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Ossola PIEMONTE PARCHI - Ossola LE GUIDE - N. 5 Poste Italiane S.p.A. - Supplemento N.5 a Piemonte Parchi 215 - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L.353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, - CNS/Torino n. 10 anno XXVI ISSN 1124-044 X È È ancora Piemonte l’Ossola? Oppure una terra “ibrida”, lontana e sfuggente. Più a nord della Valle d’Aosta, più in su del Monte Rosa, più in su delle Alpi. O, per meglio dire, che spinge più in su le Alpi, costringendo lo spartiacque principale a una insenatura nel Paese dei cantoni. Una insenatura in un mare di montagne. Ossola. Gli appassionati di geografia ne sono affascinati. Guardi la carta del Piemonte, cerchi Torino, poi giri intorno e trovi Cuneo, Asti, Vercelli. Con un cerchio di più ampio raggio trovi Novara e Alessandria. Solo dopo ti spingi lassù, lontano. Ed è quasi con timore che varchi le colonne d’Ercole di Domodossola. Valle Bognanco, Antigorio, Vigezzo, Formazza. Passo del Gries, Passo di San Giacomo… lo valichi e scopri la Val Bedretto e la Val Leventina, valli dai nomi musicali, premi per bimbi buoni (se stai bravo andiamo in Val Leventina). Nomi italiani, ma è Svizzera. Ossola, Finis terrae sabauda. Quel ramo di Piemonte così poco piemontese. I cartelli stradali indicano Milano e non Torino. Indicano Briga e il Sempione. Lassù, a 2000 metri tra Ossola e Vallese, certo non passò Annibale con i suoi elefanti, ma Napoleone e prima di lui il visionario Barone Stockalper. E prima ancora i pastori neolitici e altri pastori ancora, perché i pascoli ossolani erano i migliori, allora come oggi. Ossola, terra contesa, oggi in cerca di un domani. Una delle vie possibili la possono indicare i parchi naturali. Via certo non agevole, tuttavia l’unica in grado di conciliare le esigenze all’apparenza opposte di uomo e natura. Che anche lassù, fra Pennine e Lepontine, possono e debbono convivere: le condizioni ancora ci sono, eccome se ci sono. La Guida numero 5 di Piemonte Parchi vuole fornire spunti per verifiche sul campo. Indicazioni e suggerimenti tra natura, paesaggio e storia. L’impostazione è la solita: a un’introduzione generale seguono i capitoli “parchi”, “natura”, “itinerari” e “uomo”, elementi separati per comodità redazionale, ma in realtà uniti da quell’elemento comune che è il territorio. E solito è anche l’invito: leggere, e poi andare. Quel ramo di Piemonte che volge a settentrione Toni Farina

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X ÈÈ ancora Piemonte l’Ossola?Oppure una terra “ibrida”, lontana e sfuggente. Più a nord della Valle d’Aosta,più in su del Monte Rosa, più in su delle Alpi. O, per meglio dire, che spingepiù in su le Alpi, costringendo lo spartiacque principale a una insenatura nelPaese dei cantoni. Una insenatura in un mare di montagne. Ossola. Gli appassionati di geografia ne sono affascinati. Guardi la carta delPiemonte, cerchi Torino, poi giri intorno e trovi Cuneo, Asti, Vercelli. Con uncerchio di più ampio raggio trovi Novara e Alessandria. Solo dopo ti spingilassù, lontano. Ed è quasi con timore che varchi le colonne d’Ercole diDomodossola. Valle Bognanco, Antigorio, Vigezzo, Formazza. Passo delGries, Passo di San Giacomo… lo valichi e scopri la Val Bedretto e la ValLeventina, valli dai nomi musicali, premi per bimbi buoni (se stai bravoandiamo in Val Leventina). Nomi italiani, ma è Svizzera.Ossola, Finis terrae sabauda. Quel ramo di Piemonte così poco piemontese.I cartelli stradali indicano Milano e non Torino. Indicano Briga e il Sempione.Lassù, a 2000 metri tra Ossola e Vallese, certo non passò Annibale con i suoielefanti, ma Napoleone e prima di lui il visionario Barone Stockalper. E primaancora i pastori neolitici e altri pastori ancora, perché i pascoli ossolani eranoi migliori, allora come oggi.Ossola, terra contesa, oggi in cerca di un domani. Una delle vie possibili lapossono indicare i parchi naturali. Via certo non agevole, tuttavia l’unica ingrado di conciliare le esigenze all’apparenza opposte di uomo e natura. Cheanche lassù, fra Pennine e Lepontine, possono e debbono convivere: lecondizioni ancora ci sono, eccome se ci sono. La Guida numero 5 di Piemonte Parchi vuole fornire spunti per verifiche sulcampo. Indicazioni e suggerimenti tra natura, paesaggio e storia. L’impostazione è la solita: a un’introduzione generale seguono i capitoli“parchi”, “natura”, “itinerari” e “uomo”, elementi separati per comoditàredazionale, ma in realtà uniti da quell’elemento comune che è il territorio.E solito è anche l’invito: leggere, e poi andare.

Quel ramo di Piemonte che volge a settentrioneToni Farina

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Ossola

Realizzazione e allestimento cartografico a cura del CSI Piemonte.

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AbitareIntroduzione 76-77Ossola, terra di confine, terra di transiti 78-80Un paesaggio sacralizzato 81-84Ossola, “paesaggio elettrico” 86-89Il Santuario del SS. Crocifisso 90San Gaudenzio di Baceno 91Cammina e degusta 92-93

Bibliografia 94-95

Informazioni generali 96

OssolaSaluti Assessore Casoni pag. 4Saluti Presidenti Enti Parco pag. 5Ossola, una grande insenaturain un mare di montagne 6-11Pioggia, neve, ghiaccio 12-13ParchiIntroduzione 14-15La strada del pettirosso 16-17Parco nazionale Val Grande18-19Parco naturale dell’Alpe Vegliae dell’Alpe Devero 20-21Parco naturaledella Valle Antrona 22-23Sacro Monte Calvariodi Domodossola 24-25Parco naturale della Binntal 26-27Progetto Parco nazionaledel Locarnese 28Le Oasi del WWF 29

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Sommario

ItinerariIntroduzione 30-31Alpeggi senza confini 32-37La traversatadella Val Grande 38-41La Via dell’Arbola 42-45La Strada Antronesca 46-49Stockalperweg 50-53La Via dei Torchi e dei Mulini 54-55I Sentieri della Pietra ollare 56-57La naturaIntroduzione 58-59Biodiversità nell’Ossola 60-65L’Elemento Zero 66-69Erebia christi 70Fagiano di monte 71Gufo reale 72Tulipano di Grengiols 73Il castagneto 74La torbiera 75

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GUIDA DI PIEMONTE PARCHIN° 5 - Anno 2012Editore REGIONE PIEMONTE - Piazza Castello, 165 - Torino

Direzione e RedazioneVia Nizza, 18 - 10125 Torino tel. 011 432 3566/5761 fax 011 432 5919 E-mail: [email protected];

Direttore responsabile: Enzo Gino Direttore editoriale: Gianluca CastroVice Direttore: Enrico Massone Caporedattore: Emanuela Celona

Coordinamento Guida “Ossola”: Toni FarinaRedazione Toni Farina, Aldo Molino, Loredana Matonti, Mauro PiantaSegreteria amministrativaGigliola Di Tonno Abbonamenti, arretrati e copie omaggioAngela Eugenia, tel. 011 4323273 fax 011 [email protected] Parchi WebMauro Pianta – www.piemonteparchiweb.it

Biblioteca Aree protetteMauro Beltramone, Paola Sartori - tel. 011 4323185

Hanno collaborato a questo numero:Tullio Bagnati, Paolo Beretta, Roberto Bianchetti, RadamesBionda, Renato Boschi, Fabio Casale, Daniele Cat Berro, Fabio Copiatti, Paolo Crosa Lenz, Simonetta Minissale, Cristina Movalli, Paolo Palmi, Alessandro Pirocchi, Paolo Pirocchi, Marco Tessaro, Edoardo Villa, PaoloVolorio, Andreas Weissen, Enrico ZanolettiFotografi:Alex Agten, Dante Alpe, Roberto Bianchetti, Renato Boschi,Stefano Bovero, Fabio Casale, Daniele Cat Berro, FabioCopiatti, Toni Farina, Antonio Maniscalco, Raffaele Marini,Giancarlo Martini, Cristina Movalli, Paolo Palmi, GiancarloParazzoli, Alessandro Pirocchi, Paolo Pirocchi, Elena Poletti,Ely Riva, Claudio VenturiniRevisione bozzeIlaria PolastroMappe: CSI Piemonte

L’editore è a disposizione per gli eventuali aventi diritto perfonti iconografi che non individuate. Riproduzione ancheparziale di testi, fotografi e disegni vietata salvo autorizzazionedell’editore. Manoscritti e fotografie non richiesti non sirestituiscono e per gli stessi non è dovuto alcun compenso. Registrazione del Tribunale di Torino n 3624 del 10.2.1986Arretrati (se disponibili): euro 2

Grafica, impaginazione, stampa e distribuzioneSatiz S.r.l.Abbonamento 2012 Conto Corrente Postale numero 20530200 intestato a: Staff Srl via Bodoni, 24 20090 Buccinasco (MI)

Info abbonamenti: tel. 02 45702415 (ore 9 - 12; 14,30 - 17,30) Riservatezza - Dlgs n. 196/’03. L’Editore garantisce la tutela dei dati personali. Dati che potranno essere rettificati o cancellati su semplicerichiesta scritta e che potranno essere utilizzati per proposteo iniziative legate alle finalità della rivista. Finito di stampare in Maggio 2012

In copertina: La piana dell’Alpe Veglia; sullo sfondo, il Monte Leone (foto Toni Farina)

In ultima pagina: Val Pogallo, Parco nazionale Val Grande (Foto Toni Farina)

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Nell’estremo nord del Piemonte e lontana dai principali centri della re-gione: per questi motivi essenzialmente geografici l’Ossola è più frequen-tata dai cittadini lombardi che non dai cittadini piemontesi. Non è d’al-tronde un caso se a Domodossola e Verbania i cartelli stradali indicanoMilano e non Torino. La comodità di accesso dal nord della catena alpina, assicurata anchedalla linea ferroviaria internazionale del Sempione, fa sì che l’Ossola siaassai visitata anche da turisti d’oltralpe, soprattutto tedeschi, che spessogiungono nelle valli ossolane traversando a piedi dai colli durante i lorotrekking, attirati dallo splendido ambiente e agevolati dall’ottima rete disentieri. Molti sono infatti gli itinerari che uniscono le ragioni di interes-se ambientale alle ragioni di interesse storico, dovute alla presenza di im-portanti vie di transito e di scambio fin dall’epoca romana.Fra le ragioni per visitare l’Ossola ci sono certamente i parchi naturali: laloro presenza è infatti un importante valore aggiunto sia ai fini della tu-tela, sia ai fini della promozione del territorio. Parchi come l’Alpe Veglia,fra i primi istituiti in Piemonte, e la confinante Alpe Devero, costituisco-no un vero fiore all’occhiello del Sistema regionale delle Aree protette, an-che per la capacità del loro gestore di dare vita a qualificanti iniziative dicollaborazione turistica sovranazionale con i confinanti parchi svizzeridella Binntal e del Locarnese.Veglia e Devero richiamano l’alta montagna e gli ampi spazi dei loro pa-scoli secolari, altre peculiarità sono invece richiamate dal Parco nazio-nale Val Grande, la cui natura selvaggia a così breve distanza dal LagoMaggiore crea un contrasto unico. Altre caratteristiche ancora sono in-vece definite dal Sacro Monte Calvario di Domodossola, dove arte e storiahanno radici nella religiosità che ha permeato il paesaggio umano diqueste valli.Questa già ricca e varia offerta sì è da ultimo incrementata con l’istitu-zione del Parco della valle Antrona, affidato alla gestione del nuovo Entedelle Aree protette dell’Ossola. Un altro parco da scoprire: questa nuovaguida di Piemonte Parchi ha anche questo scopo. Un invito alla cono-scenza della straordinaria realtà della terra ossolana, per far sì che i cit-tadini piemontesi varchino in maggior numero le “colonne d’Ercole” diGravellona.

William CasoniAssessore al Commercio e Fiere, Parchi e Aree protette della Regione Piemonte

UUna pluriennale consuetudine al lavoro di squadra accomunal’azione dei parchi naturali che si presentano al pubblico con questaguida: il Parco nazionale Val Grande, i parchi dell’Ossola (AlpeVeglia e Alpe Devero e Alta Valle Antrona), la Riserva speciale delSacro Monte Calvario di Domodossola e gli ambiti dei siti della ReteNatura 2000 in parte collegati e/o sottesi ai parchi medesimi.È un’azione che mira innanzitutto a valorizzare la ricchezza dellabiodiversità di questo estremo nord-orientale del Piemonte, ma anchea promuovere congiuntamente i territori protetti, condividereesperienze e buone pratiche in materia di sviluppo delle risorse locali,esaltare le peculiarità ambientali e naturali, celebrare i valori storico-artistici e paesaggistici in una unità geografica che è al tempo stessoomogenea e diversa.Fattore saliente e unificante del modo di operare in rete dei parchi èil concetto di connettività ecologica, nella quale i parchi sono visti egestiti come nodi di una rete di ambienti e territori a diversaspecificazione ecologica, che si collegano attraverso corridoi naturalidove è cruciale mantenere quella pervasività indispensabile agarantire la mobilità delle diverse specie di interesse ecologico.Accanto a questa strategia di salvaguardia delle eccellenze delterritorio, l’attività dei nostri “parchi in rete” mira altresì a sviluppareazioni comuni nel campo dell’educazione ambientale, della ricercascientifica, della promozione turistica, della valorizzazione dellerisorse locali quali i prodotti della terra e dell’allevamento.E il lavoro comune per questa guida introduce e stimola, attraverso ilpercorso della conoscenza e dell’illustrazione, a nuove scoperte perquanti vorranno percorrere e frequentare i nostri parchi.

Giacomo Gagliardini,Presidente nell'Ente di gestione dei Sacri Monti

Graziano Uttini, Presidente dell’Ente di gestione delle Aree protette dell’Ossola

Pierleonardo Zaccheo,Presidente del Parco nazionale Val Grande

INTRODUZIONE

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Macugnaga. Un’attrattiva unica: la piùgrande parete delle Alpi, vero fram-mento di Himalaya, un microcosmo dighiaccio e di roccia tanto imponentequanto effimero: la parete, oggi in di-sgregazione, costituisce un termome-tro dei cambiamenti climatici e permet-te di verificare in modo diretto un mo-mento cruciale della storia naturaledelle Alpi. In Valle Anzasca si incontra-no due ambienti e due culture. La ValleAnzasca vera e propria, da Piedimuleraa Ceppo Morelli, è romanza e latina edha un popolamento antico, documen-tato da ritrovamenti di epoca pre-ro-mana.Nell'ambiente prevalgono i boschi dilatifoglie, a differenza della Valle diMacugnaga (così era definita la partealta dagli storici dell'Ottocento), dovel’ambiente è più alpino con prevalenzadi conifere, e il popolamento è di origi-ne walser risalente al XIII secolo. "L'oro italiano è oro ossolano", affermò

OssolaUna grande insenatura in un mare di montagne

INTRODUZIONE

Fondo Toce, prezioso frammento dinatura lacustre, sopravvissuta e oggi tu-telata dall’omonima riserva naturale.Vista dall’alto la Val d'Ossola ha formadi foglia d'acero: la nervatura centrale ècostituita dal corso “nervoso” del Tocesu cui si innestano come nervature la-terali le valli Anzasca, Antrona,Bognanco, Antigorio, Diveria, Isorno eVigezzo. Da queste sette “nervature”scende il "vento delle sette valli" chesoffia sul fondovalle, da Domodossolaa Ornavasso. E si deve forse a questa brezza vigoro-

sa e continua quella miscela di ambien-te e cultura che è l'ossolanità: un mistodi rudi caratteri montanari, tradizioniantiche, attaccamento alla terra, spiritoindipendente. La popolazione vive ingran parte sul fondovalle, in paesi cre-sciuti sui coni di deiezione degli af-fluenti del Toce. Stanno incollati allamontagna per risparmiare spazio agri-colo, tanto esiguo quanto prezioso, eproteggersi dalle buzze, le rovinosepiene stagionali del fiume. Paesi comela medioevale Vogogna, sede delParco nazionale Val Grande.

Le sette valliLa più meridionale è Valle Anzasca. Lavalle del Monte Rosa, seconda vetta al-pina che attira con una fugace compar-sa l’attenzione dei viaggiatori frettolosisulla superstrada per Domodossola.Assai meno fugace è l’attenzione che ituristi rivolgono alla parete est dellamontagna dal Belvedere di

Una definizione a metà tra poesia emorfologia che calza a pennello a que-sto lembo di Piemonte che si proietta anord, insinuandosi nella Svizzera, tra ilVallese e il Canton Ticino. In mezzo a questa lingua di terra scorreil Fiume Toce, la Tòs per gli ossolani.Prende vita a Riale di Formazza e finoalla forra di Pontemaglio mantiene ca-rattere di torrente. L’incontro con gli af-fluenti laterali lo trasforma in fiume, unvero fiume in mezzo alle montagne. E da vero fiume sfocia nel LagoMaggiore con un grande estuario:

Paolo Crosa Lenz e Toni Farina

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Il Pedum e la Bocchetta di Campo, cuore del Parco nazionale Val Grande; sullo sfondo, il Monte Rosa

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INTRODUZIONE

di energia prodotta dalla rivoluzioneindustriale, e che ha mutato in pro-fondità il paesaggio di molte zonedell’Ossola.

Acqua e rocciaOltre all’oro, la Valle Antrona ha incomune con la Valle Anzasca la seve-rità dell’ambiente, tutelato dall’omo-nimo parco naturale. La lunga crestache corre dal Pizzo Andolla (3656 m,massima elevazione della valle) alPizzo di Antigine definisce uno sce-nario aspro e minerale che lascia dav-vero esigui spazi alle attività legate al-la pastorizia. Pochi i pascoli, eppure èin queste erbe magre, grazie allesplendide ed effimere fioriture estivedelle vallette nivali che trova il mododi vivere Erebia christi, piccola farfal-

un eminente studioso di mineralogia.La “capitale dell’oro” fu Pestarena, fra-zione di Macugnaga. Già utilizzati dalXIII secolo, questi filoni auriferi conob-bero uno sfruttamento industriale dal1884 al 1961 (a Borca si trova la Minieradella Guja, unica miniera d’oro in galle-ria visitabile in Europa). Ma l’oro non èesclusivo della valle bagnata dalTorrente Anza, i filoni corrono oltre ilcrinale, nella limitrofa Valle Antrona.Dove “l’oro” è anche liquido e traspa-rente come l’acqua. L’acqua delTorrente Ovesca che confluisce nelToce a Villadossola, ma soprattuttol’acqua che colma i grandi invasi diCampliccioli, Cingino, Camposecco edei Cavalli, e forzata in condotte ali-menta la grande centrale di Rovesca. L’acqua che ha placato la grande sete

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la endemica, miracolo di biodiversitàossolana.L’acqua è un elemento importante an-che in Val Bognanco. Una valle ano-mala in Ossola in quanto non appoggiala sua testata direttamente al crinale al-pino principale, ma è inserita tra le ca-tene secondarie che la separano a suddalla Valle Antrona, a est dalla Val Vaira(o Zwischbergenthal) e a nord dallaVal Divedro. "Il paese delle cento ca-scate", Bognanco. Ben ventuno corsid’acqua confluiscono nel TorrenteBogna dai valloni laterali, originandospettacoli di schiume e riflessi (splendi-de le cascate di Dagliano e diRabianca). Ma l’acqua di Bognanco“confluisce” anche nelle omonime ter-me che hanno reso a suo tempo floridoil turismo in valle. Ma questa è un’altrastoria.

Dalle Pennine alle LepontineE un’altra storia ancora è quella dellaVal Divedro. Inizia con una grandiosaforra incisa dal Torrente Diveria all'al-tezza di Crevoladossola e termina al va-lico del Sempione, raccontando di te-nebrose gole (Crevola e Gondo) e ri-denti altopiani (Varzo e Simplon Dorf).È politicamente italiana solo fino al vil-laggio di Gondo, perché ragioni etno-grafiche assegnarono nel Medioevo laparte alta alla Svizzera. Terre contese,insomma, come contesa fu per secolil’ottima terra da pascolo dell’AlpeVeglia. Alla testata della laterale ValCairasca, la splendida conca alpestre,“gemma verde delle Lepontine”, è en-trata a buon diritto nel primo gruppo diparchi istituiti in Piemonte nel 1978. E che parco! Sintesi perfetta del pae-saggio alpino, apprezzata dai turistid’antan. Intorno, una cerchia di alte esevere montagne e su tutte il MonteLeone (3553 m), "solitario, immenso,

onnipresente" sovrano delle Lepon ti-ne. In mezzo, una conca ridente: lagrande piana del Vaccareccio e i pa-scoli di Pian Stalaregno e Pian dulScricc dove brucano i bovini. Veglia è sempre stato un "alpe" nel sen-so tradizionale del termine, sede tem-poranea e terminale nel complesso iti-nerario di transumanza verso i pascolialti. Veglia è un angolo-rifugio, unmondo chiuso per sei mesi all’anno,quando la conca è solo neve e silenziod’uomo. Solo in tarda primavera la go-la del Groppallo, unico collegamentocon la valle, diviene transitabile e con-sente l’accesso alla piana. Ben diversa è la condizione della ge-mella Alpe Devero.

Oltre DomodossolaInizia la Valle Antigorio, delineata dalprofondo solco vallivo del Toce.Grandi spazi in un paesaggio verticale,una dimensione “segreta”, non coltadal viaggiatore frettoloso, al quale sfug-gono con molta probabilità anche le di-stese di faggi e castagni, simboli arbo-rei di quest’angolo ossolano (il casta-gno monumentale di Maglioggio èconsiderato il più grande dell’Ossola). Al visitatore frettoloso sfuggono anchele caratteristiche morfologiche del-l’area, davvero di grande interesse.Nella piana dove la valle del Deveroconfluisce nell'Antigorio, grazie allapotente erosione glaciale affiora laCupola di Verampio: il cosiddetto“Elemento Zero”, il basamento più an-tico, costituito da ortogneiss, su cui si èformata la complessa architettura diquesta porzione dell'arco alpino. E che dire dell'Orrido di Uriezzo? Di formazione fluvio-glaciale, è costi-tuito da una serie di marmitte lunga 150metri e alta 16. L’orrido è asciutto e visi-tabile: scalette metalliche con barriere

Toni Fa

rina

Lago superiore del Sangiatto, Parco dell’Alpe Devero

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INTRODUZIONE

A metà del corridoio confluisce da me-ridione la Val Loana, il più agevole fragli accessi alla Val Grande. Laggiù è unaltro mondo.Come un altro mondo è la ValleIsorno. La "valle dell'impossibile", pervia dell'apparente inaccessibilità. Si apre (si fa per dire) nei pressi diMontecrestese, poco a monte diDomodossola, incuneandosi traVigezzo e Antigorio, ma a differenzadella valle dei pittori, salendo non si in-contra “un’infilata di paesi”, ma boschiinfiniti e alpeggi abbandonati. Poco onulla considerata dai turisti, la ValleIsorno è l’unica non abitata dell’Ossola.Tuttavia anche qui non mancano lesorprese: in alto, nella laterale Valle delRio Nocca si estendono i grandi pasco-li dell'Alpe Matogno e della ValCravariola, in passato teatro di sangui-nose battaglie per il loro possesso.

Formazza, estremo nord del Piemonte

Presso Foppiano il possente gradinoroccioso delle Casse segna un bruscocambio di ambiente. Dalla media all’al-ta montagna, dalla Valle Antigorio allaVal Formazza, la Valle di Pomatt (inidioma walser), la porzione più setten-trionale della Valle del Toce, profonda-mente incuneata in territorio elvetico. Vasti altipiani, in parte (buona parte)occupati da grandi invasi artificiali chefanno ormai parte del paesaggio. Laghidi Morasco, Mores, Toggia e Vannino:natura imbrigliata, come imbrigliata è laCascata del Toce, la plus belle et la pluspuissante de toutes les Alpes. Una casca-ta “a tempo”. Per osservare lo spettaco-lo offerto dai suoi 143 metri di schiumeribollenti occorre viaggiare con l’orolo-gio in vista per non mancare i brevi in-tervalli di apertura (solo d’estate e a ora-

ri variabili). Per il resto l’energia è utiliz-zata a scopo idroelettrico. E l’energia dei visitatori? È spesso utiliz-zata per salire da Riale ai vasti pianori inquota. Al Castel, dove, grazie alla natu-ra calcarea del terreno, il sentiero bota-nico dei Laghi del Boden consente diapprezzare nelle brevi estati formazzi-ne una flora estrema di elevato interes-se. Oppure al Passo del Gries e nellaconca del Sabbione, a colmare lo sguar-do di orizzonti e osservare i cambia-menti dell’ambiente. Non sono passatimolti anni da quando le colate glacialidel Sabbione e del Griesgletscher rag-giungevano le rive del Lago di Sabbionee del Griessee, “dimenticando” blocchidi ghiaccio che come piccoli fiordi vaga-vano a pelo d’acqua tutta l’estate. Alpi diieri, e guardando certe immagini inbianco e nero di ghiacciai opulenti c’èdavvero di che riflettere.

di protezione collegano le marmitteposte su piani diversi.Di grande interesse geologico è anchela presenza dei valloni laterali pensili:Bondolero, Buscagna, Codelago eAgaro, una dimensione nascosta, macerto non segreta. Buscagna eCodelago significano Devero, le suestraordinarie praterie di alta quota. Fra il Cervandone e l’Arbola, il GrandeEst e il Grande Ovest tratteggiano unpaesaggio che non è eccessivo definire“tibetano”. Come Veglia, Devero è sempre statoun alpeggio, ma di più facile accessibi-lità, con una permanenza umana piùstabile, testimoniata da un taglio an-nuale del fieno. E, come Veglia,Devero è un parco naturale, dove la tu-tela della biodiversità e del paesaggiocoincide anche con la tutela delle tradi-zionali attività agricole. Come lo sfalcio dei prati, gli splendidiprati di Crampiolo, considerati tra i piùricchi e rigogliosi delle Alpi.

