi d’èste focòra, se
t’èste a bolontàte” - fammi uscire da questo fuoco, se ne hai
volontà, ragazza. E si sa benissimo come riescano le ragazze
a far uscire dal fuoco d’amore e dal desiderio i ragazzi,
quando esse ne abbiano volontà. Ma qui, non si commenta...
sono particolari che non interessano e si procede con la
risposta della ragazza che si esprime in modo piuttosto greve
e scoprendo la propria autentica origine sociale. Essa più o
meno recita: “Puoi andare ad arare il mare e a seminare al
vento, ma a rotolarti con me in un letto non ci arriverai mai.
Anzi, ti dirò di più, che se tu insisti, piuttosto di accettare di
fare l’amore con te, mi rinchiudo suora in un convento “li
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cavèlli m’aritónno - mi faccio radere i capelli tondo tondo -
calzando una scodella come copricapo e così non ti ho più
tra i piedi! Ah, come starò bene!” E il ragazzo risponde: “Ah
sì? Tu ti vai a ritónnere li cavèlli? E allora anch’io mi faccio
rapare a tondo la capigliatura... mi faccio frate... vengo nel
tuo convento, ti confesso... e al momento buono...
sgàcchete!” Lo sgnàcchete l’ho aggiunto io, ma è implicito.
La ragazza impallidisce e urla: “Ma sei un anticristo! Sei un
infame!... ma come ti permetti solo di pensarlo un simile
sacrilegio?! Guarda, piuttosto di accettare la tua violenza io
mi butto nel mare e mi annego!”
“Ti anneghi? Anch’io... No, non mi annego: mi butto nel
mare a mia volta, ti vengo a prendere laggiù, nel fondo, ti
trascino sulla riva, ti stendo sulla spiaggia e, annegata come
sei, risgnàcchete!, faccio all’amore!”
“Un’altra volta?!”
“Sì!”
“Con me, annegata?”
“Sì!”
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“Oheau! - esclama la ragazza con molto candore - Ma non si
prova nessun piacere a fare l’amore con le annegate!”
Lei sa già tutto, naturalmente. Una sua cugina era annegata,
distesa sulla rena… è passato uno di lì, s’è guardato intorno:
“Io ci provo”... (Pausa, con espressione disgustata) Meglio
il pescespada!”
La ragazza è sconvolta. Si riprende e lo aggredisce
minacciosa: “Bada a te, se tu solo ti provi a farmi violenza,
io mi metto ad urlare, arrivano i miei parenti e ti ammazzano
a legnate!”
E il ragazzo risponde sbruffone - attenti, recito il testo
originale: “ Se li tòi parenti truòvami e che ci puòzzon
fare?” - Se i tuoi parenti mi trovano mentre ti faccio
violenza e che mi possono fare? -“Una defènsa mèttoci di
dumìli’ - duemila - augostàri! No’ mi toccare patre to’ co’
quanto tene a Bari. Viva l’imperador grazie a deo! Intendi,
bella quel che te dico eo?” e non si capisce un ostrega!
La difficoltà del comprendere il testo non è dovuta ad una
particolare astrusità di linguaggio, ma dal fatto che ci
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troviamo dinanzi ad eventi storici e leggi di cui nulla
sappiamo, e normalmente gli insegnanti si guardano bene di
svelarcene il significato. Cerchiamo di scoprirlo insieme:
“Se i tuoi parenti mi sorprendono mentre ti faccio violenza e
che mi possono fare? Una defènsa mèttoci di dumìli’ -
duemila - augostàri!”
Cos’è l’augustario? Era la moneta dell’Augusto inteso come
Federico II, infatti siamo nel 1231-32, proprio al tempo in
cui in Sicilia governava Federico II di Svevia. Duemila
augustàri equivalevano, più o meno, al costo di due cavalli
di razza.
E che cosa è questa defènsa? Fa parte di un gruppo di leggi
promulgate a vantaggio dei nobili, dei ricchi signori-
possidenti e dei mercanti d’alto livello, dette “leggi
melfitane”, volute proprio dall’imperatore svevo. In poche
parole, si tratta del dono di un privilegio particolare a difesa
degli altolocati.
Ecco allora che un ricco poteva violentare tranquillamente
una ragazza; bastava che nel momento in cui il padre o altri
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parenti dell’aggredita fossero sul punto di intervenire, il
violentatore estraesse duemila augustàri, li stendesse vicino
al corpo della ragazza, sollevasse le braccia e declamasse:
“Viva lo ‘mperadore, grazi’ a Deo!” Il rito del versamento
della defènsa era sufficiente a salvarlo. Era come avesse
detto: “Attenti a voi! Chi mi tocca verrà subito impiccato!”
Infatti chi toccava l’altolocato che aveva pagato la tassa
veniva immediatamente appeso al ramo dell’albero più
vicino… sulla destra!
Grande vantaggio per il violentatore medievale consisteva
nel fatto che, allora, le tasche non facevano parte dei
pantaloni. Erano staccate: borse che si appendevano alla
cintola, il che offriva una condizione vantaggiosissima
all’amatore assatanato: nudo, però con la borsa. Così nel
caso: “Oddio, arrivano i castigatori!” trak!, defènsa... op...
“Ecco i quattrini!” Naturalmente bisognava muoversi sempre
con i soldi contati. È logico, non si può: “Scusi, aspetti un
attimo... gli spiccioli!... Ha da cambiarmi per favore?”
Subito, subito, lì, veloci! È risaputo che in quel tempo una
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madre di razza nobile, che avesse a cuore l’incolumità del
proprio figliolo, quando questi stava per uscire di casa
immancabilmente gli chiedeva: “Caro, hai con te i denari per
la defènsa?”.
Ad ogni modo questo vi fa capire quale fosse la chiave della
“legge”, la brutalità di un espediente, la defènsa, che offriva
il vantaggio spudorato ai soli potenti di uscire indenni da
ogni atto di violenza.
E chi se non un giullare autentico poteva rischiare esibendosi
sulla piazza di scoprire al popolo minuto, con la sola voce e i
gesti di tutto il suo corpo, quale fosse la sua reale condizione
di “cornuto e mazziato”, come dicono ancora a Napoli, cioè
bastonato oltre che cornuto.
IL RITO DEI MAMMUTTONES E DEI CAPRI
(Viene proietta sul fondale la foto di un dipinto)
Ecco, questa è l’immagine di una buffonata, cioè una specie
di preparazione agli spettacoli ironico-grotteschi ai quali
partecipava in prima persona la gente delle contrade o
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quartieri, truccata e travestita. Li vedete... (indicando i
personaggi diversi della scena proiettata) questo camuffato
addirittura da “mammuttones”.
Cos’è il “mammuttones”?
È un’antichissima maschera mezzo capro, mezzo diavolo. In
Sardegna ancora oggi, i contadini e pastori durante le feste
dei sostizi, primavera-estate, si calzano in viso maschere di
animali diversi, arieti, capri e tori, si addobbano con pelli
varie e si caricano di un gran numero di campanacci. Così
vanno saltelloni per le strade terrorizzando donne e
ragazzine che fuggono urlando. I mammuttones calzano
maschere che potete osservare in questa immagine,
riproducono volti di diavoli animaleschi. Ecco, questo è un
giullare, questo è il personaggio del Jolly, il matto -allegoria
del pensiero non ufficiale - e questo è un altro diavolo... un
altro ancora. Ecco un’altra sequenza. (Seconda proiezione
raffigurante una processione grottesca) Diavoli, streghe e
un frate decorativo di passaggio. Notate un altro particolare:
tutti hanno strumenti per produrre rumore, perché il gioco
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del fracasso, del frastuono, era essenziale in queste feste.
(Indicando un personaggio della processione grottesca)
Questo addirittura ha fra le mani un “ciucciuè” del
napoletano composto da un tamburo nel quale è conficcata
un asta che mossa in modo adeguato produce gemiti e
pernacchi strazianti.
Qui c’è un altro buffone con la gamba alzata, che non ha
bisogno di strumenti: è un auto-produttore: pernacchi e
gemiti li produce da sé: esecuzione naturale. Questi altri
emettono suoni differenziati.
Durante la buffoneria i personaggi mascherati si riunivano
tutti quanti nella piazza e organizzavano una specie di
processo finto ma realistico ai nobili, ai padroni in genere,
tra i quali erano rappresentati anche mercanti, imperatori,
strozzini, banchieri... che nel Medioevo erano ritenuti della
stessa classe - insisto: solo nel Medioevo… prrocesso con
accuse precise di sfruttamenti e prevaricazioni. In grande
evidenza apparivano anche vescovi e cardinali.
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Non ho mai capito perché nell’evo antico, santi uomini della
chiesa venissero associati ai potenti ipocriti e simoniaci.
Come cambiano i tempi!
Il momento più avvincente del tribunale grottesco si
sviluppava di certo nel finale: una specie d’inferno nel quale,
tutti i “maggiori” , venivano precipitati deréntro pentoloni
stracolmi di olio bollente, finto, naturalmente.
Alla fine, l’assemblea dei “minori”, donne e uomini tutti
mascherati, preceduti da mimi, acrobati e pagliacci,
entravano in chiesa.
La chiesa nel Medioevo rispettava il significato originale di
ecclesiam, cioè luogo di assemblea. Al rito grottesco spesso
presenziava il vescovo in persona che attendeva i
protagonisti della buffonata in piedi sul transetto. Il vescovo
si spogliava di tutti i paramenti e li offriva al capo dei
giullari; costui saliva sul pulpito e dava inizio ad un’omelia,
una predica, nella chiave esatta dei sermoni normalmente
tenuti dal vescovo, recitando in parodia.
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Quando capitava un giullare di notevole talento, riusciva a
scatenare vere e proprie ovazioni con risate allo scompiscio
nel pubblico dei fedeli. Un pubblico che indovinava ad ogni
passo l’ironia, le allusioni, la satira al linguaggio di un
potere, elargito e benedetto, pare, dal creatore in persona.
Si racconta che a Brescia, al tempo dei comuni, il vescovo,
tale Ilario, che durante la concione carnevalesca del giullare
aveva subito lazzi e ironie feroci, non ebbe più la forza di
salire sul pulpito per tenerci i propri sermone, giacché,
appena iniziava con la predica i presenti si lasciavano andare
a matte risate... fino a singhiozzare in un pianto carico di un
autentico misticismo sganasciante.
Si racconta ancora che un altro vescovo, il primate di
Ferrara, per evitare la faticosa rimonta di credibilità che
doveva produrre dopo ogni zannata satirica, si rifiutò di
consegnare i propri arredi al re del carnevale... e tentò anche
di impedire alla turba delle maschere di invadere la
cattedrale nei quattro giorni della “Ghignata”. A furor di
popolo, quel vescovo, fu cacciato dalla città.
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Andando avanti con le proiezione, (quarta proiezione)
troviamo questa immagine che ci mostra un’altra
rappresentazione sacra, questa volta drammatica e grottesca
insieme. Si tratta di uno spettacolo che si svolge nelle
Fiandre, intorno al 1360 - la data è segnata sulla tavola.
Osservate… qui c’è una donna con un agnello in braccio. Ve
lo segnalo perché allude allo stesso testo sulla passione dei
villani che Franca reciterà tra poco: “La strage degli
innocenti”.
Andiamo avanti. (Quinta proiezione) Qui c’è un’altra
immagine abbastanza importante: ci troviamo ad Anversa
nel 1465, esattamente l’anno prima dell’editto di Toledo.
Quello di Toledo è l’editto che vietò definitivamente al
popolo di rappresentare i misteri buffi. E lo capirete già da
questa immagine, il perché di questa censura. Osservate: qui
è rappresentato Gesù Cristo, un attore che rappresenta Gesù
Cristo, qui due sgherri. Qui c’è un banditore, un altro attore
s’intente, e il popolo, sotto, che reagisce, replica alla battuta
del banditore.
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E cosa propone il banditore? Urla: “Chi volete sulla cròse?
Gesù Cristo o Barabba?” E sotto la folla risponde urlando:
“Jean Gloughert!!”, che era il sindaco della città.
È risaputo che il maggiorente in questione non amava le
giullarate.
Una rappresentazione del genere, anzi, sensibilmente più
violenta se vogliamo, è raccontata in questo dipinto. (Sesta
proiezione) Parigi, qui siamo nell’antica piazza del Louvre,
sempre intorno allo stesso periodo. Scopriamo in questo
teatrino, un attore che recita il ruolo di Gesù Cristo, e altri
attori. Appresso s’indovina Ponzio Pilato con la bacinella già
pronta, che si appresta a intingervi le mani, e di fronte a lui
ci sono due vescovi... notate sono due vescovi cattolici.
Dovrebbero esibire costumi del rito ebraico, no, di foggia ed
elementi decorativi completamente diversi, a partire dal
classico copricapo a cupola da sacerdoti di Israele? Invece i
rozzi allestitori dello spettacolo, fingendo di non saperne
niente di epoche e di costumi, ci hanno piazzato due vescovi
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del rito cattolico-apostolico-romano. E credetemi, non si
tratta di un lapsus, di uno sfondone anacronistico.
(Settima proiezione) Ecco un giullare che gioca sulle
allegorie dei testi biblici. È la rappresentazione della famosa
sbronza di re Davide. Nella Bibbia si racconta che Davide un
certo giorno bevve in abbondanza. Durante questa sbronza
se la prende un po’ con tutti, e brillo com’è canta e danza
applaudito da altri ubriachi come lui, scandalizzando invece
gli astemi. Nell’euforia sollecitata dal vino, si tramuta in un
vero e proprio giullare, facendosi beffe perfino del padre
suo, non solo quello carnale ma anche quello celeste e in
particolare se la prende con i propri sudditi, specie con “i
miseri e gli asserviti”. Il giullare, vestiti i panni sontuosi che
ricordavano quelli del re, gli faceva il verso sulla piazza e
recitava: “E voi... laggiù... miseri e striminziti - urlava - te e
te e te e te, e anche le vostre femmine, lavorerete per me e
per tutti quelli che vi comandano come me e se vi lamentate
vi faccio sbattere all’inferno, come è vero che sono... stato
eletto... e anche unto da Dio! Perdio! Così imparerete a bervi
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tutte le frottole che vi raccontano, a credere che la terra che
lavorate sia stata assegnata ai vostri signori da Dio in
persona. No, o coglioni, quelli se la sono pappata perché
sono più svelti di voi e poi ve la “sgnaccano” da lavorare e
vi pagano giustamente una miseria!”
Ora capirete la ragione del perché tanto spesso i giullari
venivano cacciati dalle città e anche dalle campagne.
Ci fu un tale, un certo Hans Holden (indica l’ottava
proiezione)… eccolo… famoso giullare tedesco,
bravissimo in questo gioco dell’ubriacatura di Davide, che si
permise di mettere in piazza questo brano ignorando l’editto
che ne vietava la rappresentazione. Finì sul rogo.
Nel Medioevo si usava anche un particolare “battage”
pubblicitario, per annunciare gli spettacoli sacri. Ancora
oggi, in Puglia, durante i festeggiamenti del beato protettore
della città, San Nicola da Bari - un famoso vescovo negro,
giunto dall’Oriente - si celebrano processioni.
Oggi questa festa si è ridotta a una sfilata generica, nella
quale vengono portati intorno gonfaloni con scene dipinte di
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cui i fedeli ormai ignorano il significato. In antico quei
dipinti illustravano al pubblico le varie scene che sarebbero
state rappresentate la sera stessa. Dietro c’erano dei
“battuti”, ovvero dei flagellanti, che andando intorno si
appioppavano frustate della madonna... non per niente si
trattava di uno spettacolo sacro!
Lo stesso rito viene eseguito ancora nelle processioni del
venerdì santo nel veneto. Si canta, con tanto di flagellazione,
più o meno così:
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LAUDA DEI BATTUTI
Prototipi: Pordenone, Brescia, campagna mantovana.
Ohiohioh… batì’, batìve!
Ehiaiehieh!
Compagnón, metìf in stcera,
batìf forte e volentéra,
n’avì’ dòia d’ésti bóti: batìve!
No’ trambìt de vès isbiòt(i),
no’ trambìt le visigàde,
carne róte e distciuncàde.
Ohiohioh… batì’, batìve!
Ehiaiehieh!
Chi vòl tórse salvasión
c’ol se bata de rüscón
col fragèl a batasciòch,
no’ fi’ mostra de daf bòt: batìve!
C’ol Segnor onniputént(e)
foe batüd veritamént(e).
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Ohiohioh… batì’, batìve!
Ehiaiehieh!
Se vorsì’ tór peniténsa
a scuntà la gran senténsa
c’la se pròxima a ‘rivàre
che niün podrà scampàre: batìve!
Che ‘gnirà de contra a noj,
ohi batémose cunt dòj!
Ohiohioh… batì’, batìve!
Ehiaiehieh!
Par salvàrghe d’ol pecàt
Jesus Cristo foe picàt,
’nsu la cróze foe ’nciudàt,
su la fàcia gh’ foe spüdàt: batìve!
E l’aséd gh’ foe dàit a bévar
e no’ gh’éra lì ól sant Pédar.
Ohiohioh… batì’, batìve!
Ehiaiehieh!
E vui segnori de l’usüra,
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vui n’avrït malaventüra,
vui c’havìt spüàt a Cristo
col sciorìrve al mal acquìsto: batìve!
Vui c’havìt turciàt ‘mé l’üga
i dinàri a quièi che süda.
Ohiohioh… batì’, batìve!
Ehiaiehieh!
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TRADUZIONE
Ohioihi… battete, battetevi!
Ehiaieehie!
Compagni, mettetevi in schiera (fila),
battetevi forte e volentieri,
non abbiate doglia (non lamentatevi) di queste botte:
battetevi!
Non tremate d’esser nudi,
non tremate (non abbiate paura) delle frustate che vescicano
(fanno vesciche, piaghe),
carni rotte e disgiunte (dalle ossa).
Ohioihi… battete, battetevi!
Ehiaieehie!
Chi vuol prendersi salvezza
che si batta col flagello
con il flagello facendolo schioccare,
non fingete di darvi botte: battetevi!
Ché il Signore onnipotente
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fu battuto veramente.
Ohioihi… battete, battetevi!
Ehiaieehie!
Se volete prendere (fare) penitenza
e scontare la grande sentenza
che è prossima ad arrivare
che nessuno potrà scampare: battetevi!
Che verrà addosso a noi,
ohi battiamoci con dolore.
Ohioihi battete, battetevi!
Ehiaieehie!
Per salvarci (liberarci) dal peccato
Gesù Cristo fu picchiato,
sulla cròse fu inchiodato,
sulla faccia gli fu sputato: battetevi!
e l’aceto gli fu dato a bere
e non c’era lì San Pietro.
Ohioihi battete, battetevi!
Ehiaieehie!
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E voi signori dell’usura,
voi ne avrete malaventura,
voi che avete sputato a Cristo
arricchendovi col malacquisto: battetevi!
voi che avete torchiato come (si pigia) l’uva
i denari a quelli che sudano
ohioihi battete, battetevi!
Ehiaieehie!
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LA STRAGE DEGLI INNOCENTI
PROLOGO PRIMA EDIZIONE EINAUDI
Qualche anno fa si è tenuta presso Milano,
all’abbazia di Chiaravalle, una straordinaria mostra di
macchine teatrali. Si trattava di splendide statue in cui
tutti gli arti erano mobili, articolati, esattamente come
nei burattini o nelle bambole. Il movimento era
regolato da una serie di leve e di ganci che venivano
manovrati da un burattinaio nascosto nell’incavo
dietro la statua, che non era a tutto tondo, ma
costruita solo per la metà anteriore. C’era per
esempio una stupenda Madonna col bambino del
1100 in cui entrambi i personaggi si muovevano,
braccia, tronco, gomiti e perfino gli occhi, giocando
anche sul trucco del déséquilibre dei burattinai
fiamminghi: per esempio, nell’avambraccio, a
bilanciere, a snodo dentro la mano, c’era un perno,
per cui qualsiasi colpo, anche piccolo, faceva roteare
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la mano sul polso, prima che ritrovasse il proprio
equilibrio stabile. Qualsiasi piccolo colpo faceva in
modo che le mani, o un’altra parte del corpo, si
muovessero con una grazia straordinaria. Il che dava
l’impressione di qualcosa di vivo.
Con lo stesso principio è stato costruito un altro
pezzo famoso, il Cristo d’Aquileia: non lo si vede
perché è vestito di una tunica che gli ricopre tutto il
corpo, ma, a nudo, è tutto articolato, fino al collo.
Perché il popolo ricorreva a queste macchine per
rappresentare la divinità, quando metteva in scena i
propri spettacoli? Forse aveva timore di fare atto di
blasfemia, di intaccare la sacralità del personaggio
divino? No! Niente affatto, ciò avveniva perché
l’attore, il comico, voleva che l’interesse del pubblico
fosse accentrato non tanto verso il divino, ma verso
l’uomo: se un attore fosse entrato prima nel costume
di Gesù Cristo si sarebbe presa tutta l’attenzione,
mentre una statua era soltanto indicativa,
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emblematica, e l’attore aveva agio di sviluppare la
drammaticità della condizione umana, sottolinearla
maggiormente: la disperazione, la fame, il dolore.
Ho fatto questo discorso sulle macchine teatrali
perché il pezzo che reciterò ora ne prevede l’impiego,
appunto l’impiego di una macchina che raffigura la
Madonna col bambino in braccio. Con lei abbiamo in
scena una donna che tiene in braccio un agnello, una
pazza: ecco perché vi ho fatto notare prima
quell’immagine delle Fiandre in cui si vede una
donna con un agnello in braccio. È una donna alla
quale hanno ammazzato il bambino durante la strage
degli innocenti e ha trovato in un ovile un agnello, se
l’è preso in braccio e, convinta, va a dire a tutti che
quello è il proprio figlio. L’allegoria è chiara:
l’agnello è l’“Agnus Dei”, il figlio di Dio, quindi
questa donna è anche la Madonna.
Questo doppio gioco del personaggio
donna-Madonna è molto antico, viene addirittura dai
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greci; la donna può permettersi di dire delle cose che
una Madonna vera, un’attrice che facesse la
Madonna, o meglio un attore truccato da Madonna,
come si usava allora, non avrebbe mai potuto dire.
Questa donna bestemmia addirittura contro Dio, con
una violenza incredibile. Si mette a urlare con
quest’agnello in braccio: “...potevi tenertelo presso di
te tuo figlio, se doveva costarci tanto patimento, tanto
dolore! Verrai a comprendere il dolore degli uomini,
tu che hai voluto subito un cambio a tuo vantaggio,
per una tazzina di sangue tuo hai voluto un fiume di
sangue, mille bambini per uno tuo. Potevi tenerlo
presso di te tuo figlio, se doveva costarci tanto
patimento, tanto dolore! Verrai a capire anche tu il
dolore, la pena degli uomini, la disperazione, il
giorno che verrà a morirti tuo figlio in croce. In quel
giorno capirai quale tremendo castigo hai imposto a
tutti gli uomini, per un peccato, per un errore!
Ebbene, sulla terra, nessun padre, per quanto
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malvagio, avrebbe avuto il coraggio di imporlo al
proprio figliolo. Per quanto fosse carogna, questo
padre!”
È certo la più grande bestemmia mai udita! È come
dire: “Padre, padreterno, sei la zozza della zozza!
Nessun padre è tanto carogna quanto te”. E perché
tanto odio da parte del popolo verso il padreterno?
L’abbiamo visto prima. Perché il padreterno è
rappresentativo di quello che i padroni hanno
insegnato al popolo, è quello che ha fatto le divisioni,
che ha dato terre, poteri, privilegi a un certo gruppo
di persone, e invece fastidi, disperazione,
sottomissione, umiliazione, mortificazione all’altra
parte del popolo. Ecco perché Dio è odiato, perché
rappresenta i padroni, è quello che dà le corone, i
privilegi; mentre è amato Gesù Cristo, che è quello
che viene sulla terra a cercare di ridare la primavera.
È, soprattutto, la dignità. Il discorso della dignità è, in
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queste storie del popolo, ripetuto quasi a tormentone,
con un’insistenza incredibile. La dignità.
Andremo ora alla rappresentazione della Strage degli
innocenti. Devo indicarvi soltanto un particolare: il
linguaggio. Il linguaggio, il dialetto, sarebbe meglio
dire una lingua, perché è il padano dei secoli XIII-XV,
ma recitato da un attore, il quale si trovava costretto a
cambiare paese ogni giorno. Oggi era a Brescia,
domani a Verona, a Bergamo ecc. ecc., quindi si
trovava a dover recitare in dialetti completamente
diversi l’uno dall’altro. Erano centinaia i dialetti, e
c’era una grandissima differenziazione, maggiore che
quella attuale, fra un paese e l’altro, per cui il giullare
avrebbe dovuto conoscere centinaia di dialetti. E
allora, che cosa faceva? Ne inventava uno proprio.
Un linguaggio formato da tanti dialetti, con la
possibilità di sostituire parole in determinati momenti,
e quando si trovava nell’impaccio di non sapere quale
parola scegliere, per far capire qualche cosa, ecco che
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subito metteva tre, quattro, cinque sinonimi. C’è un
esempio straordinario: un giullare di Bologna
racconta di una ragazza che si trova ad abbracciare un
uomo che ama. Ma di colpo ne ha paura. Ha voluto
ad ogni costo far l’amore con lui, ma quando si trova
nel momento delicato, ecco che subito lo allontana e
dice: “Non me tocar a mi, che mi a son zovina, son
fiola, tosa son e garsonetta”. Ha detto tutto: sono
ragazza, sono ragazza, sono ragazza e anche ragazza.
Così ognuno si può scegliere il termine che meglio
comprende. Queste iterazioni le sentirete in questo
spettacolo molte volte, ma sono usate anche ad altro
scopo: raddoppiare il momento poetico e, soprattutto,
nel ritmo, ingigantire la drammaticità. E questa è una
cosa sola, unica, del giullare, del teatro del popolo,
cioè, la possibilità di poter scegliere i suoni più adatti
al momento. Per cui si sente “croz”, “cros”, “crosge”
ed è sempre “croce”, presa da diversi dialetti, per
rendere il momento più adatto al valore scenico. La
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rappresentazione è eseguita da un solo personaggio e
poi vi spiegherò il perché. Non è soltanto un fatto di
esibizione, ma c’è una ragione reale di fondo. Ci sarà
il gioco delle statue mobili, come vi ho già detto, il
coro dei battuti, quello che inizia il canto e a un certo
punto, vedrete, c’è un soldato che viene scannato e
muore, e il coro dei battuti indica l’andamento
funebre di un canto.
Aggiornamento del prologo: 2000
Qualche anno fa si è tenuta presso Milano, all’abbazia di
Chiaravalle, una straordinaria mostra di macchine teatrali. Si
trattava di splendide statue lignee e policrome, in cui tutti gli
arti erano mobili, articolati, esattamente come nei burattini o
nelle bambole. Il movimento era regolato da una serie di
leve e di ganci che venivano manovrati da un burattinaio,
posto dietro un apposito fondale, oppure, nel caso le statue
fossero di grandi dimensioni, nascosto nell’incavo a tergo
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della statua in quanto la scultura non era a tutto tondo, ma
costruita solo per la metà anteriore. Tra le altre era esposta
una stupenda Madonna col bambino del 1100 in cui
entrambi i personaggi si muovevano, braccia, tronco, gomiti
e perfino gli occhi, giocando anche sul trucco del
déséquilibre dei burattinai fiamminghi: per esempio,
nell’avambraccio, a bilanciere, a snodo deréntro la mano,
c’era un perno, che al minimo spostamento provocava una
rotazione della mano sul polso, prima di ritrovare il proprio
equilibrio stabile. Così succedeva per qualsiasi altra parte del
corpo, che ad ogni sollecitazione si muoveva con una grazia
straordinaria: il che dava l’impressione di qualcosa di vivo.
Nella cattedrale di san Zeno a Verona, si può ammirare
ancora oggi un Cristo seduto in groppa ad un asino; l’asino
ha infisse negli zoccoli delle ruote che permettono al
cavaliere e alla sua cavalcatura di essere trascinati in
processione nella rappresentazione del famoso e trionfale
ingresso in Gerusalemme.
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Con lo stesso principio è stato costruito un altro pezzo
famoso, il Cristo d’Aquileia: in quella scultura teatrale gli
snodi seppur numerosi, non si notano perché il suo corpo è
interamente ricoperto da un abito panneggiato.
Perché gli organizzatori dei misteri medioevali preferivano
portare sulla scena per i ruoli dei santi, queste immagini
scultoree? Forse temevano, che l’impiego di attori intaccasse
la sacralità del personaggio divino e rischiassero così, di
commettere atto di blasfemia? Sì, c’era anche questa
preoccupazione ma il motivo reale che faceva preferire
l’impiego di statue se moventi nel ruolo di Cristio la Vergine
ecc. era determinato dal maggioe peso che relizzava l’attore
fabulante nel presentare il dramma prestando le voci e i gesti
ai personaggi, commentando e rivolgendosi al pubblico
spesso in tono provocatorio e trascinandolo in una
straordinaria commozione.
Le sculture venivano agite quasi a vista da aiuti di scena, il
fabulatore, muovendosi come un buttafuori tra quei
personaggi indicativi, riusciva così a meglio sottolineare la
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passione del figlio di Dio e quasi in contrappunto il dramma
della condizione umana la disperazione, la fame, il dolore.
Ho insistito su questo tema delle macchine teatrali, proprio
perché la giullarata che reciterà ora Franca ne prevede
l’impiego, cioè l’entrata in scena di una statua sè movente
che raffigura la Madonna col suo bambino in braccio. Con
lei nell’azione drammatica, abbiamo una donna pazza che
tiene tra le braccia, avvolto in uno scialle, un agnello.
Ecco perché, poco fa, vi avevo fatto notare quell’immagine
delle Fiandre, in cui si vede una donna con un agnello tra le
braccia. Si tratta della stessa situazione drammatica che vi
presenteremo tra poco: una madre, alla quale hanno
ammazzato il bimbo durante la strage degli innocenti che per
il dolore è impazzita. La donna che ha perso la ragione, ha
raccolto in un ovile un agnello, se l’è preso in braccio e va
intorno dicendo ad ognuno che quello è suo figlio sfuggito
alla strage. L’allegoria è chiara: l’agnello è l’“Agnus Dei”, il
figlio di Dio, quindi questa donna è anche la Vergine.
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Questo doppio ruolo di folle-Madonna è molto antico, risale
addirittura ai greci attici; alla madre, fuori di senno, è
concesso di pronunciare discorsi che un’attrice nel ruolo di
Maria non può nemmeno permettersi di accennare.
E’ così che, con l’alibi della follia, la pazza pronuncia insulti
contro il Padre creatore. Essa dice a gran voce: “...potevi
tenertelo presso di te tuo figlio, se doveva costarci tanto
patimento, tanto dolore!” E continua per lungo tratto su
questo tono.
È certo la più grande bestemmia mai udita in una
rappresentazione sacra.
Con questo espediente scenico, i fedeli di certe comunità, il
cui pensiero ricorda quello di certi movimenti catari,
contestano duramente il Padreterno per aver favorito alcune
classi sociali a tutto detrimento della stragrande maggioranza
degli uomini, costretti in una insostenibile condizione
sfruttamento, di ingiustistia e disperata miseria.
Al contrario Gesù Cristo, non solo è ben accetto, ma
addirittura amato, applaudito come un liberatore. E’ il Dio
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che si fa uomo e viene sulla terra a ridare speranza, ad offrire
la primavera e soprattutto, la dignità. Il discorso della dignità
è, in queste storie del popolo, riproposto quasi a tormentone,
con un’insistenza incredibile.
Andremo ora a rappresentare “La Strage degli innocenti.
Devo indicarvi soltanto un particolare: il linguaggio. Il
linguaggio, il dialetto, ovvero il volgare parlato nella piana
del Po dal secolo XIII al XV. L’attore o l’attrice che
recitavano quelle giullarate sacre o profane andavano
deambulando di paese in paese seguendo l’iter delle varie
fiere e delle sagre religiose. E’ risaputo che il volgare di una
vasta regione come la Padania non fosse assolutamente
omogeneo tanto che i giullari per farsi intendere ogni volta
erano costretti ad adattare il testo inserendo termini del
luogo onde rendere più accessibile la loro parlata. Ma
quell’espediente era spesso insufficiente quindi i comici
vaganti cominciarono ad inventarsi una lingua paspartou. Si
trattava di una specie di linguaggio franco composto da
espressioni mutuate da vari dialetti e anche da diversi idiomi:
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provenzale, catalano e perfino latino. Ma la chiave di volta
di questa parlata del tutto teatrale era esaltata dalla
onomatopeica. Cioè, si sceglievano espressioni che già nel
suono e nella ritmica alludevano chiaramente ad un
determinato concetto o situazione. Esempio: casa squarrata,
caduta a spiccicata, femmina sgualdrappona.
A proposito di espedienti linguistici, vi propongo l’aneddoto
che vede protagonista una ragazza illibata che si ritrova tra le
braccia di un uomo del quale è follemente innamorata. La
giullarata è del XIV secolo ed è narrata da un giullare di
Bologna, che ci presenta la fanciulla decisa a far l’amore con
l’uomo che ama, ma al momento dell’amplesso
appassionato, ecco che la giovane si blocca, di colpo ha
paura, teme la violenza dell’amplesso. Tende le braccia,
allontana l’uomo da sé e dice tremante:
“Te pregi, no’ me tocàr a mi, che mi fiòla son, puta son,
zóvina son, tosa son et garsonètta”.
In poche parole ha ripetuto senza fiato in cinque idiomi
diversi: sono ragazza sono ragazza sono ragazza sono
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ragazza sono ragazza. Questo espediente è chiamato
iterazione ma non produce solo il vantaggio di farsi meglio
intendere, produce anche l’effetto quasi lirico di caricare
d’ansia la situazione drammatica.
Abbiamo accennato poco fa all’impiego dei battuti nelle
sacre rappresentazioni. Spesso questi cantori che si
flagellavano a ritmi ossessivi avevano anche l’incombenza
di introdurre i vari brani tragici o grotteschi con brevi litanie
che eseguivano anche durante le pause tra un’azione e l’altra
del dramma; soprattutto le loro grida timbrate dai tamburi
chiudevano ogni sequenza tragica e la commentavano.
Esempio particolare è questo frammento, musicalmente
simile a quello che già conoscete, che introduce “La strage
degli innocenti”. I battuti si frustavano con violenza ma ogni
flagellante teneva nascosta in pugno una spugna inzuppata in
una broda di color rosso, al momento della frustata fingendo
di asciugarsi spruzzava sul dorso il liquido vermiglio. Alcuni
penitenti al loro primo ingaggio tra i battuti si colpivano col
flagello per davvero, con violenza inaudita; vero era il loro
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urlo di dolore e autentico lo sgorgar del loro sangue. Sotto i
loro capucci i veterani della frappata sghignazzavano allo
scompiscio.
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LA STRAGE DEGLI INNOCENTI
CORO DEI BATTUTI
Ohioihi… batì’, batìve!
Ehiaiehieh!
Cont dulüri e cont laménti
par la straze d'innozénti,
innozént mila fiolìt
i han scanà ‘mé pegurìt,
da le mame stralunàdi
ól Re Erode i ha scarpàdi.
Ohioihi… batì’, batìve!
Ehiaiehieh!
Ahaiaiheih!
(In falsetto acuto) Ahiaeeeee!
In scena troviamo due soldati e una donna. I soldati stanno
per ucciderle il figlio.
PRIMA MADRE 'Sasìn... pòrch... no' tocà ól me fiòl.
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PRIMO SOLDATO Làsel andà... mòla 'sto fiòl o at taj le
mane... at dagh 'na pesciàda in la panza... mòla!
DONNA (disperata) Nooo! 'Màsum a mi pitòst... (Il soldato
riesce a strapparle il bimbo dalle braccia e lo uccide: urlo
terribile della madre) Ahaaa... ahaa... at m'l'hàit ‘masàt,
cupàtt. (La donna allucinata, esce di scena, piangendo
disperatamente, tenendosi stretto al petto il bambino
sgozzato).
Entra un'altra donna, tiene tra le braccia, un bimbo
completamente avvolto in uno scialle.
PRIMO SOLDATO Oh, t'en chi 'n'óltra... Férmet dóa at sèit,
dòna!, o v'infìlzi a tüti e dòi... ti e ól bambìn!
SECONDA MADRE Infìlzegh püra, che mi a prefèrzo...
SECONDO SOLDATO No' far la mata... at sèit ancmò
zúina ti e at hàit ól témp de sfurnàn 'n'altra dunzéna de
fiolìt... Dam chi quèl... fa' la brava...
Il soldato tenta di strapparle il bimbo.
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SECONDA MADRE No! Giò 'sti sciampàsc de doss! (Gli
morde una mano).
SECONDO SOLDATO Ahio... a te sgagni eh... e alóra cata
quèst... (le appioppa un violento ceffone) e mòla 'stu fagòtt!
SECONDA MADRE (difende disperatamente il bambino)
Pità, at prégi... no'l mé masàl... at dagh tüt quèl che a gh'ho...
Il soldato riesce a strappare il fagotto che la donna tiene tra
le braccia, nella colluttazione, lo scialle cade a terra e l’uomo
si ritrova fra le mani un agnellino.
SECONDO SOLDATO Ohj, ma se l'è quèst?! Un pegurìn...
un berìn?!
SECONDA MADRE Oh sì, non l'è un bambìn, a l'è un
berìn... mi ne' gh'ho gimài aüdi de bambìn... no' so' capàze,
mi. (Implorante) Ohj te prégi, soldàt, no' masàrme 'sto
berìn... che non l'è ancmò Pasqua... e at farìet gram pecàto se
at m'lo masi!
SECONDO SOLDATO Oh, dòna! Ti me vòl tòr par ól de
drio o ti è mata de cuntra?
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SECONDA MADRE Mi mata? No che no'l son mata.
PRIMO SOLDATO Végn óltra, làsegh ól berìn... (il secondo
soldato restituisce l'agnello alla madre) che quèla a l'è vüna
che ól s'è ruersà ól çervèl par ól dulür che gh'èm cupàt ól
fiolìn. (Il secondo soldato si porta le mani al petto e si
preme lo stomaco) 'S'te cata? Meuvete, che agh n'èm ancmò
una gran mügia de scanà.
SECONDO SOLDATO Pècia... ch'am vègn de tra sü...
PRIMO SOLDATO Bela forza! At màgnet 'mé 'na vaca:
scigùli, muntùn salàdi e poe... Vègn chi al cantùn… gh'è
'n'ostaria... at fagarò bévar un bel grapòt.
SECONDO SOLDATO No, no' l'è par ól mangià! A l'è par
'stu macèl, ‘sta becarìa de fiulìt ch'èm tràit in pie, che ól me
s'è ruersà el stómegh.
PRIMO SOLDATO Se ól savévet d'es inscì delicàt, no' te
dovévet 'gnì a fà 'stu mesté d'ól suldàt.
SECONDO SOLDATO Mi eri 'gnüd suldàt par masàr òmeni
nemìsi...
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PRIMO SOLDATO E magari per sbatascià anca quài dòna
ruèrsa sul paión... eh?
SECONDO SOLDATO Bòn, se la capitava... ma sémper
dóna di nemìsi!
PRIMO SOLDATO E scanàgh ól bestiàm...
SECONDO SOLDATO Ai nemìsi!
PRIMO SOLDATO Brüsàgh le case... copàgh i vègi... le
gaìne... e i fiulìt. Fiulìt sémpar di nemìsi!
SECONDO SOLDATO Sì, anca i fiulìt... ma in guèra! In
guèra non l'è desunùr: agh son le trombe che e sòna, i
tamburi che i pica e cansón de batàja e i bèi paròli d'i
capitani a la fin!
PRIMO SOLDATO Oh, anca par 'sto macèl ti gh'avrà d'i
bèi paròli d'i capitani!
SECONDO SOLDATO Ma chì, as masa di inozénti!
PRIMO SOLDATO E perchè, in guèra no' i sont tüti
inozénti? Cosa t'han fàit a ti, quèi? T'han fàit quajcòsa 'sti
poveràz che at cópett e at scani col sonàr de e trombe? (Sul
fondo scorre il manichino raffigurante la Madonna col
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bambino) Ch'am s'débia sguerciàr i ögi se quèla no' a l'è la
Vérzen Maria col so' bambìn che sèm óltra a cercà!
'Ndémegh a prèss inànz che la ghe scapa... meuvete che '‘sta
volta agh caterémo ól prémi, ch'a l'è gròso!
SECONDO SOLDATO No' al vòj 'sto prémi sgaróso,
sporcelénto...
PRIMO SOLDATO Bòn, al catarò mi ad zólo!
SECONDO SOLDATO No, ne manco ti ól catarét... (Gli
sbarra la strada).
PRIMO SOLDATO Ma ti è 'gnüdo mato? Làsame pasàr,
che gh'èm l'órden de masàrghe ól so' fiòl a la Vérzen...
SECONDO SOLDATO Agh caghi su l' òrden mi! No'
bogiàrte de lì lòga che at stciùnchi!
PRIMO SOLDATO Disgrasiàd... no' t'è an' mò capìt che se
quèl bambìn ól resterà in vita, ól 'gnirà lü ól re de Galilea al
pòst d'ól'Erode... che gl'hài dit la profezia, quèl!
SECONDO SOLDATO Agh caghi anco su l'Erode e la
profezìa, a mi!
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PRIMO SOLDATO At gh'hàit besógn de 'ndà de corpo,
minga de stòmegh te, alóra... Fate in d'una part e láseme
pasàre... che mi no' vòi perd ól prémi, a mi!
SECONDO SOLDATO No, ghe n'hàit abàsta de vidè
amasàr fiulìt!
PRIMO SOLDATO Alóra ól sarà pejòr par ti! (Lo trafigge
con la spada).
SECONDO SOLDATO (si porta le mani al ventre) Ohia...
ch'at m'hàit cupàt... Disgraziàt... at m'hàit sfondàde le buèle.
PRIMO SOLDATO Am rincrèss... at sèt stàit impròpi un
tarlòch... mi no' vorsévi miga...
SECONDO SOLDATO Am pisa ól sàngu da part tüt... Oh
mama... mama... indùa at sètt, mama... ól vègn scür... hàit
frèc, mama... mama... (Cade a terra, morto).
PRIMO SOLDATO No' l'hao cupàt mi... quèst a l'èra già
cadàver in dól mumént che l'ha scomenzà a 'vegh pità:
"Suldàt ch'ól sént pità a l'è già bèlo morto cupà!" ól dis anca
ól proverbio! E 'ntànt ól m'ha fàit pèrd l'ocasión de catà la
Vérzen col bambìn!
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Mentre il soldato se ne va trascinando il cadavere del suo
compagno, viene fatto scivolare in scena il manichino che
rappresenta la Madonna. Alle sue spalle entra la pazza con
l'agnello tra le braccia avvolto nello scialle.
Il coro dei battuti riprende, sommesso, il suo lamento.
CORO DEI BATTUTI
Ohioihi batì’, batìve!
Ehiaiehieh!
Cont dulüri e cont laménti
par la straze d'innozénti,
innozént mila fiolìt
i han scanà ‘mé pegurìt,
da le mame stralunàde
ól Re Erode i ha scarpàdi.
Ohioihi batì’, batìve!
Ehiaiehieh!
02/10/2012 59
SECONDA MADRE (si rivolge al manichino della
Madonna) No' scapìt, Madona... no' curìt… no' catév pagüra
che mi no' sont un soldàt... sunt ‘na dòna... ‘na mama
anch'mi col mé bambìn... Scondìv chi lòga tranquìla, che i
suldàt i sont andàit via... No' gh’avìt pagüra… l'è fornìto ól
masàcro, l'è fornìto ól masèlo… No' plangìt, no' trambìt…
Sentéve, pòra dòna, che n'avìt fàito d'ól curìr... Fèime vardà
ól vostro fiolì'... Oh ‘mé l'è bèl et culorìt! Bèlo, bèlo... ‘mé l'è
alégher... Ma che fàcia sempàtega che ól gh'ha! Ne farà de
strada quèsto, cara! Quant témp ól gh'ha? Ol dév avérghe
giùsta ól témp d'ól mé... ‘Mé ól gh'ha nom? Jesus? L'è un bèl
nom! (Al bambino) Jesus! Bèlo bèlo... Jesulìn... ól gh'ha già
dòi dencìt! Ohi che simpàtech! Ol mé n'ól gh'ha ancmò fàit i
dénci... l'è stàito un pòch malàd ól mes pasàt, ma adés ól ‘sta
bén... l'è chì che ól dòrma pròpi ‘mé un angiulìn... (lo
chiama) Marco? (A Maria) Ol gh'ha nóm Marco... ól dorma
pròpi de güst! (Al figlio) Oh cara, ‘mé t'sét bèl! Sét bèl anca
ti Marcolìn! (Alla Madonna) L'è anca vera che nojàltre
mame a sèm fàit in d'una manéra che anco se ól nòster fiolìn
02/10/2012 60
ól gh'ha qualche difècto... nünch, no' l' vidèm miga. Agh vòj
tanto de quèl bén a 'sto bestiolìn, che se m'al purtàsen via a
'gnirìa mata!
Se agh pénsi al grand dulùr… stremìzi che gh'ho üt
stamatìna, quand che mé sont desvegiàta… ho sentìt criàre…
sont andàda a la cüna e la gh'ho truvàda svöja… piéna de
sàngu e ól mè fiulìn ól gh'éra piú... e gh'ho sentìt criàre…
plorìr e plangi de foravìa… sunt andàda coréndo a la porta…
in la strada a gh’éra suldàt che scanàva fiulìt… matri che
chiagnéva desperàt… e sangu… sangu d ‘partüto! "Me
l'hann masàito! Me l'hann masàito ol mé fiulìn! - me son
metùa a vusà stramortìta… - Me l'hann masàito!"
Par fortüna che no' l'éra vera nagòt... che a l'éra domà un
sógn… ma mi n'ól savévi miga che a l'éra un sógn… tant che
de lì a pòch mé sont desvegiàda ancmò sota l'impresiün d'ól
'sognamént, e tüta desesperàda che parévi 'na mata, sunt
andàda de föra in d'la curt e gh'ho scomensà a biastemà
contra al Segnür: "Deo treménd e spietàt - agh criàvi - at
l'hàit comandàt ti 'sto 'mazamént... a l'hàit vorsüdo ti 'sto
02/10/2012 61
sacrifìzi in scambi de fagh 'gni giò ól to' fiòl: mila fiolìt
scanàt par vün de ti! Un fiüm de sàngu par 'na tasìna! T'ól
podévet bén tegnìl in prèsa a ti, 'sto fiòl, se agh duéva
costàrghe tanto sacrifìzi a nunch pòver crist... Oh, at 'gnirà a
cumprénd in fin anca ti, se ól veur di' crepàr de dulùr in t'ól
dì che 'gnirà a murìte ól fiòl in su la cróse. At 'gnirà anca a
comprénd infìna co l'è stàit ben grand treménd castigo che
t'hàit picàt a i òmeni in eterno... (Accorata) Patre… no' ti è
bòn, ti… no' ti è padre! Che niùno patre in sü la tèra no'
gh'avarìa gimài üt ól coeur de 'mpórghe a un so’ fiòl
l’incrusàda… per quant c'ól fudèss malvàz."
Ero smarìta, Madona… mé capìt?…
Biastemàvo parchè no' ól savéve… Ero immatìda… De
bòt… mé son sentìda ciamàr dal mé fiolìn… ho voltà là i ögi
e dénter a l’uvìl, in mèz a i pegurì, ho descovèrto ól mé
bambìn che ól piagnéva! Mé ciamàva: "Bèèè, bèèèè…" ‘mé
'na pégura… A l'éra el mè fiulìn! De sübet agh l'ho
recognosüd... Sun cùrsa in de l'ovìl… Ma cossa el ghé
faséva el mè fiolìn tra i pegùr?! A l’éra lì lòga, gatóni…
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ingrupàt… L'hàit catàt in ti brazi... l'ho stringiùo… l'ho
basàt… e ho scomensà a piàngere de consolaziùn: "At
domandi pardon Segnur misericurdiùs par 'sti brüti paròli
che t'hàit criàti, che mi no' le penzàva miga... che o l'è stàit ól
diàvul... sì, ól è stàit ól diàvul a sugerìmei! Ti è tanto bòn,
Segnur, che te ml'hàit salvàd ól fiòl de mi!... E ti gh'ha fàit
de manéra che tüti ól ciàpa par ün pegurìn-berìn veràz. E
anco i soldàt no' se n' incòrge miga e am lo làseno campare!”
Dovarò giüsta stagh aténta… in campana, in t'ól dì che 'gnirà
la Pasqua, che quèl a l'è ól témp che as masa pegurìt-berìn
compàgn che incoeu bambìn.
A 'gniràn i becàri, i maselàri a cercàmel... ma mi agh metarò
'na scufièta in su la crapa e ól faserò tüto de pèssa... in
manére che ól scàmbia per un bambìn. Ma a près, de sübet,
a varderò bén che n'ól débian recognósarlo gimài plú, par un
bambìn... anze, ól menarò a pascolare e agh fagarò 'mparàre
a magnàr l'erba in manéra che ól sembrerà... par tüti un
pegurìn... imparchè ól vegnirà plu fazile, a 'sto mé fiòl,
campàr de pégura, che non d'òmo, in 'sto mundo infamàt!
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(Cambia tono) Oh, ól s'è desvegià... ól ride! Vardìt, Madona
se no' l'è bèl de catà ól mé Marcolìn... (La donna scosta lo
scialle e mostra alla Madonna l’agnellino che tiene tra le
braccia. La Vergine ha un malore) Oh Madona, av sentì
mal? Cossa hai fàìto?… Parchè trambìt, parchè gh'avìt
pagüra Madona?… No' ghè nisciuno… i soldat i son andàit
via… ól gh'è el sole che l'è covèrto de nìvole… vegnirà a
piòver e tüto el sangu che gh'è par tèra ól se laverà
Madona… Suridéme Maria… suridéme… Oh, surìd anca ól
fiolìn caro… Varda… bèlo! Jesulìn?… Ol gh'ha vója de
durmì… Anca ól mé ól gh'ha sògno… I niném insémbia
Maria? Voi niné el vostro e mi nino el méo… i ninémo
insèmbia tüti e dòi… li fémo dormire… Vòj cantare
Madona? (Cullando l'agnello canta)
Nana, nana,
bel bambìn de la tua mama.
La Madona la ninava
'tant che i àngiuli cantava,
San Giusep in pie ól dormiva,
02/10/2012 64
e Gesù bambìn rideva
e l'Erode ól biestemàva,
mila fiolìt in zel volava,
nana, nana…
nan, nana…
Mentre si abbassa lentamente la luce, alla voce della madre
si sovrappone il canto dei battuti.
CORO DEI BATTUTI
Ohioihi… batì’, batìve!
Ehiaiehieh! -
Cont dulüri e cont laménti
par la straze d'innozénti,
innozént mila fiolìt
i han scanà ‘mé pegurìt,
da le mame stralunàdi
ól Re Erode i ha scarpàdi.
Ohioihi… batì’, batìve!
Ehiaiehieh!
E fàite laude al Segnore
02/10/2012 65
che tanto pietoso l’è de core,
da far sortìr de çervèllo i desesperàdi
che pi’ no’ réze per ól grand dolore!
Ohioihi… batì’, batìve!
Ehiaiehieh!
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Traduzione
CORO DEI BATTUTI
Ohiohi battete, battetevi!
Eheiaiehieh!
Con dolori e con lamenti
per la strage degli innocenti,
innocenti mille bimbetti,
li han scannati come capretti,
dalle mamme stralunate
re Erode li ha strappati.
Ohiohi battete, battetevi!
Ehiaiehieh!
DONNA Assassino... porco... non toccare il mio bambino.
PRIMO SOLDATO Lascialo andare... molla 'sto bambino o
ti taglio le mani... ti do un calcio nella pancia... molla!
DONNA Nooo! Ammazza me piuttosto... (Il soldato le
strappa il bambino e lo uccide) Ahia... ahaa... me lo hai
ammazzato, accoppato. (La donna disperata esce di scena)
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Entra un'altra donna, tiene tra le braccia un bimbo
completamente avvolto in uno scialle.
SECONDO SOLDATO Oh, eccone qui un'altra... Fermati
dove sei, donna... o v'infilzo tutte due... te e il tuo bambino!
MADRE Infilzaci pure, che io preferisco...
SECONDO SOLDATO Non far la matta... sei ancora
giovane tu e hai il tempo di sfornarne un'altra dozzina di
bambini... Dammi qui quello... fa' la brava.
Il soldato tenta di strapparle il bambino.
MADRE No... giù queste zampacce di dosso (Gli morde
una mano).
SECONDO SOLDATO Ahia... mordi eh... e allora prendi
questo (le appioppa un gran ceffone) e lascia 'sto fagotto!
MADRE (La donna difende disperatamente il bimbo) Pietà,
ti prego... non ammazzarmelo... ti do tutto quello che ho.
Il soldato riesce a strappare il fagotto che la donna tiene tra
le braccia e si ritrova fra le mani un agnello.
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SECONDO SOLDATO Oh, ma cos'è questo?! Un
pecorino... un agnellino...?
MADRE Oh sì, non è un bambino, è un pecorino... io non
ho mai avuto bambini... non sono capace, io. Oh ti prego,
soldato, non uccidermi questo agnello... che non è ancora
Pasqua... e faresti un grande peccato se me lo ammazzi!
SECONDO SOLDATO Oh, donna! Mi vuoi prendere per il
didietro... o forse sei matta?
MADRE Io matta? No che non sono matta!
PRIMO SOLDATO Vieni via, lasciale l'agnello...(il
secondo soldato restituisce l'agnello alla madre) che a
quella si è rovesciato (stravolto) il cervello... per il dolore
che le abbiamo accoppato il figlio. (Il secondo soldato si
porta le mani all’addome e se lo preme) Cosa ti prende...
muoviti, che ne abbiamo ancora una gran nidiata da
scannare.
SECONDO SOLDATO Aspetta... che mi viene da
vomitare...
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PRIMO SOLDATO Bella forza! Mangi come una vacca:
cipolle, montone salato e poi... Vieni qui all'angolo, c'è
un'osteria... ti farò bere un bel grappotto.
SECONDO SOLDATO No, non è per il mangiare! È per
questo macello, questa scannatoio di bambini che abbiamo
messo in piedi, che mi si è rovesciato la stomaco.
PRIMO SOLDATO Se sapevi di essere così delicato non
dovevi venire a fare questo mestiere del soldato.
SECONDO SOLDATO Io ero venuto soldato per uccidere
uomini nemici...
PRIMO SOLDATO E magari anche per sbattere riversa
qualche donna sul paglione... eh?
SECONDO SOLDATO Beh, se capitava... ma sempre
donna di nemici!
PRIMO SOLDATO E scannargli il bestiame...
SECONDO SOLDATO Ai nemici!
PRIMO SOLDATO Bruciargli le case... uccidergli i
vecchi... le galline e i bambini... Bambini sempre di nemici.
02/10/2012 70
SECONDO SOLDATO Sì, anche i bambini... ma in guerra!
In guerra non è disonore: ci sono le trombe che suonano, i
tamburi che rullano e canzoni di battaglia e le belle parole
dei capitani alla fine!
PRIMO SOLDATO Oh, anche per questo macello avrai
delle belle parole dai capitani.
SECONDO SOLDATO Ma qui, si ammazzano degli
innocenti!
PRIMO SOLDATO E perché, in guerra non sono tutti
innocenti? Cosa hanno fatto a te quelli? T'hanno fatto forse
offeso a sangue quei poveracci che uccidi e scanni col suono
delle trombe? (Sul fondo scorre il manichino raffigurante la
Madonna col bambino).
PRIMO SOLDATO Che mi si possano accecare gli occhi se
quella non è la Vergine Maria col suo bambino che stiamo
cercando! Andiamole appresso, prima che ci scappi...
muoviti, che questa volta prenderemo il premio, che è
grosso.
02/10/2012 71
SECONDO SOLDATO Non lo voglio 'sto premio schifoso,
infame!
PRIMO SOLDATO Bene, lo accatterò
io solo!
SECONDO SOLDATO No, neanche tu te lo pigli... (gli
sbarra la strada).
PRIMO SOLDATO Ma sei diventato matto? Lasciami
passare, che abbiamo l'ordine di ammazzare il figlio suo alla
Vergine...
SECONDO SOLDATO Ci cago sull'ordine io! Non
muoverti da lì o ti stronco!
PRIMO SOLDATO Disgraziato... non hai ancora capito che
se quel bambino resterà in vita, diventerà lui il re di Galilea
al posto di Erode... che gliel'ha detto la profezia, quello!
SECONDO SOLDATO Cago anche su l'Erode e la
profezia, io!
PRIMO SOLDATO Hai bisogno di andar di corpo tu, mica
di stomaco, allora... Vai in un prato e lasciami passare... che
non voglio perdere il premio, io!
02/10/2012 72
SECONDO SOLDATO No, ne ho abbastanza di veder
accoppare bambini!
PRIMO SOLDATO Allora sarà peggio per te! (Lo trafigge
con la spada)
SECONDO SOLDATO (Si porta le mani al ventre) Ahia...
che mi hai fottuto... Disgraziato... mi hai sfondato le
budella...
PRIMO SOLDATO Mi rincresce... sei stato proprio un
tarlocco (coglione)... io non volevo...
SECONDO SOLDATO Mi piscia il sangue dappertutto...
oh mamma... mamma... dove sei, mamma... Viene scuro... ho
freddo, mamma... mamma... (Cade a terra, morto)
PRIMO SOLDATO Non l'ho accoppato io... questo era già
cadavere al momento che ha cominciato ad avere pietà.
"Soldato che sente pena è già disteso sulla schiena!" lo dice
anche il proverbio! E intanto mi ha fatto perdere l'occasione
di acchiappare la Vergine col bambino.
I battuti riprendono la litania della strage. Il soldato esce
trascinandosi via il cadavere del compagno.
02/10/2012 73
Lentamente, portandosi in proscenio entra il manichino della
Madonna, seguita dalla pazza che tiene l’agnello nascosto
deréntro lo scialle.
CORO DEI BATTUTI
Ohiohi battete, battetevi!
Eheiaiehieh!
Con dolori e con lamenti
per la strage degli innocenti,
innocenti mille bimbetti,
li han scannati come capretti,
dalle mamme stralunate
re Erode li ha strappati.
Ohiohi battete, battetevi!
Ehiaiehieh!
MADRE Non scappate Madonna… non correte... non
abbiate paura ché io non sono un soldato... sono una donna...
una mamma anch'io... col mio bambino... Nascondetevi qui
tranquilla, che i soldati sono andati via... Non abbiate
paura… è finito il massacro, è finito il macello. Non
02/10/2012 74
piangete, non tremate... Sedetevi povera donna che ne avete
fatto del correre!... Fatemelo guardare il vostro bambino…
Oh, com'è bello e colorito! Bello, bello... come è allegro...
Ma che faccia simpatica che ha! Ne farà di strada questo,
cara! (A Maria) Quanto tempo ha? Deve avere giusto il
tempo del mio... Come ha nome? Gesù? È un bel nome! (Al
bambino) Gesù! Bello, bello... Gesulino... Ride… ha già due
dentini... Ohi, che simpatico! Il mio non li ha ancora fatti
(messi) i denti... è stato un po' malato il mese passato
(scorso), ma adesso ‘sta bene... è qui che dorme proprio
come un angiolino... (Lo chiama) Marco? Ha nome (si
chiama) Marco... dorme proprio di gusto! Oh cara, come sei
bello! Sei bello anche tu Marcolino! (Alla Madonna) È
anche vero che noialtre mamme siamo fatte in una maniera
che anche se il nostro bambino ha qualche difetto... noi, non
lo vediamo mica. Voglio tanto di quel bene a 'sto bestiolino,
che se me lo portassero via diventerei matta!
Se penso al grande dolore... allo spavento che ho avuto
questa mattina, quando mi sono svegliata… ho sentito
02/10/2012 75
gridare… sono andata alla culla e l'ho trovata vuota… piena
di sangue e il mio figliolino non c'era più... E ho sentito
gridare i soldati fuori nella strada… sono corsa… madri che
piangevano disperate… e bambini scannati… "Me l'hanno
ammazzato! Me l'hanno ammazzato!"
Per fortuna che non era vero niente... che era solo un sogno,
ma io non sapevo... tanto che di lì a poco mi sono svegliata
ancora sotto l'impressione del sogno, e tutta disperata che
sembravo una pazza, sono andata fuori nella corte e ho
cominciato a bestemmiare contro il Signore: "Dio tremendo
e spietato - gli gridavo - l'hai comandato tu 'sto
ammazzamento... l'hai voluto tu questo sacrificio in cambio
di far venir giù (scendere) tuo figlio: mille bambini scannati
per uno tuo! Un fiume di sangue per una tazzina! Potevi ben
tenerlo vicino a te, 'sto figlio, se doveva costare tanto
sacrificio a noi poveri cristi... Oh, verrai a comprendere alla
fine anche tu, cosa vuol dire crepare di dolore, nel giorno
che verrà a morirti il figlio sulla croce! Arriverai anche a
02/10/2012 76
comprendere infine che è stato ben gramo e tremendo
castigo che hai imposto agli uomini in eterno!
Padre… non sei buono, tu... Non sei padre!
Ché nessun padre sulla terra non avrebbe giammai avuto il
cuore d'imporre ciò a un suo figlio, per quanto fosse
malvagio!"
Ero smarrita Madonna... mi capite? Bestemmiavo perché
non sapevo… ero impazzita (fuori di testa)!
Di colpo, ho voltato là (girato) gli occhi e deréntro l'ovile, in
mezzo alle pecore, ho scoperto il mio bambino che
piangeva! Mi chiamava: "Beeeee, beeee…" come un
agnello… era mio figlio! Subito l'ho riconosciuto... Sono
corsa nell'ovile… ma cosa ci faceva il mio bambino tra le
pecore? Era lì "gattoni"… L'ho preso tra le braccia... l'ho
stretto… l'ho baciato… e ho cominciato a piangere di
consolazione: "Ti domando perdono Signore misericordioso
per 'ste brutte parole che t'ho gridato, che io non le pensavo
mica... ché è stato il diavolo… sì, è stato il diavolo che mi
sta sempre qui… appiccicato all’orecchio… è stato lui a
02/10/2012 77
suggerirmele! Tu sei tanto buono, Signore, che mi hai
salvato il figlio mio!... E hai fatto in modo che tutti lo
scambino per un agnello-pecorino, verace. E anche i soldati
non se ne accorgono mica, e me lo lasciano campare!
Dovrò giusto stare attenta, in campana, nel giorno che verrà
la Pasqua, ché quello è il tempo che si ammazzano agnelli-
pecorini come oggi bambini. Verranno i macellai a
cercarmelo... ma io gli metterò una cuffietta in testa e lo
fascerò tutto con le pezze... in modo che lo scambino per un
bambino. Ma appresso, subito, guarderò bene che non lo
debbano riconoscere mai più per un bambino... anzi, lo
porterò a pascolare e gli farò imparare a mangiare l'erba in
modo che sembrerà... a tutti un pecorino... perché verrà
(sarà) più facile, a 'sto mio figlio, campare da pecora, che
non da uomo, in 'sto mondo infame!"
Oh, si è svegliato... ride! Guardate Madonna se non è bello
da cogliere ('cogliere' come fosse un fiore) il mio
Marcolino... (La donna scosta lo scialle e mostra alla
Madonna la pecorella. La Vergine ha un malore) Oh,
02/10/2012 78
Madonna, vi sentite male? Cosa vi capita? Perché tremate?
Perché avete paura Madonna?… Non c'è nessuno… i soldati
sono andati via... c'è il sole che è coperto dalle nuvole…
verrà a piovere e tutto il sangue sui muri e per terra sarà
lavato Maria!
Sorridetemi Madonna, sorridetemi… Oh, sorride anche il
bambino caro… Guarda... Bello! Gesulino… Ha voglia di
dormire… anche il mio ha sonno… Li ninniamo insieme
Maria? Li ninniamo insieme tutti e due... Vuoi cantare
Madonna? (Cullando l'agnello canta)
Nanna, nanna
bel bambino della tua mamma.
La Madonna cullava
intanto che gli angeli cantavano,
San Giuseppe in piedi dormiva,
il Gesù bambino rideva
e l'Erode bestemmiava,
mille bambini in cielo volavano,
nanna, nanna!
02/10/2012 79
A coprire il canto della pazza sale lentamente il coro dei
battuti.
CORO DEI BATTUTI
Battetevi, battetevi,
con dolore e con lamenti
e fate grazia al Signore
tanto misericordioso
da far uscir di cervello i disperati
che regger non posson il dolore!
E fate laude al Signore
che tanto è pietoso di cuore
da far sortir di cervello i disperati
che non ce la fanno a reggere
per il grand dolore!
Ohiohi battete, battetevi!
Eheiaiehieh!
02/10/2012 80
MORALITA’ DEL CIECO E DELLO STORPIO
EINAUDI I ediz. Prologo
Sempre legata al tema della dignità è la Moralità del cieco e
dello storpio. È uno dei temi più famosi e diffusi nel teatro
medievale di tutta Europa; se ne conoscono versioni un po’
dappertutto: più di una in Francia (foto 9), nello Hainaut
belga. In Italia una versione celebre, di Andrea della Vigna,
è della fine del Quattrocento.
Foto 9. “Moralité de l’aveugle et du boiteux” (Moralità del
cieco e dello storpio).
Frontespizio di una stampa francese del secolo XVI.
Ebbene, a un certo punto il cieco dice: “Non è dignità avere
le gambe dritte, avere gli occhi che vedono, dignità è non
avere un padrone che ti sottomette”. La libertà vera è quella
di non aver padroni, non soltanto io, ma vivere in un mondo
02/10/2012 81
dove anche gli altri non abbiano padroni. E questo, pensate!,
intorno al 1200-1300.
Naturalmente, queste sono cose che a scuola non ci
insegnano, perché far sapere ai ragazzini che già nel
Medioevo i poveracci avevano capito certe dimensioni, il
significato dell’essere sfruttato, è molto pericoloso!
PROLOGO 2000
La moralità del cieco e dello storpio. Abbiamo mostrato in
più occasioni come nell’antico teatro popolare, testi con
numerosi ruoli venissero realizzati da singoli giullari che
interpretavano, uno appresso l’altro, tutti i personaggi
dell’opera. Anche nel contrasto che andremo tra poco ad
eseguire troviamo due giullari interpretati da un solo mimo-
recitante (viene proiettata la lastrina n. 9). Ma spesso, nel
medioevo, in particolare questo contrasto, veniva messo in
scena facendo agire due distinti protagonisti. Arturo Corso,
da anni mio collaboratore, ha infatti ripreso questa chiave in
02/10/2012 82
Belgio, “l’aveugle et le boiteux” affidando i due ruoli a due
diversi interpreti della Compagnia Fiamminga “Nuovelle
Scène”: il gioco contrasto tra cieco e storpio recitato in
coppia funzionava a meraviglia anche così.
È risaputo che le giullarate nel medioevo venivano chiamate
anche “moralità” e non a caso in questo gioco grottesco
affiora evidente un intento morale di altissimo valore. Il
tema in questione è quello della dignità del guadagnarsi la
vita. La chiave della storia è semplice, quasi elementare: un
cieco, abbandonato dal suo cane, si trova disperato in mezzo
alla strada senza sapere come muoversi, chiede aiuto. Gli
risponde d’appresso un infelice come lui, si tratta di uno
storpio che si trascina su un carrettino; purtroppo le ruote
incastrandosi deréntro i solchi di una carreggiata, si sono
spezzate, così a sua volta chiede aiuto. Il cieco allora
pilotato a voce dal compagno di sventura lo raggiunge, ha
un’idea davvero geniale: si caricherà sulle spalle lo storpio
cosicché egli vedrà attraverso gli occhi dello sciancato e
l’altro camminerà grazie alle gambe del cieco. Lo storpio
02/10/2012 83
esulta per la stupenda trovata del compare e già prevede la
possibilità di indurre i passanti ad una maggiore
commozione nello scoprire quel tragico connubio di infelici;
quella visione li indurrà a essere più generosi nell’offrire
loro la carità!
La versione che noi recitiamo è molto simile a quella
francese di André de la Vigne, autore satirico della fine del
‘400. Se ne conoscono altre numerose versioni, tutte con
varianti diverse, ma ognuna riprende il tema della dignità di
cui accennavamo poc’anzi. Quando i due scorgono da fuori
scena Cristo legato alla colonna e bastonato, ne provano
pietà. E da qui ha inizio il capovolgimento della morale.
02/10/2012 84
MORALITA’ DEL CIECO E DELLO STORPIO
Versione per due giullari recitanti, nei due ruoli.
Il cieco sta sulla destra della scena. Lo sciancato è in
ginocchio sul lato opposto.
CIECO Aidème, bona zénte... fàiteme la carità, a mi che son
povarèto e desgrasió, orbo de dòj ögi, che, oh meno male,
no’ me pòdo vardàrme, che m' gh’avaría gran compassión e
vegnaría disperàt a amatìrme.
STORPIO Ohj zénte de còre, ahibèt pità de mi che sont
consciàt in la manéra che an dól vardàrme am senti catàr de
tanto spavéntu che voraría scapàr de tüte giàmbe, se no’
fusse che sont storpiàt de no’ mòverme se no’ cont ól carèt.
CIECO (mima di andare a sbattere contro ad una colonna)
TOC! Ohj che no’ pòdi andà intórna che pichi a rebatóni co’
la crapa in tüti i culòni e in di cantún... Aidème quajcün!
02/10/2012 85
STORPIO Ohj che no’ sont pu’ capàze de ‘gnir via de ‘sta
caregiàda, che i me sont s’cepàde le ròde del caretí’(n)… a
‘gnirò a crepare chí lòga de fame, se no’ m'aída quajcün!
CIECO Gh'avévi un sí bravo cagnàso che ól me
scumpagnàva... ól m'è scapàd arénta a una cagna in frégula...
almànch mi credi che la sia stada fèmena ‘sta cagna, che agh
vedi miga mi e no’ pòdi es següro... ch'ól podría anch' ess
stad un can sporcèl viziùso, o un gato smorbióso che am l'ha
fàit inamuràt, ól me can. (Con tono sempre più lacrimevole
e lamentoso) Aidéme! Aidéme!
STORPIO Aída, aída... no’ gh'è njùno che gh’àbia quatro
ròde nòve da imprestàme pol mé caretí (n)? Deo Segnor,
fame la gràsia d’avérghe quatro ròde!
CIECO Chi è che s’laménta che ól vòle le ròde de Deo?
STORPIO Sont mi quèl, ól s’ciancàt instorpiàt coi ròdi
s'cepàdi.
CIECO Végna arénta de mi, da ‘sta óltra banda d'la strada,
che vedarò d’aidàt.No’ che no’ podarò védar... almànch d'on
miracolo. Ma ben, vedarèm!
02/10/2012 86
STORPIO A no’ pòdo miga ‘gní lilò... Deo maledìga toeti i
ròdi del mundo e a faga ‘gní quadràde che i no’ pòdan pu’
andà intorno a rudulà.
CIECO Oh se as poderèse far de manéra de ‘gní mi de
drisàda infína a ti... stat següro, varda, che agh staría fin a
cargàrte in sora a e spale de mi tüto intrégo… salvo le ròde e
ól caretí (n)! Agh strasfurmarèm int ’na criadüra sola de dòj
che sémo... e gh’avarièm satisfasión intràmboli. Mi andaría
intórna co’ i to ögi de ti e ti co’ i mé giàmbi de mi.
STORPIO Ohj che pensàda! Dei avérghe on gran zervèlo ti,
piegn de ròde e rodèle. (Spalancando le braccia verso il
cielo) Ohj che el Segnur Deo m'ha fàito la grasia de
'mprestàrme le ròde del to’ zervèlo per farme andare intùrna
de nòvo a dimandàr la carità!
CIECO Sigúta a parlà che mé orisùnti... (si avvia) Vagh ben
in ‘sta diresiùn?
STORPIO Sí, végn tranchìll che at sièt sora la róta ziùsta.
CIECO Par no’ topigàr a l'è mejòr che am büti gatóni. Ehi, a
vagh sémper de drita?
02/10/2012 87
STORPIO ‘Pògia un pòch de manca... No! Esageràt! Quèla a
l'è una viràda... Büta l’àncura e torna in drio… Bòn... föra i
remi, sü le vele... driza, driza... Ben, végn sigüro adès.
CIECO At m’hàit catàt per un galeón? Slùngame una man
quando at sont après.
STORPIO Ma té 'e slónghi tote e dòje e mane! Végn, végn,
bel fiolí’ de la tòa mama... ch'agh sèt... No!... ‘craméntu! no’
andar via de derìva... driza a la drita... Oh, ól mé barcón de
salvatàgio!
CIECO At'hàit catàt? At se' ti, proprio ti?
STORPIO A sont mi quèl, o bel sguerción d’ori... fat
imbrasà!
CIECO Agh stàit pu’ in d'la pèl d'la contentèsa, caro ól mé
sturpiàt! Végn che té carégo... móntame su e spale...
STORPIO Agh monti sí... rivòltes a l'incontràri... ‘sta' bas
con la s'céna... Issa! Agh son!
CIECO Ohj, no’ picàrme i ginögi in le reni... co’ ti mé
s'ciónchi!
02/10/2012 88
STORPIO Perdóname... o l'è la préma voelta co munti a
cavalo, no’ ghe sont abituàt. Ohj ti, fagh atensión a no’
sbortolàrme de sóto, me aricomàndo!
CIECO Stat següro che at tegnirò caro, compàgn ch'at
fudèset on sach de rape róse. Ti fame da guida polìto pitòst...
de no’ mandàrme a pestà i buàgne di vacch.
STORPIO Fagarò atensiú’, va' schìscio. Pitòsto, no’ ti gh'ha
un fèro de casciàrte in bóca a fagh de morso e un para de
sìnghie ‘tacàde? Am saría plu fàzile a menàrte intórna.
CIECO Oh ben: ti m'hàit catàt par un àsin? Ohjamí come té
péset! Come ól va che et cosí pesàntu?
STORPIO Camìna... scunsüma miga ól fiàt... (Felice,
incitandolo) Ahrii! Trota, me bel sguerciòt, e fagh atensión
che quand té tiri l'orègia de manca, ti té duarèt voltar de
manca... e quando tiri...
CIECO Hàit capìt! Hàit capìt... sont miga un àsen. Ohj!
Boia, bèstia, at sèt tròp pesàntu!
STORPIO Pesàntu mi?... Ma ste dìset? Sont 'na pluma... una
parpàja!
02/10/2012 89
CIECO Una parpàja de piombo, che se at lasi burlàr par tèra
at fàit un büso de trovàrghe l'acqua sorgiva... sanguededìo!
T'hàit magnà un incüden de fèro a colasión?
STORPIO A ti se mato… a son dòj giorni che no’ magno.
CIECO Bòn, ma i saran purànco dòj mesi che no’ ti caghi!
STORPIO Ohj che sberlusciàdi: Deo me végna a testimoni...
a i sont sie die apéna che no’ i vagh de corpo.
CIECO Sie die? Dòi pasti almànco al ziorno ai fano dódese
covèrti. San Gerolamo protetór de i fachìni… son drio a
portàrme intórna un magaséno de scorta par un ano de
carestia. Am despiàse ma mi at scarégo chi lòga e ti am fèt ól
sacrosanto piasér d’andàrte a scaregàr ól ‘magasinaménto
inlegàle!
STORPIO Férmate, no’l senti ‘sto fracàso?
CIECO Sì, ól me pare de zénte che cria e biastéma! Contra a
chi l'è che i vósa?
STORPIO Fàit un pòch plu in drio che agh s’ciàro de
vardàrghe... (imitando il coccchiere quando frena il cavallo)
02/10/2012 90
lilò pògiaaa... Bòn, adèso ól vedi... Agh l'han con lü...
pòvaro Cristo!
CIECO Pòvaro Cristo a chi?
STORPIO A lü, Cristo in la persona... Jesus, fiòl de Deo!
CIECO Fiòl de Deo? Lo qual?
STORPIO Come: lo qual? Lo ünigo fiòl, ‘gniuràntu! Un fiòl
santìsim... e i ghe dise che ól fa ròbe miràbil, meravegióse.
Ol guarìse e maladìe, le pejór tremende co gh'è al mundo a
chi e sopòrta con l’ànema zoiósa. Dònca a l'è mejòr che
sbarachéme de ‘‘sta contràda.
CIECO Sbaracàr? E par qual resòn?
STORPIO Parchè mi no’ pòdo tòr ‘sta condisión con
alegrèsa. I dise che se ‘sto fiòl de Deo ól ‘gnise a pasàr de
chi lòga, mi ‘gnería miracolàt d'un bòto... e ti anca, a la
misma manéra... Pénsaghe un pòch, se davéro ghe cata a tüti
e dòj la desgràzia de vès liberàdi di nostri desgràzi! D'un
bòto agh s'trovarìam in la cundisión d'es obligàt a tòr via un
mestér per impodér campare.
02/10/2012 91
CIECO Mi a digaría d’andàrghe incóntra a ‘sto santo, che ól
ghe traga föra de ‘sta sventüra malarbèta.
STORPIO At dighi de bòn? At ‘gniràt miracolàt, bòn, e at
tocherà crepar de fame... che toeti i té criaràn: “Vagj a
lavorar!”
CIECO Ohj che me cata i sudori frègi in del pensàrghe...
STORPIO “Vagj a lavorar, vagabondo - i té diserà - brasce
robàde a la galera!” E a perderèsmio ól gran previléz che
gh’avémo in pari ai siòri, ai paróni, de tór gabèla: lori col
slongàr i truchi de la lége, nojàrtri con la pità. Li dòj a gabàr
cojóni!
CIECO Andémo, scapémo via de ‘sto incontro col santo, che
mi a vòj pitòsto morir. Ohj mama de mi... 'ndèm... 'ndèm de
vulàda al galòp... ‘tàchete a e orège, da guidàrme pi’ lontan
che ti pòl de ‘sta çità! Andarèm föra anch de Lombardia...
Andarèm in Franza o in un sito dove no’ podarà ‘rivàr gimài
‘sto Jesus fiòl de Deo. Andarémo a Roma!
STORPIO Sta' calmo, calmo, spiritàt ‘matìdo, che ti mé
sgròpi in tèra...
02/10/2012 92
CIECO Ohi, té pregi, sàlvame!
STORPIO State bòn... che agh salveremo tòt dòj in
compagnia... no’ gh'è anch mo pericolo, co la procesión che
mena ól santo no’ la s'è ancmò movüda.
CIECO Agh fan cos’è?
STORPIO L'han ligàt a una colòna... e i è dre' a picàl. Ohj
come i pica, ‘sti scalmanàt!
CIECO Oh poer fiòl... perché ól pìchen? Cos ól gh'ha fàit a
lóri... ‘sti malnàt?
STORPIO L'è ‘gní a parlàgh de vès tüti amorosi, compàgn
de tanti fradèli. Ma ti varda ben de no’ lasàrte miga catàr de
cumpassión par lü, che o l'è ól plù gran perìcol de vès
miraculàt!
CIECO No, no... no’ gh'ho compasión... che par mi no’ l'è
nisciùn quèl Crist... che no’ ghe l'ho gimài cognosüdo mi...
Ma dime cosa agh fan adèso?
STORPIO Agh spùen adòso... sgarùsi purscèl, in fàcia agh
spüen!
02/10/2012 93
CIECO E lü cossa ól fa... cosa ól dise, ‘sto poaràso santo fiòl
de Deo?
STORPIO No’ dise... no’l parla... no’l se rebèla... e no’ i
varda miga d'inrabít a quèi desgrasió...
CIECO E come i varda?
STORPIO I varda con malencunìa...
CIECO Oh car fiòl... No’ me dighi pù’ nagòta de quèl che va
a sucéd che mi am senti sgriscí ól stòmego... e frèg al core...
che gh'ho pagüra che àbia vès quajcòs che ‘somégia a la
compasión.
STORPIO Anch mi am senti ól fiàt che am sgiùngia al
gargaròz e i sgrìsci in di brasci... Andèm, andèm via de chi
lòga!
CIECO Sí, 'ndèm a intrupàrse in quài lògu dua lü pòda fa' a
mén de ‘gní a descovrìr de ‘sta nostra comusiùn per ól so’
patimént. Mi cognóso una hostarìa...
STORPIO ‘Scolta!
CIECO Cosa?
STORPIO ‘Sto gran frecàs chi a rénta…
02/10/2012 94
CIECO No’ sarà miga ól santo fiòl che ‘rìva?
STORPIO Oh Deo grazia, no’ me farme stremìre che
sarèssimo perdúj... Là intórna a la culòna non gh'è pu’
niùno...
CIECO Ne manco ól Jesus fiòl de Deo? Dove i se son
casciàdi?
STORPIO I son qua! Ècoi che i ‘riva toeti in procesión... A
sémo ruinàdi!
CIECO A gh'è chí anco ól santo?
STORPIO Sí, a l'è in d'ól mèso... e l'han anca cargàdo d'una
cróse pesànta ól poarèto!...
CIECO No’ stat a pèrderte in compasión... desbrégate
pitòsto a guidàrme in quài lògu indóe ghe podémo
nascondere ai so’ ögi...
STORPIO Sí, andémo... pògia de drita... córi, córi, prima
che ól ghe pòda vardà, ‘sto santo miracoloso.
CIECO Ohj che me sont inzupàd in d'una cavégia... che no’
sont piú capàz de mòverme!
02/10/2012 95
STORPIO Té végna un càncaro! Improprio adèso? No’ ti
podévi guardare in do’ té metévi i pie?
CIECO Eh no che no’ podévo vardàre... che mi sont
sguèrcio e no’ me pòdo védar i pie! (Interrompendosi di
colpo, sbalordito) Come no’ i pòdo?!… Sí che i pòdo
védar... me i vedo!! (Quasi in estasi, scopre tutto quello che
lo circolda partendo dal suo corpo) Me vedo i pie! O che
bèi dòj pie che gh'ho! Santi, bèi... con tüti i didi... quanti
didi! Sinco par pie... e coi óngi grosète e picinìne
disgradànte in fila! (Rivolto ai piedi) Oh, vòj basàrve tòti… a
un par una! (Si abbassa e lo storpio crolla a terra
disarcionato).
STORPIO (urlando mentre piomba a terra) Mato... stàite
bòn che ti mé stravàchi. Ohj... che ti m'ha ‘copàd!
Desgrasió... at podèsi tór a pesciàdi... Toi! (Gli molla un
calcio).
CIECO (sempre estasiato da quello che vede) Ohj
maravégia... Agh vedi anca ól ciél... e i àrbori... e le done!
(Come se le vedesse passare) Bele le done!... Miga tüte!
02/10/2012 96
STORPIO (un attimo di meraviglia) Ma sont stàit pròpi mi
che t'ho molàt la pesciàda?! (Pausa: sbalordito) Fame
provàr de nòvo: sí... sí... (Disperato) Còl sia malarbèto ‘sto
ziórno! A sont roinàt!
CIECO (ispirato) Ol sia benedèto ‘sto fiòl santo che ól m'ha
guarìt! A vedi quèl che no’ gh'ho gimài vedüo in vida mea...
e géri stat grama bestia a vorséme scapàr de lü, che no’ gh'è
ròba pi’ dólza e zoiósa al mundo co valga la luz!
STORPIO Ol diàvol gh’hàbia a menàrselo via e con lü,
insèma, lo quèi ch’agh sont recognisénti! Duéva pròpi es
tant malàrbio sfortunàt de vès vardàt da quèl inamorós? A
son desesperàt! Am tocherà morir de buèle svòje... am
magnería ‘ste giàmbe rinsanìde bele crue, p'ól despèt!
CIECO Mato a géro mi, mo ól véghi ben, a scapàre del bòn
camino par tegnìrme su quèlo scuro... che non savéva mi ‘sto
gran premio co fusse ól vedérghe! Oh beli i colori coloràdi...
i ögi de e done... i lavri e… ól rest! Beli i formìghi e e
mosche... e ól sole... Agh pòdi pu’ che végna note par
02/10/2012 97
vedégh i stele e ‘gní a l'hostarìa a descovrìr ól colór del vin!
Deo gratias, fiòl de Deo!
STORPIO Ohj me mi... che 'm tocarà andar de sòta a un
padrón a sudar sangu per magnàre... Ohi mala sventüra
sventuràda sporscèla... dovarò 'ndàrme intórna a cercàrme un
altro santo che ól mé faga la gràsia de storpiàrme de nòvo i
garèti! (Alza la voce) Zénte, no’ cognosìt qualche dün che ól
cognóse qualche stregognàsso c’ho gh’àbbia un inguénto e
che mé stópia de giàmbe come avanti?
CIECO Fiòl de Deo maravigióso... no’ gh'è parole né in
volgar né in latino che pòden di' de la tòa pità… l'è un fiüm
in piena! Schisciàd sòta ‘na crose, ti gh'ha ancmò de giünta
tanto amor de pensàrghe pur anco e a desgràsie de nojàlteri
disgrasiàt!
02/10/2012 98
MORALITA’ DEL CIECO E DELLO STORPIO
TRADUZIONE Prima Edizione Einaudi
CIECO Aiutatemi, buona gente... fatemi la carità, a me che
sono poveretto e disgraziato, orbo di due occhi, che meno
male, non mi posso guardare, che io avrei tanta compassione
e mi dispererei da ammattirmi.
STORPIO Oh gente di cuore, abbiate pietà di me che sono
conciato in modo che solo a guardarmi mi sento prendere da
tanto spavento che vorrei scappare a gambe levate, se non
fosse che sono storpiato da non muovermi se non col
carretto. (Mima di andare a sbattere contro una colonna)
CIECO TOC! Ahi che non posso andare intorno che picchio
e ripicchio (a ripetizione) la testa in tutte le colonne e nei
cantoni... Aiutatemi qualcuno.
STORPIO Ohi che non sono più capace di venir via (uscire
fuori) da ‘sta carreggiata, ché mi si son rotte le ruote del
carrettino, e finirò col crepare qui di fame, se non mi aiuta
qualcuno.
02/10/2012 99
CIECO Avevo un cosí bravo cagnone che mi
accompagnava... mi è scappato dietro a una cagna in
fregola... almeno io credo che sia stata femmina ‘sta cagna,
ché non ci vedo e non posso esser sicuro... che potrebbe
anche essere stato un cane porcello vizioso, o un gatto
smorfioso che me l'ha fatto innamorare. (Con tono sempre
più lacrimevole e lamentoso) Aiutatemi! Aiutatemi!
STORPIO Aiuto, aiuto... non c'è nessuno che abbia quattro
ruote nuove da prestarmi per il mio carrettino? Dio Signore,
fammi la grazia di avere quattro ruote!
CIECO Chi è che si lamenta che vuole le ruote da Dio?
STORPIO Sono io quello, lo sciancato storpiato con le ruote
rotte.
CIECO Vieni vicino a me, da quest'altra parte della strada,
che vedrò di aiutarti... No’ che non potrò vedere... a meno
d'un miracolo. Ma bene, vedremo!
STORPIO Non posso venire lí... Dio maledica tutte le ruote
del mondo e le faccia divenire quadrate che non possano piú
andare intorno a rotolare.
02/10/2012 100
CIECO Oh se si potesse fare in modo che venga io di
indrizzata fino a te... sta sicuro, guarda, che ci starei perfino
a caricarti sulle spalle tutto intero, salvo le ruote e il
carrettino! Ci trasformeremo in una creatura sola da due che
siamo... e avremmo soddisfazione entrambi. Io andrei
intorno con i tuoi occhi e tu con le mie gambe.
STORPIO Oh che pensata! Devi avere un gran cervello tu,
pieno di ruote e rotelle. (Spalanca le braccia verso il cielo)
Oh che il Signore Iddio m'ha fatto la grazia di prestarmi le
ruote del tuo cervello per farmi andare intorno di nuovo a
domandare la carità!
CIECO Seguita a parlare che mi orizzonto... (Si avvia) vado
bene in ‘sta direzione?
STORPIO Sí, vieni tranquillo che sei sulla rotta giusta.
CIECO Per non inciampare è meglio che mi butti (metta) a
gattoni (a quattro zampe). Ehi, vado sempre a dritta?
STORPIO Appoggia un poco a manca... No! Esagerato!
Quella è una virata... Butta l'ancora e torna indietro... bene...
02/10/2012 101
fuori i remi, su le vele... raddrizza, raddrizza... bene, vieni
sicuro adesso.
CIECO Mi hai preso per un galeone? Allungami una mano
quando ti sono appresso (vicino).
STORPIO Ma te le allungo tutt'e due le mani! Vieni vieni,
bel bambino della tua mamma... che ci sei... No...
sacramento!... Non andare via di deriva... raddrizza a dritta...
Oh, il mio barcone di salvataggio!
CIECO Ti ho preso? Sei tu, proprio tu?
STORPIO Sono io quello, o bel sguercione d’oro... fatti
abbracciare!
CIECO Non sto piú nella pelle per la contentezza, caro il
mio storpio! Vieni che ti carico... montami sulle spalle...
STORPIO Ci monto sí... girati all'incontrario (di spalle)...
stai basso con la schiena... Issa! Ci sono!
CIECO Ohi, non picchiarmi (piantarmi) le ginocchia nelle
reni... che mi stronchi.
02/10/2012 102
STORPIO Perdonami... è la prima volta che monto a
cavallo, non ci sono abituato. Ohi tu, fai attenzione a non
sbattermi (farmi rotolare) di sotto, mi raccomando.
CIECO Stai sicuro che ti terrò caro, come se tu fossi un
sacco di rape rosse. Tu fammi la guida pulito (attento)
piuttosto... da non mandarmi a pestare lo scagazzo (merde)
delle vacche.
STORPIO Farò attenzione, va' tranquillo. Piuttosto, non hai
un ferro da cacciarti in bocca che faccia da morso e un paio
di cinghie attaccate? Mi sarebbe piú facile menarti (portarti)
intorno.
CIECO Oh bene: mi hai preso per un asino? Ohimè come
pesi! Come va che sei cosí pesante?
STORPIO Cammina... non consumare il fiato... (Felice,
incitandolo) Ahrii! Trotta, mio bel sguerciotto, e fai
attenzione che quando ti tiro l'orecchio di manca (sinistra),
tu dovrai girare a manca... e quando tiro...
CIECO Ho capito! Ho capito... non sono un asino. Oh! Boia,
bestia, sei troppo pesante!
02/10/2012 103
STORPIO Pesante io?... Ma cosa dici? Ma sono una piuma...
una farfalla!
CIECO Una farfalla di piombo, che se ti lascio cadere per
terra fai un buco da trovare l'acqua sorgiva... sangue di Dio!
Hai mangiato un incudine di ferro a colazione?
STORPIO Sei matto, sono due giorni che non mangio.
CIECO Bene, ma saranno puranco due mesi che non caghi.
STORPIO Ohi che sfottuta: Dio mi venga a testimone... sono
sei giorni appena che non vado di corpo.
CIECO Sei giorni? Due pasti almeno al giorno fanno dodici
coperti. San Gerolamo protettore dei facchini, sto
portandomi intorno un magazzino di scorte per un anno di
carestia. Mi dispiace ma io ti scarico qui e tu fai il sacrosanto
piacere di andare a scaricare l'immagazzinamento illegale!
STORPIO Fermati, non senti ‘sto fracasso?
CIECO Sí, mi pare gente che grida e che bestemmia! Contro
chi gridano?
STORPIO Fatti un po' piú indietro che c’è chiaro da
vederci... (Imitando il cocchiere quando frena il cavallo)
02/10/2012 104
T’arresta... così… Bene, adesso lo vedo.... ce l'hanno con
lui... povero Cristo!
CIECO Povero Cristo a chi?
STORPIO A lui, Cristo in persona... Jesus, figlio di Dio!
CIECO Figlio di Dio? Quale?
STORPIO Come: quale? L'unico figlio, ignorante! Un figlio
santissimo... dicono che fa cose mirabili, meravigliose.
Guarisce le malattie, le peggiori e tremende che ci sono al
mondo, a chi le sopporta con anima gioiosa. Dunque è
meglio che sbaracchiamo da questa contrada.
CIECO Sbaraccare? E per quale ragione?
STORPIO Perché io non posso accettare ‘sta condizione con
allegria. Dicono che se ‘sto figlio di Dio venisse a passare da
questa parte, io verrei miracolato di colpo... e tu anche, nella
medesima maniera... Pensaci un poco, se davvero capita a
tutti e due la disgrazia di essere liberati dalle nostre
disgrazie! Di colpo ci troveremmo nella condizione d'essere
obbligati a prendere un mestiere per poter campare.
02/10/2012 105
CIECO Io direi di andare incontro a questo santo, che ci
tragga (tolga) da questa sventura maledetta.
STORPIO Dici davvero? Verrai miracolato, bene, e ti
toccherà crepare di fame... ché tutti ti grideranno: “ Vai a
lavorare!”.
CIECO Ohi che mi vengono i sudori freddi nel pensarci...
STORPIO “Vai a lavorare, vagabondo - ti diranno - braccia
rubate alla galera! ” E perderemmo il grande privilegio che
abbiamo pari ai signori, ai padroni, di prendere gabelle: loro
arrangiando a proprio vantaggio i trucchi della legge, noi
con la pietà. Tutti e due (loro e noi) a gabbare coglioni!
CIECO Andiamo via… scampiamo da questo incontro con il
santo, che io voglio piuttosto morire. Ohi mamma mia...
andiamo... andiamo di volata al galoppo... attaccati alle
orecchie, da guidarmi il piú lontano che tu puoi da ‘sta città!
Andremo fuori anche dalla Lombardia... Andremo in Francia
o in un luogo dove non potrà arrivare giammai ‘sto Jesus
figlio di Dio. Andremo a Roma!...
02/10/2012 106
STORPIO Stai calmo, calmo, spiritato ammattito, che mi
scarichi (stravacchi-disarcioni) a terra...
CIECO Ohi, ti prego, salvami!
STORPIO Stai buono... che ci salveremo tutti e due in
compagnia... non c'è ancora pericolo, ché la processione col
santo non si è ancora mossa.
CIECO Cosa fanno?
STORPIO L'hanno legato a una colonna... e stanno
picchiandolo. Ohi come picchiano, 'sti scalmanati!
CIECO Oh povero figlio... perché lo picchiano? Cosa gli ha
fatto... a 'sti malnati?
STORPIO È venuto a parlargli di essere tutti amorosi come
tanti fratelli. Ma tu guarda bene di non lasciarti prendere da
compassione per lui, che è il piú gran pericolo di essere
miracolati.
CIECO No, no, non ho compassione... che per me non è
nessuno, quel Cristo... che non l'ho gimmai conosciuto io...
Ma dimmi cosa gli fanno adesso?
02/10/2012 107
STORPIO Gli sputano addosso... porci zozzi, in faccia gli
sputano!
CIECO E lui cosa fa... cosa dice, 'sto poveraccio santo figlio
di Dio?
STORPIO Non dice... non parla... non si ribella... e non li
guarda da arrabbiato a quei disgraziati...
CIECO E come li guarda?
STORPIO Li guarda con malinconia.
CIECO Oh caro figlio... non dirmi piú niente di quello che
va succedendo che io mi sento torcere le budella e freddo al
cuore, e ho paura che debba essere qualcosa che assomiglia
alla compassione.
STORPIO Anch'io sento il fiato che mi strozza il gargarozzo
e i brividi alle braccia... Andiamo, andiamo via da qui.
CIECO Sí, andiamo a rintanarci in qualche luogo dove a lui
non sia possibile di scoprire questa nostra compassioneper il
suo patire.
STORPIO Ascolta!
CIECO Cosa?
02/10/2012 108
STORPIO ‘Sto grande fracasso qui vicino...
CIECO Non sarà il santo figlio che arriva?
STORPIO Oh, Deo grazia non mi fare spaventare ché
saremmo perduti... Là intorno alla colonna non c'è piú
nessuno...
CIECO Nemmeno Gesú figlio di Dio? Dove si sono
cacciati?
STORPIO Sono qua! Eccoli che arrivano tutti in
processione... Siamo rovinati!
CIECO C'è anche il santo?
STORPIO Sí, è nel mezzo... e l'hanno anche caricato di una
cròse pesante il poveretto!...
CIECO Non stare a perderti in compassione... sbrigati
piuttosto a guidarmi in qualche luogo dove ci possiamo
nascondere ai suoi occhi...
STORPIO Sí, andiamo... appoggia di dritta... corri, corri,
prima che ci possa guardare, ‘sto santo miracoloso...
CIECO Ohi, mi sono azzoppato una caviglia... non sono piú
capace di muovermi.
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STORPIO Ti venga un cancro, proprio adesso?... non potevi
guardare dove mettevi i piedi?
CIECO Eh no che non potevo guardare... ché io sono
guercio e non mi posso vedere i piedi! (Interrompendosi di
colpo sbalordito) Come non posso?!... Sí che li posso
vedere... me li vedo!! (Quasi in estasi scopre tutto quello che
lo circonda partendo dal suo corpo) Mi vedo i piedi! Oh che
bèi due piedi che ho! Santi, belli... con tutte le dita... quante
dita! Cinque per piede... e con le unghie grossette e piccoline
degradanti in fila! (Rivolto ai piedi) Oh, voglio baciarvi
tutte, una per una. (Si abbassa e lo storpio crolla a terra
disarcionato)
STORPIO (urlando mentre piomba a terra) Matto... sta
buono che mi scarichi abbasso (mi fai cadere). Ohi... che mi
hai accoppato! Disgraziato... Potessi prenderti a pedate...
tieni! (Gli molla un calcio)
CIECO (sempre estasiato da quello che vede) Oh
meraviglia... vedo anche il cielo... e gli alberi... e le donne!
(Come se le vedesse passare) Belle le donne!... Mica tutte!
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STORPIO (un attimo di meraviglia) Ma sono stato proprio
io che ti ho mollato la pedata? (Pausa: sbalordito) Fammi
provare di nuovo: sí... sí... (Disperato) Che sia maledetto
‘sto giorno! Sono rovinato!
CIECO (Ispirato) Sia benedetto ‘sto figlio santo che mi ha
guarito! Vedo quello che non ho giammai visto in vita mia...
ero stato grama bestia a voler scappare da lui, ché non esiste
cosa piú dolce e gioiosa al mondo che valga la luce!
STORPIO Che il diavolo abbia a portarselo via e insieme a
lui quelli che gli sono riconoscenti! Doveva proprio
capitarmi tanta scarogna maledetta da essere guardato da
quell'innamoroso (uomo pieno d'amore)? Sono disperato! Mi
toccherà morire di budelle vuote... mi mangerei ‘ste gambe
risanate belle crude, per il dispetto (la rabbia)!
CIECO Matto ero io, ora lo vedo bene, a scappare dal buon
cammino per tenermi su quello oscuro... che non sapevo io
che grande premio fosse il vederci! Oh belli i colori
colorati... gli occhi delle donne... le labbra... e il resto! Belle
le formiche e le mosche... e il sole... non ne posso piú che
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venga notte per vedere le stelle e andare all'osteria a scoprire
il colore del vino! Deo gratias, figlio di Dio!
STORPIO Oh povero me... ché mi toccherà andare sotto a
un padrone a sudar sangue per mangiare... Oh mala sventura
sventurata e porca... Dovrò andarmene intorno a cercarmi un
altro santo che mi faccia la grazia di storpiarmi di nuovo i
garretti! (Alza la voce) Gente nn conoscete qualcuno che
conosca qualche stregone che abbia un unguento e che mi
storti le gambe come prima?
CIECO Figlio di Dio meraviglioso... non ci sono parole né in
volgare né in latino che possano dire della tua pietà... è un
fiume in piena! Schiacciato sotto una cròse, hai ancora, in
sovrappiù, tanto amore da pensare puranche alle disgrazie di
noialtri disgraziati!
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MORALITA DEL CIECO E DELLO STORPIO (2000)
Versione per un solo giullare che interpreta entrambi i ruoli.
CIECO Aidème, bona zénte... fàiteme la carità, a mi che son
povarèto e desgrasiò, orbo de dój ògi, che meno male, no’
me pòdo vardàrme, che m'gh’avaría gran compassión de mi
e vegnaría disperàt a ‘matìrme. Aìda mè, aìdame che gh’ho
perdùo… (mima di andare a sbattere contro ad una
colonna) Ahia! Pota! ‘Sta colòna! Aidéme che so’
inciuchìt… (sbatte contro un’altra colonna) STON! Ohio!,
‘n’altra colonna!… Aìda mè! (Altra colonna) TON!
(Disperato) Son cirdondà de colòne, pregionér de colòne!
Aidéme che ho gh’hai perdüo ól can che ól me
scumpagnàva… no… no’ l’hai perdüo: el m’è scapà… ól
tegnéva co’ ‘na corda… m’ha dàito ün stratùn… e ‘sto can
smòrbio l’è andàit via… l’è ‘ndàit drio a ‘na cagna in
fregola, in calór, imbreàgo… che no’ pensa che a quèlo, ‘sti
cagnàsi! Boh, almén mi créo ch’ol sia stàito ‘na cagna in
calór ma podrìa èser stàit anco un gato visióso, che ghe ne
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son de quèi che i van a far moine drio ai can dei orbàt ‘mé
mi… che nisciùno aìda! (Mima di sbattere contro
un’ennesima colonna) PAM! Ohi, no’ sòi capàze de sortìr!
No’ pòdi andà intórna che pichi a rebatón con la crapa in tüti
i culòni e in di cantón... (A voce spiegata, più che disperato)
Aidème quajcun! (Si sposta sul lato opposto della scena
ponendosi in ginocchio: all’istante si trasforma ne “lo
storpio”)
STORPIO (quasi piangente) Ohj zénte de core, ahibèt pità
de mi che sont consciàt in la manéra che an dòl vardàrme am
senti catàr de tanto spavéntu che voraría scapàr de tüte
giàmbe, se no’ fuèsse che sun storpiàt… no’ pòdo mòverme
se no’ cont ‘sto trabìcul carèt, ma ól mé carèto l’è andàit a
fornìre deréntro ‘sti squaràci intrafesà in de la strada e tüte
quatro le rote a se sont stcepà. Aída, aída... no’ gh'è njùno
che gh'abia quatro ròde nòve da imprestàme? Deo Segnor,
fame la grasia d'avérghe quatro ròde sane! Deo aìdame! Se
niscün ól pasa de chi-lòga a darme de carità, come‘l fagarò a
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magnàre?! Aìda mé! Pità a mè! (Si porta sul lato opposto e
riprende il personaggio del “cieco”)
CIECO Chi è che vusa pità? Oh!, a ól dit par primo mi, eh!
Chi s'laménta che ól vòle le ròde de Deo? Chi è té?
Altro cambio di posizione.
STORPIO Sont mi quèlo che ól se lamenta… ól s’ciancàt…
instorpiàt… coi ròdi stcepàdi. At mé recognóset?
CIECO Sì, sì… Végna arénta de mi… da ‘sta óltra banda
d'la strada, che vedarò d'aidàrte...
Da questo momento, basteranno piccoli gesti ad indicare il
cambio di personaggio.
STORPIO A no’ pòdo miga ‘gní lilò... Déo maledìga toeti i
ròdi del mundo e a le faga ‘gní quadràde che i no’ pòdan pu’
andà intórna a rutulà! Végne chi-lòga ti… végne che mi no’
pòdo mòverme da ‘sta caregiàda!
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CIECO: Ma com’è che pòdo vegnìr de ti che gh’ho tüte ‘ste
colòne che no’ me fano pasàr! Déo maldìga tüte le colonne
del mundo, ól faga incrodàr su la crapa de tüti, come
tempesta! Maledìcte colòne! (Cambia tono) Oh gh’ho ‘na
pensàda: a furia de ciapàr bòte sü el zervèlo ól mé s’è avèrto
sparancàdo! A podrìa far de manéra de vegnìr de drisàda
infìna a ti. Se ti té mé ciàmet e mé dise dov’è ‘na colòna…
(Parla come fosse lo storpio) “No, fermo! Gh’è ‘na
colonna… pasa de là… sbàsate, gh’è ‘n’altra colòna…” e mi
végno avanti… ‘rivo. Varda, agh starìa fin a caregàrte in
sòra le mée spale de mi, tüto intrégo, salvo le ròde e ól
carèt. Agh trasfurmerèm in una creadùra sola de dòj che
sémo: té carégo in gropa a mi com té fusse un cavajér a
cavalo… int un bòto mi devénto le giàmbe de ti e ti té devién
li ögi de mi e insémbia anderèm intórna con quatro mani a
dimandàr carità! Carità! Carità! Carità!… Gran pità farèm!
STORPIO Ohj che pensàda! Dei avérghe on gran zervèlo ti,
piégn de ròde e rodèle! (Spalancando le braccia verso il
cielo) Ohj, che el Segnur Deo m'ha fàit la grazia de
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'mprestàrme le ròde del to’ zervèlo per farme andare intùrna
de nòvo a dimandàr la carità!
CIECO Sigúta a parlà che me oriénti... (si avvia) Vagh ben
in ‘sta diresiùn?
STORPIO Sí, végn tranquìll che at sièt sora la róta giüsta.
CIECO A vagh sémper de drita?
STORPIO Sì, va tranchìlo che té do la diresiùn.
CIECO: A vegnó… Aìdeme… parla, parla che ‘rivo. (Si
blocca, minaccioso) Ah, no’ far schèrsi a un pòver orbiàss,
che végni e té strósi!
STORPIO: T’ho dit de andà tranchilo! Partémo! Va segùro
che no’ ghe son colòne.
CIECO: Següro? No’ gh’è colòne? (S’incammina e mima di
andare a sbattere contro una colonna) TON! Ma…
STORPIO: L’è un àrbaro!
CIECO: (inviperito) Ol so che ‘no l’è ‘na colòna: l’è un
àrboro… ma spàcan la crapa anche i àrbari! Maledìcto! Ti
mé devi advisàre! No’ solo i colòni, anca i àrbori, anca i
pilon, anche le case! Par no’ topigàr a l'è mejòr che am büti
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gatóni (si pone in ginocchio, carponi; cambiando tono) A
végni avanti… pòdo? Me mòvo? Segùro? Me mòvo.
(Esegue. Si blocca e annusa una mano disgustato) No’ è una
colòna, no’ è un àrboro, ma spüsa! L’è merda! ‘Na
stramerdàda! A me végno de ‘n’altra via. No’ me fido de tòi
consèj… (va verso lo storpio muovendosi a rovescio come
un granchio) cossì anco se gh’è e colòne, àrbori, merda,
sbato sojaménte in tel cül! Aténto che végno!
STORPIO Végne, végne bel fiolí’ de la tòa mama, végne de
chi-lòga… végne caro, no’ aver pagüra! No’ andar via de
deriva... driza a la drita... Oh, ól me barcón de salvatàgio!
(Tra sè orgoglioso) A son poeta anca! Végne bèlo, végne…
Aténto… aténto che gh’è una buàgna! Te sèt andàt deréntra!
D’acòrdo che té sèt orbiàt de tüti i dòj ögi, ma té sèt orbiàt
anca de naso si no’ senti la spüsa! Oh, poér desgrasiò tüt
smerdosénto! Vén chi meschinàsc…
CIECO (mima di aver trovato l’amico) At hai catàt?! At sèt
propri ti?
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STORPIO A son mi quèlo, oh bel sguerción d’ori! Fàit
imbrasàr! (Si abbracciano) No’ co’ i mani! (Recita disgusto,
ripulendosi la faccia) Végn chi-lòga, caro… che te do un
basìn!
CIECO: A sunt arivàt! Sunt arivàt! Oh, gràsie méo san
Cristòfor! Adés végne… sü, munta in spala… dam la
giàmba… La giàmba, no’ ól braso! (S’interrompe
meravigliato) L’è una giamba quèsta?! Che schìvio! A sunt
contént d’èser orbo par no’ vederla! Dame l’óltra… sü, sü…
madona! Oh… cara, cara oh… Cosa sèt? Un cunjo? (Tra sè)
Oh, al me fa pità! (Al compare) Végne sü, sü, dame un culp
cunt ól cül… su, monta con ‘sto culón! Ohi, té gh’èt le
giàmbe de conjo, ma el cül d’elefànto, eh! Vérgene Madre!
‘Ndémo… mòlame un trisùn… dahee! Op, Op… (Risentito)
Ohj, no’ picàrme i ginögi in le reni... co’ ti me stciónchi...
STORPIO Perdonàme... o l'è la préma voelta co munti a
cavalo, no’ ghe sont abituàt. Ohj ti, fagh atensiùn a no’
sbortolàrme de soto, me aricomàndo.
CIECO Ferma, ferma! Ohia che quintalàda che té sèt!
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STORPIO Quintalàda mi?... Ma se a sont 'na pluma... una
parpàja!
CIECO Una parpàja de piombo, che se at lasi burlàr par tèra
at fàit un büso de trovàrghe l'acqua sorgiva... sangodedìo!
T'hàit magnà ‘n’ incùden de fèro a colasión?
STORPIO A ti se mato, a son dòj ziórni che no’ magno.
CIECO Bòn, ma i saran purànco dòj mesi che no’ ti caghi!
STORPIO Ohj che sberlusciàdi...: Déo me végna a
testimòni... a i sont sie die apéna che no’ i vago de corpo.
CIECO Sie die? Dòj pasti almanco al ziòrno ai fano dódese
covèrti. San Gerolamo protetór de i fachìni… son drio a
portàrme intórna un magaséno de scorta par un ano de
carestia. Am despiàse ma mi at scarégo chi lòga e ti am fèt ól
sacrosanto piasér d'andàrte a sbrofàr de föra ‘sto
‘magasinaménto inlegàle!
STORPIO: Ma no’ dir demiénse, stupidàe! (Felice) Oih, che
bel cavalón che té sèt, orbiàt! Orco… son a cavalo! Cuma l’è
bèlo… Voi comprà un cavalo! (Incitandolo) Tròta, me’ bel
sguerciòt! Hhhiiii!
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CIECO: No’ sbàterme in ‘sta manéra che mé se stròpian i
reni!
STORPIO: Oh!, senta: no’ té gh’ha un fèro de casciàrte in
boca a fagh da morso con un para de singhe ‘tacàde. Am
sarìa plu fàzile a menàrte intorno… che te tiro de chi… te
tiro de là e pö ‘na… Bòn… ól fagarò co’ le urège… ‘sta
aténto: quando té tiro l’orègia de manca, té ve a manca,
quando…
CIECO: Ol so!
STORPIO Férmate! No’ ól sente ‘sto fracàso?
CIECO Sí, ól me pare de zénte che sbraita e biastéma!
STORPIO Contra chi l'è che i vusa? Fàit un pòch plu in drio
che agh è ól stciàro de vedérghe... (Come stesse parlando ad
un cavallo) Lilò pògiaaaa... leuuuuu! Bòn, adèso ól vedi...
agh l'han con lü... pòvaro Cristo!
CIECO Pòvaro Cristo a chi?
STORPIO A lu… ól Cristo in la persona... Jesus, fiòl de
Deo!
CIECO Fiòl de Deo? Lo quale?
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STORPIO Come, lo quale? Lo ünigo fiòl, ‘gniuràntu!
CIECO At mé végne a dir ca Déio ne gh’ha vüno sol de fiòl?
Poeràsso!
STORPIO L'han ligàt a ‘na colòna... e i è dre' a picàl. Ohj,
come i pica, ‘sti manàt!
CIECO Oh poer fiòl... perchè ól pìchen? Cos ól gh'ha fàit a
lori... a ‘sti scalmanàt?
STORPIO L'è ‘gní a parlàgh de vès tüti amorosi, compàgn
de tanti fradèli. L’è un santòn stregonàsso che no’ ghe n’è un
ólter ihuàl! I dise che ól fa robe miràbil, meravegióse: ól
guarìse e maladìe, le pejòr tremende co’ gh'è al mundo a chi
e sopórta con l'ànema zoiósa. Comosión e amor ul sente par
ti. No’ ti dimanda se té sèt contento se té drisa una giàmba,
se té fa vèder da un ögio: te miràcula e basta! Ma ti varda
ben de no’ lasàrte miga catàr de cumpassión par lü, che o l'è
ól plu’ gran perìcol de vès miraculàt. No’ fàite comosìon,
no’ sdolzìrte de pità! A l'è mejòr che sbarachéme de ‘sta
contràda.
CIECO Sbaracàr? E par qual resòn?
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STORPIO I dise che se ‘sto fiòl de Deo ól ‘gnise solo a
traversàr de chi lòga, mi ‘gnería miracolàt d'un bòto... e ti
anca, a la misma manéra! TOC! Meracolà, fregà, fotùo!
Sarèsmo fotüi! No’ té comprende? Mi no’ pòdo tór ‘sta
condisión con alegrèssa. Dovarémo lavorar sóto padrón, col
criàr, coi bastùn… perderèsmo ól privilegio mas de cui
vivémo!
CIECO Ohj che me cata i südori frègi in del pensàrghe! T’è
gh’ha rasùn! Ol màsimo priviléz che gh’avémo l’è quèlo de
avérghe in pari ai siòri, i magióri, de tòr gabèla: lori coi libri
lori, con le spade… nojàrtri co’ la pità! Se ól ghe meràcula a
dio ‘catunàg!
STORPIO: Oh! Te l’hàit capìda finalmént! Sgomberèm de
chi-lòga prima che ól ghe piómba adòso ‘sto stregonàsso.
'Ndèm a intapàrse in quai bögio, dua no’ riéssa a trovàrghe
‘sto miracoladór! Mi cognóso una hostària... Córi, córi!
CIECO: No, dovémo andàr plu lontàn! Föra da la çitàde.
Andémo a Ferara!
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STORPIO: Ferara! Bòn, ‘démo… Vaì vaì vaì! (Si blocca
spaventato) Ferma! Jesus Cristo ól ‘riva de següro anco a
Ferara, ól sàbie me!
CIECO Bòn, andémo a Bologna! ‘Ndemo,‘ndémo a
Bologna!
STORPIO (sconfortato) Ferma! Ol vai anco a Bologna…
Jesus ól va dapartüto!
CIECO: No! Ol gh’ha una çità dove no’ l’arìva! (Pausa) A
Roma! A Roma no’ ghe va de següro! ‘Démo, ’démo…
(Mima si scivolare) MUAH! Desgrasió! Un’ altra buàgna!
Sont ‘ndà a slisegàr! Ohj che me sont inzupàd... no’ sont plú
capàz de mòverme!
STORPIO Té végna un càncaro! Impròprio adèso?! No’ ti
podévi vardàre in do’ té metévi i pie?
CIECO: Come fago a vardàr che no’ ghe vedo! No’ ghe
vedo, no’… (interrompendosi sbalordito:pausa) Bòja! Ghe
vedo!! Deo grazie, ghe vedo! (Quasi in estasi, scopre tutto
quello che lo circonda partendo dai suoi piedi) Ohoo… i
miei pie! Varda che bèi pie! Ün, dü, tri, quatro didìni… Oh
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che bel didón!… Varda! I àrbori… i sasi… Ohoo! Varda tüti
i èrbori coi fiorelìn… mé voi ‘basàre a còjere un… (si
abbassa e lo storpio crolla a terra disarcionato).
STORPIO Desgrasiào, maledècto! Té m’è fàit tombàr par
tèra!… (Gli sferra un calcio) TOC! (Un attimo di
sbigottimento) Ma sont stàit propi mi che t'ho molàt la
pesciàda? Fame provàr de nòvo… (Altra pedata) Sí... sí!
(Cambia tono) No’ fémo schèrsi! Chi me valzà la giàmba de
drio? Chi m’alsà la giàm… (si interrompe sbalordito: pausa)
Dòj giàmbe meracolàt! Dòj giàmbe en una volta sola! Cristo,
esageràt! C'ól sia malarbéto ‘sto ziórno... A sont roinàt!
CIECO: (continuando a guardarsi inorno, estasiato) Le
formìgole, varda! Bele, care! I moschi… quèsti a son de
segùro i moschi! Ohi che moscón… no, quèlo l’è ‘n’usélo…
dòj uséli! Le piante, quèlo l’è ól verde de le föje… quante
föje! Oh quante föie… ün, dòj, tri, quater, sinc, sise (contina
a contare molto velocemente, quindi s’interrompe,
cambiando tono)… i conti dopo! (Spalanca gli occhi rapito)
Le done! Va che bele le done! (Sempre più esaltato) Va che
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bele le done! Vuah! (Serie di suoni onomatopieci in segno di
grande apprezzamento, dopo un lungo sguardo a
“panoramica”)… Miga tutte! (Ispirato) Ol ziélo, ól ziélo
che fondo… ohi che lóngo co è! Adèso comprendo còssa l’è
ól colór… che bèlo! Ol sol còmo es che pica! Oh luz, luz,
luz, luz che no’ riésso plù de mirarla che me inciuchìse… co
mé strarìpa in tèl zervèlo!
Jesus gràsie!
Ol miràculo plu grando che te me fàito l’è quèl de
comprénder che dignitàt no’ ès campàr traiénde pità a i altri,
dimandàr carità a chi sgòba e fadìga. Mejòr andàr sota
padron ma co’ tüte giàmbe e ügi sani e brigàr par cavarsélo
da le spale quèl che te ciücia ól sangue.
STORPIO Ma che descórsi de baléngo te vai faséndo.
Avérghe padron ma farse scanàr par liberàrse. No, mi no’
ghe sto miga! (Lo spintona con rabbia) Desgrasiò…
t’ancorgerìt quando saràit sóto padròn, bastonàt… e quando
la tòa dona andrà a putàne e i fiöl de té, desclàvi e imbregà a
morir de fame… t’ancorgerìt col’è ‘sta dignitàd. Mi no’
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apzètto ‘sta condisión, mi no’ voi ‘sto meràcolo. Mi
pretendo de tornar come avànte:acatón! (Andando intorno
come impazzito, con voce disperata) Zénte, no’ cognosìt
qualche stregognàsso c’ho gh’àbbia un inguénto o che me
faga dei segni coi man, col fògo, col fèro de fàrme tornare le
giàmbe incrusciàde, storpiàt? Aidème, no’ cognosìt vün...
anca fèmena-stròliga (Piangendo) Aidéme! Aidéme a
storpiàrme le giàmbe come avanti!
Jesus! Dove sei? Jesus! Jesus, pitàt! No’ té gh’’ho giamài
blasfemàto mi! Jesus parchè m’hai condanàto? Jesus, Jesus!
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MORALITÀ’ DEL CIECO E LO STORPIO 2000
TRADUZIONE
Versione per un solo giullare che interpreta entrambi i ruoli.
CIECO Aiutatemi, buona gente... fate la carità, a me che
sono poveretto e disgraziato, orbo di due occhi, che per
fortuna, non mi posso guardare, che mi farei una tal
compassione disperata da ammattirmi. Aiutatemi! Aiutatemi
che ho perduto… (mima di zandare a sbattere contro ad una
colonna) Ahia! Merda! ‘Sta colonna! Aiutatemi che sono
ubriaco... (sbatte contro un’altra colonna) STON! Ohio!,
un’altra colonna!... Aiutatemi! (Altra colonna) TON!
(Disperato) Sono circondato da colonne, prigioniero di
colonne! Datemi una mano… che ho perduto il cane che mi
accompagnava… no... non l’ho perduto: mi è scappato... lo
tenevo con una corda... m’ha dato uno strattone... e ‘sto cane
vizioso-degenerato è corso dietro a una cagna in fregola, in
calore, ubriaco... che non pensano che a quello ‘sti cagnacci!
Beh, almeno io credo fosse una cagna in calore che me l’ha
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imbesuito, ma potrebbe essere stato anche un gatto vizioso
che ce ne sono di quelli che vanno a far moine dietro i cani
degli accecati come me... che nessuno aiuta! (Mima di
sbattere contro un’ennesima colonna) PAM! Ohi, non mi
riesce di sortire da ‘sta trappola! Non posso andare intorno
che picchio e ripicchio con la crapa in tutte le colonne e in
tutti i cantoni... (A voce spiegata, più che disperato)
Qualcuno mi aiuti! (Si sposta sul lato opposto della scena
ponendosi in ginocchio: all’istante si trasforma ne “lo
storpio”)
STORPIO (quasi piangente) Ohi gente di cuore, abbiate
pietà di me che sono conciato al punto che nel guardarmi mi
sento prendere da tanto spavento che vorrei scappare a tutte
gambe, se non fosse che sono storpio… non posso
muovermi se non con questo trabiccolo, ma ‘sto mio carretto
è andato a finire dentro ‘sti squarci che s’aprono
all’improvviso nel selciato e tutte quattro le ruote si sono
rotte (spezzate). Aiuto, aiuto! Non c’è nessuno che abbia
quattro ruote nuove da prestarmi? Dio Signore, fammi la
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grazia di quattro ruote sane! Dio aiutami! Se nessuno passa
di qua a farmi la carità, come riuscirò a campare! Aiutatemi!
Abbiate pietà di me! (Si porta sul lato opposto e riprende il
personaggio del “cieco”)
CIECO Chi grida pietà? Oh!, l’ho detto per primo io, eh!
Chi si lamenta che vuole le ruote di Dio? Chi sei tu?
Altro cambio di posizione.
STORPIO Sono io che mi lamenta... lo sciancato... storpio
con le ruote spaccate. Mi riconosci?
CIECO Sì, sì… Vieni vicino a me... da quest’altra banda
(parte) della strada, che vedrò di aiutarti...
Da questo momento, basteranno piccoli gesti ad indicare il
cambio di personaggio.
STORPIO Non posso, non mi riesce di raggiungerti... Dio
maledica tutte le ruote del mondo e le faccia divenire
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quadrate che non gli riesca più di andare intorno a rotolare!
Vieni qui tu... che io non ce la faccio a spostarmi da ‘sta
carreggiata!
CIECO: Ma come faccio venire da te che ho tutte ‘ste
colonne che non mi fanno passare! Dio maledica tutte le
colonne del mondo… le faccia crollare sulla crapa di tutti,
come tempesta! Maledette colonne! (Cambia tono) Ho una
pensata: a furia di prendere botti sul cervello mi si è aperto
spalancato! Potrei fare in modo di venire diritto fino a te…
se tu mi parli e mi avverti quando sto per andar a sbattere
contro una colonna... (parla come fosse lo storpio) “No,
fermo! C’è una colonna… passa di là… abbassati, c’è
un’altra colonna…” io vengo avanti… ti raggiungo. Guarda,
ci starei perfino a caricarti sulle mie spalle, tutto intero, salvo
le ruote e il carretto. Ci trasformeremo in una creatura sola di
due che siamo: ti carico in groppa come se tu fossi un
cavaliere a cavallo... in un botto (colpo) io divento le gambe
tue e tu diventi gli occhi miei e insieme andremo intorno con
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quattro mani a domandare carità! Carità! Carità! Carità!…
Gran pietà faremo!
STORPIO Ohi, che pensata! Devi avere un gran cervello tu,
pieno di ruote e rotelle! (Spalancando le braccia verso il
cielo) Ohi, che il Signore Dio m'ha fatto la grazia di
prestarmi le ruote del tuo cervello per farmi andare intorno
di nuovo a pietire la gente!
CIECO Seguita (continua) a parlare che mi oriento... (mi
orizzonto) (si avvia) Vado bene in questa direzione?
STORPIO Sí, vai sicuro che sei sulla rotta giusta.
CIECO Vado sempre a dritta?
STORPIO Sì, va tranquillo che ti do (indico) la direzione.
CIECO: Vengo... Aiutami… parla, parla… che arrivo. (Si
blocca, minaccioso) Ah, non fare scherzi a un povero cieco,
che se poi t’abbranco, ti strozzo!
STORPIO: T’ho detto di andare tranquillo! Partiamo! Va
sicuro che non ci sono colonne.
CIECO: Sicuro? Non ci sono colonne? (S’incammina e
mima di andare a sbattere contro una colonna) TON! Ma…
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STORPIO: È un albero!
CIECO: (inviperito) Lo so anch’io che non è una colonna: è
un albero... ma spaccano la crapa (testa) anche gli alberi!
Maledetto! Tu mi devi avvisare! Non solo le colonne, anche
gli alberi, anche i paloni, anche le case! Per non andare a
sbattere è meglio che mi butti gattoni (si pone in ginocchio,
carponi. Cambiando tono) Vengo avanti... posso? Mi
muovo? Sicuro? Mi muovo. (Esegue. Si blocca e annusa
una mano disgustato) Non è una colonna, non è un albero,
ma puzza! È merda! Una stramerda! Me ne vengo per
un’altra strada. Non mi fido dei tuoi consigli... (va verso lo
storpio muovendosi a rovescio come un granchio) così
anche se ci sono colonne, alberi, merda, sbatto solamente col
culo! Attento che vengo!
STORPIO Vieni, vieni bel bambino della tua mamma, vieni
qui... vieni caro, non aver paura! Non andar via alla deriva...
raddrizza a dritta... Oh, il mio barcone di salvataggio! (Tra
sè orgoglioso) Sono anche poeta! Vieni bello, vieni...
Attento... attento... che c’è uno smerdazzo di vacca! Ci sei
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andato deréntro! D’accordo che sei orbo da tutte e due gli
occhi, ma sei orbo anche di naso se non senti quel tanfo! Oh
povero disgraziato tutto smerdazzato! Vieni qua
meschinaccio...
CIECO (mima di aver trovato l’amico) Ti ho preso?! Sei
proprio tu?
STORPIO Sono io quello, oh bel sguercione d’oro! Fatti
abbracciare! (Si abbracciano) No con le mani! (Recita
disgusto ripulendosi la faccia) Vieni qui, caro... che ti do un
bacino!
CIECO: Sono arrivato! Sono arrivato! Oh, grazie mio san
Cristoforo! Adesso muoviti… su, montami in spalla…
dammi la gamba... La gamba, non il braccio! (S’interrompe
meravigliato) È una gamba questa?! Che schifo! Sono
contento di essere orbo per non vederla! Dammi l’altra... su,
su... madonna! Oddio... Cosa sei? Un coniglio? (Tra sè) Oh,
mi fa pietà! (Al compare) Vieni su, su, dammi un colpo (una
spinta) col culo… su, monta con ‘sto culone! Ohi, hai le
gambe da coniglio, ma il culo d’elefante, eh! Vergine
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Madre! Andiamo... dammi una spinta forte... daiii! Op, Op…
(Risentito) Ohi, non piantarmi le ginocchia nelle reni che mi
stronchi...
STORPIO Perdonami... è la prima volta che monto a
cavallo, non ci sono abituato. Ohi tu, fai attenzione a non
sbattermi di sotto, mi raccomando!
CIECO Ferma, ferma! Ohia, che quintalata che sei!
STORPIO Quintalata io?... Ma se sono una piuma... una
farfalla!
CIECO Una farfalla di piombo, che se ti lascio cascare per
terra fai un buco da trovarci l’acqua sorgiva... sangue di dio!
Hai mangiato un incudine di ferro a colazione?
STORPIO Sei matto, sono due giorni che non mangio.
CIECO Bene, ma saranno puranche due mesi che non caghi!
STORPIO Ohi che sbroffonate triviali: Dio mi venga a
testimone... sono sei giorni appena che non vado di corpo.
CIECO Sei giorni? Almeno due pasti al giorno fanno dodici
coperti. San Gerolamo protettore dei facchini... sto
portandomi intorno un magazzino di scorte per un anno di
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carestia. Mi dispiace ma io ti scarico qui e tu mi fai il
sacrosanto piacere d’andare a scagazzar fuori ‘sto
immagazzinamento illegale!
STORPIO: Piantala di ciarlare! (Felice) Ohi, che bel
cavallone che sei, orbo! Orco… sono a cavallo! Com’è
bello... Voglio comprare un cavallo! (Incitandolo) Trotta,
mio bel sguerciotto! Hhhiiii!
CIECO: Non sbattermi in ‘sta maniera che mi si stroncano le
reni!
STORPIO: Oh!, senti: non hai un ferro da cacciarti-infilarti
in bocca a fare da morso con attaccate un paio cinghie? Mi
sarebbe più facile guidarti intorno... che ti tiro di qui... ti tiro
di là e poi una... Bene... lo farò con le orecchie... stai attento:
quando ti tiro l’orecchio di sinistra, tu vai a sinistra,
quando...
CIECO: Lo so!
STORPIO Fermati! Non senti ‘sto fracasso?
CIECO Sí, mi pare di gente che sbraita e bestemmia!
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STORPIO Contro chi gridano? Fatti un poco più in dietro
che c’è più chiaro e posso vedere meglio... (Come stesse
parlando ad un cavallo) Pogiaaaa... leuuuuu! Bene, adesso
lo vedo... ce l’hanno con quello... povero Cristo!
CIECO Povero Cristo a chi?
STORPIO A lui… al Cristo in persona... Jesus, figlio di Dio!
CIECO Figlio di Dio? Quale?
STORPIO Come, quale? L’unico figlio, ignorante!
CIECO Ah, mi vieni a dire che Dio ne ha uno solo di figlio?
Poveraccio!
STORPIO L’hanno legato a una colonna... e lo stanno
bastonando. Ohi, come pestano, ‘sti malnati!
CIECO Oh povero figliolo... perché lo picchiano? Cos’ha ha
fatto a ‘sti balordi?
STORPIO È venuto a insegnarci ad essere tutti amorosi,
come tanti fratelli. È un santone-stregone che non ce n’è un
altro eguale! Dicono che fa cose mirabili, meravigliose:
guarisce le malattie, le peggiori tremende che ci siano al
mondo a chi le sopporta con anima gioiosa. Commozione e
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amore sente per te. Non ti chiede se sei d’accordo che ti
raddrizzi una gamba, che ti faccia vedere da un occhio: ti
miracola e basta! Ma tu guardati bene dal lasciarti prendere
dalla compassione per lui, che lì sta il rischio maggiore di
essere miracolati. Non lasciarti andare, non sdolcirti
(addolcirti) di pietà! È meglio che sbaracchiamo da ‘sta
contrada.
CIECO Sbaraccare? E per quale ragione?
STORPIO Dicono che se a ‘sto figlio di Dio capitasse solo
di passare di qui, io verrei miracolato all’istante... e tu anche,
alla stessa maniera! Toch! Miracolato, fregato, fottuto!
Saremmo fottuti! Non capisci? Non posso accettare ‘sta
condizione con allegria. Dovremmo lavorare sotto padrone,
sopportar urla bastonate... di colpo ci ritroviamo spogliati del
privilegio massimo di cui godiamo!
