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Capitolo secondo CANTI POLIVOCALI

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Capitolo secondo

CANTI POLIVOCALI

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Le forme polivocali venivano utilizzate per i canti eseguiti in situazioni di svago e di lavoro, che coinvolgevano più persone contemporaneamente. Appartengono a questa sezione il “canto dell’altalena”, presumibilmente appartenente al repertorio femminile, e i “canti di campagna”, “con cui i contadini erano soliti accompagnarsi durante le varie fasi del lavoro nei campi” (Giampietro, 1977, p. 28).

2.1 Canti dell’altalena La definizione datane da Molinari Del Chiaro (1883, p. 55), “Canto delle

donne quando fanno l’altalena”, affidando alle donne non solo l’esecuzione del canto, ma anche la pratica del gioco, non genera dubbi su chi fossero le esecutrici di questo canto; sembra non corrispondere, però, con quanto affermato prece-dentemente da Ridola (1857, p. 117), il quale attribuisce la pratica del gioco e l’esecuzione del canto indistintamente al “materano volgo”. Ancora un’informa-zione, diversa, la si trova in Bronzini (1953, p. 69) il quale affida ai “fanciulli ed alle fanciulle” la pratica del gioco dell’altalena e l’esecuzione della “cantilena”1 con cui il gioco veniva accompagnato.

Nei lavori presi in esame non si sono rinvenute informazioni circa la melodia che accompagnava il canto, anche se gli autori più recenti (Rivelli 1924; Bronzini 1953) con la definizione “cantilena” fanno pensare ad una melodia che si svilup-pava lentamente e a lungo.

La prima descrizione di questo canto e dell’occasione in cui veniva svolto la si trova nel lavoro di Ridola (1857, p. 117), il quale descrive i materani:

[…] amanti delle feste e dei geniali divertimenti, fra quali […] uno detto Tronto, che in sostanza non è che l’altalena2. […] Il materano volgo accompagna il dei3 cennati divertimenti con una canzone, di cui trascriviamo qualche brano. Allorché si incomincia l’altalena si canta:

La bona minataLu quacchiu ncarnatuLa mamma l’ha fatto lu tuppoL’ha fatt’pi strid’ di la gent’,

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cacciti l’uocch’ e tinila ment’sop’a lu quanpanar’ addrmmiscibb’,na parasta di jaruofl’nci pirdibb’;ed ho palomma mejaAngilla di CristiPiglia li chieveEd apr’ a San Francisch’San Francisc’ è tant’ gliriusVè vistut a pann’ di villut4.

Di qualche anno successivo a questa prima descrizione è l’esempio riportato da Molinari Del Chiaro (1883, p. 55-56) che, a differenza del Ridola, non forni-sce alcuna descrizione ma, come già detto, si limita a proporre una definizione, che attribuisce alle donne sia l’esecuzione del canto che la pratica del gioco:

Canto delle donne quando fanno l’altalena (in dialetto “’U tront”)

1.Ed he palomma me, angela di CristePigghie u chieve va d’apr’a Sambrancische. 2.-Scibb all’urt di la mia canataacchiebb l’anidduzz di la fedi:-Mamma, mamma na mi lu livai,ca so zitell e m’egghia ad ammarai.-Figghia, figghia ci ti vu pigghiai?-U figghi di lu cont apprisintusi,Cur ca port la spada alla fronti Ca s’innamori di Napl’ e di Bitonti-Ci Napl’ e ci Bitont foss u mia Na finestr di vitri nci fariaNa finestr di vitri e n’alta di legnamiMminz allu pitt ti stoni tre fintaniIuna meni zucchiri, l’alta meni meliE l’alt men pitr prizziosi.

Dopo aver cantato per qualche tempo anche altre canzoni simili (questa di sopra a preferenza) continuando a dimenarsi, ripetono la seguente giaculatoria umoristica come recitativo:

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La bona minatiE lu quacchi incarnatiLa mamma l’ha fatt u tuppLl’ha fatt pi stridi di tutti Ll’ha fatt pi strid d’la gentCacciti lucchi e tinl’a mment5.

L’ultima variante6 a disposizione la si è trovata in uno studio sul dialetto ma-terano realizzato da F. Rivelli, Casa e patria, ovvero il dialetto e la lingua (1924); l’autore riporta (idem, p. XIII dell’Appendice) una variante del testo denominan-dolo “Cantilena per l’altalena (‘U trondili)” precisando in nota di aver raccolto tale cantilena dalla viva voce di una popolana analfabeta7. Se ne riporta il testo (ibidem):

“La mamma di la zita è gita foriè gita a fà nu sacco di paparina,la paparina non è avastata,ca tutti li vicini av’accomitata.

Quanno nascisti tu nci nevicava,lu cilo cu la terra combatteva:quanno nascisti tu, nascì la rosa,nascì la campanella di la casa.

Quanno la vacandìa fasce lu letto,di lacrime ne bagna li rinculi,risponde lu cuscino da capitalo:trovati lu compagno, na sta chiù sola.

Sera passasti da na lunga strata,do stavino du giovinette affacciate nci ne stava una bell’assai pulita,mpetto nci tineva ‘u fiche siccate.

E la bbona minata,e lu quacchio ncatinato,e la mamma l’à fatto ‘u tuppo,e l’à fatto pe strido di tutti,e l’à fatto pe strido di la genda,cacci l’ucchj e tinil ‘a menda.

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E chess’ata azzica chiù,quanno non male, non male chiù,ci à passat’u cinquant’anni,

scittila mmaro cu tutt’u panni”.

2.2 Canti di campagnaI canti di campagna8 appartengono alla più ampia categoria dei “canti di la-

voro”, nella quale “… si è soliti far rientrare non soltanto quei canti specifici che vengono utilizzati per ritmare il lavoro (soprattutto collettivo), ma anche quelli che sono destinati ad accompagnare o alleviare la fatica e la noia del lavoro, indi-viduale e collettivo” (Leydi, 1973, p. 294).