Valli ospitali e valli impossibili

Alle prime appartiene la Val Vigezzo,la “valle dei pittori”. Nessuno, salendoda Domodossola e percorrendo la sta-tale chiusa tra pareti a picco dove scor-re impetuoso il Melezzo, immagine-rebbe la pianura ariosa e così dolce-mente modellata che si apre a oriente.Una pianura già sede di un antico lago,prosciugato nel corso dei millenni eora occupata dall’infilata di paesi colle-gati dalla Ferrovia Vigezzina. In realtà, Vigezzo più che una valle èun ampio corridoio di origine glacialetra l'Ossola e il Canton Ticino, un alti-piano a 800 metri di quota che degradabruscamente a ovest nella piana delToce, e a est scende ripido nellaCentovalli elvetica.

Toni Fa

rina

Valle Anzasca: la parete Est del Monte Rosa dal Passo del Monte Moro

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INTRODUZIONE

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Pioggia, neve, ghiaccio

APioggia, neve...Alle spalle del Lago Maggiore si con-centrano le località più piovose delPiemonte. È questa la caratteristicaclimatica più peculiare di questo an-golo della regione. Quando i venti siorientano da sud, le correnti trovanoin questi rilievi uno sbarramento na-turale che costringe l’aria umida a sa-lire e a raffreddarsi, intensificando lacondensazione e dunque la forma-zione di nubi e precipitazioni. Ne so-no conferma i versanti attorno alMonte Zeda, nel Parco nazionale ValGrande, dove cadono oltre 2500 mmdi pioggia e neve fusa all’anno (è unodei tre “poli” italiani di piovosità in-sieme alle Alpi Giulie e alle AlpiApuane).Risalendo il corso del Toce le quanti-

tà decrescono, in quanto all’internodella catena montuosa il vapore me-diterraneo fa più fatica ad addentrar-si. Circa 1400 mm annui cadono sia alLago di Alpe Cavalli, nel Parcodell’Alta Valle Antrona, sia sul fondo-valle di Domodossola, dove dal 1876agli anni ’90 del secolo scorso fu atti-vo l’osservatorio del CollegioRosmini. Più su ancora, a Formazza,ne cadono 1300 mm e al Lago delToggia, al confine con la Svizzera,1250 mm.Tra Monte Rosa, Sempione e altaFormazza i dati meteorologici storiciabbondano grazie alle stazioni dimisura installate fin dagli Anni 1930-50 presso le dighe e centrali idroe-lettriche Enel. Un patrimonio di in-formazioni che riserva curiosità e

sorprese riguardanti in particolare laneve. Ogni inverno se ne rilevanoquantità totali che vanno dai 30-40centimetri di Domodossola ai 7 me-tri e mezzo del glaciale LagoSabbione, a 2450 metri, sbarramentopiù elevato del Piemonte settentrio-nale, dove può nevicare anche inpiena estate (10 cm il 18 luglio 2009)e dove il suolo rimane bianco da fi-ne settembre a fine giugno. Da que-ste parti si ricordano ancora gli ec-cessi dell’inverno 1950-51, duranteil quale le Alpi dal Monte Rosa alTirolo furono subissate da neve evalanghe che causarono oltre due-cento vittime. Ai 2246 metri del Lagod’Avino, sopra l’Alpe Veglia, la guar-dianìa della piccola diga era comin-ciata da pochi mesi quando, il 31marzo 1951, si giunse a ben 11 metrie 25 centimetri di spessore nevosototale al suolo. Con molta probabili-tà un record per le Alpi italiane, forseperò dovuto almeno in parte a un ac-cumulo eolico.

Le temperature. Per un loro commen-to si può considerare una località dimezza montagna come il già citatoLago Alpe Cavalli, a 1500 metri. Qui negli ultimi 80 anni la media annuaè stata di 6 gradi, con medie mensili trai -2 gradi di gennaio e i 15 di luglio, edestremi compresi tra i -22 del 7 gennaio1985 e i 30 dell’11 agosto 2003. Per tro-vare l’isoterma zero delle medie annueoccorre salire a 2300-2400 metri, dovela vegetazione è ormai ridotta alle spe-cie tipiche delle praterie d’alta quota edella tundra alpina.

… e ghiaccioPiù in alto ancora, ecco apparire ighiacciai. Salvo i complessi glaciali delBelvedere-Locce, alle falde nord-orientali del Monte Rosa, e delSabbione, sotto la Punta d’Arbola, pri-mo e secondo per estensione inPiemonte con circa 7 e 5 km2 di super-ficie, si tratta in genere di apparati mo-desti, talora vicini all’estinzione. IlBelvedere si è fatto conoscere nel 2002con il suo grande lago “Effimero”, sor-vegliato speciale per una possibile im-provvisa “rotta” glaciale, ma poi svuo-tatosi lentamente senza danni per ilfondovalle di Macugnaga.Il Ghiacciaio meridionale del Sabbioneè stato attrezzato a luglio 2011 con pa-line ablatometriche per la valutazionedel bilancio di massa: i primi dati par-ziali a fine estate 2011 hanno mostratoperdite di spessore glaciale compresetra 2 e 2,5 metri in 48 giorni, quanto ba-sta per una conferma della drastica ri-duzione in corso.Nevica meno, le estati sono più calde,neve e ghiaccio fondono più in fretta:oltre a termometri e pluviometri, sonoproprio loro, i ghiacciai, i testimonidel clima che sta cambiando. Non solo in Ossola!

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Punta d’Arbola e Ghiacciaio dei Sabbioni

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Ho scoperto l’Ossola grazie ai parchi.All’inizio fu il Veglia. Con i sodali di esplo-razioni montane si favoleggiava di unluogo bellissimo, ma così lontano… La pri-ma volta vi arrivai da Ciamporino percor-rendo lo splendido sentiero balcone con vi-sta sul Cairasca, ruggente nella gola, e sulMonte Leone, “ruggente” di luce. Ricordo ilpassaggio del cartello di legno indicantel’Alpe: fu come varcare un limite fra duemondi. Ricordo la discesa lenta, il giro deivillaggi, il fatato Lago delle Streghe.Fu poi la volta di Devero. Esplorazionifra Grande Est e Grande Ovest, estive einvernali, perché, a differenza di Veglia,ogni stagione è buona per Devero. Solopiù tardi è giunta la Val Grande, il suoambiente anarchico all’apparenza, dovein realtà regole e leggi esistono eccome,riscritte dalla Natura. Leggi che non co-noscono frontiere, ed è per questo che daDevero sono andato a nord, oltre confinenella Binntal, parco svizzero dall’am-biente aspro e gentile. Parco dei “tesorinascosti” (i minerali), delle case di laricebrunito da secoli di sole vallesano, dei tu-lipani giunti chissà come dalMediterraneo .Più recente la scoperta di Valle Antrona.D'altronde recente è il suo parco, giunto tredecenni dopo Veglia. Antrona: nome di suo-no duro, granitico, come le fughe di rocciache rivestono i pendii e come il ferro delle mi-niere che furono. Ambiente per stambecchiche sulle roccia si trovano a meraviglia, estupiscono per come ignorano la gravitàgiocando sulle pareti verticali delle dighe.Crocevia dei viaggi è Domodossola, luogo diincontro di valli e di brezze. E a Domo, sa-lendo o scendendo l’Ossola, l’occhio primao poi finisce sul Monte Mattarella. Lassù, datempi antichi si sovrappongono divinità, sialternano devozioni. Diversi dei, un’unica,infruttuosa ricerca: il senso dell’umana esi-stenza. Più facile appare però la ricerca ele-vandosi dall’umana assemblea. Su unmonte appunto, un Sacro Monte.

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Ampi orizzonti nel Parco dell’Alpe Devero

I Parchi

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I PARCHI

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La strada del pettirossoMarco Tessaro

Il pettirosso, alle nostre latitudini, èun migratore a breve raggio. In au-tunno scende dalla montagna allapianura, in primavera ritorna suimonti. Lo fa per trovare condizioniideali per la nidificazione e il nutri-mento, inseguendo le situazioni incui gli insetti sono più abbondanti e ilclima meno aspro.Si tratta di movimenti di pochi chi-lometri, ma essenziali quanto lo so-no per noi gli spostamenti verso illuogo di lavoro o dove fare la spesa.In fin dei conti, come insegnano adesempio i ritrovamenti archeologicidell’Alpe Veglia, anche per l’uomoseguire stagionalmente la disponi-bilità di prede tra pianura e monta-gna era questione di sopravvivenza.Se però il tragitto della migrazione

il riposo e il nutrimento, depistaggicausati da illuminazioni artificiali ur-bane sono solo alcune delle difficoltàcreate dalla trasformazione dell’am-biente. E se ciò è vero per gli uccelli sipensi a mammiferi e anfibi, che permuoversi devono contare “solo” sullezampe.Un cervo che volesse passare dallaValle Antrona alla Val Grande do-vrebbe attraversare l’abitato diVilladossola, una strada provinciale,la Statale 33 del Sempione, un’altrastrada a elevata percorrenza, due fer-rovie, un canale, il Toce (che tuttavia,laddove è privo di sponde artificiali,non rappresenta un problema ma unopportunità). Infine, scansato l’abita-to di Beura, troverebbe finalmente iboschi. Non si pensi poi di escluderedalle necessità di spostamento lepiante, solo perché vincolate dalle ra-dici: seppur non come individui, maper specie, anche le piante compio-no lenti percorsi guidati dall’esigenzadi trovare l’ambiente più consonoper vivere e riprodursi.

Parchi in reteUna situazione difficile quindi. Ed èper porvi rimedio che è stato predi-sposto il Progetto PARCHI IN RETE.L’obiettivo è di introdurre nell’Ossola(il progetto riguarda in realtà l’interoVCO) un modello di gestione del terri-torio dimostratosi efficace per la con-servazione della biodiversità: la ReteEcologica. LIPU Onlus, i parchi e le riserve delVCO, l’Ente provincia, con il sostegno diFondazione Cariplo si sono impegnatinell’applicazione concreta di un princi-pio fondamentale di conservazione am-bientale: rendere nuovamente permea-bile il territorio agli spostamenti dellespecie selvatiche. Il progetto, che ha vi-sto il coinvolgimento di un numero con-sistente di comuni, ha messo in campouna strategia precisa basata su analisiscientifica, verifica urbanistica, applica-zioni concrete e comunicazione. L’azione principale del progetto èstata la redazione della Carta di con-nessione ecologica del territorio qua-le approfondimento della Rete ecolo-gica provinciale. Questo studio è sta-to la base per una verifica degli stru-menti di pianificazione del territorio.Tra le azioni, da rilevare l’integrazionedel Piano antincendio del Parco nazio-nale Val Grande, realizzata in modo daconiugare le esigenze della tutela con-tro gli incendi con la conservazionedella biodiversità.Molto importante il piano di comunica-zione che ha visto la realizzazione deldocumentario “Amare le acque e chia-marle per nome” (regia di MarcoTessaro, produzione LIPU) e di unaCarta turistico/naturalistica delle areeprotette.

Info Progetto PARCHI IN RETE:www.reteparchivco.it

diventa un percorso a ostacoli, la vitaper il pettirosso si fa dura: boschi so-stituiti da zone industriali, siepi e fila-ri decimati o circondati da strade,aree agricole intensive dove i tradi-zionali ambienti seminaturali hannolasciato il posto alla chimica e allameccanizzazione. Aree inospitali in-somma, che in questi ultimi decennisi stanno espandendo e saldando traloro in strutture lineari ininterrotte.E non si creda cheil pettirosso,pur dotatodi un bel paio diali, sia rispar-miato da questasituazione: impatticontro auto, scompar-sa di aree di sosta per

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Scorcio sulla Valle Antrona da Punta Trivera

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IParco nazionale Val Grande

In Val Grande “si va dentro”. Nel pro-fondo delle valli, tra vegetazionetrionfante e orizzonti che non si schiu-dono. In Val Pogallo, in Val Portaiola,ma soprattutto nella Val Grande verae propria, non sono cieli e nuvole adattirare lo sguardo, ma i loro riflessinell’acqua limpidissima dei torrenti.E, oggi come un tempo, “per andaredentro” occorre varcare colli e colme.Ingressi d’erba e di pietra come l’in-credibile Scala di Ragozzale, costruitanel ’700 per consentire agli armenti ilpassaggio dell’omonima “porta”, inta-

Se Vogogna è il fulcro amministrativo,il “capoluogo” del parco è Cicogna.Arroccato a 700 metri di quota, in po-sizione strategica nel cuore dell’areaprotetta, il borgo di Cicogna è fra l’al-tro il capolinea della straordinaria mu-lattiera per Pogallo. Realizzata a inizio‘900 per consentire ai boscaioli un piùrapido accesso all’alta valle omonima,l’opera desta ammirazione per la fattu-ra e l’arditezza del tracciato. Oggi i bo-scaioli non ci sono più, ma in loro ve-ce la mulattiera è utilizzata dai molticamminatori che saggiano in questomodo l’ambiente “Val Grande”. E che ambiente! Istituito nel 1992 in-torno alle riserve statali del Pedum edel Monte Mottac, il parco racchiudeuna natura selvaggia, o meglio, ritor-nata selvaggia, al punto da guada-gnarsi l’etichetta di “area wilderness”. Etichette a parte, il cuore del parco, ov-vero la Val Grande vera e propria, è sel-vaggia davvero. Ma anche il resto delterritorio protetto presenta ragguarde-voli connotati di inaccessibilità.Occorre avvicinarsi con rispetto a que-ste montagne, dove non esiste il facile eanche le escursioni “classiche” non so-no mai banali. Il rischio non si chiamaalta quota, ma ripidi versanti di erba oli-na in alto, e intricate boscaglie di faggioe castagno in basso. È la verticalità la di-mensione dominante. Pochi e preziosisono gli angoli concessi al piano, e suognuno si trova una testimonianza fattadi pietre accatastate, di vegetazione chesommerge e cancella terrazzi e sentieri,muri e case. Vi furono tempi tuttavia incui questi monti erano densamente po-polati, tempi recenti e tempi antichi, co-me informano le litografie che si in-contrano in varie località e che hannomotivato l’ente gestore a scegliereun’incisione rupestre (l’Uomo albero)quale emblema del parco. Lo confer-

mano in particolare i segni incisi sulmasso dell’Alpe Prà, risalenti ai pri-mordi dell’uomo montanaro.Una scelta non casuale: dal poggioche ospita l’alpe (e il Rifugiodell’Alpino) la vista sul Lago Maggioreè davvero superba, e non diversa èl’impressione concessa dalla sommitàdel Monte Faiè, sopra Mergozzo, dovesi sta sospesi, in bilico tra due mondi.Da un lato, lo specchio del lago, gliorizzonti elusivi, la pianura e il suo ali-to umido che risale i pendii sospintodalle brezze. Dall’altro, fitte boscaglie,crinali indistinti, quinte di montagne“anonime e misteriose”.Affascina o rigetta la Val Grande, nonci sono vie di mezzo. Ma chi ne èconquistato non se ne allontana più,soggiogato dai boschi, dalle nebbie,dalle acque limpidissime, da un di-verso camminare.

glio naturale nella cresta rocciosa so-pra Vogogna e Trontano.Si trova tra Verbano e Ossola il secon-do parco nazionale del Piemonte.Quasi 15.000 sono gli ettari di am-biente “prealpino” protetto, compresiper grandi linee fra il Lago Maggiore ela Val Vigezzo, e le valli Cannobina edel Toce. In quest’ultima il parco sispinge a lambire il profondo fondo-valle, interessando fra l’altro il nucleostorico dell’abitato di Vogogna, con ilsuo borgo medioevale che ospita lasede del parco.

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Toni Farina

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Escursionisti a Pogallo

Trasparenze

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Parco naturale Alpe Veglia e Alpe Devero

difesa, ha le caratteristiche giuste percostituire nell’immaginario il rifugio perantonomasia. Già sede di un lago, l’Alpe fu frequenta-to fin dai primordi, come attestano gliscavi archeologici che hanno portatoalla luce importanti reperti risalenti a unarco di tempo compreso fra il BassoMedioevo e l'Età del Ferro. Un Alpe fre-quentato, ma anche conteso: Veglia po-trebbe derivare dal latino vigilum, vigi-lare, vegliare appunto, per far fronte al-la costante minaccia costituita dai pa-stori vallesani che ambivano sfruttarnel’ottimo pascolo. Un’altra minaccia, diversa e più seria, siè delineata in periodi ben più recenti:un nuovo lago, grande, ma questa voltaartificiale! Il rischio di infiltrazioni nella

sottostante galleria del Sempione hasventato il pericolo e la splendida con-ca alpestre è scampata all’orgia idroelet-trica che ha mutato il paesaggiodell’Ossola. Infine è arrivato il tempo della tutela.Oltre che alla salvaguardia, l’istituzionedel parco ha contribuito alla sua cono-scenza e frequentazione, d’altronde giaassidua fin dal secolo dei lumi.Circondata da una cerchia di alte mon-tagne, la conca si presta assai bene a unescursionismo vario, in grado di accon-tentare sia chi cerca la passeggiata tran-quilla sia i palati più esigenti.Per questi ultimi c’è la traversata aDevero. Devero. A oriente c’è il GrandeEst: Crampiolo e le sue case dai tetti dipiode, un grande lago (Codelago) euna sequenza interminabile di pascoli.Distese di erbe ricche e profumate e, inalto, remoto e riservato, l’Arbola. A oc-cidente c’è il Grande Ovest: boschi dilarici secolari, un piccolo lago (Nero) euna sequenza di pascoli di erbe più ma-gre. E in alto, impervio e impudente,l’Helsenhorn.In mezzo sta la piana. “Impensabile” so-

pra i salti di roccia che chiudono la valle,stupisce il visitatore alla sua prima volta,ma non lascia indifferente il frequentato-re abituale: uscire sulla piana di Devero èsempre fonte di sollievo. Ansie e foschiesono alle spalle, il passo e l’animo si di-stendono sulla strada fra i prati. A Devero natura e paesaggio sono ric-chi e coinvolgenti. Estesi boschi di lari-ce con sottobosco di mirtilli e rododen-dri, regno del gallo forcello. Le torbiere,testimonianza dell’abbondanza d’ac-que, habitat prezioso ben rappresenta-to un po’ ovunque. Il marchio paesag-gistico di Devero sono però le estesepraterie di alta quota, vero paradiso peril pascolo, attività secolare tutt’oggi pra-ticata con assiduità. E vero paradiso pergli escursionisti, che a Devero speri-mentano una dimensione inusuale sul-le montagne del Piemonte. D’estate come d’inverno, quando la ne-ve, complici la luce e l’assenza di fo-schie, infonde una netta sensazione dilontananze. Come se la Scatta d’Orognae la Scatta Minoia fossero Colonned’Ercole. E fra Grande Est e GrandeOvest si trovasse il “Grande Nord”.

Primo fu il Veglia. Correva l’anno 1978 ela politica dei parchi regionali piemon-tesi muoveva i suoi primi passi parten-do proprio da lì, dall’alto Piemonte, perfar sì che Veglia rimanesse “gemma ver-de” delle Lepontine anche negli anni avenire. Di lì a 12 anni è diventato parconaturale anche Devero e, dal 1993, ledue storiche aree d’alpeggio al confinecon la Svizzera sono unite in una solaarea protetta, la più settentrionale delPiemonte.Alpe Veglia: un luogo dove “fuggire”,ideale per iniziarvi una “nuova vita”.Così lo descrive Laura Conti nel suoFuggire all’Alpe. Arduo contraddirla: laconca ai piedi del Monte Leone, cosìpittoresca e alpestre ma, allo stessotempo, così appartata e “naturalmente”

I PARCHI

Toni Farina

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Alpe Veglia, ascolo presso Cianciavero; in alto, il Monte Leone

In cammino a Pianboglio, nel Grande Est dell’Alpe Devero

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NParco naturale Alta Valle Antrona

re sulla storica (e attuale) StradaAntronesca. Si avrebbe così modo di ve-rificare che la Valle Antrona è anche un“paese per l’uomo”. La parte a quota in-feriore dell’area protetta, dai 500 metri diViganella, si distingue per le vicende eopere umane. Storia, architettura, eco-nomia alpestre. Borghi ben conservaticome Viganella appunto, pietra e legnoche si armonizzano nelle forme.Esempio d’eccellenza è Casa Vanni, o"Ca dul Van", splendida dimora patrizia,fra le più antiche dell’Ossola (ora intera-mente ristrutturata) che nel 1744 diede inatali allo scultore e indoratore GiovanPietro Vanni.Meno raffinate le attività richiamate dal-la Frazione Ruginenta, eloquente topo-nimo legato alla raccolta e lavorazionedel ferro che ancora a fine ’800 coinvol-geva l’intera media valle, favorita dalla

“Non è un paese per farfalle”. È questal’impressione che può suscitare la ValleAntrona nel visitatore alla sua prima vol-ta. Usi ad abbinare le farfalle alle distesedi prati in fiore, le fughe di roccia e i ver-santi precipiti di quest’angolo diPennine rimandano piuttosto ad altri emeno eterei abitanti. Aquile, stambec-chi, cervi...La nomea di “valle del ferro” poi nonaiuta, ma è solo apparenza, perché laValle Antrona “paese per farfalle” lo èeccome, tant’è che proprio un lepidotte-ro è stato scelto come simbolo del gio-vane parco: Erebia christi, farfalla ende-mica come Plebejus trappi, specie rareche trovano proprio in questi luoghil’ambiente di elezione.Un ambiente dove la fretta è cattiva con-sigliera: sarebbe bene salirla con i proprimezzi la valle, fiato e gambe da utilizza-

I PARCHI

Roberto Bianchetti e Toni Farina

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Lago di Antrona

Stambecchi al Bivacco Cingino

ricchezza d’acqua per movimentare lemacchine. Poi in molti di questi luoghi èsceso il silenzio… ma è il silenzio che hafavorito nei recenti anni ’70 la nascita dicomunità particolari, che hanno fatto ri-vivere seppur in modo diverso villaggicome Bordo, oggi centro di spiritualità eaccoglienza di ispirazione buddista.

L’alta valleDove la dimensione alpina si impone.E dove l’opera umana si evidenzia inpossenti opere. La fame di energia cheha trasformato il paesaggio ossolanoha avuto in alta Valle Antrona riflessiimportanti, creando ambienti moltoparticolari. Non è tuttavia forzato direche oggi le dighe e i grandi laghi inquota della Valle Antrona sono paesag-gio. Grandi laghi artificiali in un am-biente selvaggio di alta montagna.Ad Antronapiana la valle si divide tra ValTroncone e Val Loranco. La prima si in-fila a sinistra verso il Lago di Antrona,“nato” nel 1642. Un dato insolito per unlago naturale: correva la notte del 27 lu-glio quando una fetta del MontePozzuoli franò, ostruendo il corso deltorrente e seppellendo case e pascoli ecausando la morte di 92 persone.

Una tragedia. All’ignaro visitatoreodierno il “pittoresco blu” fra le conife-re infonde però altre e più bucolicheimpressioni. La gran parte si ferma qui… e non sa quel che si perde. Abetaie,lariceti, torbiere, gli altopiani diLarticcio e Valaverta, Lareccio con lesue baite: incontri inattesi in questoambiente verticale. Più in alto ancorasta la Diga del Cingino, con gli stam-becchi “climbers” sul muro. DalCingino una lunga galleria illuminataconduce alla Diga di Camposecco, do-ve ci si affaccia sulla Val Loranco con ilsuo orizzonte di alte cime: il PizzoAndolla (3656 m,cima più elevata delparco) e l’elvetica Weissmies. La Svizzera è lì, oltre il crinale, vicina olontana dipende dall’abitudine al cam-minar per monti. Le opportunità nonmancano: oltre alla Via Antronesca sipuò andare sul Tour dell'Andolla, consosta al rifugio omonimo, meta privile-giata per molti, attirati dalla bellezzadel posto e dall’ospitalità. Si parte daCheggio, con esordio in riva del Lagodei Cavalli, fiordo verde smeraldo tra lemontagne. Cheggio, villaggio alpino nel Parcodell’Alta Valle Antrona.