CIECO Ohi… che son preso da sudori freddi al solo
pensarci! Hai ragione! Il massimo privilegio che abbiamo è
quello di avere pari ai signori, ai maggiori, di prendere
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gabelle: quelli, coi libri loro, con le spade... noialtri con la
pietà! Se ci miracola addio accattonaggio!
STORPIO: Oh! L’hai capita finalmente! Sgombriamo di qui
prima che ci capiti addosso ‘sto stregone. Andiamo a
“intapparci” in qualche buco, dove non riesca a trovarci ‘sto
miracolatore! Io conosco un’osteria... Corri, corri!
CIECO: No, dobbiamo andare più lontano! Fuori dalla città.
Andiamo a Ferrara!
STORPIO: Ferrara! Bene, andiamo... Vai, vai, vai! (Si
blocca spaventato) Ferma! Gesù Cristo arriva di sicuro
anche a Ferrara, io lo so!
CIECO Bene, andiamo a Bologna! Andiamo, andiamo a
Bologna!
STORPIO (sconfortato) Fermo! Va anche a Bologna…
Jesus va dappertutto!
CIECO: No! C’è una città dove non arriva! (Pausa) A
Roma! A Roma non va di sicuro! Andiamo, andiamo...
(Mima di scivolare) MUAH! Disgraziato! Un altro
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smerdazzo di vacca! Sono scivolato! Ohi, mi sono
azzoppato... non riesco più a muovere il piede!
STORPIO Ti venisse un cancro! Proprio adesso?! Non
potevi guardare dove poggi ‘ste zampe?
CIECO: Come faccio a guardare che non ci vedo! Non ci
vedo, non... (interrompendosi di colpo, sbalordito) Boia! Ci
vedo!! Deo grazia, ci vedo! (Quasi in estasi, scopre tutto
quello che lo circonda partendo dai suoi piedi) Ohoo... i
miei piedi! Guarda che bei piedi! Uno, due, tre, quattro
ditini… Oh che bel ditone!… Guarda! Gli alberi… i sassi...
Ohoo! Guarda l’erba con i fiorellini... mi voglio chinare a
cogliere un… (esegue e lo storpio crolla a terra
disarcionato).
STORPIO Disgraziato, maledetto! Mi hai fatto cadere per
terra!... (Gli sferra un calcio) TOC! (Un attimo di
sbigottimento) Ma sono stato proprio io che ti ho mollato la
pedata? Fammi provare di nuovo... (Altra pedata) Sí... sí!
(Cambia tono) Non facciamo scherzi! Chi mi ha sollevato la
gamba da dietro? Chi mi ha alzato la gam... (s’interrompe
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sbalordito: pausa) Due gambe miracolate! Due gambe in
una volta sola! Cristo, esagerato! Che sia maledetto ‘sto
giorno... Sono rovinato!
CIECO: (continuando a guardarsi intorno, estasiato) Le
formiche, guarda! Belle, care! Le mosche... queste sono di
sicuro le mosche! Ohi che moscone... no, quello è un
uccello... due uccelli! Le piante… quello è il verde delle
foglie... quante foglie! Oh quante foglie... una due, tre,
quattro, cinque, sei (continua a contare molto velocemente,
quindi s’interrompe, cambiando tono)… le conterò dopo!
(Spalanca gli occhi rapito) Le donne! Va che belle le donne!
(Sempre più esaltato) Va che belle le donne! Vuah! (Serie di
suoni onomatopieci in segno di grande apprezzamento.
Dopo un lungo sguardo a “panoramica”)… Mica tutte!
(Ispirato) Il cielo, il cielo che profondo! Ohi che lungo che
è! Adesso capisco cos’è il colore... che bello! Il sole come
picchia! Oh luce, luce, luce… luce che non riesco più a
rimirarla che mi ubriaca... che mi straripa nel cervello!
Jesus grazie!
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Il miracolo più grande che mi hai fatto è quello di farmi
intendere che dignità non è campare traendo pietà dagli altri,
chieder l’elemosina a chi sgobba e fatica. Meglio andar sotto
padrone ma con le gambe e gli occhi sani e brigare per
cavarti dalle spalle quelli che ci succhiano il sangue.
STORPIO Ma che discorsi da balengo vai facendo. Avere
padroni, ma farsi scannare per liberarsene! No, io non ci sto.
(Lo spintona con rabbia) Disgraziato... t’accorgerai quando
sarai sotto padrone, bastonato… e quando la tua donna andrà
a far la puttana e i figli tuoi, schiavi e costretti a morire di
fame... t’accorgerai di cos’è fatta ‘sta dignità. Io non accetto
‘sta condizione, io non voglio ‘sto miracolo. Io pretendo di
tornare come prima: accattone! Voglio campare di poco pane
ma di tutta libertà! (Andando intorno come impazzito, con
voce disperata) Gente, non conoscete qualche stregone che
abbia un unguento o che mi faccia dei segni con le mani, col
fuoco, col ferro per farmi tornare le gambe storpiate?
Aiutatemi, non conoscete uno... anche femmina-strega…
(Piangendo) Aiutatemi! Aiutatemi a storpiarmi le gambe
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come prima!Jesus! Dove sei? Jesus! Jesus, pietà! Non ti ho
mai bestemmiato, io! Jesus perché m’hai condannato? Jesus,
Jesus…
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IL MIRACOLO DELLE NOZZE DI CANA
Prologo Einaudi - Prima edizione
Un inglese, certo Smith, nell’Ottocento ha raccolto in un
volume parecchie rappresentazioni sacre d’Italia (viene
proietta la foto 10). Ecco, questa è l’immagine di un
“mistero” che ancora oggi si rappresenta in Sicilia,
esattamente nella Piana dei Greci. Questa azione corale
indica tre riti diversi che si esprimono in una situazione
analoga: l’entrata di Cristo in Gerusalemme applaudito come
re di Israele, attorniato dal popolo festante che agita rami
d’ulivo e tralci di palma. Ancora rappresenta Bacco, il dio
dell’allegrezza e dell’ebbrezza, in processione con i satiri; e
infine Dioniso accompagnato dai sileni e dalle baccanti che
scende agli inferi. A proposito di questa divinità della Grecia
primitiva, di origine tessalico-minoica, dobbiamo ricordare
Foto 10. “La Domenica delle Palme”. Stampa popolare del
secolo XVIII.
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che nelle prime catacombe cristiane troviamo la figura di
Cristo rappresentata con la stessa immagine del dio greco
arcaico. Di lui si racconta che preso di immenso amore per le
creature umane, quando Plutone, dio delle tenebre, venne
sulla terra a rapire Core-Proserpina, vergine dea “del novello
aprile” (come si canta in un maggio toscano) per trascinarla
agli inferi e godersela tutta per sé, egli Dioniso, si sacrificò:
salì in groppa a un mulo, scese all’Ade, pagò di persona, con
la propria vita, pur di restituire agli uomini la dolce fanciulla
simbolo della primavera.
Anche Gesù, appresso, è quel Dio che viene sulla terra per
cercar di ridare la primavera agli uomini.
Questo incastrare le divinità e i loro eventi l’uno deréntro
l’altro, notate bene, non è casuale nella storia delle religioni
di tutti i popoli, assomiglia piuttosto a un disegno a cerchi
susseguenti che riproducono gli stessi motivi trasformandoli
e riproponendoli all’infinito. A raccontare questo mistero,
sacro e buffo insieme, “Le nozze di Cana” abbiamo il
personaggio dell’ubriacone, personaggio-guida di questa
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giullarata, che racconta come, trovandosi ad una festa
nuziale, si sia ubriacato con il vino fabbricato, inventato
espressamente da Gesù Cristo. Gesù Cristo, dunque, che
diventa Bacco, e che ad un certo punto è rappresentato
all’impiedi, sopra un tavolo, mentre esaltato incita tutti i
commensali: “Imbriaghìve zénte, fèite alegrèssa, inciuchìve,
fèit bòn! No' aspecìt dòpo!” Siate felici, è questo che conta:
non aspettate il paradiso “dopo”, appresso, il paradiso è
anche qua sulla terra.
Proprio il contrario di ciò che ci insegnano a dottrina, da
ragazzini, quando ci spiegano che, insomma, bisogna pur
sopportare... siamo in una valle di lacrime... non tutti
possono essere ricchi, c’è chi va bene e chi va male, ma poi
ognuno viene ricompensato quando saremo nell’aldilà...
State tranquilli, state buoni e non rompete le scatole. Questo,
più o meno.
Due sono i personaggi che conducono questa
rappresentazione: l’ubriaco e l’angelo. L’angelo, meglio un
arcangelo, vorrebbe raccontare il prologo di uno spettacolo
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sacro, deréntro i canoni tradizionali; l’ubriaco sproloquiante,
vuole a sua volta, ad ogni costo, raccontare l’evento come lo
ha vissuto di persona a testimoniare della sbronza
procuratasi col vino delle nozze di Cana.
L’angelo parla un veneto aristocratico, elegante, forbito;
l’altro in un volgare rozzo, becero e fortemente colorito.
I due giungeranno ad un diverbio poco dialettico che si
risolverà con pedate e spintoni: l’angelo sarà costretto alla
fuga.
La giullarata sarà da me realizzata senza l’aiuto di alcun
attore di “spalla”, non per un eccesso di protagonismo ma
perché me lo impone la struttura monologante del brano.
Abbiamo tentato più di una volta a mettere in scena brani di
questo tipo con diversi interpreti ma abbiamo scoperto che
non reggevano. L’azione nella versione dialogata ristagna, si
creano continui vuoti di ritmo e spesso cala ogni tensione
comica e drammatica.
Al contrario l’affabulazione del giullare, unico interprete,
realizza effetti di sintesi e velocità di sdoppiamenti, che
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proiettano un fitto gioco d’azioni allusive, cariche di
fantastica teatralità e che raddoppiano tensione e comicità.
Allora, quando mi troverò da questo lato del proscenio
(indica a sinistra), rappresenterò l’angelo, aristocratico, con
bei gesti; quando mi sposterò sull’altro lato (indica a
destra), sarò l’ubriaco.
(Fino a quando il personaggio dell’angelo rimarrà in scena,
ne sarà proiettata sul fondo l’immagine: foto 11. Un
“angelo”, di Cimabue, Assisi, Triforio di San Francesco
(fine secolo XIII).
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LE NOZZE DI CANA
Prologo 2000
“Le nozze di Cana”: si tratta evidentemente della festa di
nozze - il mariazzo - con l’immancabile miracolo del vino. Il
racconto del miracolo è introdotto da un “contrasto” fra un
angelo e un ubriaco, un beone che si è inciucchito grazie al
vino fabbricato da Gesù Cristo. La descrizione della qualità
di questo vino è espressa in un linguaggio quasi luculliano,
ma la parte più epica della giullarata è senz’altro la
presentazione di Cristo. L’ubriaco ce lo descrive come una
persona profondamente umana di una simpatia e giovialità a
dir poco divina, forse fin troppo espansivo… Gesù alla
levata dei calici, sferra manate sulle spalle degli invitati da
procurar loro un pneumatorace spontaneo! Ad un certo
punto, sale su un tavolo e mesce da bere a tutti, invitando i
commensali a gran voce ad un brindisi quasi orgiastico.
Uguale e preciso a quei Gesù che noi conosciamo grazie la
raffigurazione classica del Quattro e Cinquecento... non so
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se avete in mente quella scena, la gran tela delle “Nozze di
Cana” dipinta dal Veronese dove appare un Cristo bellissimo
con boccoli fluttuanti che scendono a cascata fin sulle
spalle... occhi che spargono luce, naso sottile, barba fitta e
riccioluta: Sandokan, tanto per capirci. Avvolto in un
panneggio con pieghe studiate, proiettanti riflessi, double
face. Il dipinto ci mostra ancora uno stuolo di belle signore
eleganti, tutte ornate di collane splendide, che fan cerchio al
Messia: “Che ci offre oggi, Maestro? Ci suona qualcosa?” ...
e un discepolo le avverte: “ E’ un altro maestro, questo!” Si
sa... nei ricevimenti fastosi si cade spesso in confusione.
Proprio un ambiente da gran signori: colonne a torciglioni,
archi, tendaggi... quassù gli invitati di riguardo, più sotto
quelli della corte bassa che trincano e sbevazzano, versando
da otri e botticelle il vino del miracolo... Cristo fra i notabili
regge una coppa di cristallo... Lui beve whisky.
Vi posso ricordare anche di quell’altro Cristo... quello
aristotelico, quasi euclideo, opera sublime di Piero della
Francesca, pittore straordinario. Vediamo il figlio di Dio
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collocato deréntro una perfetta geometria prospettica,
capolavoro di metafisica! Colonne in progressione, con
trabeazioni a scorcio, lui, Cristo... nudo, legato ad una
colonna... un raggio di taglio, una splendida luce che mette
in risalto il fluire dei capelli... così: (si atteggia a statua
ellenistica, tenendo il viso alto e leggermente piegato)…la
sua parte buona è questa (indica un lato del viso)” ...
appoggiato su una gamba, l’altra ripiegata... gioco a basculla
dell’anca, la spalla di destra un poco alzata, il busto
leggermente torto... Prassitele, insomma! Ai lati del Cristo
due energumeni che lo aggrediscono con flagelli e verghe...
froppate della madonna! Sudati, abbruttiti... nella foga di
battere si sono quasi attorcigliati su se stessi, lo percuotono
con furore inaudito e lui è lì... assente che sembra dire
annoiato: “Ne avete ancora per molto?” Non ha
partecipazione umana. D’altra parte è DIO... che gliene
frega: “Il corpo è lì ed è dell’uomo, ma io sto lassù!”
Invece quest’altro Gesù che vi presentiamo ora è proprio
deréntro tutto il suo corpo; sto parlando del Cristo descritto
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dall’ubriaco. Lo vediamo in piedi sul tavolo che incita i
commensali a godere del suo vino: “Bevét zénte, inciuchìve,
imbriachìve... fàit bón... no’ aspecít... dopo... de morti, a vès
felìz!”. Bevete gente… state bene… subito qua, su questa
terra! Non aspettate dopo… da morti ad essere felici!
In fondo sono proprio gli stessi discorsi, precisi, che il curato
o cugitore ci propinano da ragazzini a dottrina. Ci spiegano
che siamo in una valle di lacrime, che bisogna sopportare
pazienti, che siamo di transito... come in una sala d’aspetto:
ognuno che attende il proprio turno. (Fa immaginare
l’ingresso di un angelo-uscere che legge su un registro)
“Alfonso Pierin! Si va !” (Mima il levarsi di scatto di
un’anima) “Tocca a me... addio gente! (Accenna ad
un’ascesa leggera, quasi danzata, in cielo)” “Fiornina
Lazzati: via!” “Tocca a me! Saluti alla compagnia... ci
vediamo!”
I parroci ci assicurano anche che nascere poveri in un certo
senso è una fortuna: “Povero, sei povero! Beati i poveri di
spirito…” “Ah sì?... Caspita!! (Gesto di allegria mistica)
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Ah, ah, ah... fino a poco fa mi sentivo un catorcio, un
diseredato... ma adesso che me lo dici tu... mi stento proprio
beato... ah, ah, ah... sto proprio bene, guarda... ah, ah, ah
(sghignazza saltellando felice)... sono povero, sono povero!”
(Cambio rapido di tono e atteggiamento) Al contrario, per i
ricchi: “Porco cane, mi è andata male, sono nato ricco!
Vabbé”.
Senza scherzi: essere ricchi al tempo in cui in Palestina
viveva Gesù era un’autentica iattura, perché quel Cristo era
un santo tosto! Vi ricordate le insolenze che lanciava... un
tremendo moto d’accidia verso il ricco, quasi un odio di
classe... non l’ho mai capito.
(Entra nel personaggio di Gesù che s’arresta indicando
lontano con il braccio teso): “Ricco!” (agita la mano in
segno di minaccia, mima di afferrare il ricco, gettarlo a
terra e di schiacciarlo come un bacherozzo. Alla fine della
pantomima commenta) Tanto che i ricchi in Palestina non
uscivano neanche di casa, vivevano nel terrore di incontrare
Gesù: “Andiamo fuori a prendere una boccata d’aria?”
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“No, no... poi incontro Gesù di Nazaret che mi punta il
dito!”
“Sta tranquillo, è nell’orto dei Getsèmani che prega. ”
“No, io non esco! ”
Rimanevano chiusi in casa, guardavano attraverso le
imposte. Sono nate in quel tempo le persiane... per
premettere ai ricchi di sbirciare fuori, senza essere scorti
(mima di spiare attraverso le imposte). “Non c’è, non c’è (si
ritira di colpo, spaventato)...CRISTO!!”
Ed è lì che è nata questa espressione. Prima d’allora era
assolutamente sconosciuta. Uscivano solo di notte, quando
non c’era anima viva per la città: “Vieni, respiriamo un po'
d’aria fresca... non c’è nessuno... piano, piano... ah, che
bello!”... TOM! Il dito terribile di Gesù Cristo che spunta
dall’angolo: (in atteggiamento di giudice estremo) “Ricco, è
più facile che un cammello entri nella cruna di un ago, che tu
nel regno mio dei cieli... ah, ah, ah!” (Sghignazzando agita
le braccia e produce l’immagine di Cristo che spiega le ali e
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spicca il volo, salendo in cielo, sempre più piccolo fino a
scomparire nell’infinito).
Io da ragazzo mi chiedevo perché ce l’avessero tanto con
questo povero cammello, al punto di volerlo ficcare ad ogni
costo deréntro la cruna di un ago. Ma che v’aveva fatto ‘sta
povera bestia? E mi vedevo una banda di energumeni
scatenati: “Dov’è ‘sto cammello... acchiappalo, dai... reggi la
cruna... spingi, ruzza... forza! Tutti insieme! Dai che s’infila.
No... si è bloccato... maledetta gobba! Spingiamo...
ohohoh”... FLOOP (mima l’infilata dell’animale nella cruna
sventrata dell’ago). Fatto: vien fuori un cammello senza
gobbe... Ecco come e quando è nato il cavallo.
Torniamo al “dialogo a contrasto” fra l’angelo e l’ubriaco.
Anche qui abbiamo un unico giullare che rappresenta i due
personaggi. Immaginate da questa parte (indica il lato destro
del proscenio) c’è l’ubriaco, dall’altra l’angelo. Basterà di
volta in volta che io accenni solo al cambio di posizione e
voi indovinerete chi dei due sta parlando.
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Il volgare che ascolterete in questa “conta” è ancora
lombardo, ma naturalmente infarcito di termini provenzali,
veneti, romagnoli con qualche espressione napoletana, tanto
per renderlo più brillante. Il primo a intervenire è l’angelo
che si prepara ad introdurre il mistero del vino in forma
canonico, l’altro lo interrompe per raccontare a sua volta il
miracolo ma come sua esperienza personale: lui c’era a quel
miracolo. Nel diverbio, vengono addirittura alle mani.
L’angelo ci appare in tutto il suo splendore, biondo, occhi
grandi e luminosi, slanciato, elegante in ogni suo gesto... qui
(indicando se stesso) dovrete dimostrare molta fantasia!
(Parte il contrasto )
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LE NOZZE DI CANA
Monologo
ANGELO (si rivolge al pubblico sollevando le braccia al
cielo ad imitazione degli oranti) Fèite atensión, brava zénte,
che mi vòi parlarve de una storia vera, una storia che l'è
cominzàda...
UBRIACO (interrompendolo) Anco mi ve voi ‘contàre de
una storia maravegiósa... de ‘na ciùca belìsima che me son
catàt!
ANGELO 'Briagon!... Cito!
UBRIACO Vorìa ‘contàre anca mi...
ANGELO No! Ti no' te conti! Che mi son lo spròlogo e
débio sprologàre a mi! Föra!
UBRIACO (accenna a parlare) Ma…
ANGELO: Cito! (Al pubblico riprendendo la posizione
iniziale) Brava zénte, tüto quèlo che anderémo a ‘contàre ól
sarà tüto vero, tüto el sorte dai libri dei vanzéli e quèl pòch
che gh'èm tacà de fantasia...
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UBRIACO Mi no’ ghe taco de fantasia, l'è una storia vera:
me son catàt un'imbriagadüra si dólza, che non me vògio
gimài plù embriagàre al mundo...
ANGELO Cito! 'Briagón!
UBRIACO No' pòdo nemanco ‘contàre...
ANGELO No!
UBRIACO Eh... ma mi...
ANGELO No, ti no' te ‘cónti! (Al pubblico, come sopra)
Bòna zénte... Tüto quèlo che anderémo a ‘contàrve ól sarà
tüto vero, tüto o l'è sortío dei libri e dei vanzéli e quèl pòch
che gh'èm tacàt de fantasia...
UBRIACO (sottovoce e mimando) Dopo (indica col dito) ve
raconto de quèsta ciòca belìsima...
ANGELO Oh!, imbriagón!
UBRIACO Non fazéva niente!... Solo col dido...
ANGELO Neanche col dido!
UBRIACO Eh, ma non fago rumor col dido!
ANGELO Ti fa' rumor sì... Te fasévi: rrrrr...
UBRIACO No' è vera!
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ANGELO: Cito!
UBRIACO: Eh, ma no' pòdo nemanco fiadàre?
ANGELO: No!
UBRIACO: No' pòdo fiadàre?
ANGELO: No!
UBRIACO: Nemanco col naso?
ANGELO: No!
UBRIACO: Se no' fiàdo a s’ciòpo!
ANGELO S’ciòpa!
UBRIACO Ah ma... se a s'ciòpo a fago rumor, ah!
ANGELO S’ciòpa in silénsio!
UBRIACO: Oh, ma l'è dificile s’ciopàre in silénsio!
ANGELO: Cito!
UBRIACO (ribadisce) Ma no' son capàze!
ANGELO Citooo! (Al pubblico) De tüto quèlo che
andarémo a ‘contàre ól sarà tüto vero, tüto o l'è sortío dai
livri, dai vanzéli… quèl pòch che gh'èm tacàt de fantasia...
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L'ubriaco si avvicina all'angelo giungendogli a tergo e gli
strappa una piuma.
UBRIACO (sottovoce, tra sè, mimando di far volare la
piuma) Uhi, che bela pluma coloràda...
ANGELO Briagón!...
UBRIACO (sussulta spaventato, getta la piuma per aria e
mimando fa immaginare che una delle piume, ricadendo,
gli si infili in bocca: tossisce rumorosamente) Eh... ma... Te
me l'hai fàita magnàre!?... (Si torce come preso da un gran
solletico nello stomaco) I sgrìsoi!... El galìttigo!
ANGELO (indispettito) Cito!
UBRIACO Eh, ma mi... non...
ANGELO Föra!
UBRIACO: Ma mi... (continua a sghignazzare per il
solletico) Oh, oh...
ANGELO (lancia un’occhiataccia all’ubriaco e riprende il
suo discorso) Tüto quèlo che anderémo a ‘contàr el sarà tüto
vero, tüto o l'è sortío dai livri, dai vanzéli... (L'ubriaco torna
02/10/2012 160
vicino all'angelo e gli strappa, da dietro, altre piume, mima
l'ammirazione per le medesime; ne strappa un’altra e
l’annusa: disgustato la butta. Compone le piume a
ventaglio, si fa vento e si pavoneggia. L'angelo se ne
accorge) 'Briagón!...
UBRIACO Eh?... (Butta in aria le piume che fa immaginare
ricadano come pioggia) Névega...
ANGELO Ma ti vòl sortìr da ‘sto palco? Se no' ti sorti
subetaménte mi te trago föra a pesciàdi!
UBRIACO: A pesciàdi?!
ANGELO: Sì, a pesciàdi! Föra!
UBRIACO: (al pubblico, indignato) Zénte!... Avìt ascultàt?
Un ànzelo che me vòl casciàr via a pesciàde... a mi! Un
ànzelo!! (Aggressivo, all’angelo) Végne, végne anzelón,
végne galinàsso! Che mi te strapo i plume a vuna a vuna,
anco dal cül... dal de drio... Végne, galinón... Végne!
ANGELO Aído... No’ tocàrme! Aìdo! ‘Sassìnoo... (Fugge
spaventato).
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UBRIACO L'ànzelo l'è scapàt e m'ha dit ‘sasìno! Ma come
pòl dirme ‘sasìno a mi? A mi che me retruòvo con tanta
bontà adòso, che me sorte dolzór de santo anco da le orègie,
gràsie a 'sto vin che me se deslèngua da partüto, me se sglòsa
anca partèra, de spanzegàrghe de soravìa... Che mi non
imazinàva mia che se saría finìda si bén sta zornàda, ca o
l’éra cominzàda in una manéra malarbèta, desgrasiàda...
Mi s'eri invitào in un mariazzo, un spusalìsio, in un loegu
chi-lòga che ciàmeno Cana... Cana... che apòsta, dòpo, ghe
digaràno: nosse di Cana. Bón, lì, mi son andàit! Son ‘rivào...
gh’éra un gran tavolón con la roba de mangiare soravìa...
tanti invitati... no' sentà, tüti in pie, che o i biastemàva o i
spüdàva par tèra, dàvan pesciàdi tremende a le piére de
rutulàrle. O gh’éra la sposa che la piagnéva, la madre de la
sposa che se strasàva i cavèi. O gh’éra ól patre de la sposa
devànti al muro che quèl dava testunàti, a rebatùn... catìvo!
"Ma cosa è capitàt?” a domandi. “Oh, desgràsia?” - “O l’è
scapàt el sposo?" - "No! El sposo è quèl li-lòga (indica) che
biastéma pù de tüti!" - "Ma cosa è capitàt alóra?" - "Oh,
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desgràsia... émo descovèrto che un tinàsso empiegnìdo de
vino par ól banchèto del sponsalìsi, ól s'è rovérso tüto in
aséto!" - "Tüto in asét?! Bòja che disgràsia! Sposa bagnàda a
l'è fortunàda, ma bagnàda in du l'asét a l'è desgrasiàda de
schisciàre e casciàre via!" E tüti che piangnévan, ól sposo
biastemàva, la matre se strasciàva i cavèi, la sposa la
piagnéva, ól padre de la sposa devànti al muro ch'ól dava
testunàde a rebatùn, catìvo! In quèl mentre ‘riva dénter un
zióvine, un che ghe dìseno Jesus... fiòl de Deo de
sovranóme. No l’éra sulèngo, a no, l’éra incumpagnàt de la
sòa mama, vüna che ghe dígheno la Madona. Gran bela
dona! (Accenna ad una camminata elegante e fascinosa)
Eveno invitati de riguardo, che rivàveno un pòch in ritardo.
Apéna questa sciüra Madona l’è vegnüda a savér de sto
impiastro burlérei che o gh’éra in pie per ‘sto facto che s'era
roversàt el vin en asét, la gh'è andàda visín al so Jesus, fiòl
de Deo, fiòl anca de la Madona, e ól gh'ha dit(si esprime
infilando le parole una dopo l’altra a grande velocità senza
prender fiato): “Ti fiòl che ti è tanto bòn zóvin caro che te
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fa' de robe meravigliose par tüti quèi che gh'han besógn in
quèsto momento de tristìssia varda se te ha el plasér de traj
foera de impiàster burlérei che i ha infesciàt sta povera zént
e daghe plasér ‘legrèssa che se pòda recordàr de ‘sto santo
ziórno. Alelùia! Alelùia!”. Apéna la Madona l'è andà a
dirghe quèste quattro cialàde al so' fiòl, emo visto tüti
fiorìrghe sui làver del Jesus, un surìso dólzu, ma cossì
dólzu... che se nu’ te stàvet aténtu, te se stacàvan i rudèli di
genöcc a tumburlàrse sui didón dei pie, par la cumusiùn! E
tüto d'un colpo 'sto Jesus l'ha dit: “Bòn, zénte, podarìa
‘verghe dódeze sidèle o ótri impiegnìde de acqua ciàra e
nèta?”
L'è stat un fülmin, tràchete, dódeze otri son ‘rivà lí davanti,
impiegnìde d'acqua, che mi, vedè tuta quèl'acqua in un culp
sol, me sont sentí infìn male... me pareva de negare... Bòja!
S'è fai un silénsio che pareva de v’èsser in gésa al Santus, e
‘stu Jesus l'ha insciunscicà un po' cui man, slongàndo (fa il
gesto di tirarsi le dita), vun per vun i didi a s'cioch, e po’ l'ha
valzà su tri didi, sojaménte tri didi, i alter dòi i tegnéva
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schisciàt... e l'ha cuminzàt a far di segni suravía a l'acqua...
di segni che fan sojaménte i fiòl de Deo. Mi, che s’eri
distacàt de söravia, che v’ho dito: l'acqua me fa impressiùn a
vardàrla... no’ vardàva... miravo i ögi in del vòdo co’
tristìssia... s'eri pugià sóra lí, un po’ tristànso, e d'un bòto me
senti ‘rivà de deréntro i böcc del naso un parfüm come de
üga schisciàda! No pudéva cunfùnderse... a l’éra vino! Bòja,
che vin! Me n'han pasàt ‘na bròca, gh’ho pugià i làver, hu
mandà giò un góto... (come in estasi) bòja!... Oh... Oh...
beati del purgatorio, che vin!... ‘Bucàta apéna, amareul in tul
fund, un frizzìch frizzantìn, saladín in tèl mèzz, c'ól mandava
stralüzz de garànza e barbàj da par tüt, senza fiùr né bave, tri
an almànco de stagiunadüra... anàta d'ora! Che l’andava giò
slizigàndo par ul gargòzz a gorgogiàr fin in dul stòmego... ul
se freluntàva un pochetìn fremendo, ul restava lí de rimpiàz,
peu, gnòch, ól dava un rigatón, turnàva indré a rutulún sü
par ól gargòzz, ól ‘rivàva fina ai böcc del nas, ól se
spantegàva in feura tütt el parfùm... che se pasàva vun anca a
cavalo, de prèscia, (mima l’impennarsi di un cavallo col
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cavaliere allocchito in atteggiamento monumentale) gniuu...
bll... “A l'è primavera! " el vusàva!
Che vin!... E tüti che ‘plaudiva al Jesus, “Bravo Jesus, at sei
divino! ” E tüti che tracanàva, s’enciuchìva, balàvan, balàva
la sposa, cantava lo sposo. Sojaménte o gh’éra ól patre de la
sposa, devànti a un müro, c'ul dava testunàde a ribatón,
catìvo... che nisciün ól gh’avéa ‘vertìdo del miracolo!
Ol Jesus a l'éra montàt in còpa a un banco, in pie, ul masceva
vin par tüti. “Bevé zénte, fèite ‘legrìa, fèite bòn!,
inchiuchìve, imbriaghìve, no aspetí ól paradiso dòpo...
sübito, adèso catélo... no’ dopo de morti!”
D’un bòto ól s’è incurgiùt dela sòa mama: “Perdunéme
mama sunt andàit un po' in barlòcca!... Bévete un góto de
vino, mama!" - “No, no, fiòl, gràsie, at ringràsi, ma mi no’
podi béver, che mi no’ son abituàda al vino... me fa turnà la
testa... che dopo disi i stupidàdi.”
“Ma no, mama, no’ te pò far mal, te menarà solamente un po'
de alegrèssa! No te pò far mal, ‘sto vino, l'è bòn, l'è santo, a
l'è vin s’cèto... a l'ho fai me!”
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E peu, a ghe son amò i canàja malarbèti, che va intórna a
racontàre che ól vino a l'è un'invensiùn del diàol satànazzo e
l'è pecàto. Ma te paresse che se ól vin ól fudèsse pecàto, ól
Jesus ghe l'avaria dato de bévere a la sua mama? A la sua
mama de lu? Che lu l'è ciapàt de tanto amor par lée, che mi
no gh'ho par tuta la sgnapa de ‘sto mondo! Mi son següro
che se el Deo Padre in la persona, invece de imparàrghelo al
Noè, tanto tempo dòpo, ‘sto truco meravigióso de schisciàre
l'üga, de trar foeura el vino, ól ghe l'avesse insegnàt sübit, fin
dal prinzìpio, all'Adamo, (levando il tono della voce) subito,
prima de l’Eva, sübit, come l'aveva impastàt co' la
mota,(mima l’azione di uno scultore che fabbrica un
pupazzo di creta) co' la tèra, cu' l'hai fàito un prucugnùn
(allude alla testa del pupazzo)... po' gh'aveva fàit dò bögi per
i ögi, po' le balète de i ögi, le palète de le orège par
sentìrghe, ól naso coi bügit, la boca...(infilare due dita nella
bocca del pupazzo) "Sta 'tento co' quei dencìt de no' cagnàre,
veh! Adèso el còlo... spalète, po’ i brascìt... i gómbeti, i
didi... Le fago come ghe le ho mi… (conta le proprie dita)
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un, du, tri, quattro, cinque par parte… cunt ól biro… (mima
con discrezione, di improntare il sesso di Adamo) ól pisèlo,
le ciapète, végni giò coi giambi, coi pie, anche chi… cinque
dida... Mo’ te dago la vida... (come gli soffiasse in bocca)
FFFPPPHHOO... respira Adamo... (soffia come un mantice e
lo incita ad aspirare aria con forza) ah, ah, ah, ah... Vita vita
Adamo! Dèrva i ögi, vai che te sèt vivo! (Mima di
sorreggere la creatura costringendola a camminare) Adèso
‘spècia che te preparo ól mèsto. (Fa il gesto di approntare
un gran mastello e invita Adamo ad entrarci) Deréntro, chi-
lòga, deréntro ól mastèlo... adèso l'üga, va che graspi d'üga,
dai schìscia l'üga, dai bala, sgàmba, salta, via, alè...
spantéga! (Lo incita a danzare e a calpestare il mosto
battendo le mani a segnare il ritmo)”
(Staccandosi dall’azione viene in proscenio e commenta con
foga) Subito Deo dovéa insegnàrghe: “Adamo, uva, Eva,
vino!” Non sarèsmo in ‘sto mundo malarbèto, sarèsmo tüti in
paradiso (fa il gesto di sollevare un bicchiere e brindare):
salüt! Parchè a l’éra a basta che in tèl ziórno malarbèto che
02/10/2012 168
atacàdo... a rénta a l'Adamo a l'è ‘‘rivàto el serpentùn canàja
cont in boca la pòma che ól diséva: “Magna la pòma,
Adamo! (Come in una danza orientale mima i movimenti a
torciglione del serpente che si annoda intorno all’Adamo
tenendo il pomo nelle fauci spalancate) Dólze, bòne, dólze
le pòme... rosse!, bòne le pòme ‘mé l'üga!”. L'éra basta che
l'Adamo gh’avéa aut nascondùo int tèl de drio un biceròt
impiegnìdo de vino l'avría catàt á pesciàdi tüti i pomi de la
terra, schisciàt la crapa al serpentón, e l’avrìa criàt
(brindando): "Salüt! Alè! Partì, par lü, ‘legrìa, 'cu Dio la
t’era!".
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TRADUZIONE
ANGELO (si rivolge al pubblico sollevando le braccia ad
imitazione degli oranti) Fate attenzione, brava gente, che io
voglio parlare di una storia vera, una storia che è
cominciata...
UBRIACO (interrompendolo) Anch’io vi voglio raccontare
una storia meravigliosa… di una ubriacatura bellissima che
mi sono preso!
ANGELO Ubriacone!...Zitto!
UBRIACO Vorrei raccontare anch’io...
ANGELO No! Tu non racconti! Che io sono il prologo e
devo prologare io! Fuori!
UBRIACO: (accenna a parlare).
ANGELO Zitto! (Al pubblico riprendendo la posizione
iniziale) Buona gente, tutto quello che vi andremo a
raccontare sarà tutto vero, tutto sorte (esce, viene) dai libri e
dai vangeli e quel poco che abbiamo aggiunto di fantasia...
02/10/2012 170
UBRIACO Io non ci attacco niente di fantasia, è una storia
vera: mi sono preso una ubriacatura così dolce mi sono presa
una ubriacatura così dolce, che non voglio più ubriacarmi al
mondo...
ANGELO Zitto!… Ubriacone!...
UBRIACO Non posso nemmeno raccontare…
ANGELO No!
UBRIACO Eh... ma io...
ANGELO No, tu non racconti! Sssss!... (Al pubblico, come
sopra) Buona gente... Tutto quello che andremo a
raccontarvi sarà tutto vero, tutto è sortito dai libri e dai
vangeli. Quel poco che ci abbiamo aggiunto di fantasia...
UBRIACO (sottovoce e mimando) Dopo, (indica col dito) vi
racconto di questa ubriacatura bellissima...
ANGELO Oh!, ubriacone!
UBRIACO Non facevo niente... solo col dito…
ANGELO Neanche col dito!
UBRIACO Ma non faccio rumore col dito!
ANGELO Sì, fai rumore... facevi: rrrrrr!
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UBRIACO Non è vero!
ANGELO Zitto! Te fasévi: rrrrrr!
UBRIACO E ma non posso nemmeno fiatare (respirare)?
ANGELO No!
UBRIACO Non posso fiatare?!
ANGELO No!
UBRIACO Nemmeno col naso?...
ANGELO No!
UBRIACO Se non respiro scoppio!
ANGELO Scoppia!
UBRIACO Ah ma... se scoppio farò rumore, eh!
ANGELO Scoppia in silenzio!
UBRIACO: Oh, ma è difficile scoppiare in silenzio!
ANGELO: Zitto!
UBRIACO (ribadisce) Ma no' son capace...
ANGELO Zittooo! (Al pubblico) Di tutto quello che andremo
a raccontare sarà tutto vero, tutto è sortito dai libri, dai
vangeli: quel poco che abbiamo aggiunto di fantasia...
02/10/2012 172
L’ubriaco si avvicina all’angelo giungendogli a tergo e gli
strappa una piuma.
UBRIACO (sottovoce, tra sè, mimando di far volare la
piuma) Oh, che bella piuma colorata...
ANGELO Ubriacone!...
UBRIACO (sussulta spaventato, getta la piuma per aria e
mimando fa immaginare che la piuma, ricadendo, gli si
infilata in bocca: quindi tossisce rumorosamente) Eh... ma...
Me l'hai fatta mangiare!?... (Si torce come preso da un gran
solletico nello stomaco) Il solletico!
ANGELO (indispettito) Zitto!
UBRIACO Eh, ma io... non...
ANGELO Fuori!
UBRIACO: Ma io... (continua a sghignazzare per il
solletico) Oh, oh...
ANGELO (lancia un’occhiataccia all’ubriaco e riprende il
suo discorso) Tutto quello che andremo a raccontare sarà
tutto vero, tutto è sortito dai libri, dai vangeli... (L'ubriaco
02/10/2012 173
torna vicino all'angelo e gli strappa, da dietro, altre piume,
mima l'ammirazione per le medesime; ne strappa un’altra e
l’annusa, disgustato la butta. Compone le piume a ventaglio,
si fa vento e si pavoneggia. L'angelo se ne accorge)
Ubriacone!...
UBRIACO Eh?... (Butta in aria le piume che fa immaginare
ricadano come pioggia) Nevica...
ANGELO Ma vuoi sortire da questo palco? Se non sorti
subito io ti caccio fuori a pedate!
UBRIACO A pedate?!
ANGELO Sì, a pedate! Fuori!...
UBRIACO (al pubblico, indignato) Gente!... Avete ascoltato?
Un angelo che mi vuol buttare fuori a pedate... a me! Un
angelo!! (Aggressivo, all’angelo) Vieni... vieni angiolone...
vieni gallinaccio! Che io ti strappo le penne a una a una,
anche dal culo… dal di dietro... Vieni, gallinone... Vieni!
ANGELO Aiuto... Non toccarmi! Aiuto! Assassinoo...
(Fugge spaventato).
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UBRIACO L’angelo è scappato e m’ha detto (chiamato)
assassino!?!... Ma come può dire assassino a me? Ma come
può dire assassino a me che mi ritrovo con tanta bontà
addosso sono così buono che mi esce bontà anche dalle
orecchie... grazie a ‘sto vino che mi si scioglie dappertutto,
mi si spampana anche per terra da scivolarci sopra... Che io
non immaginavo che sarebbe finita così bene questa
giornata, che era cominciata in modo maledetto,
disgraziato...
Io ero invitato a un matrimonio, uno sposalizio, in un luogo
qui vicino, che chiamano Cana... Cana... che apposta, (per
questa ragione) dopo, diranno: “Le nozze di Cana”. Bene, lì
io sono andato! Sono arrivato... c’era un gran tavolo con la
roba da mangiare sopra... tanti invitati… non seduti, tutti in
piedi, che o bestemmiavano o sputavano per terra, o davano
pedate tremende alle pietre facendole rotolare. C'era la sposa
che piangeva, la madre della sposa che si strappava i capelli.
C’era il padre della sposa, davanti ad un muro, che dava
testate, a ripetizione, cattivo!
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“Ma cosa è successo?” chiedo io... “Oh, disgrazia...” “È
scappato lo sposo?...” “No, lo sposo è quello lì (indica) che
bestemmia più di tutti!”
“E cosa è successo allora?”
“Oh disgrazia... abbiamo scoperto che un tino pieno di vino
preparato per il banchetto del matrimonio, si è rovesciato in
aceto”. “Tutto in aceto?! Boia che disgrazia! Sposa bagnata
è fortunata, ma bagnata nell’aceto è disgraziata da
schiacciare e cacciare via!”
E tutti che piangevano… lo sposo bestemmiava, la madre
della sposa si stracciava (strappava) i capelli, la sposa
piangeva, il padre della sposa davanti al muro che dava
testate a ripetizione cattivo!
In quel mentre arriva deréntro un giovane, un certo Gesù…
figlio di Dio di soprannome. Non era solo, no, era
accompagnato dalla sua mamma, una che le dicono (la
chiamano) la Madonna. Gran bella donna! (Accenna ad una
camminata elegante e fascinosa) Erano invitati di riguardo
che arrivavano giusto con un po’ di ritardo. Appena questa
02/10/2012 176
signora Madonna è venuta a sapere di questo pasticcio che
c’era in piedi (questo fatto) che si era mutato il vino in aceto,
è andata vicino al suo Gesù, figlio di Dio e anche della
Madonna, e gli ha detto (si esprime infilando le parole una
dopo l’altra a grande velocità senza prender fiato): “Tu
figlio che sei tanto buono giovane caro che fai delle cose
meravigliose per tutti quelli che hanno bisogno, in questo
momento di tristezza guarda se hai il piacere di tirar fuori da
questo pasticcio che ha imbarazzato (messo nell’imbarazzo)
questa povera gente e dar loro piacere allegria che si possano
ricordare di ‘sto santo giorno. Alleluia! Alleluia!”.
Appena la Madonna è andata a dire ‘ste quattro chiacchiere a
suo figlio, abbiamo visto tutti fiorirgli sulle labbra di Gesù
un sorriso così dolce, ma così dolce… che se non stavi
attento, ti si staccavano le rotelle (rotule) dalle ginocchia e
tombolavano (cadevano) sui ditoni (alluci) dei piedi, per la
commozione. E tutto d’un colpo ‘sto Gesù ha detto: “Bene,
gente, potrei avere dodici secchie piene di acqua chiara e
pulita?”
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È stato un fulmine, tracchete, dodici secchie sono arrivate lì
davanti, piene d’acqua, che io, a vedere tutta quell’acqua in
un colpo solo, mi sono sentito perfino male… mi sembrava
di annegare... Boia!
S’è fatto un silenzio che sembrava di essere in chiesa al
Sanctus, e ‘sto Gesù si è massaggiato le mani strofinandosele
e dando di schiocco (schioccando le dita) (fa il gesto di
tirarsi le dita), e poi ha alzato tre dita… solamente tre dita,
ché le altre due le teneva piegate (contro il palmo), e ha
cominciato a fare dei segni sopra l’acqua... dei segni che
fanno solamente i figli di Dio. Io, che ero un po’ in là, che ve
l’ho detto: l’acqua mi fa impressione a guardarla… non
guardavo, miravo il vuoto con tristezza… e di colpo mi
sento arrivare deréntro i buchi del naso un profumo come di
uva schiacciata… non ci si poteva confondere... era vino!
Boia, che vino!
Me n’hanno passata una brocca, ho appoggiato le labbra, ne
ho mandato giù un goccio... (come in estasi) boia!... Oh...
Oh... beati del purgatorio, che vino!... Abboccato appena,
02/10/2012 178
amarognolo nel fondo, un poco frizzantino, salatino nel
mezzo, che mandava luccichii (rosso) di garanza e bagliori
dappertutto! Senza fioriture né bave, tre anni di stagionatura
almeno, annata d’oro! Che andava giù scivolando per il
gargarozzo a gorgogliare fin nello stomaco, si sparpagliava
un pocchettino fremendo, restava lì calmo, come PER
PRENDER FIATO, poi, gnoch!, dava un colpo, tornava
indietro a rotoloni giù per il gargarozzo, arrivava fino ai
buchi del naso, si spargeva fuori tutto il profumo... che se
passava uno anche a cavallo al galoppo (mima l’impennarsi
di un cavallo col cavaliere allocchito in atteggiamento
monumentale) gniuu... bll... “È primavera!” gridava.
Che vino!... E tutti che applaudivano: “Bravo Jesus, sei
divino!”
E tutti che tracannavano, si ubriacavano, ballavano, ballava
la sposa, cantava lo sposo. Il padre della sposa, davanti a un
muro, dava testate a ribattone, cattivo... che nessuno lo
aveva avvertito del miracolo!
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Gesù era montato all’impiedi su un tavolo, e mesceva vino
per tutti: “Bevete gente, fate allegrezza (siate allegri), siate
felici!, ubriacatevi, non aspettate dopo… da morti!.”
All’improvviso si è accorto di sua madre: “Perdonatemi
mamma, sono andato un po’ in garbuglio di cervello…
Bevete un goccio di vino, mamma!” “No, no, figliolo,
grazie, ti ringrazio, ma io non posso bere, ché io non sono
abituata al vino, mi fa girar la testa... e dopo dico
stupidaggini…”.
“Ma no, mamma, non ti può far male, ti porterà solamente
un po’ di allegria! Non ti può far male, ‘sto vino è buono, è
sano, è vino schietto... l’ho fatto io!” (Al
pubblico,cambiando tono e stteggiamento) E poi, ci sono
ancora delle canaglie maledette, che vanno in giro a
raccontare che il vino è un’invenzione del diavolo
satanasso… ma ti pare che se il vino fosse un’invenzione del
demonio e peccato, Gesù l’avrebbe dato da bere alla sua
mamma? Alla sua mamma di lui? Che lui è preso da tanto
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amore per lei, che io non ho per tutta la grappa di ‘sto
mondo!
Io sono sicuro che se il Dio Padre in persona, invece di
insegnarglielo al Noè, tanto tempo dopo, questo trucco
meraviglioso di schiacciare l’uva, di tirar fuori il vino, glielo
avesse insegnato subito, fino dal principio, all’Adamo,
subito, prima dell’Eva, subito!... come l’aveva costruito con
il fango (inizia a mimare l’impasto della creta per cavarci
una figura) ha impastato un gran gnocco… gli aveva fatto
due buchi per gli occhi, poi anche dentro gli occhi le
palline… le palette per le orecchie il naso coi buchi, la
bocca… (finge di infilare due dita in bocca del pupazzo)
"Stai attento con quei dentini di non morsicare veh!" Poi il
collo… le spallette, i gomiti, le dita...: “Le faccio come le ho
io… (conta le proprie dita) una, due, tre, quattro, cinque per
parte… poi sotto la pancia il bigolo (mima con discrezione,
di improntare il sesso di Adamo) il pisello, le chiappette,
vengo giù con le gambe, coi piedi… anche qui cinque dita...
Ora ti do la vita... (gli soffia in bocca) FFFPPPHHOO…
02/10/2012 181
respira Adamo! Ah, ah, ah, ah… apri gli occhi… va Adamo,
dai che sei vivo (mima di sorreggere la creatura
costringendola a camminare. Descrive un mastello e invita
Adamo ad entrarci) Dentro, dentro al mastello… adesso
l’uva, va che graspi d’uva… dai schiaccia l’uva, dai balla
via, alè... (lo incita a danzare e a calpestare il mosto,
battendo le mani a segnare il ritmo:) Alé! Alé! Subito Dio
doveva insegnargli: Adamo, uva, vino, Eva!
Non saremmo in questo mondo maledetto, saremmo tutti in
paradiso (fa il gesto di sollevare un bicchiere e brindare):
salute! Perché sarebbe bastato che in quel giorno maledetto
che appresso all’Adamo è arrivato il serpentone canaglia con
in bocca la mela e che diceva (con tono da imbonitore):
“Mangia la mela, Adamo!... dolci, buone, dolci le mele,
rosse, buone le mele come l’uva!” Sarebbe bastato che
Adamo avesse avuto nascosto dietro la schiena un
bicchierotto pieno di vino... avrebbe preso a pedate tutte le
mele della terra, schiacciata la testa al serpentone e avrebbe
gridato: “Salute! Alé! Per te, per lui, allegria, come Dio!”
02/10/2012 182
LA NASCITA DEL VILLANO
PROLOGO EINAUDI I EDIZIONE
Foto 13. “La nascita del villano” (da un manoscritto del
Trecento).
Si tratta di un’immagine tratta da una miniatura. È la
rappresentazione di un pezzo di un famoso giullare:
Matazone da Caligano. Matazone è un soprannome che vuol
dire mattacchione (questa volta non è scurrile, come vedete
ci sono delle eccezioni); Caligano, Carignano, è un paese
vicino a Pavia. Il linguaggio, un dialetto dell’allora territorio
di Pavia, è chiarissimo per noi lombardi; e, dico la verità, ho
provato ad eseguirlo anche in Sicilia, ed arrivavano a capire
tutto. Vedete: lassù c’è un angelo, qui il padrone, il signore,
il signore delle terre, e qui c’è il contadino, o meglio il
villano.
Che cosa succede in questa rappresentazione? È il momento
della consegna, al padrone, del primo villano creato dal
padreterno.
02/10/2012 183
La giullarata racconta dell’uomo che, stanco di lavorare la
terra, dopo sette generazioni, va dal padreterno e gli dice:
“Senti, io non ce la faccio più a soffrire la fatica in questa
maniera, devi alleviare la mia fatica. Mi avevi promesso che
avresti rimediato in qualche modo!” “Come non ho
rimediato?! – dice il padreterno, – ti ho dato l’asino, il mulo,
il cavallo, il bue...” “Eh sì, ma sempre io devo spingere
dietro l’aratro, – dice l’uomo, – sempre io devo andare a
remondare la stalla, sempre io devo fare i lavori più bassi,
come mettere lo sterco nei campi, mungere, ammazzare il
maiale... Io vorrei che tu mi creassi qualcuno che mi aiutasse
in tutto e per tutto, che mi sostituisse anzi, e io potrei
finalmente riposare!” “Ah, ma tu vorresti un villano!” “E chi
è?” “È proprio uno di quelli che vorresti tu... D’altra parte
non lo puoi conoscere, non l’ho ancora creato! Vieni,
andiamo a crearlo adesso...” E vanno da Adamo. Appena
Adamo vede arrivare il Padreterno assieme ad un uomo, zac!
si mette le mani intorno al torace e urla: “No, basta, io di
costole non ne mollo più!” “Ecco, va be’, hai ragione anche
02/10/2012 184
tu, – dice il padreterno, – ma cosa posso fare?” In quel
momento passa un asino, e al padreterno viene un’idea: fa un
gesto con le dita, e l’asino si gonfia. Rimane incinto.
Ecco: da questo momento seguo il testo originale. È
Matazone da Caligano che parla. Esiste un testo stampato in
una forma un po’ diversa da questa, che è stata ricostruita
mettendo insieme vari frammenti, per dare maggiore
continuità e logica al testo.
Prologo 2000
Nell’immagine ora proiettata sono rappresentati un angelo
con le ali spiegate che si affaccia sul lato destro, che affida
Didascalia all’immagine : “Il contadino e il pastore” ,
indicato anche come “Il villano e il suo padrone” (da un
manoscritto del Trecento)
02/10/2012 185
al suo padrone il servo appena creato: un villano malconcio
che si appoggia a un grosso bastone
Questa miniatura ci porta alla memoria una famosa giullarata
il cui testo si ritrova nelle pubblicazioni che trattano delle
origini poetico-satiriche del volgare italiano. L’autore di
questo testo è conosciuto come Mattacchione da Calignano o
da Carignano, un piccolo borgo della provincia di Pavia. Per
quanto riguarda il tempo in cui fu scritto e sicuramente
recitato, alcuni ricercatori indicano la data sicura prima del
Duecento, altri propendono per il Quattrocento. Il monologo
è scritto in un lombardo primordiale con termini propri
dell’ambiente agreste, un lessico specifico da contado. La
giullarata inizia con una lamentazione dell’uomo, figlio di
Adamo, che ricorda a Dio la promessa di un aiuto e di uno
sconto di pena trascorse le sette generazioni sette: “ Signore,
io non ce la faccio più! Il tuo castigo è stato davvero
pesante: lavorare la terra mi abbruttisce e la mia donna
invecchia anzitempo! Avevi promesso che, trascorse sette
generazioni sette, mi avresti concesso un aiuto! ”
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E il Padre eterno: “ E non è forse stato un aiuto regalarti
l’asino da caricare di ogni sacco, il bue che trascina l’aratro,
il cavallo da porre tra le stanghe dei carri?”
“Sì, ribatte l’uomo, ma sempre a me tocca spingere l’aratro,
sollevare i sacchi e condurre il cavallo. Io ti chiedo qualcuno
che mi sostituisca in queste fatiche, così che io possa
governare, godere i frutti del suo lavoro e riposare!”
“Ah, ho capito: tu vorresti un villano.”
“Chi è ‘sto villano?”
“Se non l’ho ancora creato, come lo puoi conoscere. Vieni...
andiamo a metterlo al mondo… andiamo da Adamo.”
Come Adamo vede arrivare il Padreterno accompagnato ad
un uomo, subito sospetta che si voglia ancora usare di lui, si
porta le mani al torace e urla: “Basta Signore! Io di costole
non ne mollo più... ho già pagato con la nascita di Eva!”
“Ecco, va beh, hai ragione anche tu - ammette il Padreterno
- ma adesso come risolvo, io?”
In quel momento passa un asino e al Padreterno gli fulmina
un’idea, che per quello lui è un vulcano viene un’idea: fa un
02/10/2012 187
gesto sollevando la mano e il ventre dell’asino, all’istante, si
gonfia; rimane ingravidato.
Ecco: da questo punto recito il testo in volgare lombardo. Il
giullare è Matazone da Calignano ma mi sono permesso di
arricchire la fabulata originale inserendo brani e passaggi
grotteschi tratti da Bescapè e Bonvesin de la Riva il tutto
condito di detti , proverbi della tradizione popolare padana. e
canzoni del Medioevo.
Inizio dal momento in cui il Signore scorge l’asino e lo
ingravida.
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LA NASCITA DEL VILLANO
In quèl mumént, varda ti l’ucasiùn, pasa de lì un àseno che
ól va intórna bighelón… al Signur ghe vién ‘na ‘spirasiùn, ól
valza ‘na man sura ‘sto corpaciün e trak, a l’àseno in un bòto
ghe se sgiónfia la panza de stciopà. Per parlà stcèto ól resta
ingravidàd.
Passà i neuv mesi… la panza de la bèstia l'éra ingrusìda de
stciupà... se sént un gran frecàs, l'àsen ól trà una slòfa
treménda e con quèla salta feura ól vilàn spusénto.
Commento di un ascoltatore del fabulazzo.
"Ohi che bela natività!"
"Cito ti!"
In de quèl, vègn óltra un tempuràl dilùvi e giò acqua revèrsa
al fiòl de l'asino... e peu gràndina e torménta e fùlmeni e tüti
sul curpasón del vilàn, parchè ól se faga de sübit cosiénza de
la vita che ghe se presénta.
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'Na volta che l'è ben netàd, 'riva giò l'àngel dol Signùr, ól
ciàma l'òno e ól ghe dise:
"Par ordine del Segnùr, ti, da 'sto moménto, ti serà patrón e
majór, e lü, vilàn minór. Mo' est stabilìcto et scripto che 'sto
vilàn débia aver par victo pan de crusca con la scigóla cruda,
faxòj, fava alèsa e spüda. C'ól débia dormìr sòra a un pajón
che d'ól so' stato as faga ben rasón. Da po' che lü l'è nato
snudo déighe un tòco de canovàzo crudo… de quèi c'as
dòpra a insacàr saràche, parchè ól se faga un bel par de
brache. Brache spacà in d'ól mèzo e dislasà, che n'ól débia
perd trop témp in d'ól pisà.".
Par inségna d'ól so’ casàt zentìl
mètighe in spala vanga e badìl.
Fal'andà intórna sémper a pié biòt
che tanto niùn ól te dirà nagòt .
De zenàro daghe un furcùn in spala
e càscialo a remundà la stala.
De febràro fa' che ól süda nei campi a frànger i zòl
ma no' fat pena se ól gh'ha i fiàch al col,
02/10/2012 190
se ól 'gnirà impiegnìd de piàghi e cal,
agh n'avràn vantàg i to’ cavàl
liberàt di móschi e di tafàn
che tüti 'gniràn a stà de casa d'ól vilàn.
Pònighe 'na gabèla sü òmnia ròba ól faga,
métighe 'na gabèla infina a quèl che caga.
De carnovàl làselo pur balàr
e pur cantar che ól s'àbia de ‘legràr,
ma pòch, che no' s' débia smentegàre
co l'è a 'sto mundo par fatigàre.
Anco de marzo falo andar descàlzo.
Faghe podàr la vigna
c'ól se cati la tigna.
Del mese d'avrìle
c'ól stia in d'el ovìl
co' e pégore a dormìr,
dormire desvegiàto
che ól luvo el s'è afamàto.
Se l'afamàto luvo vòl tórse qualche arménto
02/10/2012 191
as' tolga ól vilàn pure, che mè no' mé lamento.
Mandalo a ranzàr l'erba
de màjo con le viole
ma varda che no' se perda
coréndo le bele fiòle.
Le bele fiòle sane,
n'importa se vilàne,
fale balàr distese
con ti, par tüto ól mese.
Das po' che at 'gnirà noiosa
dàghela al vilàn in sposa,
in sposa già impregnìda
che no 'l débia far fadìga.
De zugno a tòr scirése fàit che ól vilàn vaghi,
su i àrbori de brügne, de pèschi e de mügnàghi,
ma innànz, parchè no' débia sbafàrse le plú bèle
faghe magnàr la crusca che 'agh stòpi le budèle.
De lùlio e de l'agosto,
col caldo che at manda aròsto,
02/10/2012 192
per farghe pasàr la sét
daghe de bévar l'azét
e, s'ól biastéma d'inrabìt,
no' te casciàr de so' pecàt:
che ól vilàn sia bòn o malnàt
sémpr a l'inferno l'è destinàt.
D'ól mese de setémbre,
par farlo ben desténdre,
màndelo a vendemiàre
le üghe a torcinàre
e i graspi i rèsta a lü fali donàre
ma innànz fali ben schisciàre
che cont quèl vin de sguazza
no'l se pòda imbriagàre.
D'otüber bel, faghe mazà ól purscèl
e a lü par premio làsighe i büdèl
ma non lasàrghele proprio tüte,
che vién bòne par sacàr salsìze.
Al vilàn làseghe i sanguinàzi
02/10/2012 193
che i è venenùsi e intosigàzi.
I bòn parsüti stagni
làsighe a quei vilàni...
làsegheli da salare,
da po' fali menàre a la casa de ti,
che ól sarà un gran bel magnàre.
De novémbre e ancor dezémbre
c'ól fredo no'l débia oféndre,
par farlo descaldàre
màndelo a caminàre,
màndelo a tajàr legna
e fa' che spèso végna,
ch'ól végna carigàdo
che no' l 'gnirà infregiàdo,
e quando as prèsa al fògu
càsalo in altro lògu,
càsalo föra de l'üss
che ól fògo ól rimbambìs.
Se feura ól pióv de spèsa
02/10/2012 194
digh' che vaga a mèsa,
in gésa l'è riparà
e ól podrà anca pregà...
pregà per pasatémp
che tanto ghe végn niént,
che tant no' gh'n'avrà salvamént,
che l'ànema no' ghe l'ha
e ól Deo nól pòl scultà.
E com podrìa avègh l'ànema 'sto vilàn bèch
se l'è 'gnì feura d'un àseno cun t'un pèt?
02/10/2012 195
TRADUZIONE
In quel momento, guarda tu l’occasione, passa di lì un asino
che va intorno bighellone (bighellonando) e al Padreterno
viene un’ispirazione, gli è fulminata un'idea… che per
quello, lui è un vulcano!, leva una mano sopra quel
corpaccione e trak!, all’asino gli si gonfia la pancia da
scoppio (scoppiare). In poche parole, per parlare chiaro,
resta ingravidato.
Passati i nove mesi… la pancia - il ventre della bestia si era
ingrossato da scoppiare... si sente un gran fracasso, l'asino
tira una scoreggia tremenda e con quella, salta fuori il
villano puzzolente.
Commento di un ascoltatore del fabulazzo.
"Oh che bella natività!"
"Zitto tu!"
02/10/2012 196
In quel (mentre) viene avanti (esplode) un temporale -
diluvio e giú acqua a rovescio sul figlio dell'asino… e poi
grandine e tormenta e fulmini e tutti sul corpaccione del
villano, perché si faccia da subito coscienza della vita che
gli si presenta. Una volta che è ben nettato (pulito), ecco che
arriva giú (scende) l'angelo del Signore, chiama l'uomo e gli
dice:
"Per ordine del Signore,
tu, da ‘sto momento,
sarai padrone e maggiore
e lui, villano minore.
Ora è stabilito e scritto
che ‘sto villano debba aver per vitto pane di crusca con la
cipolla a ufo (a volontà),
fagioli, fava lessa e sputo.
Che debba dormire sopra un paglione (pagliericcio) ché del
suo stato si faccia ben ragione.
02/10/2012 197
Dal momento che lui è nato nudo, dategli un pezzo di
canovaccio crudo… di quelli che si adoperano per insaccare
saracche, perché si faccia un bel paio di bracche (braghe).
Braghe spaccate in mezzo a patta slacciata,
che non debba perdere troppo tempo per ogni pisciata!"
Come insegna del suo casato gentile
mettigli in spalla vanga e badile.
Fallo andare intorno scalzo come un capretto
che tanto nessuno ne avrà dispetto.
Di gennaio dagli un forcone in spalla
e caccialo a ripulire (rimondare) la stalla.
Di febbraio fai che sudi nei campi a franger terra con le
zappe
ma non darti pena se avrà la schiena a fiacche
se verrà pieno (che si riempirà) di piaghe e calli,
ne avran vantaggio i tuoi cavalli
liberati dalle mosche e dai tafani
che tutti verranno (andranno) a star di casa dai villani.
Ponigli una gabella (tassa) secca sulla paga
02/10/2012 198
mettigli una gabella persino su quel che caga.
Di carnevale lascialo pur ballare
e pur cantare che s'abbia da allegrare (così che si possa
rallegrare)
ma poco, che non si debba scordare
che è a 'sto mondo per faticare.
Anche di marzo fallo andare scalzo.
Fagli potare la vigna,
che si prenda la tigna.
Nel mese di aprile
che stia all'ovile
con le pecore a dormire,
dormire svegliato (sveglio)
ché il lupo è affamato!
Se l'affamato lupo vuol prendersi qualche armento,
si prenda pure il villano, che io, non mi lamento.
Mandalo a tagliar l'erba
di maggio con le viole,
ma guarda che non si perda (distragga)
02/10/2012 199
rincorrendo le figliole.
Le belle figliole sane,
non importa se villane,
falle ballar distese con te
per tutto il mese.
Dipoi che ti verrà noiosa (a noia)
dalla al villano in sposa,
in sposa con la pancia ben gonfiata (gravida)
così che la trovi già impregnata.
Di giugno s’arrampichi sui rami lesto
E di ogni frutto ne colga un gran cesto
ciliegie grosse, prugne e pesche toste
ma prima, perché non debba sbaffarsi le più belle
fagli mangiar la crusca che gli stoppi le budelle.
Di luglio e d'agosto,
col caldo che ti manda arrosto,
perché non schiatti assetato
fagli bere acqua e aceto ben salato
e, se bestemmia d’arrabbiato,
02/10/2012 200
non ti dar pena (preoccupare) del suo peccato:
che il villano sia buono o malnato (cattivo)
sempre all'inferno è destinato.
Nel mese di settembre
per farlo ben distendere,
mandalo a vendemmiare
le uve a premere torchiate
e le sbobbe (scarti) che restan
saranno a lui donate
innanzi anche quei resti falli macerare
affinché con quell’intruglio a sguazzo non si possa
ubriacare.
D'ottobre bello, non gli far scordare di scannare vivo il tuo
maiale
e a lui per premio lasciagli le trippe
ma non lasciargliele proprio tutte, che vengono buone
(possono servire) per insaccare salsicce.
Al villano lasciagli il sangue del porcel sgozzato
che è velenoso e intossicato.
02/10/2012 201
I prosciutti grassi e lisci
ali villan è meglio che lasci
lasciaglieli da salare,
ma una volta stagionati
al tuo desco falli portare
che sarà un gran bel mangiare!
Di novembre , così come in dicembre
perché il freddo non lo debba offendere,
per farlo riscaldare
mandalo a camminare,
i ciocchi mandalo a tagliare
e fa' che debba poi tornare
che torni caricato
caricato come un mulo addirittura
che così non si catterà (prenderà) l’infreddatura.
E quando si avvicina al fuoco
caccialo in un altro loco,
caccialo fuori dall'uscio
ché il calor lo rimbambisce.
02/10/2012 202
Se fuori l’acqua vien giù spessa
digli che vada a messa,
in chiesa è riparato
e potrà pregare e cantar beato
Pregare senza passion ne carità
ché tanto nessun salvamento n’avrà
lui, l’anima non ce l’ha
e Dio ascoltar non lo potrà.
E come potrebbe avere l'anima ‘sto villan malnato
‘sto disumano mulo
che non da una femmina è sortito
ma da un ciuco
anzi
con una scoreggia dal suo culo!
(I EDIZIONE Einaudi-Commento al brano: Voglio
velocemente soffermarmi su un particolare: la storia
dell’anima. Dice Matazone: “Tu, villano, non puoi avere
un’anima in quanto sei stato partorito da un asino”. Ebbene,
02/10/2012 203
è quasi un consiglio ad accettare questa condizione, a non
accettare l’anima: poiché l’anima costituisce il pretesto per il
più grosso ricatto che si possa fare. È quanto sostiene
Bonvesin de la Riva nel Rispetto tra l’anima e il corpo:
“Ringrazia Dio, anima, di non avere il sedere, perché te lo
riempirei di pedate: tu sei il mio piombo, io non posso volare
perché mi pesi addosso”. Perché, questo rifiuto dell’anima?
Perché è il più grosso ricatto cui il padrone possa ricorrere
contro di noi. Nel momento della disperazione uno potrebbe
anche dire: “Ma che me ne frega, un minimo di dignità, io la
coltellata gliela do a questo padrone bastardo!” E allora il
padrone, o il padrone attraverso il prete: “No! Ferma! Ti
vuoi rovinare? Hai sofferto tutta la vita e adesso che hai la
possibilità, tra poco crepi, di andare in paradiso, perché Gesù
Cristo te l’ha detto, tu sei l’ultimo degli uomini e avrai il
regno dei cieli... Ebbene, vuoi rovinare tutto? Calmati, stai
tranquillo, non ribellarti!... e aspetta dopo. Io sì, perdio, sono
rovinato! Io sono il padrone, per la miseria! E cosa mi ha
detto Gesù Cristo? “Tu non entrerai mai nel regno dei cieli,
02/10/2012 204
tu sei come il cammello (o meglio il cameo, che è la fune
delle navi), che non passerà mai attraverso la cruna di un
ago...” L’hai capita la fregatura? Per forza devo farmelo qui,
un piccolo paradiso. Ed è per questo che mi do da fare a
tenerti sotto, a schiacciarti, a derubarti: ti porto via anche
l’anima, certo! Io voglio il mio piccolo paradiso, piccolo ma
tutto per me, subito, per il tempo che sto al mondo. Beato te
che ce l’avrai tutto quanto, il paradiso! Dopo, è vero, ma per
l’eternità!...”)
EDIZIONE 2000
Sembra proprio di ritrovarci con certi imprenditori del nostro
tempo!
Andando in giro per l'Italia, ci capita continuamente di
incontrarci con realtà dia dir poco grottesche. Per esempio,
arrivati a Verona per uno spettacolo ci siamo ritrovati con il
teatro completamente decorato di striscioni e grandi
manifesti, che un centinaio di ragazze avevano appiccato su
ogni parete. Le scritte denunciavano la loro situazione in
02/10/2012 205
fabbrica. Erano tutte in sciopero per protestare contro il
proprietario della tessitura che aveva imposto un orario
unico per i bisogni corporali delle lavoranti.
Cioè, una sentiva una impellenza fisica: “Scusi, posso?”
“No… e no!” Dovevano andare tutte al gabinetto alle 11,25:
driiiiin, e pipì. E chi non aveva in quel momento bisogno,
basta, il turno dopo:17,10.
Avevano minacciato di occupare la fabbrica pur di
conquistare il diritto di mescita ad orario libero.
Quella sera con il pubblico e le ragazze in sciopero abbiamo
scritto una canzone che poi abbiamo eseguito in “Ci ragiono
e canto” *
Se permettete ve la proponiamo.
SIGNOR PADRONE NON SI ARRABBI
Signor padrone non si arrabbi
ci sei stato l’altro ieri
tutti i giorni ci vuoi andare
mi vuoi proprio rovinare
02/10/2012 206
la catena fai rallentare.
Signor padrone ci prometto
che da domani non ci vado
mangio solo roba in brodo
e farò solo pipì
la faccio qui!
Vai, ma sbrigati in tre minuti
come è scritto nel contratto
non si fuma ala gabinetto
né si legge l’Unità
c’è il periscopio che ti vedrà.
Sei secondi per arrivarci
sei secondi per spogliarti
tre secondi per sederti
viene il capo a sollecitarti
non ti resta che sbrigarti
tre secondi per alzarti
due secondi per vestirti
se hai fortuna puoi pulirti
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e corri subito a lavorar
a lavorar
a lavorar.
* “Ci ragiono e canto” spettacolo di canti popolari realizzato
da Dario Fo con la collaborazione del Nuovo Canzoniere
Italiano nel 1966:Teatro Odeon Milano.
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LA NASCITA DEL GIULLARE
PROLOGO
Questo è un testo ragusano, raccolto nel secolo scorso da un
amico e collaboratore di Pitré, il famoso ricercatore di
Palermo che ha pubblicato una mole incredibile di
documentazione sulla tradizione popolare della Sicilia. Più
tardi mi sono capitati per le mani frammenti di una giullarata
che svolgeva lo stesso tema, provenienti dal Nord d’Italia,
esattamente da Cremona. Ho innestato questi ultimi nel testo
ragusano e ne è venuta fuori la “conta”1 che vi presento.
Possiamo dire che si tratta di un testo quasi autobiografico di
un giullare che narra come ha scelto di montare “in banco”
per divertire e provocare il pubblico dei mercati. A inizio
arringa il giullare promette che con i suoi lazzi e le sue
trovate riuscirà a far scompisciare dalle risate a tal punto i
presenti, da provocare veri e propri miracoli: per il gran
ridere un gobbo si rizzerà all’istante, petto in fuori e schiena
piallata, una donna alla quale s’è arrestata la monta del latte
02/10/2012 209
vedrà le proprie zinne rigonfiarsi fino a spruzzare latte dai
capezzoli come una fontana. Il giullare ci appare
inarrestabile nel suo sproloquio quando, all’istante, cambia
tono e decide di raccontare di sé e delle sue origini: “Io ero
contadino, – comincia, – non avevo nessuna intenzione di
scegliermi questo mestiere. Non c’ero per niente tagliato”. E
qui ci svela un accadimento davvero incredibile: ci assicura
che chi l’ha convinto a scegliere il mestiere di buffone è
stato Cristo in persona. “Fare il contadino è davvero duro, –
ci assicura il giullare, – specie dovendo lavorare sotto
padroni in una terra che non ti appartiene. Lavorando
dall’alba a sera, sempre la prima acqua che si beve il terreno
è il mio sudore!” Ma un giorno, salendo un monte, scopre
quasi per caso un terreno incolto e roccioso che non
appartiene a nessuno. Aiutato dalla propria donna e dai figli,
stende sul greto nuova terra e trova l’acqua per irrigare. A
questo punto gli si presentano, uno dopo l’altro, un prete e
un notaio, forse avvocato... entrambi reclamano il possesso
di quel territorio sulla montagna a nome del possessore di
02/10/2012 210
tutta la vallata. Lui, deciso e sicuro, li scaccia tutti, ma alla
fine giunge il Signore che con maggior foga e prosopopea
pretende la restituzione della terra; il contadino resiste e gli
si oppone. Il Signore allora lo aggredisce facendolo
bastonare dai suoi scherani, quindi davanti ai suoi occhi,
violenta la sua donna che impazzisce e se ne va; gli brucia il
raccolto e la casa. Sconfitto e umiliato, il contadino decide di
impiccarsi all’ultima trave rimasta tesa fra i muri diroccati
dal fuoco, quando appaiono davanti al lui all’improvviso tre
accattoni macilenti che gli chiedono dell’acqua. Uno di loro
è Gesù che parla al contadino quasi aggredendolo. Gli tiene
una vera e propria lezione sulla condizione umana, gli parla
della giusta punizione che co glie tutti quelli che, come lui,
scelgono di muoversi da soli per non dover spartire le
proprie fortune e i vantaggi con i disperati della sua razza.
Per finire, gli insegna l’uso dei gesti e delle parole per
guadagnare la fiducia in sé e negli altri, come lui, sottomessi
e offesi.
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Ma quel discorso è meglio che lo ascoltiate direttamente e
per intero nel linguaggio originale.
02/10/2012 212
LA NASCITA DEL GIULLARE.
Ahh... gént... vegní chi che gh’è ’l giulàr! Giulàr, ca son mi
quèl... che fa i salt e ca ’l tràmbula de folía e che... (Esegue
una piroetta buffa) Oh... oh... a ve gh’ho fàit ríder! Vegnít
che ve fagarò scompisciàr… murír de ridàde quand ve farò
descovrìr i magiorént che i van intórna tronfi e gonfiàt ’me
balóni a far guère e a scanàr… ma basta stapàrli, tràrghe via
ol pirœ dal cül e... pff!!, se sgiónfia e i stciòpa ’me vesíghe!
Vegní chi… che l’è ora e lògo che mi faga ol pajàsso per
vui! Tütt intúrna a mi! Vegnít! V’insegni ’na manéra nòva
de sta’ al mondo. Vegní... vegní! Aténti ’me sgambèto
intorno a l’improvíso… ’na cantadína, e fo’ anca i falsèti a
saltabèch!
Vardé la méa léngua ’me la gira! Ah... ah... a l’è un mulinèl,
un cultèll... che tàja i garèti ai bosiàrdi impostór! Ma avànte
ve vòjo contàr in che manéra mi a son diventàt bufón che ol
fa scompisciàr la zénte da le rigolàde! Che mi no’ son nasüo
d’un fiàt tombàt dal ziélo, e, op!, son chi: “Bondí, bonasíra!”
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No! Mi, sensa vantàm, a son un miràcol vivént! No’ vursí
crédem?
Sí, a l’è vera, mi son nasüt contadín. Pròpri vilàn sapa-zòle.
A no’ gh’avéo tanto de sta alégro: no’ gh’avévi tèra. No’
gh’avéa nagòta!
L’ünega par podér campare l’éra mèterme sóta padrón:
stcéna cürva e fadíga da strasabràsci.
Duvít créderme… déme confiànsa!
No’ l’è nemànco capitàt par caso che a son saltàt sül banco a
fav fa ridàde a sganàscio… No, e nemànco l’è sucedüt che
méa matre, vardàndome bambín stravacào in la cüna che a
rideva a sganàsso, l’àbia ’sclamàt: “Ma che bèla facína
sempàtega... Alegrèsa te me fa!, spaiasolín ridente! Varda,
de grando te fago far el julàr!”
No! E nemànco l’è capitàt che me son ’speciàt, rimiràt
deréntro ol cül de üna padèla lüstra che la me faséva de
spècio, cossí che a vardàrme: “Ohi che ögi sbarluscénti de
’legrèssa che spantegalûz felíz d’ògni lógo! Son pròpri
sempàtego, spendído! Vago a far el giulàre!”
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E nemànco l’è capitàt che ol Deo Padre, ch’ol vègne sémper
a spia’ föra de le nívule... ch’ol gh’ha niénte de fare quèl…
’mirando ol so’ creato, beato ol vúsa: “Oh!, che bèla tèra che
gh’ho partorít! Oh!, bèi àlbari gh’ho metüo in pie! (Cambia
tono) E chi l’è quèlo? L’è un vilàn! Cun quèla fàcia!
Sempàtiga! “Ehi, cuntadín… zèta la vanga, mòla ’sta tèra e
va a fa’ el giulàr e no’ rompe’ i cojóni!”.
No, no, no’ l’è stàit lü! L’è sta’ ol so’ Fiól Jesus.
Un meràcolo!
No’ vàgo ciarlàndo, v’el ziúro! Un miracolo impròprio de lü:
Jesus Cristo en la persona. L’è lü co’ m’ha fàito devegnír
giulàr!
No’ me credét? Ol sàvie bén! Alóra el vo’ a mostràrve!
D’acòrde?
Ogne matína me valzàvo co a l’éra anc mò scüro… ol sol
no’ éra ’mò incresúo e mi andava scurvà co’ sapa e picón a
spacàre zòle: ol me sudór a l’éra la préma acqua co’ la tèra la
bivéa.
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A la sira stornào a la casa imbriàgo... straco morto, co’ i ögi
sbiancàt de lûz e nemànco la vója de ziogàr co’ i me’ fiolít…
far ziòghi d’amore co’ la mia puta de mi… mojér de mi…
me slungàvo strafugnà stordít in sü el lèto... un paiún... e
m’endormío. No che no’ mi indormentívo! Desvegnívo! E in
la nòte deréntro al me sòno no’ gh’éra insognamento.
Chicchirichí!
Maledícto! De nòvo a fatigàre!
Ma un ziórno tornào del campo ’travèrso la rivéra del rio en
zérca de quarche granco… me so’ sperdúo camíno e, de
bòta, me son truvà devànti a üna montagna negra che no’
cognosévo.
Tremenda, alta!
E gh’hoi domandado a ün careté ca ol pasàva de lí: –
Compagnón, de chi l’è èsta montagna smargiàsa co la se risa
a l’improvísa?
– De nisciün.
– Ma coma ol po’ vès ca l’è de nisciün ’sto monte gigante?!
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– La val negóta. L’è piéra negra rutàda da un vulcàgn. La
ciàmen: la cagàda del diàvulo!
– Ol ghe sarà vegnüo un gran mal de cül a ol diàvul nel
sbrofà da i ciàpp ’sta cagàda!
E mi sunt andài fin sü... ’rampegàndome gatóni sü un dòss e
raspàndo cüj ungi… ho descovèrto che gh’éra un fregüj de
tèra… lo usmàt: dulza, grasa! Sont ’ndài coréndo fin a casa
da la méa fumna, la fèmena de mi. La gh’ho ciamàda in
quartiér criàndo de ’legrèssa… l’ha brancàt sapa e sègia e
m’è vegnüda après co’ i fiulín.
Zónti sül dosso, sensa nemànco catàr fiàt, avémo comenzàt a
sapàr da partüto cavàndo quèl poch de tèra e po’ sèm
desendüi giò a la riviéra del fiüm a catàr sidelàde de terén.
Sémo andàit anco al simitério, sémo andàiti a robàr tèra ai
morti! Bèla la tèra de le tombe vègie! Grassa! E se montàva
càrighi de sidèli e se spantegàva ’sto terén letamóso: ziórno
pe’ ziórno, se improntàveno gradóni… ’na scalenàda de
gradóni!
Tüti a lavorar, con anco i fiülí.
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Contenti!
E la mojér de mi, bèla, bianca… la andava co’ ’sti paniér
pién de tèra in sü la testa. Un mòverse a diríto ’me ’na reìna!
Ögi luzénti, le zinne tunde e sode… co’ quando avanzava
coréndo, i susultàveno apéna ’me fructi par ol vénto. Oh... se
l’è bèla! Dolze amore meo! Dolze amor de mi!
E la cantava! La cantava tanto bén che la so’ vóse drita in tèl
zervèl t’arivàva!
Ziórno per ziórno, lüne de lüne, sèm ’rivàti a montàr tanti
gradón ch’ol paréa la Tore de Babele!
Ma no’ gh’éra l’acqua…
Co’ le piche de fèro se faséva bögi de sonda ma no’ sortíva
’na spüdàda. Ghe tocàva desénder fino al fiüm, deséndere e
rimontàr, tüti, mojér e fiulít, con sègi e sègi, ma sémper sèca
la turnàva: bivéva ’sta tèra ’me se de sóta ghe fóse un drago
asetàt!
Un ziórno sunt ’ndàit cul picún in spala insíma a ’sta
montagna biastemàndo: “Deo maledícto!” e pién de ràbia ho
picàt ’na bòta a zancàda con fòrsa in de la piéra: pium! La
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piéra s’è spacàda e svuooom!, sccihuum!, è sortío ’na gran
sbrofàda d’acqua che m’ha inundà.
– Oh Segnór… gràssia! Besógna propri blasfemàrte par farte
fa i miràculi, Deo santo!
Fotón d’acqua che sbotàva da partüto... e gorgojàndo
spantegàveno ziò per la scarpàda inondàndo a inquitrinà
ògni terén!
La mojér de mi a l’è stciopàda en lacrime co’ un pianto de
ziòia e i fiülín empaltàt i sguasàva ’me pèssi in frégula!
– Gràsia! Gràsia Deo!
Un parfüm dólze se spantegàva da par tüto… e l’erba che de
sübito sortíva! Gh’ho piantà una semente de segale, n’ho
gh’ho fàito a témp a vultàrme che tack!, un bütón de föietíne
spuntava!
O l’éra tèra d’oro!
Una sira me son desmentegàdo la sapa impiantàda en tèl
terén: ol ziórno aprèso son tornào, l’éra fiurída! La sapa
fiurída!
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Da i àrbori sbutàva fructi… üsèi co i vegníva a farse ol
nido… parfümi… ol grano, el fromento… Oh! Che folía!
Gh’avévi ol terór de desvegiàrme de un sógn.
Son ’ndàit de cóntra al ziél rosàdo, col sol che l’éra rénta a
calare drio i monti e ho dit: – Deo! Ol cognóssi bén… ol so
da sémper che te sèt deréntro ol sol anca in ’sto momento e
te rengràsio del dono grando che ti m’è fàito co’ ’sto
meràcolo! Te ghe sarò reconosénte… a costo de südàr
sangu, te la fagarò vegníre un paradís terèstre ’sta tèra.
Amen!
I pasàva i me’ cumpàgn contadín e i diséva: – Che cül che te
ghe aüt! Da ’na muntàgna sèca, t’hàit tirà föra el giardín de
un pascià! – E invidia i gh’avéa.
Sunt lí in tèl campo, svòlto la testa e te scòrzo sul so’ cavàlo
el padrún de tüta la vale che ol me punta. Ol ziràva i ögi
intórna e ol me vardàva… e pœ ol sbòta a dirme: – Chi che
l’ha tràito in pie ’sto miracolamento? Chi è che l’ha fàita
sbotà en fiore ’sta tèra?
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– Mè, segnór! Mè, a l’ho fàita… zòla sü zòla gh’ho portàt…
gh’ho montàt gradóni… Mè! Anco l’acqua che no’ gh’éra...
mè la gh’ho fata spüdàr föra a sapàde! Méa è ’sta muntàgna
che l’éra de nisciün!
– Roba de nisciün l’è üna manéra de dire che no’ exíste
miga. Chi-lòga, se no’ ti sa, par tüta la vale, anco fiüm, tèra,
piére, tüto… ol gh’ha ün padrón. E mi son quèl! Padrón anca
de l’àire che te respiri.
– Ma gh’ho domandào intorno... ’sto monte el ciàmeno la
cagàda del diavolo impròprio per dir che nisciün l’ha gimài
vorsüda. Nemànco vui patrón.
– Pòle darse... un témp… ma adèso gh’hàit ripensàt: l’è méa!
Ol s’è fàito ’na ridàda e via, gh’ha dàito de spròn al cavalón
e l’è disparüt!
Qualche ziórno aprèso ’l vedo in fonda el prévete, ch’ol
végn abijàt tüto in nério, ol südàva e col fasülèt se sgrusàva
ol sudór che ol colava da la fronte ziú fino al còlo… e già de
luntàn me vosàva (in grammelot imitando il latino): –
Cuntadín, vilàn caro, in pax tòa végno a dessòlvere tòa
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spudénzia et presonzión de penzàr che ti pòda poxedére
pruoprietà de un teretòrio. Nullo ex libero de posexiònem et
ogne palmo de tèra habe una sòja pruoprietàt che illo Papa e
l’Emperadór han comcèxo a èsto mazzorénte üneco e ti fiól
meo debbi zéder en santa pax domine!
Come l’è stàit aprèso, gh’ho dàit ’na sapàda che per poch
no’ lo gh’ho inciudà, lü insémbia al so’ àseno che ol
montava! Mai vedüda ’na ziravòlta cossí de fulmine:
molàndo zachignàde co’i talón sü le bale del ciúcio, l’andava
saltelón blasfemàndo d’üna manéra che me son fàito el
segno de la cróse!
Do’ ziórni che vègne a près, ’riva sü ol nodàro co’ ’na bèla
müla gròsa, con un gran cül… lü, ol nodàro con un cülón
anca lü, che quando l’è desendüo da la sèla no’ se capiva se
l’éra desendúo ol cül de lü o quèl de la müla!
O l’ha srotolào ’na pergamena lònga e scüra tempestàda de
segn, sbirolízzighi svirgulamént e cróse e l’ha dit sanza fiàt,
spüdàndo paròli ’me ’na letanía: – Meo caro amígo, sàvio
bén e te dago fiéra rasón del facto che per ol volgo l’éra
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sconosiüda alcuna possessión de ’sto monte, ma dàndoghe
ün’ügiàda a ’ste carte de pergamena antíga, se descòvre
ciàro che ’sto lògo terén o l’éra posesión del rèi Boésio prim,
che gh’avéa donàt ol teritòrio metà, al de chi d’ol fiüm, a
una sòa enamorósa… ’na santa mònegha, e l’ólter fondo a
un fiól bastardo, el so’ plü amato tra tüti i bastardi che ol
tegníva. Ma l’è capitàt in quèl témp che ol fiüm par una gran
tempesta ol stravacàss föra de i árgen e ol s’è redopiàt in dòi
rivi: metà da un canto, metà da l’óltro, lasàndo in mèso
un’isola con soravía un monte negro. Per ’sta resón, par
secoli ol monte no’ l’è risultàt de nisciün. Ma adèso ol nòster
segnór e padrón l’ha descovèrto ol facto de la straripàda del
fiüme e ol pretende justament de ricatàrse la posessión de
’sta deabòlega cagàda!
No’ l’avea nemànco reciapàt fiàt ol nodàro che gh’ho molàt
’na gran bòta, ’na cagnàda sü i ciàp che l’è scapà via al
galòpo, lü e la sòa müla!
– De ’ste brase ès ’sta tèra! No che no’ la mòlo a nisciúno!
Ma èco che ün dí respúnta ol padrón coi so’ sbiri.
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Nünch érum in dei campi a trabajàr co’ i fiulít, la mia
mojér… e i soldàt de lü m’han catà, slargà le brase e m’han
tegnüo fermo. Ol padrón ol s’è calàit i braghi, u l’ha ciapàt
la mia mojér de mi e l’ha sbatüda par tèra: ol gh’ha strasciàt
i sòchi… slargàe le giàmbe, ol gh’è saltàt de sóra, u l’ha
fàita come fudèss ’na mansa. E tüti i suldàt i rideva.
I fiolít me vardàva coi ögi sbaràt… sbiadít. I vardàva la
madre… i vardàva mi.
E mi davo gran scosón… me sunt liberàt, ho catàit ’na sapa,
hu vusà: – Disgrassià! Ciàpa!
– Fermo fiól! Fermo! – m’ha criàt la mojér de mi. – No’
darghe ul pritèsto de ’copàrte. No’ i spècia óltro. Ti ziústo ti
pénsi de crepàr pitòsto de spatasciàr el to’ onor... ma ti no’ ti
gh’ha onor. Onor ghe l’hano soiaménte chi roba tégne,
denàr, tère! Noiàltri sbiòti de tüto no’ gh’avémo onor!
Nostro onor è la tèra! Salva la tèra, tégna la tèra e spüdaghe
sóra a ’sto onor!
E mi de bòto ho franàt de ogne volontà… ho molàt la sapa
par tèra.
02/10/2012 224
I soldàt sghignàva de frecàso: – Bèch, cojón sensa dignitàd!
Gh’han muntàt la fémena e lü ol sta lí inciulinàt ’me un
lifròch!
Ol segnór l’è montàito a cavàl e drio a lü, se encaminàva i
so’ sbíri.
– Adèso te la pòl pur tegníre la tòa tèra. Te me la gh’hàit bén
pagàda! – E rigulàva.
Andando inànz cumpàgn de ün fròk de cavre sbandàt, sémo
tornài a la casa.
La mojér l’andava avanti, in testa a tüti. No’ vardava
nisciün.
I fiól no’ me vardàva.
Mi no’ vardavi.
Nisciün se vardàva.
Quando po’ la mia mojér l’è desendüda in paés per fa’ scorta
de maserizie, la gént al so’ pasàg se scansàva. Nusciün che
ghe diséa bòn dí… cumpàgn che nusciün la vedèse.
02/10/2012 225
Pasàda qualche note la mia mojér, criàndo, l’è fuíta curéndo
in sü par la muntàgna… la montava feséndo ridàde…
sbatéva i man, cantava a perdifiàt co’ paròli de svergognàda.
Mata éra.
– Ferma! Férmate amor méo dólze! Torna indrío col
zervèlo… a mi no’ me empòrta… sémper ol méo amor te sèt
par mè!
No’ me dava tra. L’è desparüda. No’ la gh’ho plü gimài
vedüa.
I fiól no’ diséan parole, no’ ziogàva, no’ i ridéa, no’
piagnéva.
Ziórno per ziórno smagríveno: morti!
Vün par vün, morti son!
Soléngo sont restàit… ünego cristiàn sü ’sta tèra brüsàda…
per la resón che i suldàt gh’avéano dàito fògo a la casa e al
bósch.
Imbesüit no’ savéa còssa che fare. ’Na sira ho catàt un tòco
de corda, l’ho lanzàda sü ’na trave, l’ünega restàda sana tra i
müri fumigàt… hu fàito un grópo, mè ’l son sistemào
02/10/2012 226
intorno al còlo e ho dit: – Deo che anco in de lo scüro de la
note te varde i òmeni ’traverso i mila sbarlüsci de le stèle…
par qual ziògo malerbèto, Segnór ti m’è dàito ’sto dón de la
tèra e de l’aqua carigàndome de sperànsia… per pœ, aprèso,
stravacàrme in la merda de desperasiün?! Ti te dovéa mè dir
che o l’éra per segnàrme col fèro ruventàd e darme testamén
ciàro che chi coménsa da vilàn poarèto, sémper uguàl dovéa
restàr… no’ farse sperànse né ’sognamenti de presonsión!
Segnor, te digo che a l’è stàito gran sbefezzamento cruèl èsto
de farme provare chi-lò, in tèra ol paradiso, per despò
rebutàrme cont ün spernàch zó, a l’enfèrno, sinza pità!
E alóra te vòjo dir che ’sta vida de merda co a te me dàio, mi
te la retórno in drio! Tégnetela ’sta vida!
Ol fago per slanzàrme empicàdo, u me sénti pugià ’na
manàda chi in sü’ la spala, me volto e gh’è un zióvin co’ i
cavèli lònghi… strepenà… la fàcia smorta… i ögi grandi,
dólzi e tristi che ol me dise: – A podría avérghe un poco
d’àqua de bévar che gh’ho sete?
02/10/2012 227
– Ma te par el momento de vegnír a domandàr da bévar a ün
che a l’è drio a impicàrse? Ma dua a l’è la creànsa?
Ghe do ’n’ügiàda… ol gh’avéa ’na fàcia de pòer crist anca
lü. Daprèso a quèlo ghe n’è àlter dòi desperà: vüno co’ i
cavèli e la gran barba bianca e l’óltro sansa barba… màgher
e smòrti che i paréa lavàt in de la calcína… co’ la fàcia
patída.
– A gh’èt altro besógn che de bévar voàltri! De magnàre ghe
vòl! (Fa il gesto di togliersi il cappio dal collo) Bòn, ve do
un quaicòs de magnàre e pœ me impíco!
Vago… zérco sóta un arcón restàito in pie: fave soiaménte
gh’ho trovàit e dòi sigóje. Le gh’ho còte bolíte. Gh’ho
impiegnít tre baslòtti e ghi ho metüt in di man. I magnàva
con la golosía de afamàt. Das pœ che han magnào, quèlo
zióvin de figüra svèlta e co’ i ögi grandi, soriéndo me dise: –
Gràsie de ’sta minestra calda! A ti, te vègne in mente chi
pòsa èser mi?
Al vardo bén: – Me parèse che ti… squàsi… te sièt el Jesus
Cristo!
02/10/2012 228
– Bòn! Ti gh’hai indovinào! Èsto l’è Paolo e l’oltro l’è
Petro.
(China il capo in segno di saluto) – Piazére! E còssa che
pòdo far anco’ per vui?
– L’è basta de quèl che te ghe dàito col magnàre. Mi te
cognósso a ti vilàn, mi sae còssa te gh’ha capitàt… còssa te
fàit te… a cugnósi la fadíga che t’è custàda pe’ tiràr in pie
’sta tèra, far fiorir ’sta muntàgna sbrofàda föra da le ciàpe
d’ol diàvul. Al so del sudór dei tòi fiói e de la tòa mojér… e
della violénsia del segnór meno sü la tòa dòna. Tüto par
l’orgójo de no’ molàr ’sta tèra! Bòn de fòrsa, coràjo… bravo
òm ti gh’ha demostràt de vès! Ma l’è ziústo che te séa fornít
cossí… a ’sta manéra.
(Tono risentito del contadino) – Par che rasón Cristo?!
– Parchè te l’è tegnüda tüta soiaménte par ti la tèra e no’
l’hàit spartída co’ i altri vilàn, strepenàt ’me ti!
– Ma te díset cus’è?! Spartír co’ i óltri un fasolèto de tèra
che nu’ l’éra nemànco a basta par mi e per la méa zént?!
02/10/2012 229
– Fa no’ el piagnún… a pudévan vegní chi a campà tanti
ólter disperàt ’me ti! Dime vilàn… ti te sèt andàito intorno
per casali… le case de’ paión a ’contare la tòa storia? Te
gh’ha cercàt de tirài derénter la tòa vida? No? Bòn, mo’ at
dévet far en manéra che i ólter se caréghen lor mèsmi de
quèl che t’è capitàt… at dévet dírghe de ol padrón… de la
bastardàda co l’ha fàito co’ la tòa dòna, e avànte del prévete
e del nodàro! E po’ ’scolta quèl che te conta lori. E sóvra
ógne còssa no’ racontàr de piagnón ma co’ ’na rigolàr-
sghignasón… Aprénde a rigolàr! A trasbotà anco el terór in
ridàda… Rebaltàr col cül per aria i furbación che i çérca de
incastràrve-ciulàrve co’ i paroli… co’ le gran ciciaràde!... E
fa che tüti sbròfa in gran sghegnàz… che rigolàndo ògni
pagüra se desléngua!
– Ma mi no’ sàbie, no’ sàbie dir parole roversàde… no’ so
farghe el controcanto de bufón… e nemànco filastròche a
torción sbefàrdo che la léngua me se intorpéga deréntro i
dénci… col çervèlo che tégno inciuchído dal sol e da la
fatíga!
02/10/2012 230
– Te gh’hàit rasón. Ghe vòl el meràcolo!
M’ha catàt par la crapa… ul m’ha tiràt visín a la sòa fàcia e
ol m’ha dit: – Mi, Jesus Cristo, de ’sto momento te do un
baso sü la bóca e ti senterét la tòa léngua frolàr a tirabusción
e pœ devegníre còmo un coltèlo che pónta e tàja…
smovéndo parole e sfrasegàr ciàri còmo un Evanzélo. E pœ
córe in la piàsa! Ziulàre ot sarai! Ol padrón sbragherà,
soldàit, préveti, nodàri i sbiancheràn scoprendóse desbiòti
’me vèrmeni!
E cossí ol m’ha catàit la testa, m’ha portàit i labri sòi dólzi ai
me’ et m’ha basàdo. Me arivàt un gran tremór de fògo süi
lavri… la méa léngua l’ha me gh’ha comenzàt a trilurà a
torcejón ’me ’na bissa. Parole nòve slisigàveno rotolando in
de la méa crapa. Ogne penzér me se revoltolàva… ògni idea
me sortéva capovolzüda.
Son corsüt a perdefiàt ziò in borgo, son saltà süi gradón del
batistério e ho gridàt: – Ehi! Zénte! El giulàr son mi! Vegní
chi, fàite ’tensión… ’sculté! A ve mostrerò ’me se
trasfórmeno i paròli in lame tajénti che i stronca d’un bòto i
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garèti dei impostori infami... e altre parole che divégne
tambüri per desvegiàre çervèli dormiénti! Venít! Venít
zénte! Venít!
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TRADUZIONE
Ahh... gente... venite qui che c’è il giullare! Giullare, che
sono io quello... che fa salti e che straparla folle e che...
(Esegue una piroetta buffa) Oh... oh... vi ho fatto ridere!
Venite che vi farò scompisciare… morire dalle risate quando
farò scoprire i maggiorenti che vanno intorno tronfi e
gonfiati come palloni a far guerre e a scannare... ma basta
stapparli, cavargli fuori il tappo dal culo e... pff!!, si
sgonfiano e scoppiano come vesciche!
Venite qui… è il tempo e il luogo che io faccia il pagliaccio
per voi! Tutti intorno a me! Venite! V’insegno un modo
nuovo di stare al mondo. Venite... venite! Attenti che
sgambetti e lazzi v’improvviso… una cantatina, e faccio
pure i falsetti a saltabecco!
Guardate la mia lingua come gira! Ah... ah... è un mulinello,
un coltello… Vi mostrerò come si trasformano le parole in
lame taglienti che mozzano i garretti ai bugiardi impostori!
Ma avanti vi voglio raccontare di come mi sono ritrovato
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buffone che fa scompisciar la gente dalle risate! Che io non
sono nato da un fiato caduto dal cielo, e, op!, sono qui:
“Buondì, buonasera!” No! Io, senza vantarmi, sono miracolo
vivente! Non volete credermi?
Sì, è vero, io sono nato contadino. Proprio villano zappa-
zolle. Non avevo tanto da stare allegro: non avevo terra. Non
avevo niente!
L’unica per poter campare era mettermi sotto padrone:
schiena curva e fatica da spaccabraccia.
Dovete credermi… datemi ascolto!
Non è nemmeno per caso che son saltato sul banco a farvi
far sghignazzi... No, e nemmeno è successo che mia madre,
guardandomi bambino spaparanzato nella culla che ridevo a
sganascio, abbia esclamato: “Ma che bella faccina
simpatica... Allegria mi fai!, pagliacciolino ridente! Guarda,
da grande ti faccio fare il giullare!”
No! E nemmeno è capitato che mi sia rimirato dentro il culo
di una padella lustra che mi faceva da specchio, così che a
guardarmi: “Ohi, che occhi sbaraglianti di allegria che
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spargono luce felice da ogni luogo [felicità in ogni luogo]!
Sono proprio simpatico, splendente! Vado a fare il giullare!”
E nemmeno è capitato che Dio Padre, che viene sempre a
spiare fuori dalla nuvole... che non ha niente da fare
quello… rimirando il suo creato, beato gridi: “Oh!, che bella
terra che ho partorito! Oh!, che begli alberi ho messo in
piedi! (Cambia tono) E chi è quello? È un villano! Con
quella faccia! Simpatica! “Ehi, contadino… butta la vanga,
molla ’sta terra, vai a fare il giullare e non rompere i
coglioni!””.
No, no, non è stato lui! È stato suo Figlio Gesù.
Un miracolo!
Non vado ciarlando, ve lo giuro! Un miracolo proprio di lui:
Jesus Cristo in persona. È lui che mi ha trasformato in
giullare!
Non mi credete? Lo vedo bene! Allora ve lo vado a
mostrare! D’accordo?
Ogni mattina mi alzavo che era scuro… il sole non era
ancora salito e io andavo curvo con zappa e piccone a
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spaccar zolle: il mio sudore era la prima acqua che la terra
beveva.
A sera tornavo a casa ubriaco... stanco morto, con gli occhi
sbiancati dalla luce e neanche la voglia di giocare con i miei
bambini... fare giochi d’amore con la ragazza mia… moglie
mia… mi allungavo stravolto sul letto… un pagliericcio... e
mi addormentavo. No che non mi addormentavo! Svenivo! E
nella notte nel mio sonno non c’erano sogni.
Chicchirichì!
Maledetto! Di nuovo a faticare!
Ma un giorno tornando dal campo attraverso la riva del
fiume in cerca di qualche granchio… ho perso il cammino e,
di botto, mi sono trovato davanti a una montagna nera che
non conoscevo.
Tremenda, alta!
E ho domandato a un carrettiere che passava di lì: –
Compare, di chi è questa montagna smargiassante che si
rizza all’improvviso?
– Di nessuno.
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– Ma come può essere di nessuno ’sto monte gigante?!
– Non vale niente. È pietra nera ruttata da un vulcano. La
chiamano: la cagata del diavolo!
– Gli sarà venuto un gran mal di culo al diavolo sbroffando
dalle chiappe ’sta cagata!
E io sono andato fin su... arrampicandomi gattoni su un
dosso e raspando con le unghie da una zanca fessata... ho
cavato una manciata di terra… l’ho annusata: dolce, grassa!
Sono sceso correndo fino a casa dalla mia femmina. L’ho
chiamata in corte [cortile] gridando di allegrezza... ha
brancato zappa e secchio e mi è venuta appresso con i
bambini.
Giunti sul dosso, senza nemanco prendere fiato, abbiamo
cominciato a zappare dappertutto cavando quel poco di terra
e poi siamo scesi alla riva del fiume a raccogliere meno
secchiate di terreno. Siamo andati anche al cimitero, siamo
andati a rubare terra ai morti! Bella la terra delle tombe
vecchie! Grassa! E si montava carichi di secchi e si spargeva
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’sto terreno letamoso: giorno dopo giorno, si tiravano su
gradoni… una scalinata di gradoni!
Tutti a lavorare, anche i bambini.
Contenti!
E mia moglie, bella, bianca… andava reggendo panieri di
terra in capo. Un muoversi a dritto come da regina! Occhi
lucenti, le zinne tonde e sode… che quando avanzava
correndo, sussultavano appena come frutti per il vento. Oh...
se è bella! Dolce amore mio!
E cantava! Cantava tanto bene che la sua voce dritta nel
cervello ti arrivava!
Giorno dopo giorno, luna dopo luna, siamo arrivati a
montare tanti gradoni che pareva la Torre di Babele!
Ma non c’era l’acqua...
Con le picche di ferro si facevano buchi per sondare ma non
sortiva uno sputo. Ci toccava discendere fino al fiume,
scendere e rimontare, tutti, moglie e figli, con secchi e
secchi, ma sempre asciutta tornava: beveva ’sta terra come
sotto ci fosse un drago assetato!
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Un giorno sono andato col piccone in spalla in cima a ’sta
montagna bestemmiando: “Dio maledetto!” e pieno di rabbia
ho picchiato una botta a zappata con forza là nella pietra:
pium! La pietra si è spaccata e svuooom!, sccihuum!, è
sortita una gran sbroffata d’acqua che mi ha inondato.
– Oh Signore… grazie! Bisogna proprio bestemmiarti per
farti fare i miracoli, Dio santo!
Getti d’acqua che sbottavano dappertutto... e gorgogliando
scendevano per la scarpata inondando ogni terreno!
Mia moglie è scoppiata in lacrime con un pianto di gioia e i
bambini infangati sguazzavano come pesci in fregola!
– Grazie! Grazie Dio!
Un profumo dolce si spargeva dappertutto... e l’erba che
subito sortiva! Ho piantato un seme di segale, non ho fatto in
tempo a voltarmi che tack!, un butto di fogliettine spuntava!
Terra d’oro era!
Una sera mi sono dimenticato la zappa piantata nel terreno:
il giorno appresso sono tornato, era fiorita: la zappa fiorita!
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Dagli alberi sbottavano frutti… uccelli che venivano a farsi
il nido… profumi… il grano, il frumento... Oh! Che follia!
Avevo il terrore di risvegliarmi da un sogno
Sono andato incontro al cielo rosato, col sole che stava
calando dietro ai monti e ho detto: – Dio! Lo so bene… lo so
da sempre che dentro il sole te ne stai anche in questo
momento e ti ringrazio del dono grande che mi hai fatto con
’sto miracolo! Ti sarò riconoscente… a costo di sudare
sangue, te la farò diventare un paradiso terrestre ’sta terra.
Amen!
Passavano i miei compagni villani e dicevano: – Che culo
hai avuto! Da una montagna secca hai tirato fuori il giardino
di un pascià! – E invidia avevano.
Sono lì nel campo, volto la testa e ti scorgo sul suo cavallo il
padrone di tutta la valle che mi punta. Girava gli occhi
intorno e mi guardava… e poi sbotta a dirmi: – Chi ha messo
in piedi ’sto miracolo? Chi ha fatto sbottare in fiore ’sta
terra?
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– Io, signore! Io, l’ho fatta… zolla su zolla ho portato… ho
montato i gradoni... Io! Anche l’acqua che non c’era... io
l’ho fatta sputare fuori a zappate! Mia è ’sta montagna che
era di nes-
suno!
– Roba di nessuno è un detto che non esiste. Qui, se non lo
sai, per tutta la valle, anche il fiume, terra, pietre, tutto… ha
un padrone. E io sono quello! Padrone anche dell’aria che
respiri.
– Ma ho domandato intorno... ’sto monte lo chiamano la
cagata del diavolo proprio per dire che nessuno l’ha mai
voluto. Nemanco voi padrone.
– Può darsi... un tempo… ma adesso ci ho ripensato: è mia!
S’è fatto una risata e via, ha dato di sprone al cavallo ed è
sparito!
Qualche giorno appreso scorgo là in fondo il prete, che sale
la china abbigliato tutto di nero, sudava e col fazzoletto si
tergeva il sudore che colava dalla fronte giù fino al collo, e
già da lontano mi urlava (in grammelot imitando il latino): –
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Cuntadino, villano caro, in pax tòa végno a dessólvere tòa
spudénzia et presonzión de penzàr che ti pòda poxedére
pruoprietà de un teretòrio. Nullo ex libero de poxexiònem e
ogni palmo di terra abe una sòja pruoprietàt che illo Papa e
l’Emperadór han comcèxo a èsto mazzorénte unico e tu
figlio mio devi cedere en santa pax domine! Come mi è
arrivato vicino, gli ho dato una zappata che per poco non
l’ho inchiodato, lui con l’asino che montava! Mai vista una
giravolta tanto repentina: mollando pedate coi talloni sulle
palle del ciuccio, andava saltelloni bestemmiando in una
maniera che mi sono fatto il segno della croce!
Due giorni appresso, arriva su il notaio con una bella mula
grossa, con un gran culo... il notaio con un culone anche lui,
che quando è disceso dalla sella non si capiva se fosse sceso
il culo di lui o quello della mula!
Ha srotolato una pergamena lunga e scura tempestata di
segni, sghiribizzi e croci e ha detto senza prender fiato,
sputando parole come una litania: – Mio caro amico, lo so
bene e ti do fiera ragione del fatto che per il volgo era
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sconosciuta alcuna possessione di ’sto monte, ma dando
un’occhiata a ’ste carte di pergamena antica, si scopre
chiaramente che questo terreno era possessione del re
Boezio I, il quale aveva donato il territorio metà, al di qua
del fiume, a una sua amante… una santa monaca, e l’altro
lato a un figlio bastardo, il più amato tra tutti i bastardi suoi
che teneva. Ma è capitato in quel tempo che il fiume per una
gran tempesta straripasse dagli argini e si dividesse in due
corsi: metà da un canto [lato], metà dall’altro, lasciando in
mezzo un’isola con sopra un monte nero. Per questa ragione,
per secoli il monte non risultò di alcuno. Ma oggi il nostro
signore padrone ha scoperto l’accaduto della straripata del
fiume e pretende giustamente di tornare in possesso di
questa diabolica cagata!
Non aveva manco ripreso fiato il notaio che gli ho
ammollato una gran botta, una azzannata sulle chiappe, che è
partito al galoppo lui e la sua mula!
– Di queste braccia è la terra! Non la mollo a nessuno!
Ma ecco che un giorno riappare il padrone con i suoi sbirri.
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Noi si era nei campi a lavorare, con i bambini, mia moglie…
e i suoi soldati mi hanno afferrato, allargate le braccia e mi
hanno tenuto fermo. Il padrone si è calato le brache, ha preso
mia moglie e l’ha scaraventata a terra: le ha strappato le
sottane... allargate le gambe, gli è saltato sopra, l’ha montata
come fosse una manza. E tutti i soldati ridevano.
I bambini mi guardavano con occhi sbarrati... sbiaditi.
Guardavano la madre... guardavano me.
E io mi dibattevo… sono riuscito a liberarmi, ho afferrato
una zappa e ho urlato: – Disgraziato! Prendi!
– Fermo figlio! Fermo! – mi ha gridato mia moglie. – Non
dargli il pretesto di accopparti. Non aspettano altro. Tu
giustamente pensi di crepare piuttosto che inzozzare il tuo
onore... ma tu non hai onore. Onore l’hanno solamente quelli
che possiedono roba, denaro, terre! Noialtri nudi di tutto non
abbiamo onore! Nostro onore è la terra! Salva la terra, tieni
la terra e sputaci sopra a ’sto onore!
E io di colpo ho franato [ho perso] di ogni volontà… ho
mollato la zappa a terra.
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I soldati sghignazzavano con fracasso: – Becco, coglione
senza dignità! Gli hanno montato la femmina e lui sta lì
imbambolato come un allocco!
Il signore è montato a cavallo e dietro a lui si
incamminavano i suoi sbirri.
– Adesso te la puoi pure tenere la tua terra. Me l’hai ben
pagata! – E rideva.
Muovendoci come un gregge sbandato siamo tornati alla
casa.
La mia donna andava avanti, in testa a tutti. Non guardava
nessuno.
I figli non mi guardavano.
Io non guardavo.
Nessuno si guardava.
Quando poi mia moglie è discesa in paese per fare scorta di
masserizie, la gente al suo passaggio si scansava. Nessuno
che le dicesse buongiorno… come se nessuno la vedesse.
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Dopo qualche notte mia moglie, gridando, è fuggita
correndo su per la montagna... saliva ridendo... batteva le
mani, cantava a perdifiato con parole da svergognata.
Matta era.
– Ferma! Fermati bene mio dolce! Torna indietro col
cervello... a me non importa... sempre il mio amore sei per
me!
Non mi dava retta. È sparita. Non l’ho mai più vista.
I bambini non dicevano parole, non giocavano, non
ridevano, non piangevano.
Giorno dopo giorno dimagrivano: morti!
Uno dopo l’altro, morti sono!
Solo sono restato... unico cristiano su ’sta terra bruciata...
giacché i soldati avevano dato fuoco anche alla casa e al
bosco.
Imbesuito non sapevo cosa fare. Una sera ho preso un pezzo
di corda, l’ho lanciata su una trave, l’unica restata sana tra i
muri affumicati... ho fatto un nodo, me lo sono sistemato
intorno al collo e ho detto: – Dio che anche nel buio della
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notte guardi gli uomini attraverso i mille luccichii delle
stelle… per quale gioco maledetto, Signore mi hai dato ’sto
dono della terra e dell’acqua caricandomi di speranza... per
poi, appresso, rovesciarmi nella merda della disperazione?!
Tu dovevi dirmelo che era per segnarmi col ferro arroventato
e dare testamento chiaro che chi inizia la sua vita da villano
povero, sempre uguale deve restare… non farsi né speranze
né sogni di presunzione! Signore, ti dico che è stata gran
sbeffeggiata crudele questa di farmi provare qui, in terra il
paradiso, per poi ributtarmi con uno spernacchio giù,
all’inferno, senza pietà!
E allora ti voglio dire che ’sta vita di merda che mi hai dato,
io te la ritorno indietro. Tientela ’sta vita!
Faccio per lanciarmi impiccato, mi sento appoggiare una
mano qui sulla spalla, mi volto e c’è un giovane con i capelli
lunghi... malmesso... la faccia pallida... gli occhi grandi,
dolci e tristi che mi dice: – Potrei avere un po’ d’acqua da
bere che ho sete?
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– Ma ti pare il momento di venire a domandare da bere a uno
che sta per impiccarsi? Ma dov’è la creanza?
Gli do un’occhiata... aveva una faccia da povero cristo anche
lui. Appresso a quello ci sono altri due disperati: uno con i
capelli e la gran barba bianca e l’altro senza barba… magri e
smorti che parevano lavati nella calcina... con la faccia
patita.
– Avete altro che bisogno di bere voialtri! Da mangiare ci
vuole! (Fa il gesto di togliersi il cappio dal collo) Bene, vi
do un po’ da mangiare e poi mi impicco!
Vado... cerco sotto un arcone l’unico non franato: fave
solamente ho trovato e due cipolle. Le ho cotte bollite. Ho
riempito tre ciotole e gliele ho messe in mano. Mangiavano
con golosia da affamati. Di poi che si son sfamati, quello
giovane di figura svelta e con gli occhi grandi, sorridendo mi
dice: – Grazie per ’sta minestra calda! A te, viene in mente
chi possa essere io?
Lo guardo bene: – Mi pare che tu... quasi... sia Jesus Cristo!
– Bene! Hai indovinato! Questo è Paolo e l’altro è Pietro.
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(China il capo in segno di saluto) – Piacere! E cosa posso
fare ancora per voi?
– È abbastanza quello che ci hai offerto. Io ti conosco
contadino, io so cosa ti è capitato... quello che hai fatto…
conosco la fatica che t’è costata tirare in piedi ’sta terra, far
fiorire ’sta montagna sbroffata fuori dalle chiappe del
diavolo. So del sudore dei tuoi figli e di tua moglie… e della
violenza del signore sulla tua femmina. Tutto per l’orgoglio
di non lasciare ’sta terra! Grande forza e coraggio... hai
dimostrato di essere un bravo uomo! Ma è giusto che tu sia
finito così... in ’sto modo.
(Tono risentito del contadino) – Per quale ragione Cristo?!
– Perché l’hai tenuta tutta solamente per te la terra e non
l’hai spartita con gli altri villani, poveri come te!
– Ma cosa dici?! Spartire con gli altri un fazzoletto di terra
che non bastava nemmeno per me e per la mia gente?!
– Non fare il piagnone… ci potevano venire a campare tanti
altri disperati come te! Dimmi villano… sei andato intorno
per casali... per le capanne di paglia a raccontare la tua
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storia? Hai cercato di tirarli dentro la tua vita? No? Bene,
ora da adesso devi fare in modo che gli altri si facciano
carico di quello che ti è capitato... devi dirgli del padrone...
della bastardata che ha fatto con la tua donna, e prima del
prete e del notaio! E poi ascolta quel che ti contano loro. E
sopra ogni cosa non raccontare piagnucolando ma con lo
sghignazzo… Impara a ridere! A tramutare anche il terrore
in risata. Ribaltare col culo per aria i furbacchioni che
cercano di incastrarvi con le gran chiacchierate !… E fa che
tutti sbottino in gran risate… così che ridendo ogni paura si
sciolga!
– Ma io non so, non so dire parole rovesciate... non so fare il
controcanto da buffone... e nemanco filastrocche a
torciglione beffardo che la lingua mi si inceppa dentro i
denti… col cervello che tengo ubriacato dal sole e dalla
fatica!
– Hai ragione. Ci vuole il miracolo!
Mi ha preso per la testa… mi ha tirato vicino alla sua faccia
e mi ha detto: – Io, Jesus Cristo, da ’sto momento ti do un
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bacio sulla bocca e tu sentirai la tua lingua frullare a
cavatappi e poi diventare come un coltello che punta e
taglia... smuovendo parole e frasi chiare come un Vangelo. E
poi corri nella piazza! Giullare sarai! Il padrone sbragherà,
soldati, preti, notai sbiancheranno scoprendosi nudi come
vermi!
E così mi ha preso la testa, ha portato le labbra sue dolci alle
mie e mi ha baciato. Mi è arrivato un gran tremore di fuoco
sulle labbra... la lingua ha cominciato a trillare a torciglione
come una biscia. Parole nuove scivolavano rotolando nel
mio cervello. Ogni pensiero mi si rivoltava... ogni idea mi
sortiva capovolta.
Sono corso a perdifiato giù nel borgo, sono saltato sui
gradoni del battistero e ho gridato: – Ehi! Gente! Il giullare
son io! Venite qui, fate attenzione… ascoltate! Vi mostrerò
come si trasformano le parole in lame taglienti che stroncano
d’un botto i garretti degli infami impostori... e altre parole
che diventano tamburi per svegliare i cervelli addormentati!
Venite! Venite gente! Venite!
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LA RESURREZIONE DI LAZZARO
Prologo Einaudi prima edizione
Foto 14. “La Resurrezione di Lazzaro”
(disegno di Dario Fo, da una sinopia rinvenuta nel
camposanto di Pisa).
Passiamo ora al miracolo di Lazzaro.
Questo testo è un “cavallo di battaglia” da virtuosi, perché il
giullare si trova a dover eseguire qualcosa come
quindici-sedici personaggi di seguito, senza indicarne gli
spostamenti se non con il corpo: nemmeno variando la voce,
con gli atteggiamenti soltanto. Quindi è uno di quei testi che
costringe chi lo esegue ad andare un po’ a soggetto,
regolandosi sul ritmo delle risate, dei tempi e dei silenzi del
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pubblico. È, in pratica, un canovaccio sul quale dovrò
improvvisare di volta in volta. Motivo dominante del testo è
la satira a tutto ciò che costituisce il “momento mistico”,
attraverso l’esposizione di ciò che il popolo intende
normalmente per “miracolo”. La satira si rivolge contro
l’esibizione del miracolistico, della magia, dello stregonesco,
che è una costante di molte religioni, compresa la cattolica: il
fatto cioè di esibire il miracolo come un evento
soprannaturale, allo scopo di indicare che, indubbiamente, è
Dio che l’ha eseguito: laddove, all’origine del racconto del
miracolo, predomina il significato di amore e di
attaccamento della divinità al popolo, all’uomo.
Qui, il miracolo è raccontato dal punto di vista dei fedeli
della classe dei “minori”: tutto è visto e presentato in
funzione di uno spettacolo dove più che “il figlio divino
dell’uomo” si esibisce un grande prestigiatore, un mago,
qualcuno che riesce a fare cose straordinarie e
immensamente spettacolose. Nessun accenno a quello che si
pretende ci sia dietro.
02/10/2012 253
In una sinopia del camposanto di Pisa è raffigurata la
resurrezione di Lazzaro. (Sinopia è l’abbozzo che precede
l’esecuzione dell’affresco: strappato l’affresco per un
restauro, è venuto alla luce l’abbozzo, ben conservato).
Lazzaro non appare neanche: l’attenzione è tutta concentrata,
come nella giullarata che tra poco reciterò, su una folla di
personaggi attoniti, che esprimono col gesto, la meraviglia
per il miracolo. Si nota anche tra la folla qualcuno
approfittare della tensione che provoca l’evento, per ficcare
le mani nella borsa di uno spettatore tutto teso a seguire la
resurrezione, per alleggerirlo dei quattrini.
LA RESURREZIONE DI LAZZARO
Prologo 2000
Nel medioevo il senso della comunicazione e dello
spettacolo era enorme e lo capirete ascoltando il brano de la
“Resurrezione di Lazzaro”. Come mai era così importante, in
particolare questa giullarata che ora andrò ad eseguire,
02/10/2012 254
riproposta decine di volte come ci testimoniano i testi e i
numerosi frammenti che abbiamo trovato? Perché trattava di
un argomento che stava a cuore alla gente, quello del
mercato delle cose sacre. Infatti, come già abbiamo spiegato,
"Mistero Buffo" significa rappresentazione sacra, messa in
grottesco, nel senso di fare ironia e satira verso coloro che
delle cose sacre si approfittano per fare mercato. A quel
tempo è risaputo, una delle grandi speculazioni e giochi di
basso profitto, contro le quali, con ferocia, si era scagliato
Martin Lutero, era, da una parte il commercio delle reliquie e
dall'altra quello delle indulgenze. Voi sapete che la chiesa
offriva indulgenze a pagamento, attraverso messe e altri
rituali per le anime dei beati che si trovavano in purgatorio:
si diceva che quando un ricco andava morendo e l'anima
usciva dal corpo del defunto, otteneva una propellenza
spaventosa, grazie alle orazioni, alle messe cantate, dette,
recitate dal clero, dalle confraternite, dalle congreghe
religiose, che per questa loro assistenza ricevevano un obolo
piuttosto vistoso. L’anima, caricata di indulgenze, veniva
02/10/2012 255
sparata fuori dal corpo quasi come un tappo di
champagne... e andava a proiettarsi verso il Purgatorio dove
avrebbe dovuto scontare anni e anni per i peccati commessi,
ma trovandosi linda e pulita grazie alle indulgenze e
giaculatorie, non rallentava manco per prendere fiato, anzi
accelerava la sua corsa verso il Paradiso.
Sotto, i penitenti del Purgatorio quando scorgevano
un’anima benedetta: “Ferma che sei arrivata!”, ma quella
imperterrita proseguiva traforando le nubi per sparire
nell’infinito. E non s’arrestava manco in vista del Paradiso.
C'era San Pietro che si sbracciava: “Anima benedetta, scendi
a godere delle grazie celesti!”. E l’anima manco una piega.
Travolgeva due angeli e quattro beati e via WUUUUMMM
(gesto di velocità a razzo)! Tanto che ancor oggi degli
astronauti spesso scorgono dal loro oblò anime dei beati che
vagano disperate alla ricerca del Paradiso.
Come vi dicevo, un altro oggetto di mercato che indignava la
popolazione nel medioevo era quello delle reliquie. E’
risaputo che i Santi appena deceduti, venivano letteralmente
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spogliati dei loro abiti e spesso anche delle loro carni,
cartilagini e ossa. Venivano fatti a pezzi, insomma, messi
sotto vetro, portati in teche, venduti, comprati. In poche
parole se una chiesa non possedeva almeno quattro o cinque
pezzi si santi da mostrare non era neanche da prendersi in
considerazione. C’erano addirittura città come Milano che,
oltre ad un santo patrono - il mitico Ambrogio - poteva
esibire altri due, tre santi protettori di riserva.
La città di Norcia ha sempre vantato un grande santo, ma
purtroppo, dopo l’ultima guerra, i fedeli della città si sono
resi conto, aprendo l’urna, che le spoglie del santo erano
state letteralmente saccheggiate. Il corpo benedetto era stato
smembrato e frammenti del medesimo, venduti a varie
chiese d’Europa. Ma come potevano i norcini presentare ai
visitatori stranieri le due o tre ossa striminzite rimaste della
grande reliquia? Così si formò un comitato di cittadini che
versarono parecchi denari e ingaggiarono dei ricercatori di
reliquie perché si recassero in tutte quelle chiese dove le
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vestigia del loro beato protettore erano state sparse, col
compito di ricomprarle a qualsiasi prezzo.
Dopo un certo tempo, ecco i ricercatori tornare, ognuno col
proprio sacchetto contenente frammenti recuperati. Hanno
consegnato il tutto a una troupe specializzata
nell’assemblaggio di pezzi ossei che, stesi tutti i frammenti
su un’enorme tavola, hanno dato inizio ai lavori fino a
ricomporre il corpo del santo. Un vero e proprio puzzle: “
Ecco qua una tibia… due tibie… un perone… tre peroni?!
Ce n’è uno in più (mima di sbarazzarsene con stizza)! Via!”
Così alla fine, ecco il miracolo: la sacra spoglia è
ricomposta. Un mammut! (Mima le enormi zanne che
escono da sotto il lungo naso del pachiderma)
Non posso garantire sull’autenticità di questa storia, ma
molti cittadini dell’Umbria sono pronti a giurarci sul
mammut…voglio dire… sul santo!
Esiste un altro famoso aneddoto a proposito di sante reliquie,
certamente autentico e suffragato da testimonianze storiche: quello legato alla nascita del regno d’Inghilterra. Voi
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sapete che fu Guglielmo il conquistatore, William il rosso, il normanno terribile, che riuscì a raccogliere
sotto la stessa bandiera, popoli celtici, angli e sassoni, per
farne un’unica nazione. Ma nel ben mezzo dell’operazione, i
preti cristiani che l’avevano indotto al battesimo, gli fecero
notare che alla creazione effettiva di quel regno mancava il
Patrono benedetto. Senza quella santa reliquia non ci si
poteva eleggere a nazione. “Beh, cosa aspettate, trovatemene
uno!” - “É una parola! Questi barbari si sono fatti da poco
cristiani e dove li trovi dei santi barbari?”
Così, Guglielmo fu sollecitato a inviare dei messi ricercatori
di là della Manica per acquistare un santo degno, con tanto
di simboli e bandiera. I messi sbarcano in Danimarca:
“Avete per caso un bel santo che vi avanzi da venderci?”
“Ma che scherziamo? Ne abbiamo solo uno e pare pure si
tatti di una copia fasulla! Anzi, se andando intorno ne trovate
un paio anche per noi, portateceli!”
I messi ricercatori raggiungono la Francia. Come si
azzardano a raccontare che sono disposti a comprarsi un
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santo, per poco non rischiano il linciaggio: “Ma come vi
permettete, inglesi bastardi! Da quando in qua si comprano i
santi protettori? Un santo è una cosa sacra! Via i barbari
zozzoni!” Quando arrivano in Spagna e ripetono la richiesta
solo per miracolo si salvano dall’essere arsi vivi su un
enorme rogo. Alla fine, ormai demoralizzati, giungono in
Italia; sbarcano a Genova. Sulla banchina del porto
incontrano alcuni liguri e, quasi meccanicamente, come in
una tiritera recitata senza speranza, ripetono la loro richiesta:
“Scusate, ci sapreste indicare una qualche città dove
potremmo trovare qualcuno disposto a venderci un santo,
anche di seconda mano?” Gli interpellati rispondono: “Qui!
É inutile andare d’intorno, vi cediamo il nostro santo
protettore!”
Si sa, a Genova ti venderebbero anche la madre!
Avrete notato dal tono usato, che questa battuta m’è uscita
con un certo timore. La ragione è dovuta dal fatto che
quando l’ho pronunciata in America per poco non mi
succedeva un vero e proprio disastro. Eravamo nel 1986 a
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Boston, si debuttava per la prima volta negli Stati Uniti…
Mi avevano avvertito: “Guada che Boston è una piazza
difficile, il pubblico che viene a teatro ha la presunzione di
possedere un gusto e una cultura dello spettacolo
eccezionale, sono i figli diretti dei famosi pellegrini…”
Infatti, per tutta la prima parte dello spettacolo, che era
proprio “Mistero Buffo”, un silenzio in sala da tagliare col
coltello. Spettatori attenti ma manco una risata, un accenno
d’applauso. Ecco però, che come inizio il prologo del
“Miracolo di Lazzaro” proprio il brano che vi sto
presentando, gli spettatori cominciano a scaldarsi e arriva
perfino qualche risata. “Ci siamo - mi dico - si sono
sbloccati!”. Ma appena accenno la battuta: “Si sa, per denaro
i genovesi venderebbero eccetera” per la miseria, in terza fila
si leva all’impiedi un genovese emigrato a Boston da chissà
quanti anni, un vero e proprio energumeno che, con un
vocione da brividi, urla: “ Non è vero, noi genovesi non
vendiamo nostra madre!”
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Un gelo tremendo per tutta la sala. Rapidissimo,
correggendomi, “Beh, se gliela pagano bene!” e lui “Ah,
allora... “ e si risiede soddisfatto.
Ero salvo!
Come stavo dicendo, nell’XI secolo i genovesi hanno offerto
agli inglesi il loro santo e glielo hanno pure venduto. E
sapete bene qual è il santo di Genova? San Giorgio!
E guarda caso, oggi, San Giorgio è ancora il santo degli
inglesi. Tutto gli hanno venduto: la mummia intera con il
suo elmo, la corazza con gli spalloni, insomma la parure al
completo. Fateci caso, com’era la bandiera di Genova?
Bianca con una croce rossa, lunga e stretta… esattamente
l’antica bandiera inglese. E per completare la parure gli
hanno venduto anche il drago… un draghetto un po’
incartapecorito, tutto torto, avvinghiato a San Giorgio, che
ormai col tempo, era nato un profondo affetto.
Ebbene due secoli dopo, il Papa, da Roma ha decretato che
San Giorgio era un santo inesistente! Non vi dico gli inglesi
come se la sono presa, se la sono legata al dito!
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La cosa straordinaria è che gli inglesi, qualche anno fa si
sono recati alla loro cattedrale di Saint Paul , dove è esposta
la teca del santo per esaminarne la reliquia.
Volevano scoprire da dove provenisse quella mummia.
L’hanno fotografata con gli infrarossi, l’hanno sezionata, gli
hanno analizzato il DNA e, alla fine, hanno scoperto che si
trattava del cadavere... di un turco! Di un turco! Neanche di
un cristiano! Guarda che bisogna essere proprio balordi
come i genovesi! Inoltre si è scoperto che il drago non era un
vero drago ma un coccodrillo del Nilo con la scogliosi!
Io e Franca abbiamo recitato per parecchi mesi a Londra,
ebbene tutte le sere quando raccontavo questo particolare
c’era il pubblico inglese che sin-ghioz-zava per la
mortificazione. E in fondo alla sala gli irlandesi che
sghignazzavano a crepapelle.
Ma torniamo allo spettacolo.