La maggior parte dei canti di campagna erano utilizzati a Matera soprattutto per il secondo scopo (alleviare la fatica del lavoro nei campi); funzioni diverse, probabilmente, dovevano averle i “canti dell’aia”, cantati solitamente durante la trebbiatura9 e intonati per accompagnare e stimolare il lavoro dei muli, “… che venivano bendati e fatti girare intorno alle aie, guidati dalla voce, dalla frusta e dai canti del contadino” (A. Giampietro, 1988, p. 22).

Quello dei canti di campagna doveva essere un repertorio maschile, visto che la campagna era frequentata, per la lavorazione dei campi, prevalentemente da-gli uomini, ma non si sono trovati precisi riferimenti al riguardo; anzi Bronzini (1978) riportando una versione da lui raccolta della Tricchiesca (idem, pp. 426-427), “… la canzone più tradizionale della cultura contadina orale dei Sassi materani”, evidenzia la distribuzione del canto tra uomini e donne. Oltre alla Tricchiesca di cui, probabilmente a causa del suo ruolo preminente nel repertorio dei canti materani, si trovano esempi in più di una pubblicazione, vengono qui riportati altri canti di campagna.

La TricchiescaSecondo Bronzini (1978, p. 426) questo canto di campagna “può classificarsi

come canto di corteggiamento”10, l’etimo del titolo è oscuro, Bronzini (ibidem) avanza due ipotesi:

[…] il significato accoppiato di adornata e vivace, che ricavo dal contesto, come attributi della “villanella” corteggiata mi fa pensare che il lemma, non attestato ch’io sappia nei dialetti lucani, sia da mettere in relazione con le espressioni verbali calabresi (di origine greca) trigghiari, “mettersi in mostra”, tricchia-tricchia jire, “andare

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velocemente saltellando”; ma non escludo, anche se ritengo meno probabile, che trikkiesca sia un denominativo locativo per turchesca, turchisca (attestato nel siciliano), e indichi una donna di Turchia: il che darebbe alla canzone uno sfondo di tradizione storica meridiona-le e si accorderebbe con titoli e nomi di canzoni narrative settentrio-nali, come Donna Lombarda, Donna Francesca, e altre11.

Secondo quanto riferito nel saggio di Chiapparo (1940)12 e nella raccolta cu-rata da Pratella (1941, p. 439-440), il modo di esecuzione tradizionale sembra non prevedere un accompagnamento strumentale; Bronzini (1978, p. 426-427) riporta, inoltre, una variante del canto da lui raccolta, che presenta una divisione delle parti tra uomini, donne e coro.

La struttura formale delle strofe del testo si presenta identica in tutti gli esem-pi a disposizione, composta di distici |ab|; si riporta il testo inserito nella raccolta realizzata dai fratelli Giampietro (1977, p. 108-109):

-E tu Trikkiesca a ddò te ne vè?-Allu festin ‘ad abballè13.

-E cci sapeve ka scive soleTe venév ‘a ‘ccumbagnè.

-E ccumbagnia no ne végghjeKa me sacce ben guardè.

(E ti l’à fatte la scarpìnu takk irt e la ponta fin)14

E ttu te l’à fatte la vesta giallepe ggì abballè ku marescialle.

E sso’ senata li doj oreu marescialle non ven’angore.

U marasciall ‘i u carabinirei ddall’a bbev ‘a llu bbecchire.

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Allu bbecchire no ne voleE ddall’a bbev ‘a lla rezzòle. (brocca)

A la rezzòle no ne vòlee ddall’a bbev’ a lu iascòne. (fiascone)

I ballenzè i tturdemèI ballenzè, facime l’amore15.

Ancora Bronzini (1978, p. 427) avanza alcune ipotesi circa l’interpretazione e la datazione del canto:

Non è accertato che il contenuto del canto si riferisca - come lessi allora in un opuscolo di uno studioso locale - ad un episodio di cro-naca leggendaria che sarebbe avvenuto alla fine dell’800 in uno dei Sassi. La forma metrica con alternanza di piani e tronchi, il motivo musicale con ritmo mosso e cadenzato e la distribuzione del canto tra uomini, donne e coro, sono elementi che sembrano risalire ad una struttura antica. Ma non si hanno prove per dimostrarlo.

Il primo16 esempio di cui si dispone è quello riportato da Pratella (1941, pp. 439-440) nella sua raccolta di canti popolari italiani; la trascrizione è fatta precedere da alcune informazioni circa il modo d’esecuzione e l’identità dell’in-formatore (ibidem):

Canzone di lavoro, tradizionale, corale monodica, trascritta a Ma-tera il 25 agosto 1933, raccolta dalla viva voce del dottor in legge Sign. Pietro Filardi, ventisettenne in quel tempo che l’aveva impa-rata da contadini materani […].

Il canto viene, inoltre, descritto (ibidem) come una “variante materana e di aspetto ottocentesco di una canzone che abbiamo già ritrovato a Foggia”.

L’autore dopo aver riportato anche una trascrizione del canto (vedi sotto) aggiunge alcune considerazioni circa la sua melodia:

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[…] presenta l’oscillazione tonale tra intervallo di terza maggiore e di terza minore […] - maggiore nella prima metà della melodia e tutta minore nella seconda - […]. Notevole anche la cadenza ri-solutiva della melodia, di perfetto carattere medievale arcaico: set-timo grado minore e, cioè, senza alterazione della sensibile, e terzo grado minore cadenzante sulla tonica (Pratella 1941, p. 440).

Le osservazioni dell’autore riguardo la cadenza finale del brano sono state riportate in corsivo nella tabella riassuntiva alla fine del paragrafo.

Trascrizione 1: tratta da Pratella 1941, p. 440

Modulo 1

Un secondo esempio è costituito dalla trascrizione su pentagramma della ver-sione registrata “sul campo” da De Martino e Carpitella nel 1952.

Nel catalogo della raccolta CNSMP 18, Basilicata, il canto viene così catalo-gato:

“‘E tu tricchiesca addove vai’; 2 vv.m.+ fisar.; Matera, 1-10-52”.