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Sacro Monte Calvariodi Domodossola

Sul Colle MattarellaIn posizione "dominante e panorami-ca" sulla conca di Domodossola, sullependici del Moncucco a circa 400 me-tri di quota, si trova l'altura detta ColleMattarella, che ospita oggi il SacroMonte Calvario. Un sito dotato di forza evocativa fin datempi antichi, come testimoniano lecoppelle e gli affilatoi incisi su unaroccia affiorante nei giardini dei PadriRosminiani. Il nome deriva da un san-tuario pagano dedicato alle Matronesu cui, in tempi successivi, è sorta unachiesa paleo-cristiana intitolata aMaria.In epoca longobarda il colle è occupa-to militarmente e vi si erige un castel-lo, i cui resti sono tutt’ora visitabili.

Intorno all’anno 1000 viene costruitoun battistero romanico del quale ri-mangono oggi soltanto frammenti. Nel 1381 l’Ossola passa sotto il con-trollo dei Visconti di Milano e il castel-lo ne segue le sorti, fino al 1416 quan-do gli svizzeri occupando la valle lodistruggono completamente.Seguono due secoli di abbandono,quindi, nel 1600, la Controriforma se-gna l'inizio della storia odierna. Nel1656, grazie alla predicazione di duefrati cappuccini del Convento diDomodossola, il colle rinasce a nuovavita: a una prima, semplice croce in ci-ma al colle, seguono altre collocatelungo la strada nei punti scelti per lacostruzione delle cappelle. L'anno se-guente iniziano i lavori di costruzionedel Santuario del SS. Crocifisso.Al di là della fredda cronologia, ilSacro Monte è soprattutto storia dipartecipazione popolare: ognuno,senza distinzione di classe e secondole proprie possibilità economiche, hacontribuito alla realizzazio-ne offrendo denaro, doniin natura o giornate di la-voro gratuite. Una vastaadesione pubblica, sul-la quale faranno pernonei secoli successivi iPadri Rosminiani. La venuta di AntonioRosmini - abate rove-retano e filosofo - nel1828 e la fondazio-ne dell’Istituto

di Carità al Sacro Monte Calvario diDomodossola hanno segnato un pro-fondo rinnovamento spirituale. Nel 1991 sarà l'istituzione della riservaa sancire un secolare rapporto fra pae-saggio, natura e devozione, ravvivato,nel 2003, dall’inserimento dei SacriMonti piemontesi e lombardi sulla li-sta del Patrimonio mondialedell’Umanità. Nel 2007 la beatificazione di AntonioRosmini ha segnato un altro importan-te riconoscimento, sottolineando il va-lore altamente spirituale del luogo.

Il Sacro MonteDi notevole valore naturalistico e sto-rico i Giardini dei Padri Rosminiani eil Santuario del SS. Crocefisso. I giar-dini ospitano esemplari secolari dicriptomeria, di libocedro nonché unasequoia. Di rilievo storico il battisteroromanico e l'adiacente masso cop-pellato. Il santuario ospita le stazioniXII e XIII e XIV della Via Crucis e an-novera opere di Dionigi Bussola, in-signe plasticatore milanese. Accanto ai resti del Castello diMattarella si trova l’Oratorio dellaMadonna delle Grazie, in origine unasemplice edicola affrescata (il dipintoè tuttora conservato al suo interno).

La storia umana è storia di sovrappo-sizioni. Le civiltà si succedono: alcunecancellando le precedenti, altre con-servandone frammenti, altre ancorasubentrando in modo soffice. E ogni civiltà scalza la precedentepartendo dai centri di governo e diculto. In particolare, i centri di devo-zione sorgono in luoghi già preposti atale scopo. Luoghi non casuali, ma scelti in base aprecise motivazioni, soprattutto lega-te alla collocazione geografica.È questo il caso dei sacri monti, com-plessi devozionali collocati su un’al-tura, in posizione dominante sul cir-condario. Siti già sede di ritualità pri-mordiali, delle quali è talvolta possi-bile rintracciare segni.

I PARCHI

Toni Farina

25Foto archivio Sacro Monte di Domodossola

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Parco naturale della Binntal

giolensis (da Grengiols, appunto). Lafioritura nella seconda metà di maggioè un evento fuori dall’ordinario. Non ordinaria, e certo diversa dall’Italia,è in generale anche la concezione deiparchi svizzeri. Un parco naturale costi-tuisce a tutti gli affetti un “label”, unmarchio di qualità territoriale, ottenutotra l’altro dopo un iter molto complessonel quale assume un ruolo basilare laconcertazione con gli abitanti. Nel con-cedere il label il governo dellaConfederazione riconosce e attesta l’in-tegrità ambientale, ma il governo localedeve dimostrare di essere in grado nonsolo di conservare l’ambiente, intesocome paesaggio e biodiversità, ma dimigliorarlo, creando al contempo pro-spettive di sviluppo compatibile.

Arrivare a BinnUn consiglio: dimenticare il mezzo pro-prio, in Svizzera è solo un intralcio. E sa-lire a Binn con il postale è a tutti gli effet-ti parte della visita. La strada è ricavata

nell'impressionante gola della Twingi,sulle cui pareti fiorisce a giugno la rarissi-ma violacciocca vallesana e nidifica larondine montana. Secondo elvetica abi-tudine, la costruzione della galleria stra-dale non ha cancellato lo spettacolaretracciato storico, conservato a esclusivouso di ciclisti ed escursionisti.Ancora più interessante è però andareby fair means. La traversata da Devero èclassica. Consigliabile l’andata dalPasso della Rossa (Geisspfadpass) e ilritorno dal più comodo Passodell'Arbola.

Binn e Veglia-Devero, parchi gemellatiUna collaborazione ormai decennaleaccomuna le due aree protette. Vari isettori coinvolti: dalla ricerca e gestio-ne naturalistica al turismo e agli aspettistorici. A Binn si insegna italiano, comune è laformazione delle guide naturalistiche. La cooperazione coinvolge anche leamministrazioni comunali: Binn è ge-mellato con Baceno.

I PARCHI

Toni Fa

rinaAA nord di Devero. Svizzera quindi,

Paese dove negli ultimi anni la politicadei parchi naturali ha avuto un notevo-le impulso. Istituiti, o in fase di istituzio-ne, sono ben una ventina di parchi, na-zionali e regionali. Fra questi ultimi la Binntal, o Valle diBinn, dal comune omonimo. Lateralesinistra della Valle del Rodano, la valle èsituata lungo la storica Via dell’Arbola,corridoio di transito tra l’Ossola e laValle del Rodano. La “valle dei tesorinascosti”, per via dell’incredibile ric-chezza di minerali, nota in tutto il mon-do: si pensi che ben 16 minerali non so-no presenti in nessun altro luogo dellaTerra. In questa zona sono stati scoper-ti minerali ad alto contenuto di arseni-co, vere new entry per la scienza qualiimhofite e lengenbachite, daLengenbach, cava non lontana da Fäld,ultimo centro abitato della valle. Meno noti, anche se più evidenti, sonogli “altri tesori”, a partire dall’ambientesia pastorale che naturale. Splendide e

ben conservate sono sia l’alta valle, ver-so il Passo dell’Arbola (Albrunpass) e lapunta omonima, (Hofenhorn, 3235 m,la cima più alta) dove si aprono vastipianori con zone palustri, sia le dirama-zioni laterali, verso il Passo della Rossae il Passo Cornera. Magnifica è la solita-ria Saflischtal, che in estate si trasformain un vero e proprio giardino.Intatti sono anche i centri abitati. Sia inuclei capoluogo che le frazioni dei seicomuni interessati sono riconosciuti co-me “insediamenti svizzeri da protegge-re”. Binn con la sua collezione di mine-rali e le frazioni Wilere e Fäld, Ernencon la sua piazza, fra le più belle delVallese, e le frazioni Ausserbinn,Steinhaus e Mühlebach (dalle anticheabitazioni lignee). E ancora:Niederwald, sul versante destro dellaValle del Rodano, e Grengiols con lafrazione Hockmatta. Ed è nei campi disegale presso Grengiols che trova con-dizioni ideali per vivere una esclusivaspecie floreale: il tulipano Tulipa gren-

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Escursionisti al Mässersee (verso il Passo della Rossa)

Stadel a Ernen

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Progetto Parconazionale del Locarnese

La regione è ricoperta da fitte foreste eattraversata da una vasta rete di sentie-ri ben segnalati. Percorrendoli è possi-bile scoprire una natura ancora intatta,caratterizzata da una ricca biodiversi-tà. Una natura che convive con antichivillaggi, maggenghi, rustici, cappelle,terrazzamenti, testimonianze di unacultura alpina un tempo rigogliosa. Il metodo migliore per visitare questiluoghi si chiama “treno+pedule”. Il treno detto “Vigezzina” in Italia e“Centovallina” in Svizzera, una ferro-via a scartamento ridotto che collegaDomodossola a Locarno. Le peduleda consumare ad esempio sulla Viadelle Vose, storica mulattiera che col-lega Intragna a Loco, oppure lungo ilTrekking dei Fiori: quattro giorni dicammino per attraversare l’intero par-co, da Brissago a Bosco Gurin, villag-gio Walser in Valle Rovana a 1500 me-tri di quota. Un mirabile esempio diconservazione e di integrazione uo-mo-ambiente.

Il termine “progetto” indica che, a tut-t’oggi (aprile 2012), il parco non haancora ultimato l’iter istitutivo. L’areainteressa in modo diretto zone antro-pizzate, dove l’uomo vive e lavora.Secondo quanto sancito dalla legisla-zione svizzera, la popolazione resi-dente ha un ruolo centrale: alla volon-tà della popolazione è affidata l’istitu-zione definitiva, al termine di un com-plesso iter democratico.Il progetto di parco nazionale è natoper contrastare il declino economico edemografico delle valli periferiche delLocarnese: Centovalli, Valle Onsernonee Valle Rovana.L’intenzione è di valorizzare un am-biente dove la natura coabita con unasecolare economia alpina. Il territoriocoinvolto nel progetto è vasto (22200ha) e ricco di contrasti: si passa dal cli-ma subtropicale delle Isole diBrissago, a 193 metri di quota, a quel-lo alpino dei 2863 metri del PizzoBiela, in fondo alla Valle Rovana.

NLe Oasi del WWF

abete bianco, intercalati da fasce di la-tifoglie in cui predomina il faggio.Boschi abitati da varie specie di passe-riformi come la cincia dal ciuffo, il pic-chio muratore e il raro luì verde.Nell’area è anche presente una picco-la torbiera, dove si segnalano interes-santi specie floristiche quale la rosoli-da (Drosera rotundifolia). Si tratta diun sito di particolare importanza perla riproduzione della rana temporaria:per questo la strada che lo attraversa èstata dotata di uno specifico sottopas-so per anfibi. La zona è stata sottopo-sta a interventi di gestione naturalisti-ca quali l’ampliamento di pozze d’ac-qua per ritardarne l’interramento e fa-cilitarne la colonizzazione da parte dispecie acquatiche. Entrambe le oasi sono aperte al pubbli-co e fruibili in ogni stagione. Vi sonosentieri, strutture di fruizione e zone disosta. Bosco Tenso è attraversato da unastrada collegata a una rete di piccoli sen-tieri nel sottobosco e verso il fiume. Visite guidate e attività didattiche sonoa cura dei volontari dell’associazione.

Nell’Ossola sono presenti due OasiWWF: il Bosco Tenso, in comune diPremosello, nella piana del Toce, e ilPian dei Sali, nei comuni di Malesco eVillette, in Val Vigezzo. L’Oasi Bosco Tenso è uno degli ultimilembi di bosco naturale lungo l’astadel Toce. Pur non essendo vasta (circa18 ha), l’area è significativa in quantorappresenta l’esempio meglio conser-vato di bosco planiziale nel territorioossolano. È caratterizzata dalla pre-senza di frassini, tigli, aceri e olmi. Trale specie animali più significative si se-gnalano il lodolaio, piccolo falco mi-gratore dalle ali a falce color lavagna,e numerose specie di farfalle, quali lagrande antiopa, dalle ali brune e vellu-tate dotate di un bordo esterno colorcrema. Sul vicino corso del fiume sipuò notare il corriere piccolo, trampo-liere che nidifica sulle isole fluviali. L’Oasi Pian dei Sali è un’area umida si-tuata su un altopiano nei pressi del-l’omonimo valico, tra la Val Vigezzo ela Val Cannobina. È circondata da bo-schi di pino silvestre, abete rosso e

I PARCHI

Paolo Beretta

Fabio Casale

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Val Vigezzo: treno “Vigezzina”, o “Centovallina”

Bosco Tenso e Fiume Toce

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Domodossola al Calvario e oltre, tra“torchi e mulini” di un tempo, tra bor-ghi appesi al ripido fianco della valle.E poi proseguire in alta ValBognanco, sulle tracce più recenti delBarone Stockalper.Infine, dalla Val Divedro alla ValBedretto. Da SO a NE una settimanadi viaggio nella terra dei pascoli alti,dove economia fa rima con paesaggioe natura. E dopo la dimensione tibetana deglialtopiani di Devero, dopo la Val

Formazza e i suoi ariosi orizzonti, laVal Grande è l’occasione per provareun “diverso camminare”. In autunnofra i suoi boschi ritornati, o a inizioestate quando l’acqua limpida deitorrenti rinfresca solo a guardarla. O nella “due giorni” da un capo all’al-tro del parco, per toccarne il cuorepulsante e selvaggio. A differenza delcammino di “Alpeggi senza confini”si va da NE e SO, ma non cambia so-lo il verso: cambia l’ambiente e gli al-peggi non ci sono più.

Gli itinerari

Leggere e poi andare. E camminare. Ilmetodo migliore è sempre questo: toc-care con mano, o meglio, con piede.Affidare a fiato e gambe il viaggio tra imonti ossolani: solo così l’esperienza èdavvero tale. Lassù, tra Pennine eLepontine, le opportunità non man-cano e sono in grado di soddisfareogni esigenza in ogni stagione. Camminare nei parchi, innanzitutto,facilitati dalla rete di servizi e informa-zioni. Consapevoli della necessità dellatutela, oggi più di ieri.

Camminare da un parco all’altro, dauna nazione all’altra, perché i confi-ni e i crinali non sono ostacoli, ma in-centivi ad andare oltre, vedere e toc-care quel che c’è al di là: dei passi del-la Rossa e dell’Arbola, di SanGiacomo e di Monscera, di Saas. Ognicolle è una scoperta, un’occasione diconoscenza. Dalla Valle Antigorio alla Binntal e ri-torno, dall’Ossola alla Saastal sullaStrada Antronesca, seguendo le trac-ce antiche dei Leponzi. E ancora: da

In cammino sopra Larticc, Parco Alta Valle Antrona

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In cammino in Val Bedretto

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Alpeggi senza confini

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GLI ITINERARI

Un viaggio nella montagna dei pascoliUUn cammino attraverso una civiltà al-trove dissolta, ma che qui, nelleLepontine, tra l’Ossola e il Goms, èancora vitale e contribuisce a mante-nere quel paesaggio, aspro e acco-gliente allo stesso tempo, che attiròfin dal secolo dei lumi the touristsd’oltre Manica.La civiltà dell’alpeggio, senza confini,appunto. Così è sempre stato per glialpigiani e così è oggi per gli escur-sionisti, invitati ad andare di valle invalle, di Paese in Paese, a conoscereun mondo che esiste ancora. “Alpeggi senza confini” è un viaggioda farsi nel cuore dell’estate, quandoil verde intenso dell’erba e il blu delcielo sono le tonalità predominanti, esull’usuale tappeto sonoro di brezzee acque si inseriscono muggiti, belatie campanacci. È la partitura dell’esta-

te alpina, una “pastorale” che si ripro-pone ogni anno. Per restituire, ognianno, la montagna al lungo e neces-sario silenzio della neve.

Cinque villaggi intorno alla pianaLa piana di Veglia. Ma a Veglia occor-re arrivare e, nel cuore dell’estate, ilSentiero dei Fiori da Ciamporino co-stituisce un prologo perfetto. Un bal-cone con vista sulla gola del Cairascae sul Monte Leone che rivolge ai cam-minatori il suo volto meno domesti-co. Il volto severo delle Lepontine, incontrasto con la pacatezza dell’alpe ei suoi villaggi disposti a corona. È bene avviarsi al mattino di buo-n’ora, in modo da avere il tempo, unavolta scesi a Veglia, di impiegare ilpomeriggio per un anello da un vil-laggio all’altro: La Balma, Cornù,

Ponte, Aione, Cianciavero. E, quan-do il pomeriggio diventa sera, seder-si in disparte per assistere alla quoti-diana rappresentazione: l’ombra“minacciosa” del Leone che si allun-ga sul prato e sulle case, la brezza vi-gorosa che scende dalla Bocchettad’Aurona. È lo spettacolo della mon-tagna, quel che ci vuole per prose-guire il viaggio con la giusta predi-sposizione d’animo. Il giorno dopo è Devero la meta.

Fra Grande Est e Grande OvestDevero è la meta e per arrivarci oc-corre valicare due colli. Partenza sen-za strappi in compagnia del briosoRio della Frua. Meno di duecento me-tri e l’uscita nella radura del Pian dulScricc ("Piano dello Scritto", riferito auno dei tanti accordi scritti tra i mon-tanari di Veglia e del Sempione) è lospunto per una prima sosta all’omo-nimo alpeggio: a Pian Sass Mor l’im-pegno cambia e si sale avvolti da on-tani il ripido pendio che chiude aoriente la conca. Trecento metri di

Il Sentiero e il Museodell’Alpeggio fannoparte dell’iniziativacomunitaria Interreg IIIper lo sviluppo della montagna,finalizzata alla valorizzazionedell’ambiente, dei mestieri e deiprodotti tipici caseari. Lo scopoprimario è di avvicinare il turista-camminatore al mondo dell’alpeggioanche attraverso l’organizzazione dieventi in accordo con gli alpigiani(es. feste della salita e della discesadall’alpeggio), visite guidate,degustazioni, iniziative volte allaconoscenza dei momenti di vita elavoro. Partner: Società ticinese diEconomia alpestre S.T.E.A. (entecapofila), Regione Tre Valli,Leventina Turismo, RegionePiemonte – Direzione EconomiaMontana e Foreste, Parco naturaleAlpe Veglia Devero, Università degliStudi di Torino – Facoltà di Agrari.

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GLI ITINERARI

ascesa sono il pegno per accedere alPasso di Valtendra, aperto sulla ValBondolero. Un traverso su pendii er-bosi alquanto ripidi è invece il pegnoper accedere alla Scatta d’Orogna do-ve la vastità si impone e l’occhio viag-gia libero sui crinali fra il Cervandonee l’Arbola, plana sui pascoli e sui lari-ceti, e a oriente la Scatta Minoia è unapromessa di lontananze, di passisciolti. Si scende la Val Buscagna, il GrandeOvest, fino all’alpe omonimo, dove siconsiglia di lasciare la via diretta etraversare al vicino Lago Nero. Si scende così agevolmente alla pia-na attraverso le belle radure dell’AlpeMisanco, arrivando a Devero con unariserva di energia bastante a visitarecon calma il Museo dell’Alpeggio.E Crampiolo? Salirci il giorno stessooppure fermarsi a Devero e lasciarela mezzora di cammino per il giornodopo? A ognuno la scelta che più ag-grada, che si arrivi dal Vallaro o lun-go il Rio Devero Crampiolo è sempreun incanto.

Grande Est: Tibet o Lepontine?La domanda è spontanea. Il viaggionegli spazi del Grande Est di Deveroconsente di saggiare una dimensioneinusuale per la montagna piemonte-se, dimensione che si apprezza ap-pieno scegliendo in alternativa allavia lungo Codelago la via alta dei pia-ni del Sangiatto: sette chilometri di al-topiani a oltre duemila metri di quo-ta, tra alpeggi, pascoli e torbiere.Il prologo è però una salita nel bosco.Da Crampiolo si sale dritti nel laricetoincontrando dopo un quindicina diminuti una splendida torbiera, pre-zioso esempio di varietà ambientale.Il Lago inferiore del Sangiatto acco-glie i camminatori all’uscita dal boscoe li accompagna all’alpeggio omoni-mo, produttore del Bettelmatt. Con l’Arbola di fronte raggiunge l’ap-partato piano di Corte Cobernas, giàsede di un lago. Aggirato un dosso siscende poi al ponte sul Rio dellaValle proveniente dall’omonimo val-lone. Segue un tratto in diagonaleascendente, variante paesaggistica

dove il sentiero si fa mulattiera ed esi-bisce scalinate e muri di pietra.L’Alpe della Satta segna il ritorno suipascoli e non si può non notare ilcontrasto con il lato opposto dellaconca, dove il regno minerale preva-le alla grande. Alpe Forno, remoto limite dei pasco-li. Si torna sul sentiero principale e inambiente più rude si sale alla ScattaMinoia. Devero è un fresco ricordo dimorbidi tappeti e comodi passi, mal’occhio anticipa il piede ed è già ol-tre, al Passo di Nefelgiù. Un’altragiornata, un’altra promessa.

Formazza, più in su di così ilPiemonte non vaIl Passo di Nefelgiù è un arco geome-trico perfetto. Scendendo dalla ScattaMinoia lo sguardo vi si sofferma alungo, ne esplora la salita, si riposanel Lago del Vannino. La gamba in-vece si riposa all’Alpe Curzalma con isuoi ruscelli che serpeggiano sul pia-no e scendono al lago, e i viaggiatori

insieme, diretti all’Alpe del Vannino eal vicino Rifugio Margaroli. Il giornodopo è una salita già fatta con losguardo. L’approdo sul passo schiu-de la prospettiva sull’Alta Formazza,estremo nord del Piemonte. In lungadiscesa si arriva al Lago di Morasco ealla piana di Riale, dove si ritrova iltraffico motorizzato, dimenticato aSan Domenico di Varzo quattro gior-ni e quattro colli addietro.A Riale si impongono scelte. Il non lungo cammino dal Margaroliha lasciato energie che si possonoimpegnare per una breve salita po-meridiana all’Alpe Bettelmatt, gem-ma verde sulla storica via del Passodel Gries. In alternativa si può ab-breviare il cammino del giorno a ve-nire salendo subito in Val Toggia.Dove non manca lo spazio, e i gran-di invasi (Toggia e Kastel) convivo-no con i pascoli delle alpi Regina eKastel. E dove, visibile all’ultimomomento, si trova il Rifugio MariaLuisa.

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Pascoli fioriti in Val Bedretto

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Transito all’Alpe del Sangiatto, nel Parco dell’Alpe Devero

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GLI ITINERARI

Alpeggi senza Confiniin pilloleDa S-O a N-E, dalla Val Divedro allaVal Bedretto, dall’Alpe Veglia alCaseificio del Gottardo, “Alpeggi senzaconfini” è una traversata alla portata diogni camminatore con medioallenamento. L’itinerario si sviluppa tra1600 e 2600 metri di quota valicando 5colli e toccando i 19 alpeggi coinvoltinel progetto e due strutture museali(Devero e Airolo).Si possono considerare 4 tappeprincipali, alle quali aggiungere la salita aVeglia e il ritorno a Domodossola. Si sale a Veglia da San Domenico diVarzo, raggiungibile da Domo conservizio bus. Si può scegliere la via“normale” lungo la trattorabile delGroppallo (1,5-2 h), oppure ilpanoramico sentiero balcone daCiamporino (2 h con seggiovia,altrimenti 4 h). Il ritorno aDomodossola può costituire unastuzzichevole integrazione “turistica”:Airolo-Locarno in bus, Locarno-Domocon la Linea Vigezzina, oppureLocarno-Stresa con battello sul LagoMaggiore e Stresa-Domo in treno. Vista la lunghezza, può essereopportuno suddividere in due giornate

l’ultima tappa (Formazza-Airolo)pernottando ad All’Acqua.Due impianti di risalita (seggiovia daSan Domenico a Ciamporino e funiviada Pesciüm ad Airolo) consentono diabbreviare la prima e l’ultima trappa. Con l’eccezione del traverso tra ilPasso di Valtendra e la Scatta d’Orogna(tappa Veglia-Devero), dove laripidezza del pendio esige attenzione,l’intera traversata non offre difficoltà disorta. Non c’è che da camminare. E, giunti su un colle, la vista a N-E sulcolle successivo è il miglior stimolo aproseguire il viaggio.