Perché i giullari sceglievano proprio questo episodio del
Vangelo e non altri per far satira alla speculazione e al
mercato delle cose sacre? Credo perché nella tradizione
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popolare legata al Vangelo questo fosse il miracolo più
importante compiuto da Gesù Cristo. Inoltre è la sua prima
resurrezione, un miracolo realizzato come gesto d’amore
verso la madre.
La Madonna, era parente stretta di Lazzaro e Lazzaro era
amato da lei come e più di un figlio. Era un uomo giusto,
generoso, capace di offrirle gran conforto, specie quando il
figlio se ne andava intorno a predicare.
Quel Gesù non si poteva proprio chiamare un figliolo di
casa.
Quando Lazzaro muore, la Madonna è colpita da un dolore
inenarrabile: deperisce a vista d’occhio. I parenti preoccupati
mandano subito a chiamare Gesù, ma nessuno ha idea di
dove si possa trovare. Il Nazareno non si preoccupava mai di
comunicare un suo programma... andava, tornava... tutto
improvvisato; non era certo organizzato nei suoi viaggi come
invece lo è il suo attuale rappresentante in terra.
Un gruppo di parenti parte alla sua ricerca: “Avete visto
Gesù?” “Sì, è passato di qua tre giorni fa seguito da un sacco
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di gente.” Lo trovano finalmente lassù, in cima alla
montagna, circondato da una folla di fedeli, sistemati come
in un grande anfiteatro che si apprestano ad ascoltare il suo
sermone: appunto, il famoso discorso della montagna. Uno
degli apostoli si rivolge a Gesù e dice: “Maestro, questa
gente non ce la fa più, ha camminato per tre giorni e nessuno
ha toccato boccone, stanno crollando per l’inedia!”. E Gesù:
“Accidenti, mi era andato via proprio di testa! Voi apostoli,
avete portato qualcosa da mangiare?” “No, è andato via di
testa anche a noi!” “Cominciamo bene con ‘sta nuova
redenzione!”
Il Nazareno si rivolge alla gente: “Qualcuno ha portato con
sè del cibo?” “Io - risponde un fedele - ho qui un pezzo di
pane!” “E il companatico? Per caso qualcuno ha con sè
carne secca, qualche legume... formaggi, insaccati?” “Un
pesce. Io mi sono portato un pesce... ce l’ho qua!” Infila una
mano nella saccoccia e tira fuori un pesce... una specie di
merluzzo che si è tenuto deréntro una tasca per tre giorni.
Infatti sta lì quasi isolato, con tutti i fedeli che gli stanno alla
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larga per il tanfo e imprecano: “Ma chi ci ha addosso ‘sto
puzzo da vomito?!” Tira fuori il pesce, lo offre a Gesù... il
Nazareno lo sistema in un cesto con il pezzo di pane, scuote
il cesto, lo getta per aria: FUAFF! Dal cielo scende una
tempesta di paninoni imbottiti di pesci con già fuori la lisca e
l’oliva già infilzata insieme al limone. E tutti che azzannano
affamati e urlano: “Che bella religione è questa!”
Uno dei parenti venuto a cercarlo, grida: “Gesù, Lazzaro è
morto!” Il Nazareno si porta le mani al viso ed esclama:
“Oddio!”... espressione tipica di Gesù. Si sistema nel giusto
equilibrio in capo il cerchio d’oro e scende giù a valle.
Appena giunto alla casa della madre, la trova disperata; sono
giorni e giorni che non mangia, non dorme, piange come una
fontana. Il figlio, vedendo il suo dolore, è talmente rattristito
e preoccupato che decide di ridare la vita a Lazzaro. È
proprio per lei, per rivedere il sorriso e la serenità sul viso di
sua madre che realizza questo miracolo.
Il luogo deputato della giullarata è il cimitero. All’inizio non
c’è anima viva, ma ecco apparire tra le tombe un primo
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personaggio. È un curioso che viene a prendere posto per lo
spettacolo. Pian piano ecco, il camposanto si riempie di
spettatori che spingono, s’ammassano, s’insultano; ognuno
vuol godersi il miracolo dal posto più prossimo alla tomba di
Lazzaro. Entra in scena anche un ambulante che offre sedie
alle donne perché possano godersi lo spettacolo comode. Lo
segue un pescivendolo che offre sardine, acciughe appena
fritte. Per finire ecco un gruppo di scellerati che tengono
banco per le scommesse. Scommettono sul tempo che
impiegherà il Santo per far tornare in vita il defunto, se ci
riuscirà o meno e se Lazzaro risorto apparirà vispo o
allocchito.
In poche parole, in questa giullarata viene posto ben in
evidenza come tutta quella folla sia interessata unicamente
allo spettacolo e ignori il miracolo nel suo senso mistico e
nel grande significato d’amore che esprime.
Come per le altre giullarate anche in quest’ultima il
linguaggio usato è costituito da molti dialetti del nord Italia e
da termini onomatopeici, spesso inventati.
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Un solo giullare interpreta tutti i ruoli dei personaggi che
man mano si avvicendano sulla scena. Ma, è qui è proprio
nello stile dei cantastorie, essi vengono appena accennati nel
loro particolare ruolo. Basterà un lieve cambio di tono o
cadenza, una piccola variante di atteggiamento o gestualità
perché possiate intuire quali dei presenti stia parlando.
Inizieremo, come ho già detto, dall’entrata del primo
personaggio che si rivolge al guardiano del camposanto e gli
chiede dove si trovi la tomba del miracolando. Il guardiano
prende da ogni visitatore del denaro per concedere il diritto
di assistere allo spettacolo. Chiede due palanche anche ad
una donna e mezza palanca per il bimbo che tiene in
braccio.
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RESURREZIONE DI LAZZARO
Giullarata a una voce sola. Inizia il dialogo tra il primo
visitatore e il guardiano del camposanto.
“Ch'al scüsa… oh l'è quèsto ól simitéri, campusànto, due che
vai a fa’ ól ‘suscitaménto d'ul Làsaro? Quèlo che l'hano
sepelìto da quàter ziórni, che dòpo ‘riva un santón, un
stregonàsso, Jesus… me pare che se ciàmi… Fiòl de Déo de
sovranóme… salta föra el morto co' i ögi spiritàt e tüti che
vusa: “L'è vivo! L'è vivo!... e po’ ‘dèm tüti a béver che
s'enciuchémo ‘mé Dio!”. L'è chi lòga?
“(Nel ruolo del guardiano del camposanto) Sí, dòe baiòcchi
se vòi véder ól miracolo!
“(Torna ad interpretare il personaggio del visitatore) Dòi
baiòcchi mi a ti, parchè?”
“(Torna nel ruolo del guardiano del camposanto) Parchè mi
a sont ól guardiàn d'ól camposanto e déa èsser recompensà’
per tüti i impiastri e burdeléri che viàltri m'impiantì… che a
vegnìt chi… andì sü i sépi… pesté i tómbi… andé sui crósi,
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ve senté sui crósi… mé storté tüti i brasi de le crósi e me
rubìt tüti i lumìni! (Prende fiato) Dòi baiòcchi, se no andé in
un’óltro camposanto! Vòi véder se lì truvé un’óltro santo
bravo come ól nòster che con do' segni a tira föra i morti
come fungi! Andé, andé! Anca ti dòna, dòe baiòcchi! Ol
bambìn mèso baiòcco! Nol me importa se nol capìsse
negótta, quando serà grando te ghe dirà: "Pecàto che te s'éri
cusì inscimìt, incrugnìt de crapa, che no' t'è capì negòta e sul
plù bèlo del miracolo te me gh'ha pisà anca adòso!". (Si
rivolge ad un immaginario ragazzino che cerca di entrare
nel cimitero scavalcando il muro di cinta) Föra! Föra dal
müro! Desgrasió, canàja! Furbàsso… al vö vegnì deréntro a
vedérse ól miracolo a gratis!
(Rientrando nel ruolo del primo visitatore) “Bòja quante
tombe che gh'è! Che simitiéro grande! Varda quante cróse!
(Si rivolge direttamente al pubblico) Mi son vegnü apòsta a
la matìna presto a tegnì il pòsto parchè me piàse èsser
davanti bén ciàro a la tomba avèrta… a gh'è dei santoni
stregonàssi che fa' dei trüchi treméndi: i prepara un morto de
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soravìa, un vivo de sóta, fa i segni... TRACCHETE! Se
revòlta ól mesté: "L'è vivo! L'è vivo!". Mi vòi vedérghe
ciaro!
L'altra volta son 'rivà chi la matìna presto, dòpo mèsa
ziornàda che stévo chi a ‘speciàre, el miracolaménto l'han fa'
là in fondo e mi son restà chi come un barlòcco ciolà! Ma
'stavolta me son interessà, l'è chi-lòga ól Làsaro... Varda
quanta zénte che arìva... (Rivolgendosi alla gente intorno)
Eh! Ve piàse i miracoli, eh? No' gh’avìt niénte de fare eh?
(Mima di perdere l’equilibrio per uno spintone) Bòja no'
spignére! La tomba l'è avèrta! Bòrlo deréntro, po' ‘riva ól
santo: "Vivo! Vivo!"... e mi éro già vivo! (Indicando intorno
a sè) I arìva anca da la montagna... Ehi montagan, no' gh'avìt
mai visto un miracolo viàltri, eh?... (Commenta con ironia)
Forèsti! (A gesti, fa immaginare la presenza di un uomo di
bassa statura) Oh, pìcolo no' spìgnere! Pìcolo no' spìgnere!!
No' me importa se te s'èt picinìn e no' te vedi! Pìcoli, nani, e
stciancàt in ginögio, dée vegnìr la matìna a l'alba a tórse ól
pòsto! (Commenta con ironia) Ah, ah, ah... còssa te crede
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de vès in Paradiso, ti? Che i pìcoli saran i primi e i grandóni
in fila, i ültimi? Ah, ah, ah! (Si rivolge ad un altro
personaggio) Oh, dòna no' spìgnere! No' me importa se te
sèt fèmena! Devànti a la morte sémo tüti uguali!
(Direttamente al pubblico) No' végno miga qua per ól
miracolo, végno per le ridàde che me fago. (Gridando verso
l’esterno) Alóra, arìva ól santo? No' gh'è qualche d'ün de
voialtri che cognósse dóe sta de casa 'sto santo che lo vaga a
ciamàre... a dighe che sémo tüti preparàdi… che no' se pòl
‘speciàre tüta una ziornàda, andémo… per un miracolo...
Gh’émo altro de fare!... Ma metéghe un orario a 'sti
miracoli! E rispetélo! (Tra sè) ‘Riva?... (Ai presenti) No'
arìva!
(Fa immaginare l’ingresso di un affitta-sedie) Cadréghe!
Chi vòle cadréghe? Dòne! Catéve 'na cadréga! Dòi bajòchi
'na cadréga! Sentéve, che l'è grave pericolo restà in pie a
vardàrse un miracolamento! Che quando ‘riva ól santo, fa
dei ségn, el fa vegní feura ul Làsaro in pie... cui ögi
spiritati... ciapé un tal stremìsio-spavénto, andé indrìo cunt la
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crapa… andé a bàter sü un saso... TACCHETE! Morte!
Sèche! (Rivolto al pubblico) E ul santo ne fa ün sojaméente
de miracolo, incöe, eh! Catéve, catéve la cadréga! Dòe
baiòcchi! (Accenna ad uscire di scenae ritorna ad
interpretare il ruolo del primo visitatore) Pìcul… te sèt catà
'na cadréga, eh? Per diventar plù grando! Ma bravo! Monta,
monta che t'aìdo! Oplà! Va che pìcolo-grando! No' apogiàrte
chi-lòga sü la mia spala… te do' un trusùn che te sbato
deréntro la tomba 'vèrta, po' ciàpo ól quèrcio, te lo mèto de
soravìa, (mima di bussare da dentro la tomba) TON TON:
silénsio! TON TON etèrnum! (Sporgendosi verso l’esterno)
‘Rìva 'sto santo? No’ arìva! Ma no’ se pòl ‘speciàre tanto…
végne scüro! Ghe tóca pisà tüti i lumini, ‘riva il santo, se
sbàja de tomba, va su un'altra tomba e resuscita un’àlter
morto... ‘Riva la mama del Làsaro, comincia a piàgnere…
tóca ‘masàre ól morto apéna resuscitato! No' se fa 'ste
figure... gh'è i forèsti!
(All’istante mima l’ingresso di un venditore di pesce fritto)
Ohhhoh! Sardèle, sardèle, bòne, dólze, frite… dòi bajòchi…
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catévene un cartòcio. Bòne!… che i fa ‘suscitare i morti!
(Nel ruolo di un visitatore) Daghe un cartòcio al Làzaro, che
se prepara el stòmego!
(Altro visitatore) Cito, blasfemo!
(Nel ruolo del primo spettatore) Arìva la gént, tüti, tüti, i
apostoli, varda, varda! Tüti in fila col santo... Quel con tüti i
risulìn e la barba lònga l'è Piétro, quèl'altro con la crapa
pelàda e con la barba tüta rìsula, quèlo là l'è Paolo...
quèl'altro... (portando festoso la voce) Maarcooo!... (Cambio
tono: pavoneggiandosi, al pubblico intorno) Cognósso! Sta
'tacà de casa mia! (Leva le mani agitandole vistosamente in
segno di saluto, quindi, a gesti, avverte il santo che lo
attenderà a miracolo avvenuto per invitarlo ad una grande
bevuta) Ah, guarda quèlo l'è Jesus… quèlo pìcolo... Com a
l'è zióvin... guarda no' gh'ha gniànca la barba... come l'è
delicàt… ól pare un bagài. Mi me l’immazinàva plu tosto,
con una gran crapa de cavèi, cun dei paletóni (indica le
orecchie), cunt un crestón treméndo, cunt dei dénci, de le
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manàsse, che quand faséva i benedisiùn PAA!... faséva in
quattro i fedeli! Che zóvine che o l’è!
(Una voce fra la folla) Jeesuuus! Faghe ‘n'altra volta ól
miracolo de la moltiplicasióne dei pani e dei pessìt che éran
sì bòni... Dio la magnàda che gh'ho fàito!
(Altro personaggio) Ohi, ma ti no' ti pensi che a magnàre!?
(Risponde chi ha parlato prima) E per fòrsa! L’è par via che
semo chi-lò, in del çimitério… a mi la tensiön dei miracoli
me svòda ól stòmego in una manéra che me végne ‘na fame
de magnàrmi anco Dèo!
(Uno dei visitatori) Cito, cito che ól Jesus l’ha dàito l’órdén
de ingiunugiàs! Tüti i santi s'è metü in ginögio a pregare... e
anco i altri… anca noàltri dovémo andare in ginögio, se no il
miracolaménto no’ riésse!
(Altro visitatore) Mi no’ ghe vago. Mi no’ ghe vago! No' me
importa! No' ghe credo e no' ghe vago in ginögio!
(Altro visitatore) Te catàsse un fülmine che te storpiàsse i
giambi! (Mima di camminare da storpio) Po' va da Jesus:
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"Jesus, fame ól miracolo de...". Niénte! Un’altér fülmine...
TRAK!, anca le brasse! (Mima braccia da paralitico)
(Altro personaggio) Cito, cito… gh'ha da' l’órden de valsà la
piéra de la tomba.
(Uno dei presenti urlando, ordina e dirige il sollevamento
della pietra) Vàie insèma! Valzé ‘sto lastrón! Aténti ai pie!
(Uno spettatore tappandosi il naso) Bòja che spüssa che
végn föra! Che tanfo! Ma cosa gh’han bütà deréntro... un
gato marscìo?
(Altro visitatore) No, no, l'è lü… l'è Làsaro… Varda come l'è
cunscià!
ALTRO VISITATORE Ohia, l'è descomponìo... tüti i
vèrmini che ghe vegn föra dai ögi... Ah, che schìvio!
(Altro visitatore) Che schèrso che gh'han fato!
(Altro visitatore) A chi?
(Altro visitatore) Al Jesus! Gh'avéan dito che l'éra quatro
ziórni che l’avéan interà... Sarà almanco un mese che l'è sóto
tèra! No' ghe pòl riussìre 'sto miracolaménto...
(Altro spettatore) Parchè?
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(In risposta) Parchè l'è tròpo infrolàto 'sto morto!
(Altro visitatore) Ghe riésse uguale, parchè quèl lì è un
santón tale, che anco se in de la tomba ghè derentro quatro
òsi marscìdi e tüti sbirulàt, basta che lü ghe rivolta i ögi al
ziélo... due parole a suo Padre, e 'ste òsa de colpo se riempie
de carne, de muscoli e VUUUMMM!, ól va via ‘mé 'na
légura a saltelón!
(Altro personaggio) No' di' strunsàde!
(Altro visitatore) Come strunsàde?! Fémo scomèsa? Sìnquo
contro quatro che ghe riésse!
(Altro visitatore) Sète contro diése che no' ghe riésse! Tégno
banco mi! (Rivolto agli immaginari spettatori con tono da
bookmaker che raccoglie scommesse) Tre, quattro, dòi... oto
che riése… sète che no’ ghe la fa…
(Altro visitatore, disgustato) Basta! Vergogna! Col santo
ancora lì ch'el prega, e lori a far scomèsa! Blasfémio!
Vergogna!... (All’improvviso) Zìnque baiòcchi per mi che
ghe riésse!
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(Altra voce) Cito! Ól santo el punta ól morto e ghe ordina:
"Végne föra Làsaro!".
(Altro personaggio) Ah, ah, vegniràn föra i vèrmini che l'è
impiegnìdo!
(Altro spettatore indignato) Cito blasfémio!
(Altro personaggio, allibito) Ol s'è moeve! Deo gràsia ól s'è
moeve! Ol l'è vivo! (Mima il movimento di Lazzaro che
risorge, barcollando) Ol Làsaro ól mónta, mónta, mónta...
végn sü, végn sü, végn sü... ól bòrla, ól bòrla, ól bòrla... va
giò, va giò, végn sü! Se scròda come un cagn che végne föra
da l'acqua… tüti i vermèni spantegà! (Mima di ripulirsi
schifato, faccia e corpo dei vermi che gli sono arrivati
addosso) Oh! Desgrasiò! Va piàn co' 'sti vèrmeni!
(Altro visitatore cadendo in ginocchio) Miracolo! Ol l'è
vivo! Ol l'ha resüscitàt! Bòja, varda ól ride, ól piagne.
A turno i personaggi si esaltano per il miracolo
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(Altro visitatore, a sua volta in ginocchio) Meravegióso fiòl
de Deo! Mi no' credevo miga che ti té fudèsse cossì
miracolànte... (quindi, veloce verso il bookmaker) Gh’ho
vinciü mi! Sète baiòcchi cóntra sìnque! (A Gesù)
Maravegióso! Bravo Jesus, bravo!... (All’istante si palpa sul
ventre e sul fianco) La mia borsa!?... Ladro! Bravo Jesus!
(Volto verso l’esterno) Ladro! Ladro! Jesus, bravo!... (Esce
correndo, volgendo ripetutamente il capo sia verso Gesù che
verso l’esterno) Ladroooo!… Jesus bravo, Jesus! Ladroooo!
Jesus bravo, Jesus! Ladroooo!
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TRADUZIONE
Inizia il dialogo tra il primo visitatore e il guardiano del
camposanto
“Scusi... è questo il cimitero, camposanto, dove vanno a fare
il resuscitamento (la resurrezione) del Lazzaro? Quello che
hanno seppellito da quattro giorni, che dopo arriva un
santone, uno stregone, Jesus... mi pare che si chiami… Figlio
di Dio di soprannome… salta fuori il morto con gli occhi
spiritati e tutti che gridano: “È vivo! È vivo!... e poi andiamo
a bere e ci ubriachiamo come Dio!”. È qui?
“(Nel ruolo del guardiano del camposanto) Sì, due baiocchi
se vuoi vedere il miracolo!”
“(Torna ad interpretare il personaggio del visitatore) Due
baiocchi io a te? Perché?”
“(Torna nel ruolo del guardiano del camposanto) Perché io
sono il guardiano del camposanto e devo essere
ricompensato per tutti gli impiastri e bordelli che voialtri mi
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combinate... che venite qui… mi schiacciate le siepi…
calpestate le tombe… vi sedete sulle croci… mi stortate tutte
le braccia delle croci... e mi rubate pure i lumini! (Prende
fiato) Due baiocchi, se no andate in un altro camposanto!
Voglio vedere se trovate un altro santo bravo come il nostro
che con due segni tira fuori i morti come funghi! Andate,
andate! Anche tu donna, due baiocchi! Il bambino mezzo
baiocco! Non mi importa se non capisce niente, quando sarà
grande gli diranno: “Peccato che eri così tonto… imbesuito
di testa, che non hai capito niente e oltretutto, sul più bello
del miracolo mi hai spiaccicato anche addosso! (Si rivolge
ad un immaginario ragazzino che cerca di entrare nel
cimitero scavalcando il muro di cinta) Fuori! Fuori dal
muro! Disgraziato, canaglia! Furbastro, vuole venire
deréntro a vedersi il miracolo gratis!”
(Rientrando nel ruolo del primo visitatore) “Bestia, quante
tombe che ci sono! Che cimitero grande! Guarda quante
croci! (Si rivolge direttamente al pubblico) Io sono venuto
qua apposta la mattina di buon’ora a prendermi un bel posto,
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perché mi piace esser davanti... mi piace vedere ben chiaro
dentro la tomba aperta… ci sono dei santoni-stregoni che
fanno dei trucchi tremendi: sistemano dentro un morto sopra,
un vivo sotto, fanno gesti da santoni... TRACCHETE!, si
rivolta il marchingegno: “È vivo! È vivo!”. Io voglio vederci
chiaro!
L’altra volta sono arrivato la mattina presto, dopo mezza
giornata che stavo qui ad aspettare, il miracolo l’han fatto là
in fondo e io sono restato qui come un imbesuito fottuto! Ma
‘stavolta mi sono interessato, è qui il Lazzaro... Guarda
quanta gente che arriva... (Rivolto alla gente intorno) Eh! Vi
piacciono i miracoli, eh? Non avete niente da fare eh? (Mima
di perdere l’equilibrio per uno spintone) Boia non spingete!
La tomba è aperta! Ci casco dentro, poi arriva il santo:
“Vivo! Vivo!”... e io ero già vivo! (Indicando intorno a sè)
Arrivano anche dalla montagna... Ehi montanari non avete
mai visto un miracolo voialtri, eh?... (Commenta con ironia)
Forestieri! (A gesti, fa immaginare la presenza di un uomo
di bassa statura) Oh, piccolo non spingere! Piccolo non
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spingere!! Non m’importa se sei basso e non vedi! Piccoli,
gli storpi nelle ginocchia, devono venire all’alba a prendersi
il posto! (Commenta con ironia) Ah, ah, ah... credi di essere
in Paradiso, dove i piccoli saranno i primi e i grandoni in
fila, gli ultimi? Ah, ah, ah! (Si rivolge ad un altro
personaggio) Oh, donna non spingere! Non mi importa se tu
sei femmina! Davanti alla morte siamo tutti uguali!
(Direttamente al pubblico) Non vengo mica qua per il
miracolo, vengo per le gran risate che mi faccio. (Gridando
verso l’esterno) Allora, arriva il santo? Non c’è qualcuno di
voialtri che conosca dove sta di casa ‘sto santo che lo vada a
chiamare... a dirgli che siamo tutti preparati… che non si
può aspettare tutta una giornata, andiamo… per un
miracolo... Abbiamo altro da fare!... Ma metteteci un orario
a ‘sti miracoli! E rispettatelo! (Tra sè) Arriva?... (Ai
presenti) Non arriva! (Fa immaginare l’ingresso di un
affitta-sedie) Sedie! Chi vuole sedie? Donne! Affittatevi una
sedia! Due baiocchi una sedia! Assettatevi, che è grave
pericolo stare in piedi e rimirarsi un miracolo! Che appena
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arriva il Santo e fa dei segni, sorte il Lazzaro ritto... con gli
occhi spiritati… vi prende un tale spavento che vi rovesciate
all’indietro con un gran tonfo e sbattete la testa su una
pietra... TACCHETE! Morte! Secche! (Rivolto al pubblico)
E il santo ne fa uno solamente di miracolo oggi, eh!
Prendete, affittatevi la sedia! Due baiocchi! (Accenna ad
uscire di scena e ritorna ad interpretare il ruolo del primo
visitatore) Piccolo… ti sei preso una sedia, eh? Per diventare
più grande! Ma bravo! Monta, sali che ti aiuto! Oplà! Va che
piccolo-grande! Non appoggiarti sulla mia spalla… che ti
ammollo una spintonata... ti sbatto dentro la tomba
spalancata, poi acchiappo il coperchio, te lo sistemo sopra,
(mima di bussare da dentro la tomba) TON TON: silenzio!
TON TON: eterno!...
(Sporgendosi verso l’esterno) Arriva ‘sto santo? Non arriva!
Ma non si può aspettare così tanto… viene scuro! Ci tocca
appicciare (accendere) tutti i lumini, arriva il santo, si
sbaglia di tomba, va su un’altra tomba e resuscita un altro
morto… Spunta la mamma di Lazzaro, scoppia a piangere…
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tocca ammazzare il morto appena resuscitato! Non si
possono fare ‘ste figure... c’è gente di fuori! (All’istante
mima l’ingresso di un venditore di pesce fritto) Ohhhoh!
Sardine, sardine, buone, dolci, fritte… due baiocchi…
prendetevene un cartoccio! Buone!… che fanno resuscitare i
morti!
(Nel ruolo di un visitatore) Ehi sardine, danne un cartoccio
al Lazzaro, che si prepara lo stomaco!
(Altro visitatore) Zitto, blasfemo!
(Nel ruolo del primo visitatore) Arriva la gente, tutti, tutti,
gli apostoli... guarda, guarda! Tutti in fila con i santo...
quell’apostolo lì... è Pietro, con tutti i ricciolini, la barba
lunga... quel altro con la testa pelata e con la barba tutta
riccia, quello è Paolo... quell’altro... (portando festoso la
voce) Maarcooo!... (Cambio tono: pavoneggiandosi, al
pubblico intorno) Conosco! Sta appresso a casa mia... (Leva
le mani agitandole vistosamente in segno di saluto, quindi, a
gesti, avverte il santo che lo attenderà a miracolo avvenuto
per invitarlo ad una grande bevuta) Ah, guarda quello è
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Gesù… quello piccolo... Come è giovane... guarda non ha
neanche la barba... com’è delicato… pare un ragazzino. Io
me lo immaginavo più tosto, con una gran testa di capelli...
con delle pallettone (indica le orecchie), una crestona
tremenda, con dei denti, delle manone, che quando
cominciava a benedire: PAA!... troncava in quattro i fedeli!
Che giovane che è!...
(Una voce fra la folla) Jeesuuus! Facci un’altra volta il
miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci che eran
così buoni... Dio la mangiata che ho fatto!
(Altro personaggio) Ohi, ma tu non pensi che a mangiare!?
(Risponde chi ha parlato prima) E per forza! Siamo qua, al
cimitero... a me la tensione dei miracoli mi svuota lo
stomaco in un modo che mi viene una fame che mio
mangerei anche Dio!
(Uno dei visitatori) Zitto, zitto che Jesus ha dato l’ordine di
inginocchiarsi! Tutti i santi si sono messi in ginocchio a
pregare… e anche gli altri… anche noi dobbiamo
inginocchiarci, se no il miracolo non riesce!
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(Altro visitatore) Io non ci vado. Io non ci vado! Non mi
importa! Non ci credo e non ci vado in ginocchio!
(Altro visitatore) Ti prendesse (colpisse) un fulmine che ti
storpia le gambe! (Mima di camminare da storpio) Poi vai
da Gesù: “Gesù, fammi il miracolo di...” Niente! Un altro
fulmine... TRAK!, anche le braccia! (Mima braccia da
paralitico)
(Altro personaggio) Zitto, zitto… ha dato l’ordine di
sollevare la pietra della tomba. (Uno dei presenti urlando,
ordina e dirige il sollevamento della pietra) Forza! Insieme!
Alzate ‘sto lastrone! Attenti ai piedi!
(Uno spettatore tappandosi il naso) Boia che puzza che
viene fuori! Che tanfo! Ma cosa ci hanno buttato dentro... un
gatto marcio?
(Altro visitatore) No, no, è lui, è Lazzaro, guarda come è
ridotto!
(Altro visitatore) Ohia, quasi putrefatto… tutti i vermi che
gli sortono dagli occhi... Ah, che schifo!
(Altro visitatore) Che scherzo che gli hanno fatto!
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(Altro visitatore) A chi?
(Altro visitatore) A lui, a Gesù! Gli avevano raccontato che
era seppellito da soli quattro giorni... Sarà almeno un mese
che è sotto terra! Non gli può riuscire ‘sto miracolo...
(Altro spettatore) Perché?
(In risposta) Perché è troppo frollo ‘sto morto!
(Altro visitatore) Io son sicuro che ce la fa eguale, perché
quello è un santone tale, che anche se nella tomba ci stanno
quattro ossa marce fradice, basta che lui rivolga gli occhi al
cielo... due parole a suo Padre, e ‘ste ossa di colpo si
riempiono di carne, di muscoli, e VUUUMMM!, va via a
saltelloni come una lepre!
(Altro personaggio) Non dire stronzate!
(Altro visitatore) Come stronzate?! Facciamo scommessa?
Cinque contro quattro che ci riesce!
(Altro visitatore) Sette contro dieci che non ci riesce! Tengo
banco io! (Rivolto agli immaginari spettatori con tono da
bookmaker che raccoglie scommesse)
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(Altro visitatore) Tre, quattro, due… otto che riesce… sette
che non ce la fa…
(Altro visitatore, disgustato) Basta! Vergogna! Col santo
ancora lì, che prega e loro che fanno scommesse! Blasfemi!
Vergogna!... (All’improvviso) Cinque baiocchi per me che ci
riesce!
(Altra voce) Zitti! Il santo punta il morto e gli ordina: “Vieni
fuori Lazzaro!”.
(Altro personaggio) Ah, ah, verran fuori i vermi del ripieno.
(Altro spettatore) Zitto blasfemo!
(Altro personaggio, allibito) Si muove! Deo grazia si
muove! È vivo! (Mima il movimento di Lazzaro che risorge,
barcollando) Il Lazzaro si rizza, monta, è in piedi... casca,
casca, casca... va giù, va giù, viene su! Si scrolla come un
cane che sorte dall’acqua... tutti i vermi si spargono intorno!
(Mima di ripulirsi schifato, faccia e corpo dei vermi che gli
sono arrivati addosso) Oh disgraziato! Va piano con ‘sti
vermi!
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(Altro visitatore cadendo in ginocchio) Miracolo! È vivo!
L’ha resuscitato! Boia, guarda: ride, piange.
A turno i personaggi si esaltano per il miracolo
(Altro visitatore, a sua volta in ginocchio) Meraviglioso
figlio di Dio, io non credevo che tu fossi così miracoloso!
(quindi, veloce verso il bookmaker) Ho vinto io! Sette
baiocchi contro cinque! (A Gesù) Meraviglioso! Bravo
Jesus, bravo!... (All’istante si palpa sul ventre e sul fianco)
La mia borsa!?... Ladro!
(Volto verso l’esterno) Ladro! Ladro! Gesù, bravo! (Esce
correndo, volgendo ripetutamente il capo sia verso Gesù che
verso l’esterno) Ladroooo!… Jesus bravo, Jesus! Ladroooo!
Jesus bravo, Jesus! Ladroooo!
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LA MADONNA INCONTRA LE MARIE -
Prologo 2000
Il brano che segue è relativo ad un'altra situazione tragica:
una passione laica che proviene dalle laudi antiche dell'Italia
centro meridionale, in particolare dall'Umbria.
Si tratta della Madonna che incontra per la strada le Marie
che stanno andando al mercato. Con loro discute della spesa
e dei prezzi. Sul fondo passano le croci, si sentono grida e
insulti. Questo ricorda un quadro famoso di Bruegel dove
vediamo Maria con le altre donne in primo piano; c'è il
mercato, ci sono i saltimbanchi, c'è baccano, festa, e in
fondo, minuto, s'intravede il passaggio delle croci, la
crocefissione, e tutto avviene lì come dimenticato, come un
fatto secondario.
L'insieme é un'invenzione drammatica sconvolgente.
Il brano può essere agito con la partecipazione di attori
diversi che interpretano i vari ruoli. Nel nostro caso abbiamo
preferito seguire la tradizione dei fabulatori medioevali che
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da soli riuscivano a interpretare tutti i ruoli. Franca si
accollerà il difficile compito di recitarlo in una lingua
inventata dai giullari del sud.
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LA MADONNA INCONTRA LE MARIE
Versione in pseudo campano
PERSONAGGI
Maria-Amelia -Joànna-Veronica
La Madonna jéva pe' la via, e quànno giònse d'apprèsso allo
mercato vecchio, encontròe Amelia e Joànna amiche sòe:
"Salute Joànna e bòna jornàta anche a té Amelia... avìte già
fatte le spese?"
Quìnci se fanno li sòliti commentàri su li prezzi che mónteno
sanza raggióne. De botto se séntono crida e vociàre con
trambùsto:
"Che d'è? - dimànna la Maria - Dove se ne sta annàndo tutta
‘sta ggiénte? Che accade laggiù in lo fónno?"
"Ce sarà de segùro 'nu matremònio-sponsàle." fa Joànna.
"Sì, ci hai endovenàto, è 'nu sponsàle… - s'affrétta Amelia -
stàggio vegnéndo jùsto de ìllo lòco impròprio mò."
"Jàmmoce a véde!" dice la Madonna, e s'avvìa.
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Joànna l'arresta: "No, affrettàmoce allu mercato."
"Ma 'no, un àttemo soléngo … fàmmece véde, che mé
gustano assàje li sponsàli! Cómme all'è la sposa... gliè
giòvina? E lo sposo, tu lo conósse?"
"Créo che débbia esse ‘no forèsto. Jammocénne Maria...
tornàmmoce alla casa, che ce avìmmo anco’ da métterce
l'acqua allu fòco."
"Attiénde... ascùlta... se stanno a biastemàre chilli!"
"Biastamaranno pe' 'lecrìa e contintézza…"
"No, mé rassoméglia che lo dìcheno co' rabbia. Strigóne,
stròlego... hanno criàto... sì, l'intendìo ziùsto... Ascórtate che
i vanno a repètere... Contro chi ce l'avranno Amelia?"
"Mo' che mé arrecòrdo, no' all'è pe’ 'nu sponsàle
ch’allùccano, ma di contra a uno che l'hanno descovèrto èsta
notte che stéva a ballà co' 'no cavróne, che po' illo ell’éra lu
diàbbolo."
"Ah, pe' ‘sta raggióne jé dìcheno stregonàzzo!"
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"Sì, ello serà pe' chisto... ma jammocénne alla casa che no'
so' spectàculi da véde a chilli... che té po' pijà lü
maluòcchio."
La Madonna Maria se vòlze a mirà lo fónno de la via e ce
remàne sanza respìro: "Vìde, ci stà 'na crócie che spónna
sóvra le teste de la ggiènte... e là... altre doi crócie che
mónteno mo'!"
Joànna jé dà de spónna: "Sì, cotest'altre so' de dòi
laddróni..."
"Meschìna ggiènte... li vanno a encrocefìggere a tutt'e tre…
Chissà la màtre a lloro! E magàre, poradònna mànco sàpe
che li stanno a occìdere lo so' fijòlo."
En quèllo zónze currènno la Maddalena. Ella co' lo fiatóne jé
crìda:
“Maria! Oh Maria… lo fìjo vuóstro... Jesus...”
Joànna l'ammùtola allo istànte e la spentóna: “Ma sì, ma sì...
issa lo sàpe già pe' conto sòjo…(A parte) E statte azzìtta
desgrazziàta!"
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E Maria: "Che d'è che saccìo de già? Che jè capetàto allo fìjo
mèo?"
"Nunca... còssa vulìte che jé càpeta allo fìjo vuóstro... santa
fémmena? Jè sojamènte... (cambia tono) Ah, ancora nu' té
l'avéa ditto? Oh, sànza càpa che songh'ìo! Lo fìjo tòjo mé
avéa fatto prèscia de dàtte l'avvisàta che ìllo no' sarrìa
returnàto a mèzzo jùorno... che s'è accattàto l'empégno
d'annà sovra lü monte a contà paràbbule."
E Maria alla zóvine: "Quìnce, è cotésta l’ambbassciàta che
mé volìvi dàmme pure tu?"
"Sì, cotésta ellèra, Madonna..."
"El Segnore séa benedécto fijòla! Tu eri zonta cossì
all'intrasàtte corrènno anseósa, che m'ero accattàto 'nu
spaviénto da sbattecòre. Mé c'ero affiguràta nun sàccio quàre
desgràzia! Quanto sìmmo allòcche noàltre màtri àlle vvòte!
Pe’ gniénte ce se póne allo tràggeco!"
E Joanna ce pone 'no càreco de òndece: "Sì, ma anco ‘sta
ammattìta che zónze corrènno alla desesperàta pe' venì a
dàtte l'annònzio de ‘sta cojonarìa!"
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"Bòna, Joanna… no' stàtte a vosciàre de contra ‘sta
criatùra… Non dementegà che 'll'è venuta a famme lo
piazére de 'n'ambbasciàta! (Alla Maddalena) Cómme té
chiàmmi té pitòsto... che mé pare de acconóserte?"
"(Con imbarazzo) Io… mi son la Maddalena…"
"Maddalena? La quale?… Chèlla?"
E Joànna: "Sì, è a chèlla... la cortezzàna. Jammocénne
Maria, jàmme alla casa ch'è mejór assàje che nu' ce facìmmo
véde co' certa ggiènte, che no' istà bbène."
"Ma io nu' fazzo cchiù lü mestiere."
"Ello sarrà pecchè no' té retruóvi cchiù zozzóni da pijàre.
Vatténne, svergognàta!"
"No, nun l'alluccà accussì, pòvara criatùra. Si lo Jesù mèo la
tène en tanta attenzione d'enveàrla a mé per damme avvisàta,
èllo segno che mo' ha mìso jodìzio... (Alla Maddalena) L'è
vero?"
"Sì, jò fazzo jodìzio mo'."
E Joànna tosta: "Sì, vàcce a créde... Lo fatto gli è che lo fìjo
tòjo è troppo bono assàje… Se lasse còjere de la
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cumpassiòne... e lo fòtteno tutt'e quanti! Tène sèmpe
attuòrno 'nu sacco de poltróni, sfatecàti, sanza nì lavoro, nì
arte... muórte e fàmme... desgrazziàti e pottàne... pari a
chèlla!”
“Tu allùcchi da cattìva Joànna! Illo, lo fìjo méo, dìsce sempe
che è per issi, sóvra ógne cosa, per issi... sbarandàti e
perdùti… pe’ chilli, che allè vegnùto a 'sto mònno: pe' dacce
la esperànza!”
“Va buóno... ma nun té capàcita che in ésta mannèra, ìllo nu'
ce fa bòna fegùra… se fa parlà d'arrèta! Co' tutta la ggiènte
de bòna levàta che ce stà ìnta lü paese: li segnòri co' le dame
lori, li dottori, li mercànti... che ìllo co' lo so' fare zantìle,
arudìto e saviénte se arritrovarébbe sùbbeto nelle màneche
lori e n'averébbe onnòre e l'aiùti, se n'avesse lo besògno. E
envéce, no! Sacrepànte, se va a emmeschiàre co' li
petocchiòsi-villani e contra a chilli là!”
“(Maria accorata) Fate mente cómme a crìdeno e rìdeno!
Ma no' se scòrgheno cchiù le crósci!”
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“(Giovanna proseguendo nel suo discorso) A parte che
poderébbe pure facce a meno de sbeceràre de contìnuo
contra li prèveti e li monsegnòri... chìlli no' la perdòneno a
nisciùno!”
“(La Madonna con lo sguardo al di là delle mura) Ah, vìde
a nuovo le tre crósci!”
“(Giovanna non si arresta di discorrere) Chìlli, ‘nu jórno jé
la fagarà pagare! Jé fagarànnu déllu male!”
“Fàje déllu male a lu fìjo méo? E pecché... ch'è accussì
bbòno? No' ddona che bbeni a ognuno... anco a chille che
no' jé lo dimànna! (Tutta presa da ciò che sta succedendo in
fondo alla strada) Siénte... stanno a réta a sghegnazzà de
nòvo! Uno de li tre ha da esse cascato pe' terra… (Riprende
il dialogo con le donne) Ogne uno ce vo' bbene allo fìjo
méo... no' è 'o vero? Dìmme Maddalena…”
“Sì, anco io jé vòjo bbene!”
“Oh, lo canuscìmmo tutti, che ispiràto bbene i vòi tu, allo
fìjo sòjo de la Maria!.”
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“Io no' tèngo che 'n'ammóre iguàle che pe' 'nu fratello, pe'
ìllo... mo'!”
“Mo'? Pecché, ànte allora?”
“Joànna, furnìsci 'nu mumènto de dàcce turmiénto a ‘sta
criatùra... Che t'ha fatto? Nu' vìde che già sta murtificàta!
(Cambia tono: molto angosciata) Comm'è che crìeno tanto?
(Torna a dialogare) E se ànco fusse che ella, ‘sta jóvine,
tegnésse un'ammóre pe' ìsso, de chello chi le fémmene dellu
normale tèneno pe' l'òmmi che ce piàceno... e bbene, allora?
Nun è 'n'òmmo lo fìjo méo forse… en oltre che Deo? De
òmmo tène l'uócchi, le màne, li piédi… tutte d'òmmo téne...
finànco li dulòri e l'allerìa. Dònca, ce toccarà a ìsso mésmo,
allo fìjo méo, descìdere... che savrà bbène illo cosa è da
fàcere quanno vegnerà lo mumènto sòjo. S'ìllo vurrà piàrsela
'na sposa, pe' mé, a chélla che scernirà, io jé vojerò bbène
come fusse la fijòla méa... o almànco mé ce sforzarò. E ci ho
esperanza assàje che zónga en prèscia 'sto jòrno… che
oremài ha compeùto triénta e tre anni... ed è lu tiémpo che se
fazza 'na famìja. (Cambia tono: accorata) Oh che sgarberàto
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criàre che fanno là nello fónno... E comm'è nìra ‘sta crósce!
(Torna a dialogare) Oh, mé piacerébbe assàje avécce pe'
casa delli piccirìlli sòj... d'ìsso… da fàlli jogàre, addormìre…
ch'io ne canósco assàje nénne de culla e firastòcche... e
c'averèi gusto de dàcce vizi... e contàcce fàvule, ma de chélle
che fornìsse sèmpe bbène e in jocundetà!”
“Sì, va buóno, ma mo' sòrti da li suógni, Maria…
jammucénne che de 'sto passo nu' magnàmmo cchiù manco a
sera.”
“Nun ci ho fame... io... nun ne sàccio la raggióne... ma m'è
‘egnùta dìnta 'na strézza 'e stòmmeco... Besògna pròpio che
ce vada a véde chéllo che va a capetàre là en fóndo.”
“No' arrèstate! Nun ci annàre! So' spittàculi chilli che
t'appuóngono en trestìzzia. T'acchiàppa 'nu strappacòre pe'
ttütto lo juórno... e lo fìjo tòjo no' sarà cuntènto. Pol'essere
che ìnta 'stu mumènto, ìllo se truóva già en la casa che ce stà
aspettànno… e magàre ce ha pure fame!”
“Ma se m'ha mannàto a dire che no' vène!”
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“Beh, lo po' avécce avùto 'nu repensamènto... che tu bén lo
sàbe cómme so' li fìji. Quanno tu l'attèndi alla casa no'
tòrneno e i respóntano quànno tu no' l'attèndi pe' gniénte pe’
cchisto besògna stàcce sempe appreparàte, cu' la zuppa allu
fòco.”
“Sì, tu ci hai raggióne… jammocénne. (Alla Maddalena) Ce
vòi vegnìre pure a té, Maddalena, a pijàrte 'na
scudella?”“Co' piacére... se no' vé dóngo, se non vi do
empìccio.”In chill'estànte sullo fónno passa la Veronica e la
Madonna addimànna: “Còssa pol'èsser capetàto a ch’élla
fémmena, che tène ìntra le mani 'nu panno
tutt'ensanguenàto? (A Veronica) Oh, amica mea, ve sìte
ferùta?”
“No, no’ é am mè ch’è capetato… ma uno de chìlli
cundannàti che hanno mìso de sotto a la crosce.”
“(Col fiato che le manca, come se presagisse la risposta) Lo
quale?”
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“Chìllo che 'cce crìano stròlego... ma che stròlego nun è, ma
santo! E lo se lèzze da chìlli uócchi dósci che tène. Ci ho
asciugàto la fàzza ensanguenàta...”
“Oh, fémmena de pitàde…”
“Vìde, l'hàggio asciuttàto co' ‘sta tovàglia e n'è sortùto 'nu
miràculo! Illo m'ha lassàto l'emprònta de la figùra sója che
pare 'nu retràtto.”
“(Quasi senza voce) Fàmmece dà 'n'uócchio…”
“Sì, té lo fàzzo véde.”
“(Joànna cerca di trattenerla) No Maria, làssa pèrde!”
“Té lo làsso véde, ma ànte, o donna, ségnate cu lü segno de
la crosce!” (Mostra il tovagliolo: Maria cade a terra priva
di sensi)
“Ch'hai fatto! 'Nu vìdi che mo' è desvegnùta!”
“Oh Gesù! Ch'hàggio combenàto! E pacché è desvegnùta? É
parènte a chìllo?”
“La Màtre è. La Matre de lo Segnóre!
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TRADUZIONE
La Madonna andava per la via, e quando giunse vicino al
mercato vecchio, incontrò Amelia e Giovanna amiche sue:
“Salute Giovanna e buona giornata anche a te Amelia…
avete già fatte le spese?”
Quindi si fanno i soliti commenti su i prezzi che montano
(aumentano) senza ragione. All’istante si sentono grida e
vociare con trambusto:
“Che è? - domanda Maria - dove se ne sta andando tutta ‘sta
gente? Cosa succede laggiù in fondo?”
“Ci sarà di sicuro uno sposalizio.” fa Giovanna.
“Sì, hai indovinato, è uno sposalizio... - s’affretta Amelia -
sto venendo giusto da luogo proprio adesso.”
“Andiamo a vedere!” dice la Madonna, e s’avvia.
Giovanna l'arresta: "No, affrettiamoci al mercato."
"Ma no, un attimo solo… fammi vedere, che mi piacciono
tanto i matrimoni! Com’è la sposa… è giovane? E lo sposo,
tu lo conosci?”
02/10/2012 304
“Credo che debba essere (che sia) un forestiero.
Andiamocene Maria… torniamo a casa, che ancora
dobbiamo mettere l’acqua sul fuoco.”
“Aspetta… ascolta… stanno bestemmiando, quelli!”
“Bestemmieranno per allegria e contentezza...”
“No, mi sembra che lo dicano con rabbia. Stregone… hanno
gridato... sì, ho inteso giusto... ascoltate che lo vanno a
ripetere… Con chi ce l’avranno Amelia?”
“Adesso che mi ricordo, non è per uno sposalizio che
gridano, ma contro uno che hanno scoperto questa notte
mentre ballava con un caprone, che poi era il diavolo.”
“Ah, per questo gli gridano stregone!”
“Sì, sarà per questo... ma andiamo a casa che non sono
spettacoli da vedere quelli… che ti può pigliare il
malocchio.”
La Madonna Maria si volge a mirare il fondo della via e
rimane senza respiro: “Guardate, c’è una croce che spunta
sopra le teste della gente… e là… altre due croci che
seguono!”
02/10/2012 305
Giovanna le tiene bordone: “Sì, quest’altre sono di due
ladroni...” “Meschina gente... vanno a crocifiggerli tutti e
tre... Chissà le loro madri! E magari lei, povera donna non ne
sa nulla di quello che stanno facendo a suo figlio”
In quel momento giunge correndo la Maddalena. Ella col
fiatone le grida: “Maria! Oh Maria... il figlio vostro…
Jesus...”
Giovanna l’ammutolisce all’istante e la spintona: “Ma sì, ma
sì… lo sa di già per conto suo... (A parte) Stai zitta
disgraziata!”.
E Maria: “Cosa è che so già? Cos’è capitato al figlio mio?”
“Niente... cosa dovrebbe essergli capitato al figlio vostro…
santa donna? C’è solo che... (cambia tono). Ah, ancora non
te lo avevo detto? Oh, senza testa che sono! Tuo figlio mi
aveva fatto premura di avvisarti che lui non sarebbe ritornato
a mezzogiorno… perché si è accattato l’impegno di andare
sulla montagna a raccontare parabole.”
E Maria alla giovane: “Quindi figliola, è questa ambasciata
che mi volevi dare pure tu?”
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“Sì, questa era, Madonna…”
“Il Signore sia benedetto figliola! Tu eri arrivata
all'improvviso correndo ansiosa, che io mi ero presa uno
spavento da “sbatticuore”. Mi ero già figurata non so quale
disgrazia! Come siamo allocche noialtre mamme a volte: un
contrattempo e gridiamo subito alla tragedia!”
E Giovanna ci pone un carico da undici: “Sì, ma anche ‘sta
matta che arriva precipitando alla disperata per venire a darti
l’annuncio di questa coglionata!”
“Buona, Giovanna... non stare a vociare contro ‘sta figliola...
Non dimenticarti che è venuta per farmi il favore di una
ambasciata! (Alla Maddalena) Come ti chiami tu piuttosto…
che mi sembra di conoscerti?”
“(Con imbarazzo) Io sono la Maddalena...”
“Maddalena? Quale?… Quella?”
E Giovanna: “Sì, è quella... la cortigiana. Andiamocene
Maria, andiamo a casa che è più conveniente che non ci
facciamo vedere con certa gente, che non ‘sta bene.”
“Ma io non faccio più il mestiere.”
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“Sarà perché non trovi più zozzoni da accalappiare! Vattene,
svergognata!”
“No, non aggredirla povera creatura. Se Gesù mio la tiene in
tanta fiducia da mandarla a me per recarmi un avviso è
segno che adesso ha messo giudizio… (alla Maddalena) È
vero?”
“Sì, faccio giudizio ora.”
E Giovanna tosta: “Sì, vai a crederle... Il fatto è che tuo
figlio è troppo buono… si lascia molcire di compassione… e
lo fottono tutti quanti! Si tiene sempre attorno un mucchio di
poltroni, sfaticati, senza lavoro né arte… morti di fame…
disgraziati e puttane… uguali a quella!”
“Tu parli da cattiva Giovanna! Lui, il figlio mio, dice sempre
che è per loro, sopra ogni cosa, per loro… sbandati e
perduti… è per quelli, che è venuto a questo mondo: per
recar loro speranza!”
“Va bene… ma non ti capaciti che in questa maniera, non ci
fa una buona figura… si fa mormorare addosso! Con tutta la
gente ben ‘levata che abbiamo in paese: i signori con le
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dame loro, i dottori, i mercanti... che lui con il suo fare
gentile, erudito e sapiente si troverebbe subito nelle loro
maniche, e ne avrebbe onori e aiuti, se ne avesse bisogno. E
invece, no! Sacripante, si va a mischiare con i pidocchiosi,
villani e contro a quei maggiori!”
(Maria accorata) “Fate caso a come gridano e ridono! Ma
non si scorgono più le croci!”
“(Giovanna proseguendo nel suo discorso) A parte che
potrebbe fare pure a meno di sbecerare, sparlar di continuo
contro i preti e i monsignori... quelli non la perdonano a
nessuno!”
“(La Madonna con lo sguardo al di là delle mura) Ah,
vedete di nuovo le tre croci!”
“(Giovanna non s’arresta di discorrere) Quelli, un giorno
gliela faranno pagare! Gli faranno del male!”
“Far del male al figlio mio? E perché? Così dolce che è?
Non dona che bene a tutti… anche a quelli che non glielo
domandano! (Tutta presa da ciò che sta succedendo al di là
delle mura) Sentite... stanno sghignazzando di nuovo! Una
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delle croci è caduta… qualcuno è finito a terra... (Riprende il
dialogo con le donne) Ognuno vuole bene al figlio mio...
non è vero? Dimmi Maddalena…”
“Sì, anch’io gli voglio bene!”
“Oh, lo conosciamo tutti, che ispirato bene gli vuoi tu, al
figlio di Maria!” “Io non ho amore uguale che per un
fratello, per lui… ora!”
“Adesso! Perché, prima quindi?”
“Giovanna, smettila un attimo di dare tormento a ‘sta
creatura... Cosa ti ha fatto? Non vedi che già ‘sta
mortificata? (Cambia tono: molto angosciata) Com’è che
gridano tanto? (Torna a dialogare) E anche se fosse che lei,
‘sta giovane, tenesse un amore per lui, un amore vestito della
passione che lega per sempre femmine e maschi che ci
avreste da dire? Non è uomo forse, il figlio mio… oltre che
Dio? Di uomo tiene (ha) gli occhi, le mani, i piedi... tutto da
uomo tiene… finanche i dolori e l’allegrezza! Dunque, starà
a lui solo, al Figlio mio decidere... quando sentirà giunto il
momento suo. Se vorrà prendersela in sposa, per me, quella
02/10/2012 310
che sceglierà, io le vorrò bene come se fosse una figlia
mia… o almeno mi ci sforzerò. E speranza assai tengo che
giunga presto ‘sto giorno... che ormai ha passato i trentatré
anni… ed è tempo che si faccia una famiglia. (Cambia tono:
accorata) Oh che sgangherato gridare che fanno là in
fondo... E come è nera, ‘sta croce! (Torna a dialogare) Oh,
mi piacerebbe da non dire averci per casa dei bimbi suoi…
di lui... da far giocare, addormentare... che io ne conosco
tante ninnananne da culla e filastrocche… e avrei gran
piacere dar loro vizi... e raccontar favole, ma di quelle che
finiscono sempre bene e in giocondità!”
“Sì, d’accordo, ma adesso sorti dai sogni, Maria... andiamo
che di ‘sto passo non si cena più manco a sera.”
“Non ho fame… io... non ne so la ragione... ma mi è venuta
dentro una gran stretta allo stomaco... Bisogna proprio che
salga a vedere cos’è che succede lassù!”
“No, arrestati! Non ci andare! Sono spettacoli quelli, che
rovesciano in tristezza. Ti resta addosso uno strappacuore
per tutto il giorno… e il figlio tuo non sarà certo contento.
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Può essere che in ‘sto momento, lui si trovi già in casa che ci
‘sta aspettando... e magari ha pure fame!”
“Ma se mi ha mandato a dire che non viene!”
“Beh, può avere avuto un ripensamento… che ben lo sai
come sono i figli. Quando li attendi a casa non tornano e
spuntano quando non li aspetti più perciò bisogna stare
sempre preparate col la zuppa sul fuoco.”
“Sì, hai ragione... andiamocene. (Alla Maddalena) Vuoi
venire anche tu, Maddalena a farti una scodella di
minestra?”
“Con piacere, se non vi do impiccio.”
In quell’istante sul fondo passa Veronica e la Madonna
domanda: “Cosa può essere capitato a quella donna, che
tiene tra le mani un panno tutto insanguinato? (A Veronica,
alzandola voce) Oh, amica mia, vi siete ferita?”
“No, non io... ma uno di quei condannati che hanno posto
sotto la croce.”
“(Col fiato che le manca, come se presagisse la risposta)
Quale?”
02/10/2012 312
“Quello al quale gridano stregone... ma che stregone non è,
ma santo! E lo si capisce da quegli occhi dolci che tiene... gli
ho asciugato la faccia insanguinata...”
“Oh, donna pietosa...”
“Vedete, l’ho asciugato con ‘sto tovagliolo e ne è sortito un
miracolo! Mi ha lasciato l’impronta del suo viso che pare
dipinto.”
“(Quasi senza voce) Fammici dare un’occhiata…”
“Sì, te lo mostro.”
“(Giovanna cerca di trattenerla) No Maria, lascia perdere!”
“Te lo faccio vedere, ma prima, o donna, segnati col segno
della croce! (Mostra il tovagliolo; Maria, cade a terra priva
di sensi)
“Ma che hai fatto! Non vedi che è svenuta!”
“Oh Gesù! che ho combinato! E perché s’è accasciata a ‘sto
modo? È parente sua di quello?”
“La madre è! Maria, la madre del Signore!”
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INCONTRO DELLA VERGINE CON LE MARIE (LA
MADONNA INCONTRA LE MARIE)
Versione in volgare padano
Prologo 2000
Il testo più antico è senz’altro quello che ora vi proponiamo
in volgare composito padano.
Ritroverete espressioni provenienti dal dialetto lombardo
usato da Bescapè e Bonvesin de la Riva, così come del
giullare anonimo autore del “Lamento della sposa
padrona”.
Anche questo brano può essere agito con la partecipazione di
attori diversi che interpretano i vari ruoli.
Qui abbiamo preferito seguire la tradizione dei fabulatori
medioevali che da soli riuscivano a interpretare tutti i ruoli.
Franca lo reciterà in una forma dialettale che raccoglie
idiomi arcaici diversi del Medioevo padano.
INCONTRO DELLA VERGINE CON LE MARIE
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Versione in volgare padano
Maria in compagnia di Zoàna e per strada incontra ‘Melia.
‘MELIA Bòn dì Maria.. bòn dì Zoàna.
MARIA Bòn dì ‘Melia, sèt ’dré andar a far spesa?
‘MELIA No, agh l’ho de già fàita ‘sta matìna... av gh’ho de
dive ‘na roba, Zoàna.
ZOANA Disìme… (A Maria) Cunt parmès, Maria...
Si appartano e parlano concitate.
MARIA In dóe la va tüta ‘sta zénte? Cosa l’è ’dré a sücéd là
in funda?
ZOANA Ól sarà quài sponsalìzi de següro...
‘MELIA Sì, a l’è ón sponsalìzi... végni de là impròprio adés.
MARIA Oh ’ndèm a védar, Zoàna, che a mé piàsen tanto i
sponsalìzi, a mi. A l’è zóvina la sposa? E ól sposo chi a l’è?
ZOANA No’ sagh mi... a credi col débia vès un de foera...
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‘MELIA ’Dèm, Maria, no’ stit a pèrd ól tempo co’ i
matrimoni... ’ndémo a ca’ che gh’avèm anc’mò de mèterghe
l’acqua al fògo per la menèstra.
MARIA (con apprensione) Specìt… ’scultì… a i è ’dré a
biastemà!
ZOANA Oh, i biastemerà par ’legrìa e contentèsa!
MARIA No… che mé soméja col fàgan con ràbia…
“‘stregonàso!”, gh’han criàd... sì, gh’ho intendìo bén...
’Scultì co’ i va a repèt… Contra a chi e gh’l’han?
ZOANA Oh, ’dès che mé ’égn in mente... no’ l’è per un
sponsalìzio che i vüsa, ma contra a vün che l’han descovèrto
‘sta nòce che ól balàva con un cavrón… che pö a l’éra ón
diàvulo!
MARIA Ah, par quèl agh dìsen stregonàso?
ZOANA Sì, sarà par quèl... ma no’ fémo tardi Maria...
’ndèm a casa che no’ le son robe da védar quèle… che agh
pòd sücédegh de catàrse ól malògio!
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MARIA (con angoscia appena accennata) A gh’è una cróse
che la spònta de sóra e teste de la zénte!… E altre dòe cróse
che spunta adèso!
ZOANA Sì, ‘st’altre a son de dòe ladroni...
MARIA Pòvra zénte... i vano a ’ncrosàrli tüti e trie...! Chi sa
la mama de lori! E magàra lée, pòra dòna, no’ l sa gnanca
che i è ‘dré a masàrghe ól so’ fiòl de lée.
Sopraggiunge correndo trafelata la Maddalena.
MADDALENA Maria! Oh Maria... ól vostro fiòl Jesus...
ZOANA (bloccandola) Sì, ma sì, ólgh sa de già lée... (A
parte) State cito... ’sgrasiàda!
MARIA (con apprensione) Cos’ l’è che so de già mi?... ’S
l’è capitàt al mé fiòl?
ZOANA Nagòta... cos’agh dovarìa èserghe capitàt, o santa
dòna? A gh’è dumà che... Ah, nòl vl’avéa dit? Ohj, che
‘smentegàda che sont... m’éra ‘gnid via d’la testa de ‘visàrve
che lü, ól vòster fiòl, m’avéa dit che no’ ól vegnarà a casa a
02/10/2012 317
magnàr a mèzdì… che ól gh’ha de ’ndare sü la montagna a
‘cuntàr paràbule.
MARIA (a Maddalena) A l’è quèst che sèt ‘gnüda a dirme
anc’ti?
MADDALENA Sì, quèst, Madona…
MARIA Ól sia rengraziàd ól Segnóre! Ti eri ‘rivàda tanto de
corsa, cara fiòla... che mi m’évi catàt un stremìzi de quèi!
Mé s’évi già figüràt no’ so miga quale desgràzia!... Come
sémo lòche de’ volte noàltre mame! Agh fémo preoccupàde
par nagòta!
ZOANA Sì, ma anco lée, ‘sta balénga, che la ’riva coréndo
’scalmanàda par ’gnì a darte ól nunzi de ‘ste bagatèle...
MARIA Bòna, Zoàna... no’ stàrghe a criàr adèso... a l’infìne
l’è ‘gniüda par farme un plazér d’una comissión... (A
Maddalena) At rengràzi, fiòla... Come ad ciamàt ti, che am
pare de cognósarte?
MADDALENA (con umiltà e imbarazzo) Mi… sont la
Madalena...
MARIA Madalena? La qual?… (Breve pausa) Quèla...
02/10/2012 318
ZOANA (aggressiva) Sì, a l’è lée... la cortizàna! ’Ndèm via
Maria, ’ndèm a casa... co l’è mejór, che no’ ghe fémo védar
con zénte compàgn... no’l ‘sta bén!
MADDALENA Ma mi no’ fago plü ól mestér.
ZOANA Ól sarà parchè no’ ti trovi plü smorbiósi de catàr...
Va’, desvergognàda.
MARIA No, no’ descasàrla pòvra fiòla... se ól mé car Jesus
s’la tégne in tanta fiducia de mandàmela a mi a fam la
cumisiün, l’è sègn che adès la fa giüdìzi... vera?
MADDALENA Sì, a fagh giüdìzi adèss Maria.
ZOANA Vagh a créderghe... La questión l’è che ól to’ fiòl
de ti, a l’è tròpo bòno, as lasa catàre d’la compasión e ól
fréghen toeti! Ól gh’ha sempre d’intórna un mügio de
poltrò’... zénte senza laóro nì arte, morti de fam… desgrasiò
e putàne… (indica Maddalena) compàgn a quèla!
MARIA At pàrlet de catìva ti, Zoàna! Lü, ól mé fiòl, ól dise
sempre co l’è par lori, sóvra ’gni còssa par lori, sbandài e
sperdüi, che o l’è ‘gnüdo a ‘sto mundo… a darghe la
speranza.
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ZOANA D’acòrdi, ma at cumpréndi che a ‘sta manéra no’ ól
fa un bel vardà? Ól se fa parlar a dre’! Con tüta la zénte de
bòna levàda co gh’è in çità: cavajéri e sòi dame, dotóri e
siòri... che lü cont’ ol so’ fare zentìle, savénte e ’rudìto as
truarìa de sübet in t’la mànega lori a avérghe onori… farse
aidàre se ól gh’avèse besógn. No, ‘cripànte! Ól va a mèterse
co’ i piogiàt vilàn! E de contra a quèi!
MARIA (attenta ai rumori che provengono dal fondo e con
apprensione) ‘Scoltì come i vüsa e i ride quei!… Ma no’ se
vede plü e cróse!
ZOANA (continua il suo discorso cercando di distrarre
Maria) A parte che ól podrìa farghe a mén de sparlàrghe
sémper a dre’ ai prévet e a i prelàt... che quèi no’ gh’la
perdonano a niùno!
MARIA (con un sussulto) Èco de nòvo e tre cróse!
ZOANA (non raccoglie) Quèi, un dì a gh’la faràn pagare!
Agh faràn d’ol male!
MARIA Fagh d’ol male al mé fiòl?! E parchè, co l’è sì bòn...
no’ ól fa che d’ol bén a tüti, anco a quèi che no’ ghe
02/10/2012 320
domanda! E tüti i ghe vòl bén! (Cambia tono: accorata)
Sentìt... i son dré’ a sghignasàr de nòvo... un de quèi ól dua
ès borlàd per tèra... no’ se vede plu la tersa cróse… (Torna a
parlare alle donne)Tüti ghe vòl bén al mé fiòl... no’ a l’è
vera?
MADDALENA Sì… (timidamente) anco mi agh vòj tanto
bén!
ZOANA Oh, ól sconosémo tüti che ‘spiràto bén at vòj ti al
so’ fiòl de la Maria!
MADDALENA Mi gh’ho un amore compàgn che par ón
fradèl par lü!… Adèso.
ZOANA Adèso... parchè prima donca...?
MARIA Zoàna, daghe un tàjo infìna de intormentàrla ‘sta
fiòla! Cos’l’ha t’ha fàit?… No’ ti vedi co l’è smortificàda...
(Ascolta le grida che arrivano sino a lei) Com l’è che cria
tanto? (Torna alle amiche) E anco ól füdèse che lée, ‘sta
zóina, la aga a tegnér un amor par lü de quèi che e done de
normale a gh’han par i òmeni che ghe piàse... bòn! No’ a l’è
òmo sfórse ól m’è fiòl, óltra che Deo? De òmo ól gh’ha i
02/10/2012 321
ògi, le man, i pie... tüto de òmo... finànco i dulóri e
l’alegrèsa! Dónca agh tocherà a lü, al mé fiòl, a decìd... co ól
savrà bén lü se fa quando ‘gnirà ól so’ mumént, se ól vorerà
tòrsela ‘na sposa. Par mi, quèla che lü ól scernerà, mi agh
vurarò bén ’mé füdès la mia fiòla... E agh speri tanto ca
végna prèst quèl dì... che ormai ól gh’ha compìt trentatrì
ani... e l’è ora che ól mèta sü famégia... (Cambia tono) Oh
che brüt crià che fan là in funda... e com l’è nera ‘sta cróze!
(Torna alle donne) Tanto mé plazerìa avérghe per casa di
bambìn so’ de lü… de far ziogàre, ninàr... che mi ne so tante
canzoni de cuna... e darghe i vizi... e contàrghe fàbole… de
quèle bèle fàbole che i finìse sempre bén... e in zocondìa!
ZOANA Sì, ma adèso basta de starte a insognàre, Maria...
andémo che da ‘sta banda, no’ magnémo plü nemànco a
sira...
MARIA (è presa da profonda tristezza) No’ gh’ho fame a
mi... no’ ghe descòvro la resón... ma m’è ‘gnit a dòso un
stréncio de stòmego... Bisogna improprio che vaghi a védar
cos’ l’è ca va a capitàr là in funda.
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ZOANA No, che no’ té vaghi!... Che a sont robe quèle co e
fano intrestìzia e at menaràn un stciopamagón par tüto ól
ziórno e ól to’ fiòl no’ ól sarà contento... Pòle ès che in ‘stu
momento ól sébia già in la casa e che a té spècia... che ól
gh’ha fame.
MARIA Ma se ól m’ha mandà a dire che no’l vegnarà!
ZOANA Ól pò avérghe üt ón repensamént. At sèt com’è fati
i fiòli: quando té i spèci no’ i torna... e i spunta quando no’ i
spèci plù! E bisogna vès sempre a pronta cont ól magnàr al
fògo.
MARIA Sì, ti gh’ha resón... andémo... At vóret ’gnì anco ti
Madalena a magnàre ‘na scudèla?
MADDALENA Bòn voluntéra… se no’v’dagh
infesciamént...
Sul fondo passa la Veronica.
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MARIA Cos’ l’è capitàt a quèla dòna... co la gh’ha un
mantìn tüto insenguinàt? (Alzando la voce) Ohj bòna dòna...
av sèt fada male?
VERONICA No, miga mi... ma ün de quèi cundanàt che
gh’han metüo de sóta a la cróse… lo quèlo co a ghe crìeno
stregonàsso... e che no’ l’è stregón, ma santo!... Santo de
següro, che ól se capìsse da i ögi dólzi ch’ol téne. A gh’ho
sugàd la fàcia insanguagnénta...
MARIA Oh dòna pitósa...
VERONICA ...con ‘sto mantìn e l’è sortìt ón miracolo... ól
m’ha lasàd l’emprùnta d’la sòa figüra, che ól pare ¨n ritràt!.
MARIA (senza respiro, quasi presagisse la tragedia che si
sta consumando) Fam’lo védar…
ZOANA (angosciata, cerca di trattenerla) No’ vès curiosa,
Maria… che n’ol ‘sta bén!
MARIA No’ sont curiosa... a senti ch’ol devi vedèl.
VERONICA D’acòrdi, at lo fago védar… ma in prima
ségnat con t’ol sègn de la cróse... Èco, ‘remìra: a l’è ól fiòl
de Deo!
02/10/2012 324
MARIA (con un filo di voce) Ól mé fiòl! Ah... a l’è mé fiòl
de mi! (Cade a terra svenuta).
ZOANA Co t’è fàit... benedècta dòna!
VERONICA Ma mi no’ credevi ch’a füs la sua mama de
quèl!
02/10/2012 325
TRADUZIONE
Maria sta in compagnia di Giovanna e per strada incontra
Amelia.
AMELIA Buon giorno Maria... buon giorno Giovanna...
MARIA Buondì Amelia, state andando a fare la spesa?
AMELIA No, l’ho già fatta questa mattina... devo dirvi una
cosa, Giovanna.
GIOVANNA Ditemi… (A Maria) Con permesso, Maria...
Si appartano e parlano concitate.
MARIA Dove va tutta questa gente? Cosa sta succedendo là
in fondo?
GIOVANNA Sarà qualche sposalizio di sicuro...
AMELIA Sì, è uno sposalizio... vengo di là proprio adesso.
MARIA Oh, andiamo a vedere, Giovanna, che mi piacciono
tanto i matrimoni. È giovane la sposa? E lo sposo chi è?
02/10/2012 326
GIOVANNA Non lo so... credo che sia uno di fuori.
AMELIA Andiamo Maria, non state a perdere tempo con i
matrimoni... andiamo a casa, che dobbiamo ancora mettere
l’acqua sul fuoco per la minestra.
MARIA (con apprensione) Aspettate… ascoltate… stanno
bestemmiando!
GIOVANNA Oh, bestemmieranno per allegria e contentezza!
MARIA No, che mi sembra che lo facciano con rabbia…
«stregone!», gli hanno gridato... sì, ho inteso bene...
Ascoltate che lo vanno a ripetere. Con chi ce l’hanno?
GIOVANNA Oh, adesso che mi viene in mente… non è per
uno sposalizio che gridano, ma contro uno che hanno
scoperto questa notte che ballava con un caprone… che poi
era il diavolo.
MARIA Ah, per quello lo chiamano stregone?
GIOVANNA Sì, sarà per quello... ma non facciamo tardi
Maria, andiamo a casa che non sono cose da vedere quelle…
che può capitare di prendersi il malocchio!.
02/10/2012 327
MARIA (con angoscia appena accennata) C’è una croce che
spunta sopra le teste della gente!… E altre due croci che
spuntano adesso!
GIOVANNA Sì, queste altre sono di due ladroni...
MARIA Povera gente... vanno a crocifiggerli tutti e tre...
chissà la loro mamma! E magari lei, povera donna non sa
nemmeno che stanno ammazzandole il figlio.
Sopraggiunge correndo trafelata la Maddalena.
MADDALENA Maria! Oh, Maria... vostro figlio Jesus...
GIOVANNA (bloccandola) Ma sì, ma sì, lo sa di già... (A
parte) Stai zitta… disgraziata!
MARIA (con apprensione) Cosa è che so già io?… Cosa è
capitato a mio figlio?
GIOVANNA Niente... cosa dovrebbe essergli capitato, o
santa donna? C’è solo che... Ah, non ve l’avevo detto? Oh,
che smemorata che sono... mi era uscito dalla testa di
avvisarvi che lui, vostro figlio, mi aveva detto che non verrà
02/10/2012 328
a casa a mangiare a mezzogiorno… perché deve andare sulla
montagna a raccontare parabole.
MARIA (a Maddalena) È questo che sei venuta a dirmi pure
tu?
MADDALENA Sì, questo, Madonna.
MARIA Che sia ringraziato il Signore! Eri arrivata tanto di
corsa, cara figlia, che io mi ero presa una paura di quelle! Mi
ero già figurata non so mica quale disgrazia!... Come siamo
allocche a volte, noi altre mamme! Ci preoccupiamo per
niente!
GIOVANNA Sì, ma anche lei, questa balenga, che arriva
correndo scalmanata per venire a darti l’annuncio (notizia)
di queste bagattelle.
MARIA Buona, Giovanna... non stare a sgridarla adesso...
infine è venuta per farmi il piacere di una commissione. (A
Maddalena) Ti ringrazio, figliola... Come ti chiami, che mi
sembra di conoscerti?
MADDALENA (con umiltà e imbarazzo) Io… sono la
Maddalena...
02/10/2012 329
MARIA Maddalena? Quale?… (breve pausa) Quella...
GIOVANNA (aggressiva) Sì, è lei... la cortigiana! Andiamo
via, Maria andiamo a casa… è meglio che non ci facciamo
vedere con gente simile… non sta bene!.
MADDALENA Ma io non faccio più il mestiere.
GIOVANNA Sarà perché non trovi più sporcaccioni da
prendere... Va’ via, svergognata.
MARIA No, non scacciarla povera figliola... se il mio caro
Jesus se la tiene in tanta fiducia da mandarla da me per farmi
la commissioni è segno che adesso ha messo giudizio, vero?
MADDALENA Sì, faccio giudizio adesso Maria.
GIOVANNA Va a crederle... La questione è che tuo figlio è
troppo buono, si lascia prender dalla compassione e lo
fregano tutti!
Ha sempre attorno un mucchio di poltroni… gente senza
lavoro né arte, morti di fame… disgraziati e puttane...
(indica Maddalena) uguali a quella!
MARIA Parli da cattiva Giovanna! Lui, mio figlio, dice
sempre che è per loro, sopra ogni cosa per loro, sbandati e
02/10/2012 330
sperduti, che è venuto a questo mondo… per dargli la
speranza.
GIOVANNA D’accordo, ma non capisci che in questa
maniera non fa un bel vedere? Si fa parlar dietro! Con tutta
la gente bene allevata che c’è in città: i cavalieri e le loro
dame, dottori e signori... che lui con il suo fare gentile,
sapiente ed erudito si troverebbe subito nella loro manica ad
avere onori… farsi aiutare se ne avesse bisogno. No,
sacripante! Va a mettersi con i pidocchiosi villani! E contro
a quelli!
MARIA (attenta ai rumori che provengono dal fondo e con
apprensione) Ascoltate come gridano e ridono!… Ma non si
vedono più le croci!
GIOVANNA (continua il suo discorso cercando di distrarre
Maria) A parte che potrebbe fare a meno di sparlar sempre
dei preti e dei prelati... quelli non la perdonano a nessuno!
MARIA (con un sussulto) Ecco di nuovo le tre croci!
GIOVANNA (non raccoglie) Quelli, un giorno gliela faranno
pagare! Gli faranno del male!
02/10/2012 331
MARIA Far del male a mio figlio?! E per quale ragione, che
è così buono... non fa che del bene a tutti, anche a quelli che
non glielo domandano! E tutti gli vogliono bene! (Cambia
tono: accorata) Sentite... stanno sghignazzando di nuovo...
uno di quelli deve essere caduto per terra... non si vede più
la terza croce… (Torna a parlare alle donne) Tutti vogliono
bene a mio figlio... non è vero?
MADDALENA (timidamente) Sì… anch’io gli voglio tanto
bene!
GIOVANNA Oh, lo conosciamo tutti che ispirato bene vuoi
tu, al figlio di Maria!
MADDALENA Io tengo un amore uguale che a (lo amo
come) un fratello, adesso!
GIOVANNA Adesso... perché prima, dunque...?
MARIA Giovanna, dacci un taglio infine di tormentarla ‘sta
figliola! Cosa ti ha fatto?... Non vedi com’è mortificata?
(Ascolta le grida che arrivano sino a lei) Com’è che gridano
tanto? (Torna alle amiche) E anche se fosse che lei, questa
giovane, abbia a tenere per lui un amore di quello che le
02/10/2012 332
donne normalmente hanno per gli uomini che gli piacciono...
bene! Non è forse uomo mio figlio, oltre Dio? Da uomo ha
gli occhi, le mani, i piedi... tutto da uomo… finanche i dolori
e l’allegrezza! Dunque toccherà a lui, a mio figlio,
decidere... che saprà bene lui cosa fare quando verrà il suo
momento, se vorrà prendersi una sposa. Per me, quella che
lui sceglierà, le vorrò bene come fosse una mia figliola… E
ci spero tanto che venga presto quel giorno... che ormai ha
compiuto trentatré anni… ed è ora che metta su famiglia...
(Cambia tono) Oh che brutto gridare che fanno là in fondo...
e come è nera ‘sta croce! (Torna alle donne) Tanto mi
piacerebbe avere per casa dei bambini suoi... da far
giocare… cullarli... che io ne conosco tante di canzoni da
culla... e dargli vizi... e raccontargli favole… di quelle belle
favole che finiscono sempre bene… e in giocondità!
GIOVANNA Sì, ma adesso basta di stare a sognare, Maria...
andiamo, che di questo passo non mangiamo più nemmeno a
sera.
02/10/2012 333
MARIA (è presa da profonda tristezza) Non ho fame, io...
non ne scopro la ragione... ma mi è venuta addosso una
stretta di stomaco... Bisogna proprio che vada a vedere cosa
sta succedendo, là in fondo.
GIOVANNA No che non vai!... Sono cose quelle che fanno
tristezza e ti porteranno uno strappacuore per tutto il giorno
e tuo figlio non sarà contento… Può essere che in ‘sto
momento sia già a casa e che ti aspetta... che ha fame.
MARIA Ma se mi ha mandato a dire che non verrà!
GIOVANNA Può avere avuto un ripensamento. Lo sai come
sono i figli: quando li aspetti non tornano... e spuntano
quando non li aspetti più! E bisogna essere sempre pronte
col mangiare sul fuoco.
MARIA Sì, hai ragione... andiamo… Vuoi venire anche tu,
Maddalena a mangiare una scodella?
MADDALENA Ben volentieri, se non vi do disturbo...
Sul fondo passa la Veronica.
02/10/2012 334
MARIA Cos’è capitato a quella donna… che ha un tovagliolo
tutto insanguinato? (Alzando la voce) Oh buona donna… vi
siete fatta male?
VERONICA No, non io... ma uno di quei condannati che
hanno messo sotto la croce… quello al quale gridano
stregone... e che non è stregone, ma santo!... Santo di sicuro,
che si capisce dagli occhi dolci che tiene... Gli ho asciugato
la faccia insanguinata...
MARIA Oh donna pietosa...
VERONICA ... con questo tovagliolo, e ne è sortito un
miracolo... lui mi ha lasciato l’impronta della sua figura, che
sembra un ritratto.
MARIA (senza respiro, quasi presagisse la tragedia che si
sta consumando) Fammelo vedere…
GIOVANNA (angosciata, cerca di trattenerla) Non essere
curiosa Maria, che non sta bene!
MARIA Non sono curiosa... sento che devo vederlo.
VERONICA D’accordo, te lo faccio vedere, ma prima segnati
col segno della croce... Ecco, guarda: è il figlio di Dio!
02/10/2012 335
MARIA (con un filo di voce) È mio figlio! Ah… è il mio
figlio! (Cade a terra svenuta).
GIOVANNA Cosa hai fatto... benedetta donna!
02/10/2012 336
MARIA ALLA CROCE
Prologo 2000
Entriamo nel cuore di "Mistero Buffo", o meglio in un
mistero classico sacro.
Mi sono incappato in questo testo di “Maria sotto la croce”
prima ancora di decidermi a realizzare uno spettacolo sulla
religiosità popolare. Mi sono trovato fra le mani una rivista
che trattava di cultura medievale nella quale erano pubblicati
frammenti di un testo venuti alla luce durante la
ristrutturazione della biblioteca di Montecassino. Lo scritto
appariva sul retro di una pergamena di un codice e riportava
un breve monologo della Madonna con termini che si
rifacevano al dialetto centromeridionale. I ritrovatori
datavano lo scritto intorno al XIII secolo e facevano notare
che evidentemente si trattava di un testo ripreso da una
rappresentazione sacra. Questa Madonna ci appare molto
diversa rispetto a quella tradizionale: in lei non c'è nessuna
accettazione del sacrificio che il figlio va realizzando, anzi,
02/10/2012 337
si oppone disperatamente a tutti coloro che partecipano alla
sua messa in croce. Più di un commentatore, analizzando
questa passione della Vergine, ha espresso sospetto che si
tratti un testo proveniente da rappresentazioni di comunità
catare o patare, riportato da un monaco in vena di
provocazioni.
Più tardi ho mostrato i frammenti in questione a un amico
prete di Asti che sapevo interessato alla tradizione del teatro
religioso popolare. L’amico prete mi ha procurato un altro
testo completo e analogo, in volgare lombardo del ‘300, ma
che si rifaceva sicuramente a una rappresentazione di
origine più antica. Il nostro prete mi informava in particolare
che in merito alla tragica protesta della Madonna in quei
testi, nel XII secolo nell’ambito monacale era sorto un feroce
contenzioso impostato su questa domanda: la Madonna era a
conoscenza di doversi sacrificare per il peccato mortale
oppure è venuta a scoprirlo brutalmente soltanto nel
momento in cui il figlio si trovava già sulla croce?
02/10/2012 338
Esiste più di un passo del vangelo in cui Gesù preannuncia
agli Apostoli la sua fine sacrificale. Lo ripete anche ai
seguaci minori in qualche Vangelo apocrifo anche alla
Maddalena, ma di un suo dialogo su questo tema alla madre
non c’è cenno alcuno.
Lo svolgimento tragico, degno dei Misteri greci che
troviamo in questo dramma sale a livelli straordinari quando
la Madonna si rivolge all’angelo Gabriele per accusarlo di
averla tradita, non avendola avvertita al momento
dell’annunciazione del sacrificio inumano che le sarebbe
toccato di sopportare.
Un altro passaggio di grande teatralità è di certo quello in cui
la Madonna sale su una scala per convincere il figlio a
scendere dalla croce. A questo proposito si conosce un
“contrasto” proveniente dalle laudi di Cortona in cui
analogamente la Madonna insiste perché il figlio si decida a
usare le sue facoltà divine per liberarsi da quella tribolazione
mortale. Maria tenta con tutti gli argomenti, ma, vistasi
rifiutare dal figlio ogni ragione logica, spinge davanti a se,
02/10/2012 339
sotto la croce la Maddalena e le strappa letteralmente le
vesti, lasciandole nudo il petto. Quindi urla a suo figlio: “
Guardale, mira le sue zinne tonde e chiare... le amavi tanto
quando eri coi piedi in terra! Scendi, non perdere questo
dono stupendo che ti offre!”
E' veramente una provocazione oltre le righe, al limite della
bestemmia e, non a caso, la ritroviamo anche in altre laudi
umbre. Questo brano vede la massima tensione drammatica
nel momento in cui le donne seguaci di Gesù scorgono la
Madre che si avvicina disperata al calvario: una delle donne
propone di lanciarle una pietra. Meglio abbatterla d’un botto
piuttosto che vederla “deslanguire” straziata dal dolore per
il figlio in croce; un figlio che nel suo struggente lamento,
nei gesti e nelle suppliche pronunciate con fatica,
ansimando, ci appare non come un Dio “inchiovato”, ma
come il più normale degli uomini che soffre e trema
nient’affatto rassegnato davanti alla morte. È qui che con le
stesse parole del Vangelo di Matteo il Cristo uomo si
02/10/2012 340
lamenta con il Padre: “Signore, perché mi hai
abbandonato?!”
La chiusura è affidata al contrasto tra l’arcangelo e la
Madonna che, come abbiamo già accennato, lo insulta
accusandolo d’aver giocato una truffa nei suoi riguardi e nel
rispetto allegorico evidente, sentiamo che quell’insulto è
rivolto soprattutto al potere, tanto divino che terreno, di cui
lui è il messo. Entrambi sono autori del rito che vede
indispensabile e inderogabile il sacrifici del figlio.
E’ ovvio che la messa in scena di questo dramma popolare
non si ferma alla sola rappresentazione dell’assassinio del
Dio uomo, ma in tutto il mistero è proiettata la perpetua
condizione degli umili che, da sempre e continuamente,
soffrono delle angherie e della sottomissione. Umiliati e
sottomessi, urlano con la voce della Madonna la loro rivolta
contro ogni supina accettazione, quasi evocando le parole
dell’Apocalisse che promettono l’avvento di un mondo
migliore, giusto e felice da non godersi possibilmente solo
nell’aldilà.
02/10/2012 341
Il Mistero di “Maria sotto la croce” viene recitato da Franca
in una forma dialettale che raccoglie idiomi diversi del
Medioevo padano; forse qualche passaggio vi potrà sfuggire,
ma è certo che la musicalità dell’affabulazione oltre che i
gesti, vi permetteranno di intendere chiaramente lo
straordinario clima e la provocazione che il dramma si
propone di raggiungere.
MARIA ALLA CROCE
Altro Prologo
Pubblichiamo un’altra presentazione molto più rapida e
stringata che spesso abbiamo proposto durante il primo anno
di rappresentazione.
Il prossimo brano ha per titolo “Maria alla croce” ed è un
dialogo fra la Madonna e il figlio morente. Cristo si trova di
spalle a voi in croce.
Le donne cercano di fermare Maria, di impedirle di vedere il
figlio martoriato sulla croce, qualcuna di loro pensa
02/10/2012 342
addirittura di colpirla con un sasso per bloccarla. Ma la
Madonna arriva, chiede una scala, vi monta in cima per
parlare col figlio e convincerlo a scendere. Un soldato vede
Maria e vorrebbe addirittura scaraventarla giù dalla scala. La
Madonna cerca di corrompere questo soldato. Importante è
l’arrivo dell’arcangelo Gabriele che cerca di lenire il dolore
immenso della Madonna ma lei lo aggredisce, rifiuta la
logica dell’accettazione del sacrificio, senza che alcuno le
abbia mai dato né notizia né avvertimento.
02/10/2012 343
MARIA ALLA CROCE
PERSONAGGI
Prima donna-Seconda donna-Terza donna-Quarta donna-
Quinta donna-Sesta donna-Coro donne e uomini-Maria-
Cristo -Soldato-Altri soldati-Arcangelo Gabriele
PRIMA DONNA (entra correndo e si rivolge alle altre
donne che stanno ai piedi della croce) Andì a fermàla... l'è
rént a 'gni la sòa mama de lü, la beata Maria, no' féghel
vardà incrusàt 'mé l'è che ól pare un cavrètto inscortegà, che
cola sàngui a fontanèla partütt cumpàgn 'na muntàgna de
név' in primavéra per via di 'sti gran ciòdi che gh'han picàt
in de la carne dulurùsa dei man e di pie, intramèsa ai òsi
sfurà!
CORO No' féghel vardà!
Entra correndo un’altra donna.
02/10/2012 344
SECONDA DONNA No' la se vòl fermà... a la végne
coréndo desesperàda in sul sentié’ che in quatro no' la
podémo tegnìr...
TERZA DONNA Se in quatro non la tegnì, prové in
sìnque... in sie... èi no' la pòl vegnì, no' la pòl vardà 'sto fiolì
intorsegà cumpàgn 'na radìs d'oliva magnàda dai furmìghi!
QUARTA DONNA Quercéghe, covrìghe almànco la fàcia
al fiöl de Deo, la sòa mama no' l' posa 'recugnósarlo... agh
dirèm che l'incrusàt l'è un óltar, un forèsto... che no' l'è ól so'
fiöl de lée!
PRIMA DONNA Mi a creo che purànco al querciàssimo
tütto con un linzòl bianco, al fiöl de Deo, la sòa mama ól
recognuserà istèsso... abàsta che ghe spónta de föra un dit
d'un pìe… un rìzzul dei cavèj, imperchè la gh'l'ha fàit lée, la
sòa mama, quèi.
QUINTA DONNA (entra in scena con il fiato in gola) La
végn... la végn… l'è chì lòga la beata Maria... agh farìa mén
dulúr masàla de cultèl… pitòst che lasàgh vèd ól fiöl!
02/10/2012 345
SESTA DONNA Déme un sass de trasmurtìla d'un bòtt, che
la sé ruèrsa per tèra, che no' la pòssa vardà!
Entra Maria. Il suo sguardo corre immediatamente al figlio
in croce.
Schiantata dal dolore, ammutolita lo guarda in silenzio.
Il gruppo delle donne si scosta al suo passaggio spostandosi
poi sul lato destro del proscenio.
PRIMA DONNA Ste quàcc, fév in là... Oh pòvra dòna che
la ciamìt beata... e cum la pòl ès beata con ‘sta decurasiún de
quatro ciòdi che gh'han picàt in de la carna dolorosa a
rabatúni, cumpàgn che a no' l s'farìa a 'na lusèrta venenúsa o
un scurbàtt!
SECONDA DONNA Sti' quàcc... mantegní ól fiàt che adèss
‘sta dòna la 'scoltarì criàre de toeta vüs, compàgn s'l'avès
squartàda ól dulúr… sgrasiàda… dulúr de sètte cultelàde a
spacàgh ól cör!
02/10/2012 346
TERZA DONNA La està lí ferma… la dis nagòta. Fèit che
la piàngia almànco un pòch! Féla criàre, ch'el s'àbia de
stciopàr 'sto gran magóne che ghe suféga ól gòz.
QUARTA DONNA 'Ntendíu, 'stu silénsi che gran frecàss ól
mena… e nól vale cuerciàse i urègi. (Avvicinandosi a Maria)
Parla, parla... digh quài còss, Maria... Plangi, Maria... ohi té
pregi... (Quasi urlano per scuoterla, farla uscire dal quel
suo terribile silenzio) Parla, Maria!
MARIA (con un fil di voce) Dèime 'na scala... a vòj
montàrghe a rénta al mé nann... (si avvicina straziata,
lentamente alla croce e parla al figlio) Nan, oh 'l mé bèlo
smòrto fiöl de mi… stàit següro méo bén, che ‘dès la 'riva la
tòa mama... Come i t'han combinàt 'sti assasìt, (alza, via via,
il tono della voce,) purscèl, becàri! (Urla e corre intorno
come cercasse i colpevoli) Còssa ól 'véa fàito, 'sto mé
tarlòch, de ‘véghel inscí a scann de fav tanto canàja con lü!
Ma am burlerí in ti mani: a vün a vun! Oh m'la pagarì…
anch' duarìssi 'gniv a cercàv in capp al mund, 'nimàl, besti,
sgrasió!
02/10/2012 347
CRISTO Mama… no' stat a criàr… mama…
MARIA Pardúname, ól mé nan, 'sto burdeléri c'ho tràit in
pie… e ‘sti paròli de inrabìt che hu dit… ma l'è stàit 'stu
strènc dulúr de truvàrte chi-lòga… impatacàt de sangu…
stciuncàt… sü 'ste trave, sbiutàt... de bòtt pestà... sbusà in de'
i mé bèj man si delicàt… e i pie... oh i pie!… che góta sangu,
góta a góta... ohi, che dua ès un gran mal!
CRISTO (parla a fatica) No mama… no stàrte a casciàt…
'dès, t'el giüri… no' senti pì mal... no' senti pü nagòta... Va' a
ca', mama, té pregi... va a casa...
MARIA Sì, sì… anderèm a ca' insèma… 'égni sü, a tiràt giò
de 'ste trave... (mima si salire sulla scala appoggiata alla
croce) cavàrte föra i ciòdi piano piàn... (si rivolge alle
persone che le stanno intorno) Dèm una tenàj... (È
disperata) Ajdéme quaidün!
Entra un soldato.
02/10/2012 348
SOLDATO Ehi dòna, cosa té fàit lì lòga de soravìa a ‘sta
scala? Chi v'l'ha dàito ól permèso?
MARIA A l'è ól mé fiöl de mi ch'avìt incrusàd... al vòj
stciodàl, purtàl a ca' cun mi...
SOLDATO A ca'? Ohj che premüra! No' l'è ancmò fròll asè,
santa dòna… no' l'è ancmò bén stagionàt! Bòj… 'pena che ól
tira i ültem, av fò fistcèto e vegnì a tòl bèlo che impachetà,
ól vòs car zóvin... Cunténta? 'Gni giò 'dès.
MARIA No che no' deséndo! No' lasarò pasà chi lòga la
nòce al mé fiöl suléngo... a murìrme! E vui no' podì miga
fam ‘sta preputénsa… che mi a sòn a sua mama de lü… a
sòn la sua mama, mi!
SOLDATO Bòn! Cara la mia mama de lü, adès mé t'l'hàit
sgionfàde a sufficìt i cojómbari! Agh farèm com quando se
scròda i pómi… vòj védar? Agh darò ‘na bèla scrulàda a ‘sta
scala… e ‘vegnirì giò da la scala, de stónfate ‘mé un bèl
peròt marügo!
MARIA (mima di scendere velocemente) No, no... per
carità... pecì che son già giò... vardì son chì abàs la scala.
02/10/2012 349
SOLDATO Oh, l’intendìu al tèrmin ‘sta balàda, o dòna
benedèta! E no’ vardì a mi cun sti ögi a brüsatàm, che mi no’
ghe n’ho colpa niùna se ól zóvin ól s’è catàt ‘sta posisión
iscòmuda de stagh coi brasc slargàdi... Ohj che no’ gh’ho
péna de vui? Che no’ cognósi mi, l’isbarluscià di làgreme
sanguagnénti ch’av süda giò di ögi? Sa l’ha èstu ón dulùr de
madri! Ma agh pòdi fagh nagòt... che mi sónt comandàt che
vaga fina a l’órden ‘sta cundàna… sónt condanàt a fav murì
ól fiòll, o bén, de cuntra, lì lòga, mé picheràn sü mi co’ i
stèss só’ ciòdi.
MARIA (si cava orecchini e anello che porta al dito) Oh
bòn suldàt curtés e caro… tegnì… av fò un presénti de
‘st'anèl d’òri e de 'sti uregìti d’argento... tegnì…in cambio de
un plegìr ch’am podìt cuncèd…
SOLDATO Ól sarìa 'stu plagér?
MARIA De lasàm netàgh via ól sangu, al mé fiòl… cont un
pòch d’àqua e un stràsc… e de dàghen un pòch de
‘nbiassegàrse i lavri stcepàd de la sét...
SOLDATO Nagòt de plü de ‘sti cialàdi?
02/10/2012 350
MARIA Vurarìa ancmò che catì 'stu sciàle e andìt de
suravìa a la scala a mèterghelo intùrna a i spale de sóta a i
brasc, de aidàl un pòch a ‘sta' tacàt a la cruse...
SOLDATO O dòna, agh vursìt mal de cuntra al vòst car
zóvin dònca, s'ól vursìt guarnàl pi' a lònga in vita a fal
sgragnì di 'sti treméndi dulùri. Al pòst vui, farìa col Cristo ól
mœra e sübet!
MARIA (rendendosi conto di quanto il soldato le ha detto,
quasi sussurrando) Murì…?!
Ól duvrà giüsta 'gnì morto 'sto car mé dólze? Morte le
man… morta la bóca... i ögi... morti i cavèj? (Disperata, tra
sé) Ohj, che m'han tradìtta. (Chiama con voce via via più
terribile, volgendo gli occhi al cielo) Gabrièl, Gabrièl...
Gabrièl… zóvin de dulza figüra, pól prim ti, ti!, m'hàit tradìt
de malorgnón! Con la tòa vóse de viola innamorósa té sèt
'gnù a dime che sarìa 'gnüda Rejna mi... e beata mi, e
jucùnda mi... cap de tœti i doni!
Vàrdum, vàrdeme 'mé sont a tòchi e sberlüsciàda… l’ültema
dòna al mundo mé sónt descovèrta! E ti... ti ól savévi in del
02/10/2012 351
purtàrme ól nünzi deslinguént, de fam fiurì in t'el véntar ól
fiolìn, col sarès 'gnüda a 'sto bèl trono rejna!… Rejna! Rejna,
col fiöl cavajér zentìle… con dòj speróni fàit con dòj gran
ciòdi impiantàt in de la carne dei pie!
Parchè no' té l m’hàit dit avànte ól ségn?
Oh mi, té ‘sta' següro… mi no' gh'avarìa gimài vorsüdo vès
pregnìda… no!… gimài a ‘sta cundisiün... teut-anch füèss
'gniüdo el Deo Patre in t'la persona, e no' el piviùn colombo,
so' spirito beàt, a maridàrme.
CRISTO (parla con maggior difficoltà) Mama… oh che ól
dulùr ól t'hàit trat föra mata che ti biastémi... (Agli astanti)
Menìla a ca' fradèli… ve prégi… menéla a casa prima che la
àbia a rabatàrse là ruèrsa e strepenàda…
UOMO ‘ndém Maria, fèt consulàt ól fiòl de vüj… lasél in
pase.
MARIA No che no' vòj! Perdonéme... laséme istà chì lòga
arénta de lü… che no' dirò pü gnanca 'na parola incóntra de
so' patre... incóntra de njùno. Laséme... oh fèite bòn!
02/10/2012 352
CRISTO (rantolando ogni volta che prende fiato) Hoi de
murì… mama... e fagh fadìga... Hoi de lasàrme andare
mama… sconsumàre ól fiàt che mé mantégne en vida… ma
con ti… chì lòga a près… ch'at stràzii, no' so’ capàze
mama... e fo' plü grande fadìga.
MARIA (implorante, quasi sottovoce) No' casàrme via
Jesus! No' casàrme via! (È al limite della disperazione) Vòj
murì, Jesus… vòj murì… (Grida disperata agli astanti)
Sufeghéme e sepeléme in üna tomba sola embrassàda al mé
fiòl! (Al Cristo) Vòj murì Jesus! Vòj murì...
SOLDATO Sacra dòna l’è tròpo grando ‘sto dolor de
matre... Fémo inscì: nünch suldàt a farèm mostra de miga
stagh co’ i ögi… caté ‘sta lanza pichéghela a tüt picà de
punta in del custàt e a fund in dól gòzz… e de lì a un
mumént, a vedarìt, ól Crist ól va a murìr. (La Madonna cade
a terra svenuta) Os' ve pasa? O s'lè svegnüda che no' l'ho
gnanch tucàda!?
UOMO La gh’ha i malori!
02/10/2012 353
PRIMA DONNA Slonghéla lilé… fàite piàn… e ‘ndé via
d’intórna che la gh’abia a respirà.
SECONDA DONNA Pòvra dòna!
MARIA (come in sogno) Chi sèt liló, bèl zóvin, ch'am par
ricugnùset?
TERZA DONNA La gh'ha i visioni!
GABRIELE Gabrièl, l'àngiol de Deo… són mi quèlo,
Vérzen… ól nùnzi d'ól to’ soléngo e delicàt amore.
MARIA (inizia con un fil di voce, prendendo via via tono e
forza) Gabrièl… Gabrièl… torna a slargàt i ali, Gabrièl…
torna indré al to’' bèl ziél zojóso... no' ti gh'ha niénte a che
far chì lòga… in ‘sta sgarósa tèra… in 'stu turménto mundo.
Vaj Gabrièl … che no' té sé sburdéga i ali de plüme culuràde
'e zentìl culüri... no' ti vedi fango e sangu e buàgna, mèsta a
la spüsénta d'partüto?
Vaj… che no' té ne sbréghi i urègi tant delicàt co' 'sto criàr
desasperàto e plàngi e ploràr che crésse in òmnia parte...
02/10/2012 354
Vaj Gabrièl … che ne té se sconsüma i ögi luminosi a
remeràr piaghe e croste... bugnóni e mosche e vèrmeni!, föra
dai morti squaraciàdi!
Ti no' t'è abitüàt, Gabrièl… che in d'ól Paradiso no' gh'hai ni
rumor, nì plàngi, né guère, nì presón, nì òmeni impicàdi, nì
done violàde!
No' gh’è nì fam, nì carestia, njùno che süda a stracabràsci, nì
fiolìn sénsa surìsi, nì matri smarìde e scuràde dal dulùr…
njùn che pena per pagà ól pecàt! Vaj Gabrièl! Vaj Gabrièl!
(Urlando) Vajjjj Gabrièèèèl!
Su un canto grogoriano scende lentamente la luce.
02/10/2012 355
TRADUZIONE
PRIMA DONNA (entra correndo e si rivolge alle altre
donne che stanno ai piedi della croce) Andate a fermarla...
‘sta arrivando la sua mamma di lui, la beata Maria, non
fateglielo guardare crocefisso com’è che pare un capretto
scorticato, che cola sangue a fontanella dappertutto come
una montagna di neve in primavera… per via di ‘sti gran
chiodi che gli hanno piantato nella carne dolorosa delle mani
e dei piedi, frammezzo le ossa forate!
CORO Non fateglielo guardare!
Entra correndo un’altra donna.
SECONDA DONNA Non si vuole fermare... viene correndo
disperata sul sentiero che in quattro non la possano tenere
(trattenere)...
TERZA DONNA Se in quattro non la tenete provate in
cinque... in sei... lei non può arrivare sin qui, non può
02/10/2012 356
guardare ‘sto figlio suo attorcigliato come una radice di
olivo mangiata dalle formiche!
QUARTA DONNA Nascondetegli, copritegli almeno la
faccia al figlio di Dio, che sua madre non possa
riconoscerlo... le diremo che il crocifisso è un altro, un
forestiero... che non è il figlio suo!
PRIMA DONNA Io credo che puranco lo coprissimo tutto
con un lenzuolo bianco, il figlio di Dio, la sua mamma lo
riconoscerà lo stesso... basta che dal lenzuolo gli spunti il
dito d’un piede... un ricciolo dei capelli, perché glieli ha fatti
lei, la sua mamma, quelli.
QUINTA DONNA (entra in scena con il fiato in gola)
Arriva... arriva… è qui la beata Maria... le darebbe meno
dolore ammazzarla di coltello piuttosto che lasciarle vedere
il figlio!
SESTA DONNA Datemi un sasso da tramortirla d’un botto,
così che si rovesci a terra, e non le riesca di guardare!
02/10/2012 357
Entra Maria. Il suo sguardo corre immediatamente al figlio
in croce. Schiantata dal dolore, ammutolita lo guarda in
silenzio. Il gruppo delle donne si scosta al suo passaggio
spostandosi poi sul lato destro del proscenio.
PRIMA DONNA State quieti, fatevi in là... Oh povera
donna che la chiamate beata... e come può essere beata con
‘sta decorazione di quattro chiodi che gli hanno conficcato
nella carne dolorosa e ribattuti, che così non si farebbe a una
lucertola velenosa o a un pipistrello!
SECONDA DONNA State quieti... trattenete il fiato che
adesso ‘sta donna la sentirete gridare a tutta voce, come se
l’avesse squartata il dolore... ammattita... dolore di sette
coltellate a spaccarle il cuore!
TERZA DONNA Sta lì ferma... non dice niente. Fate che
pianga almeno un poco! Fatela gridare, che possa scoppiare
‘sto gran magone che le strozza la gola.
QUARTA DONNA Ascoltate ‘sto silenzio che gran fracasso
mena (porta)... e non vale coprirsi le orecchie.
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(Avvicinandosi a Maria) Parla, parla... di qualcosa, Maria...
piangi, Maria... ohi ti prego... (Quasi urlano per scuoterla,
farla uscire dal quel suo terribile silenzio) Parla, Maria!
MARIA (con un fil di voce) Datemi una scala... voglio salire
vicino alla mia creatura... (si avvicina straziata, lentamente
alla croce e parla al figlio) Bimbo… oh bello smorto figlio
mio... stai sicuro mio bene, che adesso arriva la tua
mamma… Come ti hanno conciato (alza, via via, il tono
della voce) ‘sti assassini, porci, macellai! (Urla e corre
intorno come cercasse i colpevoli) Cosa vi aveva fatto, ‘sto
mio tontolone, da averlo così in odio, da essere tanto
canaglie con lui! Ma mi cadrete tra le mani: a uno a uno! Oh
me la pagherete... anche se dovessi venire a cercarvi in capo
al mondo, animali, bestie, disgraziati!
CRISTO Mamma… non stare a gridare… mamma.
MARIA Perdonami, mio bene, ‘sto bordello che ho tratto in
piedi... e ‘ste parole da fuori di testa che ho gridato… ma è
stato ‘sto dolore da scanno di trovarti qui imbrattato di
sangue… spezzato… su ‘ste travi… denudato... di botte
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pesto... bucato nelle mie belle mani così delicate... e i piedi...
oh i piedi!... che gocciolano sangue, goccia a goccia... Ohi,
deve essere un gran male!
CRISTO (parla a fatica) No mamma... non ti preoccupare...
adesso, ti giuro... non sento più male... non sento più
niente... Vai a casa, mamma, ti prego... vai a casa...
MARIA Sì, si... andremo a casa insieme... vengo su, a tirarti
giù-a staccarti da ‘ste travi... (mima di salire sulla scala
appoggiata alla croce) a cavarti i chiodi piano piano... (si
rivolge alle persone che le stanno intorno) Datemi una
tenaglia... (È disperata) Che qualcuno mi aiuti!
Entra un soldato.
SOLDATO Ehi donna, cosa fate lì sopra a ‘sta scala? Chi
ve l’ha dato il permesso?
MARIA È il figlio mio che avete inchiodato... voglio
staccarlo di lì, portarlo a casa con me...
02/10/2012 360
SOLDATO A casa? Ohi che premura! Non è ancora frollato
abbastanza, santa donna... non è ancora ben stagionato!
Bene... facciamo così, appena tira gli ultimi vi faccio un
fischietto e venite a prenderlo bello e impacchettato, il vostro
caro giovane... Contenta? Venite giù adesso.
MARIA No che non discendo! Non lascerò passare qui la
notte a mio figlio solo… a morirmi! E voi non potete farmi
‘sta prepotenza... che io sono la sua mamma di lui... sono la
sua mamma, io!
SOLDATO Bene! Cara la mia mamma di lui, adesso me le
avete gonfiate a abbastanza i coiombari! Faremo come
quando si scrollano le mele… vuoi vedere? Darò una bella
scrollata a questa scala… e verrete giù a tonfo come una
pera matura!
MARIA (mima di scendere velocemente) No, no... per
carità... aspettate che sono già giù... guardate sono qui sotto
la scala…
SOLDATO Oh, l’avete capita alla fine questa ballata, o
donna benedetta! E non guardatemi con questi occhi che
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piangon fuoco, che io non ho colpa alcuna se il giovane si è
presa questa posizione scomoda di stare con le braccia
allargate… Oh che non ho pena di voi? Che non conosco io
il luccicchio di lacrime sanguinanti che vi sudano giù dagli
occhi? Questo è dolore di madre! Ma non ci posso far
niente… che io sono comandato che vada fino all’ordine
questa condanna… sono condannato a farvi morire il figlio,
o altrimenti, lassù, attaccheranno me, con gli stessi chiodi.
MARIA (si cava orecchini e anello) Buon soldato cortese e
caro… tenete… vi faccio un presente di questo anello d’oro
e questi orecchini d’argento… tenete… in cambio di un
piacere che mi potreste concedere…
SOLDATO Sarebbe ‘sto piacere?
MARIA Di lasciarmi lavare il sangue a mio figlio con un
po' d’acqua e uno straccio… e anche di inumidirgli le labbra
spaccate dalla sete…
SOLDATO Niente di più di queste sciocchezze?
PRIMA DONNA Vorrei anche che prendeste ‘sto scialle e
andaste sopra alla scala a metterglielo intorno alle spalle
02/10/2012 362
sotto alle braccia, per aiutarlo un poco a stare appeso alla
croce...
SOLDATO Oh donna, gli volete male al vostro caro giovine
dunque, se lo volete mantenere più a lungo in vita a fargli
patire ‘sti tremendi dolori. Al posto vostro, farei che il Cristo
muoia e subito!
MARIA (quasi sussurrando tra sé) Morire...?!
Dovrà veramente morire ‘sto caro mio dolce? Morte le
mani... morta la bocca... gli occhi... morti i capelli?
(Disperata) Ohi, che mi hanno tradita! (Chiama con voce via
via più terribile, volgendo gli occhi al cielo) Gabriele,
Gabriele... Gabriele... giovane di dolce figura, per primo tu,
tu!, mi hai tradita! Con la tua voce da viola innamorante sei
venuto a dirmi che sarei divenuta Regina, io... e beata, io, e
gioconda, io... a capo di tutte le donne!
Guardami, guardami come sono a pezzi e sbertucciata...
l’ultima donna al mondo mi sono scoperta! E tu... tu lo
sapevi nel portarmi l’annunzio disciogliente, che mi ha fatto
fiorire nel ventre questa mia creatura, che sarei arrivata a
02/10/2012 363
‘sto bel trono regina!... Regina! Regina, con figlio cavaliere
gentile... con due speroni fatti con due gran chiodi… piantati
nella carne dei piedi!
Perché non me lo hai detto avanti il segno?
Oh io, stai sicuro... non avrei mai voluto essere ingravidata...
no!... mai a ‘sta condizione! Anche se fosse venuto il Dio
Padre nella sua persona, e non il piccione colombo, spirito
beato, a maritarmi!
CRISTO (parla con maggior difficoltà) Mamma... oh che il
dolore ti ha fatto ammattire che bestemmi... (Agli astanti)
Portatela a casa fratelli... vi prego... portatela a casa prima
che crolli riversa...
UOMO Andiamo Maria, fate consolato (contento) il figliolo
vostro… lasciatelo in pace.
MARIA No che non voglio! Perdonatemi... lasciatemi stare
qui vicino a lui... non dirò più nemmeno una parola contro
suo padre… contro nessuno. Lasciatemi... oh siate buoni!
CRISTO (rantolando ogni volta che prende fiato) Devo
morire... mamma... e faccio fatica... Devo lasciarmi andare
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mamma... consumare il fiato che mi mantiene in vita... ma
con te... qui sotto... che ti strazi, non mi riesce mamma... e
faccio più grande fatica.
MARIA (implorante, quasi sottovoce) Non cacciarmi via
Gesù! Non cacciarmi via! (È al limite della disperazione)
Voglio morire, Gesù... voglio morire... (Grida disperata ai
presenti) Soffocatemi e seppellitemi in una tomba sola
abbracciata a mio figlio! (Al Cristo) Voglio morire Gesù!
Voglio morire...
SOLDATO Sacra donna è troppo grande ‘sto dolore di
madre... Facciamo così: noi soldati faremo finta di non
guardare… prendete ‘sta lancia… picchiategliela a tutta
forza nel costato e a fondo nel gozzo... di lì a un istante,
vedrete, il Cristo va a morire. (La Madonna cade a terra
svenuta) Cosa vi succede? È svenuta che non l’ho neanche
toccata!
UOMO Ha i malori, povera donna!
PRIMA DONNA Allungatela là… fate piano… e andate via
d’attorno che abbia a prendere fiato!
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SECONDA DONNA Povera donna!
MARIA (come in sogno) Chi sei bel giovane che mi pare di
conoscerti?
TERZA DONNA Ha le visioni!
GABRIELE Gabriele, l’angelo di Dio... sono io quello,
Vergine... il nunzio del tuo solitario e delicato amore.
MARIA (inizia con un fil di voce, prendendo via via tono e
forza) Gabriele... Gabriele... torna ad allargare le ali,
Gabriele... torna indietro al tuo bel cielo gioioso… tu non hai
niente a che fare, qui… in questa lercia terra... in questo
tormentato mondo.
Vattene Gabriele... che non ti si sporchino le ali colorate di
gentili colori... non vedi fango e sangue e letame misto a
puzzolente merda dappertutto?
Vattene Gabriele... che non ti si spacchino le orecchie tanto
delicate con ‘sto gridare disperato e pianti e implorare che
cresce da ogni parte...
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Vattene Gabriele... che non ti si consumino gli occhi
luminosi a rimirare piaghe e croste… bubboni e mosche e
vermi!, fuori dai morti squarciati!
Non sei abituato, tu Gabriele... che nel Paradiso non ci sono
né rumori, né pianti, né guerre, né prigioni, né uomini
impiccati, né donne violentate!
Non c’è né fame, né carestia, nessuno che sudi a
stracciabracce, né bambini senza sorrisi, né madri scurite dal
dolore... nessuno che peni per pagare il peccato! Vattene
Gabriele! Vattene Gabriele! (Urlando) Vatteneee
Gabrieeele!
Su un canto gregoriano cala lentamente la luce.
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IL MATTO E LA MORTE
Prologo 2000
Eccoci alla giullarata de “Il matto e la Morte”. Questo testo è
di origine croata, ma l’abbiamo scovato in una trascrizione
dalmata, piuttosto antica. Fool, fou, baléngo, luch, lòco,
ecc... sono termini, espressioni che in vari paesi d’Europa
alludono soprattutto ad una maschera del folle, appunto.
Nel teatro popolare dei primordi il matto indica il
personaggio di contrappunto, il capovolto, fuori-regola, che
non accetta né consuetudini né logica... per non parlare di
tutto ciò che la società presenta come regolamento, legalità,
dogma assoluto. Insomma è il rappresentante allegorico di
tutti gli scombinati che si chiamano fuori. Esiste un testo
famoso di Erasmo da Rotterdam che ha per titolo “La nave
dei folli”. Il testo satirico è ispirato a una autentica
consuetudine medievale. All’inizio della primavera nelle
Repubbliche Anseatiche tutti i pazzi, i diversi, i giullari, gli
squinternati, compresi eretici, liberi pensatori e prostitute
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irregolari, venivano a forza imbarcati su una nave priva di
timone e deriva. Il vascello veniva poi trascinato al largo e
affidato alle correnti ascendenti che lo accompagnavano
immancabilmente al nord nel Baltico fra i ghiacci. Un modo
simpatico per eliminare tutti i rompiscatole, “fuori dal coro”.
Il matto lo troviamo anche in molte storie sacre: è il
personaggio che s’incontra nell’osteria di Emaus, proprio
nella notte della cena famosa: l’ultima. Gesù Cristo e i suoi
Apostoli stanno in una saletta appartata, il matto e gli
avventori abituali sono nello stanzone attiguo alle cucine.
Intorno a un gran tavolo stanno giocando a carte un prete, un
soldato, un mercante. E’ evidente: si tratta di personaggi
allegorici che alludono a professioni di potere. Con loro c’è
anche il matto che naturalmente è destinato a perdere ogni
partita. Il matto, che rappresenta soprattutto il popolo
minuto, insiste a voler giocare con la speranza di guadagnare
almeno qualche mano, ma le regole le fanno i tre che
conducono il gioco, per di più barano smaccatamente e
nascondo le carte in ogni piega dei loro abiti: impossibile
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batterli! Dall’altra stanza, un fuoriscena, giunge ogni tanto
qualche rumore: una sommessa risata, voci sovrapposte, un
dialogo confuso di Santi che si accalorano in animate
discussioni. Scoppia un breve alterco con Giuda che,
risentito, se ne va sbattendo la porta; lo rincorrono alcuni
seguaci, cercano di calmarlo, lo convincono a tornare nella
stanza del banchetto: “Su non fare cossì, non prendertela... lo
sai com’è lui, ogni tanto gli gira storto e va giù pesante, ma
non lo fa per cattiveria. Di sicuro non lo pensava, anzi per
mé... scherzava! Torna indietro, dai... vedrai che ti chiede
pure scusa!”, e Giuda rientra, sospinto da quattro Apostoli.
Notiamo passare i servi con bacinelle colme d’acqua,
“Strana gente - commenta il matto sbirciando nell’altra
stanza - che originali! Si lavano i piedi prima di mangiare.”
La porta si spalanca e si chiude di continuo... il matto
continua a sbirciare al di là dei battenti e, ogni tanto, fa gesti
di saluto verso Gesù, gli strizza l’occhio e commenta: “Che
simpatico quel Cristo!”. Ad un certo punto il salone è
attraversato da una folata di vento gelido, sbattono le tende...
02/10/2012 370
entra in scena una strana figura... una donna avvolta da un
enorme manto nero, orlato di nappa a straccio con un velo
in testa che fa appena intravedere il viso. Regge una falce: è
la “stribbia”, la morte. Colti da brividi, i giocatori che stanno
intorno al tavolo, chi correndo, chi strisciando lungo le
pareti, fuggono. L’ostessa e i servi si ritirano rinchiudendosi
nella cucina. Nel salone rimane solo il matto: allocchito fissa
la stribbia che gli si avvicina e siede di fronte a lui. Il matto,
se pure in ritardo, l’ha riconosciuta, è convinto sia venuta
per lui, cerca di apparire nient’affatto sgomento, anzi gioca a
fare lo smargiasso: “Non éra proprio il caso che ti
scomodassi per uno sbilenco come mé... capisco darti da fare
per acchiappare un pezzo grosso, un ricco sfondato!”. Quasi
subito il matto si rende conto che le attenzioni della morte
non sono rivolte a lui, la “stribbia” è venuta per prendersi
Gesù Cristo. I due discorrono e il matto riesce a conoscere
dalla velata quale sarà la fine di Gesù. Gli si blocca il
respiro, non sa trattenere le lacrime poi, all’improvviso,
imprevedibile da autentico pazzo, esplode in una risata e
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comincia a cantare saltellando qua e là per la sala... offre da
bere alla stribbia, la corteggia con adulazioni paradossali,
esasperate. La triste velata, incredula, si diverte, brinda col
matto e beve, ma è risaputo, la morte non regge il vino.
Dopo un po' eccola ridere e danzare, quasi sguaiata, tenuta
per la vita dal matto che la fa piroettare intorno come un
fantoccio. Volano veli, stracci e mantelli, appare il viso
pallido della regina tombarola: “Oh, la bella smortina!”
esclama il matto. Spuntano seni tondi e sbianchiti ; il matto
l’accarezza e la stordisce di parole , la stringe a sé, la
solleva, la fa volare. La smortina s’è illanguidita, sta proprio
andando via di testa per ‘sto pazzo e con lui se ne esce
abbracciata, pigolando come una gazza in amore. L’allegoria
è antica, proviene certamente dal protocristianesimo, allude,
è ovvio, al rito che vede il matto come doppio di Cristo, che
conquista la morte, compresa sofferenza è sepoltura, poiché
lui, immortale si sacrifica e muore per liberare gli uomini.
Ora vi presentiamo il frammento della stessa scena
interamente dialogata.
02/10/2012 372
Il brano normalmente veniva rappresentato da almeno
cinque attori. Io mi proverò a realizzarlo come monologo.
IL MATTO E LA MORTE
PERSONAGGI
Il Matto-I Giocatore-II giocatore-III giocatore-Ostessa-
La Morte
In una locanda alcuni sfaccendati giocano a carte con il
matto.
MATTO Ól cavàl sü l'àsen, la vérzen sóra al viziùs e am
porti a casa tüto! Ah, ah. Avìt sémper üt la cunvinziùn ca mi
fudèssi un polàstro de spenà vu, eh? E mo', com' la metìu?
(Distribuisce le carte).
PRIMO GIOCATORE No’ a l'è finìda ancmò la partìda...
‘pècia un bòt a cantà!
MATTO No, che mi a canto de cóntra... e a balo! Ohi che
bele carte! Bòna sira maiestà, segnór régio, av despiàse
02/10/2012 373
andarme a catàr la corona de quèl bastardàsc d'ól mé amìgh?
(Sbatte una carta sul tavolo).
SECONDO GIOCATORE Ah ah... at sèt tumburnà col
régio ca mi ghe pichi l'imperadùr!
MATTO Ohi ohi, varda ti còssa ól mé càscia st'imperadùr:
agh pichi là quèst (si volta di schiena appoggiando il sedere
sul tavolo) e peu de giùnta 'st'asasìn che at cópa l'imperadùr
‘mé un porscèl.
PRIMO GIOCATORE E mi at stòpi l’asasìn col capitàni...
MATTO E mi at fagh stciopàr la guèra che ól capitàni ól
dev partìr!
SECONDO GIOCATORE E mi la carestia e ól culéra e la
peste che le guère a fan furnì!
MATTO E ti alóra to’ l'umbrèla che sptiù tempesta, sptiù
tempuraj... sptiú piòva e delügi! (Ha bevuto dalla brocca e
spruzza tutti quanti).
PRIMO GIOCATORE Ohi desgrasiàd d’un Matazón, at si
mat?!
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MATTO Eh sì che a son mato ah... se a mé ciamìt Matazón,
son mato... e a mé vìncio ‘e partìde de taròchi cónt al delügi
che a òmni pestilenza fa fà ól fagòt.
OSTESSA Déighe ón tàj par piazér de fà 'sto burdeléri, che
gh'ho zénte in d'ól stanzón ch'i è a rénta andàr a tàbola.
MATTO Chi a sont?
OSTESSA No’l sagh mi... che no’ i gh’avévi gimài vedúi
chilò a Emmàus quèili, in la méa lucànda. I ghe dise i
apostoli...
Interrompono un attimo il gioco.
SECONDO GIOCATORE Ah, i sont quèi dódes che agh
van intorno al Nazaréno.
MATTO Sì, ól Gesú, che ól serìa quèilo che ól sta in del
mèz, vàrdalo là... ch'ól m'è tant sempàtich a mi. (Chiama a
gran voce) Ohè Gesú Nazarén, at salüdi! Bòn apetit! (Agli
amici) Hàit vist, ól m’ha schisciàd l’ögio... Com'a l’è
sempàtich!
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TERZO GIOCATORE Dódes e vün trèdes... o i's mèt a
tàbola in trèdes, che agh ména’ sì tanto gram!
MATTO Oh, ma se i sont matòchi! ‘Pècia che agh fagh ‘na
scaramànza par scasciàrghe via ól maleugio. (Canta)
Trédes a çena scalògna nol ména
maleugio stà quac
che at tóchi 'sti ciàpp! (Palpa il sedere all'ostessa).
OSTESSA Stàite bòn, Matazón, che am fàit reversàre
l’acqua bujénta!
PRIMO GIOCATORE L'acqua bujénta? Cosa an ne fan
cos'è quèili? (Distribuisce le carte).
OSTESSA A credi che i se vol lavàsse i pìe.
SECONDO GIOCATORE Lavàrse i pìe inànze de magnàr?
Ohi, chi è 'mpròpi mati! Matazón, ti at dobiarèset andàrghe
cont lóri che a quèili a sónt i compagnón fadi a bela pòsta
par ti.
MATTO (nella foga del discorso non si accorge che i
compari velocemente gli sostituiscono le carte) At l'hàit
dit… ti gh'ha rezón: am véncio 'sta partida e cont i palànchi
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che am pagarét… vagh de là in d'ól stanzón a bévarmei tüti
cont lóri... e vui no' vegnì miga, che vui no' podìt star coi
mati e matazóni, che a sit de’ savi fiòl de putàne e de
ladroni!
TERZO GIOCATORE Gieuga, gieuga… che am vòi pròpi
geud 'sta tua vinciüda!
MATTO A spropòsit de ladroni: indùa l'è 'ndàd a furnì ól
Mato che gh'l'avevi in mèz a i mé carti?
SECONDO GIOCATORE Dèighe un spèc che ól se pòda
miràr: at truarèt de sübet la fàcia d'ól tò Mato.
PRIMO GIOCATORE Gieuga e no' stà a pèrd ól témp!
(Inizia la partita) Cavajér col spadón!
SECONDO GIOCATORE Rejna col bastón!
MATTO Stròlega col cavrón!
TERZO GIOCATORE Ól bambìn innozénte!
PRIMO GIOCATORE Ól Deo 'nipoténte!
MATTO La justìzia e la rezón!
SECONDO GIOCATORE Ól furbàso e l'avocàt!
TERZO GIOCATORE Ól bòja e l'impicàt!
02/10/2012 377
MATTO Ól papa e la papèsa!
PRIMO GIOCATORE Ól préite che fa mèsa!
SECONDO GIOCATORE La vita bela e alegra!
TERZO GIOCATORE La morte bianca e négra!
SECONDO GIOCATORE De carte a ghe n’èt pü: caro ól
mé mat ti gh'ha perdü!
MATTO ‘Pusìbil! Ma come ho fàit a pèrdre?
PRIMO GIOCATORE Com l’ha fàit? No' ti è bòn de
ziogàr, ól mé car Matazón cojón! Paga mo', foera 'ste
palànche!
MATTO M’avìt pelàt al cumplèt, bòja d'un geubo!... E di'
che a pensàg mé pareva d'avérghela mi, de següro, 'sta carta
de la morte... am regòrdi che agh l'avevi chi in d'ól mèz.
Sul fondo appare la Morte avvolta in un gran mantello nero.
Un velo leggero lascia trsparire un viso
“mortalmente”pallido.
SECONDO GIOCATORE Ohi mama... chi a l’è quèla?!
02/10/2012 378
Il matto volta le spalle alla Morte. È intento a contare le
poche monete che gli sono rimaste.
TERZO GIOCATORE La stria... la Morte!
Fuggono tutti meno il Matto.
MATTO Sì, la Morte, impròpri... gh’l'aveva mi! Ohi che
frio... 'ndua av sit casciàdi tüti? Gh'è ól zélo ch'a'm ‘riva in
d'i òsi. Sarìt quèla porta... (Sbircia appena la Morte) Bòn dì.
(Tra sé) Gh'è tüto seràd... d'in dóe ól végne 'sto
infregiaménto bòja? (Ferma l’attenzione sulla donna velata
e ha un moto di spavento) Bòn dì, bona sira... bona note…
Madama, cont permès. (Si alza per andarsene… ma non sa
come accomiatarsi) Sicóme i mé amìsi a sónt andàtt... (Si
rende conto di aver a dimenticato le monete sulla tavola, si
blocca e torna indietro) Scerché quaidün? La padrona l’è de
là in d’ól stanzùn a servigh in tàola a i apòstul ól baslòt de
02/10/2012 379
lavàs i pìe: se a vorsì andagh, no’ fit di cumpliménti…
(Trema vistosamente) Ohi che barbèli!
MORTE No, av rengràzio, ma prefèrzo de spectàre quìnve.
MATTO Bòn... se la vòl sentàrse, las tòga 'sta cadréga... l'è
anc’mò calda, che gh'l'ho scaldàda mi! (La donna si siede)
Ca scüsa, madama... ma indès che la vardi plü de rénta am
somégia d'avéghla reconosüda ‘n'altra veulta.
MORTE El sta imposìble, ch’éo mé sónt üna ch’as conóse
‘na volta… mas solamente.
MATTO Ah sì? ‘Na volta mas...? A la gh’ha una parlàda de
forèsta... che la mé par toscània... No’ la è toscània?
Ferarésa? Romana? Trevigiana? De Cicìlia? Nemanco de
Cremona? Ab òmni manéra madama, am permetì de dirve
che av truvi un poch giò de caregiàda, un poch smortìna…
de l'ültema veulta che no’ vé gh'ho cognosüda.
MORTE At dit smòrta?
MATTO Sì, no’ ve ofendìt a spéro?
MORTE No, che eo a sónt in sempitèrna stada smòrta. Che
smòrto e gli è el méo naturale.
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MATTO Smòrto al naturale? (Di colpo si ricorda) Ah, èco
a chi a ghe somégia! (Prende dal mazzo una carta e gliela
mostra) Vu che somegì spuàda a ‘sta figura ch'è pinturàda su
‘sta carta!
MORTE Enfàcti. Eo a sónt la Morte.
MATTO La Morte? (A tratti, balbettabdo) A sit la Morte, a
vu? (Gli trema vistosamente la gamba) Oh ti varda la
combinasiün! A l’è la Morte! Bòn... piazére... mi a sont
Matazón.
MORTE Té fago pagüra, eh?
MATTO Pagüra a mi? (Non riesce a trattenere il continuo
fremito alla gamba) No, che mi a son mato matazóne, e ól
san tüti che anco in d'ól ziògo de i taròchi ól mato no’ ól
gh'ha pagüra de la morte. Anze, de contra la va zercàndo par
far copia maridàda, che inséma i vénze òmnia carta: infin
quèla d'amore!
MORTE Se no' ti g'hai pagüra, come l'è che té trémba 'sta
giàmba?
02/10/2012 381
MATTO La giàmba? A l'è perchè a no' l'è mia 'sta giàmba
chì! Che la mia vera de mi mé la gh'ho perdüda in d'ól
campo a guerezàre... e alóra ne gh'ho catàda una d'un
càpitani... che lü a l’éra morto e la sòa giàmba la svisigàva
an’cmò viva como la fuèse ‘na côa d'üna luzèrtula cupàda. E
dónca gh'l'hàit taiàda, 'sta giàmba e m'la sónt tacàta a mi con
la spüa... (si muove mimando un ancheggiare da storpio)
che, vardìt, ól se comprénd bén che no' la pò ess la méa... a
l'è plü lónga de òna spana che la mé fa 'ndà sòpo de
stràmbola, a mi! (Si rivolge alla gamba che continua a
tremare) Ohi, güra, che no' as deve trembàr de fifa d'enànze
a una segnóra madòna lustrìsema compàgna... (come
parlasse a un cavallo) ‘dèm… pògia!
MORTE At sèt bòn zentìle a nomàrme lustrìsema e madòna.
MATTO Oh, n'ól fagh per zerimònia, credìme... ca par mi, a
vel ziüri, vu s'èt ‘lustrìsima e infìn induràbil... e mi gh'hàit
plazér che vui sit 'gnüda a trovàrme a mi… ché vui mé
piazìu, tant che av vòj pagàr de bévar, se am permetì!
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MORTE Bén volentéra... (Interessata) Hai dit ch'éo at plazi
a ti?
MATTO (versa del vino nei bicchieri) Següra! Tüto am
piàze de vui: ól parfüm de grizantémi che gh'i' indòso… e ól
palór smòrto de la fàcia, che de noiàltri as dise: "Dòna de
carna fina, d'ól colór d'la biàca, dòna che in d'ól far l'amór
no' l'è mai straca!".
MORTE Oh… che 'm fàit 'gnire svergognósa, mato che no'
sèit àrtro! Niùno mé aveva gimài fata ‘rosìre in 'sta manéra.
MATTO ‘Rusìt imparchè vui sit dòna vérzine et purìsima:
che a l'è véra che parèci òmeni vui avìt imbrasàd, ma par una
veulta sojaménte... ché niùno de quèi ól meritàva de
desténderse rutulàndo in brasa a vui… ché niùno av porta
amór sinzér nì stima.