Ulteriori informazioni sono riportate da Adamo (1996) che, riassume le in-formazioni a disposizione considerando tutto il materiale presente negli Archi-vi17, (Adamo, 1996, p. 363):

“Matera, 1° ottobre, ‘A’ tricchiesca’, v.m. + 2 vv.m. + fisar. E tu tricchiesca addove vai Giuseppe Palmieri, Vito Latorre, Giuseppe Persia, canto; Vincenzo Paragone,

fisarmonica”.

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Da queste informazioni si deduce che il canto è affidato a una voce maschile, raddoppiata dalle altre due voci, mentre la parte strumentale è affidata alla fisar-monica. L’accompagnamento della fisarmonica è di tipo ritmico-melodico e se-gue la struttura delle strofe; oltre ad accompagnare il canto, introduce e conclude l’esecuzione, replicandone la linea melodica.

La struttura melodica è formata da due frasi |AB| cui, come si spiegherà me-glio in seguito, i due versi dei distici che compongono il testo verbale non cor-rispondono perfettamente; ognuna di queste frasi melodiche viene ripetuta due volte. Inoltre la voce solista viene raddoppiata in maniera irregolare dalle altre voci nell’esecuzione del verso |B|.

Giuseppe Palmieri, Vito Latorre, Giuseppe Persia: canto; Vincenzo Paragone: fisarmonica

Trascrizione 2: registrazione di D. Carpitella, 1952

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Modulo 2

Un terzo esempio è la trascrizione dell’esecuzione realizzata, nel 1965, dal coro polifonico “Pier Luigi da Palestrina” diretto da Don Luigi Paternoster.

L’esecuzione, in questo caso, prevede una divisione delle parti tra il coro e una voce solista; anche per questa versione vale la divisione in due frasi melodiche principali (|AB|), affidate alla voce solista; il coro interviene alla fine della frase |A| ripetendone le parole finali (|a1|), e replicando il verso |B| dopo l’esecuzione del solista (|B|); si ottiene, quindi, una struttura |Aa1BB| (dove |Aa1| è eseguito due volte).

La parte solista è eseguita da N. Chico; anche gli esecutori di questa versione si sono avvalsi dell’uso di una fisarmonica, suonata da E. Iasuolo, che introduce il canto, suonando la seconda frase musicale, e lo accompagna ritmicamente ese-guendo rari fraseggi melodici.

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Coro Polifonico “Pieri Luigi da Palestrina”

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Trascrizione 3: registrazione realizzata dal coro polifonico“Pier Luigi da Palestrina”, 1965

Modulo 3

Un ulteriore esempio, sempre legato al nome di Don Luigi Paternoster, è co-stituito da una trascrizione realizzata nel 1974 in occasione della manifestazione estiva “Il luglio materano”.

Anche in questo caso la trascrizione sembra indirizzata ad un’esecuzione po-lifonica, e presenta la struttura melodica della versione precedente con la diffe-renza che il verso |B| sembrerebbe essere eseguito un’unica volta dal coro; risulta, quindi, una struttura del tipo |Aa1B|. Non ci sono, inoltre, elementi che facciano presupporre l’utilizzo di strumenti musicali.

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Trascrizione 4: realizzata da Don Luigi Paternoster, 1974

Modulo 4

L’esempio successivo è tratto dal lavoro dei fratelli Giampietro del 1977; si tratta della trascrizione, realizzata da I. Massari, del canto così come è stato ese-guito nei dischi allegati al suddetto lavoro.

Dall’ascolto è possibile cogliere gli elementi che caratterizzano questa esecu-zione: dal punto di vista formale viene ricalcata la struttura |Aa1BB| (con |Aa1| ri-petuto due volte), finalizzata a una suddivisione delle parti tra voci soliste e coro, in questo caso non armonizzato; l’espressione “voci soliste” si riferisce inoltre, alla ripartizione, in base ad una lettura del testo verbale mirata ad evidenziare la parti

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ed i ruoli che i protagonisti svolgono nel canto, tra una voce maschile ed una femminile; altro elemento è l’uso di chitarra e mandolini che, oltre all’accompa-gnamento ritmico-melodico dell’intero brano, eseguono anche l’introduzione, la conclusione e alcuni fraseggi melodici tra le strofe; queste parti strumentali, sempre uguali tra loro, non ricalcano la melodia del canto.

Trascrizione 5: realizzata da I. Massari, tratta da D. Giampietro, 1977, p. 109

Modulo 5

L’ultimo esempio a disposizione è tratto dalle registrazioni realizzate a Matera il 17-IV-2001 presso il negozio di strumenti musicali “De Bellis”.

Si tratta di una versione eseguita da E. Rondinone (voce solista), accompagnato dalla fisarmonica suonata da B. De Bellis e da una testiera suonata da P. Pozzuoli il quale svolge anche il ruolo di seconda voce raddoppiando in maniera irregolare al-cune frasi melodiche. Anche questa versione mantiene la struttura formale |Aa1B|; la voce solista è raddoppiata in maniera irregolare dalla seconda voce nell’esecuzio-ne di |a1| e del verso |B|. L’accompagnamento strumentale è ritmico-melodico.

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E. Rondinone: voce; B. De Bellis: fisarmonica; P. Pozzuoli: seconda voce

Trascrizione 6: registrazione realizzata a Matera il 17/4/2001

Modulo 6

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Come già anticipato, la struttura metrica del testo verbale formato da distici (|ab|) e la struttura melodica, anch’essa formata da due linee melodiche (|AB|), non hanno tra loro una esatta corrispondenza.

La struttura melodica basilare, che si ottiene non considerando gli intermezzi affidati ai cori, risulta formata da tre frasi melodiche |ABC|: |A| esegue il primo verso del distico (|a|), mentre |B| lo ripete utilizzando una linea melodica diversa, infine su |C| viene intonato il secondo verso (|b|). Le frasi |BC|, però, presenta-no una certa continuità esecutiva che ha determinato la decisione di analizzarle come se fossero un unico verso melodico (|B|); quindi, nella struttura melodica che si ottiene la frase |A| intona il primo verso di ogni distico (|a|), mentre la frase |B| esegue l’intero distico (|ab|).