Le tappe(tempi e dislivelli variabili infunzione delle soluzioni adottate)1 Alpe Veglia – Passo di Valtendra(2431 m) – Scatta d’Orogna (2461 m) -Alpe Devero: 6 h; dislivello 800 m2 Alpe Devero –Scatta Minoia (2.599 m)- Vannino: 6,5 h; dislivello 8-900 m.3 Vannino – Passo di Nefelgiù (2583 m)- Formazza 5 h; dislivello 500 m; 900 m con salita da Riale al RifugioMaria Luisa.4 Formazza – Passo di San Giacomo(2308 m) – Bedretto 8-10 h divisibili indue tappe; dislivello 4-700 m circa.Info

Ufficio turistico Valle Antigorio,Divedro e Formazza: Crodo (I) tel. 0324 618831Comunità Montana Antigorio,Divedro Formazza: Crodo (I) tel. 0324 618431Ente Aree protette dell’Ossola:Varzo (I) tel. 0324 72572Caseificio dimostrativo del SanGottardo: Airolo (CH) tel. +41(0) 918691180Leventina Turismo: Airolo (CH) tel. +41(0) 918691533;[email protected]: www.vcoinbus.it

Si va in Canton TicinoSi valica il Passo di San Giacomo,passaggio oltre modo agevole fra laVal Formazza e la Val Bedretto. Nontroppo agevole risulta al contrariol’intera giornata: per arrivare adAirolo, capolinea del viaggio, oc-corrono infatti almeno otto ore dicammino. È tuttavia possibile divi-dere la tappa con un pernottamentoad All’Acqua e risalire al sentiero ilgiorno dopo. Si allunga il camminototale di un’ora e mezza, ma ne valela pena.Dal Maria Luisa si può andare sullacomoda, ma monotona, rotabile chetaglia in lieve ascesa sulla destra del-la conca, alta sul bacino del Toggia.Oppure, si può optare per un per-corso più lungo, ma più interessan-te, sul lato opposto, toccando i Laghidel Boden.San Giacomo: su questo colle chenon pare neppure un colle tanto lie-vi sono i declivi, è spontaneo ragio-nare sul senso dei confini. O sul loro“non senso”. Se non hanno confinigli alpeggi, il latte e i formaggi, i ca-

mosci e gli stambecchi, le brezze e leidee, perché dovrebbero porsi limitigli uomini?La risposta è nel vento. Che spessoquassù soffia energico e sollecita alcammino i viaggiatori diretti al vicinooratorio di San Nicolao. La strada èdiventata un bel sentiero che divalladolcemente verso l’Alpe Val d’Olgia,primo fra gli alpeggi ticinesi. Al suc-cessivo Alpe Stabbiascio è possibilescendere per vitto e alloggio ai 1600metri di All’Acqua, ultimo paese del-la valle, sulla strada per il Passo dellaNovena. Il giorno appresso un’ora di salita ri-porta sul sentiero, ora demarcato“Strada degli Alpi”. Valleggia,Stabiello Grande, Cristallina, Pianodi Pescia, Ruinò e Cascina Nuova:ben otto alpeggi sono toccati dallatraversata in territorio elvetico, tangi-bile testimonianza di un’economiapastorale florida e ben strutturata.Floridi sono anche i pascoli della val-le, le cui fragranze si ritrovano nei ri-nomati formaggi come il Formazzorao il Cristallina. Giunti a Pesciüm si scende ad Airolo,sul fondovalle. Dopo giorni di cam-mino è lecito concedersi una como-da funivia che consente tra l’altro dirisparmiare energie per visitare ilMuseo dell’Alpeggio. Situato all’interno del Caseificio di-mostrativo del Gottardo, alla stazio-ne di arrivo della funivia, il museocostituisce un degno epilogo delviaggio.Approfittando degli efficienti tra-sporti il giorno appresso si può scen-dere a Locarno: dalla Val Bedretto sipassa alla Val Leventina e al LagoMaggiore. Si viaggia in compagnia del Ticino:anche i fiumi non conoscono confini.

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Sul Pian dul Scricc, salendo al Passo di Valtendra dall’Alpe Veglia

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A Domo si cambia, direzione (da norda est) e mezzo: da un treno a un treni-no. Si va in Val Vigezzo e si va sullaVigezzina, nome che già pronunciarloè bello. Sa di montagna, di piccoli pae-si, di cioccolato. Si sale tra boschi e vi-gneti con la conca di Domo che sgranale sue valli. La colonna sonora è un ci-golio metallico, tranquillo e confortan-te. Si sale a tornanti, ma a Druogno ini-zia la piana e il trenino “fila” versoSanta Maria Maggiore.Malesco, stazione di Malesco, si scen-de. E si sale sul Prontobus, dal ferro al-la gomma. Si va tra fitti boschi, si va inVal Loana.

A Scaredi, alla Cappella di TerzaVal Loana: è morbido anche il nome. E così è un piacere passare dallagomma delle ruote alla gomma dellepedule. Zaino in spalla si attraversail torrente mentre lo sguardo e il pas-so si allungano sulla spianata diFondighebi, ideale per scaldare congentilezza gli arti inferiori. E non di-versa è la prima ascesa che offre pre-sto un’occasione di sosta: le fornaci,antichi forni per la calce, ristrutturati

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e dotati di pannelli esplicativi. La sa-lita si fa più ripida, strette giravolte traruscelli e macchie di ontano conduco-no all’Alpe Cortenuovo, dove si rifiata:gran parte del dislivello è alle spalle, ilpendio si smorza, la fatica si attenua,Scaredi è vicino.Scaredi (1840 m), porta nord della ValGrande, comodo ingresso alle valliprofonde del parco. Si fa il pieno di cie-lo e di orizzonti, si osserva con distaccoil Monte Rosa a occidente, un'altramontagna, un altro mondo…Il mondo “Val Grande” sta in basso, traquinte di vegetazione trionfante.Niente fretta però, prima di scendere èbene camminare sul crinale verso il vi-cino colle gemello dov’è adagiata lapiccola Cappella di Terza. Oltre al pia-cere di prolungare l’attesa, si avrà mo-do di scendere su più agevole sentiero.

Si va dentroAccoglie i camminatori la Val Portaiola.Ritrovata la via diretta si cala rapidi alripiano di La Balma, primo incontrocon i molti alpeggi che furono, coltempo andato. Ricordato ai cammina-tori d’oggi da mucchi di sassi sparsi tra

oltre, di gettare lo sguardo al di là di uncolle, la Val Grande un po’ sconcerta. E costringe gli smaniosi di mete, finalio intermedie, a provare l’esperienza diun diverso camminare.

Da un treno a un trenino L’esordio non è su sentiero o mulattie-ra, ma sul ferro di due binari. Il treno faparte dell’avventura ed è una partenon solo accessoria, utile per spostarsima anche per dilatare il tempo del-l’esperienza.Premosello, stazione di Premosello, bi-glietto per Domodossola di sola andata.

GLI ITINERARI

La traversata della Val Grande

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Un diverso camminare

CCosa rimane dopo due giorni di cam-mino in Val Grande? Lasciati decantarei passi, sedimentare le sensazioni, la ri-sposta può essere: i riflessi. Foglie,tronchi, nuvole, compagni di viag-gio… ogni pozza è occasione di river-bero. Un’opportunità di “riflessione”,anche perché due giorni di cammino,metà dei quali immersi in fitti boschi,obbligano a guardarsi vicino, molto vi-cino. A guardarsi anche un po’ dentro. È una dimensione capovolta quelladella Val Grande. Abituati alla consue-ta dimensione alpina, dove si va con losguardo verso l’alto, ansiosi di vedere

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Riflessi sul Torrente Valgabbio

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Arrivo a In La Piana

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sata, fervente attività dei boscaioli. E occorre gamba buona di boscaioloper arrampicarsi sul lato oppostodella valle. Se il rio consente il guadosi può approfittare di una traccia cheriporta sulla giusta via, poi si sale, ec-come si sale! Con andatura lenta siinanellano strette giravolte su unachina boscosa, tra l’intenso verde disparuti abeti bianchi. Alla Colletta ilpasso si distende su un bel crinaledove, nel rado bosco, si scorge la sta-zione intermedia della citata teleferi-ca. Cambiano valle e passo. Dalla Val Gabbio alla Val Serena,dalla salita a una rilassante, breve di-scesa sul lato a solatio della valle. Al bosco subentra un ambiente piùaperto e, tra rododendri e mirtilli, siraggiunge l’Alpe Serena, l’ultimo ca-ricato in Val Grande.

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In alto sta la colmaE per raggiungerla sono 400 metri sen-za tregua. Avvolti dagli ontani si salgo-no gli erti pendii a destra della gola chescende dal colle. A intervalli si guardain alto, si scandaglia il cielo in cerca diappigli. L’apparizione del bivacco delparco è il segno: la Colma è lì, e la ValGrande è un ricordo. O meglio, un racconto, da rileggere se-duti accanto al bivacco sul colle:Scaredi in lontananza, il Pedum agget-tante, i boschi cupi, il profondo. Poi sivolge lo sguardo a occidente per osser-vare - con distacco - il Monte Rosa…La discesa? Un’altra storia, lunga e ripi-da come le chine che scendono sulToce. È l’Ossola, non c’è rimedio. Alpe LaMotta, Alpe La Piana, la strada, Colloro,Premosello. Ma dov’è Premosello?

ortiche e rovi. I camosci però ci sonoancora e sono usi frequentare questoanfiteatro di rododendri ed erbe sel-vagge. Fa la sua comparsa il bosco, ancora ra-do, l’ombra cede ancora alla luce. Ed èla luce che gioca con le pozze di unpiccolo rio: impossibile non seguirne irichiami, le malie liquide e luccicanti. E ripartire freschi d’acqua e di luce ri-flessa verso il vicino Alpe Boschelli,alpe sopravvissuto a molti inverni,ma non al nevosissimo inverno del1986, quando neppure il bosco seco-lare è riuscito ad arginare un’immanevalanga. In bosco, dunque. All’inizio misto, conmaggiociondoli e betulle, poi è un trion-fo di faggi. Si va tra fronde e fronde, conuna fugace interruzione sul poggio cheospita i resti dell’Alpe Portaiola, bastante

a consentire unosguardo sulla ca-

scata che precipi-

ta nella conca di Campo e guida l’occhioin alto sul Pedum, emblema verticaledel parco. Ora però si cammina in oriz-zontale, un lungo traverso in una lita-nia di tronchi. Poi si scende decisi, inuna litania di tornanti.

Ma dov’è In La Piana?Si scende decisi, ma non si arriva mai.Tocca alla musica dell’acqua annun-ciare il fondovalle e guidare i viaggia-tori al Rio Fiorina. Un aereo ponte so-speso precede i pochi metri di salitanecessari a raggiungere la radura do-ve si passerà la notte. In La Piana, fi-nalmente, crocevia della Val Grande,punto d’incontro d’acque, di valli, diviaggiatori. Che alle sera, sul prato,accanto ai casolari, cercano le stelle inlingue diverse. Gute nacht!E il sole, quando arriva? Dipende dal-la stagione, quaggiù capitano viaggia-tori anche nel cuore dell’invernoquando il sole è una benedizione che,quaggiù, non arriva. Al contrario,d’estate sono l’ombra e le chiare e fre-sche acque a infondere sollievo. Le acque della cascata del Rio Fiorinache si raggiunge in pochi minuti nelbosco. Un omaggio doveroso, poi sientra in Val Gabbio. Si contorna inlunga diagonale il piede del Mottàc,poi si scende, all’inizio dolcemente epoi più ripidi verso il torrente in unambiente che dispensa emozioni. Il ponte e la pozza limpida aggiungo-no pathos, arduo non sostare… e “ri-flettere”.La via “principale” prosegue di là dalrio, ma è bene non farsi prendere dal-la smania e proseguire sul fondoval-

le verso il vicino Alpe Val Gabbio,dove si trovano un appartato po-sto tappa e la stazione di parten-

za della teleferica che portava il le-gname a Premosello, segno della pas-

GLI ITINERARI

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La traversata in pilloleEst - Ovest: la traversata classica della ValGrande. Dopo la prima occhiata suimonti del parco dal Monte Faié, e presaconfidenza con il suo ambiente conl’anello Cicogna – Pogallo - Alpe Prà, sipuò osare. Si può andare “dentro”. Osare sì, ma senza eccessi. La traversataVigezzo – Ossola si svolge su sentiericollaudati e non offre difficoltà particolari,a patto di possedere un buonallenamento e abitudine ad andare inautonomia, con zaino completo (i bivacchi offrono solo tetto e tavolato).Ovviamente si può andare in rottainversa, ma dal lato ossolano il parco svelale sue credenziali in modo assai piùrepentino, e la salita alla Colma diPremosello potrebbe rivelarsi tropposevera, anche perché l’accesso ai mezzipropri termina poco a monte di Colloro,frazione di Premosello, a circa 600 metri

di quota (dove, per evitare la lungadiscesa a fondovalle, può essere comodolasciare un mezzo).In sintonia con l’accogliente Val Vigezzo, laVal Loana consente invece un approccioassai più morbido.

Le tappe1 Premosello – Domodossola – Malesco– Fondighebi in Val Loana. Mezzi pubblici: treno fino a Malesco(Vigezzina) e Prontobus in Val Loana.2 Fondighebi – Scaredi – In La piana: 4,5 h:dislivello: 600 m in salita, 800 m in discesa.3 In La Piana – Colma di Premosello -Alpe La Piana - Colloro: 7 h (se non si èlasciata un auto a Colloro, servono circaaltre 2 h per riconquistare il fondovalle);dislivello in salita: 750 m, in discesa: 800 mfino all’Alpe La Piana, 1100 m fino albacino di Colloro, 1500 m fino aPremosello.

Gheppio su segnavia

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All’Alpe DeveroIl cielo della Valle di Devero: è unsollievo trovarlo all’uscita dall’orri-do. Dalla zona del campo sportivosi lascia il paese tra prati ben curati.Su mulattiera lastricata si sale aGraglia, continuando poi tra zoneterrazzate, dove sono evidenti i se-gni dell’abbandono del bosco.Superata una radura con una cap-pelletta votiva si attraversa il RioGhendola e si prosegue perl’Oratorio di San Marco. La mulattie-ra si fa opera d’arte, con gradini ri-cavati nella roccia.Costeggiando la forra del TorrenteDevero si raggiunge il ponte in pie-tra di Osso, invito a breve varianteper visitare il vicino abitato diCroveo, con il monumento a DonRuscetta, il prete viperaio.La bella cascata accanto al ponteconsente di ripartire rinfrancati perOsso (fraz. di Baceno) e di superarei 2 chilometri e mezzo di strada car-rozzabile per Goglio. Strada che sol-tanto fino a pochi anni fa terminavaqui, e per salire a Devero la mulat-tiera non era una scelta ma una ne-cessità. La mulattiera però esiste an-cora ed è un modo bello e coerentedi guadagnare l’Alpe. Non primaperò di una puntata in Goglio, al-l’oratorio che conserva gli affreschidi Angelo Bersani, artista legato aDevero tanto da guadagnarsi la fa-ma di “Angelo del Devero”. La mulattiera esiste ancora e inerpi-candosi su un costone roccioso, al-l’apparenza insuperabile, esce sullapiana.

Rocce verdi, rocce rosseLa piana di Devero. Arduo intuiredal profondo della valle il mondoquassù, il fascino senza tempo del-

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l’alpe. L’appuntamento con le diste-se d’erba però è rimandato: al matti-no si sale al Passo della Rossa, a co-noscere l’anima minerale di Devero.Il regno del serpentino, rocce verdidi nome, ma rosse di colore grazieall’ossido di ferro. Il sentiero si ar-rampica a nord verso i Piani dellaRossa, dove la salita concede un tre-gua, importante per affondare iltratto più tosto: una bastionata di-fende l’accesso al passo, ma unascala metallica permette di superarel’ostacolo verticale e distendere ilcammino su una sequenza di roccemontonate. È la premessa al Passo della Rossa,Geisspfad per gli svizzeri. Ed è inSvizzera che si scende. La Binntal èla meta, Binntal parco naturale, scri-gno di tesori minerali. Ma il primotesoro è la vista: superba sulle mon-tagne dell’Oberland e pittoresca sul-la distesa di placido blu delGeisspfadsee. Il sentiero ne costeg-gia la riva, quindi su ripida pietraiascende alla piana di Manibode conla splendida torbiera. Dalla piana sipuò calare diretti a Binn, oppurepiù a monte, a Fäld, sul percorso mi-neralogico che tocca la cava diLengenbach, forziere di mineraliunici (da Fä ld al capoluogo 2,5 km,evitabili con bus navetta). In en-trambi i casi fa da cornice il fitto bo-sco sul versante nord della valle.

La Via dell’ArbolaLa prima parte è pastorale. Tra pratie villaggi in puro stile svizzero unapista agricola risale la destra orogra-fica della valle fino a Brunnebiel, lo-calità raggiungibile anche conl’Alpin bus. Si apre l’alta valle conl’imponente Punta d’Arbola: un ulti-mo tratto di carrareccia accanto al

SSi va sulle tracce di lunghe carovanedi mercanti, pellegrini in camminodevozionale, soldati e contrabbandie-ri. Si va tra pascoli e rocce, prati e mi-nerali: due ambienti complementari,entrambi ben rappresentati. I prati dasfalcio di Crampiolo, in Devero, i piùelevati della regione. I minerali dellaBinntal: una delle zone “mineralogi-che” più interessanti delle Alpi. L’areadel Monte Cervandone, dove statiscoperti minerali unici, ad alto conte-nuto di arsenico, alcuni dei quali nuo-vi per la scienza. Le torbiere dell’altaBinntal, i villaggi, antichi e moderniallo stesso tempo. Quattro giorni è laproposta-base. Dilatabili a piacere: glispunti davvero non mancano.

Il “giardino glaciale dell’Ossola”Non è un ossimoro, ma una imperdi-bile premessa all’itinerario. Uriezzo, isuoi “magnifici Orridi”, profonde in-cisioni nella roccia ossolana, dovel’azione di modellamento degli anti-chi torrenti ha lasciato segni grandio-si come di rado è dato trovare nellacerchia alpina.Altrettanto imperdibile è la romanicaChiesa di San Gaudenzio di Baceno,fra le più belle delle Alpi: è di lì cheparte il sentiero per l’Orrido Sud, at-trezzato con scale di ferro per renderesicura la visita. Un profondo crepaccioche suscita profonde impressioni: intaluni punti le pareti si avvicinano tan-to da non permettere la vista del cielo.

La Via dell’Arbola

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GLI ITINERARI

Dall’Ossola al Goms e ritornoAlessandro Pirocchi e Toni Farina

In discesa dalla Bocchetta d’Arbola a Devero; in basso i laghi di Pianboglio e Codelago

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La Via dell’Arbola in pilloleUna via già utilizzata in epoca romana, poiun iportante collegamento tra il Ducato diMilano e la Svizzera, attraverso lemontagne di Baceno e della Binntal:questa la Via dell’Arbola, dal nome delpasso a 2400 metri ai piedi dell’omonimamontagna. Un percorso che unito alPasso della Rossa origina un anello digrande respiro e di grandissimo interesse.All’andata si valica il Passo della Rossa(Geisspfadpass) con partenza da Baceno.Al ritorno si valica la citata, agevoleBocchetta d’Arbola (Albrunpass). Alla portata di ogni camminatore, gradodi difficoltà E (escursionisti), conl’eccezione della salita al Passo dellaRossa, dove la presenza di una scalametallica di 8 metri per superare unparete rocciosa impone la classificazioneEE (escursionisti esperti). L’anello “base”si può fare in tre giorni, ma gli spuntiinteresse d’oltre confine, nel Parco dellaBinntal, consigliano più dilatatepermanenze, approfittando degli efficientitrasporti svizzeri per visitare i centriabitati dell’area parco: Ernen, Mühlebach,Grengiols. Bandita la fretta dunque. E senza fretta vafatta la salita nella Binntal: pascoli, villaggi,

torbiere, da apprezzare con le ombrelunghe del pomeriggio.

Le tappe1 Baceno - Orridi di Uriezzo - Goglio -Alpe Devero (1640 m): 4 h; dislivello:990 m. 2 Alpe Devero - Passo della Rossa(2474 m) - Binn (1400 m): 6,5 h;dislivello: 850 m in salita, 1100 m indiscesa.3 Binn - Binntalhütte (2269 m): 3 h (2 hutilizzando la navetta); dislivello 850 m.Salita pomeridiana, da abbinarsi allavisita mattutina nei villaggi.4 Binntalhütte - Bocchetta d’Arbola(Albrunpass, 2409 m) - Pianboglio(1980 m) - Crampiolo (1750 m) - AlpeDevero: 5 h; dislivello: 150 m in salita,800 m in discesa.

Info:Aree protette dell’Ossolawww.parcovegliadevero.itParco naturale della Binntalwww.landschaftspark-binntal.chBaceno è raggiungibile in bus daDomodossola (linea per Formazza). Da Baceno servizio Prontobus perl’Alpe Devero (tel. 333 3271795; 349 0796016). Bus alpin della Binntal, da Binn aBrunnebiel (tel. +41 (0)27 9277630)

Torrente Binna, poi la mulattiera sidistende in ambienti di grande pre-gio: le torbiere di Blatt e di Oxefeld,vera gioia per il naturalista. E, rag-giunta l’ormai vicina Binntalhütte,una vera gioia per tutti è la vista aoccidente, sul sole che se ne va al dilà delle cime dell’Oberland.I monti vallesani sono i primi ad ac-cogliere la luce del mattino, mentrel’ombra avvolge i camminatori nellabreve salita alla Bocchetta d’Arbola.Dove si saluta l’alpestre Binntal per

scendere nel Grande Est di Devero. I resti della mulattiera medioevaleconducono nel primo tratto italico,poi è una lunga planata suPianboglio. Un momento di disten-sione deliziata dal piccolo lago pre-cede la discesa nel Canaleccio, gra-ziosa vallecola che accompagna congentilezza sulla riva di Cogelago. Unvero fiordo alpino, dall’acqua blu-in-tenso che occhieggia tra i larici nellungo cammino sulla riva. Ed è Crampiolo, villaggio alpinod’oc. Sosta immancabile, deliziatadal verde dei prati e dagli aromi dipolente più o meno conce. Un rito,necessario per predisporre la gam-

ba e l’animo all’ultima mezzora dicammino. Devero è la meta.

GLI ITINERARI

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Toni Fa

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Presso l’Halsensee, salendo alla Binntalhütte

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ne dei Set frei, lungo pellegrinaggioche dal 1640 attraversa gli alpeggidel comune. La mulattiera prosegue tra terrazza-menti in parte coltivati. Superata laCappella dell’Arvina e un breve trat-to esposto si arriva a Seppiana, “pae-se delle castagne”, dove ha sede lachiesa primordiale della ValleAntrona e dove, ogni anno a fine lu-glio, si svolge la tradizionale proces-sione Autani di San Jacam. Si prose-gue tra le case del 1500 e, superati gliabitati di Camblione e San Rocco, sigiunge a Viganella, comune delParco dell’Alta Valle Antrona dove siapprezzano belle case con archi. Fratutte Casa Vanni, mirabile esempiodi recupero architettonico.Viganella, borgo un tempo fiorenteper il commercio di vino e olio. Lacoltivazione della vite prosegue peròtutt’oggi e il risultato è un apprezzatovino Doc: “Vigne di pietra”, ottenutoda vigneti di pinot nero. Passata lacappella della Madonna del Bisan,opera del pittore vigezzino Borgnis,si giunge in località Rivera, dove unavariante al percorso consente di sali-

re a Bordo, villaggio che insieme aCheggio è stato recuperato dalla co-munità buddista ed è oggi luogo dispiritualità. Scesi a Ruginenta si attra-versa la zona di lavorazione del ferroe si giunge a San Pietro, già sede diun laboratorio per la lavorazionedell’oro, attività un tempo comune aiborghi di Prabernardo e Locasca.Entrati nel Comune di Antrona, or-mai nell’alta valle, è imperdibile unasosta nel borgo di Rovesca, dove am-mirare sulla facciata dell’oratorio unpregevole affresco di San Cristoforo.Premessa ad Antronapiana (borgocapoluogo) sono anche le cappellesul perimetro dell’antica chiesa sepol-ta dalla grande frana del 1642, tragicoevento che modificò il paesaggio del-la vallata e causò la morte di 92 per-sone (il paese fu ridotto in povertà). Antronapiana, il paese delle noci,ma soprattutto paese che da il no-me alla valle e al suo parco. A cen-tro paese, da non mancare la visitaalla chiesa che ospita le prezioseopere dello scultore GiulioGualio. Termina la prima giornatadi cammino.

SSi parte da Villadossola, si sale adAntrona, quindi, lungo la Valle delTroncone si sale al Cingino e al Passodi Saas, a lambire l’aria rarefatta dei“tremila”. Si scende poi nella Valle diSaas a Saas Allmagel.Questa in poche parole la StradaAntronesca. Poche parole, ma moltipassi attraverso paesaggio, natura estoria. Pur non raggiungendo l’im-portanza della via del Sempione, of-

frì per diversi secoli una buona alter-nativa, tanto che nel secolo XVI lafiera annuale del bestiame diMacugnaga fu trasferita aVilladossola, nell’attuale Piazza IVNovembre, alla confluenza dellaStrada Antronesca con la StradaFrancisca. Ed è di qui che si può ini-ziare il cammino.