MORTE A l'è véra, niùno mé stima!
MATTO Imparchè vui sèt trop modesta e no' fèt sonàr
corni, ni bàter tambóri a 'nunziàr la vostra vegniüda, con tüt
che sit Reèjna... (Versa da bere) Rèjna d'ól mundo! (Alza il
bicchiere e brinda) A la vostra sanità, Rèjna!
02/10/2012 383
MORTE Sanità de la Morte? No' 'ndivìno si ti è plü mato o
plü poeta.
MATTO Tüti li dò: imperochè òmni reàl poeta a l'è mato, e
al roèrso. (Le offre da bere) 'Evìt, smortìna, che ól ve darà un
poch d' colùr 'sto vin. (Bevono).
MORTE (sorseggia il vino) Oh ch l'è bòn!
MATTO E come n'ól podarìa ès bòn... a l’è istèso che l'è
rénta a béf ól Nazaréno, in d'ól stanzùn de là... e quèl as
n'intend e come ad vin... gran cognosidùr l’è quèl!
MORTE Lo qual'è ól Nazareno in fra quèi?
MATTO Ól zóvin sentàd ind'ól mèz, quèl cont i ögi grandi e
ciàri.
MORTE L’è òm de dólza figüra!
MATTO Sì, a l'è un bèl zióvin, ma no' mé vorsarì far 'gnir
gialùso... no' mé vorsarì far ól despèt de lasàrme de par mi
zol, par andàghe in compagnia de lóri... che am vegnarìa de
plànger desesperàt!
02/10/2012 384
MORTE Ti mé vòl luzingàre oh, furbàso? (Si toglie il velo:
scopre lunghi capelli dorati, il viso pallidissimo e
occhidolcemente ombrati: è bellissima).
MATTO Mi luzingàr? Luzingàr ‘na dama che nemanco de
imperadór, ne manco de papa no’ se lasa menàr in sogezión?
Ohi l’encànto che ti fa co' 'sti cavèi, che mi volentéra a
catarìa tüti i fiór de la tèra per bütàrteli indòso de covrìrte
tüta sóto un gran mücio, e po' am butarìa anc’mi a scercàrte
sòta a quèl mücio e a spoiàrte de i fior… e de tüto !
MORTE At m' fàit créser gran calór con 'ste parole, el méo
mato… e am rincrésse caro… che volentéra avrìa vorsüdo
starte in compagnia e portàrte séco a mi.
MATTO No' ti è ‘gnüda par quèl… par portàrme via con ti?
(Ride felice) Ah ah, no' sèt 'gnüda par mi... ah ah... e mi che
am figuràva... ohj che a l'è gran ridiculàso 'sto facto! Bòn,
am fa majór plazér 'sto rebaltón de stciàmbio, a sónt pròpi
contént! Ah ah!
02/10/2012 385
MORTE Mo’ a végo bén che ti gh’ha ziogà bosiàrdo... che
ti fazéa móstra de pasión amorosa par embesuìrme e
scantonàr a la Morte... che a sónt mi, quèla.
MATTO No, ti gh'ha catào un scarpüsc, smortìna... mi sto
en grand festa per la rasón che ti no' s'et chi de mi par
servìsi... no' ti gh’ha scernìt la mea compagnia per ól to’
mesté de trame fœra l'ültem fià... ma per la rasón che te se
stralòcheno i ògi e ol coeur per le rigolàde e ó pasèr che te
dago… l'è vera? Av sónt sempàtich mé smortìna? Dime!
(Breve pausa) Se l'è ch'av sücéd… che av góta feura i
làgrem da i ögi? Oh quèsta a l'è propri da strabalénga! La
Mort che la plange! At gh’hai purtàt ofésa mi?
MORTE No, ti ne mé gh'hai ofendüa... ti m'hai molcìdo ól
còr sojaménte... Eo plango par malenconìa de quèl fiòlo
Jésus sì dolze... che illo è lo qual a che doverò tòllere lo
respiro.
MATTO Ah, par lü at sèt 'gnüda... par ól Crist! Bòja, mé
rencrés anca a mi pòr zóvin. E par quale azidént o maladìa ol
lo menerét via?
02/10/2012 386
MORTE Maladìa de la croze…
MATTO De la croz? Ól fornirà inciudàd? Oh pòver Crist...
che n'oòl podéva ‘vegh 'n'àlter nóm plü sventuràt! Sént,
smortìna: fam un piasér, lasa che mi agh vaga a ‘visàl... c'ól
se prepara a 'sto suplìzi treménd!
MORTE Gli è inütil che t' l'avìsi, imparchè sì 'l conóse… el
sape bén de quand l’è nascìo al mündo che dimàn e dobiarà
slongàrse in cróze.
MATTO Ól sape... ól cognós e, de ‘giùnta, ól resta lì lóga
tranquìl a cuntàrla sü e ghe surìd beàt ai so' compagnón? Oh
che a l'è mat anc lü pejiór de mi, quèl!
MORTE Té l'hàit dito! Vién… no' stémoce a pensarghe
plü... 'egni a versàrme el vino che mé vòjo imbriagàre...
slontanàr de 'sta trestìzia.
MATTO At gh'hàit rezón... ól meiór è avérghe la morte
alégra! Dònca: bevémo a scaciamagón! Bèla smortìna...
vègne che se démo el contento… Slàzate 'sto mantèl che at
vòj védar 'ste braze stagne d'ól colór d'la lüna... (La donna si
toglie il mantello) Ohi che són presióse… Slàzet anc’ ól
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gibòt d'inànz che at vòi lustràrme i ögi con 'sti to’ dòi pómi
d'arzénto che par le stèle Diane...
MORTE No a té prégi mato... che éo a mi sónt donzèla e
garzonèta e mé svergógno tüta... che niùno òmo el m’ha
gimài tocàta snùda!
MATTO Ma mi a sont ól Mato, minga ‘n’òmo... e la Morte
no’ farà pecàt a lasàrse amar da un fòll baléngo, che a songh
mi quèl... No' t'habia pagüra che mi a smorzerò tüti i lümi... e
a un soléngo an lasarò... e andarémo a balar... di bei pasèti
che at vòj 'nsegnàr... at vòj far cantar de sospiri e de laménti
inamorosi. (Canta accennando passi di danza con giravolte
sempre più veloci)
Làssate andar e ziravòlta a róndo
lassa che le mée dida vàgheno zercando
in di piegaménti dée tòe sotàne
làssame andar en danza en le tòe còssie
lasse che le tòe giàmbe le se inforca co’ le mée
lassa che tüti e dòi se vaga in giostra
lassa che vaga revoltàndose el zervèl
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e ol mondo tüto ól vaga a rebaltón!
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TRADUZIONE
In una locanda alcuni sfaccendati giocano a carte con il
matto.
MATTO Il cavallo su l'asino, la vergine sopra al vizioso e
mi porto a casa tutto! Ah, ah. Avete sempre avuto la
convinzione che io fossi un pollastro da spennare, voi eh? E
adesso, come la mettiamo? (Distribuisce le carte)
PRIMO GIOCATORE Non è ancora finita la partita…
spetta un momento a cantare!
MATTO No, che io canto invece... e ballo! (Sbirciando le
proprie carte) Ohi che belle carte! Buona sera maestà, signor
re… vi dispiace ad andarmi a prendere la corona di quel
bastardaccio del mio amico? (Sbatte una carta sul tavolo).
SECONDO GIOCATORE Ah ah... sei cascato in trappola
col re: io adesso ci piazzo l'imperatore!
MATTO Ohi ohi, guarda tu cosa mi combina ‘sto
imperatore: ci picchio là questo (si volta di schiena
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appoggiando il sedere sul tavolo) e poi d’aggiunta ‘sto
assassino che ti ammazza l'imperatore come un porcello.
PRIMO GIOCATORE E io ti stoppo l’assassino col
capitano...
MATTO E io ti faccio scoppiare la guerra così il capitano
deve partire!
SECONDO GIOCATORE E io (ti faccio venire) la carestia
e il colera e la peste che le guerre fanno finire!
MATTO E tu allora prendi l'ombrello che sputo tempesta,
sputo temporali... sputo pioggia e diluvio! (Ha bevuto dalla
brocca e spruzza tutti quanti).
PRIMO GIOCATORE Ohi disgraziato d'un Mattazzone, sei
matto?!
MATTO Eh sì che son matto ah... se mi chiamate
Mattazzone, son matto... e mi vinco le partite dei tarocchi
con il diluvio che a ogni pestilenza fa fare fagotto.
OSTESSA Dateci un taglio per piacere con 'sto bordello,
che ho gente nello stanzone che sta andando a tavola.
MATTO Chi sono?
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OSTESSA Non so io... non li avevo mai visti quelli ad
Emmaus nella mia locanda. Li chiamano gli apostoli...
Interrompono per un attimo il gioco.
SECONDO GIOCATORE Ah, sono quei dodici che vanno
seguendo il Nazareno.
MATTO Sì, Gesù, che sarebbe quello che sta nel mezzo…
guardalo là... che m'è tanto simpatico! (Chiama a gran voce)
Ohe Gesù Nazareno, ti saluto! Buon appetito! (Agli amici)
Avete visto? M'ha schiacciato l’occhio... Com’è simpatico!
TERZO GIOCATORE Dodici e uno tredici... si mettono a
tavola in tredici che porta tanto gramo (sfortuna)!
MATTO Oh, ma se sono matti! Aspetta che gli faccio una
scaramanzia per cacciargli via il malocchio. (Canta)
Tredici a cena scalogna non mena
malocchio sta quieto
che ti tocco il didietro! (Palpa il sedere all'Ostessa).
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OSTESSA Sta buono, Mattazzone, che mi fai rovesciare
l’acqua bollente!
PRIMO GIOCATORE L’acqua bollente? Cosa ne fanno
quelli? (Distribuisce le carte).
OSTESSA Credo si vogliano lavare i piedi.
SECONDO GIOCATORE Lavarsi i piedi prima di
mangiare? Ohi, sono proprio matti! Mattazzone, tu dovresti
andare con loro che quelli sono i compari fatti apposta per
te!
MATTO (nella foga del discorso non si accorge che gli
amici velocemente gli sostituiscono le carte) L’hai detto…
hai ragione: mi vinco ‘sta partita e con le palanche che mi
pagherete vado di là nello stanzone a bermeli con loro... e
voi non ci verrete per via che non siete né matti né
mattazzoni… siete dei savi figli di puttane e di ladroni!
TERZO GIOCATORE Gioca, gioca… che mi voglio
proprio godere ‘sta tua vittoria!
MATTO A proposito di ladroni, dove è andato a finire il
Matto che avevo tra le mie carte?
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SECONDO GIOCATORE Dategli uno specchio che si
possa rimirare: troverai subito la faccia del tuo Matto.
PRIMO GIOCATORE Gioca e non perdere tempo... (Inizia
la partita) Cavaliere con lo spadone.
SECONDO GIOCATORE Regina col bastone.
MATTO Strega col caprone.
TERZO GIOCATORE Il bambino innocente.
PRlMO GIOCATORE Il Dio onnipotente.
MATTO La giustizia e la ragione.
SECONDO GIOCATORE Il furbo e l’avvocato.
TERZO GIOCATORE Il bòja e l’impiccato.
MATTO Il papa e la papessa.
PRIMO GIOCATORE Il prete che fa la messa.
SECONDO GIOCATORE La vita bella e allegra.
TERZO GIOCATORE La morte bianca e nera.
SECONDO GIOCATORE L’ultima carte, ecco ho calato,
caro il mio Matto sei bello e fregato! fottuto
MATTO Possibile! Ma come ho fatto a perdere?
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PRIMO GIOCATORE Come hai fatto? Non sei capace di
giocare, caro il mio Mattazzone coglione. Adesso paga, fuori
questi soldi!
MATTO M'avete pelato completamente, bòja d'un gobbo...
E dire che a pensarci mi sembrava proprio di averla io,
questa carta della morte… mi ricordo che ce l'avevo qui nel
mezzo.
Sul fondo appare la Morte avvolta in un gran mantello nero.
Un velo leggero lascia trasparire un viso
“mortalmente”pallido.
SECONDO GIOCATORE Ohi mamma... chi è quella?
Il matto volta le spalle alla Morte. È intento a contare le
poche monete che gli sono rimaste.
TERZO GIOCATORE La stria… (forma gergale di morte
improvvisa) La morte!
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Fuggono tutti meno il Matto.
MATTO Sí, la Morte! Proprio... ce l'avevo io! Oh che
freddo... Dove vi siete cacciati tutti? Ho il gelo che mi arriva
alle ossa. Chiudete quella porta... (Sbircia appena la Morte)
Buon giorno! (Tra sé) È tutto chiuso… da dove arriva ‘sto
freddo bòja? (Ferma l’attenzione sulla donna velata e ha un
moto di spavento) Buon giorno, buona sera... buona notte…
Madama con permesso. (Si alza per andarsene… ma non sa
come accomiatarsi) Siccome i miei amici sono andati... (Si
rende conto di aver dimenticato le monete sulla tavola, si
blocca e torna indietro) Cercate qualcuno? La padrona è di
là nello stanzone a servire in tavola gli apostoli e la bacinella
per lavarsi i piedi… se volete andarci non fate complimenti.
(Trema vistosamente) Oh che batto i denti!
MORTE No, vi ringrazio, ma io preferisco aspettare qui.
MATTO Bene, se vuol sedersi si prenda questa sedia è
ancora calda, l'ho scaldata io! Mi scusi, signora ma adesso
02/10/2012 396
che la guardo più da vicino mi sembra d'averla già
conosciuta un'altra volta.
MORTE È impossibile, che io sono una che si conosce una
volta sola.
MATTO Ah sí? Una volta sola? Ha una parlata forestiera,
che mi sembra toscana. (La donna diniega) Non lo è?
Ferrarese? Romana? Trevigiana? Di Sicilia? Nemmeno di
Cremona? Ad ogni modo, signora, mi permetta di dirle che
la trovo un po' giù di corda, un po' pallida… dall'ultima volta
che non l'ho conosciuta.
MORTE Dici che sono pallida?
MATTO Sí, non vi offendete, spero?
MORTE No, io sono eternamente stata pallida. Il pallore è il
mio (colore) naturale.
MATTO Pallida naturale? (Di colpo si ricorda) Ah, ecco a
chi assomigliate! (Prende dal mazzo una carta e la mostra)!
Voi assomigliate sputata a questa figura dipinta su ‘sta carta
MORTE Infatti. Io sono la Morte.
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MATTO La Morte? (A tratti, balbettando) Ah, siete la
Morte, voi? (Gli trema vistosamente la gamba) Oh guarda
che combinazione! È la Morte! Bene... piacere... io sono
Mattazzone.
MORTE Ti faccio paura, eh?
MATTO Paura a mé? (Non riesce a trattenere il continuo
fremito alla gamba) No, io sono matto e lo sanno tutti, anche
nel gioco dei tarocchi, che il matto non ha paura della Morte.
Anzi, al contrario, la va cercando per far coppia maritata,
che insieme vincono ogni carta, persino quella d'amore!
MORTE Se non hai paura, com'è che ti trema questa gamba?
MATTO La gamba? È perché questa gamba non è mia. La
mia vera l'ho persa in un campo a guerreggiare... e allora ne
ho presa una di un capitano che éra morto e la sua gamba si
muoveva ancora viva come fosse stata la coda di una
lucertola ammazzata. E dunque gli ho tagliato questa gamba
e mé la sono attaccata da solo, con lo sputo… (si muove
mimando un ancheggiare da storpio) che, guardate, si
capisce bene che non può essere la mia... e più lunga di una
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spanna e mi fa andare zoppo. (Rivolto alla gamba) Ohi! Sta'
buona (gamba del capitano), che non si deve avere paura
davanti a una signora madonna illustrissima come questa!
(Come parlasse ad un cavallo) Andiamo, appoggia!
MORTE Sei bén gentile a chiamarmi illustrissima e
madonna.
MATTO Oh, non lo faccio per cerimonie, credetemi, è che
per mé, lo giuro, voi siete illustrissima e perfino adorabile.
Mi lusinga che mi siate venuta a trovare… ché voi mi
piacete, tanto che vi voglio pagare da bere, se me lo
permettete!
MORTE Ben volentieri… (Interessata) Hai detto che ti
piaccio?
MATTO (versa del vino nei bicchieri) Certo! Tutto mi piace
di voi: il profumo di crisantemi che avete addosso… il
pallore smorto della faccia… che da noi si dice: «Donna di
carne fina dal colore di biacca, donna che a far l'amore mai
si stracca (stanca)».
02/10/2012 399
MORTE Oh, mi fai diventare vergognosa, matto che non sei
altro! Nessuno mi aveva mai fatto arrossire in questo modo.
MATTO Arrossite perché voi siete donna illibata e pura: è
vero che parecchi uomini avete abbracciato, ma per una
volta sola... ché nessuno di quelli meritava di stendersi e
rotolare in braccio a voi… ché nessuno vi porta amore
sincero né stima.
MORTE È vero, nessuno mi stima!
MATTO Perché voi siete troppo modesta e non fate suonare
corni, né battere tamburi ad annunciare la vostra venuta, con
tutto che siete Regina... (Versa da bere) Regina del mondo!
(Alza il bicchiere e brinda) Alla vostra salute, Regina!
MORTE Salute della Morte? Non indovino se sei più matto
o più poeta.
MATTO Tutti e due, perché ogni vero poeta è matto, e
viceversa. (Le offre da bere) Bevete, pallidina, che vi darà
un po' di colore questo vino. (Bevono).
MORTE (sorseggia il vino) Oh come è buono!
02/10/2012 400
MATTO E come non potrebbe essere buono? È lo stesso che
sta bevendo il Nazareno, nello stanzone di là, e quello se ne
intende eccome di vino… Gran conoscitore è!
MORTE Qual è il Nazareno fra quelli?
MATTO Il giovane seduto nel mezzo, quello con gli occhi
grandi e chiari.
MORTE È un uomo di dolce figura!
MATTO Sí, è un bel giovane, ma non vorrete ingelosirmi?
Non mi vorrete fare il dispetto di lasciarmi solo per andare
con loro… ché mi verrebbe da piangere disperato!
MORTE Mi vuoi lusingare, eh, furbacchione?! (Si toglie il
velo: scopre lunghi capelli dorati, il viso pallidissimo e
occhi dolcemente ombrati: è bellissima).
MATTO Io lusingare? Lusingare una dama che non si lascia
mettere in soggezione né da papi, né da imperatori? Oh!
l’incanto che sei con questi capelli, che io volentieri
coglierei tutti i fiori della terra per buttarteli addosso da
coprirti tutta sotto un gran mucchio, e poi mi butterei anch'io
02/10/2012 401
a cercarti sotto quel mucchio e ti spoglierei dei fiori... e di
tutto!
MORTE Mi fai crescer gran caldo con queste parole, caro il
mio matto… e mi spiace… ché volentieri sarei rimasta in tua
compagnia e ti avrei portato con mé.
MATTO Non sei venuta per quello? Per portarmi via? (Ride
felice) Ah! Non sei venuta per mé... ah, ah... E io che
credevo... Oh, è davvero da farsi gran risate 'sto fatto! Che
pacchia! Mi va proprio al bacio 'sto scambio, a ribaltone!
Sono proprio contento! Ah, ah!
MORTE Ora ben vedo che hai giocato bugiardo… facevi
mostra di passione amorosa per imbesuirmi e scantonare alla
Morte… che quella io son.
MATTO No, hai preso un granchio, sbianchina… io sto in
gran festa pel fatto che tu non sei da me per ufficio… non
hai scelto la mia compagnia per il tuo mestiere di cavarmi
(togliermi) l'ultimo respiro… ma per il fatto che ti si
stralloccano gli occhi e il cuore per le risate e il piacere che
ti do…vero? Ti sono simpatico io sbiancolina? Ditemi!
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(Breve pausa) Cosa ti succede… che ti gocciolano le
lacrime dagli occhi? Oh, questa è proprio da strafollia! La
Morte che piange! Ti ho portato offesa io?
MORTE No, non mi hai offeso, tu… mi hai sciolto di
tenerezza il cuore. Piango per malinconia di quel figlio Gesù
(che è) cosí dolce… che è lui quello al quale dovrò togliere
il respiro.
MATTO Ah, per lui sei venuta… per il Cristo! Bòja, spiace
anche a me povero giovane. E per quale accidente o malattia
te lo porterai con te?
MORTE Malattia della croce...
MATTO Della croce? Finirà inchiodato? Oh povero Cristo,
che non poteva avere un altro nome più sventurato. Senti,
pallidina fammi un piacere, lascia che io vada ad avvisarlo
che si prepari a questo supplizio tremendo.
MORTE È inutile che tu lo avvisi, perché lui lo sa già… lo
sa da quando è nato che domani dovrà allungarsi sulla croce.
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MATTO Lo sa… lo conosce e lo stesso rimane lí tranquillo
a dar corda e sorridere beato ai suoi compari? Oh, che è
matto anche lui peggio di mé!
MORTE L’hai detto… Vieni non stiamoci a pensare più…
vieni a versarmi del vino che mi voglio ubriacare…
allontanare da 'sta tristezza.
MATTO Hai ragione, è meglio avere la morte allegra.
Dunque: beviamo e scacciamo il magone! Bella pallidina…
vieni che ci diamo il contento… Slacciati il mantello che mi
voglio godere queste braccia sode del color della luna... (La
donna si toglie il mantello) Oh se son preziose! Slacciati
anche il giubbetto davanti, che mi voglio lucidare gli occhi
con questi due pomi d'argento che sembrano le stelle
Diane…
MORTE No ti prego matto… che io sono pulzella e
giovinetta e mi vergogno tutta… ché nessun uomo mi ha mai
toccata nuda!
MATTO Ma io sono il Matto, non un uomo… e la Morte
non farà peccato a lasciarsi amare da un folle balengo come
02/10/2012 404
me. Non aver paura, ché io spegnerò tutti i lumi e ne lascerò
uno solo… e andremo a ballare dei bei passetti che ti voglio
insegnare e ti farò cantate di sospiri e di lamenti amorosi.
(Canta accennando passi di danza con giravolte sempre più
veloci)
Lasciati andare in giravolte a rondo
lascia che le mie dita vadano cercando
nei panneggi delle tue gonne
lasciami andare in danza nelle tue cosce
lascia che le tue gambe s’inforchino con le mie
lascia che tutte e due si vada in giostra
lascia che vada rivoltandosi il cervello
e il mondo tutto vada a ribaltone!
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I CROZADOR (INCHIOVATORI)
Prologo
In Umbria con il termine “inchiovatore” si indica l’uomo che
inchioda Cristo alla croce durante le laudi rappresentate.
Nella piana del Po si usa il termine “inciudatur” o
“crozador”. Nella passione in lingua padana che ora
presentiamo appaiono quattro o più INCHIOVATORI diretti
da un loro capo.
Proprio quest’anno a Pisa verrà allestita una mostra di statue
lignee del XII e XIII secolo, raffiguranti Santi a grandezza
naturale che agiscono intorno alla croce. All’origine queste
statue interamente dipinte venivano usate nelle Passioni: il
Cristo inchiodato presentava braccia, polsi, busto e gambe
articolate cosicché si poteva recitare la discesa dalla croce
dando l’impressione che Gesù fosse reale.
La crocifissione che ora vi rappresentiamo è certamente di
quel periodo. Sorprende la tecnica descritta con precisione
quasi maniacale usata dai quattro INCHIOVATORI nello
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stendere e issare Gesù in croce. Si ha l’impressione che a
quel tempo l’azione di inchiodare poveri cristi fosse ben
conosciuta e ancora in auge! D’altra parte, sappiamo per
certo che quella forma di orrenda esecuzione ha continuato
ad essere praticata fino all’VIII e IX secolo. Ecco la ragione
per cui fino ad allora negli affreschi e nelle miniature in cui
si narra la vita di Cristo il momento della crocifissione è
immancabilmente censurato: non ci si poteva certo
permettere di inginocchiarsi e pregare davanti a un uomo,
seppur divino, condannato alla croce e all’uscita della chiesa
trovarsene uno vero issato su un analogo crocifisso.
GIOCO DEL MATTO SOTTO LA CROCE
PERSONAGGI
Il Cristo-Il Buffone-Il Matto-Capo degli inchiovatori-Primo
inchiovatore-Secondo inchiovatore-Terzo inchiovatore-
Quarto inchiovatore-Alcuni soldati-Alcune donne-Il
cadavere di Giuda
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Quattro uomini, (gli Inchiovatori) che alla cintola tengono
infilate mazze e lunghi chiodi stanno accingendosi a
crocifiggere Cristo. La croce è già distesa sul terreno. Sul
fondo, dietro ad un lenzuolo steso, in controluce, vediamo
Gesù che, costretto dai soldati, si spoglia, mentre alcune
donne appartate in un angolo del proscenio, seguono
l’azione. In piedi su uno sgabellotto c’è il banditore buffo.
BUFFONE Dòne! Ehj dòne inamoróse d'ól Crist, 'gnit a
lustràrve i ögi! 'Gnit a vidèl bèlo snùdo ch'ól se sbiòta, ól
vostro ‘moróso... dòi palanchi par sguardàda, ‘egnìt dòne!
Oh che l'è bèlo de catà! A disìu che a l'éra ól fiòl de Deo: mi
am parès col sébia iguàl a un altér òmo… par tüto
cumpàgn!... Dòi palànchi dòne par sguardàl! Agh n'è niùna
ch'as vöja tòr 'sto sfizi par dòj palànchi? (Nessuna reazione
da parte delle donne) Bòn, l'è dì de festa incóe... am vòj
ruinàrme... (Rivolgendosi ad una donna) Végn chi té, ch'at ól
fagarò vidè a gratis... (La donna non si muove) Ohi che
02/10/2012 408
smòrbia... vègn scià!, no' pèrd 'st'ocasión... (L’osserva con
più attenzione) No' ti è ti quèla, la Madaléna tanto inamorùsa
de lü che, no' truànd mantìn ni salvièta par sugàrghe i pie, ti
gh'l’ha sügàdi con i tò cavèi? (Non riceve risposta alcuna)
Bòn, pég par vui… che adès, par lége, a duarèm cuarciàl
covèrto in s'ül pecàt... con t'ün scusarìn c'ól somegiarà a 'na
balerìna! (Verso l’esterno) L'è a l'órdin ól cap di còmichi?
Tira sü ól telün che andarèm a incomenzàre ól spectàcol.
(Viene sollevato il drappo dietro il quale si trova il Cristo)
Scena prima: ól fiòl de Deo, gran cavajér cónt la corona ól
mónta a cavàlo... un bèl cavalòt de légn par andà a torneo in
giòstra… e par fà che n'ól bòrla in tèra... a l'inciodarèm süra
la sèla... man e pie!
Cristo viene disteso sulla croce.
CAPO DEGLI INCHIOVATORI Móchela de fà ól pajàso e
'ègn chì a dagh 'na man... Tachéghe 'na corda ai polsi, vün
par part, c'ól se slónga de polìto... ma laséme sgumbràt le
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palme, ch'as pòda ‘filzàrghe i ciòdi. Mi agh picarò in quèsta
de drita, e...
PRIMO INCHIOVATORE E mi in 'st' óltra. Butéme un
ciòdo lóngo, che ól martèl a gh'l'ho del mè. Ohi che ciodàsc!
A scumetì che in sète martelàde ól pichi déntar fino al còlo?
SECONDO INCHIOVATORE E mi ól fagarò in sése, at vòj
scumèt?
CAPO INCHIOVATORI D'acòrdi. Forsa, slarghìve vui dòi
che agh mètum le ale a 'st'angiulòto, ch'al gh'àbia a volàr 'mé
l'Icaro in d'ól ziél.
Trajèm inséma... Insémbia ho dit!... A m'lo stravachì! Pian
c'ól dév restà in d'ól mèz d'la sèla ól cavajér... Un poch pusé
a mi... bòn, agh són al ségn... impròpi in d'ól beugio! (Indica
il foro di abbrivio già approntato nella tavola).
SECONDO INCHIOVATORE Mi no' agh són miga, hàit
fàit i beugi tròp destànti... rüsa ti... forsa! T'è magnà la
furmagèla a 'sto mesdì? Sfòrsa!
PRIMO INCHIOVATORE Sì, sfòrza, va a fornì che agh
s’ciuncarèm i ligadüri de le spale e d'li gùmbet.
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CAPO INCHIOVATORI Ti no' té casciàre, che no' è miga
tòe le ligadüre! Rüsa! Eh eh, sforsa!
Gemito di Gesú sottolineato dal contrappunto lamentoso
delle donne.
PRIMO INCHIOVATORE Ohj, hàit sentìt ól s’cèpp?
SECONDO INCHIOVATORE Sì, no' l'è stàit bèl... a l'è un
s’ciòcch col mé fa sgrignì i òsi... de contra, ól s'è giüsta
slongàd de misüra: adès agh sónt ancmì sóra al beugio.
CAPO INCHIOVATORI Bòn, (rivolgendosi ad altri soldati)
vui tegnìt in tir la corda… e ti valza ól martèl che a partìsum
insèmbia.
SECONDO INCHIOVATORE Stagh aténto a no’ picàrte i
didi!
Sghignazzata generale.
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PRIMO INCHIOVATORE (a Cristo) Slarga 'sto sciampìn
che no' té fagh galìtigo, at següri!… Oh ti varda ‘sta man,
come la gh'ha impruntàt ól rigo de la vita!... A l'è un ségn
tant lóngo che ól parèse che a gh'ha ól destìn de campàr
ancmò sinquant'àni almànco, 'sto cavajér! Vagh a créderghe
a le bàgole de 'e stròlighe, a ti!
SECONDO INCHIOVATORE Stòpa ‘sta léngua e valza ól
martèl!
PRIMO INCHIOVATORE Son prunt a mi!
CAPO INCHIOVATORI Dàighe alóra... (Dà l’ordine
alzando la voce) Dàighee dól prém bòt...
(Tonfo) Ohioa ahh!
Urlo di Cristo.
BUFFONE Ghe ha sbüsà i palmi!
CAPO INCHIOVATORI (a contrappunto dell'urlo di
Cristo) Ohoo, ól trémba da par tüto. Stì calmi! (Impartendo
l’ordine) Dàghee d'ól segùnd bòt!
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Ohaoioaohh! A slargà i osi!
Ohoh… agh spüda ól sangu a gnòchi.
Dàighe ól terzo bòto! Ohahiohoh!
'Sto ciòd t'ha sverzenàt.
Ohoh… che e dòne no' ti gh'ha gìmai sforzàt.
El quarto bòto t'ól regala i soldàt! Ohahiohoh!
Che ti gh'hàit dit de no' masàre! Ohahiohoh!
E i nemìsi 'mé fradèli i dovarìa amare.
Ól quinto t'ól manda i vescovi d'la senagòga!
Ohahiohoh!
Che ti gh'hàit dit che i sónt falzi e malarbèti!
Ohahiohoh!
Che i tòi vescovi i sarà tüti ümili e povarèti.
Ól sesto l'è ól regalo de i segnóri!
Ohahiohoh!
Che ti gh'hàit dit che i no' anderàn in ziélo!
Ohahiohoh!
E ti gh'hàit fàit l'exémplo del camèlo.
Ól sètemo t'ól pica i'mpostóri! Ohahiohoh!,
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che ti gh'hàit dit che n'ól cùnta nagót se i préga!
Oohahiohoh!,
che i è bòni a fregàr mincióni in tèra ma ól Segnór, quèl no'l
sé fréga.
PRIMO INCHIOVATORE Hàit venciüd mè! At duarét
pagàm de bévar, recórdes.
BUFFONE Agh bevarémo a la santità do 'sto cavajér e a la
sòa sfortuna! (Al Cristo) Come av trouvìt, majstà? Av sentìt
bén saldo in d'i mani, ‘sto destrér? Bòn, alóra adèso
andarémo in giòstra, sanza lanza e sanza scudo!
CAPO DEGLI INCHIOVATORI Gh'hàit slazàde le corde
dai pólzi? Bravi i mè baroni... strenzéghe bén saràda ‘sta
corèza (i INCHIOVATORI avvolgono il petto di Cristo
affrancandolo torno-torno alla croce) intórna a e spale, che
nol débia borlàghe adòso in d'ól tirarlo in pie, 'sto campión!
Daspò, 'na volta inciodàd i pìe a gh'la caverém...
SECONDO INCHIOVATORE 'Gnì chi tüti... spuéve in ti
mani che a gh'èm de 'ndrisàr l'àrbor de la cucàgna! Viàltri
'gnì inànze co' e corde e féle pasàr de soravìa a la travèrsa de
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trànzet... Végn scià anca ti, Matazón: mónta in co' a la scala,
prónt a tegnìl.
MATTO Mé dispiàse ma mi no' pòdi aidàrve: che n'ól mé
gh'ha fàit nagòt a mi, quèlo...
SECONDO INCHIOVATORE O baléngo!, ma nemànco a
noàltri ól ne gh'ha fàit nagót: a l'èm giüsta incrusàt par
pasatém! (Ride sgangherato) Ah ah... e gh'han dàit de giùnta
diése palànche a testa par ól destùrbo! Dài, daghe üna man
che après at fèm l'onür de giugàrghe 'na partìda a dadi cun
ti...
MATTO Ah bòn… se a l'è par 'na partìda no' mé tiri minga
indré! Sónt già su la scala, varda... a podì scomenzà!
CAPO INCHIOVATORI Brao! Sèm a l'órden tüti? 'Ndém
alóra, rüzèm insèmbia… mé aricomàndi, un strèp lóngo a la
volta. Av dagh ól témp:
Ohj izarémo ehiee
'sto penón de nave ohoho
par fagh de drapo ohoho
gh'èm tacàd un mato. ohoho
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Ohj izarémo ehiee
'sto palón de festa ohoho
cucàgna gròsa ohoho
Gesú Cristo in còfa ohoho
Ohi che cucàgna! ahaa
che la sbüsa ól ziélo ohoho
agh piove sangu ohoho
Patre nostro ól plange. ohoho
‘Legrìve, ‘legrìve! ehee
ch'èm trovàt chèlo bravo ohoho
c'ól s'è fàit s’ciàvo ohoho
par vestìrghe da nòvo. ohoho
(Alla maniera dei cavallanti) Loeu… a l'è asè! (La croce è
stata issata) Mé par che ól stévia bén franco. Bòn... (al
Matto) alóra, tra' feura i dadi che fèm ‘sta ziogàda.
I giocatori mimano velocemente di giocare varie e concitate
partite ai dadi e ai tarocchi: il Matto vince la tunica di Cristo,
le paghe dei "INCHIOVATORI".
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MATTO Oh, se vorsìt tüti indré i vòst palànchi, mi a ve i
lasi de voluntéra… cumprés la culàna, i uregìt, l'anèlo... e
varda… agh tachi ancmò quèst (aggiunge un braccialetto) !
PRIMO INCHIOVATORE E par tüta 'sta ròba cus té
vorarèset in scàmbi?
MATTO Quèl là... (indica il Cristo).
SECONDO INCHIOVATORE Ól Cristo?!
MATTO Sì, veuri che m'ól lasì stacàl via de la cròse.
CAPO INCHIOVATORI Bòn: pècia c'ól meura e a l'è tò!
MATTO No, mi ól veuri adès che l'è ancmò vivo.
PRIMO INCHIOVATORE Oh mat de tüti i mati... at
vorèste che de contra a gh'àbiüm de sfurnì inciodàt tüti
nünch quàtar al so' rempiàz?
MATTO No, no' avérghe pagüra, che no' av capitarà nagòta
a vui: abastarà che agh pìcum su un'ólter al so' pòst… vün de
la sua tàja, e at vedarèt che no' s'incorgerà niùn d'ól scambi...
che intanto su la cròse a se insomègen tüti.
PRIMO INCHIOVATORE Quèst l'è anco vera... inscurtegàt
in 'sta manéra peu, che ól par un pèss in gratiróla...
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CAPO INCHIOVATORI Ól sarà vera, ma mi no' ghe stago.
E peu, chi ti gh'avarìat in mént de tacàghe d'ól rempiàz?
MATTO Ól Giuda !
CAPO INCHIOVATORI Ól Giuda? Quèl...
MATTO Sì, quèl so' apòstul traditùr che ól s'è impicàt
pendùt per disperaziün al figo de drio a la sces, sinquànta
pas de chi.
CAPO INCHIOVATORI Meuves, de corsa… andém a
sbiutàl che ól gh'avarà ancmò in sacòcia i trenta denari d'ól
servìsi...
MATTO No, no' stit a disturbàv... che quèi i ha bütàd via de
sübet in mèz a un rosc de spin.
CAPO DEGLI INCHIOVATORI ‘Mé fàit a savèl ti?
MATTO Ól sago imparchè i gh'ho catàt mi quei dinari…
vün par vün. Vardì chì che brasi sgurbiàt che am sunt
cunsciàt.
CAPO INCHIOVATORI No' m' interèsa i brazi... faghe
vedè 'sti dinàri… (Matazzone mostra i denari) Ohi, ohi, e tüti
d'arzénti! Va' beli... mé i pésa e i sòna!
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MATTO Bòn, tegnìvei, i è i vòster anca quèli, se 'gnit
d'acòrdi d'ól scambi. Par mi... mi agh sont d'acòrdi.
CAPO INCHIOVATORI Anca nujàrtri.
MATTO Bòn, alóra andìt de prèscia a tòrve ól Giuda
impicàt pendüt, che mi agh pénsi a tirà de baso ól Crist.
PRIMO INCHIOVATORE E se arìva ól zenturión e at cata
in d'ól scrusaménto?
MATTO Agh dirò che a l'è stat una penzàda de mi... che
peu sont un mato… e che vui non gh'avét colpa niùna. Ma
no' stit chì a pèrd ól tempo, andìt!
CAPO DEGLI INCHIOVATORI Sì, sì... andèm… e a
sperèm che no' ghe pòrten rogna, 'sti trenta dinàri. (I soldati
escono di scena).
MATTO Bòn, a l'è fada! Ohi, mé par gnanca vera! Sunt
inscì cunténto! Gesú, tégn dur, che a l'è 'rivàd ól salvamént...
töj e tenàie... ècoe… Ti no’ l'avarèset gimài dit, ah Gesú, che
ól sarèse 'gnüd a salvàrte impròpri un mato... Ah ah... 'pècia
che imprìma at ligarò con 'sta coréza, agh fagarò in un
mumènt... no' èghe pagüra che no’ té fagarò mal… at fagarò
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'gnir giò dolze 'mé ‘na sposa e peu at cargarò in sü le spale,
che a mi a sont fort 'mé un beu... e via de vulàda! At porterò
giò al fiüm, che lì a gh'ho un barchèt, e cont quàter palàdi ól
travèrsum... E prima che végna ciàro as truerèm bèli 'mé ól
sol a ca’ d'un mè amiso stregón c'ól té medegarà e at fagarà
guarì in trì dìe. (Pausa) No' ti veuret?! No' ti veuret ól
stregón? Bòn, andarèm da ól médego onguentàri, co a l'è un
mè amigo fidàt anca quèlo, de mi. Ne manco quèlo? Se té
veuret alóra? (Pausa) Nagót... no' at veuret miga che at
stciòdi? Ho capìt... at gh'hàit la convinziùn che con 'sti beuci
in di mani e in di pìe, tut instcincà 'n di ligadür 'mé t'han
cunsciàt, no' ti serà pì capàz de andà intórna, ni de imbucàt
de par sòl. No' ti vol star al mùndo a dipènd da i olter 'mé un
disgraziàd… Gh'ho indovinàt?… No' l'è nemànco par quèlo?
Oh sacrabiòt!, e par qual razón dònca! (Pausa) P'ól sacrifizi?
Se té dìset cos'è? Ól salvamento… la redenziün... Còssa té
strapàrlet cosa? Oh poveràz... asfìdo mi... at gh'hàit la
féver... sent 'mé té büjet! Bòn, ma adès at tiri giò, at querci
bén con la tònega chì… Perdónam se am permèti, ma at sèt
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un bèl testón! A veuret miga ès sarvàt?! At veuret propri
murìr su 'ste trave? (Pausa) Sì...? Par ól salvamént di
òmeni... Oh, quèsta a l'è de no' crédarghe!... E peu a i dìsen
che ól mato a son mi... ma ti am bati de mila pértighe a
vantàgio, caro ól mè fiòl Jesus! E mi che a sont stàit a
scanàm a ziogàr a e carte tüta la nòte par peu avérghe 'sta
gran bèla satisfasión! Ma sacragnón, ti at sèt ól fiòl de Deo,
no? Mi al cognósci bén… fam la corezión se a sgaro: bén,
dònca, d'ól mumènt che ti è Deo, t'ól savarèt bén ól resultàt
che ól gavarà daspò 'sto to’ sacrifìzi de crepare incrusàt... Mi
no' son deo e nemànco profeta, ma m'l'han cuntàd la
smortìna 'sta nòte, in fra i làgreme, 'mé ól 'gnirà a furnì. In
prima at fagaràno 'gnir tüto induràt, tüto d'oro, dal có fino ai
pìe… daspò 'sti ciòdi de fèro i t'ei fagaràno tüti d'arzénto, i
làgrem egnaràno tochèti sluzénti de diamante… ól sangu che
at góta de partüto ól stciambieràno cont una sfilza de rubini
sbarluscénti, e tüto quèst a ti, che t'hàit sgulàt a parlàgh d'la
povertà. De giunta 'sta tua cróze dulurüsa e la picheràn in
dapartüto: sóra ai scudi, su e bandére de guèra... su e spade a
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copàr zénte 'mé i fudès vidèli... a copàre parfìn in d'ól nome
de ti... ti, che t'hàit criàt che a sémo tüti fradèli, che a no' se
deve masare. Ti gh'hàit üt un Giuda giamò… Bòn, ti n'agarà
tanti 'mé furmìghe de Giuda a traìrte e a duvràrte par
impagnutà i cojóni! Dam a tra'... no’ val la pena... (Pausa)
Eh? No' saràn tüti traiùri? Bòn, fam inquàlche nom:
Franzèsco ól beàt... e peu ól Nicola... san Michel tàja
mantèl... Doménich... Catarina e Clara... e peu... D'acordo…
metémegh anca quèsti: ma i saran sémper quàter gatt in
cunfrùnta al nùmer di malnàt... e anco quei quàter gatt i se
trovaràn ‘n'altra veulta compagn che i t'han fàit a ti, dòpo
che i gh'avaràn schischiàdi de vivi. (Pausa) Ripèt, scusa, che
quèsta no' la gh'ho capìda… anca se an fudèse vün zol... si
anca un òmo dumà in tüta la tèra dégn d'ès salvàd imparchè
ól è un giusto, ól to’ sacrifìzi n'ól sarà stàito fàit par nagòt...
Oh no, no… alóra no’ gh'è pü speranza… at sèt impròpi ól
cap di mat... at sèt un manicòmi intrégo! Oh no, no… alóra
no’ gh'è pü speranza… at sèt impròpi ól cap di mat... at sèt
un manicòmi intrégo! La zóla veulta che ti mè gh'ha
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piazüdo, Jesus, l'è stàit quando a té sèt ‘rivàt in gésa che i
fasévan mercàt e t'è scomenzà a sfruntà tüti… làder, balòs,
impustùr e furbacióni, tüti col bastùn. Ohi che bèl véd! Quèl
l'éra ól to’ mestè... Bastonà e piccare at duvevét! Bàtere e
bastonà!
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TRADUZIONE
Quattro uomini, (gli Inchiovatori) che alla cintola tengono
infilate mazze e lunghi chiodi stanno accingendosi a
crocifiggere Cristo. La croce è già distesa sul terreno. Sul
fondo, dietro ad un lenzuolo steso, in controluce, vediamo
Gesù che, costretto dai soldati, si spoglia, mentre alcune
donne appartate in un angolo del proscenio, seguono
l’azione. In piedi su uno sgabellotto c’è il banditore buffo.
BUFFONE Donne! Ehi, donne innamorate di Cristo, venite
a lustrarvi gli occhi... venite a vederlo bello nudo che si
spoglia, il vostro innamorato... due palanche per occhiata,
venite donne! Oh, che è bello da comprare! Dicevano che
éra il figlio di Dio: a mé sembra che sia uguale a un altro
uomo... ugual dappertutto!... Due palànche donne per
guardarlo! Non c'è nessuna che ha voglia di togliersi ‘sto
sfizio per due palanche? (Nessuna reazione da parte delle
donne) Bene, è giorno di festa oggi... mi voglio rovinare...
(Rivolgendosi ad una donna) Vieni qui tu, che té lo farò
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vedere gratis... (La donna non si muove) Ohi, che
smorfiosa... Vieni qua!, non perdere ‘st’occasione... Non sei
tu quella, la Maddalena tanto innamorata di lui che, non
trovando né tovagliolo né salvietta per asciugargli i piedi,
glieli hai asciugati con i tuoi capelli? (Non riceve risposta
alcuna)
Bene, peggio per voi... che adesso, per legge, dovremo
coprirlo sul peccato... con un grembiulino, che assomiglierà
a una ballerina! (Verso l’esterno) É pronto il capo dei
comici?
Tira su il telone (inteso come un lenzuolo) che andremo ad
incominciare lo spettacolo! (Viene sollevato il drappo dentro
il quale si trova il Cristo)
Scena prima: il figlio di Dio, gran cavaliere con la corona,
monta a cavallo... un bèl cavallone di legno, per andare a
torneare in giostra... e per fare che non cada a terra…
l'inchioderemo sopra la sella... mani e piedi! (Cristo viene
disteso sulla croce)
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CAPO DEGLI INCHIOVATORI Smettila di fare il
pagliaccio e vieni qui a darci una mano... Attaccategli una
corda ai polsi, una per parte, cossì si allunga per bene... ma
lasciatemi sgombere-libere i palmi, che si possa infilzargli i
chiodi. Io picchierò su questa di destra, e...
PRIMO INCHIOVATORE E io in quest'altra. Buttatemi un
chiodo lungo, che il martello ce l'ho di mio. Oh che
chiodaccio! Scommettete che in sette martellate lo picchio
dentro tutto?
SECONDO INCHIOVATORE E io ce la farò in sei, vuoi
scommettere?
CAPO INCHIOVATORI D'accordo. Forza, allargatevi voi
due che gli mettiamo le ali a questo angiolotto (così) che
possa volare come Icaro nel cielo.
Tiriamo insieme... Insieme, ho detto!... Mé lo rovesciate!
Piano che deve restare in mezzo della sella il cavaliere... Un
po' di più verso mé... bene, sono sul segno... proprio nel
buco. (Indica il foro di abbrivio già approntato nella
tavola).
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SECONDO INCHIOVATORE Io non ci sono, hai fatto i
buchi troppo distanti... tira tu... forza! Hai mangiato il
formaggio a mezzogiorno? Forza!
PRIMO INCHIOVATORE Sì, forza! Va a finire che gli
spezzeremo i legamenti delle spalle e dei gomiti.
CAPO INCHIOVATORI Non ti preoccupare, non sono
mica i tuoi legamenti. Tira! Eh eh, forza!
Gemito di Gesù sottolineato dal contrappunto lamentoso
delle donne.
PRIMO INCHIOVATORE Ohi, avete sentito lo schianto?
SECONDO INCHIOVATORE Sì, non è stato bello... è
stato uno schiocco che mi fa scricchiolare le ossa... di
contro, si è giusto allungato di misura: adesso ci sono anch'io
sopra il buco.
CAPO INCHIOVATORI Bene, (rivolgendosi ad altri
soldati) voi tenete in tiro la corda… e tu alza il martello che
partiamo insieme.
SECONDO INCHIOVATORE Stai attento a non picchiarti
le dita!
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Sghignazzata generale.
PRIMO INCHIOVATORE (a Cristo) Allarga questa
zampetta che non ti faccio il solletico, té l'assicuro!... Oh tu
guarda ‘sta mano, come ha segnata- evidenziata la linea della
vita!... É un segno tanto lungo che sembrerebbe abbia il
destino di campare ancora cinquant'anni almeno, ‘sto
cavaliere! Vai a credere alle bagole-storie delle streghe, tu!
SECONDO INCHIOVATORE Stoppa ‘sta lingua e alza il
martello.
PRIMO INCHIOVATORE Sono pronto io!
CAPO INCHIOVATORI Dagli allora... (Dà l’ordine
alzando la voce) Dà il primo botto...
(Tonfo) Ohioa ahh!
Urlo di Cristo.
BUFFONE Gli ha bucato i palmi!
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CAPO DEGLI INCHIOVATORI (a contrappunto dell'urlo
di Cristo) Ohoo, trema dappertutto. State calmi! (Impartendo
l’ordine) Vai col secondo botto!
Ohaoioaohh! Ad allargare le ossa!
Ohoh... sputa il sangue a gnocchi.
Dagli il terzo botto!
Ohahiohoh!
‘Sto chiodo ti ha sverginato.
Ohoh... che le donne non ti hanno mai forzato.
Il quarto botto té lo regalano i soldati!
Ohahiohoh!
Che tu hai detto di non ammazzare!
Ohahiohoh!
E i nemici come fratelli si dovrebbero amare.
Il quinto té lo mandato i vescovi della sinagoga!
Ohahiohoh!
Che tu hai detto che sono falsi e maledetti!
Ohahiohoh!
Che i tuoi vescovi saranno tutti umili e poveretti.
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Il sesto è il regalo dei signori!
Ohahiohoh!
Che tu hai detto che non andranno in cielo!
Ohahiohoh!
E tu hai fatto l’esempio del cammello.
Il settimo té lo picchiano gli impostori!
Ohahiohoh!,
che tu hai detto che non conta (non vale a) niente se
pregano!
Ohahiohoh!,
che sono buoni a fregare i minchioni in terra ma il Signore
quello non si frega.
PRIMO INCHIOVATORE Ho vinto io! Dovrai pagarmi da
bere, ricordatelo.
BUFFONE Berremo alla santità-salute di questo cavaliere e
alla sua sfortuna! (Al Cristo) Come vi trovate, maestà? Ve lo
sentite bén saldo nelle mani, ‘sto destriero? Bene, allora
adesso andremo in giostra, senza lancia e senza scudo!
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CAPO INCHIOVATORI Avete slacciato la corda dai polsi?
Bravi i miei baroni... stringete bén serrata-chiusa questa
cinghia (i INCHIOVATORI avvolgono il petto di Cristo
affrancandolo torno-torno alla croce) attorno alle spalle, che
non debba caderci addosso nel tirarlo in piedi, ‘sto
campione! Appresso, una volta inchiodati i piedi gliela
toglieremo...
SECONDO INCHIOVATORE Venite tutti qui... sputatevi
sulle mani che dobbiamo issare l'albero della cuccagna! Voi
venite avanti con le corde e fatele passare sopra l'asse
trasversale... vieni qui anche tu, Matazone: monta in cima
alla scala, pronto a tenerlo.
MATTO Mi dispiace ma io non posso aiutarvi: non mi ha
fatto niente, quello...
SECONDO INCHIOVATORE O balengo!, ma nemmeno a
noialtri non ha fatto niente: l'abbiamo giusto crocifisso per
passatempo! (Ride sgangherato) Ah ah... e ci hanno dato per
di piú dieci palanche a testa per il disturbo! Dài, dacci una
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mano, che dopo ti faremo l'onore di giocare una partita a
dadi con té...
MATTO A bene, se è per una partita non mi tiro indietro!
Sono già sulla scala, guarda... potete incominciare!
CAPO INCHIOVATORI Bravo! Siamo a posto tutti?
Andiamo allora.... Tiriamo insieme... mi raccomando, uno
strappo lungo alla volta. Vi do il tempo.
Ohi isseremo Ehiee
‘sto pennone di nave ohoho
per far da drappo-bandiera ohoho
gli abbiamo attaccato un matto. ohoho
Ohi isseremo Ehiee
‘sto palo da festa ohoho
cuccagna grossa ohoho
Gesú Cristo in coffa. ohoho
Ohi che cuccagna Ahaaa
che buca il cielo ohoho
ci piove sangue... ohoho
Il Padre nostro piange. ohoho
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Rallegratevi, rallegratevi! Oheee
che abbiamo trovato quello bravo ohoho
che si è fatto schiavo ohoho
per vestirci di nuovo. ohoho
(Alla maniera dei cavallanti) Loeu... è abbastanza! (La croce
è stata issata) Mi pare che sia bén saldo. Bene... (al Matto)
allora, tira fuori i dadi che facciamo ‘sta giocata.
I giocatori mimano velocemente di giocare varie e concitate
partite ai dadi e ai tarocchi: il Matto vince la tunica di Cristo,
le paghe degli “Inchiovatori”.
MATTO Se volete indietro tutti i vostri soldi io ve li lascio
volentieri… compresa la collana, gli orecchini, l’anello... e
guarda, ci aggiungo anche questo! (Aggiunge un
braccialetto).
PRIMO INCHIOVATORE E per tutta questa roba cosa
vorresti in cambio?
MATTO Quello là... (indica il Cristo).
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SECONDO INCHIOVATORE Il Cristo?
MATTO Sì, voglio che me lo lasciate staccare dalla croce.
CAPO DEGLI INCHIOVATORI Bene: aspetta che muoia
ed è tuo!
MATTO No, lo voglio adesso che è ancora vivo.
PRIMO INCHIOVATORE Oh matto di tutti i matti...
vorresti che finissimo noi quattro inchiodati al suo posto?
MATTO No, non aver paura che non capiterà niente a voi:
basterà che attacchiamo un altro al suo posto, uno della sua
tàja misura, e vedrai che non si accorgerà nessuno dello
scambio... che tanto sulla croce si assomigliano tutti.
PRIMO INCHIOVATORE Questo è anche vero... scorticato
in questa maniera poi, che sembra un pesce in graticola...
CAPO INCHIOVATORI Sarà anche vero, ma io non ci sto.
E poi chi avresti in mente di attaccarci al rimpiazzo?
MATTO Giuda!
CAPO INCHIOVATORI Giuda? Quello...
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MATTO Sì, quel suo apostolo traditore che si è impiccato
per disperazione al fico dietro la siepe, cinquanta passi da
qui.
CAPO INCHIOVATORI Muoversi, di corsa… andiamo a
spogliarlo che avrà ancora in saccoccia i trenta denari del
servizio.
MATTO No, non state a disturbarvi... che quelli li ha buttati
via subito in mezzo a un rovo di spine.
CAPO INCHIOVATORI Come fai a saperlo tu?
MATTO Lo so perché li ho presi io quei denari… uno per
uno. Guardate qui che braccia graffiate che mi sono
conciato.
CAPO INCHIOVATORI Non m’interessano le braccia,
facci vedere questi denari. (Matazzone mostra i denari) Ohi,
ohi, e tutti d’argento! Guarda che belli... come pesano e
suonano!
MATTO Bene, teneteveli, sono vostri anche quelli, se ci si
mette d’accordo per lo scambio. Per me… io sono
d’accordo.
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CAPO INCHIOVATORI Anche noialtri.
MATTO Bene, allora andate a prendervi de prèscia
velocemente il Giuda impiccato, che ci penso io a tirar giù il
Cristo.
PRIMO INCHIOVATORE E se arriva il centurione e at cata
in d'ól scrusaménto?
ti trova nel bel mezzo dello scrociamento?
MATTO Gli dirò che è stata una mia pensata… che tanto
sono un matto… e che voi non avete nessuna colpa. Ma non
state qui a perdere tempo, andate!
CAPO INCHIOVATORI Sì, sì... andiamo, e speriamo che
non ci portino sfortuna, questi trenta danari. (I soldati
escono di scena).
MATTO Bene, è fatta. Non mi par neanche vero! Sono così
contento! Gesù, tieni duro, che è arrivata la salvezza...
prendo le tenaglie… eccole… Tu non lo avresti detto, eh
Gesù, che sarebbe venuto a salvarti proprio un matto... Ah,
ah... aspetta che prima ti legherò con questa cinghia, farò in
un momento... non aver paura che non ti farò male… ti farò
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venir giù (scendere) dolce come una sposa e poi ti caricherò
sulle spalle, che io sono forte come un bue... e via di volata!
Ti porterò giù al fiume che lì ho una barchetta e con quattro
palate lo attraversiamo… E prima che faccia chiaro ci
troveremo belli come il sole a casa di un mio amico stregone
che ti medicherà e ti farà guarire in tre giorni. (Pausa) Non
vuoi?! Non vuoi lo stregone? Bene, andremo dal médego
onguentàri medico degli unguenti, che è un mio amico fidato
anche quello. Niente… non vuoi che ti schiodi? Ho capito...
hai la convinzione che con questi buchi nelle mani e nei
piedi, tutto schiantato nelle legature come t’hanno conciato,
tu non sarai più in grado di andare intorno, né di imboccarti
da solo. Non vuoi stare al mondo a dipendere dagli altri
come un disgraziato… Ho indovinato? Non è neanche per
quello? Oh sacrabiòt accidenti!, e per quale ragione?
(Pausa) Per il sacrificio? Cosa dici? Il salvamento… la
redenzione... Straparli? Oh poveraccio... sfido io... hai la
febbre... senti come scotti! Bene, ma adesso ti tiro giù, ti
copro bene con la tunica... Perdonami se permetto, ma sei un
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bel testone! Non vuoi essere salvato?! Vuoi proprio morire
su ‘ste travi? (Pausa) Sì…? Per la salvezza degli uomini...
Oh, questa è da non crederci! E poi dicono che il matto sono
io, ma tu mi batti di mille pertiche di lunghezza pértighe a
vantàgio,, caro il mio figlio Jesus! Ed io che sono stato a
scannarmi giocando alle carte tutta la notte per poi avere
questa gran bella soddisfazione! Ma sacramento, tu sei il
figlio di Dio, no? Io lo so bene, correggimi se sbaglio:
dunque, dal momento che tu sei Dio, tu lo sai bene il
risultato che avrà poi il tuo sacrificio di crepare crocifisso...
Io non sono Dio e neppure profeta, ma me l’ha raccontato la
smortina ‘sta notte, tra le lacrime, come andrà a finire.
Dapprima ti faranno diventare tutto dorato, tutto d’oro, dalla
testa fino ai piedi, poi questi chiodi di ferro te li faranno tutti
d’argento, le lacrime diventeranno pezzetti tochèti lucenti di
diamante… il sangue che ti sgocciola dappertutto lo
scambieranno con una sfilza di rubini sbarluscénti luccicanti
e tutto questo a te, che ti sei sgolato a parlar loro della
povertà.
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Per giunta questa tua croce dolorosa la pianteranno
dappertutto: sopra gli scudi, sulle bandiere da guerra… sulle
spade per accoppare gente come fossero vitelli… uccidere
perfino nel tuo nome… tu che hai gridato che siamo tutti
fratelli, che non si deve ammazzare. Hai già avuto un
Giuda… Bene, ne avrai tanti come formiche di Giuda, a
tradirti, ad adoperarti per incastrare i coglioni! Dammi retta,
non vale la pena... (Pausa) Eh? Non saranno tutti traditori?
Bene, fammi qualche nome: Francesco il beato... e poi il
Nicola... san Michele taglia mantello... Domenico... Caterina
e Chiara... e poi... D’accordo, mettiamoci anche questi: ma
saranno sempre quattro gatti a confronto del numero dei
malnati... e anche quei quattro gatti si troveranno un'altra
volta com’è capitato a te, dopo che li avranno schiacciati da
vivi. (Pausa) Ripeti, scusa, che questa non l’ho capita…
anche se ce ne fosse uno solo... sì, anche un uomo soltanto in
tutta la terra degno di essere salvato perché è un giusto, il tuo
sacrificio non sarà stato inutile... Oh no, no… allora non c’è
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più speranza… sei proprio il capo dei matti... sei un
manicomio intero!
La sola volta che mi sei piaciuto, Gesù, è stato quando sei
arrivato in chiesa mentre facevano mercato e hai cominciato
a picchiare tutti… i ladri, i furbacchioni, gli impostori, i
truffatori… tutti col bastone. Ohi che bel vedere! Quello era
il tuo mestiere... Bastonare e picchiare dovevi! Battere e
bastonare!
ALTRA VERSIONE A MONOLOGO
A seguire abbiamo la stessa giullarata del dramma sotto la
croce condotta dal Matto, che ritorna protagonista assoluto.
In poche parole in questa versione ci ritroviamo di nuovo
con una scrittura che prevede la presenza di un solo giullare,
interprete di tutti i ruoli: dal gruppo dei INCHIOVATORI al
Matto stesso, salvo il ruolo di Cristo che troviamo già sulla
croce.
Come abbiamo già detto, si tratta di una statua lignea
policroma disarticolata, identica a quelle impiegate nei
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misteri toscani ed umbri dal X al XIII secolo e dei quali
esistono ancora splendidi esemplari.
GIOCO DEL MATTO SOTTO LA CROCE
Versione per un solo giullare che interpreta tutti i ruoli
MATTO (il giullare nei panni del Matto sta accovacciato e
mima di battere le carte su una tavola) Rèi, cóppe, bagàtt,
fémena sul cavàl! Gh’ho perdü! (Fa il gesto di raccogliere
altre carte distrubuite da uno dei giocatori) Carètto, dòi
fradèli, sinco de bastón e sèro co’ l’imperadór. Ho perdü
‘n’altra volta. Pago, pago, cata i to’ dané... tégne! No’ gh’ho
vinciù nagóta. (Mima di levarsi in piedi e di spostarsi verso
destro dove sta il crocifisso col Cristo-persona. Rivolto ai
compagni di gioco) Scusé... no, no, ste’ lì... specième...
végni indré sübit! (Leva lo sguardo in alto come parlasse a
Gesù sulla croce) Jesus perdona se végno a sulzegàrte i
cojón... Ól sàbie bén che no’ è bòna creanza de ‘egnìr a
sgrapignàr i beati cojómbari a ün che gh’ha già de sòe rógne
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in sü la cróse… inciudàt per giónta! Ma mi végne a
dimandàrte un plasér che ti mé dovrèssi fare: Jesus mi sont
ün che gh’ha gimài guadagnàt a un ziògo, gh’ho mai vinciüt
‘na fiàta... che in sempitèrna mé són scontrà co’ ‘sti malnati
trufadór che sfolzìna al ziògo ‘mé mercanti de patàche de
piombo doràt. Come se impastrùcca coi carti, t’ol sèt... tòi
védet, tòi védet ti... (lo richiama perché il Cristo guarda da
un’altra parte) Jesus son chi... in dóa té vàrdet? (Il Cristo
volge con fatica il capo verso di lui. È risaputo che tutte le
statue sceniche hanno la possibilità di essere agite per
mezzo di fili che vengono azionati dalle quinte o dal
soppalco. Con tono e gesti di supplica) Jesus, féite bòn, séa
zentìl co’ mi, dame el meravegióso plasér de farme vìnzer
‘na volta almànco. (Batte leggermente sul palo come ad
incitare Cristo) Jesus fa’ un segno! Oh sì, d’acòrdo, co’ le
man inciodàe l’è un po’ difìzil... (Cambia tono) Cu l’ögio…
schìscia l’ögio! A té l’hàit schisciàt? Falo ‘na volta ammó…
(esultante) At l’è schisciàt! Ma belèssa mia! A vegnarìa sü a
‘mabrasàrte, varda! De bòn té mé fèt vìnzer eh... no’ farme
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schèrso, va ca té blasfémi... Testimòni to’ Pare che té mé
l’hai dito! Varda che sarìa pròpri ‘na carugnàda de v’es su la
cróse e farme ün schèrso prima de crepàr... A sarìa ün
schèrso da prèvete! Ah, bòn... a vago a ziogàr Jesus. (Come
parlando agli altri giocatori) Atensiùn... torno al giògo!
Féve in là! (Poi, in gramelot, riprende come all’inizio a
indicare velocissimo il segno di ogni carta che va gettando
sul tavolo) El fante co’ la mata, el cavàlo sü la rejna: l’è mè!
(Fa il gesto di raccogliere la vincita) Ti la lüna, lü la
papèssa, mi el demòni: l’è mè! (Rivolto a Cristo) Orco Jesus
che fòrsa che té sèt! (Riprende il gioco) Recumìncium. Rèj
de bastón, vérzen co cavrón, tremamòto col testón: l’è mè!
(Sempre rivolto a Gesù) Esageràt! Sinque de fila! (Agli altri
giocatori) A giughìt pü? A ghit pü de denàr?... Ve li dò mi i
danàr. A ghe li ho chi de arzénto, tégne, tégne, tégne! (Fa il
gesto di gettare le monete sulla tavola) L’è arzénto! No’ li
gh’ho rubàt. I éra del Ziùda che li gh’ha bütàt in di rovi, son
‘ndait a sgarbelàrme dapartüto per catài. Tegnì, tegnì voiàltri
che tanto el Ziùda l’è là in funda impicào. (Finge l’ascolto)
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De segùra che contro vòj quaicòssa de vui. Fasémo uno
s’ciàmbio. Vui mé darìt quèlo (indica il Cristo), el permèso
de tirarlo ziò e purtàrlo via cunt mi. Sì, Jesus Cristo! Par mi!
No, no’ de mort, al mort ól tégnet ti. Ancora vivo ól vòj!,
come l’è adèss... col respira! Ah! Ah! Té mé lo sàsset? No’
gh’hai pagüra! Ól so bén che se ‘riva ól centurión e ól
descòvre la cróse vòda ól ve impatàca v’ün per v’ün, ün
ciòdo de chi, ün ciòdo de là, un pie sü l’óltro (mima di dare
martellate) pam!, pam! Sàvio, sàvio... ma mi ve fago
propòsta de no’ svoiàrla la crose, de mèterghene un altro in
replàs... ól Giuda par exémpli! Andì a tórlo col è sül figo
impicàt, andì a torlo... ól porté, lo impataché chi lòga coi bei
quatro ciudàssi... che tanto nesciùno ól se ne incòrge de lo
s’ciàmbio, son tüti iguàl sü la cróse, tüti poveri cristi i
divégne. A ghe stit? Ben fàito! Vaj vaj... No, al Cristo ghe
pénsi mi, ól Cristo ól tiri giò mi solo, vàj tranquìl col tégno,
mé cato ‘sta scala (mima di prendere la scala e di
appoggiarla alla croce. Il giullare può anche servirsi di una
scala agibile che andrà ad appoggiare sul braccio della
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croce)… Jesus, tira in là un po’ ól brascìn che no’ vorarìa
schisciàrtelo. Èco cussì, adèso végno (mima di montare per i
piolo, riprendendo felice)... Ah, aha... Jesus... No’ té l’avrìa
gimài pensàt che sarìa stàito un mato a tiràt giò da la cróse, a
salvarte. Ti té végnet a salvare i òmeni e un mato ól salva ti!
Ah, ah, ah! Che schèrso che ghé fémo. Arìvo. No’ aver
pagüra che mo’ té tiro giò come una bèla spusòta dólza e
cara... té càrego su le spale, pö’ at pòrto cont un barchèt co’
gh’ha al fiume fino a l’oltra parte de la riviéra. Quando che
sémp rivàiti dolze ól sarà... chè là, gh’è un stregón amiso de
mi co’ gh’ha un unguénto, üno spagnàsso oleóso che come
té lo spantéga dapartüto ti: gnamm!, té anderà via curéndo
‘mé ‘na légura. Tranquilo Jesus! (Il Cristo ligneo si agita)
Cos’hai co’ ‘sti trémbi? To’ ghè la febre, perchè té fai co’ la
testa de no? No’ ti voi?!… No’ té voi che té distàchi da chi
lòga? Par che rasòn?… Par plasér repèt, no’ hai capìt!… Par
ól sacrifìssio?… (Il brano che segue viene recitato a ritmo
sostenuto) Parchè t’set vegnü par morire su la cróse... par ól
sacrifìzio, par ól salvamento dei òmeni dal pecàt e in
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s’ciàmbio ti dèi crepàr inciudàt?! Oh, oh, oh... E ti diset
ch’el mato son mè? Mato t’set té, bòja! Té e tòta la toa
famègia… a comenzàr del Deo Patre en persona! E l’üselón!
Rasa de mati! Ah bela truvàita quèsta del sacrifìssio devìno!
At sèt còssa faran i prèveti de ‘sto tò martirio santo? Tüto
d’arzénto i té pitürerà a mascaràr la tòa carna che se
marzìsse… i té farà i gòte de sànguo coi rubini… tüto
d’oro… e le tàvule de legno de ‘sta toa cróse le saràn
imprezióse, imparfümàde e la andràn intorno a portar de
manéra che tüti i vilàn e i pizzòc, mortificàt, in genögio i se
büterà, schisciàdi de la devosiòn ai pie de la cróse e dei
prèveti che la mostra in processiòn: “Vardé col s’è sacrificào
par vui! En ginögio sacrifiché anca vui! In ginögio
pelandróni!”.
A ‘stà manéra i combinerà ól gran spetàcolo del to’
patiménto. Bòn salvaménto che té fàit! Slargàt come ‘n üsèl
té impatacheràn anca sóra li scudi e targhe de guèra… e anco
su le bandére ghe sarà pituràt la toa cróse a lustri colùr (Il
brano che segue viene recitato a ritmo sostenuto), e té ól
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sarai su le spade a copàre, a strasàre, in nome de Deo e
sbusegà le done, i òmini e infanti tüti! Sgrosà e scanà in nóm
del to’ segno! Bèla trufaldeìa i combenerà col sacrifìssio
tòo!… Còssa? Repéte: no té importa che faga profìto de la
tua passìon… basta che ghe sébia un òmo solo, ciàro e beato
che racoìsse el tòo ensegnaménto e ne faga santa rasòn?
E qual sarèse ‘sti santi omèni digni? Féme quarche nóm! (Fa
immaginare di ripetere l’elenco detto da Cristo) Franzèsco,
bòn, Benedècto, sì, Nigola… d’acòrdi! E aprèso d’avérghe
sopportà ògni violénsia e morteficasiòn a la cérca de tiràr
fòra de la desperasión i poveràsi schisciàt d’ògni magiór,
draghe conforto… come i són fornìt? De vivi sfotüt e
spudàd… casiàt a pesciàdi.
Jesus ma còssa è ‘gnudo a far té sü la tèra? Se’ dessandùo a
insegnarghe a noàltri che in cróse ghe stémo dal ziórno che
sortìmo al mondo?
A noàltri té végne a insegnàrghe a stare incuidài in sü la
cróse?
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No, de quèlo no’ gh’émo besógn. Scüsa, no té inrabìr, ma de
‘ste lesión no ghe neme de bisogn…
‘N’altra cosa ti dovarèsse insegnàrghe, un exéplio che ‘na
volta sojaménte tò vedùo darghe ai cristiàn... L’è stàito ól
ziórno che ti è entràt ne la eglésia e ti ha descovèrto i
mercanti sióri coi vendevan, i comprava, i brigàva, co’ le
mèrzi, ti hai brancàt un bastón e… picàre!, picàre!
Cristo, quèst te dovévet insergnàrghe: noàltri a picàre!
Picàre! Picàre! Picàre! (Esce, agitando il braccio nel gesto
di bastonare una moltitudine di mercanti mentre lentamente
cala la luce).
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TRADUZIONE
MATTO (il giullare nei panni del Matto sta accovacciato e
mima di battere le carte su una tavola) Re, coppe, bagatto,
femmina sul cavallo! Ho perso! (Fa il gesto di raccogliere
altre carte distribuite da uno dei giocatori) Carretto, due
fratelli, cinque di bastone e chiudo con l’imperatore. Ho
perduto un’altra volta. Pago, pago, prendi i tuoi denari...
tieni! Non ho vinto niente. (Mima di levarsi in piedi e di
spostarsi verso destro dove sta il crocifisso col Cristo-
persona. Rivolto ai compagni di gioco) Scusate... no, no,
state lì... aspettatemi... ritorno subito! (Leva lo sguardo in
alto come parlasse a Gesù sulla croce) Gesù, perdona se
vengo qui a stuzzicarti i coglioni... Lo so bene che non è
buona creanza venire a grattare i beati cojómbari (coglioni) a
uno che ha già delle sue rogne sulla croce… inchiodato per
giunta! Ma vengo a domandarti un piacere che mi dovresti
fare: Jesus io sono uno che non ha mai guadagnato a un
gioco, non ho mai vinto una sverza... che in sempiterno
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(sempre) mi sono scontrato con ‘sti malnati truffatori che
imbrogliano al gioco come mercanti di patacche di piombo
dorato. Come smazzano (barano) con le carte, lo sai... lo
vedi, lo vedi tu... (lo richiama perché il Cristo guarda da
un’altra parte) Jesus sono qua... dove guardi? (Il Cristo
volge con fatica il capo verso di lui. È risaputo che tutte le
statue sceniche hanno la possibilità di essere agite per
mezzo di fili che vengono azionati dalle quinte o dal
soppalco. Si esprime con tono e gesti di supplica) Jesus, sii
buono, sii gentile con me, dammi il meraviglioso piacere di
farmi vincere una volta almeno. (Batte leggermente sul palo
della croce come ad incitare Cristo) Jesus fa un segno! Oh
sì, d’accordo, con le mani inchiodate è un po’ difficile...
(Cambia tono) Con l’occhio, strizza l’occhio! Fallo un’altra
volta… (esultante) L’hai strizzato! L’hai strizzato? Ma
bellezza mia! Verrei su ad abbracciati, guarda! Davvero mi
farai vincere, eh... non farmi scherzi, guarda che ti
blasfemo... Testimonio tuo Padre che mé l’hai detto! Guarda
che sarebbe proprio una carognata di essere sulla croce e
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farmi uno scherzo prima di crepare... Sarebbe uno scherzo
da prete! Ah, bene... vado a giocare Jesus. (Come parlando
agli altri giocatori) Attenzione... torno al gioco! Fatevi in là!
(Poi, quasi in grammelot, riprende come all’inizio a
indicare velocissimo il segno di ogni carta che va gettando
sul tavolo) Il fante con la matta, il cavallo sulla regina: è
mio! (Fa il gesto di raccogliere la vincita) Tu la luna, lui la
papessa, io il demonio: è mio! (Rivolto a Cristo) Orco Jesus
che forza che sei! (Riprende il gioco) Ricominciamo. Re di
bastone, vergine con caprone, terremoto col testone: è mio!
(Sempre rivolto a Gesù) Esagerato! Cinque di fila! (Agli altri
giocatori) Non giocate più? Non avete più denaro? Ve li do
io i denari. Ce li ho qui d’argento, tieni, tieni, tieni! (Fa il
gesto di gettare delle monete sulla tavola) È argento! Non li
ho rubati. Erano di Giuda che li ha buttate nei rovi… sono
andato a graffiarmi dappertutto per raccattarli. Tenete, tenete
voialtri che tanto Giuda è là in fondo impiccato. (Finge
l’ascolto) Di certo in cambio voglio qualcosa da voi.?
Facciamo ‘st’affare. Voi mi darete quello (indica il Cristo),
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il permesso di tirarlo giù e portarlo via con me. Sì, Jesus
Cristo! Per me!… No, non da morto, il morto lo tieni tu.
Ancora viva lo voglio!, come è adesso... che respira! (Ride
felice) Ah! Ah! Mé lo lasci? Non hai paura! Lo so bene che
se arriva il centurione e scopre la croce vuota vi spiaccica
uno per uno, un chiodo di qua, un chiodo di là, piede
sull’altro (mima di dare martellate) PAM!, PAM! Lo so, lo
so... ma io vi faccio la proposta di non svuotarla la croce, di
mettercene un altro al suo posto... Giuda per esempio!
Andate a prenderlo che è sul fico impiccato, andate a
prenderlo... lo portate, lo impataccate qui con quattro bei
chiodo... che tanto nessuno si accorge dello scambio… sono
tutti uguali sulla croce, tutti poveri cristi diventano. Ci siete?
Ben fatto! Vai, vai... No, a Cristo ci penso io, il Cristo lo tiro
giù io da solo, vai tranquillo che ce la faccio, mi prendo ‘sta
scala (mima di prendere la scala e di appoggiarla alla
croce. Il giullare potrà anche servirsi di una scala agibile
che andrà ad appoggiare sul braccio della croce)… Jesus,
tira in là un po’ il braccino che non vorrei schiacciartelo.
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Ecco cossì, adesso vengo (mima di montare per i piolo,
riprendendo felice)... Ah, aha... Jesus... non l’avresti mai
pensato che sarebbe stato un matto a tirarti giù dalla croce, a
salvarti. Tu vieni a salvare gli uomini e un matto salva té!
Ah, ah, ah! Che scherzo che gli facciamo! Arrivo… Non
aver paura che ora ti faccio scendere come una bella sposotta
dolce e cara… ti carico sulle spalle, poi ti porto con una
barca che c’è al fiume fino all’altra parte della riva. Quando
siamo arrivati, dolce sarà… che là c’è uno stregone mio
amico che ha un unguento, un toccasano oleoso che come té
lo sparge dappertutto tu: gnamm!, andrai via correndo come
una lepre. Tranquillo Jesus! (Il Cristo ligneo si agita) Cosa
sono questi tremori? Hai la febbre, perché fai con la testa di
no? Non vuoi?!… Non vuoi che ti distacchi da qui? Per
quale ragione?… Per piacere ripeti, non ho capito?… Per il
sacrificio?… (Il brano che segue viene recitato a ritmo
sostenuto) Perché sei venuto a morire sulla croce… per il
sacrificio, per la salvezza degli uomini dal peccato e in
cambio tu devi crepare inchiodato?! Oh, oh, oh… E tu dici
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che il matto sono io? Matto sei tu, bòja! té e tutta la tua
famiglia… a cominciare da Dio Padre in persona! E
l’uccellone! Razza di matti!
Ah bella trovata questa del sacrificio divino!
Sai cosa ne faranno i preti di ‘sto tuo martirio santo? Tutto
d’argento ti pittureranno a mascherare la tua carne che
marcisce… ti faranno le gocce di sangue coi rubini… tutto
d’oro… e le tavole di legno di questa tua croce saranno
impreziosite, profumate e andranno intorno a portarla in
maniera che tutti i villani e i pizzocchi, mortificati, in
ginocchio si butteranno, schiacciati dalla devozione ai piedi
della croce e i preti che la mostrano (che ne fanno mostra) in
processione: “Guardate che si è sacrificato per voi! In
ginocchio sacrificatevi anche voi! In ginocchio pelandroni!”.
In questo modo combineranno il grande spettacolo del tuo
patimento. Bel salvamento che fai! allargato come un uccello
ti spiaccicheranno anche sopra gli scudi e le targhe di
guerra… e anche sulle bandiere ci sarà pittata la tua croce a
lustri colori. (Il brano che segue viene recitato a ritmo
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sostenuto) E sarai sulle spade ad accoppare, a stracciare, in
nome di Dio e infilzare le donne, gli uomini e i bambini
tutti! Sgrossare e scannare in nome del tuo segno! Bella
truffalderia combineranno col tuo sacrificio!… Cosa? Ripeti:
non ti importa che si approfittino della tua passione… basta
che ci sia un uomo solo chiaro e beato che raccolga il tuo
insegnamento e ne faccia santa ragione? E chi sarebbero
questi santi uomini degni? Fammi qualche nome! (Fa
immaginare di ripetere l’elenco detto da Cristo) Francesco,
bene, Benedetto, sì, Nicola… d’accordo! E dopo avere
sopportato ogni violenza e mortificazione allo scopo di tirare
fuori dalla disperazione i poveracci schiacciati dai maggiori,
dargli conforto… come sono finiti? Da vivi fottuti e
sputati… poi cacciati a pedate, una volta crepati.
Jesus ma cosa sei venuto a fare sulla terra? Sei disceso ad
insegnare a noialtri che in croce ci stiamo dal giorno in cui
siamo nati?
A noialtri vieni ad insegnare come stare inchiodati sulla
croce?
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No, di quello non abbiamo bisogno. Scusa, non ti arrabbiare,
ma di queste lezioni non abbiamo bisogno…
Un altra cosa tu dovresti insegnarci, un esempio che un’altra
volta solamente ti ho visto dare ai cristiani… È stato il
giorno che sei entrato nella chiesa e hai scoperto i mercanti
signori che vendevano, compravano, brigavano, con le
merci, e tu hai accattato un bastone e… picchiare!,
picchiare!
Cristo, questo dovevi insegnare a noialtri:
picchiare!Picchiare! Picchiare! Picchiare! (Esce agitando il
braccio nel gesto di bastonare una moltitudine di mercanti
mentre lentamente cala la luce)
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BONIFACIO VIII
PROLOGO I EDIZIONE EINAUDI
E arriviamo a Bonifacio VIII, il Papa del tempo di Dante.
Dante lo conosceva bene: lo odiava al punto che lo mise
all’inferno prima ancora che fosse morto. Un altro che lo
odiava, ma in maniera un po’ diversa, era il frate
francescano Jacopone da Todi, pauperista evangelico, un
estremista, diremmo oggi. Era legato a tutto il movimento
dei contadini poveri, soprattutto della sua zona, al punto che,
in spregio alle leggi di prevaricazione imposte da Bonifacio
VIII, che era una bella razza di rapinatore, aveva gridato in
un suo canto: “Ah! Bonifax, che come putta hai traìto la
Ecclesia!” Ahi Bonifacio, che hai ridotto la Chiesa come una
puttana! Bonifacio se la legò al dito: quando finalmente
riuscì a mettere le mani su Jacopone, che era fra l’altro uno
straordinario uomo di teatro, lo sbatté in galera, seduto,
costretto a rimanere in questa posizione (indica), mani larghe
e piedi legati, per cinque anni, incatenato sulle proprie feci.
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E si racconta che dopo cinque anni, quando uscì grazie alla
sopravvenuta morte del Papa, questo povero frate, ancora
giovanissimo, non riusciva più a camminare: era costretto a
trascinarsi in giro piegato in due. Quando, un anno e mezzo
dopo, morì, cercarono di stenderlo nella cassa da morto: non
ce la facevano; ogni volta che lo stendevano... gnìììì!,
tornava alla posizione originale. Alla fine si sono stufati e lo
hanno sepolto seduto.
Non era comunque il solo ad avere in odio il Papa: già
Gioacchino da Fiore, vissuto ancor prima di san Francesco,
che può esser considerato un po’ il padre di tutti i movimenti
ereticali, aveva detto più o meno: “Se vogliamo dare dignità
alla Chiesa di Cristo, dobbiamo distruggere la chiesa. La
grande bestia di Roma, la bestia tremenda di Roma. E per
distruggere la chiesa non ci basta far crollare le mura, i tetti,
i campanili: dobbiamo distruggere chi la governa, il Papa, i
vescovi, i cardinali”. Un po’ radicale, come atteggiamento.
Fatto sta che il Papa del tempo gli mandò subito in visita un
centinaio di armati che lo cercarono per le montagne dove
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viveva, individuarono grazie ad una spia la grotta in cui
abitava, ma, loro sfortuna, lo trovarono morto: ancora caldo,
ma morto. Era morto due minuti prima che arrivassero: non
si sa se per lo spavento d’aver visto i soldati che arrivavano,
o perché era un po’ carogna e voleva fargli dispetto. Io credo
che sia così: Gioacchino da Fiore era un maligno, molto
maligno.
Ecco un’immagine di Bonifacio VIII (immagine 15), molto
realistica: lo vediamo usare come sedile il frate Segalello da
Parma. Segalello da Parma era dell’ordine degli insaccati,
così detti perché vestivano di sacco: un altro estremista,
tanto per rimanere all’interno del linguaggio di questi giorni,
che sentiamo così spesso parlare di estremisti di ambo le
parti, di opposti estremismi...
L’estremista che fa da sedile, dunque, era di quelli che
pretendevano che il Papa e la Chiesa fossero poveri,
estremamente poveri, che tutto venisse consegnato nelle
mani della gente più umile: che “la dignità della Chiesa, –
diceva Segalello, – si fondasse sulla dignità dei poveri”.
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Quando tu Chiesa hai al tuo interno un povero disgraziato
che muore di fame, sei una Chiesa che non può gloriarsi di
essere viva. A proposito del soprannome (il popolo lo
chiamava Segarello): Segalello era di quelli che predicavano
la castità assoluta, e gli derivava evidentemente dal fatto che
non lo vedessero mai andare a donne. Ebbene, questo frate
dal soprannome quasi da giullare se ne andava in giro a
provocare i contadini: “Ehi, voi, ma che fate? Giocate? Ah
no! Vangate la terra? Lavorate! E di chi è la terra? Vostra,
immagino! No? Non è vostra? Ma come! Voi lavorate la
terra e... Ma ne avete un profitto?! Che profitto? Ah... una
percentuale così bassa? E come, tutto il resto se lo tiene il
padrone? Il padrone di che cosa! Della terra? Ah ah ah! C’è
un padrone della terra? Voi credete davvero che sulla Bibbia
il tal appezzamento di terra sia assegnato al tal dei tali...
Cretini! Deficienti! La terra è vostra: loro se la sono fregata,
e poi l’han data da lavorare a voi. La terra è di chi la lavora:
chiaro?!”
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Pensate, nel Medioevo andare in giro a dire certe cose: la
terra è di chi la lavora! È da pazzi incoscienti dirlo oggi,
figuratevi nel Medioevo! Infatti l’hanno subito preso e
messo sul rogo, lui e tutta la sua banda di “insaccati”.
Scampò uno solo. Si chiamava fra’ Dolcino, e si ritirò dalle
sue parti, dalle parti di Vercelli: ma invece di starsene a casa
e in silenzio, visto il rischio che aveva corso, nossignori,
andò intorno ancora a provocare i contadini, a fare il
giullare. Andava e cominciava: “Ehi contadino!... la terra è
tua, tientela, cretino deficiente, la terra è di chi la lavora...” E
i contadini del Vercellese, forse per il fatto che lui parlava il
dialetto del luogo e lo capivano bene, lo guardavano e
dicevano: “Eh eh... che pazzo è quel fra’ Dolcino! Però mica
dice delle cose sceme! Sai, io quasi quasi la terra me la
tengo... No, anzi, la terra la lascio al padrone, io mi tengo il
raccolto!” E da quel giorno, ogni volta che arrivano i
“dimandati”, li prendevano a sassate. E cominciarono a
strappare anche il contratto, che si chiamava “angheria”. Sì,
il contratto che nel Medioevo univa i contadini al padrone si
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chiamava “angheria”. Allora aveva il solo significato di
contratto: poi la gente ha cominciato a capire, e si è
arricchito di sfumature: “Ah, un’angheria?...”: cioè, un
contratto tra contadino e padrone. Bene, stracciavano questo
contratto: ma, sapendo di non poter resistere da soli, si
univano, si associavano l’un con l’altro: tutti i contadini
della zona. Non solo, ma comprendendo che bisognava
allargare l’unione, perché avesse più forza, si univano con
gli artigiani minori, con i salariati, che nel Medioevo
cominciavano a esistere in gran numero. Fu così che
giunsero all’organizzazione di una comunità straordinaria.
Fra di loro si chiamavano “comunitardi”.
Sono i primi comunitardi della storia che conosciamo: come
centro di organizzazione, avevano la “credenza”. La
credenza è oggi in tutta Italia, dalla Sicilia al Veneto,
quell’armadio che teniamo in casa per riporvi la roba da
mangiare. Il sostantivo deriva evidentemente dal verbo
credere: credere in qualcosa. Credenza: credere nella
comunità, quindi; e queste forme di comunità avevano
02/10/2012 462
cominciato a esistere dal vi secolo. La prima “credenza” di
cui abbiamo notizia è la “credenza” nella comunità di
Sant’Ambrogio; un armadio enorme, immenso, tutto fatto a
stive, con tanti sportelli di legno particolari, nei quali si
conservavano i generi alimentari della comunità, il grano
dall’umidità, tutto quanto potesse servire alla comunità nei
periodi di carestia.
Lì a Vercelli, invece, per la divisione dei beni comuni non si
aspettava la carestia: si radunava tutto quanto e lo si
distribuiva a ciascuno secondo il bisogno. Secondo il
bisogno, notate bene, non secondo il lavoro che ciascuno
aveva prodotto.
Questo modo di autogovernarsi aveva dato molto fastidio ai
padroni: soprattutto a quelli che si sentivano “derubati” della
terra. Uno in particolare, il conte di Monferrato, organizzò
una spedizione punitiva, partì con i suoi sbirri, acchiappò un
centinaio di comunitardi e tagliò loro mani e piedi. Era un
vezzo di allora: in Bretagna, duecento anni prima, i signori
avevano fatto lo stesso con i propri contadini. Mani e piedi
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tagliati, furono messi a cavalcioni di asini, e spinti verso la
città di Vercelli: perché i comunitardi si rendessero conto di
quel che capitava ad agire con troppa libertà e
“presunzione”.
Quando i comunitardi videro i propri fratelli ridotti e
malconci in questa maniera non si misero a piangere.
Partirono la notte stessa e arrivarono a Novara
all’improvviso, entrarono in città e fecero un vero e proprio
massacro degli sgherri, dei boia massacratori: non solo,
riuscirono a convincere la popolazione a rendersi libera e a
organizzarsi a sua volta in comunità. Con una rapidità
incredibile Oleggio, Pombia, Castelletto Ticino, Arona, tutta
la parte a nord del Lago Maggiore, Domodossola, la zona
verso il Monte Rosa, tutto il Lago d’Orta, la Valsesia,
Varallo, la Val Mastallone, Ivrea, Biella, Alessandria...
insomma, mezza Lombardia e mezzo Piemonte si
ribellarono. Non sapendo più dove mettere le mani, duchi e
conti mandarono a Roma un messo che arrivò urlando al
Papa: “Aiuto, aiuto... aiutaci tu, per Dio!” Davanti al per
02/10/2012 464
Dio, che può fare il Papa? “Per la miseria, per Dio, devo
aiutarli...” Per sua fortuna, e per fortuna dei signori del nord,
stava per imbarcarsi a Brindisi la quarta crociata (quella di
cui noi non sappiamo niente, perché ci viene passata del
tutto sotto silenzio, e per “quarta crociata” ci
contrabbandano quella che in realtà fu la quinta). E allora
fece dire ai crociati dal messo: “Fermi tutti, scusate, ho
sbagliato: gli infedeli non stanno dall’altra parte del mare,
stanno lassù, in Lombardia, travestiti da contadini ribelli.
Via subito!” A marce forzate ottomila uomini, quasi tutti
tedeschi, arrivarono in Lombardia, si unirono alle truppe del
duca Visconti, dei Modrone, dei Torriani, dei Borromeo, del
conte del Monferrato – c’erano anche due nuovi personaggi,
i Savoia, che proprio allora cominciavano a farsi strada – e
diedero luogo a un massacro ferocissimo. Riuscirono a
rinchiudere in un monte presso Biella tremila comunitardi,
uomini, donne, bambini: in un colpo solo li massacrarono
tutti, li bruciarono, li scannarono...
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Di questa storia che vi ho così sommariamente raccontato,
sui libri di testo in uso nelle scuole non si fa cenno. Ed è
giusto, d’altra parte: chi organizza la cultura? Chi decide
cosa insegnare? Chi ha l’interesse a non dare certe
informazioni? Il padrone, la borghesia. Fin che glielo
permetteremo, è naturale che continuino a fare quello che
ritengono giusto. Vi immaginate che questi qui, impazziti, si
mettano a raccontare che nel Trecento, in Lombardia e in
Piemonte, ci fu una vera e propria rivoluzione, durante la
quale, nel nome di Cristo si riuscì a costituire una comunità
in cui tutti erano uguali, si volevano bene, non si sfruttavano
l’un l’altro? C’è la possibilità che i ragazzini si esaltino e
gridino: “Viva fra’ Dolcino! Abbasso il Papa!” E non si può,
perdio, non si può!
Esagero, naturalmente, per amore di polemica: perché, per la
verità, in qualche libro di testo un po’ più avanzato, in
qualche scuola di grande tradizione (il Berchet per esempio,
la scuola che frequenta mio figlio), la notizia si trova.
Magari in una nota a piè di pagina, che suona così (la cito a
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memoria): “Fra’ Dolcino, eretico, nel 1306 fu bruciato vivo
insieme alla sua amica”.Capito? Così i ragazzi imparano che
fra’ Dolcino era eretico in quanto aveva un’amica!
Eseguo adesso la giullarata di Bonifacio VIII. Inizia con un
canto extraliturgico antichissimo, catalano, esattamente della
zona dei Pirenei: durante il canto il Papa si veste per una
cerimonia importante.Va ricordato un vezzo che aveva
Bonifacio VIII: quello di far inchiodare per la lingua dei
frati, ai portoni dei nobili di certe città.Poiché questi frati
pauperisti e legati ai “catari”, ad altri movimenti ereticali,
avevano la cattiva abitudine di andare in giro a parlar male
dei signori: allora il Papa li prendeva e zack... (Mima l’atto
di inchiodare per la lingua)Non lui personalmente, che anzi
aveva orrore del sangue: aveva degli uomini apposta per
questo. Non era un accentratore.
Un altro episodio che si ricorda di lui, tanto per dare un’idea
di che tipo fosse, e l’orgia che organizzò il venerdì santo del
1301. Tra le tante precessioni che avevano luogo a Roma
quel giorno ce n’era una di “catari”, che approfittavano dei
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canti liturgici per insultare, con battute sottobanco, proprio il
Papa.Dicevano: “Gesù Cristo era un povero cristo che se ne
andava in giro senza neanche un mantello: c’è invece
qualcuno che il mantello ce l’ha, e pieno di pietre
preziose.C’è qualcuno che se ne sta in cima a un trono tutto
d’oro, mentre Cristo camminava a piedi nudi.Cristo, che era
Dio, Padreterno, per essere uomo era sceso in terra: c’è
qualcuno che non è nemmeno uomo, e fa tanto il padreterno,
per essere dio si fa portare in giro su portantine...”
Per la miseria! Bonifacio, che era piuttosto sveglio, pensò:
“Vuoi vedere che ce l’hanno con me? Ah sì?E io gli faccio
lo sfregio!” Organizzò un’orgia proprio di venerdì santo:
chiamò alcune prostitute, alcune signore di buona famiglia,
che spesso è la stessa cosa, vescovi e cardinali, e pare che
tutti assieme abbiano fatto delle cose proprio turpi e
ignobili.Tanto che tutte le corti d’Europa si scandalizzarono,
anche quella di Enrico III d’Inghilterra che, secondo i
cronisti del tempo, era un re piuttosto grossier.
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Dicono infatti che, per far divertire i suoi baroni durante i
banchetti, spegnesse una candela con un rutto, a tre metri di
distanza!Qualcuno aggiunge addirittura – ma io non ci credo
– che riuscisse a spegnerle addirittura di carambola, cioè
facendo il rutto verso il muro... di sponda... (mima) tack-
tack... È umorismo inglese, di cui non siamo in grado di
cogliere tutte le sottigliezze, naturalmente; dobbiamo
accontentarci, è come il cricket.
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BONIFACIO VIII
PROLOGO 2000
E arriviamo a Bonifacio VIII. Questo Papa fu senz’altro uno
dei più grandi pontefici del medioevo soprattutto dal punto
di vista politico e strutturale dello stato cattolico, apostolico
romano; un po’ meno dal punto di vista mistico e religioso.
Infatti fu il Papa che elesse a regola santa il potere temporale
della Chiesa. Con la sua spregiudicatezza provocò nei fedeli
grandi apprezzamenti con contrappunto di rancori feroci.
Dante Alighieri, suo contemporaneo, di certo non aveva
molta simpatia per lui, tanto che lo scaraventò all’inferno
prima ancora che morisse. Vi ricordate la scena : Dante
chiede a Virgilio “Maestro, cos’è quel buco dal quale
prorompe fuoco? A chi è destinato?” e il Maestro “Lì verrà
infilato Bonifacio VIII con la testa in giù e le zampe che
zompano, sbattendo fuori dal buco!”
Ma, a parte il giudizio negativo e spesso ostile dimostratogli
da molti uomini di pensiero del tempo, bisogna ammettere
02/10/2012 470
che sul piano della riorganizzazione della Chiesa, l’apporto
di questo Papa fu determinante. Egli diceva più o meno:
“Basta con questa chiesa accattona che per sopravvivere
deve dipendere dalle elargizioni dei potenti, re e imperatori
che poi ti impongono l’elezione di vescovi, loro tirapiedi... ti
ricattano, si servono della chiesa come di uno zerbino per
montare più comodi al trono! Vogliamo la libertà della
chiesa, l’autonomia, ma per far questo dobbiamo riuscire a
creare e gestire il nostro potere... sì, un potere che non può
risolversi coll’occuparsi della sola spiritualità, ma che deve
diventare anche potere temporale, che significa economico,
politico e, scusate se vi sembrerà una bestemmia, giuridico-
militare, senza dimenticare il bancario.
Naturalmente, come dicevamo, un programma tanto
spregiudicato determinò una reazione indignata da parte di
infiniti gruppi religiosi che pretendevano la santa povertà
della chiesa, seguendo la regola del poverello d’Assisi. A
capo del movimento c’erano i più radicali e senz’altro i
cosiddetti spirituali, che oggi potremmo chiamare la sinistra
02/10/2012 471
accesa della Chiesa: costoro si gettarono con impeto contro
le idee di questo Papa.
Jacopone da Todi, il grande poeta, capo ispiratore degli
zeloti (da zelo) di San Francesco, urlava: “ Ahi Bonifax, che
come putta hai traìto l’eclésia”, “Ahi, Bonifacio che come
una puttana hai ridotto la Chiesa”.
Bonifacio se la legò al dito e riuscì a catturare il frate poeta,
lo gettò in un carcere profondo, costretto a restare legato in
questa posizione, chino (allarga le braccia e si piega sulle
proprie ginocchia ad imitare la costrizione di Jacopone),
incatenato sulle proprie feci. Quando, dopo 5 anni, alla
morte di Bonifacio, lo liberarono éra ridotto ad un catorcio,
talmente anchilosato che non riusciva neanche a muoversi. I
fratelli dell’ordine, si racconta nella tradizione popolare, lo
portavano in giro su una carriola e quando di lì a poco
Jacopone morì lo dovettero seppellire da seduto, giacché i
suoi fratelli non riuscivano ad allungarlo sull’asse della
sepoltura: come lo stendevano... lui, caparbio, NIEHH!
02/10/2012 472
(Mima il rattrappirsi di nuovo nella posizione di
accasciato).
Un altro ricordo della violenza di questo papa si rifà ancora
alla memoria popolare, a proposito del crimine messo in atto
a Cesena dove agiva un gruppo di cento frati che
contestavano il papa e soprattutto i maggiori della città, che
lo appoggiavano. Bonifacio riuscì a far catturare in massa i
contestatori, ne scelse sette di loro, i caporioni, li fece
inchiodare per la lingua con le mani legate dietro la schiena,
ai rispettivi sette portoni della città.
Per secoli i ragazzini della Romagna hanno cantato la
tiritera:
“Penzola, penzola frate
sbalanza,
come il pendolo fai la danza.
Sbatti fratello per la lingua inchiodato,
come il batocchio che batte a martello
come campana sbatacchia, fratello”.
02/10/2012 473
Ora grazie anche alla vostra fantasia, aiutandomi con gesti,
canti e sproloqui appropriati, cercherò di mostrarvi
Bonifacio che si appresta ad indossare paramenti a dir poco
fastosi, per recarsi in processione. Il Papa amava molto il rito
dello sfilare tra folle di fedeli acclamanti, preceduto e
seguito da turbe di vescovi e cardinali, soldati in grande
uniforme, bandiere, drappi e fanfare. Sotto un gran
baldacchino procedeva quasi in estasi. Nella nostra giullarata
accade un evento magico. Il Papa si incontra con un'altra
processione nella quale c'è Gesù Cristo che, sotto la croce,
se ne sta andando sul monte Sinai per essere inchiodato.
Quando ho scoperto il frammento che mi ha ispirato la
giullarata di Bonifacio, alla descrizione dell’incontro fra
Cristo e il pontefice sono rimasto un poco perplesso, ma poi
mi sono informato, ho chiesto a storici illustri e mi hanno
spiegato che si tratta solo di un anacronismo, classico
espediente allegorico delle giullarate medievali. Quindi mi
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hanno assicurato Cristo non si é mai incontrato con nessun
Papa. Ho quindi tirato un bel respiro di sollievo!
Dicevamo... nella giullarata il pontefice vorrebbe
approfittare dell’incontro e sfruttarlo a grande effetto così da
provocare stupore e ammirazione nei fedeli astanti.
Bonifacio cerca di sostituirsi al Cireneo infilandosi sotto la
croce e reggerla con Gesù. Bel colpo, da gloria in coro! Ma
Gesù intuisce l’antifona, gli girano tutti i santissimi e,
indignato, sferra una gran pedata al Papa, proprio sul
coccige... che da quel giorno si chiamerà OSSO SACRO in
memoria del santo piede di Cristo.
A ‘sto punto io metto sempre le mani avanti perché so che
gran parte del pubblico tende a ravvisare ad ogni costo un
parallelo fra Bonifacio e il Papa attuale.
E’ incredibile! Sono ormai quasi 30 anni, sottolineo 30 anni,
che rappresento questo testo e da allora si sono succeduti
alla soglia di Pietro bén 3 papi, Wojtyla è il quarto. Ebbene,
indipendentemente dalle diverse personalità dei pontefici, il
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pubblico sempre ha cercato di scoprire allegorie e
concomitanze di questi, con Papa Bonifacio.
Lasciamo perdere i precedenti pontefici, io chiedo come si
può rintracciare una qualsivoglia somiglianza fra Papa
Wojtyla e Bonifacio?
Tanto l’inventore del potere temporale éra dispotico,
violento e vendicativo, cossì questo nostro attuale pontefice
è totalmente portato alla comprensione e al perdono. Basti
pensare come ha reagito nei riguardi del criminale che ha
tentato di ucciderlo; un killer spietato e infame, un turco
fanatico e fascista.
Io ho molti amici turchi, attori, scrittori e intellettuali che più
volte hanno provato la galera per difendere il diritto alla
democrazia, ma questo lo odio!
Eppure Wojtyla l’ha perdonato! Si fa presto a parlare di
carità evangelica, ma voglio vedere io come qualsiasi essere
umano avrebbe reagito davanti a un bastardo criminale che ti
spara nel coccige, proprio nel momento in cui tu stai per
affacciarti dal tuo trabiccolo-mobile per afferrare un bimbo e
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baciarlo. Eppure lui, Wojtyla, ancora zoppicante, s’è
scomodato ad andare di persona a fare visita al suo killer...
per abbracciarlo.
Vi ricordate la scena: lui, Ali Akka, turco assassino, seduto
su una sedia di ferro e accanto Wojtyla, anche lui su una
sedia di ferro che gli pone un braccio sulle spalle, gli
accenna gesti di rimprovero (esegue una breve pantomima
agitando la mano e fingendo di schiaffeggiare benevolmente
il criminale). I due si trovano davanti ad una vetrata
squallida, incorniciata di ferro arrugginito... la regia éra di
Zeffirelli e devo ammettere che in queste messe in scena lui
ci sa proprio fare!
Dunque, dicevamo... Wojtyla si stava affacciando dalla
Pope-mobile per afferrare un bambino dalle braccia della
madre e baciarlo; voi sapete che il nostro Giovanni Paolo ha
una vera passione per i bambini... se non ne bacia almeno
una decina al giorno sta male. E ancor oggi, per quanto non
più sciolto nei movimenti, causa gli acciacchi dell’età,
esegue il sollevamento del bimbo con una velocità a dir poco
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sorprendente, sembra la catena di montaggio (accompagna
la descrizione con gesti a scatto meccanico) : solleva il
bimbo, lo bacia e via: li butta! Che se non ci fosse sempre
intorno a lui quella équipe di pallacanestro dove tutti sono
truccati da preti, autentici giocolieri che come lancia il
bambino (mima la scena con saltelli, scarti veloci seguiti dal
gesto di palleggiare il bimbo al suolo come fosse una palla e
quindi infilarlo nel canestro)... “OP OP... passa.. è tua!!” e
lancia: sarebbe un disastro!
L'altra passione irrefrenabile del pontefice è senz'altro
quella che lo porta ad inchinarsi e baciare la terra,
immancabilmente ad ogni sbarco in un paese nuovo, travolto
dal desiderio di quel bacio. E non c’è verso di dissuaderlo.
Ogni volta che ci hanno provato si è sfiorata la catastrofe.
Ha trascinato con se preti, suore, frati che tentavano di
trattenerlo; e una volta anche una guardia svizzera che nel
cadere ha infilzato con la lancia un prete in estasi. Oggi,
purtroppo per le sopravvenute difficoltà deambulatorie e non
riuscendo a flettersi come un tempo, è costretto ad
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accontentarsi di un capace vaso, dentro il quale è sistemata
una gran zolla di terra, glielo sollevano e lui bacia. Rito
purtroppo ridotto. Pensare che solo 10 anni fa ogni discesa
con bacio alla terra: era uno spettacolo ineguagliabile!
Io mi trovavo a recitare in Spagna proprio alla sua prima
visita e mi sono mosso alle sei del mattino da Madrid per
raggiungere l’aeroporto dove sarebbe atterrato. Nel grande
spazio già allo spuntare dell’alba si erano riuniti almeno un
milione di fedeli che lo attendevano... una cosa esagerata!
Avevano sfondato anche le transenne, dilagando per tutto
l’aeroporto, anche sulla pista. Tutti, con la faccia rivolta in
su a scrutare il cielo, un cielo tessuto di nubi fitte e basse. Ad
un certo punto a bucare le nubi è spuntato il muso dell’aereo
papale... un DC13 che adesso non ci sono più i DC…
(pausa: ironia ) Noi ci siamo illusi che non esistano più i
DC, ma ci sono e ancor più numerosi truccati con sigle di
fantasia CC, CPCC, CCC, CDU... sono fitti come la
nebulosa di Andromeda… Non sono un partito , ma
un’ameba … oggi ce li troviamo di nuovo al governo e
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anche all’opposizione! All’apparizione dell’enorme jet…
sapete, quello con la papalina in testa, giallo e bianco… i
colori del Vaticano... un fedele, anzi un fanatico che stava
vicino a mé ha esclamato:
"Com’è' bello il Papa! Come vola bene!" "No, - gli faccio -
guardi che questo non è il Papa, é l’aereo dentro il quale vola
il Papa." "No, è lui!" e io "Guardi che il Papa mica ha i
finestrini sui fianchi!" Il fanatico mistico con tono sicuro:
"Se vuole lui se li fa!".
Quando si dice la fede!
Intanto l’aereo si è abbassato e, evitando miracolosamente la
folla di fedeli, é atterrato sulla pista. Immediatamente una
scalinata semovente di 100 gradini ha raggiunto la carlinga
dell’aereo. All’istante tutti abbiamo visto scorrere il
portellone e apparire il Papa... Lui per primo. Bellissimo,
con la papalina in testa, gli occhi cerulei, un sorriso radioso,
il collo taurino, i pettorali bén disegnati, come allora poteva
bén mostrare, la fascia stretta in vita, gli addominali tesi, il
nastro che, avvolto al collo, gli tratteneva un mantello rosso
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che gli scendeva fino ai piedi (pausa)... Superman!!! Proprio
lui, che ha cominciato ad oscillare avanti e indietro: uuuno…
dueeee… già la gente gridava "Il Papa volaaa" e tutti i fedeli
lo immaginavano librarsi nell’aria con un fumone bianco e
giallo che gli usciva da sotto il gonnellone a scrivere per il
cielo “Dio è con noii! Perdiooo!!” TUN TUN (fa il gesto di
disegnare nel cielo le lettere della frase).
E invece un arcivescovo ha purtroppo spezzato l’incanto:
‘sto gran prelato distratto, per dialogare con il pilota, gli è
montato sulla coda del mantello e lui, il papa, bloccato
(mima l’impedimento del mantello) ! Se ci fosse stato un
altro pontefice al suo posto sarebbe morto di vergogna, ma
Wojtyla ha dilatato di scatto i muscoli della gola - collo, ha
spezzato il nastro che tratteneva il mantello. La santa cappa è
caduta, scivolando via dalle sue spalle e lui è letteralmente
precipitato per le scale a velocità inaudita!
Io non ho mai visto nessuno al mondo scendere per i gradini
di una scala con quella velocità, naturalmente sto parlando
del papa quando ancora éra una vera e propria forza della
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natura. Non posso dimenticare uno dei suoi primi exploit
mistico-sportivi quando aveva deciso di montare su un picco
del trentino, a 3000 metri di altezza, a dir messa.
Durante il rito esplose una tormenta spaventosa, fuori dalla
piccola chiesa una slavina aveva travolto alcune guide e uno
stuolo di parroci alpinisti... lui, Wojtyla ha salvato tutti e
anche due o tre cani san Bernardo che erano sepolti nella
neve.
Da solo.
Con la fiaschetta qua, al collo, è andato a raspare e a
dissotterrarli. Éra l'unico che riuscisse a muoversi in
quell’inferno, facendo tutto, coperto solo del suo mantello e
con in capo papalina, che per mé gliela avvitano... e quel
pirulino che gli spunta qua è suo personale, è un picciolo
che aveva fin da bambino. Lui è nato così: ...EHI
PIRULINO! Ché infatti Wojtyla in polacco vuol dire
pirulino. WOJTYLA!
Spostiamoci dalle montagne e torniamo all’aeroporto di
Madrid. Dicevamo che il Papa s’é buttato a precipizio giù
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dalla scalinata... non so come ci riuscisse con quei piedini
che zampettavano TATATATATA. Purtroppo nel
discendere é incappato in un guaio: non s’era accorto che la
scala, dopo i primi 50 gradini, presentava un breve
pianerottolo, quindi riprendeva fino in fondo con un normale
ritmo di pedata. Wojtyla non si è reso conto di quel basello e
TAC (fa il gesto di scattare in aria a braccia levate).
Naturalmente nessuno di voi, con tutto che magari eravate di
fronte al televisore, ha potuto godere di quella scena per
intero, per la ragione che non si trattava di una normale
ripresa in diretta, ma di una ripresa in diretta leggermente
differita. No, non è una battuta di spirito: chi ne sa qualcosa
di televisione è al corrente che quando si riprende un
avvenimento importante non lo si manda immediatamente in
onda, si registra il tutto per poi trasmetterlo con qualche
minuto di ritardo, cosicché se accade qualcosa di imprevisto,
non si fa altro che tagliare la sequenza inutilizzabile, si
riduce e via che si prosegue senza che nessuno si sia reso
conto dell’accaduto. Infatti chi ha assistito all’avvenimento
02/10/2012 483
si ricorderà che appariva una sequenza strana: il papa scende
la scaletta (mima) TATATA, giunge al gradino (fa il gesto di
scattare in aria)... stacco: ed eccolo già in fondo alla scaletta
che si stropiccia il viso, si spazzola la veste (mima
rapidissimo l’accaduto). Ma cosa éra successo nello spazio
censurato? Io ero presente e vi posso testimoniare l’intera
sequenza: lui scende velocissimo, s'intoppa TA PAM
(allarga le braccia e mima d’essere proiettato in aria con un
gran salto), scende a picco verso il prato, lo raggiunge
planando e ara il campo per tre metri e mezzo con i suoi
splendidi incisivi… un solco profondo, e quindi gli sferra un
bacio con tale voluttà alla terra, che questa freme in un
brivido di sessualità inaudita (mima, agitando le braccia
come attraversato da un fremito di mille Volt) AAAH!
Splendido!
Ma torniamo ad Alì Agchà e al tentato assassinio, al punto in
cui il papa solleva il bambino dalle braccia della madre. La
donna ha vicino il marito che la tiene a braccetto. Wojtyla fa
il gesto di voler afferrare il bambino, la donna si schernisce e
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dice: "Santità, non vi offendete, non ve lo do perché voi poi
lo buttate!" Il Papa assicura: "No, io non lo butto!" il marito:
"Sì, lei butta!". Wojtyla non s’arrende: solleva il bambino
con appresso la madre a braccetto del padre… un grappolo
familiare… che lui ci tiene alla famiglia unita... RAMBO
VII. Proprio in quel momento il bastardo killer infame gli ha
sparato! Gli ha sparato apposta alla schiena per umiliarlo. A
‘sto punto c'è stato quel folle speaker della prima rete, che
giustamente hanno cacciato da tutte le televisioni, che si è
messo ad urlare: "Il Papa e ‘stato colpito allo sfintere!!!".
Ma dico si dice che il Papa ha lo sfintere?! IL PAPA HA UN
CONDOTTO SACRO!!! Ma come ha potuto quel killer
sparare indisturbato? A parte che l'hanno fotografato da tutte
le posizioni e durante l’intera azione! Vi siete resi conto di
quante fotografie hanno scattato? Ce n’è una di lui che estrae
la pistola; c’è ne un’altra che lo ritrae mentre, con calma,
punta l’arma ,un'altra ancora dove bagna il mirino sulla
canna con la saliva, il fumo che esce, lui che soffia sulla
bocca della canna per disperdere il fumo, un’ultima dove lo
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si vede infilare l’arma nella fondina: OK! e va via. C’è
addirittura una foto scattata al mattino, 3 ore prima che
arrivasse il Papa, dove si vede Ali Akka che infila
tranquillamente i proiettili, uno ad uno, nel tamburo della
pistola. Nessuno che si scomodi chiedendogli : “Ma che fa,
carica la pistola in piazza San Pietro col Papa che sta per
uscire?” No, tutto normale... Uno per prepararsi
spiritualmente che fa? Snocciola il rosario?... No, è roba da
pizzocchero d’altri tempi... no, lui infila proiettili: è molto
più mistico!
Poi c’è la sequenza delle foto coi bulgari... è risaputo la
piazza era ricolma di bulgari, tutti coi baffi alla bulgaro. Si
sa: loro, hanno organizzato l’attentato: erano lì presenti, per
dare indicazioni al killer idiota. Naturalmente senza dare
nell’occhio. Infatti c’è la sequenza di foto in cui si vedono il
bulgaro col dito nel naso, quello che si gratta la natica;
ancora un altro bulgaro che lecca il gelato, il suo vicino che
ha il gelato ma lecca quello dell'altro e, finalmente in fondo,
il capo dei bulgari, l’organizzatore che da gli ordini al turco
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(da inizio ad una pantomima in cui gesticola per far
intendere l’azione che il killer deve mettere in atto) : “ Ali
Akka… (fa il gesto napoletano che significa qui, in questo
momento), QUELLO!! (indica il Papa che entra nella
piazza, ne descrive la mitria e le mani giunte, fa il gesto di
sparare e descrive il Papa che cade riverso. Fa poi
immaginare l’espressione attonita e un po' beota del killer
che non capisce) ”
“EHH?”.
(Il capo bulgaro ripete velocemente l’azione
dell’esecuzione) : “Quello!! Quello bianco... vestito di
bianco... ma no! Quella è una suora!”
Esiste soprattutto la prova della presenza dei bulgari
documentata dal New York Times, il settimanale che
qualche giorno dopo l’attentato è uscito con una specie di
depliant a soffietto che s’allargava a mostrare una foto di 50
x 40 cm; nella maxi foto appariva tutta piazza S. Pietro
gremita di folla e tanti cerchietti rossi che inquadravano
ognuno un bulgaro: quello del gelato, il palpa-natiche
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eccetera... Cosicché, ancor oggi, quando un bulgaro in
vacanza arriva alla nostra frontiera, subito gli consegnano un
cerchietto rosso che dovrà tenere davanti al viso, anzi
rimanerci affacciato per tutto il soggiorno, così da poterlo
comodamente identificare in ogni evenienza.
Torniamo finalmente a Bonifacio VIII che si prepara per
l’andata in processione. Alcuni chierici collaborano ad
addobbarlo dei sacri arredi: gli porgono la pesante mitria, i
guanti, gli caricano sulle spalle un enorme mantello
tempestato d’oro e pietre preziose e partecipano al coro
intonato dal Papa.
Purtroppo a funestare il rituale c’è un chierico che per la
troppa emozione si inciampa, crea guai e soprattutto nel
cantare stona. Infatti sentirete spesso il papa inveire gridando
“Stünàt” e lo vedrete promettere allo sventurato chierico,
con gesti eloquenti che, se continuerà a combinare guai, lo
inchioderà per la lingua al portone come già aveva fatto con
i frati di Cesena.
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Per tutta la giullarata io canterò in gregoriano, ma non si
tratterà di grammelot, una parodia sfarfugliata a soggetto,
no, il canto che andrò ad eseguire sarà in autentico
gregoriano dell’XI secolo.
Io ho avuto la fortuna, quand'ero ragazzino di far parte di un
coro famoso, quello della cattedrale del mio paese, Domo
Valtravaglia, ero prima voce di contralto, la voce portante di
tutto il coro. L’intera curia éra orgogliosa di mé e quando
arrivava un vescovo in visita pastorale mi presentavano
quasi fossi un dono del Signore. Il vescovo mi poneva la
mano in capo e mi sorrideva.
Io ero la speranza della chiesa! (Pausa) Intendo dire della
chiesa del mio paese.
Poi sono cresciuto, sono arrivato a Milano, ho frequentato
cattive compagnie... marxisti e leninisti, e ho perduto quella
mia preziosa dote; però mi è rimasta la memoria del canto...
sapete, quel che si impara da ragazzi non si dimentica più...
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anche se si perde la grazia. Immaginatemi nei panni di
Bonifacio VIII
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BONIFACIO VIII
Giullarata per un mimo fabulatore solista
Il giullare nella sua azione, fa immaginare di essere
circondato da chierici cantori, che lo addobbano per la
processione che dovrà tenere tra poco. Mima il gesto di
pregare e canta1:.
AL JORN DEL JUDICI
PARRA QUI AVRÀ FET SERVISI
UN REY VINDRÀ PERPETUAL
VESTIT DE NOSTRA CARN MORTAL
DEL ZIEL VINDRÀ TOTI SERTAMENT
AL JORN...
(S’interrompe e si rivolge ad uno dei suoi immaginari
chierici)… el capèlo… (riprende a cantare)... AL JORN...
(S’interrompe) El capelón, quèlo grande… (riprende a
cantare)
ANS QUEL JUDICI NO SERÀ
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UN GRAN SENIAL SA MONSTRARÀ...
(Mima di afferrare la mitria dalle mani del chierico e se la
calza in capo. Di scatto se la toglie) Ahia! Bòja desgrasió, a
l'è de fèro! Té mé s’ciùchi la crapa! Dévio andare in batàja a
gueregiàre? (Inserisce sempre i suoi ordini nel canto
gregoriano) Dame quèlo legéro che débio andar a
pasegiàre… (Afferra un altro copricapo) Quèsto ól è bòn...
(Se lo ficca in testa e riprende a cantare)
AL JORN DEL JUDICI...
(S'interrompe: ordina) Ól spègio... (Mima di rimirarsi allo
specchio soddisfatto) Guanto! (Riprende il canto) ANS
QUÈL JUDICI... (Ordina) Guanto!! (Seccato) L'ólter... Un
guanto domà?! No’ gh'ho 'na mano sola... Vòi ch'mé la tàje?
(Mima il braccio monco. Riprende il canto infilandosi il
guanto e timbrando sulle note, conta il numero delle proprie
dita che ad un primo passaggio gli risultano più numerose.
Ripete il conto, sempre solfeggiando e si tranquillizza
scoprendo che ne ha proprio cinque per mano. Soddisfatto
esegue un crescendo festoso. Ordina) 1 testo in lingua catalana del XII secolo così come viene ancora eseguito nei corali do Alghero
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Ól mantèlo!... Il mantelón… quèlo grando, quèlo con le
piére... d’oro, d’arzénti. (Canta)
AL JORN DEL JUDICI
PARRA QUI AVRÀ...
Portémelo chi-lòga! Sèt in sinque chiérici, bòja!… Svalsì 'sto
mantèlo, mé lo sbordeghé tüto a strasicàrmelo par tèra,
andémo! Ehi, avìt magnà l'acquagiàda incóe? (Mima di
afferrare dalle mani dei chierici un largo, pesante mantello)
Ohi se l’è greve quèsto! (Riprende il canto cercando di
caricarsi il mantello sulle spalle senza riuscirci) .
PARRA QUI AVRÀ FET SERVICI... (Ordina) Aidème a
mèterlo in spala! (Canta)
PARRA QUI AVRÀ FET SERVICI...
Dai, monta! Déighe un trusùn! (Lo sforzo lo costringe a
stonare. Si arresta, si rivolge ai chierici abbassando il
mantello) Bòja! A débio far tüto mé?... A sónt un Pàpie o un
bóve? Débio caregàrme el mantèlo, portar el capelón,
cantare! No' ghi vója viàltri de cantare? A gh’è tristìsia?
Sìnque chiérisi sénsa vus? (Si rivolge a uno dei chierici
02/10/2012 493
immaginari) Ti, prima vus, canta! (Accenna, impostando la
tonalità della prima voce nel coro)
FET SERVICIII…
(Riprende dirigendo col capo) Prima!
(Canta come fosse il chierico) FET SERVICI…
Tégne la nota! SERVICIIII…
(Rivolgendosi ad un altro chierico immaginario) Secùnda!
UN REY VINDRÀ PERPETUAL… Mantién la nota…
PERPETUAAAAL...
(Ad un altro chierico) Terza!
VESTIT DE NOSTRA CARN MORTAL… plü alto!
(Ad un altro chierico) Quarta!
DEL CIEL VINDRÀ TOT CERTAMENT…
(Esegue un alleluiatico saltando da una tonalità all’altra e
dirigendo il coro, trasforma il canto in una sequenza di
rimbrotti, risentimenti e minacce, quindi, indica un quinto
corista) e ti repèt sü lo mismo tòn in sustién. (E, come fosse
il chierico, esegue una specie di accommagnamento su sole
tre note, quindi termina sgarrando con la voce in un acuto
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fuori tono. S’interrompe scoraggiato) Stunàt!!! (Alludendo
al mantello) Metémose a spìgnere insèmbia. (Canta salendo
in acuto)
PER FER DEL SETGLE JUGIAMENT… (Si blocca di
scatto)
Stunàt, cito! Ti sit pròpio sborlunàt de vose. No’ ti divegnerà
gimài prèvete che no’ ti pol cantare de mèsa! Sémpre
chiérico t’ serèt! Cito! (Fendendo l’aria con la mano tesa gli
ordina il silenzio assoluto. Ad un altro chierico) Quinta!
PER FER DEL SETGLE JUGIAMENT…
Adèso tüti insèmbia canté e valsé 'sto mantèlo, mé lo careghé
en spala... Ti stuna' no' cantare! (Sempre cantando in
gregoriano, mima di caricarsi, con grande sforzo il matello
sulle spalle e accenna a porsi in cammino)
AL JORN DEL JUDICI
PARRÀ QUI AVRÀ FET SERVICI...
(Si arresta all’istante e fa il gesto di strattonare il manto, si
blocca esausto e furente) Chi l'è che l'è montà coi pìe sul
mantèlo?!... (Si guarda alle spalle imbestialito) Stunàt!
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Desènde! No’ té canti! Ti è stunàt! No' té valsi ól mantèlo, té
monti coi pìe... Aténto a ti!… Che mi té tégno d'ögio!... Té
inciòdo la léngua sul purtùn! Lèngua, ciòdo, portùn,
martèlo... TON TON TON! (Mima velocissimo l’operazione
dell’inchiodamento, quindi prosegue disegnando nell’aria il
chierico inchiodato per la lingua che ciondola a mo’ di
batacchio, mosso dal vento. Emette un gemito che ricorda
quello dei portoni che cigolano sui cardini) GGNAAAA!
AAAAA! GGNAAAA! AAAAA! Aténto a ti!… (Ordina)
Valsé 'sto mantèlo! (Riprende il canto aggiustandosi il
mantello sulle spalle e annodandosi i nastri sul petto:
esausto) Che mesté de bòja fa' ól Pàpie! (Riprende il canto)
UN REY VINDRÀ PERPETUAL…
(Ordina) Cussìno con i anèli! (Canta)
VESTIT DE NOSTRA CARN MORTAL...
(Mima di prendere un anello dal cuscino che gli viene
offerto, lo rimira e dopo avere alitato sulla pietra se lo infila
e commenta) Va come sbarlüsciga quèsto! Té dà una
inciucàta che no' tèl pòl vardàre! (Riprende il canto
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infilandosi anelli dall’indice al mignolo e a questo punto
esclama) L'è grando… ah no… a l'è par ól didón! (Sposta
l’anello dal mignolo al pollice) Oh, adèso sì che ól va bén!
(Rivolto agli immaginari chierici) Mo’ stit in campana, che
partìssum tüti insémbia! Cantare! (Riprende con foga gesti e
canto. Si muove. Quasi spintonato, si ritrova proiettato in
avanti. Con gran scatto di reni, evita per poco di finire
lungo disteso con la faccia sbattuta al suolo. Si rizza, si
riassesta negli abiti, mitria e mantello, quindi puntando
feroce l’immaginario chierico imbranato) Stunàt! Còssa ti
va a spìgnere che i altri no’ iè ancamò partì! Té vòi
scarpusciàrme? Té piaserìa vedè ól Pàpie sbragào, con la
fàcia immergiùa in de la mota… el capelón incarcào fin al
bàbie a sufegàre!... Aténto té! (Ripete la pantomima
dell’inchiodamento per la lingua, rimpicciolendo i gesti
come se il chierico si fosse trasformato in un pupazzetto di
pochi centimetri. Indi, perentorio) Slarghé 'sto mantèlo!
Indrio! No' se fa parténsa sübito… se fa balànsa, prima... Se
fa mostra de parténsa, ma no' se parte miga! (Mima i
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movimenti appena descritti e si avvia) Se cata ól respiro… se
torna indrìo… un altro respiro, e pö, al fine se parte! A sunt
un Pàpie, no' un carètto! Aténto té! (Rapidissimo esegue la
pantomima sintetizzata dell’inchiodamento) Andémo!
(Riprende sull’aria del motivo religioso) Se parte… adèso
indrio… (si avvia facendo qualche passo con incedere
maestoso, sempre cantando)
UN REY VINDRÀ PERPETUAL...
(Si blocca di colpo e si guarda intorno come seguisse la
fuga di tutti i chierici) Oh, chiérighi... dua andì tüti?! Mé
piantì chi soléngo in mèso a la strada… da par mi?!… (Con
altro tono ad alcuni chierici che sono tornati sui loro passi)
Còssa gh'è?… Un'altra procesiùn?!... Un altra procesiùn…
de contra a la méa?! Chi gh'è in procesiùn? Jesus?... Chi l’è
'sto Jesus?... Ah, Cristo! (Come ricordando, all’istante si
batte una gran manata sulla fronte) Jesus Cristo! Al gh'ha
do' nómi... ‘tachéi insémbia, che mi a mé sconfùnde!…
(Come osservando Cristo che avanza con la croce sulle
spalle verso di lui) A l'è quèlo sota la cróse... Bòja come
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l'han consciàt! (Sinceramente addolorato) Varda… tüti i
spini gh'han piantàt sü la crapa... ól sànguo che ghe cóla
dapartüto… gh'han spüdà adòso… sgarbelà… strascià...
Adès capìssi parchè ól ciàmano “pòvero Crist”! (Rivolto ai
chierici china il capo come stravolto) Fradèli, portéme via
de chi-lòga, no' poi véder… mé fa impressiùn vardà ‘ste
robe... (fingendo di rispondere ai consigli di un altro
prelato) Eh? Té dise che è mejòr che mi ghe vaga
incontra?… Parchè?... Ah, par la zénte! Ziusta, la ziénte che
ghe vede insèmbia dise: "Oh, se cognósse quèi dòj… i son
de la mèsma eglésia!". Ti gh’ha resón. (Mima di liberarsi del
cappello, mantello e di sfilarsi gli anelli) Tégne, tégne ól
capelón, tégne ól mantèlo, tégne i anèli... L'è un mato quèlo!
No' pòle suffregàr i prèveti co' le robe che sbarlüsega! (Si
china nel gesto di raccogliere una manciata di fango)
Dame, dame la tèra... (In risposta, seccato) Per
sbordegàrme! (Si strofina il fango sul viso e sugli abiti,
quindi indicando Gesù) L'è un mato, l'è un fìsimo sofistico
treméndo! Ghe piàse sojaménte i disgrasió, i malarbèti, i
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vuncióni, le pütane... (Mima di allontanare da sé i chierici)
Vaì, vaì, foera! Foera! No' gh'ho besògn de vèsser
acompagnàt… Vago soléngo!... (Si avvicina a Cristo con un
gran sorriso accattivante) Com valla Jesus?... Eh? Chi a son
mi? (Ai chierici che ci si immagina alle sue spalle) Oh, no'
mé gh'ha recognossùo! (Al Cristo) Son ól Pàpie… Bonifax,
maximun… prénze de la romana eglésia... Pa-pi-e! (Ai
chierici) S'è desmentegàt cosa a l'è ól Pàpie! L'è inciuchìt!
(Al Cristo) Pàpie! Pa-pi-e! (Conciliante) No' té se regòrdi
che té gh'ha dito a Piétro: "Piétro, adèso che gh’avémo
l'eglésia, fasémo el capo de l'eglésia. E ti, té sarét ól prim
cap... che ól se ciamerà Pàpie... Aprèso che té sarét morto ti,
ghe sarà un altro Pàpie, quindi (ritmando) un Pàpie, un
morto, un Pàpie, un morto, un Pàpie… (pausa) 'na papada!...
(Come ascoltando il commento di Gesù, atteggia un moto di
meraviglia, trattenendo a stento la risata) Non té ghe l'aveva
gimài ditto ti, a Pietro? Alóra se l’éra inventàt! (La risata
esplode fragorosa. Si blocca all’istante recitando sorpresa,
ascoltando quanto va dicendogli Cristo) Eh?! Mi?! Mi ho
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masàto dei fra’? No’ è vera! Chi té l'ha dito? (Irato e
minaccioso) Dime el nome de chi té l’ha dito, che ghe
intorcìgo… ghe sbùso la crapa... (Fa il gesto di afferrare lo
spione, di torcergli il collo e quindi di trapanargli il capo
con le dita. Si blocca e mima di rimediare al gesto di
violenza ritappando il foro nel cranio della sua vittima) No
Jesus, ghe vòjo bén mi ai frati… tüte le matìne apéna mé
lévo… (si rivolge ad un chierico) : "Va a tórme un frate…"
(Rivolto a Cristo)… mé baso un frate… tüte le matìne!