Dalla struttura melodica delle varianti a disposizione emerge come gli ele-menti formali che potrebbero essere definiti tradizionali rimangono pressoché invariati mentre compaiono altri elementi legati alle esigenze esecutive; inoltre è, certamente degno di nota, come da un certo momento si affermi e diventi un elemento costante la frase |a1|.

Ad eccezione della prima variante, a proposito della quale sono state riportate precedentemente le considerazioni di Pratella (1941, pp. 439-440), i dati che risultano dalle altre varianti, soprattutto prendendo in considerazione i “gradi relativi” alle altezze utilizzate nelle esecuzioni, mostrano una sostanziale costanza esecutiva e strutturale. Queste cinque varianti mantengono infatti costanti non solo i gradi relativi all’intonazione, ma anche quelli relativi alla struttura caden-zale delle strofe; in effetti, rispetto a quest’ultimo parametro, variano i soli dati relativi alle frasi |a1| (in corsivo nelle parentesi). Per quel che riguarda le strutture scalari, si tratta di scale maggiori che, considerando i dati relativi all’ambitus, mantengono costante anche l’estensione: dal II al IX grado.

Qualche differenza si riscontra invece nei dati relativi al rapporto note/sillabe e al riferimento metronomico: in entrambi i casi, i risultati che emergono con-trappongono le varianti più recenti a quelle più remote, che presentano valori più bassi rispetto alle prime.

Maria mea la pastora mea Per questo canto si dispone di una sola versione, tratta dalle registrazioni “sul

campo” realizzate da De Martino e Carpitella durante la loro ricerca del 1952 effettuata sul territorio lucano.

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Il titolo è quello con cui il canto è stato catalogato nell’elenco RAI-R.C. n.18/CNSMP n. 18 Basilicata18:

“‘Maria mea la pastora mea’; 2 vv. m.; Matera, 1-10-52”.

Nel catalogo della raccolta AESC 18 Basilicata, compilato da Adamo (1996) viene, invece, così descritto:

“Matera, 1° ottobre, 2vv. m. alt.Oi mamma mamma vo’ ave’ ragio’ Giuseppe Palmieri, Vito Latorre”.

In quest’ultima breve descrizione il canto viene identificato utilizzando l’inci-pit verbale; vengono inoltre indicati il luogo, la data della registrazione, il modo d’esecuzione e i nomi degli esecutori.

Il testo del canto è formato da distici |ab|; viene riportato il testo tratto dal tac-cuino nr. 1 al punto 9 preceduto da una indicazione riguardante, probabilmente, l’occasione in cui veniva eseguito (De Martino, 1995, p. 85):

“Trebbia, raccogliere le olive, etc. Uè mamma mamma, vu’ ve’ ragiò me fe’ cuqquè sopa o’ quascion(e). Ie tante a Ddie l’egghie apriè sopa a lu litt me vogghie cuqquè. Jè n’adda quanne voco a Santa Conna (Sant’Agata) quande ca me la fazzo la cascia du panne. La cascia du panne cu lu tratire addò li mmetto la megghio vestito. La megghio vestito a filo de maccarine ca’ me l’aggio ingegnà la (Madonna) dè de la Bruna”19.

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Giuseppe Palmieri, Vito Latorre: voce

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Trascrizione 7: registrazione di D. Carpitella, 1952

Modulo 7

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Carpitella; 1952

Struttura melodica |AB| [|CB| |DB|]

Intonazione Fa4 [Sol4](VI [VII])

Struttura cadenzale |II [III] - I|

Scala Diatonica minore; (La3) [7 mag.]

Ambitus #7 (Sol#3) - VII (Sol4)

Profilo melodico

Rapporto note\sillabe 1,11

Suddivisione Binaria composta; = 40 ca.

L’esecuzione del canto prevede due cantori che si alternano intonando un distico ciascuno. La struttura melodica si articola in due frasi melodiche |AB|, che corrispondono ai due versi che formano i distici; mentre la frase |B| si ripete uguale, la frase |A| varia diventando: |C| (rispetto ad |A| cambia la nota finale) nella terza strofa, e |D| (rispetto ad |A| varia sia la nota finale che il profilo melo-dico) negli ultimi due distici.

Anche l’intonazione dei versi varia, ma questa caratteristica può essere colle-gata al fatto che le strofe vengono intonate da due diversi cantori; una leggera oscillazione è presente anche nella nota finale del primo verso melodico, mentre rimane costante il grado su cui le strofe si concludono; la struttura scalare è di modo minore ma, anche questa volta (come nel canto la cupa-cupa, nel canto a rampégne, in mamma mamma e, infine, in i dà ddo minz…) con il VII grado maggiore.

La cantineraDi questo canto si hanno a disposizione tre esempi, diversi tra di loro; il primo

è tratto dalle registrazioni “sul campo” realizzate da De Martino e Carpitella nel 1952; il secondo è una trascrizione realizzata nel 1974 da Don Luigi Paternoster in occasione della manifestazione “Il luglio materano”; il terzo ed ultimo è inseri-to nelle registrazioni realizzate ad integrazione del lavoro dei fratelli Giampietro (1977).

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In quest’ultimo lavoro il titolo La candenére viene tradotto “La bella ostessa”, ma Bronzini (1978, p. 428) non concorda con questa traduzione, ritenendo più opportuno il termine “La cantiniera”.

Il testo, non riportato nella trascrizione realizzata da Don Luigi, è identico nelle altre due versioni e si articola in strofe tripartite con struttura formale |abc|, ognuna delle quali è seguita da un ritornello di due versi |de| che si ripete inva-riato.

Viene riportato il testo inserito nella raccolta curata dai fratelli Giampietro (1977, p. 114-115):

Egghje fatte tand’anne la candenéreÉgghje vennute l’acqu’, a l’ucchje nera mie,egghje vennute l’acque pe llu mire.

L’ho fatta tant’anni la cantineral’ho venduta l’acqua, mia occhinera,l’ho venduta l’acqua invece del vino.