Primo giornoSi attraversano i borghi di VillaVecchia, apprezzando il valore arti-stico della seicentesca Chiesa dellaNoga. Giunti al Boschetto si lambi-scono i resti del primo insediamentoumano dell’Ossola: Varchignoli, conmuri e scale megalitici (possibile vi-sita al Centro di Consultazione del si-to megalitico). Boschetto è anchepunto di arrivo della Via dei Torchi edei Mulini che unisce la ValleAntrona con il Sacro Monte Calvarioe la Val Bognanco. Ancora un brevetratto su strada asfaltata, poi si pren-de la mulattiera che scende al pontedi Cresti, in una zona un tempo ani-mata da diversi mulini. A Cresti, fra-zione di Montescheno, accoglie icamminatori il murales sulla facciatadel municipio, opera di pittori locali. Montescheno è il cuore agricolo del-la Valle Antrona: i mulini e i forni so-no ancora funzionanti e, ogni anno,a giugno, si svolge la sagra della se-gale. Tradizioni vive insomma, comeconferma anche l’annuale processio-

La Strada Antronesca

Renato Boschi e Toni Farina

GLI ITINERARI

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Dalla Piana del Toce alla Valledel Rodano

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Sosta di gruppo a Casa Vanni, a Viganella

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Sulla Strada Antronesca

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Vie Storiche dell’OssolaLa Strada Antronesca fa parte di un progetto di recupero delle vie che dal LagoMaggiore portavano a nord agli alti passi verso la Svizzera. Un progetto non possibilesenza il certosino e fruttuoso lavoro di ricerca di archivio condotto da vari studiosi apartire dalla seconda metà del 1900, che ha portato alla luce un patrimonio di grandevalore storico. A sancire questo lavoro, a ottobre 1996 è stato inaugurato il primo trattodella Strada Antronesca (da Villadossola ad Antrona), ripristinata dalla Sezione CAI diVilladossola, seguito ad agosto 1997 dai successivi tratti (salita al Passo di Saas e discesa aSaas Allmagel). Le Vie Storiche dell’Ossola hanno fatto parte del progetto Interreg“Itineralp”, formalizzato nel 1999. Ora sono inseriti nei progetti Interreg PSR e Vetta.

La Strada Antronesca in pillolePercorso adatto a ogni buon camminatore. A parte eventuali disagi dovuti alla quota (sisfiora quota “tremila”) non vi sono difficoltà. La prima tappa alterna mulattiere a trattidi strada asfaltata e si può classificare T (turistico). Si cammina in zone abitate dovenon mancano punti di appoggio e ristoro. Nelle altre tappe prevale invece l’altamontagna. Anche qui però mulattiere e sentieri ben segnati rendono agevole ilcammino (grado di difficoltà E, escursionistico). Disagio può derivare dai limitati posti

Secondo giornoEsordio con agevole salita al Lago diAntrona, formato dallo sbarramentodella citata frana del 1642. Bei trattidell’antica mulattiera conducono nel-la Valle del Troncone allo sbarramen-to che forma il Lago di Campliccioli:inizia la parte “alpina” del cammino.Attraversato il muraglione della diga sicosteggia l’invaso fino alla croce diGranarioli. Si prosegue in compagniadel Torrente Troncone (prima dellafrana del 1642, Torrente Ovesca) ap-prezzando la limpidezza dell’acqua ele marmitte scavate nella roccia.Boschi di larici e pino mugo si alterna-no a radure di alpeggio: Casaravera,Lombraoro, con vista sulla spettacola-re cascata che scende dal terrazzo diLombraoro superiore. In ambiente piùalpino, attraverso boschi secolari diabeti, si guadagna lo sbarramento delCingino. Notte in bivacco, con spetta-colo gratuito offerto dagli stambecchiche esibiscono le loro doti di equili-brio sul muro della diga.

Terzo giornoSi va in alta montagna. Prima meta ilPasso di Saas, tetto della traversata(2839 m) che si raggiunge con cam-mino facilitato da buoni tratti dellastorica strada. Sosta immancabilepresso i ruderi della postazione dovenegli anni ‘60 sono state trovare mo-nete risalenti all’età romana.Notevole la vista sul gruppo deiMischabel e sulle vicine Punta Saas eStellihorn. Si scende nell’elvetica Saastal.Discesa lunga, ma anche qui facilitatada tratti ben conservati della vecchiavia. Prima di Saas Almagell, all’AlpeFurggu, si incontrano le prime baitein legno tipiche della cultura Walser.E il sottostante borgo di Furggstaldenoffre uno scampolo di tipica Svizzera:baite rimesse a nuovo, alberghetti, lachiesetta con il crocefisso in legno.Tradizione e modernità: alla “secon-da” appartiene la seggiovia per SaasAlmagell. Tradizione e modernità: aognuno la scelta.

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GLI ITINERARI

per il pernottamento al termine della seconda tappa: in bivacco con posti limitati a 12.Dal Passo di Saas è possibile proseguire su un nuovo sentiero segnalato che risale indirezione della Punta di Saas con tracciato molto panoramico. In 2,5 h di cammino e400 m di discesa si raggiunge l’arrivo di una seggiovia che scende poco sottoFurggstalden.Ritorno al punto di partenza: bus fino a Briga, poi treno a Domodossola e Villadossola.

Le tappe 1 Villadossola - Boschetto - Viganella - Antronapiana: 5,5 h; dislivello: 650 m; lunghezza:16,5 km.2 Antrona - Lago di Antrona - Lago di Campliccioli - Bivacco Cingino: 5 h; dislivello: 1400 m; lunghezza: 13,5 km.3 Bivacco Cingino - Passo di Saas (2839 m ) - Saas Almagell: 4,5 h; dislivello in salita:650 m; in discesa 1300 m; lunghezza: 13 km

Info:CAI Villadossola - www.caivilladossola.netProloco Valle Antrona - www.prolocovalleantrona.it

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Bivacco Cingino

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Torchi e mulini, piode e scaliniSi va tra le borgate della bassa ValBognanco. Dal centro storico di Domosi sale al Sacro Monte Calvario, dove siimbocca la “parte Bognanco” della Viadei Torchi e dei Mulini. Si va sul lato inombra della valle, alternando tratti dimulattiera a strade e sentieri. Dalla Cappella di Marisch si camminatra borghi sparsi, anima rurale diDomo. Motto, Croppo, Vagna,Maggianigo, capoluogo dell’antico co-mune, con la parrocchiale di SanBrizio, esempio di romanico ossolano.Una bella mulattiera porta quindi aCastanedo, dove si attraversa la valleper proseguire sul lato a solatio versoMocogna. Guadagnata quota nel boscosi giunge a Cisore e poi si prosegue incosta per Pregliasca e Monteossolano.Gruppo di case “confu-se” sul dirupato ver-sante meridionaledella Cima Lariè,Monte ossolano fu

per secoli comune autonomo, riferi-mento di borgate sparse fra i terrazza-menti coltivati a vigna fino a 800 metridi quota. Apprezzato lo splendido tor-chio restaurato si prosegue in piano,ancora su bella mulattiera, giungendoalla cappella della Madonna delDagliano. Superato un rio che sprofon-da in forre e marmitte, su un bel pontead arco il sentiero sale quindi ripido epoi in costa verso gli edifici rurali di CàMonsignore. Bognanco, le sue terme e isuoi piccoli villaggi sparsi, è vicino.Diverse le possibilità di riposo nottur-no. Nell’ordine: Bognanco fonti, SanLorenzo (capoluogo), Graniga, Gomba.

La Via del MosceraCambio di ambiente. Dalle latifogliealle conifere dell’alta valle. Lasciato ilsolco principale con il TorrenteBorgna, si sale sulla destra orograficadi una valletta laterale, su un buonsentiero fra larici, abeti e radure d’al-peggio.

nell’alta valle su vasti altopiani, tra laghiche non ci sono più e altri che ancorariflettono i monti. Valicato il Monscerasi cala nella Zwischbergental (Val diVaira), valle fra le più isolate dellaSvizzera, accolti a fine giornata daGondo e dalla sua torre. Gondo e lesue gole, “profonde e terribili”, cheschiudono la via per Simplon Dorf eper il Simplonpass. Una notte nel na-poleonico ospizio precede la lungadiscesa a Briga: i camminatori sullamulattiera, i guidatori sulla via diasfalto, alti sul ponte di Ganter. Duemodi di viaggiare di questotempo. Il primo è il piùmoderno.

Stockalperweg

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Castello Stockalper a Briga

Alessandro Pirocchi e Toni Farina

GLI ITINERARI

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La via del Roi du Simplon

Da Domodossola a Briga attraverso ilPasso del Sempione sulle tracce delBarone Kaspar Jodok vonStockalper, “le Roi du Simplon”. “Summo Plano” per i romani, a 2005metri di quota, il Simplonpass costi-tuisce il valico più agevole fra ilVallese e l’Ossola. Sul colle finiscono le Pennine e ini-ziano le Lepontine. Ma le possibilitàdi camminare su queste montagnesono infinite. La Stockalperweg con-duce fra storia e paesaggio: daDomodossola si va sulla Via delMonscera, in Val Bognanco, valledelle cento cascate, dapprima su mu-lattiere in villaggi di pietra, quindi

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La prima meta è l’oratorio di SanBernardo (XVII sec.), il più elevato diBognanco, a 1600 metri in splendidaposizione su un ripiano della costadella Varda. L’alta Val Bognanco sve-la le sue credenziali e il cammino siallunga in una successione di alto-piani, fra pascoli e torbiere. Usciti dallariceto, il Lago Ragozza impone unasosta di contemplazione, con l’oc-chio in bilico fra il Monte Leone chefa capolino dall’ampia sella delMonscera e il Monte Leone riflessonell’acqua limpida. Poco oltre, ada-giato nell’ennesima conca, sta ilRifugio Gattascosa, dove si proseguesu invitanti pendii verso il vicino, in-vitante colle.Passo del Monscera, 2103 m, puntopiù elevato della traversata.Weissmies e Fletschhorn si mostranoimprovvisi, compensando dall’altodei “4000” glaciali la presenza in-gombrante del traliccio dell’alta ten-sione. Varcato il crinale, accoglie icamminatori la Zwischbergental, ap-partato angolo di Svizzera montana.Guadagnato in rapida discesaZwischbergen, si segue il lungo fon-dovalle che sbuca nella Val Divedroall’altezza della strettoia di Gondo.Attraversato infine il TorrenteDiveria sul Pont des Sapins si giungenell’abitato. Tipico borgo di frontiera, Gondo dàil benvenuto ai camminatori con lasua massiccia torre fatta edificare dalBarone Stockalper. Un’altra tracciadel Roi du Simplon.

Al SimplonpasDove le Alpi cambiano nome. Ma laqualità del loro ambiente non cam-bia, e offre opportunità fin dalla par-tenza mattutina. Un esordio di gior-nata ”adrenalinico” nelle spettacolari

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gole, su un sentiero attrezzato conpasserelle e ponti sospesi. Usciti dalla “terribile” Gondoschluchtsi attraversa il torrente e si giunge allaAlte Kaserne (già caserma napoleoni-ca), i cui locali ospitano una mostrasulla storia del Sempione: “quattroepoche” di transiti. Altre occasioni diconoscenza offre Simplon Dorf allaAlter Gasthof, sede dell’ecomuseo.Prati e lariceti accompagnano poi al-l’antico alpeggio di Egga e più in altoall’ospizio fatto costruire daStockalper nel 1670. Infine, l’ultima salita della giornataconduce ai duemila metri del colle edell’Ospizio Napoleonico dove sipasserà una notte assolutamente intema.

A BrigaNiente fretta, i dintorni del colle of-frono più ragioni di interesse. Poi èsoprattutto una lunga discesa. Il pri-mo tratto conduce al fondovalle, aTaferna, con i resti dell’osteria co-struita a fine 1600. Altri 500 metri diplanata tra abeti rossi e ontani verdiconducono poi a Grund, alla con-fluenza del Taferna con ilGanterbach, dove apprezzare un belfienile del 1459. A Grund si interrompe la discesa perrisalire ai 1300 metri dell’AlpeSchallberg. È l’unica salita della giornata, “pre-miata” dall’incontro con la canaliz-zazione che fin dal 1200 consentedi irrigare i campi di Termen eRied. Segue da ultima la lunga di-scesa a Briga, costeggiando la goladella Saltina e toccando vari sob-borghi. Arrivo al seicentesco ca-stello fatto costruire dal Roi duSimplon: il modo migliore di con-cludere il cammino.

Stockalperweg in pillole Ideata nel 1995 in occasione del ripristino della seicentesca mulattiera tra Briga e Gondo,promossa dalla Fondazione svizzera “Ecomuseo del Sempione“, la Stockalperwegcostituisce uno dei dodici percorsi storici di interesse nazionale del Paese dei Cantoni. La mulattiera fu fatta costruire nel XVII secolo dal Barone Kaspar von Stockalper per ilcommercio del sale. Il percorso originario percorreva sul versante italiano la Valle di Varzo,ma il tracciato è stato in parte compromesso dalle infrastrutture. Per dare continuitàall’itinerario si è pertanto deciso di arrivare a Gondo salendo la Val Bognanco lungo la Viadel Monscera e, valicato l’omonimo passo, scendere in Svizzera lungo la Zwischbergental(il primo tratto coincide con la parte meno nota della Via dei Torchi e dei Mulini; segnavia D0).Partenza da Domodossola, o dal Sacro Monte Calvario, dove Stockalper visse alcuni anniin esilio contribuendo con le sue finanze alla costruzione del santuario. Itinerario privo didifficoltà tecniche, ma di discreto impegno per lunghezza e dislivelli. Adatto quindi acamminatori allenati. Quattro le tappe base, con numerose possibilità di soste intermedieed eventuale utilizzo dei bus di linea (postale giallo svizzero). Ritorno: Briga e Domodossola sono ben collegate dalla linea ferroviaria internazionaleMilano-Berna.

Le tappe 1 Domodossola - Graniga (1100 m): tempo 5 h; dislivello in salita 1050 m; lunghezza 13 km.2 Graniga - Passo del Monscera (2103 m) - Gondo (855 m): tempo 7 h; dislivelloin salita 1250 m; lunghezza 17 km.3 Gondo - Passo del Sempione (2005 m): tempo 6 h; dislivello 1160 m; lunghezza 18,5 km. 4 Passo del Sempione - Briga: tempo: 6,5 h; dislivello in salita 250 m, in discesa1550 m; lunghezza 14 km.

InfoUfficio turistico Domodossola, www.prodomodossola.itClub Alpino Italiano sez. Villadossola, www.caivilladossola.netSimplon Tourism, www.simplon.ch, www.simplon-trekking.ch.

GLI ITINERARI

Al Passo del Sempione

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Storia e preistoria Con tranquillo cammino in costa nelbosco si giunge al villaggio, a 600metri di quota sul versante delMoncucco. Tappia potrebbe deriva-re da “tappa” o “tapa”, vocaboli indi-canti i ripiani terrazzati che inter-rompevano i ripidi versanti dellamontagna. Un villaggio molto anti-co: una pergamena nell’ArchivioCapitolare di Novara porta la data 12novembre 1001 e descrive Tappiacome un abitato già di rilevante im-portanza. Alcune case ben conserva-te sono anteriori al XV secolo e rico-noscibili dai giganteschi stipiti in pie-tra. Il borgo conserva ancora le struttu-re comunitarie dell’economia agricoladi villaggio: un forno per la cottura delpane, una macina per spremere l’oliodi noci e un torchio da uva del 1776.Si prosegue tra vigneti verso l’AlpeMaianco inferiore. Quindi, attraversa-to il Rio dell’Inferno, si giunge aSogno, forse la più antica frazione diVilladossola. Anche qui, un torchioda uva e una fontana con lavatoio la-sciano immaginare ritmi e fatiche digenti montanare, testimoniati da unpiccolo museo. Testimonianze anco-ra più antiche si incontrano dopo circa20 minuti a Varchignoli, importante si-

to megalitico e punto di incrociocon la Strada Antronesca.

Prossima meta? Ognunoscelga per sé, le an-

tiche strade os-solane non

pongono limiti.In ogni casoVillados sola èvicina.

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Anzuno: visita all’antico torchio da uva

Domodossola è una cittadina di contra-sti. Contrasto fra l’aspetto postindustria-le, frutto dell’espansione disordinata deldopoguerra, e il centro storico, ben con-servato e oggetto di cure che hanno rida-to dignità al borgo medioevale. Ma so-prattutto il contrasto tra il congestionatofondovalle e l’ambiente delle montagneintorno. Ed è il fondovalle, vicino e insie-me lontano, che fa da sfondo alla cam-minata sul lato destro della valle, daDomo a Villa (d’Ossola) tra boschi di ca-stagno e borghi di pietra appesi al pen-dio. Tra torchi, mulini e altri segni delmondo rurale, sopravvissuti e, in parte,recuperati.

Torchi e mulini di ieri, vigne di oggiDa Domodossola si sale al Sacro MonteCalvario lungo la storica e ombreggiataVia Crucis. Un breve tratto suasfalto conduce poi a Crosiggia(altro possibile punto

di partenza), dove una ben conservatamulattiera si inoltra tra i terrazzamentiche ospitano una delle produzioni piùimportanti di “prunent”, l’antico vitignoossolano di nebiolo. Passate alcune bai-te e una strada asfaltata, si guadagnaquota nel bosco per uscirne nei pressidell’Oratorio di Anzuno, in posizionepanoramica sulla Valle del Toce. Entrati nelle strette viuzze acciottolatedel villaggio, si giunge a un forno per ilpane ancora funzionante e a un grandetorchio da uva a leva, collocato in unedifico del XVIII secolo. Un segno dellapassata, florida economia agricola, co-me i resti dei mulini sul vicino rio RioAnzuno (o Rio dei Mulini). Si prosegue fra i castagni verso la Cappelladell’Oro (dove “oro” sta per bordo, ciglio),punto panoramico e nodo di confine fra

comunità rurali. Prossima me-ta Tappia, frazione di

Villadossola.

La Via dei Torchi edei Mulini

La Via dei Torchi e deiMulini in pillolePer tutti e per tutte le stagioni,inverno compreso. Anzi è spessoproprio l’inverno a offrire condizionipropizie. Il percorso descritto è inrealtà solo una parte del sentierosegnalato con tale denominazione:dal Sacro Monte Calvario parte unaltro tratto meno noto che risale labassa Val Bognanco e coincide conla parte inferiore della ViaStockalper.Ritorno. Da Villa a Domo in treno.Oppure ancora a piedi con alcunevarianti al percorso di andata: tornatisui propri passi a Tappia, si proseguesu antiche mulattiere scendendo aValpiana, quindi a Gabi Valle eRogoledo, risalendo poi a Quartero,Crosiggia e, infine, al Sacro MonteCalvario.

In sintesiDomodossola – Varchignoli: dislivello295 m; tempo: 3 h. Partendo dal Sacro Monte: dislivello190 m; tempo: 2,30 h.Ritorno a piedi via Tappia e Valpiana,tempo 2,30 h.

Paolo Pirocchi

GLI ITINERARI

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Sosta all’Oratorio di Anzuno

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fra i più significativi della zona (pre-senta una trentina di coppelle). Poco amonte, un enorme masso erratico,sempre in pietra ollare, ancor oggi uti-lizzato come scivolo dai bambini, eragià citato nel 1843 come “Sasso dellaLissera”, ossia “Sasso della scivolata”,ed era forse usato dalle donne comescivolo propiziatorio della fecondità.

Segni del passato, loghi per il presenteEcomuseo e parco nazionale sono ac-comunati dal logo, un’incisione supietra ollare: un cruciforme il primo,un alberiforme il secondo. Il crucifor-me, logo dell’Ecomuseo, si trovaall’Alpe Pianzà, sui monti sopraMalesco, dove sono presenti anchemassi con incise coppelle e date (lapiù antica risale al 1656). Partenza dal-la strada per Finero e Cannobio. Incorrispondenza di una cappella parteil sentiero M16 per La Cima (1810 m).Lo si segue dapprima tra boschi e pra-ti passando da Pianezza e Piaschetta,quindi su un panoramico crinale checonduce alla Cappella del Group.L’Alpe Pianzà, da tempo abbandona-to, si trova poco a valle della cappella,in un piano erboso dove, secondoleggenda, si radunavano le streghe.Molti dei massi presenti sono incisi,in particolarequelli vicinialla sorgenteche sgorga su-bito a valle delpiano.Ormai abban-donato è anchel’Alpe Sassoledo(1532 m), doveci sono gli alberi-formi che hannoispirato il simbolodel parco. L’alpe si

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trova sui monti di Trontano (all’im-bocco della Valle Vigezzo) e si rag-giunge con una deviazione da un sen-tiero che conduce in Val Grande attra-verso la Colma di Basagrana. DallaFrazione Verigo una strada sterratascende al ponte sul Rio Margologio eprosegue in salita fino a incontrare unevidente sentiero che si stacca sulladestra. Attraversati i binari dellaVigezzina (attenzione!), il sentiero sa-le ripido tra fitti boschi. Passato l’AlpeErta, prosegue su un costone per usci-re sui pascoli dell’Alpe Roi. Infine, su-perati tratti esposti sul fianco dellamontagna, raggiunge i due nuclei diSassoledo, ai piedi del Pizzo Marcio.Le incisioni si trovano sulla pareterocciosa a ridosso del nucleo superio-re e su due massi più a valle.

IIn Ossola la pietra è predominante. Le rocce conservano segni incisi dallegenti che abitarono queste montagnefin dall’antichità. Messaggi del passatoaffidati soprattutto alla pietra ollare,localmente detta Leuzerie, una varietàdi serpentino, tenera e quindi ben la-vorabile, ma molto resistente agliagenti atmosferici e quindi in grado diconservare incisioni antiche.La pietra ollare era utilizzata già inepoca preromana per ricavare pesi datelaio e fusaiole. In età imperiale si ot-tenevano recipienti, le olle, adatti allacottura dei cibi, come è tramandato daPlinio il Vecchio e confermato da ri-trovamenti in molte vallate alpine.Dello stesso materiale è la testa scolpi-ta di San Pietro in Dresio, a Vogogna,un Apollo celtico del III-II sec. a.C.La “capitale” della pietra ollare èMalesco, in Valle Vigezzo.

Nei dintorni di Malesco…… una passeggiata alla scoperta dellapietra ollare. Esordio fra le vie del bor-go, fra begli esempi di architettura vi-gezzina, mentre gli affreschi di chiesee oratori ricordano che ci troviamonella “Valle dei Pittori”. Si può partiredal Museo archeologico del Parco ValGrande, che ospita una sezionedell’Ecomuseo della pietra ollare e de-gli scalpellini. Seguendo via Trabucchisi giunge in via Roma dove si incontrauna fontana con incisa la data 1863:scavata nella pietra ollare. La vascaparrebbe un sarcofago di età tardo-ro-mana riutilizzato, purtroppo privo diiscrizioni che lo confermino.Seguendo la via si lascia l’abitato e sigiunge al Rio Secco dove, poco primadel ponte, all’ombra di una pecceta, alato della strada che un tempo attra-versava la valle, vi è un masso inciso

I sentieri della pietra ollareIl palazzo dell’antica pretura di Malesco, oggi Museo archeologico del Parco Val Grande

GLI ITINERARI

Fabio Copiatti In sintesiUna semplice passeggiata, un’ora dicammino e poche decine di metri didislivello: queste le caratteristiche delcammino da Malesco al massocoppellato del Rio Secco. Ben altroimpegno richiedono invece le saliteall’Alpe Pianzà e ancor più all’AlpeSassoledo, dove il sentiero non èsegnato con continuità e presenta un

tratto esposto. Alpe Pianzà:quota 1570 m; dislivello 800m; tempo di salita 3 h.Alpe Sassoledo: quota 1540m; dislivello 1050 m; tempodi salita: 3,5 h.

Info:Parco nazionale ValGrande, tel. 0324 87540,[email protected] “ed leuzerie”e di “scherpelit”, tel.0324.92444,[email protected]

56L’incisione cruciforme dell’Alpe Pianzà

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La natura

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Una distesa di neve fresca, intonsa.Abeti rossi bianchi di neve. Un paesag-gio immobile nel suo candore. È il so-gno di ogni sciatore o, per essere ag-giornati, di ogni free rider. Quel pen-dio immacolato tutto per lui, l’essenzadella libertà.Ma, come ricorda Samivel, la “tua” li-bertà finisce dove inizia la libertà altrui. Compresi piante e animali. Per i qualinon si tratta tanto di libertà quanto divita, non facile, soprattutto nella sta-gione della neve, quando le risorse lati-

tano e risparmiare energie è l’impera-tivo assoluto. Vita del fagiano di mon-te ad esempio, che non gradisce quelleimprovvise e violente i intrusioni neicespugli di rododendro, sua dimorainvernale, che lo costringono a fughefuori programma con conseguente di-spendio di preziose energie. Altro non chiede che tranquillità e si-lenzio. Sensibile abitante dei sottobo-sco d’alta quota, il fagiano di monte èuno dei protagonisti del breve viaggionella biodiversità dell’Ossola.

Nel quale si legge che la specie Homosapiens non sempre è un fattore nega-tivo, anzi, si deve alla sua secolare atti-vità agricola e pastorale la creazionedi ambienti semi-naturali essenzialiper la vita di molte specie, animali e ve-getali. E per questo sono ambienti dapreservare: come i prati da sfalcio diCrampiolo, a Devero, o i castagneti diTrontano e Godo.In rapporto “contraddittorio” con glielementi antropici è il gufo reale, chenelle aree urbane trova cibo, ma anche

pericoli. Nessun compromesso inveceper Erebia christi, piccola farfalla cheha trovato sulle impervie montagne os-solane quell’isolamento che ne permettela sopravvivenza. La rassegna si chiude con il colore gial-lo intenso del tulipano di Grengiols,(Tulipa grengiolensis). Giunto nel pic-colo borgo vallesano allo sbocco dellaBinntal come pianta da ornamento, siè ben adattato e oggi, scomparso dailuoghi di origine, sopravvive solo lì, sin-golare esempio di biodiversità.