(Sollecita il chierico) "Va a tórme 'sto frate!…” (Ascolta la
replica del chierico, quindi spazientito) “Destàcheghe la
léngua dal portón!" (Si interrompe rendendosi conto
dell’orrendo sproposito, indi cambia registro, si inginocchia
davanti a Cristo e parla con disperata umiltà) Jesus té gh'hai
resón… son l'òmo pejór che gh'àit a 'sto mondo… canàja…
ladrón… malarbèto… ma ti è tanto bòn e caro che t'hai fàito
perdonànza a tüti i òmeni de la tèra desgrasiò, asasìni,
pütane... fai perdonànsa anca a mi che son to’ fiöl… Fai de
manéra che tüta la zénte ghe véde… mi e ti sóta la mèsma
02/10/2012 501
cróse… mi che t'aìdo a portàrla (Mima di infilarsi sotto la
croce e di caricarsela)… Fòra dai cojóni Sirenèo! A son
forte mi… a porto certi mantelóni... (Cerca di fare
resistenza a Cristo che evidentemente lo ‘sta spingendo via
da sotto la croce) No descasàrmeeee!... (Mima di ricevere
una terribile pedata nel sedere. Si ritrova letteralmente
scaraventato dall’altro capo della scena) Cristo! Una
pesciàda a mi?! Al Pàpie?! Ma è 'gnüdo mato?! (Rivolto al
cielo) Se ól savèsse to’' Pare, poaràsso!... (Punta il dito verso
il pubblico) Ah, té fa gran plasér vedàr tüta ‘sta zénte che se
fa de le gran rigolàde cuntra de mi! (Carico di livore)
Ariverà ól ziórno che ti té anderà su la cróse inciodàt… In
quèl ziórno sarò gran contento… andarò a pute, mé vòi
embriagàr da sfrogognàr! (Puntando il dito contro Cristo)
Cap de i àseni! Prènze son mi! Prènze Màximon de la
Romana Eglésia! (Ordina ai chierici) Déme el capelón…
paséme ól mantèlo… déme i anèli… (Al Cristo) Varda come
sbarlüsega! Prènze son mi! E ti cap de i àseni! (Con voce
stentorea) Laude, laude Bonifax Maximun prènze... Gloria!
02/10/2012 502
Gloria a Bonifax! Cantare! (Se ne va tronfio e impettito
intonando a tutta voce il canto gregoriano)
LAUDE BONIFAX MAXIMO
PRENZE ROMANA EGLESIA
MAGNIFICAT ET EXULTE
(Cala lentamente la luce)
02/10/2012 503
TRADUZIONE
Giullarata per un mimo fabulatore solista
Il giullare nella sua azione, fa immaginare di essere
circondato da chierici, cantori che lo addobbano per la per la
processione che dovrà tenere tra poco. Mima il gesto di
pregare e canta2 .
AL JORN DEL JUDICI
PARRA QUI AVRÀ FET SERVISI
UN REY VINDRÀ PERPETUAL
VESTIT DE NOSTRA CARN MORTAL
DEL ZIEL VINDRA’ TOTI SERTAMENT
AL JORN...
(S’interrompe e si rivolge ad uno dei suoi immaginari
chierici)… il cappello (riprende a cantare)… AL JORN… il
capellone, quello grande...… (riprende a cantare)
ANS QUEL JUDICI NO SERA’
02/10/2012 504
UN GRAN SENIAL SA MONSTRARÀ...
(Mima di afferrare la mitria dalle mani del chierico e se la
calza in capo. Di scatto se la toglie) Ahia! Bòja disgraziato,
è di ferro! Mi vuoi sfasciare la testa! Devo andare in
battaglia a guerreggiare? (Inserisce sempre i suoi ordini nel
canto gregoriano) Dammi quello leggero che devo andare a
passeggiare... (Afferra un altro copricapo) Questo va bene...
(Se lo ficca in testa e riprende a cantare)
AL JORN DEL JUDICI...
(S’interrompe: ordina) Lo specchio... (Mima di rimirarsi
allo specchio soddisfatto) Guanto! (Riprende il canto) ANS
QUÈL JUDICI... (Ordina) Guanto!! (Seccato) L’altro... Un
guanto solo?! Non ho una mano sola... vuoi che mé la tagli?
(Mima il braccio monco. Riprende il canto infilandosi il
guanto e timbrando sulle note, conta il numero delle proprie
dita che ad un primo passaggio gli risultano più numerose.
Ripete il conto, sempre solfeggiando e si tranquillizza 2 Testo in lingua catalana del XII secolo così come viene ancora eseguito nei corali di Alghero
02/10/2012 505
scoprendo che ne ha proprio cinque per mano. Soddisfatto
esegue un crescendo festoso. Ordina)
Il mantello!... Il mantellone... quello grande, quello con le
pietre con gli ori e gli argenti. (Canta)
AL JORN DEL JUDICI
PARRA QUI AVRÀ...
Portatemelo qua! Siete in cinque chierici, bòja!... Alzate ‘sto
mantello, mé lo sporcate tutto a strascicarlo per terra,
andiamo! Ehi, avete mangiato il latte cagliato oggi? (Mima
di afferrare dalle mani dei chierici un largo, pesante
mantello) Ohi se è greve questo! (Riprende il canto
cercando di caricarsi il mantello sulle spalle senza
riuscirci).
PARRA QUI AVRÀ FET SERVICI... (Ordina) Aiutatemi a
sistemarla sulle spalle! (Canta)
02/10/2012 506
PARRA QUI AVRÀ FET SERVICI...
Forza, caricatelo! Dategli uno spintone (Lo sforzo lo
costringe a stonare. Si arresta, si rivolge ai chierici
abbassando il mantello) Bòja! Debbo fare tutto io?… Sono
un Papa o un bue? Debbo caricarmi il mantello, portare il
cappellone, cantare! Non avete voglia voialtri di cantare?
V’è presa la malinconia? Cinque chierici senza voce? (Si
rivolge a uno dei chierici immaginari) Tu, prima voce,
canta! (Accenna, impostando la tonalità della prima voce nel
coro)
FET SERVICIII…
(Riprende dirigendo col capo) Prima! (Canta come fosse il
chierico) FET SERVICI...
Tieni la nota! SERVICIIII...
(Rivolgendosi a un altro chierico immaginario) Seconda!
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UN REY VINDRÀ PERPETUAL… Mantieni la nota...
PERPETUAAAAL...
(Ad un altro chierico) Terza!
VESTIT DE NOSTRA CARN MORTAL... Più alto!
(Ad un altro chierico) Quarta!
DEL CIEL VINDRÀ TOT CERTAMENT…
(Esegue un alleluiatico saltando da una tonalità all’altra e
dirigendo il coro, trasforma il canto in una sequenza di
rimbrotti, risentimenti e minacce, quindi, indica un quinto
corista) e tu ripeti sulla stessa tonalità in appoggio. (E, come
fosse il chierico, esegue una specie di accompagnamento su
sole tre note, quindi termina sgarrando con la voce in un
acuto fuori tono. S’interrompe scoraggiato) Stonato!!!
(Alludendo al mantello) Mettiamoci a spingere insieme.
(Canta salendo in acuto)
PER FER DEL SETGLE JUGIAMENT… (Si blocca di
scatto)
Stonato, zitto! Sei proprio fuori tono. Non diventerai
giammai prete ché non puoi cantare messa! Sempre chierico
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resterai! Zitto, non cantare! (Fendendo l’aria con la mano
tesa gli ordina il silenzio assoluto. Ad un altro chierico)
Quinta!
PER FER DEL SETGLE JUGIAMENT…
Adesso tutti insieme cantate e alzate 'sto mantello, mé lo
caricate in spalla... Tu stonato non cantare! (Sempre
cantando in gregoriano, mima di caricarsi con grande
sforzo il mantello sulle spalle e accenna a porsi in cammino)
AL JORN DEL JUDICI
PARRÀ QUI AVRÀ FET SERVICI...
(Si arresta all’istante e fa il gesto di strattonare il manto, si
blocca esausto e furente) Chi è montato coi piedi sul
mantello?!... (Si guarda alle spalle imbestialito) Stonato!
Scendi! Non canti! Sei stonato! Non alzi il mantello, ci
monti sopra con i piedi... Attento a te!… Che io ti tengo
d’occhio!… Ti inchiodo la lingua sul portone! Lingua,
chiodo, portone, martello... TON TON TON! (Mima
velocissimo l’operazione dell’inchiodamento, quindi
prosegue disegnando nell’aria il chierico inchiodato per la
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lingua che ciondola a mo’ di batacchio, mosso dal vento.
Emette un gemito che ricorda quello dei portoni che
cigolano sui cardini) GGNAAAA! AAAAA! GGNAAAA!
AAAAA! Attento a te! (Ordina) Sollevate 'sto mantello!
(Riprende il canto aggiustandosi il mantello sulle spalle e
annodandosi i nastri sul petto: esausto) Che mestiere cane
fare il Papa! (Riprende il canto)
UN REY VINDRÀ PERPETUAL…
(Ordina) Cuscino con gli anelli! (Canta)
VESTIT DE NOSTRA CARN MORTAL...
(Mima di prendere un anello dal cuscino che gli viene
offerto, lo rimira e dopo averci alitato sopra se lo infila e
commenta) Guarda come brilla questo! Ti ammolla una
lampeggiata che ti accieca (Riprende il canto infilandosi
anelli dall’indice al mignolo e a questo punto esclama) E’
grande… ah no… è per il ditone (pollice)! (Sposta l’anello
dal mignolo al pollice) Oh, ora sì che va bene! (Rivolto agli
immaginari chierici) Adesso state in campana (state attenti),
che partiamo tutti insieme! Cantare! (Riprende con foga
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gesti e canto. Si muove. Quasi spintonato, si ritrova
proiettato in avanti. Con gran scatto di reni, evita per poco
di finire lungo disteso con la faccia sbattuta al suolo. Si
rizza, si riassesta negli abiti, mitria e mantello, quindi
puntando feroce l’immaginario chierico imbranato) Stonato!
Cosa vai a spingere avanti che gli altri non sono ancora
partiti! Mi vuoi rovinare a terra! Ti piacerebbe vedere il
Papa sbragato, ruzzolare con la faccia immersa nel fango…
il capellone calcato fino alla barbozza a soffocare!... Attento
a te! (Ripete la pantomima dell’inchiodamento per la lingua,
rimpicciolendo i gesti come se il chierico si fosse
trasformato in un pupazzetto di pochi centimetri. Indi,
perentorio) Allargate 'sto mantello! Indietro! Non si parte
subito… ci si altalena un poco, prima... si finge di partire,
ma non si parte! (Mima i movimenti appena descritti e si
avvia) Si prende il respiro… si torna indietro… un altro
respiro, e poi, alla fine ci si muove! Sono un Papa, non un
carretto! Attento a te! (Rapidissimo esegue la pantomima
sintetizzata dell’inchiodamento) Andiamo! (Riprende
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sull’aria del motivo religioso) Si parte... adesso indietro... (si
avvia facendo qualche passo con incedere maestoso, sempre
cantando)
UN REY VINDRÀ PERPETUAL...
(Si blocca di colpo e si guada intorno come seguisse la fuga
ti tutti i chierici) Oh, chierici... dove andate tutti?!
Mi piantate qui come un mammozzo in mezzo alla strada...
tutto solo?!... (Con altro tono ad alcuni chierici che sono
tornati sui loro passi) Cosa c’è?… Un’altra processione?!…
Un’altra processione… contro la mia?! Chi c’è in
processione? Jesus?... Chi è ‘sto Jesus?… Ah, Cristo! (Come
ricordando, all’istante si batte una gran manata sulla
fronte) Jesus Cristo! Ha due nomi… attaccateli insieme, che
io mi confondo!… (Come osservando Cristo che avanza con
la croce sulle spalle verso di lui) Ah è quello sotto la
croce… Bòja, come l’hanno conciato! (Sinceramente
addolorato) Guarda... tutte le spine gli hanno piantato nella
testa... il sangue che gli cola dappertutto… gli hanno sputato
addosso... graffiato… stracciato… Adesso capisco perché lo
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chiamano “povero Cristo”! (Rivolto ai chierici china il capo
come stravolto) Fratelli, portatemi via di qua, non posso
vedere… mi fa impressione guardare ‘ste cose... (fingendo di
rispondere ai consigli di un altro prelato) Eh? Pensi sia
meglio che gli vada incontro?... Perché?… Ah, per la gente!
Giusto, la gente che ci vede insieme dice: “Oh, si conoscono
quei due… sono della medesima chiesa!” Hai ragione.
(Mima di liberarsi del cappello, mantello e di sfilarsi gli
anelli) Tieni, tieni il capellone, tieni il mantello... tieni gli
anelli... È un matto quello! Non può soffrire i preti con le
cose che brillano! (Si china nel gesto di raccogliere una
manciata di fango) Dammi, dammi qui la terra... (In
risposta, seccato) Per sporcarmi,imbrattarmi! (Si strofina il
fango sul viso e sugli abiti, quindi indicando Gesù) È un
matto, è un fissato sofistico tremendo... gli piacciono
solamente i disgraziati, i maledetti, la gente unta e sporca, le
puttane... (Mima di allontanare da sé i chierici) Lasciatemi,
fatevi in là... In là! Non ho bisogno di essere
accompagnato... Vado solengo!... (Si avvicina a Cristo con
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un gran sorriso accattivante) Come va Jesus?... Eh? Chi
sono io? (Ai chierici che ci si immagina discosti) Oh, non
mi ha riconosciuto! (Al Cristo) Sono il Papa... Bonifax
maximum... principe della Chiesa romana... Pa-pa! (Ai
chierici) S’è dimenticato cosa è il Papa! É stordito! (Al
Cristo) Papa! Pa-pa! (Conciliante) Non ti ricordi che hai
detto a Pietro: "Pietro, adesso che abbiamo la Chiesa,
facciamo il capo della Chiesa, e tu, tu sarai il primo capo...
che si chiamerà Papa... Dopo che tu sarai morto, ci sarà un
altro Papa, quindi (ritmando) un Papa, un morto, un Papa, un
morto, un Papa... (pausa) una papata!... (Come ascoltando il
commento di Gesù, atteggia un moto di meraviglia,
trattenendo a stento la risata) Non l'avevi mai detto tu, a
Pietro?... Allora se l’éra inventato! (La risata esplode
fragorosa. Si blocca all’istante recitando sorpresa,
ascoltando quanto va dicendogli Cristo) Eh?! Io?! Io ho
ammazzato dei frati? Non è vero! Chi te l'ha detto? (Irato e
minaccioso) Dimmi il nome di chi te l’ha detto, che gli buco
il cranio... (Fa il gesto di afferrare lo spione, di torcergli il
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collo e quindi di trapanargli il capo con le dita. Si blocca e
mima di rimediare al gesto di violenza ritappando il foro nel
cranio della sua vittima) No Jesus, voglio bene io ai frati...
tutte le mattine appena mi levo (mi alzo)… (si rivolge ad un
chierico): "Vai a prendermi un frate...” (Rivolto a Cristo)…
io mi bacio un frate… tutte le mattine! (Sollecita il chierico)
“Vai a prendermi 'sto frate!…” (Ascolta la replica del
chierico, quindi spazientito) “Distaccagli la lingua dal
portone!". (Si interrompe rendendosi conto dell’orrendo
sproposito, indi cambia registro, si inginocchia davanti a
Cristo e parla con disperata umiltà) Jesus hai ragione... sono
l'uomo peggiore che ci sia a 'sto mondo… canaglia…
ladrone… maledetto… ma tu sei tanto buono e caro che hai
concesso “perdonanza” (perdono) a tutti gli uomini della
terra disgraziati, assassini, puttane... fai “perdonanza” anche
a mé che son tuo figlio… Fai in modo che tutta la gente ci
veda... io e te, sotto la medesima croce... io che ti aiuto a
reggerla (Mima di infilarsi sotto la croce e di caricarsela)...
Fuori dai coglioni, Cireneo! Sono forte io... porto certi
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mantelloni! (Cerca di fare resistenza a Cristo che
evidentemente lo sta spingendo via da sotto la croce) Non
scacciarmiii!... (Mima di ricevere una terribile pedata nel
sedere. Si ritrova letteralmente scaraventato dall’altro capo
della scena) Cristo! Una pedata a mé?! Al Papa?! Ma sei
divenuto matto?! (Rivolto al cielo) Se lo sapesse tuo Padre,
poveraccio!... (Punta il dito verso il pubblico) Ah, ti dà gran
piacere rimirare tutta ‘sta gente che si fa gran risate alle mie
spalle! (Carico di livore) Arriverà il giorno che tu andrai
sulla croce inchiodato ... In quel giorno sarò gran contento
(avrò grande felicità)... andrò a puttane, mi voglio inciuchire
da schiattare! (Puntando il dito contro Cristo) Capo degli
asini! Principe sono io! Principe Massimo della Romana
Chiesa! (Ordina ai chierici) Datemi il capellone... passatemi
il mantello... datemi gli anelli... (Al Cristo) Guarda come
brillano! Principe! E tu capo degli asini! (Con voce
stentorea) Lode, lode a Bonifacio Massimo Principe...
Gloria! Gloria a Bonifacio! Cantare! (Se ne va tronfio e
impettito intonando a tutta voce il canto gregoriano)
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LAUDE BONIFAX MAXIMO
PRENZE ROMANA EGLESIA
MAGNIFICAT ET EXULTE
(Cala lentamente la luce)
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STORIA DI SAN BENEDETTO DA NORCIA
PROLOGO
San Benedetto da Norcia, voi sapete, è anche conosciuto
come il santo muratore, che quello pare proprio fosse il suo
mestiere da quand’era ragazzino. È senz’altro il fondatore
del monachesimo organizzato. Siamo nel vi secolo, cioè al
tempo del regno goto di Totila e di Giustiniano, che era a
capo del Sacro Romano Impero d’Oriente.
La comunità dei monaci viveva all’origine in antichi
caseggiati abbandonati che essi stessi avevano alla meglio
restaurato grazie soprattutto all’aiuto dei villani del luogo.
Essi frati erano dediti essenzialmente alla meditazione, alla
preghiera, allo studio e alla contemplazione, ma poi san
Benedetto ci ripensò e impose ai suoi seguaci di munirsi di
attrezzi di lavoro e di faticare nei campi, costruire muri,
erigere forni per cuocere pani, vasi e mattoni. Questa è la
storia del passaggio dal prega, contempla al lavora e
02/10/2012 518
costruisci da cui l’“Ora et labora”, regola prima dell’ordine
benedettino.
Ma come si è maturato questo cambio, questo aggiustamento
straordinario?
È un tema che è stato svolto e raccontato in chiavi diverse, in
forma di filastrocche, favole, giullarate e moralità a
cominciare dall’alto Medioevo fino all’Ottocento spesso
come pretesto satirico e didattico dentro le conte popolari.
La fabulazione che noi abbiamo ricostruito è certamente fra
quelle di origine più antica.
Abbiamo riscritto la giullarata utilizzando il linguaggio
(volgare) dell’Italia centro-meridionale come ricordando i
pochi frammenti medievali della memoria popolare umbro-
irpina che ci sono pervenuti.
Storia di san Benedetto da Norcia.
Stéveno li benedettini mònechi ’logàti in zu monti dinta a
cavièrne. Oh, quanto ell’erano majestuósi quanno che se
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ponéveno en ginòcchia co’ la fàzza vuòlta a lu cielo e
pregàveno e ce pijàveno visioni sante! L’ànema de chilli se
fazéva accussì lezzéra che lu cuòrpo mismo, libberàto de li
travagli naturali dell’òmmeni e delle fémmene, levitava pe’
l’àire. Cossì capetàva che uno sant’òmo pregando, tutto
priso dentro l’àuri cielèsti, se levàva di quarche spanna dallu
terreno e ce restéva suspéso anco pe’ ’na miezz’ora.
Li mònechi tutti se comenzévano a farze scòla in ’sta
suspensióne meraculósa e intra issi ce nassévano tenzoni a
chi reussìva a slonzàre cchiù alto nell’àire. Issi mònechi
éveno descovèrto che col razziónzere una condezióne
mésteca lo cuòrpo allòro tutto, se desvotàva de ogne
gravàme e peso e accussì, fàzile, levitava. Ci era però
abbàsta che co’ lu penzéro returnàssero a la normale terra et
ècculi che de botto prezipitàveno allu sòlo co’ gran tonfo ché
alcuno se retruovètte forte ammaccato. Intra li mònechi che
annàveno facénno svuolàzzi de qua e de là, capetàva
inspécie alli cchiù jòveni spereculàti de retruovàsse ruotolàti
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co’ lu capo agbàsscio. Dippuòi chilli sbattenno li pèdi,
reussìvano a annà en capovuòlte pe’ lu ziélo.
“Famme turnà abbàsscio!” criàveno alli frati allòro e chilli
co’lle pertiche lónghe li agganzàveno comme fùssero occèlli
e i traìveno allu sòlo. Ma càpeta ’nu juórno che mònuco
Serafino se retruòva en lezzéro svuolàzzo sóvra lu tetto de lu
romìto e ’na ventata lo pìja accussì che ell’è travuòlto
comme ’nu vascello a tutte vele in la tempesta. Sen’ va,
levàndose infìno a li nìvule cchiù alte e dinta a chille se
despàre. La settemàna apprèsscio quattro mònechi
desesperàti pe’ la dipartita de lu cunfràte Serafino, se stanno
a pregà pe’ l’ànema santa de lo desparùto e tanto sòi prisi in
de l’orazione devìna che manco se encòrgono de stan
montanno en vólo comme fuèssero ’no sturmo de pàssere
suspennùti pe’ l’àire.
– Scènni! Scennéte! – ce grìdeno abbàsscio li frati, ma chilli,
embriàchi de beatetüdene, assordìti se stanno comme
scorbàtti. Piccirìlli devéngheno nellu cielo, manu a manu
dessòlti dinta ’o fermamènto. En làcreme desesperàte mo’
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stanno tutti li mònechi, e lu patre santo Benedetto òrdena che
a ogne mòneco sta en òbblego quanno che prega de tegnérse
in la saccòcchia ’na petra tosta e greve.
Ma no’ è abbàsta che li mònechi igualeménte ogne juórno se
pìjano el vólo, manco fùssero pojane o frenguèlli.
Quinni se pruòvano ’sti òmmeni santi a ligàrse ’na fune
entórno a la panza co’ pendùta n’àncora de zavorra.
Quarcunàrtro se liga ’na fune a ’nu truònco d’àrboro. Ma no’
ve c’è verso: l’orméggi devèlti a ogne ventata e li mònechi
allo svuolàzzo intra li nìvuli!
Lo mòneco cusiniére, ditto lo Coco, che se allìga a lu collo
’na fune lónga affrancata depòi a ’nu carro, se sàje en vuólo,
ma no’ se allìbera che la fune annudàta a lu carro lu tratténe.
Salvato ell’è, ma li frati sòj lo retruòveno enpiccàto a
struòzzo.
A ’sto ponto mastro santo Benedetto chiàmma tutti a ’no
radùno e ce dice a li mònechi:
– Accà ce besógna porre remèdio... vùje bén cumprennéte
che se anco lo frate nostro Coco, che ce fa de magnàre se
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invòla föra in lu cielo, ce retuovàmme allu desàstro. Fra lu
poco accà de nùje no’ ce resterà cchiù nissciùno! Ell’è
chiaro che no’ reussìmme ad avécce vantàzzo e sarvaménto
arcùno né co’ i petre, né co’ i àncore e carriàggi appendùti.
L’ùneca àncora veràce che ce pole salvà ell’è codesta! – et lu
santo s’accàtta de cóntra lo muro ’na vanga, la posa intra le
mane de uno mòneco e dice: – Tégne! Abbràncate a ’sto
arnese e cchù no’ te reuìssirà de levàrte en volo!
– Maìstro santo, – ce fa lu mòneco Benefàcio, – no’ l’è
abbàsta greve ’sta vanga che ce faccia de zavorra!
– Ell’è vero, si tu la tène penzulóne! Ma se tu ce pruòvi a
dacce en zocca a la terra e ce spigni co’ lu pede e valze le
zolle e l’arrivòlti, tu te scovrerà tosto quanto pesa e se face
greve! Pruovàtece vùje tutti quante a ’cattàrve ’sta zappa e
’sto reastrèllo e anco vuj artri… ’ste pale e ’sti raspóni.
Dàtece a rebattóne, infreccàte in lu terreno e menàte de
mazza sü le petre. Spignéte le careòle, montate li muri,
rizzate l’arconi de cuntraffòrto. Traìte ’na muràta tonda
entórno a chèlla grotta pe’ farce ’nu forno pe’ lu pane e li
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mattùni. Curàggio!… Issa!… Batti!… Stronca!… Valsa!…
Scarna!… Issa! Ascultàte mo’ lo sudore che ve sorte, goccia
a goccia da la fronte a le brazza, accussì stàteve segùri che
no’ ve reussirà de levàrve de manco n’antìcchia en volo!
De ’sto muménto a tutti nui, mònechi mèi, ce tocca de
guadagnàlce lu pane e lu derìcto de campà a ’sto munno.
V’aggràda ’nu tetto? Li muri de la càmmara pe’ stacce
frischi e pruoteggiùti? Fabbrecàte! V’aggràda lu grano, li
frutti? Zappate e semmenàte!
Nu ce avremmo cchiù lu derìcto de pesàcce sü la groppa
dell’altri, villane e minori co’ lu pretèstu che nui pregàmmo
e cantàmmo el gloria pe’ l’àneme lori e issi s’affatìcheno pe’
la panza nuòstra! Ziogàteve ’sto cambio, e ce restarémo beati
co’ li pèdi encollàti a la terra. Amen!
TRADUZIONE
Stavano i monaci benedettini alloggiati su monti dentro a
caverne. Oh, quant’erano maestosi quando si ponevano in
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ginocchio con la faccia rivolta al cielo e pregavano e
godevano di sante visioni! L’anima di quelli si faceva così
leggera che il corpo stesso, liberato dai travagli naturali degli
uomini e delle femmine, levitava per l’aria. Così capitava
che un sant’uomo in preghiera, sprofondato nell’aura
celeste, si levasse di qualche spanna dal terreno e rimanesse
sospeso anche per una mezz’ora.
I monaci tutti cominciarono a esercitarsi a galleggiare in
questa sospensione miracolosa, tra di loro nascevano
tenzoni, si gareggiava a chi riuscisse a ballonzolare più in
alto. Quei monaci avevano scoperto che col raggiungere una
forte condizione mistica, il loro corpo si svuotava tutto
d’ogni gravame e così levitava facile [facilmente]. Bastava
però che con il pensiero ritornassero alle quotidiane diatribe
del vivere normale ed eccoli che all’istante precipitavano al
suolo con gran tonfo, rovinosa caduta per la quale qualcuno
si ritrovava fortemente ammaccato. Tra i monaci che
facevano svolazzi di qua e di là, capitava specialmente ai più
giovani spericolati di ritrovarsi rivolti con la testa in giù.
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Dippoi quelli sbattendo i piedi, riuscivano a fare capovolte
per il cielo.
“Fammi tornare giù a terra!” imploravano ai loro fratelli e
quelli con pertiche lunghe li agganciavano come fossero
uccelli e li traevano al suolo. Ma un giorno capita che
monaco Serafino si ritrovi in leggero svolazzo sopra il tetto
del romitorio e una ventata lo assale cosicché è travolto
come un vascello a vele spiegate nella tempesta. Se ne va,
levandosi fino alle nuvole più alte e dentro a quelle sparisce.
La settimana appresso quattro monaci disperati per la
dipartita del confratello Serafino, stanno a pregare per
l’anima santa dello scomparso e sono così presi
dall’orazione divina che manco si accorgono di stare
montando in volo quasi tramortiti in uno stormo di rondini
che vanno migrando.
– Scendi! Scendete! – gli gridano sotto i frati, ma quelli,
ubriachi di beatitudine, sono assordati come pipistrelli.
Piccoli divagano nel cielo, via via si perdono nel
firmamento. In lacrime disperate stanno ora tutti i monaci e
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il padre santo Benedetto ordina che ogni monaco sia in
obbligo, quando prega, di tenersi in saccoccia una pietra
tosta e greve.
Ma non è sufficiente, ché i monaci ugualmente ogni giorno
pigliano il volo, manco fossero poiane o fringuelli. Quindi
questi uomini santi provano a legarsi una fune intorno al
ventre costretti a un’ancora di zavorra. Qualcun altro si lega
una fune a un tronco d’albero. Ma non c’è verso: gli ormeggi
divelti a ogni ventata e i monaci che svolazzano tra le
nuvole! Il monaco cuciniere, detto il Cuoco, che si lega al
collo una fune lunga affrancata poi a un carro, se ne sale in
volo, ma non si libera dalla fune che, annodata al carro, lo
trattiene. Salvo è, ma i fratelli suoi lo ritrovano impiccato a
strozzo. A questo punto mastro santo Benedetto chiama tutti
a un raduno e dice ai monaci:
– Qua bisogna porre rimedio… voi ben comprendete che se
pure il nostro fratello Cuoco che ci fa da mangiare se ne vola
fuori nel cielo, ci ritroviamo al disastro. Fra poco qui non
resterà più nessuno! È chiaro che non riusciamo a trarre
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alcun vantaggio e salvamento né con pietre, con ancore, né
affrancati ai carri. L’unica ancora vera che ci può salvare è
codesta! – e il santo prende da contro il muro una vanga, la
posa nelle mani di un monaco e dice: – Tieni! Prenditi
quest’arnese qua e non ti capiterà più di levarti in volo!
– Maestro santo, – gli dice il monaco Bonifacio, – non è
abbastanza greve questa vanga che ci faccia da zavorra!
– È vero, se tu la tieni a penzoloni! Ma se tu provi a dar di
mazza a frangi terra e spingi con il piede e sollevi le zolle e
le rivolti, tu scoprirai tosto quanto pesa e si fa greve!
Provateci tutti quanti a prendervi una zappa e questo
rastrello e anche voi altri, queste pale e questi forconi.
Dateci con forte braccio e schiena, ficcatele nel terreno e
menate di mazza sulle pietre. Spingete carriole, costruite
muri, rizzate gli arconi di contrafforte. Montate una murata
tonda intorno a quella grotta per farci un forno per il pane e i
mattoni. Coraggio!… Issa!… Batti!… Stronca!… Alza!…
Scarna!… Issa!… Ascoltate ora il sudore che vi sorte goccia
a goccia dalla fronte alle braccia e così state sicuri che non
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vi riuscirà di levarvi nemmeno di un palmo in volo! Da ’sto
momento a tutti noi, monaci miei, ci tocca di guadagnarci il
pane e il diritto di campare a ’sto mondo.Vi aggrada un
tetto? I muri della cella vostra per starci freschi e protetti?
Fabbricateveli! Vi aggrada il grano e i frutti? Zappate e
seminate!
Non abbiamo più il diritto di pesare sulle spalle [groppa]
degli altri, villani e minori, con il ricatto furbesco che noi
preghiamo e cantiamo gloria per le loro anime mentre quelli
si affaticano per la pancia nostra! Giocatevi questo
cambio… e resteremo beati con i piedi incollati a terra!
Amen!
02/10/2012 529
IL PRIMO MIRACOLO DI GESÚ BAMBINO
PROLOGO
Il monologo che segue e ha per titolo “Il primo miracolo di
Gesù bambino” è tratto da un Vangelo apocrifo. È risaputo
che apocrifo ai primordi del cristianesimo non significava
falso, eretico o blasfemo ma solo non inserito nei Vangeli
ufficiali. Alcuni di questi scritti venivano tenuti nascosti in
quanto destinati solo agli iniziati.
Nel iii e iv secolo si contavano decine di Vangeli che oggi
ritroviamo pubblicati in un gran numero di edizioni, tra le
quali di certo la più completa è quella edita da Einaudi.
Ogni comunità cristiana aveva il suo Vangelo, lo sviluppava,
lo rappresentava.
La selezione dei Vangeli accettabili durò per molti secoli,
numerosi episodi sulla vita di Gesù furono cancellati
dall’elenco ufficiale perché raccoglievano situazioni e
moralità che contrastavano eccessivamente con gli scritti dei
quattro evangelisti, Luca, Matteo, Marco, Giovanni.
02/10/2012 530
Il miracolo di Gesù bambino appartiene proprio alla
moltitudine dei Vangeli ritenuti desueti. Nella raccolta degli
scritti non omologati si ritrovano fabulazioni provenienti dai
miti della Grecia arcaica e classica, dove si incontra Cristo
che, come Orfeo, suona il flauto e affascina con la sua
musica gli animali intorno; altre storie che provengono
dall’Oriente con draghi, palafreni scalpitanti che Cristo
cavalca agile, trasformandosi quasi in centauro. Insomma
narrazioni che evadono dall’immagine canonica, tanto che
una gran quantità di Vangeli ritenuti apocrifi furono
accantonati, ma spesso si decise di distruggerli.
Ancora nel vi e vii secolo, in un famoso Concilio, esplose
una incredibile rissa fra i vari vescovi delle diverse
comunità: ognuno si batteva perché venisse accettata e
riconosciuta solo la propria visione della vita di Cristo e
soprattutto la particolare interpretazione del Verbo espresso
dal Messia. Come già era accaduto al Concilio di Nicea nel
325, i santi delegati si insultarono, si aggredirono,
provocando anche scontri fisici; alla fine sul terreno
02/10/2012 531
restarono molti testi stracciati, molti contusi e forse anche
qualche morto. Testimonianza di questi terribili scontri, è
l’attuale forma del pastorale, diventato ricurvo in
conseguenza delle mazzate, con relativi contraccolpi, che di
volta in volta ne attorcigliavano la cima. Anche il cappello
che calzano i vescovi, i cardinali: avete in mente quella
fessura nel mezzo? È il segno rimasto ad attestare le
“frappate” che si son vicendevolmente appioppati.
Questo episodio davvero poetico sull’infanzia di Cristo che
qui vi proponiamo, nel vi secolo, nelle chiese dell’Oriente,
veniva normalmente letto e commentato. E ancora oggi
viene recitato e cantato nelle sagre che si svolgono nei
borghi dell’Irpinia e del Salento.
Nel Nuovo Testamento, così detto ufficiale, si narra della
nascita del Redentore col presepe e i Magi, della fuga in
Egitto, della presentazione al tempio e del dialogo di Gesù
giovinetto con i saggi nella sinagoga; quindi, ecco che
all’istante Gesù sparisce e di lui, della sua giovinezza non
sappiamo più nulla. Lo ritroviamo già adulto in riva al
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Giordano nell’istante in cui chiede a Giovanni di essere da
lui battezzato.
Nei Vangeli apocrifi, questo vuoto del racconto è colmato da
un numero notevole di episodi sull’infanzia di Gesù, dei
quali questo primo miracolo, possiamo ben azzardare, sia da
considerarsi un autentico capolavoro di fantastica allegoria.
La sacra famiglia in fuga verso l’Egitto, con l’asinello, va
verso il mare e poi lo costeggia fino a Jaffa. Jaffa è la città
dei pompelmi. A questo punto come nomino questa città
esplode immancabilmente una sonora risata, si tratta di certo
di uno sghignazzo a commento di uno sfondone; parte del
pubblico intuisce, errando, che io alluda al timbro che ancora
oggi ritroviamo sui pompelmi prodotti in quella regione,
parlo della J impressa sui frutti… magari da Jesus.
Per carità... non è questo il miracolo di Gesù bambino. Il suo
primo miracolo è di tutt’altra forza e meraviglia. Il piccolo
arriva a Jaffa con la famiglia, e in quella terra si ritrovano a
essere stranieri, forestieri e poveri. Cercano subito una casa e
trovano una catapecchia “scaruffata”... così malridotta che al
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confronto la capanna di Betlemme era una reggia. Giuseppe,
che è falegname, va in cerca di lavoro, ma non lo trova. È
proprio il caso di dire che non batte chiodo. La Madonna,
per rimediare qualche soldo, è costretta ad andare a lavare i
panni nelle famiglie. Il piccolo Gesù si ritrova sbandato tutto
il giorno per la strada. Vede i bambini che giocano. Assiste
al gioco dei ragazzini del quartiere, vorrebbe riuscire a
inserirsi, farsi accettare, e invece viene cacciato: è un
forestiero, parla un altro dialetto, quasi un’altra lingua.
È risaputo, e lo possiamo verificare ogni giorno nelle nostre
periferie-dormitorio, che là dove esiste il razzismo i bambini
sono più razzisti dei grandi, e quindi Gesù bambino,
mortificato, pur di riuscire a essere accettato nel gruppo,
realizza un suo piccolo miracolo stupefacente, come può
essere il miracolo di un bambino, e ottiene un successo
incredibile: tutti lo abbracciano e lo eleggono capo dei
giochi. Risate, grida di entusiasmo, le madri alle finestre
applaudono. Ma ecco che entra in scena, in groppa a un
piccolo cavallo con finimenti d’oro, il figlio dell’uomo più
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ricco della città, accompagnato da due sbirri. Il ragazzino del
ricco pretende di partecipare al nuovo gioco, ma i piccoli
straccioni non lo accettano. Il rampollo del padrone, rosso di
rabbia, si sente offeso e distrugge tutti i giochi dei bambini.
La reazione del piccolo Gesù è tremenda… si può ben dire
che gli girano tutti i santissimi. Non s’è mai visto un Gesù
tanto adirato, nemmeno da adulto reagirà con tanta violenza.
Neppure quando, nel tempio, si troverà con tutti i mercanti
che fanno scempio d’ogni sacralità.
Il ritmo e la sintesi scenica che ritroviamo in questo
episodio, così come in altri Vangeli apocrifi, è davvero
straordinario, oserei dire di una sorprendente modernità.
Sembra di ritrovarci davanti alla sceneggiatura di un grande
maestro dell’attuale cinema d’avanguardia. E fra poco son
sicuro che, ascoltando l’incalzare stravolgente di questa
giullarata del primo miracolo, me ne dovrete dare atto.
Nel rappresentarvi questa storia, uso un linguaggio che è
l’insieme di parecchi dialetti del Nord, tra i quali prevale il
veneto.
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IL PRIMO MIRACOLO DI GESÚ BAMBINO*
PROLOGO 2000
Ma prima di narrarvi dell’arrivo dei Re Magi, della fuga in
Egitto fino al primo miracolo di Gesù bambino, vi voglio
parlare di “Albino”. Luciani Albino. Della tenerezza che ho
avuto per quest’uomo, candido e quasi sprovveduto. Io sono
rimasto molto colpito dal suo modo disarmante di
presentarsi. No, davvero! Un Papa così, credo, non si sia mai
incontrato in tutta la storia della Chiesa! Forse il solo
Celestino, Papa a Roma alla fine del Duecento, costretto “al
gran rifiuto” da Bonifacio VIII, gli può stare vicino. E,
guarda caso, entrambi hanno regnato per un solo attimo.
Vi ricordate il suo sorriso… il sorriso disarmante che
coinvolgeva la gente come in una magia?
“Ah, ah, finalmente… che Papa simpatico!”
L’effetto era aumentato dal ricordo del suo predecessore
(congiunge le mani e si guarda attorno con aspetto truce)
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Paolino, tutto racchiuso dentro la sua infallibile autorità
come antico padre della Chiesa dentro una nicchia, tutto
rinsecchito… tremendo! Che fatica un suo sorriso!
Nemmeno quando recitava omelie che volevano esprimere
gioia e speranza, e che sinceramente gli sgorgavano dal
cuore… riusciva a comunicare con quella commozione che
di certo egli provava. (Riassume l’atteggiamento di prima.
Quindi attacca con voce leggermente nasale e cantilenata nel
finale, riproducendo gesti e tono di papa Paolo VI)
“Oggiii… finalmente vi posso dire fratelliiii… che è il
giorno in cui la felicità aleggia sopra di noi e dai nostri cuori
erompeee… (Sul finale d’ogni frase assume un
atteggiamento di grande tristezza al limite delle lacrime)
Quella magnifica allegrezza che ci viene dall’evento
miracoloso che è la resurrezione… di Gesù nostro
Salvatore… Exulte in domini. (Atteggia uno sguardo severo
e disperato) Ognuno si lasci trasportare da una giocondità da
bimbiiii... Fate che per il ritorno del Figlio di Dio salga come
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una danza la vostra festosa gioconditàaaa... Alleluia!” (Porta
le mani al viso e singhiozza curvo su se stesso).
Esattamente tutto al contrario di Luciani, che ci
commuoveva e ci faceva letteralmente impazzire con le sue
sconvolgenti parabole, le sue storie al limite della follia. No,
non erano concioni tratte interamente dal Vangelo, spesso
erano favole da lui rimaneggiate. Uno dei suoi personaggi
chiave era “pinocchio”! Vi ricordate? Un Papa che ci faceva
dottrina raccontandoci di Pinocchio e riusciva con gran
disinvoltura a inserirci il valore dell’anima e del
trascendentale. Con la fatina, il grillo, Geppetto, i gatti…
tutto.
E poi la storia del motore! Questa non ve la potete di certo
ricordare. (Sorride coinvolgente e ammiccante alla maniera
di Albino) Ve la rammenterò più avanti io.
Ma ciò che mi preme di farvi rivivere è la sua apparizione
appena eletto Papa.
L’ho visto in televisione, ero lì da quattro ore che aspettavo
davanti al video, ho spalancato le braccia perfino anch’io.
02/10/2012 538
Mi ricordo il grande balcone, appresso all’imponente parete
bucata da finestroni, la grande trabeazione del
Cinquecento… San Pietro… ’sta folla immensa. Escono ad
affacciarsi Ottaviani e Benelli… il duo aulico!… Orco che
duo, quei due lì! Che coppia! È l’unico caso in cui la coppia
resista.
Benelli: fa cenno con la mano: silenzio! E declama in latino:
“Habemus Papam (pausa) Luciani Albino… Albinus ecc…”
Nella gran piazza i fedeli si guardano stupiti. “Non ho
capito? Ma che nome è? Ma chi è, non l’ho mai sentito
nominare, ma chi è? Ma da dove arriva?”
Esclamo a mia volta: “Da dove spunta?” Nessuno lo aveva
mai notato prima che lo facessero Papa. Tutti guardano in
alto fissando il balcone. Non si vede spuntar nessun Papa.
Eccolo: finalmente arriva! Dal frontale del balcone si vede
spuntare un triangolo bianco, la papalina, poi cresce, cresce,
cresce, tutta la testa dalla quale scende una gran ciocca di
capelli che attraversano in diagonale la fronte, due occhi
rotondi, vivissimi e un sorriso… il suo sorriso! (Sfodera una
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risata a mezzaluna festante e silenziosa, tipo clown. Si volta
verso sinistra, poi come affacciandosi al balcone guarda
verso la folla, trattiene a stento un’altra risata, è stupito nello
scoprire tanta gente di sotto che lo acclama. Ripete la stessa
pantomima volgendosi verso destra. Fa per parlare, non ce la
fa per l’emozione e l’impaccio. Cerca di trattenere un nuovo
impeto di riso, si sforza di darsi un contegno, non ce la fa. Si
volta di spalle per nascondere il fou rire, si ricompone, si
gira di fronte e sospirando come a riprendere fiato).
– Oh, santa! (Si morde le labbra e strabuzza gli occhi: manda
giù la saliva, è sul punto di soffocare. Quasi soffiando si
riprende, torna a sorridere a bocca spalancata, in silenzio,
con cenni della mano sembra dire: “Sapeste che spasso di
follia mi sta capitando!” Poi con la stessa mano cerca di
calmare la folla come per dire: “Aspettate che mi passi lo
scompiscio!” Si sforza di tornare serio ma non ce la fa,
sbraca decisamente nello sghignazzo “a tutta bocca”.
Accenna una benedizione con la mano destra che si
trasforma in un gesto bonario e confidenziale quasi a dire:
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“Ma che ci sto a fare qui?” Finalmente, se pur a fatica, si
ricompone, si lascia scappare qualche risatina a denti stretti,
poi quasi di testa accenna a parlare con accento veneto)
Oggi…(riesplode in una risata e rifà il gesto a significare)
non potete immaginare cos’è successo! (Pausa). Oh, santa!
(Riprende con un sorriso trattenuto quasi sfiatandosi. Pesta
pure i piedi nel tentativo di resistere. Sembra dire: “Non
riesco a fermarmi”) Oggi… (respira con forza) là nel
concistoro… (Ride. Si rivolge con gesti al pubblico di fedeli
quasi a chiedere aiuto. Poi agitando a ventaglio una mano
aggiunge) Che concistoro! (Dice la frase sempre
mantenendo la risata muta) Si votava, si discuteva, si votava,
si pregava, si tornava a votare… (Ride brevemente, poi
aggiunge rapido) Non veniva mai fuori un nome uguale a un
altro! (Sibila come un pallone che si sgonfi, sempre di testa)
Duecentosettanta Papi… (Ride) Che papata! (Risata) Fumata
bianca? No! Nera, nera! (Risata silenziosa) “Buttate qualche
cosa per il fumo nero!” Che c’era lì l’arcivescovo del
Senegal, a momenti lo buttano dentro! (Diminuisce il fou
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rire e parla a singhiozzo) Le risate… che mi… eravamo in
allegria insomma. Ah, ah, ah, ah… (Questa volta ride in
successione rapida, a colpi secchi. Poi con voce sempre di
testa che si spezzetta per la risata trattenuta) E poi si alza
uno… un collega: Poma… il cardinale… che sagoma quel
Poma! E ha detto: “Si fa un po’ tardi qua… io avrei degli
impegni fuori, son già quattro giorni, si fa lunga ah, bisogna
che decidiamo con uno e basta, ecco!” (Scoppia a ridere
sfiatandosi, poi sempre di scatto) Una machia…
[macchietta], un altro cardinale fa… (Ride e si ricompone
per continuare) “E se eleggessimo Albino?”… (Risata con
sbruffo prolungato) prruuufff…
Par tèra tuti [per terra tutti], c’era anche il vescovo cardinale
di Formosa, disteso sul lettino che non stava tanto bene, ci
aveva preso un colpetto… appena sentito eleggiamo Albino
gli è venuto da ridere “Aha! Aha!” tack è rimasto seco
[secco]. Morto, per una risata di spirito… Spirito Santo!!
(Poi con voce bassa e implorante sempre con risata
trattenuta) Non facciamo schersi [scherzi], ho detto io, ah?
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(Con stupore quasi atono) che, se si fa tanto per passare il
tempo… ma atenti [attenti] che decidere per un Papa è una
cosa seria… andémo… un Papa mica si elege [elegge] ogni
morte di vescovo!
Hano fato davero [hanno fatto davvero]! Han cominciato a
tirar fuori i biglietti dall’urna… Albino… Albino…
Albino… Luciani… ancora io! Ero diventato bianco, avevo
paura! Papa io?! (Risata non sonora) E c’era un colega
[collega] vicino a me, un cardinale, mi ha deto [detto]: “Non
si preoccupi Albino (breve risata sfiatata) che Dio dà i pesi
da portare ma anche la forsa [forza] poi di sostenerli…
anche a uno come lei!” (Risata sfiatata poi si ricompone e
con voce rassegnata) E m’hano fato [m’hanno fatto] Papa…
sono il vostro Papa… (Ride sfiatato poi di testa, fortissimo,
quasi urlato) Prendere o lasciare! (Ride pestando i piedi) Oh
santa! E poi è venuto il problema del nome che mica mi
potevano mettere: papa Albino. Siamo seri. (Risata con
sbruffo breve. Quindi, con voce bassa e conciliante) Ho deto
[detto] mi chiamo Giovanni. (Facendo capire che gli
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risponde un altro. Risata). “Ma no, Giovanni non si può…
boffff! E poi era un santo, non si può. Era un maestro
sapiente!…”
Io gli faccio… Giovanni Paolo? Paolo Giovanni? No, dico,
perché a Giovanni ci devo dare riconoscenza. Che
simpatico! (Risata piena di sottintesi, poi di testa) Perché è
lui, Giovanni, che mi ha fatto cardinale, che mi ha fatto…
(Ride sfiatato, poi sempre di testa) È lui che mi ha fatto
patriarca di Venéssia [Venezia]. Che io gli dicevo: “Ma no,
Giovani… è un incarico tropo [troppo] importante… con
tutta la storia che ci ha Venéssia…”
“Non ti preoccupare, – mi ha detto, – che tanto Venéssia va
già a fondo per conto suo…” (Risata sfiatata breve) Che
sagoma [che tipo simpatico]! (Si ricompone e con voce
monocorde) E Paolino anche perché è lui che mi ha mèso
[messo] la mantellina da papa per la prima volta che
eravamo a Venéssia, che io ero sulla gondola… faceva un
fredo [freddo] boia, e a un certo punto mi fa: “Be’, copriti
caro”… Mi calza la papalina in testa e mi dice: “Conserva
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quelo che non hai… cerca di procurartene una così!” E,
miracolo, eccola qua. (Indica la papalina) Ce l’ho davvero!
(Risata sfiatata breve) E un Papa che si rispetti adesso, deve
raccontarvi dele [delle] cose, deve dirvi dele [delle] storie
sante, che dopo voi le contate ai vostri piccoli e loro
capiscono e fanno i buoni. Ma io voglio dire dele [delle]
cose semplici perché mi piace anca [anche] parlare coi
bambini, che alóra [allora] vi dico: Pinocchio!
Era cristiano Pinocchio?
Io dico, domanda: esigo risposta!...
Un cristiano di legno? Il legno ha l’anima? Gli alberi hanno
l’anima? L’ha, l’anima, un tavolo? E un cassetto? Con tutto
che si dice: all’anima del cassetto?... Piace la parabola?
(Sorride furbetto) Sì che ce l’aveva l’anima quel burattino,
perché Pinocchio ci aveva la coscienza del bene e del male.
E perché ci aveva il naso lungo? (Si guarda attorno
compiaciuto) Domanda, esigo risposta! Gnente [niente]
risposta? Perché diceva le bugie! Disubbidiva. Andava con
le cattive compagnie. Disubbidiva. Diceva le bugie al
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Gepeto, alla fatina e ai carabinieri. Che non si dicono le
bugie ai carabinieri! Che dopo loro ci credono! Andava con
la volpe, col gato [gatto]. Andava con Lucignolo... brutta
compagnia… uno che gli insinuava cattivi pensieri! E poi si
metteva sempre nei guai, andava nela [nella] pancia dela
[della] balena. Trovava el Gepeto, veniva fuori da la balena,
diventava un asino... (Poi rapido di testa) Ma perché tute ’ste
disgrassie [disgrazie]? Parchè [perché] non dava reta [retta]
a chi gli dava buoni consigli? E chi glieli dava ’sti buoni
consigli?
Domanda: esigo risposta!
(Si guarda attorno con sorriso furbo. Poi sempre di testa) A
la fatina! Benedetti... fatina! E chi è la fatina? La Chiesa! E
soprattutto a chi non dava ascolto? Ai consigli di chi? Pur
essendo cristiano di legno? (Con voce decisa) Al grillo!
(Rapidissimo di testa) Al grillo parlante che gli dice: “Atento
[attento] fa’ il bravo, fai i compiti! Atento [attento] non
andare sempre a zonzo!” E lui che gli voleva dare anche una
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sciavatata [ciabattata]! Al grillo! Massare [ammazzare] el
grilo [grillo]. E chi è il grillo? (Sorriso furbetto).
Domanda: esigo risposta!
(Poi quasi urlando) sono io il grillo vostro parlante! Piaciuta,
eh?
Seconda parabola: il motore.
Entro in macchina, metto la chiave. (Imita un motore
scoppiettante che alla fine si ingolfa e si spegne) ple, ple,
ple, ple, tata, tata pleretete pim tmcheperepete trrrrrrrrrrtipete
ctumpete, crepete: cos’ha? Che cos’ha ’sto motore? C’è
olio? Verifica: c’è l’olio! Bensina? Bensina [benzina]! C’è
olio-bensina! Va tutto. gut gut, la freccia, c’è tutto! (Di testa
rapido) Come mai che non va? taratatetatetate... perché el [il]
motore è come el [il] corpo dell’uomo! E gh’è deréntro [c’è
dentro] anche l’anema [anima]. Ma la macchina non va
quando nel motore non c’è lo spirito e l’anema s’è ingolfata!
L’anima è lo spinterogeno del nostro corpo-motore!
Piaciuta? Basta! (Si scioglie dal gioco del personaggio e
ritorna a conversare).
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Non ne ho mai persa una di queste sue parabole. E quando lo
sentivo raccontare mi dicevo: se questo va avanti così, io mi
ci faccio una commedia al mese! Invece sul più bello se n’è
andato. E tutto per quella gaffe terribile, quando ha
dichiarato pubblicamente e a gran voce: “E allora vi dico che
Dio è più madre che padre!” Con quello là (guarda verso
l’alto) fallocratico com’è tum pim tum pom (mima il
Padreterno che si fa largo tra le nubi e s’affaccia con piglio
terribile): “Ehi Albino! Ma che dici?!! (Con un gesto secco,
da sergente alla recluta) A rapporto!” (Mima Albino che
svolazzando contrito e attonito segue il Padreterno volando
nel cielo).
Che disgrazia!
E anche per Paolino… il Montini mi è dispiaciuto. Calzava
sempre quella maschera severa... però aveva uno spirito! Vi
ricordate quando è arrivato vestito da indiano? S’era
addobbato con lo spiumano di un capo tribù indiano venuto
a fargli visita. Il capo tribù arriva e Paolino gli dice: “Mi fa
provare le piume?”... Oh, un Papa, con ’ste piume che gli
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andavano giù di dietro fino ai piedi... Wanda Osiris da
giovane! Che poi, appena l’hanno saputo i tirolesi, volevano
andare a Roma con i pantaloncini di fustagno e le bretelle
per farglieli indossare! (Accenna una danza tirolese battendo
le mani sulle cosce e sui polpacci) iuh! uhuh!
E la bicicletta di Mercks? Ah, che bello! Il fatto della
bicicletta non ve lo ricordate? È risaputo che quando Mercks
ha deciso di abbandonare le corse tutti gli chiedevano la
bicicletta. Perfino re Baldovino voleva la sua bicicletta.
Dice: “No, ho già deciso di regalarla al Papa! A Paolo VI”.
È andato a Roma, ha consegnato la sua bicicletta d’oro da
corsa al Papa e ha detto: “Ecco, io mi ritiro e lascio la
bicicletta a voi, Santità”.
Un altro Papa si sarebbe offeso: “E che? Mi metto a pedalare
per il Vaticano con le sottane al vento, io!” E invece Paolino,
spiritosissimo, l’ha sollevata con gioia e ha detto: “Grazie, è
un dono bellissimo, l’ho sempre sognato!”
Ma attenti che c’era una carognata vendicativa dietro a
questo regalo. Perché non bisogna dimenticare che Mercks è
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fiammingo. E i fiamminghi, sin dal Medioevo, hanno avuto
scontri duri con i Papi. Per anni e anni hanno subito
angherie, violenze, roghi dalla Chiesa Romana, nelle lotte di
religione a partire dal Quattrocento con le invasioni degli
spagnoli cattolici fanatici, avanti fino al Settecento. E allora
Mercks ha pensato di tirare il “roccolo”, come si dice. Ha
pensato di vendicarsi proprio con Paolino, sapendolo così
disponibile e d’entusiasmo facile... S’è immaginato: “Io gli
do la bicicletta e quello la monta!” E che tipo di bicicletta gli
aveva regalato? State attenti, una bicicletta per corse su
strada? No, da pista, per il chilometro lanciato! Voi ridete,
ma sono sicuro che non siate al corrente del particolare che
distingue una bicicletta da pista da una normale bicicletta da
strada: la bicicletta da pista non ha freni! Pur di alleggerirla
al massimo, tolgono: cambi, pompa e freni. I freni non ci
sono. Tanto è vero che durante le partenze per le gare in
pista c’è il porteur, per ogni partecipante, che sostiene
corridore e bicicletta. Il porteur sospinge il pistard e lo
lancia. E quando è finita la corsa, la volata, sono loro, i
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porteurs, che si accollano il compito di fermarli proprio
perché, non avendo freni, quelli continuerebbero a girare in
pista per chissà quanto tempo.
Il porteur li branca al volo tutti e due, cioè il ciclista e la
bicicletta. Che se sbaglia e per caso becca soltanto lui, la
bicicletta va via, fa ancora tre giri di pista da sola. E poi
ancora peggio se sbaglia e blocca la bicicletta lasciando da
solo il ciclista sospeso a pedalare nel vuoto. (Mima il pistard
che pedala nel vuoto) E c’è il solito imbecille che dalla
tribuna gli grida:
“Sei senza bicicletta!”
“Eeeeh?” Plack!... cade! Una frana... schianta a terra da
accopparsi!
Dicevo, regalare ’sta bicicletta a Paolino è stata proprio una
mascalzonata. Infatti dove andava in vacanza Paolino?
Sempre a Castelgandolfo. Ci andava per il week-end. Siete
mai stati a Castelgandolfo? C’è un palazzo arroccato su una
collina; dal portale scende una strada bianca, un nastro che
va giù fino in fondo a precipizio, e in fondo c’è un gran
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muro bianco con una curva a gomito... Una volata... che se
anche hai un monopattino vai giù come un treno. E Mercks,
la carogna, già se lo immaginava.
Quello va su a Castelgandolfo con la bicicletta, all’alba, per
non farsi vedere dalle guardie svizzere e dai fraticelli, da
nessuno, viene fuori sul piazzale con la sua bicicletta da
corsa, con le mollette si fa su i risvolti della tonaca (mima
l’azione), guanti mezze-dita, da corsa, la gomma d’oro
(indica una gomma incrociata sul torace come i ciclisti di
una volta), la mitria da corsa (mima di calzarne una, poi, con
le mani unite appoggiando i polsi sulla fronte, le solleva
verso l’alto facendo immaginare la visiera di un berrettino da
ciclista), con la paletta in su, con scritto “fiat”. Dietro
“voluntas tua” tanto per truccare, ma tutti sanno che è
sponsorizzato dalla nota industria di Torino.
E salta sul sellino... un bel respiro... e giù a rompicollo.
“Pistaaaa!” gniaaauuu gniiimmmm viiiimmmmm
vuuummmmm. Il muro! Frena! Frenaaa! Non ci sono i freni!
pfffrrruuummm! Una frittata di duemila uova, bianca e
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gialla: i colori del Papa. Va bene, non c’è più neanche lui. E
al suo posto c’è Woytjla. Anche questo Papa è un fenomeno!
Ma dove li vanno a prendere?! Il Papa che venne dal freddo!
Una volta l’ho visto: baciava i bambini. L’avete osservato
voi quando bacia i bambini? Li solleva come fossero dei
pacchi. Sembra una catena di montaggio. (Esegue
meccanicamente: li bacia e li butta) smack, smack... sciunf…
e li getta! Neanche si preoccupa dove vanno a finire. Che
meno male a prenderli ci sono dei giocatori di rugby truccati
da prete: opla! tum! (Mima prese al volo con tanto di
palleggio e rinvio dei bambini come fossero palle da cesto)
Ecco, diciamo che è un po’ esuberante. Ma andiamo avanti,
anzi torniamo indietro, voglio dire, per riprendere la storia
del “Protovangelo” a cominciare dall’arrivo dei Re Magi.
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IL PRIMO MIRACOLO DI GESÙ BAMBINO.
De bòto in tèl ziélo impiegnìdo de stèle, tüto strapuntà de
lûs, l’è ’rivà deréntro un stelùn tremendo… co’ ’na cuàssa
ch’ol brugàva, ol dava a scuretùn e tüte le stèle, che criàva:
“Bòja chi l’è?!”
L’éra la stèla cometa!
’Rivàva da l’oriente e drio gh’éra i tri Re Magi. Vün l’éra
vègio, tüto ingrugnà, ol tirava ’craménti sü un cavàlo
negro... aténto a l’alegorìa... e intànt che l’andava sü ’sto
cavàlo négro ol molàva dei fropàdi sü la stafa de monta,
tirànd in sü el cül da la stcéna, par via che gh’éra spuntàt de i
bugnün sü le ciàpe… de manéra che a ógne incrugàda del
cül sü la sèla ol biastemàva ’me Dio tradì!
Aprèso a gh’éra un Re Magio biondo, zióvane e ciàro, coi
risolùn duràt… sü un cavàlo biànch... aténto a la ’legorìa…
co’ i ögi slusénti e la bóca che ride… cont sü la stcéna un
gran mantèlo róso e arzénto.
02/10/2012 554
Ültim veniva óltra, un Magio negro sóra un camèlo griso…
riaténti a la ’legorìa… un negro, cossì negro, con co’ i balèti
scüri incastrà in del biànch de l’ögi, ün biànch cussì biànch,
che quando ol rideva ol pareva cussí negro che ol camèlo
griso de sóta, ol pareva pì biànch e ciàro del cavàlo biànch
ch’ol gh’avéa ol biondo Re Magio.
’Sti re stregón andàveno e ol negro sul camèlo ol cantava:
– Oh che bel che bel che bel
che l’è andare sul camèl
che bel che bel.
Che bel che bel che andémo a Betlèm
a Betlèm gh’è ’na capàna
con deréntro la Madona
ol Bambìn che nina nina
san Giüsèp ch’ol sega sega
i angiulìt che vola vola
oh che bel che bel che bel
che l’è andare sul camèl!
02/10/2012 555
– Baastaaa! – ol cria el vègio Re Magio. – L’è tre ziórni e tre
nòti che te canti ’sta lagna del camèlo! Émo capìt che l’è
bèlo andare sul camèlo, ma adèso basta!
(A ritmo da filastrocca) – Eh no, che débio cantare sul
camèl…
vispo ol dée stare...
che se mi no’ canto el camèlo s’endorménta
bòrlo de sóto, se spavénta
stramasà a tèra
mè schisciàdo
e no’ arìvo pì a Betlèm.
A Betlèm lim lèm,
dove gh’è ’na capàna
con deréntro la Madona
col Bambìn che nina nina
san Giüsèp col sega sega
i angiulìt che vola vola
oh che bel che bel che bel
che l’è andare sul camèl!
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– Bastaaa! Mi te magno crüdo! Te pélo via tüto ol negro
d’intorno e magno ol biànch deréntro! Basta cantare!
Il Re Magio nero riprende la tiritera:
– Eh no che débio cantare
ritmo ritmo a débio dare
ch’el camèl no’ è come ol cavàl
el cavàl ol va al galòpo
el camèl ol còre al tròto
gamba devànti, gamba de drio
se intorcìga
se no’ do ol ritmo, se intropìga,
se spaventa
frana par tèra
mi schisciàdo
e lim lèm no’ ’rivo pì a Betlèm.
A Betlèm gh’è una capàna
con deréntro la Madona
ol Bambìn che nina nina
san Giüsèp ch’ol sega sega
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i angiulìt che vola vola...
– Te magno!!! (Quasi rivolto al Padreterno) Mi no’ capìsso
parchè gh’han fàito vegnì ’sto negro con tüti i Magi culuràdi
che gh’è intórna! Parchè?... (Come ricordando la profezia)
Ah, dovémo far cosmopòlitos! Che ’sto négher pœ l’è ’na
brava persona, ma no’ se pòl seguitàr a cantare de ’sta
manéra!... Certe volte me fa catàre dei spaventi! Me capita
d’avérghe dei besógn... (indica il sedere) cói bugnón che me
stciòpa chi… sunt un Magio, ma gh’ho dei bisogni!
Desséndi dal cavàlo, vo’ ne lo scüro in de la nòte... me fò
per calare le braghe... e devànti a mi, a l’improvìsa, te vedo
dòi ögi de bèstia... cunt di dénci de bèstia... Bòja, l’è un
león!!...
Me sun cagào sü le braghe!
Invece l’éra lü ch’ol cagàva devànti a mi... e ol ride! Ol caga
e ol ride... e no’ canta!
La prema volta che no’ canta!
No’ podéva cantare: “Oh che bel che bel che bel l’è cagàr
sensa camèl, che bel che bel!”… che mi me ne incorgévo!
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Me fa catàre dei spaventi-stremìzzi de sbutà!… Che fra i
bugnóni che i me stciòpa e lü, gh’ho ’na rabbia adòso che se
’rivo de ’sta manéra a Betlèm stròso ol Bambìn ne la cûna!
In quèl momento in dél ziélo ol stelùn s’è fermào e tüti i se
dise: “Cos’è capitàt?”
E el Magio negro cantando: – S’è fermàt per catàrse un po’
de fiàt!
– Oh che bel che bel che bel che l’è andare a Betlèm...
– Bastaaa! (Mima il Magio nero che salta sul cammello)
Ol Magio vègio salta sul so’ cavàlo négro, dà de spròn: –
Ghe vago da solo a Betlèm, no’ vòj nisciùno! Bastaa!
– Anca mi végno con ti! Oh che bel che bel che bel...
– Bastaaa!
– Oh che bel che bel che bel... (Porta la voce quasi a
spegnersi sempre più flebile in lontananza).
– Bastaaa!
– Che bel…
– Bastaaaaa!
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In quèl precìs mumént in del ziélo impiegnìdo de stèle l’è
vegnü föra l’arcanzèlo cunt ün cerción tremendo impiantà sü
la crapa… e co’ dei aletón plumàde che l’andéva
sbatusciàndo a ventài a picàr gran sgiafóni ai nìvuli, che i
scampànava e in tèl svulàz, l’àire sgionfiàva i sòo vestimént
panegià ’me vele sbatüe in tempesta!
De traversón ’na gran sfèrzula, ciàra e granda, cunt sü scrito:
“anzelo”... per quèi che no’ capìsse!
Ol va a svoltón per ol ziélo criàndo: – Òmeni de bona
voluntàt, vegnìt! Vegnìt! L’è nasciùo ol Redentór! – E ol
pica de volàde de sóto.
bruaammm! (Mima una picchiata dell’angelo che si getta per
poi sfrecciare radente il suolo) Cunt i pastori che ghe i vusa:
– Oh, desgrasió, te ghe fèt andà via ol late a le pégure!
(Mima un’altra picchiata dell’angelo che per poco non li
travolge. A gran voce) L’è nasciùo ol Redentoreee!...
bruammm!
(Accenna una reazione infuriata dei pastori) – Che t’andèsi a
sbàter cóntra la muntàgna!, ch’ol cerción incarcào fino al
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bàbie! Tüte le plüme spantegàe! Galinàsso! (Rivolgendosi
agli altri pastori) A l’è mejór che andémo sübit a portàrghe
quài regalia a ’sto Bambìn Fiól de Deo, che se quèl angiolòn
lì ol va avanti e indrìo tüta la note, ghe ara ol prato!
E tüti i andava con un dono in processión.
Chi ghe porta del formàjio, chi un cavrèto, dei conìli, un
altro de le galìne, del vino, de l’oli, le póme còte e le torte
coi maróni... A gh’è dei disgrasió che i ’riva con de’ paiòl
tremendi impiegnì de pulénta... apòsta da la bergamàsca…
(col gesto di reggere un gran peso) e i vègne avanti cussì da
la montagna... Ma che disgrasió! A un bambìn apéna nasciüo
te vòj darghe la polenta! Ma te lo vòj copàre?!
E davanti a ’sta capàna a gh’è un rebelòt da no’ dire
(descrive con gesti e ritmi quasi di danza): a gh’è de òmeni
che i ségan dei palón – bra bra bra! – Dei àlter che i pica sü
l’encüden de ferée – briu bra briu bra bra! – Aprèso i servént
che i tira l’ànsima che bófa – haha hehe ha! – E a far de
controvóse, i bandetóri del mercàt... (esegue un grammelot
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con voci di ortolani, macellai, panettieri eccetera in un gran
crescendo).
– Bastaaa! Vergogna! ’Sta pòvera dòna de la Madona! Tre
ziórni e tre nòti che no’ la dorme! Vorsìt che la crèpa?!
– Ma noàltri volémo fare ol presépio!
E in la capàna a gh’è i pastori che i vègne deréntro co’ i loro
doni e gh’è sant’Ana che come quèi i vègne óltra: – Andì a
pregàr de föra, déme qua i regali in prèscia! (Mima di
raccogliere i doni e di sistemarli) Pregà dòpo! Oh, quanta
roba! Benedèto Gesù bambìn... te dovarèsse nàsser almànco
quatro volte al més, te fo’ ’na resèrva per tüta l’eternità!
Arìva i Re Magi co’ l’oro, l’incenso e la mira, i se ingenögia.
Gh’è el vègio che el porta el so’ regalo, pœ el giovinèto e pœ
arìva deréntro el negro (cantando):
– Ohi che bel, che bel, che bel!
Ol Bambìn nel cavagnèl!
– Ol negro föra che spavénta el Bambin – el vousa el re
vègio.
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In quèl mentre ’riva deréntro l’ànzelo con la spada de fòco e
ol vusa: – Föra, föra sübit! Föra, föra! Baterìa!
– Come baterìa?!
– Traslòco! Via, scapàre! Fuga in Egitto!
– De già?!
– Gh’è in ziro l’Erode che va stacàndo tüte le teste dei
bambìn!
La sant’Ana a Giüsép: – Va a tór quatro cavàli e dòi carèti
sübit e caréga tüta la mercansìa!
L’ànzelo: – No, no’ gh’è témp, via sübit!
– Ah bravo, arcànzelo fürbàsso, te vòj fregàrte tüta la roba ti,
eh? (A Giuseppe) L’àseno, l’àseno, tira föra l’àseno!
Végne óltra ’sto àseno tüto imbrocugnà, che n’ol sta in pie...
che l’è tre ziórni e quatro nòti ch’ol bófa! (Mima l’ansimare
dell’animale) ahhh! ahhh! A l’è sctiopà! La sant’Ana
coménza a caregàrlo de tüte le regalie, pachi e pachèti e
aprèso de giùnta la Madona ghe va soravìa, e Giüsèp: –
Madona desénde, no’ ghe la fa, ol crepa!
02/10/2012 563
– Ma mi no’ pòdo deséndere… che se po’ la zénte no’ me
vede sü l’àseno no’ i comprende che stémo a fare la fuga in
Egitto!
E alóra Giüsèp va sóta a l’àseno, se caréga ’sta bèstia, la
Madona, ol Bambìn con tüta la mercansìa e ol va via
camenàndo.
Lóngo el camìno se da ’na scrolàda e se libera de tüte le
regalie. Caminàndo caminàndo va... i zónze a la costa del
mare, pœ ancora zòcule e pie, i arìvan a Jaffa.
Jaffa çittà bianca, granda, con lónghe tóri.
Apéna zónti al portón l’ànzelo segna ziri a tondo e sòna la
tromba. L’àseno: iaaaap!, la panza par tèra... ’na slòfa dal
cül: pluuf! L’anima de l’àseno la va in ziélo!
La Madona la varda e la dise: – Pòra bèstia, l’è morto!
Segno divino. Vòl dire che sémo ’rivàt!
Van deréntro ne la çittà e i zérca un lögu dove podér
infricàrse a dormire. Gh’è ’na stambèrga disgrasiàda, piéna
de bögi, che la capàna a Betlème a l’éra ’na régia.
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Ol Bambìn ol s’é endormìt embrassà a la sòa mama. E ol
povero Giüsèp tüta la nòte a tampunàre i bögi.
La matìna, sübeto, la Madòna la ciàpa ’na cavàgna, ’na cesta
e la va intórna a cercàr in le corti pagni de lavare, parchè
besógna che jüta anche lee la faméja. San Giüsèp, anca lü ol
va intórna col martèl, la sega e ciòdi per truà de fare mestè.
El Fiolìn in mèso a la strada.
La sera la Madòna l’arìva da la rògia, morta roversàda, con
la stcéna spacàda. La se sèta tüta maseràda, straca. E san
Giüsèp vién de föra imbestiàt chè no’ gh’ha truvà lavór, no’
l’ha picà un ciòd.
’Riva dentro ol Gesù bambìn cól möcc giò del naso… fin sü
la bóca, tüto strapenàdo, con le mani vónce, le braghe de
travèrso, sensa gnanca ’na scarpa ai pie.
– Mama, gh’ho fame!
– Ma varda come te sèt cunscià bambìn... ma con tüto ol
travàil che gh’ho, me tóca anca lavar i pani a ti!
– Mama, gh’ho fame!
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– Ma làssame fornìre, che parli a ti! Ma no’ te vergógni de
arivà cunsciàt in ’sta manéra?
– Mama, gh’ho fame!
(Parla precipitando le parole come in un grammelot) –
Sbardòsc resentà a stiàsc sguasciàr e sperónte, te bìrular a
struscià ’me un lifròch, fiól de smarmùsc... – che quando la
Maria Verzén l’éra inrabìta la parlava palestinés stringiüo
che no’ se capiva ’na madòna! (Cambia tono) – Dìghelo ti
Giüsèp che lü l’è dessendüo dal ziélo per insegnàrghe ai
bòni cristiàni avérghe amor e vès zentìl e il primo amor che
deve avérghe l’è ol respécto per la sòa madre… (Al
bambino) E ti invéze no’ te vergogni?!
– Oh, la madòna!
– Giüsèp, te gh’ha sentì còssa gh’ha dito ol to’ fiól? Te
prégi, slónzaghe la bona creànsa!
– Mi?!
– Te sèt so’ pare!
– Mi… so’ pare?! (Occhieggia intorno perplesso).
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A la fin, la famégia la se mèt a tàola, i se sèta tüti intórna a la
mensa. Gh’è ol pane in mèso, ol Bambìn fa per slongàre la
man...
– Eh, sempre con ’sta man sübit! Aspècia! Va’ che mani
svònce! E fate ol segno de la cróse prima!… No, aspèta…
l’è tròpo presto! ’N’altra volta!
Ol Bambìn va a dormire, dorme tüta la famégia.
Al matìno ol Jesus se desvégia, no’ gh’è la madre, ol padre
l’è sortìo, s’enfìla le braghe, cata un tòco de pan, ol va föra
in de la strada: gh’è tanti bambìn che córen avanti e indrìo,
che i salta, i ziòga.
– Me fèt ’gnir deréntro cun vui al vostro ziògo?… Féme
ziogàr… mi a sont bravo!
– Va’ via Palestina!
– Ma parchè no’ me vorsìt? Vardé… mi me mèto a far la
cavalìna... fago anca ol ladro, el ziògo de la sgiàfa...
– Va’ via terùn!
De le làgrime ghe sòrtono dai ögi... ghe vègne ol magùn al
Jesù bambin.
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La madre gh’avéa racumandà: – Atént ti, no’ far miracoli
che pœ i soldàiti i végn a savérlo, i te ziérca, arìva e i te
cópa!
Ma l’éra cossì tanto stréncio e fondo ol dolór de vès casàito
fóra del ziògo che ol dovéa par fòrsa tiràr in pie almànco un
miraculìn pìcolo… per far de manéra che ’sti bambìn
gh’avèsero amistà con lü. L’è andàit dove che gh’éra una
fontana co’ intorno de la tèra creta... quèla per fa’ côpi e
matóni, bèla, grassa, bagnàda. ’N’ha catà un barciòch, l’ha
comenzà a lavorarla co’ ’ste manine sante… e ol vusàva: –
Ehi fiulìt, bambìn, vegnì chi, ve fago védar come se fa i usèl
de tèra!
(Sfottenti) – Ohi, ol Palestina fa i üsèi de tèra!
– Sì, ma pœ mi i fo’ anca volare!
(Gli fanno il verso) – Ehi, ol Palestina l’impasta i usèli co’ la
tèra e po’ i fa volare! Ma che bravo!
I bambìn tüti intórna a vardà sbrefànti… e quèlo coménza
con ’ste manine sante: ol ’bòza ol crapìn, pœ le alète, ol
panscetìn, le plüme segnàndule co’ ün legnèt… ciàpa do’
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stechèt e i infilza sóta la panscetìna del paseròt per farghe i
sciampìt. Ol valza driso sü una man.
– Sénsa trüco ne preparasión, sensa gnanca un’orasión... un,
dòi, tri, bófo! (Soffia con forza sul pupazzetto
dell’uccellino).
Bófa e se vede un trembàr de ’sto üselìn de tèra (unisce le
due mani e le agita, dando l’illusione del passero che prende
il volo) se dèrve le ali che i sbate... piu piu piu piu...
– Vola! Vola! Miracolo! Ol Jesus Palestina bambìn fa volare
i üselìn de tèra!
– Ma no’ dir stronsàde! L’è un trüco vègio ’me la madòna!
Ol furbastro gh’ha ciapàt un üselìn che l’è burlà da un
àlbaro, l’ha incuicicà in de la fanga e l’ha impastrucià come
se ol fuèsse lü a darghe forma, pœ l’ha metüo sü la man,
bofàda fium, brivido in tèl cül, cip cip cip e vola via!
– No, l’éra vera, no’ gh’éra üselìn inciucicà in de la fanga,
no’ gh’éra ol truco! L’ho vedüo mi. Basta discusiùn!
Aténto... ciàpo un baslòch de tèra! (Mima di raccogliere un
malloppo di terra e di spaccarlo in due) Va chi… no’ gh’è
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deréntro negòt, no’ gh’è üselìn deréntro! Adèso Palestina
avanti, impastòca… fa’ un üselìn... e aténto a no’ far
schèrsi… aténto che se te me fe far malafigüra te mòlo un
casotùn!
El Bambìn Jesus con ’ste manine sante fa un sprocugnìn, de
nòvo.
– Sperémo che me riésse anche stavolta!
Ciàpa un lignèt per segnà le plüme… pœ dòi stechetìn per i
giàmbi. (Mima di creare velocemente la nuova statuetta) –
Vün, dò, tri, sensa trüco ne preparasión, sensa gnanca
un’orasión...
In quèl mumènt dal fondo vègne avanti un bambìn co’ i ögi
negri, i cavèli tüto un risulìn: – Fermo!
– Cus’è?
– Controllo!
– Chi te sèt?
– Tomaso!
– Tomaso, te coménze la matìna presto a rompe i cojón!
Tomaso ciàpa un ciòdo, tium tium, ol sbüsa la statüèta.
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– Va bén, no’ gh’è trufalderìa, pòle andare avanti!
– Vün, dò, tri, sensa trüco ne preparasión, sensa gnanca
un’orasión... (Soffia sull’uccellino).
fium! L’üselìno ol se slarga… ol prende vida: piu piu piu!
– Vola! Miracolo! Oh, che fenomeno! Che stregón
meravegióso! Bravo Palestina! Caro, ’me te vòjo bén! (Con
tono da sacra investitura) Da ’sto momento ol Bambìn Jesus
l’è lü ol cap dei ziòghi! Adèso andémo a tra sü manàt de tèra
e fémo ’na gran üselànda de üsèli come ghe pare! Pœ sübit
aprèso, lü ol bófa, i fa volare e noàltri rìdum!
E via, ’sta masa de fiulìt piciugàndo come pulzinèti immatìt
de festa, van a impastà e i tira föra üsèi mai vedùi! A ghe n’è
vün ch’ol ciàpa ün palatòch de creta, ol fa un galinón co’ ’na
gran crapa... con ün pansción... cunt un cuìn de stìtic che no’
se vede niànca... pœ ghe mète ’na stèca per fa ’na jàmba…
’n’altra jàmba... ma ol bórla davanti. ’N’altra jàmba… ol
bórla de drio, sul cül!
– Çìnque jàmbe ghe mèto!
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– Esageràt! Gimài vedüo un üsèl con çìnque jàmbe! – fa
Jesus.
– L’importante è ch’el vola!
Un altro fa ’na bissa a lugànega con dódese alète tüte
intórna, sensa la côa, sensa nemànco le jàmbe. Gh’è ’n altro
fiól che ol fa sü un stronsùn tremendo... no’ se capìsse dove
ol gh’ha la crapa... Un altro fa dóe strunsìt... Pœ un altro fa
’na torta co’ intorna tüte le alète e la testa in mèso. L’ültim
impronta un gato… bèlo... co’ le ali.
– No’ se pòl far volare i gati!
– Se vola quèl stronsùn lì, volerà anca el me gato!
– No, i gati no’ i se pòl far volare... un po’ de regola!
(Levando la voce) – Mama! Jesus Palestina no’ vòl far
volare el me gato!
(S’immagina la madre affacciata a una finestra) – Palestina,
fa sübeto volar el gato del me bambìn se no’ végni giò e te
inciòdo!
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L’attore nei panni del bambino, spalanca le braccia e si
osserva le mani con sgomento.
Ol Bambìn Jesus ol ciàpa ol galinón... ol bófa (mima via via
il volo dei mostruosi uccelli a cui dà vita): pffuuuu quach
quich quoch qua tè pu qua! La lugànega: pici pete te che se
tepe! La torta: pse psu psu! El strunsùn: pce pque pte oci! I
strunsìt: pce pci pque! El gato: pfuuuum! gnaaao…
gniaaaoooo gniaaaamm: magna tüti i osèi del ziélo!
Ohi che bel! Che ridàde a stcepapànza!
– ’N’altra üselàda, avanti tüti insèma!
Tüti che i impasta i osèli, che i ziòga, i fan ridàde, i canta! E
gh’è le madri contente che le ride a le fenèstre: – Va che
bravo bambìn ’sto Jesus, gh’ha trovào un ziògo bèlo che no’
se fan neanca male!
Ma in quèl momento track!: se spalanca el portón de la
piàssa e vègne avanti un fiolìn sü un cavàlo negro tüto
infinimentà de ori e arzénto. Ol bambìn gh’ha i cavèi bén
petenà, le plüme sül capèlo, vestìt de velüto e de seta con un
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coletón de pisso. E gh’è dòi sbirri intorno tüti armà che i
monta dòi cavali biànch.Quèl l’è ol fiól del parón de tüta la
çità.
– Ehi, bambini, a che ziògo ziogàte?
(Sottovoce) – Ol fiól del parón... che rompicojón! (A Gesù)
No’ darghe tra’ Palestina, fa mostra de gnénte!
– Me fate ziogàre anca mi al vostro ziògo?
– No!
– E parchè no?
– Parchè ti, co’ i tòi cavài, no’ te ghe lassi far nemànco un
zirèto. E tüte le volte che vegnémo a ca’ tua che te gh’è dei
gran ziòghi, te ne fàit descassàre dai tòi sbiri! Noàltri adèso
gh’avémo ol sgoderàso jogóndo, el plü bel ziògo del mondo
e ol Palestina l’è ol cap del ziògo. Ti te sèt siòro ma no’ te
gh’è el Palestina! Palestina l’è nòster! Vero Palestina?
Palestina, no’ te andar con quèlo… no’ fare el Giuda!
– Ma se pòl savére che ziògo l’è?
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– Sì... noàltri fasémo üselìn e üselón de tèra… pœ ol
Palestina bófa e i fa volare. Ti vòl ziogàre anca ti? Cala le
braghe, bófa sul to’ üselìn, vedèm se ol vola!
E tüti che i ride.
Ma ol fiól del parón no’ ride miga. Rosso, inrabìto, co’ i ögi
föra de la crapa, cata ’na lanza del soldàt, dà de spròn al so’
cavalìn e al galòpo ’rìva in mèso ai fiolìt criàndo ’me un
mato: – Se no’ ziògo mi, no’ ziogàte gnanca voàltri!
zan zan a spacàre co’ i sòcoli del cavàl tüte le statüète de
creta.
I fiulìt stciòpa in una gran caragnàda... i tirava bale de mòta
cóntra el fiól catìvo, ma i soldàt fazéndo carusèl intorno co’ i
cavàl al galòpo, crìano: – Via! Föra! Andìt föra, via! Che lü,
ol pòl fare quèl che el vòl, parchè l’è ol fiól del parón!
Le mame a le finèstre: – Bastàrdu! Un ziogo sì bèlo... che
no’ costava negòta... i nostri fiól i éran contenti...
E i soldài: – Via madri! Via che ve ’riva le lanze!
pfium pfium!, tüte le finestre seràde.
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Int un mumént la piàsa l’è vóda. Gh’è resta soltanto ol fiolìn
del parón sul so’ cavàlo negro, coi soldati che i sganàsa.
Nesciün s’éra incorgiüo che visìn a la fontana gh’éra ol
Bambìn Jesus, coi ögi grandi, impiegnìdi de lagrime... fisà
invèrso ol ziélo, che ol s’era impiegnìdo de nìvole... e ol
coménza a ciamàr so’
Patre.
In del momento che ciàma ol Padre se ferma tüta la vita, se
ferma ol témp... tüti i resta ’me statue.
– padreee!
Le nìvole se mòveno coréndo a ziràndola... se dèrveno
lasàndo un gran vòdo in del mèso: broommm!
– padreeee!
(Come affacciandosi nel gran vuoto tra le nuvole) – Se gh’è?
– Padre son mi… to’ fiól, Jesus Palestina!
– Te recognósso! Còssa t’è capitàt?
(Trattenendo a fatica le lacrime) – Ehhh, quèl bambìn lì l’è
catìvo, gh’ha stcepà tüti i figürìni de tèra che noàltri
gh’avémo fato per ziogàre...
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– Ma caro bambìn, per ’na stupidàda cussì te vègne a far
catàre un spavento ’sì grando a to’ pare? Che éro de l’altra
parte de l’universo, son ’rivào de corsa, gh’ho sbüsà quasi
dosénto nìvoli, gh’ho tirà sóta çinquànta cherubini, me s’è
sturtà ol triangolo in crapa che ghe vól un’eternità a ripiasàl
a l’órden! No’ te vergogni?!
(Singhiozzando e salendo con falsetti a strappo) – Eh... ma
lü l’è stàit catìvo... gh’ha stcepà tüti i ziòghi... noàltri éremo
contenti... stcepàdo tüto... gh’avéo tanto fatigà! Èco!
– No’ gh’ho capìt nagòta! Parla ciàro. Còssa l’è capitàt?
(A gran velocità, sempre intramezzando le parole con
singhiozzi)
– L’è capitàt che co’ la mama e anca ol Giüsèp sémo ’rivàt a
Jafa... lori i van a lavorar... ehh... e mi resto soléngo... ihhh...
alóra sont andàit... in te la piàssa... a gh’éra i bambìn...
ahhhh... loro i ziogàva e mi: féme ziogàre anca mi al vòster
ziògo... va’ via Palestina terùn! Ma mi... ihhh... no’ éro
capàze de restà sensa ziogàre... ’na tristìzia da morìre...
ahhhh... E alóra gh’ho pensàt... fo’ un miracolo... uno
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pìcolo... quèlo de far volare i osèli che l’è fàzile e me riésse
sémper bén... ahhh... gh’ho fato volare dei üselón tremendi...
anca un strunsìn, un strunsùn e perfìn un gato… dòpo i éran
contenti! Vün diséva: no’ è vera... quèl Tomaso che rompe i
cojón... ahhh e tüti i dise: bòn Palestina, cap dei ziòghi. E
adèso sont de nòvo solo come prima... che tüti i amìsi i sont
scapàti... ehhh.... Gh’ho un dolór Padre... un dolór tremendo!
(Grandi singhiozzi tra terribili sospiri).
– Oh, te gh’ha rasón. A débio admìttere che ol stcepàre
ziòghi zentìl cumpàgn de sogni… spatasciàr ziogarèli
empastàt co’ fantasia o l’è propri ol pejór de tüti i pecàt. Ma
zérca de rasionàr e fàite razón, quèlo l’è pìcolo, no’ capìsse.
– No, no… capìsse, capìsse! Quèlo l’è catìvo del sòo
natürale. L’è grave perìculo lassàrlo divegnìre grando!
– Va bén, démoghe un castigo. Che castigo te vòj che ghe
daga?
(Nell’atteggiamento del bambino soddisfatto che cerca di
formulare una sentenza strepitosa) – Màsalo!
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(Silenzio: s’immagina un Padreterno sconvolto) – Ah...
cominçémo bén! T’ho mandàt giò dal ziélo in tèra per
imparàrghe la pace fra i òmeni… parlàrghe d’amore a zénte
che de normale se dà bòte sénza rasón… così che a prèso i
bòni cristiàn se riconoserà pel facto che se ün ghe mòla ’na
sgiafàda, quèl, ol volta sübeto la fàcia pe’ catàrne ’n’altra... e
cossì se dan sgiafàde da matìna a sira e son contenti ’me dio!
Tüto va a magnìficat e zom! Te ’rìvet ti che al prim tupìch:
màsalo! No’ te vergogni?
– Eh, ma quèlo lì l’è stàit catìvo… m’ha dàit un dolór!...
– Ma parchè te me ciàmet mi per fà castigamént? Te sèt Deo
anca ti... pìcolo, un Deotìn, ma Deo. Parchè te me vòl tirar
de mèso in ’sto giugiamént? Ah… ol sàbie bén mi, la resón!
Te me vòj portar a mi a fa’ senténzia cossì che aprèso la
zénte diga: ol Padre l’è catìvo, ma ol Fiól l’è bòn! No, te la
sbròli ti la tòa questión e no’ vegnìre a ciamàrme per de le
cialàde che mi gh’ho bén altro de fare!
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braaammm! Tüte le nìvole che se sèrano, tüto ol ciél devénta
ciàro, ol bambìn fiól d’ol parón ol ride de nòvo e anche i
sbiri a rìdon tanto che i se pisa adòso.
Ol Fiól de Deo va visìn al padronzìn e ghe dise: – Te rìdet ti,
eh? Parchè te sèt tranquìlo che nisciün te pòl castigare, eh?...
(Cambia tono) E se adèso ’riva vün e te castiga?...
– Chi?
– Mi par ecsémpio!... Son tròpo pìcolo? No’ gh’ho forza
abàsta per farte ’na castigàda? Ah sì? E se mi te fülmino?...
Ah... no’ te ghe crede, eh?
bruammmm! Un lampo de fògo ghe sòrte da i ögi che arìva e
ol ciàpa ol bambìn fiól d’ol parón e lo lanza per aria: vum!
Stciòpa un fògo a gran calór… ol fiolìn devégne un pigotìn
de tèra che còsse deréntro ’na fornàse infiamànte… rós,
giàldo, arànz. Un bambìn de tèra fümante!
I sbirri: – Ahaaaa! Ol fiól del diàol! – Via che i scapa.
Tüte le dòne spalanca le fenèstre: – Ol stregón! Fiól del
diàolo! – E sèran tüti i scüri.
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La Madòna co’ stava a resentà a la fonte, sente criàre: – Ah
stragoneria!...
Va coréndo… zónze in la corte: – Jesus, méo fiolìn caro,
còssa l’è capitàt? Parchè la zénte cria a tüta vóse?
– No’ so mi. Éremo chi che se ziogàva... Varda mama, gh’ho
fàito ol me primo miracolo... l’è ancora caldo!
– Un bambìn de tèra? Te l’hai fàit ti?
– No, no, l’è lü giusto com l’è nasciüo... A l’éra catìvo, m’ha
fàit ofésa grama... Dopo che m’ha stciepà tüti i ziòghi l’ho
fàit de tèra… ’una fropàda de fògo: sbrüsà! Teracòta!
– Còssa?! Ma no’ te vergogni? Deo che cruèl che ti è! Pensa
còssa capiterà a la so’ matre quando ghe porteràn ’sto
bambìn de teracòta sü le ginögia... le lacrime de sànguo che
ghé sorteràn... e ghe diràn: “L’è stàit ol Fiól de Deo, ol
Palestina...” Te coménzi bén! (Perentoria) Resùsitalo!
– No!
– Resùsitalo sübit!
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– Ecco… no’ se pòl far ’na roba, che sübit débio desfàrla!...
E pœ no’ son capàze... mi gh’ho imparàt soltanto a
fulminare... no’ son ancora capàze de resusitàre, mama!
– No’ dir busìe! Falo per mi... per i me’ ögi, par ’sto dolór
che me scána ol còre… (Implorante) Àbie pietàt!
– Mama no’ piàgnere... basta trar làgrime. A lo resùsito... ma
co’ ’na pesciàda! – (Mima di sferrare una terribile pedata al
bambino disteso a terra) pam! Una pesciàda al bambìn fiól
del parón che ol vègne in pie... se sgretola tüta la tèra, ol
sangu retórna a scorìre in di soj sgargorèssi… ol respira, ol
respira, o l’è vivo… i ögi i se dèrva vìsculi… se porta ’na
man sü i ciàpi. – Tranquìl… sèt vivo!
(Attonito nel risveglio) – Cos’è capitàt?!
– Te gh’avevo fulmenàt... e pœ... Rengràssia la Madòna! Te
séntet dolór chi ai ciàpi, eh? Alfìn ti débie tór conosiénsa che
no’ è sémper co’ la prepoténsia che se guadagna in te la
vida... parchè vègne ol ziórno che t’arìva un meschìn
strascénto che te castiga a pesciàde in tèl cül, par tüti i altri!
De bòta l’aria la se fa lémpeda e ciàra.
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Le matri retórnano a spontàr da le fenèstre spalancàt.
Tüti varda là in fonda al vialón de dóe ziùnze un strambo
criàr.
Se scorge, pìcolo, un negro co’ è sü un camèlo griso e de
drio a gh’è un biànch vègio che dà de spròn a un cavàl
negro. Vün ol canta e l’altro ol cria: – Oh che bel che bel che
bel che l’è andare sul camèl che bel che bel!
– Bastaaa!
– Oh che bel che bel che bel...
– Basta!
Il duetto ritmato monta di tono, poi si allontana sino a
sparire.
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TRADUZIONE
All’improvviso nel cielo pieno di stelle, tutto trapuntato di
luci, è arrivato uno stellone tremendo… con una codaccia
scodinzolante che sbatteva scudisciando le stelle intorno, che
gridavano: “Boia chi è?!”
Era la stella cometa!
Arrivava dall’oriente e dappresso la seguivano i tre Re Magi.
Uno era vecchio, tutto imbronciato, che tirava sacripanti
[sacramentava, imprecava] su un cavallo nero... attenti
all’allegoria... e cavalcando ’sto cavallo nero spingeva sulle
staffe sollevando dal dorso le chiappe, per via che gli erano
spuntati bubboni e vesciche proprio lì, sulle natiche… e ad
ogni sobbalzo si trovava a sbattere il culo sulla sella e
urlando, bestemmiava come Dio tradito!
Appresso a lui c’era un Re Magio biondo, giovane pallido,
tutto un ricciolo dorato… che montava un cavallo bianco...
attenti all’allegoria… gli occhi brillanti e la bocca che ride…
sulla schiena un gran mantello rosso e argento.
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Ultimo seguiva un Magio nero su un cammello grigio…
riattenzione all’allegoria… un nero, così nero, con le pupille
scure incastrate nel bianco dell’occhio, un bianco così
bianco, che quando rideva, il cammello grigio di sotto,
pareva più bianco e chiaro del cavallo bianco cavalcato dal
biondo Re Magio.
’Sti re sciamanni andavano e il negro sul cammello cantava:
– Oh che bello che bello che bello
che è andare sul cammello
Che bello che bello.
che bello che bello che andiamo a Betlemme
a Betlemme c’è una capanna
con dentro la Madonna
il Bambino che ninna ninna
san Giuseppe che sega sega
gli angioletti che volano volano
oh che bello che bello che bello
che è andare sul cammello!
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– Baastaaa! – urla il vecchio Re Magio. – Sono tre giorni e
tre notti che canti ’sta tiritera del cammello! Abbiamo capito
che è bello andare sul cammello, ma adesso basta!
(A ritmo cantato da filastrocca) – Eh no, che devo cantare
sul cammello…
che vispo deve stare…
che se io non canto il cammello s’addormenta
cado di sotto, si spaventa
stramazza a terra
e io di sotto spiaccicato
e non arrivo più a Betlemme.
A Betlemme limme lemme,
dove c’è una capanna
con dentro la Madonna
col Bambino che ninna ninna
san Giuseppe che sega sega
gli angioletti che volano volano
oh che bello che bello che bello
che è l’andare sul cammello!
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– Bastaaa! Io ti mangio crudo! Ti pelo via tutto il nero
d’intorno e sbrano il bianco dentro! Basta cantare!
Il Re Magio negro riprende la tiritera:
– Eh no che devo cantare
ritmo ritmo devo dare
che il cammello non è come il cavallo
il cavallo va al galoppo
il cammello corre al trotto
gamba davanti, gamba di dietro
s’annoda a torciglione
se non do il ritmo s’inciampa,
si spaventa,
stramazza a terra
io di sotto spiaccicato
e limme lemme non arrivo più a Betlemme.
A Betlemme c’è una capanna
con dentro la Madonna
il Bambino che ninna ninna
san Giuseppe che sega sega
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gli angioletti che volano volano...
– Ti mangio!!! (Quasi rivolto al Padreterno) Io non capisco
perché hanno fatto venire ’sto nero con tutti i Magi di razze
colorate che ci sono intorno! Perché?… (Come ricordando la
profezia) Ah, dobbiamo “far cosmopòlitos”! Che questo
nero poi è una brava persona, ma non si può continuare a
cantare in questo modo!... Certe volte mi fa prendere degli
spaventi! Mi capita di averci dei bisogni… (indica il sedere)
con i bubboni che mi scoppiano qui... sono un Magio, ma ho
dei bisogni! Scendo da cavallo, vado nel buio della notte...
faccio per calarmi le brache... e davanti a me,
all’improvviso, ti vedo due occhi da bestia… con dei denti
da bestia... Boia, è un leone!!...
Mi sono cacato sulle braghe!
Invece era lui che cacava davanti a me... e ride! Caca e
ride... e non canta!
La prima volta che non canta!
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Non poteva cantare: “Oh che bello che bello che bello è
cagare senza cammello, che bello che bello!”… così io me
ne sarei accorto!
Mi fa prendere degli spaventi da schiattare… Che, fra i
bubboni che mi scoppiano e lui, ho una rabbia addosso che
se arrivo in ’ste condizioni a Betlemme strozzo il Bambino
nella culla!
In quel momento nel cielo la grande stella s’è fermata e tutti
si domandano: “Cos’è successo?”
E il Magio nero cantando: – S’è fermata per prendersi un
po’ di fiato!
Oh che bello che bello che bello che è andare a Betlemme...
– Bastaaa! (Mima il Magio nero che salta sul cammello).
Il Magio vecchio inforca il suo cavallo nero, lo sprona: – Ci
vado da solo a Betlemme, non voglio nessuno! Bastaa!
– Anch’io vengo con te! Oh che bel che bel che bel...
– Bastaaa!
– Oh che bello che bello che bello... (Porta la voce quasi a
spegnersi sempre più flebile in lontananza).
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– Bastaaa!
– Oh che bello…
– Bastaaaaa!
In quell’istante nel cielo stracolmo di stelle è apparso
l’arcangelo con un cerchione tremendo piantato sulla testa…
e con delle alettone piumate che le andava sbattendo a
ventaglio dando schiaffoni alle nuvole e nello svolazzare
l’aria gonfiava i panneggi del suo vestito come vele in
tempesta! Tutto di traverso lo abbracciava una fascia, chiara
e grande, con su scritto: “angelo”... per quelli che non
capiscono!
Va volteggiando per il cielo gridando: – Uomini di buona
volontà, venite! Venite! È nato il Redentore! – E picchia
delle volate di sotto.
bruaammm! (Mima una picchiata dell’angelo che si getta per
poi sfrecciare radente il suolo) Con i pastori che gli urlano: –
Oh, disgraziato, ci fai andar via il latte alle pecore!
(Mima un’altra picchiata dell’angelo che per poco non li
travolge. A gran voce) – È nato il Redentoreee... bruammm!
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(Accenna una reazione infuriata dei pastori) – Che te ne
andassi a sbatter contro alla montagna!, col cerchione
incarcato fino al mento! Tutte le piume spantegate
[disperse]! Gallinaccio! (Rivolgendosi agli altri pastori) È
meglio che andiamo subito a portargli qualche dono a questo
Bambino Figlio di Dio, che se quell’angiolone lì va avanti e
indietro tutta la notte, ci ara il prato!
E tutti che andavano con un dono, in processione.
Chi porta del formaggio, chi un capretto, dei conigli, un altro
delle galline, e chi gli porta del vino, dell’olio, le mele cotte
e le torte coi marroni... E poi ci sono quelli che arrivano
apposta con dei paioli tremendi stracolmi di polenta... (col
gesto di reggere un gran peso) e vengono avanti così dalla
montagna... Ma che disgraziati!... A un bambino appena nato
gli vuoi dare la polenta! Ma lo vuoi ammazzare?!
E davanti a ’sta capanna c’è una caciara da non dire
(descrive con gesti e ritmi quasi di danza): ci sono uomini
che segano tronchi – bra bra bra! – Altri che battono
sull’incudine da fabbro – briu bra briu bra bra! – Appresso i
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serventi che tirano il mantice che soffia – haha hehe ha! – E
a far di controcanto, i banditori del mercato... (esegue un
grammelot con voci di ortolani, macellai, panettieri eccetera,
in gran crescendo).
– Bastaaa! Vergogna! ’Sta povera donna della Madonna! Tre
giorni e tre notti che non dorme! Ma la volete far
schiattare?!
– Ma noialtri vogliamo fare il presepio!
E dentro la capanna ci sono i pastori che sono entrati con i
loro doni e c’è sant’Anna che come li vede: – Andate a
pregare di fuori… datemi i doni qui in fretta! (Mima di
raccogliere e di sistemarli) Pregare, dopo. Oh, quanta roba!
Benedetto Gesù bambino... dovresti nascere almeno quattro
volte al mese, ti faccio una riserva per tutta l’eternità!
E arrivano i tre Magi con l’oro, l’incenso e la mirra e si
inginocchiano. C’è il vecchio Magio che porta il suo regalo,
poi il giovinetto e poi arriva dentro il nero (cantando):
– Ohi che bel, che bel, che bello!
Il Bambino nel cavagnello [cesto]!
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– Il negro fuori, che spaventa il Bambino! – gli grida il re
vecchio.
In quel mentre arriva dentro l’angelo con la spada di fuoco e
grida: – Fuori! Fuori subito! Fuori, fuori sgombero!
– Come sgombero?!
– Trasloco! Via, scappare! Fuga in Egitto!
– Di già?!
– C’è in giro re Erode che va mozzando tutte le teste dei
bambini!
La sant’Anna a Giuseppe: – Va’ a prendere quattro cavalli e
due carretti subito e carica tutta la mercanzia!
L’angelo: – No, non c’è tempo, via subito!
– Ah bravo, arcangelo furbastro, vuoi fregarti tutta la roba
per te, eh? (A Giuseppe) L’asino, l’asino, tira fuori l’asino!
Viene innanzi ’sto asino tutto sderenato, che non sta in
piedi... che sono tre giorni e quattro notti che soffia! (Mima
l’ansimare dell’animale) Ahhh! Ahhh! È scoppiato! La
sant’Anna comincia a caricarlo dei doni, pacchi e pacchetti e
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in aggiunta la Madonna gli monta su in groppa, e Giuseppe:
– Madonna discendi, non ce la fa, crepa!
– Ma io non posso discendere… che se poi la gente non mi
vede sull’asino non capisce che stiamo facendo la fuga in
Egitto!
E allora Giuseppe va sotto all’asino, si carica ’sta bestia, la
Madonna, il Bambino con tutta la mercanzia e parte.
Lungo il cammino dà una scrollata e si libera di tutte le
regalie. Camminando camminando vanno, raggiungono la
costa del mare, poi ancora zoccoli e passi, arrivano a Jaffa.
Jaffa città bianca, grande, con alte torri.
Appena giunti alle porte l’angelo disegna cerchi larghi a
tondo e suona la tromba. L’asino: iaaaap!, la pancia per
terra… una scoreggia: pluuuf! L’anima dell’asino va in
cielo!
La Madonna guarda e dice: – Povera bestia, è morto. Segno
divino. Vuol dire che siamo arrivati!
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Entrano nella città e cercano un luogo al coperto dove
dormire. C’è una stamberga sgangherata, piena di buchi che
[al confronto] la capanna di Betlemme era una reggia.
Il Bambino si addormenta abbracciato a sua madre. E il
povero Giuseppe tutta la notte a tamponare i buchi.
La mattina, come si sveglia, la Madonna prende una cesta e
va intorno a cercar panni da lavare presso la gente perché
bisogna che aiuti anche lei la famiglia. San Giuseppe, anche
lui va intorno con i suoi attrezzi, sega e martello, in cerca di
lavoro.
E il Bambino il mezzo alla strada.
Alla sera dal lavatoio torna la madre con la schiena a pezzi.
Si siede tutta infracicata [fradicia], stanca. E san Giuseppe
rientra imbestialito perché non ha trovato lavoro, non ha
battuto un chiodo.
Arriva il Gesù bambino con il moccio al naso... fin sulla
bocca, tutto strapennato [stracciato], con le mani zozze, le
braghe di traverso, senza neanche una scarpa ai piedi.
– Mamma, ho fame!
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– Ma guarda come ti sei conciato bambino… con tutto il
lavoro che ho, adesso mi tocca pure lavare i tuoi panni!
– Mamma, ho fame!
– Ma lasciami finire, sto parlando a te! Ma non ti vergogni di
arrivare conciato in ’sta maniera?
– Mamma, ho fame!
(Parla precipitando le parole come in un grammelot) –
Sbardòsc resentà a stiàsc sguasciàr e sperónte, te bìrular a
struscià ’me un lifròch, fiól de smarmùsc... – che quando la
Maria Vergine era fuori dai gangheri parlava palestinese
stretto che non si capiva una madonna! (Cambia tono) –
Spiegaglielo tu Giuseppe che lui è disceso dal cielo per
insegnare ai buoni cristiani a dare amore ed essere gentili e il
primo amore che deve offrire è il rispetto per sua madre…
(Al bambino) E tu invece non ti vergogni?!
– Oh, la madonna!
– Giuseppe, hai sentito come risponde tuo figlio? Ti prego,
allungagli [insegnagli] la buona creanza!
– Io?!
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– Certo, tu sei suo padre!
– Io... suo padre?! (Occhieggia intorno perplesso).
Alla fine la famiglia si mette a tavola, si siedono tutti intorno
al desco. C’è il pane nel centro, il Bambino fa per allungare
la mano...
– Eh, sempre con ’sta mano subito! Aspetta! Va che mani
zozze! E fatti il segno della croce prima!… No, aspetta… è
troppo presto! Un’altra volta!
Il Bambino va a dormire, dorme tutta la famiglia.
Al mattino Jesus si sveglia, non c’è la madre, il padre è
sortito, si infila le braghe, prende un tocco [pezzo] di pane, e
va fuori nella strada: ci sono tanti bambini che corrono
avanti e indietro, che saltano, giocano.
– Fate giocare anche me al vostro gioco?… Fatemi
giocare… io sono bravo!
– Va’ via Palestina!
– Ma perché non mi volete? Guardate… io mi metto a far la
cavallina… faccio anche il ladro, il gioco dello schiaffo.
– Va’ via terrone!
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Lacrime a fiotti scendono dagli occhi… gli prende un gran
magone al Gesù bambino.
La madre gli aveva raccomandato: – Attento tu, non far
miracoli che poi i soldati lo vengono a sapere, ti cercano, ti
scoprono e ti accoppano!
Ma era così acuto e fondo il dolore di trovarsi scacciato dal
gioco che doveva per forza inventarsi un piccolo miracolo…
per guadagnarsi un poco la loro amicizia. È andato dove
c’era una fontana con intorno della terra creta… quella per
fare coppi e mattoni, bella, grassa, bagnata. Ne ha preso una
manciata, ha cominciato a lavorarla con ’ste manine sante…
e gridava: – Ehi bambini, ragazzini, venite qui, vi faccio
vedere come si fanno gli uccelli di terra!
(Sfottenti) – Ohi, il Palestina fa gli uccelli di terra!
– Sì, ma poi io li faccio anche volare!
(Gli fanno il verso) – Ehi, il Palestina impasta gli uccelli con
la terra e poi li fa volare! Ma che bravo!
I bambini tutti intorno a guardare sfottenti… e quello
comincia con le manine sante: abbozza il crapino, poi le
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alette, la pancettina, le piume segnandole con un rametto…
prende due stecche di legno e le infila sotto la pancettina del
passero per fargli le zampette. Lo solleva alto su una mano.
– Senza trucco né preparazione, senza nemmeno
un’orazione… un, due, tre, soffio! (Soffia con forza sul
pupazzetto dell’uccellino).
Soffia e l’uccellino di terra ha un brivido, un tremore (unisce
le due mani e le agita, dando l’illusione del passero che
prende il volo) gli si spalancano le ali che sbattono… piu piu
piu piu…
– Vola! Vola! Miracolo! Jesus Palestina bambino fa volare
l’uccellino di terra!
– Ma non dire stronzate! È un trucco vecchio come la
madonna! Il furbastro ha preso un uccellino che è caduto
dall’albero, l’ha intinto nell’acqua poi l’ha impiastricciato di
terra come fosse lui a dargli forma, poi l’ha posato su una
mano, fium soffiata, brivido nel culo, cip cip cip e vola via!
– No, era vero, non c’era uccellino impiastricciato di fango,
non c’era trucco! L’ho visto io. Basta discussioni! Attento…
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prendo un’altra manciata di terra! (Mima di raccogliere un
malloppo di terra e spaccarlo in due) Guarda qua… non c’è
dentro niente, non c’è alcun uccellino! Adesso Palestina
avanti, impasta… fai l’uccellino… attento a non fare
scherzi… attento che se mi fai far mal figura ti mollo un
cazzottone!
Il Bambino Jesus con ’ste manine sante abbozza di nuovo
una statuina.
– Speriamo che mi riesca anche stavolta!
Raccoglie un legnetto per segnare le piume… poi due
stecchini per le zampe. (Mima di creare velocemente la
nuova statuetta) – Uno, due, tre, senza trucco né
preparazione, senza nemmeno un’orazione…
In quel momento dal fondo viene avanti un bambino con gli
occhi neri, i capelli tutto un ricciolo: – Fermo!
– Cos’è?
– Controllo!
– Chi sei?
– Tommaso!
02/10/2012 600
– Tommaso, cominci la mattina presto a rompere i coglioni!
Tommaso prende un chiodo, tium tium, buca la statuetta.
– Va bene, non c’è imbroglio, puoi andare!
– Uno, due, tre, senza trucco né preparazione, senza
nemmeno un’orazione… (Soffia sull’uccellino).
fium! L’uccellino apre le ali… prende vita: piu piu piu!
– Vola! Miracolo! Oh, che fenomeno! Che stregone
meraviglioso! Bravo Palestina! Caro, come ti voglio bene!
(Con tono da sacra investitura) Da ’sto momento il Bambino
Jesus è lui il capo dei giochi! Adesso andiamo a prendere
malloppi di terra e facciamo una grande uccellata di uccelli
come ci pare! Poi appresso, lui soffia, li fa volare e noialtri
ridiamo!
E via, ’sta massa di bimbi pigolando come pulcini e
ammattiti di festa [impazziti dalla gioia], vanno a impastare e
tirano fuori uccelli mai visti! C’è uno che prende un
malloppo di creta, improvvisa un gallinone con una gran
testa… un pancione… con una codina così stitica che manco
la si vede… poi ci mette una stecca per fare una gamba…
02/10/2012 601
un’altra gamba… ma cade in avanti. Un’altra gamba… cade
indietro, sul culo!
– Cinque gambe ci metto!
– Esagerato! Mai visto un uccello con cinque gambe! – dice
Jesus.
– L’importante è che voli!
Un altro fa una biscia a salsiccia con dodici alette tutte
intorno, senza coda, senza nemanco le zampe. C’è un altro
bambino che modella uno stronzone tremendo… non si
capisce dove ha la testa… Un altro fa due stronzettini… Poi
un altro fa una torta con intorno tutte le alette e la testa nel
mezzo. L’ultimo impronta un gatto… bello… con le ali.
– Non si può far volare i gatti!
– Se vola quello stronzone lì, volerà anche il mio gatto!
– No, i gatti non si possono far volare… un po’ di regola!
(Levando la voce) – Mamma! Jesus Palestina non vuol far
volare il mio gatto!
02/10/2012 602
(S’immagina la madre affacciata a una finestra) – Palestina,
fa’ subito volare il gatto del mio bambino sennò vengo giù e
t’inchiodo!
L’attore nei panni del bambino, spalanca le braccia e si
osserva le mani con sgomento.
Il Bambino Jesus solleva il gallinone… soffia (mima via via
il volo dei mostruosi uccelli a cui dà vita): pffuuu quaq quic
quoc qua te pu qua! La salsiccia: pici pete te che si tepe! La
torta: pse psu psu! Lo stronzone: pete te che si tepe! Gli
stonzettini: pce pci pque! Il gatto: pfuuum gniaaaaooo…
gniaamm: si mangia tutti gli uccellini del cielo!
Ohi che bello! Che sghignazzi a crepapelle!
– Un’altra uccellata, avanti tutti insieme!
Tutti che impastano uccelli, che giocano, scoppiano in gran
risate, cantano! E le madri affacciate alle finestre ridono
contente: – Va’ che bravo bambino ’sto Jesus, ha trovato un
gioco che è uno spasso, non si fanno neanche male!
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Ma in quel momento track!: si spalanca il portone della
piazza e viene avanti un ragazzino su un cavallo nero con
finimenti d’oro e argento. Il bambino ha i capelli ben
pettinati, le piume sul cappello, vestito di velluto e di seta
con un collettone di pizzo. Con lui ci sono due sbirri tutti
armati che montano due cavalli bianchi. Quello è il figlio del
padrone di tutta la città.
– Ehi, bambini, a che gioco giocate?
(Sottovoce) – Il figlio del padrone… che rompi coglioni! (A
Gesù) Non dargli retta Palestina, fa’ finta di niente!
– Fate giocare anche me al vostro gioco?
– No!
– E perché no?
– Perché tu coi tuoi cavalli non ci lasci fare nemmeno un
giretto e tutte le volte che veniamo a casa tua che tu hai dei
gran giochi, ci fai sbattere fuori dai tuoi sbirri! Noialtri
adesso abbiamo un gran spasso giocondo, il più bel gioco
del mondo e il Palestina è il capo del gioco. Tu sei ricco, ma
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non hai il Palestina! Palestina è nostro! Vero Palestina?
Palestina non andar con quello… non fare Giuda!
– Ma si può sapere che gioco è?
– Sí… noialtri facciamo uccellini e uccelloni di terra… poi il
Palestina soffia e li fa volare. Vuoi giocare anche tu? Cala le
braghe, soffia sul tuo uccellino, vediamo se vola!
E tutti ridono.
Ma il figlio del padrone non ride. Paonazzo, imbestialito,
con gli occhi fuori dalla testa, strappa una lancia da un
soldato, gridando come un matto, dà di sprone al cavallo,
che piomba in mezzo ai bambini: – Se non gioco io, non
giocate nemmeno voialtri!
zan zan a spaccare con gli zoccoli del cavallo tutte le
statuette di creta.
I bambini scoppiano in un gran pianto… tirano balle di mota
addosso al ragazzino cattivo, ma i soldati, facendo carosello
intorno coi cavalli al galoppo, gridano: – Via! Fuori! Andate
fuori, via! Lui può fare tutto quello che vuole perché è il
figlio del padrone!
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Le mamme alle finestre: – Bastardi! Un gioco così bello…
che non costava niente… i nostri figli erano contenti…
E i soldati: – Via donne! Via che vi arrivano le lance!
pfium pfium!, tutte le finestre si chiudono di colpo.
In un momento la piazza si vuota. Rimane soltanto il figlio
del padrone sul suo cavallo nero con i soldati che
sghignazzano.
Nessuno si era reso conto che vicino alla fontana era rimasto
il Bambino Jesus, con gli occhi grandi, pieni di lacrime…
fissati verso il cielo che si era riempito di nuvole… e
comincia a chiamare suo Padre.
Nell’istante che [in cui] chiama il Padre si ferma tutta la vita,
si ferma il tempo… tutti restano bloccati come statue.
– padreee!
Le nuvole si muovono correndo a girandola… si aprono
lasciando un gran vuoto nel mezzo: broommm!
– padreee!
(Come affacciandosi nel gran vuoto tra le nuvole) – Cosa
c’è?
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– Padre son io… tuo figlio, Jesus Palestina!
– Ti riconosco! Cosa ti è successo?
(Trattenendo a fatica le lacrime) – Ehhh, quel bambino lì è
cattivo, ha spaccato tutte le statuine di terra che noialtri
avevamo fatto per giocare…
– Ma caro bambino, per una stupidaggine del genere devi far
prendere uno spavento così grande a tuo padre? Che mi
trovavo dall’altra parte dell’universo, son arrivato di corsa,
ho bucato quasi duecento nuvole, ho tirato sotto cinquanta
cherubini, mi si è stortato [m’è andato fuori sesto] il
triangolo in capo che si impiega un’eternità a rimetterlo ben
centrato! Non ti vergogni?!
(Singhiozzando e salendo con falsetti a strappo) – Eh... ma
lui è stato cattivo… ci ha spiaccicato tutti i giochi… noialtri
eravamo contenti… rotto tutto… avevo tanto faticato. Ecco!
– Non ho capito niente! Parla chiaro! Cos’è capitato?
(A gran velocità, sempre intramezzando le parole con
singhiozzi)
– È capitato che con la mamma e anche Giuseppe siamo
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arrivati a Jaffa… loro vanno a lavorare… ehh… e io resto
solengo… ihh… allora sono andato… nella piazza…
c’erano dei bambini… ahhhh… loro giocavano e io: fate
giocare anche me al vostro gioco… va’ via Palestina terrone!
Ma io… ihhh… non potevo, non ce la facevo a restare fuori
dal gioco… una tristezza da morire… ahhhh… e allora ho
pensato… faccio un miracolo… uno piccolo… quello di far
volare gli uccelli che è facile e mi riesce sempre bene…
ahhhh… ho fatto volare degli uccelloni tremendi... anche
uno stronzettino, uno stronzone e persino un gatto… dopo
erano contenti! Uno diceva: non è vero… quel Tommaso che
rompe i coglioni… ahhh e tutti dicevano: bravo Palestina,
capo dei giochi. E adesso sono di nuovo solo come prima…
che tutti gli amici son scappati… ehhh... Ho un dolore
Padre… un dolore tremendo! (Grandi singhiozzi tra terribili
sospiri).
– Oh, hai proprio ragione. Devo ammettere che distruggere
giochi gentili come sogni… sfasciare giocarelli impastati
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con fantasia è proprio il peggiore di tutti i peccati. Ma cerca
di capire e fattene una ragione, quello è piccolo, non capisce.
– No, no… capisce, capisce! Quello è cattivo del suo, di
natura. È grave pericolo lasciarlo diventare grande!
– Va bene, diamogli un castigo. Che castigo vuoi gli dia?
(Nell’atteggiamento del bambino soddisfatto che cerca di
formulare una sentenza strepitosa) – Ammazzalo!
(Silenzio: s’immagina un Padreterno sconvolto) – Ah…
cominciamo bene! T’ho mandato giù dal cielo in terra per
insegnare la pace fra gli uomini… parlar d’amore alla gente
che di norma si bastona senza ragione… così che appresso i
buoni cristiani si riconosceranno per il fatto che se uno gli
ammolla un ceffone, quello subito volta la faccia per
accattarsene un altro... e così si danno schiaffoni da mattina
a sera e sono contenti come un dio celeste! Tutto va “a
magnificat” e zom! Arrivi tu e al primo inciampo:
ammazzalo! Non ti vergogni?!
– Eh, ma quello è stato cattivo… m’ha dato un dolore!…
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– Ma perché chiami me per dar castighi? Sei Dio anche tu…
piccolo, un Diottino, ma Dio. Perché mi vuoi tirare di mezzo
in questo giudizio? Ah… l’ho capita bene io la ragione!
Vuoi portare me a far sentenza così che la gente dica: il
Padre è cattivo, ma il Figlio è buono! No, te la sbrogli da te
la tua questione e non venirmi a chiamare più per delle
frescate [fesserie], che ho ben altro da fare!
braaammm! Tutte le nuvole si raccolgono in un gran nembo
[gran nube bassa], tutto il cielo diventa chiaro, il bambino,
figlio del padrone ride di nuovo e anche gli sbirri
sghignazzano da pisciarsi addosso.
Il Figlio di Dio s’avvicina al padroncino e gli dice: – Ridi tu
eh? Perché sei tranquillo che nessuno ti possa castigare,
eh?… (Cambia tono) E se adesso arriva uno e ti castiga?...
– Chi sarebbe quello?
– Io per esempio!… Sono troppo piccolo? Non ho
abbastanza forza per darti una castigata? Ah sì? E se io ti
fulmino?… Ah... non ci credi, eh?
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bruammmm! Dagli occhi gli sorte un lampo di fuoco che
investe il piccolo figlio del padrone e lo scaraventa in aria:
vum! Scoppia un fuoco a gran calore… il bambino si
trasforma in un pupazzetto di terra che cuoce dentro una
fornace rovente... rosso, giallo, arancio. Un bambino di terra
fumante!
Gli sbirri: – Ahaaa! Il figlio del diavolo! – Via che scappano.
Tutte le donne spalancano le finestre: – Lo stregone!, figlio
del diavolo! – E serrano tutti gli scuri.
La Madonna che sta al lavatoio a risciacquare i panni, sente
gridare: – Ah stregoneria!…
Va correndo… giunge alla corte: – Jesus, figliolo caro, cos’è
capitato? Perché la gente grida a tutta voce?
– Non so io. Eravamo qui che si giocava... Guarda mamma,
ho fatto il mio primo miracolo… è ancora caldo!
– Un bambino di terra?! L’hai fatto tu?
– No, no, è lui giusto com’è nato… Era cattivo, m’ha fatto
offesa carogna… Dopo che m’ha sfasciato tutti i giochi l’ho
fatto di terra… una froppata di fuoco: bruciato! Terracotta!
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– Cosa?! Ma non ti vergogni? Dio che crudele che sei! Pensa
cosa capiterà a sua madre quando le porteranno ’sto bambino
di terracotta sulle ginocchia… le lacrime di sangue che le
sortiranno… e le diranno: “È stato il Figlio di Dio, il
Palestina…” Cominci bene! (Perentoria) Resuscitalo!
– No!
– Resuscitalo subito!
– Ecco… non si può fare una roba, che subito devo disfarla!
E poi non sono capace... io ho imparato soltanto a
fulminare... non son ancora capace di resuscitare, mamma!
– Non dir bugie. Fallo per me... per i miei occhi, per ’sto
dolore che mi scanna il cuore… (Implorante) Abbi pietà!
– Mamma non piangere... basta versare lacrime. Lo
resuscito... ma con una pedata! – (Mima di sferrare una
terribile pedata al bambino disteso a terra) pam! Una pedata
al bambino figlio del padrone che si ritrova dritto in piedi...
si sgretola tutta la terra, il sangue ritorna a scorrere nelle sue
vene… respira, respira, è vivo… gli occhi si aprono vispi…
si porta una mano alle chiappe. – Tranquillo… sei vivo!
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(Attonito nel risveglio) – Cos’è capitato?!
– Ti avevo fulminato... e poi... Ringrazia la Madonna! Senti
dolore alle chiappe, eh? Infine devi apprendere che non è
sempre con la prepotenza che si guadagna nella vita... perché
viene il giorno che t’arriva un meschino straccione che ti
castiga a pedate nel culo, per tutti gli altri!
Di botto l’aria si fa limpida e chiara.
Le madri ritornano a spuntare dalle finestre spalancate.
Tutti guardano là in fondo al vialone da dove giunge uno
strambo gridare.
Si scorge, piccolo, un negro che è su un cammello grigio e
dietro c’è un bianco vecchio che dà di sprone a un cavallo
nero. Uno canta e l’altro grida: – Oh che bel che bel che
bello che è andare sul cammello che bel che bello!
– Bastaaa!
– Oh che bel che bel che bel...
– Basta!
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Il duetto ritmato monta di tono, poi si allontana sino a
sparire.
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I GRAMMELOT
GRAMMELOT “LA FAME DELLO ZANNI”
PROLOGO
Prima di proseguire con le giullarate dei misteri medievali,
permettetemi di eseguire un salto in avanti nel tempo e
raggiungere il nostro Rinascimento. Questo allo scopo di
presentarvi il grammelot, cioè il linguaggio del tutto teatrale
inventato dai Comici dell’Arte. All’origine, fino a quasi tutto
il Quattrocento, le compagnie di teatro erano composte da
attori occasionali e dilettanti. Ma a cominciare dalla
compagnia diretta da Angelo Beolco detto Ruzzante – nel
primo quarto del Cinquecento – gli attori cominciarono a
riunirsi in gruppi consociati con tanto di statuto e contratto.
Rapidamente si formarono decine di compagnie regolari e di
teatranti professionisti a Napoli come in Sicilia, a Roma e in
tutto il resto d’Italia. Senz’altro il Veneto con a capo
Venezia vide il formarsi di gruppi teatrali la cui fama
02/10/2012 615
raggiunse ben presto Parigi, Madrid, Londra fino a Mosca e
San Pietroburgo. Quando poi nella seconda metà del
Cinquecento esplose la Controriforma, l’attacco condotto
dalla Chiesa verso gli intellettuali liberi colpí duramente
anche le compagnie di attori associati, cioè i teatranti della
Commedia dell’Arte che spesso godevano della protezione
politica e finanziaria dei principi nelle città dove aveva sede
d’origine la loro compagnia. Quei commedianti vennero
costretti a una vera e propria diaspora. Furono centinaia le
compagnie che dovettero emigrare in tutti i paesi d’Europa:
Spagna, Germania, Inghilterra. La maggior quantità di quei
teatranti si stabilí nella Francia.
È ovvio che la maggior difficoltà era quella di farsi intendere
dagli abitanti di quei paesi che non conoscevano la nostra
lingua. È vero che i Comici dell’Arte possedevano
insuperabili doti di gestualità ed erano veri maestri della
pantomima, ma dovettero creare qualche cosa che
permettesse loro di esprimere piú profondamente il discorso
del gioco satirico e tragico che andavano proponendo.
02/10/2012 616
Cominciarono con l’impiegare un linguaggio che potremmo
definire pseudo-maccheronico, cioè composto da sproloqui,
apparentemente senza senso compiuto, infarciti di termini
della lingua locale pronunciati con sonorità e timbri
italianeschi. Via via si perfezionarono fino a impiegare, oltre
a una straordinaria gestualità, suoni onomatopeici che
realizzavano l’immagine delle azioni o stati d’animo a cui si
voleva alludere.
Questo gioco imponeva agli spettatori l’impiego di una certa
dose di fantasia e immaginazione che produceva loro
l’insostituibile piacere dello scoprirsi intelligenti.
In Francia le compagnie dei “Gelosi” e dei “Raccolti” furono
tra le prime a sviluppare questo genere di rappresentazione.
Ma ancor prima della “cacciata” quei comici si erano già
esercitati nel loro paese nel gioco di reinventare “idiomi
foresti”.
Il grammelot piú antico è senz’altro quello dello Zanni. Lo
Zanni è il prototipo di tutte le maschere della Commedia
dell’Arte, padre di Arlecchino, Brighella, Stenterello,
02/10/2012 617
Sganarello ecc… però, a differenza di quasi tutte le
maschere che hanno nomi e comportamenti inventati, questo
ha un’origine reale.
Zanni era il soprannome che fin dal xv secolo i Veneziani
davano ai contadini provenienti da tutta la Lombardia, il
Piemonte e le province del Garda e dell’Adda. In particolare
i villani di Brescia e Bergamo venivano chiamati “Giani” o
“Joani”. Questi antenati dello Zanni assursero all’attenzione
della cronaca in conseguenza dell’esplosione di un
fenomeno straordinario che si sviluppa in quel periodo: la
nascita del capitalismo moderno. Pochi lo sanno, ma il
capitalismo moderno è nato in Italia. Quando insieme a
Franca si recitava negli Stati Uniti, da Boston a New York
fino a Washington, ogni sera provavo un senso di incredibile
orgoglio nello svelare agli spettatori americani che banche,
carte di credito, cambiali sono tutte nostre invenzioni, cioè
della nostra borghesia mercantile del Cinquecento.
Il nuovo capitalismo viveva soprattutto sul movimento di
denari legati alle guerre di conquista coloniale; i banchieri
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erano cosí importanti che si potevano permettere di donare le
proprie figlie in spose a re di tutta Europa, come successe
alle figlie dei de’ Medici di Firenze. Senza l’apporto
determinante delle banche italiane, in particolare di quelle
fiorentine, l’America non sarebbe stata scoperta o almeno
sarebbe stata scoperta piú tardi.
Il nuovo continente non ha il nome di Colombo suo
scopritore, ma di Amerigo – Amerigo Vespucci – capitano,
figlio di banchieri e banchiere egli stesso. È sintomatico che
“America” abbia origine proprio dal nome di un banchiere.
A cavallo della Controriforma Venezia gode di uno
straordinario sviluppo: le terre conquistate o acquistate
grazie all’apporto delle banche in tutto il Mediterraneo
fruttano ricchezza sia in denaro che in derrate alimentari,
derrate che invadono i mercati della nostra penisola
causando grandi sconquassi. Infatti il prezzo delle merci
offerte era talmente basso che i contadini non riuscivano piú
a vendere i propri prodotti. Cosí questi Zanni disperati
abbandonarono le loro terre e si riversarono nelle città e nei
02/10/2012 619
porti piú ricchi del Nord, in particolare a Venezia. In
grandissimo numero gli Zanni scesero a Venezia con le loro
donne a cercare lavoro; accettarono i lavori piú bassi dallo
svuotare latrine al facchinaggio al porto, si adattarono al
ruolo di sottoservi, quasi schiavi. Le loro donne, oltre che
ricoprire il ruolo di serve e sguattere, si dedicarono alla
prostituzione. Il numero delle prostitute in quel tempo, a
Venezia, cresceva a vista d’occhio tanto che
l’amministrazione della repubblica cominciò a preoccuparsi
seriamente e indisse un’inchiesta.
È quasi automatico: ancora oggi il governo, quando
esplodono calamità che turbano l’opinione pubblica,
immediatamente indice un’inchiesta… Poi non se ne fa piú
niente, ma l’importante è di aver dimostrato buona volontà.