(Rit.)Bim bim bon, l’umbrelline bim bon Catarine statte bona, ie te lass ‘e t’abbandone

(Rit.) Bim bim bon, l’ombrellino bim bonCaterina statti bene, io ti lascio e ti abbandono.

Belle lu mmire tuj se ne vè all’aciteMo la putime faj’, a l’ucchie nera mie,mo la putime faje l’anzalate.

Bella, il vino tuo diventa aceto,potremo farla, mia occhinera,

Potremo farla l’insalata.(Rit.) Bim bim bon…………

(Rit.) Bim bim bon,………………

E mmo la vogghje mette la cuscienzia E mmo lu vogghje venne, a l’ucchje nera mie,e mmo lu vogghje venne maggiore mire.

Or la voglio mettere la coscienzaor voglio vendere, mia occhinera,

or voglio vendere miglior vino.

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(Rit.) Bim bim bon…………(Rit.) Bim bim bon,………………

Tutte me dikene ka je so’ mundagnolaCome ce foss’ je nata, a l’ucchje nera mie,come ce foss’je nata alla mundagna.

Tutti mi dicono che sono montanara,come se fossi nata, mia occhineraCome se fossi nata in montagna.

(Rit.) Bim bim bon,……………(Rit.) Bim bim bon,…………20.

Nel catalogo della raccolta CNSMP 18, Basilicata, il canto viene presentato in questo modo:

“‘La cantinera’ 3 vv.m.; Matera, 1-10-52”.

Informazioni complementari sono riportate da Adamo (1996, p. 363): “Matera, 1° ottobre, ‘La cantinera’, v.m. + 2 vv.m.L’agghi fatti tant’anni la cantineraGiuseppe Palmieri, Vito Latorre, Giuseppe Persia”.

Da queste poche note si apprende che il canto è eseguito da una voce maschi-le, raddoppiata, in alcune parti, da altre due voci.

Come risulta dall’ascolto, le altre due voci maschili si aggiungono nei finali dei primi due versi, mentre l’ultimo verso della strofa e il ritornello vengono ese-guiti in coro; il canto termina sfumando sulle voci.

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Giuseppe Palmieri, Vito Latorre, Giuseppe Persia: voce

Trascrizione 8: registrazione di D. Carpitella, 1952

Modulo 8

Nel secondo esempio, che si ricava dalla trascrizione realizzata da Don Luigi Paternoster nel luglio 1974, la linea melodica del canto è arrangiata per essere eseguita da due voci che si muovono per terze parallele.

Trattandosi di una trascrizione cui non è aggiunto il testo verbale, non si è potuto far riferimento ai versi nella definizione della struttura melodica. Si è co-munque cercato di individuare quest’ultima tenendo presente il confronto con le altre varianti, più che i segni diacritici di Don Luigi, inseriti probabilmente a fini esecutivi. Nella tabella conclusiva è stata presa a riferimento la voce superiore; nel caso di unisono delle due voci, le altezze ed i gradi relativi sono sottolineati.

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Trascrizione 9: realizzata da Don Luigi Paternoster, 1974

Modulo 9

L’ultimo esempio è quello tratto dalle registrazioni realizzate dal gruppo gui-dato dai fratelli Giampietro e allegate al lavoro “Canti popolari materani”.

Il canto è eseguito da una voce femminile solista e da un coro, sostenuti da una chitarra che, oltre a svolgere un accompagnamento ritmico-melodico, intro-duce il canto. La voce solista esegue le strofe del canto, mentre il coro interviene alla fine del verso |A| e nell’esecuzione del ritornello; la conclusione sfuma sulle voci.

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Trascrizione 10: realizzata da I. Massari, tratta da Giampietro, 1977,p. 115

Modulo 10

Carpitella; 1952 Don Luigi; 1974 Gruppo Giampietro; 1977

Struttura melodica |ABC| DE |ABC| DE |Aa1BC| DE

Intonazione Mi4 (V) Mi3 (III) Do4 (V)

Struttura cadenzale |III - V - III|

5 - III

|III - V - III|

V - III

|III - V - III|

V - III

Scala Diatonica maggiore; (La3) [VII min.]

Diatonica maggiore; (Do3)

Diatonica maggiore; (Fa3)

Ambitus 4 (Re3) - IX (Si4) II (Re3) - IX (Re4) II (Sol3) - IX (Sol4)

Profilo melodico

Rapporto note\sillabe 0,93 Testo non riportato 0,96

Suddivisione Binaria composta; = 60 ca.

Binaria composta Binaria composta; = 60 ca.

Accompagnamento strumentale

Chitarra; ritmico-melodico

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In tutti e tre gli esempi riportati, la struttura melodica si sviluppa parallela-mente a quella del testo verbale: ad ogni verso verbale corrisponde un verso me-lodico, secondo lo stesso schema metrico. La struttura strofica risulta composta, quindi, di tre versi melodici |ABC| (|A| nell’esecuzione viene eseguito due volte) che corrispondono ai versi della strofa |abc|, mentre quella del ritornello da due versi melodici |DE| che, a loro volta, corrispondono al distico verbale |de|.

Per la definizione della struttura melodica della trascrizione svolta da Don Luigi in cui sono chiaramente definiti i due elementi della strofa e del ritornello che compongono la struttura del canto, si è ricorso al confronto con la struttura melodica delle altre varianti, che ha permesso di rintracciare, senza eccessive for-zature, una struttura melodica uguale a quella della altre due varianti.

Questa corrispondenza è inoltre supportata dai dati, tra loro omogenei, ri-sultanti dalla struttura cadenzale e, in parte, da quelli relativi all’ambitus, che fanno emergere una maggiore estensione vocalica nella versione registrata da Carpitella.

Le corrispondenze tra le varianti si estendono anche nei dati relativi al rappor-to note/sillabe (per le due versioni in cui questo rapporto può essere ricavato) e alla suddivisione ritmica del canto che evidenzia anche una corrispondenza nel riferimento metronomico.