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Ambiente Parco nazionale Val Grande

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L’L’Ossola è un angolo di Piemonteche racchiude nel raggio di pochichilometri, tra le rive del LagoMaggiore e i ghiacciai del MonteRosa, una grandissima ricchezza dispecie e di ambienti naturali. Vastearee montane ben conservate sonocaratterizzate da un patrimonio natu-rale importante, che comprende co-spicue popolazioni di animali tipicidegli ambienti alpini quali la pernicebianca dal piumaggio mimetico e ilfagiano di monte dal volo fragoroso,oltre a specie non presenti altrove inEuropa, quale la farfalla Erebia christi.

Foreste a perdita d’occhioGrandi aree boscate rivestono i ver-santi dell’Ossola, favorite dalle ab-bondanti precipitazioni dicui beneficia questo set-tore delle Alpi. I boschisono infatti tra gli am-bienti che maggior-mente colpiscono ilvisitatore in cerca diquiete e di natura inqueste valli . Boschi dilatifoglie alle quoteinferiori e di coniferea quelle superioriammantano un’im-portante parte diterritorio, ospi-tando specievegetali e ani-mali di gran-

de pregio. Partendo dalle quote piùbasse, nel fondovalle del FiumeToce, le golene presentano boschirelitti ripariali con salici bianchi epioppi neri (ad esempio in corrispon-denza dell’Oasi WWF del BoscoTenso, a Premosello Chiovenda), do-ve è possibile incontrare il piccolopicchio rosso minore, simile nel com-portamento e nelle dimensioni a unacincia, e il rigogolo dal canto flautatoe dal piumaggio giallo-oro. I versantivallivi sono invece caratterizzati davaste e fitte foreste di latifoglie (quer-ce, castagni, frassini, faggi) che dan-no ospitalità al picchio nero, il piùgrande picchio europeo, e alla rosa-lia alpina, un bel coleottero di coloreazzurro e nero piuttosto raro nell’ar-co alpino. Si tratta di due specie chetestimoniano l’importanza di gestire i

sistemi forestali secondo criterinaturalistici: la loro vita è in-

fatti legata alla presenza dialberi vecchi di grandi

dimensioni. Da segnalare anche

la presenza dellabella Apatura

iris, una ele-gante farfal-

la dai co-lori

iridescenti. Begli esempi di ha-bitat forestali di questo tipo so-no presenti in particolare nelParco nazionale Val Grande,noto come la più grande area“wilderness” delle Alpi. Allequote più elevate le latifogliesono via via sostituite dalleconifere: abeti rossi, abeti bian-chi e larici. questo il regno delle mi-nuscole cince (mora, dal ciuffo e al-pestre) e dei loro principali predatori,lo sparviere e l’astore, due rapacidiurni abili in particolare a volare an-che tra le fitte chiome degli alberi. Tra i mammiferi legati agli ambientiforestali si segnalano cervo, capriolo,tasso, martora, faina e, alle quote piùbasse, la ben più rara puzzola. Negliultimi anni vi fanno capolino di tantoin tanto, dopo decenni di assenza,singoli esemplari di lupo e di lince,provenienti dalla vicina Svizzera.

Grandi praterieI pascoli alpini caratterizzano le testa-te delle vallate laterali e rappresenta-no uno dei paesaggi più apprezzatidall’escursionista “d’alta quota”.

Vaste estensioni di praterie sono pre-senti nelle alte valli Bognanco,Antrona e Formazza, ma soprattuttocostituiscono l’elemento distintivo,anche sotto il profilo storico, delParco naturale dell’Alpe Veglia edell’Alpe Devero. Sono ambienti im-portanti per varie specie di farfalle digrande pregio quali Erebia flavofa-sciata e la citata Erebia christi. Tra imammiferi si segnalano il camoscio elo stambecco, oltre alla marmotta,presente con numerose colonie. L’Ossola ospita anche importantiestensioni di prati da fieno, sia in am-bito montano che di fondovalle, ha-bitat pregiati sia per la ricca faunache per specie floristiche rare digradevole aspetto quali Tulipa au-stralis e Orchis ustulata.

Biodiversità nell’Ossola

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Fabio CasaleSopra: pernice bianca; a lato una puzzola

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Brughiere, arbusteti e lande alpineI versanti montani meglio esposti alsole presentano aree a brughiera,ambiente d’elezione per il succiaca-pre, una specie dalle abitudini cre-puscolari e assai difficile da osserva-re, ma la cui presenza è spesso tradi-ta dal caratteristico canto, simile aun trillo prolungato. Si tratta di unaspecie minacciata a livello europeoe presente come nidificante in alcu-ni settori ossolani ben soleggiati. Nel fondovalle del Toce sono presen-ti zone di arbusteto costituite da spe-cie spinose quali crespino, bianco-spino e rosa canina, utilizzati per lanidificazione dall’averla piccola e,occasionalmente, dalla bigia padova-na, mentre i saliceti arbustivi riparialisono frequentati soprattutto dai pic-coli passeriformi durante le loro mi-grazioni. Salendo di quota, gli arbusteti più dif-fusi sono senza dubbio i rodoreti, do-ve nidificano la bigiarella e la passerascopaiola, oltre al ben più noto fagia-no di monte, i cui maschi si fronteg-giano in primavera in radure denomi-nate “arene”, emettendo “soffi” udibi-li da lunga distanza.

NATURA

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Il programma comunitario LIFE Il programma LIFE (acronimo di L’Intrument Financier pour l’Environment)rappresenta il principale strumento finanziario utilizzato dalla CommissioneEuropea per attuare gli indirizzi di conservazione della biodiversità previsti dallaDirettiva Habitat 92/43/CEE e dalla Direttiva Uccelli 2009/147/CEE.I progetti LIFE finanziano interventi significativi e pluriennali a favore della tuteladell’ambiente. In Ossola sono stati realizzati due progetti LIFE, entrambi legatisoprattutto alla gestione di ambienti prativi, attuati con il coinvolgimento diretto,tramite concessione di incentivi, di aziende agricole locali che hanno partecipatoall’esecuzione di buona parte delle azioni. Il Progetto LIFE Natura “Alpe Veglia e Alpe Devero: azioni di conservazione diambienti prativi montani e di torbiere”, realizzato nel parco omonimo, ha ottenutoriconoscimenti a livello internazionale quale esempio di progetto di conservazionedella biodiversità nell’arco alpino. Il progetto è stato incentrato su ambienti prativiin buono stato di conservazione grazie alle tradizionali attività agricole legateall’allevamento bovino, e in particolare alla produzione di formaggi di ottimaqualità, tra i quali spicca il rinomato Bettelmatt, prodotto solo in pochi alpeggi traalta Valle Formazza e Alpe Devero. Si tratta di habitat che ospitano una flora assairicca e diversificata, che dà vita a una vera e propria “esplosione” di colori alloscioglimento delle nevi. Tra le specie più pregiate si segnalano alcune orchidee,quali la nigritella e l’orchidea sambucina, oltre all’astro alpino. Il Progetto LIFE Natura “Fiume Toce: conservazione di ambienti ripariali a favoredell’avifauna nidificante e migratoria” è stato invece realizzato nel SIC “Greto deltorrente Toce tra Domodossola e Villadossola” e ha portato al miglioramento dihabitat prativi, boschivi e ripariali a favore di specie di uccelli, pesci e pipistrelli. Inquesta zona sono in particolare estese le superfici di prati da fieno, che dannoospitalità a un’importante popolazione nidificante di averla piccola, un passeriforme untempo molto comune in tali ambienti, ma da alcuni decenni in declino in tutta Europa.Grazie al coinvolgimento delle aziende agricole locali, la realizzazione del progetto haperò favorito un significativo incremento nel numero di coppie nidificanti. Interventi di ripristino hanno riguardato anche le acque del Toce, dove sonopresenti varie specie di pesci, alcune delle quali di elevato interesse per laconservazione, quali trota marmorata, barbo canino e lampreda padana.

Corsi d’acqua e torbiereUna zona ricca di specie di pregio,vero e proprio hot spot di biodiversi-tà, è costituita dal tratto planiziale delFiume Toce. La significativa presenzadi uccelli, pesci e chirotteri rari è allabase del suo inserimento fra i siti del-la Rete Natura 2000 europea. Lungo le sponde del Fiume Toce ni-dificano due uccelli dallo splendidoed esotico piumaggio: il martin pe-scatore e il gruccione. Questi uccel-li scavano cunicoli al termine deiquali creano una “camera” che fun-ge da nido, al riparo dai predatori. I numerosi torrenti ossolani sono in-vece abitati dal merlo acquaiolo, ingrado di cibarsi di piccoli inverte-brati camminando sott’acqua comeun palombaro, e dal gambero d’ac-qua dolce, entrambi ottimi indicato-ri di buona qualità delle acque. Le valli sono ricche di laghi e di tor-biere d’alta quota. Si tratta di am-bienti con equilibri ecologici assaidelicati, dove vive il raro tritone al-pestre (in Ossola si trovano gli unicisiti di presenza noti in Piemonte) epiante acquatiche di pregio comel’insettivora Drosera rotundifolia.

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Lampreda padana Femmina di stambecco

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Rete Natura 2000 in OssolaÈ composta da 7 SIC – Siti di ImportanzaComunitaria designati secondo laDirettiva Habitat 92/43/CEE e 9 ZPS –Zone di Protezione Speciale designatesecondo la Direttiva Uccelli2009/147/CEE. Quasi tutti i SIC (6 su 7)ricadono all’interno di ZPS.Alle quote inferiori sono presenti la ZPS“Fiume Toce” (che comprende il SIC“Greto del torrente Toce traDomodossola e Villadossola”), la ZPS“Lago di Mergozzo e Mont’Orfano” e ilSIC e ZPS “Fondotoce”. In queste aree èl’acqua l’elemento caratterizzante, l’acquadel Fiume Toce e del Lago di Mergozzo,

ma anche quella dei canneti dovetrovano rifugio molti uccelli, sia nidificantiche in migrazione (di particolareimportanza il sito di Fondotoce).Salendo di quota, nella fascia montanasono presenti il SIC “Boleto – MonteAvigno”, la ZPS “Alte Val Strona e ValSegnara” (che comprende il SIC“Campello Monti”) ed il SIC e ZPS “ValGrande”. Qui è il bosco di latifoglie afarla da padrone, con superfici continuemolto estese e di grande pregio naturale.Nella fascia alpina si trovano la ZPS“Monte Rosa”, comprensiva dell’Oasifaunistica di Macugnaga. la ZPS “Alta ValFormazza” (che comprende l’omonimoSIC), che presenta ambienti calcarei

ricchi di flora (in particolare nei pressidel Lago Kastel), la ZPS “Alte valliAntrona e Bognanco” e il SIC e ZPS“Alpi Veglia e Devero - Monte Giove”,che comprendono le omonime areeprotette e zone limitrofe di elevatovalore. Si tratta di aree in cui trovanomassima espressione gli habitat alpini,come le torbiere, tra le più importantidel Piemonte e confinanti con areeprotette elvetiche: il Parco della Binntale l’istituendo Parco del Locarnese.Si configurano in tal modo condizioni dicontinuità ecologica essenziali per laconservazione e la gestionesovranazionale degli habitat e dellespecie naturali.

ZPS – Zone di Protezione SpecialeIT1140001 FONDO TOCE IT1140004 ALTA VAL FORMAZZA IT1140011 VAL GRANDE IT1140013 LAGO DI MERGOZZO EMONT’ORFANO IT1140016 ALPI VEGLIA E DEVERO –MONTE GIOVE IT1140017 FIUME TOCE IT1140018 ALTE VALLI ANTRONA EBOGNANCO IT1140019 MONTE ROSA IT1140020 ALTA VAL STRONA EVAL SEGNARA

SIC – Siti di Importanza ComunitariaIT1140001 FONDO TOCE IT1140003 CAMPELLO MONTIIT1140004 ALTA VAL FORMAZZA IT1140006 GRETO TORRENTE TOCETRA DOMODOSSOLA EVILLADOSSOLAIT1140007 BOLETO – MONTE AVIGNOIT1140011 VAL GRANDE IT1140016 ALPI VEGLIA E DEVERO –MONTE GIOVE

Orchis Ustulata e Tulipa australis.

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La splendida torbiera sul sentiero da Crampiolo all’Alpe del Sangiatto

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L’L’Ossola è un viaggio verso il cuoregeologico delle Alpi. Partendo dalLago Maggiore e risalendo la Valledel Toce, si attraversano rocce via viapiù antiche, fino a toccare con manoil nucleo più profondo della catenaalpina. L’“Elemento Zero”, conosciu-to anche come “Cupola diVerampio”, affiorante in ValleAntigorio presso Maiesso, tra Premiae Baceno. In tutte le Alpi accade soloqui: un’esclusiva geologica che testi-monia in modo perfetto la peculiaritàdel territorio ossolano.

Rocce antichissimeL’Ossola è in effetti un esempio unicoper visualizzare la sovrapposizionedi falde (le grandi strutture geologi-che che costituiscono le Alpi) impila-te le une sulle altre nel corso dell’EraMesozoica e dell’Era Terziaria.Queste falde sono formate da roccemolto antiche che costituivano il ba-samento di un oceano esistente oltre230 milioni di anni fa. L’avvicinarsilento e in tempi lunghissimi della zol-la africana a quella europea diede poiinizio, circa 60 milioni di anni fa, allaformazione della catena alpina.L’enorme forza e l’energia sprigiona-te dalla loro spinta causarono il solle-vamento del fondo dell’antico mare,accavallando gli strati delle rocce edei sedimenti preesistenti con le roc-ce più recenti, in un processo duratomilioni di anni.In questo processo le rocce si sonotrasformate a causa delle enormipressioni e delle elevate temperaturecui furono sottoposte, permettendocosì la formazione di una grandequantità di tipi all’apparenza similiper l’occhio inesperto, ma in realtàcaratterizzate da associazioni di mi-nerali differenti, che hanno permesso

ai geologi di ricostruire le dinamichedella formazione delle Alpi.

“Ossola minerale”Il titolo di un libro curato dal prof.Aldo Roggiani, ossolano, già profes-sore di scienze al Collegio Rosmini diDomodossola. Un titolo che ben sin-tetizza un’altra peculiarità di questoterritorio: la straordinaria ricchezza diminerali. Pubblicato nel 1975, il testoillustra con dovizia le caratteristichegeologiche e mineralogiche dellevalli ossolane, elencando più di 250specie minerali diverse, alcune uni-che al mondo.Graniti, peridotiti, scisti, marmi, cal-cefiri, anfiboliti, granuliti, micascisti,paragneiss, ortogneiss, calcari, dolo-mie e serpentiniti… sono solo alcunedelle tipologie di rocce che si incon-trano in questo territorio. Ciascuna diesse è formata da minerali caratteri-stici che permettono di classificarlacon estrema precisione. Ma nonmancano i casi rari, talvolta addirittu-ra unici.Le aree più interessanti per la presen-za di specie minerali differenti e per i“casi unici” sono l’Alpe Devero (inparticolare le pendici del MonteCervandone) e la Val Vigezzo.Mineralogisti esperti hanno identifi-cato e classificato circa 300 tipi di mi-nerali differenti: dai comuni quarzi,miche e feldspati, per passare a diop-side, calcite, epidoto, titanite, emati-te, pirite, rutilo, cianite, orneblenda,fino ai rarissimi cafarsite, cervandoni-te, gasparite, paraniite, fetiasite, vi-gezzite. Grande ricchezza e altre rari-tà si ritrovano anche oltre confine,nella Binntal, in Canton Vallese, doveè possibile dedicarsi alla ricerca eraccolta sotto la guida di un cercatoreesperto. Con una simile varietà di

L’Elemento Zero

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Enrico Zanoletti

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Nel profondo delle Alpi

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Il Pizzo Diei visto dal Monte Cistella

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specie sono in pratica presenti quasitutti gli elementi chimici conosciuti,associati tra di loro in una possibilitàquasi infinita di combinazioni, spes-so estremamente complesse. Oltre alnumero di minerali differenti, stupi-sce l’appassionato il fatto che moltospesso questi minerali si presentanonel loro habitus tipico, ovvero perfet-tamente sviluppati nella loro formageometrica caratteristica, raggiun-gendo talvolta dimensioni di centi-metri se non addirittura di decimetri.Come nel caso di quarzi e feldspati,all’interno di geodi nelle masse grani-tiche. I minerali rari e unici hanno in-vece misure microscopiche o quasi.

Pietre, cave, miniereParlando di Ossola, il termine “mi-nerali” fa subito pensare a questi al-tri termini, correlati anche sotto ilprofilo storico. Fin dalla più remotaantichità nelle vallate ossolane fu-rono infatti coltivate miniere e l’atti-vità mineraria e quelle a essa legate,come la fusione e la lavorazione deimetalli, costituivano forse l’unicaalternativa all’emigrazione stagio-nale, determinata dalle scarse risor-se derivante dall’economia agricolae pastorale.Antichissime sono le miniere d’oro.La conoscenza e lo sfruttamento diuna vasta zona mineraria nelle valliAnzasca e Antrona è fatta risalire aiLeponzi (IV-I sec a.C.). Seguirono iromani e, soprattutto dal secolo XIVin poi, il Ducato di Milano. A partiredal 1700 il settore minerario auriferoprese slancio, divenendo un trainoper l’intera regione.Nel corso del XVIII e XIX secolo si in-tensificarono le ricerche per aprireminiere d’argento, rame, ferro e altriminerali. Molti tentativi andarono pe-rò falliti. Fra le ragioni, i tenori troppo bassi diminerale utile nella roccia, la man-canza di mezzi finanziari sufficientiper i lavori preliminari e, non trascu-rabile, le difficoltà legate al sito stes-so, di non facile accesso e lontanodalle grandi vie di comunicazioneper il trasporto del materiale trattato.Inoltre, per attivare una miniera convantaggio e su larga scala occorreva-no ingenti capitali sia per i lavori discavo che per l’edificazione degli sta-bilimenti per la trattazione del mine-rale. Impegni fronteggiabili solo daforti società di azionisti, con persona-le competente, conoscitore delle tec-nologie.

Marmo, serizzo, piodeSono vallate indipendenti quelledell’Ossola, con una storia “mine-raria” piuttosto complessa. Per ne-cessità di sintesi, da nord a sud visi possono individuare quattroaree minerarie principali, perestensione o per importanza. InValle Antigorio, nei comuni diCrodo e Viceno, la miniera di quar-zo aurifero dell’Alfenza, a Gondo,in Val Divedro, al confine italo-svizzero, le miniere di pirite aurife-ra, in Valle Antrona le miniered’oro del Mottone. Infine, in ValleAnzasca, la valle del Monte Rosa, igiacimenti auriferi più cospicui,800 ettari ripartiti fra sette conces-sioni minerarie.Tutto ciò è ormai storia: in Ossolaoggi non ci sono più miniere in atti-vità. Una storia iniziata con l’oro econ lo stesso, lucente metallo termi-nata: ultime a chiudere, nel 1961,sono state le miniere aurifere diMacugnaga. I costi di estrazione e ditrasporto del materiale erano trop-po elevati per generare un ritorno

economico positivo. Negli ultimianni, società straniere hanno com-piuto rilevamenti e campionamentiin diverse aree ex-minerarie, per sti-mare le risorse ancora presenti, masenza alcuna prospettiva di riaper-tura dell’attività.Discorso opposto per il settoredelle cave per l’estrazione di mate-riale lapideo da costruzione. La grande varietà di rocce ha infat-ti permesso di individuare diversimateriali di grande pregio per ilcomparto edilizio.L’eccellenza è rappresentata dalmarmo di Candoglia, frazione diMergozzo, estratto esclusivamenteper interventi di restauro di guglie estatue del Duomo di Milano. Ma oc-corre citare anche il granito biancodi Montorfano, il marmo grigio diOrnavasso, il marmo palissandro diCrevoladossola, le quarziti e i seriz-zi della Valle Antigorio, della ValFormazza, del Sempione e dellaValle Anzasca. Per non dire dellebeole, o piode, distribuite in tuttal’Ossola.

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Per conoscere i mineralidell’Ossola:A Crodo il Museo mineralogicoossolano “Aldo Roggiani e AngeloBianchi”A Premia il Museomineralogico “Don GiovanniBonomo”. A Domodossola il Museo diScienze naturali del CollegioMellerio RosminiA Piedimulera la Lithoteca“Giorgio Spezia”A Malesco Sezionearcheologica del Museo della pietra ollare (Parco Val Grande).

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L’Elemento Zero: Marmitte dei Giganti a Maiesso, in Valle Antigorio

Giancarlo Parazzoli

Giancarlo Parazzoli

Quarzo fume e rose di ferro

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UIIsolarsi in un ambiente estremo. Unbuon metodo scelto da molte specie,animali o vegetali, per difendersi daipericoli dovuti al moderno stile di vitaumano.La specie in questione è Erebia christi,una piccola farfalla diurna: 3,5 cm dimassima apertura delle ali di coloremarrone-rossastro. L’ambiente estre-mo coincide invece con un areale mol-to limitato tra l’Ossola e il Vallese, doveè denominata “farfalla mora delSempione”. Microambienti compresitra 1500 e 2100 metri di quota, inacces-sibili pareti rocciose dove germoglia-no piccole graminacee del genere fe-stuca, nutrimento esclusivo dei suoibruchi. Ed è questo ambiente difficileda raggiungere ad averla salvata dal-l’assalto dei collezionisti, dopo il pri-mo ritrovamento avvenuto in Vallesenel 1882.Difficile, ma non al punto da fermare il“progresso”: nel 1982 gli interventi col-legati alla trasformazione in carrozzabiledella strada di fondo valle dellaLaggintal, luogo delprimo ritrovamento,distrussero gli habi-tat a bassa quotadella piccola far-

falla, mettendo così a repentaglio la suasopravvivenza. Per fortuna non eranoquesti gli unici biotopi in cui era pre-sente. Qualche anno prima fu infattirinvenuto un esemplare lungo la stra-da che da San Domenico sale all’AlpeVeglia, nell’omonimo parco naturale.Altri ritrovamenti sono seguiti al Lagodi Agaro e in Val Bognanco, ma so-prattutto nei parchi naturali dell’AlpeDevero e dell’alta Valle Antrona.In queste zone dal 2003 al 2005 le ri-cerche hanno portato all’osservazio-ne della farfalla in vari siti e la conse-guente stesura di una mappa più pre-cisa del suo areale ne faciliterà la tute-la e la conservazione. Erebia christi è uno dei lepidotteri piùrari d’Europa e per questa ragione èentrata di diritto nella lista delle spe-cie protette dall’Unione Mondiale perla Conser vazione della Natura e nellaDirettiva Habitat dell’Unione Euro -pea. Inoltre è stata inserita nelProgetto Life Natura “Alpe Veglia eAlpe Devero: azioni di conservazionedi ambienti prativi montani e di tor-

biere”. Per le Aree protet-te dell’Os sola una bel-la responsabilità.

Un galliforme legato ai climi freddi.Sulle Alpi predilige gli ambienti domi-nati da arbusti di rododendro e mirtillotipici del limite superiore delle foreste.In Ossola è diffuso ovunque sia presen-te questo habitat. Le popolazioni piùnumerose si incontrano sui versanti me-no acclivi, come nel caso dell’AlpeVeglia e Alpe Devero o dell’alta ValBognanco.È una specie poligama, quindi caratte-rizzata da un forte dimorfismo sessuale:il maschio ha un piumaggio appariscen-te, nero con riflessi bluastri su collo e so-praccoda, mentre la femmina ha unacolorazione molto più mimetica. L’aspetto forse più caratteristico di que-sto uccello di indole piuttosto elusiva èlegato alle parate nuziali in primavera.Tra aprile e maggio i maschi si radunanoall’alba in particolari aree (dette arene dicanto, o lek) per combattere tra loro. Icombattimenti hanno lo scopo di difen-dere un territorio di dimensioni molto ri-dotte e, al termine, le femmine scelgonodi accoppiarsi col maschio che difende

il territorio più centrale rispetto agli altri.Insieme alla capacità di non farsi preda-re, la vittoria costituisce per le femminegaranzia di buon patrimonio geneticoda trasmettere alla discendenza. Gli adattamenti fisiologici consentono alfagiano di monte di sopravvivere neldifficile ambiente alpino anche durantegli inverni più rigidi. La specie è infatti ingrado di utilizzare alimenti assai poveridal punto di vista nutritivo quali gemmedi larice e pino montano, riducendo alminimo il dispendio energetico.L’interesse che il fagiano di monte rive-ste dal punto di vista della conservazio-ne deriva dalla sua sensibilità ai muta-menti ambientali dovuti sia all’abbando-no delle attività zootecniche tradiziona-li, sia al “disturbo” antropico legato al tu-rismo invernale. Recenti ricerche hannotra l’altro evidenziato come la specie siasensibile non solo alle alterazioni indot-te dalla presenza di stazioni sciistiche,ma anche alla diffusione di attività al-l’apparenza innocue, quali lo sci alpini-smo e l’escursionismo con le ciaspole.