In seguito a quest’inchiesta, la Repubblica di Venezia scoprí
che la bellezza dell’undici per cento dell’intera popolazione
era dedita alla prostituzione. Detto cosí non fa neanche tanta
impressione, infatti nessuno di loro ha accusato sorpresa o
brivido… anch’io, come ho letto questa notizia su un testo di
02/10/2012 620
storia, non mi sono impressionato piú di tanto: 11 per cento
è una quantità abbastanza accettabile, ma bisogna saperle
leggere le inchieste analizzate correttamente spesso infatti
riservano sorprese terrificanti. Proviamo infatti a rileggere
insieme questa percentuale. Cosa vuol dire 11 per cento
dell’intera popolazione? Dunque in quel tempo la
popolazione era salita a 160000 abitanti… quindi
cominciamo col dividerla in due parti, ottantamila maschi
mettiamoli da un lato… si prostituivano anche loro, ma in
modo del tutto particolare; poi abbiamo ottantamila
femmine, da cui bisogna togliere le anziane, le donne
vecchie, ma proprio quelle decrepite perché non appena
stavano in piedi: un po’ di rossetto, due cuscini a far da tette
qui… e via che funzionavano che è un piacere! Poi togliamo
le bambine, quelle col moccio ma, come rimanevano in piedi
da sole, andavano bene anche loro. Poi abbiamo le suore, le
religiose… per favore, mettiamole da parte senza far ironia o
sarcasmo, non è proprio il caso! Infine abbiamo le ricche, le
aristocratiche, le nobili che si prostituivano anche loro, ma…
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a prezzi inaccessibili. Ebbene, il restante numero delle
femmine corrisponde proprio all’undici per cento dell’intera
popolazione. Tutte!!
Una delle situazioni tragiche che hanno portato allo
splendore il capitalismo moderno sono sempre state le crisi.
Il fenomeno aumentava le differenziazioni che già
esistevano, gente che navigava nella ricchezza e gente
ridotta alla fame. “La fame dello Zanni” è il titolo di questo
brano e il personaggio che io vi presento è uno Zanni, un
facchino delle valli di Bergamo e Brescia senza lavoro che
da giorni non tocca cibo.
Il comico che per primo s’è cimentato nel rifare il verso allo
Zanni disperato per la fame non era certo in grado di
esprimersi nell’autentico volgare della bergamasca: una vera
e propria scarica di suoni gutturali con aspirate e grugniti.
Né tanto meno lo avrebbe potuto comprendere il pubblico
che assisteva alla sua esibizione.
Perciò il comico doveva inventarsi uno sproloquio che
potesse ricordare il linguaggio dell’alta valle lombarda. Ora
02/10/2012 622
mi vado a esibire in questo grammelot. Ogni tanto
indovinerete espressioni del dialetto padano con sciabolate
di provenzale, catalano e, tanto per gradire, qualche termine
napoletano. Non preoccupatevi se all’inizio non vi riuscirà
di afferrare tutto il discorso. Vedrete, miracolo!, che dopo un
po’, con meraviglia, riuscirete a intuire tutto… anche quello
che io non pensavo di dovervi dire.
LA FAME DELLO ZANNI.
(Lo Zanni barcolla, si muove come un ubriaco. Le
espressioni in carattere maiuscoletto sono tutte invenzioni
onomatopeiche) greulot, nachí stulò me tengo ’na fame, ’na
sgandúla che pe’ la desperasiún u zervèl me stròpia a sgròll.
Deo che fàme! Gh’ho ’na fame che me magnaría anca un
ögio (mima di cavarsi un occhio) e me lo ciuciaría ’me
’n’òvo. (Succhia l’immaginario uovo) Un’örégia me
strancaría! (Fa il gesto di strapparsi un orecchio) Tüti e dòi
l’öregi (esegue e li mastica con avidità) ol naso cavaría.
02/10/2012 623
(Esegue) Oh, che fame tégno! Che me enfrocaría ’na man
dinta la bóca, ziò in tòl gargaròz fino al stómego e caò in
pratosciò guiu (mima tutta l’azione) e stroncaría da po’ le
büdèle, tüte le tripe a stroslon fragnao (mima di cavarsi le
budella tirandole fuori attraverso la gola, quindi le arrotola
sul braccio) stropian cordame – srutolon. (Finge di strizzarle
per ripulirle dalle feci. Scuote la mano nel gesto di liberarsi
da tanta zozzeria) Merda! Deo quanta merda de repién!
(Soffia come in un lungo tubo e ne ottiene un pernacchio dai
timbri grevi e profondi con contrappunto di falsetti scurrili)
fruuoooh… sproh… fesciouaaah… trifihiee! (Scuote
l’immaginaria budella, come fosse una canna di gomma,
quindi inizia a masticarla e ingoiarla come fosse una
interminabile salsiccia. Mastica e commenta felice) sgnagui
que brossolo smagnasent lüganegosa… gne, gna gnitraguí.
(Rutto finale emesso con soddisfazione. Si accarezza il
ventre salendo fino alla gola. Deluso e disperato) Ohi, la
fame che tégno! Me magnarèsse i monti, le valàde, le nívule.
(Punta lo sguardo in alto lontano) E bon par ti, Deo, ch’et sit
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lontàn! At magnaría tüto ol treàngolo in sü la crapa, i
cherubèn d’entórno. (Pausa, poi ridendo crudele) At gh’hai
pagüra, ah?! (Si rivolge al pubblico come scorgendolo solo
in quell’istante) Ohi, quanta bèla zénte!… smonluat
specandot… me voraría sciernír i pí tenerín e pœ ciuciàrmei
fin a i òsi.
Deo che fam! straguonante! (Barcolla) Mòro! Sento
strabocàrse le büdèla che sbate come campane en drofegnam
direndon direndooola. (Muove fianchi a sbattere e fa
oscillare il ventre. All’istante si blocca e si guarda intorno
sorpreso) En do son mi? Còssa che m’è capitò? Una
cusína?! Son deréntro a ’na cusína imbostonàda de stuvíe,
padèle, pentolón e marmíte… ohi!, gh’è anca roba da
cusinàre! Presto (quasi dandosi ordini) cata ’sta marmìta-
paiolón, piàsalo sul fœgo strabuscént che svúrgula. Àgua!
(Mima di afferrare un bacile e rovescia acqua nel paiolo sul
fuoco. Agita un gran ventaglio per ravvivare le fiamme)
Fœgo, fœgo… bòja! De tüti i diàvuli, sprugít fiàme
d’enfèrno… büje! blic bloc blic. Sale! ’Na bèla salàda grosa
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(esegue), la canèla. (Mima di afferrare un bastone da polenta
e con quello agita l’acqua) Vaí! Sbordéla, che mó te dago de
grignire. (Fa il gesto di afferrare un sacco e lo solleva)
Pulénta… oh, santa pulénta, mais spulentàt. (Rovescia il
contenuto del sacco nel paiolo. Nello sbattere il sacco,
questo gli cade nella gran pentola) Ohi demòni! Me
tromborlà ol saco in tèl bujón! (Afferra il bastone e con
quello tenta di ripescare il sacco. Non ci riesce) Maladícto
sacón, végne fœra! Sòrte! No’ ti vòl sortír? Bòn, búje
puranco, bestia! Te magno anca ti. (Rapidissimo abbandona
il bastone e afferra un mazzo di rami secchi, li immerge nel
fuoco, li ritira incendiati e li infila in un immaginario camino
alla sua sinistra) Fœgo, fœgo… (Sempre dandosi ordini) ’Na
padèla basa par ol sofrìto su ’sto fiametón incaloràdo…
(Agita la padella e vi rovescia qualcosa) Œli, sóngia, bütíro.
(Mima di aggiungere i sapori) Ali, scigöla, rosmarí… sbati,
salta. (Abbranca la padella e con grande abilità fa saltare il
soffritto, afferra qualcosa da un ipotetico tavolo) Càrna!
Carnàsa santa morbedósa… (afferra un coltellaccio) a tòchi!
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(Mima di calare fendenti rapidi sul pezzo di manzo. Ritrae
veloce la mano che tiene la carne e la osserva preoccupato)
Bòja! Per ’na sfírzola no’ me tajàvo un dido… L’üngia: me
son tajà giòsto l’üngia! (Raccoglie i tocchi di carne e li
scaraventa nella padella. Quindi la solleva facendo volare la
carne per poi riprenderla da gran giocoliere) Diaol inzopà!
Me burlà tüto! (Si china, raccoglie i tocchi di carne da terra e
li ributta nella padella) Vino! (Mima di afferrare una piccola
damigiana e versa il vino nella padella, si ritrae come
aggredito da una fiammata di vapore. Quindi annusa) Che
parfümo! Bòn, bòn che aprèso te magno! (Si ricorda
all’istante della polenta. Afferra il bastone e lo rigira dentro
la marmitta) Zira, sgorlàssa pajón brucugnànt! (Si rigetta
sulla padella e la agita mentre con l’altra mano rigira la
polenta. Sculetta con natiche e ventre per darsi il tempo)
strúja, sbàcchia, smena svalugné scorievò. (Come ispirato,
lascia ogni cosa per spostarsi alla sua destra dove mima di
attizzare un altro fuoco. Ci pone sopra una pentola e
rapidissimo versa strutto e altri ingredienti per prepararsi
02/10/2012 627
un’altra pietanza gustosa) Gràsa de purzèl, bògna de stüsa,
arborí canèla… (Vi getta velocemente ogni ingrediente come
in un rito religioso. Mima di rincorrere un pollo) Pulàstru
végne chi-ló… che t’ha scüèli. (Allunga il braccio e con
velocità da gatto afferra il pollo e gli torce il collo. Emette
grida disperate da pennuto scannato) caiecooo sgriee
iocchireche… tock! (Si osserva la mano destra dopo uno
scatto repentino) S’è stacà: gh’ho strampà nèto la crapa! (Si
porta l’immaginaria testa del pollo alla bocca e in un sol
boccone la divora) Bòn! (Getta il pollo nella pentola e la
solleva con scatti da maestro cuoco. Uno sguardo rapido
all’altra padella dove sta cuocendo la carne. Allunga un
braccio, afferra il manico della padella e ne fa saltare il
contenuto. Agisce in contrappunto anche con l’altra mano.
Girando netto sul dorso, afferra il bastone e rimesta la
polenta, ma le pentole sono tre e lo Zanni può agire solo con
due mani. Quindi spregiudicato, come fosse prassi normale,
si infila il bastone fra le natiche e agitando le medesime
continua a far saltare padella e pentola eseguendo una danza
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davvero spassosa) stralup pelosoo vuoi, vuoi, balengo
patrafé spigní, vuoi, vuoi! (Con scatti rapidi abbandona
quella danza, afferra la padella del primo fuoco e rovescia il
manzo stracotto dentro il paiolo della polenta, vi infila il
bastone e rimesta con forza, gridando) ah, pulentún, carnàssa
svergula impastò! (Quasi come indemoniato si avventa
sull’altra pentola) Polàstro, a végni… te magni straculò!
(Afferra con le mani il pollo, ma si scotta) Ohi, che
brusatàda! La furzína sgnack. (Infilza il pollo con un
forchettone. Quindi afferra un coltellaccio e mena fendenti
verticali sul pollo) A tòchi te fago polún anca a ti… strac
strazac! Bòja ol dido, me son tajàt ol dido! (Mima di
raccogliere il pezzo di dito che è rotolato a terra. Lo avvicina
al tronco mozzo piagnucolando) Ol me dido, poarèto
destacà! No’ gh’ho pí el dido. (Lo osserva, lo solleva
avvicinandolo al viso quindi, voracissimo, se lo mangia)
Bòn! (Versa anche i pezzi di pollo nella marmitta della
polenta, infila il bastone e lo agita sbattendo il pastone
succulento. Afferra i manici del gran paiolo, pianta bene i
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piedi a terra, lo solleva e inarcando le reni e spingendo il
ventre in avanti, porta alla bocca il marmittone. Emettendo
gemiti di piacere, si ingoia tutto il pastone fumante. Posa a
terra il paiolo svuotato a mezzo, afferra il bastone e lo passa
sui bordi della marmitta per raccogliere il restante
papocchio. Si porta alla bocca il bastone a mo’ di mestolo
una, due, tre volte ripulendolo bene dal cibo; alla fine per
l’ingordigia di mangiarsi sino all’ultima briciola che sta sul
bastone finisce con l’infilarselo tutto in gola. Lo Zanni resta
per un attimo impalato con gli occhi sbarrati. Si agita, dà
botte a scatto col ventre, il petto e le natiche finché
finalmente riesce a fare a pezzi il palo ingoiato, digerendolo
con gran rutto finale. Perplesso si porta le mani alla bocca ed
esclama) Pardon! (Una lieve pausa. Lo Zanni lentamente si
risveglia. Si guarda attorno stralunato, si palpa il ventre).
L’è staíto un insognamento… (Lamentoso, addolorato) Tüto
sojamente un suégno. No’ è vera, no’ gh’ho magnào… (si
guarda la mano) nemanco ol me dido m’e magnò! (Piange)
stuveico smalarbeto vignon! Imparchè m’è faíti ’sti
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schersamenti de bofonería. (Piange ed emette un lamento
quasi infantile) ehiee, ohieee. (Il lamento si trasforma nel
ronzio acuto di un moscone) vuheee vuhiii. (Lo Zanni lo
segue con lo sguardo mentre l’insetto fastidioso gli vola
d’appresso. Il moscone compie evoluzioni beffarde intorno
al suo naso, poi allarga i giri e se ne va. L’insetto sembra
sparito, ma ritorna piú insolente che mai e va a posarsi sul
naso dello Zanni che resta bloccato con gli occhi che si
incrociano sulla sua canappia. Le dita di una sua mano
s’arrampicano lentamente lungo il collo mentre quelle
dell’altra scendono dalla nuca. Cercano di circondare il
moscone, impedendogli ogni via di fuga: veloce la mano che
sta sulla fronte scatta e afferra l’insetto infame. Sprizzando
gioia inaudita lo Zanni urla) L’ho catào! L’ho catào! (Sbircia
fra le dita serrate ed esclama radioso) Bello! (Torna a
sbirciare, quindi al pubblico) Grosso, grasso! (Infila due dita
della mano libera fra quelle dell’altra chiusa a trappola.
Mima di estrarre, stretto fra due dita, il moscone. Lo mostra
al pubblico con gesto trionfante) Va’ che bestia! (Stupefatto)
02/10/2012 631
Che animàl! (Gli stacca una zampina e la mostra) Un
parsiütto! Va che giambón sbrigulànte! (L’azzanna, mastica
vorace e ingoia goloso mugolando per il piacere. Quindi
afferra l’altra zampetta e la descrive) Ohi questa che
grassonàssa! Straprosiütto d’un gambetón! (Lo sbrana con
sospiri e deglutisce ispirato. Considera la carcassa
dell’insetto ed esclama) Oh, le alíne… béle… quatro alíne!
(Le stacca delicato e le inghiotte rapido. Assapora) Bòne…
dolze! E gh’è dei disgrasió che i büta via! (Osserva ispirato
quel che rimane dell’insetto) Che petorón: questo me lo
magno tüto entrégo! (Mima di afferrare da una saccoccia una
piccola saliera. La scuote come per cospargere il succulento
boccone di sale. Quindi lo porta alla bocca, lo ingoia, lo
mastica lento come per goderne lo straordinario sapore.
Mugola a ogni masticata ed emette un grido quasi a imitare
un orgasmo da infarto. Deglutisce, con un gran sospiro si
batte una gran manata sul petto e trionfante se ne va
esclamando) Che magnàda!
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GRAMMELOT DI SCAPINO
PROLOGO
Si conoscono anche frammenti di imitazioni satiriche di altre
lingue: grammelot in spagnolo, in arabo, in inglese e
naturalmente in francese. Come abbiamo già accennato la
Francia, in particolare Parigi, era diventata la seconda patria
dei comici italiani che avevano ottenuto addirittura il
privilegio di poter @recitare in un teatro della corte reale.
Anche il più grande autore e attore del teatro francese,
Molière, usava il grammelot (vedi Il Medico per forza e Il
Medico volante) e in alcuni casi se ne serve per ‘escamotare’
la censura.
Molière, formatosi sul modello dei comici dell’arte, voi
sapete, è sicuramente il più grande autore della Francia, uno
dei più geniali commedianti di tutti i tempi, e godeva
dell’appoggio straordinario di Luigi XIV, cioè a dire del Re
Sole in persona, che lo sosteneva proteggendolo contro gli
attacchi di vescovi bigotti e cortigiani reazionari, ma appena
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il re si spostava dalla corte di Parigi ed era costretto in certi
casi a uscire dai confini del suo Paese per risolvere questioni
politiche e spesso militari, ecco che Molière si trovava
spiazzato e alla mercé di tutti quei nobili e potenti, che
bloccavano le sue rappresentazioni e minacciavano lui e la
sua Compagnia di mandarli sotto processo o addirittura di
eliminarli fisicamente.
Nel brano che ora vado a presentarvi e che proviene da
canovacci della Commedia dell’Arte si ritrovano due
prototipi che sono all’origine di due famosi fatti teatrali. Sto
parlando del Tartufo e del Don Giovanni.
Sinteticamente, questa è la storia di un giovane ricco, figlio
di banchieri, rimasto orfano all’improvviso del padre, uomo
potente, grande finanziere e politico scaltro e spregiudicato.
La chiave scenica prende avvio dal momento in cui il
giovane rimane solo a dover gestire l’immenso potere che ha
ereditato. Purtroppo si è finora completamente disinteressato
del mondo degli affari e della politica: non ne conosce né il
gioco, né le regole. A questo punto, entra in scena Scapino,
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vecchio servo, il classico primo Zanni della Commedia
dell’Arte, sapiente e scaltro: sarà lui il precettore del giovane
signore.
Inizia così la lezione: Scapino, esprimendosi in grammelot,
detta le prime regole fondamentali del comportamento, a
cominciare dal modo in cui un vero signore debba
addobbarsi, esibire un’appropriata gestualità, camminare,
usare toni vocali ed espressioni corporee.
Descrive le normali parrucche che i nobili sono soliti calzare
in quel tempo (siamo nel Seicento): erano veri e propri
ammassi rotoluti di capelli con ghirigori, annodamenti
riccioluti. Esiste il ritratto di un nobile del tempo esposto al
Louvre: possiamo ammirare la parrucca del signore che
fuoriesce addirittura dalla cornice: infatti ai due lati sono
poste tele di minor dimensione che raccolgono il resto dei
riccioli strabordanti.
Infine Scapino invita il giovane apprendista a gettare la
propria parrucca alle ortiche e ad annodarsi i suoi veri
capelli sulla nuca. Quindi descrive l’enorme mantello che i
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nobili sono usi trascinarsi appesi alle spalle con gran fatica e
avverte il giovane del tragico pericolo che quel mantello
rappresenti in caso di vento, vento che a Parigi, specie in
primavera, soffia con violenza inaudita, gonfiando le cappe
dei ricchi nobili banchieri e politicanti sollevandoli in aria
fra le grida degli astanti. (Lieve pausa). E molti di questi
banchieri politici non son più tornati… li stanno aspettando
ancora. Penso che questa moda del grande mantello
dovrebbe essere assolutamente ripristinata nell’attuale
mondo della politica e degli affari!
Eccovi quindi il testo e l’azione del grammelot francese di
Scapino.
GRAMMELOT DI SCAPINO.
(Come nel precedente brano le parole in carattere
maiuscoletto sono invenzioni onomatopeiche).
greton seu flaran estell brié a sa piserre mitand leo faià
pigné…
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Fate attenzione, non c’è una sola parola che significhi
qualcosa. Questa è appunto la regola dell’autentico
grammelot! Al massimo è concesso di pronunciare termini
che alludano a oggetti o persone, non di più.
Vi voglio ricordare a tal proposito il mio debutto in Francia
con questo monologo: è avvenuto circa venticinque anni fa.
Ero stato invitato a recitare alla Salle Guèmier*, uno dei più
prestigiosi teatri di Parigi. Avevo deciso di aprire la mia
esibizione proprio con il “Grammelot di Scapino”. Mi ero
detto con una certa presunzione: “Se ha funzionato cinque
secoli fa con i Comici dell’Arte, funzionerà anche con me!”
Appena mi son trovato sul palcoscenico, sbirciando in
platea, ho riconosciuto nelle prime file alcuni volti di uomini
e donne famose: c’era Sartre con la Bouvoir, Leger, Pivar,
Hostionsky, Matieux, e il direttore del T.N.P. nonché una
caterva di attori, attrici e registi del Teatre du Soleil e della
Comédie Française. M’è preso un colpo! Anzi, il classico
crack del commediante: all’istante mi è sparita tutta la saliva
dalla bocca, mi son sentito arrivare sangue gelato sul cranio
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e le ginocchia hanno cominciato a franare… colpo di reni
e… “Vai che sei solo!” Ho presentato a gran velocità,
parlando un francese approssimativo, ambiente e situazione
del grammelot in questione e dopo una breve camminata da
Zanni disarticolato, fingendo di rivolgermi al giovin signore,
mio allievo, ho iniziato il monologo. Agitando le braccia e le
mani, descrivevo la parrucca e i boccoli fluttuanti. Per
encelle stillocà o bignar et fliseuax… plignorelle catifur à
bisses criar et plan de sofise pistognar du palaux! Gli
spettatori, quella gran massa di eruditi, eccelsi intellettuali e
geni del colore e del palcoscenico, mi stavano tutti
guardando attoniti con gli occhi sbarrati: non un sospiro, non
un sorriso… completamente pietrificati. All’istante qualcuno
ha esclamato ad alta voce: “Splendido questo francese del
Cinquecento!” È scoppiato un grande applauso con risata.
Ero salvo! Ma proseguiamo col nostro Scapino. (Descrive
mimicamente il turbinio dei riccioli che gli si arrampicano
letteralmente sul viso, graffiandogli il naso e gli occhi fino a
rinchiudersi in una morsa che lo soffoca) pituan, rigeull
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smalifuor, spt trapit pirtap… (Sputa, ansima, smoccola. Si
strappa la parrucca dal capo e dal viso. La getta via urlando)
Pas de parruques, sa suffi avec ce sgruscinar peteaux! Ce
suffi de lie le chevaux sur la nüc… (Mima l’azione di
raccogliersi i capelli e annodarseli dietro il capo. Quindi
accenna un procedere tronfio) Promenade a la spilusce,
grabbié slotent prevoire. (Scivola leggiadro sui piedi e
articola le ginocchia con fremiti e scatti repentini. S’arresta e
si rivolge al pubblico) Questa è la camminata imposta
dall’eccessivo “decore” di gran moda in quel tempo:
merletti, fronzoli e dantelle. Ricorderete senz’altro il
costume del Re Sole: un lungo sbuffo sulle maniche, trine
finemente ricamate sul petto e intorno al collo montanti fino
alle orecchie e dietro la nuca… un prurito da impazzire! Il
che causava il classico scatto di testa del sovrano del tutto
simile alla sbirellata di collo di uno stallone. E ancora trine e
dantelle che fuoriescono da sotto la camicia e riprendono a
metà delle brache per rispuntare fra le calze a fondo gamba.
Insomma, un’invasione di merletti torti e ritorti… la qual
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cosa causa immancabilmente seri drammi ai nobili
soprattutto quando necessitano di evacuare, pardon… fare
pipì. Eccoli rovistare disperati fra le brache alla ricerca del
mezzo conduttore del liquido urico, ma ahimè, riesce a
espellere dal pertugio pantalonico solo trine, nastri e
merletti! Alla fine disperato, si abbandona alla piacevole
sensazione di farsela addosso, quasi godendo estatico
dell’intima sgocciolata… ma sempre con inimitabile dignità!
Quindi eccolo muoversi nella camminata tronfia che
accennavo all’inizio… (Esegue la camminata con scivolata e
fremito ad ogni passo e frulla il piede onde far sgocciolare il
caldo liquido sciacquoso) Oh, le plaisir spetuiant chez ris
pilé svilor! (Cambia repentinamente tono: minaccioso. Mima
di estrarre una spada e di sfidare a duello un rivale) A vous,
mesieu scarisce tuiar, mentenon je scarelle carneux et
priquet! (Esegue un affondo e ritira la lama, la netta con le
dita, quindi se la porta alle labbra e assaggia il sangue del
nemico) Pas mal! (All’istante si sdoppia e torna nel ruolo di
Scapino maestro) No, c’est empossible ce creant bissot. Sa
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souffit! Pas de violence! (Pausa). Direct! Il faut aller
doucemente avec allure gentille… c’est qui sont ces ioe
ouvert urrible e ce crier befard de belve ropignant?
(Riproduce l’espressione di un despota orribile, prepotente e
sanguinario che sgrana gli occhi, gonfia il petto e gesticola
aggressivo) No, no, ce n’est pas possible! Il faut être
humain, civil, delicat! Les iet il faut les ceré petite de
miop… (riproduce lo sguardo di un Pantalone decrepito,
quasi cieco. Curva la schiena e avanza strascicando i piedi)
petit glissant pur tigneur pantouflé. (Fa immaginare
l’incontro con un gruppo di bambini. Li accarezza, li solleva
fra le braccia, li sbaciucchia) Oh petites… les enfants, oh
j’aime les petites enfantes… J’aime les greneulle, les jolies
jambons! (Mima di distribuire del denaro) Prenez-vous
l’argent, l’argent pour chacun de vous! (Poi ci ripensa si
guarda intorno e aggredendo i piccoli si riprende ogni
moneta) C’est a moi l’argent! Pas des cadeux a les pissars!
(Esegue una giravolta su se stesso mimando di sbattere in
aria un enorme mantello alla maniera di un torero) Manteau,
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oh l’enorme manteau! (Con un gran gesto si avvolge nel
mantello e ci si trova prigioniero. Mima di recidere, dal di
dentro, il mantello con un pugnale) Ah, ce orrible paniscu
que me garotte a la gorge! (Si sistema l’immaginario
mantello sulle spalle e cammina con fatica trascinando il
drappo che scende fino ai piedi) Le vent mon Dieu, le vente
qui pusse tempête sgragnant i prufisaaaar betieux! (Imita il
soffiare acuto del vento e allargando le braccia allude al
mantello rigonfio che lo trascina nell’aria) Aideme moi! Je
suis en traint de prend le vole, trivall auheammm… quelq’un
che m’aide, aide moi! (Mima l’allontanarsi del nobile come
appeso a una vela) Il monte pregnille ca la fair specot…
quelq’un qui m’aide!… (Fa immaginare il montare nel cielo
del nobile volante. La sua immagine si rimpicciolisce sempre
più fino a scomparire. L’attore emette un grido che si fa
sempre più acuto e sottile. Punta il dito verso l’alto a
indicare e seguire la caduta del nobile appeso al suo
mantello fino all’istante in cui si schianta al suolo)
aiehhiiii!… pof (Pausa). Fotut!
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GRAMMELOT DELL’AVVOCATO INGLESE
PROLOGO
Forse il più famoso grammelot recitato dai Comici dell’Arte
è quello detto “dell’avvocato inglese”. In questo brano viene
satireggiato il mondo dei tribunali e dei processi. Per evitare
guai con la censura, si spostava tutto al di là della Manica,
come facevano i romani con la trovata di far svolgere ogni
loro commedia satirica in Grecia.
Degli avvocati inglesi si diceva che con la loro arguzia e
dialettica erano in grado di cavare dalla forca gli impiccati
già appesi.
In particolare l’avvocato in questione si trova a difendere
uno stupratore incallito, un maniaco erotomane, con la fissa
della violenza carnale. Infatti non è la prima volta che si
ritrova inguaiato sotto l’accusa di violenza alle femmine, ma
fino ad ora se l’è sempre cavata grazie a una legge detta
della regina, legge di cui noi abbiamo già parlato poco fa a
proposito di “Rosa fresca aulentissima”, la giullarata di
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Ciullo d’Alcamo, dove per la prima volta si nomina la
defènsa o difesa, cioè il salvataggio dello stupratore risolto
con il pagamento di una tassa sborsata a gran velocità
all’atto in cui sopraggiungono i parenti o gli amici della
vittima, pagamento effettuato al grido: “Viva lo imperador,
grazie a deo!”
Anche in questo caso, per la legge istituita dalla regina
Elisabetta d’Inghilterra, non appena lo stupratore, sorpreso
in flagrante, aveva sparso il denaro ai piedi della donna, chi
si fosse permesso di torcergli un capello veniva impiccato al
primo albero sulla sinistra o destra… a scelta.
Non è la prima volta che un processo per stupro viene
rappresentato su un palcoscenico. Già nel Quattrocento Jill
Vinçente, un autore portoghese che ha studiato a Roma e qui
ha imparato la tecnica di realizzare satire e farse, tornato al
suo Paese, mise in scena spettacoli satirici che a quel tempo
si chiamavano “moralità”. Questo nome, Jill Vinçente, è
abbastanza difficile da pronunciare. A parte la J iniziale di
Jill, dove bisogna sgarrare con la gola col rischio di far
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sortire un vero e proprio sputacchio che immancabilmente
colpisce lo spettatore della prima fila, la vera difficoltà sta
nel pronunciare il nome di Vinçente (preme sulla ç e t): qui
il suono è prodotto dalla lingua che si fa sortire quasi ad
affacciarsi fra i denti. Quindi, nell’istante in cui si serrano i
denti uno sull’altro, bisogna rapidamente estrarre la lingua
evitando di troncare la punta della stessa che vedremmo
saltellare vispa sulle tavole del palcoscenico. Forse, questa è
la ragione per cui Jill Vinçente è poco conosciuto come
autore.
Jill Vinçente mette in scena un processo intentato contro un
frate accusato d’aver fatto violenza a una giovane contadina,
esuberante, prosperosa, splendida di fattezze. La contadina
stava raccogliendo nel proprio campo le spighe… spigolava
insomma, ripetendo con armonia questo gesto che è classico
della raccolta. (Esegue, inchinandosi fino a terra e
muovendo un passo innanzi a ogni flessione) Il povero frate
che passava di lì leggendo il breviario e ad ogni brano
volgeva gli occhi al cielo a nulla pensando se non ad
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armonie celesti, a un certo punto viene irretito da quella
specie di danza erotica, con i glutei portati al vento in un
evidente ritmo di offerta sessuale.
Ritmo questo, che fa letteralmente impazzire i frati! Tant’è
che il sant’uomo, preso da quelle flessioni, ha cominciato a
sua volta a oscillare e ripiegarsi in basso... in alto... Poi,
travolto dentro quella diabolica danza, si getta arrampante
addosso alla contadina, violentandola... sempre ritmando
ossessivo!
Dunque, il frate è trascinato in tribunale e processato. Al
termine del dibattito, il giudice, un vescovo, ordina che la
contadina sia frustata nuda in mezzo alla piazza e sentenzia
che essa sola debba essere ritenuta colpevole dell’avvenuto
stupro, poiché, con quella sua gestualità provocatoria nel
raccattare spighe, ha indotto il povero frate a farle violenza.
Una sentenza che oggi ci fa solo ridere: siamo ormai lontani
da quell’assurda logica... Mica tanto! Infatti, ancora ai nostri
giorni, davanti a uno stupro si va ripetendo il vecchio
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tormentone che la femmina aggredita, a ben valutare, è
sempre responsabile della violenza che subisce.
Non so se vi rendete conto ma, proprio in questi giorni,
leggendo fatti di cronaca, notiamo una certa recrudescenza
di crimini a sfondo sessuale. Ma quello che più ci stupisce
sono i commenti di molte persone, perfino donne, a questo
proposito. Io ho ascoltato, gente che si dice democratica,
esprimere concetti a dir poco aberranti. Costoro iniziano
quasi sempre così:
“Vi dirò con la massima schiettezza, personalmente, quando
vengo a sapere di gruppi d’energumeni che in quattro,
cinque, sequestrano una povera ragazza indifesa e la
violentano, io scusate, ma sono per la pena di morte. Poi
però ci ripenso, sono democratico quindi dialettico, non mi
posso certo lasciar trascinare da una soluzione di vendetta
definitiva, truculenta! La ragione entra in me, e allora io dico
e ammetto che, anche se senza rendersene conto, certe
ragazze agiscono in modo provocatorio, tanto da indurre il
maschio a produrre gesti violenti!” E poi continuano: “Ci
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sono delle fanciulle che incoscienti escono di casa in
giornate di gran vento, con lunghi capelli sciolti; vento che
sbarlazza ogni cosa, specie le loro chiome, che raggiungono
quasi il fondo schiena, e che quei refoli turbicanti muovono
come bandiere impazzite... e si sa che il capello sbandierato
è un richiamo irresistibile per il maschio!”
Ancora, ci sono ragazze che fanno lo “sbarlùscio” con gli
occhi, cioè, sbatucchiano le palpebre, le ciglia, producendo
anche piccoli lampeggi a fremito. Non c’è uomo al mondo
che non si senta vibrare e trascinare irretito da una simile
magia.
La ragazza per bene quando incontra lo sguardo di un uomo
ecco come si atteggia: occhio sbarrato... sguardo vitreo,
attonito… Questa è l’espressione della ragazza per bene...
con la bocca leggermente aperta, da imbesuita.
Ma il comportamento più provocatorio e incosciente è quello
espresso da certe ragazze, specie dell’ultima generazione.
Ragazze che espongono alcuni loro attributi devastanti con
assoluto candore, senza rendersi conto della pericolosità di
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quella esibizione. In poche parole, queste giovani donne
hanno il seno!... Lo so che è un attributo del tutto naturale...
ma quelle hanno il seno... e respirano! (Mima il leggero
movimento del petto) Ah! Ah! Il seno fermo, è risaputo, è
del tutto inespressivo, non provoca alcuna sollecitazione
erotica. È l’oscillazione del seno il grande richiamo, e queste
sono così incoscienti da arrivare di corsa ansimando in un
crocchio di ragazzi: “Oh cari, vi ho cercato dappertutto,
dove vi eravate cacciati?” (Recita tutto a gran velocità,
sbrodolando, il discorso nell’ansimare) La ragazza per bene,
nell’istante in cui si ritrova in un gruppo ansima velocissima
a tergo... quindi riprende l’atteggiamento statuario. (Respira
velocemente voltandosi di spalle) Ah, ah... E l’onore è
salvo!
Altre effettuano risate che sono veramente disastranti! Risate
con serpeggiamenti in biscrome altissime da procurare vere e
proprie frustate da vibrazione emotiva da schiattare!
Poveri maschi!
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Ragazzi che sono lì intorno a una moto Kawasaki, Onda, che
la leccano quasi con l’occhio... passa la ragazza incosciente
e velenosa (esegue in falsetto acuto una risata da clarinetto
in la minore) “ihahahahahuhuhuh!!!” Il ragazzo (esegue una
specie di nitrito che si trasforma nel chicchirichì finale del
gallo in calore): “aihiehaii!!!” E succede il disastro.
Ma le più terribili sono senz’altro quelle ragazze che escono
la sera all’imbrunire... cala il sole... e loro, oplà!, evadono,
sciamano per le strade. Questa è la più grossa delle
incoscienze perché la ragazza per bene, se deve sortire
all’imbrunire, esce accompagnata dalla madre, dal padre, da
un fratello e dal cognato armato di mitra e bombe a mano!
(Esegue la pantomima di togliere la sicura a una bomba a
mano e di lanciarla. Quindi ne imita l’esplosione,
sghignazzando soddisfatto) plo pupupupupupum!
E quando è obbligata a uscire da sola se incoccia il crocchio
di ragazzi, ecco come cammina la ragazza per bene...
(Esegue la camminata torcendo il busto e claudicando) Deve
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fare schifo, la ragazza per bene!! Così il ragazzo guarda,
bloop, vomita a lato e la ragazza è salva!
Nella nostra storia abbiamo il giovane signore aristocratico
che nel violentare una giovane donna è incappato in una
terribile disgrazia: la ragazza appartiene a una famiglia di
alto lignaggio, più nobile e più ricca della sua. In questo
caso non esiste più nessuna gabella di “defènsa” che lo possa
salvare. È trascinato in processo e rischia la pena di morte
per impiccagione e squartamento come era di regola allora
per i violentatori di basso rango. Qui salta fuori veramente la
straordinaria forza, l’alta dialettica e la grande maestria di
cui è dotato il nostro avvocato inglese. Come si presenta
questo personaggio? Descrive lo stupratore come dedito
esclusivamente agli studi, traduttore di classici greci, romani
ed ebraici, perennemente immerso nella lettura, sommerso
da libri e come pausa di ricreazione invece di lanciarsi allo
sgavazzo danzando e corteggiando femmine in batteria coi
suoi amici, si inginocchia e ringrazia il Signore. Prega il
Signore con tanto impeto e ardore che il Creatore in persona,
02/10/2012 651
commosso, scende affacciandosi dalle nuvole… allora in
Inghilterra il Signore scendeva molto in basso!
In contrappunto, vedremo invece la carica erotica di questa
ragazza, una macchina di sensualità al punto che voi stessi
giudicherete come poteva il giovane Lord resistere a tanta
provocazione erotica.
Io eseguirò questa “difesa” in grammelot inglese, ma non
farò il verso all’inglese attuale, bensì mi riferirò al
linguaggio antico, quello cosiddetto classico di Shakespeare
e degli elisabettiani. Personalmente, io credo di essere un
vero e proprio fanatico di quel linguaggio. Anche quando mi
trovavo qualche anno fa a Londra, nelle serate in cui ero
libero dal dover salire sul palcoscenico, entravo nei teatri, e
mi ascoltavo rappresentazioni, naturalmente shakespeariane
ed elisabettiane in genere… non capivo quasi niente, ma ho
appreso alla perfezione la musicalità, i ritmi e le cadenze di
quella lingua antica. Quindi questa sera quelli che
conoscono l’inglese usuale, moderno, non avranno grosse
soddisfazioni, ma coloro che conoscono i classici del
02/10/2012 652
Rinascimento elisabettiano avranno godimenti eccelsi… non
so come dirvi… orgasmi multipli… intellettivi naturalmente!
GRAMMELOT DELL’AVVOCATO INGLESE
(Esegue un grammelot inglese descrivendo il giovane
sommerso da libri che sfoglia grandi volumi e riscrive, su
altri codici, la traduzione, non smettendo mai di
commentare, nella lingua anglosassone improvvisata, le
orazioni che va compiendo. Con grande velocità, riordina i
volumi e si rivolge al cielo ringraziando il Signore per il
dono di grande intelligenza che gli ha elargito. Mima il
Signore affacciato alle nubi che lo ascolta estasiato.
Terminata l’orazione solleva le braccia al cielo e intona un
canto mistico, imitando il fraseggio canoro di quel periodo,
con acuti e tonalità basse cariche di grande commozione. Nel
finale, alla maniera dei grandi tenori, si inchina al Creatore e
a un immaginario pubblico di santi che lo applaude.
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Quindi, come in un gioco di prestigio, trasforma il
personaggio al femminile e fa immaginare la nobile giovane
intenta a pettinarsi i lunghi capelli, a seguire ne descrive gli
occhi con le ciglia che sbatucchiano in continuazione. Di
seguito disegna l’armonia del suo collo slanciato, scendendo
fino al petto… si arresta a indicare i seni tondi, mossi
dolcemente dal respiro. Quindi, oltre i seni, descrive la vita
sottile della ragazza e l’esplodere dei fianchi e dei glutei.
Accenna a un incedere quasi danzato e il movimento
flessuoso e ritmico dei glutei e delle anche in contrappunto a
quello dei seni che alludono a un’esibizione di erotica danza
orientale.
Ecco che ora fa immaginare la ragazza intenta a bussare alla
porta del giovane aristocratico. Vediamo il ragazzo
rivolgersi, quasi implorando la giovane Lady perché non
insista in quella esibizione di ritmica devastante alla quale
sente di non poter porre più alcuna resistenza. La ragazza
insiste in un crescendo diabolico a esibire i seni rigogliosi, a
eseguire movimenti flessuosi con le anche e sbatucchiando
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inesorabilmente le proprie ciglia. Il giovane Lord chiama la
madre disperato, quindi si rivolge a Dio, ma ecco che il
creatore affacciato alla nube sghignazza eccitato e
soddisfatto applaudendo l’esibizione spudorata della Lady.
Senza mai rallentare lo sproloquio inglese, l’avvocato ora
descrive la danza di seduzione della giovane che cresce in un
vero e proprio strip-tease culminante con una tremenda
sollevata di gonne, trine e sottogonne da can can. Il giovane,
ormai vinto, quasi piangendo, inizia a spogliarsi dei propri
abiti, si cala le brache e si getta ululando fra le braccia della
ragazza che, in un primo tempo, sembra travolta e disperata,
ma ecco che con un grido quasi trionfante, accetta festosa la
violenza: “Oh, yes”).
Buio.
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GRAMMELOT NAPOLETANO DI RAZZULLO PROLOGO
Un altro efficace e spassoso grammelot è senz’altro quello
napoletano. Ve ne propongo un frammento dove un
Razzullo-Pulzenella dichiara di voler far pace con la sua
donna che lo ha sorpreso ad amoreggiare con una rivale. La
“Femmena amorosa” sta alla finestra e lo accoglie con insulti
e lancio di ogni ben di dio. Cerca di colpirlo con vasi,
addirittura con una sedia e per finire gli lancia l’odoroso
contenuto d’un pitale.
Ascùltame burruttélla méa, core che strùllega
enpazzulillo! Tu ce hai raggióne: sóngo uno fetiénte, ma io
vorséve veghé intravièrso la gielusìa tòja quanto me vò’
bbène.
Sì, tu c’hai raggióne! Allùcca, strùffala, ensùltame… quanto
me piàsce! Ye! Tu me sta pallàndo d’ammore. (Scansa al
volo un vaso) E chell’è chisto ‘nu vaso e fiore pe’ mme?!
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Quanto si bella! Bella e còre! (Porta la mano alla nuca
massaggiandosi) E no! ‘Na pétra no, chisto è ‘n’errore!
(Raccoglie qualcosa per terra)… Oh, nu’ l’è ‘na pétra: è ‘na
pigna! Che zentìle ségni me lanzi dello bene tòjo! (Si scansa
di nuovo) e mò che d’è chisto? ‘Na carrega?! Ell’è pe nu’
famme restà ritto en péde? Ammàbbile signora… m’assètto
e té cuntèmplo! (Poi all’istante si rizza in una giravolta
improvvisando una danza e canta) Starrùppia, svilla e
fràcca, lu òcchi tòje s’anzìcca spurra calore e carrùcca
làgreme zuoiose spretùcca. Prille, prille! Carabìllu
scaratìllu de ‘sto tòo rizùllo! Remìra quanto è bello e
cetrùllo scaracàllo… gallo strichìllo ammóre zinno… zinne
d’amore téne! Cumme pomi d’Afrudìte. Cucca! Cuciàcca!
Du paradiso sgnàcca… zinne sciollóse, chiappe pollóse,
vócca de ceràsa, vàsame, che moro accà!
Ehiee (si scansa con uno zompo) e che d’è ‘st’annacquata
che m’ha enfrascicàto la capa, la fazza e cuòrpo sano?!
Chióve all’amprovvìsa? (Raccoglie da terra un oggetto e lo
osserva) Isto è ‘nu pitale, ‘nu càntere (si annusa il braccio,
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si netta la faccia e annusa la mano) Maravéglia
struppettósa… chista è orina frisca! (Si volge con la faccia
all’insù verso la finestra) ‘N’angelo de lu cielo m’ha
mannàto ‘sta roggiàda! È ‘no tòo spisciàcchio, ammóre? Tu
té ce sei mongiùta ‘sto piscio addoràto e udoróso, apposta
pe’ famme presente dellu bbene tòo, ammóre, ammóre che
chióve làcreme de cielo! (Saltella e inizia una danza da
tarantella con canto appassionato)
Basastrélla attraciùcca la tarantella pe’ té mi danze.
Tutta mé pìja ‘stu crillu frezzànte.
L’ànzelo méo ha pisciàto all’estànte!
TRADUZIONE
Ascoltami burratella [burrosa] mia, cuore che si strugge
impazzito! Tu hai ragione: sono un fetente, ma io volevo
vedere attraverso la gelosia tua quanto mi vuoi bene.
Sì, tu hai ragione! Strilla, batuffolo... insultami... quanto mi
piace! Ye! Tu mi stai parlando d’amore. (Scansa al volo un
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vaso) E cos’è questo? Un vaso di fiori per me?! Quanto sei
bella!
Bella di cuore! (Porta la mano alla nuca massaggiandosi) Eh
no! Una pietra no, questo è un errore [hai sbagliato]!
(Raccoglie qualcosa per terra) Oh, non è una pietra: è una
pigna! Che gentili segni mi lanci del bene tuo! (Si scansa di
nuovo) E ora che cos’è questo? Una sedia?! È per non farmi
restare ritto in piedi? Amabile signora... mi siedo e ti
contemplo! (Poi all’istante si rizza in una giravolta
improvvisando una danza e canta in grammelot, intercalato
con parole di senso compiuto) Starrùppia, svilla e fràcca, gli
occhi tuoi s’anzìcca spurra calore e carrùcca lacrime gioiose
spretùcca.
Prille, prille! Carabìllu scaratìllu de ’sto tòo Rizùllo! Rimira
quanto è bello e cetrùllo scaracàllo... gallo strichìllo ammóre
zinno... zinne d’amore tiene! Come pomi d’Afrodite. Cucca!
Cuciàcca! Du paradiso sgnàcca... zinne sciollóse, chiappe
pollose, bocca di ciliegia, baciami che muoio qua!
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Ehiee (si scansa con uno zompo) e che è ’st’annacquata che
mi ha infradiciato la testa, la faccia e il corpo sano?! Piove
all’amprovviso? (Raccoglie da terra un oggetto e lo osserva)
Questo è un pitale, un cantero [vaso]. (Si annusa il braccio,
si netta la faccia e annusa la mano) Meraviglia struppettosa...
questa è orina fresca! (Si volge con la faccia all’insù verso la
finestra) Un angelo del cielo m’ha mandato ’sta rugiada! È
un tuo spisciàcchio, amore? Tu ti sei munta ’sto piscio
adorato e odoroso apposta per regalarmi il bene tuo, amore,
amore che piove lacrime dal cielo! (Saltella e inizia una
danza da tarantella con canto appassionato, in parte in
grammelot)
Basastrélla attracciùccala tarantella per te io danzo.
Tutto mi piglia ’sto grido frizzante
L’angelo mio ha pisciato all’istante!
GRAMMELOT “CADUTA DI POTERE”
PROLOGO
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Esiste un grammelot che sviluppa il tema della “caduta del
potere” a cui fa cenno uno studioso straordinario di teatro
popolare: Vito Pandolfi, autore della preziosa raccolta di
canovacci e testi della Commedia dell’Arte.
Il grammelot lombardo-veneto si propone di raccontare la
sequenza del trapasso con tragica agonia di un uomo di
grande autorità e ricchezza. Il giullare dovrà presentare la
scena, i personaggi dei parenti afflitti, degli amici, dei
postulanti, dei prelati, banchieri, soldati e capitani… tutti
protesi a fingere cordoglio, disperazione e pianto interrotto
da qualche sghignazzo soffocato con fatica. Appaiono donne
che gridano, svengono sorrette a stento da famigli e uomini
illustri. Il tutto contrappuntato da lamenti e laceranti
singhiozzi. Alcuni medici esprimono opinioni e diagnosi via
via sempre più disperate.
Prelati di alto e basso rango transitano dentro e fuori la
camera dell’infermo seguiti da chierici con turiboli
oscillanti. Sembra di assistere alla dipartita di un doge, di un
regnante, di un grande banchiere o un potente uomo politico.
02/10/2012 661
La grande invenzione scenica sta proprio nel particolare che
il morituro non appare mai: sono i personaggi del coro che
ce lo fanno immaginare nella stanza attigua.
Ognuno, come più gli aggrada, può anche vederci il crollo di
un potente partito politico o addirittura di una intramontabile
egemonia.
Il giullare fabulatore si pone dritto, immobile sulla scena in
un gran silenzio. Con movenze rallentate mima di sbirciare
curioso al di là della porta, si ode un’imprecazione e lui
rapido si ritira facendo immaginare di esservi scacciato.
Ecco che dalla porta esce un servo che fa intendere di
reggere un pitale. Il curioso chiede notizie, il servo gli dà da
annusare il pitale (espressione disgustata), il servo getta il
contenuto del pitale dalla finestra e subito si ritrae: qualcuno
grida dal di sotto bestemmiando. (È ovvio che il gioco
mimico che permette al pubblico di immaginare i due o più
personaggi in azione impone una notevole agilità e un
mestiere quasi stregonesco). Il curioso s’affaccia alla finestra
e zittisce. Entra un medico che vuole a sua volta annusare il
02/10/2012 662
resto dell’urina. Il servo rientra nella stanza del moribondo,
esce con altri pitali. Pantomima che fa immaginare un
gruppo di sapienti intenti ad analizzare l’urina: assaggiano
intingendo un dito, quindi versano in bicchieri il liquido e
accennano a un brindisi, infine distrattamente bevono.
Sputacchio generale.
Grido fuori scena di una donna: tutti che accorrono a
sorreggerla, la donna cade di schianto trascinandosi il
gruppo al suolo. Giungono i prelati, quindi un chierico col
turibolo: roteando il turibolo percuote un medico che perde
la compostezza e il sussiego. I prelati chiedono informazioni
al capo dei medici e il sapiente descrive la situazione: con
gesti appropriati fa apparire il corpo dell’ammalato su un
tavolo. Descrive i vari organi: il cuore batte tamburellando
tempi altalenanti, stop e aritmie da accompagnamento
musicale per una danza. Il gran medico agita le braccia,
muove i piedi e le anche come in una pavana. Quindi ritorna
a descrivere il corpo del nobile paziente: mima di affondare
mani e braccia dentro il suo ventre. Ne estrae organi vari che
02/10/2012 663
osserva e butta; quindi cava budella e le va riavvolgendo sul
braccio alla maniera dei marinai con le funi. Come preso da
follia, spoglia con rapidità il corpo di tutti i suoi organi e li
getta per aria riafferrandoli e facendoli roteare intorno come
un giocoliere e in gran fretta lo ricompone, quindi allarga le
braccia e in grammelot sentenzia: “Non c’è più niente da
fare. È fottuto, da buttare!”
I prelati levano le braccia in segno di sgomento e dolore;
accennano un lieve sproloquio che vuole esprimere il
cordoglio per la perdita di un sì grand’uomo. Il prelato
maggiore recita un’omelia nella quale ricorda le
straordinarie gesta del morente: eccolo cavalcare un
destriero in battaglia, sfoderare una spada per tagliare in due
il mantello e lanciarne un brandello a un povero. Eccolo
quindi intento a distribuire denari a disperati con gesti da
seminatore… ripensarci, chinarsi velocissimo, riprendersi il
denaro e scacciare quegli accattoni. Abbracciare una donna,
baciarla, possederla, scacciarla, acchiapparne un’altra dalla
quale viene scacciato a sua volta. Ora lo vediamo piangere
02/10/2012 664
disperato, scagliarsi come un Moro di Venezia sulla
fedifraga e scannarla. Poi raccoglierla e intonare un solenne
miserere.
Infine la porta si spalanca ancora e in grammelot il giullare
annuncia la morte del Signore. Gran respiro, pausa…
cicaleccio che si trasforma in un riso sempre più sonoro fino
allo sghignazzo che a sua volta si tramuta in una festosa
tarantella.
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Per questa nuova edizione di Mistero Buffo 2000 abbiamo
creduto opportuno inserire nei vari prologhi dello spettacolo
alcuni commenti satirici sugli avvenimenti che si sono
avvicendati nel nostro Paese dal 1969 ad oggi.
LA GUERRA DEL GOLFO*
PROLOGO a Mistero Buffo
Mistero Buffo è nato la bellezza di trent’anni fa. In tutto
questo tempo si sono ripetute migliaia di rappresentazioni
(oltre cinquemila). Come mia abitudine nel prologo
immancabilmente accenno agli avvenimenti e ai fatti di
cronaca. Ricordo che quando, nel ’69 scoppiò la bomba a
Milano alla Banca dell’Agricoltura, in piazza Fontana, ho
improvvisato un intervento in chiave grottesca sul modo
tutt’altro che scientifico con cui si stavano svolgendo le
inchieste di polizia. Indagini nelle quali si indovinava
chiaramente come nell’attimo stesso in cui saltava per aria la
02/10/2012 666
Banca, gli inquirenti avevano già stabilito che i terroristi non
potevano essere che gli anarchici.
Ne arrestarono alcuni.
Poi abbiamo assistito al suicidio – si fa per dire – di
Giuseppe Pinelli, e di seguito ci siamo sorbiti i caroselli del
trasferimento dei processi come pacchi in varie città del Sud.
Si può dire che ogni settimana mi trovavo costretto ad
aggiornare la cronaca dei fatti. Da quella sequenza di
prologhi è poi nato Morte accidentale di un anarchico.
Una variante del genere mi è anche accaduta abbastanza di
recente durante la guerra del Golfo. Per darvi un’idea chiara
dello stile e del genere di improvvisazione, tra tanti, abbiamo
scelto proprio l’intervento di quel conflitto con massacro
finale annunciato e realizzato. Eccovelo.
Così iniziava lo spettacolo.
Eccomi qua, sono entrato in proscenio addirittura prima che
si aprisse il sipario… Potete prendere posto con comodo,
senza inciampare e senza calpestare piedi altrui.
02/10/2012 667
Sono veramente distrutto: ieri sera, sul tardi, ho beccato la
notizia della guerra nel Golfo come una mazzata, e sono
rimasto alzato fino alle quattro e mezza per seguire i servizi
delle varie reti, soprattutto straniere. Stamattina mi sono
alzato presto per ascoltare le ultime notizie. Sono stravolto.
Poco fa, in camerino, ho ricevuto un’ulteriore mazzata
ascoltando in diretta il discorso a reti unificate che ha tenuto
l’onorevole Cossiga, nostro presidente della Repubblica.
Discorso che voi avete potuto evitare, dal momento che
eravate già qui in platea. In chiusura il presidente augurava
buon viaggio ai nostri militari che stavano imbarcandosi
sulle ultime navi. In particolare si rivolgeva a quelli partiti in
anticipo che a giorni avrebbero raggiunto le postazioni di
combattimento: “… fatevi onore, – diceva. – Il Parlamento
all’unisono si unisce a me nel saluto. Ricordate che voi
rappresentate l’Italia e le Nazioni Unite in questo conflitto
che si realizza con l’intento di proteggere la democrazia e la
libertà di tutto il Mediterraneo!”
Per non parlare dei pozzi di petrolio, aggiungo io.
02/10/2012 668
Già avevo accusato notevole sgomento nei giorni massimi
della tensione quando lo stesso presidente in un discorso
appassionato aveva quasi urlato: “… per l’Italia si può
morire!”, che fa proprio il paio straordinario con “… chi
muore per la Patria, vissuto è assai!”… di mussoliniana
memoria; impeto retorico, che certamente i più anziani di voi
ricorderanno pronunciato al ritmo di sventolanti gagliardetti.
Questo rigurgito “patriottardo” dove si esalta la morte come
liberazione verso la gloria, mi strizza lo stomaco. È un
genere di retorica guerrafondaia che costringe uno
leggermente ateo come me a ritrovarsi in perfetta sintonia
ideologica con quanto va dicendo in questi giorni il
Pontefice, cioè sul fatto che ci troviamo di fronte a una
guerra senza ritorno, che non porterà a nessuna risoluzione
definitiva e giusta, che anzi… le cose peggioreranno per
quanto riguarda la situazione già disperata delle popolazioni
del Medioriente e che questa soluzione del distruggere e
punire per educare è una soluzione da tabula rasa che porterà
maggiori lutti di quanti possiamo immaginare. Questo
02/10/2012 669
discorso del Pontefice che è stato ripetuto due o tre volte dai
telegiornali, certamente non è stato preso in considerazione
da una gran massa di politici che si dichiara profondamente
cristiana e che non manca mai a una messa, si confessa e si
comunica prima e dopo il caffè.
Il campione di questa kermesse di credenti distratti è
senz’altro Giulio Andreotti che tranquillamente tira fuori con
un’ipocrisia degna del miglior Tartufo: “… il nostro esercito
non si sta cimentando in una guerra, ma partecipa a
un’operazione di polizia…” Differenza molto sottile.
Siccome il furbacchione ricurvo sa bene che noi abbiamo
una Costituzione che recita: “L’Italia non può intervenire in
un conflitto a meno che la nostra Nazione non venga
minacciata o aggredita sul proprio suolo o su quello dei
propri alleati”, ecco qui che ti inventa che noi non andiamo a
insozzarci in una trucida guerra, ma partecipiamo a una
semplice operazione di polizia, con qualcosa come diciotto
tonnellate di esplosivo gettate in cinque ore, cioè la stessa
02/10/2012 670
carica deflagrante che determinò la storica catastrofe di
Hiroshima.
Voglio ricordarvi che i bombardamenti in atto su Baghdad
vengono chiamati in gergo Nato “operazione chirurgica”, ci
si assicura cioè che vengano colpiti gli impianti militari ma
nessun civile, ivi compresi asini, cammelli e animali da
cortile in genere. Ma si sa, però “… incidentalmente,
qualche bomba o qualche razzo può uscire dalla traiettoria…
siamo uomini, seppur militari!” Così un commentatore della
radio svizzera da Baghdad ha dichiarato che per questi
insignificanti errori di lancio e tiro si deve già lamentare la
morte di diecimila civili di ogni età e ceto. Tutti, ben
s’intende, musulmani.
A questo punto interviene uno spettatore: “Basta, per favore,
siamo venuti per vederla e sentirla recitare, non per ascoltare
un comizio”.
Sono mortificato signore per averla irritata: la mia intenzione
era solo di offrire al pubblico alcune osservazioni in forma
02/10/2012 671
satirica, oltre che manifestarvi la mia indignazione per
questa caterva di infami ipocrisie che ci tocca ingoiare ogni
giorno a garganella. Ripeto, mi spiace che lei signore si sia
risentito, ma evidentemente oso indovinare che lei si ritrovi
qui, in questo teatro, per la prima volta ad assistere a un
nostro spettacolo, altrimenti lei saprebbe bene che da anni
noi mettiamo in scena ogni testo facendolo sempre precedere
da una chiacchierata sulla diretta attualità. Un commento
essenziale per legare la satira della rappresentazione vera e
propria con il grottesco, spesso tragico, della cronaca dei
fatti che stiamo vivendo.
Voglio informarla oltretutto che il nostro non è uno
spettacolo digestivo, dove il pubblico viene, s’allunga
spaparanzato sulla poltrona e ordina a noi attori: “Fammi
ridere!” Mi dispiace deluderla, ma le assicuro che
personalmente sono un cittadino come lei, che oltre a
recitare, ha il diritto di manifestare le proprie idee anche qui
sul palcoscenico, che è il mio spazio naturale. E lei, caro
amico, a sua volta ha il diritto di non condividerle, e magari
02/10/2012 672
di chiedere la restituzione del biglietto che ha pagato.
Personalmente, ad ogni modo, la ringrazio di questo suo
intervento poiché mi dà il pretesto di sottolineare qual è
l’intento del prologo che ho appena recitato. Ribadisco:
realizzare un aggancio logico con il testo di Mistero Buffo
vero e proprio e farvi intendere che quello che stiamo
vivendo si è già perpetrato, con qualche variante, secoli
addietro nel Rinascimento, come nel Medioevo.
Proprio una strana guerra questa del Golfo! Un’altra
situazione davvero grottesca è quella dei preservativi. C’era
il problema di preservare le canne delle mitragliatrici, dei
fucili, delle pistole... in quanto, se l’interno delle canne si
riempiva di sabbia, c’era il pericolo che l’arma scoppiasse...
spari... è intasato dalla sabbia... blocca il proiettile... che
esplode tempestando di schegge la faccia di un povero
soldato! E allora su ogni mezzo da tiro si è pensato di
infilare un preservativo... ed era una visione oscena! Ho
potuto osservare alcune fotografie che ci hanno mostrato i
giornalisti francesi, di queste armi con le canne ingoiate da
02/10/2012 673
enormi preservativi, infilati anche su mitragliere da venti
millimetri.
Dove avranno acquistato quei profilattici… allo zoo degli
elefanti? Ma io m’immagino i primi iracheni che si sono
beccati i colpi di proiettile sparati dai marines, ancora avvolti
nel preservativo, che per la fretta gli yankee manco li
avevano sfilati… toh... un proiettile con il condom!
Davanti a una situazione tragica come questa che stiamo
vivendo, d’istinto sono portato ad andare a rileggere
cos’hanno scritto di situazioni analoghe gli antichi. Fra tutti i
commentatori sarcastici sui conflitti scritti al tempo dei
greci, quelli di Aristofane mi sembrano i migliori: fanno
esattamente il canto e controcanto satirico ai fatti e antefatti
di questa guerra: Aristofane aveva scritto e messo in scena la
bellezza di quattro opere sulla guerra, in particolare la Pace.
Magnifica.
E cosa ho ritrovato? Le intuizioni paradossali di cui non
m’ero accorto quando lo avevo studiato da ragazzo.
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I discorsi che blaterano i politici ateniesi, tesi a coinvolgere
la loro città restia a entrare nel conflitto già in corso
scatenato da Sparta contro le polis nemiche. Sono gli stessi
identici discorsi che abbiamo sentito pronunciare dai nostri
uomini di governo: “La pace è una cosa sacra e non
bisognerebbe mai violarla, ma in questo momento noi
dobbiamo rompere ogni indugio e unirci ai nostri alleati
perché altrimenti facciamo la figura dei soliti vigliacchi,
femminucce, e ci scopriamo come un popolo mancante di
dignità”. Tutti i discorsi e anche i luoghi comuni, fotocopia
di quelli riportati da Aristofane. Soltanto che ne la Pace del
grande satirico c’è il personaggio di un capo che a un certo
punto urla: “Mi avete commosso! Siete arruolati tutti!” E
loro, questi politici, uno muore sul colpo, l’altro ha un
coccolone e rimane con la paralisi eterna, l’altro se la fa
addosso, due scappano e tre svengono sul momento.
Pensate come sarebbe stato bello poter fare lo stesso con i
nostri dirigenti politici, cioè alzarsi e poter dire: “Ok. Vi
arruoliamo!”
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Immaginate Spadolini arruolato nei mezzi da sbarco anfibi…
osservatelo con attenzione: è esattamente un gommone della
San Marco… un mezzo da sbarco, sdraiato, i marines sopra
con la pagaia che vanno nel golfo... oppure Giuliano Ferrara
mezzo cingolato... con ’sto pancione bolublublu, con le
bretelle da lancio toccheta per lanciare bombe; oppure
Forlani, già mimetizzato colore neutro paglierino... sabbia...
sempre giallino, tale che nudo nel deserto non lo vedi più.
(Chiamandolo ad alta voce) “Forlani???” Non c’è!
Poi Craxi non c’è bisogno neanche di mettergli un elmetto,
basta fargli una riga (accenna alla fronte) qua e lui è già
corazzato.
Poi, mezzo terroristico di persuasione occulta, Giulio
Andreotti, basta sollevarlo da una duna iiihaaaa, tutti si
arrendono. Fra l’altro, avete saputo che il Giulio ricurvo
stava per partire la sera del bombardamento? Sì, è vero: il
giorno in cui hanno bombardato Baghdad lui, alle sei del
mattino (nessuno era al corrente si stessero accingendo a
quell’operazione di massacro totale), era stato incaricato da
02/10/2012 676
tutti i ministri degli Esteri europei e naturalmente anche dai
presidenti, di tentare l’ultima chance, cioè di recarsi da
Saddam Hussein e di convincerlo a nome dell’Europa a
ritirarsi dal Kuwait... e l’ha dichiarato lui stesso. Alle sei era
a Ciampino con un aereo speciale che doveva partire
immantinente. “Alt! Fermi tutti, – il capo del controllo ha
bloccato il decollo, – c’è un piccolo guasto, un’inezia: è un
bullone che regola il tubo di riscaldamento che si è svitato e
non troviamo come sostituirlo, ma adesso lo mandiamo a
prendere, tempo due o tre ore ci siamo”.
Infatti, avvitato il bullone del tubo, all’una l’aereo è pronto
per prendere il volo e si avvia verso la pista di decollo… ed
ecco: “Ri-alt! Fermi tutti!”
“Un altro tubo?”
“No, onorevole, non si può partire perché Baghdad è sotto il
bombardamento: ventimila tonnellate di bombe che stanno
buttando gli americani”.
E così, grazie a un ritardo del tubo, Andreotti ha scampato di
ritrovarsi proprio nel bel mezzo del cataclisma. Pensate
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voi… tutto per una vite di tre millimetri. Quando si dice la
fatalità! Ecco che la disgrazia o la salvezza di un popolo può
dipendere da un semplice bullone che ti avvitano nel… tubo!
FINE
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fine alla nascita del giullare
L’allusione sarcastica, di origine patronale, che definisce il
villano privo d’anima e quindi più simile a un animale che a
un essere umano, ci fa venire in mente un altro personaggio
che nasce dalla fantasia popolare e cioè: l’uomo selvatico.
Una specie di troglodita scatenato che ritroviamo spesso fra
le maschere durante il Carnevale, nelle farse medievali
rappresentate, sia in campagna che nelle città, ad opera del
popolo minuto.
Il buffo “omo selvaticus” era ben noto a Tristano Martinelli,
il comico della Commedia dell’Arte che, alla fine del ‘500,
creò in Francia la maschera di Arlecchino.
Infatti, l’Arlecchino primordiale non si esibisce con saltelli e
capriole aggraziate come sul genere dello Zanni goldoniano,
al contrario si muove e agisce con zompi e gutturalità da
scimmia triviale e aggressiva.
In uno dei primi canovacci, Arlecchino defeca nel bel mezzo
del palcoscenico, va palpeggiando, spudorato, ogni donna
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che è in transito, perfino un prete che scambia per una
femmina, per via del sottanone.
Le maschere dei vari dottori, avvocati, gentili dame e
cavalieri della “Compagnia”, mostrano di divertirsi a quei
lazzi e gli dimostrano simpatia e tenerezza, lo coccolano, lo
nutrono, lo esibiscono perfino a Corte. Ma ecco che pian
piano, il “selvatico Zanni” si addomestica, si trasforma in un
essere più umano, quasi civile, dimostra di avere idee
proprie, originali.
A questo punto Arlecchino non interessa più, non diverte...
anzi è fastidioso. Infatti, quando al fine si presenta, educato,
a chiedere cibo... ecco che viene preso a pedate da ognuno e
scaraventato fuori dalla scena.
Un tema che s’addice benissimo a una commedia dei nostri
giorni.
02/10/2012 680
CARO DARIO, TI INVIO LE VARIE PRESENTAZIONI
CHE HO MESSO INSIEME SCEGLIENDO I BRANI
MIGLIORI DELLA GUERRA NEL GOLFO. LE PARTI
SCRITTE Più piccole sono quelle già viste da te, le
ingrandite sono quelle nuove. ti prego di non scartarle: sono
bellissime. TI MANDO TUTTO DI SEGUITO COSI’
potrai, durante i tuoi lunghi viaggi correggere quello che non
va. Grazie.
Per questa nuova edizione di "MISTERO BUFFO" 2000
abbiamo creduto opportuno inserire nel prologo dello
spettacolo molti degli avvenimenti che si sono avvicendati
nel nostro Paese in oltre 30 anni di reppliche.
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ti salto il brano che già conosci Saddam carri armati ecc.
Versione introduttiva di “Mistero Buffo” eseguita il 29
marzo ‘91.
Qualche giorno dopo, spinto dai nuovi eventi, ho portato
qualche variante al prologo. Eccovela.
PROPRIO UNA STRANA GUERRA! Un'altra situazione
davvero grottesca è quella dei preservativi. C'era il problema
di preservare le canne delle mitragliatrici, dei fucili, delle
pistole... perché se l’interno delle canne si riempiva di
sabbia, c'era il pericolo che l’arma scoppiasse... SPARI... E'
PIENO DI SABBIA... DEFLAGRA... SI SCALDA
VELOCISSIMO... e allora su ogni mezzo da tiro si infilava
un preservativo... ed era strano! Ho visto due o tre fotografie
che ci hanno mostrato i giornalisti francesi di queste armi a
ripetizione o a rinculo col preservativo dietro attaccato anche
su mitragliere da venti millimetri, e alcuni preservativi
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infilati sui cannoni, non so di che misura, marca e
provenienza. Roba gigantesca, da elefanti. Ma io mi
immagino i primi iracheni che si sono beccati i colpi di
proiettili da questi qua, ancora avvolti nel preservativo, che
per la fretta non stavano a sfilarli TO’... UN PROIETTILE
CON IL CONDOM!
E’ inutile, come dicono i francesi, questa é proprio una
“drôle de guerre”, una guerra da crepar dal ridere. Il
coronamento di questo conflitto da clown é la scoperta delle
galline da combattimento. No, non é un lazzo buttato lì tanto
per stupire a scompiscio. Hanno usato davvero le galline in
guerra...è la prima volta che le vedi combattenti, forse le
superstiti di questa guerra riceveranno una croce particolare
di Gladio ; quelle che rimangono vive le vedremo sfilare a
Taranto, noi staremo a salutare tutti ritti sull’attenti e ci
saranno anche i presidenti vari che le baceranno. La storia è
questa, l'avrete letta sui giornali, sul Corriere della Sera, ad
esempio, sulla Repubblica, non vi racconto favole: nelle foto
allegate si scorgono alcuni marines con una gallina bianca in
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mano, fra l'altro solo galline italiane, ecco perché dicevo che
le croci di guerra verranno tutte dall'Italia; hanno svuotato
interamente le nostre aziende gallinifere, le batterie intiere,
anche centomila per volta. Ma veniamo all’utilizzo di questi
gallinacei. In una ripresa televisiva si nota questa gallina in
braccio al marines americano. Il marines calza il suo elmo
regolamentare ben mimetizzato con la rete, calza sulla fronte
due occhiali, uno per vedere con il sole e il vento, l'altro per
vedere di notte con gli infrarossi. Sul frontespizio dell’elmo
spunta una vistosa lampadina che parabola automaticamente
scrutando l'orizzonte. Qui sul petto é appeso un tubo che
contiene una maschera antigas, maschera che fuoriesce e si
spalanca andando a coprire la faccia del marines, il tutto con
un solo scatto. Dai glutei partono due briglie che trascinano
una cassetta munita di ruote che agisce automaticamente
spostandosi da una parte all’altra per meglio spiare al di là
delle dune. A completare l’arredamento abbiamo una
bombola di ossigeno sotto l’ascella, la riserva d’acqua
appoggiata tra le cosce (serve anche da raffreddamento agli
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organi delicati), il metano di dietro, una riserva di petrolio
incollata all’altezza del ginocchio, sull’esterno, e anche una
sigaretta già accesa, infilata nel boccchettone della maschera
antigas, nel caso uno avesse l’impellenza irresistibile di
fumare. Ma ci siamo dimenticati della gallina? No, per
carità! Essa, bipede, sta appollaiata su un pistolone
tremendo, che il nostro marines esibisce facendolo scorrere
in avanti da sotto l’ascella destra. Con quello spara dei
proiettili grossi come uova, che esplodono e fanno raggi. Il
frastuono é tremendo ma la nostra gallina da combattimento
rimane costantemente abbrancata alla cassa del caricatore.
Ora mi chiederete: “Perché il marines si tiene la gallina sul
mitragliatore? Così, per scaramanzia?” Niente affatto. La
gallina assolve a un grosso impegno. Essa possiede uno
straordinario istinto, cioè ha la facoltà di captare da lontano,
lontanissimo anche una bava di gas nervino... se un bastardo
di iracheno tira una bombola di gas, anche a 5km. di
distanza, la gallina WAW WAW WAW, fa un baccano
d'inferno, starnazza, spara uova a grappoli e scagazza,
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scusate il termine ma é gergo tecnologico-militare. Ora, la
cosa fa scattare subito l'intelligenza e la percezione del
marines, il quale fra un passo e l'altro... dice AH! IL GAS!
PIUM, schiaccia un bottone, gli parte subito la maschera già
aperta che gli si incolla sul viso. Naturalmente la gallina
entro dieci secondi muore secca. Andiamo, non possiamo
mica dare la maschera alla gallina! Le galline sono come i
palestinesi... niente maschere. (Rivolto a uno del pubblico)
Sì signora, alludevo proprio al fatto che durante l’ultimo
bombardamento a Tel Aviv, all’arrivo dei razzi iracheni non
si son trovate maschere da distribuire ai palestinesi. E anche
lei, signora, con tutto che ha mormorato appena, l’ho sentita
lo stesso. Io ho un orecchio tremendo, lei ha esclamato
risentita: “A no, cosa c’entrano i palestinesi con le galline!”
Ha ragione, le galline sono molto più utili nel conflitto,
infatti non servono soltanto a dare l’allarme per l’arrivo del
gas nervino, ma servono soprattutto per disinnescare le
bombe. Voi sapete che a Saddam Hussein sono state vendute
mine da quasi tutti i popoli della terra. E quante ne ha
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acquistate lui? Diciotto milioni di unità. C’é questo deserto
nel Kuwait che é tempestato di mine, é incredibile, non si
può andare in giro. Se uno mentre va sull’autostrada, che é
l’unico percorso ripulito, gli vola via un pacchetto, guai se si
permette di andare a recuperarlo. Come mette piede sulla
sabbia PAM! salta per aria. Ora, per disinnescarle l'appalto è
stato dato ai francesi; avrete visto qualche immagine
televisiva: loro hanno una specie di cannone che spara nel
deserto, appunto, una catena lunghissima con un rostro
finale; poi c'è un braccio meccanico che prende dall'altro lato
la catena e comincia a scuoterla dando ribattoni terribili, un
fracasso d’inferno, col fracasso tutte le mine di fabbricazione
inglese, francese, russa, polacca, svizzera ecc... PIM PAM
PIM PAM saltano per aria che sembra proprio Piedigrotta
PIM PIUM PIM PUM, una cosa veramente festosa. Tutte, vi
dico tutte scoppiano... salvo le nostre, le italiane, le Valsella.
Nove milioni gliene abbiamo vendute, nove milioni di mine
VALSELLA: 50% di partecipazione Fiat. Perché? Perché
noi abbiamo bombe intelligenti, e non delle trappole per
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topi. Le nostre Valsella quando si fa baccano sbattendo
catene, non fanno una piega anzi, dalla cupola della bomba,
escono due manine che sbattendo una contro l’altra
eseguono il gesto sfottente alla napoletana. Infatti le nostre
mine saltano per aria soltanto a pressione del piede umano,
sono a misura d'uomo, non per niente noi abbiamo creato
l'umanesimo. Tutti i nostri alleati devono cominciare a
rispettarci come meritiamo, perché, d’accordo che in questa
guerra non abbiamo offerto un apporto determinante
soprattutto in materiale umano, ma abbiamo concorso con il
materiale meccanico in partecipazione straordinaria come
nessun popolo al mondo. Devono piantarla anche di sfottere
e di prendere in giro i nostri ministri quando ci si riunisce al
banco, meglio dire al tavolo, per dividere le situazioni di
vantaggio di questa guerra. Devono piantarla! C'è quel
nostro ministro De Michelis che tutte le volte che arriva...
PAAM una porta in faccia, che ormai ha un faccione così e
ha dovuto dipingersi gli occhiali sulla faccia per quanti
gliene hanno spiccicati. Dobbiamo ammettere che é molto
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brutto con quella testa, con quei capelli impataccati di
catrame schifoso , CHE E' LUI ... IL CORMORANO! E'
LUI! Un cormorano ripieno! Non vi dico di che cosa... Ma
mi sono dimenticato di raccontarvi di come le galline
vengono impiegate: prima di tutto col loro ticchettio
producono lo stesso valore della pressione di un piede. Così,
i tecnici spazza-mine buttano le galline sulla sabbia nel
deserto e appena quelle cercano da mangiare
TICTICTIC...PAM! Scoppiano loro e le bombe intelligenti,
fregate! Ma per invogliarle naturalmente a becchettare
bisogna spandere il becchime. Quindi c'è un elicottero
apposito che versa e distribuisce il becchime. Una scia
straordinaria! Questo avveniva già nei primi tempi quando
dovevano formare delle strade per poter transitare coi carri
armati per il deserto minato e c'erano ancora gli iracheni
nelle loro buche in trincea. I tecnici spazza-mine passavano a
volo radente con queste becchinate tremende, disegnavano
lunghe scie WWAAAAA e lì gli iracheni che stavano nelle
buche hanno cominciato ad andare in crisi: “Ma come! Ci
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buttano il becchime per polli?! Va bene sfotterci ma questo è
un po’ pesante... abbiamo fame ma non esageriamo!”. Poi,
una volta steso il becchime, ecco che arriva la gallineria,
cioè centinaia e centinaia di galline ammassate dentro questi
elicotteri speciali che si chiamano “apache Vallespluga”.
Arrivano e WWAAAOOO e buttano giù galline, si apre la
pancia di questi elicotteri, piovono galline a stormi che
inondano il deserto, sono affamate, da cinque o sei giorni
che non toccano cibo, proprio a livello iracheno e
cominciano TI TO TI TO TO PIIM PAAM PIIM PAAM
PEEM PEEM, con il loro zampettare e col ticchettio del
becco producono lo stesso effetto. Volano dappertutto
arrosti, galline fritte, alla diavolo fragrante! Gli iracheni
possono ) godere finalmente del loro primo pasto caldo.
Buon appetito!
Mi capita spesso che davanti a una tragedia come questa che
stiamo vivendo, di istinto vado a vedere cosa hanno scritto di
situazioni analoghe gli antichi. In questo caso Aristofane mi
é parso il migliore: sembra faccia esattamente il commento
02/10/2012 690
dei fatti e degli antefatti di questa guerra. Aristofane aveva
scritto la bellezza di quattro opere sulla guerra in particolare
"La Pace", magnifica. L’ho riletta in questi giorni e ho
scoperto i discorsi coi quali si esibivano questi uomini
politici greci con l’intento di coinvolgere Atene nella guerra
che era già in corso ad opera di Sparta. Sono gli stessi,
identici discorsi che abbiamo sentito scodellare a ripetizione
dai nostri politici in questi tempi: “la pace è un dono sacro e
non bisognerebbe mai violarla, ma in questo momento noi
dobbiamo rompere ogni indugio e unirci ai nostri alleati che
altrimenti rischiamo la solita figura di vigliacchi, di
femminucce, scopriamo mancanza di dignità e di virilità”.
Sembra proprio la fotocopia di una delle tante sparate al
parlamento dei nostri politici d’assalto ma ne “La pace”, di
Aristofane c’é una variante: all’improvviso, fra i deputati, si
erge un personaggio di grande autorità: é l’arconte, il gran
capo del parlamento che, dopo aver ascoltato i vari
interventi, prende la parola e urla: “Sì, mi avete convinto e
soprattutto commosso. Questa guerra s’ha da fare. Quindi,
02/10/2012 691
cari deputati e senatori, siete tutti arruolati. Preparatevi a
partire per il campo di battaglia. Avvertite le vostre vedove,
pardon, mogli.” I politici in massa sbiancano in viso: a uno
gli prende un coccolone e muore sul colpo, un altro resta
fulminato e in paralisi totale, altri, in gran numero, se la
fanno addosso, i rimanenti fuggono buttandosi dalle finestre.
Pensate che splendido sarebbe poter fare altrettanto coi
nostri omino politici; dopo i loro discorsi guerreschi alzarsi e
poterli fulminare con un “ok, vi arruoliamo”... per esempio
Spadolini arruolato nei mezzi da sbarco anfibi, lui proprio un
mezzo da sbarco, sdraiato, i marines sopra con la pagaia che
scivolano nel golfo... oppure Giuliano Ferrara mezzo
cingolato con sta' pancia BOLUBLUBLU, con le bretelle da
lancio TOCCHETA per tirare bombe, oppure Forlani, già
mimetizzato colore neutro, paglierino color sabbia e sempre
talmente giallino che, nudo
nel deserto, non lo vedi più. Poi Craxi non c'è bisogno
neanche di mettergli un elmetto, basta fargli una riga qua
(indica il livello delle sopracciglia), e lui è già corazzato.
02/10/2012 692
Quindi, mezzo terroristico di persuasione occulta, Giulio
Andreotti: basta sollevarlo da una duna e “O mio Dio!” tutti
gli iracheni si arrendono. Fra l'altro avete saputo che
Andreotti stava per partire la sera del bombardamento? Il
giorno in cui hanno bombardato Bagdad, l’Onorevole Giulio
alle cinque, nessuno era al corrente che gli americani si
stessero accingendo a questa operazione di massacro totale,
lui personalmente era stato incaricato da tutti i ministri degli
esteri europei di tentare l'ultima chance, cioè di recarsi da
Saddam Hussein e di convincerlo a nome dell'Europa ecc...
l'ha dichiarato lui stesso. Alle sei era a Ciampino con un
aereo speciale che doveva partire immantinente soltanto che
il capo del controllo ha bloccato l’ordine: “fermi un attimo
c'è un piccolo guasto, un’inezia , è un bullone con vite
particolare che si é ammollato e non troviamo come
sostituirlo all’istante, ma adesso rimediamo, tempo due o tre
ore e si riparte.” Infatti all’una l’aereo é pronto per prendere
il volo, si avvia verso la pista di decollo ma: “Alt! Fermi
tutti! La TV sta dando la notizia proprio in questo momento
02/10/2012 693
del bombardamento di Bagdad. 200 caccia bombardieri al
minuto, 5000 tonnellate di esplosivo in mezz’ora.” E così,
causa questo bullone, Andreotti non ci si é trovato in mezzo.
Pensate voi, per un bullone di 3 millimetri, che senza ‘sto
pezzo di ferro a vite, lui, Andreotti, si sarebbe trovato
puntuale sulla pista di
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Bagdad, con ‘sta tempesta di bombe addosso. Cosa ci
avrebbero restituito di Andreotti? Un cofanetto di frammenti
ricordo. Ora, ditemi voi, a cosa é legata la storia di un
popolo, a un bullone. Bisogna ammetterlo, in questi tempi la
fortuna non ci arride!
02/10/2012 695
Ma veniamo all’utilizzo di questi eroici pennuti. Nella
ripresa televisiva alla quale accennavo, si nota questa gallina
in braccio al marines americano. Il marines calza il suo elmo
regolamentare bén mimetizzato con la rete, tiene sulla fronte
due occhiali uno per vedere con il sole e il vento, l'altro per
vedere di notte con gli infrarossi. Sul frontespizio dell’elmo
spunta una vistosa lampadina che parabola automaticamente
e scruta l'orizzonte. Qui sul petto è appeso un tubo che
contiene una maschera antigas, maschera che fuoriesce e si
spalanca andando a coprire la faccia del marines, il tutto con
un solo scatto. Dai glutei del guerriero partono due briglie
che trascinano una cassetta munita di ruote che agisce
autonomamente spostandosi da una parte all’altra per meglio
spiare al di là delle dune. A completare l’assetto, abbiamo
una bombola di ossigeno qui sotto l’ascella, la riserva
d'acqua appoggiata tra le cosce - serve anche da
raffreddamento agli organi delicati - il metano di dietro, una
riserva di petrolio all’altezza del ginocchio... e anche una
02/10/2012 696
sigaretta già accesa infilata nel bocchettone della maschera
antigas, nel caso uno avesse l’impellenza irresistibile di
fumare. Ma ci siamo dimenticati delle galline? No, per
carità! Essa, bipide, ‘sta appollaiata su un pistolone
tremendo che il nostro marines esibisce facendolo scorrere in
avanti da sotto l’ascella destra. Con quello spara dei proiettili
grossi come uova, che esplodono e producono raggi. Il
frastuono è tremendo, ma la nostra gallina da combattimento
rimane costantemente abbrancata alla cassa del caricatore.
Ora mi chiederete, perché il marines si tiene la gallina sul
mitragliatore? Cossì, per scaramanzia? Niente affatto! La
gallina assolve a un grosso impegno. Essa possiede un
istinto straordinario, cioè ha la facoltà di captare da lontano,
lontanissimo anche una bava di gas nervino... se un bastardo
d’iracheno tira una bombola di gas anche a centinaia di metri
di distanza, la gallina WAW WAW WAW, fa un baccano
d'inferno, starnazza, spara uova a grappoli e scagazza,
scusate il termine, ma è un gergo tecnologico militare. Ora la
cosa fa scattare subito l'intelligenza e la percezione del
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marines, il quale fra un passo e l'altro... dice AH! IL GAS!
PIUM, schiaccia un bottone, gli parte subito la maschera già
aperta che gli si incolla sul viso. Naturalmente la gallina
entro dieci secondi muore secca. Andiamo, non possiamo
mica dare la maschera anche alle galline! (Fingendo di
rivolgersi a qualcuno del pubblico) Sì, signora… alludevo
proprio al fatto che durante l’ultimo bombardamento a Tel
Aviv all’arrivo dei razzi iracheni che si temeva spargessero
gas letali, si sono distribuite maschere per tutti i cittadini
israeliani ma non se ne sono trovate da destinare ai
palestinesi presenti in città. E anche se lei signora ha
sussurrato appena, l’ho sentita lo stesso. Io ho un orecchio
tremendo, lei ha esclamato risentita: “Ah no! Cosa c'entrano
i palestinesi con le galline!” Ha ragione, le galline sono
molto più utili nel conflitto, infatti non servono soltanto a
dare l’allarme per l’arrivo di gas nervino, ma soprattutto
servono per disinnescare le bombe a trappola ficcate nel
terreno. Voi sapete che a Sadam Hussein sono state vendute
mine da quasi tutti i popoli della terra. E quante ne ha
02/10/2012 698
acquistate lui? Diciotto milioni di unità... c'è questo deserto
del Kuwait che è tempestato di mine, è incredibile, non si
può andare in giro. Se uno, mentre va sullsulla superstrada,
che è l’unico percorso ripulito, gli vola via un pacchetto…
guai se si permette d’andare a recuperarlo. Come mette piede
sulla sabbia: PAM!, salta in aria! Per disinnescarle l'appalto
è stato dato ai francesi; avrete visto qualche immagine
televisiva: loro hanno una specie di cannone che spara nel
deserto un aggeggio che srotola una catena lunghissima con
un rostro finale… poi c'è un braccio meccanico che afferra
dall'altro lato la catena e comincia a scuoterla dando
ribattoni terribili, un fracasso d’inferno. Col fracasso tutte le
mine di fabbricazione inglese, francese, russa polacca,
svizzera ecc... PIM PAM PIM PAM saltano per aria che
sembra proprio Piedigrotta, una cosa veramente festosa!
Tutte, vi dico tutte le mine eslpodono... salvo le nostre, le
italiane: le Vasella. Nove milioni gliene abbiamo vendute,
nove milioni di mine VALSELLA: 50% di partecipazione
Fiat. Perché sono tanto richieste e preferite? Perché noi
02/10/2012 699
abbiamo bombe INTELLIGENTI, e non trappole per topi.
Le nostre Valsella quando si fa baccano sbattendo catene
non fanno una piega, anzi, dalla cupola della bomba escono
due manine che sbattendo una conto l’altra (mima due
braccettine con mani annesse che sbattendo una contro
l’altra, altezza gomito, eseguo il classico gesto scurrile
napoletano). Infatti le nostre mine saltano per aria soltanto a
pressione del piede umano, sono proprio a misura d'uomo,
non per niente noi abbiamo creato l'umanesimo. Tutti i nostri
alleati devono cominciare a rispettarci come meritiamo
perché, d’accordo che in questa guerra non abbiamo dato un
apporto determinante, soprattutto in materiale umano, ma
abbiamo concorso con materiale meccanico e gallinaceo in
partecipazione straordinaria come nessun popolo al mondo.
Devono piantarla di sfottere e di prendere in giro soprattutto
i nostri ministri quando ci si riunisce al banco, meglio dire al
tavolo, per dividere le situazioni di vantaggio di questa
guerra. Devono piantarla! C'è quèl nostro ministro De
Michelis (ricHiAMO FONDO PAGINA: MINISTRO
02/10/2012 700
SOCIALISTA AL TEMPO DEL GOVERNO CRAXI) che
tutte le volte che arriva: PAAM!, una porta in faccia, che
ormani ha un faccione cossì e ha dovuto dipingersi gli
occhiali sul muso per quanti gliene hanno spiaccicati.
Dobbiamo ammettere che non fa un bèl vedere con quella
testa, con quei capelli impataccati di catrame schifoso, CHE
E' LUI ... IL CORMORANO! E' LUI! Un cormorano
ripieno! Non vi dico di che cosa. (Esegue una pantomima
dove imita la camminata del fenicottero ctarso di catrame) A
proposito, quasi mi stavo dimenticando di raccontarvi di
come i nostri polli vengano impiegati nel far brillare i
micidiali ordigni Valsella seminati nel desero. I nostri polli
artificeri
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volano quarti di gallina fritta alla diavola fragrante
dappertutto, ed è la prima volta che gli iracheni godono di
un bel pasto caldo. Mi capita spesso che davanti a una
tragedia come questa che stiamo vivendo, di istinto vado a
vedere cosa hanno scritto di situazioni analoghe gli antichi.
In questo caso Aristofane mi é parso il migliore: sembra
faccia esattamente il commento dei fatti e degli antefatti di
questa guerra. Aristofane aveva scritto la bellezza di quattro
opere sulla guerra in particolare "La Pace", magnifica. L’ho
riletta in questi giorni e ho scoperto i discorsi coi quali si
esibivano questi uomini politici greci con l’intento di
coinvolgere Atene nella guerra che era già in corso ad opera
di Sparta. Sono gli stessi, identici discorsi che abbiamo
sentito scodellare a ripetizione dai nostri politici in questi
tempi: “la pace è un dono sacro e non bisognerebbe mai
violarla, ma in questo momento noi dobbiamo rompere ogni
indugio e unirci ai nostri alleati che altrimenti rischiamo la
solita figura di vigliacchi, di femminucce, scopriamo
02/10/2012 702
mancanza di dignità e di virilità”. Sembra proprio la
fotocopia di una delle tante sparate al parlamento dei nostri
politici d’assalto ma ne “La pace”, di Aristofane c’é una
variante: all’improvviso, fra i deputati, si erge un
personaggio di grande autorità: é l’arconte, il gran capo del
parlamento che, dopo aver ascoltato i vari interventi, prende
la parola e urla: “Sì, mi avete convinto e soprattutto
commosso. Questa guerra s’ha da fare. Quindi, cari deputati
e senatori, siete tutti arruolati. Preparatevi a partire per il
campo di battaglia. Avvertite le vostre vedove, pardon,
mogli.” I politici in massa sbiancano in viso: a uno gli
prende un coccolone e muore sul colpo, un altro resta
fulminato e in paralisi totale, altri, in gran numero, se la
fanno addosso, i rimanenti fuggono buttandosi dalle finestre.
Pensate che splendido sarebbe poter fare altrettanto coi
nostri omino politici; dopo i loro discorsi guerreschi alzarsi e
poterli fulminare con un “ok, vi arruoliamo”... per esempio
Spadolini arruolato nei mezzi da sbarco anfibi, lui proprio un
mezzo da sbarco, sdraiato, i marines sopra con la pagaia che
02/10/2012 703
scivolano nel golfo... oppure Giuliano Ferrara mezzo
cingolato con sta' pancia BOLUBLUBLU, con le bretelle da
lancio TOCCHETA per tirare bombe, oppure Forlani, già
mimetizzato colore neutro, paglierino color sabbia e sempre
talmente giallino che, nudo nel deserto, non lo vedi più. Poi
Craxi non c'è bisogno neanche di mettergli un elmetto, basta
fargli una riga qua (indica il livello delle sopracciglia), e lui
è già corazzato. Quindi, mezzo terroristico di persuasione
occulta, Giulio Andreotti: basta sollevarlo da una duna e “O
mio Dio!” tutti gli iracheni si arrendono. Fra l'altro avete
saputo che Andreotti stava per partire la sera del
bombardamento? Il giorno in cui hanno bombardato Bagdad,
l’Onorevole Giulio alle cinque, nessuno era al corrente che
gli americani si stessero accingendo a questa operazione di
massacro totale, lui personalmente era stato incaricato da
tutti i ministri degli esteri europei di tentare l'ultima chance,
cioè di recarsi da Saddam Hussein e di convincerlo a nome
dell'Europa ecc... l'ha dichiarato lui stesso. Alle sei era a
Ciampino con un aereo speciale che doveva partire
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immantinente soltanto che il capo del controllo ha bloccato
l’ordine: “fermi un attimo c'è un piccolo guasto, un’inezia , è
un bullone con vite particolare che si é ammollato e non
troviamo come sostituirlo all’istante, ma adesso rimediamo,
tempo due o tre ore e si riparte.” Infatti all’una l’aereo é
pronto per prendere il volo, si avvia verso la pista di decollo
ma: “Alt! Fermi tutti! La TV sta dando la notizia proprio in
questo momento del bombardamento di Bagdad. 200 caccia
bombardieri al minuto, 5000 tonnellate di esplosivo in
mezz’ora.” E così, causa questo bullone, Andreotti non ci si
é trovato in mezzo. Pensate voi, per un bullone di 3
millimetri, che senza ‘sto pezzo di ferro a vite, lui, Andreotti,
si sarebbe trovato puntuale sulla pista di Bagdad, con ‘sta
tempesta di bombe addosso. Cosa ci avrebbero restituito di
Andreotti? Un cofanetto di frammenti ricordo. Ora, ditemi
voi, a cosa é legata la storia di un popolo, a un bullone.
Bisogna ammetterlo, in questi tempi la fortuna non ci arride!
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PER DARIO FO URGENTE
Caro Dario, ho pensato, dal momento che è bello, di inserire
il pezzo che hai tagliatpo nel Gesù bambino (MI
RIFERISCO AL PEZZO DELLE DONNE CHE
VOGLIONO PORTARE GESù DA ERODE)con questo
cappello. Leggi, correggi e rispediscimi. Baci. Urgente.
Franca
02/10/2012 707
richiamo fondo pagina o come volete metter lo.
1) “Il primo miracolo di Gesù bambino” fa parte di ‘Storia
della tigre’ (1978), ma dal momento che Dario spesso lo
inserisce in “Mistero buffo”, ho pensato fosse giusto
pubblicarlo in questa nuova edizione aggiornata.
Abbiamo più volte accennato al fatto che in molti monologhi
o commedie lo scritto originale viene via via modificato
durante le rappresentazioni, in conseguenza delle varie
reazioni del pubblico: il testo viene sfoltito, stringato, si
aggiungono battute e ,fatalmente, interi passaggi vengono
eliminati o riscritti onde rispettare “tempi e ritmi teatrali”.
La versione che propongo è già stata elaborata negli anni e
ha perduto un brano che “strabordava” dal contesto
definitivo, ma ho deciso di inserirlo egualmente a parte per
conoscenza e perché mi sembra proprio divertente… e anche
un po’ di più.
02/10/2012 708
"Fœra negro, via, cito! Spavénta no el fiulìn. Canta de fœra!"
el vousa el re vègio.
E in quèl moménto nè la cità, (mima di battere sul tamburo)
PATATUM PATATUM PATATUM, un banditore: "Ehi
ascoltè mame, ascoltè dòne! Chi è che de voiàltre ha fàit
nàser in 'sti tre ziórni un fiulìn pòle èser conténta, parchè ól
re Erode ól ha desidìo de darghe un premio al pü bèl bambìn
che è nasciüdo. Portélo a la réggia e ol re, al bambìn plü
bèlo, donarà 'na curonzìna co' sü scrito: "Oh come l'è bèl
'sto bambìn! L'è un putèlo quasi plü bèlo d'ol fiòl de Deo!" E
anca la dòna che l'ha purturìto o gh'avarà 'na curóna con
sóvra stampà: "Quèsta l'è la mama che l'ha nascìo 'sto
bambìn, bèl ‘me Dio!"
Sant'Ana che l'ha 'scoltà 'stò bordeléri, l'è andàita sübeto de
la Madona: "A gh'è un premio, 'ndém, porta sübeto ol t'ho
fiolìn al concorso."
"No che no' lo vòjo el premio. Mi no' gh'ho besógno
d'avérghe consolaziùn altri che quèla che gh'ho già avüdo!"
02/10/2012 709
"No, no, gh'ha importànsa! Besógna che ol sàpia tüto el
mundo. Ol premio donà dall'Erode no’ po' catàrselo 'n'altro
fiól! Andémo, andémo! Ubbedìse a la tòa mama!" E fan per
sortìre cont ol fiolìn ma po' Sant’Ana ghe repénsa e dise:
"Aspèta che andémo a tor dei nastri per farlo plü bèlo ol
nostro bambìn, e ti Giusèp, daghe un ögio al fiulìn e sta
aténto che no' ghe capita quaicòs."
Vano fœra e sübeto San Giusèpe ol pianta lì de segare e dise:
"Chi ghe deve èser 'na trápula, mi sento che gh'è 'na trápula.
Gesù Bambìn, cosa ten dìset ti?"
E Gesù Bambìn che l'éra già inteligénte ol fà: " Sì, sì..." e
schìscia l'ögio.
Alóra San Giusèpe ól tira fœra un biciér dove gh'éra dentro
de la roba negra per pitüràr i cadenàsc. Cunt un penèlo tach,
tach, tach, ol fa dei puntini in tüta la fàcia al fiulìn ch’ol
faséva i grimàsi p'el galìtico.
"Fermo lì Jesulìn!" poe ol se remète a segare.
02/10/2012 710
Torna Sant'Ana e come la vede Jesus : "Ohaiooh! La
rosolìa!... La rosolia negra! Quel negro che l'è vegnü dénter
l'ha spaventà ol Bambìn!"
La ciàpa un strascio fru, fru, fri, nèta, nèta, e ol bambìn
devénta tüto netàto, pulito.
"Qualchedun gh'ha pitürà dei balìt sül so' facìn de Bambìn!
Chi a l’è stado, Giusèp?” dise minaciósa la Sant’Ana.
San Giusèpe che el segava: "Su no mi, su no mi."
"Ténto ti cun quèla sega, che mi té sego via quaicòss
d'altro!"
Catìva che l'éra Sant'Ana!
Pœ lée e la Madona van fœra de nòvo a tór dei inguénti per
darghe un bòn parfümo al Jesulìn: "Sta 'ténto che 'ndémo
fœra, varda che se capita quaicòsa al fiolìn la colpa l'è tua!"
San Giusèpe apéna che i do’ dòni son sortìde fœra, no' sa
cossa fare... Ol scorge sül müro un bestiolìn... tüto rigàdo,
giàldo e negro, ‘na avìs granda, ma cossì granda, che l'éra
pussè come un vespón. Cata un biciér... TOCH... Col biciér
l'imprisióna contro ol müro... presón! Un’asèta. SOOMM!
02/10/2012 711
Ghe tòpa sóra l'òrlo! (Al bambìno Gesù)"“Scüsa Jesulìn ma
débio farte dar 'na cagnàda propi sü la ganàsa. TUM!
PLOFF! (Indica un immediato rigonfio sulla guancia del
bambino) Adèss, dal'altra parte: TOCH! PLOFF! TUM!
(Indica un rigonfio che spunta sull'altra guancia) TUM! In
sü la fronte! La trinità dei bugnoni!"
Pœ, come no’ fosse, retürna a segare. ‘Riva deréntro
Sant'Ana: "Aaahhh Dio! Varda lì come l'è cunsciàto ol
nòster Bambìn! Ooeehh cos'è capità? Che mostro! Varda lì
Maria!" (Piange la Madonna, piange Sant’Anna)
"Ma no' sti a piàgner dòne, l'è ròba che va via quasi sübit,
do’ mesi al màsimo!" el dise Giusèpe.
"(Indicando i bernoccoli) Cosa i son Giusèp?”
"L'è el dénte del giudìssio!"
"De tüte e do’ parte?"
"Sì."
"Anca in fronte?"
"Se no' gh'ha in testa lü el giudìssio!"
Piange la Madona, piange Sant'Ana.
02/10/2012 712
"Che desgràsia proprio adèso che gh'éra un bèl premio de
guadagnà, doveva capitàrghe 'sti tre dénci del giudìssio ! No'
podarémo plü portarlo da l’Erode, tanto che l'è mostruoso."
De lì a un poco fœra per le strade se sént a piànzere... crìa de
dòne desperàde.
“Cossa è capitàt?” I sorte de la capàna... A le dòe dòne se
ferma ol còre: sénsa savér doe andar, corévan de qua e da là,
matri sansa plü cugnisiùn, co’ i fiulìt insanguinàt... sgrosàt...
in tra le brazza e le vusàva: "Aahhaa! A l'éra 'na trápula!
L'Erode, apéna sémo stàe ne la corte, l'ha fàit seràr tüti i
porti... e i soldài sunt ‘rivàt a masàrghe tüti i fiulìt... 'Na
tràpula l'éra! Tüti masàdi!"
Alóra Sant'Ana l'ha capit: l'è andàda par tèra in ginöegio.
Anca la Madona. E tüte e dòi criàva: "Grazie Deo iluminàto
con grande mente de intelighénzia! Ti t'è vorsùo salvàrghe
con quèsta desgràzia finta d'i bognùni 'sto Fiolìn che no'
'rivàse in le sgrinfie de l'Erode. Oho! Che mente! Che
trovàde che te gh'hai üt Deo!"
02/10/2012 713
E San Giüsèpe l’éra tanto rabiós... ch’ol segàva anca ol
cavalèto, biastemàva: "Cussì... sempre, sempre cussì!
Quando un òmo ol gh'ha 'na pensàda de zervèlo, pœ tüti
ringràsien Deo, che no' gh'ha fàit gnénte!"
TRADUZIONE
E in quel momento nella città, (mima di battere sul tamburo)
PATATUM PATATUM PATATUM, un banditore: “Ehi
ascoltate mamme, ascoltate donne! Chi di voialtre ha fatto
nascere (partorito) in questi tre giorni un figlio, può essere
contenta, perché il re Erode ha deciso di dare un premio al
più bel bambino nato. Portatelo alla reggia e il re, al
bambino più bello donerà una coroncina con su scritto: “Oh
come è bello ‘sto bambino! È un bimbo quasi più bello del
Figlio di Dio!” E anche la donna che l’ha partorito avrà una
corona con sopra stampato: “Questa è la mamma che ha fatto
nascere (partorito) ‘sto bambino, bello come Dio!”
02/10/2012 714
Sant’Anna che ha ascoltato questo annuncio è andata subito
dalla Madonna: “C’è un premio, andiamo, porta subito il tuo
bambino al concorso.”
“No che non lo voglio il premio. Io non ho bisogno d’avere
altre soddisfazioni all’infuori di quella che ho già avuto!”
“No, no, ha importanza! Bisogna che lo sappia tutto il
mondo. Il premio donato da Erode non può prenderselo un
altro bambino! Andiamo, andiamo! Ubbidisci alla tua
mamma!” E fanno per uscire con il bambino ma poi
Sant’Anna ci ripensa e dice: “Aspetta che andiamo a
prendere dei nastri per farlo più bello il nostro Bambino, e tu
Giuseppe, “dai un occhio” al figliolino e stai attento che non
gli capiti qualcosa.”
Vanno fuori e subito San Giuseppe smette di segare e dice:
“Qui ci deve essere una trappola, sento che c’è una trappola.
Gesù bambino, cosa ne dici tu?”
E Gesù Bambino che era intelligente fa: “Sì, sì...” e schiaccia
l’occhio.
02/10/2012 715
Allora San Giuseppe prende un bicchiere con dentro della
roba nera per dipingere i catenacci. Con un pennello TAC,
TAC, TAC, fa dei puntini su tutta la faccia del Bambino che
faceva smorfie per il solletico.
Torna Sant’Anna e come vede Gesù: “Ohaiooh! La
rosolia!... La rosolia negra! Quel negro che è venuto dentro
ha spaventato il Bambino!”
Prende uno strofinaccio... FRU, FRU, FRI, pulisce, pulisce,
e il Bambino ritorna lindo, pulito.
“Qualcuno ha dipinto dei pallini sul faccino del Bambino!
Chi è stato Giuseppe?” dice minacciosa Sant’Anna.
San Giuseppe che segava: “Non lo so io, non lo so.”
“Attento te con quella sega, che io ti sego via qualcosa
d’altro!” Cattiva che era Sant’Anna.
Poi lei e la Madonna escono di nuovo a prendere degli
unguenti per profumare Gesù: “Stai attento che andiamo
fuori, guarda che se capita qualcosa al Bambino la colpa è
tua!”
02/10/2012 716
San Giuseppe appena le due donne sono sortite, non sa cosa
fare... Scorge su un muro una bestiolina... tutta rigata, gialla
e nera, un’ape grande, ma così grande che sembrava un
vespone. Prende un bicchiere... TOCH... Col bicchiere la
imprigiona contro il muro... prigioniera! Un’assetta di legno.
SOOMM! E tappa l’orlo. (Al bambino Gesù)
“Scusa Gesulino, ma devo farti dare una morsicata proprio
sulla guancia. TUM! PLOFF! (Indica un immediato rigonfio
sulla guancia del Bambino) Adesso, dall’altra parte: TOC!
PLOFF! TUM! (Indica un rigonfio che spunta sull’altra
guancia) TUM! Sulla fronte! La trinità dei bugnoni-
bitorzoli!”
Poi, come se niente fosse, ritorna a segare. Arriva dentro
Sant’Anna: “Aaahhh Dio! Guarda lì come è conciato il
nostro bambino!... Ooeehh cos’è capitato? Che mostro!
Guarda lì Maria!”
Piange la Madonna, piange Sant’Anna. “Ma non state a
piangere donne, è roba che va via quasi subito, due mesi al
massimo!” dice Giuseppe.
02/10/2012 717
“(Indicando i bernoccoli) Cosa sono Giuseppe?”
“Il dente del giudizio!”
“Da tutte e due le parti?”
“Sì.”
“Anche in fronte?”
“Se non l’ha in testa lui il giudizio!”
Piange la Madonna, piange Sant’Anna.
“Che disgrazia proprio adesso che c’era un bel premio da
guadagnare, dovevano capitargli ‘sti tre denti del giudizio!
Non potremo più portarlo da Erode, tanto che è mostruoso!”
Di lì a poco, fuori per le strade si sente piangere... grida di
donne disperate. “Cos’è capitato?” Escono dalla capanna...
Alle due donne si ferma il cuore: senza sapere dove andare
correvano di qua e di là madri senza più cognizione, con
bambini insanguinati... sgozzati tra le braccia e gridavano:
“Grazie Dio illuminato con grande mente d’intelligenza! Hai
voluto salvare, con questa disgrazia finta dei bitorzoli, ‘sto
Bambino affinché non arrivasse nelle sgrinfie (mani) di
Erode. Oho! Che mente! Che trovate che hai Dio!”
02/10/2012 718
E San Giuseppe era tanto arrabbiato che segava anche il
cavalletto, bestemiava: “Così, sempre, sempre così! Quando
un uomo ha una pensata d’ingegno, poi tutti ringraziano Dio,
che non ha fatto niente!”
02/10/2012 719
golfo
0È più di un mese che siamo in guerra... come ai tempi degli
scontri fra cristiani e mussulmani. Io speravo veramente che
si realizzasse in breve tempo una pace definitiva, invece in
IRAQ stanno combattendo ancora, si spara, c'è gente che
crepa; i Curdi stanno scendendo dal nord, stanno occupano
una città dietro l'altra, ci sono gli sciiti che salgono invece
dal sud, c'è Saddam Hussein, che ha buttato del napal e un
po’ di gas nervino che gli éra avanzato dall’ultimo conflitto,
addosso ad intiere comunità di mussulmani non allineati.
D'altra parte certi prodotti bèllici cossì preziosi non si
possono gettare via... bisogna pure adoperarli!
C'è qualche morto in più... ma che ci vuoi fare!
Sorvdo sulla tragedia di questa guerra che, secondo gli
esperti avrebbe dovuto risolversi senza neanche un morto...
doveva essere una guerra tranquilla - ci avéano assicurato -
uno scontro quasi dimostrativo e invece gli è scappata di
mano... si parla già di oltre centomila caduti solo fra i
militari iracheni, più altrettanti civili morti a Bagdad. E
02/10/2012 720
siamo solo al prologo. In compenso, fra le truppe dei
“nostri”, neanche un ferito lieve. Tutti bene, grazie!
La cosa veramente grottesca è il crescere ogni giorno di
notizie che ci fanno scoprire quante frottole ci abbiano
ammannito a proposito di questa guerra, a cominciare dalla
presentazione del personaggio principale, il cattivo per
antonomasia: Saddam Husseim.
Sia chiaro, questo mostro scannaporci l'abbiamo inventato,
costruito noi, diciamo noi occidentali; senza il nostro aiuto
sarebbe rimasto un piccolo delinquente di provincia, un
criminale da strapazzo. Invece, prima di tutto, grazie agli
aiuti militari che gli sono stati forniti dalla coalizione dei
Paesi civili, ecco che è cresciuto come il servo gigante della
lampada di Aladino. Voi sapete che tutti hanno concorso a
vendergli armi, Pentagono in testa, russi, polacchi, perfino la
Repubblica di San Marino.
Fra l'altro siamo venuti a scoprire che, secondo osservatori
militari europei, Saddam Husseim dispone oggi del quarto
esercito, in scala di valori, del mondo... che è proprio una
02/10/2012 721
notizia da scompisciarsi dal ridere, soprattutto quando si
viene a conoscere il particolare che i carri armati che gli
sono stati venduti dai russi non erano di produzione
sovietica ma erano cinesi di scarto. È risaputo che quando in
Russia un carro armato viene male si dice “c'è uscito un
carro armato cinese!”
Ma ad ogni modo la cosa incredibile, è che lui Saddam
Husseim a sua volta si è convinto di possedere davvero il
quarto esercito del mondo, che lo credessero gli altri éra la
classica bufala, detto da lui è da megalomane con camicia di
forza obbligatoria... ed è per questo che lo hanno sollecitato
a buttarsi, con slancio in questa avventura.
D’altra parte, non è la prima volta che i popoli civili
scatenano massacri a scopo redditiziosentolando la bandiera
della liberà, recitando spudoratamente “l’arrivano i nostri!”,
ma facendo molta attenzione ai dividendi e agli interessi
maturati.
Vi ricordate la guerra contro Komeini? (RICHIAMO
FONDO PAGINA - 1-: SI ALLUDE ALLA GUERRA
02/10/2012 722
ESPLOSA ,ALLA FINE DELL’8O (?) TRA IRAN
(KOMEINI) E IRAK (Hussein) conflitto apparentemente
causato da motivi religiosi e territoriali, ma in verità la
ragione è da ricercare nella lotta per l’egemonia dei pozzi
petroliferi.) Un milione di morti soltanto. E questa azione a
cui concorsero in primo piano l'America, l'Inghilterra, noi,
ecc... ha fatto si che il grande rais Hussein, poi venisse
logicamente a richiedere il pagamento dell'obolo per il
servizio eseguito. Ma appresso, ‘sto deficiente, si è permesso
anche di occupare il Kuwait come risarcimento dei danni di
guerra subiti dalla sua gente. Giustamente lo abbiamo
mazzolato... pardon, l'hanno mazzolato!
E dire che sono stati proprio i bianchi civili ad allenarlo e a
incitarlo nell’acquisto e nella costruzione degli ordigni
bèllici, a cominciare dall’uso dei gas fulminanti - “oh, chi si
rivedete!” - sono arrivati, come maestri di produzione i
tecnici tedeschi dell’est e dell’ovest, che si sono incontrati
fuori sede per la prima volta a riprendere la loro tradizione di
gasisti... pardon, gasatori. E tutto, guarda caso, pochi mesi
02/10/2012 723
prima dell’unificazione in una sola grande Germania.
Almeno questa guerra è servita a qualche cosa!
Possiamo immaginare di assistere alla lezione su come si
impiegano i gas: “Stai attento, Hussein... dunque: c'è un
catalizzatore, poi abbiamo un gas inerte, un'altro gas inerte,
solo se uniti col catalizzatore funzionano. Vuoi provarlo?...
Va bene, dimmi su chi li buttiamo. I Curdi? Sì! I Curdi
vanno sempre bene, tanto li ammazzi e nessuno dice niente...
al massimo l'ONU fa un rutto di indignazione, non più di
cossì. Attenzione Saddam… il Curdo è là, lo vedi? Buttiamo
la prima bomba... ecco il gas che esce, non fa niente perché è
inerte. Ne buttiamo una seconda, non fa niente perché è
inerte. STAI ATTENTO SADDAM!" "Ah chi???" "Là!
Adesso ci buttiamo il catalizzatore... PUM!... Guarda, guarda
come fa il Curdo, lo vedi? Non è un ballo regionale, è che è
un pò ubriaco. Adesso attento alla testina... la inclina...
TON! E' morto! Hai visto? IMPARA!!!" E cossì ha
imparato.
02/10/2012 724
Ma sempre a proposito di frottole straordinarie... la più
criminale si è rivelata quella che ci ha ammannito addirittura
Bush in persona, e io l'ho bevuta, perché non pensavo che
quel Presidente fosse un politico tanto spudorato da venire a
raccontarci una balla di questo genere, balla che certamente
anche voi come mé, l’avrete bevuta. Si tratta, e Busch ci ha
assicurato che éra assolutamente necessario entrare
immediatamente in conflitto, perché se si fosse atteso un
anno a bloccarlo, Saddam Hussein certamente in questo
tempo sarebbe riuscito a realizzare una potentissima bomba
atomica… fatta in casa.
Ebbene, qualche giorno fa, il quotidiano più importante di
New York, il "N.Y. Times", ha realizzato un servizio-
inchiestae ha interrogato Scianagh, l'ultimo padre della
bomba atomica: “Senta professore - gli hanno chiesto - cosa
ne dice del pericolo che Saddam Hussein possa costruirsi la
bomba atomica?” Lo scienziato ha strabuzzato gli occhi, è
scoppiato in una risata con singhiozzo inarrestabile. Hanno
dovuto portarlo d’urgenza al pronto soccorso!
02/10/2012 725
E quei coglioncioni degli americani invece l'hanno bevuta!
A proposito degli americani e del loro candore, ho da
segnalarvi un fenomeno davvero surreale: prima di questo
discorso sull’atomica mussulmana, Bush poteva raccogliere
un’adesione popolare alla guerra pari al 51% scarso, ma
appena ha tirato fuori, in diretta tv la favola suddetta,
l’adesione alla guerra è salita al 90%. Questo vi dice
l'importanza delle frottole, quando sono giocate bene.
Ma la più criminale di tutte, devo ammettere, si è dimostrata
senz'altro la bufala del cormorano; tutti quanti ci siamo
veramente rattristati e indignati di fronte a quella immagine.
Ve lo ricordate? Quel povero fenicottero "strapenato",
inzozzato, lì sulla spiaggia, con il petrolio sparato fuori dai
pozzi ad insozzare il mare, da questi bastardi di iracheni.
Lui, ficcato nel bagnoasciuga, che zampettava. Arrivava
quest'onda aarburante che lo travolgeva. Il bipede: BLOOB,
BLOOB, rispuntava con un occhio tappato, faceva appena in
tempo a respirare che BLOOOB, un'altra onda nera e oleosa
lo incatramava! A 'sto punto sono sbottato, indignato: "Ma
02/10/2012 726
che criminali bastardi!", e tutti quanti ci siamo sentiti
rivoltare lo stomaco. Ebbene, adesso vi posso svelare che éra
tutta una balla, una frottola gigantesca! L’intiera categoria
degli scienziati legati all'ornitologia di tutto il mondo, si
sono indignati. I francesi in particolare su "Le Monde"
hanno pubblicato un articolo dove nel titolo si leggeva:
"Questa fandonia del cormorano non l'accettiamo!"
Perché? Perché di cormorani… di baby cormorano come
quello che ci avéa tanto commosso e indignato, sulle coste
del Kuwait, in gennaio, quando è stata effettuata la ripresa,
non ne esisteva nemmeno uno. Quei trampolieri se ne erano
andati via tutti, già in settembre… e normalmente ritoranno
su quelle coste a maggio. Ma col casino ecologico che c'è
stato lì, figurati se fanno ritorno: non li rivedranno mai più!
E allora ‘sto pellegrino di cormorano da dove è saltato fuori?
Vuoi vedere che è un cormorano in ritardo con l'orario di
migrazione? "Scusate, avete visto qualche volatile della mia
specie? Io devo partire, temo di aver perso l’ultimo stormo
migratore.”
02/10/2012 727
No, raccontata cossì la balla non ‘sta in piedi. La verità è che
tutta la sceneggiata truculenta è stata organizzata in grande
stile dai fotografi e operatori televisivi. Ma andiamo per
ordine: qualche settimana prima, vi ricordate, c’è stata la
insozzata di petrolio in mare: un milione e mezzo di barili
buttati cossì, da affogarci miliardi di pesci. In verità,
l’abbiamo saputo appresso, sempre dal New York Times,
l’insozzata di petrolio s’è rivelata molto inferiore, un numero
di barili che non raggiungeva i centomila ma sempre di una
schifezza da criminali si tratta! A ‘sto punto i fotografi e gli
operatori si sono detti: “Qui c’è da fare un bèl servizio!
Magari con una bèlla famiglia di fenicotteri che zampetta
incatramata sulla spiaggia fetente!”. Ma ahimè, il petrolio è
stato buttato a mare solo lassù, nel nord del Kuwait, a
trecentocinquanta miglia da Riad, dove appunto stavano i
nostri operatori. E che fanno i nostri cacciatori di scoop
guerreschi? Salgono su un gommone e a pagaiate risalgono
il mare per tre giorni per poi farsi impallinare come oche di
transito dagli iracheni incazzati? No, neanche ‘sta balla ‘sta
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in piedi. In verità la trouppe dei cameramen non si è mossa
dalla spiaggia di Riad, sono andati allo zoo e lì hanno
scoperto che i cormorani, che normalmente sguazzavano nel
laghetto artificiale, avéano tagliato la corda già dai primi
botti. L’unico fenicottero che hanno trovato éra un Mabibu,
che non è della classe dei cormorani, no, è un uccello
trampoliere che vive esclusivamente nell'Asia Minore e in
particolare negli acquitrini paludosi di acqua dolce. Come
l’hanno individuato, i cameramen: "Scusi, signor volatile-
trampoliere, le spiace venire in spiaggia al posto del
cormorano?" "Ma no! Ma io che c'entro! Io odio il mare!"
"Venga per favore..." Ma questo animale ha degli strani
pennacchi qui in testa… glieli hanno tagliati all'umberta,
cioè alti un dito. Quindi l'hanno portato sulla spiaggia dove
avéano rovesciato un paio di barili di petrolio, hanno
abbrancato il Mabibu e PLOC PLOC, l’hanno intinto a
sguazzo nel bagnasciuga. “Scusi... chiuda la bocca
PIU'PIU'PIU', sorrida... UNO DUE TRE ... ci basta, grazie,
vada pure BLOBLOBLOBLO". E noi tutti, come tanti
02/10/2012 729
boccaloni, ci siamo commossi fino alle lacrime a questa
malandrinata di messa in scena.
Ma la "scommozione", come a dire lo sgonfiamento
emotivo, l’abbiamo provata in seguito a quella
dichiarazione, vi ricordate, di Scwarz Scoop, il generale
abbondante, uno dei più grandi generali del mondo, nel
senso di dimensione e peso, due metri e dieci di altezza
senza tacchi, un quintale e dieci chili senza l'osso, ve lo
ricordate? Quello che arrivava immancabilmente ad ogni
conferenza stampa, simpatico… con quella faccia rubizza,
che a mé tutte le volte veniva voglia di chiedergli "mi dia
quattro etti di filetto, un ossobuco e un pò di carne per il
gatto". Simpatico dicevo… ebbene, alla quarta conferenza
stampa, è apparso stranamente abbacchiato e perplesso.
Cos’era successo? Ce l’ha confidato lui di persona: le rampe
dei missimi dai quali gli iracheni sparavano su Riad, dopo
essere state centrate dalle bombe lanciate dai super caccia
americani, riapparivano, come nulla fosse, il giorno dopo.
Ma da dove erano spuntate?!
02/10/2012 730
Lo stesso succedeva con i carri armati. Carri armati che
uscivano non si sa da dove, i bombardieri li puntavano ne
buttavano all’aria una decina, ma ecco che TRACCHETE!,
altri dieci ne apparivano dal nulla. A un certo punto, i
generali della coalizione hanno avuto il sospetto, lui l'ha
detto, che si trattasse di falsi carri armati. Ed éra proprio
cossì: erano tutte sagome di carri armati in vetro resina. E
chi li ha fabbricati questi sé moventi corazzati? NOI! Noi
Italiani! Guardate che siamo dei geni, dei cervelloni
leonardeschi! L’inventore di queste macchine beffarde è un
artigiano di Torino che ha forgiato qualche migliaio di
sagome similcarrarmato, sagome che si spalancano a scatola
e che visti dall’alto, non c’è dubbio, appaiono autentici Tang
d’assalto e sfondamento. Scoperta l’esistenza di tanto genio,
il Comume di Torino ha deciso di inalzare un monumento
all’inventore, nella piazza principale della città. In
quell'occassione c’erano tutte le televisioni del mondo a
intervistarlo! L’hanno letteralmente aggredito con le
telecamere e i microfoni: “Per favore, ci dica come ha potuto
02/10/2012 731
fabbricare carri armati cossì leggeri, agili e facili da
trasportare in gran numero?” “Ecco qua, è semplice! - ha
risposto lui e li ha condotti nell’officina - Ecco, vedete,
questi fogli di pressato sono sagomati per stampa e quindi
affiancati l’un l’altro a mo’ di libro. In ogni carico di camion
ci stanno quaranta carri armati, ed è semplicissimo
rimontarli, basta seguire il libretto di istruzioni allegato: A
con A, B con B, questo va a incastro, quest’altro pezzo si
inserisce a chiave, non c’è un bullone né una vite. Tempo di
montaggio 5 minuti. È cossì facile e divertente assemblarli
che gli irachieni lo fanno fare ai bambini delle elementari,
come premio.
Un cronista di Rai 3 ha chiesto: “I piloti, sia inglesi che
americani, giurano che quei carri si muovevano nel deserto.
Come ottenete questo portento?” E il genio risponde: "Basta
una corda molto lunga. Guardi, si lega qua, uno si mette in
una buca e poi tira il carro armato che, leggerissimo, viene
avanti come una slitta." "Sì, ma il calore emanato dal
motore, come lo realizzate?”
02/10/2012 732
Voi sapete che gli attrezzi di rilevamento di cui sono dotati
gli aerei americani, se non registrano l'esistenza del calore
non danno l’ok perché si spari, anzi, emettono una serie di
pernacchi con contrappunto di sghignazzi e l'aereo se ne va!
"È semplice - risponde il maestro dei carri bidone - noi ci
mettiamo una stufetta a serpentina, loro rilevano il calore e
dicono: ah c'è il motore! E sparano razzi e cannonate come
al carnevale di Rio!" "D’accordo, ma come ve la cavate col
frastuono che produce un carro del genere?” “Sempre più
facile! Ci piazziamo dentro una cassetta con tanto di
registrazione di cingoli e motore Leopard BLUUBLUBLU!"
“Incredibile! - esclama l’inviato di Rai 3 - Nessuno dei nostri
ascoltatori crederà mai che i piloti della Nato si siano
lasciate imbrogliare da mezzi cossì semplici, quasi infantili!”
Non v’è mai capitato di dare un’occhiata dentro la cabina
guida di uno di questi mostri bèllici? Nel cruscotto centrale
di questi super jet, c'è una specie di schermo, appaiono tutti i
disegnini che si muovono come in un videogame e il pilota
non ‘sta neanche a guardare attraverso il parabrezza ma
02/10/2012 733
segue direttamente l’azione attraverso il cruscotto. C'è una
voce che gli comunica tutti gli elementi, gli dice: "Vai,vai,
stai tranquillo, ecco, ecco, prendi quota, fino a trentacinque
abbassa dodici, ecco rileva, rileva, rileva, la velocità è OK…
va, vai che è una meraviglia, sei splendido, la tua mamma ho
saputo che ‘sta tanto bene, vai vai - e appare la faccia della
mamma che gli manda bacetti - Ti andrebbe una grattatina
sulla nuca? Sì? Procuriamo!" PLOP: una manina spunta dal
cruscotto, viene su leggiadra, gli ammolla degli schiaffeti e
gli torce appena l'orecchio “Oh come mi piace!”
All’istante scatta il segnale d’attenzione e incursione:
TIEIHIE! Ecco, appare l'immagine assonometrica di un
carro armato, anzi due, tre, quattro, e la voce si fa epica:
“Ecco qui il bersaglio è un 113 di 10 tonnellate, cannone 9-
81, c'è, c'è, c'è, eccolo l'ho inquadrato, guarda che c'è! Dai
adesso SCHIACCIA il pulsante rosso! Ci sei! Sei puntato!
SCHIACCIA TI DICO!” Se il pilota è preso da un crac
emotivo, la manina gli afferra il polso e lo costringe a
schiacciare. Parte un razzo tremendo che ha anche una video
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camera in testa: tutto intelligente! L’ordigno avanza
inesorabile. Dall'ogiva la radio emette a livelli frastornanti
un canto sul motivo delle Valchirie: “IRACHENO
SCELLERATO, SEI FOTTUTO, SEI FREGATO!"
Obiettivo centrato! PUMPUMPAK! Frammenti di carro vo
per aria, l'aereo risale a quota 2000 con grande impennata…
mentre esplode una risata registrata "AAAHAHAAAA AHA
AHA IIIH!", che si trasforma nell'inno americano.
Il pilota e i suoi generali sono raggianti e non sanno d’essere
stati fregati. Hanno sparato razzi del valore di miliardi per
trappole che costano come un giocattolo per poveri
trovatelli! È inutile, noi italici come bidonisti, siamo il
massimo!
Eppure, ci sono stati dei fabbricatori di trucchi inglesi, che ci
hanno superato, hanno sorpassato in ingegno anche i
torinesi. Costoro hanno realizzato addirittura un carro
armato di gomma.
Il carro armato gommoso, alla maniera di un preservativo
gigante viene pressato dentro una valigetta di queste
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dimensioni... poco più di una ventiquattr’ore. Viene
consegnato all’iracheno addestrato all’uso, l’iracheno
ammaestrato pone la valigetta a terra, estrae dal coperchio
una pompa del tipo “gonfia-gommoni”, col piede preme su e
giù POT POT POT: spunta il carro armato. Dal principio
informe ma che va prendendo il suo assetto sorprendente in
pochi minuti: coi cingoli, la torretta, i cannoni, ch'è il punto
più delicato, che se non si pompa con forza sufficiente il
cannone rimane moscio cossì... e al pilota di lassù potrebbe
nascere qualche sospetto. Ma quando appare il super caccia
bombardiere, l’iracheno pedala come un disperato sulla
pompa PEMPEMPEM TUNTUNTUN ed ecco la canna ritta
come un fallo orgiastico in fase d’orgasmo multiplo!
L’iracheno ha giusto il tempo di gettarsi dentro la fossa di
protezione che parte il razzo e colpisce il bersaglio. C’è il
commento di un pilota americano che è veramente
divertente, dice: "È strano come si comportino questi nuovi
carri armati iracheni, perché non esplodono, non deflagrano
come gli altri russi, cinesi. Non so di che marca siano, che
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nazione glieli abbia procurati: come li becchi saltellano qua
e là nel deserto TUM PIM TUM PIM, emettono uno strano
sibilo PIHIIIIIIIIII e scompaiono nel nulla.
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Versione introduttiva di “Mistero Buffo” eseguita il 29
marzo ‘91.
TRASCRITTA MA NON CORRETTA
Qualche giorno dopo, spinto dai nuovi eventi, ho portato
qualche variante al prologo. Eccovela.
PROPRIO UNA STRANA GUERRA! Un'altra situazione
davvero grottesca è quella dei preservativi. C'era il problema
di preservare le canne delle mitragliatrici, dei fucili, delle
pistole... perché se l’interno delle canne si riempiva di
sabbia, c'era il pericolo che l’arma scoppiasse... SPARI... E'
PIENO DI SABBIA... DEFLAGRA... SI SCALDA
VELOCISSIMO... e allora su ogni mezzo da tiro si infilava
un preservativo... ed era strano! Ho visto due o tre fotografie
che ci hanno mostrato i giornalisti francesi di queste armi a
ripetizione o a rinculo col preservativo dietro attaccato anche
su mitragliere da venti millimetri, e alcuni preservativi
infilati sui cannoni, non so di che misura, marca e
provenienza. Roba gigantesca, da elefanti. Ma io mi
immagino i primi iracheni che si sono beccati i colpi di
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proiettili da questi qua, ancora avvolti nel preservativo, che
per la fretta non stavano a sfilarli TO’... UN PROIETTILE
CON IL CONDOM!
Come dicono i francesi, e hanno proprio ragione, questa è
proprio una "drolle de guerre", una guerra da crepar dal
ridere. Il coronamento di questo conflitto da clown è la
scoperta delle galline da combattimento. No, non è un lazzo
buttato lì tanto per stupire a scompiscio gli alleati elettro-
supercomputerizzati, hanno davvero adoperato le galline in
guerra. È la prima volta nella storia dell’umanità che
assistiamo alla scesa in campo di pollame guerriero evento
del quale noi tutyti dobbiamo essere molto orgogliosi perché
esse sono razza scelta dei nostri pollai, quindi esultiamo:
(intona l’inno nazionale) Oh polli d’Italia, l’Italia s’è desta!”
Forse le superstiti di questo conflitto riceveranno una croce
particolare di Gladio (richiamo fondo pagina2:
organizzazione clandestina creata, per un probabile colpo di
Stato, con l’apporto dell’ex Capo dello governo, Presidente
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Cossiga); quelle che rimarranno vive le vedremo sfilare a
Taranto (NOTA FONDO PAGINA: BASE DELLA
MARINA MILITARE ITALIANA E LUOGO DI
PARTENZA PER IL MEDIORIENTE DEL NOSTRO
CONTINGENTE MILITARE) con le pime al vento e una
croce di ferro penzolante sul petto. Noi staremo lì a salutarle
orgogliosi e ritti sull’attenti ci saranno anche i presidenti vari
che le baceranno.
Ma cos’è ‘sta storia del pollame guerresco? È presto detto:
l'avrete visto in uno speciale TV e l’avrete pure letto su “Il
Corriere della Sera” e la “La Repubblica”… non vi racconto
storie: nelle foto si scorgono alcuni marines con una gallina
bianca in mano, razza emiliane e padovane. Ecco perché
dicevo che le croci di guerra verranno tutte dall'Italia: hanno
svuotato interamente le nostre aziende gallinifere, batterie
intiere anche centomila per volta.
MISTERO BUFFO
SECONDO DISCHETTO
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BRANI INSERITI
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LE MARIE-NAPOLETANO presentazione- brano dialetto-
traduzione
LE MARIE-LOMBARDO - presentazione- brano dialetto-
traduzione
MARIA SOTTO LA CROCE Present. Brano dialetto-
Traduz
LA NASCITA DEL GIULLARE - CI STO LAVORANDO
- pres.