Tresa TresaDi quest’altro canto si hanno a disposizione due versioni, la prima tratta dalle

registrazioni allegate al lavoro dei fratelli Giampietro, la seconda tratta dalle re-gistrazioni effettuate il 17-IV-2001 presso il negozio di strumenti musicali “De Bellis”.

Le strofe hanno, in entrambi i casi, struttura formale |abcd|, con l’aggiunta di un ritornello. Ma quest’ultimo nella versione proposta dal gruppo di ricerca guidato dai fratelli Giampietro è, in realtà, doppio risultando formato di tre versi |efg| più altri due |hl|, mentre in quella più recente, eseguita da E. Rondinone e B. De Bellis, dei soli versi |hl|. In quest’ultima versione, inoltre, il ritornello si ripete dopo ogni strofa, mentre nella precedente è eseguito ogni tre.

Il testo di seguito riportato è quello tratto dal lavoro dei fratelli Giampietro (1977, p. 110) integrato con il ritornello ricavato dall’ascolto delle due versioni, riportato alla fine del testo, (i versi che compaiono solo nell’esecuzione dei fratelli Giampietro non sono in corsivo):

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Tresa, Tresa lu trappite de la martenéselu trappite s’ì sfascètetutte l’ugghie s’ì scettète.

Teresa Teresa,il frantoio della martinese

il frantoio si è sfasciatotutto l’olio si è versato.

La povera Mariantonjevè o puzze a tre kilometre,kuanne vè’ jegne l’acquau puzze fesce sciakqua sciakqua.

La povera Mariantoniava al pozzo a tre chilometri

quando vi prende l’acquail pozzo fa «sciacqua sciacqua».

Uè kimbà Micheline,uè kimbà Micheline,uè kimbà Micheline,t’è cadute lu keppelline.

Ohè compare Michelinoohè compare Michelinoohè compare Michelinot’è caduto il coppolino.

Uè kimbà Micheline, t’è cadute lu keppelline,abballe tu e abballe je,la chichitignacca e la chichiricchia.

Ohè compar Michelinot’è caduto il coppolino

balla tu e ballo iola chichitignacca e la chichiricchia.

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Tu uagnareddeficche junde la jaddinece se n’avverte lu uardiddet’ò ‘ddè ‘nghèpe cu’ mazzaridde.

Tu, ragazzinametti dentro la gallina

se tu vede il gallettoin testa ti darà il bastoncello.

Rit. U vecchie co’ la vecchia fascevene lite.e se voltavano e s’aggeraven’tabaccheie(?) non l’à tuquà.

Il vecchio e la vecchia litigavanoe si voltavano e si giravano

il tabaccaio (?) non lo devi toccare.Auelì, auelà bell’è l’amore e ci lo vole fa lo vole fa Lucia muscatidde e malvasia.

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Gruppo Giampietro

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Trascrizione 11: registrazione allegata a D. Giampietro Canti popolari materani 1977, Edizioni Meta, Matera

Modulo 11

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E. Rondinone: voce; B. De Bellis: fisarmonica

Trascrizione 12: registrazione realizzata a Matera il 17/4/2001

Modulo 12

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Gruppo Giampietro; 1977 Gruppo De Bellis; 2001

Struttura melodica |AB| CDEF |AB| EF

Intonazione Si3 (V) Sol3 (I)

Struttura cadenzale |V - I|

III - II - III - I

|I - I|

I - I

Scala Diatonica maggiore; (Mi3) Maggiore, ottava non completa; (Sol3)

Ambitus I (Mi3) - IX (Fa#4) 7 (Fa#3) - V (Re4)

Profilo melodico

Rapporto note\sillabe 1,11 1,04

Suddivisione Binaria; = 168 ca.

Binaria; = 138 ca.

Accompagnamento strumentale

Chitarra, mandolini; ritmico-melodico

Fisarmonica; ritmico-melodico

La definizione della struttura melodica ha presentato alcune difficoltà, deter-minate non solo dall’articolazione della struttura formale del testo verbale, ma anche dal modo in cui il canto è eseguito. Per evitare di creare confusioni con una descrizione troppo articolata e complessa si è preferito schematizzare, all’interno degli elementi strutturali che compongono il canto, le corrispondenze tra linee melodiche e versi:

Strofa: |AB|--(|abcd|): |A|=|ab|; |B|=|cd|;Ritornello: |CD|--(|efg|): |C|=|e|; |D|=|fg| (solo nella versione del Gruppo Giampietro);

|EF|--(|hl|): |E|=|h|; |F|=|l|.

Nella definizione della struttura melodica gli elementi comuni alle due varian-ti sono le strofe melodiche e verbali |AB| (|abcd|) e |EF| (|hl|), con una maggiore articolazione strutturale |CD| (|efg|) nella versione dei fratelli Giampietro.

Le due varianti presentano pochi elementi in comune: in entrambe, i gradi conclusivi della strofa e del ritornello coincidono, variano, in maniera considere-vole, quelli “interni” a questi elementi strutturali; comune è anche la suddivisio-ne, binaria per entrambe.

Variano invece: il grado dell’intonazione; l’ambitus, che si presenta più esteso nella variante dei fratelli Giampietro mentre in quella più recente non copre l’ot-

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tava; ed infine, il dato emergente dal rapporto note/sillabe che risulta essere più alto nella prima variante.

I canti dell’aiaQuesti canti venivano eseguiti durante la dura fatica della trebbiatura del

grano che si svolgeva sulle aie21 e sembra servissero ad accompagnare e stimolare il lavoro dei muli: “… i lavori di trebbiatura, effettuando la battitura delle spi-ghe con grosse pertiche, oppure utilizzando i muli, che venivano bendati e fatti girare intorno alle aie, guidati dalla voce, dalla frusta e dai canti del contadino” (A. Giampietro, 1988, p. 22)22.

Sono considerati (D. Giampietro, 1977, p. 29) i più belli e i più intensi tra i “canti di campagna”23, e “… i più antichi e genuini del nostro repertorio musicale folkloristico, perché tipici del mondo rurale materano” (C. Giusto in Giampietro, 1977, p. 46).