Erebia christi

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Paolo Palmi

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Fagiano di monteRadames Bionda

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CChi sale frettoloso da Briga verso ilGoms, con molta probabilità riservapoca attenzione al cartello indicante“Grengiols”, piccolo paese a 1000 me-tri di quota, discosto dal fondovalle. A maggio però le cose cambiano: mol-ti seguono l’indicazione e salgono i 15chilometri di strada per arrivare lassù,attirati da un evento particolare: la fio-ritura del tulipano.Cinquecento abitanti, tipiche case val-lesane di legno di larice, Grengiols faparte del Parco naturale della Binntal.La sua “fama” è dovuta appunto a que-sto fiore, che richiama più l’Olandache la Svizzera. E se particolare èl’evento, non da meno è la storia delfiore stesso. Scoperto il 26 maggio1945 dal botanico Eduard Thommen,Tulipa grengiolensis (il nome scientifi-co) discende quasi certamente da unaspecie di origine ignota, introdotta inpassato insieme ad altre specie esoti-che. Un passato lontano, visto che lo-calmente la specie è detta “tulipanodei romani”.

In Vallese il tulipano si è ben adattato,al punto da diventare specie endemica. Una vera rarità botanica, la cui soprav-vivenza è strettamente legata alla colti-vazione tradizionale della segale ver-dina-autunnale. Durante l’araturad’autunno i bulbi laterali-secondari delfiore vengono separati e distribuiti nelcampo. Nella primavera successiva itulipani fioriscono tra la segale insiemead altre erbe spontanee (se però i cam-pi sono coltivati in primavera il tulipa-no scompare).Per tutelare il fiore è nata un’appositaassociazione (Tulpenzunft) e la sezio-ne vallesana di Pro Natura ha acquista-to un campo per coltivarvi la segale.Il tulipano presenta tre varietà di diver-so colore: giallo, a righe rosse e gialle erosso. Prima a fiorire sullaChalberweid, solatia collina sopra alpaese, è la varietà gialla. Un appositosentiero (Tulpenweg) consente diammirare lo spettacolo con unabreve passeggiata adanello.

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Tulipano di GrengiolsAndreas Weissen

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Gufo realeRadames Bionda

in febbraio e i giovani diventano indi-pendenti a fine agosto. Per buona par-te di questo tempo l’unico a cacciarein famiglia è papà gufo, mentre lamamma rimane nel nido a vigilare.Per questo motivo, il buon esito dellacovata è dipende dalla disponibilità diprede di adeguata “pezzatura” suffi-cientemente numerose nelle imme-diate vicinanze: se le prede sono trop-po piccole, papà gufo deve compieretroppi viaggi per sfamare i piccoli,mentre se sono troppo grosse il tra-sporto diviene difficoltoso.Quasi tutte le ricerche condotte sull’ar-co alpino hanno evidenziato come ladieta dei giovani gufi reali dipenda so-prattutto da specie antropofile, comeratto, riccio e piccione domestico, chenell’Ossola formano quasi il 70% delladieta. È questa la ragione per cui la

quasi totalità delle coppie cono-sciute sul territorio ossolano èconcentrata lungo il fondovalle.Vivere a contatto con l’uomoha però dei “costi” molto eleva-ti. Ogni anno, molti gufi realimuoiono fulminati su tralicci, ur-tando i cavi delle linee elettri-che, oppure scontrandosi con-tro veicoli e altre strutture artifi-ciali. Una mortalità che talora

non è compensata dal numero digiovani che riesce a sopravvivere sino

alla riproduzione. Il rischio è di assistere in

molte zone a un decli-no della specie.

L’Il più grande rapace notturno euro-peo. Una specie molto adattabile, chesi incontra in una grande varietà diambienti aperti o semiaperti, dal livel-lo del mare alle praterie alpine. Un cacciatore implacabile, in grado dicatturare prede che vanno dalle di-mensioni di un coleottero a quelle diun grosso rapace. Tuttavia, non si puòdire che sia una specie comune. Peruna coppia di gufi reali, infatti, alleva-re una covata di giovani è piuttosto im-

pegnativo. Leuova sono

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ÈAAl contrario dei laghi di montagna

dalle acque cristalline, le torbiere(come stagni e paludi) sono state permolto tempo sinonimo di malsano.Nei luoghi meno accessibili alcuni diquesti ambienti si sono però conser-vati e oggi si rivelano preziose riservedi biodiversità, con una ricca varietàdi organismi specializzati.Una torbiera è un ecosistema in cui,per particolari condizioni idriche elegate al suolo, la sostanza organicaprodotta dai vegetali non si decom-pone, ma tende ad accumularsi. Siforma così la torba, deposito organi-co scuro, povero di elementi nutritivi. L’Ossola presenta una notevole ric-chezza di questi ambienti, in partico-lare nelle aree subalpine e alpine del-le valli Antrona, Bognanco, Devero,Formazza. Si tratta di torbiere di altaquota, in gran parte “torbiere basse”,legate a suoli umidi con falda freaticasuperficiale. Vi si sviluppano soprat-tutto comunità di ciperacee, carici in

particolare. Sono fortemente condi-zionate dalle caratteristiche chimichedelle acque e del substrato roccioso.Gli ampi altipiani su substrato calca-reo, tipici di gran parte delle valli os-solane, determinano un’elevata pre-senza di torbiere basse “alcaline”, ca-ratterizzate dalla presenza di associa-zioni vegetali quali il cariceto a Carexdavallianae (carice di Davall).Catturano in particolare l’attenzionea inizio estate le profumate distese diPrimula farinosa, cui seguono le fio-riture delle piccole tajole (Tofieldiacalyculata), o della candida parnas-sia (Parnassia Palustris).Caso unico in Piemonte è la presenzasignificativa di specie tipiche delletorbiere “alte”, sfagni e muschi, in gra-do di alzare il livello vegetale rispettoalla falda idrica, grazie a condizioniclimatiche di accentuata umidità.Queste zone ospitano vere rarità, co-me Carex pauciflora, o Drosera ro-tundifolia, piccola pianta insettivora.

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È a partire dall’epoca romana che, permolteplici motivi, l’uomo ha favorito ladiffusione del castagno a scapito dellavegetazione forestale originaria.Innanzitutto l’albero (Castanea sativa)era prezioso per il suo frutto, la casta-gna, che costituiva un’importante fon-te alimentare invernale, tanto da giusti-ficare l’appellativo di “albero del pa-ne”. Le castagne prodotte dagli alberida frutto innestati, gli arbul, ma anchedagli esemplari selvatici, erano consu-mate in diversi modi: cotte, lessate, es-siccate e sbucciate venivano mangiatecon il latte, oppure erano trasformatein farina usata per preparare diversi ci-bi, tra cui anche il pane. Il legname delcastagno era utilizzato per produrretravi, paleria per le vigne, staccionate ecome legna da ardere. Oggi questi usi,sebbene ancora in parte praticati, han-no perso importanza, ma il castagno ri-mane una specie forestale di grandevalore. È un’importante pianta mellife-ra e i suoi boschi assolvono tutte le

funzioni che si riconoscono alla fore-sta, come la protezione idrogeologicadei versanti, l’arricchimento del paesag-gio e della biodiversità. In considera-zione di tali valenze il castagneto ap-partiene all’elenco degli ambienti tute-lati dalla Direttiva “Habitat” dell’Unio -ne Europea.Nei boschi dell’Ossola, tra 200 e 1000metri di quota, il castagneto occupa unposto di rilievo. Nelle diverse forme digestione (ceduo, fustaia, piantagioneda frutto) ricopre una superficie di ol-tre 3000 ettari. Le formazioni più estesesi trovano in bassa Ossola, a valle diDomodossola.In diverse zone è possibile ammirarearbul di carattere monumentale. Tra ipiù noti gli esemplari situati pressol’Alpe Lut, sul versante Toce del Parconazionale Val Grande. Altri alberi no-tevoli si osservano nel territorio dei co-muni di Trontano e Druogno (Fraz.Orcesco), Montecrestese e Crodo(Fraz. Maglioggio).

Il castagnetoEdoardo Villa

La torbieraPaolo Pirocchi

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Torbiera in alta Val Bognanco

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tralicci, necessità dell’evo modernoche, invasive e prepotenti, hanno mo-dificato molti sky line ossolani, alter-nandosi alle cime dei monti e alle chio-me dei larici. Dal Toggia ai Sabbioni,sul Passo del Monscera e sul SanGiacomo. I cavi appesi solcano il cielodi un “paesaggio elettrico”, carico dienergia, ma altre “energie” hanno neisecoli solcato l’aria di queste valli.Eteree e sfuggenti, ma in grado di spin-gere persone a migliaia a camminaredall’alba al tramonto, salmodiandosui monti. Un paesaggio sacralizzato,

punteggiato dalla necessità di ingra-ziarsi il cielo, di respingere paure, difarsi amico il futuro.Ma il sacro, è noto, non è mai disgiun-to dal profano e l’Ossola non fa certoeccezione, anzi, ne è significativa con-ferma. E allora non si può non conclu-dere la rassegna con un’incursione nelterritorio del gusto. Gusti riscoperti, co-me il formaggio di capra di Cicogna,nel Parco nazionale Val Grande, e ilmiele gustoso di fragranze floreali.Come legno e pietra stanno spesso in“equilibrata” unione.

Abitare

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Legno e pietra, pietra e legno. Sono que-ste le due principali “variabili materia-li” che accompagnano la presenzaumana sulle Alpi. L’Ossola non fa certo eccezione, anzi,ne è significativa conferma. Legno epietra alternati in equilibrate e funzio-nali soluzioni. E spesso sommersi dallaneve, come nel caso della bella imma-gine di Crampiolo. Il legno dei tronchisovrapposti e intrecciati delle case diSalecchio, villaggio Walser sul versantea solatio della Valle Antigorio. E deitronchi di larice brunito da secoli di so-

le di Mühlbach, villaggio museo-vivonel Parco naturale della Binntal, inVallese. La pietra della incredibileScala di Ragozzale, tagliata nella pio-da per consentire il transito degli ar-menti. E quella delle strade Antronescae dell’Arbola che ancora oggi agevola-no il cammino dei viaggiatori dell’alpe. Il legno delle staccionate poste a delimi-tare il cammino dal pascolo. Soggetti diricerche pittoriche, di composizioni fo-to-grafiche. Legno e pietra, pietra e legno. Ma è infi-ne arrivato il ferro. Quello dei grandi

Inverno generoso a Crampiolo (Parco Alpe Devero)

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Grazie ai loro valichi, i montidell’Ossola, ovvero le Alpi Pennineorientali e Lepontine occidentali, so-no sempre state “terre alte” permea-bili al transito di uomini, merci e cul-ture. All’Alpe Veglia, ad esempio, so-no stati rinvenuti i resti di un accam-pamento temporaneo di cacciatorinomadi della preistoria. Montanari di diecimila anni fa, cac-ciatori di camosci e stambecchi chefornivano carni e pelli, ma anche cer-catori di cristalli di quarzo con cuicostruire armi e utensili. Quella lon-tana esperienza umana è oggi rac-

contata nel moderno ArcheomuseoMultimediale di Varzo. La civiltà deiLeponti, gli antichi abitanti in etàprotostorica della regione, è invecedocumentata nelle collezioni ar-cheologiche del Museo delPaesaggio di Verbania. Essi svilup-parono una propria civiltà nel IMillennio a.C. (età del ferro) inun’area comprendente il CantonTicino, il Verbano, l’Ossola e l’AltoVallese. A Dresio di Vogogna una te-sta in pietra ollare raffiguraVerkos/Belenos, divinità locale legataai culti dell’acqua e della vegetazione.

Colonne di muli sugli alti colliSe la frequentazione dei valichi osso-lani nell’antichità è certa, anche seancora poco documentata, è con ilrifiorire dell’economia mercantilenel Basso Medioevo che i passi alpi-ni assumono rilievo strategico per ilflusso di merci tra l’Italia e l’Europacentrale. Sulle Alpi l’attività che af-fiancò l’allevamento sugli alpeggi fula someggiatura, il trasporto con ani-mali da soma delle merci in transitosui valichi. Un esempio significativoè fornito dal Passo del Gries, a 2479metri di quota tra la Val Formazza el’Alto Vallese che costituì per cinquesecoli la via più diretta fra la pianuralombarda e la Svizzera centrale. Da Milano a Berna, dal Mediterraneoalle pianure dell’Europa centrale, at-traverso il Gries transitarono uomini,merci, idee. Fu una strada commer-ciale, una carovaniera percorsa dalunghe file di muli. Da nord scende-vano bestiame, pelli e formaggi (lo“sbrinz” dell’Oberland bernese), maanche prodotti di lusso come i cri-stalli di Engelberg. Da sud salivano ilvino dell’Ossola, le granaglie, il saleprodotto sulle coste italiane. Una grande carovaniera necessitavadi un’accurata manutenzione: il ripri-stino del selciato dopo le nevicate in-vernali, il taglio delle valanghe pri-maverili, la verifica continua di pontie passerelle. Una manutenzione daeffettuarsi su entrambi i versanti alpi-ni: per questo il 12 agosto 1397, aMunster, capoluogo del Goms(Vallese), si riunirono i rappresen-tanti dell’Ossola e della ValFormazza con quelli della città diBerna, dell’Abbazia di Interlaken,delle comunità dell’Hasli e del Gomsper firmare una convenzione che ga-rantisse il comune impegno nel-

l’apertura di una strada commercialetra Milano e Berna. Una grande vianel cuore dell’Europa. Tra l’altro, ilPasso del Gries è ancora oggi è unodei pochi valichi storici sulle Alpi anon essere percorso da strade, masolo da un’antica mulattiera.Altre vie storiche passavano sulMonte Moro a Macugnaga, sul Passodi Saas in Valle Antrona, sul PassoSan Giacomo in Val Formazza (il“Monte di Valdolgia” dei documentimedioevali) e sulla Bocchettad’Arbola, o Albrunpass, in Devero,che conserva ancora bei tratti selciatisia nella Valle di Binn che nei dintor-ni del colle. Nel XIII e XIV secoloquesti valichi “alti” furono percorsidai coloni walser che costituironocomunità rurali alla testata delle vallialpine. È però il Sempione, con lasua storia millenaria e le sue “tre stra-de”, romana di Summo Plano, secen-tesca di Stockalper e napoleonica, arappresentare il ruolo nevralgico diquesta terra nello scacchiere euro-peo. Il Sempione si apre a oltre due-mila metri di quota tra le AlpiPennine e Lepontine e permette iltransito tra la Pianura Padana e laValle del Rodano, consentendo cosìl’accesso alle grandi pianure e cittàd’Europa.Kaspar Jodok Stockalper (1609-1691), figlio di mercanti di origineitaliana, fu “le roi du Simplon”. Unprotagonista della storia ossolana euno dei principali commerciantid’Europa (parlava cinque lingue).Fece costruire una strada mulattieralarga tre metri attraverso il valico e ladotò di soste e locande, come la tor-re di Gondo, il palazzo a Briga e unospizio sul colle. Nel 1634 ottenne ilmonopolio del servizio postale traMilano e i Paesi Bassi che funzionò

Ossola, terra di confine,terra di transiti

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ABITARE

Paolo Crosa Lenz

Trekking someggiato alla Bocchetta d’Arbola

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per 170 anni, al quale si aggiunse nel1648 il monopolio per il commerciodel sale. Si pensi che a metà del ‘600lavoravano sul Sempione ben due-cento mulattieri.

“Pour fair passer le cannon“I cannoni di Napo leone Bona parte. Fu per permettere il loro passaggioche “l’Empereur des Français” fececostruire sul Sempione a inizio ‘800una strada carrozzabile. Fu la primastrada carrozzabile moderna traccia-ta sulle Alpi e suscitò l’entusiasmodella borghesia europea, tanto da es-sere paragonata a opere come le pi-ramidi o i giardini pensili di Nabuco -donosor.Il servizio regolare di carrozze e dili-genze postali che vi transitava permi-se agli intellettuali europei dell’Otto -cento di iniziare il Grand Tourd’Italie. Nel 1906 fu inaugurato il tra-foro per il collegamento ferroviariotra Milano e Berna, un’impresa inge-gneristica epica che tuttavia segnò ilparziale tramonto del Sempione co-me valico strategico.

Altre vie, costruite per altri scopi sitrovano sia sui monti della Valle delToce e dell’Ossola, sia sulle verdicolline alle spalle del Lago Maggiore.Vie che offrono la possibilità di leg-gere una pagina importante dellastoria del primo ‘900. Trincee e cam-minamenti che rimandano alla primaguerra mondiale, quando questimonti furono fortificati per difendereil confine nord dell’Italia a ridossodella Svizzera. Nel Verbano enell’Ossola esse coprono un dislivel-lo di 2000 m tra la piana del Toce e ilMonte Massone e fra il LagoMaggiore e il Monte Zeda. Furonocostruite tra il 1916 e il 1918 in fun-zione difensiva a fronte di un even-tuale attacco austro-tedesco attraver-so la Svizzera. L’insieme delle operemilitari prende il nome di “LineaCadorna” dal generale Luigi Cadornache fu capo di stato maggiore del-l’esercito italiano fino al 1917.Tra il settembre 1943 e l’aprile 1945l’Ossola visse pagine grandi nella sto-ria della Resistenza italiana. La vici-nanza con la Svizzera, terra di rifugio

per perseguitati politici e razziali, il ri-lievo economico delle centrali idroe-lettriche e la presenza di industriebelliche “sfollate” fecero di questaterra di confine un luogo strategiconello scacchiere della Guerra diLiberazione. I valichi alpini si nobili-tarono come simboli delle “monta-gne di libertà”. L’insurrezione diVilladossola, il sacrificio di FilippoMaria Beltrami, il rastrellamento delgiugno 1944 e l’eccidio di Fondotoce,l’esperienza liberatoria e salvificadella Repubblica dell’Ossola furonomomenti costitutivi del riscatto e diuna nuova identità nazionale. Ma lastoria anche recente dei valichidell’Ossola non è solo storia di guer-ra: la raccontano due torrioni rocciosialti una cinquantina di metri a guar-dia del Passo delle Balmelle, in ValDivedro, a 2300 metri di quota: il

Pizzo Zucchero e Pizzo Caffè.Toponimi curiosi, accettati dalla car-tografia e indicati nelle guide alpini-stiche, che evocano e richiamanol’epoca e il mondo del contrabbando. Un’attività illegale svolta per secolida “uomini di frontiera” in una terradi frontiera come l’Ossola, incuneatanella Svizzera.Gli “spalloni”, così erano chiamati icontrabbandieri, hanno proseguito iloro viaggi di confine fino agli anni‘70 del secolo scorso, permeando inmodo profondo la memoria storicadelle genti ossolane. La loro è unastoria di valichi alti e bocchette sco-nosciute, sentieri impercettibili e fati-che notturne, lunghe marce nella ne-ve tra il pericolo delle valanghe.Avventure ammantate di leggenda,sotto un “sole zingaro” e una “lunapallida e tenue”.

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Statua dell’aquila sul Passo del Sempione

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Sul Passo del Gries

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Un paesaggio sacralizzato

crucis e i santuari isolati, l’elemento diconnotazione sacralizzante.

Radici lontanissimeIl processo di simbolizzazione (o “sa-cralizzazione”) si perde nel tempo: sipensi solo a interventi quali le incisio-ni rupestri, o alle rocce levigate sullequali scivolavano le donne secondoun rito propiziatorio di fecondità, dal-le chiare origini pagane. Radici eredi-tate e adattate dalla religiosità popola-re, in rapporto dialettico con la reli-gione cattolica e le sue imposizioni ri-tuali, con riti e immagini proprie, co-munque sempre riconducibili alla vo-lontà di contrassegnare con la spiri-tualità devozionale i luoghi e le stradedella fatica, del commercio, dei colle-gamenti extralocali, finanche dei peri-coli o dei terrori.La realizzazione di manufatti della fe-

de concorre ad armonizzare lospazio inteso come un bene co-

mune di primaria importanza.Cappelle, oratori, edicole

ed effigi parietali natespesso per ex voto edevozione fami-

Quanta fatica c’è voluta, quella di in-tere generazioni, per fare più intimi isentieri montani, costruire una bellez-za diffusa che tiene insieme minutielementi architettonici di spontaneitàdevozionale con territorio e natura.Una “appariscenza” che impronta lanostra viabilità alpina, che forma il“senso comune” di molti tracciati epercorsi che oggi definiamo “escur-sionistici”.Al pari di tutte le terre di mezzo e del-le terre alte, anche l’ambito geograficoossolano - e i parchi che ben ne rap-presentano la matrice ambientale -presenta, nel palinsesto del paesaggioinsediato, una chiara connotazione“sacrale”. Non a caso si è teorizzato diun “paesaggio sacralizzato”: un trattodistintivo di tracciati, viabilità, alpeggi,nuclei abitati, poggi e belvedere. Delresto, più in generale, va riconosciutocome nella formazione del pae-saggio culturale alpino, il pro-cesso di “simbolizzazione” delterritorio trovi nell’architetturareligiosa, nella sua dupliceespressione a tipologia tradizio-nale (chiesa pievana o parroc-chiale, cappella, oratorio, croceo cippo ed edicola votivi), o apiù articolate e pregnanti va-rianti scenografiche e paesaggi-stiche quali i sacri monti, le vie

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gliare non si identificano come unaemergenza monumentale solitaria,ma partecipano di un disegno com-plessivo, di un rapporto tra ambientenaturale e stile che fonda il proprio es-sere in relazione alle litologie dei suo-li, alle morfologie dei luoghi, alla loroorografia, alla rete della mobilità pe-donale, agli usi dei suoli, agli abitati.La diffusione territoriale di taleespressività devozionale è stata di re-cente documentata proprio in Ossolacon un rilevamento a tappeto sui 15comuni del fondovalle del Toce, dovesi sono censiste e schedate 599 cap-pelle.In analogia con altri territori alpini, isegni della devozione popolare sonoleggibili nelle aree di insediamentoprossime ai parchi, o nelle aree ditransizione verso le terre alte dellamonticazione estiva: affreschi sullefacciate delle case negli abitati perma-nenti e nei maggenghi, cappelle di di-versa fattura e titolazione, in prevalen-za a semplice edicola, con nicchie po-co profonde, specchiature laterali, eincorniciatura architettonica atimpano con copertura inpiode. Alla visibilità di questimanufatti, affiorantidal selciato del sentie-ro o radicati nella terradel pendio, si associa

la visibilità delle immagini votive, adiversa dedicazione, a formare un tut-t’uno sempre sotto gli occhi di coloroche si muovevano lungo le vie delpaese e i sentieri, attirando lo sguardoe inducendo, insieme alla sosta, unapreghiera e un segno della croce: “otu che passi per questa via … fermati edi’ un’Ave Maria” si legge su una cap-pelletta.Si tratta perlopiù di micro-architettureche intervengono nello spazio del vi-vere e dell’operare, divenendo ancheparti integranti di infrastrutture dellaviabilità. Il caso dell’edicola votivacon l’effige della Madonna di Re, po-sta a bipartire l’arco del ponte sul RioMargologio ai mulini di Verigo diTrontano, oppure la cappelletta detta“della Gora” (datata 1766 rappresentauna “Madonna del latte”), sulla mulat-tiera a precipizio che da Goglio sale aDevero, posta sotto una balma a for-mare un tutt’uno tra selciato e spio-venti rocciosi. O ancora, sull’erta salitadel Veglia, la Cappella del Groppallo,posta a segnare il netto cambio di pas-so dell’antica via di accesso all’alpe.

Il fenomeno devozionale testimo-nia inoltre di una produzione artisti-ca popolare connessa in modo in-

scindibile al territorio. La giaci-tura di strutture religiose mi-nori offre il supporto a unamesse di rappresentazioni fi-gurative pittoriche di epochesuccessive e di stili differenti:

tra le 599 cappelle censite si so-no documentate 32 diverse icono-grafie mariane e 78 di santi.

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Autani di Set Frei (Parco Alta Valle Antrona)

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L’Autani di Set FreiDella configurazione territoriale delsistema devozionale percepiamo oggisoprattutto gli aspetti legati al paesag-gio e all’architettura. Non si può peròtrascurare l’intreccio che essi hannoavuto con la vita e la quotidianità di in-tere generazioni, o espressione di co-munità quali pellegrinaggi, processio-ni e cerimonie religiose. Molte di quel-le che oggi percorriamo come “vieescursionistiche”, oltre che vie di lavo-ro e di fatica costituivano la trama dipercorsi di devozione e di pellegri-naggi dei quali, in molti casi, si è persamemoria. Fanno tuttavia eccezionepermanenze significative quale la pro-cessione dell’Autani di Set Frei, ovve-ro dei sette fratelli, la cui ricorrenza ca-de la terza domenica luglio. Il nome ri-corda la celebrazione della festa dei

Sette Fratelli Martiri, nonché le sette ci-me al cospetto delle quali si cammina,a cavallo fra le valli Antrona eBognanco. L’origine della processione è moltoantica, e risale comunque a prima del-la peste del 1640, alla quale la creden-za comune l’attribuisce come voto digrazia e protezione. Il termine “auta-ni” deriverebbe da una contrazionedialettale di litanie, cioè quelle pre-ghiere ripetitive e cadenzate recitate eanche cantate, nel corso della stessaprocessione. L’Autani di Set Frei è oggi la più lungaprocessione non solo dell’Ossola, madi tutte le Alpi. Prende avvio alle 4,30del mattino dalla Chiesa parrocchialedi Montescheno e con un percorso dioltre 20 chilometri supera ben 1600metri di dislivello. Una lunga giornatadi cammino che termina alle dieci disera con la celebrazione della messa aMontescheno. Un modo, faticoso, ma autentico ecoinvolgente, di ritornare allo spiritodi questi remoti segni di devozionesulle montagne ossolane.