MATTO E LA MORTE- presentazione-brano dialetto
traduzione
MATTO SOTTO LA CROCE - presentaz. brano dialetto -
traduzione
BONIFACIO VIII - presentazione--brano dialetto -
traduzione
GESÙ BAMBINO presentazione, dialet.- traduzione
Presentazione n° 2: PAPA ALBINO
GRAMMELOT FAME DELLO ZANNI presentazione
GRAMMELOT DI SCAPINO - presentazione
GRAMMELOT SULLA CADUTA DEL POTERE -
presentazione
GRAMMELOT AVVOCATO INGLESE- presentazione
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NASCITA DEL GIULLARE
TRASCRITTA CON PARTI NUOVE
EVIDENZIATE,MA NON CORRETTA
Ahh... gént... vegní chi, che gh'è ‘l giulàr! Giulàr ca son
mi quèl... che fa i salt e ca 'l tràmbula de folìa e che...
(esegue una piroetta buffa) Oh... oh... a ve gh’ho fàit
rìder! Vegnìt… ve fagarò scompisciàr, murìr de ridàde…
quand ve farò descovrir i magiorént… che i van intórna
tronfi e gonfiàt ‘me balóni a far guere e a scanàr… ve i
mosterò desbiòti e cunt el cül al vento… e basta
stapàrli… tràrghe via ól pireo dal cül e... pff!!, se sgiónfia
e i stciòpa ‘mé vesìghe!
Vegní chi, che l’è óra e el lògo che mi faga ól pajàsso per
vui! Tütt intùrna a mi! Vegnìt! V'insegni ‘na manéra
nòva de sta’ a mondo. Vegnì... vegnì! Aténti ‘me
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sgambèto intorno a l’improvìso… ‘na cantadina, e fo’
anca i falsèti a saltabech! Vardé la mia léngua 'mé la
gira! Ah... ah... a l'è un mulinèl, un cultèll... che tàja i
garèti ai bosiàrdi impostór! Ma avànte ve vòjo contàr in
che manera mi a son diventàt bufón. En vertà mi no’ a
l’éra sémpar stàit julàr. L’è quèst ca voi ‘contàr, come
sunt devegnüt bufón che ól fa scompisciàr la zénte da le
rigolade! Che mi non son nasüo d’un fiàt tombàt dal
ziélo, e, op!, son chi: “Bondí, bonasìra!” No! Mi, sensa
vantam a son un miràcol vivént! No’ vursì crédem? Sì, a
l’è vera, mi son nasüt contadìn. Pròpri vilàn sapazòle. A
no’ gh’avéo tanto de sta alégro: no’ gh'avévi tèra. No’
gh’avéa nagòta! L’ünega par podér campare l’éra
mèterme sóta pdrón: stcéna cürva e fadìga da
strasabràsci.
Duvìt créderme… déme confiànsa! No’ l’è nemànco
capitàt par caso che a son saltàt sül bancoa fav fa ridàde
a sganàscio…No, e nemànco l’è sucedüt che mea matre
vardàndome bambìn stravacào in la cüna che a rideva a
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sganàsso l’àbia ‘sclamàt: “Ma che bèla facìna
sempàtega... Alegrèsa té mé fa! Spaiasolìn ridénte!
Varda, de grando té fago far el julàr!”
No! E nemanco l’è capitàt che mé son ‘speciàt, rimiràt
deréntro ól cül de una padèla lüstra che la mé faséva de
spècio, cossì che a vardàrme: “Ohi che ögi sbarluscénti
de ‘legrèssa che spantéga luz felìz d’ògni lógo! Son pròpri
sempàtego, spendìdo! Vago a far el giulàre!” E nemànco
l’è capitàt che ól Deo Padre, ch’ol végne sémper a spia’
föra de le nìvule... ch’ol gh’ha niénte de fare quèl…
‘mirando ól so’ creato, beato ól vùsa: “Oh! Che bèla tèra
ch’ho fao! Oh!, che bèla tèra che gh’ho partorìt! Oh, bei
àlbari gh’ho metüo in pie! (Cambia tono) E chi è quèlo?
L’è un vilàn! Cun quèla fàcia! Sempàtiga! “Ehi,
cuntadìn… zèta la vanga, mòla ‘sta tèra e va a fa’ el
giulàr e no’ rompe’ i cojóni!”.
No, no, no’ l’è stàit lü! L’è sta’ ól so’ fiòl Jesus.
Un meràcolo!
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No vàgo ciarlàndo, v’el ziùro! Un miracolo impròprio de
lü: Jesus Cristo en la persona. L’è lü co’ m’ha fàito
devegnìr giulàr!
No’ mé credét? Ól sàvie bén! Alóra el vo’ a mostràrve!
D’acòrde?
Ogne matìna mé valzàvo co a l’éra ancmò scüro… ól sol
no’ éra ‘mò incresùo e mi andava scurvà co’ sàpa, picón
a spacàre zòle: ól méo sudór a l’éra la préma acqua co’ la
tèra la bivéa.
A la sira stornào a la casa imbriagà... stràco morto, co’ i
ögi sbiancàt de lüz e nemànco la vója de ziogàr coi mé
fiolìt, far ziòghi d’amore co’ la mia puta de mi… mojèr
de mi l’amore… mé slungàvo strafugnà stordìt in sü el
lèto... un paiùn... e m’endormìo. No che no’ mé
indormentìvo! Desvegnìvo! E in la note deréntro al mé
dormìr sòno no’ gh’éra insognaménto. Chicchirichì!
Maledìcto! De nòvo a fatigàre!
Ma un ziórno tornào del campo travèrso la rivéra del rio
en zérca de quarche granco… mé so’ sperdùo camìno e,
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de bòta, mé son truvà devànti a üna montagna négra che
no’ cognosévo.
Tremenda, alta!
E gh’hoi domandato a ün careté ca ól pasàva de lì:
“Compagnón, de chi l’è èsta montagna smargiàsa co la se
risa a l’improvìsa?”
“De nisciün!”
“Ma coma ól po' vès che de nisciün ‘sto monte gigante?!”
“La val negóta! L’è piéra négra rutàda da un vulcàgn.
La ciàmen: la cagàda del diàvulo!”
“Ól ghe sarà vegnüo un gran mal de cül a ól diàvul nel
sbrofà da i ciapp ‘sta cagàda,!”
E mi sunt andài fin su... rampegàndome gatóni sul un dòss e
raspàndo cuj ungi e raspando con le unghie da una zanca
fessata ho cavato una manciata di terra… e ho descovèrto
che gh’éra un fregüj de tèra… lo usmàt: dulza, grasa! Sont
‘ndài coréndo fin a casa da la méa fumna, la fémena de mi.
La gh’ho ciamàda in quartiér, criàndo de ‘legrèssa… l’ha
brancàt sapa, la sègia e la m’è vegnüda après coi fiulìn.
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Zónti sül dosso, sénsa nemànco catàr fiàt, avémo comenzà’ a
sapàr da partüto cavàndo quèl pòch de tèra e po’ sèm
desendüi giò a la riviéra del fiüm a catàr sidèlade de terén.
Sémo andàit anco al simitéro, sémo andàiti a robàr tèra ai
morti! Bèlla la terra de le tombe vègie! Grassa! E se montàva
càrighi de sidèli e se spantegàva ‘sto terén letamóso: ziórno
pe’ ziórno, se improntàveno gradoni… ‘na scalenàda de
gradóni! E portà tèra dentro el grembiàl!
Tüti a lavorar, con anco i fiülì.
Contenti!
E la mujèr de mi, bèla, bianca… la andava co’ ‘sti
paniér pién de tèra in su la testa. Un mòverse a dirìto
‘me ‘na rejna! Ögi luzénti, le zinne tunde e sode… co’
quando avanzàva coréndo, i susultàveno apena ‘me
fructi par ól vento. Oh... se l’è bèla! Dólze amore méo!
Dólze amor de mi!
E la cantava! La cantava tanto bén, che la so’ vóse drita in
tèl zervél t’arivàva!
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Ziórno per ziórno, de lune, de lune, sèm ‘rivàti a montàr
tanti gradón ch’ol paréa la Tore de Babèle!
Ma no’ gh’éra l’acqua… Co’ le piche de fèro se faséva bögi
de sonda ma no’ sortìva “na spüdàda. Ghe tocàva desénder
fino al fiüm, deséndere e rimontàr, tüti, mojèr e fiulìt, con
sègi e sègi, ma sémper sèca la turnàva: bivéva, ‘sta tèra
‘me se de sota ghe fóse un drago asetàt!
Un ziórno sunt ‘ndàit cul picùn in spala insìma a ‘sta
montagna biastemàndo: “Deo maledìcto!” e pién de ràbia ho
picàt ‘na bòta a zancàda con fòrsa in de la piéra: PUM! La
piéra s’è spacada e SVUOOOM! SCCIHUUM! È sortìo ‘na
sbrofàda d’aqua che ól m’ha enondàt STCIUM! El sortìo
una gran sbrofàda d’acqua che m’ha inundà. “Oh Segnór,
gràssia! Besógna blasfemàrte par farte fa i miràculi Deo
santo!”
Fotón d’acqua che sbotàva da partüto... e gorgojàndo
spantegàveno ziò per la scarpàda inondàndo a inquitrinà ogni terén!
!
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La mujèr de mi a l’è stciopàda en lacrime co’ un pianto de
ziòia e i fiülìn empaltàt i sguasàva ‘mé pèssi in frégula…
“Gràsia! Gràsia Deo!”
Un parfüm dólze se spantegàva da par tüto… e l’erba che de
sübito sortiva! Gh’ho piantà una seménte de ségale, n’ho
gh’ho fàito a tempo a vultàrme che TAC!, un bütón de
föietìne spuntava! O l’éra tèra d’oro!
Una sera mé son desmentegàdo la sapa impiatàda en tèl
terén; il ziórno aprèso son tornào, l’éra fiurìda: la sapa
fiurìda!
Da i àrbori sbutàva fructi, üsei co i vegnìva a farse ól nido…
parfüm… ól grano, el froménto… 0h! Che folìa! Gh’avévi ól
terór de desvegiàrme de un sogno.
Son ‘ndàit de contra al ziél rosàdo, col sol che l’éra rénta a
calàre drio i monti e ho dit: “Deo! Ól cognóssi bén ól so da
semper che té sèt deréntro ól sol anca in ‘sto momento e té
rengràsio del dono grando che ti mé ha fàito co’ ‘sto
meràcolo! Té ghe sarò reconosénte… a costo de südàr
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sangu, té la fagarò vegnìre un paradìs terèstre ‘sta tèra.
Amen!”
I pasàva i me cumpàgn contadìn e i diséva: “Che cü che té
ghe aüt! Da ‘na muntàgna sèca, t’hàit tirà föra el giardìn de
ün pascià!” E invidia i gh’avéa.
Sunt lì in tèl campo, svòlto la testa e té scòrzo, sul so’ cavàlo
el padrùn de tüta la vale che ól mé punta. Ól ziràva i ögi
intórna e ól mé vardàva… e pöe ól sbòta a dirme: “Chi che
l’ha tràita in pìe ‘sto miracolamento? Chi è che l’ha fàita
sbotà ‘sta tèra?”.
“Mè, segnór! Mè, a l’ho fàita… zòla sü zòla gh’ho portàt…
gh’ho montàt gradóni… Mè! Anco l’acqua che no’ gh’éra...
mé la gh’ho fata spüdàr föra a sapàte! Mèa è ‘sta muntàgna
che l’éra de nisciün!”
“Roba de nisciün l’è üna manéra de dire che no’ exìste miga.
Chi lòga, se no’ ti sa, par tüta la vale, anco fiüme, tèra, pière,
tüto ól gh’ha ün padrón… e mi son quèl!
Padrón anca de l’aria che té respiri.”
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“Ma gh’ho domandào intorno... ‘sto monte el ciàmeno la
cagàda del diavolo improprio per dir che nisciün l’ha gimài
vorsüda. Nemànco vui patrón.”
“Pòle darse... ün témpo… ma adèso gh’hàit ripensàt: L’è
méa!” Gh’ha dàit de spròn al cavalón e l’è disparüt!
Qualche ziórno aprèso ‘l vedo in fonda el prévete, ch’ol
vègn abijàt tüto in nério, ól südàva e col fasülèt se sgrusàva
ól sudór che ól colava da la fronte ziù fino al còlo… e già de
luntàn mé vosàva: (in grammelot imitando il latino)
“Cuntadìn, vilàn caro, in pax tòa végno a dessólvere tòa
spudénzia et presonzión de penzàr che ti pòda poxedére
pruoprietà de un teretòrio. Nullo ex libero de poxexiònem et
ògne palmo de tèra abe una sòja pruoprietàt che illo Papa
e l’Emperadór han comcèxo a èsto mazzorénte üneco e
ti fiòl méo debbi zéder en santa pax domine!”
Come l’è stàit aprèso, gh’ho dàit ‘na sapàda che per pòch
no’ lo gh’ho inciudà, lü, insémbia al so’ àseno che ól
montava! Mai vedüda ‘na ziravòlta cossì de fulmine,
molàndo zachignàde coi talón su le bale del ciùcio, l’andava
02/10/2012 752
saltelón blasfemàndo d’una manéra che mé son fàito el
segno de la cróse!
Do’ ziórni che végne a près ‘riva sü ól nodàro co’ ‘na bèla
müla grosa, con un gran cül… lü, ól nodàro con un cülón
anca lü, che quando l’è desendùo dalla sèla no’ se capiva
se l’éra desendùo… ól cül de lü o quèl de la müla!
O l’ha srotolào ‘na pergamena lònga e scura tempestàda
de ségn, sbirolìzzighi svirgulamént e cróse e l’ha dit,
sanza fiàt, spüdàndo paròli ‘mé ‘na letanìa: “Mèo caro
amìgo, sàvio bén e té dago fiéra rasón del facto che per ól
volgo l’éra sconosiüda alcuna possessión de ‘sto monte,
ma dàndoghe ün’ugiàda a ‘ste carte de pergamena
antìga, se descòvre ciàro che ‘sto lògo terén o l’éra
posesión del rèi Boésio prim, che gh’avéa donàt ól
teritòrio metà, al de chi dól fiüm a una sòa enamorósa,
‘na santa monegha e l’ólter fondo a un fiòl bastardo, el
so’ plu amato tra tuti ii bastardi che ól tegniva. Ma l’è
capitàt in quèl temp che ól fiüm par una gran tempesta ól
stravacàss fòra de i argén e ól se redopiàt in dói rivi:
02/10/2012 753
metà da un canto, metà dall’óltro, lasàndo in mèso
un’isola con soravìa un monte negro. Per ‘sta resón, par
secoli ól monte no’ l’è risultàt de nisciün. Ma adèso
ól nòster segnor e padron l’ha descovèrto ól facto de la
straripàda del fiüme, ól pretende justament de ricatàrse
la posession de ‘sta deabòlega cagàda!”
No’ l’avea nemanco reciapàt fiàt ól notaio che gh’ho molàt
‘na gran bòta, ‘na cagnàda sü i ciàp che l’è scapà via al
galòpo, lü e la sòa müla!
“De ‘ste brase ès ‘sta tèra! No che no’ la mòlo a nisciùno!”
Ma èco che ün dì respùntaa ól padròn coi so’ sbiri.
Nünch èrum in dei campi a trabajàr co’ i fiulìt, la mia
mujéra… e i soldàt de lü m‘han catà, slargà le brase e m’han
tegnüo de fermo. Ól padron ól s’è calàit i braghi, u l’ha
ciapàt la mia mujèr de mi e l’ha sbatüda par tèra: ól gh’ha
strasciàt i sòchi… slargàe le giàmbe, ól gh’è saltàt de sura, u
l’ha fàita come fudèss ‘na mansa. E tüti i suldàt i rideva.
I fiolìt mé vardàva coi ögi sbaràt… sbiadìt.
02/10/2012 754
I vardàva la madre… i vardàva mi. E mi davo gran
scosón… mé sunt liberàt, ho catàit 'na sapa, hu vusà:
“Disgrassià! Ciàpa!".
“Férmo fiöl! Fermo! - m’ha criàt la mujèr de mi - No’
darghe ul pritèsto de copàrte. No’ i spécia óltro. Ti ziùsto ti
pénsi de crepàr pitòsto de spatasciàr el to’ onór... ma ti no’ ti
gh’ha onór. Onor ghe l’hano sojaménte chi ròba tegne,
denàr, tere! Noiàltri sbiòti de tüto no’ gh’avémo onór!
Nostro onór è la tèra! Salva la tèra, tégna la tèra e spüdaghe
sóra a ‘sto onor!”
E mi de bòto ho franàt de ogne volontà… ho molàt la sapa
par tèra.
I soldàt sghignàva de frecàso: “Bèch, cojón, sénsa dignitàd!
Gh’han muntàt la fémena e lü ól sta lì inciulinàt ‘mé un
lifròch!”.
Ól segnór l’è montàito a cavàl e drio a lü se encaminàva i so’
sbìri. “Adèso té la pòl pur tegnìre la tòa tèra. Té mé la
gh’hàit bén pagàda!” e rigulàva.
02/10/2012 755
Andando inànz cumpàgn de ün fròk de cavre sbandàt,
sémo tornài a la casa.
La mujér l’andava avanti, no’ vardava nisciün.
I fiöl no’ mé vuardàva.
Mi no’ vardavi.
Nisciün se vardàva.
Quando po’ la mia mujèr le desendüda in paés per fa’ scorta
de maserizie, la gént al so’ pasàg se scansàva. Nusciün che
ghe diséa bòn dì… cumpàgn che no’ la vedèse nusciün.
Pasàda qualche note la mia mojér criàndo l’è fuìta
curéndo in sü par la muntàgna… la montava feséndo
ridàde… sbatéva i man, cantava a perdifiàt co’ paròli de
svergognàda.
Mata éra.
“Ferma! Férmate amor! Torna indrìo col zervèlo… a mi no’
mé empòrta… sémper ól méo amor té sét par mé!”
No mé dava tra. L’è desparüda. No’ la gh’ho plü gimài
vedüa.
02/10/2012 756
I fiöl no’ diséan parole, no’ ziogàva, no’ i ridéa, no’
piagnéva. Ziórno per ziórno smagrìveno: morti!
V’ün par v’ün, morti son!
Soléngo sont restàit… unégo cristiàn sü ‘sta tèra brusàda…
per la resón che i suldàt gh’avéano dàito fògo a la casa e al
bòsch.
Imbesuìt no’ savéa còssa che fare. ‘Na sira ho catàt un tòco
de corda, l’ho lanzàda su ‘na trave, l’ünega restàda sana tra i
müri fumigàt… hu fàito un grópo, mel son sistemào intorno
al còlo e ho dit: “Deo che anco in de l’oscüro de la note té
varde i omeni ‘traverso i mila sbarlüsci de le stèle… par qual
ziògo malerbèto, Segnor ti mé dàito ‘sto dón de la tera e de
l’aqua carigàndome de sperànsia… per póe, aprèso,
stravacàrme in la merda de desperasiün?! Ti té dovéa mé dir
che o l’éra per segnàrme col fèro ruventàd e darle testamén
ciàro che chi coménsa da vilàn poarèto sémper uguàl dovéa
restàr… no’ farse sperànse né ‘sognménti de presonsión!
Segnor té de digo che a l’è stàito gran sbefezzaménto cruèl
èsto de farme provare chi-lò, in tèra ól paradiso, per despò
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rebutàrme cont ün spernach zó, a l’enfèrno, sinza pità! E
alora té vòjo dir che ‘sta vita de merda co a té mé dàio, mi té
la retórno in drio! Tégnetela ‘sta vita!”
Ól fago per slanzàrme empicàdo, u mé senti pugià ‘na
manàda chi in sü’ la spala, mé volto e gh’è un ziòvin coi
cavèli lónghi… strepenà… la fàcia smorta… i ögi grandi,
dólzi e tristi che ól mé dise: “A podrìa avérghe un poco
d’àqua de bèvar che gh’ho sete?”
“Ma té par el momènto de vegnìr a domandàr da bervàr a ün
che a l’è drio a impicàrse? Ma dua a l’è la creànsa?”
Ghe do ¨n’ugiàda… ul gh’avéa ‘na fàcia de pòver crist anca
lü. Daprèso a quèlo ghe n’è alter dòi desperà: vüno co’ i
cavéli e la gran barba bianca e l’òltro sànsa barba… maghér
e smòrti che i paréa lavàt in de la calcina… co’ la fàcia
patìda.
“A gh’èt altro besógn che de bèvar voiàltri! De magnàre ghe
vòl! (Fa il gesto di togliersi il cappio dal collo) Bòn, ve do
un quaicòs de magnàre e poe mé impìco!”
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Vago… zérco sòta un’arcón restàito in pie: fave sojaménte
gh’ho trovàit e dòe sigóie. Le gh’ho còte bolìte. Gh’ho
impiegnìt tre baslòtti e ghi ho metüt in di man. I magnàva cot
la golosìa de afamàt. Das poe che han magnào, quèlo zióvin
de figüra svèlta e co’ i ögi grandi, soriéndo mé dise: “Gràsie
de’ ‘sta minestra calda! A ti, té végne in mente chi pòsa èser
mi?”
Al vardo bén: “Mé parèse che ti… squàsi… té sièt el Jesus
Cristo!”
“Bòn! Ti gh’hai indovinào! Èsto l’è Paolo e l’óltro l’è
Petro.”
“(China il capo in segno di saluto) Piazére! E còssa che pòdo
far anco’ per vui?”
“L’è basta de quèl che té ghe dàito col magnàre. Mi té
cognósso a ti vilàn, mi sàe còssa té gh’ha capitàt, còssa té
fàit té… a cugnòsi la fadiga che t’è custàda pe’ tiràr in pie
‘sta tèra e far fiorìr ‘sta muntàgna sbrofàda föra da le ciàpe
dol diàvul. Al so del sudór dei to’ fiòl e de la tòa mujèr… e
della violénsia del segnór sü la tòa dòna... Tüto par l’orgòjo
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de no’ molàr ‘sta tèra! Bòn de fòrsa, coràjo… bravo òm ti
gh’ha demostràt de vès! Ma l’è ziùsto che té séa fornìt
cossì… a ‘sta manéra.”
“(Tono risentito del contadino) Par che rasón, Cristo?!
“Parchè té l’è tegnüda tüta sojaménte par ti la tèra e no’ l’hai
spartìda co’ i altri vilàn, strepenàt ‘mé ti!”
“Ma té dìset cus’è?! Spartìr co’i altri un fasolèto de tèra che
nu’ l’éra nemànco a basta par mi e per la méa zént?!”
“Fa no’ el piagnùn… a pudévan vegnì chi a campà tanti
ómter disperàt ‘me ti!
Dime vilàn… ti té sèt andàito intorno per casali… le case de’
paión a ‘contare la tòa storia? Te cercàt de tirài derénter la
tòa vida? No? Bòn, mò at dévet far en manéra che i ólter
se caréghen lor mèsmi de quèl che tè capitat‘… at dévet
dìrghe de ól padròn… de la bastardàda co l’ha fàito co’ la
tòa dona, e avànte del prévete e del nodàro! E po’ ‘scolta
quèl che té conta lori.
E sòvra ògne còssa no’ racontàr de piagnón ma co’ ‘na
rigolàr-sghignasón… aprénde a rigolàr!
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A trasbotà anco el terór in ridàda… Rebaltàr col cül per aria
i furbación che i çérca de incastràrve-ciulàrve co’ i paroli…
co’ le gran ciciaràde! E fa che tüti sbròfa in gran sghegnàs…
che rigolàndo ogni pagüra se desléngua!”
“Ma mi no’ sàbie, no’ sàbie dir parole roversàde… no’ sò
farghe el controcanto de bufón… e nemànco filastròche a
torción sbefàrdo che la léngua mé se intorpéga deréntro i
dénci… col servèlo che tégno inciuchìdo dal sol e da la
fatìga !”
“Té gh’hàit rasòn. Ghe vòl el meràcolo!”
M’ha catàt par la crapa… ul m’ha tiràt visìn a la sòa
fàcia e ól m’ha dit: “Mi Jesus Cristo de ‘sto moménto té
do un baso sü la bóca e ti senterét la tòa léngua frolàr a
tirabusción e poe devegnìre como un coltèlo che pónta e
tàja… smovéndo parole e sfrasegàr ciàri como un
evanzélo.
E poe core in la piàsa! Ziulàre ót sarài! ól padron
sbragherà, soldàit, préveti, nodàri i sbiancheràn
scoprendóse desbiòti ‘me vèrmeni!”
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E cossì ól m’ha catàit la testa, m’ha portàit i labri sòi
dólzi ai mèi et m’ha basàdo. Mé arivàt un gran tremór de
fògo süi lavri… la méa léngua l’ha mé gh’ha comenzàt a
trilurà a torcejón ‘me ‘na bissa. Parole nòve slisigàveno
rotolando in de la méa crapa. Ogne penzér mé se
revoltolàva… ogni idea mé sortéva capovolzüda.
Son corsüt a perdefiàt ziò in borgo, son saltà süi gradón del
batistério e ho gridàt: “Ehi! Zénte! El giulàr son mi! A ve
mostrerò ‘me s’ trasfórmeno i paròli in lame tajénti
che stronca d’un bòto i garèti dei bosiàrdi impostori... e altre
parole che divégne tambüri de per desvegiàre çervèli
dormiénti! Venìt! Venìt zénte!”
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NASCITA DEL GIULLARE
Traduzione
Ahh... gente... venite che c’è i1 giullare! Giullare che
sono io, quello... che fa salti e che straparla folle e che...
(esegue una piroetta buffa) Oh... oh... vi ho fatto ridere!
Venite che vi faccio vedere i maggiorenti spogliati nudi e col culo al vento e scoprire come sono tronfi e
gonfi… palloni che vanno d'intorno a far guerre e a
scannare. Ma basta stapparli, cavargli fuori il tappo dal
culo e... pff!!, si sgonfiano, scoppiano come vesciche! Venite qui: è il tempo e il luogo che io faccia il pagliaccio
per voi! Tutti intorno a mé! Venite! V'insegno un modo
nuovo di stare al mondo. Venite... venite! Attenti che
sgambetti e lazzi v’improvviso… una cantatina, e
faccio pure i falsetti a saltabecco!
Guardate la mia lingua come gira! Ah... ah... Vi mostrerò
come si trasformano le parole in lame taglienti che
mozzano i garretti ai bugiardi impostori! Ma avanti vi
voglio raccontare di come mi sono ritrovato buffone
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che fa scompisciar la gente dalle risate! Che io non sono
nato da un fiato caduto dal cielo, e, op!, sono qui:
“Buondì, buonasera!” No! Io, senza vantarmi sono
miracolo vivente! Non volete credermi? Sì, è vero, io sono
nato contadino. Proprio villano zappazolle. Non avevo
tanto da stare allegro: non avevo terra. Non avevo
niente! L’unica, per poter campare era mettermi sotto padrone: schiena curva e fatica da
spaccabraccia. Dovete credermi… datemi ascolto! Non è nemmeno per
caso che son saltato sul banco a farvi far sghignazzi. No,
e nemmeno è successo che mia madre guardandomi
bambino spaparanzato nella culla che ridevo a
sganascio, abbia esclamato: “Ma che bella faccina
simpatica... Allegria mi fai! Pagliacciolino ridente!
Guarda, da grande ti faccio fare il giullare!”
No! E nemmeno è capitato che mi sia rimirato dentro il
culo di una padella lustra che mi faceva da specchio, così
che a guardarmi: “Ohi, che sventagliata sbaragliante
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d’occhi, mi ritrovo! Sono proprio simpatico,
splendente! Vado a fare il giullare!” E nemmeno è
capitato che Dio Padre, che viene sempre a spiare fuori
dalla nuvole... che non ha niente da fare quello…
rimirando il suo creato, beato grida: “Oh!, che bella
terra che ho partorito! Oh, che begli alberi ho messo in
piedi! (Cambia tono) E chi è quello? È un villano! Con
quella faccia! simpatico! “Ehi, contadino… butta la
vanga, molla ‘sta terra, vai a fare il giullare e non
rompere i coglioni!”
No, no, non è stato lui! È stato suo figlio Gesù.
Un miracolo!
Non vado ciarlando ve lo giuro! Un miracolo proprio di
lui: Jesus Cristo in persona. È lui che mi ha trasformato
in giullare!
Non mi credete? Lo vedo bene! Allora ve lo vado a
mostrare! D’accordo?
Ogni mattina mi alzavo che era ancora scuro… il sole
non ancora salito e io andavo con zappa e piccone a
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spaccar zolle: il mio sudore era la prima acqua che la
terra beveva.
A sera tornavo a casa ubriaco... stanco morto, con gli
occhi sbiancati dalla luce e neanche la voglia di giocare
con i miei bambini, fare giochi d’amore con la ragazza mia, moglie mia… mi allungavo stravolto sul letto, un
pagliericcio... e mi addormentavo. No che non mi
addormentavo! Svenivo! E nella notte nel mio sonno, non c’erano sogni. Chicchirichì! Maledetto! Di nuovo
a faticare! Ma un giorno tornando dal campo attraverso la riva
del fiume in cerca di qualche granchio… ho perso il cammino e, di botto, mi sono trovato davanti a una
montagna nera che non conoscevo.
Tremenda, alta!
E ho domandato a un carrettiere che passa di lì:
“Compare, di chi è questa montagna smargiassante che
si rizza all’improvviso? “Di nessuno!”
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“Ma come può essere di nessuno ‘sto monte gigante?!”
“Non vale niente! È pietra nera ruttata da un, vulcano.
La chiamano: la cagata del diavolo!”
“Gli sarà venuto un gran mal di culo al diavolo
sbroffando dalle chiappe ‘sta cagata!”
E io sono andato fin su... arrampicandomi gattoni, e
raspando con le unghie da una zanca fessata ho cavato
una manciata di terra… l’ho annusata: dolce, grassa!
Sono sceso correndo fino a casa dalla mia femmina.
L’ho chiamata in corte, gridando di allegrezza... ha
brancato zappa, e secchio e mi è venuta appresso con i
bambini. Giunti sul dosso, senza nemanco prendere fiato, abbiamo
cominciato a zappare dappertutto cavando quel poco di terra e poi siamo scesi alla riva del fiume a raccogliere secchiate di terreno. Siamo andati anche
al cimitero, siamo andati a rubare terra ai morti! Bella la
terra delle tombe vecchie! Grassa! E si montava carichi
di secchi e si spargeva ‘sto terreno letamoso: giorno
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dopo giorno, si tiravano su gradoni… una scalinata di
gradoni!
Tutti a lavorare, anche i bambini.
Contenti!
E mia moglie, bella, bianca… andava reggendo panieri di terra in capo. Un muoversi a dritto come da regina!
Occhi lucenti, le zinne tonde e sode… che quando
avanzava correndo, sussultavano appena come frutti per
il vento. Oh... se è bella! Dolce amore mio!
E cantava! Cantava tanto bene che la sua voce, diritta nel cervello ti arrivava! Giorno dopo giorno, luna dopo luna, siamo arrivati a
montare tanti gradoni che pareva la Torre di Babele!
Ma non c’era l’acqua... Con le picche di ferro si facevano
buchi per sondare ma non sortiva uno sputo. Ci toccava
discendere fino al fiume, scendere e rimontare, tutti,
moglie e figli, con secchi e secchi, ma sempre asciutta tornava: beveva, ‘sta terra come sotto ci fosse un drago
assetato!
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Un giorno sono andato col piccone in spalla in cima a ‘sta
montagna bestemmiando: “Dio maledetto!” e pieno di
rabbia ho picchiato una botta a zappata con forza la
nella pietra: PIUM! La pietra si è spaccata e
SVUOOOM! SCCIHUUM! È sortita una gran sbroffata
(un gran getto) d’acqua che mi ha inondato. “Oh
Signore, grazie! Bisogna proprio bestemmiarti perché tu
faccia miracoli, Dio santo!” Getti d’acqua che
sbottavano dappertutto... e gorgogliando scendevano
per la scarpata inondando ogni terreno!
Mia moglie è scoppiata in lacrime con un pianto di gioia
e i bambini infangati sguazzavano come pesci in fregola!
“Grazie! Grazie Dio!”
Un profumo dolce si spargeva dappertutto... e l’erba
che subito sortiva. Ho piantato un seme di segale, non
ho fatto in tempo a voltarmi che TAC!, un butto di foglietti spuntavano! Terra d’oro era!
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Una sera mi sono dimenticato la zappa piantata nel
terreno; il giorno appresso sono tornato, era fiorita: la
zappa fiorita!
Dagli alberi sbottavano frutti… uccelli che venivano a
farsi il nido… profumi… il grano, il frumento... Oh! Che
follia! Avevo il terrore di risvegliarmi da un sogno
Sono andato incontro al cielo rosato, col sole che stava
calando dietro ai monti e ho detto: “Dio! Lo so bene… lo
so da sempre che dentro il sole té ne stai anche in questo
momento e ti ringrazio del dono grande che mi hai fatto
con ‘sto miracolo! Ti sarò riconoscente… a costo di
sudare sangue, té la farò diventare un paradiso terrestre
‘sta terra. Amen!”
Passavano i miei compagni villani e dicevano: “Che culo
hai avuto! Da una montagna secca, hai tirato fuori il
giardino di un pascià!” E invidia avevano.
Sono lì nel campo, volto la testa e ti scorgo, sul suo
cavallo il padrone di tutta la valle che mi punta. Girava
gli occhi intorno e mi guardava… e poi sbotta a dirmi:
02/10/2012 770
“Chi ha messo in piedi ‘sto miracolo? Chi ha fatto
sbottare in fiore ‘sta terra?
“Io, signore! Io, l’ho fatta… zolla su zolla ho portato… ho montato i gradoni... Io! Anche l’acqua che non
c’era... io l’ho fatta sputare fuori a zappate! Mia è ‘sta
montagna che non era di nessuno!”
“Roba di nessuno è una è un detto che non esiste. Qui,
se non lo sai, per tutta la valle, anche il fiume, terra,
pietre, tutto, ha un padrone… e io, sono quello!
Padrone anche dell’aria che respiri.”
“Ma ho domandato intorno... ‘sto monte lo chiamano la
cagata del diavolo proprio per dire che nessuno l’ha mai
voluto. Nemanco voi padrone.”
“Può darsi... un tempo… ma adesso ci ho ripensato: è
mia!” S’è fatto una risata e via, ha dato di sprone al
cavallo ed è sparito!
Qualche giorno appreso scorgo, là in fondo il prete che sale
la china abbigliato tutto di nero, sudava e col fazzoletto si
tergeva il sudore che colava dalla fronte giù fino al collo…
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e già da lontano mi urlava: (in grammelot imitando il latino)
“Cuntadìn, vilàn caro, in pax tòa végno a dessólvere tòa
spudénzia et presonzión de penzàr che ti pòda poxedére
pruoprietà de un teretòrio. Nullo ex libero de poxexiònem et
ògne palmo de tèra abe una sòja pruoprietàt che illo Papa
e l’Emperadór han comcèxo a èsto mazzorénte üneco e
ti fiòl méo debbi zéder en santa pax domine!”
Come è stato vicino, gli ho dato una zappata che per poco
non l’ho inchiodato, lui, con l’asino che montava! Mai
vista una giravolta tanto repentina, mollando pedate coi talloni sulle palle del ciuccio, andava saltelloni
bestemmiando in una maniera che mi sono fatto il segno
della croce!
Due giorni appresso arriva su il notaio con una bella
mula grossa, con un gran culo... il notaio con un culone
anche lui che quando è disceso dalla sella non si capiva se fosse sceso il culo di lui o quello della mula!
02/10/2012 772
Ha srotolato una pergamena lunga e scura tempestata di
segni, sghiribizzi, e croci e ha detto, senza prender fiato,
sputando parole come una litania: “Mio caro amico, lo so
bene e ti do fiera ragione del fatto che per il volgo era
sconosciuta alcuna possessione di ‘sto monte, ma dando
un’occhiata a ‘ste carte di pergamena antica, si scopre
chiaramente che questo terreno era possessione del re
Boezio I, il quale aveva donato il territorio metà, al di qui
del fiume a una sua amante, una santa monaca, e l’altro
lato a un figlio bastardo, il più amato tra tutti i bastardi
suoi che teneva. Ma è capitato in quel tempo che il fiume
per un gran tempesta straripasse dagli argini e si
dividesse in due corsi: metà da un canto, metà dall’altro, lasciando in mezzo un’isola con sopra un
monte nero. Per questa ragione, per secoli il monte non risultò di alcuno. Ma oggi il nostro signore padrone ha
scoperto l’accaduto della straripata del fiume, pretende
giustamente di tornare in possesso di questa diabolica
cagata!
02/10/2012 773
Non aveva manco ripreso fiato il notaio che gli ho
ammollato una gran botta, una azzannata sulle chiappe,
che è partito al galoppo lui e la sua mula!
“Di queste braccia è la terra e non la mollo a nessuno!”
Ma ecco che un giorno riappare il padrone con i suoi
sbirri.
Noi si era nei campi a lavorare, con i bambini, mia
moglie… e i suoi soldati mi hanno afferrato, allargate le
braccia e mi hanno tenuto fermo. Il padrone si è calato le
brache, ha preso mia moglie e la scaraventata a terra: le
ha strappato le sottane... allargate le gambe, gli è saltato
sopra, l’ha montata come fosse una manza. E tutti i
soldati ridevano.
I bambini mi guardavano con occhi sbarrati... sbiaditi. Guardavano la madre... guardavano mé.
E io mi dibattevo, sono riuscito a liberarmi, ho afferrato
una zappa e ho urlato: “Disgraziato! Prendi!”.
02/10/2012 774
“Fermo figlio! Fermo! - mi ha gridato mia moglie - Non
dargli il pretesto di accopparti. Non aspettano altro. Tu
giustamente pensi di crepare piuttosto che spiaccicare il tuo onore... ma tu non hai onore. Onore l’hanno
solamente quelli che possiedono roba, possiedono
denaro, terre! Noialtri nudi di tutto non abbiamo onore!
Nostro onore è la terra! Salva la terra, tieni la terra e
sputaci sopra a ‘sto onore!”
E io di botto ho franato di ogni volontà… ho mollato la
zappa a terra.
I soldati sghignazzavano con fracasso: “Becco, coglione,
senza dignità! Gli hanno montato la femmina e lui sta lì
imbambolato come un allocco!” Il signore è montato a cavallo e dietro a lui si
incamminavano i suoi sbirri. “Adesso té la puoi pure
tenere la tua terra. Mé l’hai bén pagata!” e rideva.
Muovendoci come un gregge sbandato siamo tornati alla
casa.
02/10/2012 775
La mia donna andava avanti, in testa a tutti, non
guardava nessuno.
I figli non mi guardavano.
Io non guardavo.
Nessuno si guardava.
Quando poi mia moglie è discesa in paese per fare scorta
di masserizie, la gente al suo passaggio si scansava.
Nessuno che le dicesse buongiorno… come se non la
vedessero.
Dopo qualche notte mia moglie gridando è fuggita
correndo su per la montagna... saliva ridendo... batteva le mani, cantava a perdifiato con parole da svergognata.
Matta era.
“Ferma! Fermati bene mio dolce! Torna indietro col
cervello... a mé non importa... sempre il mio amore sei!”
Non mi dava retta. È sparita. Non l’ho mai più vista.
I bambini non dicevano parole, non giocavano, non
ridevano, non piangevano. Giorno dopo giorno
dimagrivano: morti!
02/10/2012 776
Uno dopo l’altro, morti sono!
Solo, sono restato... unico cristiano su ‘sta terra
bruciata... giacché i soldati avevano dato fuoco anche alla
casa e al bosco.
Imbesuito non sapevo cosa fare. Una sera ho preso un
pezzo di corda, l’ho lanciata su una trave, l’unica restata
sana tra i muri affumicati... ho fatto un nodo, mé lo sono
sistemato intorno al collo e ho detto: “Dio che anche nel
buio della notte guardi gli uomini attraverso i mille
luccichii delle stelle… per quale gioco maledetto,
Signore, mi hai dato ‘sto dono della terra e dell’acqua
caricandomi di speranza... per poi, appresso,
rovesciarmi nella merda della disperazione?! Tu dovevi
dirmelo che era per segnarmi col ferro arroventato e
dare testamento chiaro che chi inizia la sua vita da
villano-poveretto sempre uguale deve restare, non farsi
né speranze né sogni di presunzione! Signore ti dico che è
stata gran sbeffeggiata crudele questa di farmi provare
qui in terra il paradiso, per poi ributtarmi con uno
02/10/2012 777
spernacchio giù, all’inferno, senza pietà! E allora ti
voglio dire che ‘sta vita di merda che mi hai dato, io té la
ritorno indietro. Tienteta ‘sta vita!”
Faccio per lanciarmi impiccato, mi sento appoggiare una
mano qui sulla spalla, mi volto e c’è un giovane con i
capelli lunghi... malmesso... la faccia pallida... gli occhi
grandi, dolci e tristi che mi dice: “Potrei avere un po’
d’acqua da bere che ho sete?”
“Ma ti pare il momento di venire a domandare da bere a
uno che sta per impiccarsi? Ma dov’è la creanza ?”
Gli do un’occhiata... aveva una faccia da povero cristo
anche lui. Appresso a quello ci sono altri due disperati:
uno con i capelli e la gran barba bianca e l’altro senza
barba… magri e smorti (pallidi) che parevano lavati
nella calcina... con la faccia patita.
“Avete altro che bisogno di bere voialtri! Da mangiare ci
vuole! (Fa il gesto di togliersi il cappio dal collo) Bene, vi
do un po’ da mangiare e poi mi impicco!”
02/10/2012 778
Vado... cerco sotto un arcone l’unico non franato: fave
solamente ho trovato e due cipolle. Le ho cotte bollite. Ho
riempito tre ciotole e gliele ho messe in mano.
Mangiavano con golosia da affamati. Di poi che si son
sfamati, quello giovane di figura svelta e con gli occhi
grandi, sorridendo mi dice: “Grazie per ‘sta minestra
calda! A té, viene in menti chi possa essere io?”
Lo guardo bene: “Mi pare che tu... quasi... sia Jesus
Cristo!”
“Bene! Hai indovinato! Questo è Paolo e l’altro è Pietro.”
“(China il capo in segno di saluto) Piacere! E cosa posso
fare ancora per voi?”
“È abbastanza quello che ci hai offerto. Io ti conosco
contadino, io so cosa ti è capitato... quello che hai fatto…
conosco la fatica che t’è costata tirare in piedi ‘sta terra,
far fiorire ‘sta montagna sbroffata fuori dalle chiappe
del diavolo. So del sudore dei tuoi figli e di tua moglie… e
della violenza del signore sulla tua femmina. Tutto per
l’orgoglio di non lasciare ‘sta terra! Grande forza e
02/10/2012 779
coraggio... hai dimostrato di essere un bravo uomo! Ma è
giusto che tu sia finito così... in ‘sto modo.” “(Tono risentito del contadino) Per quale ragione,
Cristo?!”
“Perché l’hai tenuta tutta solamente per té la terra e non
l’hai spartita con gli altri villani, poveri come té!”
“Ma cosa dici?! Spartire con gli altri un fazzoletto di
terra che non bastava nemmeno per me e per la mia
gente?!”
“No, non fare il piagnone… ci potevano venire a
campare tanti altri disperati come té! Dimmi villano…
sei andato intorno per casali... per le capanne di paglia a raccontare la tua storia? Hai cercato di tirarli dentro la
tua vita? No? Bene, ora da adesso devi fare in modo che gli altri si facciano carico di quello che ti è capitato... devi dirgli del padrone... della sua bastardata
che ha fatto con la tua donna, e prima del prete e del
notaio! E sopra ogni cosa non raccontare piagnucolando
ma con lo sghignazzo… impara a ridere! A tramutare
02/10/2012 780
anche lo spavento in risata. Ribaltare col culo per aria i
furbacchioni che cercano di incastrarvi con le parole! E
fa che tutti sbottino in gran risate… così che ridendo
ogni paura si sciolga.”
“Ma io non so, non so dire parole rovesciate... non so
fare il controcanto da buffone... e nemanco filastrocche a
torciglione beffardo che la lingua mi si inceppa dentro i
denti… col cervello che tengo ubriacato dal sole e dalla
fatica!”
“Hai ragione. Ci vuole il miracolo!”
Mi ha preso per la testa, mi ha tirato vicino alla sua
faccia e mi ha detto: “Io, Jesus Cristo da ‘sto momento ti
do un bacio sulla bocca e tu sentirai la tua lingua frullare
a cavatappi e poi diventare come un coltello che punta e
taglia... smuovendo parole e frasi, chiare come un
vangelo. E poi corri nella piazza! Giullare sarai! Il
padrone sbragherà, soldati, preti, notai sbiancheranno scoprendosi nudi come vermi!”
02/10/2012 781
E così mi ha preso la testa, ha portato le labbra sue dolci alle
mie e mi ha baciato. Mi è arrivato un tremore di fuoco sulle
labbra... la lingua ha cominciato a trillare a torciglione come
una biscia. Parole nuove scivolavano rotolando nel mio
cervello. Ogni pensiero mi si rivoltava... ogni idea mi sortiva
capovolta. Sono corso a perdifiato giù nel borgo, sono
saltato sui gradoni del battistero e ho gridato: “Ehi! Gente!
Il giullare son io! Venite qui, fate attenzione, ascoltate! Vi
mostrerò come si trasformano le parole in lame taglienti che
stroncano d’un botto i garretti degli infami impostori... e
altre parole che diventano tamburi per svegliare i
cervelli dormienti (addormentati)! Venite! Venite gente!”
02/10/2012 782
I GRAMMELOT
LA FAME DELLO ZANNI
Presentazione
Prima di proseguire con le giullarate dei misteri medievali,
permettetemi di eseguire un salto in avanti nel tempo e
raggiungere il nostro Rinascimento. Questo allo scopo di
presentarvi il grammelot, cioè il linguaggio del tutto teatrale
inventato dai Comici dell’Arte. All’origine fino a quasi tutto
il ‘400 le compagnie di teatro erano composte da attori
occasionali e dilettanti. Ma a cominciare dalla compagnia
diretta da Angelo Beolco detto Ruzzante (nel primo quarto
del ‘500) gli attori cominciarono a riunirsi in gruppi
consociati con tanto di statuto e contratto. Rapidamente si
formarono diecine di compagnie regolari e di teatranti
professionisti a Napoli come in Sicilia, a Roma e in tutto il
resto d’Italia. Senz’altro il Veneto con a capo Venezia vide il
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formarsi di gruppi teatrali la cui fama raggiunse ben presto
Parigi, Madrid, Londra fino a Mosca e San Pietroburgo.
Quando poi nella seconda metà del ‘500 esplose la
Controriforma, l’attacco condotto dalla Chiesa verso gli
intellettuali liberi colpì duramente anche le compagnie di
attori associati, cioè i teatranti della Commedia dell’Arte che
spesso godevano della protezione politica e finanziaria dei
principi nelle città dove aveva sede d’origine la loro
compagnia. Quei commedianti vennero costretti ad una vera
e propria diaspora. Furono centinaia le compagnie che
dovettero emigrare in tutti i paesi d’Europa: Spagna,
Germania, Inghilterra. La maggior quantità di quei teatranti
si stabilì nella Francia.
È ovvio che la maggior difficoltà era quella di farsi intendere
dagli abitanti di quei paesi che non conoscevano la nostra
lingua. È vero che i comici dell’arte possedevano
insuperabili doti di gestualità ed erano veri maestri della
pantomima, ma dovettero creare qualche cosa che
permettesse loro di esprimere più profondamente il discorso
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del gioco satirico e tragico che andavano proponendo.
Cominciarono col impiegare un linguaggio che potremmo
definire pseudo-maccheronico, cioè composto da sproloqui,
apparentemente senza senso compiuto, infarciti di termini
della lingua locale pronunciati con sonorità e timbri
italianeschi. Via via si perfezionarono fino ad impiegare,
oltre ad una straordinaria gestualità, suoni onomatopeici che
realizzavano l’immagine delle azioni o stati d’animo a cui si
voleva alludere.
Questo gioco imponeva agli spettatori l’impiego di una certa
dose di fantasia e immaginazione che produceva loro
l’insostituibile piacere dello scoprirsi intelligenti.
In Francia le compagnie dei “Gelosi” e dei “ Raccolti”
furono tra le prime a sviluppare questo genere di
rappresentazione. Ma ancor prima della “cacciata” quei
comici si erano già esercitati nel loro paese nel gioco di
reinventare “idiomi foresti”.
Il grammelot più antico è senz’altro quello dello Zanni. Lo
Zanni è il prototipo di tutte le maschere della Commedia
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dell’Arte, padre di Arlecchino, Brighella, Stenterello,
Sganarello ecc… però a differenza di quasi tutte le maschere
che hanno nomi e comportamenti inventati, questo ha
un’origine reale.
Zanni era il soprannome che fin dal XV secolo i Veneziani
davano ai contadini provenienti da tutta la Lombardia, il
Piemonte e le province del Garda e dell’Adda. In particolare
i villani di Brescia e Bergamo venivano chiamati “Giani” o
“Joani”. Questi antenati dello Zanni assursero all’attenzione
della cronaca in conseguenza dell’esplosione di un
fenomeno straordinario che si sviluppa in quel periodo: la
nascita del capitalismo moderno. Pochi lo sanno, ma il
capitalismo moderno è nato in Italia. Quando insieme a
Franca si recitava negli Stati Uniti, da Boston a New York
fino a Washington, ogni sera provavo un senso di incredibile
orgoglio nello svelare agli spettatori americani che banche,
carte di credito, cambiali sono tutte nostre invenzioni, cioè
della nostra borghesia mercantile del cinquecento.
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Il nuovo capitalismo viveva soprattutto sul movimento di
denari legati alle guerra di conquista coloniale; i banchieri
erano così importanti che si potevano permettere di donare le
proprie figlie in spose a re di tutta Europa, come successe
alle figlie dei de’ Medici di Firenze. Senza l’apporto
determinante delle banche italiane, in particolare di quelle
fiorentine, l’America non sarebbe stata scoperta o almeno
sarebbe stata scoperta più tardi.
Il nuovo continente non ha il nome di Colombo suo
scopritore, ma di Amerigo – Amerigo Vespucci – capitano,
figlio di banchieri e banchiere egli stesso. É sintomatico che
“America” abbia origine proprio dal nome di un banchiere.
A cavallo della Controriforma Venezia gode di uno
straordinario sviluppo, le terre conquistate o acquistate
grazie all’apporto delle banche in tutto il Mediterraneo
fruttano ricchezza sia in denaro che in derrate alimentari,
derrate che invadono i mercati della nostra penisola
causando grandi sconquassi. Infatti il prezzo delle merci
offerte era talmente basso che i contadini non riuscivano più
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a vendere i propri prodotti. Così questi Zanni disperati
abbandonarono le loro terre e si riversarono nelle città e nei
porti più ricchi del Nord, in particolare a Venezia. In
grandissimo numero gli Zanni scesero a Venezia con le loro
donne a cercare lavoro; accettarono i lavori più bassi dallo
svuotare latrine al facchinaggio al porto, si adattarono al
ruolo di sottoservi, quasi schiavi. Le loro donne, oltre che
ricoprire il ruolo di serve e sguattere, si dedicarono alla
prostituzione. Il numero delle prostitute in quel tempo, a
Venezia, cresceva a vista d’occhio tanto che
l’amministrazione della repubblica cominciò a preoccuparsi
seriamente e indisse un’inchiesta.
È quasi automatico, ancora oggi il governo, quando
esplodono calamità che turbano l’opinione pubblica,
immediatamente indice un’inchiesta… Poi non se ne fa più
niente, ma l’importante è di aver dimostrato una buona
volontà.
In seguito a quest’inchiesta, La Repubblica di Venezia
scoprì che la bellezza dell’11% dell’intera popolazione era
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dedita alla prostituzione. Detto così non fa neanche tanta
impressione, infatti nessuno di loro ha accusato sorpresa o
brivido… anch’io comme ho letto questa notizia su un testo
di storia non mi sono impressionato più di tanto: 11% è una
quantità abbastanza accettabile, ma bisogna saperle leggerle
le inchieste, analizzate correttamente spesso infatti riservano
sorprese terrificanti. proviamo infatti a rileggere insieme
questa percentuale. Cosa vuol dire 11% dell’intera
popolazione? Dunque in quel tempo la popolazione era salita
a 160.000 abitanti… quindi cominciamo col dividerla in due
parti, ottantamila maschi mettiamoli da un lato… si
prostituivano anche loro, ma in modo del tutto particolare;
poi abbiamo ottantamila femmine, da cui bisogna togliere le
anziane, le donne vecchie, ma proprio quelle decrepite
perché non appena stavano in piedi: un po’ di rossetto, due
cuscini a far da tette qui… e via che funzionavano che è un
piacere! Poi togliamo le bambine, quelle col moccio, ma
come rimanevano in piedi da sole , andavano bene anche
loro. Poi abbiamo le suore, le religiose… per favore,
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mettiamole da parte senza far ironia o sarcasmo, non è
proprio il caso! Poi abbiamo le ricche, le aristocratiche, le
nobili che si prostituivano anche loro, ma … a prezzi
inaccessibili. Ebbene il restante numero delle femmine
corrisponde proprio all’11% dell’intera popolazione. Tutte!!
Una delle situazioni tragiche che hanno portato allo
splendore il capitalismo moderno sono sempre state le crisi.
Il fenomeno aumentava le differenziazioni che già
esistevano, gente che navigava nella ricchezza e gente
ridotta alla fame. “La fame dello Zanni” è il titolo di questo
brano e il personaggio che io vi presento è uno Zanni, un
facchino delle valli di Bergamo e Brescia senza lavoro che
da giorni non tocca cibo.
Il comico che per primo s’è cimentato nel rifare il verso allo
Zanni disperato per la fame non conosceva certo il dialetto
autentico degli Zanni, né tanto meno lo comprendeva il
pubblico che assisteva alla sua esibizione. Il comico doveva
quindi inventarsi un grammelot bresciano bergamasco
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infarcito di termini veneti truccati da lombardesco delle
montagne.
Eccovi il testo e la descrizione de “La fame dello Zanni”.
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LA FAME DELLO ZANNI
(Lo Zanni barcolla, si muove come un ubriaco) Greulot,
nachì stulò (le espressioni con caratteri diversi sono tutte
invenzioni onomatopeiche)… me tengo ‘na fame, ‘na
sgandùla che pe’ la desperasiùn u zervèl mé stròpia a sgròll.
Deo che fàme! Gh’ho ‘na fame che mé magnarìa anca un
ògio (mima di cavarsi un occhio) e mé lo ciuciarìa ‘me
‘n’òvo (succhia l’immaginario uovo). Un örégia mé
strancarìa! (Fa il gesto di strapparsi un’orecchio) Tüti e dòi
l’öregi (esegue e li mastica con avidità)… Ól naso cavarìa
(esegue). Oh, che fame tégno! Che mé enfrocarìa ‘na man
dinta la bóca, ziò in tòl gargaròz fino al stómego e caò in
pratosciò guiu (mima tutta l’azione) e stroncarìa da po’le
büdèle, tüte le tripe a stroslon fragnao (mima di cavarsi le
budella tirandole fuori attraverso la gola, quindi le arrotola
sul braccio)… stropian cordame – srutolon (finge di
strizzarle per ripulirle dalle feci. Squote la mano nel gesto di
liberarsi da tanta zozzeria). Merda! Deo quanta merda de
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repién! (Soffia come in un lungo tubo e ne ottiene un
pernacchio dai timbri grevi e profondi con contrappunto di
falsetti scurrili) FRUUOOOH… SPROH…
FESCIOUAAAH… TRIFIHIEE! (Scuote l’immaginaria
canna di budella, quindi inizia a masticarla e ingoiarla
come fosse una interminabile salsiccia. Mastica e
commenta) Sgnagui que brossolo smagnasent
lüganegosa… Gne, gna gnitraguì (rutto finale emesso
con soddisfazione. Si accarezza il ventre salendo fino alla
gola. Deluso e disperato)! Ohi, la fame che tégno! Me
magnarèsse i monti, le valàde, le nìvule (punta lo sguardo in
alto lontano) E, bòn par ti, Deo, ch’et sit lontàn! At magnarìa
tüto ol treàngolo in sü la crapa, i cherubèn d’entórno (pausa,
poi ridendo crudele)… at gh’hai pagüra, ah?! (Si rivolge al
pubblico come scorgendolo solo in quell’istante) Ohi,
quanta zénte!… smonluat specandot… me vorarìa sciernìr
i pì tenerìn e pœ ciuciàrmei fin a i ösi.
Deo che fam! Straguonante! (Barcolla)… Mòro! Sento
strabocàrse le büdèla che sbate come campane en
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drofegnam direndon direndooola (muove fianchi a
sbattere e fa oscillare il ventre. All’istante si blocca e si
guarda intorno sopreso) En do son mi? Còssa che m’è
capitò? Una cusìna?! Son deréntro a ‘na cusìna imbostonàda
de stuvìe, padèle, pentolón e marmìte… ohi!, gh’è anca roba
da cusinàre! Presto (quasi dandosi ordini) cata ‘sto pentolón,
piàsalo sul fœgo strabuscént che svùrgula. Àgua! (mima di
afferrare un bacile e rovescia acqua nella marmitta sul
fuoco. Sbatte un gran ventaglio per incitare le fiamme)
Fœgo, fœgo… boja! De tüti i diàvuli, sprugìt fiàme
d’enfèrno… büje! BLIC BLOC BLIC Sale! ‘Na bèla salàda
grosa (esegue), la canèla (mima di afferrare un bastone da
polenta e con quello agita l’acqua) Vaì! Sbordéla, che mó te
dago de grignire (fa il gesto di afferrare un sacco e lo
solleva) Pulénta… oh, Santa pulénta, mais spulentàt
(rovescia il contenuto del sacco nel paiolo. Nello sbattere il
sacco, questo gli cade nella gran pentola) Ohi demòni! Me
tromborlà òl saco in tèl bujón! (Afferra il bastone e con
quello muove dentro la pentola nel tentativo di ripescare il
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sacco ormai vuoto. Non ci riesce) Maladìcto sacón,végne
fœra! Sòrte! No’ ti vòl sortìr? Bòn, bùje puranco, bestia! Te
magno anca ti. (Rapidissimo abbandona il bastone e afferra
un mazzo di rami secchi, lo immerge nel fuoco, lo ritira
incendiato e lo infila in un immaginario camino) Fœgo,
fœgo… (Sempre dandosi ordini) ‘Na marmìta padèla su ‘sto
fiametón incaloràdo… (agita la padella e vi rovescia
qualcosa) Oeli, sóngia, bütìro. (branca la padella e fa saltare
il soffritto. Mima di aggiungere aglio e altri sapori) Ali,
scigóla, rosamrì… sbati, salta. (Abbandona per un attimo la
padella e afferra qualcosa su un ipotetico tavolo) Càrna!
Carnàsa santa morbedósa… (afferra un coltellaccio) a tòchi!
(Mima di calare fendenti rapidi sul pezzo di manzo. Ritrae
veloce l’altra mano e la osserva preoccupato) Bòja! Per ‘na
sfìrzola no’ mée tajàvo un dido… L’üngia: mé son tajà
giòsto l’üngia! (Raccoglie i tocchi di carne e li scaraventa
nella padella. Quindi la solleva facendo volare la carne per
poi riprenderla da gran giocoliere) Diaól inzopà! Me burlà
tüto! (Si china raccogliendo i tocchi di carne da terra e li
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ributta nella padella) Vino (finge di afferrare una piccola
damigiana e versa il vino nella padella, si ritrae come
aggredito da una fiammata di vapore. Quindi annusa) Che
parfümo! Bòn, bòn che aprèso té magno! (Si ricorda
all’istante della polenta. Afferra il bastone e lo remena
dentro il paiolo) Zira, sgorlàssa pajón brucugnànt! (Si rigetta
sulla padella e la agita mentre con l’altra mano mena la
polenta. Sculatta con natiche e ventre per darsi il tempo)
Strùja, sbàcchia, smena svalugné scorievò (come ispirato,
lascia ogni cosa per spostarsi più in là sul palcoscenico.
Mima di attizzare un altro fuoco. Ci pone sopra una pentola
e rapidissimo versa strutto e altri ingredienti per il soffritto)
Gràsa de purzèl, bògna de stüsa, arborì canèla… (vi getta
velocemente ogni ingrediente come in un rito religioso.
Mima di rincorrere un pollo) Pulàstru végne chi-ló… che
t’ha scüèli (allunga il braccio e con velocità da gatto afferra
il pollo e gli torce il collo. Emette grida disperate da pennuto
scannato) CAIECOOO SGRIEE IOCCHIRECHE… TOC!
(Si osserva la mano destra dopo uno scatto repentino) Sé
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stacà: gh’ho strampà nèto la crapa! (Si porta l’immaginaria
testa del pollo alla bocca e la divora in un botto) Bòn!
(Getta il pollo nella pentola e la solleva con scatti da
maestro cuoco. Uno sguardo rapido all’altra padella dove
frigge la carne. Allunga un braccio, con la mano afferra il
manico e fa saltare la padella. Anche l’altra mano agisce in
contrappunto. Girando netto sul dorso, afferra il bastone e
rimesta la polenta, ma le pentole sono tre e lo Zanni può
agire solo con due braccia. Quindi spregiudicato, come
fosse prassi normale, si infila il bastone fra le natiche e
agitando le medesime continua a far saltare padella e
pentola eseguendo una danza davvero spassosa e
funzionale) Stralup pelosoo vuoi, vuoi, balengo patrafé
spignì, vuoi, vuoi! (Con scatti rapidi abbandona quella
danza, afferra la padella del primo fuoco e rovescia il manzo
stracotto dentro la marmitta paiolodella polenta. vi Infila il
bastone nel paiolo e rimesta con forza, gridando) Ah,
pulentùn, carnàssa svergula impastò! (Quasi come
indemoniato si avventa sull’altra pentola) Polàstro, a
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végni… té magni straculò! (Afferra con le mani il pollo, ma
si scotta) Ohi, che brusatàda! La furzìna (forchetta) SGNAC
(Infilza il pollo con un forchettone. Quindi afferra un
coltellaccio e mena fendenti verticali sul pollo) A tòchi té
fago polùn anca a ti… STRAC STRAZAC! Bòja ol dido, me
son tajàt ol dido! (Mima di afferrare il tocco di dito che è
rotolato a terra. Lo raccoglie e lo avvicina al tronco mozzo
piagnucolando) Ól me dido, poarèto destacà! No’ gh’ho pì el
dido (lo osserva, lo solleva avvicinandolo al viso, quindi
voracissimo se lo mangia) Bòn! (Rovescia il pollo fatto a
pezzi dentro la marmitta della polenta, infila il bastone e lo
agita “roversando” e sbattendo il pastone succoloso. Afferra
i manici del gran paiolo, pianta bene i piedi a terra, lo solleva
e, inarcando le reni e spingendo il ventre in avanti, porta
alle labbra il pentolone. Si ingoia tutto il pastone fumante.
Rimette a terra la marmitta a mezzo svuotata, afferra il
bastone ne rimena i bordi per intingerli nel restante
papocchio. Si porta alla bocca il bastone a mò di mestolo
una, due, tre volte finché non finisce per infilarsi in gola
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tutto il bastone. Lo Zanni resta impalato. Si agita, da botte a
scatto col ventre, il petto e le natiche finché fa a pezzi il palo
e lo digerisce con gran rutto finale. Perplesso si porta le
mani alla bocca ed esclama) Pardon! (Una lieve pausa. Lo
Zanni sembra risvegliarsi. Si guarda intorno, si palpa il
ventre. Lamentoso, addolorato) L’è staìto un
insognaménto… tüto sojaménte un suégno. No’ è vera, no’
gh’ho magnào… (si guarda la mano) nemanco ol mé dido
m’e magnò! (Piange) Stuveico smalarbeto vignon!
Imperchè m’è faìti ‘sti schersaménti de bofonerìa (Piange ed
emette un lamento quasi infantile) EHIEE, OHIEEE (Il
lamento si trasforma nel ronzio acuto di un moscone)
VUHEEE VUHIII (Lo Zanni lo segue con lo sguardo mentre
l’insetto fastidioso gli vola intorno. Il moscone compie
evoluzioni beffarde intorno al suo naso, poi allarga i giri, va
via. L’insetto sembra sparito, ma ritorna più insolente che
mai e va a posarsi sul naso dello Zanni che resta bloccato
con gli occhi che si incrociano sulla sua canappia. Le dita di
una sua mano s’arrampicano lentamente lungo il collo
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mentre quelle dell’altra scendono dalla nuca. Cercano di
circondare il moscone: veloce la mano che sta sulla fronte
scatta e afferra l’insetto infame. Sprizzando gioia inaudita lo
Zanni urla) L’ho catào! L’ho catào! (Sbircia fra le dita
serrate e esclama radioso) Bello! (Torna a sbirciare, quindi al
pubblico) Grosso, grasso! (Infila due dita della mano libera
fra quelle dell’altra chiusa a trappola. Mima di estrarre,
stretto fra due dita, il moscone. Lo mostra al pubblico con
gesto trionfante) Va che bestia! (Stupefatto) Che animàl!
(Gli stacca una zampina e la mostra) Un parsiùtto! Va che
giambón sbrigulànte! (L’azzanna, mastica vorace e ingoia
goloso mugolando per il piacere. Quindi afferra l’altra
gambina e la descrive) Ohi questa che grassonàssa!
Straprosiütto d’un gambetón! (Lo sbrana con sospiri e
deglutisce ispirato. Considera la carcassa dell’insetto ed
esclama) Oh, le alìne… béle… quatro alìne! (Le stacca
delicato e le inghiotte rapido. Assapora) Bòne… dólze! E
gh’è dei disgrasió che i büta via! (Osserva ispirato quel che
rimane dell’insetto) Che petorón: questo mé lo magno tüto
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entrégo! (Mima di afferrare da una saccoccia una piccola
saliera. La scuote come per cospargere il succulento boccone
di sale. Quindi porta l’ultimo tocco alla bocca, lo mastica
lento come per goderne lo straordinario sapore. Mugola a
ogni masticata ed emette un grido quasi a imitare un
orgasmo da infarto. Deglutisce, con un gran sospiro si batte
una gran manta sul petto e trionfante se ne va esclamando)
Che magnàda!
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GRAMMELOT NAPOLETANO DI RAZZULLO
Corretto Silvia 1 agosto 2000
Un altro efficace e spassoso grammelot è senz’altro quello
napoletano. Ve ne propongo un frammento dove un
Razzullo-Pulzenella dichiara di voler far pace con la sua
donna che lo ha sorpreso ad amoreggiare con una rivale. La
“Femmena amorosa” sta alla finestra e lo accoglie con insulti
e lancio di ogni ben di dio. Cerca di colpirlo con vasi,
addirittura con una sedia e per finire gli lancia l’odoroso
contenuto d’un pitale.
Ascùltame burruttélla méa, core che strùllega en
pazzulillo! Tu ce hai raggióne: sóngo uno fetiénte, ma io
vorséve veghé intravièrso la gielusìa tòja quanto me vò’
bbène.
Sì, tu c’hai raggióne! Allùcca, strùffala, ensùltame…
quanto me piàsce! Ye! Tu me sta pallàndo d’ammore.
(Scansa al volo un vaso) E chell’è chisto ‘nu vaso e fiore
pe’ mme?! Quanto si bella!
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Bella e còre (porta la mano alla nuca massaggiandosi) e
no! ‘Na pétra no, chisto è ‘n’errore (raccoglie qualcosa
per terra)… oh, nu l’è ‘na pétra: è ‘na pigna! Che zentìle
ségni me lanzi dello bene tòjo! (Si scansa di nuovo) e mò
che d’è chisto? ‘Na carrega?! Ell’è pe nu famme restà
ritto en péde? Ammàbbile signora… m’assètto e té
cuntèmplo! (Poi all’istante si rizza in una giravolta
improvvisando una danza e canta) Starrùppia, svilla e
fràcca, lu òcchi tòje s’anzìcca spurra calore e carrùcca
làgreme zuoiose spretùcca.
Prille, prille! Carabìllu scaratìllu de ‘sto tòo rizùllo!
Remìra quanto è bello e cetrùllo scaracàllo… gallo
strichìllo ammóre zinno… zinne d’amore téne! Cumme
pomi d’Afrudìte. Cucca! Cuciàcca! Du paradiso
sgnàcca… zinne sciollóse, chiappe pollóse, vócca de
ceràsa, vàsame, che moro accà!
Ehiee (si scansa con uno zompo) e che d’è ‘st’annacquata
che m’ha enfrascicàto?! La capa, la fazza e cuòrpo
sano… chióve all’amprovvìsa? (Raccoglie da terra un
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oggetto e lo osserva) Isto è ‘nu pitale, ‘nu càntere (si
annusa il braccio, si netta la faccia e annusa la mano)
Maravéglia struppettósa… chista è orina frisca! (Si volge
con la faccia all’insù verso la finestra) ‘N’angelo de lu
cielo m’ha mannàto ‘sta roggiàda!! È ‘no tòo
spisciàcchio, ammóre? Tu té ce sei mongiùta ‘sto piscio
addoràto e udoróso, apposta pe’ famme presente dellu
bbene tòo, ammóre, ammóre che chióve làcreme de cielo!
(Saltella e inizia una danza da tarantella con canto
appassionato)
Basastrélla attraciùcca la tarantella pe’ té mi danze.
Tutta mé pìja ‘stu crillu frezzànte.
L’ànzelo méo ha pisciàto all’estànte!
02/10/2012 804
TRADUZIONE
Ascoltami burratella (burrosa) mia, cuore che si strugge
impazzito! Tu hai ragione: sono un fetente, ma io volevo
vedere attraverso la gelosia tua quanto mi vuoi bene.
Sì, tu hai ragione! Strilla, batuffolo, insultami...quanto
mi piace! Ye! Tu mi stai parlando d’amore. (Scansa al
volo un vaso) E cos’è questo? Un vaso di fiori per me?!
Quanto sei bella! Bella di cuore! (Porta la mano alla nuca
massaggiandosi) Eh no! Una pietra no, questo è
un’errore (raccoglie qualcosa per terra)… oh, non è una
pietra: è una pigna! Che gentili segni mi lanci del bene
tuo! (Si scansa di nuovo) E ora che cos’è questo? Una
sedia?! È per non farmi restare ritto in piedi? Amabile
signora... mi siedo e ti contemplo! (Poi all’istante si rizza
in una giravolta improvvisando una danza e canta in
grammelot intercalato con parole di senso compiuto)
Starrùppia, svilla e fràcca, gli occhi tuoi s’anzìcca spurra
calore e carrùcca lacrime gioiose spretùcca.
02/10/2012 805
Prille, prille! Carabìllu scaratìllu de ‘sto tòo rizùllo!
Rimira quanto è bello e cetrùllo scaracàllo… gallo
strichìllo ammóre zinno… zinne d’amore tiene! Come
pomi d’Afrodite. Cucca! Cuciàcca! Du paradiso
sgnàcca… zinne sciollóse, chiappe pollose, bocca di
cigliegia, baciami che muoio qua!
Ehiee (si scansa con uno zompo) e che è ‘st’annacquata
che mi ha infradiciato?! La testa, la faccia e il corpo
sano… piove all’amprovviso? (Raccoglie da terra un
oggetto e lo osserva) Questo è un pitale, un cantero (vaso)
(si annusa il braccio, si netta la faccia e annusa la mano)
Meraviglia struppettosa… questa è orina fresca! (Si volge
con la faccia all’insù verso la finestra) Un’angelo del cielo
m’ha mandato ‘sta rugiada!! È un tuo spisciàcchio,
amore? Tu ti sei munta ‘sto piscio adorato e odoroso
apposta per regalarmi il bene tuo, amore, amore che
piove lacrime del cielo! (Saltella e inizia una danza da
tarantella con canto appassionato, in parte in grammelot)
Basastrélla attraciùccala tarantella per te io danzo.
02/10/2012 806
Tutto mi piglia ‘sto grido frizzante
L’angelo mio ha pisciato all’istante!
02/10/2012 807
STORIA DI SAN BENEDETTO DA NORCIA
San Benedetto da Norcia, voi sapete, è anche conosciuto
come il Santo muratore, che quello pare proprio fosse il suo
mestiere da quandíera ragazzino. È senz’altro il fondatore
del monachesimo organizzato. Siamo nel VI secolo, cioé al
tempo del regno goto di Totila e di Giustiniano, che era a
capo del Sacro Romano Impero d’Oriente.
La comunit‡à dei monaci viveva all’origine in antichi
caseggiati abbandonati che essi stessi avevano alla meglio
restaurato grazie soprattutto all’aiutato dei villani del luogo.
Essi frati erano dediti essenzialmente alla meditazione, alla
preghiera, allo studio e alla contemplazione, ma poi San
Benedetto ci ripensò e impose ai suoi seguaci di munirsi di
attrezzi di lavoro e di faticare nei campi, costruire muri,
erigere forni per cuocere pani, vasi e mattoni. Questa è la
storia del passaggio dal prega, contempla al lavora e
costruisci da cui l’”Ora et labora”, regola prima dell’ordine
benedettino.
02/10/2012 808
Ma come si è maturato questo cambio, questo aggiustamento
straordinario?
È un tema che è stato svolto e raccontato in chiavi diverse, in
forma di filastrocche, favole, giullarate e moralità a
cominciare dall’alto Medieovo fino all’Ottocento spesso
come pretesto satirico e didattico dentro le conte popolari.
La fabulazione che noi abbiamo ricostruito è certamente fra
quelle di origine più antica.
Abbiamo riscritto la giullarata utilizzando il linguaggio
(volgare) dell’Italia centro-meridionale come ricordando i
pochi frammenti medievali della memoria popolare umbro-
irpina che ci sono pervenuti.
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SAN BENEDETTO
Stéveno li benedettini mònechi logàti in zu monte dinta a
cavièrne. Oh, quanto ell’erano majestuósi quanno che se
ponéveno en ginòcchia co’ la fàzza vuòlta a lu cielo e
pregàveno e ce pijàveno visioni sante! L’ànema de chilli se
fazéva acussì lezzéra, che lu corpo mismo, libberàto de li
travagli naturali dell’òmeni e delle fémmene, levitava pe’
l’àire cossì che capetàva che uno sant’òmo pregando, tutto
priso dentro l’àuri cielèsti, se levàva di quarche spanna dallu
terreno e ce restéva suspéso anco pe’ ‘na miezz’ora.
Li mònachi tutti se comenzévano a farze scòla in ‘sta
suspensióne meraculósa e intra issi ce nassévano tenzoni a
chi reussìva a slonzàre chiù alto nell’àira. Issi mònechi
éveno descovèrto che col razzionzére una condezióne
mésteca lo cuòrpo suòjo tutto, se desvotàva de ogne gravàme
e peso e accussì fàzile levitava. Ci era però abbàsta che co’
lu penzéro returnàssero a la normale terra et ècculi che de
botto prezipitàveno allu sòlo con gran tonfo per lu ché
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alcuno se retruovètte forte ammaccato. Intra li monachi che
annàvenno facéndo svuolàzzi de qua e de là, capetàva
inspécie alli chiù jòveni spereculàti, de retruovàsse ruotolàti
co’ lu capo a bàsscio. Dippuòi chilli sbattendo li piedi,
reussìvano a annà en capuovòlte pe’ lu ziélo. “Famme turnà
abbàsscio!” criàveno alli frati sòi e chilli coí pertiche lònghe
li agganzàveno come fùssero occèlli e traìveno allu sòlo. Ma
càpeta ‘nu jórno che monaco Serafino se retruòva en lezzéro
svuolàzzo sóvra lu tetto de lu romìto e ‘na ventata lo pìja
accussì che ell’è travuòlto comme ‘nu vascello a tutte vele in
la tempesta. Se va, levàndose infino a li nivule chiù alte e
dinta a chille se despàre. La settemàna apprèsscio quattro
monachi desesperàti peí la dipartita de lu cunfràte Serafino
se stanno a pregà pe’ l’ànema santa de lo desparùto e tanto
sòi prisi in de l’orazione devìna che manco se encòrgono de
sta montando en vólo comme fuèssero ‘no sturmo de passere
suspennùti pe’ l’àire. “Scènni! Scennéte!” ce grìdeno
abbàsscio li frati, ma chilli embriàchi de beatetudine,
assordìti se stanno comme scorbàtti. Piccirìlli devéngheno
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nellu cielo, manu a manu dessòlti dinta o fermamènto. En
làcreme desesperàte mò stanno tutti li mònechi e lu patre
santo Bendetto ordena che ogne mòneco sta en òbblego
quanno che prega de tegnérse in la saccocchia ‘na petra tosta
e greve. Ma non è abbàsta che li mònachi igualeménte ogne
jórno se pìjano el vólo, manco fùssero pojane o frenguèlli.
Quinni se pruòvano ‘sti òmmeni santi a ligàrse ‘na fune
entórno a la panza co’ pendùta n’àncora de zavorra.
Quarcunàrtro se liga ‘na fune a ‘nu truòco d’àrboro. Ma no’
ve c’è verso: l’orméggi devèlti a ogne ventata e li mònechi
allo svuolàzzo intra li nìvuli! Lo mòneco cusiniére, ditto lo
Coco, che se allìga a lu collo ‘na fune lónga affrancata depoi
a nu carro, se sàje en vuòlo, ma no’ se allìbera che la fune
annudàta a lu carro lu tratténe. Salvato ell’è, ma li frati sòj lo
retruòveno enpiccàto a struòzzo.
A ‘sto ponto mastro santo Benedetto chiàmma tutti a ‘no
radùno e ce dice a li mònechi: “Accà ce besógna porre
remèdio... vùje ben cummprennéte che se anco lo frate
nostro Coco, che ce fa de magnàre se invola fòra in lu cielo,
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ce retuovàmme allu desàstro. Fra lu poco accà de nùje no’ ce
resterà cchiù nissciùno! Ell’è chiaro che no’ reussìmme ad
avvécce vantàzzo e sarvaménto arcùno né co’ petre, né coí
àncore e carriàggi appendùti. L’ùneca àncora veràce che ce
pole salvà ell’è codesta!” et lu santo s’àccatta de cóntra lo
muro ‘na vanga, la posa intra le mane de uno monaco e dice:
‘Tégne! Abbràncate a ‘sto arnese e cchù no’ te reussirà de
levàrte en volo!”
“Maistro santo” ce fa lu mòneco Benefàcio “No’ l’è abbàsta
greve ‘sta vanga che ce faccia de zavorra!”
“Ell’è vero si tu la tene penzulóne! Ma se tu ce pruòvi a
dacce en zocca a la terra e ce spigni co’ lu pede e valze le
zolle e l’arrivòlti, tu te scovrerà tosto quanto pesa e se face
greve! Pruovàtece vùje tutti quante a cattàrve ‘sta zappa e
‘sto reastrèllo e anco vuj artri… ‘ste pale e ‘sti raspóni.
Dàtece a rebattóne, infreccàte in lu terreno e menate de
mazza su le petre. Spignéte le careòle, montate li muri,
rizzate l’àrconi de cuntraffòrto. Traìte ‘na muràta tonda
entórno a chèlla grotta per farce ‘nu forno pe’ lu pane e li
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mattoni. Curàggio!… Issa!… Batti!… Stronca!… Valsa!…
Scarna!… Issa! Ascultàte mò lo sudore che ve sorte, goccia
a goccia da la fronte a le brazza, accussì stàteve segùri che
no’ ve reussirà de levàrve de manco n’antìcchi en volo!
De ‘sto muménto a tutti nui, mònachi mèi, ce tocca de
guadagnàrce lu pane e lu derìcto de campà a ‘sto munno.
V’aggràda ‘nu tetto? Li muri de la càmmara pe’ stacce
frischi e pruoteggiùti? Fabbrecàte! V’aggràda lu grano, li
frutti? Zappate e semmenàte!
Nu ce avremmo cchiù lu derìcto de pesàcce su la groppa
dell’altri, villane e minori co’ lu pretèstu che nui pregghiàmo
e cantiàmmo el gloria pe’ l’àneme lori e issi s’affatìcheno
pe’ la panza nuòstra! Ziogàteve ‘sto cambio e ce restarémo
beati co’ li pedi encollàti a la terra. Amen!”
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Traduzione
Stavano i monaci benedettini alloggiati su monti dentro a
caverne. Oh quant’erano maestosi quando si ponevano in
ginocchio con la faccia rivolta al cielo e pregavano e
godevano di sante visioni! L’anima di quelli si faceva così
leggera che il corpo stesso, liberato dai travagli naturali degli
uomini e delle femmine, levitava per l’aria. Così capitava
che un sant’uomo in preghiera, sprofondato nell’aura celeste,
si levasse di qualche spanna dal terreno e rimanesse sospeso
anche per una mezz’ora.
I monaci tutti cominciarono a esercitarsi a galleggiare in
questa sospensione miracolosa, tra di loro nascevano
tenzoni, si gareggiava a chi riuscisse a chi riusciva a
ballonzolare più in alto. Quei monaci avevano scoperto che
col raggiungere una forte condizione mistica, il loro corpo si
svuotava tutto d’ogni gravame e così levitava facile
(facilmente). Bastava però che con il pensiero ritornassero
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alle quotidiane diatribe del vivere normale ed eccoli che
all’istante precipitavano al suolo con gran tonfo, rovinosa
caduta per la quale qualcuno si ritrovava fortemente
ammaccato. Tra i monaci che facevano svolazzi di qua e di
la, capitava specialmente ai più giovani spericolati, di
ritrovarsi rivolti con la testa in giù. Dippoi quelli sbattendo i
piedi, riuscivano a fare capovolte per il cielo. “Fammi
tornare giù a terra” imploravano ai loro fratelli e quelli con
pertiche lunghe li agganciavano come fossero uccelli e li
traevano al suolo. Ma un giorno capita che monaco Serafino
si ritrovi in leggero svolazzo sopra il tetto del romitorio e
una ventata lo assale cosicché si ritrova a beccheggiare
rapido con le vele gonfie da scoppiare. Se ne va, levandosi
fino alle nuvole più alte e dentro a quelle sparisce. La
settimana appresso quattro monaci disperati per la dipartita
del confratello Serafino, stanno a pregare per l’anima anta
dello scomparso e sono così presi dall’orazione divina che
manco si accorgono di stare montando in volo quasi
tramortiti in uno stormo di rondini che vanno migrando.
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“Scendi! Scendete!” gli gridano sotto i frati, ma quelli,
ubriachi di beatitudine, sono assordati come pipistrelli. In
lacrime disperate stanno ora tutti i monaci e il padre santo
Benedetto, ordina che ogni monaco sia in obbligo, quando
prega, di tenersi in saccoccia una pietra tosta e greve.
Ma non è sufficiente, ché i monaci ugualmente ogni giorno
pigliano il volo, manco fossero poiane o fringuelli.
Quindi questi uomini santi provano a legarsi una fune
intorno al ventre costretti a un’ancora di zavorra. Qualcun
altro si lega una fune ad un tronco d’albero. Ma non c’è
verso: gli ormeggio divelti a ogni ventata e i monaci che
svolazzano tra le nuvole!
Il monaco cuciniere, detto il Cuoco, che si lega al collo una
fune lunga affrancata poi a un carro, se ne sale in volo, ma
non si libera dalla fune che, annodata al carro, lo trattiene.
Salvo è, ma i fratelli suoi lo ritrovano impiccato a strozzo. A
questo punto mastro santo Benedetto chiama tutti ad un
raduno e dice ai monaci: “Qua bisogna porre rimedio… voi
ben comprendete che se pure il nostro fratello Cuoco che ci
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fa da mangiare se ne vola fuori nel cielo, ci ritroviamo al
disastro. Fra poco qui non resterà più nessuno! È chiaro che
non riusciamo a trarre alcun vantaggio e salvamento né con
pietre, con ancore né affrancati ai carri. L’unica ancora vera
che ci può salvare è codesta” e il santo prende da contro il
muro una vanga, la posa nelle mani di un monaco e dice
“Tieni! Prenditi quest’arnese qua e non ti capiterà più di
levarti in volo.”
“Maestro santo - gli dice il monaco Bonifacio - non è
abbastanza greve questa vanga che ci faccia da zavorra!”
“È vero se tu la tieni a penzoloni! Ma se tu provi a dar di
mazza a frangi terra e spingi con il piede e sollevi le zolle e
le rivolti, tu scoprirai tosto, quanto pesa e si fa greve!
Provateci tutti quanti a prendervi una zappa e questo
rastrello e anche voi altri, queste pale e questi forconi. Dateci
con forte braccio e schiena, ficcatele nel terreno e menate di
mazza sulle pietre. Spingete carriole, costruite muri, rizzate
gli arconi di contrafforte. Montate una murata onda intorno
a quella grotta per farci un forno per il pane e i mattoni.
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Coraggio!… Issa!… Batti!… Stronca!… Alza!… Scarna!…
Issa!… Ascoltate ora il sudore che vi sorte goccia a goccia
dalla fronte alle braccia e così state sicuri che non vi riuscirà
di levarvi nemmeno di un palmo in volo. Da ‘sto momento a
tutti noi, monaci miei, ci tocca di guadagnarci il pane e il
diritto di campare a ‘sto mondo
Vi aggrada un tetto? I muri della cella vostra per starci
freschi e protetti? Fabbricateveli! Vi aggrada il grano e i
frutti? Zappate e seminate!
Non abbiamo più il diritto di pesare sulle spalle, groppa
degli altri, villani e minori, con il ricatto furbesco che noi
preghiamo e cantiamo gloria per le loro anime mentre quelli
si affaticano per la pancia nostra! Giocatevi questo cambio…
e resteremo beati con i piedi incollati a terra! Amen!”
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GRAMMELOT “CADUTA DI POTERE”
CORRETTO SILVIA 1 Agosto 2000
Esiste un Grammelot che sviluppa il tema della “caduta del
potere” di cui fa accenno uno studioso straordinario di teatro
popolare:Vito Pandolfi, autore della preziosa raccolta di
canovacci e testi della Commedia dell’Arte.
Il grammelot lombardo-veneto si propone di raccontare la
sequenza del trapasso con tragica agonia di un uomo di
grande autorità e ricchezza. Il giullare dovrà presentare la
scena, i personaggi dei parenti afflitti, degli amici, dei
postulanti, dei prelati, banchieri, soldati e capitani… tutti
protesi a fingere cordoglio, disperazione e pianto interrotto
da qualche sghignazzo soffocato con fatica. Appaiono donne
che gridano, svengono sorrette a stento da famigli e uomini
illustri. Il tutto contrappuntato da lamenti e laceranti
singhiozzi. Alcuni medici esprimono opinioni e diagnosi via
via, sempre più disperate.
Prelati di alto e basso rango transitano dentro e fuori la
camera dell’infermo seguiti da chierici con turiboli
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oscillanti. Sembra di assistere alla dipartita di un doge, di un
regnante, di un grande banchiere o un potente uomo politico.
La grande invenzione scenica sta proprio nel particolare che
il morituro non appare mai: sono i personaggi del coro che
ce lo fanno immaginare nella stanza attigua.
Ognuno, come più gli aggrada, può anche vederci il crollo di
un potente partito politico o addirittura di una intramontabile
egemonia.
Il giullare fabulatore si pone dritto, immobile sulla scena in
un gran silenzio. Con movenze rallentate mima di sbirciare
curioso al di là della porta, si ode un’imprecazione e lui
rapido si ritira facendo immaginare di esservi scacciato.
Ecco che dalla porta esce un servo che fa intendere di
reggere un pitale. Il curioso chiede notizie, il servo gli dà da
annusare il pitale (espressione disgustata), il servo getta il
contenuto del pitale dalla finestra e subito si ritrae: qualcuno
grida dal di sotto bestemmiando. (È ovvio che il gioco
mimico che permette al pubblico di immaginare i due o più
personaggi in azione impone una notevole agilità e un
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mestiere quasi stregonesco.) Il curioso s’affaccia alla
finestra e zittisce. Entra un medico che vuole a sua volta
annusare il resto dell’urina. Il servo rientra nella stanza del
moribondo, esce con altri pitali. Pantomima che fa
immaginare un gruppo di sapienti intenti ad analizzare
l’urina: assaggiano intingendo un dito, quindi versano in
bicchieri il liquido e accennano ad un brindisi, infine
distrattamente bevono. Sputacchio generale.
Grido fuoriscena di una donna: tutti che accorrono a
sorreggerla, la donna cade di schianto trascinandosi il
gruppo al suolo. Giungono i prelati, quindi un chierico col
turibolo: roteando il turibolo percuote un medico che perde
la compostezza e il sussiego. I prelati chiedono informazioni
al capo dei medici e il sapiente descrive la situazione: con
gesti appropriati fa apparire il corpo dell’ammalato su un
tavolo. Descrive i vari organi: il cuore batte tamburellando
tempi altalenanti, stop e aritmie da accompagnamento
musicale per una danza. Il gran medico agita le braccia,
muove i piedi e le anche come in una pavana. Quindi ritorna
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a descrivere il corpo del nobile paziente: mima di affondare
mani e braccia dentro il suo ventre. Ne estrae organi vari che
osserva e butta; quindi cava budella e le va riavvolgendo sul
braccio alla maniera dei marinai con le funi. Come preso da
follia, spoglia con rapidità il corpo di tutti i suoi organi e li
getta per aria riafferrandoli e facendoli roteare intorno come
un giocoliere e in gran fretta lo ricompone, quindi allarga le
braccia e in grammelot sentenzia: “Non c’è più niente da
fare. È fottuto, da buttare!”.
I prelati levano le braccia in segno di sgomento e dolore;
accennano un lieve sproloquio che vuole esprimere il
cordoglio per la perdita di un sì grand’uomo. Il prelato
maggiore recita un’omelia nella quale ricorda le
straordinarie gesta del morente: eccolo cavalcare un
destriero in battaglia, sfoderare una spada per tagliare in due
il mantello e lanciarne un brandello a un povero. Eccolo
quindi intento a distribuire denari a disperati con gesti da
seminatore… ripensarci, chinarsi velocissimo, riprendersi il
denaro e scacciare quegli accattoni. Abbracciare una donna,
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baciarla, possederla, scacciarla, acchiapparne un’altra dalla
quale viene scacciato a sua volta. Ora lo vediamo piangere
disperato, scagliarsi come un Moro di Venezia sulla
fedigrafa e scannarla. Poi raccoglierla e intonare un solenne
miserere.
Infine la porta si spalanca ancora e in grammelot il giullare
annuncia la morte del Signore. Gran respiro, pausa…
cicaleccio che si trasforma in un riso sempre più sonoro fino
allo sghignazzo che a sua volta si tramuta in una festosa
tarantella.
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GRAMMELOT DI SCAPINO
Presentazione
Si conoscono anche frammenti di imitazioni satiriche di altri
lingue: grammelot in spagnolo, in arabo, in inglese e
naturalmente in francese. Come abbiamo già accennato la
Francia, inparticolare Parigi, era diventata la seconda patria
dei comici italiani che avevano ottenuto addirittura il
privilegio di poter recitare in un teatro della corte reale.
Senz’altro il più famoso grammelot che ci è pervenuto è
quello detto di Molière o di Scapino, maestro del giovine
signore.
Molière, formatosi sul modello dei comici dell’arte, voi
sapete, è sicuramente il più grande autore della Francia, uno
dei più geniali commedianti di tutti i tempi, e godeva
dell’appoggio straordinario di Luigi XIV, cioè a dire del re
Sole in persona, che lo sosteneva proteggendolo contro gli
attacchi di vescovi bigotti e cortigiani reazionari, ma appena
il re si spostava dalla corte di Parigi ed éra costretto in certi
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casi ad uscire dai confini del suo paese per risolvere
questioni politiche e spesso militari, ecco che Molière si
trovava spiazzato e alla mercè di tutti quei nobili e potenti,
che bloccavano le sue rappresentazioni e minacciavano lui e
la sua compagnia di mandarli sotto processo o addirittura di
eliminarli fisicamente.
Nel brano che ora vado a presentarvi Molière mette insieme
due prototipi che sono all’origine di due famosi fatti teatrali.
Sto parlando del “Tartufo” e del “Don Giovanni”.
Sinteticamente, questa è la storia di un giovane ricco, figlio
di banchieri, rimasto orfano all’improvviso del padre, uomo
potente, grande finanziere e politico scaltro e spregiudicato.
La chiave scenica prende avvio dal momento in cui il
giovane rimane solo a dover gestire l’immenso potere che ha
ereditato. Purtroppo si è finora completamente disinteressato
del mondo degli affari e della politica: non ne conosce né il
gioco, né le regole. A questo punto, entra in scena Scapino,
vecchio servo, il classico primo Zanni della Commedia
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dell’Arte, sapiente e scaltro: sarà lui il precettore del giovane
signore.
Inizia cossì la lezione: Scapino, esprimendosi in grammelot,
detta le prime regole fondamentali del comportamento a
cominciare dal modo in cui un vero signore debba
addobbarsi, esibire un’appropriata gestualià, camminare,
usare toni vocali ed espressioni corporee.
Descrive le normali parrucche che i nobili sono soliti calzare
in quel tempo (siamo nel ‘600): erano veri e propri ammassi
rotoluti di capelli con ghirigori, annodamenti riccioluti.
Esiste un ritratto di un nobile del tempo esposto al Louvre:
possiamo ammirare la parrucca del signore che fuoriesce
addirittura dalla cornice, infatti ai due lati sono posti tele di
minor dimensione che raccolgono il resto dei riccioli
strabordanti.
Infine Scapino, invita il giovane apprendista a gettare la
propria parrucca alle ortiche e ad annodarsi i suoi veri
capelli sulla nuca. Quindi descrive l’enorme mantello che i
nobili sono usi trascinarsi appesi alle spalle con gran fatica e
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avverte il giovane del tragico pericolo che quel mantello
rappresenti in caso di vento, vento che a Parigi, specie in
primavera, soffia con violenza inaudita, gonfiando le cappe
dei ricchi nobili banchieri e politicanti sollevandoli in aria
fra le grida degli astanti. (Lieve pausa) E molti di questi
banchieri politici non son più tornati… li stanno aspettando
ancora. Penso che questa moda del grande mantello
dovrebbe essere assolutamente ripristinata nell’attuale
mondo della politica e degli affari!
Eccovi quindi il testo e l’azione del grammelot francese di
Scapino:
“Greton seu flaran estell brié a sa piserre mitand leo faià
pigné…” fate attenzione, non c’è una sola parola che
significhi qualcosa. Questa è appunto la regola dell’autentico
grammelot! Al massimo è concesso di pronunciare termini
che alludano a oggetti o persone, non di più.
Vi voglio ricordare a tal proposito il mio debutto in Francia
con questo monologo: è avvenuto circa 25 anni fa. Ero stato
invitato a recitare alla Salle Guernier, uno dei più prestigiosi
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teatri di Parigi. Avevo deciso di aprire la mia esibizione
proprio con il “Grammelot di Scapino”. Mi ero detto con una
certa presunzione: “Se ha funzionato cinque secoli fa con i
Comici dell’Arte, funzionerà anche con me!”. Appena mi
son trovato sul palcoscenico, sbirciando in platea, ho
riconosciuto nelle prime file alcuni volti di uomini e donne
famose: c’era Sartre con la Bouvoir, Leger, Pivar,
Hostionsky, Matieux, e il direttore del T.N.P. nonché una
caterva di attori, attrici e registi del Teatre du Soleil e della
Commedie Française. M’è preso un colpo! Anzi, il classico
CRAK del commediante: all’istante mi è sparita tutta la
saliva dalla bocca, mi son sentito arrivare sangue gelato sul
cranio e le ginocchia hanno cominciato a franare… colpo di
reni e… “ Vai che sei solo!”. Ho presentato a gran velocità,
parlando un francese approssimativo, ambiente e situazione
del grammelot in questione e dopo una breve camminata da
Zanni disarticolato, fingendo di rivolgermi al giovin signore,
mio allievo, ho iniziato il monologo. Agitando le braccia e le
mani, descrivevo la parrucca e i boccoli fluttuanti: “Per
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encelle stillocà o bignar et fliseuax… plignorelle catifur à
bisses criar et plan de sofise pistognar du palaux!
Gli spettatori, quella gran massa eruditi, eccelsi intellettuali e
geni del colore e del palcoscenico, mi stavano tutti
guardando attoniti con gli occhi sbarrati: non un sospiro, non
un sorriso… completamente pietrificati. All’istante qualcuno
ha esclamato ad alta voce: “Splendido questo francese del
‘500!”. È scoppiato un grande applauso con risata. Ero
salvo! Ma proseguiamo col nostro Scapino.
(Descrive mimicamente il turbinio dei riccioli che gli si
arrampicano letteralmente sul viso, graffiandogli il naso e gli
occhi fino a rinchiudersi in una morsa che lo soffoca) Pituan,
rigeull smalifuor, spt trapit pirtap… (Sputa, ansima,
smoccola. Si strappa la parrucca dal capo e dal viso. La getta
via urlando) Pas de parruques, sa suffi avec ce sgruscinar
peteaux! Ce suffi de lie le chevaux sur la nüc… (Mima
l’azione di raccogliersi i capelli e annodarseli dietro il capo.
Quindi accenna un procedere tronfio) Promenade a la
spilusce, grabbié slotent prevoire. (Scivola leggiadro sui
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piedi e articola le ginocchia con fremiti e scatti repentini.
S’arresta e si rivolge al pubblico) Questa è la camminata
imposta dall’eccessivo “decore” di gran moda in quel tempo:
merletti, fronzoli e dantelle. Ricorderete senz’altro il
costume del re Sole: un lungo sbuffo sulle maniche, trine
finemente ricamate sul petto e intorno al collo montanti fino
alle orecchie e dietro la nuca… un prurito da impazzire! Il
che causava il classico scatto di testa del sovrano del tutto
simile alla sbirellata di collo di uno stallone. E ancora trine e
dantelles che fuoriescono da sotto la camicia e riprendono a
metà delle brache per rispuntare fra le calze a fondo gamba.
Insomma, un’invasione di merletti torti e ritorti… la qual
cosa causa immancabilmente seri drammi ai nobili
soprattutto quando necessitano di evacquare, pardon… fare
pipì. Eccoli rovistare disperati fra le brache alla ricerca del
mezzo conduttore del liquido urico, ma ahimè, riesce ad
espellere dal pertugio pantalonico solo trine, nastri e
merletti! Alla fine disperato, si abbandona alla piacevole
sensazione di farsela addosso, quasi godendo estatico
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dell’intima sgocciolata… ma sempre con inimitabile dignità!
Quindi eccolo muoversi nella camminata tronfia che
accennavo all’inizio… (esegue la camminata con scivolata e
fremito ad ogni passo e frulla il piede onde far sgocciolare il
caldo liquido sciacquoso). Oh, le plaisir spetuiant chez ris
pilé svilor! (Cambia repentinamente tono: minaccioso Mima
di estrarre una spada e di sfidare a duello un rivale) A vous,
mesieu scarisce tuiar, mentenon je scarelle carneux et
priquet! (Esegue un affondo e ritira la lama, la netta con le
dita, quindi se le porta alle labbra e assaggia il sangue del
nemico) Pas mal! (All’istante si sdoppia e torna nel ruolo di
Scapino maestro) No, c’est empossible ce creant bissot. Sa
souffit! Pas de violence! (Pausa) Direct! Il faut aller
doucemente avec allure gentille… c’est qui sont ces ioe
ouvert urrible e ce crier befard de belve ropignant?
(Riproduce l’espressione di un despota orribile, prepotente e
sanguinario che sgrana gli occhi, gonfia il petto e gesticola
aggressivo) No, no ce n’est pas possible! Il faut etre
humaine, civil, delicat! Les iet il faut les ceré petite de
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miop… (riproduce lo sguardo di un Pantalone decrepito,
quasi cieco. Curva la schiena e avanza strascicando i piedi)
petit glissant pur tigneur pantouflé. (Fa immaginare
l’incontro con un gruppo ddi bambini. Li accarezza, li
solleva fra le braccia, li sbaciucchia) Oh petites… les
enfants, oh j’aime les petites enfantes… J’aime les greneulle,
les jolies jambons! (Mima di distribuire del denaro) Prenez-
vous l’argent, l’argent pour chacun de vous! (Poi ci ripensa
si guarda intorno e aggredendo i piccoli si ripende ogni
moneta) C’est a moi l’argent! Pas des cadeux a les pissars!
(Esegue una giravolta su se stesso mimando di sbattere in
aria un enorme mantello alla maniera di un torero) Manteau,
oh l’enorme manteau! (Con un gran gesto si avvolge nel
mantello e ci si trova prigiioniero. Mima di recidere, dal di
dentro, il mantello con un pugnale) Ah, ce orrible paniscu
que me garotte a la gorge! (Si sistema l’immaginario
mantello sulle spalle e cammina con fatica trascinando il
drappo che scende fino ai piedi) Le vent mon Dieu, le vente
qui pusse tempête sgragnant i prufisaaaar betieux! (Imita il
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soffiare acuto del vento e allargando le braccia allude al
mantello rigonfio che lo trascina nell’aria) Aideme moi! Je
suis en traint de prend le vole, trivall AUHEAMMM…
quelqun che m’aide, aide moi! (Mima l’allontanarsi del
nobile come appeso a una vela) Il monte pregnille ca la fair
specot… quelqun qui m’aide!… (Fa immaginare il montare
nel cielo del nobile volante. La sua immagine si
rimpicciolisce sempre più fino a scomparire. L’attore emette
un grido che si fa sempre più acuto e sottile. Punta il dito
verso l’alto ad indicare e seguire la caduta del nobile appeso
al suo mantello fino all’istante in cui si schianta al suolo)
AIEHHIIII!… POF (Pausa) Fotut!
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DA ELIMINARE DOPO TERMINATA CPORREZIONE
I edizione
Nascita del giullare
da scanner (alcune parole non sono state lette)
Ahh... gent... vegnì chì che gh'è '1 giular! Giular ca son mi...
che fa i salt e ca '1 tràmbula e che... oh... oh... a u fai rider,
ca foi coi alt e fai vedar com'a sont groli e grosi i balon che
vai d'intorna a far guere son sfigurat, o trai via el pileo e...
pffs... soi sengobrà. Vegnì chì ca è ora e logu ca'l fa '1
pajasso tutt inturna, mi a v'insegni, vegna... vegna... Ul fa el
saltin, ul fa el cantin, ul fa i giughetti! Va' la lengua 'me la
gira! Ah... ah... a l'è un cultell... boja sta' a recurdàt... Ma mi
no a l'era sempar... quèst ca voi contar, come sunt nasuo.
Che mi non son nasuo giular, non son vegnú d'un fiàt dal
zielo, e, op! e son rivà chi: «Bondì, bonasera~>. No! Mi a
son el frai d'on miracol! Un miracol es fàit su d' me! Vuri'
credem? U l'è fàit! Mi son nasut vilan. Vilan, cuntaden
propi. U s'eri tristo, alegro, no g'avevi tèra, no! U s'eri rivado
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a 'ndà a lavurar, paréi a tüti in de sti vaj, da partutt. E un
zorno u jtat vesen 'na muntagna, ma de piera. U l'era de
nissun, u l'hai saudo. U dimandàt: «No! Nissun veul 'sta
muntagna! » E mi sunt andai fin su... sun 'dàit raspà cuj ung
e hu vist che gh'era un po' de tèra, e hu vist che gh'era un
filolin di aqua co l'andeva da giò de basso, e alóra hu
scuminsà a gratare. Son andai a tacàt al fium, hu sbrancàt
inscì ste brasce, hu te portàt la tèra, u gh'era i me fjulit, la
mia mujer. U l'è dolza la mia mujer, blanca c'u l'è, u l'ha du
zine tunde, e l'andar morbido cu l'hai... cu la par 'na giunca
ca meuvasse. Oh... l'è bela! A'g voj ben mi, e voj parlarne.
La tèra u purtà su coi brasci! e l'erba, che fasevet: pfut... e te
vegneva su tutu. E dài ca l'era belo, l'era tèra d'ora! U
ciapeva la sapa, u te la meteva e... zu... te nasseva un arbero.
Meravegia, u l'era 'sta tèra: u l'era un meracol! U andava
piopi, u andava tüti i arbori, a roveri, andava da pertutu. I
andava a semenar 'n la luna giusta, mi cunusseva! E vegniva
roba de magnar dulza, bela, bona. U gh'era zicurìn, u gh'era
crodi, u gh'era fazoj, rave, u gh'era tüto! Par mi, par num. O
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era cuntentu! O se balava, e po el piueva sempar par di dì e
ol sol el brusava e mi andava, vegniva, e i lune ereno giusti,
ne gh'era gi-mai tropo vento o tropa gruma. U l'era bel! bel!
U l'era tèra nostra! Bela u l'era, stu gradún. E ogni dì, u ne
fazeva uni... la pare~7a la torre de Babele... bela cun sti
gradi, u l'era ol paradis, ol paradis terestre. 01 giuri. E tüti i
pasava i cuntaden e i diseva: Che cu ca ghet... boja, varda!
Da na muntagna u l'ha tirà feura!... Me disgrassià ca nun hai
pensàt!
E invidia i g'aveva e un die l'è pasàt ul padron. Ul padron de
tuta la vale, u la vardà e l'ha dit:
- Du' l'è ca l'è nassuda 'sta torre? De .hi l'è 'sta tèra?
- Me, - a gh'ho dit - a l'ho faja me con sti mani, u l'era de
nissun.
- De nissun? L'è na parola ca nu gh'è, nissun, a l'è la mea.
- No! nun è la tua! A sunt andà anca in dal nutar, varda, nu
gh'era. U dumandà al prevete, u l'era de nissun e mi l'ho
fàita, toco par toco.
- L'è mea, te me l'hai a darme.
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- Non poit dar, padron... mi no poi andà sota i altri a trabajar.
- Mi t'hai paghi! at do denar, dime quanto vo'.
- No! No, non voj denar, no, parché, s' te me dài dena, dopo
a no podo comprar altra tèra col dinar che te me dài e devo
andar a lavorar, a trabajar ancora soto i altri. Non vòi me, no
vòi!
- Damela!
- No!
Alura iu l'ha fàit una rigulada e l'è 'ndai. El dì appresso a l'è
vegnu el prevete a dumandar.
- L'è del padrun... fa' el bravo, mola, nun te stai a farde
caprissi, varda che quelo l'è tremendo, l'è cativu, mola 'sta
tèra! In Deo Domini fa' el bun...
- No! no! - gh'ho di', - no voi, - e gh'ho fà anca un brut
muviment cun la man.
A l'è vegnu el nodaro, u l'è vegnu anca lü, ul sudava, boja,
par vegnì su a truarme:
- Fa' el bravo, gh'è la lege, sta' atento che ti nun ti pode, che
ti no...
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- No! No! - e gh'ho fai anca a lü... u l'è andà via
biastemando. U1 padron non l'ha mia molà, no! U l'ha
cominzà andà a cacia, ul faseva pasà tüti i léguri da la parte
de la mia tèra! El 'ndava a dré con tüti i cavali e i amisi e '1
me schisciava i sciesi. E in un dì sulamente el m'ha brusàt
tut... u l'era estàt... u l'era secàt. E lü l'ha dàit feug a tuta la
muntagna e '1 m'ha brusà tut, anca i besti brusà, la ca'
brusada, ma nun sunt andaj via! Hu aspeciàt... e l'è vegnu a
pieuver de note, e apreso hu scumensà a netar, a polir, a
rimpiantar pal, a remeter roba, repurtar la tèra, a sestemar le
piere, a fà gnir giò l'acqua dapartut, perché de lì, boja, no me
voj movar! E no me son movudo!
Solo che un dì a l'è rivado lü, g'aveva a pres tüti i so suldàt,
ul rideva, num erum nei campi cui fiulit, la mia mujera e mi;
s'erum a~lavurar, a trabajar, lì. U l'è vegnu, l'è descendu da
cavalo, ul s'è cavà le braghe, u l'è vegnu tacàt a la mia mujer,
u l'hai catada, u l'hai sbatuda par tèra, e gh'ha strasciàt i
sochi... Mi a vureva meuves, ma i me tegneva i suldàt, e '1
gh'ha salta' a dos, u l'ha fàita, u l'ha fàita cume fudess una
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vaca. Ca mi e i fiulit cui ogi sbaràt, che i vardava e mi a me
mueva, me sunt liberàt, hu catàit 'na sapa, hu dit:
- Disgrassià!
- Férmat, - m'ha dit me' mujer, - nol fa', no i specian oltre, i
specian propi quelo, che te valset el to baston, parpo coparte.
No te hai capit? I veur coparte e trar via la tèra, no i specia
altri, lü el débia pur difenderse, no valse meterse a sbragar
con loro. Ca ti no t'hàit onore, ti set povero, set contadin,
vilan, non puoi pensar dignitàt, onore, quela è roba par quei
che inn sciuri! ai nobli! Che po vegn a inrabirse se ghe fan la
tosa, se ghe fan la dòna, la mujer.
ma ti no! Lassa far. Valse pi tèra che l'onor de ti, de mi, che
tüti. Manza son mi, manza per amor de ti.
E mi, a splanger. Caragnà in su st'afari, l'hu vardà tut, e i
fiulit che piagneva... E lori peu i son andà rigulando content
feuravia... u l'era un planger tremendo! Num se pudeva
vardarse a presso vün cu l'alter, nun se vardava... s'andava
per i paes, u te ciapaven a buciade, a sasade, a piere.
Vusaven:
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- Oh... beu...! No g'hai la forza de far feura onor che nu te
g'hai, bestia che te set, la tua mujera a l'ha incalcada el
padron e ti te se' stàit tranquilo par un mucc de tèra,
desgrasiò!
E la mia mujer l'andava inturna:
- Puttana, vacca! - le dicevano e scappavano. Neanche in
chiesa la lasciavano entrare. Nessuno!
- Putana, vaca! - u ghe disevan, e i scarpavan. Nanca in giesa
la lassaven pasar. Nissun! E i fiulit no i podeva 'ndare
intorna, tüti eremo lì e no ghe guardava pu nissun. La mia
mujer a l'è scapada! Mi l'hai pu vidua; mi no so indue l'è
'ndada, e i fiulit nu me vardava: maladi son vignit, ne manco
i plangeva. E son morti! E mi son restai sol. Sol cun 'sta tèra!
Nun saveva cossa che fare. Una sera hu ciapai un toc de
corda, hu butà su una trave, me la son metuda inturna al
colo, hu dit:
- Bòn, me lassi andà, adess!
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Fo per lassam andà impicàtt, u me senti pugià una manada, a
me volti, a gh'è vün co 'na facia smorta, cui ogi grosi che '1
me dis:
- Me dàj un po' de bevar?
- Ma te par el mument de vegnì a dumandà de bevar a vün
che fa l'impicàtt? Boja! Ul vardi e '1 g'aveva una facia de
pover crist anca lü e vardi e ghe n'era altri doi, anca lor con
una facia patida.
- Va ben, ve darò da bevar, dopo me impichi.
A vo' a teu par bevar, i vardi ben:
- Pu che bevar, vialtri avì besogn de magnar! Ma mi l'è tanti
dì che nun fai de magnare... U gh'è de farlo, se vurì.
Hu ciapàt un baslot, hu metud in sul feug, a gh'ho fàit
scaldare de le fave, e gh'i ho dai, un baslot per un, e i
magnava! I magnava! Mi no g'aveva voia de magnar...
«Speci che adess i magna e peu me impichi». E intanto ch'el
magnava, quel cui og plu grandi che'l pareva propi un pover
crist ul surideva e ul diseva:
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- Bruta storia l'è ti che te voret impicass! Mi so ben ul perché
t'ol vòi fare. T'è perdu tut, la mujera, i fiulit e te gh'ha
sojament una tèra, bòn, mi savie ben! Se fusse in ti no lo
vorria fare.
E '1 magnava! E '1 magnava! E peu a la fin l'ha metud giò
tut e l'ha dit:
- Ti sai chi son me?
- No! Ma gh'ho avut un dubi che ti te set Jesus Cristo.
- Bòn! T'è induinàt. Quest l'è Pietro, e'l Marco l'è quel là.
- Piazer. E cussa fàit qua?
- Ti te m'hàit dàit de magnar e mi te do de parlare.
- De parlare? Cussa l'è 'sta roba?
- Disgrassià, giusta che t'hai tegnit la tèra, giusta che non te
vòi de padron, giusta che t'hai üt la forsa de no molar,
giusta... At vol ben, aite forte, bòn! ma t' manca un qui cos
che t'ha d'aver: qua e qua! (Fa segno alla fronte e alla bocca).
No star lì atchì in su la tèra, vai d'intorna e a quei che te tira
piere, ti parla e dighe, faig comprender, e fai de manera che
sta vesciga sgiunfiada ca l'è ol to padron, ti sbusa cun la tua
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lengua e fa' andar feura l'acqua e ul sier ca vegn feura a
sbrodar marscio. Ti devi schisciare sti padrun, e i previti e
tüti quei che va inturna, i nodari, i avogador, quei che va
d'intorna. No par ben de ti, par la tua tèra, ma par quei che è
come ti, ca non han tèra e che non han gnente e che han de
soffregare sojamente, e che non han dignità da vantare.
Campar de servelo, e no de pie !
- Ma noi comprende? Mi non son capaze. Mi gh'ho 'na
lengua che non se move de rentra, embiscigo de par tüto e
intopigo a ogni parlar... e no gh'ho de stil e gh'ho el servelo
che u l'è fioco, molo! Come fabia a far le robe che te diset,
andà intorna a parlar co i altri?
- No arpanza, che ol miracol 'gne adess.
Ul m'ha catat per la crapa, ul m'ha catàt visin e peu '1 m'ha
dit:
- Jesus Cristo a soi mi che t' vegna a ti a dat parlar. E 'sta
lengua u la beuciarà e 'ndrà a schisciar 'me 'na lama da
partuto vescighe a far sbrogare, a da' contra i padroni e li far
schisciare parché i altri i capissa, parché i altri imprenda e
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parché i altri i pòdarigolar. Che no è che col rìdare ch'ol
padron ul s' fa sbragare, che se i ride contra i padron, ol
padron, da montagna ca l'è dijen colina e peu niente ca se
move. Tegne! A t' do un baso che at farà parlare.
E'l m'ha basao su la boca, lungo el m'ha basao. E de bòt ho
sentit la lengua ca sbissava da partuto, e un zervel c'al se
mueva, e tüti i jambi che s'andava in dar par lori, e sunt andà
in mess a la piassa del paes a vusà:
- Gnìii! Zente! Vegnì chì! Giulare! Ai fao giugar, giosrare
col padron, vesciga granda o l'è e mi de lengua i vo' sbusare!
E ve raconto de tüto, come '1 vien, come '1 vaga e come el
Deo nu l'è quelo che '1 roba! E '1 rubar che pregne e i legi
sui libri che son lor... parlare, parlare. Ehi gente! 01 padron
se va a schisciare! Schisciare! O l'è de schisciare! . . .
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TRADUZIONE
- Oh gente, venite qui che c'è il giullare! Giullare son io, che
salta e piroetta e che vi fa ridere, che prende in giro i potenti
e vi fa vedere come sono tronfi e gonfi i palloni che vanno in
giro a far guerre dove noi siamo gli scannati, e ve li faccio
sfigurare, gli tolgo il tappo e... pffs... si sgonfiano. Venite
qui che è l'ora e il luogo che io faccia da pagliaccio, che vi
insegni. Faccio il saltino, faccio la cantatina, faccio i
giochetti! Guarda la lingua come gira! Sembra un coltello,
cerca di ricordartelo. Ma io non sono stato sempre... e questo
che vi voglio raccontare, come sono nato. Non che io non
sono nato giullare, non sono venuto con un soffio dal cielo e,
op! sono arrivato qui: «Buongiorno buonasera>~. No! Io
sono il frutto di un miracolo! Un miracolo che è stato fatto
su di me! Volete credermi? t;. così! Io sono nato villano.
Villano, contadino proprio. Ero triste, allegro, non avevo
terra, no! Ero arrivato a lavorare, come tutti in queste valli,
dappertutto. E un giorno sono andato vicino a una montagna
ma di pietra. Non era di nessuno: io l'ho saputo. Ho chiesto:
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«No! Nessuno vuole questa montagna! » Allora io sono
andato fino in cima ho grattato con le unghie e ho visto che
c'era un po' di terra, e ho visto che c'era un filino d'acqua che
scendeva, e allora ho cominciato a grattare. Sono andato in
riva al fiume, ho schiantato queste braccia, ho portato la terra
(alla montagna), c'erano i miei bambini, mia moglie. E dol ce
mia moglie, bianca che è, ha due seni tondi e l'andamento
morbido che ha, che sembra una giovenca quando si muove.
Oh! è bella! Le voglio bene io e voglio parlarne. La terra ho
portato su con le braccia e l'erba (cresceva velocemente)
faceva: pffs... e veniva su di tutto. E dai che era bello, era
terra d'oro! Piantavo la zappa e... pffs... nasceva un albero.
Meraviglia era, quella terra! Era un miracolo! C'erano
pioppi, roveri e alberi dappertutto. Li seminavo con la luna
giusta, io conoscevo (io sapevo), e cresceva roba da
mangiare, dolce, bella, buona. C'era cicorino, cardi, fa-
non ha mollato, no! Ha cominciato ad andare a caccia,
faceva passare tutte le lepri dalla parte della mia terra!
Andava continuamente avanti e indietro con i cavalli e gli
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amici a schiacciarmi le siepi. E un giorno mi ha bruciato
tutto... Era estate... era seccato. Lui ha dato fuoco a tutta la
montagna e mi ha bruciato tutto, anche le bestie bruciate, la
casa bruciata, ma non sono andato via! Ho aspettato... è
cominciato a piovere la notte, e dopo (la pioggia) ho
cominciato a pulire, a ripiantare pali, a sistemare pietre, a
riportare terra, a far scendere acqua dappertutto, perché di lì,
bòja, non mi voglio muovere! E non mi sono mosso! Solo
che un giorno è arrivato lui, aveva appresso tutti i suoi
soldati e rideva, noi eravamo nei campi coi bambini, mia
moglie e io; stavamo lavorando. E venuto, è sceso da
cavallo, si è tolto i calzoni, è venuto vicino a mia moglie,
l'ha presa, l'ha buttata per terra, le ha strappato le gonne... Io
volevo muovermi, ma i soldati mi tenevano, e lui le è saltato
addosso, l'ha fatta come fosse una vacca. Che io e i bambini
con gli occhi sbarrati, che guardavano, e io mi muovevo
(con uno strattone) mi sono liberato, ho preso una zappa e ho
detto:
- Disgraziati!
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- Fermati, - mi ha detto mia moglie, - non lo fare, non
aspettano altro, aspettano proprio questo: che tu alzi il tuo
bastone, per poi ammazzarti. Non hai capito? Vogliono
ammazzarti e portarti via la terra, non aspettano altro, lui
deve pur difendersi, non vale mettersi contro di loro, che tu
non hai onore, tu sei povero, sei contadino, villano, non puoi
pensare a onore e dignità, quella è roba per i signori, i nobili!
Che poi si arrabbiano se gli fanno la figlia, se gli fanno la
donna, la moglie, ma tu no! Lascia fare. Vale più la terra che
l'onore di te, di me, più di tutto. Manza sono io manza per
amore di te. E io a piangere... piangere su questo affare, ho
guardato tutto e i bambini che piangevano. E loro, col
padrone, di colpo sono andati via ridendo contenti,
soddisfatti. Era un piangere tremendo (il nostro)! Non
riuscivamo a guardarci in viso l'un l'altro. S'andava in paese,
ti prendevano a sassate, a pietre. Gridavano:
- Oh bue! che non hai la forza di difendere il tuo onore
perché non ne hai, bestia che sei, tua moglie l'ha montata il
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padrone e tu sei stato tranquillo per un mucchio di terra,
disgraziato!
E mia moglie andava in giro:
I bambini non potevano andare in giro, tutti erano lf, e non ci
guardava piú nessuno. Mia moglie è scappata! Io non l'ho
piú vista; io non so dove è andata. I bambini non mi
guardano: sono venuti ammalati e manco piangevano. Sono
morti! Io sono rimasto solo.
Solo con questa terra! Non sapevo cosa fare. Una sera ho
preso un pezzo di corda l'ho buttato su una trave, me la sono
messa intorno al collo, ho detto:
- Bene, mi lascio andare, adesso!
Faccio per lasciarmi andare, impiccato, quando mi sento
battere una mano sulla spalla, mi volto, c'è uno (e vedo uno)
con una faccia pallida, con gli occhi grandl che mi dlce:
- Mi dài un po' da bere?
- Ma ti sembra il momento di venire a chiedere da bere a uno
che si sta impiccando? Bòja!
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Lo guardo e (vedo che) ci aveva una faccia da povero cristo
anche lui, poi guardo e (vedo che) ce n'erano altri due, anche
loro con una faccia patita.
- Va bene, vi darò da bere e poi mi impicco.
Vado a prendere da bere, li guardo bene:
- Piú che bere voialtri avete bisogno di mangiare! Ma io
sono tanti giorni che non faccio da mangiare... C'è da farlo,
se volete.
Ho preso un tegame e ho messo sul fuoco a scaldare delle
fave e gliel'ho date, una ciotola ciascuno, e mangiavano,
mangiavano! Io non avevo voglia di mangiare... «Aspetto
che mangino e poi mi impicco». E mtanto che mangiava,
quello con gli occhi piú grandi che sembrava proprio un
povero cristo, sorrideva e diceva:
- Brutta storia questa che vuoi impiccartil Io so bene perché
lo vuoi fare. Hai perso tutto, la moglie i bambini e ti è
rimasta solo la terra, bene io so bene! Se fossi in te non lo
vorrei fare (lo farei).
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E mangiava! mangiava! Poi alla fine ha appoggiato tutto e ha
detto:
- Tu sai chi sono io?
- No, ma ho avuto il dubbio che tu sei Gesú Cristo .
- Bene! Hai indovinato. Questo è pietro, e il Marco è quello
là.
- Piacere. E cosa fate qua?
- Tu mi hai dato da mangiare e io ti do da parlare
- Da parlare? Cos'è questa cosa?
- Disgraziato! Giusto che hai tenuto la terra, giusto che non
vuoi padroni, giusto che hai avuto la forza di non mollare,
giusto... Ti voglio bene, sei forte buono! Ma ti manca
qualche cosa che è giusto che tu devi avere (abbia): qua e
qua (fa segno alla fronte e alla bocca). Non rimanere qui
attaccato a questa terra, vai in giro e a quelli che ti tirano le
pietre digli, fagli comprendere, e fai in modo che questa
vescica gonfia che è il padrone tu la buchi (possa bucare)
con la lingua, e fai uscire il siero e l'acqua a sbrodolare
marcio. Tu devi schiacciare questi padroni e i preti e tutti
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quelli che gli stanno intorno: i notai, gli avvocati, eccetera.
Non per il bene tuo, per la tua terra, ma per quelli come te
che non hanno terra, che non hanno niente e che devono
soffrire solamente e che non hanno dignità da vantare.
(Insegna loro a) Campare di cervello e non di piedi!
- Ma non capisci? Io non sono capace, io ho una lingua che
non si muove di dentro (dentro la bocca), mi intoppo ad ogni
parola e non ho stile (dottrina) e ho il cervello fiacco e
molle. Come faccio a fare le cose che tu dici, e andare in
giro a parlare con gli altri?
- Non preoccuparti che il miracolo viene adesso.
Mi ha preso per la testa, mi ha tirato vicino e poi mi ha detto:
- Gesú Cristo sono io, che vengo a te a darti la parola. E
questa lingua bucherà e andrà a schiacciare come una larna
vesciche dappertutto e a dar contro ai padroni, e schiacciarli,
perché gli altri capiscano, perché gli altri apprendano, perché
gli altri possano ridere (riderci sopra, sfotterli). Che non è
che coi ridere che il padrone si fa sbracare, che se si ride
contro i padroni, il padrone da montagna che è diviene
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collina, e poi piú niente. Tieni! Ti do un bacio che ti farà
parlare.
Mi ha baciato sulla bocca, a lungo mi ha baciato. E di colpo
ho sentito la lingua che guizzava dappertutto, e il cervello
che si muoveva e tutte le garnbe che andavano da sole, e
sono andato in mezzo alla piazza del paese a gridare: -
Venite gente! Venite qui! C'è qui il giullare! Vi faccio far
satira, giostrare col padrone, che vescica grande è e io con la
lingua la voglio bucare. E vi racconto di tutto, come viene e
come va, e come Dio non è quello che ruba! i~ il rubare
impunito e le leggi sui libri che sono loro... parlare, parlare.
Ehi gente! Il padrone si va a sc~uacciare! Schiacciare! ~ da
schiacciare! ...
Altra Versione
Il primo miracolo di Gesù bambino
Attenzione!! Bisogna confrontare i due dialetti e
sistemare le didascalie
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Quando in tòl ziélo impiegnìdo de stèle, de bòto, come
fùlmine, l'è 'rivàdo uno stelón meravegióso con 'sto grande
cuùn sbarluscénto de fògo sbarlazàndo tüte le stèle i se
metüe a criàr: "Ohe, 'craménto! Chi l'è?". Al'éra la stella
cometa che vegnìva dall'oriente per dàrghe l'indicasiùn a i
Re Magi.
Gh’éra il primo Re Magio, quello vègio, co' al'éra sü un
caval negro, atènti a l'allegurìa, o' l’éra ingrignàt, un nass a
bèch de catìvo che ól trava sacraménti perchè ól gh'avéa dei
bugnùni sul cül che a ògni selàda: toc!, se ne schisciàvan
quatórdese e biastemava 'mé Dio. A gh’éra il Re Magio
biondo, ciàro, sempàtego ch'ól rideva, col mantelo d'arzento,
muntà sü un cavàl bianco, aténti a l'allegurìa. E appresso a
gh’éra il Re Magio negro che è sü un camèlo griso: un
Magio negro... un negro, ma cussì negro, che contro a 'sto
camèlo griso che montava, pareva più bianco del cavàlo
bianco del Magio biondo. Bèlo de fàcia e tüto ridénte de
quaranta dencióni luzénti e con dòi ögi che sbalusciàva nel
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scüro a luminàre. E sémpre sóvra al camèlo andava
cantando. E ól cantava de contìnua, 'sta tiritéra:
"Oh che bèl, che bèl, che l'è andare sül camèl!
Che bèl, che bèl!
Un saltèl, do' saltèl sü le goebe del camèl!
Oohh che bèl, che bèl el camèl che va a Betlèm,
Sóta el lüm de mila stèl.
La cométa che a cumpàgna
giüsta fin a la capàna
e la Madona che la nina
el Bambìn che piàgne e frìgna
e Giüsèp che sega, sega.
I angiulìt che i vola e i préga.
L'asinèl e ól boe che i bòfa
el camèl che sgamba e ól sgròpa
balzelóni, vah 'm' el tròta!
Oh che bèl, che bèl, che bèl
che l'è andare sül camèl!
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De gran lónga pusé bèl
ch'andar sül cavàl
sul cavàl té scròla i bal
che no' té càpita sul camèl
che bèl, che bèl, che bèl!"
"Baastaa,baastaa! - el vègio Re Magio ól biastemàva - Ma
no' se pòde! O l'è quatro ziórni e quatro nòte col canta che l'è
bèl andare sü 'sto camèl!"
(Il Re Magio negro riprende la tiritera)
"E per fòrsa che mé tóca cantare
in sül camèl per farlo andare
perchè se mi no' ghe canto
el camèlo s'indorménta.
S'indorménta, bürla par tèra
s'impantéga e mi stravàco
col camèl che mé sbraga adòso
e ghe rèsto tüto schiscià!
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Sì che canto sul camèl!
Oh che bèl, che bèl!
Cossì arìvo a la capàna
co' la Madona che la nina
San Giüsèp che ól sega ól sega
ól Bambìn che ól frìgna e piàgna
i angiulìt che i vola e i préga.
El camèl che sgròpa e ól tròta
oh che bèl, che bèl, che bèl!
Sóra el camèl bisogna che canto
anca per dàrghe un po' de ritmo
perchè andare sul camèl no' l'è come in gròpa del cavàl
che ól cavàl va col galòpo
e ól camèl ól sgamba a tròto
sciàmpe ambàde una d'avanti e l'altra de drìo,
che se no' se dà el bòn témpo
se intupìca de 'na gamba
se scarpüscia e ól và de sciàmba
borletóni el va, se stciànta
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e mi, sóta de roèrsa
tüto schisciàto dal camèlo!
Oh che bèl, che bèl, che bèlo!
Dàrghe ól ritmo e farlo balàre
che a Betlèm mi vòj arivàre, col camèl.
Oohhee che bèl!
Oohhee che bèl!"
"Basta! - ól crìa desperàto ól vègio Re Magio - Té magno
vivo! Té pélo via tüto el negro e mé magno el bianco de
déntro! Té lo magno intiéro!
Già, l'idéa de far venir anco un Re Magio négro, parchè
doveva èsserghe tüta l'umanità! Poteva mìga tiràrghe aprèso
uno giàldo, rosso, coi balìt?... No, negro! E poe co' 'sti ögi
bianchi c'ól gh'ha, co' la sfèrsula négra in mèso... che quando
gh'è scüro ghe végn rossa ch'el par 'na bèstia feróce. Che
l'altro ziórno sunt andà in campagna, che gh'avéa dèi mè
bisogni, che anca se sont un Re Magio gh'ho i miei bisogni
de fare! A gh’éra scüro, sont andàito in un pràt, mé sont
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tirato giò le bràghe... perdonéme se ve la cónto... éro a metà
scrusciàdo sü i ginögi, proprio in quèsta posisiòn, de boto
devànti a mi té vedo 'na bestia, dei denci de bestia, dò ögi...
un leon!
Mé sónt cagà sóra le braghe!
E poe l'éra lü, devànti a mi, che ól cagàva e nol cantava!
L'ünica volta che nol cantava.
Mi son cossì inferocìt, desgrasiò, fra i bugnùni che mé
stciòpa, il che bèl, che bèl, che bèl, i spaventi che mé fa
catàre, son cossì nervoso che, se arìvo a Betlème in 'sta
manèra, stròso il bambìn dentro la culla."
In quèl moménto nel ziélo... woom.. ól stelòn grande de la
cométa ól s'è blocàt. "Cus'è capitàt?"
"La s'è fermàda per ciapà un po' el fià!
El voer dì che sèm arivà!
'Rivàti quasi a Betlèm, che bèl, che bèl!"