Un esempio di questi canti lo si è trovato nelle registrazioni “sul campo” effettuate dal gruppo di ricerca guidato dai fratelli Giampietro: si tratta di una versione vocale eseguita da Giuseppe Persia nel 1976.

Si riporta il testo inserito nel lavoro dei fratelli Giampietro (1977, p. 116)

A nome sia de dDie A nome sia de dDieE de Marie, ‘nnore de la Sandissima,o Tirnitate, ‘nnore de la Sandissima.

A nome sia di Dioa nome sia di Dio

e di Maria, a onore della SantissimaTrinità, a onore della Santissima.

Com’iè u sapore du ppène Do che ll’alie, chhiù mmagghi’eChhiù maggiore sepe la fatìe.chhiù mmagghi’e cchiù maggiore sepe la fatìe.

Qual è il sapore del panecon l’oliva, così è migliore

e più saporita la faticamigliore e più saporita è la fatica.

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Du’ pit’ ind’a ‘na scarpe Non potene stè, du’pit’ ind’a ‘na scarpeNon potene stè, nemmene doi amandeInd’a ‘nnu cor, nemmene doi amande.

Due piedi in una scarpanon possono starci due piedi in una scarpaNon possono starci,nemmeno due amanti

In un sol cuore,nemmeno due amantiInd’ a ‘nnu core. Non botene stè du pit ‘ind ‘a ‘na scarpeNemmene doi amande,Uè ind’a ‘nnu lette, nemmene doi amande Uè ind’a ‘nnu lette.

In un sol cuoreNon possono starci, due piedi in una scarpa

Nemmeno due amantiIn un sol letto, nemmeno due amanti,

oh, in un sol letto.

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Giuseppe Persia: voce

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Trascrizione 13: registrazione del gruppo di ricerca coordinato dai fratelli Giampietro, 1976

Modulo 13

G. Persia; 1976

Struttura melodica |MM1M2 ... NN1 ...|

Intonazione |M|: Si3 (III);|N|: Fa4 (VII)

Struttura cadenzale I

Scala Non definibile in base ai modi maggiore o minore

Ambitus I (Sol3) - VII (Fa4)

Profilo melodico|M|: |N|:

Rapporto note\sillabe 0,72

Suddivisione Irregolare

Il testo musicale si sviluppa sulle variazioni di due moduli, qui denominati |M| e |N|. Non è stato facile trovare una corrispondenza tra testo verbale e testo musicale; pertanto la suddivisione delle frasi melodiche è basata sull’individua-zione della cadenza finale dei versi melodici (Sol3).

L’intonazione dei versi melodici rimane invariata per le improvvisazioni svolte sul modulo |N| mantenendosi sempre sul VII (Fa4), mentre variano le intonazio-ni dei versi |M| con una predilezione ad intonare sul III (Si3) [ma anche IV (Do4) - V (Re4) - VI (MI4)]; tutte le linee melodiche si concludono, come già detto, sul-la stessa nota (Sol3) considerata, pertanto, come il primo grado della scala e presa come riferimento per la determinazione dei gradi occupati dalle altre altezze.

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Alquanto difficile è risultato individuare una struttura metrico-ritmica di riferimento, si è ritenuto opportuno, quindi, evitare forzature, preferendo non utilizzare indicazioni di tempo e cercando di ovviare a questo problema inseren-do accenti ritmici; come figura di riferimento è stata presa la semiminima, le altre figure adoperate nella trascrizione indicano solo che un nota è più lunga o più breve rispetto a questa. Tali metodi sono stati, inoltre, integrati con una tra-scrizione parzialmente temporizzata con cui è stata indicata oltre alla durata reale delle singole frasi melodiche anche quella dei suoni che costituiscono i suoni cadenzali di ognuna di queste.

L’ambitus si estende dal I al VII grado in entrambi i moduli, che però differi-scono tra loro per la predilezione accordata a determinati gradi piuttosto che ad altri. Tale differenza emerge anche dalle schematizzazioni dei due diversi profili melodici. Infine, il dato relativo al rapporto note/sillabe conferma il carattere prevalentemente melismatico dell’esecuzione, con ampi spazi di improvvisazione vocalica.

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Note

1 Il termine “cantilena” è adoperato la prima volta da F. Rivelli, 1924 p. XIII dell’Appendice. 2 Il Ridola, a questo punto, offre una descrizione di come si preparasse e si svolgesse il gioco:

“Si lega, siccome appunto si fa pel giuoco dell’altalena, una fune a due capi sul braccio di un albe-ro o su di un architrave, e sedendovi una persona nella parte che fa gomito, si fa dondolare mercè la spinta che riceve da due altre situate in opposta direzione: incomincia questo divertimento nel giorno di Pasqua” (Ridola, 1857, p. 117).

3 Il plurale si riferisce sia al gioco dell’altalena che alla pratica delle “Matinate”, trattate insie-me dall’autore.

4 “Traduciamo questo gergo semibarbaro per renderlo in qualche modo intelligibile ai nostri lettori: La buona manata / il cappio incarnato (nastro color di carne) / la madre gli ha fatto la treccia / glie l’ha fatta a dispetto della gente / cavati gli occhi (forse spalanca gli occhi) e guardala / sopra il campanile mi addormentai / una grasta (testa) di garofani vi perdei / Ed oh colomba mia / Angiola di Cristo / prendi le chiavi / ed apri a S. Francesco / S. Francesco è tanto glorioso / va vestito di abiti di velluto” (Ridola, 1857, p. 117).

5 Un’altra variante, “La bona minat’(manata) / ‘u quacchi ‘ncarnat’(nastro vermiglio) / la mamma l’ha fatt’lu tupp’/ l’ha fatt’ pi’ strid’(dispetto) di tutt’ / l’ha fatt’ pi’ strid’ di la gent’ / caccitil’ucchi e tinila ment’/ la figghia du pittor / s’ha fatt’ lu quacchi d’or’ / la serva di sus’ ‘u palazzi / s’ha fatt’ lu quacchi di stazz’ / E ‘n at’azzich (poco) di chiù / quann’ si’ vecchia non mal (vali) chiù / e passat’ ‘u cinquant’anni / m’eniti a mar chi tutt’u panni” (Molinari Del Chiaro, 1882, p. 22).