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Il culto marianoAccanto alla onnipresenza dei santilegati al calendario delle attività edelle vocazioni della cultura conta-dina, è forte e prevalente la devo-zione alla Madonna, con molte e di-verse e specifiche dedicazioni (diCaravaggio, del Latte, del Rosario,di Loreto, dell’Addolorata, dellaCintura, del Boden), non a caso tut-te vicine al vissuto della popolazio-ne proprio per quello che la stessafigura di Maria rappresenta. Tra le specifiche dedicazioni moltodiffusa nelle valli ossolane è quellaalla Madonna di Re, dal nome dellalocalità vigezzina dove la sera del 29aprile del 1494, a seguito di una sas-sata lanciata contro l’immagine del-la Madonna del Latte posta sulla fac-ciata della chiesa parrocchiale, dalla

sua fronte cominciò a uscire delsangue che venne raccolto e vene-rato, insieme allo stesso affrescomariano (che da quel momento verràdenominato “Madonna del Sangue”)nei secoli a venire. Tale devozione si allargò non soloin tutta l’Ossola, ma anche in terrevicine e lontane, veicolata da pelle-grini e migranti. La diffusione di unastorica devozione dalle terre diVigezzo ai territori sia limitrofi checompresi nel Parco nazionale ValGrande, ha fatto sì che l’ente di ge-stione identificasse la Madonna diRe come propria patrona. Un caso unico in Italia, segno fattivodi una devozione che ha segnato ilterritorio e ha coinvolto in modoprofondo la vita della gente dellesue terre.

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Cappella a Genestredo (Parco Val Grande)

Chiesa della Noga a Villadossola

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“L’energia delle nostre cascate alpine,imprigionata nelle lunghe tubazioni,pulsante nelle poderose turbine, magi-camente trasformata in elettricità neglialternatori, questa energia noi l’abbia-mo sognata mentre percorre le vie se-gnate dal genio umano, lungo le reti disottili conduttori e l’abbiamo poi vistafata benefica, diventare luce, lavoro,calore, nelle borgate, nelle città popolo-se a mutarvi profondamente le condi-zioni dell’esistenza”.

Così Ettore Conti iniziava il 22 dicem-bre del 1924 una conferenza sul “pro-blema idroelettrico in Italia”, chiarendolo spirito positivo con cui si valutava la“colonizzazione idroelettrica” delle val-li alpine. Di questa colonizzazione ascala nazionale Conti era stato pionierein Ossola fin dal 1907, anno cui risalel’impianto di Foppiano, alla base della

Val Formazza. Ma nell’intuizione dellepotenzialità energetiche di questo lem-bo delle Alpi Conti era stato precedutodall’iniziativa di società locali che ave-vano realizzato impianti in ValleAntrona a Rivera nel 1898, in ValBognanco presso il Torrente Daglianonel 1901 e in Val Vigezzo, a Malesco,sfruttando le acque del torrente Loananel 1902. A queste era seguita nel 1904la ben più importante Società delleForze Motrici dell’Anza, antesignananello sfruttamento capitalistico delleacque del torrente omonimo con l’im-pianto di Piedimulera.Si trattava ancora impianti di modestedimensioni, nella struttura come nellepotenze, che captavano l’acqua diretta-mente dai torrenti con canali e poi, dapiccoli serbatoi, la facevano precipitareattraverso brevi condotte forzate sinoalle turbine. La loro realizzazione non

Ossola, “paesaggio elettrico”

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Stambecco climber sulla Diga di Cingino

Paolo Volorio

modificava in modo ampio il paesag-gio, anche per la localizzazione piutto-sto nascosta. Tuttavia, nell’impianto diPiedimulera una diga a porte mobili ca-pace di 94.000 metri cubi e un canale dioltre 6 chilometri di lunghezza avviava-no una scala diversa nella trasforma-zione “elettrica” del territorio, cheavrebbe avuto con la Società ElettricaConti ben altre dimensioni e ben altriimpatti sul paesaggio.

Codelago, la prima digaIl progetto di Conti era grandioso: “ilprimo esempio in Italia, e forse anchealtrove, di sfruttamento integrale di ungrande bacino imbrifero,”, ricordavanel suo “Taccuino”. Uno sfruttamentonon limitato alla semplice captazionedelle acque, ma fondato soprattuttosull’accumulo, sulla creazione di gran-di serbatoi ad alta quota, proprio inquella parte del territorio ossolano (ealpino) che più d’ogni altro era rimastointatto. I prodromi di questo ben defi-

nito progetto Conti li mostrò nell’im-pianto di Goglio, alla base dell’AlpeDevero, inizialmente (1910) alimentatosolo da una condotta di 500 metri disalto con presa sul torrente, ma pocodopo (1912) alimentata dalla prima di-ga ossolana: quella del lago diCodelago, invaso di “13.000.000 dimetri cubici” di cui “lo sbarramento haun’altezza di ritenuta di 14 metri”,spiegava con toni entusiasti UbaldoRossi sulla rivista “IllustrazioneOssolana”. Che ciò preludesse a un “si-stema” lo si vide pochi anni dopo(1914), con la grandiosa centrale diVerampio, forse la più potente del-l’epoca in Italia, alimentata dalle stesseacque per mezzo di un canale in galle-ria di oltre 7 chilometri. Quasi in con-temporanea la Dinamo realizzava l’im-pianto di Varzo, inizialmente captandol’acqua dal Cairasca, poi realizzando losbarramento del Lago D’Avino, sopral’Alpe Veglia, a 2234 metri di quota: losplendido lago, immortalato più volte

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L’Arbola si riflette nell’invaso di Coidelago

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dal pittore Federico Ashton veniva irri-mediabilmente trasformato.I decenni successivi avrebbero visto laprogressiva realizzazione del piano diConti e la graduale trasformazione delpaesaggio con la costruzione di impo-nenti invasi: se un rallentamento si eb-be nel corso della Prima GuerraMondiale, quando fu costruita la cen-trale di Crego con bacino di carico tuttosommato di ridotte dimensioni aPiedilago, presso Premia, gli anni ‘20videro il frenetico proliferare di cantierinell’alta Formazza. Del ‘22 è lo sbarra-mento del Lago Vannino con relativacentrale a Valdo, alimentata successi-vamente anche dagli sbarramenti delBusin e dell’Obersee. Dell’anno suc-cessivo è quella di Sottofrua, funzio-nante con le acque del Lago Kastel,ampliato con un imponente sbarra-mento. Queste acque, anziché essererestituite al Toce, finirono negli annisuccessivi in canalizzazioni sotterraneeper alimentare le centrali diCrevoladossola e Cadarese.

Antrona, una valle “idroelettrica”Cavalli, Campliccioli, Cingino,Camposecco: quattro imponenti di-ghe, alle quali va aggiunto l’amplia-mento dell’invaso del Lago di Antrona.Con questi interventi la Edison trasfor-mava il paesaggio della valle ossolana.Tutti gli impianti erano collegati allacentrale di Rovesca e, con canale sot-terraneo di oltre 14 chilometri, a quelladi Pallanzeno. Dopo Antrona fu la vol-ta di Formazza: assorbita la SocietàConti, negli anni ‘30 la Edison ampliòulteriormente il sistema del Toce-Devero con gli sbarramenti del Toggia,dei Sabbioni e di Morasco che avrebbe-ro colmato gli altipiani dell’alta valle.Contemporanea fu la costruzione dellaimponente centrale di Ponte.

Si trattava di lavori grandiosi dal puntodi vista ingegneristico ed esecutivo, af-fidati quasi tutti all’Impresa UmbertoGirola, visti dai contemporanei conspirito entusiastico. Ancora il Rossi:“gagliarda iniziativa”, “l’opera è vera-mente grandiosa!”, e così di seguito.Conti peraltro vedeva le sue centralicome una “corona di gemme” che im-preziosivano il territorio, e con questospirito e intento aveva incaricato dellaloro definizione progettuale un grandearchitetto quale il milanese PieroPortaluppi. L’architetto non deluse ilsuo committente: Verampio, Crego,Cadarese, Crevoladossola e le altrecentrali sono dei veri capolavori d’ar-chitettura, cui fanno eco Rovesca ePallanzeno e prima ancora Piedimulera(del suo maestro Gaetano Moretti) eVarzo (del coetaneo U. Monneret de

Villard). Ma la qualità formale di questiveri monumenti non può cancellare glieffetti dell’enorme trasformazione am-bientale e idrogeologica che l’indu-stria elettrica impresse al paesaggioossolano.Nei primi decenni del XX secolo l’am-biente naturale era inteso soltanto co-me paesaggio e, salvo sparuti studiosi,gli elementi percepiti erano essenzial-mente estetici. “Quadri”, “vedute”, in-somma, tipici di una concezione staticae limitata del territorio che solo le ricer-che e gli studi moderni hanno (in par-te) superato.

La Cascata del ToceSignificativa fu la battaglia intrapresada uno scienziato e alpinista di rangoeuropeo quale Giorgio Spezia per sal-vare lo straordinario salto con cui il fiu-

me supera il gradino di origine glacialea valle della piana di Riale. Una batta-glia perduta qualche decennio dopo lasua morte con la costruzione deglisbarramenti dei Sabbioni e di Morasco.Quest’ultimo, come l’impianto gemellodi Agaro (del 1938-’40), avrebbe radi-calmente trasformato un tratto di altavalle alpina, nonché cancellato un anti-co insediamento di cultura Walser.Oggi, nelle visite a questi luoghi, si col-gono spesso valori ambientali che han-no in parte sostituito quelli originari, edè spontaneo apprezzare la suggestionecreata da questi grandi laghi, veri fiordid’alta quota, con le cime che si rifletto-no nell’acqua profonda. Ma è benenon dimenticare che la loro realizza-zione ha trasformato in modo irreversi-bile un ambiente primigenio. Fino adallora, ancora intatto.

Notturno sulla Diga di Morasco

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UUna vera cattedrale montana. Insplendida, armonica posizione a pic-co sul Torrente Devero, SanGaudenzio è sempre fonte di stuporeper i visitatori che salgono o scendonola Valle Antigorio.Una storia complessa quella dellachiesa: la prima edificazione risaleall’XI secolo, sul sito dell’attualetransetto, con ingresso sotto il cam-paniletto verso ovest, poi ampliatain modo notevole nel tra il XIV e ilXV secolo verso nord, con un corpogotico a tre navate e cinque campa-te. Il Cinquecento aggiunse le duebasse navi laterali. Ampliamenti si-gnificativi si fecero nel XVII e XVIIIsecolo, a partire dal grande coro.Imponente il campanile con alta gu-glia ottocentesca.In facciata meritano attenzione il ma-gnifico rosone tardogotico, il tettuccioseicentesco sul portale maggiore (sin-golare l’erotismo delle forme) e ilgrande San Gaudenzio affrescato nel1542 da Antonio Zanetti, detto ilBugnate. Collocato in salita l’interno,vero scrigno di opere d’arte: laCrocifissione nel “transetto” anzitutto,poi gli altri affreschi nella volta delloZanetti, che nel Battistero lavorò an-che accanto al Peccato Originale del-l’ossolano Pietro della Caterina deRodis, cui si deve pure la Madonnacon Bambino in capo alla navata de-stra. Poi gli affreschi nelle volte e pare-ti delle navate eseguiti nella secondametà del XVI secolo dal suo allievoGiacomo di Cardone.

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La storia del Santuario del SS. Crocifissosegna l’inizio della costruzione del SacroMonte Calvario di Domodossola.Progettata dall’Architetto TommasoLazzaro di Val d’Intelvi, la sua costruzio-ne si può datare a partire dalla posa del-la prima pietra l’8 luglio 1657, con unacerimonia solenne animata da vasta par-tecipazione della comunità locale.Questa pietra è tuttora visibile sul lato si-nistro dell’altare e reca la scritta con ilnome di chi la collocò, aggiudicandosil’esecuzione del simbolico gesto per 60scudi d’oro, pari a 360 lire. Il documentoufficiale redatto in quell’occasione recauna lunga lista di generosi oblatori, per-sonaggi famosi, ma anche gente del po-polo che non potendo pagare in mone-ta fece la sua offerta in natura o in gior-nate di lavoro gratuite. Di lì in poi i lavo-ri procedettero spediti e nel 1690, com-pletata anche l’opera plastica conserva-ta all’interno, il Santuario venne consa-crato dal Vescovo di Novara con la con-cessione dell’indulgenza plenaria.

L’interno colpisce per la ricchezza e lamaestosità dei gruppi statuari, operadello scultore Dionigi Bussola che lavo-rò anche al Duomo di Milano. IlSantuario ospita anche tre stazioni delpercorso della Via Crucis, la XII, la XIII ela XIV. In particolare il Cristo spirantesulla croce della Cappella XII collocatosull’altare centrale domina e colpisce ilvisitatore per la sua intensità e verità.Interessante il discorso teologico chenasce dagli otto profeti posti ai lati, ri-portato nei cartigli dipinti sopra ciascu-no di essi, che anticipa con le loro profe-zie il percorso di Cristo dalla nascita allamorte e resurrezione.Un gioiello d’arte, summa della pre-ziosità artistica del Sacro Monte, nelquale si condensa l’intensità della sa-lita di Cristo sul Calvario, lasciando alfedele il messaggio finale della spe-ranza, quando alzando gli occhi sco-pre la spettacolare statua del Cristo ri-sorto, che si staglia vincente nel pun-to centrale della cupola.

Il Santuario del SS. Crocifisso

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Simonetta Minissale

San Gaudenzio di BacenoPaolo Volorio

La famiglia dei pittori Cagnola vi lasciòvarie opere, tra cui l’Adamo ed Eva egli apostoli piangenti nella zona ovestdel “transetto”, ma straordinarie sonopure le vetrate policrome dei rosonilaterali, opera della bottega di HansFunk di Basilea. Capolavori d’intagliosono il polittico del 1526 di ambito te-desco e lo splendido coro eseguito nel1780 da Giacomo Fantino.Atipici gli affreschi attorno alle colon-ne: il San Gaudenzio di Cagnola el’Ecce Homo con sottostante preghie-ra in caratteri gotici.

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Non è facile arrivare a Cicogna, “ca-poluogo” del Parco nazionale ValGrande. La strada è vera strada dimontagna, uno stimolo al camminaree non al guidare. Guidare quassù in-duce spesso il mal d’auto, il cammi-nare no: induce altre sensazioni, altristimoli, rivolti in particolare ai succhigastrici. Non è facile arrivare a Cicogna, mauna volta lì, tra faggi e castagni, primadi proseguire sulla splendida mulat-tiera per Pogallo, o salire al belvede-re dell’Alpe Prà, i succhi gastrici sipossono tacitare al vicino AlpeMerina con il formaggio di capra,prodotto con grande perizia.Tacitare? In via temporanea, perchéal ritorno il transito all’alpe sarà dive-nuto impellente necessità. Che vole-

te, il caprino dà dipendenza.Ma il formaggio di capra, oltre che ne-cessità, è anche cultura, sapienza. Ilcaprino di Merina in particolare è ot-tenuto con una lavorazione definitapresamica, dal latte intero di capra, èdi piccola pezzatura (200-300 g) e lastagionatura può variare da 1-2 setti-mane fino a 60 giorni. La crosta è sot-tile, morbida, elastica, leggermenteabbucciata sullo scalzo, di colore ros-siccio. La pasta è morbida, fusibile inbocca, unita, priva di occhiature e dicolore niveo. Il profumo e il sapore ri-cordano il latte di capra in modo più omeno pronunciato in relazione al pe-riodo di stagionatura. Fresco, spalma-to sul pane ossolano di segale, nesmussa la “ruvidezza”, e insieme alpane ingentilisce lo spirito.

Cammina e degusta

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Cristina Movalli e Toni Farina

Miele e caprino delle valli ossolane

Infine, se al tutto si accompagna ilmiele, ossolano anche lui, il risulta-to… non ci sono parole: assaggiareper credere. Miele di acacia o casta-gno. Essenza invasiva la prima, che sifa però perdonare con la fioritura pri-maverile il cui aroma finisce diretta-mente nel miele. Essenza nostrana laseconda, che infonde al miele il ca-rattere arcigno delle montagna osso-lana. Ma non si possono escludere ilmiele di rododendro e di tiglio, op-pure il miele di melata, prodotto dainsetti che succhiano la linfa dellepiante per nutrirsene. Le api la rac-colgono, fornendo un miele scuronon cristallizzabile con aroma di mal-to o caramello.Quando si dice dulcis in fundo.

I sentieri? Del “gusto”, che altro?Si tratti di uno spuntino da consuma-re su una vetta, oppure di un piattodi polenta da gustare seduti in rifu-gio (raggiunto camminando, s’inten-de), l’atto del “mangiare” ha in mon-tagna un ruolo primario. Ma non di semplice “fame” di tratta.Sempre più diffuso è il desiderio discegliere prodotti con una forte va-lenza simbolica ed evocativa, legati aun determinato territorio. E questospiega il successo delle tante iniziati-ve al riguardo promosse in questi ul-timi anni. Molti gli enti coinvolti e, in prima fila,i parchi naturali. Assolutamente insintonia con la tutela della ricca bio-diversità ossolana è la rassegna eno-gastronomica “I Sentieri del Gusto”,organizzata da una decina di anni dalParco nazionale Val Grande, col pa-trocinio e la collaborazione di altrerealtà territoriali. Lo scopo è di valo-rizzare le produzioni locali, sceglien-do di volta in volta particolari produ-

zioni e ricette tradizionali. Fa il controcanto all’iniziativa ilSettore Agricoltura della Provinciadel VCO con il Progetto Interreg“Proalpi”, che ha finanziato interven-ti dedicati proprio alla filiera del for-maggio di capra. Aperitivi sono statiorganizzati nei locali di paesi e cittàper far conoscere con degustazioniguidate abbinamenti e diverse op-portunità di consumo del formaggio.Fra i menù proposti il risotto alle orti-che mantecato al caprino, ravioli diricotta di capra, gnocchi di polenta alformaggio caprino, gnocchetti dizucca all’erborinato di capra, filettodi maiale e caprino fresco avvolti infoglia di vite.Il gradimento ha superato le aspetta-tive, come ha confermato un’indagi-ne condotta fra i partecipanti. Ed èsull’onda del successo che la Cameradi Commercio del VCO ha dato i na-tali all’Associazione “Crava”, i cui so-ci-allevatori si impegnano a fornireal consumatore, locale o turista, unprodotto con una forte identità terri-toriale. A chilometri zero, insomma.O poco più.

Sui Sentieri del Gusto (Foto Cristina Movalli)

Formaggio di capraFoto Claudio Venturini

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“O tu che passi per

questa via - Cappelle

devozionali dell’Ossola”,AA.VV - Vol. I, Museodel Paesaggio diVerbania, 2009. Volumericco: 640 pagine con

fotografie a colori e 49 carte topografiche.Schedatura di 599 cappelle di 15 comunidella bassa Ossola, con schede concernentil’iconografia delle madonne e dei santi.

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BibliografiaOssola

Mauro Beltramone e Paola Sartori

Breve selezione di volumi sull’Ossola, compresi nel catalogo dellaBiblioteca delle Aree protette, consultabile sul sitohttp://www.erasmo.it/parchipiemonte

“Val Grande ultimo

paradiso” di TeresioValsesia - Alberti, 2008.Il volume, giunto allasua sesta edizione,attualizza tutte leinformazioni necessarie

ai frequentatori dell’”ultimo paradiso”.

“Alpe Devero” diPaolo Crosa Lenz eGiulio Frangioni -Grossi, 2004.Camminando sui sentieriantichi di Devero,l’uomo di oggi può

ritrovare il tempo della lentezza e unrapporto amico con la natura.

“La Valle Antrona”

di Renato Boschi eMauro Leonardi -Libreria La Pigna, 2006.Elegante raccoltafotografica chepresenta un territorio

fatto di paesaggi di rara bellezza ealpeggi dimenticati, dove permangonole antiche tradizioni della gente dimontagna.

“Parco nazionale Val

Grande” di PaoloCrosa Lenz e GiulioFrangioni - Grossi, 2011.Questa monografiavuole proporre unaconoscenza della Val

Grande che unisca ai valori ambientali,quelli storici e naturalistici. Nell’unico modopossibile: descrivendo itinerari e sentieri.

“Alpe Veglia” di PaoloCrosa Lenz e GiulioFrangioni - Grossi, 2005.L’Alpe Veglia è unluogo unico delle Alpi:per la vastità delpascolo racchiuso tra

alte montagne e perché in invernoriposa nel silenzio ed è regnoassoluto degli animali selvatici.

“Valle Antrona”

di Paolo Crosa Lenz eGiulio Frangioni - Grossi, 2006.Un invito a camminarein una valle selvatica e sumontagne solari, maanche uno stimolo a

conoscerla in modo approfondito perpoterla apprezzare e rispettare.

“Calvario Monte Sacro

di Domodossola” diSimonetta Minissale eAlessandro Feltre -Allemandi, 2009.Le parole costituisconouna guida preziosa per

la conoscenza della storia e del messaggiodel Sacro Monte Calvario, le immaginisono l’aiuto per contemplarne gliaspetti più significativi ed evocativi.

“I cacciatori

preistorici dell’Alpe

Veglia” di Paolo CrosaLenz - RegionePiemonte, 2001.Le scoperte archeologichesugli insediamenti

preistorici d’alta quota del Veglia sonotra le più importanti nelle Alpi occidentalie le ricerche in corso promettonoimportanti risultati scientifici.

“Piante, agricoltura e

paesaggio agrario

dell’Ossola” di EraldoAntonini - Grossi, 2006.Questa pubblicazioneè l’ultimo atto dium’indagine, tesa ad

individuare le colture agrarie che hannocaratterizzato, nel corso dell’Ottocentoe del Novecento, la produzione agricolaossolana.

“L’Alpe Devero e i suoi

minerali” di ClaudioAlbertini - EdizioniGrafica P.G.A., 1991.I minerali rari e taloraunici scoperti per laprima volta al mondo in

questo territorio. Una ricerca storicacompleta, integrata da un inquadramentogeologico e da itinerari relativi alle localitàpiù interessanti.

“Farfalle diurne del

Parco naturale Veglia

Devero” di Paolo Palmi- Regione Piemonte,2010.Le farfalle sono, tra gliinsetti del Parco, la

componente maggiormente studiata; ilvolume ne presenta un elevatissimonumero di varietà, alcune rare e protettea livello europeo.

“Leggende delle Alpi

- Il mondo fantastico

in Val d’Ossola”

di Pietro Crosa Lenz -Grossi, 2012.Duecento leggende efiabe popolari della Val

d’Ossola. La raccolta, frutto di uno studiodi trent’anni, realizza per la prima volta uncatalogo del mondo fantastico delmontanaro ossolano, arricchito da disegnioriginali dell’autore.

“Una finestra

sull’Ossola e la sua

cucina” di SergioBartolucci - Libreria LaPagina, 1998.Ricettario destinato siaai consumatori

occasionali che ai fedeli amanti dellacucina ossolana, ma anche miratoall’offerta turistica e all’immagine delle valliossolane.

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Page 51: Quel ramo di Piemonte È · redazionale, ma in realtà uniti da quell’elemento comune che è il territorio. E solito è anche l’invito: leggere, e poi andare. Quel ramo di Piemonte

Parco nazionale Val GrandeSuperficie: 14.598 ettariSede: Vogogna, Villa Biraghi, Piazza Pretorio, 6Tel. 0324 87540E-mail: [email protected] visitaA Vogogna, Geolab, Museo eLaboratorio di Geologia. Tel. 0324 87540A Malesco, Museo archeologico dellapietra ollare. Tel. 0324 92444A Cossogno, Museo dell’Acqua“Acquamondo”. Tel. 0323 468506

Parco naturale dell’Alpe Veglia e dell’Alpe DeveroSuperficie: 8.539 ettari.Parco naturale dell’Alta Valle AntronaSuperficie: 7.444 ettariSede: Varzo, Villa Gentinetta, viale Pieri 27.Tel. 0324 72572E-mail: [email protected] visitaTerme di Crodo, Località Bagni, c/o ParcoTerme, Crodo Tel. 0324 600005E-mail : [email protected] informazioni "La Porteia",all’entrata della piana di Veglia.Apertura in estate, mesi di luglio eagosto, dalle 10 alle 12.Tel. 0324 - 72572 (sede parco)

Informazioni generali

Riserva speciale del Sacro Monte di DomodossolaSuperficie: 2.553 ettariSede: Domodossola, Borgata SacroMonte Calavario, 5 - Tel. 0324 241976E-mail:[email protected] Centri visitaPresso il Sacro Monte, Centro didattico enaturalistico “La Torre di Mattarella”

Parco naturale della BinntalSuperficie: 18.100 ettariSede a Schmidigehiscere, nucleoprincipale di Binn. Tel. +41 (0)27 9715050E-mail: [email protected];www.landschaftspark-binntal.ch Info: A Binn, Binntal TourismusTel. +41 (0)27 9714547; e-Mail: [email protected] Ernen, Ernen TourismusTel. +41 (0)27 9711562; e-Mail: [email protected] Grengiols, Verkehrsverein GrengiolsTel. +41 (0)27 9271048; e-Mail:[email protected] WWF - Info: [email protected]

Progetto Parco Nazionale del LocarneseSede a Locarno, via F. Rusca 1Tel. +41 (0)[email protected]

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