"Bastaaa! Mi ghe vago da solo a Betlèmme!" Dise desperà ól
Rè Magio vègio, ghe da de spròn al sò cavàlo e ól va via
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come un mato e a drìo, sübito, el Re Magio negro a
seguitàrlo e tüti e dòi i va in fondo nèl scüro e i scompàre... i
scompàre ma se sénte sémpre più baso: "Oh che bèl, che
bèl!" - "Basta!" - "Oh che bèl... " - "Basta!" (Porta la voce
quasi a spegnersi sempre più flebile in lontananza) "Oh che
bèl!" - "Basta!!"
Nel ziélo impiegnìdo de stéle, de bòto l'è spontà l'ànzelo
meravegiòso, co' dei cavèi tüti svarulénti de bòcoli che col
vénto i sbanderàva... Un gran cerchión d'oro tacà, inciudàd,
sü la crapa. Vestìdo de séda che col vénto i sbratacàva come
vele slasàde. E de travèrso, chì sül stòmego, 'na grande
svérzula de séda, ciara, granda, con scrito sopra: "Angelo!"
Per quèi che no' capìse subito.
E 'stu angelo, co' 'ste grande ali tüte coloràde, andava vdo
'mé 'na poiàna treménda nel ziélo. El vegnìva giò a pigna-
morta a raspà la tèra e ól criava:
"Omeni de bòna volontàaauuuaaauvvvv, venì ch'è nato el
redentoreeeeaaaauuuuuuuaaaaaavvv!"
(Mima la picchiata con volo radente dell'angelo)
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Con tüti i pastori che se bütàvano per tèra spaventà!
"Oheee... ma té sé mato! Té vo' schisciàrghe? A t'è spaventà
tüti i péguri... che ghe andà via anca el late!"(Mima un'altra
picchiata dell'angelo che per poco non lo travolge)
"Almànco té capitàsse d'andàr a sbàtere contra la montagna a
scarcagnàrte el çerción fino al còlo, a spantegàrte tüte le
piüme dapartüto. Ga1inàsso!"
E tüti i pastori ghe diséva: "L'è megliór che catémo quarche
ròba da portar al bambìn ch'è nasùo se no questo ól va avanti
e indrìo, tüta la notte, e ghe sega e ghe ara tüto!" E tüti i ghe
andava con un dono, in processiòn. Chi ghe porta del
formàjio, chi che ghe porta un cavrèto, dèi conìli, un altro de
le galìne, e chi ghe porta del vino, de l'oli, chi che ghe porta
le póme còte e le torte coi maróni. E po' ghe ne sónt de quèi
che arìvan co' la pulénta apòsta da la bergamàsca. Cu' la
pulénta fumànta de lontan! Roba che, dàrghe de la pulénta a
un bambìn apéna nascìdo, ghe vòl una bèla testa de cojóni! E
lì, a la capàna, tutt'intórno a gh’éra de la gente che faséva dei
baccàni, a gh’éra di quèli che ségava: Vir, vrom, vir, vrom; e
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poi quèli che batéva il fèro: pim, toc, toc pem; e gh’éra quèli
co l'ànsema che dava ól fià: "buò, fir, fuòm, fim; e poi quei
che vendéva: végne, végne, de ün, de dòi, chi valza la man
par prim.
"Basta! Vergogna! Tutto 'sto baccàn! 'Sta pòvara dòna, de la
Madona, so' tre giorni e tre notti che no' la dorme, se pùò far
fracàss in 'sta manéra? Vergogna!" - "Eh, ma noiàltri
vorsémo far el presepio!" E dentro la capàna gh'è tüti che
entra in ginögio coi regali e Sant'Ana cata tüto: "Andì indrìo,
andé a pregàr de fora, dàme qua i regali. Signor Jesus
bambìn ti dovéa nàssere almanco tre volte a la setimàna, chi
farémo una resérva de roba!" Arìva i Re Magi, i se
ingenögia. Gh'è el vègio che el porta el sò regalo, poe el
giovinèto e poe arìva dentro el negro...
"Ohi che bèl, che bèl, che bèl!
Ól Bambìn nèl cavagnèl!"
"Foera negro, via, cito! Spavénta no el fiulìn. Canta de
foera!" El vousa el re vègio.
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In quel mentre 'riva dentro l'ànzelo, Gabriel, gridando: "Via,
sübeto fuga in Egitto che gh'è ól re Erode che taja le teste ai
bambìn come fuósse funghi." E allora Sant'Anna dise: "Per
piasér gh'ho besògn de tre cavàli e tre carétti per caregàr tüta
'sta roba" - "No, no' gh'è tempo de caregàr, besògna andàr
via sübeto. Via, fuga in Egitto." - "Ah, furbàsso ànzelo, ti
voi catàre tüto ti, eh!" Poi tìren fora l'àseno che no' sta in pìe,
l'è tüto embriàgo, che son tre giorni e tre notti ch'ól bófa per
darghe un po' de calór al bambìn, no' sta drìsso, ól gh'ha la
pànsa quasi par tèra e cominciano a caregàrghe de roba sulla
stciéna, ól va par tèra, slìsséga. La Madonna ól va en gròpa e
San Giüsèppe ghe dise: "Madona dessénde che 'sta bestia ól
crepa!" - "Ma mi no' pòdo desséndere, se la zente no' mé
vede su l'àseno no' capìsse che fémo la fuga in Egitto."
In quèl mentre vién dentro un ànzolo, gridando: "Foera,
foera - dise - baterìa!" - "Come bateria!?"
"Traslòco! Via, scapàre!" - "Dove?" - "Fuga in Egìto!" - "De
già?!" - "Sì, gh'è tüti i soldài de foera che ve çerca." -
"Aspèta, 'ndemo a tór un carèto - dise Sant'Ana - per
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caregàre tüti i regali che gh'han portà." - "Gnente regali, no'
se porta via niénte!"
Dise la Madona: "Eh no, i mè regali li vòjo cara, i mè regali
per ól fiolìn, che quando devénta grande... " - "Tira foera
l'áseno!" - "Ma no, no - dise San Giusèpe - no' se pòl
caregàrlo 'st'áseno, a l'è quatro ziórni e quatro nòti che el
bófa, l'è sfiatà compàgn d'una lugànegha insechìda!"
'Gnìva avante infàti 'sto ásen, inciochì che no'l restava in pìe,
ghe se slargàva i giambi apéna che ól caregàven. Caregàven
tüti i fiaschi, i ótri, caregàven i formàj, pachi e fagòti. E 'sto
ásen: wwumm! Wuwmm! el 'ndava sóto, slargàva i giambi,
la pànscia per tèra. A gh'è la Madona che monta in còpa al
àsen, insentàda col fiolìn in bráscio.
"Madona - ghe diséva San Giusépe - ven giò, nol se po'
mòvere, el mòre!" - "Ma no' pòdo caro, chè tüta la zénte l'è
abituà, durante la fuga in Egito, a vedérme che mi son
sentàda in sü l'áseno in fin da la parténsa!" ***
E alóra San Giusèpe ól se mète sóta a l'áseno, caréga l'áseno
in gròpa e van via tüti insémbia. Dòpo do ziórni, trè ziórni,
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tüta la sacra famégia 'riva davànte a Jaffa. Jaffa bianca co'
tüte le tóri altìsime, maravagióse. E sübito l'ànzelo ól vola in
ziélo, ól fà un gran cerchio vdo. E l'àseno ól tira sü la testa...
Iiiaaaahhhhhhhhh! (Imita il ragliare dell'asino)
Pprrrooofffff! Slarga le giàmbe, pom, la pànscia par tèra.
Una lofa del cül: pluff! L'ànema de l'àseno la va in ziélo.
La Madona de in còpa a la bèstia spiràda, la varda: "Pòvara
bèstia... Segno di Dio, voer di' che sémo 'rivàti!"
Van drénto a la cità, tròveno 'na stambèrga, tüto un büso,
che, del confronto, la capàna de Betlèm a l'éra 'na réggia.
Giusèpe ól tòpa i büsi. La famégia se mète a dormire.
La matìna sübeto, la Madona la ciàpa 'na cavàgna, 'na cesta e
la va intórna a cercar pagni de lavare, perchè besógna che
jüta anche le' la faméja. San Giusèpe andava intórna col
martèl, la sega e ciòdi per truà de fare mestè.
El fiolìn in mèso a la strada.
La sera la Madona l'arìva, morta roversàda, con tüta la stcéna
spacàda, róta.
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La se sèta ancmò bagnàda, straca. E San Giusèpe vién de
foera imbestià chè no' gh'ha truvà lavór d'un soldo. Se punta
lì col martèl sul tàvul: Ptum! Ptum! Ptum! Ptum! El pica sóra
i didi, che quèla l'è l'üniga manéra de sfogàrse che gh'han i
legnamèe. 'Riva dentro ól Gesù Bambìn col mücc giò del
naso, fin sü la bóca, tüto strapenàdo, con le mani vónce, le
braghe de travèrso, sénsa gnanca 'na scarpa ai pìe.
"Mama! A gh'ho fame!"
"Bèla manéra che té gh'è de vegnìr a casa! Invece de
domandàrghe sübet del to’' papà, de la tua mama se i son
cunténti, o fategà. Perchè té déve far ti cossì, eh?"
"Eh, mama, ma mi gh'ho fame!"
E la Madona: "Ma non ti gh'ha vergogna? Proprio ti che té
sèt vegnü apòsta del ziélo, che té sèt nasciü al mondo apòsta
per insegnàrghe ai altri a èser bòni, e avérghe amore e
avérghe bòne parole per tüti... e proprio ai primi dòi cristiani
che té ghe déve dar respècto, ti té arìvi a gnanca
saludàrghe!"
E Gesù Bambìn: "Oheu, la madòna!"
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Sbianca la Madona e Giusèpe anche! Se mète a tavola.
"Fiulìn va' a lavàrte i man, nétate i mòcoli del naso, mètese
un po' i cavèli a polìto. Va' i bócol... cussì! Fate el segno de
la cróse! No, aspèta, l'è un po' tròpo presto!"
Poe el Bambìn ól dorme. Dorme la Madona, dorme Giusèp.
La matìna Gesù se desvégia , el resta da per lü, solo, no' gh'è
nisciüno. Alóra se mète sü le braghe, mangia un tòco de
pane, va intorno dove che gh'è la strada e vede tüti i bambini
che ziòga: cavalìna, sgiàfa a nascundùn, tòpa falsa...
"Ehi, bambìn! Féme ziogàr anca mi ai vostri ziòghi!" - "Nò!"
- "Vo' sóta mi! Fémo la cavalìna. Anca a la sgiàfa" - "No!
Va' via, Palestina!" - "A córere? Viàltri mé corè drio. Fémo
el ladro. Mi fel ladro?" - "No!" - "Ma perchè?" - "Via,
Palestina! Terün!"
El fiolìn piange. Piange ól Bambìn coi ögi grandi che cola'
gotón de làgrime. E pur de avérghe la posibilità de ziogàr, de
far festa, de far ziògo e fantasia coi altri fiolìt, el fa un
miracolo. Che la sòa mama gh'avéa sémpre dito: "No' far
miràculi intorno, che i té scopre, che se i capisse che ti té sèt
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ól fiolìn de Dèo arìva i sbiri de l'Erode e ghe tóca scapàre de
nòvo!"
Lì, in de la piàsa, gh'éra 'na fontana. E tüta intorna la tèra...
de la tèra créta, de quèla che se 'dòpera per fare i matóni.
Jesus Bambìn ól ciàpa sü un pagnòco de tèra e ól comincia
con 'sti didìni a lavuràrla: el fa foera un crapìn d'osèlo poe
tüto el corpascìn con le aletìne, la cóa, poe le piüme, fine,
fine. El cata sü ón bastonsìn per farghe le sciampìne...
"Bambìn, varda che bèl osèlo de mòta che gh'ho fàito! De
tèra l'è!"
"Oh che bravo el Palestina, végne apòsta de lontano per
farghe vedere l'uselìn de mòta... oh bravo!" - "Sì, ma mi sunt
capàze de farlo volare." - "Come?" - "Ghe fo' 'na bufàda." -
"Fà vedé?"
"Èco! (Soffia con forza) Pfffuuuuu!" e l'uselìn ól dervìse
tüte le piüme e le ali, se desténde, sbate, sbate: ciup, ciup,
ciup, ciup, viricip, ciup, viriiii, cip! (Con le sole mani mima
l'uccello che svolazza intorno fino a scomparire nel cielo)
02/10/2012 869
"Bòja, che drago el Palestina! Che stregonàsso! Ohi, l'ha fàit
volàr l'usèl de mòta co' 'na bufàda. De tèra l'éra!" - "No' l'è
miga véra!" - "Com no? L'ho vidù mi!" - "Ma l'è un trüco
vègio 'mé la Madona: lü l'ha catà un uselìn de quèi inturpicà
che burlà giò da 'n'albero... l'ha catà sü... poe l'ha sguatascià
ne l'àqua... dòpo l'ha sfrugugnà un pochetìn ne la tèra.. poe
l'ha metü sóra la man, gh'ha bufà in tèl cül: brivido... vce,
vce, vce... l'è vulà via!" - "Ma no, l'ho visto mi, l'éra pròpio
de tèra! Dai… Faghe védar, dài Palestina... 'n'altro tòc de
créta, avanti via, möevess... (mima di creare un uccellino)
dai che l'è fato... via co' le alète... Dai, bufa!" - "Spèta!"
"Chi?"
'Riva un fiulòt, un bambìn, co' 'na gran testa tüta risulìt
négher: "Fermo, verificare!"
"Chi sèt?"
"Tomaso!"
"Tomaso? Come no' dito!"(Alza le mani, arreso di fronte alla
consuetudine e al personaggio)
02/10/2012 870
Tomaso ciàpa un ciòdo... sum sum sum... sbüsa l'oselìn de
tèra: "Regolamentare, vai!"
"Aténti che bóffi!" (Soffia) Ppfffuuuuuuuu... (Mima
nuovamente il volo dell'uccellino) cip, cip, cip,
cipcipcipcip!
"Vola! L'osèlo vola! Bravo Palestina! Caro come té voeri
bén! Toh, un basin! Ma perchè té se stàit luntàn cossì tanto
témpo? Che giògo che fémo! Adèso ognuno ól fà un osèlo...
e ti, poe, Palestina: pffuuuu!, bófa e fa volar i nostri osèli!"
"Dai Palestina! Che bèl Palestina che té sèt!"
E tüti gh'han comincià a far dèi oselón. V'un gh'ha fàit un
panotún tüto tondo co' una côa drissa, con dèe alète quadri,
con un gran crapón che burlàva giò, poe l'ha fàit dò
giambìne, tum... el burla giò... ghe n'ha metü quatro, poe
cinque zampe.
"Ma no' se pòl un osèl de çinque zampe!"
"Se no' stà in pìe... Importante che vola, no?"
Poe 'n'altro, 'na lugànega, una bissa, 'na bissa salàma, con
dodése ali in fila, sénsa la côa, dódese zampe.
02/10/2012 871
"Lè un cagnòtto..."
Poe 'n'altro l'ha fàit un bugugnùn... paréva 'na torta, co' la
testa drissa in mèzo, sénsa còlo, el bèco su sü... e tüte le ali,
tüte scompagnàde, tüte intorno. E sénsa giàmbe.
"No' so se el vola, vedarèm..."
Poe, 'n'altro, gh'avéa fàit dèi oselìn che pareva de le
cagadìne.
Poe 'n'altro un strunsùn.
E l'ultimo, un gato!
"No' se pòl far volare un gato!"
"Se vola quèl strunsùn là, volerà ancha el mé gato!"
"No, ma i gati no' se pòl far volare. Un po' de régola!"
"Mama! El Palestina no' vol far volar el mè gato! (Mima la
madre che si affaccia al balcone e grida:) Fa' volàr sübeto el
gato d'el mè fiòl, Palestina! Se no, vegni giò e té inciòdo!"
(Mima il bambino Gesù che si osserva preoccupato le palme
delle mani)
"Tüti i oselón, tüti in fila!"
02/10/2012 872
"Via, che el bófa!" (Mima il volare strampalato dei vari
uccelli)
Pffuuuuu... El pagnutùn: quac, quic, quoc, qua, té, pu, qua,
té.
Pfffeeee... La lugànega: pici, pete, qua, té, ce, che , se, té, pe.
Pfffeeee... La torta: psu, pse, psu.
Pfuuuu... El strunsùn: pce, pque, pte, pci, pce.
El gato! Pfuuu gniaaaaoooo gna gnum gnam! Magna tüti i
osèli del ziélo!
"Ohi! Che bèl, che rìdare a stciepapànza!"
"'N'altra uselàda, avanti tüti inséma!" Tüti che fan i osèli.
Végnen anche dai altri quartiéri, tüti i fiolìt. Tüta la piàssa
piéna de fiolìt che fan pastròchi con la tèra, tüte le statuète...
Osèl de tüte le forme e culóri.
I ziòga, i ride, i canta!
Ma in quèl moménto: trac! Se spalanca el portón de la gran
piàssa. E se vede 'parìre un cavalìn negro, tüto bardà, bèlo,
con sóvra, a montàl, un fiolìn tüto rubisón, con dei öci
sbricón, con i cavèli bén petenà... le piüme sül capèlo, vestìt
02/10/2012 873
de velùto e de séta, con un coletón de pisso. E gh'éra dòi
soldati d'aprèso: el sovrastòmego de fèro, piüme anca loro
sul capèl, montà sü dòi cavàli bianchi.
Quèl bambìn l'éra ól fiòl del parón de tüta la cità. (Mima il
bambino che, dal cavallo, si rivolge ai ragazzini del
quartiere)
"Ehi fiolìn, che cosa ziogàte?"
"No' far mostra de gnénte, Palestina! Quèlo l'è un
rompicojón. L'è ól fiòl d'ól parón. No' darghe trà. No' darghe
corda, fa' finta de gnénte."
"Mi dite a còssa state a giocare? Pòso giocare co' voiàltri?"
"No!"
"E perchè, de gràssia?"
"Cussì! Perchè tüte le volte che noialtri domandémo de
ziogàr con ti, fiòl del patrón, coi to’' cavàli per far un zirèto,
ti té dise no! Perchè tüte le volte che vegnémo a casa tua, che
té gh'è de gran ziòghi, té ne fàit descassàre da i to’' sbiri!
Noiàltri adèso gh'avemo un bèl ziògo, el più bèl ziògo del
mondo, ma el Palestina, che quèl l'è al cap del ziògo, l'è
02/10/2012 874
nostro. Ti té se sióro ma no' té gh'e ól Palestina. Palestina l'è
par noiàltri. Vero Palestina? (Mima di baciare Gesù) Pciu,
pciu! No' té ne andar co' quèlo ah? No' fa el Giuda, ah?!"
"Ma se pòl savére che ziògo l'è?"
"Sì, che té lo digo... Noiàltri fasémo i uselón. Poe ól
Palestina, bófa e i fa volare. Ti vol ziogàre anca ti?"
"Oh sì!"
"Bòn, tira fòra el to’' oselìn, bófaghe sóvra, e vedòm se ti è
bòn de farlo volare!" (Gran sghignazzo corale)
Rosso, inrabìto, co l'éra ól fiolìn del padrón, co' i i ögi foera
de la testa. Gh'ha catà 'na lanza del soldàt, gh'ha dàit de
spròn al so' cavàl, l'è 'rivàt in mèso ai fiòl criàndo 'mé un
mato:
"Se no' ziògo mi, no' ziogàte gnànca voiàltri!"
Zan, zan, a spacàre coi zòcoli del cavàl tüte le stàtue, tüte le
figurine de créta. Tüta par tèra, la tèra spacàda. Coi fiulìt che
piagneva... tiràva bale de mòta; i soldàt coréndo a cavàl,
criava:
02/10/2012 875
"Via! Foera, andìt foera, via! Che el pòl fare quel che el vòl
quèl, parchè l'è ól fiòl del padrón!"
Le mame che vegnìveno foera de le finestre: "Catìvo! Un
ziògo si bèlo co l'éra. No' costava gnénte... i nostri fiòl i l'éra
conténti, e ti..."
E i soldai: "Via matre! Via, che ve 'riva le lanze!"
Pfium, pfium, ptum, ptum! Tüte le finestre seràde. La piàsa
vòta.
Gh’éra restà soltanto ól fiolìn del parón sul so' cavàlo negro,
coi soldati che i rideva. E nesün gh'avéa scorgiùo che gh'éra
restàt ól Bambìn Jesù visìn a la fontàna.. coi ögi grandi,
impegnìdi de làgrime... che ól vardàva verso ól ziélo che el
s'éra impiegnìdo de nìvole.
"Paadreee, paaadreeeee!"
Le nìvole se son dervìde: broomm, proomm, brooommm!
(Mima il padreterno che si affaccia fra le nuvole)
"Se gh'è!" (Rifacendo il tono del bambino, che a fatica
trattiene il pianto)
"Padree, son miii, Jesus..."
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"Cosa t'è capitàt, Bambìn?"
"Eehh... quèl fiulìn lì l'è catìvo, chè gh'ha stcepàt tüti i
figurìn de tèra che noialtri gh'avémo fato per ziogàre. G'ha
scarcagnà tüto col so' cavàl e (Piange farfugliando)
guduhntuchetugudutu"
"Ma caro, per 'na stupidàda cusì, té gh'ha de far ciapàre un
spavénto cusì grando a to’' pare? Che so' 'rivàto de volàta, de
l'altra parte de l'univèrso che éro... gh'ho sbüsà quasi dódes
nìvoli, gh'ho tirà sóta dódese cherubini, e mé son stùrta tüto
ól triangolo, che ghe voer una eternità a rimpiasàl a
1'órden!"
"E, ma lü l'è stàit catìvo! Lü l'è ól fiòl del parón, gh'ha tüto!
Gh'ha tüti i ziòghi, ma l'istèso, quando gh'ha visto che
noialtri éremo conténti, gh'ha... (Singhiozza) ghidi tüte
tuduuhu stcepàdo tüto... ehheeehhhe... e mi gh'avevo tanto
fadigà..."
"Parla ciàro."
"E mi che gh'avevo fàto tanta fatìga de far ól miracolo de far
volar gli oselìni... per avérghe dèi amìsi, per ziogàre
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insémbia... che dòpo i mè ciamàva Palestina caro toh un
basìn!... E adèso son de nòvo solo, come prima. Che tüti i
amisi mìi son scapati... ehhhee... (Piange) Gh'ho gran dolore
mi, gh'ho gran dolore patre eeehhheeee..."
"Oh té gh'hàit rasón. A dévo bén dir che ól spacàre, ól
stcepàre sogni e ziòghi de plagér de fantasia, o l'è pròpi ól
pejiór de tüte i viòl! Ma quèlo l'è un fiolìt, caro... cosa devo
fare eh?"(Gesù, prima si lascia sfuggire un sospiro di pianto,
poi, con tono, il più candido e normale possibile)
"Màsalo! (Sorride guardando accativante verso l'alto per
ottenere il consenso del padre) Eh!"
"Ma caro, t'ho mandàt giò apòsta dal çiélo in tèra per
imparàrghe la pace fra i òmeni... parlàrghe d'amore. La
prima volta che quaicün té fa quaicòsa, té voi masàrlo! Té
cominci bén la professiòn, eh?"
"È tròpo? Bòn, alora stórpialo... sguèrcialo... eh? Sguèrcialo
e stórpialo..."
"No, no' se pòl far 'ste cose, caro. No' se pòl comensàr co' la
violénza cussì, eh?"
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"No' se pòl? No' té pòl ti? Lo maso mi?"
"E bòn, fàit quèl che té pare, che tanto co' ti, no' se pòl
descùtere. Ma non andar intorno a racontàr che so' stado
mi!"
Prrooomm, bbrrraaaamm! I nìvuli sfragùglia da partüto e el
Dèo scompare. No' l'è pasàto ól témpo.
De nòvo a gh'è ól fiolìn del padron col ride, coi soldàt che i
se sganàsa a rigolà, e ól Bambìn Jesù visìn, c'ól ciàma:
"Patron... fiòl del parón!"
"Eh?"
"Eeehhheeeehhhh! (Ride col compiacimento di chi sta per
preparando uno scherzo atroce) Té ridi, ti, eh? T'è fàit tüto
'sto sacrapànte d'intorno... t'è spatascià tüti i statuèti, el
nostro ziògo. E ti sèt conténto, tranquìlo... ti pénsi che
nisciün té faga gnénte, eh? Ti è convènso che no'l può
èserghe nisciün che té castiga al mondo. Gnànca to’' pare,
ah?
E se adèso invece mi té fùlmino?
Té ridi, eh? No' té ghe credi, eh?"
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Ffvvuuuooommmmm! Un fulmine treméndo è sortì dai ögi
del Jesù Bambìn. (Descrive la terribile fiammata) Una
léngua de fògo! 'Mé 'na bisa-serpénte infiamàda, l'intorcìga
tüto 'sto fiolìn, ól scaravénta, ól revòlta, ól sbate per tèra,
divénta tèra còta come in un forno. Poem! Fumante!!
Tüte le done dai balcón se büta a criàre: "Stregonàso! Cosa ti
gh'ha combenà de treméndo!?"
I soldàt sbianchìdi de spavénto che scapa sui cavàli.
La Madona, che gh'ha sentìt criàr de lontàn la 'riva de corsa:
"Cos'è succès? Fiulin cos'hàit fa' ti?"
"Gnénte... ho fa' un miracolo. Mio primo miràculo. Varda, l'è
ancora caldo."
"Ma come... l'è un bambìn?! L'è un fiolìn che t'è trasformà in
tèra cota!!! Ma cos t'è fàit cos? Ma perchè?"
"Eh! Ma lü l'éra catìvo, cara!"
"No' vòj 'scoltàr scüse! Resüsitalo!"
"Noo!"
"Jesus, obidìse! Pénse a la povera mama de 'sto bambìn... lo
strapacòre che gh'averà...! Resüsitalo!"
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"Ma non son capàze madre, mi gh'ho imparà soltanto a
fulminare; no' gh'ho ancora imparàt el resùrgit!"
"No' dir bosìe! Resüsitalo e inprèscia! No' ti capìse che se
'riva i sbiri ghe tóca de scapare de nòvo... mi e to’' patre che
gh'avemo apéna trovà un lavór!"
"Eh, ma però... Èco... no' se pòl fare un miracolo che bisogna
disfarlo sübeto! Bòn, lo resüsito, però co' 'n'a pesciàda..."
Tum! 'N'a pesciàda in tèl cül de tèra. Prum! El bambìn de
carne e òsa torna in pìe. Se tégne i ciàpi in dèi mani... ól
varda intorno spaventàt: "Cuss'è capitàt, cuss'è sucès cos'è?"
E el fiolìn Jesus ghe dise: "Mi sont stàit! Ól miracolo...
fulminà... resüsità! Poe l'è 'rivà la mia mama... Ringrasia la
Madona! Faghe sübit un fiurèt!
Ma ti, té sénte brüsar ól cül per la pesciàda che té ho dada?
Aténto che gh'é un'alegorìa, eh!
Bòn servìsi per quei che son stremìdi... che derénto le
finestre son nascondüdi per gran pagüra. (Indica in alto
tutt'intorno alla piazza)
02/10/2012 881
Se quèli comìnzeno a penzàre, razonàre, bada bén, che ti, té
deventerà grande a forza di pesciàdi che ti ciàpi! El cülo té
monta, té monta, té monta, té monta: puuummm! E stciòpa!
In eterno senza cülo!
Amen!"
02/10/2012 882
PER DARIO FO URGENTE
Caro Dario, ho pensato, dal momento che è bello, di inserire
il pezzo che hai tagliatpo nel Gesù bambino con questo
cappello. Leggi, correggi e rispediscimi. Baci. Urgente.
Franca
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"Fœra negro, via, cito! Spavénta no el fiulìn. Canta de fœra!"
el vousa el re vègio.
E in quèl moménto nè la cità, (mima di battere sul tamburo)
PATATUM PATATUM PATATUM un banditore: "Ehi
ascoltè mame, ascoltè dòne! Chi è che de voiàltre ha fàit
nàser in 'sti tre ziórni un fiulìn pòle èser conténta, parchè ól
re Erode ól ha desidìo de darghe un prémio al pü bèl bambìn
che e nasciüdo. Portélo a la réggia e ól re, al bambìn plü
bèlo, donarà 'na curoncìna co' sü scrito: "Oh come l'è bèl
'sto bambìn! L'è un putèlo quasi plü bèlo d'ól fiòl de Déo!" E
anca la dòna che l'ha purturìto o gh'avarà 'na curóna con
sóvra stampà: "Quèsta l'è la mama che l'ha nascìo 'sto
bambìn, bèl mé Dio!"
Sant'Ana che l'ha 'scoltà 'stò bordèléri, l'è andàita sübeto de
la Madona: "A gh'è un prémio, 'ndém, porta sübeto ól t'ho
fiolìn al concorso."
"No che no' lo vòjo el premio. Mi no' gh'ho besógno
d'avérghe consolaziùn altri che quèla che gh'ho già avüdo!"
"No, no, gh'ha importànsa! Besógna che ól sàpia tüto el
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mondo. Ól premio donà dall'Erode non po' catàrselo 'n'altro
fiól! Andémo, andémo! Ubbedìse a la tua mama!"
E fan per sortìre cont ol fiolìn ma po' ghe repénsa e i dise:
"Aspèta che andémo a tor dei nastri per farlo plü bèlo ól
nostro bambìn e ti Giusèp, daghe un ögio al fiulìn e sta
aténto che no' ghe capita quaicòs."
Vano fœra e, sübeto San Giusèpe ól pianta lì de ségare e
dise: "Chì ghe deve èser 'na trápula, mi sénto che gh'è 'na
trápula. Gesù Bambìn, cosa té dìset ti?"
E Gesù Bambìn che l'éra già inteligénte ól fà: " Sì, sì..." e
schìscia l'ögio.
Alóra San Giusèpe ól tira fœra un biciér dove gh'éra dentro
de la ròba négra per pitüràr i cadenàsc. Cunt un penèlo tach,
tach, tach, fa dèi puntini in tüta la fàcia al fiulìn c'ól faséva i
grimàsi p'el galìtico.
"Fermo li!" poe ól se remète a segare.
Torna Sant'Ana e come la vede ól fiolìn : "Ohaiooh! La
rosolìa!... La rosolìa négra! Quel negro che l'è vegnü dénter
l'ha spaventà ól Bambìn!"
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Pœ ciàpa un strascio fru, fru, fri, nèta, nèta, e ól bambìn
devénta tüto netàto, pulito.
"Qualchedùn gh'ha pitürà dèi balìt sül so' facìn del Bambìn!
Chissà chi l'è stado?"
San Giusèpe che el segàva: "Su no mi, su no mi." "Ténto ti,
cun quèla sega, che mi té ségo via quaicòss d'altro!" Catìva
che l'éra Sant'Ana!
Pœ lée e la Madona van foera de nòvo a tór dèi inguénti per
darghe un bòn parfümo al fiolìn: "Sta 'ténto che 'ndémo
fœra, varda che se capita quaicòsa al fiolìn la cólpa l'è tùa!"
San Giusèpe apéna che i dò dòni son sortìde fœra, no' sa
cosa fare... Scorge sü un müro un bestiolìn... tüto rigàdo
giàldo e negro, ‘na avìs, un ape granda, che l'éra pussè come
un vespón. Cata un biciér... Toch... Cól biciér l'imprigiona
contro ól muro... presón! Un asèta. Soomm! Ghe tòpa sóra
l'òrlo! (E l'imprigiona nel bicchiere.Al bambìn Gesù)"Scüsa
ma dévo farte dar 'na cagnàda propi sü la ganàsa. TUM!
PLOFF! (Indica un immediato rigonfio sulla guancia del
bambino) Adèss, dal'altra parte: TOCH! PLOFF! TUM!
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(Indica un rigonfio che spunta sull'altra guancia) TUM! In
sü la fronte! La trinità dei bugnoni!"
Pœ, come non fosse, retürna a far mostra de segare. ‘Riva
deréntro Sant'Ana: "Aaahhh Dio! Varda lì. Come l'è
cunsciàto... Ooeehh cos'è capità? Che mostro! Varda lì,
Maria!"
"Ma no' 'stà a piàgner, l'è ròba che va via quasi sübit, dò
mesi al màsimo!" el dise Giusèpe.
"(Indicando i bernoccoli) Cos'è?" "L'è el dénte del
giudìssio!"
"De tüte e do parte?"
"Sì."
"Anca in fronte?"
"Se no' gh'ha in testa lü el giudìssio!"
Piange la Madona, piange Sant'Ana.
"Che desgràsia proprio adèso, che gh'éra un bèl premio de
guadagnà, doveva capitàrghe 'sti trè dénti del giudìssio ! No'
podarémo più portarlo da l’Erode, tanto che l'è mostruoso."
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De lì a un poco, fœra per le strade, se sént a piànzere. Se
sénte criàre desperàde de le dòne, tüte matri, coi so' fiulìt
insanguinàti, tajàti a tòchi.
"Aahhaa! A l'éra 'na trápula! L'Erode, apéna sémo stàe ne la
córte, l'ha fàit seràr tüti i porti. E i soldài sunt vegnü deréntro
a masàrghe tüti i fiulìt... 'Na tràpula l'éra! Tüti masàdi!"
Alóra Sant'Ana l'ha capito: l'è andàda par tèra in i ginöegio.
Anca la Madona. E tüte e dòi criàva: "Grazie Déo, iluminàto
con grande mente de inteligénzia! Ti t'è vorsùo salvàrghe,
con quèsta desgràzia finta d'i bognùni, 'sto fiolìn che no'
'rivàse in le sgrinfie de l'Erode. Oho! Che ménte! Che
trovàde che té gh'hai Déo!"
E San Giüsèpe cól segàva de ràbia, cól segàva anca ól
cavalèto, biastemàva: "Cussì, sémpre, sémpre cussì! - el
diséva - Quando un òmo ól gh'ha 'na pensàda de zervèlo, poe
tüti, ringràsien Déo, che no' gh'ha fàit gnénte!"
In quèl mentre vién dentro un anzolo, gridando: "Fœra, fœra
- dise - baterìa!" - "Come bateria!?"
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TRADUZIONE
"Traslòco! Via, scapàre!" "Dove?" "Fuga in Egìto!" "De
già?!" "Sì, gh'è tüti i soldài de fœra che ve çerca." "Aspèta,
'ndemo a tór un carèto - dise Sant'Ana - per caregàre tüti i
regali che gh'han portà." "Gnénte regali, no' se porta via
niénte!"
Dise la Madona: "Eh no, i mè regali li vòjo cara, i mè regali
per ól fiolìn, che quando devénta grande... " " (a San
Giüsèppe) Tira fœra l'áseno!" - "Ma no, no - dise San
Giusèpe - no' se pòl caregàrlo 'st'áseno, a l'è quatro ziórni e
quatro nòti che el bófa, l'è sfiatà compàgn d'una lugànegha
insechìda!"
'Gnìva avante infàti 'sto ásen, inciochì che no'l restava in pìe,
ghe se slargàva i giàmbi apéna che ól caregàven. Caregàven
tüti i fiaschi, i ótri, caregàven i formàj, pachi e fagòti. E 'sto
ásen: wwumm! Wuwmm!, el 'ndava sóto, slargàva i giambi,
la pànscia per tèra. A gh'è la Madona che monta in còpa al
àsen, insentàda cól fiolìn in bráscio.
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"Madona - ghe diséva San Giusépe - ven gió, nòl sé po'
mòvere… el mòre!" "Ma no' pòdo caro, chè tüta la zénte l'è
abituà, durante la fuga in Egito a vedérme che mi son
sentàda in sü l'áseno in fin da la parténsa!"
E alóra San Giusèpe ól se mète sóta a l'áseno, caréga l'áseno
in gròpa e van via tüti insémbia. Dòpo do ziórni, trè ziórni,
tüta la sacra famégia 'riva davànte a Jaffa. Jaffa bianca co'
tüte le tóri altìsime, maravegióse. E sübito l'ànzelo ól vola in
ziélo, ól fà un gran cerchio vdo. E l'àseno ól tira sü la testa...
Iiiaaaahhhhhhhhh! (Imita il ragliare dell'asino)
Pprrrooofffff! Slarga le giàmbe, POM, la pànscia par tèra.
Una slòfa del cül: pluff! L'ànema de l'àseno la va in ziélo.
La Madona de in còpa a la bèstia spiràda, la varda: "Pòvara
bèstia a l’è morta!... Segno de Dio, voer di' che sémo 'rivàti!"
Van drénto a la cità, tròveno 'na stambèrga, tüto un büso,
che, del confronto, la capàna de Betlèm a l'éra 'na réggia.
Giusèpe ól tòpa i büsi. La famégia se mète a dormire.
La matìna sübeto, la Madona la ciàpa 'na cavàgna, 'na cesta e
la va intórna a cercar pagni de lavare, perchè besógna che
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jüta anche lée' la faméja. San Giusèpe andava intórna cól
martèl, la sega e ciòdi per truà de fare mestè.
El fiolìn in mèso a la strada.
La séra la Madona l'arìva, morta roversàda, con tüta la stcéna
spacàda, róta.
La se sèta ancmò bagnàda, straca. E San Giusèpe vién de
fœra imbestià chè no' gh'ha truvà lavór d'un sóldo. Se punta
1ì cól martèl sul tàvul: Ptum! Ptum! Ptum! Ptum! El pica
sóra i didi, che quèla l'è l'üniga manéra de sfogàrse che
gh'han i legnamèe. 'Riva dentro ól Gesù Bambìn cól mücc
giò del naso, fin sü la bóca, tüto strapenàdo, con le mani
vónce, le braghe de travèrso, sénsa gnanca 'na scarpa ai pìe.
"Mama! A gh'ho fame!"
"Bèla manéra che té ghé de vegnìr a casa! Invece de
domandàrghe sübet del to’' papà, de la tòa mama se i son
cunténti, o fategà... Perchè té déve far cossì, eh?"
"Eh, mama, ma mi gh'ho fame!"
E la Madona: "Ma non ti gh'ha vergogna? Proprio ti che té
sèt vegnü apòsta del ziélo, che té sèt nasciüo al mondo
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apòsta per insegnàrghe ai altri a èser bòni… avérghe amore
e avérghe bòne paròle per tüti... e proprio ai primi dòi
cristiani che té ghé déve dar respècto, ti té arìvi a gnanca
saludàrghe!"
E Gesù Bambìn: "Oheu, la madòna!"
Sbianca la Madona e Giusèpe anco! Se mète a tavóla.
"Fiulìn va' a lavàrte i man, nétate i mòcoli del naso, mètese
un po' i cavèli a polìto. Va' i bócol... cussì! Fate el segno de
la cróse! No, aspèta, l'è un po' tròpo presto!"
Oh, Giüsèpe, dighe qualcósa al to’ fiòl… l’é al to’ fiòl anca
lü!! O no?
Chi l’é al mé fiòl?
Pœ el Bambìn ól dorme. Dorme la Madona, dorme Giusèp.
La matìna Gesù se desvégia, el resta da per lü, sólo, no' gh'è
nisciüno. Alóra se mète sü le braghe, mangia un tòco de
pane, va intorno dove che gh'è la strada e vede tüti i bambini
che ziòga: cavalìna, sgiàfa a nascundùn, tòpa falsa...
"Ehi, bambìn! Féme ziogàr anca mi ai vostri ziòghi!" "Nò!"
"Vo' sóta mi! Fémo la cavalìna. Anca a la sgiàfa" "No! Va'
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via, Palestina!" "A córere? Viàltri mé corè drio. Fémo el
ladro. Mi fò ladro?" "No!" "Ma perchè?" "Via, Palestina!
Terün!"
El fiolìn piange. Piange ól Bambìn coi ögi grandi che cóla'
gotón de làgrime. E pur de avérghe la posibilità de ziogàr, de
far festa, de far ziògo e fantasia coi altri fiolìt, el fa un
miracólo. Che la sòa mama gh'avéasémpre dito: "No' far
miràculi intorno, che i té scopre, che se i capisse che ti té sèt
ól fiolìn de Dèo arìva i sbiri de l'Erode e ghe tóca scapàre de
nòvo!"
Lì, in de la piàsa, gh'éra 'na fontana. E tüta intorna la tèra...
de la tèra créta, de quèla che se 'dòpera per fare i matóni.
Jesus Bambìn ól ciàpa sü un pagnòco de tèra e ól ‘comincia
con 'sti didìni a lavuràrla: el fa fœra un crapìn d'osèlo poe
tüto el corpascìn con le aletìne, la côa, poe le piüme, fine,
fine. El cata sü ón bastonsìn per farghe le sciampìne...
"Bambìn, varda che bèl osèlo de mòta che gh'ho fàito! De
tèra l'è!"
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"Oh che bravo el Palestina, végne apòsta de lontano per
farghe vedere l'uselìn de mòta... oh bravo!" - "Sì, ma mi sunt
capàze de farlo vólare!" "Come?" "Ghe fo' 'na bufàda..."
"Fà vedé?"
"Èco! (Soffia con forza) Pfffuuuuu!" e l'uselìn ól dervìse
tüte le piüme e le ali se desténde, sbate, sbate: ciup, ciup,
ciup, ciup, viricip, ciup, viriiii, cip! (Con le sole mani mima
l'uccello che svolazza intorno fino a scomparire nel cielo)
"Bòja, che drago el Palestina! Che stregonàsso! Ohi, l'ha fàit
volàr l'usèl de mòta co' 'na bufàda. De tèra l'éra!" "No' l'è
miga véra!" "Com no? L'ho vidùo mi!" "Ma l'è un trüco
vègio 'mé la Madona: lü l'ha catà un uselìn de quèi inturpicà
che l’é burlà giò da 'n'albero... l'ha catà sü... poe l'ha
sguatascià ne l'àqua... dòpo l'ha sfrugugnà un pochetìn ne la
tèra.. poe l'ha metü sóra la man, gh'ha bufà in tèl cül:
brivido... vce, vce, vce... l'è vulà via!" "Ma no, l'ho visto
mi, l'éra pròpio de tèra! Dai… Faghe védar, dài Palestina...
'n'altro tòc de créta, avanti via, mœvess... (mima come fosse
02/10/2012 894
Gesù bambino di creare un uccellino) dai che l'è fato... via
co' le alète... Dai, bufa!" - "Spèta!"
"Chi?"
'Riva un fiulòt, un bambìn, co' 'na gran testa tüta risulìt
négher: "Fermo, verificare!"
"Chi sèt?"
"Tomaso!"
"Tomaso? (Alza le mani, arreso di fronte alla consuetudine e
al personaggio) Come no' dito!"
Tomaso ciàpa un ciòdo... sum sum sum... sbüsa l'oselìn de
tèra: "Regolamentare, vai!"
"Aténti che bóffi!" (Soffia) Ppfffuuuuuuuu... (Mima
nuovamente il volo dell'uccellino) cip, cip, cip,
cipcipcipcip!
"Vóla! L'osèlo vola! Bravo Palestina! Caro, come té vœri
bén! Toh, un basìn! Ma perchè té se stàit luntàn cossì tanto
témpo? Che giògo che fémo! Adèso ognuno ól fà un osèlo...
e ti, poe, Palestina: pffuuuu!, bófa e fa vólar i nostri osèli!"
02/10/2012 895
"Dai Palestina! Che bèl Palestina che té sèt!" vusa tüti i
fliolìt
E tüti gh'han ‘cominciàt a far dèi oselón. V'un gh'ha fàit un
panotún tüto tondo co' ‘na côa drissa, con dèe alète quadri,
con un gran crapón che burlàva giò, poe l'ha fàit dò
giambìne, tum... el burla giò... ghe n'ha metü quatro, poe
cinque zampe.
"Ma no' se pòl un osèl de çinque zampe!" ól dise Jesus
"Se no' stà in pìe... Importante che vola, no?"
Pœ 'n'altro, 'na lugànega, una bissa, 'na bissa salàma, con
dodése ali in fila, sénsa la côa, dódese zampe.
"Lè un cagnòtto..."
Pœ 'n'altro l'ha fàit un bugugnùn... paréva 'na torta, co' la
testa drissa in mèzo, sénsa còlo, el bèco su sü... e tüte le ali,
tüte scompagnàde, tüte intorno. E sénsa giàmbe.
"No' so se el vola, vedarèm..."
Pœ, 'n'altro, gh'avéa fàit dèi oselìn che pareva de le cagadìne.
Pœ 'n'altro un strunsùn.
E l'ultimo, un gato!
02/10/2012 896
"No' se pòl far vólare un gato!"
"Se vola quèl strunsùn là, vólerà ancha el mé gato!"
"No, ma i gati no' se pòl far vólare. Un po' de régóla!"
"Mama! El Palestina no' vól far vólar el mè gato! (Mima la
madre che si affaccia al balcone e grida:) Fa' volàr sübeto el
gato d'el mè fiòl, Palestina! Se no, vegni giò e té inciòdo!"
(Mima il bambino Gesù che si osserva preoccupato le palme
delle mani)
"Tüti i oselón, tüti in fila!"
"Via, che el bófa!" (Esegue una soffiata panoramica e mima
via via il volare strampalato dei vari uccelli)
Pffuuuuu... El pagnutùn: quac, quic, quoc, qua, té, pu, qua,
té.
Pfffeeee... La lugànega: pici, pete, qua, té, ce, che , se, té, pe.
Pfffeeee... La torta: psu, pse, psu. Pfuuuu... El strunsùn: pce,
pque, pte, pci, pce. El gato! Pfuuu gniaaaaoooo gna gnum
gnam! Magna tüti i osèli del ziélo!
"Ohi! Che bèl, che rìdare a stciepapànza!"
"'N'altra uselàda, avanti tüti inséma!" Tüti che fan i osèli.
02/10/2012 897
Végnen anche dai altri quartiéri, tüti i fiolìt. Tüta la piàssa
piéna de fiolìt che i ziòga, i ride, i canta!... fan pastròchi con
la tèra, tüte le statuète... osèl de tüte le forme e culóri che i
vola.
Ma in quèl moménto: trac! Se spalanca el portón de la gran
piàssa. E se vede 'parìre un cavalìn negro, tüto bardà, bèlo,
con sóvra, a montàl, un fiolìn tüto rubisón, con dei öci
sbricón, con i cavèli bén petenà... le piüme sül capèlo, vestìt
de velùto e de séta, con un coletón de pisso. E gh'éra dòi
sóldati d'aprèso: el sovrastòmego de fèro, piüme anca loro
sul capèl, montà sü dòi cavàli bianchi.
Quèl bambìn l'éra ól fiòl del parón de tüta la cità. (Mima il
bambino che, dal cavallo, si rivolge con arroganza ai
ragazzini del quartiere)
"Ehi fiolìn, che cosa ziogàte?"
"No' far mostra de gnénte, Palestina! Quèlo l'è un
rompicojón. L'è ól fiòl d'ól parón. No' darghe trà. No' darghe
corda, fa' finta de gnénte."
"Mé dit a còssa state a jocàndo? Pòso jocàre co' voiàltri?"
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"No!"
"E perchè, de gràssia?"
"Cussì! Perchè tüte le vólte che noialtri domandémo de
ziogàr con ti, fiòl del patrón, coi to’' cavàli per far un zirèto,
ti té dise no! Perchè tüte le vólte che vegnémo a casa tua, che
té gh'è de gran ziòghi, té ne fàit descassàre da i to’' sbiri!
Noiàltri adèso gh'avémo un bèl ziògo, el più bèl ziògo del
mondo, ma el Palestina, che quèl l'è al cap del ziògo, l'è
nostro. Ti té se sióro ma no' té gh'e ól Palestina. Palestina l'è
par noàltri. Vero Palestina? (Mima di baciare Gesù) Pciu,
pciu! No' té n’andar co' quèlo ah? No' fa el Giuda, ah?!"
"Ma se pòl savére che ziògo l'è?"
"Sì, che té lo digo... Noiàltri fasémo i uselón. Pœ ól
Palestina, bófa e i fa vólare. Ti vól ziogàre anca ti?"
"Oh sì!"
"Bòn, tira fòra el to’' oselìn, bófaghe sóvra, e védom se ti è
bòn de farlo vólare!" (Gran sghignazzo corale)
Rosso, inrabìto, co l'éra ól fiolìn del padrón, co' i i ögi fœra
de la testa. Gh'ha catà 'na lanza del soldàt, gh'ha dàit de
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spròn al so' cavàl, l'è 'rivàt in mèso ai fiòl criàndo 'mé un
mato: "Se no' ziògo mi, no' ziogàte gnànca voàltri!"
Zan, zan, a spacàre coi zòcoli del cavàl tüte le stàtue, tüte le
figürine de créta. Tüta la tèra spacàda. Coi fiulìt che
piagneva... tiràva bale de mòta; i soldàt coréndo a cavàl,
criava: "Via! Fœra, andìt fœra, via! Che el pòl fare quel che
el vòl quèl, parchè l'è ól fiòl del padrón!"
Le mame che faciàda a le finestre: "Catìvo! Un ziògo si bèlo
co l'éra. No' costava gnénte... i nostri fiòl i l'éra conténti, e
ti..."
E i soldài: "Via matre! Via, che ve 'riva ‘na lanzàda!"
Pfium, pfium, ptum, ptum! Tüte le finestre seràde. La piàsa
vòda.
Gh’éra restà sóltanto ól fiolìn del parón sul so' cavàlo negro,
coi sóldati che i rideva. E nisciün gh'avéa scorgiùo che
gh'éra restàt ól Bambìn Jesù visìn a la fontàna.. coi ögi
grandi, impegnìdi de làgrime... che ól vardàva verso ól ziélo
che el s'éra impiegnìdo de nìvole.
(A tutta voce) "Paadreee, paaadreeeee!"
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Le nìvole se son dervìde: broomm, proomm, brooommm!
(Mima il padreterno che si affaccia fra le nuvole)
"Se gh'è!"
(A fatica trattiene il pianto) "Padree, son miii, Jesus..."
(Amorevole e preoccupato) "Cosa t'è capitàt, Bambìn?"
"Eehh... quèl fiulìn lì l'è catìvo, chè gh'ha s’cepàt tüti i
figurìn de tèra che noialtri gh'avémo fato per ziogàre. G'ha
scarcagnà tüto cól so' cavàl e (piange farfugliando)
guduhntuchetugudutu..."
"Ma caro, per 'na stupidàda cusì, té gh'ha de far ciapàre un
spavénto cusì grando a to’' pare che so' 'rivàto de volàta, de
l'altra parte de l'univèrso che éro? Gh'ho sbüsà quasi dódes
nìvoli, gh'ho tirà sóta dódese cherubini, e mé son stùrta tüto
ól triangolo, che ghe vœr una eternità a rimpiasàl a 1'órden!"
"E, ma lü l'è stàit catìvo! Lü l'è ól fiòl del parón, gh'ha tüto!
Gh'ha tüti i ziòghi, ma l'istèso, quando gh'ha visto che
noialtri éremo conténti, gh'ha... (singhiozza) ghidi tüte
tuduuhu s’cepàdo tüto... ehheeehhhe... e mi gh'avéo tanto
fadigà..."
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"Parla ciàro."
"E mi che gh'avevo fàto tanta fatìga de far ól miracólo de far
vólar gli oselìni... per avérghe dèi amìsi, per ziogàre
insémbia... che dòpo i mè ciamàva Palestina caro toh un
basìn!... E adèso són de nòvo sólo, come prima. Che tüti i
amisi mìi son scapadi... ehhhee... (Piange) Gh'ho gran dólore
mi, gh'ho gran dólore patre eeehhheeee..."
"Oh té gh'hàit rasón. A dévo bén dir che ól spacàre, ól
s’cepàre sogni e ziòghi de plagér de fantasia, o l'è pròpi ól
pejiór de tüte i viòl! Ma quèlo l'è un fiolìt, caro... cosa devo
fare eh?"(Gesù, prima si lascia sfuggire un sospiro di pianto,
poi, con tono, il più candido e normale possibile) "Màsalo!
(Sorride guardando accativante verso l'alto per ottenere il
consenso del padre) Eh!"
"Ma caro, t'ho mandàt giò apòsta dal çiélo in tèra per
imparàrghe la pace fra i òmeni... parlàrghe d'amore. La
prima vólta che quaicün té fa quaicòsa, té voi masàrlo! Té
cominci bén la professiòn, eh?"
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"È tròpo? Bòn, alora stórpialo... sguèrcialo... eh? Sguèrcialo
e stórpialo!"
"No, no' se pòl far 'ste robe, caro. No' se pòl comensàr co' la
violénza cussì, eh?"
"No' se pòl? No' té pòl ti? Lo maso mi?"
"E bòn, fàit quèl che té pare, che tanto co' ti, no' se pòl
descùtere. Ma non andar intorno a racontàr che so' stado
mi!"
Prrooomm, bbrrraaaamm! I nìvuli sfragùglia da partüto e el
Dèo scompare. No' l'è pasàto ól témpo.
De nòvo a gh'è ól fiolìn del padron cól ride, coi soldàt che i
se sganàsa a rigolà, e ól Bambìn Jesù visìn a la fontàna, c'ól
ciàma: "Patron... fiòl del parón!"
"Eh?"
(Ride col compiacimento di chi sta preparando uno scherzo
atroce) “Té ridi, ti, eh? T'è fàit tüto 'sto sacrapànte
d'intorno... t'è spatascià tüti i statuèti, té ruinàt el nostro
ziògo. E ti sèt conténto, tranquìlo... ti pénsi che nisciün té
faga gnénte, eh? Ti è convènso che no'l pòle èserghe nisciün
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che té castiga al mondo. Gnànca to’' pare, ah? E se adèso
invece mi té fùlmino?... Té ridi, eh? No' té ghe credi, eh?"
Ffvvuuuooommmmm! Un fulmine treméndo è sortì dai ögi
del Jesù Bambìn. (Descrive la terribile fiammata) Una
léngua de fògo! 'Mé 'na bisa-serpénte infiamàda, l'intorcìga
tüto 'sto fiolìn, ól scaravénta, ól revòlta, ól sbate per tèra,
divénta tèra còta come in un forno. Pœm! Fumante!!
Tüte le done dai balcón se büta a criàre: "Stregonàso! Còssa
ti gh'ha combenà de treméndo!?"
I soldàt sbianchìdi de spavénto che scapa sui cavàli.
La Madona, che gh'ha sentìt criàr de lontàn la 'riva de corsa:
"Cos'è succès? Fiulin cos'hàit fa' ti?"
"Gnénte... ho fa' un miracólo! Mio primo miràculo! Varda,
l'è ancora caldo."
"Ma come... l'è un bambìn?! L'è un fiolìn che t'è trasformà in
tèra còta!!! Ma cos t'è fàit còs? Ma parchè?"
"Eh! Ma lü l'éra catìvo, cara!"
"No' vòj 'scoltàr scüse! Resüsitalo!"
"Noo!"
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"Jesus, obidìse! Pénse a la povéra mama de 'sto bambìn... lo
strapacòre che gh'averà! Resüsitalo!"
"Ma non son capàze mama, mi gh'ho imparà sóltanto a
fulminare; no' gh'ho ancora imparàt el resùrgit!"
"No' dir bosìe! Resüsitalo e inprèscia! No' ti capìse che se
'riva i sbiri ghe tóca de scapàre de nòvo... mi e to’' patre che
gh'avémo apéna trovà un lavór!"
(Lamentandosi) "Eh, ma però... Èco... no' se pòl fare un
miracólo che bisogna disfarlo sübeto...! Bòn, lo resüsito,
però co' 'n'a pesciàda..." (Mima di sferrare una terribile
pedata al bambino disteso a terra)
Tum! 'N'a pesciàda in tèl cül de tèra. Prum! El bambìn de
carne e òsa torna in pìe. Se tégne i ciàpi cont i man... ól
varda intorno spaventàt: "Cuss'è capitàt, cuss'è sucès cos'è?"
El fiolìn Jesus ghe dise: "Mi sont stàito! Ól miracólo...
fulminà... resüsità!
Pœ l'è 'rivà la mia mama... Ringràsia la Madona! Faghe sübit
un fiurèt!
Ma ti... tésénte brüsar ól cül per la pesciàda che t’ ho dàit?
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Aténto che gh'é un'alegorìa, eh! Bòn servìsi per quei che son
stremìdi... che derénto le finestre son nascondüdi per gran
pagüra. (Indica in alto tutt'intorno alla piazza) Se quèli
comìnzeno a penzàre, razonàre, bada bén, che ti, té
deventerà grande a forza di pesciàdi che ti ciàpi! El cülo té
monta, té monta, té monta, té monta: puuummm! E s’ciòpa!
In eterno senza cülo!
Amen!"
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PROLOGHI GRAMMELOT
PROPOSTA PER DARIO NUOVA PRESENTAZIONE
Il GRAMMELOT
LA FAME DELLO ZANNI
Ora, prima di iniziare col Mistero Buffo vero e proprio, mi
permettete di eseguire un salto in avanti nel tempo,
sorpassare il Medioevo vero e proprio e raggiungere il
nostro glorioso Rinascimento. Questo allo scopo di
presentarvi il grammelot.
All’origine e fino a quasi tutto il ‘400, le compagnie di teatro
erano composte da attori dilettanti. Ma nella fine del XV
secolo, cominciàrono a riunirsi in gruppi consociati con
tanto di statuto e contratto. Ebbero subito una certa fortuna,
specie quelle compagnie che godevano della protezione di
nobili e banchieri. Ma ecco che, nella seconda metà del ‘500,
quando esplose la controriforma, l’attacco condotto dalla
Chiesa verso gli intellettuali liberi, colpì duramente anche le
compagnie di attori associati, cioè i teatranti della Commedia
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dell’Arte. Costoro furono costretti a una vera e propria
diaspora. Furono centinaia le compagnie che dovettero
emigrare in tutti i paesi d’Europa: Spagna, Germania,
Inghilterra. La maggior quantità di quei teatranti si stabilì
nella Francia. Altri raggiunsero la Russia e perfino i Paesi
Baltici.
È ovvio che la maggior difficoltà éra quella di farsi intendere
dagli abitanti di quei paesi che non conoscevano la nostra
lingua. È vero che i comici dell’arte possedevano doti
insuperabili di gestualità ed erano veri maestri della
pantomima ma dovettero creare qualche cosa che
permettesse di comunicare più profondamente il discorso del
gioco satirico e tragico. Cossì utilizzarono (o inventarono?)
il grammelot.
Cominciàrono col impiegare un linguaggio che potremmo
chiamare proto-maccheronico, cioè composto da sproloqui,
apparentemente senza senso compiuto, infarciti di termini
della lingua locale pronunciati con sonorità e timbri
italianeschi. Via via, si perfezionarono fino a impiegare,
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oltre una straordinaria gestualità, suoni onomatopeici carichi
di sfondoni lessicali di varie lingue. Questo gioco imponeva
agli spettatori l’impiego di una certa dose di fantasia e
immaginazione che produceva l’insostituibile piacere dello
scoprirsi intelligenti.
In Francia le compagnie dei “Gelosi” e dei “Raccolti” furono
tra le prime a sviluppare questo genere di rappresentazione.
Esibivano maschere dei vari Zanni fra i quali l’Arlecchino
che possiamo bén chiamare il comico, massimo campione
del grammelot.
Cominciàrono col impiegare un linguaggio che potremmo
chiamare proto-maccheronico, cioè composto da sproloqui,
apparentemente senza senso compiuto, infarciti di termini
della lingua locale pronunciati con sonorità e timbri
italianeschi. Via via, si perfezionarono fino a impiegare,
oltre una straordinaria gestualità, suoni onomatopeici carichi
di sfondoni lessicali di varie lingue. Questo gioco imponeva
agli spettatori l’impiego di una certa dose di fantasia e
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immaginazione che produceva l’insostituibile piacere dello
scoprirsi intelligenti.
In Francia le compagnie dei “Gelosi” e dei “Raccolti” furono
tra le prime a sviluppare questo genere di rappresentazione.
Esibivano maschere dei vari Zanni fra i quali l’Arlecchino
che possiamo bén chiamare il comico, massimo campione
del grammelot.
Il grammelot è una forma onomatopeica di discorso che è
nata con la Commedia dell'Arte e che realizza una tecnica di
espressione che è impostata tutta sul suono, sul gesto,
sull'onomatopeica cioè sull'andamento che fa assomigliare a
parole il linguaggio ma in verità non si tratta di termini esatti
ma soltanto fonicamente simili. (Fa un esempio di
grammelot in francese, E un altro di grammelot in
napoletano rappresentando Pulcinella)
Cossì potrei andare avanti ad indicarvi grammelot in tutte le
lingue e darvi l'impressione che davvero le parli.
Ma andiamo per ordine e iniziamo dal grammelot più antico,
quello dello Zanni. Lo Zanni è il prototipo di tutte le
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maschere della Commedia
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MILANO 20.O1.91
LA GUERRA NEL GOLFO-E’ STAMPATO
TRASCRITTO MA NON CORRETTO
Io sono felicissimo che questo teatro sia cossì saturo,
esaurito di persone, in quanto sentivo proprio oggi in
televisione un'inchiesta sui teatri in Italia durante la quale si
diceva che i teatri in questo periodo hanno avuto un crollo
sul piano della presenza di pubblico perché qualcuno si sente
a disagio,qualcuno teme incidenti... ma il fatto che voi siate
qua mi riempie di soddisfazione anche se nello stesso tempo
sono angosciato come voi per la paura che questa guerra si
stia allargando.Ci sono state persone che si sono risentite per
il prologo che io in questo periodo faccio, legato all'attualità,
anche perché l'attualità è il fondamento principale del nostro
teatro; da sempre il nostro obiettivo è di inserire quello che è
la cronaca nel teatro e meno male che oggi possiamo
parlarne liberamente. C'è stato un tempo che il parlare a
soggetto ci éra impedito, addirittura abbiamo avuto
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denunce... c'éra il questore o il commissario che stava in
quinta per verificare che quello che dicevamo corrispondesse
al testo che avéa l'imprimato di Andreotti allora, che éra
ministro dello spettacolo... e che verificava se eravamo
apposto, se avéamo proprio il timbro. Noi abbiamo avuto
una cosa come 40 denunce per gli svicolamenti e quando
uno éra risentito per quello che si diceva non stava neanche a
rimbeccarti direttamente, telefonava alla questura , arrivava
immediatamente il commissario di turno, o se éra in sala,
saliva sul palcoscenico a verificare col copione.
Ora siamo arrivati ad un clima straordinario però, a
proposito della guerra e se éra proprio necessario entrarci a
piedi giunti, il presidente della repubblica Cossiga è
intervenuto l'altro giorno dicendo che è ora che noi si diventi
adulti... in poche parole nel nostro paese si può polemizzare,
dibattere però una volta che il governo ha deciso di
intervenire SILENZIO, NESSUNO ROMPA PIU' LE
SCATOLE, LASCIATECI LAVORARE! Credo che sia
proprio il contrario di quello che è la democrazia, il parlare
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sempre e il ribadire le proprie opinioni credo sia il
minimo.D'altra parte, e anche Andreotti l'ha detto questa
mattina, "E' ARRIVATO IL MOMENTO DI ... TACERE E
BASTA NON ROMPETECI LE SCATOLE!".E' da un pò
di tempo devo dire che succedono delle cose... per quanto
riguarda il nostro presidente della repubblica, lo sottolineano
tutti i giornali devo dire, anche Montanelli, che addirittura è
arrivato a dire che ha bisogno di uno psichiatra... io non sono
d'accordo, dico che è dovuto al nervosismo come quando ha
incominciato ad insultare i giornalisti i giudici dicendo che
erano dei venduti, dei bottegai, dei giornalisti ha detto delle
cose ignobili, che sono degli infami... Ad ogni modo il fatto
particolare è incominciato quando gli è sfuggito " PER
L'ITALIA SI PUO' ANCHE MORIRE"... che a mé è venuto
subito un brivido lungo la schiena, mi è venuto subito in
mente quando da ragazzino mi insegnavano " CHI PER LA
PATRIA MUOR VISSUTO E' ASSAI" tarappappappete...
D'altra parte è la stessa frase lanciata da Frankestain, voi
sapete chi è Frankestain ... Saddam Hussein è veramente il
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classico Frankestain, che non è nato cossì da solo ma è stato
inventato da noi NOI LO ABBIAMO CREATO! Io mi
ricordo gli applausi quando è partito contro Komeini...
FANATICI!! Invece lui avéa i piedi in terra... quando ha
detto tre giorni e Komeini è fottuto ARMI! Gli abbiamo dato
le armi noi! Lo abbiamo allenato noi, gli abbiamo insegnato
come si fa la guerra... NOVE anni è durato e adesso
dimostra che ci sa fare. Lo diceva oggi quel generale di cui i
storpio sempre il nome, diceva "ma scherziamo, non
abbiamo mica a che fare con un cretino... nove anni che...
l'abbiamo allenato noi, AVRA' IMPARATO QUALCOSA!!
Per forza non ha tirato fuori ancora le armi , perché diceva
ma perché non intervenite, perché non lanciate nel deserto i
vostri marines e la facciamo finita. La borsa avéa avuto una
euforia incredibile, eravamo arrivati a guadagnare quattro
punti, cinque punti... e adesso cosa aspettate, dice, NON
SONO MICA IL GENERALE KUSTER IO, io fin quando
non li ho spianati, ammorbiditi"... non si dice massacrati, si
dice ammorbiditi ... guardate che il lessico di guerra è
02/10/2012 916
straordinario. A parte che non si dice "andare il guerra" ma
"compiere un'operazione di polizia", ce l'ha insegnato
Andreotti. La mia preoccupazione è questo atteggiamento
che hanno quasi tutti i giornali "chi non è per la guerra è una
femminuccia, un disfattista, in fondo un mammone uno che
fondamentalmente è VILE! Insomma un uomo vero, coi
muscoli , col coraggio è subito per la guerra... interviene per
l'onore, per l'orgoglio di una nazione che non può sempre
rimanere assente davanti ai fatti". Quello che è successo
esattamente a Kabul quando ad un certo punto i russi sono
entrati con le truppe e l'ONU avéa detto alla stessa maniera
BISOGNA INTERVENIRE! NOI ITALIANI SIAMO
INTERVENUTI! E subito Andreotti dice "BISOGNA
PARTIRE" manco una piega!! Cossì ad esempio per il fatto
della Palestina... gli interventi dell'ONU per far rispettare le
leggi internazionali e la libertà e la dignità di un popolo
riguardo la Palestina sono la bèllezza di diciotto! Ma
neanche han fatto UH UH neanche! E quando questo
frankestain ha ammazzato cinquemila persone in
02/10/2012 917
venticinque minuti, cioè le ha asfissiate col nirvino, donne,
bambini, BRACCHETA! C'è stato l'ONU che ha detto... EH
NO! EH NO! E tutti noi abbiamo detto bisogna partire
bisogna bloccarlo... NIENTE!
Questa è una guerra per il petrolio, lo abbiamo visto nel
gioco del salire delle azioni riguardo a quella situazione...
stiamo combattendo per il problema del prezzo,
dell'interesse, del vantaggio e via dicendo e a dimostrazione
c'è un fatto di cronaca: la televisione ha fatto un inchiesta sul
fatto che la gente non gira più con tanto entusiasmo per le
balere, per i night, per i luoghi di divertimento e veniva
mostrata una balera moderna completamente vuota e il
padrone diceva " la gente non ha voglia, non viene a ballare
e a divertirsi... ce n'erano quattro li ho fatti entrare gratis ma
non avéano voglia" e lei cosa dice "E' UNA GUERRA
SCHIFOSA".
C'è un'altra cosa che mi ha angosciato a proposito del valore
di certe frasi, io a malapene ne parlo perché ci sono di mezzo
due piloti che fra l'altro sono di una compagnia di cui ho
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visto alcune esibizioni e sono tra i più preparati tecnicamente
a livello mondiale, tant'è vero che hanno battuto in sfide
sull'abilità di colpire un bersaglio, volo in quota ecc... anche
gli americani e perfino gli isdraeliani. Il presidente della
repubblica ha detto "buon viaggio, buon lavoro, fatevi
onore" GGGNNNACCC, la sfiga fino in fondo. Scusate,
forse qualcuno di voi dirà che sono cattivo, ma io temo che
QUELLO LI", non bisogna neanche nominarlo...
MENAGRAMO!!! Ha detto siamo adulti ... POMPETA!
Che quello parte ... "il carrello!!! Porco cane!"... e in volo
subito turbolenza atmosferica... ci sono mille e cinquecento
aerei fra inglesi e americani che vo tranquilli NO! c'è una
nube schifosa con scritto PRESIDENT! Le "vacche" si
chiamano, questi aerei che contengono benzina in quantità e
che tranquillamente con una pompa che va a finire nel
serbatoio dell'aereo... l'aereo va, ritorna indietro, gli danno
ancora un pò di benzina... OH! la prima volta nella storia che
si spacca tutto TUM BOOORLOCHE, uno solo che prende e
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poi non torna OHHH! Io non dico più niente, ma non lo
nomino più! E imparate a farlo anche voi!
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PRATO 25. 5 91 SITUAZIONE DI GOVERNO-E’
STAMPATO
TRASCRITTO MA NON CORRETTO
Lo spettacolo è Mistero Buffo un genere di rappresentazione
che viene dal medioevo, "mistero" significa
rappresentazione, sacra in particolare e "buffo" significa
grottesco, è chiaro da sé solo. Prima di entrare in merito al
Mistero Buffo vero e proprio io, come facevano del resto i
giullari che lo rappresentavano, prendo il pretesto per parlare
della situazione che viviamo, anche per introdurlo su un
livello non distaccato nel tempo ma che sia attuale, legato ai
nostri tempi. Una delle osservazioni che devo fare subito è
una delle più bèlle battute che ho sentito nei tempi, credo che
è da eleggere la più importante in questo secolo quasi... a
proposito della situazione del governo. Avete visto che
questo governo è stato una delle più grosse beffe mai viste, e
l'unica situazione di ricambio, invece delle riforme, hanno
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cambiato l'assetto strutturale, cioè i repubblicani sono stati
messi da parte e da chiunque partito è diventato quadrupede
come ha detto qualcuno. Ora questo governo nato con questo
scarto ha determinato una frase veramente straordinaria da
parte del responsabile del partito repubblicano La Malfa, il
quale ha già un padre La Malfa... UGO! Questo La Malfa ha
dimostrato di essere l'uomo più candido che esista in Europa
perchè ad un certo punto ha dichiarato "CREDEVO CHE
ANDREOTTI FOSSE UN UOMO ONESTO!" Uno che
vive da quando è nato vicino a questo governo e che non si
rende conto... insomma è veramente DA FUCILARE!! QUA
AL MURO! "Lei ricorda suo padre che éra già con
Andreotti... anche il nonno éra già con Andreotti... ancora
con il governo di Giolitti c'éra Andreotti che portava la
cartellina... già un pò curvo, cominciava già allora , con le
palette di direzione.
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B O N I F A C I O VIII
M A N C A L A D A T A- E’ STAMPATO.
TRASCRITTO MA NON CORRETTO
Andiamo a Bonifacio VIII. Bonifacio VIII éra un figlio di
buona donna che non finiva più, ne avéa fatte di tutti i
colori, avéa rubato, massacrato, bruciato, raso al suolo città,
organizzato spedizioni punitive, torture, tutto avéa fatto!
Avéa perfino rapito il seggio pontificio, l'avéa fregato ad un
altro... sapete Celestino, anima dolce éra sceso dal convento
"Vieni a fare il papa" "No, grazie" "Ma si, vieni"... e poi
l'avéa terrorizzato, più o meno gli avéa fatto "Cretino
quando... ehm... CLOC" più o meno, un pò in sintesi ma è
cossì. Fece stragi, massacri, distrusse città tipo Tortona e
soprattutto organizzò anche all'estero, éra conosciuto anche
all'estero. Il movimento primo che conosciamo dei tessitori,
dei muratori insieme dei contadini, quelli delle Fiandre,
organizzato per combattere contro lo strapotere dei padroni
del tempo. La nascita di una borghesia mercantile che avéa
02/10/2012 923
attraverso le proprie corporazioni strozzato ogni possibilità
di azione di tutti quelli che facevano mestieri cossì detti
minuti , un pò come la storia che precede quella dei ciombi,
quella dei senza braghe e quella del bruco, cioè tutte le lotte
italiane dei tessitori, e come vedremo poi, di fra Dolcino.
Questi tessitori si organizzarono con tanta forza e soprattutto
ragione, coscienza, che riuscirono a stangare il più grosso
esercito che fosse stato messo in campo di quel periodo. Si
trattava addirittura dell'esercito de Speron d'Oro. Gli Speron
d'Oro erano tutti cavaglieri nobili, gente nata per far la
guerra, professionisti della guerra, talmente ricci e
importanti che ognuno si éra messo speroni d'oro
massiccio... qualcuno va beh, éra d'argento dorato ma non
stiamo a sottolineare. Gente di guerra, nata per la guerra...
presero una legnata, un esercito completamente distrutto...
da chi?? Dai tessitori operai d'accordo con contadini , gente
che non éra abituata a far la guerra. Ma le trappole ,
l'ingegno, le invenzioni, la scaltrezza, le trovate che ebbero,
sono degne di un film comico. Circa diecimila morti durante
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questa battaglia, quasi tutti di parte padronale. Bonifacio
VIII venne a sapere la notizia nella notti di natale del 1200,
avéa sovvenzionato questo esercito... c'erano i borbunghi
dentro, c'erano i re di Francia, e anche, naturalmente, i nobili
fiamminghi, c'erano gli inglesi, i bretoni ecc.. ecc... Un
esercito colossale! Soldi ce n'erano dentro! Quando lo venne
a sapere ebbe un coccolone. La notte di natale arrivò
velocissimo qualcuno a cavallo. Éra un nobile che si éra
salvato dalla strage, arrivava dalle Fiandre, avéa sfiancato tre
o quattro cavalli, non dormiva da giorni e giorni, arrivò a
Roma, suonarono le trombe, entrò impolverato,
inriconoscibile, grondante di sudore ed anche di sangue si
buttò ai piedi di Bonifacio VIII che si éra appena alzato...
avéa un camicione con un ventre pieno di cibo e di vino...
éra a letto con sua moglie... éra sposato civilmente, tutti lo
sanno... non si poteva sposare in chiesa. Questo cavagliere si
buttò ai piedi di Bonifacio e Bonifacio appena ebbe la
notizia, digrignò i denti, cercò di bestemiare TOC... rimase
bloccato, gli prese un coccolone, come dite voi a Roma, e
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non si mosse più. Una leggera bava gli scese dalla bocca,
strabuzzò gli occhi, lo presero, lo portarono via ingessato.
Tutte le domeniche da quel tempo a cinque anni prima del
giorno della sua morte, lo portavano alla mattina della
domenica e delle feste comandate al balcone perché desse la
benedizione ai fedeli... gli tiravano su il braccio, c'éra un
tecnico venuto dall'estero e via... vita piena di interesse per
cinque anni. Però prima di arrivare a quella condizione avéa
raso al suolo Cortona, cose che non studiamo a scuola. E la
cosa che mi ha meravigliato quando sono andato a leggere
questa storia dell'assedio di Cortona messo in piedi dal
papa... progressista, non dico rivoluzionario, di questa
popolazione che voleva dignità, voleva diritti, voleva gestirsi
in proprio... sugli spalti chi trovo? Jacopone da
Todi....................................................................................
Un'altro grosso ribèlle, addirittura rivoluzionario, anche se
grottesco del nord, éra Ségarello da Parma. Ségalello o
Ségarello, come volete, il suo vero nome di famiglia éra
Ségalello da Parma, ma siccome all'inizio della sua carriera
02/10/2012 926
di predicatore avéa una verve incredibile, avéa un chiodo
fisso... éra molto giovane, poi cambiò e capì come stavano
veramente le cose, ma un chiodo fisso... nei suoi discorsi
ogni tanto incominciava a dire "Guai a voi cristiani che
pensate al sesso e alla fornicazione e nei vostri pensieri e nei
vostri sogni ci sono sempre gli amplessi, uomini e donne che
siete uno contro l'altro abbracciati, carne nella carne... CHE
E' PECCATO! Voi nell'inferno soffrirete..." Oh la miseria!
Al che il popolo l'ha chiamato SÉGARELLO da Parma. Da
Ségalello... Ségarello. Lui accettò il gioco, éra diventato uno
straordinario giullare, un provocatore, per far prendere
coscienza alla gente andava, per esempio, in mezzo ai
contadini e incominciava "Ehi contadino, è bèlla la vita , il
sole, miracolo, tu sei la mano di Dio, per Dio, senza di té
saremmo tutti morti, affamati, a strascicare, a mangiare
radici, e tu ci dai da mangiare, il sole. A proposito del sole,
stai attento che sta venendo giù in verticale che ti spacca la
testa, vai sotto la pianta e riposati un pò che già hai lavorato,
è dall'alba che lavori, per Dio, guarda che bèllezza, hai arato,
02/10/2012 927
seminato, concimato, hai potato, c'è da mangiare per té, per
la tua famiglia... e anche per mé, quando ti vengo a trovare,
grazie.... Eh?? Non m'invita, non m'invita? Come? Devi
lavorare ancora??? Perché, per chi?? Altra terra devi arare...
ma... per il padrone??? Questa è bèlla! Padrone di chi...
della terra... ah! c'è un padrone della terra! La terra è di un
padrone, bèlla questa! Non l'avevo mai sentita. Io avevo letto
la bibbia e non ho mai trovato che una volta il padreterno
abbia consegnato un pezzo di terra a Tizio piuttosto che a
Caio... COGLIONE, T'HAN FREGATO!! Il padrone è un
furbastro di sette cotte, è arrivato prima di té lì, ha messo un
paletto qua, un paletto là... da qui a là è mio, anche da qui a
là è mio, anche lassù fino al fiume ed anche dopo il fiume è
mio. DIO MÉ L'HA DATO E GUAI A CHI MÉ LO
TOCCA! Dio si! Guarda qua il contratto, mé lo ha firmato
lui... come no... sai leggere tu? NO??? Allora cosa parli!
COGLIONE LA TERRA E' DI CHI LA LAVORA!!!".
Pensate, nel medioevo andare in giro a dire ai contadini "la
terra è di chi la lavora", è da deficienti... da pazzi andare a
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dirlo ancora oggi ai contadini, pensate nel medioevo. E
l'hanno beccato e l'hanno bruciato vivo e con lui tutta la sua
banda di predicatori detti insaccati. Si vestivano soltanto con
un sacco, gli tagliavano gli angoli... qui per la testa OPLA!
Camiciola e via. Uno solo si salvò della banda... frà Dolcino.
Frà Dolcino non éra per niente dolce e gentile, se non altro
nell'aspetto, éra un gigante, una montagna, un "armadio con
la testa", diceva un cronista di quel tempo, e fu la ragione,
dice un'altro cronista, che si salvò frà Dolcino, perché
nessun sbirro ebbe il coraggio di andare ad arrestarlo, potete
vederlo da voi: "FRA' DOLCINO SEI IN ARRESTO!!"
"EH???" "EHM, LA STRADA PER MODENA SCUSI???".
Frà Dolcino si salvò, andò nel trentino, conobbe Margherita
da Trento che divenne la sua donna, una donna straordinaria,
intelligente, i cronisti di parte avversa dicono addirittura che
fosse la più bèlla donna che si fosse vista in Italia in quel
tempo, e con coraggio, con una testardaggine, soprattutto
una perspicacia nelle situazioni. Incredibile! Insieme
andarono e con altri cossì... sobillatori oggi
02/10/2012 929
diremo...provocatori, gente un pò sbandata... andarono fino
in Croazia. In Croazia mossero la presa di coscienza di molta
gente poi vennero ancora in Lombardia esattamente a
Romagnano Sesia, vicino a Novara, vicino a Vercelli anche
che éra la patria di frà Dolcino. In quella zona c'éra stato già
qualche fermento. Quando arrivò frà Dolcino ci fu
addirittura una ribèllione, potremo dire una rivoluzione
senza sbagliare in eccesso. Tutti i tessitori, rieccoli i tessitori,
gli operai organizzati insieme ai muratori, agli artigiani, ai
contadini della zona cacciàrono via i grassi borghesi che
attraverso le corporazioni cercavano di soffocare, sfruttare
fino in fondo questa gente che lavorava con le braccia, fatto
stà che organizzarono la prima comunità che si conosce nella
storia. Si chiamavano tutti fra di loro Comunitari. E' la prima
volta che troviamo la credenza per intiero. La credenza è
quell'armadio che abbiamo in cucina tutti quanti, in tutti i
paesi d'Italia, perfino all'estero, in Francia per esempio, in
Spagna si chiama credenza o con altri termini, ma hanno
sempre le stesse radici. La credenza, che viene da credere,
02/10/2012 930
credere in... credenza nella comunità di S. Ambrogio, ecco
una delle prime organizzazioni comunitarie. Questi
comunitari tenevano come fisso per tutti quanti questo
enorme, ideale armadio nel quale si metteva tutto il
mangiare, tutto il raccolto, tutto quello che si éra prodotto e
tutto veniva distribuito, attenti, questo è il particolare
importante, non secondo di quello che uno avéa dato ma a
secondo di quello che uno avéa bisogno. Se uno avéa dato
per dieci persone e avéa bisogno per se solo, riceveva per se
solo. Ancora una cos a importante è il rapporto fra l'uomo e
la donna nella comunità di frà Dolcino. Le donne e gli
uomini si trovavano per la prima volta alla pari. La donna ha
gli stessi diritti e doveri degli uomini. Badate bene in un
tempo in cui come si pensa ancora adesso, non è ancora stata
cancellata questa forma... sapete bene che i dotti della
chiesa, i santi padri della chiesa avéano decretato che l'anima
nelle femmine entra quasi tre mesi dopo l'entrata dell'anima
nel maschio. Sto dicendo quando è feto nel ventre della
madre, arriva l'anima... è maschio, è maschio PLUF... arriva
02/10/2012 931
l'anima... dice è femmina, io non ci vado ah no... e determina
che dobbiamo amare le nostre donne con dignità. Amiamole
come uomini! Amiamole come esseri umani, non come
femmine.Ora un simile modo di vivere avéa fatto interessare
moltissimi contadini, servi della gleba, operai e via dicendo,
che arrivarono proprio a fronte di quella zona e i padroni
incominciavano a preoccuparsi, vedevano i contadini e gli
operai sgusciar loro di mano, non potevano più sfruttarli, li
rincorrevano, andavano a prenderli e organizzavano delle
spedizioni punitive. La più grossa fu quella organizzata dal
conte del Monferrato il quale riuscì a beccare un centinaio di
comunitardi vicino a Prato Sesia, li portò a Novara dove
c'éra la Roccaforte appunto del conte e il reggente di questa
roccaforte appunto éra l'arcivescovo di Novara, suo cugino,
che diede ordine di prendere tutti questi comunitardi e far
tagliare loro mani e piedi, mozzarli e poi sconciarci a quella
maniera, ridotti a tronconi furono messi sul dorso di muli,
cavalli e asini e mandati, legati come salami alla volta di
Romagnano Sesia. Quando i fratelli di questi sconciati
02/10/2012 932
videro questo orrore, non bestemiarono, non insultarono,
partirono in silenzio ma con una rabbia tremenda, dice una
canzone di quel tempo che le montagne, i fiumi, le pietre e
gli alberi si mossero insieme, con tal slancio arrivarono a
Novara, entrarono al primo slancio, beccarono tutti gli sbirri,
li ammazzarono e un cronista del tempo racconta che al
tramonto si vide il vescovo di Novara con il suo grande
mantello, la cappa, il cappello, il pastorale, il grande libro
d'oro, salire pian piano verso il cielo, controluce, lentamente
e qualcuno notò che c'éra una corda che lo aiutava... la
repressione fu tremenda, ci fu un massacro, ma il massacro
fu all'inizio proprio per gli imperiali, per gli uomini del papa
ecc... perché le trappole che organizzarono un'altra volta i
dolciniani furono qualche cosa di sorprendente. Per due anni
ne presero di santa ragione, poi incominciàrono a capire la
lezione, a organizzare e a girare, fatto stà che dopo tre anni
furono beccati proprio sul monte Rubèllo, monte dei ribèlli,
si chiama ancora oggi cossì, e messi in piazza e squartati
vivi, tanto Margherita da Trento che frà Dolcino e tutti gli
02/10/2012 933
altri. Ora ci riempie il cuore, ci sentiamo fremere e devo dire
che da un pò di tempo siamo bravissimi ad applaudire e
commuoverci davanti alle storie che appartengono al
passato, "i nostri padri si sono sacrificati ma per Dio NE
VALEVA LA PENA!!" Bravi! Bravi! E applaudiamo. Poi
per quanto riguarda noi ci sono dei livelli per cui bisogna
stare attenti. Va mediato. La posizione storica non è
un'attualità concorde con quello che sono i risultati
internazionali. Quello che io vi ho raccontato naturalmente
sui libri di testo di scuola non c'è niente, e io ho raccontato
molto veloce ma è logico, mica son fessi i professori, i
ministri ecc..., andare a raccontare nei libri di testo... Frà
Dolcino éra già un uomo straordinario, il primo
rivoluzionario che lega le lotte di classe alla religione
cristiana primitiva... la prima forma di comunismo ecc...
VIVA FRA' DOLCINO, gridano subito i ragazzini eccitati
ABBASSO IL PAPA! Ed è pericoloso perché è offensivo
per un papa come quello che abbiamo oggi... scherziamo...
no, no, non sto scherzando perché dico, oh, quello éra uno
02/10/2012 934
zozzone ma il nostro è delicato e soprattutto devo dire
spiritoso... Eh? No??... Il fatto della bicicletta voi non l'avete
seguito? Merk, il corridore fiammingo, dopo tante vittorie è
arrivato... la cosa più cara che avéa...è arrivato su coi
calzoncini... e davanti al papa ha detto "Padre accetti la cosa
più bèlla che ho" e lui non ha detto "no, grazie non pedalo"...
un altro papa... "no, l'accetti" "Non pedalo!"... "GRAZIE,
BÈLLA!", spiritosissimo, però per mé lui è stato ingenuo
perché è un candido, perché Merk è fiammingo... vuoi
vedere che c'è sotto tutta una cosa atavica di odio verso i
pontefici per via che suo nonno, bisnonno éra tessitore anche
lui ... e allora se io gliela... infatti guardate bene la bicicletta,
adesso non è una malignità a vuoto, la bicicletta ... è forse
una bicicletta di strada quella che gli ha regalato? NO! E'
una bicicletta da pista... sono senza freni... la malignità...
quello va a Castel Gandolfo, poi viene su... troppo! Ma
capite ancora prima che ve l'ho scritto! Lasciatemi almeno la
soddisfazione di dire qualchecosa!... E vede tutto il nastro
della strada che va giù "oh che bèllo... io quasi quasi ci
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vado... ", di nascosto perché non vogliono che lui vada fuori
in bicicletta... i preti... "guai se ti vedo eh?" e lui fuori
OPPLA!... La mitria con la visiera... con sotto scritto FIAT...
adesso sappiamo che corre per la Fiat, c'ha un bèl ingaggio
anche... per tutte le lezioni... insomma... e via. Insomma fate
voi a vostra fantasia, io non metto piede, però la cosa
veramente ... e qui non scherziamo... l'altra commovente è
stato il gesto generoso, veramente di grande calore, quando è
sceso tre anni fa dentro la galleria , il tunnel che avéano fatto
per l'autostrada del Sasso, sasso d'Italia , no... Gran Sasso
d'Italia, che hanno bucato... voraggine dentro... che non si sa
dove siano finiti... il ministro dice "adesso vengono,
vengono fuori... son qua TUM TUM... dove siete? Dove
siete?" Chissà dove sono andati a finire... ebbene lui è
sceso... notte di Natale, a dire la messa per i suoi operai, lì in
questo antro... una cosa incredibile! Perché se uno non crede
al diavolo ci va... col suo lanternino... oh, ma quello si è
messo il caschetto da minatore bianco e giallo, due chiavi
qua... perché lui al diavolo ci crede! E pensa il coraggio che
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ha avuto ad andare in casa del diavolo, col diavolo là in
fondo con la coda, coda lunghissima... Ha avuto il coraggio
di andare a dire la messa per i suoi operai... per i suoi
operai... perché l'impresa che ha fatto il tunnel, la galleria, è
del vaticano... non tutta!... L'85% delle azioni! L'85% delle
azioni sono loro... le cosiddette buone azioni da chiesa! La
voglia che ho, non ne avete idea, di vedere, essere spettatore
a mia volta, perché poi quando immancabilmente, ma tutte le
sere, non si sballa, quando comincio a parlare del papa, io
vede... c'è sempre qualcuno che... proprio lì si vede perché
mentre... non è proprio il caso! La trovo anche una questione
di buon gusto... c'è vicino la moglie che sbaga AH AH...
almeno tu... almeno tu. Ecco allora dicevo che non c'è niente
da fare, non si può pretendere che i padroni scrivano la storia
cossì come dovrebbero, con un minimo di civiltà insomma...
un minimo... il 30% di verità toh! Ma neanche per idea...
mica son fessi AH AH! D'altra parte non c'è niente da fare,
lo diceva anche quel Tse Tung di prima, diceva... "il popolo
è lui che fa la storia... da secoli, con la sua invenzione, le
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sofferenze, la rabbia, il problema di sopravvivere", inventa la
storia... ma poi sono i padroni che ce la raccontano! E io lo
immagino sempre un ... un pazzo... un giovane... lo sogno un
giovane, un ragazzo che si mette di notte con un bèl
secchione di vernice a suo piacimento, si metta a scrivere
sulla facciata dell'università DA SEMPRE IL POPOLO FA
LA STORIA MA POI SONO I PADRONI CHE CE LA
RACCONTANO! Grande AH AH! E arriva una mattina il
ministro dell'educazione... Malfatti... nome onomatopeico,
notate bene... uno non può sbagliare... ministro
dell'educazione MALFATTI... AH AH... arriva... la borsa
col portafoglio... e mica la lascia in macchina... con
l'ambiente di ladri in cui vivono! E brutto fare il ministro
della DC... non si può più dire NO! NON SONO UN
LADRO! Quando gli dicono LADRO... embè AH AH AH...
e facciamo i compromessi con quelli lì! Malfatti arriva,
quando vede lì... TUM, e lo portano via... no anzi non va via
da solo, arrivano dei giovani di comunione-liberazione ALE'
OP OP OP... Dovete permettermi una malignità... UNA...
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non ne ho dette... no! sono tutte cose vere quelle che ho
detto, sacrosante!... Questa invece è una malignità... proprio
una cattiveria cossì, ma fra compagni... tanto per
raccontarla... no prego... siccome prima ho salutato dei
compagni del PCI, non se la prendano, è una... cossì anche
per far buon sangue eh! Non té la prendi, no? E' quello che
ha detto basta? E' il più spiritoso di tutti. E' proprio quello
che noi chiamiamo l'aperto... va beh, dicevo... no...
simpatico... poi té la racconto! Vedrai che ti faranno!...
Allora, dicevo che arrivano TUM TUM i giovani comunione
e liberazione e di dietro c'è uno, un altro giovane che non ha
bén inteso le nuove direttive dei superiori... un giovane della
FGC, anch'io!... uno solo eh? In questo gioco la
preoccupazione del tenere in piedi, salvare, andare a lezione
ma non troppo, sbragare ma per carità che la DC non frani
dappertutto perché se no porco cane è un disastro qui come
mettiamo il problema della... una preoccupazione enorme
soprattutto dei dirigenti.
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MISTERO BUFFO ROMA 11-12-89
BONIFACIO VIII-E’ STAMPATO.
TRASCRITTO MA NON CORRETTO
Mi ricordo una delle sue prime apparizioni che avéa stordito
tutti, ché avéa voluto far la messa a tremila e tanti metri...
C'éra una tormenta spaventosa, poi lo hanno pregato di
andar fuori, e ha salvato due o tre cani san Bernardo che si
sono perduti, con la fiaschetta qua, è andato a raspare, éra
l'unico che riusciva a muoversi... Ebbene con questa
papalina, che per mé gliela avvitano... ha una vite qua
TRAC... che se l'avvita da solo, oppure gliela dipingono
fresca tutte le mattine... si mette cossì... e gliela dipingono; e
quel pirulino che gli spunta qua è suo personale, anche da
bambino, lui è nato cossì ...EHI PIRULINO! Ché Wojtyla
infatti in polacco vuol dire pirulino. WOJTYLA! Beh,
lasciamolo lì questo uomo straordinario dicevo, che niente
ha a che vedere invece con Bonifacio VIII.Bonifacio VIII si
prepara alla funzione, i chierici tutti in torno ripassano i
pezzi per la vestizione...Lui molto duro, arrogante, severo...
02/10/2012 940
ed ecco che va in processione. Io canto, come naturalmente
nella chiave del canto religioso di Bonifacio VIII, un canto
antico gregoriano del X sec., ed è autentico. E' un canto che
è metà latino e metà, cossì di colpo... di Barcellona, ecco
...Catalano,cossì di colpo non mi ricordavo più il termine
"catalano", catalano che proviene da Alghero,voi sapete che
ad Alghero parlano il catalano ancora oggi. Ecco questo
canto è autentico, dicevo, e voglio sottolineare la
straordinaria abilità con cui io riesco ad emettere suoni, ma
non è casuale, non è determinata soltanto da una mia dote,
no, è dovuta allo studio e esercitata da bambino... io da
bambino, è una cosa che vi svelo adesso per la prima volta,
non l'ho mai detto, cantavo in chiesa, ero proprio il
ragazzino del coro. Poi mi hanno dispensato,non perché non
avessi più la voce adatta, ma perché andavo a soggetto
inventandomi delle parole che mi piacevano di più...e al
prete non piaceva. Va bene, comincio senz'altro.
Bonifacio VIII si prepara per la funzione religiosa:
02/10/2012 941
Canto gregoriano interrotto da: "el capelo", "el capelun,
quelo grande","BÒJA DESGRASIAAA!!! l'è de fero!! deo
andare in guera a gueregiare!! Dame quelo leggero che devo
andare (cantato) a passeggiare" "speciu...speciu,speciu"
"guanto" "GUANTO!" "l'oltro,no gò una mano sola no, vo
m'là taje???
02/10/2012 942
MILANO 20.01.91
TRASCRITTO MA NON CORRETTO
DISCORSO DEL GRANDE TECNOCRATE IN
GRAMELO' AMERICANO- E’ STAMPATO.
Io e Franca avéamo pensato di realizzare il solito schema di
"mistero buffo" riguardo il gramelò: "la fame dello Zanni",
poi quello francese legato a scapino e a Molière e poi quello
dell'avvocato inglese che difende lo stupratore. Sono tre
forme diverse ma legate allo stesso spirito, cioè d'ironia e di
satira e soprattutto legate al potere, la spocchia di ogni
potere quando esprime violenza. Ecco si trattava di
realizzare questi due brani di cui il primo, quello francese,
vede Scapino che insegna la tecnica di gestire il potere al
giovane signore che è rimasto orfano ed è un banchiere.
Scapino comincia con la descrizione della parrucca , delle
02/10/2012 943
vesti, del mantello e dell'incedere, del camminare, con un
passaggio riguardo trine e i merletti che portavano i signori,
cossì ampi e cossì sparsi per tutto il corpo, per cui avéano
trine che uscivano ecc... per cui quando andavano a fare pipì
non riuscivano poi ad usare l'estrazione... del mezzo adatto,
uscivano soltanto merletti, se la facevano addosso ma con
grande dignità... per cui esisteva questa stupenda camminata,
nata proprio allora, dell'aristocratico. Il linguaggio éra il
gramelò francese, di cui esistevano soltanto tre termini:
parucche,manteau, e, dentelle, tutti gli altri erano termini
inventati ed éra molto bèllo vedere che in Francia
pensavano che fosse un particolare linguaggio del
cinquecento che éra sfuggito alla loro memoria e alla loro
conoscenza. Poi c'éra quello in inglese. Ma Franca mi ha
suggerito di riprendere un tema legato a vent'anni fa, cioè
alla guerra del Vietnam e ci fu un importante personaggio di
origine tedesca che avéa studiato i primi razzi a lunga gittata,
i quali poi saranno inseriti in macchinamenti incredibili, che
in un suo discorso all'università avéa dichiarato che lì stata
02/10/2012 944
l'avvenire anche spirituale degli uomini, che gli uomini
avrebbero cambiato il modo di essere, di esistere, la loro
morale si sarebbe trasformata in conseguenza dell'alta
tecnologia, cioè l'uomo diventava soggetto alla propria
macchina, alla propria invenzione, alla robotica ecc... Questo
stava ad indicare che il Vietnam sarebbe stato schiacciato
inesorabilmente da questi armamenti, che avrebbero
determinato una velocizzazione dei conflitti, cioè la guerra
come partiva éra già finita grazie a questa straordinaria
importanza, cosa che non è stata cossì. Io ho pensato di
riprendere lo stesso tema che è di un'attualità incredibile. C'è
questo grande tecnico, e voi dovete sforzarvi di immaginare
di essere a vostra volta della gente a conoscenza delle
terminologie, immaginate di essere la platea di quella volta
che ascolta questo discorso forbito ricco di questi termini
particolari. Questo simpatico tecnico descrive la tecnologia
della robotica, dei computer, lo svolgimento del cervello
meccanico ecc... poi va a semplificare la nascita dei grandi
macchinamenti di guerra, partendo addirittura dai primordi,
02/10/2012 945
da quando l'uomo ha cominciato a capire che doveva fare
qualche cosa per volare, gli incidenti, poi arriva il motore a
scoppio degli aerei, lì veramente è il colpo di fulmine, lo
scatto, fino agli aerei con razzi e macchinamenti straordinari,
completamente robotizzati e diretti al di fuori del pilota, il
pilota è soltanto un supporto allo svolgimento di un'azione
con tutto quello che consegue. Io uso il gramelò, cioè fingo
di parlare inglese, meglio un americano colto da tecnocrate,
tecnologico e voi capirete tutto di questo discorso, a meno
che non ci sia qualcuno che conosce molto bene l'inglese,
l'americano e la tecnologia. Questo è pericoloso perché
cercherà di intendere e di seguire parola per parola quello
che vado dicendo e si perderà nel nulla, invece coloro che
non conoscono assolutamente l'inglese, se seguiranno la
propria fantasia, immaginazione e intuito, capiranno tutto e
spiegheranno quello che io dico a quelli che conoscono
l'inglese. Questa sera è il trionfo dell'ignoranza.
02/10/2012 946
PRESENTAZIONE DEL TECNOCRATE 1976-E’
STAMPATO.
TRASCRITTO MA NON CORRETTO
Come si usa... è stato usato l'antico, si può usare il
grammelot nel teatro legato alla qualità. Anzi parlare delle
cose più vicine a noi anche in senso drammatico... parlare di
guerre, parlare di macchine, parlare di rumori che ci sono
addosso, che ormai abbiamo nella testa, nella memoria e che
sono linguaggio, sono parola anche quello... sono
grammelot. Io mi ricordo... sono stato una volta ad una
lezione di fisica superiore e ho sentito per tutto il pezzo
parlare in grammelot... Ecco il personaggio che mi porta al
grammelot attuale: è un fisico matematico, uno scienziato,
un grande tecnico veramente di classe internazionale di
origine tedesca però vive da molti anni in America e
qualcuno lo chiama Braum. E' un soprannome, non ciarli, è
un altro questo grandissimo tecnico scienziato... tiene una
lezione, un corso per altri scienziati e dimostra come le
02/10/2012 947
macchine, l'evoluzione dal primordiale che ha intuito, capito,
sviluppato, sono arrivati armai al punto tale da essere il
centro della terra, sono il cervello, la macchina, la vera
potenza, la mano che tiene il mondo. C'éra un certo
Kissinger, un imitazione di Sordi lo sapete benissimo...
Questo Kissinger ha detto una frase abbastanza robuante " i
nostri mezzi, la nostra tecnica... il livello che abbiamo
raggiunto... voi vedrete... domineremo il mondo". La moglie
dice basta... ma lui éra convinto... e l'altro, il pensionato
Nixson e il prossimo pensionato Ford, anche quelli, tutti e
due, erano lì vicini e Nixon ha detto "APPLAUDI!2 e Ford...
(batte le mani). E non so se avete visto l'espressione vera di
Ford, quello che scende dagli aerei... che arriva l'aereo...
subito FERMA FERMA... ché non è quella la scala e lo
tengono indietro e poi quando c'è la scala...c'è la scala... si
può andare TUM TUM TUM BUTUM BUTUM BUTUM
AH AH AH. E qui a Roma quando arrivò, l'interprete dice il
presidente... éra lì ... il presidente... e lui ha dato la mano
all'interprete... "piacere!" "no! E' quello!" e si è nascosto
02/10/2012 948
dietro la signora Leone... mi perdo sempre... faremo un
pezzo in meno questa sera...no, no, sul biglietto ci sono
tutti... uno cancella ogni pezzo che faccio dice "quello l'ha
fatto??" "va beh! Adesso vediamo, vediamo un pò se li fa
tutti! Perché tutti li voglio stassera, sono qua... contratto"...è
che io non mi ricordo più dove eravamo... Ma si! Eravamo
all'arrivo di Ford, no Kissinger c'éra un'altro, un tale... un
maoista di quelli tremendi, proprio fissati, un certo Tel Tunc,
il quale invece diceva " è vero noi abbiamo meno tecniche,
abbiamo meno mezzi, siamo indietro di anni di ricerche,
abbiamo commesso diversi errori, siamo degli arretrati,
siamo al periodo della pietra rispetto a voi in quanto a
scienza tecnica ecc... ma noi abbiamo un grosso vantaggio
che in ogni nostro lavoro mettiamo sempre L'UOMO AL
PRIMO POSTO!" Ecco ... Oh Dio! Basterebbe l'esempio del
Vietnam, una frase di questo genere Ocimin poteva averla
detta lui tranquillamente ... e l'ha dimostrata soprattutto... e si
sa tutto quello che è successo nel Vietnam con tutta la
grande tecnica, le invenzioni, le infamità, l'aver bruciato
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terre che ancora oggi non danno raccolto e non lo daranno
per anni, qualcuno dice per secoli!! Acque addirittura
svuotate del loro elemento fondamentale... sono acque
morte!! Anche qui per secoli hanno defogliato, hanno
bruciato, hanno inventato macchine incredibili... suoni che
facevano impazzire il gas TUTTO HANNO ADOPERATO!
Poi alla fine la valigia! Non so se avete notato, ma questo
gesto la fanno già anche qua EH EH! Avete visto con
Umberto che dice " Ma dove andate, ma no!Rimanete... state
qua, la Iuventus vince... neanche la Iuventus non vince più,
gli va tutto male...
Allora il grammelot del tecnico americano che spiega come
si arriverà a guadagnare tutto... e alla fine il risvolto... lo
capirete benissimo! Noterete la grande differenza tra
l'inglese del 500 e questo americano.Io so che voi che siete
sottili avrete molto piacere. Ah come capisco!
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PARTE DA INSERIRE NEL BRANO LA NASCITA DEL
VILLANO MA NON SO DOVE. LO COMUNICHERò
L’allusione satirica che definisce il villano privo d’anima,
quindi simile ad un animale che ad un essere umano ci fa
venire in mente un suo simile: l’homo selvatico che, non
bisogna dimenticarlo, è addirittura considerato, insieme allo
zanni, il padre di Arlecchino. Uno dei più antichi fabulatori
di Francia, detto Adam, ragionando sulla spiritualità
dell’uomo insinuava che l’anima fosse per i figli di un Dio
un peso, una pietra al collo che impedisce d’essere liberi
sinceri e leali con se stessi e con il loro creatore. Bonvesin
de la Riva in una disputa fra l’anima e il corpo fa dire a
quest’ultimo: “Ringrazia il cielo che tu non abbia forma
alcuna anima mia, perché se tu possedessi natiche ti ci
prenderei a pesate fino a farti volare in cielo.
Punk è il prototipo del ribelle ad ogni costo, una specie di
Pulcinella che manifesta la propria rabbia verso regole
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assurde, ingiuste e prevaricando dalla società dei potenti
scaraventano poliziotti e giudici...... le droghe e ..... la morte.
Personaggio che trae la sua .... anche dall’homo selvatico e
anche dallo zanni primordiale. Mi ricordo di aver visto in
Francia e anche ad un festival di Cervia spettacoli realizzati
con elementi i più assurdi e inaspettati: cucchiai e forchette
che duellavano con forbici e martelli, ombrelli che recitano
scene d’amore.
La guerra del Golfo
Di seguito portiamo diversi stralci dei vari prologhi effettuati
a distanza di qualche mese l’uno dall’altro, durante la guerra
del Golfo.
Trascrizione dello spettacolo del 24 marzo 1991 - Torino
Mistero Buffo è nato la bellezza di trent’anni fa. In tutto
questo tempo si sono ripetute migliaia di rappresentazioni.
Come mia abitudine nel prologo sempre accenno agli
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avvenimenti e ai fatti di cronaca. Quando, nel 69 scoppiò la
bomba a Milano alla Banca dell’Agricoltura, in Piazza
Fontana, ho improvvisato un intervento in chiave grottesca
sul modo tutt'altro che scentifico su come si stavano
svolgendo le inchieste di polizia. Indagini nella quali si
indovinava chiaramente che all’attimo stesso in cui saltava
per aria la bonca, gli inquirenti avéano già stabilito che i
terroristi non potevano essere che gli anarchici. Ne
arrestarono alcuni. Poi il suicidio - si fa per dire - di
Giüsèppe Pinelli, i processi trasferiti come pacchi per tutto il
sud. Si può dire che ogni settimana ero costretto ad
aggiornare la cronaca. Da quel prologo, è poi nato "Morte
accidentale di un anarchico".
Cosa che m’è accaduta anche abbastanza di recente durante
la guerra del Golfo, sto parlando della prima, quella del ‘91.
Per darvi un’idea chiara dello stile e del genere di
improvvisazione, tra tanti, abbiamo scelto proprio
l’intervento di quèl conflitto con massacro finale annunciato
e realizzato. Eccovelo. Cossì iniziava lo spettacolo:
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GUERRA NEL GOLFO - del 27 /1/1991 al teatro……
TRASCRITTO MA NON CORRETTO
…
Eccomi qua, sono entrato in proscenio addirittura prima che
si aprisse il sipario… Potete prendere posto con comodo,
senza inciampare e senza calpestare piedi altrui.
Sono veramente distrutto, ho beccato questa notizia della
guerra nel Golfo, come una mazzata e sono rimasto alzato
fino alle quattro e mezza per seguire i servizi delle varie reti.
Ancora stamattina mi sono alzato presto per ascoltare le
ultime notizie; sono stravolto. La cosa che mi ha
maggiormente preoccupato, é il discorso che qualche minuto
fa, a reti unificate, ha tenuto l’Onorevole Cossiga, nostro
Presidente della Repubblica. Discorso che voi avete potuto
evitare, dal momento che eravate già qui in platea. In
chiusura il Presidente augurava buon viaggio ai nostri
militari che stanno partendo con le ultime navi. In particolare
si rivolgeva a quelli che hanno raggiunto le postazioni di
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combattimento : “...fatevi onore” - diceva - “...il Parlamento
all’unisono si unisce a me nel saluto. Ricordate che voi
rappresentate l’Italia e le Nazioni Unite, in questo conflitto
che si realizza con l’intento di
proteggere la democrazia e la libertà di tutto il
Mediterraneo.” Per non parlare dei pozzi di petrolio,
aggiungo io.
Già avevo accusato notevole sgomento nei giorni massimi
della tensione quando lo stesso Presidente in un discorso
appassionato aveva quasi urlato “... per l’Italia si può
morire”, che fa proprio il paio straordinario con “... chi
muore per la patria vissuto ha assai”, impeto retorico che
certamente molti di voi ricorderanno pronunciato al ritmo
degli sventolanti gagliardetti. Questo rigurgito patriottardo
dove si esalta la morte come liberazione verso la gloria, mi
strizza lo stomaco. Questo clima guerresco fa sì che uno
leggermente ateo come me, si ritrovi all’istante d’accordo
con quanto va dicendo in questi giorni il Pontefice: cioè sul
fatto che ci troviamo di fronte a una guerra senza ritorno,
02/10/2012 955
che non porterà a nessuna risoluzione definitiva e giusta, che
anzi le cose peggioreranno per quanto riguarda lo spazio in
cui si combatte, per la situazione dei popoli che vi abitano,
per la situazione già disperata di questo Terzo Mondo e che
questa risoluzione del distruggere e punire per educare é una
soluzione da tabula rasa che porterà maggiori lutti di quanti
possiamo immaginare.
Questo discorso, che é stato ripetuto due o tre volte dai
telegiornali, non so se l’avete ascoltato ma certamente non è
stato ascoltato dalla folla che si dichiara profondamente
cristiana, come Andreotti, per esempio, che tranquillamente
tira fuori con un’ipocrisia incredibile “...il nostro esercito
non si sta cimentando in una guerra, ma partecipa a una
operazione di polizia...”. Differenza molto sottile. Siccome il
furbacchione ricurvo sa bene che noi abbiamo una
costituzione che recita “L’Italia non può intervenire in un
conflitto a meno che non venga attaccata o aggredita sul
proprio suolo o vengano aggrediti i propri diretti alleati”,
ecco qui che ti inventa che noi non andiamo a insozzarci in
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una trucida guerra, ma partecipiamo a una semplice e
gioconda operazione di polizia. Operazione di polizia con
qualcosa come 18 tonnellate di esplosivo gettate in cinque
ore, cioè la stessa carica di esplosivo deflagrante che
determinò la storica catastrofe di Hiroshima.
Voglio ricordarvi che i bombardamenti in atto su Bagdad
vengono chiamati in gergo NATO “operazione chirurgica”,
si distruggono gli impianti militari ma niente vittime civili.
Ma si sa però, “incidentalmente, qualche bomba e qualche
razzo possono uscire dal contesto, siamo uomini seppur
militari”. Così un commentatore della radio svizzera da
Bagdad ha dichiarato che per questi insignificanti errori di
lancio e tiro si deve già lamentare la morte di diecimila civili
di ogni età e ceto. Tutti, ben s’intende, musulmani.
Intervento di uno spettatore : “Basta, per favore, siamo
venuti per vedervi recitare, non per ascoltare un comizio”.
Mi spiace, signore, di averla irritata, la mia intenzione era
solo di offrire al pubblico alcune osservazioni in forma
satirica, oltre che manifestarvi la mia indignazione per
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questa caterva di infami ipocrisie che ci tocca ingoiare ogni
giorno a garganella. Ripeto, mi spiace che lei signore si sia
risentito, ma evidentemente oso indovinare che lei si ritrovi
qui, in questo teatro, per la prima volta ad assistere a un
nostro spettacolo. Altrimenti lei saprebbe bene che da anni
noi mettiamo in scena ogni testo facendolo precedere da una
chiacchierata sulla diretta attualità. Un commento essenziale
per legare la satira della rappresentazione vera e propria con
il grottesco spesso tragico della cronaca dei fatti che stiamo
vivendo. Voglio informarla oltretutto che il nostro non é uno
spettacolo digestivo, dove il pubblico viene, s’allunga
spaparanzato sulla poltrona, e ordina a noi attori comici
“fammi ridere!”. Mi spiace deluderla ma le assicuro che
personalmente sono un cittadino come lei, che oltre a
recitare, ha il diritto di manifestare le proprie idee anche qui
sul palcoscenico, che é il mio spazio naturale. E lei, a sua
volta, ha il diritto di non condividerle, e magari di richiedere
la restituzione del biglietto che ha pagato. Io, ad ogni modo,
la ringrazio di questo suo intervento perché mi dà il pretesto
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di sottolineare qual é l’intento del prologo che ho appena
recitato. Ripeto, realizzare un aggancio logico con il testo
del Mistero Buffo vero e proprio e farvi intendere che quello
che stiamo vivendo già si viveva nel Medioevo e nel
Rinascimento. Quindi andiamo a incominciare.
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II versione 11 maggio 1998
MISTERO BUFFO DEL 24.O3.91 ROMA
TRASCRITTO MA NON CORRETTO
Così, é più di un mese che siamo in guerra, come ai bei
tempi, tra cristiani e musulmani. Io speravo veramente che si
realizzasse una pace definitiva, invece, in IRAQ stanno
combattendo ancora, si sparano, c'è gente che crepa, i curdi
stanno scendendo dal nord, stanno occupando una città
dietro l'altra, ci sono gli sciiti che salgono invece dal sud, c'è
Saddam Hussein, che ha buttato nel Nepal un po’ di gas
nervino che gli era avanzato. D'altra parte certe cose così
preziose non si possono buttare via... bisogna pure
adoperarle...ed è comprensibile, c'è qualche morto in
più...ma ne val la pena! Poi ci sono anche gli sciamanniti,
che è un gruppo religioso ed anche etnico particolare,
proviene dal centro dell'IRAQ; si riuniscono in bande e
girano per la città issando un palo della luce molto aguzzo, e
vanno gridando "Saddam Hussein ti vogliamo in alto,
02/10/2012 960
sempre più in alto", e via dicendo. Ora, a parte la tragedia di
questa guerra che doveva essere una guerra asettica, senza
neanche un morto... pare che i morti solo tra i militari
iracheni abbiano superato finora il numero di centomila e ci
siano una cosa come centomila morti solo a Bagdad fra i
civili. Dall'altra parte, invece, fra i militari che combattono
per liberarci dal mostro infedele, di morti ce ne sono stati
due o tre; uno, causa un colpo di sole, un altro colpito da un
commilitone mentre era intento a fare i propri bisogni:
purtroppo gli spuntava la testa da una duna. Il particolare che
più mi ha colpito è il crescere ogni giorno di notizie che ci
fanno scoprire quante frottole ci abbiano raccontato a
proposito di questo conflitto. Per inciso, va ricordato che
questo personaggio di Saddam Hussein, l'abbiamo costruito
noi, diciamo noi occidentali, ma anche gli orientali. Senza il
nostro aiuto sarebbe rimasto un piccolo delinquente di
provincia, un criminale da strapazzo. Invece, grazie prima di
tutto alle armi che gli si sono state fornite, é cresciuto fino a
dilagare. Voi sapete che tutti hanno concorso a vendergli
02/10/2012 961
armi, compresi i russi, i polacchi, perfino la Repubblica di
San Marino, oltre che la Svizzera e il Liechtenstein. Fra
l'altro siamo venuti a scoprire che, secondo osservatori
militari europei, Saddam Hussein può disporre oggi del
quarto esercito, in scala di valori, del mondo... che è proprio
una notizia da scompisciarsi dal ridere, soprattutto quando si
viene a sapere che, per esempio, i carri armati russi che gli
sono stati venduti, non erano russi, ma erano cinesi di scarto.
Per capire il loro valore, basti ricordare che quando in Russia
un carro armato viene male, si dice "c'è uscito un carro
armato cinese". Ma ad ogni modo la cosa incredibile, è che
lui, Saddam Hussein, si é davvero convinto, deficiente, di
possedere il quarto esercito del mondo, che lo credessero gli
altri era una bufala, detto da lui... ed è per questo che lo
hanno sollecitato a buttarsi con slancio in questa avventura.
D’altra parte, vi ricordate della guerra contro Komeini? Un
milione di morti soltanto ci sono stati di passaggio... e questa
azione a cui concorsero moltissimo l'America, l'Inghilterra,
noi ecc., ha fatto sì che il grande rais Frankestein-Hussein
02/10/2012 962
poi venisse logicamente a richiedere il pagamento dell'obolo
per il servizio eseguito. Appresso, questo deficiente, si è
permesso anche di occupare il Kuwait come risarcimento dei
danni di guerra subiti... giustamente lo abbiamo mazzolato...
l'hanno mazzolato. E dire che sono stati proprio i bianchi
civili ad allenarlo e ad incitarlo nell’acquisto e nella
costruzione degli ordigni bellici. Per esempio, a partire dai
gas, dove, guarda caso, sono arrivati come maestri di
produzione, i tecnici tedeschi dell'est e dell'ovest, che si sono
incontrati fuori sede per la prima volta a riprendere la loro
tradizione di gasisti. E tutto, guarda caso, pochi mesi prima
della riunificazione in una grande Germania. Almeno questa
guerra è servita a qualche cosa.
Possiamo immaginare di assistere alle lezioni su come si
impiegano i gas: "Stai attento, Ussein, dunque: c'è un
catalizzatore, poi abbiamo un gas inerte, un altro gas inerte.
Solo se uniti col catalizzatore funzionano. Vuoi provarlo?...
Va bene, dimmi su chi li buttiamo. I curdi? Si! I curdi vanno
sempre bene, tanto li ammazzi e nessuno dice niente...al
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massimo l'ONU fa un rutto di indignazione, non più di così.
Attenzione il curdo è là, lo vedi? Buttiamo la prima bomba...
ecco il gas che esce, non fa niente perché è inerte, ne
buttiamo una seconda, non fa niente perché è inerte, STAI
ATTENTO!! A chi??? Là, adesso ci buttiamo il catalizzatore
...PUM!...guarda, guarda come fa il curdo, lo vedi? Non è un
ballo folkloristico regionale, è che è un po’ ubriaco. Adesso
attento alla testina... TON! E' morto! Hai visto?
IMPARA!!!” E così ha imparato.
Ma a proposito di frottole straordinarie... la più criminale si é
rivelata quella che ci ha ammannito addirittura Bush in
persona, e io l'ho bevuta, perché non pensavo che Bush fosse
un elemento così screditato da venire a raccontarci una balla
di questo genere. Si tratta, e l'avrete sentita anche voi, spero,
immagino che anche voi ci siate cascati, come d'altra parte ci
sono cascati la bellezza del 75% degli americani, sul fatto
che bisognava per forza condurre questa guerra, e subito,
non si poteva aspettare un anno, perché entro un anno
certamente questo Saddam Hussein sarebbe riuscito a
02/10/2012 964
realizzare una potentissima bomba atomica fatta in casa... e
allora sarebbero stati guai terribili. Ebbene, quando qualche
giorno fa, il giornale più importante di New York, il
"Times", ha realizzato un servizio di inchiesta, e ha
interrogato Scanagh, l'ultimo padre della bomba atomica, e
gli hanno chiesto "senta, cosa ne dice di questo fatto, del
pericolo che Saddam Hussein possa farsi la bomba
atomica?" Lo scienziato ha strabuzzato gli occhi ed é
scoppiato in una risata con un singhiozzo inarrestabile. Han
dovuto portarlo d’urgenza al Pronto Soccorso. E questi
coglioncioni degli americani l'hanno bevuta” (risata). A
proposito degli americani e del loro candore ho da segnalarvi
un fenomeno davvero surreale. Prima di questo discorso
sull’atomica musulmana Bush poteva raccogliere
un’adesione popolare alla guerra pari al 51% scarso. Ma,
appena ha tirato fuori, in diretta TV, la frottola suddetta,
l’adesione alla guerra é salita al 90%. Questo vi dice
l'importanza delle frottole, quando sono giocate bene. Ma la
più criminale di tutte, devo ammettere, si é dimostrata
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senz’altro la frottola del cormorano; tutti quanti ci siamo
veramente intristiti e indignati di fronte a quella foto. Ve lo
ricordate? Quel povero uccello, strepennato e muto, lì sulla
spiaggia, con il petrolio buttato fuori da questi bastardi di
iracheni ... lui, ficcato nel bagnasciuga, arrivava quest'onda
questo BLOOB BLOOB, rispuntava con un occhio tappato,
faceva appena a tempo a respirare che BLOOOB, un'altra
onda di un mare schifoso... che io veramente ho detto "Ma
che criminali bastardi!", e tutti quanti ce la siamo presa.
Ebbene, adesso vi posso svelare che era tutta una balla, una
frottola gigantesca! Tutti gli scienziati legati all'ornitologia,
di tutto il mondo, si sono indignati; i francesi in particolare
su "Le Monde" hanno pubblicato un articolo dove nel titolo
si leggeva: "E’ una fandonia che non accettiamo", perché?
Perché di cormorani, di baby cormorani, sulle coste del
Kuwait, in quel periodo, gennaio, quando è stata effettuata la
ripresa, non ne esiste più uno ch'è uno: se ne sono andati già
via tutti in settembre!!! E ritornano in maggio. E figurati col
casino che c'è stato lì, se ritornano, chi li vede più!!! E allora
02/10/2012 966
‘sto pellegrino di cormorano DOVE L'HANNO PRESOOO!
Vuoi vedere che é un cormorano rimasto fuori di orario di
partenza?? “Scusi avete visto dei cormorani... ché io devo
emigrare, devo andare al nord, e temo di aver perso l’ultimo
stormo migratore.” No, raccontata così la balla non sta in
piedi. La verità é che fotografi e operatori televisivi, quando
c'è stata la sparata fuori di petrolio nel nord del Kuwait, vi
ricordate? non sapevano chi e cosa fotografare. C'è stato lo
scandalo, si parlava addirittura di un milione e mezzo di
barili. Allora, fotografi e operatori hanno detto: “qui c’é da
fare un bel servizio. Magari con dei bei fenicotteri imbrattati
nel petrolio che ha impiastrato tutto il mare.” Ma il petrolio é
sparato fuori dai pozzi, lassù, nel nord, a trecentocinquanta
miglia da Riad, cioè dalla costa più prossima.
TRECENTOCINQUANTA MIGLIA! Vi immaginate questi
qua con le macchine da presa, su un gommone, che remano
per trecentocinquanta miglia, per tre giorni, e quando
finalmente arrivano là... chi ti trovano? Gli iracheni che
saltano di gioia e gridano "finalmente possiamo abbattere un
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mezzo straniero" PUM PUM sul gommone, e loro
"FERMIII! Noi siamo qui solo per riprendere il cormorano
insozzato!!" "Ma non c'è il cormoranoooo!" "Ah, si?
Peccato!". No, neanche questa balla sta in piedi. In verità, la
troop dei cameramen non si é mossa da Riad, sono andati
allo zoo, e lì anche i cormorani che c'erano erano scappati, e
hanno trovato un Mabibu, che non è della classe dei
cormorani, no, è un uccello trampoliere fra l'altro, che vive
esclusivamente nell'Asia Minore, e in particolare negli
acquitrini paludosi di acqua dolce. Come l’hanno
individuato, i cameramen: "scusi, signor volatile-
trampoliere, le spiace venire al posto del cormorano in
spiaggia?" "Ma no! Ma io che c'entro! Io odio il mare",
"Venga per favore..." E siccome questo animale ha degli
strani pennacchi qui in testa, glieli hanno tagliati all'umberta,
cioè alti un dito. Avete notato che quel cormorano aveva i
capelli alla squatters?! E poi l'hanno pucciato dentro
"scusi...chiuda la bocca PIU'PIU'PIU', sorrida... UNO DUE
TRE ... ci basta, grazie, vada pure BLOBLOBLOBLO". E
02/10/2012 968
noi tutti, come tanti boccaloni, ci siamo commossi fino alle
lacrime a questa malandrinata messa in scena. Ma la
commozione l’abbiamo provata in seguito a quella
dichiarazione, vi ricordate, di Schwarz Scoop, il generale
abbondante, uno dei più grandi generali del mondo, nel
senso di dimensioni, due metri e dieci di altezza senza
tacchi, un quintale e dieci chili senza l'osso, ve lo ricordate?
Quello che veniva sempre, ad ogni conferenza stampa,
simpatico con quella faccia rubizza, che a me tutte le volte
mi veniva voglia di chiedergli "mi dia quattro etti di filetto,
un ossobuco e un po’ di carne per il gatto", simpatico...
A un certo punto ci è mancato, a me manca proprio, è un
vuoto che ho familiare quasi... Ebbene, una volta, alla quarta
conferenza stampa, è arrivato e, invece di essere vivace
come di norma, ci si é mostrato perplesso e abbacchiato. La
ragione l’abbiamo saputa poi, era causata dal fatto che le
rampe dei missili di Hussein che sparavano appunto i famosi
razzi, dopo ogni lancio sparivano nel nulla. Ogni tanto ne
individuavano qualcuna, la distruggevano, ma ecco che dopo
02/10/2012 969
un attimo ne appariva un’altra e non si capiva da dove fosse
spuntata. Lo stesso succedeva con i carri armati. Carri armati
che uscivano non si sa da dove, i bombardieri li puntavano,
ne buttavano all’aria una decina, poi TRACCHETE, altri
dieci che rispuntavano dal nulla. A un certo punto i generali
della coalizione hanno avuto il sospetto, lui l'ha detto, che si
trattasse di falsi carri armati. Ed era proprio così: erano tutte
sagome di carri armati in vetro resina. E chi li ha fabbricati
questi carri armati?? (risata) NOI! Noi italiani! Guardate
che siamo dei geni, degli extraterrestri!! Il genio in questione
é un artigiano di Torino che ha fabbricato per Hussein
qualche migliaio di sagome. E quando si è saputo a Torino
che il Comune aveva concesso il benestare perché si
innalzasse un monumento al costruttore magico di questi
mezzi cingolati in vetro resina, proprio per ricordarne la
pantagruelica creatività, c'erano tutte le televisioni del
mondo a intervistarlo, è incredibile! L’hanno aggredito con
le telecamere e i microfoni: "Per favore ci sveli come ha
potuto fabbricare carri armati così leggeri, agili e facili da
02/10/2012 970
trasportare in gran numero.” “Ecco qua, é semplice” ha
risposto lui e li ha portati nell’officina: “Ecco, vedete questi
fogli, sono sagomati per stampo su un disegno diverso per
ogni facciata, e quindi affiancati l’un l’altro a mo’ di libro.
In ogni carico di camion ci stanno quaranta carri armati, ed é
semplicissimo rimontarli, basta seguire il libretto di
istruzioni affiancato: A con A, B con B, questo va a incastro,
quest’altro pezzo si inserisce a chiave, non c’é un bullone né
una vite.” E’ così facile e divertente assemblarli che gli
iracheni lo fanno fare ai bambini, come premio.
Ma ad un certo punto, dice l’artigiano monumentato, le
richieste di carri usa e getta erano cresciute a tal punto che
non ci permettevano di farvi fronte. Così abbiamo spedito le
sagome da calco e se li sono fatti da sé, in quantità
esagerata. Ma il cronista della nostra terza rete chiedeva con
insistenza “Ma come fate a muoverli, sono leggeri sì, ma
come vi riesce di farli camminare nel deserto?” “Basta una
corda molto lunga. Guardi si lega qua, uno si mette in una
buca e poi tira il carro armato che viene avanti come una
02/10/2012 971
slitta.” “Sì, ma il calore emanato dal motore come lo
realizzate?” “Voi sapete che gli attrezzi di rilevamento di cui
sono dotati gli aerei americani, se non rilevano il calore non
danno l’ok perché si spari, anzi emettono una serie di
pernacchie con contrappunto di sghignazzi e l'aereo se ne
va”. “E’ semplice” risponde il genio dei carri-bidone, “noi ci
mettiamo una stufetta a serpentina, loro rilevano il calore e
dicono - ah ah c'è il motore e sparano razzi e cannonate
come al carnevale di Rio. “Ma dico, e l'altro, il rumore?”
“Cingoli! Una cassetta con registrazione di cingoli. Gli stessi
per il doppiaggio al cinema...
GRUBLUBLUGRUBLUBLU”. Ma come si può pensare
che queste macchine si siano lasciate imbrogliare da mezzi
così semplici... avete visto che razza di rilevatori hanno
dentro: nel cruscotto centrale di questi aerei caccia
bombardieri c'è una specie di schermo, si vedono tutti i
disegnini che si muovono come i videogames e il pilota non
sta neanche a guardare attraverso il parabrezza, ma guarda
direttamente il cruscotto e vede meglio tutto. C'è una voce
02/10/2012 972
che gli dà tutti gli elementi, gli dice: “vai, vai , stai
tranquillo, ecco, ecco, prendi quota, fino a trentacinque
abbassa dodici, ecco rileva, rileva, rileva, la velocità va bene
così come va, ecco stai bene, la tua mamma ho saputo che
stai tanto bene, vai vai” e appare la faccia della mamma che
gli manda. C’é pure una manina che viene su e gli ammolla
degli schiaffetti e gli torce appena l’orecchio, che gli tanto fa
piacere. Poi una grattatina sulla nuca e “Sei splendido!”
Quindi, come per incanto, appare sullo schermo del
videogames l'immagine assonometrica addirittura di carri
armati, delle costruzioni, di quello da colpire, danno il
peso... ecco qui un carro armato c'è, c'è, c'è, eccolo l'ho
inquadrato, guarda che c'è, dai adesso SCHIACCIA ci sei,
sei puntato SCHIACCIA TI DICO! Se uno è un po’
distratto, la manina gli afferra la mano e lo costringe a
schiacciare... parte un razzo tremendo che ha anche una
video camera in testa, tutto intelligente, riprende quota,
risale ed emette anche una canzoncina “CARO IRAK, ORA
FAI SCIAC, CON ‘STO RAZZO FAI PUM TRALALA’,
02/10/2012 973
SEI FOTTUTO TU E ALLAH” scoppia, salta tutto per aria,
l'aereo riparte, c'è una risata registrata IIIHAAAA AHA
AHA e suona la valchiria. E’ inutile, noi italici come
bidonisti siamo il massimo. Però ci sono stati dei fabbricatori
di trucchi inglesi, che ci hanno fregato, hanno fregato i
torinesi anche. Infatti hanno realizzato addirittura un carro
armato di gomma. E' una specie di polpettone... in una
valigetta così viene costretto, ben plissettato, tutto c'è il carro
armato... Il tecnico bidonista prende la sua valigetta, inserita
fuori dalla valigetta c'è una pompa di quelle a pedale, si
sistema a terra, si schiaccia su e giù il pedale, viene fuori
POP POP POP il carro armato, cresce e si concretizza coi
cingoli, la torretta, i cannoni, ch'è il punto più delicato, che
se non si pompa con molta forza il cannone rimane moscio
così... e il pilota se ne accorge...Quando arriva l'aereo
PEMPEMPEM TUNTUNTUN dritto come un cannone,
appunto, ed ecco che PRAAAPUUM! Parte il razzo,
colpisce il bersaglio e a ‘sto punto c'è il commento di un
pilota americano che è veramente divertente, dice: “è strano
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come si comportino questi nuovi carri armati iracheni,
perché non esplodono, non deflagrano come gli altri russi
cinesi. Non so di che marca siano, che nazione glieli abbia
procurati, perché come li becchi saltellano qua e là nel
deserto TUM PIM TUM PIM ed emettono uno strano sibilo
PIIIIIIIII. Quindi scompaiono nel nulla.
9.06 Sala di Cesenatico - 02/10/2012 1