6 Anche Bronzini dedica alcune righe del suo lavoro a questo gioco ed al canto che lo accom-pagna: “comune ai fanciulli ed alle fanciulle è il giuoco dell’altalena, che a Matera chiamano «u trondili» e accompagnano con questa cantilena”. Gli esempi riportati, però, non costituiscono delle varianti originali, ma sono tutti tratti dai lavori sunnominati (Bronzini, 1953, p. 69). Anco-ra, Noviello (1976, p. 149-186) raccoglie nel suo lavoro gli esempi su riportati.

7 “Dettata da una popolana analfabeta; l’accostamento continuo alla lingua letteraria è na-turale e manifesto bisogno del popolo, che, diventato poeta, sente di dover elevare il linguaggio dialettale a degna altezza”(Rivelli, 1924, p. XIII, nota 2 dell’Appendice).

8 Definizione tratta dal lavoro curato dai fratelli Giampietro.9 La zona delle aie era localizzata dove, attualmente, sorge il quartiere “San Pardo”.10 Ed anche “[…] la Tricchiésca, un canto di ambientazione agreste funzionale al corteggia-

mento; il più tipico della cultura contadina orale dei Sassi - non a caso si ascolta anche ne La Lupa di Lattuada - di antica ma incerta mutazione, con un titolo dall’etimo oscuro” (Del Parigi e Demetrio, 1994, p. 106).

11 La seconda delle ipotesi proposte dal Bronzini era stata già avanzata da Chiapparo nel suo breve saggio (1940): “Secondo quanto ci fu riferito, la Tricchiesca (in nota: “corruzione della voce Turchesca”) era una formosa popolana, bella come un’odalisca (e forse per questo era sopranno-minata Turchesca) di facili costumi ed amante di festini” (Chiapparo, 1940, pp. 94-95).

12 “La Tricchiesca per lo più viene cantata dai contadini materani, senza accompagnamento di strumenti musicali” (ibidem).

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13 Bronzini (1978, p. 427) riporta una variante di questa prima strofa: “E tu Tricchiesca addovi va’? / a la rifezza a spiculà”.

14 Si tratta di una strofa inserita nel testo riportato dal Bronzini; (ibidem).15 Gli ultimi due versi sono così tradotti: “E balliamo insieme il turno d’ora / balliamo in-

sieme, facciamo l’amore”. Ancora riguardo l’ultima strofa in Chiapparo (1940, p.94-95): “Le parole del penultimo verso (E ballinsè e turdimeia / e ballinsè facim l’amore) non sono altro che la corruzione delle corrispondenti francesi, che una volta erano di moda, quando, per affettato snobismo si comandava la quadriglia in lingua straniera”.

16 Una trascrizione del tutto uguale a questa è inserita nel saggio di Chiapparo (1940) pubbli-cato precedentemente a questo lavoro.

17 Gli Archivi sono gli Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia Nazionale di S. Cecilia. “Per la compilazione del presente catalogo si è tenuto conto soprattutto di una serie di schede cartacee di 13x18 cm., manoscritte, reperite di recente (…). Ad eventuale verifica o integrazione delle suddette schede si sono comunque presi in considerazione gli altri materiali presenti in archivio (…)”, (Adamo in De Martino, 1996, pp. 359-362). Informazioni riguardo gli esecutori dei brani raccolti a Matera sono riportate nei taccuini (De Martino, 1995, p. 84): “Ragone Anto-nio via Veneto n. 41, Cupa cupa. O’mattenaro, Latorre Vito di Leonardo, manovale. Frascedda, Persia Giuseppe fu Eustacchio, bracciante. O’cimproro, Paragone Vincenzo di N. N., manovale. Palmieri Giuseppe di Saverio, maestro scuole rurali”.

18 Questo titolo sembrerebbe non essere proprio di questo canto; nel taccuino n. 1 al punto 4 (De Martino 1995, p. 83), si riporta: “Altra canzone di Paola: Maria mea la pastora mea, / no la cunusce la voce mea? / Se la voce la cunuscevo / me menavo da o’ litte / te venevo ad aprè / me mettevo la cumminazione / te venevo ad aprè a te primo amore. / Me mettevo o’ vestito da la cintura / te venevo ad aprì amante mii”; una variante di questo canto è riportata in Giampietro (1977, p. 61).

19 Questo testo ha dei versi in comune con il testo di un canto raccolto e riportato in Giam-pietro (1977, p. 120-121). Un’altra variante è riportata nei taccuini: “Paola Mosca ha cantato una canzone al telaio: Mamma mamma, non ai racione / me faie curquà sopra o’ cascione / tanta a ‘Ddie agghia preià / ca sopra o litte m’agghia curquà (cascione: dove si conserva il grano)” (De Martino 1995, p. 83).

20 La traduzione è stata leggermente modificata.21 “Le aie erano costituite da lastricati o spiazzi di terra battuta, di proprietà dello stesso

contadino, oppure appartenenti ad estranei; in tal caso, l’utilizzo dell’area comportava una spesa che, per lo più, veniva pagata in natura” (A. Giampietro, 1988, p. 22). La zona delle aie era dove, attualmente, sorge il quartiere “S. Pardo”.

22 “Era caratteristico osservare, nelle giornate torride di luglio e di agosto, le operazioni di trebbiatura, con i muli che battevano gli zoccoli sulle spighe, guidati dal contadino che, al centro dell’aia, aveva il capo coperto con un cappello di paglia, talvolta fornito gratuitamente dalle As-sociazioni Agricole” (Giampietro, 1988, p. 22).

23 “È soprattutto in questi che affiorano le malinconiche fioriture; se ne ricava un senso di tristezza e rassegnazione, che ben si intonano al soffocante caldo di luglio e d’agosto. La cadenza stessa, molto lunga e prolungata, ripete il passo stanco dei muli ”(Giampietro, 1977, p. 29).